CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PRIIT PIKAMÄE

presentate il 15 aprile 2021 ( 1 )

Causa C‑564/19

Procedimento penale

a carico di

IS

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pesti Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest, Ungheria)]

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Diritto all’informazione nei procedimenti penali – Direttiva 2012/13/UE – Diritto all’interpretazione e alla traduzione – Direttiva 2010/64/UE – Diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali – Direttiva 2016/343/UE – Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 267 TFUE – Ricevibilità – Impugnazione nell’interesse della legge contro una decisione che dispone un rinvio pregiudiziale – Potere del giudice di grado superiore di dichiarare illegittima tale decisione»

1.

Come stabilire se la decisione sollecitata sia necessaria per consentire al giudice del rinvio di «emanare la sua sentenza» ai sensi dell’articolo 267, secondo comma, TFUE? Come interpretare tale nozione di «emanare la sua sentenza» che costituisce la chiave per accedere al rinvio pregiudiziale? La questione non è certo inedita, ma ha assunto una rilevanza del tutto particolare nel contesto delle molte, troppe controversie per asserite violazioni dello Stato di diritto e dell’indipendenza dei giudici trattate dalla Corte di giustizia o pendenti dinanzi ad essa. È giocoforza constatare che sono regolarmente sottoposte alla Corte questioni pregiudiziali talvolta equivalenti ad altrettante richieste d’aiuto da parte dei giudici nazionali incerti o persino preoccupati per l’esercizio di procedimenti disciplinari e alle quali si deve rispondere rispettando l’ortodossia di questo singolare rimedio giurisdizionale costituito dal rinvio pregiudiziale.

2.

Nella sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny (C‑558/18 e C‑563/18; in prosieguo: la sentenza Miasto Łowicz, EU:C:2020:234), la Corte ha inteso consolidare la propria giurisprudenza in materia di ricevibilità delle domande di pronuncia pregiudiziale in un settore così delicato, in cui la nozione di «autorità di cosa giudicata» può assumere una rilevanza diversa da quella strettamente giuridica. La presente controversia offre alla Corte l’occasione di precisare la portata di tale sentenza rispondendo, tra l’altro, a una questione inedita in merito a una decisione, adottata da un giudice di grado superiore statuente in ultima istanza, con cui si dichiara illegittima un’ordinanza di rinvio pregiudiziale, senza che siano pregiudicati gli effetti giuridici della suddetta ordinanza.

I. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

3.

Oltre a talune disposizioni di diritto primario, vale a dire gli articoli 19 TUE, 267 TFUE e l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), sono altresì pertinenti nell’ambito della presente controversia gli articoli 2 e 5 della direttiva 2010/64/UE ( 2 ), gli articoli 1, 6 e 8 della direttiva 2012/13/UE ( 3 ) nonché gli articoli 1 e 8 della direttiva (UE) 2016/343 ( 4 ).

B.   Diritto ungherese

1. Norme sul diritto dell’imputato di utilizzare la propria lingua madre

4.

L’articolo 78, paragrafo 1, dell’a büntetőeljárásról szóló 2017. évi XC. törvény (legge XC del 2017 che istituisce il codice di procedura penale) (Magyar Közlöny 2017/99., pag. 9484; in prosieguo: il «codice di procedura penale») prevede, in sostanza, che una parte di un procedimento penale, la quale desideri utilizzare come lingua madre una lingua diversa da quella ungherese, ha il diritto di utilizzare la propria lingua madre e di essere assistita da un interprete.

5.

In forza dell’articolo 201, paragrafo 1, del codice di procedura penale, nell’ambito di un procedimento penale può essere incaricato soltanto un interprete formalmente qualificato; tuttavia, qualora ciò non sia possibile, può essere parimenti designato un interprete che possieda una sufficiente conoscenza della lingua.

6.

A termini dell’articolo 755, paragrafo 1, lettere a) e aa), del codice di procedura penale, nel caso in cui l’imputato, residente all’estero a un indirizzo conosciuto, sia debitamente convocato e non si presenti all’udienza, il procedimento penale si celebra in sua assenza se non occorre spiccare un mandato d’arresto europeo internazionale o un siffatto mandato non è stato spiccato dal momento che il pubblico ministero non propone l’inflizione di una pena detentiva o l’inserimento in una struttura rieducativa.

7.

A norma dell’articolo 2 dell’a szakfordításról és tolmácsolásról szóló 24/1986. (VI.26.) minisztertanácsi rendelet (decreto 24/1986 del Consiglio dei Ministri relativo alla traduzione specializzata e all’interpretazione) (Magyar Közlöny 1986/24.), una traduzione o un’interpretazione specializzata può essere fornita a titolo oneroso nell’ambito di un contratto di lavoro o di un altro rapporto che abbia ad oggetto una prestazione lavorativa soltanto da traduttori o da interpreti debitamente qualificati. L’amministrazione e la gestione centrale dei servizi di traduzione o d’interpretariato rientrano nella competenza del Ministro della Giustizia. Dal 1o ottobre 2009, la certificazione delle qualifiche professionali degli interpreti che svolgono la propria attività in libera professione non è più regolamentata.

8.

Ai sensi dell’a szakfordító és tolmácsképesítés megszerzésének feltételeiről szóló 7/1986. (VI.26) MM rendelet (decreto 7/1986 del Ministro della Cultura relativo ai requisiti per l’abilitazione di traduttori specializzati e interpreti) (Magyar Közlöny 1986/24.) possiedono la qualifica di traduttori e interpreti specializzati le persone qualificate come traduttore specializzato, traduttore-revisore specializzato, interprete, interprete specializzato e interprete di conferenza. Tali qualifiche si possono conseguire negli istituti d’istruzione superiore nell’ambito di una formazione di base o permanente, nonché negli istituti designati dal Ministro della Cultura. Il regolamento definisce parimenti le condizioni per il conseguimento delle qualifiche, ma non prevede nessuna certificazione sulla sussistenza di tali condizioni.

2. Norme sul procedimento pregiudiziale e sul ricorso nell’interesse della legge

9.

L’articolo 490, paragrafi 1 e 2, del codice di procedura penale prevede sostanzialmente che un giudice nazionale può, d’ufficio o su domanda delle parti, sospendere il procedimento e sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea questioni pregiudiziali nell’ambito di un rinvio pregiudiziale.

10.

L’articolo 513, paragrafo 1, lettera a), del codice di procedura penale dispone che l’ordinanza di rinvio non è soggetta a impugnazione ordinaria.

11.

L’articolo 491, paragrafo 1, lettera a), del codice di procedura penale prevede, in sostanza, che il procedimento penale sospeso debba essere riaperto qualora siano venuti meno i motivi che ne hanno determinato la sospensione.

12.

Ai sensi dell’articolo 667, paragrafo 1, del codice di procedura penale, il procuratore generale può promuovere una procedura di ricorso straordinario, intitolata «ricorso nell’interesse della legge», per far dichiarare l’illegittimità, da parte della Kúria (Corte suprema, Ungheria; in prosieguo: la «Kúria»), di sentenze e ordinanze pronunciate dai giudici di grado inferiore.

13.

L’articolo 669 del codice di procedura penale così dispone:

«1.   La Kúria, qualora ritenga fondato il ricorso proposto nell’interesse della legge, dichiara con sentenza che la decisione contestata è illegittima e, in caso contrario, respinge il ricorso tramite ordinanza.

2.   Qualora dichiari l’illegittimità della decisione di cui trattasi, la Kúria può assolvere l’imputato, escludere un trattamento sanitario forzato, porre termine al procedimento, infliggere una pena più lieve o applicare una misura più leggera, annullare la decisione impugnata e, all’occorrenza, rinviare la causa dinanzi al giudice competente per un nuovo procedimento.

3.   Al di fuori dei casi di cui al paragrafo 2, la decisione della Kúria si limita alla sola dichiarazione di illegittimità.

(…)».

II. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

14.

Dinanzi al giudice del rinvio, che si pronuncia in qualità di giudice unico del Pesti Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest, Ungheria) (in prosieguo: il «giudice del rinvio»), pende il procedimento penale promosso a carico dell’imputato IS, sul fondamento di un atto di citazione redatto il 26 febbraio 2018 dal procuratore dei distretti V e XIII di Budapest (Ungheria) per una presunta violazione della legislazione sulle armi e sulle munizioni. Detto imputato, cittadino svedese di origine turca, è stato arrestato in Ungheria il 25 agosto 2015 e interrogato in pari data in qualità di indagato. Prima dell’interrogatorio l’imputato ha chiesto di essere assistito da un avvocato e da un interprete. Durante l’interrogatorio, al quale non ha potuto presenziare l’avvocato, l’imputato è stato informato, tramite un interprete, dei sospetti a suo carico, ma, non potendo consultare il proprio avvocato, si è rifiutato di deporre. L’imputato è stato rilasciato dopo l’interrogatorio.

15.

L’imputato soggiorna al di fuori dell’Ungheria e l’atto di citazione è tornato indietro con la menzione «non ritirato». In base al diritto nazionale, a fronte di una richiesta d’irrogazione di una semplice ammenda da parte del pubblico ministero, il giudice del rinvio è tenuto a procedere in assenza dell’imputato. In sede di udienza, l’avvocato difensore dell’imputato ha presentato una domanda di pronuncia pregiudiziale, che è stata accolta.

16.

Nella domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio osserva che l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2010/64 dispone che gli Stati membri devono adottare misure atte a garantire che l’interpretazione e la traduzione fornite rispettino la qualità richiesta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 8, e all’articolo 3, paragrafo 9, di tale direttiva, il che significherebbe che la qualità dell’interpretazione deve essere sufficiente a garantire l’equità del procedimento, in particolare assicurando che le persone indagate o imputate siano messe a conoscenza dei fatti loro addebitati e posti in grado di esercitare i loro diritti della difesa. Il giudice del rinvio rileva parimenti che l’articolo 5, paragrafo 2, della medesima direttiva prevede che, al fine di assicurare un servizio di interpretazione e di traduzione adeguato e un accesso efficiente a tale servizio, gli Stati membri si impegnano a istituire uno o più registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati. Secondo il giudice del rinvio, nel procedimento non vi è alcuna informazione sulle modalità di selezione dell’interprete e di verifica delle sue competenze, né sul fatto che l’interprete e l’imputato si comprendessero reciprocamente.

17.

Inoltre, il giudice del rinvio precisa che l’articolo 4, paragrafo 5, e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2012/13 prevedono che gli indagati o gli imputati siano immediatamente informati per iscritto sui loro diritti in una lingua a loro comprensibile nonché sul reato che sono sospettati o accusati di aver commesso. In tale contesto, il giudice del rinvio afferma che in Ungheria non esiste alcun registro ufficiale di traduttori e interpreti e che la normativa ungherese non specifica chi possa essere incaricato nel procedimento penale come traduttore o interprete ad hoc, né in base a quali criteri, essendo disciplinata soltanto la traduzione giurata di documenti. In tal senso, secondo il giudice del rinvio, si pone la questione se la normativa e la prassi nazionali in questione dinanzi ad esso siano compatibili con le direttive relative ai diritti delle persone imputate nell’Unione e se dalla normativa dell’Unione discenda che, in caso di incompatibilità, il giudice nazionale non possa procedere in absentia.

18.

Peraltro, il giudice del rinvio osserva che, dall’entrata in vigore della riforma giudiziaria del 2012, l’amministrazione e la gestione centrale del sistema giudiziario spettano al presidente dell’Országos Bírósági Hivatal (Ufficio giudiziario nazionale, Ungheria; in prosieguo: l’«OBH»), nominato dal Parlamento per un periodo di nove anni, e che tale presidente dispone di vaste competenze, comprese quelle relative alle decisioni sull’assegnazione dei giudici, alla nomina dei vertici degli organi giurisdizionali e all’avvio di procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici. Il giudice del rinvio precisa, inoltre, che il Consiglio nazionale della magistratura (in prosieguo: il «CNM») – i cui membri sono eletti dai giudici – è competente a supervisionare l’operato del presidente dell’OBH e ad approvarne le decisioni in determinati casi. Orbene, il 2 maggio 2018 il CNM avrebbe adottato una relazione in cui si constatava che il presidente dell’OBH aveva regolarmente infranto la legge mediante la prassi di dichiarare deserti i concorsi per il conferimento di posti di giudice e di incarichi giudiziari con funzioni direttive senza un’adeguata motivazione e per il fatto di avere provveduto ad assegnare direttamente incarichi dirigenziali, come nel caso del presidente della Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), organo giurisdizionale d’appello del giudice del rinvio. La situazione attuale sarebbe caratterizzata da un conflitto tra il presidente dell’OBH e il CNM. In tale contesto, il giudice del rinvio si chiede se un siffatto funzionamento dell’OBH sia compatibile con il principio di indipendenza dei giudici sancito all’articolo 19 TUE e all’articolo 47 della Carta. Detto giudice si domanda parimenti se, in un simile contesto, il procedimento dinanzi ad esso pendente possa considerarsi equo.

19.

In aggiunta, il giudice del rinvio osserva che il sistema di retribuzione nazionale prevede un trattamento economico dei giudici inferiore a quello dei procuratori nonché la concessione a discrezione del presidente dell’OBH e dei dirigenti giudiziari di indennità molto elevate rispetto alla retribuzione di base dei giudici e quindi potenzialmente atta a costituire un’indebita influenza e a comportare una violazione dell’indipendenza dei giudici.

20.

In tale contesto il Pesti Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte tre gruppi di questioni pregiudiziali [prima questione, lettere a) e b); seconda questione, lettere a) e b), e terza questione, lettere a) e b)].

21.

Con decisione di rinvio del 18 novembre 2019, il giudice del rinvio ha presentato un addendum alla domanda iniziale e sottoposto questioni pregiudiziali integrative.

22.

A tale riguardo, il giudice del rinvio spiega che successivamente al deposito del rinvio pregiudiziale iniziale, in data 19 luglio 2019, il procuratore generale, sulla base dell’articolo 668 del codice di procedura penale, ha proposto un ricorso straordinario dinanzi alla Kúria contro l’ordinanza di rinvio pregiudiziale nella presente causa, intitolato «ricorso nell’interesse della legge», e che, in una decisione definitiva datata 10 settembre 2019, la Kúria ha dichiarato tale ordinanza illegittima, ritenendo, in sostanza, che le questioni sollevate non fossero pertinenti per la soluzione della controversia di cui al procedimento principale e che la prima questione non fosse effettivamente intesa a ottenere un’interpretazione del diritto dell’Unione bensì ad accertare che il diritto ungherese applicabile non era conforme ai principi tutelati dal diritto dell’Unione. Nonostante l’effetto dichiarativo della decisione della Kúria, il giudice del rinvio si chiede come debba comportarsi per quanto riguarda il prosieguo del procedimento principale, alla luce di un’eventuale incompatibilità di tale decisione con il diritto dell’Unione.

23.

Il giudice del rinvio aggiunge che, in data 25 ottobre 2019, il presidente della Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) ha avviato un procedimento disciplinare nei suoi confronti, riprendendo alla lettera le motivazioni della decisione della Kúria del 10 settembre 2019. In seguito a una comunicazione da parte del governo ungherese, in cui si dava informazione dell’archiviazione di tale procedimento, la Corte ha chiesto chiarimenti al giudice del rinvio. Nella sua risposta del 10 dicembre 2019, quest’ultimo ha confermato che, con un documento datato 22 novembre 2019, detto presidente aveva revocato l’atto di avvio del procedimento disciplinare e precisato che non intendeva modificare la sua domanda di pronuncia pregiudiziale integrativa.

24.

In tale contesto il Pesti Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest, Ungheria) ha deciso di sottoporre alla Corte questioni pregiudiziali integrative [quarta questione, lettere da a) a c), e quinta questione]. Pertanto, con le sue due decisioni, il giudice del rinvio ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

a)

Se l’articolo 6, paragrafo 1, TUE e l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2010/64/CE debbano essere interpretati nel senso che, al fine di garantire il diritto a un equo processo degli imputati che non conoscono la lingua processuale, lo Stato membro deve istituire un registro di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati o – in assenza di ciò – garantire in altro modo che possa essere esercitato un controllo sull’adeguatezza dell’interpretazione linguistica nel procedimento giurisdizionale.

b)

In caso di risposta affermativa alla precedente questione e qualora, nel caso di specie, in mancanza di un’interpretazione linguistica adeguata, non sia possibile accertare se l’imputato sia stato informato dell’oggetto dell’imputazione o dell’accusa formulata a suo carico, se l’articolo 6, paragrafo 1, TUE e [l’]articol[o] 4, paragrafo 5, e [l’articolo] 6, paragrafo 1, della direttiva 2012/13/UE debbano essere interpretati nel senso che in tali circostanze non è possibile procedere in contumacia.

2)

a)

Se sia in contrasto con il principio di indipendenza dei giudici sancito dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, dall’articolo 47 della [Carta] e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea una prassi secondo la quale il presidente dell’[OBH], responsabile dell’amministrazione centrale dei tribunali e nominato dal Parlamento, che è l’unico organo a cui deve rendere conto e che ha il potere di destituirlo, conferisce l’incarico di presidente di un tribunale – presidente che, tra l’altro, ha il potere di disporre l’attribuzione delle cause, di avviare procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici e di valutarne l’operato – mediante nomina diretta temporanea, eludendo la procedura di concorso e ignorando permanentemente il parere dei competenti organi di autogoverno dei giudici.

b)

In caso di risposta affermativa alla [seconda questione, lettera a)] e qualora il giudice adito nella fattispecie abbia fondati motivi di temere di essere pregiudicato indebitamente a causa della sua attività giudiziaria e amministrativa, se il principio summenzionato debba essere interpretato nel senso che nella causa in oggetto non è garantito un equo processo.

3)

a)

Se sia in contrasto con il principio di indipendenza dei giudici sancito dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, dall’articolo 47 della [Carta] e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea una situazione come quella dei giudici ungheresi che, dal 1o settembre 2018 – contrariamente alla prassi seguita nei decenni precedenti –, ricevono per legge una retribuzione inferiore rispetto a quella dei pubblici ministeri di categoria corrispondente e aventi il medesimo livello e la medesima anzianità, e nella quale, tenendo conto della situazione economica del paese, i loro stipendi non sono generalmente commisurati all’importanza delle funzioni che svolgono, soprattutto in considerazione della prassi delle gratifiche discrezionali seguita dalle cariche direttive.

b)

In caso di risposta affermativa alla precedente questione, se il citato principio di indipendenza dei giudici debba essere interpretato nel senso che, nelle circostanze summenzionate, non è possibile garantire il diritto a un equo processo.

4)

a)

Se l’art[icolo] 267 [TFUE] debba essere interpretato nel senso che è in contrasto con tale disposizione una decisione giurisprudenziale nazionale ai sensi della quale il giudice di ultima istanza, nell’ambito di un procedimento volto a uniformare la giurisprudenza dello Stato membro, senza pregiudicare gli effetti giuridici dell’ordinanza di cui trattasi, qualifica come illegale l’ordinanza dell’organo giurisdizionale di grado inferiore con cui è stato avviato il procedimento pregiudiziale.

b)

In caso di risposta affermativa alla [quarta questione, lettera a)], se l’art[icolo] 267 [TFUE] debba essere interpretato nel senso che il giudice nazionale deve disattendere le decisioni in senso contrario dell’organo giurisdizionale di grado superiore e le posizioni di principio adottate nell’interesse dell’uniformità del diritto.

c)

In caso di risposta negativa alla [quarta questione, lettera a)], se il procedimento penale sospeso p[ossa], in tal caso, proseguire in pendenza del procedimento pregiudiziale.

5)

Se il principio di indipendenza del giudice sancito dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dall’articolo 47 della [Carta] nonché dalla giurisprudenza della Corte debba essere interpretato nel senso che, alla luce dell’articolo 267 TFUE, tale principio è violato quando viene promosso un procedimento disciplinare nei confronti di un giudice per il fatto che quest’ultimo ha avviato un procedimento pregiudiziale».

III. Procedimento dinanzi alla Corte

25.

Hanno presentato osservazioni i governi ungherese, dei Paesi Bassi e svedese, nonché la Commissione europea.

IV. Analisi

26.

In via preliminare, occorre rilevare che il governo ungherese contesta la ricevibilità del complesso delle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte, e questo per il medesimo motivo, vale a dire l’insussistenza di un collegamento tra le disposizioni del diritto dell’Unione di cui si chiede l’interpretazione e la controversia di cui al procedimento principale, descrivendo le questioni sollevate come irrilevanti ai fini della definizione di tale controversia. Tale contestazione generica richiede una risposta diversificata sul fondamento della pertinente giurisprudenza della Corte e, più specificamente, delle sue espressioni consolidate tratte dalla sentenza Miasto Łowicz.

27.

In detta sentenza la Corte ha rammentato che, secondo costante giurisprudenza, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di fatto e di diritto che egli individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Tuttavia, sempre secondo costante giurisprudenza, il procedimento ex articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione loro necessari per risolvere le controversie che essi sono chiamati a dirimere. La ratio del rinvio pregiudiziale non risiede nell’esprimere pareri consultivi su questioni generiche o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia ( 5 ).

28.

Come risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 267 TFUE, la decisione pregiudiziale richiesta deve essere «necessaria» al fine di consentire al giudice del rinvio di «emanare la sua sentenza» nella causa della quale è investito. La Corte ha infatti ripetutamente ricordato che sia dal dettato sia dall’impianto sistematico dell’articolo 267 TFUE emerge che il procedimento pregiudiziale presuppone, in particolare, che dinanzi ai giudici nazionali sia effettivamente pendente una controversia nell’ambito della quale ad essi è richiesta una pronunzia che possa tener conto della sentenza pregiudiziale. Il compito della Corte, nell’ambito di un procedimento pregiudiziale, è quello di assistere il giudice del rinvio nella soluzione della controversia concreta dinanzi ad esso pendente. Nell’ambito di siffatto procedimento, deve quindi esistere tra la suddetta controversia e le disposizioni del diritto dell’Unione di cui è chiesta l’interpretazione un collegamento tale per cui detta interpretazione risponde a una necessità oggettiva ai fini della decisione che deve essere adottata dal giudice del rinvio ( 6 ).

29.

Dalla sentenza Miasto Łowicz risulta che tale collegamento può essere diretto o indiretto. Il collegamento è diretto quando il giudice nazionale è chiamato ad applicare il diritto dell’Unione di cui è richiesta l’interpretazione al fine di trarne la soluzione nel merito per la controversia di cui al procedimento principale. Il collegamento è indiretto quando la pronuncia pregiudiziale ha carattere tale da fornire al giudice del rinvio un’interpretazione del diritto dell’Unione che gli consenta di dirimere questioni procedurali, o del diritto dell’Unione o del diritto nazionale, prima di poter stature nel merito della controversia di cui è investito ( 7 ).

30.

Alla luce di tali precisazioni, ritengo che la risposta da fornire alla censura di irricevibilità sollevata dal governo ungherese sia senz’altro negativa per la prima questione e affermativa per le questioni seconda e terza, mentre la soluzione per le questioni quarta e quinta richiede un’analisi più articolata. A tal proposito, per quanto riguarda l’ordine di esame delle questioni, mi sembra necessario esaminare in via prioritaria la quarta questione pregiudiziale che fa seguito agli sviluppi procedurali nazionali successivi alla prima decisione di rinvio, costituiti, nella fattispecie, dalla presentazione di un’impugnazione nell’interesse della legge da parte del procuratore generale e dalla conseguente decisione della Kúria che dichiara illegittima detta decisione. Tale questione, infatti, mi sembra avere carattere prioritario sotto il profilo della logica del ragionamento, nel senso che concerne la ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale iniziale.

A.   Sulla quarta questione

31.

Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che esso osta all’adozione, da parte del più alto organo giurisdizionale nazionale, investito di un’impugnazione nell’interesse della legge, di una decisione che dichiara illegittima l’ordinanza di rinvio pregiudiziale, senza tuttavia pregiudicare gli effetti giuridici della stessa quanto alla sospensione del procedimento principale e alla prosecuzione del procedimento pregiudiziale, con la motivazione che le questioni pregiudiziali non sono necessarie per la soluzione della controversia e mirano a far constatare l’incompatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione. Il giudice del rinvio chiede altresì chiarimenti alla Corte sulle conseguenze di una risposta affermativa o negativa a tale questione per quanto riguarda lo svolgimento del procedimento principale e la presa in considerazione della decisione del giudice di grado superiore alla luce del principio del primato del diritto dell’Unione.

1. Sulla ricevibilità

32.

A sostegno delle sue conclusioni nel senso dell’irricevibilità, il governo ungherese sottolinea l’irrilevanza di tale questione per la definizione del procedimento principale, in quanto la Kúria non ha annullato la decisione di rinvio e di sospensione del procedimento penale, così come non ha imposto al giudice del rinvio di revocare o di modificare quest’ultima decisione. Pertanto, lo svolgimento del procedimento giurisdizionale non verrebbe in alcun caso interrotto e la Corte potrebbe considerare in fine ricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale di cui trattasi.

33.

Tale argomento, a mio avviso, non può essere accolto, dal momento che la questione pregiudiziale di cui trattasi deve essere considerata ricevibile in ragione di un collegamento indiretto ma effettivo tra la controversia principale l’articolo 267 TFUE. Infatti, con la quarta questione pregiudiziale e con l’interpretazione di tale disposizione richiesta nel caso di specie, il giudice del rinvio mira a ottenere chiarimenti non sul merito della controversia di cui è investito e che ha egli stesso collegato ad altre questioni attinenti al diritto dell’Unione, bensì su un problema di natura procedurale sul quale deve pronunciarsi in limine litis, riguardando le condizioni per la prosecuzione del procedimento principale in seguito alla sentenza della Kúria che dichiara illegittima l’iniziale decisione di rinvio ( 8 ).

34.

A tale riguardo, occorre sottolineare che, secondo la lettera dell’articolo 490, paragrafo 1, del codice di procedura penale, «il giudice può, d’ufficio o su domanda di una parte, avviare un procedimento pregiudiziale dinanzi alla [Corte], in conformità con le norme stabilite dai Trattati che costituiscono il fondamento dell’Unione europea». A norma delle formulazioni dei paragrafi 2 e 3 di tale articolo, il giudice dispone, tramite ordinanza, o l’avvio di un procedimento di rinvio pregiudiziale sospendendo congiuntamente il procedimento, o il rigetto della domanda di avvio di un procedimento pregiudiziale. In seguito alla presentazione da parte del procuratore generale di un’impugnazione nell’interesse della legge ai sensi dell’articolo 667, paragrafo 1, del codice di procedura penale, la Kúria ha effettuato un controllo di legittimità sulla decisione di rinvio iniziale rispetto all’articolo 490 del medesimo codice.

35.

Dalla sentenza della Kúria risulta che la stessa ha cercato di verificare se il giudice del rinvio avesse un motivo per sollevare le questioni pregiudiziali, condizione questa determinante per la legittimità della sospensione della fase successiva del procedimento penale. La Kúria ha quindi valutato che le suddette questioni non fossero necessarie ai fini della soluzione da fornire alla controversia, in quanto effettivamente insussistenti o prive di collegamento con i fatti di detta controversia ( 9 ), e inoltre che le prime questioni non fossero intese a ottenere un’interpretazione del diritto dell’Unione bensì ad accertare la non conformità del diritto ungherese applicabile con il diritto dell’Unione ( 10 ). La Kúria ne ha concluso che, con la sua ordinanza di rinvio pregiudiziale e di sospensione del procedimento penale, il giudice del rinvio aveva violato la legge sulla procedura penale, nella fattispecie le norme dell’articolo 490 del codice di procedura penale. In tali circostanze, la decisione di rinvio originaria, benché non sia stata annullata dalla Kúria, è stata comunque dichiarata illegittima per quanto riguarda l’ordinamento giuridico ungherese ( 11 ).

36.

Di fronte a tale decisione della Kúria, il giudice del rinvio ha manifestato le proprie perplessità sul comportamento da adottare alla luce di molteplici elementi. Egli ha anzitutto fatto riferimento all’articolo 491, paragrafo 1, lettera a), del codice di procedura penale, il quale prevede che, qualora venga meno il motivo per cui il procedimento è stato sospeso, il giudice riprende la trattazione della causa, il che si potrebbe verificare nell’ipotesi in cui detto motivo sia considerato illegittimo come nel caso di specie. Il giudice del rinvio ha poi evidenziato che, alla luce del ruolo che ricopre e delle disposizioni statutarie riguardanti, segnatamente, la valutazione dei giudici, è tenuto, in via generale, al rispetto della legalità e a conformarsi agli orientamenti della giurisprudenza delle giurisdizioni superiori, e quindi ad astenersi dall’adottare qualsivoglia decisione giurisdizionale illegittima. Infine, benché priva di forza giuridica vincolante, la decisione della Kúria sarebbe stata pubblicata nella raccolta ufficiale riservata alle decisioni di principio ai fini di garantire l’uniformità del diritto nazionale e il giudice del rinvio non potrebbe non tenerne conto se non motivando esplicitamente la propria posizione.

37.

Va rilevato che l’effetto dichiarativo della decisione della Kúria e l’assenza di modifiche nella situazione inter partes non si estendono oltre la fase del rinvio pregiudiziale e della sospensione del procedimento principale fino alla sentenza della Corte. La questione successiva della responsabilità penale dell’imputato permane nella sua interezza e sarà definita con la decisione finale del giudice del rinvio fondata su un’ordinanza di rinvio iniziale illegittima nell’ordinamento giuridico ungherese ai sensi di una decisione definitiva della Kúria. È interessante osservare che, nell’ambito della sua motivazione ( 12 ), la Kúria precisa che il giudice di grado inferiore ha il potere di sospendere il procedimento penale qualora sussistano i requisiti richiesti per legge, il che può essere fatto «solo al fine di pronunciare una decisione sul merito legittima e fondata» (il corsivo è mio). Da una siffatta motivazione si evince che l’illegittimità della decisione intermedia di sospensione ha necessariamente carattere tale da pregiudicare la regolarità della decisione finale nel merito. Orbene, è pacifico che la decisione sul merito relativa a tale responsabilità può formare oggetto di ricorso ordinario nel diritto nazionale, senza necessità di evocare la prospettiva di una nuova impugnazione nell’interesse della legge promossa dal procuratore generale.

38.

Dalla decisione integrativa di rinvio risulta che l’alternativa che si pone al giudice del rinvio a partire dalle possibili risposte della Corte rispetto alla sua richiesta di chiarimento sulla compatibilità con l’articolo 267 TFUE della decisione della Kúria è la seguente:

nel caso in cui la Kúria abbia potuto validamente dichiarare illegittima la decisione di rinvio iniziale, spetterà al giudice del rinvio proseguire il procedimento penale e pronunciarsi sulla responsabilità dell’imputato tenendo unicamente conto del fascicolo nazionale, dovendo considerarsi completamente irrilevanti a tal fine le questioni pregiudiziali prima, seconda e terza ( 13 );

nel caso in cui la Kúria abbia erroneamente dichiarato illegittima la decisione summenzionata, sarà compito del giudice del rinvio applicare il diritto dell’Unione, quale interpretato nella sentenza della Corte, al fine di trarne la soluzione nel merito per la controversia di cui al procedimento principale, disattendendo, in nome del primato del diritto dell’Unione, la sentenza della Kúria.

39.

Alla luce delle considerazioni che precedono, la risposta della Corte alla quarta questione ha, a mio avviso, carattere tale da poter fornire al giudice del rinvio un’interpretazione del diritto dell’Unione, nella fattispecie dell’articolo 267 TFUE, che gli consenta di dirimere una questione procedurale del diritto nazionale prima di poter statuire nel merito della controversia di cui è investito ( 14 ). Essa è pertanto pienamente ricevibile.

2. Nel merito

40.

Dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che, ai sensi del diritto processuale penale ungherese, qualora non sia stato esperito nessun rimedio giurisdizionale ordinario avverso una decisione che dispone un rinvio pregiudiziale e la sospensione del procedimento principale, tale atto può formare oggetto di un ricorso straordinario, nella fattispecie di un’impugnazione nell’interesse della legge promossa dal procuratore generale dinanzi alla Kúria e preordinata a garantire l’uniformità del diritto nazionale. L’organo giurisdizionale di grado superiore adito ha infatti il potere di dichiarare illegittima la decisione summenzionata e tale declaratoria ha effetto solo per il futuro.

41.

Secondo la giurisprudenza della Corte, nel caso di un giudice che non sia di ultima istanza, l’articolo 267 TFUE non esclude che i relativi provvedimenti di rinvio pregiudiziale alla Corte siano soggetti ai normali mezzi d’impugnazione predisposti dal diritto interno. Tuttavia, l’esito di un tale ricorso di impugnazione non può limitare la competenza in capo a detto giudice, conferitagli dall’articolo 267 TFUE di adire la Corte se ritiene che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad esso pendente, siano sorte questioni relative all’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione per le quali è necessaria una pronuncia della Corte. La Corte ha in tal senso statuito che tale competenza non poteva essere rimessa in discussione dall’applicazione di norme di diritto nazionale che consentivano a un giudice adito in appello di riformare la decisione che disponeva un rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte, di rendere privo di effetti detto rinvio e di ordinare al primo giudice di riprendere la trattazione del procedimento di diritto nazionale sospeso ( 15 ). In una situazione in cui un giudice di primo grado doveva statuire per la seconda volta in una causa, dopo l’annullamento di una sua precedente sentenza da parte di un giudice di ultima istanza, la Corte ha altresì dichiarato che detto giudice di primo grado restava libero di adire la Corte a norma dell’articolo 267 TFUE anche se il diritto interno contemplava una norma che vincolava i giudici al rispetto delle valutazioni giuridiche emananti da un giudice di grado superiore.

42.

È giocoforza costatare che tali due soluzioni non sono pertinenti, in quanto la sentenza della Kúria non ha annullato l’ordinanza di rinvio, non impone al giudice del rinvio di revocarla o di modificarla né di riprendere la trattazione del procedimento penale inizialmente sospeso. Il giudice di grado superiore ha accertato un’illegittimità senza porvi rimedio. Resta il fatto che l’analisi di tale decisione non può fermarsi a tale osservazione e al suo solo dispositivo, il quale deve essere necessariamente letto alla luce delle motivazioni da cui è inscindibile.

43.

Nell’ambito di tale sentenza, la Kúria ha effettuato un controllo di legittimità sulla decisione di rinvio iniziale rispetto all’articolo 490 del codice di procedura penale, considerato come una «proiezione» nella legislazione nazionale dei requisiti del diritto dell’Unione in ordine alle domande di pronuncia pregiudiziale ( 16 ). Conformemente a tale premessa singolare, accompagnata da accorgimenti formali quanto al rispetto delle competenze della Corte, la Kúria ha adottato una forma di controllo di ricevibilità sulla decisione di rinvio iniziale volto a stabilire se la risposta alle questioni sollevate dal giudice nella causa considerata fosse necessaria per statuire sulla sostanza della causa. A partire dalla sua analisi di quest’ultima, essa ha ritenuto che la prima questione in realtà non si ponesse e che le questioni seconda e terza non presentassero alcun collegamento con la causa. Ancora più sorprendente è il secondo motivo relativo alla legittimità accolto, in conformità con le richieste del procuratore generale, per la prima questione, secondo il quale la questione non mirava effettivamente a ottenere un’interpretazione del diritto dell’Unione bensì ad accertare che il diritto ungherese applicabile non era conforme ai principi tutelati dal diritto dell’Unione. Tale motivo attinente a una valutazione della finalità delle questioni pregiudiziali corrisponde all’attuazione di una costante giurisprudenza del più alto organo giurisdizionale nazionale ungherese, con la circostanza, nella fattispecie aggravante, che la soluzione accolta riguarda la decisione di rinvio pregiudiziale stessa e non quella con cui il giudice di merito rifiuta di accogliere una domanda di rinvio pregiudiziale di una parte.

44.

Detta sentenza, così motivata, mi sembra pregiudichi la facoltà del giudice del rinvio di adire la Corte in via pregiudiziale e viola, perciò, l’articolo 267 TFUE, come interpretato dalla Corte.

45.

A tale riguardo, occorre, in primo luogo, rammentare che, conformemente all’articolo 19 TUE, spetta ai giudici nazionali e alla Corte garantire la piena applicazione del diritto dell’Unione nell’insieme degli Stati membri, nonché la tutela giurisdizionale dei diritti spettanti agli amministrati in forza del diritto dell’Unione. In tale contesto, la chiave di volta del sistema giurisdizionale così concepito è costituita dal procedimento di rinvio pregiudiziale previsto dall’articolo 267 TFUE, il quale, instaurando un dialogo da giudice a giudice proprio tra la Corte e i giudici degli Stati membri, mira ad assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione, permettendo così di garantire la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto nonché, in ultima istanza, il carattere peculiare dell’ordinamento istituito dai Trattati ( 17 ).

46.

L’articolo 267 TFUE conferisce ai giudici nazionali la più ampia facoltà di adire la Corte qualora ritengano che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad essi pendente, siano sorte questioni che implichino un’interpretazione o un accertamento della validità delle disposizioni del diritto dell’Unione necessarie per definire la controversia di cui sono investiti. I giudici nazionali sono d’altronde liberi di esercitare tale facoltà in qualsiasi momento da essi ritenuto opportuno. Una norma di diritto nazionale, di carattere legislativo o giurisprudenziale, non può pertanto impedire a un organo giurisdizionale nazionale di avvalersi della suddetta facoltà, la quale, invero, è inerente al sistema di cooperazione fra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte, instaurato dall’articolo 267 TFUE, e alle funzioni di giudice incaricato dell’applicazione del diritto dell’Unione affidate dalla citata disposizione agli organi giurisdizionali nazionali ( 18 ).

47.

Il dialogo pregiudiziale, in tal modo definito, non rientra in una relazione triangolare che comprende un organo giurisdizionale, diverso dalla Corte e dal giudice del rinvio, il quale possa effettuare un’autonoma valutazione della rilevanza e della necessità del rinvio pregiudiziale per poi dichiararne l’illegittimità perché dette caratteristiche non sussistono ( 19 ). Tale situazione è in contrasto con il fatto che il rinvio pregiudiziale è basato su un dialogo tra giudici, il cui avvio si basa interamente sulla valutazione della pertinenza e della necessità del detto rinvio compiuta dal giudice nazionale, fatta salva la limitata verifica effettuata dalla Corte ( 20 ). In altri termini, l’esame della ricevibilità delle questioni pregiudiziali rientra nella competenza esclusiva della Corte.

48.

In secondo luogo, l’efficacia del diritto dell’Unione rischierebbe di essere compromessa se l’esistenza di un ricorso dinanzi al più alto organo giurisdizionale nazionale potesse impedire al giudice nazionale, al quale è stata sottoposta una controversia regolata dal diritto dell’Unione, di esercitare la facoltà, attribuitagli dall’articolo 267 TFUE, di sottoporre alla Corte le questioni vertenti sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, al fine di consentirgli di giudicare se una norma nazionale sia o meno compatibile con quest’ultimo ( 21 ). Tale mi sembra appunto il caso della sentenza della Kúria in cui si è provveduto ad analizzare le finalità delle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte, in conformità con una costante giurisprudenza in tal senso, allo scopo di prevenire una verifica sulla compatibilità delle norme nazionali rispetto al diritto dell’Unione. Una siffatta prassi giurisdizionale comporta il rischio che un giudice nazionale, il quale nutra dubbi circa la compatibilità del diritto interno con il diritto dell’Unione, preferisca astenersi dal porre questioni pregiudiziali alla Corte per evitare una dichiarazione di illegittimità della decisione che dispone il rinvio pregiudiziale e la sospensione del procedimento principale, suscettibile di compromettere la validità della futura decisione di merito ( 22 ).

49.

In terzo luogo, risulta da una giurisprudenza costante che la sentenza con la quale la Corte si pronunzia in via pregiudiziale vincola il giudice nazionale, per quanto concerne l’interpretazione o la validità degli atti delle istituzioni dell’Unione in questione, per la definizione della lite principale ( 23 ). Dopo aver ricevuto la risposta della Corte ad una questione vertente sull’interpretazione del diritto dell’Unione da esso sottopostale, un organo giurisdizionale di prima o di ultima istanza deve esso stesso fare tutto il necessario affinché sia applicata tale interpretazione del diritto dell’Unione ( 24 ). L’articolo 267 TFUE impone al giudice del rinvio di dare piena attuazione all’interpretazione del diritto dell’Unione data dalla Corte ( 25 ). Nella fattispecie, mi sembra che una sentenza del più alto organo giurisdizionale nazionale, pubblicata nella raccolta ufficiale riservata alle decisioni di principio, che dichiara illegittima in via definitiva nell’ordinamento giuridico nazionale un’ordinanza di rinvio pregiudiziale precedente alla decisione di merito che definisce la controversia principale e destinata a integrare la risposta della Corte circa l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta, possa ostacolare l’esecuzione del suddetto obbligo da parte del giudice del rinvio.

50.

Appare pertanto evidente che la sentenza della Kúria è idonea a rimettere in discussione le caratteristiche essenziali del sistema di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituito dall’articolo 267 TFUE e il primato del diritto dell’Unione nell’ordinamento giuridico interno.

51.

Occorre infine aggiungere che la Corte ha dichiarato che il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le norme di diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore. Una disposizione di diritto nazionale che impedisce l’attuazione della procedura di cui all’articolo 267 TFUE deve essere disapplicata senza che il giudice interessato debba chiederne o attenderne la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale ( 26 ) Infatti, è incompatibile con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto dell’Unione qualsiasi disposizione facente parte dell’ordinamento giuridico di uno Stato membro o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto dell’Unione per il fatto che sia negato al giudice, competente ad applicare questo diritto, il potere di fare, all’atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino, anche temporaneamente, alla piena efficacia delle norme dell’Unione ( 27 ).

52.

Alla luce delle considerazioni che precedono, si suggerisce di rispondere alla quarta questione dichiarando che, in presenza di norme di diritto nazionale relative all’esercizio di un ricorso straordinario volto a uniformare tale diritto avverso una decisione che dispone un rinvio pregiudiziale, l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta all’applicazione di siffatte norme che consentono al giudice di grado superiore adito di dichiarare illegittima detta decisione, senza pregiudicarne gli effetti giuridici rispetto alla sospensione del procedimento principale e alla prosecuzione del procedimento pregiudiziale, con la motivazione che le questioni pregiudiziali sollevate non sono necessarie per la definizione della controversia e mirano a far constatare l’incompatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione. Il primato del diritto dell’Unione impone al giudice nazionale del rinvio di disapplicare tali norme e le decisioni giudiziarie che danno loro attuazione.

B.   Sulla prima questione

1. Sulla ricevibilità

53.

Il rifiuto della Corte di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione richiesta relativamente ad una norma dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia nel procedimento principale, oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, o anche quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte ( 28 ).

54.

Nella fattispecie, dal fascicolo sottoposto alla Corte non risulta in modo manifesto che la situazione in esame corrisponda a una di tali ipotesi. Al contrario, dinanzi al giudice del rinvio è attualmente pendente un procedimento in absentia riguardante IS, cittadino svedese di origine turca, perseguito per violazione della legislazione sulle armi da fuoco e sulle munizioni in seguito a un’indagine nel corso della quale l’interessato è stato interrogato dai servizi di polizia con l’assistenza di un interprete che gli ha tradotto la notifica dei suoi diritti e dei sospetti a suo carico. Si deve constatare che la controversia di cui al procedimento principale presenta in modo manifesto, per quanto riguarda il merito, un collegamento con il diritto dell’Unione, segnatamente con le disposizioni delle direttive 2010/64 e 2012/13 sulle quali verte la prima questione pregiudiziale, e che il giudice del rinvio sarà quindi chiamato ad applicare tale diritto al fine di trarne la soluzione nel merito per la suddetta controversia.

55.

Le affermazioni del governo ungherese non possono inficiare tale constatazione e la ricevibilità della questione pregiudiziale che ne discende. Sono infatti irrilevanti le considerazioni sull’asserita semplicità della valutazione di fatto e di diritto del procedimento principale e sulla non necessità di un’interpretazione del diritto dell’Unione, dal momento che dal fascicolo del procedimento a carico di IS non emerge nessun elemento atto a far dubitare della sufficiente qualità dell’interpretazione. È sufficiente, al riguardo, rammentare che gli organi giurisdizionali nazionali godono della più ampia facoltà di adire la Corte se ritengono che, nell’ambito di una controversia al loro cospetto, siano sorte questioni, essenziali per la pronuncia nel merito, che richiedano un’interpretazione o un accertamento della validità delle disposizioni del diritto dell’Unione ( 29 ). In altri termini, anche supponendo che la risposta alla prima questione non dia adito ad alcun dubbio, una circostanza del genere non può impedire a un giudice nazionale di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale e non sortisce l’effetto di rendere irricevibile la questione in tal modo sollevata.

2. Sulla portata e sulla riformulazione della questione pregiudiziale

56.

Occorre ricordare che, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, istituita all’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia sottopostagli. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. La Corte ha, infatti, il compito di interpretare tutte le disposizioni del diritto dell’Unione che possano essere utili ai giudici nazionali al fine di dirimere le controversie per cui sono stati aditi, anche qualora tali disposizioni non siano espressamente indicate nelle questioni ad essa sottoposte da detti giudici. Di conseguenza, benché formalmente il giudice del rinvio abbia limitato le sue questioni all’interpretazione di talune disposizioni del diritto dell’Unione, la Corte può nondimeno fornirgli tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possano essere utili per definire la controversia di cui è investito, a prescindere dal fatto che detto giudice vi abbia fatto riferimento o meno nel formulare le proprie questioni. A tal proposito, spetta alla Corte trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice del rinvio e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del suddetto diritto che richiedano un’interpretazione tenuto conto dell’oggetto del procedimento principale ( 30 ).

57.

Alla luce dell’enunciato delle due parti della questione, il giudice del rinvio interpella la Corte sull’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2010/64 (prima parte), nonché dell’articolo 4, paragrafo 5 e dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2012/13, includendo al contempo anche l’articolo 6, paragrafo 1, TUE (seconda parte).

58.

Tenuto conto dei fatti all’origine del procedimento principale e al fine di fornire una risposta utile e il più completa possibile alla questione pregiudiziale, l’esame della questione sollevata non può essere limitato ai soli aspetti esplicitamente menzionati dal giudice del rinvio. Occorre ampliarne la portata prendendo in considerazione numerose altre disposizioni delle direttive 2010/64 e 2012/13, al pari della direttiva 2016/343 e dell’articolo 47 della Carta. Si propone pertanto di riformulare le due parti della questione pregiudiziale nei seguenti termini:

Se gli articoli 2, 3 e 5 della direttiva 2010/64 debbano essere interpretati nel senso che impongono agli Stati membri di garantire agli indagati o agli imputati, che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento penale, il diritto a un’interpretazione di qualità sufficiente a tutelare l’equità del procedimento istituendo un registro di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati e/o un controllo giurisdizionale sulla suddetta qualità.

Se le disposizioni combinate delle direttive 2010/64, 2012/13 e 2016/343, nonché dell’articolo 47 della Carta debbano essere interpretate nel senso che ostano alla possibilità di procedere in assenza dell’imputato, che non parla o non comprende la lingua del procedimento penale, di cui non sia possibile accertare se nel corso dell’indagine sia stato informato dei sospetti o dell’accusa a suo carico per la mancanza di un’adeguata interpretazione.

3. Nel merito

59.

In seguito all’adozione della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1), la cooperazione giudiziaria in materia penale si è dotata progressivamente di strumenti giuridici la cui applicazione coordinata è destinata a rafforzare la fiducia degli Stati membri nei confronti dei loro rispettivi ordinamenti giuridici nazionali allo scopo di garantire il riconoscimento e l’esecuzione nell’Unione delle sentenze in materia penale, al fine di evitare qualsiasi impunità degli autori di reati ( 31 ).

60.

Le direttive 2010/64, 2012/13 e 2016/343 fanno parte di tale insieme di strumenti giuridici che concretizzano la tabella di marcia, adottata dal Consiglio nel 2009, per il rafforzamento dei diritti delle persone in procedimenti penali, la quale è stata accolta con favore dal Consiglio europeo e dichiarata parte integrante del programma di Stoccolma ( 32 ). Tutte le suddette norme di diritto derivato sono intese a rafforzare i diritti procedurali di indagati o imputati nei procedimenti penali allo scopo di tutelare il loro diritto a un processo equo e si basano, a tal fine, sui diritti segnatamente enunciati agli articoli 6, 47 e 48 della Carta. I rispettivi ambiti di applicazione di dette direttive sono d’altronde definiti in termini pressoché identici per abbracciare il procedimento penale in tutta la sua estensione nei confronti delle persone che siano messe a conoscenza dalle autorità competenti di uno Stato membro di essere indagate o imputate per un reato, fino alla conclusione del procedimento, vale a dire fino alla decisione definitiva che stabilisce se l’indagato o l’imputato abbia commesso il reato ( 33 ) Per rispondere alla questione sollevata, sono a mio avviso necessari un approccio e una comprensione globali delle direttive 2010/64, 2012/13 e 2016/343.

a) Sulla prima parte della questione

61.

Il giudice del rinvio s’interroga sul diritto a un’interpretazione di qualità sufficiente di cui alla direttiva 2010/64, per quanto riguarda l’attuazione e la verifica di tale diritto.

62.

Secondo il considerando 17 della direttiva 2010/64, le norme minime comuni ivi contenute devono assicurare un’assistenza linguistica «adeguata» e gratuita, consentendo a indagati o imputati che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento penale di esercitare appieno i loro diritti della difesa e tutelare l’equità del procedimento. L’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2010/64 prevede il diritto all’interpretazione e alla traduzione, in particolare, nei procedimenti penali. Il diritto all’interpretazione di cui all’articolo 2 della direttiva 2010/64 ha ad oggetto la traduzione da parte di un interprete delle comunicazioni orali tra gli indagati o gli imputati e i servizi investigativi, l’autorità giudiziaria ovvero, se del caso, il difensore. In altri termini, tale disposizione garantisce che, affinché sia assicurata l’equità del procedimento e la persona interessata sia in grado di esercitare i suoi diritti della difesa, la persona stessa, qualora sia chiamata a rilasciare essa stessa dichiarazioni orali, segnatamente nell’ambito di un procedimento penale, direttamente dinanzi all’autorità giudiziaria competente oppure tramite dichiarazioni rese al suo avvocato, sia legittimata a farlo nella propria lingua. L’articolo 3 della direttiva 2010/64 disciplina il diritto alla traduzione di determinati documenti fondamentali redatti nella lingua del procedimento dalle autorità competenti, vale a dire, in termini non esaustivi, le decisioni che privano una persona della propria libertà, gli atti contenenti i capi d’imputazione e le sentenze ( 34 ).

63.

Inoltre, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2010/64, letto in combinato disposto con l’articolo 2, paragrafo 8, e l’articolo 3, paragrafo 9, di tale direttiva, prevede l’obbligo per gli Stati membri di adottare misure atte a garantire un’interpretazione e una traduzione di qualità sufficiente a tutelare l’equità del procedimento, il che significa che tale interpretazione o traduzione deve, quantomeno, garantire che gli indagati o gli imputati siano a conoscenza delle accuse a loro carico e posti in grado di esercitare i loro diritti della difesa.

64.

La direttiva 2010/64, pur ponendo a carico degli Stati membri, in termini inequivocabili, un preciso obbligo di risultato per quanto riguarda la qualità dell’interpretazione e della traduzione, lascia chiaramente un ampio margine discrezionale agli stessi in ordine alle sue modalità di esecuzione. Infatti, contrariamente alla valutazione contenuta nella decisione di rinvio, dal semplice significato letterale dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2010/64, dove è utilizzato il verbo «si impegnano», emerge che l’istituzione di un registro di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati non ha alcun carattere vincolante. L’esistenza o l’inesistenza di un siffatto registro, come si verifica nel caso dell’Ungheria in base alle dichiarazioni del governo di detto Stato, non determina quindi di per sé il rispetto o l’inosservanza dell’obbligo gravante sugli Stati membri menzionato al precedente paragrafo delle presenti conclusioni.

65.

Resta il fatto che, al fine di garantire l’effettività del diritto a un’assistenza linguistica adeguata, la direttiva 2010/64 impone agli Stati membri di prevedere, secondo le procedure della legislazione nazionale, un controllo sulla qualità dell’interpretazione e della traduzione. Oltre al diritto di impugnare la decisione che dichiara superflua l’interpretazione o la traduzione di documenti, l’articolo 2, paragrafo 5, e l’articolo 3, paragrafo 5, di detta direttiva dispongono che, nel caso in cui tali servizi siano stati forniti, gli indagati o gli imputati abbiano la possibilità di contestare la qualità dell’interpretazione o della traduzione in quanto insufficiente a tutelare l’equità del procedimento. Occorre qui rilevare ancora che la direttiva 2010/64, oltre all’iniziativa del controllo, non disciplina le possibili modalità di attuazione di tale contestazione. Dagli articoli summenzionati, letti in combinato disposto con i considerando 24 e 25 della direttiva 2010/64, risulta che tale diritto di contestazione non comporta per gli Stati membri l’obbligo di prevedere un meccanismo separato o una procedura di ricorso.

66.

Alla luce delle considerazioni che precedono, si suggerisce di rispondere alla prima parte della prima questione dichiarando che gli articoli 2, 3 e 5 della direttiva 2010/64 devono essere interpretati nel senso che impongono agli Stati membri di garantire agli indagati o agli imputati, che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento penale, la possibilità di contestare una qualità insufficiente dell’interpretazione, in quanto non idonea a consentire loro di essere a conoscenza delle accuse formulate a loro carico e di esercitare i loro diritti della difesa. L’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2010/64 non impone agli Stati membri di istituire un registro di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati.

b) Sulla seconda parte della questione

67.

Il giudice del rinvio s’interroga sulle conseguenze di una violazione del diritto all’informazione dell’imputato, di cui non sia possibile accertare se sia stato informato dei sospetti o dell’accusa a suo carico per la mancanza di un’adeguata interpretazione, sullo svolgimento del procedimento penale che lo riguarda celebrato in sua assenza. Tale questione rientra, a mio avviso, nella valutazione sul rispetto dei diritti della difesa e dell’equità del procedimento, la quale è necessariamente connessa ai diritti esplicitamente previsti dalla direttiva 2012/13 menzionata nel testo della questione, e riguarda parimenti la direttiva 2016/343.

68.

Benché sia compito del giudice del rinvio stabilire se le disposizioni della direttiva 2012/13 siano state rispettate nel procedimento principale e quali misure specifiche debbano, se del caso, essere adottate a tal fine, spetta tuttavia alla Corte indicargli gli elementi oggettivi che devono presiedere a una siffatta valutazione ( 35 ).

69.

Dai suoi considerando 10 e 14 risulta che la direttiva 2012/13 è intesa a rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri nei rispettivi sistemi di giustizia penale mediante la fissazione di norme minime comuni disciplinanti il diritto all’informazione nei procedimenti penali. L’articolo 1 della direttiva 2012/13 prevede chiaramente che essa stabilisce norme relative al diritto all’informazione, delle persone indagate o imputate, sui diritti di cui godono nel procedimento penale e dell’accusa elevata a loro carico ( 36 ). Il combinato disposto degli articoli 3 e 6 della direttiva 2012/13 conferma che il diritto di cui all’articolo 1 di quest’ultima riguarda quantomeno due diritti distinti ( 37 ).

70.

Da una parte, gli indagati o gli imputati devono, conformemente all’articolo 3 di detta direttiva, essere quantomeno informati di determinati diritti procedurali, di cui tale disposizione stila un elenco comprendente il diritto all’assistenza di un avvocato, le condizioni per beneficiare del gratuito patrocinio, il diritto di essere informato dell’accusa, il diritto all’interpretazione e alla traduzione nonché il diritto al silenzio ( 38 ). Nel caso in cui le persone indagate o imputate siano arrestate o detenute, l’articolo 4 della direttiva 2012/13 pone a carico degli Stati membri un obbligo di fornire loro una comunicazione per iscritto che elenchi segnatamente i diritti procedurali summenzionati. L’articolo 4, paragrafo 5, di tale direttiva prevede che la suddetta comunicazione debba essere fornita agli interessati in una lingua a loro comprensibile e che, qualora essa non sia disponibile, gli stessi siano informati sui loro diritti oralmente in una lingua a loro comprensibile.

71.

Dall’altra parte, detta direttiva definisce, all’articolo 6, talune norme relative al diritto all’informazione sull’accusa. L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2012/13 concerne la norma ai sensi della quale alle persone indagate o imputate sono fornite informazioni, tempestivamente e con tutti i dettagli necessari al fine di garantire l’equità del procedimento e l’esercizio effettivo dei diritti della difesa, sul reato che le stesse sono sospettate o accusate di aver commesso. Il paragrafo 2 di tale articolo ha per oggetto specificamente le persone indagate o imputate, che siano arrestate o detenute, le quali devono essere informate dei motivi del loro arresto o della loro detenzione, e anche del reato per il quale sono indagate o imputate. Inoltre, e soprattutto, in forza del paragrafo 3 di detto articolo, al più tardi al momento in cui il merito dell’accusa è sottoposto all’esame di un’autorità giudiziaria, sono fornite informazioni dettagliate sull’accusa, inclusa la natura e la qualificazione giuridica del reato, nonché la natura della partecipazione allo stesso dell’accusato.

72.

Al fine di garantire l’effettività del diritto all’informazione in tal modo disciplinato, l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13 sancisce che le persone indagate o imputate o i loro avvocati abbiano il diritto di impugnare, secondo le procedure del diritto nazionale, l’eventuale rifiuto delle autorità competenti di fornire le informazioni di cui alla suddetta direttiva.

73.

Rilevo, a questo punto che, pur richiamandosi, nel testo della seconda parte della questione, all’articolo 4, paragrafo 5, e all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2012/13, il giudice del rinvio fa riferimento a una situazione in cui non è possibile accertare se l’imputato, interrogato nel corso delle indagini in presenza di un interprete in lingua svedese, sia stato oralmente informato dei sospetti o dell’accusa a suo carico a causa di un’interpretazione inadeguata. Tali circostanze che contraddistinguono il procedimento principale mi sembra che rendano l’articolo 6 della direttiva 2012/13 la disposizione pertinente ai fini della risposta da fornire al giudice del rinvio.

74.

Che dire, quindi, della situazione di un imputato il cui procedimento è celebrato in sua assenza, dopo che lo stesso ha ricevuto la notifica dei fatti contestatigli nel corso delle indagini da un interprete in un modo considerato non adeguato?

75.

Come risulta dal suo articolo 1 e dal suo considerando 9, la direttiva 2016/343 è intesa a stabilire norme minime comuni, applicabili nei procedimenti penali, relative ad alcuni aspetti della presunzione di innocenza e al diritto di presenziare al processo. L’articolo 8, paragrafo 1, di detta direttiva sancisce che gli Stati membri garantiscono a indagati e imputati il diritto di presenziare al proprio processo. Il suo considerando 35 precisa che il diritto degli indagati e imputati di presenziare al processo non è assoluto e che, a determinate condizioni, gli indagati e imputati dovrebbero avere la possibilità di rinunciarvi, esplicitamente o tacitamente, purché in modo inequivocabile. In tal senso, l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2016/343 dispone che gli Stati membri possono prevedere che un processo che può concludersi con una decisione di colpevolezza o innocenza dell’indagato o imputato possa svolgersi in assenza di quest’ultimo, a condizione che, in forza della lettera a) di tale disposizione, l’indagato o imputato sia stato informato in un tempo adeguato del processo e delle conseguenze della mancata comparizione; oppure, in forza della lettera b) della suddetta disposizione, l’indagato o imputato, informato del processo, sia rappresentato da un difensore incaricato, nominato dall’indagato o imputato oppure dallo Stato ( 39 ).

76.

Dall’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2016/343 risulta che è quindi possibile procedere in assenza dell’imputato che sia stato previamente informato del processo e rappresentato da un difensore di sua scelta o nominato dallo Stato. A tale riguardo, in base al fascicolo sottoposto alla Corte, IS, il cui atto di convocazione è tornato indietro con la menzione «non ritirato», non è comparso all’udienza preliminare del 27 novembre 2018 e, a fronte di richieste del pubblico ministero di irrogazione di una semplice ammenda, il giudice del rinvio è tenuto a procedere in sua assenza e quindi a pronunciarsi sulla colpevolezza dell’imputato, assente ma rappresentato da un avvocato nominato dallo Stato.

77.

Allorché sussistono le condizioni per un procedimento in absentia, circostanza che è compito del giudice del rinvio verificare ( 40 ), nessuna disposizione della direttiva 2016/343 osta alla possibilità per l’avvocato, espressamente prevista al summenzionato articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2012/13, di impugnare dinanzi al giudice competente le modalità di applicazione nel corso del procedimento del diritto all’informazione e più specificamente dell’articolo 6 dei quest’ultimo atto ( 41 ). L’avvocato dell’imputato può quindi impugnare la regolarità di un atto, ed eventualmente del procedimento nel suo complesso, dinanzi al giudice competente chiamato a pronunciarsi in assenza dell’interessato.

78.

Tale impugnazione può essere fondata su una mancanza di qualità adeguata dell’interpretazione dell’accusa formulata a carico dell’indagato o imputato, quale richiesta all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2010/64. Occorre rilevare al riguardo che si considera, nello specifico, di qualità sufficiente l’interpretazione che consente a tali soggetti di essere a conoscenza delle accuse formulate a loro carico e di esercitare i loro diritti della difesa, in conformità con l’articolo 2, paragrafo 8, di tale direttiva.

79.

Ciò premesso, il procedimento principale mi sembra parimenti sollevare la questione della portata del diritto dell’imputato di essere informato sull’accusa formulata a suo carico nell’ambito di un procedimento che prevede una possibile decisione sul merito in sua assenza. Più specificamente, durante la fase del procedimento in assenza dell’imputato è possibile sanare una violazione, relativa alla fase delle indagini, del diritto all’informazione sull’accusa? L’esame della giurisprudenza della Corte mi sembra debba condurre a una risposta affermativa.

80.

Come sostanzialmente affermato dai suoi considerando 14 e 41, la direttiva 2012/13 muove dai diritti enunciati segnatamente all’articolo 47 della Carta e intende promuovere tali diritti. Più specificamente, l’articolo 6 di detta direttiva ha lo scopo di garantire l’effettivo esercizio dei diritti della difesa nonché l’equità del procedimento e sancisce quindi espressamente un aspetto del diritto ad un ricorso effettivo, enunciato dall’articolo 47 della Carta ( 42 ). La circostanza che la direttiva 2012/13 non disciplini le modalità con cui l’informazione sull’accusa, prevista dal suo articolo 6, deve essere comunicata all’imputato non può arrecare pregiudizio all’obiettivo perseguito da tale disposizione ( 43 ).

81.

Orbene, tale obiettivo impone che l’imputato riceva informazioni dettagliate sull’accusa in tempo utile, in un momento che gli consenta di predisporre in modo efficace la propria difesa. Detto obiettivo, così come il corretto svolgimento del procedimento implicano, in linea di principio e fatti salvi, se del caso, i procedimenti speciali o semplificati, che tale comunicazione avvenga e la possibilità di accedere alla documentazione sia concessa al più tardi nel momento in cui la discussione sul merito dell’accusa abbia effettivamente inizio dinanzi al giudice competente per pronunciarsi su tale merito ( 44 ).

82.

Oltre alla determinazione del termine ultimo entro cui deve avvenire la comunicazione di informazioni dettagliate sull’accusa, la Corte ha affermato che è grazie a tale stessa comunicazione e a tale accesso che l’imputato, o il suo avvocato, è precisamente informato dei fatti addebitati e della qualificazione giuridica di questi ultimi nonché degli elementi di prova sui quali si fonda l’accusa. La possibilità di prendere conoscenza di tali informazioni e di tali elementi al più tardi al momento dell’avvio della discussione è essenziale per consentire a tale persona, o al suo avvocato, di partecipare in modo utile a essa nel rispetto del principio del contraddittorio e della parità delle armi, in modo da far valere la propria posizione in modo effettivo ( 45 ). La Corte ha inoltre precisato che, in ogni caso, indipendentemente dal momento in cui le informazioni dettagliate sull’accusa sono fornite, all’imputato e al suo difensore deve essere concesso, segnatamente, nel rispetto del principio del contraddittorio e di parità delle armi, un lasso di tempo sufficiente per prendere conoscenza di tali informazioni, ed essi devono essere posti in grado di predisporre efficacemente la propria difesa, presentare le loro eventuali osservazioni e, se del caso, formulare qualsiasi richiesta, in particolare, istruttoria, che avrebbero diritto di presentare ai sensi del diritto nazionale. Tale necessità impone che la causa sia, se del caso, sospesa e che sia disposto il rinvio di quest’ultima a una data successiva ( 46 ).

83.

Nei limiti in cui, come nel procedimento principale, l’imputato che non compare all’udienza di trattazione è rappresentato da un difensore che ha ricevuto informazioni dettagliate sull’accusa in tempo utile per predisporre la difesa, quest’ultimo ha la possibilità di partecipare in modo utile alla discussione contestando, all’occorrenza, la regolarità di un atto e del procedimento nel suo complesso nonché la fondatezza dell’accusa.

84.

Alla luce delle considerazioni che precedono, si suggerisce di rispondere alla seconda parte della prima questione dichiarando che le disposizioni combinate delle direttive 2010/64, 2012/13 e 2016/343 devono essere interpretate nel senso che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, esse non ostano alla possibilità di procedere in assenza di un imputato, che non parla o non comprende la lingua del procedimento penale e di cui non è possibile accertare se nel corso dell’indagine sia stato informato dei sospetti o dell’accusa a suo carico per la mancanza di un’adeguata interpretazione, purché l’avvocato che rappresenta detto imputato abbia la possibilità di impugnare la regolarità di un atto e, all’occorrenza, il procedimento nel suo complesso in ragione della violazione di tale diritto all’informazione. L’articolo 6 della direttiva 2012/13, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che esso non osta al fatto che informazioni dettagliate sull’accusa siano comunicate alla difesa dell’imputato giudicato in absentia prima che il giudice inizi a esaminare l’accusa nel merito e che si apra la discussione dinanzi al medesimo, a condizione che il giudice adotti tutte le misure necessarie a garantire il rispetto dei diritti della difesa e l’equità del procedimento.

C.   Sulle questioni seconda e terza

85.

A differenza della prima questione pregiudiziale, le obiezioni avanzate dal governo ungherese in merito alla ricevibilità delle questioni seconda e terza, formulate in termini pressoché identici dalla Commissione, mi sembra debbano condurre a concludere nel senso dell’irricevibilità delle stesse. Infatti, alla luce degli insegnamenti derivanti dalla sentenza Miasto Łowicz, l’irricevibilità di dette questioni è, a mio avviso, oramai inconfutabile. Le questioni seconda e terza costituiscono esempi eloquenti di quesiti che la Corte ha inteso escludere dal procedimento pregiudiziale in quanto contrari allo spirito e alla finalità di tale strumento giuridico consistente nella collaborazione, da parte della Corte e del giudice nazionale nel rispetto delle rispettive competenze, alla definizione di una controversia concreta sottoposta a quest’ultimo.

86.

Con le questioni seconda e terza, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente alla Corte se l’articolo 19 TUE e l’articolo 47 della Carta debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a:

un sistema nazionale di nomina dei vertici degli organi giurisdizionali, responsabili dell’assegnazione delle cause, della valutazione dei giudici e dell’avvio dei procedimenti disciplinari, che conferisce al presidente dell’OBH, autorità nominata dal Parlamento, un potere di nomina diretta temporanea, eludendo la procedura di concorso e ignorando il parere dei competenti organi giudiziari;

un sistema nazionale retributivo che prevede un trattamento economico dei giudici inferiore a quello dei procuratori nonché la concessione, a discrezione del presidente dell’OBH e dei dirigenti giudiziari, di indennità molto elevate rispetto alla retribuzione di base dei giudici e quindi potenzialmente idoneo a costituire un’indebita influenza e a comportare una violazione dell’indipendenza dei giudici.

87.

In caso di risposta affermativa da parte della Corte a tali questioni, il giudice del rinvio s’interroga sul rispetto del diritto a un equo processo nell’ambito di un procedimento giurisdizionale.

88.

Occorre rammentare che la ratio del rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 267 TFUE non risiede nell’esprimere pareri consultivi su questioni generiche o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia, essendo compito della Corte, nel contesto del procedimento pregiudiziale, assistere il giudice del rinvio nella soluzione della controversia concreta dinanzi ad esso pendente. La decisione pregiudiziale deve essere necessaria al fine di consentire al giudice del rinvio di dirimere la controversia di cui è investito ed è a tale condizione che le questioni pregiudiziali di cui trattasi possono essere qualificate rilevanti e dare luogo a un rinvio pregiudiziale ( 47 ).

89.

Orbene, il procedimento principale è costituito da un processo celebrato in assenza di un cittadino svedese, al quale sono stati notificati i fatti contestati nel corso delle indagini da un interprete, accusato di violazione alla legislazione ungherese sulle armi e sulle munizioni. Nutrendo dubbi circa la compatibilità delle norme nazionali di procedura penale, il giudice del rinvio interpella la Corte sulla portata del diritto all’interpretazione e all’informazione dell’accusa nello specifico caso di un imputato non comparso ma rappresentato da un avvocato, situazione che richiede l’interpretazione di numerose disposizioni delle direttive 2010/64, 2012/13 e 2016/343.

90.

In tali circostanze, le risposte attese dalla Corte circa la compatibilità con il diritto dell’Unione, nella fattispecie l’articolo 19 TUE, letto in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, della legislazione nazionale relativa alla nomina diretta temporanea da parte del presidente dell’OBH di dirigenti giudiziari ( 48 ) e alla retribuzione dei giudici non soddisfano il criterio di necessità summenzionato ( 49 ). In altri termini, la controversia di cui al procedimento principale non riguarda in alcun modo il sistema giudiziario ungherese considerato nella sua globalità, del quale taluni aspetti avrebbero carattere tale da pregiudicare l’indipendenza dei giudici e, più specificamente, del giudice del rinvio nella sua attività di attuazione del diritto dell’Unione.

91.

Il fatto che possa sussistere un collegamento materiale tra la controversia di cui al procedimento principale e l’articolo 47 della Carta, se non in maniera più ampia con l’articolo 19 TUE, non è sufficiente a soddisfare il requisito della necessità. Occorrerebbe inoltre che l’interpretazione di tali disposizioni, quale richiesta nell’ambito delle questioni seconda e terza, risponda a una necessità oggettiva ai fini della decisione che deve essere adottata dal giudice del rinvio del rinvio, circostanza che non si verifica nel caso di specie. Non risulta evidente come il giudice del rinvio possa giungere ad adottare, in applicazione degli insegnamenti derivanti da un’interpretazione di dette disposizioni alla luce del tenore di tali questioni, una decisione che sia necessaria al fine di statuire sulla controversia di cui al procedimento principale ( 50 ).

92.

Inoltre, sebbene la Corte abbia già dichiarato ricevibili questioni pregiudiziali aventi ad oggetto l’interpretazione di disposizioni procedurali del diritto dell’Unione che il giudice del rinvio interessato sarebbe tenuto ad applicare al fine di emettere la sua sentenza, non è questa la portata delle questioni seconda e terza sollevate nell’ambito della presente causa. Analogamente, una risposta della Corte a tali questioni non sembra neppure avere carattere tale da fornire ai giudici del rinvio un’interpretazione del diritto dell’Unione che consenta loro di dirimere questioni procedurali di diritto nazionale prima di poter statuire nel merito delle controversie di cui essi sono investiti. In tali circostanze, le suddette questioni non vertono quindi su un’interpretazione del diritto dell’Unione rispondente ad una necessità oggettiva ai fini della soluzione di tali controversie, ma hanno carattere generale e sono pertanto irricevibili ( 51 ).

D.   Sulla quinta questione

93.

Con la sua quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 19, paragrafo 1, TUE, l’articolo 47 della Carta e l’articolo 267 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che consente di avviare un procedimento disciplinare nei confronti di un giudice per il fatto che quest’ultimo ha sottoposto alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale. Sia il governo ungherese sia la Commissione hanno concluso nel senso dell’irricevibilità di tale questione, conclusione cui ritengo possibile aderire su un piano strettamente giuridico, nonostante le circostanze successive al rinvio pregiudiziale particolarmente inquietanti e deplorevoli, per usare un eufemismo.

94.

È infatti pacifico che, il 25 ottobre 2019, il presidente della Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) ha adottato un atto di avvio di un procedimento disciplinare nei confronti del giudice del rinvio, prima fase di un processo che conduce all’adizione di un tribunale disciplinare, il quale ha il potere di decidere sull’effettivo avvio del procedimento e sull’inflizione di una sanzione disciplinare. A termini dell’atto summenzionato, al giudice del rinvio è stato addebitato:

da una parte, di avere leso il prestigio della professione di giudice alla luce, in particolare, della decisione della Kúria che dichiara illegittimo il rinvio pregiudiziale [articolo 105, lettera b), della legge sullo status giuridico e sulla retribuzione dei giudici];

dall’altra parte, di essere venuto meno illegalmente agli obblighi relativi alla funzione di giudice, nel senso che dalla decisione della Kúria si evinceva l’esistenza di una causa di ricusazione nei riguardi del giudice interessato in ragione delle censure di natura personale verso taluni dirigenti della magistratura e che l’interessato avrebbe dovuto segnalare tale motivo di ricusazione al presidente della propria giurisdizione e non continuare a svolgere le funzioni di giudice nella controversia di cui al procedimento principale [articolo 105, lettera a), della legge sullo status giuridico e sulla retribuzione dei giudici].

95.

Il 22 novembre 2019, ossia quattro giorni dopo la domanda di pronuncia pregiudiziale integrativa, il presidente della Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) ha revocato l’atto di avvio del procedimento disciplinare, determinandone la chiusura, con la motivazione che, benché come presidente della giurisdizione interessata fosse stato obbligato ad avviare il procedimento disciplinare, gli interessi della magistratura imponevano a quel punto di revocare tale iniziativa.

96.

Come è stato illustrato, il rigetto da parte della Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata da un giudice nazionale è possibile soltanto se appare in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte ( 52 ).

97.

A tal proposito, va rilevato che la controversia di cui al procedimento principale, nell’ambito della quale la Corte è adita in via pregiudiziale, non verte sull’avvio di un procedimento disciplinare nei confronti del giudice del rinvio, oltre a non riguardare lo status della magistratura e le relative disposizioni concernenti il regime disciplinare dei giudici. È peraltro pacifico che l’atto di avvio del procedimento disciplinare è stato revocato e il procedimento chiuso. In tale contesto, la quinta questione pregiudiziale sottoposta alla Corte non verte su un’interpretazione del diritto dell’Unione che risponde a una necessità inerente alla soluzione della controversia di cui al procedimento principale e una risposta da parte della Corte condurrebbe la stessa a formulare un parere consultivo su questioni generali oppure ipotetiche, quali le possibili reazioni psicologiche dei giudici ungheresi al procedimento disciplinare avviato sul fondamento della sentenza della Kúria per quanto riguarda la futura sottoposizione di questioni pregiudiziali. Tuttavia, considerata la gravità intrinseca dell’atto di avvio di un procedimento volto all’inflizione una sanzione disciplinare nei confronti di un giudice a causa del rinvio pregiudiziale da quest’ultimo disposto, mi sembra indispensabile che la Corte ricordi, nella sua sentenza, i punti da 55 a 59 della sentenza Miasto Łowicz per informazione delle competenti autorità nazionali e al fine di prevenire il ripetersi di azioni del genere ( 53 ).

98.

Per scrupolo di completezza rispetto al compito di assistenza della Corte, vorrei comunque accennare brevemente a un debole spiraglio per la possibile ammissibilità della quinta questione pregiudiziale. È infatti ipotizzabile considerare la domanda di pronuncia pregiudiziale integrativa come un tutt’uno indivisibile, nel quale le questioni quarta e quinta sono strettamente collegate, per non dire inscindibili. Con tali questioni, il giudice del rinvio chiede se, in applicazione del diritto dell’Unione, egli possa disapplicare la sentenza della Kúria per statuire sul merito della controversia di cui al procedimento principale integrando la pronuncia pregiudiziale senza dover temere una riapertura del procedimento disciplinare nei propri confronti fondato, per l’appunto, su tale sentenza, costituendo detto tutt’uno il problema di natura procedurale sul quale egli deve pronunciarsi in limine litis.

99.

Rilevo, al riguardo, che l’espressione «questioni procedurali di diritto nazionale», utilizzata al punto 51 della sentenza Miasto Łowicz, ha opportunamente carattere generale, in quanto la scelta del termine «questioni» in luogo di «disposizioni» dimostra verosimilmente l’intento della Corte di garantirsi una certa elasticità d’interpretazione del criterio di necessità derivante dall’articolo 267 TFUE. Sotto tale espressione potrebbero quindi ricadere tutte le questioni che esulano dalla soluzione nel merito della controversia ma vi contribuiscono indirettamente, sebbene essa non concerna strettamente l’attuazione di una norma di natura legislativa o giurisprudenziale che disciplina la proposizione di un’azione dinanzi a un giudice competente, lo svolgimento del processo, la sua conclusione e i mezzi di ricorso ( 54 ).

100.

In tali circostanze, una risposta da parte della Corte alle questioni quarta e quinta, esaminate congiuntamente, avrebbe carattere tale da fornire al giudice del rinvio un’interpretazione del diritto dell’Unione che gli consentirebbe di dirimere una questione procedurale di diritto nazionale prima di poter statuire nel merito della controversia di cui è investito. Tale questione riguarda nella fattispecie le condizioni per la prosecuzione del procedimento penale principale in seguito a una sentenza adottata dalla Corte in relazione a una decisione di rinvio previamente dichiarata illegittima da una sentenza della più alta giurisdizione nazionale e che ha parimenti costituito il fondamento per l’avvio di un procedimento disciplinare contro il giudice del rinvio. Se la Corte decidesse di dichiarare ricevibile la quinta questione, la soluzione nel merito mi sembrerebbe chiaramente contenuta ai punti da 55 a 59 della sentenza Miasto Łowicz.

V. Conclusione

101.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere al Pesti Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest, Ungheria) nei seguenti termini:

1)

In presenza di norme di diritto nazionale relative all’esercizio di un ricorso straordinario volto a uniformare tale diritto avverso una decisione che dispone un rinvio pregiudiziale, l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta all’applicazione di siffatte norme che consentono al giudice di grado superiore adito di dichiarare illegittima detta decisione, senza pregiudicarne gli effetti giuridici rispetto alla sospensione del procedimento principale e alla prosecuzione del procedimento pregiudiziale, con la motivazione che le questioni pregiudiziali sollevate non sono necessarie per la definizione della controversia e mirano a far constatare l’incompatibilità del diritto nazionale con il diritto dell’Unione. Il primato del diritto dell’Unione impone al giudice del rinvio nazionale di disapplicare tali norme e le decisioni giudiziarie che danno loro attuazione.

2)

Gli articoli 2, 3 e 5 della direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, devono essere interpretati nel senso che impongono agli Stati membri di garantire agli indagati o agli imputati, che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento penale, la possibilità di contestare una qualità insufficiente dell’interpretazione, in quanto non idonea a consentire loro di essere a conoscenza delle accuse formulate a loro carico e di esercitare i loro diritti della difesa. L’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2010/64 non impone agli Stati membri di istituire un registro di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati.

3)

Le disposizioni combinate delle direttive 2010/64, 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali e della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali devono essere interpretate nel senso che, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, esse non ostano alla possibilità di procedere in assenza di un imputato, che non parla o non comprende la lingua del procedimento penale e di cui non è possibile accertare se nel corso dell’indagine sia stato informato dei sospetti o dell’accusa a suo carico per la mancanza di un’adeguata interpretazione, purché l’avvocato che rappresenta detto imputato abbia la possibilità di impugnare la regolarità di un atto e, all’occorrenza, il procedimento nel suo complesso in ragione della violazione di tale diritto all’informazione. L’articolo 6 della direttiva 2012/13, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso non osta al fatto che informazioni dettagliate sull’accusa siano comunicate alla difesa dell’imputato giudicato in absentia prima che il giudice inizi a esaminare l’accusa nel merito e che si apra la discussione dinanzi al medesimo, a condizione che il giudice adotti tutte le misure necessarie a garantire il rispetto dei diritti della difesa e l’equità del procedimento.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali (GU 2010, L 280, pag. 1).

( 3 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all’informazione nei procedimenti penali (GU 2012, L 142, pag. 1).

( 4 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (GU 2016, L 65, pag. 1).

( 5 ) Sentenza Miasto Łowicz (punti 43 e 44).

( 6 ) Sentenza Miasto Łowicz (punti 45 e 46).

( 7 ) V. sentenza Miasto Łowicz (punti da 49 a 51). Nella sentenza del 25 giugno 2020, Ministerio Fiscal (Autorità preposta a ricevere una domanda di protezione internazionale) (C‑36/20 PPU, EU:C:2020:495, punto 49), si precisa che il rigetto di una domanda formulata da un giudice nazionale è possibile solo se risulti che con il procedimento ai sensi dell’articolo 267 TFUE, in contrasto con il suo scopo, si intenda in realtà indurre la Corte a pronunciarsi per il tramite di una controversia fittizia oppure sia manifesto che il diritto dell’Unione non può essere applicato, né direttamente né indirettamente, alle circostanze del caso di specie.

( 8 ) V., in tal senso, sentenza del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema) (C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punto 99).

( 9 ) V. punti 61 e 70 della sentenza della Kúria.

( 10 ) V. punto 64 della sentenza della Kúria.

( 11 ) Al punto 20 della sentenza della Kúria, si precisa che il ricorso nell’interesse della legge consente di evitare che diventi impossibile disattendere una decisione giudiziaria, in linea di principio, illegittima.

( 12 ) V. punto 75 della sentenza della Kúria.

( 13 ) L’enunciato della quarta questione, lettera c), mi sembra, a tal riguardo, celare una certa ambiguità, non idonea a ottenere una risposta utile da parte della Corte nell’ambito di un procedimento pregiudiziale il cui svolgimento non è pregiudicato dalla decisione della Kúria. La formulazione della suddetta questione, che pone in evidenza un problema di carattere temporale, avrebbe senso soltanto qualora la domanda di pronuncia pregiudiziale integrativa fosse stata trattata singolarmente e in via prioritaria dalla Corte, il che non si verifica nella fattispecie dal momento che tutte le questioni sono riunite in un unico procedimento pregiudiziale in merito al quale la Corte pronuncerà un’unica decisione. In altri termini, e contrariamente alle indicazioni della Commissione e del governo dei Paesi Bassi, non si tratta di sapere se il giudice del rinvio debba aspettare la risposta della Corte senza dover «nel frattempo» riprendere la trattazione del procedimento nazionale sospeso.

( 14 ) Sentenza Miasto Łowicz (punto 51).

( 15 ) Sentenze del 16 dicembre 2008, Cartesio (C‑210/06, EU:C:2008:723, punti 89, 93, 9598), e del 16 gennaio 1974, Rheinmühlen-Düsseldorf (166/73, EU:C:1974:3).

( 16 ) V. punti 47 e 66 della sentenza della Kúria.

( 17 ) Sentenza del 6 marzo 2018, Achmea (C‑284/16, EU:C:2018:158, punti 3637).

( 18 ) Sentenze Miasto Łowicz (punti 56 e 57), e del 5 aprile 2016, PFE (C‑689/13, EU:C:2016:199, punto 34).

( 19 ) Al punto 26 delle proprie osservazioni scritte relative alla prima domanda di pronuncia pregiudiziale, il governo ungherese non esita ad affermare che è giustificato il fatto che, nell’ambito della sua valutazione sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali sollevate, la Corte «tenga conto dell’opinione espressa dalla Kúria» poiché quest’ultima ha espressamente fornito il suo parere sulla rilevanza di suddette questioni.

( 20 ) V., in tal senso, sentenze del 16 dicembre 2008, Cartesio (C‑210/06, EU:C:2008:723, punti 9196), e del 27 febbraio 2014, Pohotovosť (C‑470/12, EU:C:2014:101, punto 31). Come precisato dall’avvocato generale Poiares Maduro nelle sue conclusioni nella causa Cartesio (C‑210/06, EU:C:2008:294), «[a]ttraverso la domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice nazionale diventa parte di una discussione di diritto [dell’Unione] senza dipendere da altri poteri o da altre autorità giudiziarie nazionali (…). Il Trattato non ha voluto che tale dialogo dovesse essere filtrato da altri giudici nazionali, indipendentemente da quale possa essere la gerarchia giudiziaria in un determinato Stato».

( 21 ) V. sentenza del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli (C‑188/10 e C‑189/10, EU:C:2010:363, punto 45).

( 22 ) V., in tal senso, sentenza del 5 luglio 2016, Ognyanov (C‑614/14, EU:C:2016:514, punto 25).

( 23 ) V. sentenza del 5 ottobre 2010, Elchinov (C‑173/09, EU:C:2010:581, punto 29).

( 24 ) V., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2016, PFE (C‑689/13, EU:C:2016:199, punto 42).

( 25 ) V. sentenza del 5 luglio 2016, Ognyanov (C‑614/14, EU:C:2016:514, punto 28).

( 26 ) Sentenza del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina dei giudici alla Corte suprema – Ricorsi) (C‑824/18, EU:C:2021:153, punto 141)

( 27 ) V. sentenze del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli (C‑188/10 e C‑189/10, EU:C:2010:363, punti 4344), e del 5 aprile 2016, PFE (C‑689/13, EU:C:2016:199, punti 4041).

( 28 ) V. sentenza del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema) (C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punti 9798).

( 29 ) Sentenza dell’11 settembre 2014, A (C‑112/13, EU:C:2014:2195, punto 35).

( 30 ) Sentenza del 13 giugno 2019, Moro (C‑646/17, EU:C:2019:489, punti 3940).

( 31 ) V. sentenza del 12 dicembre 2019, Parquet général du Grand-Duché de Luxembourg e Openbaar Ministerie (Procuratori di Lione e di Tours) (C‑566/19 PPU e C‑626/19 PPU, EU:C:2019:1077, punto 43).

( 32 ) Risoluzione del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali (GU 2009, C 295, pag. 1) e Programma di Stoccolma – Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, punto 2.4 (GU 2010, C 115, pag. 1).

( 33 ) Dalla decisione di rinvio risulta che IS è imputato, nella controversia di cui al procedimento principale, in un procedimento penale avviato con un’indagine nel corso della quale IS è stato interrogato dai servizi di polizia durante la sua detenzione con l’aiuto di un interprete, in quanto non conosce la lingua processuale, e che non è ancora stata adottata una decisione definitiva che ne dichiara la colpevolezza per il reato di cui è accusato. In tali circostanze, le direttive 2010/64, 2012/13 e 2016/343 devono considerarsi applicabili all’interessato e al suddetto procedimento nazionale.

( 34 ) V., in tal senso, sentenza del 15 ottobre 2015, Covaci (C‑216/14, EU:C:2015:686, punti 33, 40, 4445).

( 35 ) Sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 81).

( 36 ) La direttiva 2012/13, che mira a disciplinare il diritto all’informazione degli indagati e degli imputati nei procedimenti penali, è strettamente connessa alla direttiva 2010/64, la quale conferisce ai medesimi soggetti, che non parlino o non comprendano la lingua del procedimento penale a loro carico, il diritto all’interpretazione e alla traduzione delle informazioni in tal modo comunicate. Come esplicitamente indicato dal considerando 25 della direttiva 2012/13, nel fornire informazioni a norma di tale direttiva, alle persone indagate o imputate debbono essere fornite, se necessario, le traduzioni o l’interpretazione in una lingua a loro comprensibile, conformemente alle norme di cui alla direttiva 2010/64.

( 37 ) V., in tal senso, sentenza del 13 giugno 2019, Moro (C‑646/17, EU:C:2019:489, punti 34, 4243).

( 38 ) Al punto 53 della sentenza del 19 settembre 2019, Rayonna prokuratura Lom (C‑467/18, EU:C:2019:765), la Corte ha precisato che le persone sospettate di aver commesso un reato devono essere informate dei loro diritti il più rapidamente possibile dal momento in cui i sospetti di cui sono oggetto giustificano, in un contesto diverso dall’urgenza, che le autorità competenti limitino la loro libertà mediante provvedimenti coercitivi e, al più tardi, antecedentemente al loro primo interrogatorio da parte della polizia.

( 39 ) V., in tal senso, sentenza del 13 febbraio 2020, Spetsializirana prokuratura (Udienza in assenza dell’imputato) (C‑688/18, EU:C:2020:94, punti 29, 3233).

( 40 ) Rammento in proposito che, posto che il diritto di presenziare al proprio processo non è assoluto, il considerando 35 della direttiva 2016/343 precisa che, a talune condizioni, l’imputato dovrebbe avere la possibilità di rinunciarvi, esplicitamente o tacitamente, purché in modo inequivocabile. Il considerando 38 di tale direttiva aggiunge che, nell’esaminare se il modo in cui sono state fornite le informazioni sia sufficiente per assicurare che l’interessato sia a conoscenza del processo, si dovrebbe prestare particolare attenzione alla diligenza di cui ha dato prova l’interessato al fine di ricevere le informazioni a lui destinate.

( 41 ) Conformemente al considerando 36 della direttiva 2012/13, tale diritto non comporta, per gli Stati membri, l’obbligo di prevedere una specifica procedura di impugnazione, un meccanismo separato o una procedura di ricorso con cui impugnare la mancanza o il rifiuto suddetti.

( 42 ) V. sentenza del 14 maggio 2020, Staatsanwaltschaft Offenburg (C‑615/18, EU:C:2020:376, punti 7071). La Corte ha aggiunto, ai punti 72 e 73 di detta sentenza, che, al pari dell’articolo 47 della Carta, il quale è sufficiente di per sé e non deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale, si deve ritenere che l’articolo 6 della direttiva 2012/13 abbia effetto diretto e spetta pertanto al giudice del rinvio, nell’ambito delle proprie competenze, adottare tutte le misure necessarie al fine di garantire la piena efficacia di tale articolo 6.

( 43 ) Sentenza del 13 giugno 2019, Moro (C‑646/17, EU:C:2019:489, punto 51).

( 44 ) V., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a. (C‑612/15, EU:C:2018:392, punti 9092).

( 45 ) V., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a (C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 93).

( 46 ) Sentenza del 13 giugno 2019, Moro (C‑646/17, EU:C:2019:489, punto 53).

( 47 ) V., in tal senso, sentenze del 3 luglio 2014, Da Silva (C‑189/13, non pubblicata, EU:C:2014:2043, punto 36), e Miasto Łowicz (punti 44 e 45).

( 48 ) Rilevo che i dubbi del giudice del rinvio circa la regolarità delle nomine giudiziarie riguardano specificamente la designazione al ruolo di presidente della Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale), senza che sia addotto che quest’ultimo possa dover partecipare al procedimento penale dinanzi a detto giudice assegnato al Pesti Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest).

( 49 ) V., per analogia, ordinanza del 6 ottobre 2020, Prokuratura Rejonowa w Słubicach (C‑623/18, non pubblicata, EU:C:2020:800).

( 50 ) V. in tal senso, sentenza Miasto Łowicz (punti 48 e 52), e ordinanza del 6 ottobre 2020, Prokuratura Rejonowa w Słubicach (C‑623/18, non pubblicata, EU:C:2020:800, punto 30).

( 51 ) V. sentenza Miasto Łowicz (punti 50, 51 e 53).

( 52 ) Sentenza del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza delle Sezione disciplinare della Corte suprema) (C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punti 9798).

( 53 ) Occorre rammentare le affermazioni dell’avvocato generale Geelhoed nelle sue conclusioni nella causa Commissione/Italia (C‑129/00, EU:C:2003:656), secondo le quali i giudici nazionali «costituiscono allo stesso tempo una garanzia e un contrappeso nell’ambito dello Stato membro, qualora altri organi dello Stato non adempiano agli obblighi derivanti dal Trattato».

( 54 ) Tale situazione si distingue chiaramente da quella in cui la Corte ha dichiarato ricevibili questioni pregiudiziali aventi ad oggetto l’interpretazione di «disposizioni» procedurali del diritto dell’Unione che il giudice del rinvio interessato sarebbe tenuto ad applicare al fine di emettere la sua sentenza, come ricorda il punto 50 della sentenza Miasto Łowicz. È importante constatare che la Corte ha dichiarato che i termini «emanare la sua sentenza», ai sensi dell’articolo 267, paragrafo 2, TFUE, comprendono tutta la «procedura che conduce alla decisione» del giudice del rinvio, ritenendo al contempo che tali termini debbano essere interpretati in maniera ampia per evitare che molte questioni procedurali vengano considerate irricevibili e non possano costituire oggetto di interpretazione da parte della Corte, e che quest’ultima non sia in grado di conoscere dell’interpretazione di tutte le disposizioni del diritto dell’Unione che il giudice del rinvio è tenuto ad applicare (sentenza del 28 febbraio 2019, Gradbeništvo Korana, (C‑579/17, EU:C:2019:162, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).