SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

5 giugno 2023 ( *1 )

Indice

 

Contesto normativo

 

Diritto dell’Unione

 

Trattato UE

 

Carta

 

Il RGPD

 

Diritto polacco

 

Costituzione

 

Legge sulla Corte suprema, come modificata

 

Legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata

 

Legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata

 

Disposizioni transitorie contenute nella legge di modifica

 

Procedimento precontenzioso

 

Procedimento dinanzi alla Corte

 

Sul ricorso

 

Sulla competenza della Corte, sullo Stato di diritto e l’indipendenza della giustizia e sul primato del diritto dell’Unione

 

Sulla persistenza dell’oggetto della controversia

 

Sulla quarta censura

 

Argomenti delle parti

 

Giudizio della Corte

 

Sulla terza censura

 

Argomenti delle parti

 

Giudizio della Corte

 

– Considerazioni preliminari

 

– Sulla prima parte della terza censura

 

– Sulla seconda parte della terza censura

 

Sulla prima censura

 

Argomenti delle parti

 

Giudizio della Corte

 

– Sulla ricevibilità

 

– Nel merito

 

Sulla seconda censura

 

Argomenti delle parti

 

Giudizio della Corte

 

– Sulla ricevibilità

 

– Nel merito

 

Sulla quinta censura

 

Argomenti delle parti

 

Giudizio della Corte

 

– Considerazioni preliminari

 

– Sull’applicabilità del RGDP

 

– Sull’applicabilità dell’articolo 7 e dell’articolo 8, paragrafo 1, della Carta

 

– Sull’asserita violazione delle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), e paragrafo 3, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, nonché dell’articolo 7 e dell’articolo 8, paragrafo 1, della Carta

 

Sulle spese

«Inadempimento di uno Stato – Articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Stato di diritto – Tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione – Indipendenza dei giudici – Articolo 267 TFUE – Facoltà di interrogare la Corte in via pregiudiziale – Primato del diritto dell’Unione – Competenze in materia di revoca dell’immunità penale dei giudici, nonché in materia di diritto del lavoro, di previdenza sociale e di pensionamento dei giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia) attribuite alla Sezione disciplinare di tale organo giurisdizionale – Divieto per gli organi giurisdizionali nazionali di mettere in discussione la legittimità degli organi giurisdizionali e degli organi costituzionali oppure di accertare o valutare la legittimità della nomina dei giudici o dei poteri giurisdizionali di questi ultimi – Verifica da parte di un giudice del rispetto di taluni requisiti relativi all’esistenza di un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, qualificata come “illecito disciplinare” – Competenza esclusiva a esaminare le questioni relative alla mancanza di indipendenza di un organo giurisdizionale o di un giudice attribuita alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche del Sąd Najwyższy (Corte suprema) – Articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali – Diritto al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali – Regolamento (UE) 2016/679 – Articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), e paragrafo 3, secondo comma – Articolo 9, paragrafo 1 – Dati sensibili – Normativa nazionale che impone ai giudici di effettuare una dichiarazione relativa alla loro appartenenza ad associazioni, fondazioni o partiti politici, nonché alle funzioni esercitate al loro interno, e che prevede la pubblicazione on-line dei dati contenuti in tali dichiarazioni»

Nella causa C‑204/21,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 1o aprile 2021,

Commissione europea, rappresentata da K. Herrmann e P.J.O. Van Nuffel, in qualità di agenti,

ricorrente,

sostenuta da:

Regno del Belgio, rappresentato da M. Jacobs, C. Pochet e L. Van den Broeck, in qualità di agenti,

Regno di Danimarca, rappresentato inizialmente da V. Pasternak Jørgensen, M. Søndahl Wolff e L. Teilgård, successivamente da J.F. Kronborg, V. Pasternak Jørgensen e M. Søndahl Wolff, in qualità di agenti,

Regno dei Paesi Bassi, rappresentato da M.K. Bulterman, J. Langer, M.A.M. de Ree e C.S. Schillemans, in qualità di agenti,

Repubblica di Finlandia, rappresentata da H. Leppo, in qualità di agente,

Regno di Svezia, rappresentato da H. Eklinder, C. Meyer-Seitz, A. Runeskjöld, M. Salborn Hodgson, R. Shahsavan Eriksson, H. Shev e O. Simonsson, in qualità di agenti,

intervenienti,

contro

Repubblica di Polonia, rappresentata da B. Majczyna, J. Sawicka, K. Straś e S. Żyrek, in qualità di agenti,

convenuta,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal (relatrice), E. Regan e L.S. Rossi, presidenti di sezione, M. Ilešič, N. Piçarra, I. Jarukaitis, A. Kumin, N. Jääskinen, I. Ziemele, J. Passer, Z. Csehi e O. Spineanu-Matei, giudici,

avvocato generale: A.M. Collins

cancelliere: M. Siekierzyńska, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 28 giugno 2022,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 dicembre 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con il suo ricorso la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che:

avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 42a, paragrafi 1 e 2, e l’articolo 55, paragrafo 4, della ustawa – Prawo o ustroju sądów powszechnych (legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari), del 27 luglio 2001 (Dz. U. n. 98, posizione 1070), come modificata dalla ustawa o zmianie ustawy – Prawo o ustroju sądów powszechnych, ustawy o Sądzie Najwyższym oraz niektórych innych ustaw (legge recante modifica della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, della legge sulla Corte suprema e di talune altre leggi), del 20 dicembre 2019 (Dz. U. del 2020, posizione 190) (in prosieguo: la «legge di modifica») (la legge così modificata è denominata in prosieguo: la «legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata»), l’articolo 26, paragrafo 3, e l’articolo 29, paragrafi 2 e 3, della ustawa o Sądzie Najwyższym (legge sulla Corte suprema), dell’8 dicembre 2017 (Dz. U. del 2018, posizione 5), come modificata dalla legge di modifica (in prosieguo: la «legge sulla Corte suprema, come modificata»), l’articolo 5, paragrafi 1a e 1b, della ustawa – Prawo o ustroju sądów administracyjnych (legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali amministrativi), del 25 luglio 2002 (Dz. U. n. 153, posizione 1269), come modificata dalla legge di modifica (in prosieguo: la «legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata»), nonché l’articolo 8 della legge di modifica, che impediscono a tutti gli organi giurisdizionali nazionali di verificare il rispetto dei requisiti dell’Unione europea relativi a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), letti alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardante l’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), nonché ai sensi dell’articolo 267 TFUE e del principio del primato del diritto dell’Unione;

avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 26, paragrafi 2 e da 4 a 6, e l’articolo 82, paragrafi da 2 a 5, della legge sulla Corte suprema, come modificata, nonché l’articolo 10 della legge di modifica, che trasferiscono alla Izba Kontroli Nadzwyczajnej i Spraw Publicznych (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche) del Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia) (in prosieguo: la «Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche») la competenza esclusiva a esaminare le censure e le questioni di diritto riguardanti la mancanza di indipendenza di un organo giurisdizionale o di un giudice, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché in forza dell’articolo 267 TFUE e del principio del primato del diritto dell’Unione;

avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 107, paragrafo 1, punti 2 e 3, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, e l’articolo 72, paragrafo 1, punti da 1 a 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, che consentono di qualificare come «illecito disciplinare» la verifica del rispetto dei requisiti del diritto dell’Unione di indipendenza, imparzialità e precostituzione per legge dei giudici, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché in forza dell’articolo 267 TFUE;

avendo trasferito alla Izba Dyscyplinarna (Sezione disciplinare) del Sąd Najwyższy (Corte suprema) (in prosieguo: la «Sezione disciplinare»), la cui indipendenza e imparzialità non sono garantite, la competenza a decidere in merito a controversie aventi incidenza diretta sullo status e sullo svolgimento della funzione di giudice e di giudice ausiliario, come, da un lato, le domande di autorizzazione all’esercizio dell’azione penale nei confronti dei giudici e dei giudici ausiliari o all’arresto degli stessi, e, dall’altro, le controversie in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale riguardanti i giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema), nonché le controversie in materia di pensionamento di detti giudici, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE;

avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 88a della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, l’articolo 45, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e l’articolo 8, paragrafo 2, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, la Repubblica di Polonia ha violato il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla tutela dei dati personali, garantiti all’articolo 7 e all’articolo 8, paragrafo 1, della Carta, nonché all’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), all’articolo 6, paragrafo 3, e all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) (GU 2016, L 119, pag. 1) (in prosieguo: il «RGPD»).

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Trattato UE

2

L’articolo 2 TUE è così formulato:

«L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».

3

L’articolo 4 TUE prevede quanto segue:

«1.   In conformità dell’articolo 5, qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri.

2.   L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell’integrità territoriale, di mantenimento dell’ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro.

3.   In virtù del principio di leale cooperazione, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati.

Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione.

Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell’Unione».

4

L’articolo 5, paragrafi 1 e 2, TUE così dispone:

«1.   La delimitazione delle competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione. L’esercizio delle competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.

2.   In virtù del principio di attribuzione, l’Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all’Unione nei trattati appartiene agli Stati membri».

5

Ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, TUE:

«La Corte di giustizia dell’Unione europea comprende la Corte di giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati. Assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione dei trattati.

Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione».

Carta

6

L’articolo 7 della Carta così recita:

«Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni».

7

Ai sensi dell’articolo 8 della Carta:

«1.   Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano.

2.   Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. (...)

(...)».

8

L’articolo 47 della Carta, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», prevede quanto segue:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo.

Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. (...)

(...)».

9

L’articolo 52, paragrafo 1, della Carta così dispone:

«Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».

Il RGPD

10

I considerando 4, 10, 16, 20, 39 e 51 del RGPD così recitano:

«(4)

Il trattamento dei dati personali dovrebbe essere al servizio dell’uomo. Il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità. Il presente regolamento rispetta tutti i diritti fondamentali e osserva le libertà e i principi riconosciuti dalla Carta, sanciti dai trattati, in particolare il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e delle comunicazioni, la protezione dei dati personali, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di espressione e d’informazione, la libertà d’impresa, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, nonché la diversità culturale, religiosa e linguistica.

(...)

(10)

Al fine di assicurare un livello coerente ed elevato di protezione delle persone fisiche e rimuovere gli ostacoli alla circolazione dei dati personali all’interno dell’Unione, il livello di protezione dei diritti e delle libertà delle persone fisiche con riguardo al trattamento di tali dati dovrebbe essere equivalente in tutti gli Stati membri. È opportuno assicurare un’applicazione coerente e omogenea delle norme a protezione dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali in tutta l’Unione. Per quanto riguarda il trattamento dei dati personali per l’adempimento di un obbligo legale, per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali al fine di specificare ulteriormente l’applicazione delle norme del presente regolamento. (...) Il presente regolamento prevede anche un margine di manovra degli Stati membri per precisarne le norme, anche con riguardo al trattamento di categorie particolari di dati personali (“dati sensibili”). In tal senso, il presente regolamento non esclude che il diritto degli Stati membri stabilisca le condizioni per specifiche situazioni di trattamento, anche determinando con maggiore precisione le condizioni alle quali il trattamento di dati personali è lecito.

(...)

(16)

Il presente regolamento non si applica a questioni di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali o di libera circolazione dei dati personali riferite ad attività che non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, quali le attività riguardanti la sicurezza nazionale. Il presente regolamento non si applica al trattamento dei dati personali effettuato dagli Stati membri nell’esercizio di attività relative alla politica estera e di sicurezza comune dell’Unione.

(...)

(20)

Sebbene il presente regolamento si applichi, tra l’altro, anche alle attività delle autorità giurisdizionali e di altre autorità giudiziarie, il diritto dell’Unione o degli Stati membri potrebbe specificare le operazioni e le procedure di trattamento relativamente al trattamento dei dati personali effettuato da autorità giurisdizionali e da altre autorità giudiziarie. Non è opportuno che rientri nella competenza delle autorità di controllo il trattamento di dati personali effettuato dalle autorità giurisdizionali nell’adempimento delle loro funzioni giurisdizionali, al fine di salvaguardare l’indipendenza della magistratura nell’adempimento dei suoi compiti giurisdizionali, compreso il processo decisionale. Si dovrebbe poter affidare il controllo su tali trattamenti di dati ad organismi specifici all’interno del sistema giudiziario dello Stato membro, che dovrebbero in particolare assicurare la conformità alle norme del presente regolamento, rafforzare la consapevolezza della magistratura con riguardo agli obblighi che alla stessa derivano dal presente regolamento ed esaminare i reclami in relazione a tali operazioni di trattamento dei dati.

(...)

(39)

(...) le finalità specifiche del trattamento dei dati personali dovrebbero essere esplicite e legittime e precisate al momento della raccolta di detti dati personali. I dati personali dovrebbero essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario per le finalità del loro trattamento. (...) I dati personali dovrebbero essere trattati solo se la finalità del trattamento non è ragionevolmente conseguibile con altri mezzi. (...)

(...)

(51)

Meritano una specifica protezione i dati personali che, per loro natura, sono particolarmente sensibili sotto il profilo dei diritti e delle libertà fondamentali, dal momento che il contesto del loro trattamento potrebbe creare rischi significativi per i diritti e le libertà fondamentali. (...) Tali dati personali non dovrebbero essere oggetto di trattamento, a meno che il trattamento non sia consentito nei casi specifici di cui al presente regolamento, tenendo conto del fatto che il diritto degli Stati membri può stabilire disposizioni specifiche sulla protezione dei dati per adeguare l’applicazione delle norme del presente regolamento ai fini della conformità a un obbligo legale o dell’esecuzione di un compito di interesse pubblico o per l’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento. Oltre ai requisiti specifici per tale trattamento, dovrebbero applicarsi i principi generali e altre norme del presente regolamento, in particolare per quanto riguarda le condizioni per il trattamento lecito. È opportuno prevedere espressamente deroghe al divieto generale di trattare tali categorie particolari di dati personali, tra l’altro se l’interessato esprime un consenso esplicito o in relazione a esigenze specifiche, in particolare se il trattamento è eseguito nel corso di legittime attività di talune associazioni o fondazioni il cui scopo sia permettere l’esercizio delle libertà fondamentali».

11

L’articolo 1 del RGPD, intitolato «Oggetto e finalità», al paragrafo 2 prevede quanto segue:

«Il presente regolamento protegge i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali».

12

L’articolo 2 del RGPD, intitolato «Ambito di applicazione materiale», è così formulato:

«1.   Il presente regolamento si applica al trattamento interamente o parzialmente automatizzato di dati personali e al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti in un archivio o destinati a figurarvi.

2.   Il presente regolamento non si applica ai trattamenti di dati personali:

a)

effettuati per attività che non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione;

b)

effettuati dagli Stati membri nell’esercizio di attività che rientrano nell’ambito di applicazione del titolo V, capo 2, TUE;

(...)».

13

L’articolo 4 del RGPD, intitolato «Definizioni», è del seguente tenore:

«Ai fini del presente regolamento s’intende per:

1)

“dato personale”: qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile (“interessato”); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale;

2)

“trattamento”: qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione;

(...)

7)

“titolare del trattamento”: la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali; quando le finalità e i mezzi di tale trattamento sono determinati dal diritto dell’Unione o degli Stati membri, il titolare del trattamento o i criteri specifici applicabili alla sua designazione possono essere stabiliti dal diritto dell’Unione o degli Stati membri;

(...)».

14

L’articolo 6 del RGPD, intitolato «Liceità del trattamento», ai paragrafi 1 e 3 così dispone:

«1.   Il trattamento è lecito solo se e nella misura in cui ricorre almeno una delle seguenti condizioni:

(...)

c)

il trattamento è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento;

(...)

e)

il trattamento è necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento;

(...)

3.   La base su cui si fonda il trattamento dei dati di cui al paragrafo 1, lettere c) ed e), deve essere stabilita:

a)

dal diritto dell’Unione; o

b)

dal diritto dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento.

La finalità del trattamento è determinata in tale base giuridica o, per quanto riguarda il trattamento di cui al paragrafo 1, lettera e), è necessaria per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento. (...) Il diritto dell’Unione o degli Stati membri persegue un obiettivo di interesse pubblico ed è proporzionato all’obiettivo legittimo perseguito».

15

L’articolo 9 del RGPD, intitolato «Trattamento di categorie particolari di dati personali», ai paragrafi 1 e 2 prevede quanto segue:

«1.   È vietato trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.

2.   Il paragrafo 1 non si applica se si verifica uno dei seguenti casi:

(...)

g)

il trattamento è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri, che deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato;

(...)».

Diritto polacco

Costituzione

16

L’articolo 45, paragrafo 1, della Konstytucja Rzeczypospolitej Polskiej (Costituzione della Repubblica di Polonia) (in prosieguo: la «Costituzione») così dispone:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente e pubblicamente, senza eccessivo ritardo, da un giudice competente, indipendente e imparziale».

17

In forza dell’articolo 179 della Costituzione, il presidente della Repubblica nomina i giudici, su proposta della Krajowa Rada Sądownictwa (Consiglio nazionale della magistratura, Polonia) (in prosieguo: la «KRS»), a tempo indeterminato.

18

Ai sensi dell’articolo 186, paragrafo 1, della Costituzione:

«La [KRS] è garante dell’indipendenza degli organi giurisdizionali e dei giudici».

19

L’articolo 187 della Costituzione prevede quanto segue:

«1.   La [KRS] è composta:

1)

dal primo presidente del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], dal Ministro della Giustizia, dal presidente del [Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia)] e da una persona designata dal presidente della Repubblica;

2)

da quindici membri eletti tra i giudici del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], degli organi giurisdizionali ordinari, degli organi giurisdizionali amministrativi e degli organi giurisdizionali militari;

3)

da quattro membri eletti dal [Sejm (Dieta, Polonia)] tra i deputati nonché da due membri eletti dal Senato tra i senatori.

(...)

3.   Il mandato dei membri eletti [della KRS] è di quattro anni.

4.   Il regime, l’ambito di attività, le modalità di lavoro [della KRS], nonché le modalità di elezione dei suoi membri sono definiti dalla legge».

Legge sulla Corte suprema, come modificata

20

La legge sulla Corte suprema ha istituito, in seno al Sąd Najwyższy (Corte suprema), due nuove Sezioni, vale a dire, da un lato, la Sezione disciplinare e, dall’altro, la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche.

21

La legge di modifica, entrata in vigore il 14 febbraio 2020, ha modificato la legge sulla Corte suprema, segnatamente, inserendo i nuovi paragrafi da 2 a 6 all’articolo 26 di quest’ultima legge, il nuovo punto 1a all’articolo 27, paragrafo 1, di detta legge, il nuovo paragrafo 3 all’articolo 45 e i nuovi paragrafi da 2 a 5 all’articolo 82 della medesima legge, nonché modificando l’articolo 29 e l’articolo 72, paragrafo 1, della stessa.

22

Ai sensi dell’articolo 26, paragrafi da 2 a 6, della legge sulla Corte suprema, come modificata:

«2.   La Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche è competente a pronunciarsi sulle domande o sulle dichiarazioni riguardanti la ricusazione di un giudice o la designazione dell’organo giurisdizionale dinanzi al quale un procedimento deve essere avviato, comprese le censure concernenti la mancanza di indipendenza dell’organo giurisdizionale o del giudice. L’organo giurisdizionale adito invia immediatamente una richiesta al presidente della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, affinché detta richiesta sia trattata conformemente alle regole fissate mediante specifiche disposizioni. La presentazione di una richiesta al presidente della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche non sospende il procedimento in corso.

3.   La richiesta di cui al paragrafo 2 non viene esaminata qualora riguardi l’accertamento e la valutazione della legittimità della nomina di un giudice o della sua legittimazione ad esercitare le funzioni giurisdizionali.

4.   La Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche è competente a pronunciarsi sui ricorsi diretti ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità delle decisioni o delle sentenze definitive del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], degli organi giurisdizionali ordinari, degli organi giurisdizionali militari e degli organi giurisdizionali amministrativi, compreso il [Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa)], laddove l’illegittimità consista nel mettere in discussione lo status della persona nominata quale giudice pronunciatosi sulla controversia.

5.   Le disposizioni relative all’accertamento dell’illegittimità di una decisione definitiva si applicano, mutatis mutandis, al procedimento relativo alle controversie di cui al paragrafo 4, e le disposizioni relative alla riassunzione di un procedimento giudiziario chiuso mediante decisione definitiva si applicano ai procedimenti penali. Non è necessario stabilire prima facie la plausibilità o l’insorgenza di un danno cagionato dalla pronuncia della decisione oggetto di ricorso.

6.   Il ricorso diretto ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità di una decisione definitiva, come previsto al paragrafo 4, può essere proposto dinanzi alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche senza dover adire l’organo giurisdizionale che ha emanato la decisione impugnata, anche quando una parte non ha esaurito i mezzi di ricorso a sua disposizione, compreso il ricorso straordinario dinanzi al [Sąd Najwyższy (Corte suprema)]».

23

L’articolo 27, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema, come modificata, così dispone:

«Rientrano nella competenza della Sezione disciplinare:

1)

le controversie disciplinari:

a)

concernenti i giudici del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)];

b)

esaminate dal [Sąd Najwyższy (Corte suprema)] in relazione a procedimenti disciplinari avviati in forza delle seguenti leggi:

(...)

legge [relativa agli organi giurisdizionali ordinari] (...);

(...)

1a)

le controversie concernenti l’autorizzazione all’esercizio dell’azione penale nei confronti dei giudici, dei giudici ausiliari, dei procuratori e dei sostituti procuratori o all’adozione nei loro confronti della misura della custodia cautelare;

2)

le controversie in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale riguardanti i giudici del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)];

3)

le controversie in materia di pensionamento di un giudice del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)]».

24

L’articolo 29, paragrafi 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, prevede quanto segue:

«2.   Nell’ambito delle attività del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)] o dei suoi organi, non è consentito mettere in discussione la legittimazione degli [organi giurisdizionali], degli organi costituzionali dello Stato e degli organi di controllo e di tutela del diritto.

3.   Il [Sąd Najwyższy (Corte suprema)] o un altro organo di potere pubblico non può né accertare né valutare la legittimità della nomina di un giudice o del potere di esercitare funzioni in materia di amministrazione della giustizia che deriva da tale nomina».

25

L’articolo 45, paragrafo 3, di tale legge così dispone:

«La dichiarazione di cui all’articolo 88a della [legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata] è presentata dai giudici del [Sąd Najwyższy (Corte Suprema)] al primo presidente del [Sąd Najwyższy (Corte Suprema)], e dal primo presidente del [Sąd Najwyższy (Corte Suprema)] [alla KRS]».

26

L’articolo 72, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema, come modificata, è così formulato:

«I giudici del [Sąd Najwyższy (Corte Suprema)] rispondono, a livello disciplinare, delle inadempienze professionali (illeciti disciplinari), compresi i casi di:

1)

violazione manifesta e flagrante delle disposizioni di legge;

2)

atti o omissioni idonei a ostacolare o compromettere seriamente il funzionamento di un’autorità giudiziaria;

3)

atti che mettono in discussione l’esistenza del rapporto di lavoro di un giudice, l’efficacia della nomina di un giudice o la legittimazione di un organo costituzionale della Repubblica di Polonia».

27

A norma dell’articolo 73, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema, come modificata, la Sezione disciplinare è l’organo giurisdizionale disciplinare di primo e di secondo grado per i giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema).

28

L’articolo 82 di tale legge così dispone:

«1.   Se, nell’esaminare un ricorso per cassazione o un altro ricorso, il [Sąd Najwyższy (Corte suprema)] nutre seri dubbi quanto all’interpretazione delle disposizioni giuridiche alla base della decisione resa, può sospendere il procedimento e sottoporre una questione di diritto a un collegio composto da sette dei suoi giudici.

2.   Ove esamini una controversia in cui si pone una questione di diritto vertente sull’indipendenza di un giudice o di un’autorità giudiziaria, il [Sąd Najwyższy (Corte suprema)] sospende il procedimento e rimette detta questione a un collegio composto dalla totalità dei membri della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche.

3.   Se, nell’esaminare una domanda ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 2, il [Sąd Najwyższy (Corte suprema)] nutre seri dubbi quanto all’interpretazione delle disposizioni giuridiche sulla cui base deve essere adottata la decisione, può sospendere il procedimento e sottoporre una questione di diritto a un collegio composto dalla totalità dei membri della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche.

4.   Nell’adottare una decisione ai sensi del paragrafo 2 o 3, la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche non è vincolata dalla decisione di un altro collegio giudicante del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], nemmeno se detta decisione ha acquisito forza di principio giuridico.

5.   Una decisione adottata dalla totalità dei membri della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche sulla base del paragrafo 2 o 3 è vincolante per tutti i collegi del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)]. Qualsiasi scostamento da una decisione che abbia acquisito forza di principio giuridico necessita di una nuova pronuncia mediante decisione del plenum del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], fermo restando che l’adozione di detta decisione richiede la presenza di almeno due terzi dei giudici di ciascuna Sezione. L’articolo 88 non trova applicazione».

Legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata

29

La legge di modifica ha modificato la legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, in particolare, introducendo in quest’ultima legge i nuovi articoli 42a e 88a, nonché aggiungendo un nuovo paragrafo 4 all’articolo 55 di detta legge, nuovi punti 2 e 3 all’articolo 107 della medesima legge e un nuovo paragrafo 2a all’articolo 110 della stessa.

30

L’articolo 42a della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, è così formulato:

«1.   Nell’ambito delle attività delle autorità giurisdizionali e degli organi di tali autorità, non è consentito mettere in discussione la legittimazione degli [organi giurisdizionali], degli organi costituzionali dello Stato e degli organi di controllo e di tutela del diritto.

2.   Un organo giurisdizionale ordinario o un altro organo di potere pubblico non può né accertare né valutare la legittimità della nomina di un giudice o del potere di esercitare funzioni in materia di amministrazione della giustizia che deriva da tale nomina».

31

L’articolo 55 di tale legge così dispone:

«1.   Un giudice di un organo giurisdizionale ordinario è una persona nominata a tale funzione dal presidente della Repubblica e che ha prestato giuramento dinanzi a quest’ultimo.

2.   I giudici degli organi giurisdizionali ordinari sono nominati alle funzioni di:

1)

giudice di un [sąd rejonowy (Tribunale circondariale)];

2)

giudice di un [sąd okręgowy (Tribunale regionale)];

3)

giudice di un [sąd apelacyjny (Corte d’appello)];

3.   Quando nomina una persona alla funzione di giudice, il presidente della Repubblica designa il suo luogo di assegnazione (sede). Il cambiamento di sede può essere effettuato senza modifica del luogo di assegnazione nei casi e secondo le modalità previsti all’articolo 75.

4.   I giudici possono pronunciarsi su tutte le controversie nel loro luogo di assegnazione e, nei casi stabiliti dalla legge, nell’ambito di altri organi giurisdizionali (competenza del giudice). Le disposizioni relative all’assegnazione delle controversie e alla designazione e modifica del collegio giudicante non limitano la competenza del giudice e non possono essere invocate per accertare che un collegio giudicante è in contrasto con le disposizioni di legge, che un organo giurisdizionale non dispone di adeguati poteri o che una persona che ne è parte non è autorizzata o competente a pronunciarsi».

32

L’articolo 80 di detta legge prevede quanto segue:

«1.   Un giudice non può essere detenuto né perseguito penalmente senza l’autorizzazione dell’organo giurisdizionale disciplinare competente. Ciò non riguarda l’arresto in caso di flagranza di reato del giudice, se tale arresto è indispensabile per il regolare svolgimento del procedimento. Fino all’adozione della risoluzione che autorizza a perseguire penalmente un giudice, possono essere adottate solo misure urgenti.

(...)

2c.   L’organo giurisdizionale disciplinare adotta una risoluzione che autorizza a perseguire penalmente un giudice se sussistono motivi sufficientemente legittimi di ritenere che quest’ultimo abbia commesso il reato. La risoluzione contiene la decisione avente ad oggetto l’autorizzazione a perseguire penalmente il giudice, nonché la sua motivazione.

2d.   L’organo giurisdizionale disciplinare esamina la domanda di autorizzazione a perseguire penalmente un giudice entro il termine di quattordici giorni a decorrere dalla data di ricevimento della stessa.

(...)».

33

Ai sensi dell’articolo 88a della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata:

«1.   Il giudice è tenuto a presentare una dichiarazione scritta che indichi:

1)

la sua appartenenza ad associazioni, con menzione della denominazione e della sede dell’associazione, delle cariche ricoperte e del periodo di affiliazione;

2)

le cariche ricoperte in seno a fondazioni senza scopo di lucro, con menzione della denominazione e della sede della fondazione, nonché del periodo durante il quale ha ricoperto dette cariche;

3)

la sua iscrizione a un partito politico prima della nomina a giudice e la sua iscrizione a un partito politico nel corso del mandato prima del 29 dicembre 1989, con menzione della denominazione di tale partito, delle cariche ricoperte e della durata dell’iscrizione.

2.   Le dichiarazioni di cui al paragrafo 1 sono presentate dai giudici al presidente del [sąd apelacyjny (Corte d’appello)] competente e dai presidenti di [sąd apelacyjny (Corte d’appello)] al Ministro della Giustizia.

3.   Le dichiarazioni di cui al paragrafo 1 sono presentate entro 30 giorni dall’entrata in servizio del giudice ed entro 30 giorni dalla data in cui si verificano o cessano le circostanze di cui al paragrafo 1.

4.   Le informazioni contenute nelle dichiarazioni di cui al paragrafo 1 hanno carattere pubblico e sono divulgate nel [Biuletyn Informacji Publicznej (Bollettino d’informazione pubblica)] previsto dalla [ustawa o dostępie do informacji publicznej (legge sull’accesso alle informazioni pubbliche) del 6 settembre 2001 (Dz. U. n. 112, posizione 1198)], entro 30 giorni dalla data in cui la dichiarazione è trasmessa all’organo autorizzato».

34

L’articolo 107, paragrafo 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, è così formulato:

«I giudici rispondono, a livello disciplinare, delle inadempienze professionali (illeciti disciplinari), compresi i casi di:

1)

violazione manifesta e flagrante delle disposizioni di legge;

2)

atti o omissioni idonei a ostacolare o compromettere seriamente il funzionamento di un’autorità giudiziaria;

3)

atti che mettono in discussione l’esistenza del rapporto di lavoro di un giudice, l’efficacia della nomina di un giudice o la legittimazione di un organo costituzionale della Repubblica di Polonia;

(...)».

35

Ai sensi dell’articolo 110, paragrafo 2a, di tale legge:

«(...) Le controversie previste all’articolo 80 (...) sono decise, in primo grado, dal [Sąd Najwyższy (Corte suprema)] in composizione di giudice unico della Sezione disciplinare e, in secondo grado, dal [Sąd Najwyższy (Corte suprema)] in composizione di tre giudici della Sezione disciplinare».

36

L’articolo 129, paragrafi da 1 a 3, di detta legge così recita:

«1.   L’organo giurisdizionale disciplinare può sospendere dalle sue funzioni un giudice se, nei suoi confronti, è stato avviato un procedimento disciplinare o di interdizione e, altresì, ove adotti una decisione che autorizza l’avvio di un procedimento penale a suo carico.

2.   Qualora l’organo giurisdizionale disciplinare adotti una decisione che autorizza l’avvio di un procedimento penale a carico di un giudice per un reato doloso in relazione al quale vige l’obbligatorietà dell’azione penale, esso sospende d’ufficio l’interessato dalle sue funzioni.

3.   Nel sospendere un giudice dalle sue funzioni, l’organo giurisdizionale disciplinare riduce, in misura compresa tra il 25% e il 50%, l’ammontare della sua retribuzione per la durata di detta sospensione; tale disposizione non riguarda le persone oggetto di un procedimento di interdizione».

Legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata

37

La legge di modifica ha modificato la legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, in particolare, inserendo i nuovi paragrafi 1a e 1b nell’articolo 5 di quest’ultima legge e un nuovo paragrafo 2 nell’articolo 8 di detta legge, nonché modificando l’articolo 29, paragrafo 1, e l’articolo 49, paragrafo 1, della stessa.

38

L’articolo 5, paragrafi 1a e 1b, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, prevede quanto segue:

«1a.   Nell’ambito delle attività di un’autorità giurisdizionale amministrativa o dei suoi organi, non è consentito mettere in discussione la legittimazione degli [organi giurisdizionali], degli organi costituzionali dello Stato e degli organi di controllo e di tutela del diritto.

1b.   Un organo giurisdizionale amministrativo o un altro organo di potere pubblico non può né accertare né valutare la legittimità della nomina di un giudice o del potere di esercitare funzioni in materia di amministrazione della giustizia che deriva da tale nomina».

39

L’articolo 8, paragrafo 2, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, così dispone:

«La dichiarazione di cui all’articolo 88a della [legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata] è presentata dai giudici di un [wojewódzki sąd administracyjny (Tribunale amministrativo del voivodato)] al presidente del Tribunale amministrativo del voivodato competente, dal presidente di un Tribunale amministrativo del voivodato e dai giudici del [Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa, Polonia)] al presidente del [Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa)], e dal presidente del [Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa)] [alla KRS]».

40

Ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, gli illeciti disciplinari previsti all’articolo 107, paragrafo 1, punti 2 e 3, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, si applicano anche ai giudici degli organi giurisdizionali amministrativi.

41

In conformità all’articolo 49, paragrafo 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, gli illeciti disciplinari di cui all’articolo 72, paragrafo 1, della legge sulla Corte suprema, come modificata, si applicano anche ai giudici del Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa).

Disposizioni transitorie contenute nella legge di modifica

42

Ai sensi dell’articolo 8 della legge di modifica, l’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, si applica anche ai procedimenti avviati o conclusi prima della data di entrata in vigore della legge di modifica.

43

A termini dell’articolo 10 della legge di modifica:

«1.   Le disposizioni della [legge sulla Corte suprema], nella versione risultante dalla presente legge, si applicano anche ai procedimenti rientranti nell’ambito della competenza della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, avviati e non conclusi con una sentenza definitiva, ivi compresa una decisione, prima dell’entrata in vigore della presente legge.

2.   L’organo giurisdizionale chiamato a pronunciarsi in un procedimento di cui al paragrafo 1 lo rinvia immediatamente e, al più tardi, entro sette giorni dall’entrata in vigore della presente legge alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, che può revocare gli atti in precedenza compiuti nella misura in cui impediscono la prosecuzione dell’esame della controversia in conformità alla legge.

3.   Gli atti compiuti dalle autorità giudiziarie e dalle parti o dai soggetti intervenuti nel procedimento nelle controversie di cui paragrafo 1 successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge in violazione del paragrafo 2 sono privi di effetti processuali».

Procedimento precontenzioso

44

Il 29 aprile 2020 la Commissione, ritenendo che, con l’adozione della legge di modifica, la Repubblica di Polonia fosse venuta meno, sotto diversi profili, agli obblighi ad essa incombenti in forza del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, del principio del primato del diritto dell’Unione, dell’articolo 267 TFUE, nonché dell’articolo 7 e dell’articolo 8, paragrafo 1, della Carta, dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), e paragrafo 3, e dell’articolo 9 del RGPD, ha inviato una lettera di diffida a tale Stato membro. Quest’ultimo ha risposto con lettera del 29 giugno 2020, nella quale ha negato qualsiasi violazione del diritto dell’Unione.

45

Il 30 ottobre 2020 la Commissione ha emesso un parere motivato nel quale ha ribadito che la disciplina introdotta dalla legge di modifica violava le disposizioni del diritto dell’Unione indicate al punto precedente. Di conseguenza, tale istituzione ha invitato la Repubblica di Polonia ad adottare le misure necessarie per conformarsi al parere motivato in parola entro il termine di due mesi a decorrere dal suo ricevimento.

46

In considerazione dell’aumento del numero di controversie pendenti dinanzi alla Sezione disciplinare, relative a domande di autorizzazione all’esercizio dell’azione penale nei confronti di giudici, la Commissione, con lettera del 1o novembre 2020, ha rivolto diversi quesiti alle autorità polacche, ai quali queste ultime hanno risposto il 13 novembre 2020.

47

Il 3 dicembre 2020 la Commissione ha inviato alla Repubblica di Polonia una lettera di diffida complementare, affermando che tale Stato membro, avendo attribuito, in forza dell’articolo 27, paragrafo 1, punti 1a, 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, alla Sezione disciplinare, la cui indipendenza e la cui imparzialità non sarebbero garantite, la competenza a pronunciarsi in merito a controversie aventi un’incidenza diretta sullo status e sullo svolgimento delle funzioni di giudice e di giudice ausiliario, aveva violato gli obblighi ad esso incombenti in virtù dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

48

Con lettera del 30 dicembre 2020 la Repubblica di Polonia ha risposto al parere motivato della Commissione del 30 ottobre 2020, contestando la sussistenza degli inadempimenti contestati.

49

Con lettera del 4 gennaio 2021 tale Stato membro ha risposto alla lettera di diffida complementare del 3 dicembre 2020, sostenendo che neppure le censure sollevate dalla Commissione in tale lettera erano fondate.

50

Il 27 gennaio 2021 la Commissione ha inviato alla Repubblica di Polonia un parere motivato complementare, confermando le censure formulate nella sua lettera di diffida complementare. Di conseguenza, tale istituzione invitava la Repubblica di Polonia ad adottare le misure necessarie per conformarsi al parere motivato complementare in parola entro il termine di un mese a decorrere dal suo ricevimento.

51

Con lettera del 26 febbraio 2021 la Repubblica di Polonia ha risposto a detto parere motivato complementare, contestando le censure formulate dalla Commissione in quest’ultimo.

52

In tali circostanze la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.

Procedimento dinanzi alla Corte

53

Con atto separato, depositato presso la cancelleria della Corte il 1o aprile 2021, la Commissione ha presentato una domanda di provvedimenti provvisori ai sensi dell’articolo 279 TFUE.

54

Con ordinanza del 14 luglio 2021, Commissione/Polonia (C‑204/21 R, EU:C:2021:593), la vicepresidente della Corte ha accolto tale domanda fino alla pronuncia della presente sentenza, ordinando, in sostanza, alla Repubblica di Polonia di sospendere sia l’applicazione delle disposizioni nazionali indicate nei trattini dal primo al quarto del petitum del ricorso della Commissione, come riprodotti al punto 1 della presente sentenza, sia gli effetti delle decisioni della Sezione disciplinare che hanno autorizzato l’avvio di un procedimento penale contro un giudice o il suo arresto.

55

Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 16 agosto 2021, la Repubblica di Polonia ha chiesto che tale ordinanza fosse revocata. Tale domanda è stata respinta con ordinanza della vicepresidente della Corte del 6 ottobre 2021, Polonia/Commissione (C‑204/21 R, EU:C:2021:834).

56

Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 7 settembre 2021, la Commissione ha presentato una nuova domanda di provvedimenti provvisori, diretta a ottenere la condanna della Repubblica di Polonia al pagamento di una penalità giornaliera. Accogliendo tale domanda con ordinanza del 27 ottobre 2021, Commissione/Polonia (C‑204/21 R, EU:C:2021:878), il vicepresidente della Corte ha condannato la Repubblica di Polonia a pagare alla Commissione una penalità di EUR 1000000 al giorno, a decorrere dalla notifica di tale ordinanza e fino al giorno in cui tale Stato membro si sarà conformato agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’ordinanza della vicepresidente della Corte richiamata al punto 54 della presente sentenza o, in mancanza, fino al giorno della pronuncia della presente sentenza. Con ordinanza del vicepresidente della Corte del 21 aprile 2023, Commissione/Polonia (Indipendenza e vita privata dei giudici) (C‑204/21 R-RAP, EU:C:2023:334), l’importo di tale penalità è stato ridotto a EUR 500000 al giorno a decorrere dalla data di firma di detta ordinanza.

57

Con ordinanze del presidente della Corte del 30 settembre 2021, il Regno del Belgio, il Regno di Danimarca, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica di Finlandia e il Regno di Svezia sono stati ammessi a intervenire nel procedimento a sostegno delle conclusioni della Commissione.

Sul ricorso

58

Il ricorso della Commissione contiene cinque censure. Le censure dalla prima alla terza vertono su violazioni del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché dell’articolo 267 TFUE, e, inoltre, le censure prima e seconda sono dirette anche a far constatare la violazione del principio del primato del diritto dell’Unione. La quarta censura verte sulla violazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE. La quinta censura verte sulla violazione delle disposizioni dell’articolo 7 e dell’articolo 8, paragrafo 1, della Carta, nonché di quelle dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), e paragrafo 3, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD.

59

La Repubblica di Polonia contesta tutti gli inadempimenti così dedotti e chiede il rigetto del ricorso della Commissione.

Sulla competenza della Corte, sullo Stato di diritto e l’indipendenza della giustizia e sul primato del diritto dell’Unione

60

Nella sua controreplica la Repubblica di Polonia fa valere la sentenza del 14 luglio 2021 (procedimento P 7/20), pronunciata dal Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale, Polonia), nella quale quest’ultimo ha dichiarato, da un lato, fondandosi sulle disposizioni dell’articolo 4, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 5, paragrafo 1, TUE e, in particolare, sul principio di attribuzione delle competenze dell’Unione e sull’obbligo di quest’ultima di rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, che l’articolo 4, paragrafo 3, seconda frase, TUE, in combinato disposto con l’articolo 279 TFUE, come interpretato dalla Corte nell’ordinanza dell’8 aprile 2020, Commissione/Polonia (C‑791/19 R, EU:C:2020:277), è incompatibile con diverse disposizioni della Costituzione. Dall’altro lato, secondo il Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale), adottando, in tale ordinanza, provvedimenti provvisori riguardanti l’organizzazione e la competenza degli organi giurisdizionali polacchi, nonché il procedimento dinanzi a questi ultimi, e imponendo, in tal modo, obblighi alla Repubblica di Polonia, la Corte ha statuito ultra vires. Di conseguenza, siffatti provvedimenti non sarebbero coperti dai principi del primato e dell’applicabilità diretta del diritto dell’Unione, enunciati all’articolo 91, paragrafi da 1 a 3, della Costituzione. In tale sentenza del 14 luglio 2021 il Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) avrebbe altresì affermato che, in caso di conflitto tra le sue decisioni e quelle della Corte, il Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) doveva avere l’«ultima parola» nelle controversie di principio relative all’ordinamento costituzionale polacco.

61

Così facendo, la Repubblica di Polonia intende, in sostanza, come risulta dalla sua controreplica, contestare sia la sussistenza degli inadempimenti dedotti dalla Commissione nel suo ricorso, in particolare quelli relativi a violazioni del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché del principio del primato del diritto dell’Unione, sia la competenza della Corte a pronunciarsi su tale ricorso. Secondo tale Stato membro, dalla giurisprudenza derivante dalla sentenza del Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale), del 14 luglio 2021, risulta, infatti, che accogliere le censure formulate dalla Commissione equivarrebbe, per la Corte, a eccedere le proprie competenze e quelle dell’Unione. Accogliere siffatte censure violerebbe, da un lato, la competenza esclusiva della Repubblica di Polonia in materia di organizzazione della giustizia, in violazione del principio di attribuzione delle competenze dell’Unione, e, dall’altro, l’identità nazionale insita nella struttura fondamentale, politica e costituzionale, di tale Stato membro, in violazione delle disposizioni dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE.

62

A tal riguardo, occorre tuttavia ricordare, anzitutto, che il controllo del rispetto, da parte degli Stati membri, dei requisiti derivanti dall’articolo 2 e dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE rientra pienamente nella competenza della Corte, in particolare quando, come nel caso di specie, essa è investita di un ricorso per inadempimento proposto dalla Commissione ai sensi dell’articolo 258 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio, C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 161 e giurisprudenza ivi citata).

63

Per quanto riguarda la portata di tali disposizioni, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che, sebbene l’organizzazione della giustizia negli Stati membri, e segnatamente l’istituzione, la composizione, le competenze e il funzionamento degli organi giurisdizionali nazionali, nonché le norme che disciplinano il processo di nomina dei giudici o, ancora, quelle applicabili allo status degli stessi e all’esercizio delle loro funzioni, rientri nella competenza di tali Stati, questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza, sono nondimeno tenuti a rispettare gli obblighi per essi derivanti dal diritto dell’Unione e, in particolare, dagli articoli 2 e 19 TUE [v., in tal senso, sentenze del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punti 56, da 60 a 62 e 95 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale), C‑430/21, EU:C:2022:99, punto 38 nonché giurisprudenza ivi citata].

64

Ai sensi dell’articolo 2 TUE, l’Unione si fonda su valori che sono comuni agli Stati membri e, conformemente all’articolo 49 TUE, il rispetto di tali valori costituisce una condizione preliminare per l’adesione all’Unione di qualsiasi Stato europeo che chieda di diventare membro della stessa (sentenza del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio, C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 124 e giurisprudenza ivi citata).

65

Occorre ricordare, poi, che, per poter aderire all’Unione, la Repubblica di Polonia ha dovuto soddisfare criteri che erano previsti come necessari per gli Stati candidati all’adesione, quali stabiliti dal Consiglio europeo di Copenaghen del 21 e 22 giugno 1993. Tali criteri esigono segnatamente che lo Stato candidato «abbia raggiunto una stabilità istituzionale che garantisca la democrazia, il principio di legalità, i diritti umani, il rispetto e la protezione delle minoranze» (sentenza del 29 marzo 2022, Getin Noble Bank, C‑132/20, EU:C:2022:235, punto 104).

66

Come la Corte ha ripetutamente sottolineato, l’Unione riunisce, quindi, Stati che hanno liberamente e volontariamente aderito ai valori comuni enunciati all’articolo 2 TUE, li rispettano e si impegnano a promuoverli. Per di più, la fiducia reciproca tra gli Stati membri e, segnatamente, i loro giudici si basa sulla premessa fondamentale secondo cui gli Stati membri condividono tali valori comuni [v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 50 e giurisprudenza ivi citata].

67

L’articolo 2 TUE non costituisce, di conseguenza, una mera enunciazione di orientamenti o di intenti di natura politica, ma contiene valori che fanno parte dell’identità stessa dell’Unione quale ordinamento giuridico comune, valori che sono concretizzati in principi che comportano obblighi giuridicamente vincolanti per gli Stati membri (sentenza del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio, C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 232).

68

Da quanto precede consegue, segnatamente, che il rispetto da parte di uno Stato membro dei valori contenuti nell’articolo 2 TUE costituisce una condizione per il godimento di tutti i diritti derivanti dall’applicazione dei trattati a tale Stato membro. Infatti, il rispetto di tali valori non può essere ridotto a un obbligo cui uno Stato candidato è tenuto al fine di aderire all’Unione e al quale potrebbe sottrarsi dopo la sua adesione (sentenza del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio, C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 126 e giurisprudenza ivi citata).

69

Dal canto suo, l’articolo 19 TUE concretizza il valore dello Stato di diritto affermato all’articolo 2 TUE (sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 32). Per quanto riguarda, più specificamente, l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, occorre ricordare che, come previsto da tale disposizione, spetta agli Stati membri prevedere un sistema di rimedi giurisdizionali e di procedimenti che garantisca ai singoli il rispetto del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione. Il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, cui fa dunque riferimento detta disposizione, costituisce un principio generale di diritto dell’Unione che deriva dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, che è stato sancito agli articoli 6 e 13 della CEDU e che è attualmente affermato all’articolo 47 della Carta [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 52 e giurisprudenza ivi citata].

70

Orbene, per garantire che organi che possono essere chiamati a statuire su questioni connesse all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione siano in grado di garantire la tutela giurisdizionale effettiva richiesta da tale disposizione, è di primaria importanza preservare l’indipendenza dei medesimi, come confermato dall’articolo 47, secondo comma, della Carta [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 57 e giurisprudenza ivi citata].

71

La Corte ha parimenti evidenziato, nella sua giurisprudenza, che le garanzie d’accesso ad un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, e in particolare quelle che ne stabiliscono la nozione e la composizione, rappresentano la pietra angolare del diritto all’equo processo [sentenza del 6 ottobre 2021, W.Ż. (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema – Nomina), C‑487/19, EU:C:2021:798, punto 126 e giurisprudenza ivi citata].

72

In tali circostanze, non si può validamente sostenere che i requisiti derivanti dal rispetto di valori e principi come lo Stato di diritto, la tutela giurisdizionale effettiva e l’indipendenza della giustizia, sanciti all’articolo 2 e all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, in quanto presupposti sia di adesione che di partecipazione all’Unione, siano tali da incidere sull’identità nazionale di uno Stato membro, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE. Pertanto, quest’ultima disposizione, che deve essere letta tenendo conto delle disposizioni, di pari rango, sancite da detti articoli 2 e 19, paragrafo 1, secondo comma, non può dispensare gli Stati membri dal rispetto dei requisiti derivanti dalle stesse.

73

Così, la Corte ha dichiarato che, anche se, come risulta dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE, l’Unione rispetta l’identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, cosicché tali Stati dispongono di una certa discrezionalità per garantire l’attuazione dei principi dello Stato di diritto, ciò non comporta in alcun modo che tale obbligo di risultato possa variare da uno Stato membro all’altro. Infatti, pur disponendo di identità nazionali distinte, insite nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, che l’Unione rispetta, gli Stati membri aderiscono a una nozione di «Stato di diritto» che condividono, quale valore comune alle loro proprie tradizioni costituzionali, e che si sono impegnati a rispettare in modo continuativo (sentenza del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio, C‑156/21, EU:C:2022:97, punti 233234).

74

Ne consegue che, nella scelta del proprio rispettivo modello costituzionale, gli Stati membri sono tenuti a osservare, in particolare, il requisito di indipendenza dei giudici derivante dall’articolo 2 e dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE [v., in tal senso, sentenza del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale), C‑430/21, EU:C:2022:99, punto 43 e giurisprudenza ivi citata]. Essi sono quindi tenuti, in particolare, a provvedere affinché sia evitata qualsiasi regressione, riguardo al valore dello Stato di diritto, della loro legislazione in materia di organizzazione della giustizia, astenendosi dall’adottare qualsiasi misura che possa pregiudicare l’indipendenza dei giudici (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2021, Euro Box Promotion e a., C‑357/19, C‑379/19, C‑547/19, C‑811/19 e C‑840/19, EU:C:2021:1034, punto 162).

75

Per di più, nella sentenza del 15 luglio 1964, Costa (6/64, EU:C:1964:66, pagg. 1144 e 1145), la Corte ha dichiarato che l’istituzione, da parte del Trattato CEE, di un proprio ordinamento giuridico, accettato dagli Stati membri a condizioni di reciprocità, ha per corollario che essi non possono far prevalere contro tale ordinamento giuridico un provvedimento unilaterale ulteriore, né possono opporre al diritto scaturito dal Trattato CEE una qualsiasi norma di diritto nazionale, senza far perdere a tale diritto il proprio carattere comunitario e senza mettere in discussione il fondamento giuridico della stessa Comunità. Inoltre, la Corte ha sottolineato che l’efficacia del diritto comunitario non può variare da uno Stato membro all’altro in funzione delle leggi interne posteriori, senza mettere in pericolo l’attuazione degli scopi del Trattato CEE, né causare una discriminazione in base alla cittadinanza, vietata da tale Trattato [sentenza del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale), C‑430/21, EU:C:2022:99, punto 48 e giurisprudenza ivi citata].

76

Tali caratteristiche essenziali dell’ordinamento giuridico dell’Unione e l’importanza del rispetto dovuto a tale ordinamento sono state, del resto, confermate dalla ratifica, senza riserve, dei Trattati che modificano il Trattato CEE e, in particolare, del Trattato di Lisbona, come testimonia, in particolare, la dichiarazione n. 17 relativa al primato, allegata all’atto finale della conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 (GU 2012, C 326, pag. 346). Lo stesso vale per la giurisprudenza della Corte successiva all’entrata in vigore di quest’ultimo Trattato [v., in tal senso, sentenza del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale), C‑430/21, EU:C:2022:99, punti 4950 nonché giurisprudenza ivi citata].

77

Da tale giurisprudenza costante si evince che, in forza del principio del primato del diritto dell’Unione, il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può pregiudicare l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione. Infatti, conformemente a una giurisprudenza consolidata, gli effetti derivanti dal principio del primato del diritto dell’Unione si impongono a tutti gli organi di uno Stato membro, senza che, in particolare, le disposizioni interne, ivi comprese quelle di rango costituzionale, possano opporvisi [sentenze del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft, 11/70, EU:C:1970:114, punto 3, e del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale), C‑430/21, EU:C:2022:99, punto 51 e giurisprudenza ivi citata]. L’osservanza di tale obbligo è necessaria, in particolare, per garantire il rispetto dell’uguaglianza degli Stati membri dinanzi ai Trattati e costituisce espressione del principio di leale cooperazione di cui all’articolo 4, paragrafo 3, TUE [v., in tal senso, sentenza del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale), C‑430/21, EU:C:2022:99, punto 55 e giurisprudenza ivi citata].

78

Orbene, la Corte ha dichiarato che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, interpretato alla luce dell’articolo 47 della Carta, che pone a carico degli Stati membri un obbligo di risultato chiaro e preciso e non accompagnato da alcuna condizione con riferimento, in particolare, all’indipendenza e all’imparzialità dei giudici chiamati a interpretare e ad applicare il diritto dell’Unione e al requisito che questi ultimi siano precostituiti per legge, ha un effetto diretto che implica la disapplicazione di qualsiasi disposizione, giurisprudenza o prassi nazionale contraria a tali disposizioni del diritto dell’Unione, come interpretate dalla Corte [v., in tal senso, sentenze del 6 ottobre 2021, W.Ż. (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema – Nomina), C‑487/19, EU:C:2021:798, punti 158159 nonché giurisprudenza ivi citata; del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio, C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 162 e giurisprudenza ivi citata, e del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale), C‑430/21, EU:C:2022:99, punti 5859 nonché giurisprudenza ivi citata].

79

A tal riguardo, occorre infine ricordare che, poiché la Corte detiene una competenza esclusiva a fornire l’interpretazione definitiva del diritto dell’Unione, spetta alla Corte stessa, nell’esercizio di tale competenza, precisare la portata del principio del primato del diritto dell’Unione alla luce delle disposizioni pertinenti di tale diritto, cosicché tale portata non può dipendere dall’interpretazione di disposizioni del diritto nazionale né dall’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione seguita da un giudice nazionale che non corrisponda a quella della Corte [sentenza del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale), C‑430/21, EU:C:2022:99, punto 52 e giurisprudenza ivi citata]. Pertanto, spetta, se del caso, al giudice nazionale di cui trattasi modificare la propria giurisprudenza che sia incompatibile con il diritto dell’Unione, come interpretato dalla Corte (v., in tal senso, sentenze del 19 aprile 2016, DI, C‑441/14, EU:C:2016:278, punti 3334, e del 6 novembre 2018, Max-Planck-Gesellschaft zur Förderung der Wissenschaften, C‑684/16, EU:C:2018:874, punto 60).

80

Alla luce di tutto quanto precede, si deve constatare che, contrariamente a quanto affermato dalla Repubblica di Polonia, né i principi enunciati all’articolo 4, paragrafi 1 e 2, e all’articolo 5, paragrafo 1, TUE, né la giurisprudenza di un organo giurisdizionale costituzionale nazionale, come quella menzionata al punto 60 della presente sentenza, possono ostare a che le disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nell’ambito del suo ricorso possano essere oggetto di un controllo da parte della Corte, in particolare alla luce del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché del principio del primato del diritto dell’Unione.

Sulla persistenza dell’oggetto della controversia

81

Nel corso dell’udienza la Repubblica di Polonia ha dato atto della recente adozione della ustawa o zmianie ustawy o Sądzie Najwyższym oraz niektórych innych ustaw (legge recante modifica della legge sulla Corte suprema e di talune altre leggi), del 9 giugno 2022 (Dz. U., posizione 1259), la quale sarebbe entrata in vigore il 15 luglio successivo e avrebbe, in particolare, lo scopo di sciogliere la Sezione disciplinare di cui alla quarta censura della Commissione. Tale legge avrebbe parimenti modificato, precisandoli, i termini nei quali erano fino ad allora formulate le disposizioni nazionali oggetto delle censure prima e terza. In tali circostanze, la Repubblica di Polonia sostiene che la prosecuzione del procedimento non è giustificata per quanto riguarda le censure prima, terza e quarta.

82

A tale proposito, è sufficiente ricordare, tuttavia, che, secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in base alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, e che la Corte non può tener conto dei mutamenti successivi [sentenza del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema), C‑619/18, EU:C:2019:531, punto 30 e giurisprudenza ivi citata].

83

Nel caso di specie, è pacifico che, nelle date in cui sono scaduti i termini fissati dalla Commissione nel parere motivato e nel parere motivato complementare, tutte le disposizioni nazionali contestate da tale istituzione con il suo ricorso erano ancora in vigore. Di conseguenza, la Corte deve statuire in merito a tutte le censure sollevate nell’ambito di tale ricorso.

Sulla quarta censura

Argomenti delle parti

84

Con la sua quarta censura, che occorre esaminare per prima, la Commissione deduce la violazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, in quanto la Repubblica di Polonia sarebbe venuta meno al suo obbligo di garantire l’indipendenza e l’imparzialità della Sezione disciplinare, mentre quest’ultima rientrerebbe, quale «organo giurisdizionale», nell’ambito del sistema giudiziario polacco nei «settori disciplinati dal diritto dell’Unione», ai sensi di tale disposizione, e le sarebbe stata attribuita una competenza esclusiva a statuire in talune controversie relative allo status e all’esercizio delle funzioni dei giudici, il che potrebbe pregiudicare l’indipendenza di questi ultimi.

85

Nel suo ricorso la Commissione fa valere, a tal riguardo, la sentenza del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema) (C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18; in prosieguo: la «sentenza A.K. e a.», EU:C:2019:982), nonché la sentenza del 5 dicembre 2019 (III PO 7/18) e le ordinanze del 15 gennaio 2020 (III PO 8/18 e III PO 9/18) del Sąd Najwyższy (Izba Pracy i Ubezpieczeń Społecznych) [Corte suprema (Sezione per il lavoro e la previdenza sociale), Polonia], che era il giudice del rinvio nei procedimenti principali che hanno dato luogo alla sentenza A. K. e a. Da tali decisioni giurisdizionali risulterebbe che una valutazione globale vertente, in particolare, sul contesto e sulle condizioni in cui la Sezione disciplinare è stata creata, sulla sua composizione, sulle modalità di nomina dei suoi membri e sull’intervento, in quest’ambito, della KRS nella sua nuova composizione, nonché su talune delle caratteristiche di tale Sezione e sulle competenze specifiche ad essa attribuite, sia idonea a far sorgere dubbi legittimi, in capo ai singoli, per quanto riguarda l’indipendenza e l’imparzialità di detta Sezione.

86

Investendo la Sezione disciplinare della competenza, da un lato, ad autorizzare l’avvio di procedimenti penali nei confronti dei giudici e dei giudici ausiliari, nonché il loro arresto e la loro detenzione eventuali, e a decidere, in siffatte ipotesi, in merito alla loro sospensione e alla riduzione della loro retribuzione, e, dall’altro, a conoscere delle controversie in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale o in materia di pensionamento riguardanti i giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema), l’articolo 27, paragrafo 1, punti 1a, 2 e 3 della legge sulla Corte suprema, come modificata, non consentirebbe di garantire l’indipendenza e l’imparzialità di tali giudici, in particolare nei confronti di pressioni esterne ingiustificate, né, pertanto, il diritto dei singoli a un ricorso effettivo nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione.

87

Nella sua replica la Commissione aggiunge che, nel frattempo, la fondatezza della quarta censura è stata confermata dagli insegnamenti derivanti dalla sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici) (C‑791/19, EU:C:2021:596). Inoltre, la Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe dichiarato, nella sua sentenza del 22 luglio 2021, Reczkowicz c. Polonia (CE:ECHR:2021:0722JUD004344719), che la Sezione disciplinare non era un tribunale costituito per legge, ai sensi dell’articolo 6 della CEDU.

88

A sua difesa, la Repubblica di Polonia afferma che tanto la procedura di nomina dei membri della Sezione disciplinare, quanto le altre garanzie di cui beneficiano questi ultimi una volta nominati sono tali da assicurare l’indipendenza di detta Sezione.

89

Infatti, da un lato, le condizioni che i candidati alle funzioni di giudice del Sąd Najwyższy (Corte suprema) devono soddisfare sarebbero definite esaustivamente nel diritto nazionale e la procedura di nomina di questi ultimi comporterebbe, dopo la pubblicazione di un invito pubblico a presentare candidature, una selezione effettuata dalla KRS, in base alla quale quest’ultima formulerebbe una proposta di nomina dei candidati selezionati. Tale procedimento condurrebbe all’adozione di un atto di nomina, da parte del presidente della Repubblica, il quale non sarebbe tenuto a seguire la proposta della KRS. Quanto alla nuova composizione della KRS, la cui legittimità costituzionale sarebbe stata confermata dal Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale), essa non sarebbe affatto diversa da quella dei consigli nazionali della magistratura istituiti in altri Stati membri. L’intervento del potere legislativo nella designazione dei membri della KRS contribuirebbe, inoltre, a rafforzare la legittimità democratica di quest’ultima, mentre tale nuova composizione avrebbe consentito di garantire una migliore rappresentatività della magistratura polacca.

90

Dall’altro lato, una volta nominati i membri della Sezione disciplinare beneficerebbero di garanzie connesse, in particolare, alla durata indeterminata del loro mandato, alla loro inamovibilità, alla loro immunità, al loro obbligo di rimanere apolitici nonché a diverse incompatibilità professionali e a una retribuzione particolarmente elevata.

Giudizio della Corte

91

Come ricordato ai punti da 69 a 71 della presente sentenza, l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE impone agli Stati membri di prevedere un sistema di rimedi giurisdizionali e di procedimenti che assicuri ai singoli il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, in particolare garantendo che gli organi che sono chiamati, in quanto organi giurisdizionali, a statuire su questioni connesse all’applicazione o all’interpretazione di tale diritto soddisfino i requisiti che consentono di assicurare un siffatto rispetto, tra cui quello connesso all’indipendenza e all’imparzialità di tali organi.

92

Orbene, è pacifico che sia il Sąd Najwyższy (Corte suprema) e, in particolare, la Sezione disciplinare, che ne fa parte, che gli organi giurisdizionali ordinari o amministrativi polacchi possono essere chiamati a pronunciarsi su questioni legate all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione, in quanto «organi giurisdizionali» ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, ragion per cui tali organi giurisdizionali devono soddisfare i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva [v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:59, punto 55 e giurisprudenza ivi citata].

93

Per di più, secondo costante giurisprudenza della Corte, le garanzie di indipendenza e di imparzialità così richieste ai sensi del diritto dell’Unione presuppongono l’esistenza di regole, relative in particolare alla composizione dell’organo di cui trattasi, alla nomina, alla durata delle funzioni nonché alle cause di astensione, di ricusazione e di revoca dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio che i singoli possano nutrire in merito all’impermeabilità di detto organo nei confronti di elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:59, punto 59 e giurisprudenza ivi citata].

94

A tal riguardo, è necessario che i giudici si trovino al riparo da interventi o da pressioni esterni che possano mettere a repentaglio la loro indipendenza. Le regole applicabili allo status dei giudici e all’esercizio delle loro funzioni di giudice devono, in particolare, consentire di escludere non solo qualsiasi influenza diretta, sotto forma di istruzioni, ma anche le forme di influenza più indiretta che possano orientare le decisioni dei giudici interessati, e devono escludere così una mancanza di apparenza d’indipendenza o di imparzialità di questi ultimi tale da ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare ai singoli in una società democratica e in uno Stato di diritto [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:59, punto 60 e giurisprudenza ivi citata].

95

Per quanto riguarda, più in particolare, le norme che disciplinano il regime disciplinare applicabile ai giudici, risulta quindi da una giurisprudenza costante della Corte che il requisito dell’indipendenza derivante dal diritto dell’Unione e, in particolare, dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE impone che tale regime presenti le garanzie necessarie per evitare qualsiasi rischio di utilizzo di un siffatto regime quale sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie. A tale riguardo, l’emanazione di norme che definiscano, segnatamente, sia i comportamenti che integrano illeciti disciplinari sia le sanzioni concretamente applicabili, che prevedano l’intervento di un organo indipendente conformemente a una procedura che garantisca appieno i diritti consacrati agli articoli 47 e 48 della Carta, in particolare i diritti della difesa, e che sanciscano la possibilità di contestare in sede giurisdizionale le decisioni degli organi disciplinari costituisce un insieme di garanzie essenziali ai fini della salvaguardia dell’indipendenza del potere giudiziario [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:59, punto 61 e giurisprudenza ivi citata].

96

Orbene, lo stesso deve valere, in linea di principio, mutatis mutandis, per quanto riguarda altre norme relative allo status dei giudici e all’esercizio delle loro funzioni, come quelle che disciplinano la revoca della loro immunità penale, qualora una siffatta immunità sia, come nel caso di specie, prevista nel diritto nazionale di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza del 18 maggio 2021, Asociaţia Forumul Judecătorilor din România e a., C‑83/19, C‑127/19, C‑195/19, C‑291/19, C‑355/19 e C‑397/19, EU:C:2021:393, punto 213).

97

Infatti, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 206 delle sue conclusioni, l’applicazione di siffatte norme può avere conseguenze considerevoli sia sullo sviluppo della carriera dei giudici, che sulle condizioni di vita di questi ultimi. Questo è certamente il caso di norme come quelle di cui l’articolo 27, paragrafo 1, punti 1a, 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, affida l’applicazione o il controllo alla Sezione disciplinare, nei limiti in cui una siffatta applicazione può condurre a un’autorizzazione a esercitare l’azione penale nei confronti dei giudici di cui trattasi, ad arrestarli e a sottoporli a custodia cautelare, nonché alla sospensione di questi ultimi e alla riduzione della loro retribuzione.

98

Lo stesso vale per quanto riguarda decisioni vertenti su aspetti essenziali dei regimi di diritto del lavoro o di previdenza sociale applicabili a tali giudici, quali i loro diritti in materia di emolumenti, ferie o protezione sociale, o sul loro eventuale pensionamento anticipato, in particolare per motivi medici.

99

In tali circostanze, l’ordinamento giuridico dello Stato membro di cui trattasi deve prevedere garanzie idonee a evitare qualsiasi rischio di utilizzo di siffatte norme o decisioni come sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie o come strumento di pressione e di intimidazione nei confronti dei giudici, che può far sorgere, segnatamente, un’apparenza di mancanza di indipendenza o di imparzialità in capo agli stessi, idonea a ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare ai singoli in una società democratica e in uno Stato di diritto (v., in tal senso, sentenza del 18 maggio 2021, Asociaţia Forumul Judecătorilor din România e a., C‑83/19, C‑127/19, C‑195/19, C‑291/19, C‑355/19 e C‑397/19, EU:C:2021:393, punto 216).

100

A tali fini, è quindi importante che, come ricordato al punto 95 della presente sentenza relativamente alle norme applicabili al regime disciplinare dei giudici, le decisioni che autorizzano l’esercizio dell’azione penale nei confronti dei giudici di cui trattasi, il loro arresto e la loro detenzione, nonché la sospensione di questi ultimi o la riduzione della loro retribuzione, oppure le decisioni relative ad aspetti essenziali dei regimi di diritto del lavoro, di previdenza sociale o di pensionamento applicabili a tali giudici siano adottate o controllate da un organo che soddisfi a sua volta le garanzie inerenti a una tutela giurisdizionale effettiva, tra cui quella di indipendenza [v., per analogia, sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:59, punto 80 e giurisprudenza ivi citata].

101

A questo proposito, occorre sottolineare, in particolare, che la semplice prospettiva, per i giudici, di correre il rischio che un’autorizzazione all’esercizio dell’azione penale nei loro confronti possa essere richiesta e ottenuta presso un organo la cui indipendenza non sia garantita può pregiudicare la loro propria indipendenza [v., per analogia, sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:59, punto 82 e giurisprudenza ivi citata]. Lo stesso vale per quanto riguarda il rischio che un siffatto organo decida sull’eventuale sospensione degli stessi dalle loro funzioni e sulla riduzione della loro retribuzione o sul loro pensionamento anticipato, oppure ancora che si pronunci su altri aspetti essenziali del loro regime di diritto del lavoro e della previdenza sociale.

102

Orbene, nel caso di specie si deve ricordare che, visti tutti gli elementi rilevati e tutte le considerazioni enunciate ai punti da 89 a 110 della sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:59), ai quali occorre fare riferimento, la Corte ha dichiarato, al punto 112 di tale sentenza, che, considerati congiuntamente, il contesto particolare e le condizioni obiettive nelle quali è stata creata la Sezione disciplinare, le sue caratteristiche nonché le modalità di nomina dei suoi membri sono atti a suscitare dubbi legittimi nei singoli quanto all’impermeabilità di tale organo rispetto a elementi esterni e, in particolare, rispetto a influenze dirette o indirette dei poteri legislativo ed esecutivo polacchi, e alla sua neutralità rispetto agli interessi contrapposti, e possono quindi condurre a una mancanza di apparenza di indipendenza o di imparzialità di detto organo, tale da ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare a detti singoli in una società democratica e in uno Stato di diritto.

103

In tali circostanze, la quarta censura deve essere accolta.

Sulla terza censura

Argomenti delle parti

104

La terza censura, che occorre esaminare per seconda, si articola in due parti.

105

Con la prima parte di tale censura la Commissione contesta la compatibilità con il diritto dell’Unione delle disposizioni dell’articolo 72, paragrafo 1, punti 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e di quelle dell’articolo 107, paragrafo 1, punti 2 e 3, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, le quali erigono a illeciti disciplinari, in capo ai giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema) e ai giudici degli organi giurisdizionali ordinari, da un lato, gli atti o le omissioni idonei a ostacolare o a compromettere seriamente il funzionamento di un’autorità giudiziaria e, dall’altro, gli atti che mettono in discussione l’esistenza del rapporto di lavoro di un giudice, l’efficacia della nomina di un giudice o la legittimazione di un organo costituzionale della Repubblica di Polonia. La Commissione precisa, a tal riguardo, che, come risulta dall’articolo 29, paragrafo 1, e dall’articolo 49, paragrafo 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, le disposizioni dell’articolo 107, paragrafo 1, punti 2 e 3, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, si applicano anche ai giudici degli organi giurisdizionali amministrativi.

106

Secondo la Commissione, tali disposizioni nazionali ledono, in primo luogo, il combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, in quanto mirano a impedire a tutti i giudici di cui trattasi, a pena di sanzioni disciplinari che possono arrivare fino alla revoca, di effettuare valutazioni, come essi hanno invece l’obbligo di fare in base alla giurisprudenza della Corte, in merito alla questione se, nelle controversie relative a diritti individuali derivanti dal diritto dell’Unione, il diritto dei singoli a che la loro causa sia esaminata da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, possa essere garantito o non sia stato violato.

107

Mentre un illecito disciplinare dovrebbe sempre essere formulato in modo chiaro e preciso, i termini «idonei a ostacolare» o «compromettere seriamente» il funzionamento di un’autorità giudiziaria, contenuti all’articolo 72, paragrafo 1, punto 2, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e all’articolo 107, paragrafo 1, punto 2, della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, non soddisfarebbero tale requisito.

108

Così tali termini consentirebbero, ad esempio, di affermare la sussistenza di un illecito previsto in tali disposizioni nazionali qualora, invece di rinviare l’esame di un’istanza di ricusazione dinanzi alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, come richiesto dall’articolo 26, paragrafo 2, della legge sulla Corte suprema, come modificata, un organo giurisdizionale proceda esso stesso all’esame della questione se il giudice di cui trattasi sia indipendente e concluda che non lo è, basandosi sulla giurisprudenza della Corte.

109

Lo stesso avverrebbe laddove, conformandosi agli obblighi ad esso incombenti in forza della sentenza A. K. e a., un giudice nazionale applichi, nei confronti di un altro organo giurisdizionale chiamato a statuire su una controversia, i criteri stabiliti dalla Corte ai punti da 132 a 154 di tale sentenza, e decida, in considerazione di detti criteri, da un lato, di disapplicare la disposizione nazionale che attribuisce una competenza a quest’ultimo organo giurisdizionale per mancanza di indipendenza dello stesso e, dall’altro, di rinviare la controversia di cui trattasi a un organo giurisdizionale terzo che offra siffatte garanzie di indipendenza. Infatti, una siffatta azione giurisdizionale potrebbe essere considerata costitutiva di un atto o di un’omissione in grado di ostacolare o di compromettere seriamente il funzionamento di un’autorità giudiziaria, ai sensi delle disposizioni nazionali contestate.

110

Per quanto riguarda gli atti previsti all’articolo 72, paragrafo 1, punto 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e all’articolo 107, paragrafo 1, punto 3, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, essi potrebbero includere, in particolare, non solo la contestazione della validità stessa dell’atto di nomina di un giudice, ma, più in generale, qualsiasi valutazione negativa effettuata in merito alla regolarità della procedura di nomina di quest’ultimo, al fine di verificare il rispetto del requisito del diritto dell’Unione relativo al giudice precostituito per legge. Pertanto, l’illecito di cui trattasi potrebbe, ad esempio, essere considerato sussistente qualora un organo giurisdizionale, pronunciandosi in appello, accerti che l’organo giurisdizionale di primo grado non era un organo giurisdizionale precostituito per legge, a causa delle modalità che erano state seguite per la nomina dei giudici che lo componevano, e annulli, per tale motivo, la decisione di quest’ultimo organo giurisdizionale.

111

A tal riguardo, risulterebbe in particolare dai punti 133 e 134 della sentenza A. K. e a. che, nel contesto dell’esame che incombe a ogni giudice nazionale descritto al punto 109 della presente sentenza, è necessario, segnatamente, che quest’ultimo possa assicurarsi che i requisiti sostanziali e le modalità procedurali che presiedono all’adozione delle nomine dei giudici che compongono l’organo giurisdizionale la cui indipendenza è messa in dubbio siano tali da non poter suscitare nei singoli dubbi legittimi in merito all’impermeabilità dei giudici interessati rispetto a elementi esterni e alla loro neutralità rispetto agli interessi in gioco, una volta avvenuta la loro nomina. Orbene, il fatto stesso di procedere a un siffatto controllo potrebbe, anch’esso, essere sanzionato in via disciplinare in base alle disposizioni nazionali contestate.

112

Dalla relazione illustrativa del progetto di legge che ha condotto all’adozione della legge di modifica risulterebbe, peraltro, che i nuovi illeciti disciplinari così istituiti hanno avuto come obiettivo primario quello di tutelare il potere giudiziario e gli organi costituzionali dello Stato contro le contestazioni provenienti dai loro stessi organi.

113

Inoltre, tali nuovi illeciti riguarderebbero il contenuto delle decisioni giurisdizionali, benché il requisito di indipendenza dei giudici osti a che il regime disciplinare applicato a questi ultimi possa essere utilizzato a fini di controllo politico di un siffatto contenuto.

114

In secondo luogo, la Commissione sostiene che le disposizioni nazionali di cui al punto 105 della presente sentenza violano altresì l’articolo 267 TFUE. Infatti, il fatto stesso, per un giudice nazionale, di sospendere un procedimento in corso e di sottoporre alla Corte questioni pregiudiziali relative all’interpretazione dei requisiti attinenti al diritto a una tutela giurisdizionale effettiva derivante dal diritto dell’Unione, a causa, ad esempio, di dubbi nutriti da tale giudice in merito alla conformità ai requisiti in parola della competenza attribuita a un organo giurisdizionale nazionale o a un organo costituzionale come la KRS oppure delle condizioni in cui è avvenuta la nomina di un giudice, potrebbe essere qualificato come illecito disciplinare, in considerazione della formulazione di tali disposizioni nazionali.

115

Con la seconda parte della terza censura, la Commissione afferma che l’introduzione, all’articolo 72, paragrafo 1, punto 1, della legge sulla Corte suprema, come modificata, di un illecito disciplinare costituito da una violazione «manifesta e flagrante» delle disposizioni di legge si espone alle medesime critiche formulate dalla Commissione, nell’ambito del ricorso per inadempimento da essa proposto nella causa Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici) (C‑791/19, EU:C:2021:596), riguardo alla disposizione, formulata in termini identici, che figura all’articolo 107, paragrafo 1, punto 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari. Infatti, un illecito formulato in termini così vaghi, e per di più in un contesto, descritto dalla Commissione in tale ricorso per inadempimento, di intensificazione delle azioni condotte a livello disciplinare nei confronti dei giudici e di moltiplicazione delle pressioni del potere esecutivo sull’attività degli organi disciplinari, comporterebbe il rischio che tale articolo 72, paragrafo 1, punto 1, sia utilizzato a fini di controllo politico e di paralisi dell’attività giurisdizionale dei giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema).

116

Nella sua replica la Commissione afferma che gli insegnamenti derivanti dalla sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici) (C‑791/19, EU:C:2021:596), hanno, nel frattempo pienamente confermato la fondatezza della terza censura.

117

Infine, nel corso dell’udienza la Commissione ha sottolineato che il contesto in cui la legge di modifica era stata adottata, in via d’urgenza e appena un mese dopo la pronuncia della sentenza A. K. e a., che riguardava la valutazione dell’indipendenza della Sezione disciplinare e quella della KRS, confermava che la reale funzione delle disposizioni nazionali contestate nell’ambito della terza censura, al pari di quella delle disposizioni nazionali contestate da tale istituzione nell’ambito della prima censura, era di impedire ai giudici polacchi di applicare gli insegnamenti della sentenza A. K. e a., nonché quelli risultanti dalla sentenza del 6 ottobre 2021, W.Ż. (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema – Nomina) (C‑487/19, EU:C:2021:798), nel frattempo emessa.

118

In effetti, da tali sentenze risulterebbe, in particolare, che il controllo della procedura di nomina dei giudici, nonché l’esame diretto a garantire, in tale contesto, che la KRS costituisca un organo indipendente, possono risultare necessari al fine di assicurarsi che i giudici di cui trattasi o l’organo giurisdizionale a cui appartengono siano indipendenti e precostituiti per legge. Orbene, un controllo e un esame del genere sarebbero preclusi dalle disposizioni nazionali contestate, in quanto esse consentono di sanzionare in via disciplinare ogni messa in discussione dell’efficacia della nomina di un giudice o della legittimità di un organo costituzionale.

119

A sua difesa, la Repubblica di Polonia afferma che la Commissione non ha soddisfatto l’onere della prova e che essa deduce semplici presunzioni riguardo alle disposizioni nazionali contestate, adottando interpretazioni di queste ultime incompatibili con il loro tenore letterale e il loro scopo, omettendo al contempo di dare atto di una qualsivoglia prassi dell’amministrazione o degli organi giurisdizionali polacchi che possa suffragare tali interpretazioni.

120

Infatti, in primo luogo, la corretta applicazione del diritto dell’Unione da parte di un organo giurisdizionale nazionale, in particolare per quanto riguarda l’indipendenza dei giudici o la qualità di giudice precostituito per legge, oppure il fatto di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte non possono costituire un atto o un’omissione in grado di ostacolare o di compromettere seriamente il funzionamento della giustizia, dal momento che la finalità dell’illecito disciplinare di cui trattasi consiste, al contrario, proprio nel garantire che i giudici non violino i loro doveri né si comportino in modo incompatibile con la dignità delle loro funzioni.

121

In secondo luogo, per quanto riguarda gli illeciti disciplinari connessi alla messa in discussione del mandato o del rapporto di lavoro di un giudice, essi non potrebbero derivare né dal fatto che un giudice esamini la questione se un singolo benefici del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, né, in caso di eventuale violazione di un siffatto diritto, dalla circostanza che un tale giudice ne tragga le conseguenze previste dalla legge, quali la ricusazione del giudice, il rinvio della controversia dinanzi a un altro organo giurisdizionale che offra tutte le garanzie di indipendenza o l’annullamento della decisione giurisdizionale. Siffatti illeciti non potrebbero neppure derivare dalla circostanza che vengano rivolte alla Corte questioni pregiudiziali relative all’indipendenza della giustizia, come del resto dimostrerebbero diversi rinvii aventi tale oggetto recentemente effettuati da giudici polacchi, senza che per tale motivo siano stati avviati procedimenti disciplinari.

122

Gli illeciti disciplinari previsti dalle disposizioni nazionali contestate consisterebbero, invero, solo nella messa in discussione dell’atto di nomina di un giudice o degli effetti di tale nomina nell’ambito di procedimenti non previsti dalla Costituzione, il che sarebbe, peraltro, conforme ai requisiti di inamovibilità dei giudici e di stabilità del loro rapporto di lavoro.

123

In terzo luogo, l’illecito disciplinare relativo a una violazione «manifesta e flagrante» delle disposizioni di legge sarebbe stato introdotto all’articolo 72, paragrafo 1, punto 1, della legge sulla Corte suprema, come modificata, al solo scopo di allineare i casi di responsabilità disciplinare dei giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema) a quelli applicabili ai giudici degli organi giurisdizionali ordinari, previsti all’articolo 107, paragrafo 1, punto 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, sicché alle due disposizioni in parola dovrebbe essere riconosciuta la medesima portata. Orbene, l’articolo 107, paragrafo 1, punto 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari sarebbe oggetto di un’interpretazione consolidata e molto restrittiva da parte del Sąd Najwyższy (Corte suprema), che esclude che un siffatto illecito possa derivare dal contenuto delle decisioni giudiziarie che interpretano la legge. In particolare, il fatto che un giudice nazionale adempia agli obblighi che gli incombono in forza del diritto dell’Unione, compreso quello di garantire alla parte il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, o la circostanza che un siffatto giudice interroghi la Corte in merito all’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione non possono, per definizione, costituire una violazione manifesta e flagrante delle disposizioni di legge, ai sensi di tale articolo 72, paragrafo 1, punto 1.

124

Infine, la Repubblica di Polonia ritiene che la terza e la seconda censura siano contraddittorie, in quanto non sarebbe possibile sostenere che il diritto nazionale vieti ai giudici degli organi giurisdizionali nazionali, a pena di sanzione disciplinare, di controllare l’eventuale sussistenza di violazioni del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, affermando al contempo che la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche dispone di una competenza esclusiva a decidere sui motivi vertenti su tali violazioni.

Giudizio della Corte

– Considerazioni preliminari

125

In via preliminare, occorre, da un lato, ricordare che, sebbene la determinazione del regime disciplinare applicabile ai giudici rientri nella competenza degli Stati membri, resta il fatto che, nell’esercizio di tale competenza, ciascuno Stato membro è tenuto a rispettare il diritto dell’Unione. La Repubblica di Polonia è, quindi, tenuta a garantire che il regime disciplinare da essa istituito nei confronti dei giudici nazionali sia idoneo a preservare l’indipendenza di organi giurisdizionali che, come gli organi giurisdizionali ordinari, gli organi giurisdizionali amministrativi e il Sąd Najwyższy (Corte suprema), sono chiamati a pronunciarsi su questioni connesse all’applicazione o all’interpretazione del diritto dell’Unione, al fine di garantire ai singoli la tutela giurisdizionale effettiva richiesta dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE [v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 136 e giurisprudenza ivi citata]. Conformemente al principio della separazione dei poteri che caratterizza il funzionamento di uno Stato di diritto, una tale indipendenza, in particolare dai poteri legislativo ed esecutivo, deve essere garantita [sentenza del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale), C‑430/21, EU:C:2022:99, punto 42 e giurisprudenza ivi citata].

126

Per quanto riguarda i comportamenti che possono essere qualificati come illeciti disciplinari in capo ai giudici, la Corte ha, in effetti, precisato che la tutela di tale indipendenza non può avere la conseguenza di escludere totalmente che la responsabilità disciplinare di un giudice possa, in taluni casi del tutto eccezionali, sorgere a causa di decisioni giudiziarie adottate da quest’ultimo. Infatti, un siffatto requisito di indipendenza non mira, evidentemente, ad avallare eventuali condotte gravi e totalmente inescusabili imputabili ai giudici, che consistano, ad esempio, nel violare deliberatamente e con dolo o con colpa particolarmente grave e grossolana le norme del diritto nazionale e dell’Unione di cui essi dovrebbero garantire il rispetto, o nel commettere arbitrio o diniego di giustizia quando essi sono chiamati, in quanto depositari della funzione giudicante, a pronunciarsi sulle controversie loro sottoposte dai singoli [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 137].

127

La Corte ha, nondimeno, dichiarato che restava essenziale, al fine di preservare detta indipendenza ed evitare in tal modo che il regime disciplinare possa essere sviato dalle sue finalità legittime e utilizzato a fini di controllo politico delle decisioni giudiziarie, che l’affermazione della responsabilità disciplinare di un giudice a causa di una siffatta decisione sia limitata a casi del tutto eccezionali, come quelli menzionati al punto precedente, e inquadrata, a tal proposito, da criteri oggettivi e verificabili, attinenti a esigenze relative alla buona amministrazione della giustizia, nonché da garanzie dirette a evitare qualsiasi rischio di pressioni esterne sul contenuto delle decisioni giudiziarie. A tal fine, occorre, in particolare, che siano previste norme che definiscano in modo sufficientemente chiaro e preciso i comportamenti idonei a far sorgere la responsabilità disciplinare dei giudici di cui trattasi [v., in tal senso, sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punti da 138 a 140 e giurisprudenza ivi citata].

128

Dall’altro lato, occorre altresì ricordare che, come emerge dalla giurisprudenza della Corte, per garantire la preservazione delle caratteristiche specifiche e dell’autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione, i Trattati hanno istituito un sistema giurisdizionale destinato ad assicurare la coerenza e l’unità nell’interpretazione del diritto dell’Unione. In tale contesto, l’articolo 19 TUE, che, come menzionato al punto 69 della presente sentenza, concretizza il valore dello Stato di diritto affermato all’articolo 2 TUE, affida ai giudici nazionali e alla Corte il compito di garantire la piena applicazione del diritto dell’Unione in tutti gli Stati membri nonché la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza di detto diritto [v., in tal senso, sentenze del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punti 3940 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina dei giudici alla Corte suprema – Ricorso), C‑824/18, EU:C:2021:153, punto 108 e giurisprudenza ivi citata].

129

Come ricorda la Commissione, la Corte ha dichiarato, in tal senso, che il diritto fondamentale a un equo processo e, in particolare, le garanzie d’accesso ad un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge che caratterizzano tale diritto fondamentale implicano segnatamente che ogni organo giurisdizionale abbia l’obbligo di verificare se la sua composizione gli consenta di costituire un siffatto tribunale quando, al riguardo, sorga un dubbio serio, essendo tale verifica necessaria nell’interesse della fiducia che in una società democratica il giudice deve ispirare al singolo parte in giudizio (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2020, Riesame Simpson/Consiglio e HG/Commissione, C‑542/18 RX‑II e C‑543/18 RX‑II, EU:C:2020:232, punto 57).

130

Più in generale, dalla giurisprudenza della Corte risulta, a tal riguardo, che la verifica del rispetto dei requisiti derivanti dal diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva, ai sensi delle disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, TUE e dell’articolo 47 della Carta, e, in particolare, di quelle relative all’accesso a un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, può imporsi agli organi giurisdizionali nazionali in talune circostanze [v., ad esempio, sentenze A.K. e a., punti 153, 154, 164 e 166; del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina dei giudici alla Corte suprema – Ricorso), C‑824/18, EU:C:2021:153, punti 139, 149, 165166, e del 16 novembre 2021, Prokuratura Rejonowa w Mińsku Mazowieckim e a., da C‑748/19 a C‑754/19, EU:C:2021:931, punti 7487].

131

In particolare, è acquisito che un organo giurisdizionale nazionale deve, in determinate circostanze, poter verificare se un’irregolarità che vizia la procedura di nomina di un giudice possa aver determinato una violazione di tale diritto fondamentale [v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2021, W.Ż. (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema – Nomina), C‑487/19, EU:C:2021:798, punti 130131, da 152 a 154 e 159].

132

In tali circostanze, il fatto che un organo giurisdizionale nazionale svolga i compiti che gli sono così affidati dai trattati e ottemperi, in tal modo, agli obblighi a esso incombenti in forza di questi ultimi, dando attuazione a disposizioni quali l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e l’articolo 47 della Carta, non può, per definizione, essere qualificato come illecito disciplinare in capo ai giudici che siedono in un siffatto organo giurisdizionale, senza che dette disposizioni del diritto dell’Unione siano ipso facto violate.

– Sulla prima parte della terza censura

133

Con la prima parte della terza censura la Commissione chiede alla Corte di accertare che, avendo adottato e mantenuto le disposizioni di cui all’articolo 72, paragrafo 1, punti 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e all’articolo 107, paragrafo 1, punti 2 e 3, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, la Repubblica di Polonia è venuta meno ai suoi obblighi ai sensi, da un lato, del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta e, dall’altro, dell’articolo 267 TFUE.

134

Come risulta dal loro tenore letterale, tali disposizioni nazionali qualificano come illeciti disciplinari, in capo ai giudici degli organi giurisdizionali ordinari e del Sąd Najwyższy (Corte suprema), gli «atti o omissioni idonei a ostacolare o compromettere seriamente il funzionamento di un’autorità giudiziaria», nonché gli «atti che mettono in discussione l’esistenza del rapporto di lavoro di un giudice, l’efficacia della nomina di un giudice o la legittimazione di un organo costituzionale della Repubblica di Polonia». Per di più, dall’articolo 29, paragrafo 1, e dall’articolo 49, paragrafo 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, risulta che tali illeciti disciplinari si applicano anche nei confronti dei giudici degli organi giurisdizionali amministrativi.

135

Per quanto riguarda, da un lato, l’asserita violazione del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, occorre constatare, in primo luogo, che, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica di Polonia, i termini in cui sono, dunque, redatte le disposizioni nazionali contestate non consentono di ritenere che detti illeciti disciplinari riguardino esclusivamente atti giurisdizionali aventi ad oggetto la validità stessa dell’atto di nomina di un giudice.

136

Infatti, i riferimenti contenuti in tali disposizioni nazionali ad «atti o omissioni» in grado di «ostacolare o compromettere seriamente» il «funzionamento» di un’«autorità giudiziaria» o, ancora, ad «atti»«che mettono in discussione» l’esistenza del «rapporto di lavoro di un giudice», l’«efficacia» della nomina di un giudice o la «legittimazione di un organo costituzionale» sono tali da far sì che una gamma piuttosto ampia di atti od omissioni, in particolare giurisdizionali, possano, in considerazione del loro contenuto o dei loro effetti, essere qualificati come «illeciti disciplinari» in capo ai giudici di cui trattasi, senza che la summenzionata lettura riduttiva che la Repubblica di Polonia dà alle citate disposizioni nazionali possa, pertanto, essere supportata dai termini ai quali ha fatto ricorso il legislatore polacco.

137

Come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 181 e 183 delle sue conclusioni, siffatti riferimenti sono a tal punto ampi e vaghi da poter, in particolare, condurre all’applicazione delle disposizioni nazionali contestate e all’avvio di procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici di cui trattasi nei casi in cui questi ultimi esaminino e decidano se essi stessi o l’organo giurisdizionale in cui siedono oppure altri giudici o gli organi giurisdizionali a cui gli stessi appartengono soddisfino i requisiti derivanti dalle disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta.

138

Per di più, in considerazione della loro formulazione non sufficientemente chiara e precisa, tali disposizioni nazionali non consentono neppure di garantire che la responsabilità dei giudici di cui trattasi per le decisioni giurisdizionali che essi sono chiamati a emettere sia strettamente limitata a ipotesi del tutto eccezionali, come quelle menzionate al punto 126 della presente sentenza.

139

In secondo luogo, come sostenuto dalla Commissione, occorre altresì tener conto delle condizioni e del contesto particolari in cui dette disposizioni nazionali sono state adottate, i quali sono, infatti, in grado di contribuire a chiarire la portata di queste ultime.

140

A tal riguardo, non si può, in particolare, ignorare che i termini che il legislatore polacco ha, così, privilegiato al momento dell’adozione, in via d’urgenza e sulla base di un progetto di legge sottoposto alla Dieta il 12 dicembre 2019, della legge di modifica del 20 dicembre 2019, che ha introdotto le disposizioni nazionali contestate nella legge sulla Corte suprema, nella legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari e nella legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, riecheggiano manifestamente e specificamente una serie di quesiti sollevati da diversi organi giurisdizionali polacchi per quanto riguarda la conformità al diritto dell’Unione e, più specificamente, ai requisiti derivanti dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dall’articolo 47 della Carta, di alcune modifiche legislative recenti che hanno inciso sull’organizzazione della giustizia in Polonia.

141

Così, sotto un primo profilo, dalla sentenza A.K. e a., pronunciata poco prima dell’adozione della legge di modifica, e in particolare dai punti 134, 139 e 149 nonché dal dispositivo di tale sentenza, risultava chiaramente che il giudice del rinvio nelle cause riunite che hanno dato luogo a quest’ultima e, in considerazione dell’effetto erga omnes delle sentenza interpretative pronunciate dalla Corte sulla base dell’articolo 267 TFUE [v., in tal senso, sentenze dell’11 giugno 1987, X, 14/86, EU:C:1987:275, punto 12 e giurisprudenza ivi citata; del 24 novembre 2020, Openbaar Ministerie (Falso in atti), C‑510/19, EU:C:2020:953, punto 73 e giurisprudenza ivi citata, e del 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑561/19, EU:C:2021:799, punto 36 e giurisprudenza ivi citata], tutti gli altri organi giurisdizionali nazionali che fossero successivamente chiamati a statuire su controversie analoghe potrebbero essere tenuti, sulla base del diritto dell’Unione, da un lato, a pronunciarsi sull’idoneità di un organo come la Sezione disciplinare a decidere o meno in merito a controversie rientranti nell’ambito del diritto dell’Unione, prendendo in considerazione, segnatamente, le condizioni in cui è avvenuta la nomina dei membri dello stesso, e, dall’altro, a pronunciarsi sull’indipendenza della KRS, quale organo chiamato a intervenire nel processo di nomina dei giudici.

142

Orbene, in tal modo, gli organi giurisdizionali nazionali incaricati di applicare, nell’ambito della loro competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione possono essere chiamati ad adottare atti che possono rivelarsi «idonei a ostacolare o compromettere seriamente il funzionamento di un’autorità giudiziaria», come la Sezione disciplinare, e a «mettere in discussione»«l’efficacia della nomina» dei giudici che siedono in quest’ultima, nonché degli atti che possono «mettere in discussione (...) la legittimazione di un organo costituzionale», come la KRS, e che possono pertanto ricadere nell’ambito delle disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nella prima parte della terza censura.

143

Del resto, occorre altresì tener conto, a tal riguardo, del fatto che, nella sua sentenza del 5 dicembre 2019 (III PO 7/18), il Sąd Najwyższy (Izba Pracy i Ubezpieczeń Społecznych) [Corte suprema (Sezione per il lavoro e la previdenza sociale)] aveva esso stesso dichiarato, sulla base degli insegnamenti derivanti dalla sentenza A. K. e a., che la KRS, nella sua nuova composizione, non costituiva un organo indipendente dai poteri legislativo ed esecutivo polacchi e che la Sezione disciplinare non era un giudice, ai sensi dell’articolo 47 della Carta, dell’articolo 6 della CEDU e dell’articolo 45, paragrafo 1, della Costituzione.

144

Sotto un secondo profilo, occorre rilevare che, alla data di adozione delle disposizioni nazionali contestate, la Corte era altresì investita, in via pregiudiziale, di diverse questioni relative all’interpretazione delle disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, che le erano state sottoposte da giudici polacchi e dirette, in particolare, a chiarire se tale disposizione debba essere interpretata nel senso che:

non costituisce un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, un organo giurisdizionale composto da una persona nominata a ricoprire la funzione di giudice in palese violazione delle disposizioni dello Stato membro che disciplinano la nomina dei giudici [causa C‑487/19, W.Ż. (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema – Nomina)];

in un procedimento volto all’accertamento dell’inesistenza di un rapporto di lavoro di un giudice, un organo giurisdizionale nazionale può constatare che una persona che è stata nominata alla funzione di giudice in modo incompatibile con il principio di tutela giurisdizionale effettiva non è giudice [causa C‑508/19, Prokurator Generalny e a. (Sezione disciplinare della Corte Suprema – Nomina)];

sussiste una violazione dei requisiti della tutela giurisdizionale effettiva, compresa l’indipendenza dell’autorità giudiziaria, in una situazione in cui un procedimento penale sia strutturato in modo tale che un giudice appartenente a un organo giurisdizionale di grado immediatamente inferiore possa essere distaccato dal Ministro della Giustizia presso il collegio giudicante chiamato a conoscere di una determinata controversia, senza che vengano resi noti i criteri applicati ai fini di un siffatto distacco né che tale decisione di distacco possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale, mentre tale Ministro è autorizzato a revocare detto distacco in qualsiasi momento (cause riunite da C‑748/19 a C‑754/19, Prokuratura Rejonowa w Mińsku Mazowieckim e a.).

145

Orbene, si deve necessariamente constatare che, in base al loro contenuto, le risposte allora attese a tali diverse questioni erano manifestamente idonee a condurre i giudici del rinvio che avevano adito la Corte nelle cause di cui trattasi e, inoltre, ogni altro giudice nazionale chiamato, in futuro, a statuire su controversie analoghe, a dover, se del caso, adottare atti suscettibili di essere ritenuti tali da aver «me[sso] in discussione» talvolta «l’efficacia della nomina di un giudice», talvolta «l’esistenza del rapporto di lavoro di un giudice», oppure da aver «comprome[sso] seriamente il funzionamento di un’autorità giudiziaria», ai sensi delle disposizioni nazionali contestate, e che possono, pertanto, ricadere nell’ambito di applicazione di queste ultime.

146

Sotto un terzo profilo, occorre sottolineare che, in una delle sentenze che erano, dunque, attese alla data di adozione di tali disposizioni nazionali, ossia la sentenza del 6 ottobre 2021, W.Ż. (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche della Corte suprema – Nomina) (C‑487/19, EU:C:2021:798), la Corte ha dichiarato che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e il principio del primato del diritto dell’Unione devono essere interpretati nel senso che un organo giurisdizionale nazionale chiamato a pronunciarsi su un’istanza di ricusazione che si innesta su un ricorso con il quale un giudice che esercita le sue funzioni presso un organo giurisdizionale che può interpretare e tale diritto impugna una decisione che lo ha trasferito senza il suo consenso, deve, qualora tale conseguenza sia indispensabile alla luce della situazione procedurale di cui trattasi per garantire il primato di detto diritto, considerare inesistente un’ordinanza con la quale un organo che si pronuncia in ultimo grado e come giudice unico ha respinto detto ricorso, qualora da tutte le condizioni e circostanze in cui si è svolto il processo di nomina di tale giudice unico risulti che tale nomina è avvenuta in palese violazione di norme fondamentali facenti parte integrante dell’istituzione e del funzionamento del sistema giudiziario in questione e che l’integrità del risultato al quale detto processo ha condotto è messa a repentaglio, suscitando dubbi legittimi nei singoli quanto all’indipendenza e all’imparzialità del giudice di cui trattasi, cosicché detta ordinanza non può considerarsi emessa da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, ai sensi di detto articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

147

Orbene, risulta che, procedendo all’esame così richiesto ed eventualmente disapplicando, per i motivi summenzionati, un’ordinanza come quella oggetto del procedimento principale nella causa C‑487/19, i giudici che compongono l’organo giurisdizionale del rinvio in tale causa, così come tutti i giudici che, in futuro, siano chiamati a procedere a un siffatto esame e ad adottare una decisione del genere, rischiano di vedersi contestare di aver, in tal modo, «messo in discussione»«l’efficacia della nomina del giudice» che ha emesso una tale ordinanza o di aver adottato un atto «idone[o] a ostacolare o compromettere seriamente il funzionamento di un’autorità giudiziaria», ai sensi delle disposizioni nazionali contestate.

148

Per di più, in un’altra sentenza attesa alla data di adozione di tali disposizioni nazionali, vale a dire la sentenza del 16 novembre 2021, Prokuratura Rejonowa w Mińsku Mazowieckim e a. (da C‑748/19 a C‑754/19, EU:C:2021:931), la Corte ha dichiarato, come risulta dal dispositivo di detta sentenza, che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, letto alla luce dell’articolo 2 TUE, nonché l’articolo 6, paragrafi 1 e 2, della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (GU 2016, L 65, pag. 1), devono essere interpretati nel senso che essi ostano a disposizioni nazionali in forza delle quali il Ministro della Giustizia di uno Stato membro può, sulla base di criteri che non sono resi pubblici, da un lato, distaccare un giudice presso un organo giurisdizionale penale di grado superiore per un periodo di tempo determinato o indeterminato e, dall’altro, in qualsiasi momento e con decisione non motivata, revocare tale distacco, indipendentemente dalla durata determinata o indeterminata di quest’ultimo.

149

Orbene, appare ancora una volta che, essendo chiamati a tirare le conseguenze della sentenza del 16 novembre 2021, Prokuratura Rejonowa w Mińsku Mazowieckim e a. (da C‑748/19 a C‑754/19, EU:C:2021:931), i giudici che compongono l’organo giurisdizionale del rinvio nei procedimenti principali che hanno dato luogo a tale sentenza o tutti coloro che, in futuro, siano chiamati a pronunciarsi in situazioni analoghe, rischiano, anch’essi, di vedersi contestare di aver, in tal modo, adottato atti «idonei a ostacolare o compromettere seriamente il funzionamento di un’autorità giudiziaria», ai sensi delle disposizioni nazionali contestate, e, di conseguenza, di essere sottoposti a procedimenti disciplinari su tale base.

150

In terzo luogo, per quanto riguarda il fatto che gli illeciti disciplinari previsti in tali disposizioni nazionali si limiterebbero, secondo la Repubblica di Polonia, a fare riferimento a comportamenti già vietati in forza di disposizioni costituzionali nazionali, come interpretate dal Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale), è sufficiente rilevare che, come risulta dalla giurisprudenza richiamata ai punti da 75 a 79 della presente sentenza, una siffatta circostanza, quand’anche fosse accertata, è irrilevante ai fini della valutazione dei requisiti derivanti, per gli Stati membri, dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

151

Per di più, occorre ricordare che, nell’ipotesi in cui, a seguito di sentenze emesse dalla Corte, un giudice nazionale dovesse ritenere che la giurisprudenza di un organo giurisdizionale costituzionale sia contraria al diritto dell’Unione, il fatto che un tale giudice nazionale disapplichi detta giurisprudenza, conformemente al principio del primato di tale diritto, non può nemmeno essere idoneo a far sorgere la sua responsabilità disciplinare (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2021, Euro Box Promotion e a., C‑357/19, C‑379/19, C‑547/19, C‑811/19 e C‑840/19, EU:C:2021:1034, punto 260).

152

Da tutto quanto precede risulta che il rischio che le disposizioni nazionali menzionate al punto 133 della presente sentenza siano oggetto di un’interpretazione che consenta che il regime disciplinare applicabile ai giudici, e in particolare le sanzioni previste da tale regime, sia utilizzato al fine di impedire agli organi giurisdizionali nazionali di cui trattasi di effettuare taluni accertamenti o valutazioni che, tuttavia, impongono loro le disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, e di influenzare, in tal modo, le decisioni giurisdizionali attese da tali organi giurisdizionali, pregiudicando così l’indipendenza dei giudici che compongono questi ultimi, è accertato nel caso di specie e che dette disposizioni di diritto dell’Unione sono, di conseguenza, violate a tale duplice titolo.

153

Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’asserita violazione dell’articolo 267 TFUE, le considerazioni esposte ai punti da 135 a 149 della presente sentenza conducono parimenti a constatare che i giudici degli organi giurisdizionali ordinari, degli organi giurisdizionali amministrativi o del Sąd Najwyższy (Corte suprema) che sottoporrebbero alla Corte questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione dei requisiti relativi all’indipendenza e all’imparzialità degli organi giurisdizionali, nonché alla nozione di «giudice precostituito per legge» derivante dalle disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, come quelle rivolte alla Corte nell’ambito delle cause pregiudiziali menzionate ai punti 141 e 144 di questa sentenza, rischiano, per il fatto stesso di aver formulato questioni del genere e di aver espresso i loro dubbi all’origine delle stesse, di vedersi rimproverare di aver commesso, in tal modo, gli illeciti previsti dalle disposizioni nazionali contestate.

154

Infatti, come osservato ai punti da 135 a 138 della presente sentenza, tali disposizioni nazionali sono formulate in termini talmente ampi e vaghi da non consentire di escludere che siffatti dubbi e questioni siano percepiti come tali da «mett[ere] in discussione l’esistenza del rapporto di lavoro di un giudice, l’efficacia della nomina di un giudice o la legittimazione di un organo costituzionale della Repubblica di Polonia» o da aver contribuito a «compromettere seriamente il funzionamento di un’autorità giudiziaria», ai sensi di dette disposizioni.

155

Orbene, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 267 TFUE conferisce ai giudici nazionali la più ampia facoltà di adire la medesima qualora ritengano che, nell’ambito di una controversia dinanzi ad essi pendente, siano sorte questioni che richiedono un’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione necessarie per definire la controversia di cui sono investiti [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 223 e giurisprudenza ivi citata].

156

Peraltro, nel caso di organi giurisdizionali come il Sąd Najwyższy (Corte suprema) o il Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa), avverso le cui decisioni non può proporsi un ricorso di diritto interno ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE, tale facoltà si trasforma persino, fatte salve le eccezioni riconosciute dalla giurisprudenza della Corte, in un obbligo di adire la Corte in via pregiudiziale [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 224 e giurisprudenza ivi citata].

157

Sempre per giurisprudenza costante, una norma di diritto nazionale non può impedire a un organo giurisdizionale nazionale di avvalersi della suddetta facoltà o di conformarsi al suddetto obbligo, i quali sono, invero, inerenti al sistema di cooperazione fra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte, instaurato dall’articolo 267 TFUE, e alle funzioni di giudice incaricato dell’applicazione del diritto dell’Unione affidate dalla citata disposizione agli organi giurisdizionali nazionali [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 225 e giurisprudenza ivi citata].

158

Inoltre, una norma di legge nazionale che comporti segnatamente il rischio che un giudice nazionale preferisca astenersi dal porre questioni pregiudiziali alla Corte lede le prerogative così riconosciute ai giudici nazionali dall’articolo 267 TFUE e, di conseguenza, l’efficacia di tale sistema di cooperazione [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 226 e giurisprudenza ivi citata].

159

Pertanto, non possono essere ammesse disposizioni nazionali dalle quali derivi per i giudici nazionali il rischio di esporsi a procedimenti disciplinari per il fatto di aver adito la Corte mediante un rinvio pregiudiziale. Infatti, la mera prospettiva di poter essere, se del caso, sottoposti a procedimenti disciplinari per il fatto di aver proceduto ad un siffatto rinvio o di aver deciso di mantenerlo successivamente alla sua introduzione è atta a pregiudicare l’effettivo esercizio, da parte dei giudici nazionali interessati, della facoltà e delle funzioni indicate al punto 157 della presente sentenza [sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 227 e giurisprudenza ivi citata].

160

In tale contesto, occorre, inoltre, sottolineare che la Corte ha rilevato, in diverse sentenze, che sono state effettivamente già svolte indagini propedeutiche all’avvio di eventuali procedimenti disciplinari relativi a decisioni con le quali taluni giudici ordinari polacchi avevano rivolto alla Corte domande di pronuncia pregiudiziale vertenti, in particolare, sull’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE [v. sentenze del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina dei giudici alla Corte suprema – Ricorso), C‑824/18, EU:C:2021:153, punto 101 e giurisprudenza ivi citata, e del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19, EU:C:2021:596, punto 231].

161

Da tutto quanto precede risulta, quindi, che il rischio che le disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nella prima parte della terza censura possano essere oggetto di un’interpretazione che consenta che il regime disciplinare di cui trattasi sia utilizzato al fine di sanzionare giudici nazionali per aver sottoposto rinvii pregiudiziali alla Corte o per aver mantenuto siffatti rinvii è parimenti accertato e che tali disposizioni nazionali violano, di conseguenza, l’articolo 267 TFUE.

162

Infine, l’argomento della Repubblica di Polonia ripreso al punto 124 della presente sentenza e vertente su un’asserita contraddizione tra la terza censura e la seconda censura deve essere respinto. A tal riguardo, è sufficiente, infatti, rilevare che, mentre la seconda censura in parola mira a denunciare la circostanza che l’esame di talune questioni giuridiche rientra nella competenza esclusiva della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, la terza censura verte, dal canto suo, sulla conformità al diritto dell’Unione di disposizioni che qualificano alcuni tipi di comportamento come illeciti disciplinari in capo ai giudici degli organi giurisdizionali ordinari, degli organi giurisdizionali amministrativi e del Sąd Najwyższy (Corte suprema), compresi, peraltro, i giudici della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche.

163

In considerazione di tutto quanto precede, occorre constatare che le disposizioni dell’articolo 72, paragrafo 1, punti 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e dell’articolo 107, paragrafo 1, punti 2 e 3, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, violano sia il combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, che le disposizioni dell’articolo 267 TFUE, sicché la prima parte della terza censura della Commissione deve essere accolta.

– Sulla seconda parte della terza censura

164

Occorre rilevare, anzitutto, che, come sottolineato dalla Commissione, la disposizione dell’articolo 72, paragrafo 1, punto 1, della legge sulla Corte suprema, come modificata, la quale qualifica come illecito disciplinare, in capo ai giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema), la «violazione manifesta e flagrante delle disposizioni di legge», riprende, a questo proposito, una formula identica a quella che già conteneva l’articolo 107, paragrafo 1, punto 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, prima della sua novella da parte della legge di modifica, che qualificava parimenti una siffatta violazione come illecito disciplinare in capo ai giudici di tali organi giurisdizionali.

165

Orbene, come risulta dal punto 157 e dal secondo trattino del punto 1 del dispositivo della sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici) (C‑791/19, EU:C:2021:596), pronunciata in pendenza del presente procedimento, la Corte ha dichiarato, con riferimento alla norma di cui all’articolo 107, paragrafo 1, punto 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, che, alla luce di tutte le considerazioni enunciate ai punti da 134 a 156 di tale sentenza, era accertato che, nel particolare contesto risultante dalle recenti riforme che hanno interessato il potere giudiziario e il regime disciplinare applicabile ai giudici degli organi giurisdizionali ordinari in Polonia, la definizione della nozione di «illecito disciplinare» contenuta in detta disposizione non consentiva di evitare che tale regime disciplinare fosse utilizzato per generare, nei confronti di tali giudici, chiamati a interpretare e ad applicare il diritto dell’Unione, pressioni e un effetto dissuasivo atti a influenzare il contenuto delle loro decisioni. Nel punto 157 in parola, la Corte ha quindi concluso che tale articolo 107, paragrafo 1, punto 1, arrecava, perciò, pregiudizio all’indipendenza dei giudici degli organi giurisdizionali ordinari, in violazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

166

In tali circostanze, per motivi sostanzialmente identici a quelli esposti ai punti da 134 a 156 della sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici) (C‑791/19, EU:C:2021:596), a cui occorre richiamarsi, si deve constatare che anche l’articolo 72, paragrafo 1, punto 1, della legge sulla Corte suprema, come modificata, viola l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE. Infatti, tale disposizione nazionale pregiudica l’indipendenza dei giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema) che, come rilevato al punto 92 della presente sentenza, sono anch’essi chiamati a interpretare e applicare il diritto dell’Unione, in quanto detta disposizione nazionale non consente di evitare che il regime disciplinare applicabile nei confronti di tali giudici sia utilizzato per generare pressioni e un effetto dissuasivo atti a influenzare il contenuto delle loro decisioni, in particolare quelle riguardanti i requisiti derivanti dal diritto a una tutela giurisdizionale effettiva e relativi all’esistenza di giudici indipendenti e imparziali, precostituiti per legge.

167

Per di più, occorre ricordare che nella sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici) (C‑791/19, EU:C:2021:596), la Corte ha altresì dichiarato, come risulta dal punto 234 e dal punto 2 del dispositivo di detta sentenza, che, in ragione dell’esistenza dell’illecito disciplinare previsto all’articolo 107, paragrafo 1, punto 1, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari e per i motivi esposti ai punti da 222 a 233 di tale sentenza, la Repubblica di Polonia era venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 267, commi secondo e terzo, TFUE, consentendo che il diritto degli organi giurisdizionali nazionali di cui trattasi di sottoporre alla Corte domande di pronuncia pregiudiziale fosse limitato dalla possibilità di avviare un procedimento disciplinare.

168

In tali circostanze, per motivi sostanzialmente identici a quelli accolti, dunque, ai punti da 222 a 233 della sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici) (C‑791/19, EU:C:2021:596), a cui occorre richiamarsi, si deve constatare che la Repubblica di Polonia, adottando e mantenendo la disposizione dell’articolo 72, paragrafo 1, punto 1, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e consentendo, in tal modo, che l’obbligo del Sąd Najwyższy (Corte suprema) di sottoporre alla Corte domande di pronuncia pregiudiziale fosse limitato dalla possibilità di avviare un procedimento disciplinare nei confronti dei giudici di tale organo giurisdizionale nazionale, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 267 TFUE.

169

Ne consegue che anche la seconda parte della terza censura è fondata e che tale censura deve, di conseguenza, essere integralmente accolta.

Sulla prima censura

Argomenti delle parti

170

Con la sua prima censura, che occorre esaminare in terzo luogo, la Commissione afferma che le disposizioni dell’articolo 42a, paragrafi 1 e 2, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, dell’articolo 26, paragrafo 3, e dell’articolo 29, paragrafi 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata e dell’articolo 5, paragrafi 1a e 1b, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, nonché le disposizioni dell’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, e quelle dell’articolo 8 della legge di modifica violano il combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, il principio del primato del diritto dell’Unione e l’articolo 267 TFUE.

171

Secondo la Commissione, tali disposizioni nazionali avrebbero lo scopo di vietare agli organi giurisdizionali nazionali ai quali esse si applicano di verificare, come invece questi ultimi avrebbero l’obbligo di fare, d’ufficio o su domanda di parte, se il diritto dei singoli a che la loro causa sia esaminata da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, nelle controversie relative ai diritti individuali che essi traggono dal diritto dell’Unione, possa essere garantito o non sia stato violato, controllando se la loro propria composizione o quella di un altro organo giurisdizionale, ad esempio una formazione di grado inferiore, soddisfi i requisiti idonei a offrire una siffatta garanzia. In particolare, infatti, un controllo del genere dovrebbe poter riguardare la regolarità del processo di nomina dei membri che compongono gli organi giurisdizionali di cui trattasi o consentire di valutare la legittimità di questi ultimi e dei loro membri, che è ciò che le disposizioni nazionali contestate intenderebbero impedire.

172

Invocando il principio di inamovibilità dei giudici e l’impossibilità costituzionale di invalidare l’atto di nomina di questi ultimi, la Repubblica di Polonia confonderebbe l’obbligo di consentire un siffatto controllo giurisdizionale, derivante dal diritto dell’Unione, con le conseguenze della constatazione, all’esito di tale controllo giurisdizionale, dell’eventuale inosservanza dei requisiti risultanti dal diritto di accesso a un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Orbene, siffatte conseguenze, che dovrebbero essere stabilite dal giudice nazionale chiamato a statuire, basandosi sul diritto nazionale applicabile e tenendo debitamente conto della piena efficacia del diritto dell’Unione e della necessità di bilanciare i requisiti connessi all’applicazione del principio della certezza del diritto con quelli relative al rispetto del diritto applicabile, non dovrebbero necessariamente consistere in un annullamento dell’atto di nomina di cui trattasi o in una revoca del giudice in questione. In linea generale, tali conseguenze sarebbero, inoltre, determinate nel contesto di un controllo giurisdizionale effettuato in secondo grado e il cui oggetto è una sentenza o un atto diverso da un atto di nomina a giudice.

173

In caso di accertamento di una violazione del diritto fondamentale dei singoli a un ricorso giurisdizionale effettivo, il principio del primato e l’effettività del diritto dell’Unione richiederebbero, peraltro, che, qualora ciò sia imposto dal risultato del summenzionato bilanciamento, le norme nazionali di cui trattasi vengano disapplicate.

174

A sua difesa, la Repubblica di Polonia sostiene che la Commissione non ha soddisfatto l’onere della prova gravante su di essa, omettendo di suffragare le sue allegazioni relative a eventuali violazioni dell’articolo 267 TFUE e del principio del primato del diritto dell’Unione. In ogni caso, le disposizioni nazionali contestate non riguarderebbero la presentazione di questioni pregiudiziali da parte degli organi giurisdizionali nazionali né verterebbero su questioni relative a conflitti tra norme, nell’ambito dei quali tale principio possa dover essere applicato. Peraltro, la Commissione non avrebbe neppure spiegato in che modo una delle disposizioni nazionali contestate, ossia l’articolo 26, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, possa violare il combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta.

175

Per quanto riguarda le altre violazioni dedotte di queste ultime due disposizioni del diritto dell’Unione, la Repubblica di Polonia afferma che l’obbligo, per un organo giurisdizionale nazionale, di esaminare il rispetto delle garanzie richieste in forza delle stesse, al fine di assicurarsi che irregolarità nella procedura di nomina di un giudice non abbiano pregiudicato il diritto della parte a un tribunale costituito per legge in una determinata controversia, non implica il riconoscimento a ogni singolo del diritto di chiedere che un giudice sia privato del suo mandato e a ogni organo giurisdizionale nazionale della competenza a mettere in discussione, in qualsiasi procedimento, l’atto di nomina di un giudice e il perdurare dei suoi effetti, senza base giuridica. Secondo tale Stato membro, ogni altra interpretazione condurrebbe, del resto, a una violazione dei principi di inamovibilità e di indipendenza dei giudici.

176

Come risulterebbe dalla loro interpretazione letterale, contestuale, teleologica e sistematica, e contrariamente al significato erroneo che la Commissione attribuirebbe loro, l’articolo 42a, paragrafi 1 e 2, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, l’articolo 26, paragrafo 3, e l’articolo 29, paragrafi 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e l’articolo 5, paragrafi 1a e 1b, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, non impedirebbero che siano rispettate le garanzie richieste in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta.

177

In primo luogo, tali disposizioni nazionali sarebbero state introdotte solo a causa di gravi minacce alla certezza dei rapporti giuridici e alla giustizia, connesse a una recente moltiplicazione dei tentativi di messa in discussione dell’esistenza stessa dei mandati dei giudici. Così facendo, il legislatore polacco avrebbe, inoltre, mirato solo a garantire il rispetto del diritto nazionale preesistente. Infatti, la Costituzione e una giurisprudenza costante degli organi giurisdizionali tanto costituzionali quanto amministrativi avrebbero sempre escluso che la validità o l’efficacia dell’atto di nomina di un giudice possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale.

178

In secondo luogo, dette disposizioni nazionali dovrebbero essere interpretate alla luce e in conformità alle disposizioni di rango superiore nella gerarchia delle norme, ossia l’articolo 45 della Costituzione, l’articolo 6 della CEDU e le corrispondenti disposizioni del diritto dell’Unione.

179

In terzo luogo, il controllo effettivo delle garanzie relative all’accesso a un giudice indipendente, imparziale e precostituito per legge, derivanti dal diritto dell’Unione, sarebbe pienamente garantito dall’applicazione di alcune altre disposizioni nazionali. Ciò sarebbe il caso, sotto un primo profilo, degli articoli da 48 a 54 della ustawa – Kodeks postępowania cywilnego (legge recante il codice di procedura civile) (in prosieguo: il «codice di procedura civile»), degli articoli da 40 a 44 dell’ustawa – Kodeks postępowania karnego (legge recante il codice di procedura penale) e degli articoli da 18 a 24 della ustawa – Prawo o postępowaniu przed sądami administracyjnymi (legge in materia di procedura dinanzi agli organi giurisdizionali amministrativi), disposizioni, queste, che consentono di chiedere la ricusazione dei giudici in caso di dubbio riguardo alla loro imparzialità e alla loro indipendenza. Sotto un secondo profilo, la possibilità, per un singolo che nutra dubbi in merito all’idoneità di un organo giurisdizionale a garantire il suo diritto a un siffatto giudice, di chiedere che la controversia di cui trattasi sia rinviata a un altro organo giurisdizionale, in conformità agli insegnamenti derivanti dalla sentenza A.K. e a., sarebbe garantita dall’articolo 200, paragrafo 14, del codice di procedura civile, in forza del quale gli organi giurisdizionali nazionali devono esaminare d’ufficio se sono competenti e, in mancanza di una simile competenza, rinviare la controversia all’organo giurisdizionale competente. Sotto un terzo profilo, qualora la composizione dell’organo giurisdizionale che ha statuito sia contraria alla legge, l’organo giurisdizionale di grado superiore, dinanzi al quale sia stato proposto ricorso, sarebbe tenuto a procedere, d’ufficio, all’annullamento del procedimento di cui trattasi e alla revoca della sentenza in questione, in conformità all’articolo 379, punto 4, del codice di procedura civile, all’articolo 439, paragrafo 1, punto 1, della legge recante il codice di procedura penale e all’articolo 183, paragrafo 2, punto 4, della legge recante il codice di procedura amministrativa.

180

Per di più, la Commissione fraintenderebbe la portata dell’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, e, pertanto, quella dell’articolo 8 della legge di modifica, che prevede l’applicazione di tale articolo 55, paragrafo 4, alle controversie pendenti. Infatti, detto articolo 55, paragrafo 4, non vieterebbe in alcun modo la valutazione relativa alla correttezza della composizione di un tribunale, in particolare mediante un’istanza di ricusazione o al fine di verificare se tale composizione abbia avuto un’incidenza negativa sull’esito della controversia di cui trattasi. Lo stesso articolo 55, paragrafo 4, procederebbe, invero, a una mera codificazione di una giurisprudenza costante del Sąd Najwyższy (Corte suprema), secondo la quale la circostanza che una causa sia stata esaminata da un collegio giudicante in violazione delle disposizioni «regolamentari» relative all’assegnazione delle controversie ai giudici e alla designazione dei collegi giudicanti non costituirebbe un motivo di ordine pubblico tale da invalidare automaticamente il procedimento di cui trattasi, né un caso di avvio di un ricorso straordinario.

181

Infine, la Repubblica di Polonia sostiene, in termini analoghi a quelli menzionati al punto 124 della presente sentenza, che le censure prima e seconda sono contraddittorie, in quanto non sarebbe possibile sostenere sia che il diritto nazionale vieta agli organi giurisdizionali nazionali di controllare l’eventuale esistenza di violazioni del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva, sia, al contempo, che la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche è investita di una competenza esclusiva a statuire sui motivi vertenti su tali violazioni.

182

Nella sua replica la Commissione afferma segnatamente, per quanto riguarda l’asserita violazione dell’articolo 267 TFUE, di aver precisato, nel parere motivato, e che sarebbe, del resto, evidente che, vietando agli organi giurisdizionali nazionali di valutare se un organo giurisdizionale o un giudice soddisfi taluni requisiti relativi alla tutela giurisdizionale effettiva, derivanti dal diritto dell’Unione, le disposizioni nazionali contestate impediscono, automaticamente, a tali organi giurisdizionali nazionali di avviare un dialogo pregiudiziale con la Corte a questo riguardo. Inoltre, per quanto riguarda la seconda censura, l’asserita violazione dell’articolo 267 TFUE sarebbe stata dettagliatamente documentata nel ricorso. Per quanto riguarda l’articolo 26, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, esso avrebbe lo stesso contenuto normativo dell’articolo 29, paragrafo 3, di tale legge e dell’articolo 42a della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, sicché il medesimo ragionamento giuridico si applicherebbe all’insieme delle disposizioni in parola, senza che sia necessario precisarlo nella parte motiva del ricorso.

183

Per quanto concerne l’asserita violazione del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché del principio del primato del diritto dell’Unione, le disposizioni nazionali di cui al punto 176 della presente sentenza vieterebbero non solo di «accertare», ma anche di «valutare» la legittimità della nomina e il «potere di esercitare funzioni in materia di amministrazione della giustizia che deriva da tale nomina», senza menzionare l’atto di nomina di cui trattasi, sicché, sulla base di una siffatta formulazione, sarebbe vietata la valutazione del potere di un giudice di pronunciarsi in una determinata controversia. Tale interpretazione si evincerebbe altresì dall’articolo 26, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, secondo il quale una richiesta di cui al paragrafo 2 del medesimo articolo non può vertere sulla valutazione della legittimità della nomina del giudice o della sua legittimazione a esercitare funzioni giurisdizionali.

184

Per quanto riguarda l’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, la Commissione osserva che tale disposizione nazionale non riguarda i casi di violazione delle disposizioni relative all’assegnazione delle controversie, nonché alla designazione e alla modifica dei collegi giudicanti, sicché gli argomenti dedotti dalla Repubblica di Polonia e vertenti su una siffatta violazione sarebbero irrilevanti.

185

Nella sua controreplica la Repubblica di Polonia sostiene che, per quanto concerne le asserite violazioni dell’articolo 267 TFUE e del principio del primato del diritto dell’Unione, la Commissione non può limitarsi né a una presunta «evidenza», essendo esclusa qualsivoglia presunzione a tal riguardi, né al fatto che un’argomentazione non dedotta nel ricorso figurerebbe nel parere motivato. Per quanto riguarda l’articolo 26, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, sarebbe spettato alla Commissione suffragare le sue censure, senza che si possa pretendere dalla convenuta che essa intuisca che argomenti dedotti nel ricorso e relativi ad altre disposizioni nazionali potevano fondare anche tali censure.

186

Per quanto riguarda l’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, non risulterebbe dalla seconda frase di tale disposizione, e in particolare dall’impiego dei termini «non possono essere invocate» in essa contenuti, che la conformità alle disposizioni regolamentari relative all’assegnazione delle controversie oppure alla designazione o alla modifica dei collegi giudicanti sia in grado di sanare tutti gli altri vizi che abbiano, se del caso, inficiato il procedimento di cui trattasi e che possano condurre a una decisione contraria al diritto del singolo a un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge.

187

In udienza, oltre alle considerazioni esposte ai punti 117 e 118 della presente sentenza, la Commissione ha sostenuto, per quanto riguarda l’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, che tale disposizione nazionale era, ad esempio, tale da ostare al rispetto, da parte degli organi giurisdizionali nazionali, degli insegnamenti derivanti, da un lato, dal punto 176 della sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici) (C‑791/19, EU:C:2021:596), e, dall’altro, dal dispositivo della sentenza del 16 novembre 2021, Prokuratura Rejonowa w Mińsku Mazowieckim e a. (da C‑748/19 a C‑754/19, EU:C:2021:931).

Giudizio della Corte

– Sulla ricevibilità

188

Per quanto riguarda, in primo luogo, l’asserita violazione dell’articolo 267 TFUE, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 120, lettera c), del regolamento di procedura della Corte e alla giurisprudenza di quest’ultima relativa a tale disposizione, il ricorso deve indicare l’oggetto della controversia, i motivi e gli argomenti dedotti, nonché l’esposizione sommaria di tali motivi. Una siffatta indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo. Ne discende che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali si fonda un ricorso devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso e che le conclusioni di quest’ultimo devono essere formulate in modo inequivoco al fine di evitare che la Corte statuisca ultra petita ovvero ometta di pronunciarsi su una censura [sentenza del 19 settembre 2017, Commissione/Irlanda (Tassa di immatricolazione), C‑552/15, EU:C:2017:698, punto 38 e giurisprudenza ivi citata].

189

La Corte ha altresì dichiarato, in relazione a un ricorso proposto ai sensi dell’articolo 258 TFUE, che in esso le censure devono essere esposte in modo coerente e preciso, così da consentire allo Stato membro e alla Corte di comprendere esattamente la portata della violazione del diritto dell’Unione contestata, presupposto necessario affinché il suddetto Stato possa far valere utilmente i suoi motivi di difesa e affinché la Corte possa verificare l’esistenza dell’inadempimento addotto [sentenza dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione), C‑213/19, EU:C:2022:167, punto 133 e giurisprudenza ivi citata].

190

In particolare, il ricorso della Commissione deve contenere un’esposizione coerente e dettagliata delle ragioni che l’hanno condotta al convincimento che lo Stato membro interessato è venuto meno a uno degli obblighi impostigli dal diritto dell’Unione (sentenza del 31 ottobre 2019, Commissione/Paesi Bassi, C‑395/17, EU:C:2019:918, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

191

Orbene, nel caso di specie occorre rilevare che, sebbene l’articolo 267 TFUE sia menzionato, in particolare, nel petitum del ricorso riguardante la prima censura, le parti successive di quest’ultimo dedicate all’esposizione di tale censura e alla relativa argomentazione della Commissione non contengono più, per contro, la benché minima menzione di tale articolo e della sua eventuale violazione, né, a fortiori, la benché minima precisazione in merito alle ragioni per le quali le disposizioni nazionali contestate nell’ambito di detta censura sarebbero tali da violare il citato articolo.

192

In tali circostanze, si deve necessariamente constatare, come ha fatto l’avvocato generale al paragrafo 128 delle sue conclusioni, che, per quanto riguarda l’asserita violazione dell’articolo 267 TFUE nell’ambito della prima censura, il ricorso non soddisfa i requisiti richiamati ai punti da 188 a 190 della presente sentenza. A questo proposito, né la circostanza che tale asserita violazione sia stata, per quanto riguarda la prima censura in parola, suffragata dalla Commissione nel parere motivato, né il fatto che una violazione analoga dell’articolo 267 TFUE sia stata oggetto di un’argomentazione per quanto concerne altre censure formulate nel ricorso a proposito di disposizioni nazionali diverse da quelle contemplate nella citata prima censura, sono in grado sanare l’irregolarità che vizia, dunque, l’atto introduttivo del giudizio. Per quanto riguarda la prima censura, infatti, quest’ultimo non consente di cristallizzare, in modo coerente, chiaro e preciso, la controversia relativa all’articolo 267 TFUE che, nel caso di specie, è stata sottoposta alla Corte al termine del procedimento precontenzioso.

193

In secondo luogo, per quanto riguarda l’asserita violazione del principio del primato del diritto dell’Unione, occorre, per contro, rilevare che la Commissione, nelle considerazioni dedicate alla prima censura da essa esposte nel ricorso, dà atto di tale principio, sottolineando in particolare, al punto 75 di tale ricorso, che, impedendo agli organi giurisdizionali polacchi di pronunciarsi sulla questione se fossero soddisfatti i requisiti derivanti dal combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nelle ipotesi previste dalle disposizioni nazionali contestate, queste ultime potevano, per ciò stesso, impedire a tali organi giurisdizionali di adottare, in conformità a detto principio, gli atti che avrebbero potuto rivelarsi necessari al fine di garantire il rispetto effettivo di detti requisiti in simili ipotesi.

194

Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’articolo 26, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, è certamente esatto, come osserva la Repubblica di Polonia, che, sebbene tale disposizione nazionale figuri nel petitum del ricorso relativo alla prima censura, l’argomentazione formulata a sostegno di tale censura in detto ricorso non contiene considerazioni specificamente relative alla citata disposizione.

195

Tuttavia, come sostenuto dalla Commissione, tale articolo 26, paragrafo 3, enunciando che la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche non può esaminare una richiesta riguardante l’accertamento e la valutazione della legittimità della nomina di un giudice o della sua legittimazione a esercitare funzioni giurisdizionali, si limita, in sostanza, a reiterare quanto già risulta dall’articolo 29, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, vale a dire che al Sąd Najwyższy (Corte suprema), e in particolare alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, è vietato accertare o valutare la legittimità della nomina di un giudice o del potere di esercitare funzioni in materia di amministrazione della giustizia che deriva da tale nomina.

196

In tali circostanze, si deve ritenere che le critiche mosse dalla Commissione nei confronti dell’articolo 29, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, riguardino, ipso facto, anche l’articolo 26, paragrafo 3, della stessa e comprendano, quindi, quest’ultima disposizione. Ne consegue che non era necessario che la Commissione fornisse una particolare esplicazione per quanto riguarda quest’ultima disposizione nazionale e, pertanto, che l’assenza di una simile esplicazione non è stata tale da ledere i diritti della difesa della Repubblica di Polonia.

197

Da tutto quanto precede risulta che la prima censura della Commissione è irricevibile nella parte in cui verte sull’asserita violazione dell’articolo 267 TFUE ed è ricevibile per il resto.

– Nel merito

198

Per quanto riguarda, anzitutto, l’articolo 42a, paragrafi 1 e 2, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, l’articolo 29, paragrafi 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e l’articolo 5, paragrafi 1a e 1b, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, dai termini delle prime due disposizioni nazionali menzionate risulta, da un lato, che, «nell’ambito delle attività» delle diverse autorità giurisdizionali di cui trattasi «o dei [loro] organi», non è «consentito mettere in discussione la legittimazione degli [organi giurisdizionali], degli organi costituzionali dello Stato e degli organi di controllo e di tutela del diritto» e, dall’altro, che tali autorità giurisdizionali «non [possono] né accertare né valutare la legittimità della nomina di un giudice o del potere di esercitare funzioni in materia di amministrazione della giustizia che derivano da tale nomina». Per quanto concerne l’articolo 26, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, tale disposizione esclude che la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche possa, a seguito della trasmissione a quest’ultima, da parte di un altro organo giurisdizionale, di una richiesta relativa alla ricusazione di un giudice o alla designazione dell’organo giurisdizionale dinanzi al quale deve essere condotto un procedimento e comprendente, se del caso, censure concernenti la mancanza di indipendenza del giudice o dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, esaminare tale richiesta qualora quest’ultima «riguardi l’accertamento e la valutazione della legittimità della nomina di un giudice o della sua legittimazione ad esercitare le funzioni giurisdizionali».

199

A tal riguardo, occorre osservare, in primo luogo, che, come rilevato, in sostanza, ai punti da 135 a 137 della presente sentenza in merito alle disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nell’ambito della terza censura, i termini che caratterizzano le disposizioni nazionali oggetto della prima censura non consentono di ritenere, contrariamente a quanto sostiene la Repubblica di Polonia, che i divieti così sanciti riguardino esclusivamente atti giurisdizionali diretti a pronunciarsi sulla validità dell’atto di nomina di un giudice.

200

Infatti, da un lato, queste ultime disposizioni nazionali vietano non solo di «accertare», ma anche di «valutare», sotto il profilo della loro «legittimità», sia la «nomina» stessa che il «potere di esercitare funzioni in materia di amministrazione della giustizia che deriva da tale nomina». Dall’altro lato, le medesime disposizioni vietano, in termini ancor più generali, qualsiasi «messa in discussione» della «legittimazione» degli «organi giurisdizionali» e degli «organi costituzionali dello Stato e degli organi di controllo e di tutela del diritto».

201

In considerazione del loro carattere relativamente ampio e vago, siffatte formulazioni appaiono in grado di far sì che un’ampia gamma di atti o di comportamenti degli organi giurisdizionali ordinari, degli organi giurisdizionali amministrativi o del Sąd Najwyższy (Corte suprema) oppure dei loro organi possa, a causa del loro contenuto o dei loro effetti, ricadere nell’ambito dei divieti così sanciti. Ciò può verificarsi, in particolare, qualora tali organi giurisdizionali siano tenuti, in conformità agli obblighi a essi incombenti e richiamati ai punti da 128 a 131 della presente sentenza, a verificare, in determinate circostanze, se essi stessi o i giudici che li compongono oppure altri giudici o organi giurisdizionali, chiamati a pronunciarsi su controversie relative al diritto dell’Unione o che hanno statuito su di esse, soddisfino i requisiti derivanti dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dall’articolo 47 della Carta, riguardanti l’indipendenza, l’imparzialità e la precostituzione per legge degli organi giurisdizionali e dei giudici di cui trattasi.

202

In secondo luogo, occorre evidenziare che i termini ai quali ha, dunque, fatto ricorso il legislatore polacco sono, al pari di quanto rilevato al punto 140 della presente sentenza in merito alle disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nell’ambito della terza censura, strettamente connessi a una serie di quesiti sollevati da diversi organi giurisdizionali polacchi e relativi alla conformità al diritto dell’Unione e, più specificamente, ai requisiti derivanti dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dall’articolo 47 della Carta, di diverse modifiche legislative recenti che hanno inciso sull’organizzazione della giustizia in Polonia.

203

Infatti, la legge di modifica e le disposizioni nazionali oggetto della prima censura sono state adottate, in via d’urgenza, nel contesto descritto ai punti da 141 a 145 della presente sentenza, il quale è caratterizzato, segnatamente, dall’esistenza, da un lato, di recenti sviluppi giurisprudenziali riguardanti la preservazione dello Stato di diritto e, più specificamente, dell’indipendenza del potere giudiziario in Polonia, scaturiti dalla sentenza A. K. e a., e, dall’altro, di diversi rinvii pregiudiziali all’epoca pendenti dinanzi alla Corte e relativi a una tale problematica.

204

A tal riguardo, risulta, in particolare, dai punti 134, 139 e 149 nonché dal dispositivo della sentenza A. K. e a. che gli insegnamenti di tale sentenza, così come quelli della giurisprudenza nazionale, menzionata al punto 143 della presente sentenza, che si è sviluppata alla luce di detta sentenza A. K. e a., sono relativi alla conformità al diritto dell’Unione delle competenze attribuite alla Sezione disciplinare, segnatamente in considerazione delle modalità che hanno presieduto alla nomina dei membri di tale Sezione e delle carenze sotto il profilo dell’indipendenza sia di detta Sezione che della KRS, intervenuta nel processo di nomina in parola.

205

In particolare, come rilevato al punto 141 della presente sentenza, dalla sentenza A. K. e a. risultava chiaramente che gli organi giurisdizionali nazionali chiamati a statuire su controversie di questo tipo potrebbero essere tenuti, in forza del diritto dell’Unione, da un lato, a pronunciarsi sull’idoneità di un organo come la Sezione disciplinare a decidere in merito controversie rientranti nell’ambito del diritto dell’Unione, prendendo in considerazione, segnatamente, le condizioni in cui è avvenuta la nomina dei membri dello stesso, e, dall’altro, a esaminare l’indipendenza della KRS e, in mancanza di una tale indipendenza, a pronunciarsi sulle conseguenze derivanti dall’intervento di tale organo nel processo di nomina dei giudici della Sezione disciplinare.

206

Orbene, era evidente che, così facendo, tali organi giurisdizionali nazionali, incaricati di applicare, nell’ambito della loro competenza, disposizioni di diritto dell’Unione, avrebbero potuto essere chiamati ad adottare atti suscettibili di essere considerati idonei a «mettere in discussione» la «legittimazione degli [organi giurisdizionali]», come la Sezione disciplinare, o quella di «organi costituzionali dello Stato (...) [o] di tutela del diritto», come la KRS, effettuando, per di più, in tale occasione, «valutazioni» sulla «legittimità» della «nomina» dei giudici che siedono in detta Sezione e «del potere [degli stessi] di esercitare funzioni giurisdizionali in materia di amministrazione della giustizia», ai sensi delle disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nell’ambito della prima censura.

207

Per quanto riguarda le questioni pregiudiziali, menzionate al punto 144 della presente sentenza, di cui la Corte era investita alla data di adozione delle disposizioni nazionali contestate, esse vertevano, da un lato, sull’eventuale non conformità al diritto dell’Unione di nuove norme nazionali in forza delle quali diverse persone erano state recentemente nominate quali giudici presso il Sąd Najwyższy (Corte suprema) e sugli effetti che potevano derivare da una siffatta non conformità relativamente agli atti giurisdizionali adottati dai giudici in questione. Le questioni pregiudiziali in parola riguardavano, dall’altro lato, l’eventuale non conformità a tale diritto di norme nazionali che autorizzavano l’adozione di decisioni ministeriali di distacco di giudici in organi giurisdizionali diversi dal loro organo giurisdizionale d’origine.

208

In base al loro contenuto, le risposte allora attese dalla Corte a dette questioni pregiudiziali erano in grado di condurre gli organi giurisdizionali nazionali a dover, se del caso, effettuare «valutazioni» sulla «legittimità» della «nomina» di giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema) o «del potere [degli stessi] di esercitare funzioni giurisdizionali in materia di amministrazione della giustizia», oppure adottare atti che potevano essere ritenuti tali da aver «me[sso] in discussione» la «legittimazione degli [organi giurisdizionali]», in particolare di quelli in cui erano stati distaccati giudici.

209

Inoltre, come risulta dalle sentenze menzionate ai punti 146 e 148 della presente sentenza, le risposte fornite dalla Corte alle questioni pregiudiziali il cui contenuto è richiamato al punto 207 della medesima sentenza, hanno confermato il rischio che atti o valutazioni incombenti, in talune circostanze, agli organi giurisdizionali nazionali in forza del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, TUE e dell’articolo 47 della Carta possano effettivamente ricadere nell’ambito dei divieti sanciti dalle disposizioni nazionali contestate nel contesto della prima censura.

210

L’argomento della Repubblica di Polonia menzionato al punto 175 della presente sentenza non è idoneo a mettere in discussione l’analisi che precede. Infatti, da quest’ultima non discende che a ogni organo giurisdizionale nazionale debba essere riconosciuta la competenza a mettere in discussione, d’ufficio o su domanda di un singolo, nell’ambito di qualsiasi procedimento, l’atto di nomina di un giudice, il suo rapporto di lavoro o l’esercizio del suo potere giurisdizionale, dopo aver, se del caso, chiesto un’interpretazione pregiudiziale da parte della Corte.

211

Così, nella sentenza del 22 marzo 2022, Prokurator Generalny e a. (Sezione disciplinare della Corte Suprema – Nomina) (C‑508/19, EU:C:2022:201, punti 70, 71 e da 81 a 83), la Corte ha dichiarato irricevibile una domanda di pronuncia pregiudiziale formulata nell’ambito di una contestazione, dinanzi al giudice del rinvio, della validità della nomina di un giudice al Sąd Najwyższy (Corte suprema), dopo aver segnatamente evidenziato, da un lato, che le questioni sollevate in tale domanda riguardavano intrinsecamente una controversia diversa da quella oggetto del procedimento principale e, dall’altro, che l’azione di cui al procedimento principale mirava a ottenere una forma di annullamento erga omnes della nomina del giudice di cui trattasi alle funzioni di giudice di tale organo giurisdizionale, sebbene il diritto nazionale non autorizzi e non abbia mai autorizzato la generalità dei singoli a contestare la nomina dei giudici attraverso un’azione diretta di nullità o di annullamento di una siffatta nomina.

212

In terzo luogo, per quanto riguarda le affermazioni della Repubblica di Polonia secondo le quali altre norme nazionali consentirebbero di soddisfare i requisiti derivanti dalle disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, occorre rilevare, sotto un primo profilo, che, relativamente alle disposizioni nazionali in materia di ricusazione dei giudici menzionate al punto 179 della presente sentenza, risulta, da un lato, dall’articolo 26, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, che la valutazione della legittimità della nomina di un giudice o della sua legittimazione a esercitare funzioni giurisdizionali non è autorizzata nel contesto di un siffatto procedimento di ricusazione.

213

Dall’altro lato, come emerge dalla formulazione stessa delle disposizioni nazionali in materia di ricusazione dei giudici a cui la Repubblica di Polonia ha fatto riferimento e di cui essa ha, su richiesta della Corte, prodotto il testo, il controllo autorizzato da tali disposizioni nazionali sembra poter riguardare esclusivamente il rispetto di una parte soltanto dei requisiti derivanti dal principio di indipendenza dei giudici e, più precisamente, di quelli connessi all’aspetto interno di tale principio, che coincidono con la nozione di «imparzialità» e che riguardano l’equidistanza che i giudici devono osservare rispetto alle parti della controversia e ai loro rispettivi interessi. Per contro, alla luce di tale formulazione, dette disposizioni nazionali non paiono autorizzare il controllo di altri aspetti derivanti da tali requisiti, e in particolare di quelli connessi all’aspetto esterno del citato principio e relativi, in particolare, alla salvaguardia dell’organo di cui trattasi da interventi o pressioni esterni o, ancora, alla necessità che tale organo sia stato precostituito per legge.

214

In udienza la Repubblica di Polonia ha del resto indicato, a tal riguardo, che da recenti sentenze del Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) risultava che le medesime disposizioni nazionali non autorizzavano, in particolare, le domande o le dichiarazioni fondate su contestazioni relative all’irregolarità della nomina di un giudice o a qualsiasi altra circostanza riguardante la procedura di nomina di un giudice.

215

Sotto un secondo profilo, per quanto riguarda gli altri meccanismi nazionali fatti valere dalla Repubblica di Polonia, anch’essi menzionati al punto 179 della presente sentenza, ossia quelli relativi al rinvio della controversia all’organo giurisdizionale competente e al controllo esercitato dagli organi giurisdizionali di grado superiore, occorre osservare che, come rilevato ai punti 200 e 201 della presente sentenza, le disposizioni nazionali contestate nell’ambito della prima censura sono formulate in termini ampi e vaghi che non consentono di escludere che esse siano parimenti in grado a paralizzare siffatti meccanismi.

216

Infatti, i divieti sanciti da tali disposizioni nazionali possono trovare applicazione anche nei confronti degli organi giurisdizionali dinanzi ai quali si pone la questione di un eventuale rinvio della controversia a un altro organo giurisdizionale, in applicazione dell’articolo 200, paragrafo 14, del codice di procedura civile, e paiono, pertanto, essere tali da poter impedire che siffatti organi giurisdizionali procedano a un simile rinvio, ad esempio, qualora quest’ultimo implichi, nelle condizioni enunciate nella sentenza A. K. e a., di mettere in discussione la conformità ai requisiti di indipendenza derivanti dal diritto dell’Unione e, dunque, la legittimazione dell’organo giurisdizionale dinanzi al quale la controversia in questione dovrebbe normalmente essere esaminata, o di mettere in discussione, in tale contesto, la legittimazione di un organo costituzionale come la KRS.

217

Tenuto conto della loro formulazione ampia e vaga, le disposizioni nazionali contestate sono, per di più, parimenti tali da impedire a un organo giurisdizionale di grado superiore, investito dell’esame di una decisione di un organo giurisdizionale di grado inferiore, di valutare la legittimità della nomina di un giudice o del suo potere di esercitare le funzioni giurisdizionali che derivano da una siffatta nomina oppure, ancora, di mettere in dubbio la legittimazione dei tribunali e delle corti, e ciò a prescindere dal fatto che si tratti di pronunciarsi sulla propria composizione o sulla propria legittimazione in quanto organo giurisdizionale di secondo grado oppure su quelle dell’organo giurisdizionale di grado inferiore.

218

In quarto luogo, anche l’argomento della Repubblica di Polonia menzionato al punto 181 della presente sentenza e vertente su un’asserita contraddizione tra le censure prima e seconda deve essere respinto. A tal riguardo, è sufficiente, infatti, sottolineare che, mentre la seconda censura mira a denunciare la circostanza che l’esame di determinate questioni rientra nella competenza esclusiva della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, la prima censura verte, dal canto suo, sulla conformità al diritto dell’Unione di disposizioni che prevedono taluni divieti applicabili agli organi giurisdizionali ordinari, agli organi giurisdizionali amministrativi e al Sąd Najwyższy (Corte suprema), compresa la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche.

219

Da quanto precede risulta che le disposizioni nazionali menzionate al punto 198 della presente sentenza violano il combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta.

220

Per quanto riguarda, poi, l’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, e l’articolo 8 della legge di modifica, che prevede l’applicazione di tale articolo 55, paragrafo 4, ai procedimenti avviati o conclusi prima dell’entrata in vigore di quest’ultima legge, risulta, in particolare, dal tenore letterale della seconda frase di detto articolo 55, paragrafo 4, che «[l]e disposizioni relative all’assegnazione delle controversie e alla designazione e modifica del collegio giudicante (...) non possono essere invocate per accertare (...) che un organo giurisdizionale non dispone di adeguati poteri o che una persona che ne è parte non è autorizzata o competente a pronunciarsi».

221

Orbene, occorre sottolineare che, al pari delle disposizioni nazionali menzionate ai punti 133 e 198 della presente sentenza, anche l’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, è stato introdotto molto recentemente nell’ordinamento giuridico polacco dalla legge di modifica, nel contesto particolare ricordato ai punti da 140 a 145 di questa sentenza.

222

A tal riguardo, occorre evidenziare, più specificamente, che, alla data di adozione di tale disposizione nazionale, la Corte era investita, in particolare, delle domande di pronuncia pregiudiziale menzionate al terzo trattino del punto 144 della presente sentenza nelle cause riunite che hanno dato luogo, nel frattempo, alla sentenza del 16 novembre 2021, Prokuratura Rejonowa w Mińsku Mazowieckim e a. (da C‑748/19 a C‑754/19, EU:C:2021:931).

223

Orbene, in quest’ultima sentenza la Corte ha dichiarato che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a disposizioni nazionali in forza delle quali il Ministro della Giustizia di uno Stato membro può, sulla base di criteri che non sono resi pubblici, da un lato, distaccare un giudice presso un organo giurisdizionale penale di grado superiore per un periodo di tempo determinato o indeterminato e, dall’altro, in qualsiasi momento e con decisione non motivata, revocare tale distacco, indipendentemente dalla durata determinata o indeterminata di quest’ultimo.

224

Per di più, al momento dell’adozione dell’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, la Corte era altresì investita, nella causa C‑791/19, di un ricorso per inadempimento, proposto dalla Commissione e diretto contro la Repubblica di Polonia, al fine, in particolare, di far dichiarare che tale Stato membro, conferendo al presidente della Sezione disciplinare il potere discrezionale di designare l’organo giurisdizionale disciplinare competente in primo grado nelle controversie relative ai giudici degli organi giurisdizionali ordinari, era venuto meno agli obblighi a esso incombenti in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

225

Orbene, a tal riguardo occorre sottolineare che, nella sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici) (C‑791/19, EU:C:2021:596), nel frattempo emessa, la Corte ha, ai punti da 164 a 177 della stessa, accolto una siffatta censura e accertato, di conseguenza, che, conferendo al presidente della Sezione disciplinare un tale potere discrezionale e, pertanto, non garantendo che i procedimenti disciplinari fossero esaminati da un giudice «costituito per legge», la Repubblica di Polonia era venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

226

Risulta, quindi, che, qualora siano chiamati a trarre le conseguenze delle sentenze della Corte menzionate ai punti 222 e 225 della presente sentenza, gli organi giurisdizionali nazionali possono essere condotti a dover esaminare e, pertanto, a dover «invocare» disposizioni nazionali, come quelle oggetto di tali sentenze, relative alla «designazione» o alla «modifica dei collegi giudicanti», e ciò al fine di constatare, in un caso concreto, che, in conseguenza dell’applicazione di dette disposizioni nazionali e della loro contrarietà al diritto dell’Unione, un organo giurisdizionale nazionale è «non dispone di adeguati poteri» o che una persona «che ne è parte non è autorizzata o competente a pronunciarsi». Orbene, così facendo, gli organi giurisdizionali nazionali di cui trattasi ricadrebbero nell’ambito dei divieti enunciati all’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata. Tali divieti sono, del resto, destinati a trovare applicazione in maniera più generale, nonostante eventuali obiezioni di un singolo in merito al fatto che disposizioni nazionali relative vuoi all’assegnazione delle controversie, vuoi alla designazione o alla modifica dei collegi giudicanti, oppure l’applicazione di siffatte disposizioni sarebbero contrarie ai requisiti del diritto dell’Unione inerenti al diritto a un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge.

227

Alla luce di quanto precede, occorre constatare che l’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, e, di conseguenza, l’articolo 8 della legge di modifica violano anch’essi il combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta.

228

Infine, per quanto riguarda l’asserita violazione del principio del primato del diritto dell’Unione, occorre ricordare che tale principio impone al giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito di propria competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione l’obbligo di garantire la piena efficacia delle disposizioni di tale diritto nella controversia di cui è investito. In particolare, il giudice nazionale deve disapplicare, di propria iniziativa, qualsiasi normativa o prassi nazionale, anche posteriore, che sia contraria a una disposizione del diritto dell’Unione dotata di effetto diretto, senza dover chiedere o attendere la previa rimozione di tale normativa o prassi nazionale in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale [v., in tal senso, sentenze del 9 marzo 1978, Simmenthal, 106/77, EU:C:1978:49, punto 24, e del 22 febbraio 2022, RS (Efficacia delle sentenze di una Corte costituzionale), C‑430/21, EU:C:2022:99, punto 53 e giurisprudenza ivi citata].

229

Orbene, come risulta da una giurisprudenza costante, l’articolo 47 della Carta è dotato di un tale effetto diretto (v., in particolare, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 56 e giurisprudenza ivi citata) e, per di più, al punto 78 della presente sentenza è ricordato che lo stesso vale per quanto riguarda l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

230

Pertanto, poiché le disposizioni nazionali menzionate ai punti 198 e 220 della presente sentenza sono, per effetto degli stessi divieti da esse sanciti, tali da poter ostare a che gli organi giurisdizionali polacchi di cui trattasi disapplichino talune disposizioni giudicate contrarie a disposizioni del diritto dell’Unione aventi effetto diretto, esse sono altresì in grado di violare il principio del primato di detto diritto.

231

Alla luce di tutto quanto precede, si deve accogliere la prima censura nella parte in cui denuncia violazioni del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché del principio del primato del diritto dell’Unione.

Sulla seconda censura

Argomenti delle parti

232

Con la sua seconda censura, che occorre esaminare in quarto luogo, la Commissione afferma, in sostanza, che le questioni relative all’indipendenza di un organo giurisdizionale o di un giudice costituiscono «questioni orizzontali» che ogni organo giurisdizionale nazionale investito di una controversia che rientra nell’ambito del diritto dell’Unione ha l’obbligo di esaminare alla luce dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, anche in limine litis e quando statuisce in primo grado, e a proposito delle quali esso deve poter interrogare la Corte in via pregiudiziale sulla base dell’articolo 267 TFUE, disapplicando successivamente, se necessario, in conformità al principio del primato del diritto dell’Unione, tutte le disposizioni nazionali contrarie a tali disposizioni del diritto dell’Unione, come interpretate dalla Corte. Siffatte questioni non rappresenterebbero questioni giuridiche specifiche di un particolare settore del diritto che possano, a tale titolo, rientrare nella competenza esclusiva di un organo giurisdizionale asseritamente specializzato.

233

La Repubblica di Polonia sarebbe, così, venuta meno ai suoi obblighi derivanti da dette disposizioni del diritto dell’Unione e dal principio del primato in parola, sotto un primo profilo, avendo attribuito, ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 2, della legge sulla Corte suprema, come modificata, alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche una competenza esclusiva a statuire sulle questioni relative alla ricusazione di giudici e alla designazione dell’organo giurisdizionale competente a conoscere di una controversia in cui venga dedotta una censura vertente sulla mancanza di indipendenza di un organo giurisdizionale o di un giudice e avendo costretto l’organo giurisdizionale investito di una controversia dinanzi al quale si pongono siffatte questioni a trasmetterle a tale Sezione, benché quest’ultima non fosse competente a conoscere del merito della controversia di cui trattasi.

234

In tal modo, il legislatore polacco avrebbe, inoltre, voluto impedire ai giudici nazionali investiti di una controversia di verificare, se del caso interrogando la Corte, se l’organo giurisdizionale chiamato a dirimere la controversia soddisfacesse i requisiti di indipendenza e di imparzialità derivanti dal diritto dell’Unione e, in mancanza di una siffatta indipendenza e di una siffatta imparzialità, di conformarsi al loro obbligo, evidenziato dalla Corte nella sentenza A. K. e a., di disapplicare la disposizione nazionale che riserva la competenza a conoscere di una simile controversia a tale organo giurisdizionale. La disposizione nazionale così contestata sarebbe parimenti volta a impedire ai giudici nazionali di esaminare, d’ufficio o su domanda di una parte del procedimento, la necessità di ricusare un giudice che non soddisfi tali requisiti o di interrogare la Corte a questo proposito.

235

Sotto un secondo profilo, le disposizioni e il principio del diritto dell’Unione menzionati al punto 232 della presente sentenza sarebbero altresì violati dalle disposizioni dell’articolo 82, paragrafi da 2 a 5, della legge sulla Corte suprema, come modificata. Infatti, prevedendo, da un lato, che la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche è competente in via esclusiva a decidere sulle questioni di diritto relative all’indipendenza di un giudice o di un organo giurisdizionale che sorgono in controversie pendenti dinanzi al Sąd Najwyższy (Corte suprema), dall’altro lato, che, quando tale Sezione adotta una siffatta decisione, essa non è vincolata da nessun’altra decisione del Sąd Najwyższy (Corte suprema) e, infine, che le decisioni di detta Sezione vincolano tutti gli altri collegi del Sąd Najwyższy (Corte suprema), tali disposizioni nazionali priverebbero i collegi giudicanti appartenenti alle altre Sezioni del Sąd Najwyższy (Corte suprema) della possibilità di statuire su simili questioni di diritto e di interrogare la Corte a questo proposito.

236

Sotto un terzo profilo, tali disposizioni e tale principio del diritto dell’Unione sarebbero violati dall’articolo 26, paragrafi da 4 a 6, della legge sulla Corte suprema, come modificata, che attribuisce alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche una competenza esclusiva a conoscere dei ricorsi diretti ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità delle decisioni o delle sentenze definitive di tutti gli organi giurisdizionali polacchi sia ordinari che amministrativi, comprese quelle delle altre Sezioni del Sąd Najwyższy (Corte suprema), laddove l’illegittimità consista nel mettere in discussione lo status della persona nominata quale giudice pronunciatosi sulla controversia di cui trattasi, ricorsi questi che possono essere proposti a prescindere dalla questione se la parte interessata abbia esaurito gli altri mezzi di ricorso a sua disposizione. Infatti, simili disposizioni nazionali impedirebbero alle altre Sezioni del Sąd Najwyższy (Corte suprema) in parola di pronunciarsi su tali questioni e di sottoporre eventuali questioni pregiudiziali alla Corte a questo proposito.

237

In quarto luogo, le disposizioni e il principio del diritto dell’Unione menzionati al punto 232 della presente sentenza sarebbero altresì violati dalle disposizioni transitorie dell’articolo 10 della legge di modifica, le quali prevedono, anzitutto, che gli organi giurisdizionali polacchi, comprese le altre Sezioni del Sąd Najwyższy (Corte suprema), rinviano dinanzi alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, prima del 21 febbraio 2020, le controversie pendenti alla data del 14 febbraio del medesimo anno, riguardanti le questioni ormai rientranti nella competenza esclusiva di tale Sezione, poi, che quest’ultima può, in tal caso, revocare gli atti in precedenza compiuti dall’organo giurisdizionale che si è spogliato della propria competenza in suo favore, atti questi che possono comprendere un eventuale rinvio pregiudiziale alla Corte, e, infine, che gli atti compiuti in siffatte controversie dopo il 14 febbraio 2020, come un eventuale rinvio pregiudiziale, sono privi di effetti.

238

A sua difesa, la Repubblica di Polonia afferma, in primo luogo, che la Commissione interpreta erroneamente la sentenza A.K. e a. Infatti, da tale sentenza risulterebbe soltanto che, se una parte deduce che l’esame della sua controversia da parte dell’organo giurisdizionale normalmente competente determinerebbe una violazione dei diritti che le derivano dall’articolo 47 della Carta, l’organo giurisdizionale adito può pronunciarsi su una siffatta obiezione e, qualora quest’ultima sia fondata, rinviare la controversia dinanzi a un altro organo giurisdizionale che offra le garanzie di indipendenza richieste e che sarebbe competente in forza della legge in assenza delle disposizioni che riservano la competenza all’organo giurisdizionale che non offre simili garanzie.

239

Per contro, da detta sentenza non discenderebbe che tutti gli organi giurisdizionali nazionali abbiano il diritto di conoscere di questo tipo di controversie. La tesi sostenuta dalla Commissione violerebbe, per di più, il requisito relativo al diritto a un tribunale costituito per legge, il quale esclude che la determinazione dell’organo giurisdizionale competente sia lasciata alla discrezionalità delle autorità giudiziarie. Nella sentenza A.K. e a. la Corte avrebbe quindi istituito, in favore dei giudici del rinvio interessati, non già il potere di adottare atti privi di base giuridica, bensì quello di rinviare le controversie di cui trattasi dinanzi a un altro giudice la cui competenza risulti da un atto del Parlamento, in conformità all’articolo 200, paragrafo 14, del codice di procedura civile. L’unico obbligo incombente agli Stati membri sarebbe, a tal riguardo, quello di assicurare che, come richiesto dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, controversie presentanti un elemento di collegamento con il diritto dell’Unione siano portate dinanzi a organi giurisdizionali che offrono le garanzie richieste da tale disposizione.

240

Inoltre, l’ipotesi oggetto della sentenza A. K. e a. sarebbe priva di nesso con le disposizioni nazionali contestate, in quanto queste ultime riguardano la posizione di un organo giurisdizionale investito di un’istanza di ricusazione, di una questione di diritto relativa all’indipendenza di un organo giurisdizionale o di un dubbio sulla legittimità di una decisione definitiva.

241

In secondo luogo, per quanto riguarda, più specificamente, il contenuto delle disposizioni nazionali contestate, la Repubblica di Polonia evidenzia, sotto un primo profilo, relativamente all’articolo 26, paragrafo 2, della legge sulla Corte suprema, come modificata, che l’esame di un’istanza di ricusazione non è mai rientrato, nel diritto polacco, nella competenza del giudice o dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, ma doveva, in precedenza, essere effettuato vuoi da un altro collegio dello stesso organo giurisdizionale, vuoi da un organo giurisdizionale di grado superiore. Pertanto, tale disposizione nazionale non priverebbe i giudici o gli organi giurisdizionali dinanzi ai quali venga sollevata una siffatta questione incidentale di una competenza che essi avrebbero avuto in precedenza. Essa prevedrebbe semplicemente che, qualora le censure alla base della ricusazione di taluni giudici riguardino la loro indipendenza, tale questione debba ora essere rinviata alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche. Orbene, ciascuno Stato membro resterebbe libero di stabilire da quale organo giurisdizionale debba essere trattato un tale tipo di controversie, in quanto il diritto dell’Unione richiede soltanto che l’organo giurisdizionale investito della competenza a conoscere di una controversia di questo tipo offra le garanzie previste all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

242

Per quanto riguarda, sotto un secondo profilo, l’articolo 26, paragrafi da 4 a 6, della legge sulla Corte suprema, come modificata, l’accertamento dell’illegittimità di una decisione definitiva non costituirebbe una questione «incidentale» che può essere esaminata in limine litis nell’ambito di un altro procedimento, ma richiederebbe la proposizione di un ricorso straordinario che, per definizione, può essere proposto solo in caso di pronuncia di una siffatta decisione definitiva, e ciò dinanzi a un organo giurisdizionale competente in forza della legge, il quale deve necessariamente essere diverso dall’organo giurisdizionale che ha emesso tale decisione. Per di più, prevedendo quindi che un tipo particolare di ricorsi sia esaminato dal Sąd Najwyższy (Corte suprema), nell’ambito di una Sezione specializzata nel trattamento delle questioni relative all’indipendenza del potere giudiziario, tali disposizioni nazionali rafforzerebbero le garanzie procedurali a favore delle parti.

243

Per quanto riguarda, sotto un terzo profilo, l’articolo 82, paragrafi da 2 a 5, della legge sulla Corte suprema, come modificata, la Repubblica di Polonia sottolinea che, in conformità all’articolo 1, punto 1, lettera a), di tale legge, rientra nella competenza del Sąd Najwyższy (Corte suprema) l’adozione di risoluzioni riguardanti questioni di diritto relative a tutte le controversie che rientrano nella competenza di tale organo giurisdizionale. A tal riguardo, la seconda censura si fonderebbe interamente su un presunto requisito secondo il quale, qualora siffatte questioni di diritto siano relative all’indipendenza del potere giudiziario, esse debbano essere decise dagli organi giurisdizionali dinanzi ai quali tali questioni sono state sollevate, requisito questo di cui la Commissione non avrebbe, tuttavia, dimostrato l’esistenza in alcun modo. Del resto, l’oggetto stesso del procedimento relativo alla risoluzione di una questione di diritto consisterebbe proprio, in presenza di una questione complessa che possa dar luogo a divergenze interpretative, nel consentire all’organo giurisdizionale dinanzi al quale una siffatta questione è stata sollevata di rinviare l’esame di quest’ultima a un collegio specializzato di grado superiore, al fine di ottenere i necessari chiarimenti e di prevenire, nell’interesse della certezza del diritto, divergenze significative e persistenti nella giurisprudenza. Inoltre, un simile meccanismo non obbligherebbe gli organi giurisdizionali in questione a chiedere una decisione su una questione di diritto, ma attribuirebbe loro la possibilità di farlo, e una tale decisione riguarderebbe soltanto l’interpretazione del diritto e non, invece, la sua applicazione, la quale continuerebbe a rientrare nella competenza dell’organo giurisdizionale investito del merito della controversia di cui trattasi.

244

Sotto un quarto profilo, le disposizioni transitorie contenute nell’articolo 10 della legge di modifica avrebbero esaurito il loro effetto e, in ogni caso, avrebbero semplicemente consentito di garantire che, in conformità al diritto a un tribunale costituito per legge, gli organi giurisdizionali che hanno cessato di essere competenti trasferiscano le controversie in questione all’organo giurisdizionale divenuto competente.

245

In terzo luogo, la Repubblica di Polonia ritiene che le disposizioni nazionali contestate non limitino il potere degli organi giurisdizionali polacchi di interrogare la Corte in via pregiudiziale, a condizione che essi agiscano nell’ambito delle loro competenze ratione territorii e ratione materiae. Inoltre, poiché la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche è un organo giurisdizionale di ultimo grado, essa sarebbe tenuta a presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte ogniqualvolta nutra dubbi in merito all’interpretazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, il che aumenterebbe quindi, in pratica, il numero di casi in cui può esistere l’obbligo di adire la Corte in via pregiudiziale e, di conseguenza, rafforzerebbe l’effettività dell’esercizio dei diritti derivanti dall’articolo 47 della Carta.

246

Per di più, le disposizioni transitorie contenute nell’articolo 10 della legge di modifica non autorizzerebbero la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche a procedere al ritiro di un rinvio pregiudiziale, dal momento che tale Sezione è, al contrario, tenuta, in caso di dubbi sull’interpretazione del diritto dell’Unione, a confermare le questioni precedentemente sollevate o a sollevarne a sua volta. Inoltre, tali disposizioni transitorie consentirebbero la revoca di atti anteriori solo qualora essi impediscano che la controversia di cui trattasi sia esaminata «in conformità alla legge», il che non potrebbe, per definizione, essere il caso di un rinvio pregiudiziale. Dette disposizioni transitorie non vieterebbero neppure agli organi giurisdizionali nazionali soggetti all’obbligo di trasferire le controversie di cui erano fino ad allora investiti di sottoporre questioni pregiudiziali, come dimostrerebbero, del resto, numerose questioni pregiudiziali vertenti sui requisiti di indipendenza dei giudici recentemente rivolte alla Corte.

247

In quarto luogo, la Commissione non avrebbe suffragato la seconda censura per quanto concerne la violazione del principio del primato del diritto dell’Unione e le disposizioni nazionali contestate non concernerebbero conflitti tra norme in cui tale principio debba essere applicato.

248

Nella sua replica la Commissione precisa che la seconda censura mira, in sostanza, a contestare il fatto che sia stata revocata ai diversi organi giurisdizionali nazionali o alle Sezioni del Sąd Najwyższy (Corte suprema) fino ad allora competenti, e attribuita, senza particolari motivi legittimi, a una nuova Sezione giurisdizionale che non può essere considerata un organo giurisdizionale specializzato, la competenza esclusiva a esaminare il rispetto dei requisiti del diritto dell’Unione di cui trattasi. Infatti, da un lato, tale nuova Sezione giurisdizionale comprenderebbe solo 20 dei 10000 giudici della Repubblica di Polonia, sicché il diritto dei singoli alla tutela giurisdizionale e l’effettività del diritto dell’Unione risulterebbero notevolmente indeboliti, mentre dalla giurisprudenza della Corte si evincerebbe che tutti gli organi giurisdizionali nazionali devono applicare, nella misura più ampia possibile, le disposizioni del diritto dell’Unione relative all’indipendenza dei giudici. Dall’altro lato, poiché tutti i membri della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche sono stati nominati su proposta della KRS, nella sua nuova composizione, ossia in circostanze che, molto spesso, sono proprio quelle invocate nelle istanze di ricusazione vertenti sulla mancanza di indipendenza del giudice, si porrebbe la questione relativa alla valutazione imparziale di siffatte questioni da parte di tale Sezione.

249

Per quanto riguarda l’articolo 267 TFUE, la Commissione sostiene che, tenuto conto, in particolare, del contesto delle riforme della giustizia in cui sono state adottate le disposizioni nazionali contestate e delle ripetute misure emanate dalle autorità polacche al fine di impedire il buon funzionamento del meccanismo pregiudiziale istituito da tale articolo, risulta chiaramente che le disposizioni nazionali in parola hanno artificiosamente sottratto alla competenza ratione materiae degli organi giurisdizionali nazionali fino ad allora competenti l’esame della «questione orizzontale» dell’indipendenza dei giudici che può porsi in qualsiasi controversia, e ciò al fine di privare tali organi giurisdizionali nazionali della possibilità di sottoporre questioni alla Corte in tale settore, in violazione dell’articolo 267 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, terzo comma, TUE.

250

A tal riguardo, la Commissione afferma altresì che norme nazionali che rischiano, come nel caso di specie, di avere come conseguenza che un giudice nazionale preferisca astenersi dal sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte ledono le prerogative riconosciute ai giudici nazionali dall’articolo 267 TFUE. Per quanto concerne l’argomento secondo il quale il fatto di trasferire tutta la competenza ratione materiae a un organo giurisdizionale le cui decisioni non sono impugnabili rafforzerebbe l’effetto utile di tale articolo, esso sarebbe contrario alla struttura dello stesso, che prevede, infatti, che gli organi giurisdizionali di grado inferiore abbiano la possibilità di interrogare la Corte.

251

Per quanto riguarda il principio del primato del diritto dell’Unione, la Commissione indica di aver sottolineato, sia nel parere motivato che nell’atto di ricorso, che la competenza esclusiva della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche nelle tre categorie di controversie di cui trattasi impedisce agli organi giurisdizionali polacchi di disapplicare le disposizioni nazionali in forza delle quali la competenza a conoscere delle controversie relative al diritto dell’Unione è attribuita a organi giurisdizionali e a giudici che non soddisfano i requisiti del diritto dell’Unione in materia di indipendenza dei giudici.

252

Nella sua controreplica la Repubblica di Polonia afferma che la Commissione solleva, nella sua replica, «censure nuove», deducendo che la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, che esiste già dal 2018 e le cui condizioni di nomina dei membri sono ben note, non sarebbe indipendente e imparziale. Orbene, dal momento che tali censure non riguarderebbero elementi emersi dopo l’avvio del procedimento e che le allegazioni della Commissione relative a una presunta mancanza di indipendenza e di imparzialità sarebbero state formulate unicamente a sostegno della quarta censura, riguardante la sola Sezione disciplinare, dette censure sarebbero tardive e dovrebbero essere respinte, in conformità all’articolo 127, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

253

Secondo tale Stato membro, le «censure nuove» in parola sarebbero, in ogni caso, infondate. Infatti, la mera circostanza che i giudici della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche siano nominati, al pari di tutti gli altri giudici polacchi, mediante l’intervento di un organo come la KRS non sarebbe tale da creare una dipendenza di detti giudici nei confronti del potere politico. Inoltre, la giurisprudenza elaborata da tale Sezione dimostrerebbe pienamente l’indipendenza e l’imparzialità di quest’ultima.

254

Per di più, affermando che l’articolo 26, paragrafi da 4 a 6, della legge sulla Corte suprema, come modificata, priva le altre Sezioni del Sąd Najwyższy (Corte suprema) della loro competenza a conoscere dei ricorsi di accertamento dell’illegittimità di una decisione definitiva, laddove l’illegittimità in questione consista nel mettere in discussione lo status della persona nominata alle funzioni di giudice, la Commissione fraintenderebbe la portata di tale disposizione nazionale. Infatti, la competenza delle diverse Sezioni del Sąd Najwyższy (Corte suprema) in parola sarebbe definita agli articoli da 23 a 25 della legge sulla Corte suprema, come modificata, che riservano alla Sezione civile la competenza a statuire nelle controversie civili, alla Sezione penale quella a statuire nelle controversie penali e alla Sezione per il lavoro e la previdenza sociale quella a statuire, in particolare, nelle controversie in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale. Orbene, siffatte competenze sostanziali sarebbero tutte estranee alle controversie in cui sia messa in discussione l’esistenza del mandato di un giudice, problematica questa il cui esame rientrerebbe nella competenza esclusiva della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche.

255

In ogni caso, la Commissione non avrebbe dimostrato che l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE imponga l’obbligo di garantire che i ricorsi di accertamento dell’illegittimità di una decisione definitiva siano esaminati da tutte le Sezioni del Sąd Najwyższy (Corte suprema), né che il diritto dell’Unione fosse applicato in modo effettivo sulla base delle disposizioni nazionali anteriori e che non lo sia più in forza delle disposizioni nazionali contestate.

256

Per quanto riguarda l’articolo 82, paragrafi da 2 a 5, della legge sulla Corte suprema, come modificata, l’allegazione della Commissione secondo cui la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche non costituirebbe un organo giurisdizionale specializzato sarebbe arbitraria, dal momento che tale Sezione è, infatti, composta da giuristi esperti e titolari, perlomeno, di un diploma di livello postdottorale in scienze giuridiche.

257

Infine, le disposizioni nazionali contestate non impedirebbero né agli organi giurisdizionali competenti ratione materiae né a quelli che non lo sono di sottoporre questioni pregiudiziali alla Corte e la Commissione non spiegherebbe neppure in che modo tali disposizioni nazionali avrebbero come conseguenza di scoraggiare i giudici nazionali dal sollevare siffatte questioni o di indurli a ritirare queste ultime.

Giudizio della Corte

– Sulla ricevibilità

258

A integrazione dei principi enunciati ai punti da 188 a 190 della presente sentenza, occorre ricordare che risulta parimenti da una giurisprudenza costante che, nell’ambito di un ricorso proposto ai sensi dell’articolo 258 TFUE, la lettera di diffida inviata dalla Commissione allo Stato membro di cui trattasi e, in seguito, il parere motivato emesso da quest’ultima delimitano la materia del contendere, che quindi non può più essere ampliata. Infatti, la possibilità, per tale Stato membro, di presentare osservazioni costituisce, anche se esso ritenga di non doverne far uso, una garanzia essenziale voluta dal Trattato FUE, la cui osservanza è un requisito formale sostanziale per la regolarità del procedimento di accertamento dell’inadempimento di uno Stato membro. Di conseguenza, tale parere motivato e il ricorso della Commissione devono vertere sugli stessi addebiti già mossi nella lettera di diffida con cui viene aperta la fase precontenziosa (sentenza del 22 settembre 2016, Commissione/Repubblica ceca, C‑525/14, EU:C:2016:714, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

259

Infatti, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che il procedimento precontenzioso ha lo scopo di offrire allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi che gli derivano dal diritto dell’Unione e, dall’altro, di sviluppare un’utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione. La regolarità di tale procedimento costituisce una garanzia essenziale prevista dal Trattato FUE, non soltanto a tutela dei diritti dello Stato membro di cui trattasi, ma anche per garantire che l’eventuale procedimento contenzioso verta su una controversia chiaramente definita [sentenza dell’8 marzo 2022, Commissione/Regno Unito (Lotta contro la frode da sottovalutazione), C‑213/19, EU:C:2022:167, punto 131 e giurisprudenza ivi citata].

260

Orbene, nel caso di specie si deve necessariamente constatare che, come correttamente dedotto dalla Repubblica di Polonia, la Commissione non ha sostenuto, né durante la fase precontenziosa né nell’atto di ricorso, che le disposizioni nazionali da essa contestate nell’ambito della seconda censura violino il diritto dell’Unione in ragione della composizione della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, alla quale tali disposizioni nazionali attribuiscono una competenza esclusiva, e, più specificamente, in ragione di un’eventuale mancanza di imparzialità che possa incidere su tale Sezione nell’esercizio della competenza in parola in considerazione delle modalità che hanno presieduto alla nomina dei membri della stessa, sebbene la Commissione avesse conoscenza di tale composizione e di dette modalità di nomina.

261

Dando atto di simili considerazioni solo nella fase della replica, la Commissione deduce, quindi, argomenti nuovi idonei a modificare sostanzialmente la portata della seconda censura, come articolata fino ad allora.

262

Tali argomenti, essendo, dunque, stati formulati tardivamente e in violazione dei requisiti richiamati ai punti 258 e 259 della presente sentenza, sono irricevibili e devono, pertanto, essere respinti.

– Nel merito

263

In primo luogo, occorre evidenziare che dai principi richiamati ai punti da 63 a 74 della presente sentenza discende che, sebbene la ripartizione o la riorganizzazione delle competenze giurisdizionali all’interno di uno Stato membro rientri, in linea di principio, nella libertà degli Stati membri garantita all’articolo 4, paragrafo 2, TUE (v., per analogia, sentenza del 21 dicembre 2016, Remondis, C‑51/15, EU:C:2016:985, punto 47), ciò vale solo a condizione che, in particolare, una siffatta ripartizione o riorganizzazione non pregiudichi il rispetto del valore dello Stato di diritto, previsto all’articolo 2 TUE, e i requisiti derivanti, a tal riguardo, dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, tra cui quelli relativi all’indipendenza, all’imparzialità e alla precostituzione per legge degli organi giurisdizionali chiamati a interpretare e ad applicare il diritto dell’Unione.

264

In secondo luogo, occorre ricordare che, in effetti, la Corte ha ripetutamente ammesso che, nell’esercizio della sua competenza relativa alla ripartizione delle competenze giurisdizionali al suo interno, uno Stato membro potesse, in determinate circostanze, essere indotto ad affidare a un organo unico o a più organi decentrati la competenza esclusiva a conoscere di talune questioni sostanziali rientranti nell’ambito del diritto dell’Unione.

265

A tal riguardo, la Corte ha sottolineato, segnatamente, che il fatto che un particolare contenzioso sostanziale rientrasse nella competenza esclusiva di un solo e unico organo giurisdizionale poteva, se del caso, rivelarsi idoneo a consentire a quest’ultimo di acquisire una conoscenza specifica in grado di limitare la durata media dei procedimenti o ad assicurare una prassi uniforme sul territorio nazionale, contribuendo così alla certezza del diritto (v., in tal senso, sentenza del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 56). La Corte ha parimenti osservato che la designazione di organi giurisdizionali decentrati meno numerosi, di grado più elevato rispetto agli organi giurisdizionali locali e i cui giudici dispongono di un’esperienza professionale maggiore poteva essere idonea a favorire un’amministrazione della giustizia più omogenea e specializzata nel settore del diritto sostanziale dell’Unione di cui trattasi, nonché una tutela più efficace dei diritti spettanti ai singoli in forza di tale diritto (sentenza del 12 febbraio 2015, Baczó e Vizsnyiczai, C‑567/13, EU:C:2015:88, punti 4658).

266

Se è vero che spetta, quindi, a ciascuno Stato membro designare, nel proprio ordinamento giuridico interno, gli organi giurisdizionali competenti e disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la salvaguardia dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, resta tuttavia il fatto che gli Stati membri hanno la responsabilità di assicurare, in ogni caso, la tutela effettiva di tali diritti. A tale titolo, come risulta da una giurisprudenza consolidata, le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione non devono, in particolare, rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione e un simile requisito vale anche per quanto riguarda la designazione degli organi giurisdizionali competenti a trattare le azioni fondate su tale diritto Infatti, il mancato rispetto di detta esigenza sotto tale profilo è, al pari di un inadempimento della medesima sotto il profilo della definizione delle modalità procedurali, tale da ledere il principio di tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenze del 15 aprile 2008, Impact, C‑268/06, EU:C:2008:223, punti da 44 a 48; del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04, C‑93/12, EU:C:2013:432, punti da 3537 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punti 2223).

267

Nel caso di specie occorre, tuttavia, constatare che la Commissione non afferma nel suo ricorso né, a fortiori, dimostra che la concentrazione di competenze operata dalle disposizioni nazionali contestate in favore della Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche sia tale da generare inconvenienti procedurali che siano, in quanto tali, in grado di pregiudicare l’effettività di diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, rendendo praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di tali diritti da parte dei singoli.

268

Ciò posto, occorre osservare, in terzo luogo, che, a differenza delle competenze relative a disposizioni di diritto sostanziale dell’Unione che erano, segnatamente, in discussione nelle cause che hanno dato luogo alle sentenze richiamate ai punti 265 e 266 della presente sentenza, la riorganizzazione e la concentrazione di competenze giurisdizionali contestate dalla Commissione con la sua seconda censura riguardano taluni requisiti derivanti dalle disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dall’articolo 47 della Carta, vale a dire disposizioni di natura al contempo costituzionale e procedurale e il cui rispetto deve, inoltre, essere garantito trasversalmente in tutti i settori sostanziali di applicazione del diritto dell’Unione, nonché dinanzi a tutti gli organi giurisdizionali nazionali investiti di controversie rientranti in tali settori.

269

Infatti, come ricordato al punto 69 della presente sentenza, l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE concretizza il valore dello Stato di diritto enunciato all’articolo 2 TUE e impone, a tal riguardo, agli Stati membri di prevedere un sistema di rimedi giurisdizionali e di procedimenti che assicuri ai singoli il rispetto del loro diritto a una tutela giurisdizionale effettiva in tutti i settori disciplinati dal diritto dell’Unione, dal momento che il principio di tutela giurisdizionale effettiva al quale l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE fa riferimento costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, ora sancito dall’articolo 47 della Carta.

270

A tal riguardo, queste ultime due disposizioni del diritto dell’Unione e detto principio generale presentano uno stretto collegamento con il principio del primato di tale diritto. Infatti, l’attuazione di quest’ultimo principio da parte degli organi giurisdizionali nazionali contribuisce a garantire la tutela effettiva dei diritti che il diritto dell’Unione attribuisce ai singoli (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2010, Winner Wetten, C‑409/06, EU:C:2010:503, punti da 53 a 55 e giurisprudenza ivi citata).

271

Orbene, il principio del primato del diritto dell’Unione, che ha anch’esso natura costituzionale, richiede, secondo una giurisprudenza costante ricordata al punto 228 della presente sentenza, che gli organi giurisdizionali nazionali incaricati di applicare, nell’ambito delle loro competenze, le disposizioni del diritto dell’Unione garantiscano la piena efficacia di tali disposizioni nelle controversie di cui sono investiti, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione avente effetto diretto, senza chiedere né attendere la previa rimozione di tale disposizione nazionale in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.

272

La Corte ha dichiarato, in tal senso, che fosse incompatibile con le esigenze inerenti alla natura stessa del diritto dell’Unione qualsiasi disposizione facente parte dell’ordinamento giuridico nazionale o qualsiasi prassi, legislativa, amministrativa o giudiziaria, la quale porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto dell’Unione per il fatto che sia negato al giudice, competente ad applicare questo diritto, il potere di fare, all’atto stesso di tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni legislative nazionali che eventualmente ostino alla piena efficacia delle norme direttamente applicabili dell’Unione (sentenza del 4 dicembre 2018, Minister for Justice and Equality e Commissioner of An Garda Síochána, C‑378/17, EU:C:2018:979, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

273

La Corte ha precisato che ciò è quanto si verificherebbe qualora, in caso di conflitto tra una disposizione di diritto dell’Unione ed una legge nazionale, la soluzione di tale conflitto fosse riservata ad un’autorità diversa dal giudice cui è affidato il compito di garantire l’applicazione del diritto dell’Unione, dotato di un autonomo potere di valutazione (sentenza del 4 dicembre 2018, Minister for Justice and Equality e Commissioner of An Garda Síochána, C‑378/17, EU:C:2018:979, punto 37 e giurisprudenza ivi citata), anche se l’ostacolo in tal modo frapposto alla piena efficacia di tale diritto fosse soltanto temporaneo (sentenza dell’8 settembre 2010, Winner Wetten, C‑409/06, EU:C:2010:503, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

274

Orbene, come ricordato al punto 128 della presente sentenza, per garantire la preservazione delle caratteristiche specifiche e dell’autonomia dell’ordinamento giuridico dell’Unione, i Trattati hanno istituito un sistema giurisdizionale destinato ad assicurare la coerenza e l’unità nell’interpretazione del diritto dell’Unione e, in tale contesto, è compito degli organi giurisdizionali nazionali e della Corte garantire sia la piena applicazione del diritto dell’Unione in tutti gli Stati membri sia la tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza di tale diritto.

275

Per di più, risulta da una giurisprudenza costante della Corte che la chiave di volta del sistema giurisdizionale così concepito è costituita dal procedimento di rinvio pregiudiziale previsto dall’articolo 267 TFUE, il quale, instaurando un dialogo da giudice a giudice tra la Corte e i giudici degli Stati membri, mira ad assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione, permettendo così di garantire la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto nonché, in ultima istanza, il carattere peculiare dell’ordinamento istituito dai Trattati (sentenza del 24 ottobre 2018, XC e a., C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).

276

In tale contesto, la Corte ha segnatamente dichiarato, come ricordato ai punti da 129 a 131 della presente sentenza, che il diritto fondamentale a un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, implica che ogni organo giurisdizionale nazionale chiamato ad applicare il diritto dell’Unione ha l’obbligo di verificare se la sua composizione gli consenta di costituire un siffatto giudice, qualora, a questo proposito, sorga un dubbio serio, essendo tale verifica necessaria nell’interesse della fiducia che in una società democratica gli organi giurisdizionali devono ispirare ai singoli, o ancora che un siffatto organo giurisdizionale deve, in determinate circostanze, poter verificare se un’irregolarità che vizia la procedura di nomina di un giudice possa aver determinato una violazione di tale diritto fondamentale.

277

Ciò posto, può essere giustificato il fatto che un giudice che non si è esso stesso astenuto e che è oggetto di un’istanza di ricusazione formulata da una parte del procedimento a causa di un potenziale conflitto di interessi in capo a tale giudice non partecipi alla decisione relativa a una siffatta istanza e che la competenza a statuire su quest’ultima sia attribuita, come avveniva in Polonia prima dell’entrata in vigore delle disposizioni nazionali contestate, a seconda dei casi, vuoi a un altro collegio dell’organo giurisdizionale di cui trattasi, vuoi all’organo giurisdizionale di grado immediatamente superiore a quest’ultimo. Parimenti, può risultare conforme a una buona amministrazione della giustizia che i conflitti di competenza ratione materiae o ratione territorii che possono sorgere tra diversi organi giurisdizionali siano risolti da un organo terzo.

278

Per contro, gli obblighi menzionati al punto 276 della presente sentenza sono tali da escludere che il controllo del rispetto e la successiva applicazione, da parte degli organi giurisdizionali nazionali, dei requisiti derivanti dalle disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, come interpretati dalla Corte, possano, in occasione di una riorganizzazione delle competenze giurisdizionali come quella contestata dalla Commissione con la sua seconda censura, rientrare, in modo generale e indifferenziato, nella competenza di un solo e unico organo nazionale, a maggior ragione se tale organo non può, in base al diritto nazionale, esaminare taluni aspetti inerenti a tali requisiti.

279

A tal riguardo, occorre rilevare, inoltre, che le considerazioni a cui la Corte fa riferimento nella sua giurisprudenza richiamata al punto 265 della presente sentenza e relative ai vantaggi potenzialmente connessi a una specializzazione per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia, la conoscenza, la limitazione della durata media dei procedimenti o, ancora, l’uniformità nell’applicazione del diritto non possono prevalere rispetto ai requisiti derivanti dal principio della tutela giurisdizionale effettiva, di cui ogni organo giurisdizionale nazionale deve, per definizione e indipendentemente dal suo grado o dal suo settore di competenza ratione materiae, poter garantire il rispetto, ai fini della specifica controversia di cui è investito, se necessario dialogando con la Corte sulla base dell’articolo 267 TFUE.

280

Orbene, nel caso di specie si deve necessariamente constatare, da un lato, che le disposizioni nazionali contestate dalla Commissione con la seconda censura hanno lo scopo di riservare a un solo e unico organo, nella fattispecie una Sezione specifica del Sąd Najwyższy (Corte suprema), il controllo generalizzato dei requisiti derivanti da tale principio e relativi all’indipendenza del complesso degli organi giurisdizionali e dei giudici, tanto ordinari quanto amministrativi, escludendo che un siffatto controllo possa essere esercitato da uno degli altri organi giurisdizionali in parola, inclusi, quindi, le altre Sezioni del Sąd Najwyższy (Corte suprema) e il Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa), e privando, in tal modo, delle loro competenze gli organi giurisdizionali nazionali fino ad allora competenti a esercitare i diversi tipi di controllo riguardanti siffatti requisiti e ad applicare direttamente, in tale ambito, gli insegnamenti derivanti dalla giurisprudenza della Corte.

281

Sotto un primo profilo, infatti, come risulta dall’articolo 26, paragrafo 2, della legge sulla Corte suprema, come modificata, alla Sezione di controllo straordinario e alle questioni pubbliche è stata attribuita una competenza esclusiva a pronunciarsi «sulle domande o sulle dichiarazioni» riguardanti la «ricusazione» di un giudice o la «designazione dell’organo giurisdizionale» dinanzi al quale un procedimento deve essere avviato, comprese «le censure concernenti la mancanza di indipendenza dell’organo giurisdizionale o del giudice» di cui trattasi, le quali domande o dichiarazioni devono, quindi, essere immediatamente trasmesse a tale Sezione da ogni altro organo giurisdizionale investito di una controversia, anche laddove il merito di tale controversia rientri in un settore disciplinato dal diritto dell’Unione.

282

Sotto un secondo profilo, dall’articolo 82, paragrafi da 2 a 5, della legge sulla Corte suprema, come modificata, risulta che la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche in seduta plenaria ha una competenza, parimenti esclusiva, quando, in occasione dell’esame di un ricorso per cassazione o di un altro ricorso pendente dinanzi al Sąd Najwyższy (Corte suprema), anche dinanzi alle altre Sezioni di tale organo giurisdizionale, «si pone una questione di diritto vertente sull’indipendenza di un giudice o di un’autorità giudiziaria». In tale ipotesi, infatti, l’articolo 82, paragrafo 2, di tale legge dispone che il collegio del Sąd Najwyższy (Corte suprema) investito della controversia di cui trattasi «sospende il procedimento e rimette detta questione» alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, con la precisazione che, peraltro, una decisione adottata dalla citata Sezione su tale base è «vincolante per tutti i collegi del Sąd Najwyższy (Corte suprema)».

283

Sotto un terzo profilo, le disposizioni dell’articolo 26, paragrafi da 4 a 6, della legge sulla Corte suprema, come modificata, prevedono, in particolare, che la Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche è la sola a essere competente a pronunciarsi sui «ricorsi diretti ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità delle decisioni o delle sentenze definitive del [Sąd Najwyższy (Corte suprema)], degli organi giurisdizionali ordinari, degli organi giurisdizionali militari e degli organi giurisdizionali amministrativi, compreso il [Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa)]», laddove l’«illegittimità consista nel mettere in discussione lo status della persona nominata quale giudice pronunciatosi sulla controversia».

284

Orbene, occorre osservare che i termini ampi in cui è, dunque, formulato l’articolo 26, paragrafi da 4 a 6, della legge sulla Corte suprema, come modificata, paiono tali da consentire alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche di procedere al controllo ex post di tutte le decisioni definitive emesse dal complesso degli altri organi giurisdizionali ordinari e amministrativi polacchi, comprese le decisioni definitive di altre Sezioni del Sąd Najwyższy (Corte suprema) e del Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa), ogniqualvolta sia messo in discussione lo status di persona nominata quale giudice e che è stata chiamata a pronunciarsi in una qualsiasi fase della trattazione della controversia di cui trattasi.

285

Dall’altro lato, occorre tener conto del fatto che le disposizioni nazionali contestate nell’ambito della seconda censura sono state introdotte nella legge sulla Corte suprema dalla legge di modifica, in via d’urgenza e nel contesto particolare già descritto ai punti da 140 a 145della presente sentenza, contemporaneamente alle altre disposizioni contestate dalla Commissione nell’ambito delle censure prima e terza. Orbene, come risulta dalle constatazioni effettuate dalla Corte in occasione dell’esame di tali censure prima e terza, l’accoglimento di queste ultime è stato motivato, in particolare, dalla circostanza che le disposizioni nazionali contestate, in ragione dei divieti e degli illeciti disciplinari da esse sanciti nei confronti dei giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema) e di tutti gli organi giurisdizionali ordinari e amministrativi, sono tali da impedire agli stessi di svolgere taluni accertamenti e valutazioni che, tuttavia, in determinate circostanze incombono loro in forza del diritto dell’Unione, alla luce dei requisiti derivanti dalle disposizioni dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta.

286

In un contesto del genere, il fatto che il legislatore nazionale abbia riorganizzato le competenze giurisdizionali in vigore e abbia attribuito a un solo e unico organo nazionale la competenza a verificare il rispetto di taluni requisiti essenziali derivanti dal diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dall’articolo 47 della Carta, benché la necessità di una siffatta verifica possa, a seconda delle circostanze, porsi dinanzi a ogni organo giurisdizionale nazionale, è, unitamente all’introduzione dei summenzionati divieti e illeciti disciplinari, tale da contribuire a indebolire ulteriormente l’effettività del controllo del rispetto di tale diritto fondamentale, che il diritto dell’Unione affida, invece, a tutti gli organi giurisdizionali nazionali. Ciò vale a maggior ragione in quanto, come rilevato al punto 198 della presente sentenza, tale organo non può, nella fattispecie, esaminare una domanda che gli sia stata trasmessa da un organo giurisdizionale nazionale e riguardante «l’accertamento e la valutazione della legittimità della nomina di un giudice o della sua legittimazione ad esercitare le funzioni giurisdizionali».

287

Per di più, impedendo, in tal modo, indistintamente a tutti gli altri organi giurisdizionali in parola, a prescindere dal loro grado o dalla fase procedurale in cui si pronunciano e quand’anche essi siano eventualmente investiti di controversie relative all’applicazione di disposizioni sostanziali del diritto dell’Unione, di fare, immediatamente, quanto necessario al fine di garantire il rispetto del diritto dei singoli interessati a una tutela giurisdizionale effettiva, disapplicando, se del caso, essi stessi le norme nazionali contrarie ai requisiti derivanti da tale diritto, le disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nell’ambito della seconda censura violano altresì il principio del primato del diritto dell’Unione.

288

Per quanto riguarda, infine, l’articolo 10 della legge di modifica, è sufficiente osservare che, poiché tale articolo ha, in sostanza, lo scopo di precisare in che misura e in che modo debba essere esercitata la competenza esclusiva attribuita alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche dalle disposizioni nazionali menzionate ai punti da 281 a 283 della presente sentenza per quanto riguarda le controversie pendenti alla data di entrata in vigore di tale legge, detto articolo è indissolubilmente legato alle altre disposizioni in parola e viola, di conseguenza, per le stesse ragioni esposte ai punti da 268 a 287 della presente sentenza, sia il combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, sia il principio del primato del diritto dell’Unione.

289

Da tutto quanto precede risulta che la seconda censura deve essere accolta nella parte in cui verte sulla violazione del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché del principio del primato del diritto dell’Unione.

290

Per quanto riguarda l’articolo 267 TFUE, si deve necessariamente constatare che il fatto stesso di affidare, così, a un organo unico, ossia, nel caso di specie, alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche, la competenza esclusiva a decidere talune questioni relative all’applicazione dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta è tale da impedire agli altri organi giurisdizionali, che si sono, quindi, visti privare di ogni competenza interna a pronunciarsi essi stessi su tali questioni, di rivolgersi alla Corte in via pregiudiziale a questo proposito, o perlomeno da scoraggiare detti organi giurisdizionali dal farlo, il che, come risulta dai principi ricordati ai punti da 155 a 158 della presente sentenza, viola l’articolo 267 TFUE.

291

Del resto, per quanto riguarda il contesto più generale in cui si inserisce l’adozione della legge di modifica e delle disposizioni nazionali contestate, occorre altresì ricordare che, come osservato dalla Commissione e come risulta da indicazioni contenute in varie sentenze recenti della Corte, i tentativi delle autorità polacche diretti, dunque, a scoraggiare gli organi giurisdizionali nazionali dal sottoporre alla Corte, in via pregiudiziale, questioni interpretative riguardanti l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e l’articolo 47 della Carta in relazione alle recenti riforme legislative che hanno inciso sul potere giudiziario in Polonia, o a impedire a detti organi giurisdizionali di farlo, si sono di recente moltiplicati [v., in particolare, sentenza del 2 marzo 2021, A.B. e a. (Nomina dei giudici alla Corte suprema – Ricorso), C‑824/18, EU:C:2021:153, punti da 99 a 106 e giurisprudenza ivi citata].

292

In considerazione di tutto quanto precede, la seconda censura deve essere accolta.

Sulla quinta censura

Argomenti delle parti

293

Con la sua quinta censura la Commissione deduce che l’articolo 88a della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, l’articolo 45, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e l’articolo 8, paragrafo 2, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, violano l’articolo 7 e l’articolo 8, paragrafo 1, della Carta, nonché l’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), e paragrafo 3, e l’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD.

294

Secondo la Commissione, tali disposizioni nazionali, nella misura in cui impongono ai giudici dei diversi organi giurisdizionali di cui trattasi di presentare una dichiarazione scritta riguardante la loro appartenenza a un’associazione, a una fondazione senza scopo di lucro o a un partito politico, nonché le funzioni esercitate all’interno degli stessi, e richiedono di pubblicare siffatte informazioni nel Biuletyn Informacji Publicznej, implicano un trattamento di dati personali, poiché simili informazioni sono relative a persone fisiche chiaramente identificate che agiscono in ambito privato.

295

Per di più, la raccolta e la pubblicazione di tali dati personali non riguarderebbero l’organizzazione della giustizia e, in ogni caso, l’eventuale nesso funzionale tra detti dati e l’esercizio delle funzioni di giudice non consentirebbe di escludere siffatte misure dall’ambito di applicazione del RGPD. Infatti, tali misure sarebbero destinate a influenzare la carriera dei giudici e l’esercizio delle loro funzioni e potrebbero pregiudicare la loro indipendenza, mentre la tutela di quest’ultima dovrebbe essere garantita in base all’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, quando tali giudici sono chiamati ad applicare e a interpretare il diritto dell’Unione.

296

I dati personali in questione rientrerebbero, inoltre, nelle categorie di dati sensibili soggette al regime di divieto e di protezione rafforzata previsto all’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, in quanto dati che possono rivelare le opinioni politiche o le convinzioni filosofiche dei giudici di cui trattasi.

297

Orbene, la Commissione ritiene che, anche supponendo che gli obiettivi, risultanti dalla relazione illustrativa del progetto che ha condotto all’adozione dell’articolo 88a della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, volti a preservare la neutralità politica e l’imparzialità dei giudici, nonché la fiducia in tale imparzialità, e a tutelare la dignità delle funzioni di questi ultimi, possano essere considerati legittimi, gli obblighi di dichiarazione e di pubblicazione in questione non siano, tuttavia, necessari per conseguire tali obiettivi. Pertanto, le ingerenze determinate da tali obblighi nel diritto degli interessati al rispetto della loro vita privata e alla protezione dei loro dati personali non sarebbero conformi al principio di proporzionalità e violerebbero, quindi, i requisiti derivanti dalle diverse disposizioni del diritto dell’Unione menzionate al punto 293 della presente sentenza.

298

Infatti, siffatte misure non sarebbero strettamente limitate a quanto necessario per conseguire detti obiettivi, esistendo a tal fine mezzi meno restrittivi, come i procedimenti di ricusazione e la messa a disposizione degli organi incaricati di garantire il rispetto delle norme professionali o di designare i membri dei collegi giudicanti di informazioni relative a talune attività esercitate dai giudici al di fuori delle loro funzioni e che possano dar luogo a conflitti di interessi in capo agli stessi in una determinata controversia. Tali mezzi meno intrusivi consentirebbero, inoltre, di evitare un utilizzo delle informazioni così raccolte per fini diversi da quelli asseritamente perseguiti, come l’esercizio di pressioni esterne nei confronti dei giudici che mettano in pericolo l’indipendenza di questi ultimi o la volontà di nuocere, da un lato, alla loro reputazione professionale e alla loro autorità, promuovendo la sfiducia del pubblico nei loro confronti, e, dall’altro, allo sviluppo della loro carriera, esponendoli a discriminazioni.

299

Inoltre, la pregressa iscrizione di una persona a un partito politico riguarderebbe la vita privata di quest’ultima prima della sua nomina a giudice e non sarebbe tale da influenzare in modo diretto la sua attività attuale. Ciò varrebbe, in particolare, per quanto riguarda l’iscrizione a un partito politico prima del 29 dicembre 1989, dal momento che l’ottenimento di simili informazioni sarebbe del tutto irrilevante ai fini della valutazione dell’imparzialità di un giudice nelle controversie di cui è investito più di 30 anni dopo. Pertanto, la dichiarazione obbligatoria e la pubblicazione di siffatti dati personali non sarebbero neppure idonee a conseguire gli obiettivi fatti valere nel caso di specie.

300

Le misure nazionali in questione sarebbero, invero, assimilabili a un meccanismo di vigilanza dei giudici, la cui improvvisa introduzione non risponderebbe ad alcuna giustificazione o necessità concreta, dal momento che l’apoliticità e l’imparzialità degli stessi erano già garantite da tempo, in particolare, dall’articolo 178 della Costituzione, che prevede una simile apoliticità, nonché dal giuramento in base al quale i giudici giurano di amministrare la giustizia «con piena imparzialità» e dall’obbligo di astenersi da qualsiasi atto che possa «minare la fiducia nella loro imparzialità», a cui sono tenuti in forza degli articoli 66 e 82 della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari.

301

A sua difesa, la Repubblica di Polonia sostiene, anzitutto, che il RGPD non si applica ai trattamenti di dati personali di cui trattasi, sulla base del rilievo che essi sono effettuati per attività che non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di tale regolamento, ossia l’organizzazione e l’amministrazione della giustizia, con le quali le informazioni di cui trattasi hanno un «rapporto diretto», riguardando l’esercizio delle funzioni di giudice.

302

La Repubblica di Polonia afferma poi che, anche a voler ammettere che il RGPD sia applicabile nel caso di specie, le disposizioni nazionali contestate hanno l’obiettivo legittimo di rafforzare l’imparzialità e la neutralità politica dei giudici, informando i singoli in merito all’eventuale esistenza di motivi di ricusazione che possono essere fatti valere dagli stessi in una determinata controversia, e che tali disposizioni nazionali sono proporzionate a questo scopo.

303

Sotto un primo profilo, infatti, la pregressa appartenenza a un partito politico, anche qualora essa sia anteriore al 29 dicembre 1989 e si inserisca in un contesto storico di politicizzazione del potere giudiziario, potrebbe avere un effetto sull’attività giudiziaria attuale e futura del giudice di cui trattasi.

304

Sotto un secondo profilo, la Commissione non suffragherebbe in alcun modo le sue affermazioni secondo le quali le disposizioni nazionali contestate possono ledere la reputazione professionale dei giudici e l’indipendenza degli stessi, nonché determinare un rischio di discriminazione nell’ambito del loro percorso professionale, oppure essere utilizzate per simili scopi. In particolare, la fornitura delle informazioni di cui trattasi non avrebbe alcuna influenza sulla competenza decisionale del giudice, né sull’assegnazione delle controversie all’interno dell’organo giurisdizionale a cui quest’ultimo appartiene, né sullo sviluppo della carriera dell’interessato. La comunicazione di tali informazioni non avrebbe neppure come conseguenza di pregiudicare l’indipendenza del giudice di cui trattasi o la sua imparzialità nelle controversie di cui è investito oppure di condurre alla ricusazione automatica dell’interessato nell’ambito di queste ultime. La Commissione non darebbe, inoltre, atto di nessun caso concreto in cui simili informazioni siano state utilizzate nel modo così ipotizzato.

305

Sotto un terzo profilo, l’obiettivo perseguito dalle disposizioni nazionali contestate non potrebbe essere conseguito attraverso mezzi meno restrittivi, poiché, in mancanza di accesso alle informazioni di cui trattasi, i singoli non potrebbero avere conoscenza di eventuali motivi di ricusazione in capo ai giudici chiamati a statuire in una controversia che li riguarda.

306

Per di più, i dati in questione non rientrerebbero nelle categorie previste all’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, dato che le disposizioni nazionali contestate non richiedono, infatti, che un giudice comunichi informazioni relative alle sue opinioni politiche o alle sue convinzioni filosofiche. Tali disposizioni nazionali non conterrebbero, del resto, alcun elenco dei tipi di appartenenza da indicare e occorrerebbe pertanto valutare, caso per caso, se l’obbligo di dichiarazione di cui trattasi sia applicabile, tenendo conto, segnatamente, dei limiti relativi alle ingerenze nella vita privata e, in particolare, dell’articolo 53, paragrafo 7, della Costituzione, che vieta alle autorità pubbliche di esigere la divulgazione della «visione del mondo», delle convinzioni o della religione di una persona. In ogni caso, per i motivi precedentemente esposti dalla Repubblica di Polonia, dette disposizioni nazionali soddisfarebbero anche il requisito di proporzionalità previsto all’articolo 9, paragrafo 2, lettera g), del RGPD.

307

Infine, la Commissione tenterebbe di invertire l’onere della prova a essa incombente, suggerendo che spetti alla Repubblica di Polonia presentare i fatti che giustificano l’adozione e la proporzionalità di tali disposizioni nazionali per il semplice fatto che queste ultime non esistevano in precedenza.

Giudizio della Corte

– Considerazioni preliminari

308

In via preliminare, occorre osservare, in primo luogo, che, con la sua quinta censura, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che, adottando l’articolo 88a della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, l’articolo 45, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e l’articolo 8, paragrafo 2, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, la Repubblica di Polonia è venuta meno sia agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), e paragrafo 3, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, sia a quelli risultanti dall’articolo 7 e dall’articolo 8, paragrafo 1, della Carta.

309

In tali circostanze, spetta alla Corte pronunciarsi sugli inadempimenti distinti così dedotti dalla Commissione [v., per analogia, sentenze del 21 maggio 2019, Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli), C‑235/17, EU:C:2019:432, punto 131, e del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza associativa), C‑78/18, EU:C:2020:476, punto 143].

310

In secondo luogo, per quanto riguarda l’oggetto delle disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nell’ambito della quinta censura, occorre rilevare, da un lato, che esse impongono ai giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema), degli organi giurisdizionali ordinari e degli organi giurisdizionali amministrativi di procedere, a seconda dell’organo giurisdizionale a cui appartengono e della posizione da essi occupata all’interno di quest’ultimo, a una dichiarazione che, nella maggior parte dei casi, deve essere indirizzata al presidente di un organo giurisdizionale ordinario o amministrativo e, in via più eccezionale, per quanto riguarda i presidenti di un Sąd Apelacyjny (Corte d’appello), il primo presidente del Sąd Najwyższy (Corte suprema) e il presidente del Naczelny Sąd Administracyjny (Corte suprema amministrativa), alla KRS o al Ministro della Giustizia. Secondo tali disposizioni nazionali, le diverse autorità nazionali citate devono poi procedere, entro un termine di 30 giorni, alla pubblicazione on-line, nel Biuletyn Informacji Publicznej, delle informazioni contenute in tali dichiarazioni.

311

Poiché la raccolta di tali informazioni viene contestata dalla Commissione nella misura in cui è effettuata ai fini di tale pubblicazione on-line, occorre considerare queste due operazioni congiuntamente, alla luce delle disposizioni del diritto dell’Unione la cui violazione è dedotta dalla Commissione nel caso di specie.

312

Dall’altro lato, occorre rilevare che, come risulta dalle disposizioni nazionali contestate e, più precisamente, dalla formulazione dell’articolo 88a della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, disposizione questa alla quale rinviano, dal canto loro, l’articolo 45, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e l’articolo 8, paragrafo 2, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, le informazioni soggette a dichiarazione ai fini della loro pubblicazione on-line sono di tre tipi. Infatti, tali informazioni riguardano, sotto un primo profilo, l’appartenenza del giudice di cui trattasi ad un’associazione, con menzione della denominazione e della sede di tale associazione, delle cariche ricoperte e del periodo di affiliazione alla stessa, sotto un secondo profilo, le cariche ricoperte dal giudice in seno a fondazioni senza scopo di lucro, con menzione della denominazione e della sede della fondazione, nonché del periodo durante il quale ha ricoperto dette cariche, e, sotto un terzo profilo, l’iscrizione dell’interessato a un partito politico prima della nomina a giudice e la sua iscrizione a un partito politico nel corso del mandato prima del 29 dicembre 1989, con menzione della denominazione di tale partito, delle cariche ricoperte e della durata dell’iscrizione allo stesso.

– Sull’applicabilità del RGDP

313

Poiché la Repubblica di Polonia sostiene che il RGPD non è applicabile alle disposizioni nazionali contestate, occorre ricordare, anzitutto, che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, del RGPD, tale regolamento si applica al trattamento interamente o parzialmente automatizzato di dati personali e al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti in un archivio o destinati a figurarvi.

314

L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del RGPD precisa, tuttavia, che tale regolamento non si applica ai trattamenti di dati personali effettuati «per attività che non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione».

315

A questo proposito, occorre rilevare, in primo luogo, che né il fatto che le informazioni oggetto delle disposizioni nazionali contestate riguardino giudici, né la circostanza che tali informazioni possano eventualmente presentare taluni collegamenti con l’esercizio delle funzioni degli stessi sono, in quanto tali, idonei a sottrarre dette disposizioni nazionali dall’ambito di applicazione del RGPD.

316

Infatti, si deve ricordare che, nella misura in cui l’eccezione prevista all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del RGDP rende inapplicabile il regime di protezione dei dati personali istituito da tale regolamento e si discosta, in tal modo, dall’obiettivo alla base di quest’ultimo, consistente nel garantire, riguardo al trattamento dei dati personali, la tutela delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche, quali il diritto al rispetto della vita privata e familiare nonché il diritto alla protezione dei dati personali, garantiti agli articoli 7 e 8 della Carta, detta eccezione deve, al pari delle altre eccezioni a una siffatta applicabilità previste al citato articolo 2, paragrafo 2, essere interpretata restrittivamente [v., in tal senso, sentenze del 14 febbraio 2019, Buivids, C‑345/17, EU:C:2019:122, punto 41 e giurisprudenza ivi citata, e del 22 giugno 2021, Latvijas Republikas Saeima (Punti di penalità), C‑439/19, EU:C:2021:504, punto 62 e giurisprudenza ivi citata].

317

La Corte ha, così, dichiarato che l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del RGPD, letto alla luce del considerando 16 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), di tale regolamento, nonché dell’articolo 3, paragrafo 2, primo trattino, della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31), nel solco del quale si inserisce parzialmente l’articolo 2, paragrafo 2, lettere a) e b), di detto regolamento, deve essere inteso come avente il solo scopo di escludere dall’ambito di applicazione del RGPD i trattamenti di dati personali effettuati dalle autorità statali nell’ambito di un’attività volta a salvaguardare la sicurezza nazionale o di un’attività che può essere ascritta alla medesima categoria, di modo che il mero fatto che un’attività sia propria dello Stato o di un’autorità pubblica non è sufficiente affinché tale eccezione sia automaticamente applicabile a una siffatta attività [v., in tal senso, sentenze del 22 giugno 2021, Latvijas Republikas Saeima (Punti di penalità), C‑439/19, EU:C:2021:504, punti da 6366 e giurisprudenza ivi citata, e del 20 ottobre 2022, Koalitsia Demokratichna Bulgaria – Obedinenie, C‑306/21, EU:C:2022:813, punti da 36 a 39].

318

Le attività che hanno lo scopo di salvaguardare la sicurezza nazionale, di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del RGPD, comprendono, in particolare, quelle volte a tutelare le funzioni essenziali dello Stato e gli interessi fondamentali della società [sentenze del 22 giugno 2021, Latvijas Republikas Saeima (Punti di penalità), C‑439/19, EU:C:2021:504, punto 67, e del 20 ottobre 2022, Koalitsia Demokratichna Bulgaria – Obedinenie, C‑306/21, EU:C:2022:813, punto 40].

319

Orbene, se è vero che garantire la buona amministrazione della giustizia negli Stati membri e, in particolare, l’emanazione di norme applicabili allo status dei giudici e all’esercizio delle loro funzioni rientra nella competenza di tali Stati, resta nondimeno il fatto che le operazioni disciplinate dalle disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nel contesto della quinta censura non possono essere considerate come facenti parte di un’attività che non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del RGPD, come un’attività avente lo scopo di salvaguardare la sicurezza nazionale.

320

A tal riguardo, dal considerando 20 del RGPD risulta espressamente che tale regolamento si applica, in particolare, alle attività delle autorità giurisdizionali e di altre autorità giudiziarie, fatti salvi taluni adattamenti previsti o autorizzati da detto regolamento qualora siffatte autorità giurisdizionali o altre autorità giudiziarie agiscano nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali.

321

Orbene, occorre osservare che, sebbene, come rilevato al punto 312 della presente sentenza, le disposizioni nazionali contestate prevedano che le operazioni di raccolta e di pubblicazione on-line delle informazioni di cui trattasi spettano indubbiamente, di regola generale, a presidenti di organi giurisdizionali vuoi ordinari, vuoi amministrativi e, in via eccezionale, alla KRS o al Ministro della Giustizia, simili operazioni non fanno parte, tuttavia, dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali delle autorità in questione, sicché l’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), del RGPD non è applicabile a tali operazioni.

322

In secondo luogo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 4, punto 1, del RGPD, per «dato personale» si deve intendere «qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile». Dal canto suo, l’articolo 4, punto 2, del RGPD definisce il termine «trattamento» come relativo a «qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali», citando, a titolo esemplificativo di simili operazioni, in particolare, «la raccolta, la registrazione, (...) la (...) diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione» di siffatti dati.

323

Orbene, nel caso di specie occorre constatare che, da un lato, le informazioni di cui vengono rese obbligatorie la dichiarazione e la pubblicazione on-line si riferiscono a persone fisiche identificate o identificabili e rientrano, pertanto, nella nozione di «dato personale», ai sensi dell’articolo 4, punto 1, del RGPD. Infatti, tali informazioni riguardano persone identificate nominativamente e sono relative alla loro appartenenza ad associazioni, fondazioni senza scopo di lucro e partiti politici e alle funzioni che tali persone vi esercitano o vi hanno esercitato. Per quanto riguarda la circostanza che dette informazioni si inseriscano nel contesto dell’attività professionale dei dichiaranti, essa non è idonea a privarle di una tale qualificazione (sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

324

Dall’altro lato, disposizioni nazionali che, come nel caso di specie, rendono obbligatorie la dichiarazione e la pubblicazione on-line delle informazioni in questione implicano operazioni consistenti nel raccogliere, registrare e diffondere tali informazioni, vale a dire un insieme di operazioni che costituiscono un «trattamento» di dati personali, ai sensi dell’articolo 4, punto 2, del RGPD (v., per quanto riguarda la pubblicazione on-line di dati personali, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

325

In considerazione di quanto precede, si deve dichiarare che le disposizioni nazionali contestate rientrano nell’ambito di applicazione del RGPD e che esse devono, pertanto, essere conformi alle disposizioni di tale regolamento, la cui violazione è dedotta dalla Commissione nel caso di specie.

– Sull’applicabilità dell’articolo 7 e dell’articolo 8, paragrafo 1, della Carta

326

Come previsto dall’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, le disposizioni di quest’ultima si applicano agli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione.

327

Nel caso di specie, dalle considerazioni esposte ai punti da 313 a 325 della presente sentenza risulta che le disposizioni nazionali contestate implicano il trattamento di dati personali e che esse rientrano nell’ambito di applicazione del RGPD. Ne consegue che, al momento dell’adozione di tali disposizioni nazionali, la Repubblica di Polonia era chiamata, in particolare, a dare attuazione al RGPD.

328

Per di più, dal momento che tali dati personali contengono informazioni su persone fisiche identificate, l’accesso del pubblico a detti dati incide sul diritto fondamentale degli interessati al rispetto della loro vita privata, garantito dall’articolo 7 della Carta, senza che rilevi, in tale contesto, la circostanza che i dati in parola possano attenere ad attività professionali. Inoltre, la messa a disposizione del pubblico di siffatti dati costituisce un trattamento di dati personali ai sensi dell’articolo 8 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2022, Luxembourg Business Registers, C‑37/20 e C‑601/20, EU:C:2022:912, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

329

Pertanto, mettere i medesimi dati personali a disposizione di terzi costituisce un’ingerenza nei diritti fondamentali sanciti agli articoli 7 e 8 della Carta, indipendentemente dall’uso successivo delle informazioni comunicate. A tal riguardo, poco importa che le informazioni relative alla vita privata di cui trattasi abbiano o meno carattere sensibile o che gli interessati abbiano o meno subito eventuali inconvenienti in seguito a tale ingerenza (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2022, Luxembourg Business Registers, C‑37/20 e C‑601/20, EU:C:2022:912, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

330

Da quanto precede discende che l’articolo 7 e l’articolo 8, paragrafo 1, della Carta sono applicabili nel caso di specie e che le disposizioni nazionali contestate devono, quindi, essere conformi a tali articoli [v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza associativa), C‑78/18, EU:C:2020:476, punto 103].

– Sull’asserita violazione delle disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), e paragrafo 3, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, nonché dell’articolo 7 e dell’articolo 8, paragrafo 1, della Carta

331

Occorre anzitutto sottolineare, da un lato, gli stretti legami esistenti tra il RGPD e le disposizioni dell’articolo 7 e dell’articolo 8, paragrafo 1, della Carta, disposizioni alla luce delle quali tale regolamento deve essere interpretato.

332

Dall’articolo 1, paragrafo 2, del RGPD, in combinato disposto con i considerando 4 e 10 dello stesso, risulta inoltre che tale regolamento mira, in particolare, a garantire un elevato grado di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, diritto questo riconosciuto anche all’articolo 8 della Carta e strettamente collegato al diritto al rispetto della vita privata, sancito all’articolo 7 della medesima (sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 61). Così, in particolare, come rilevato dall’avvocato generale al punto 235 delle sue conclusioni, nei limiti in cui siano soddisfatte tutte le condizioni del trattamento lecito di dati personali imposte da detto regolamento, tale trattamento è, in linea di principio, ritenuto conforme altresì ai requisiti di cui agli articoli 7 e 8 della Carta (v., per analogia, sentenza del 27 settembre2017, Puškár, C‑73/16, EU:C:2017:725, punto102).

333

Dall’altro lato la Commissione, come emerge dall’argomentazione da essa sviluppata a sostegno della quinta censura, mette in dubbio il fatto che le disposizioni nazionali contestate perseguano realmente gli obiettivi fatti valere dalla Repubblica di Polonia e afferma che le ingerenze nei diritti fondamentali alla protezione dei dati personali e al rispetto della vita privata risultanti da tali disposizioni non sono, in ogni caso, conformi al requisito di proporzionalità derivante dalle diverse disposizioni del diritto dell’Unione di cui essa deduce la violazione. Poiché la Commissione non ha dedotto che dette disposizioni nazionali non soddisfino altri requisiti derivanti da tali disposizioni del diritto dell’Unione, la Corte deve, quindi, attenersi all’esame della censura in tal modo formulata dalla Commissione e, di conseguenza, esaminare le medesime disposizioni nazionali sotto il solo profilo della loro proporzionalità rispetto agli obiettivi addotti dalla Repubblica di Polonia.

334

A tal riguardo, occorre ricordare, sotto un primo profilo, che, come risulta da una giurisprudenza costante, i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, garantiti agli articoli 7 e 8 della Carta, non sono prerogative assolute, ma vanno considerati alla luce della loro funzione sociale e bilanciati con altri diritti fondamentali. Limitazioni possono quindi essere apportate, a condizione che, conformemente all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, esse siano previste dalla legge e che rispettino il contenuto essenziale dei diritti fondamentali nonché il principio di proporzionalità. In virtù di tale principio, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale riconosciuti dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. Esse devono operare nei limiti dello stretto necessario e la normativa che comporta l’ingerenza deve prevedere norme chiare e precise che disciplinano la portata e l’applicazione della misura in questione (sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 70 e giurisprudenza ivi citata).

335

Per quanto riguarda, sotto un secondo profilo, l’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, del RGPD, tale disposizione stabilisce un elenco esaustivo e tassativo dei casi nei quali un trattamento di dati personali può essere considerato lecito. Pertanto, per poter essere considerato tale, un trattamento deve rientrare in uno dei casi previsti in detta disposizione (sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 67 e giurisprudenza citata).

336

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera c), del RGPD, è lecito il trattamento necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento. Secondo l’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera e), di tale regolamento, è altresì lecito il trattamento necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento.

337

L’articolo 6, paragrafo 3, del RGPD precisa, con riferimento a queste due ipotesi di liceità, che il trattamento deve essere basato sul diritto dell’Unione o sul diritto dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento e che tale base giuridica deve rispondere a un obiettivo di interesse pubblico ed essere proporzionata all’obiettivo legittimo perseguito. Poiché tali requisiti costituiscono espressione di quelli derivanti dall’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, essi devono essere interpretati alla luce di quest’ultima disposizione (sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 69).

338

Nel caso di specie, l’oggetto delle disposizioni nazionali contestate consiste, come sottolineato al punto 310 della presente sentenza, nell’imporre ai giudici in questione di procedere, a seconda dell’organo giurisdizionale a cui appartengono e della posizione da essi occupata all’interno di quest’ultimo, a una dichiarazione che, nella maggior parte dei casi, deve essere indirizzata a presidenti di organi giurisdizionali ordinari o amministrativi e, in via eccezionale, alla KRS o al Ministro della Giustizia, ai fini della pubblicazione, nel Biuletyn Informacji Publicznej, da parte di siffatte autorità, delle informazioni contenute in tale dichiarazione.

339

Orbene, dato che l’obbligo di raccolta, di registrazione e di pubblicazione on-line, che tali autorità sono, quindi, tenute a osservare, risulta dalle disposizioni indicate al punto 310 della presente sentenza, il trattamento di dati personali di cui trattasi deve essere ritenuto necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetta ciascuna delle citate autorità quale titolare di tale trattamento. Pertanto, tale trattamento rientra nell’ipotesi prevista all’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera c), del RGPD (v., in tal senso, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 71).

340

Per quanto riguarda l’ipotesi di liceità ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettera e), del RGPD, occorre rilevare che il perseguimento dell’obiettivo di imparzialità dei giudici, addotto, in particolare, nella relazione illustrativa della legge di modifica con riferimento alle disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nell’ambito della sua quinta censura, contribuisce a garantire il corretto esercizio della funzione giurisdizionale, la quale costituisce un compito di interesse pubblico, ai sensi di tale disposizione del regolamento in parola.

341

Per quanto concerne, sotto un terzo profilo, l’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, esso vieta, in particolare, i trattamenti dei dati personali che rivelino le opinioni politiche o le convinzioni religiose o filosofiche di una persona fisica. Si tratta, secondo il titolo di tale articolo 9, di «categorie particolari di dati personali», dati questi che sono altresì qualificati come «dati sensibili» al considerando 10 del RGPD.

342

Talune eccezioni a un siffatto divieto sono previste all’articolo 9, paragrafo 2, del RGPD. Come emerge dall’articolo 9, paragrafo 2, lettera g), di tale regolamento, detto divieto non si applica, in particolare, quando il trattamento di cui trattasi è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante, sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri, che deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l’essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell’interessato.

343

Dalla formulazione dell’articolo 9 del RGPD risulta, quindi, che il divieto stabilito da tale disposizione si applica, fatte salve le eccezioni previste da detto regolamento, a qualsiasi tipo di trattamento delle categorie particolari di dati di cui alla citata disposizione e a tutti i titolari del trattamento che effettuano siffatti trattamenti [v., in tal senso, sentenza del 24 settembre 2019, GC e a. (Deindicizzazione di dati sensibili), C‑136/17, EU:C:2019:773, punto 42].

344

Al fine di stabilire se le disposizioni nazionali contestate rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo 9 del RGPD, occorre ricordare, anzitutto, che tale disposizione si applica a trattamenti che vertono non solo sui dati intrinsecamente sensibili, ai quali fa riferimento la citata disposizione, ma anche su dati che svelano indirettamente, al termine di un’operazione intellettuale di deduzione o di raffronto, informazioni di tale natura (v., in tal senso, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 123).

345

Occorre altresì ricordare che, come dichiarato dalla Corte, un’interpretazione ampia della nozione di «dati sensibili» è suffragata dall’obiettivo del RGPD, richiamato al punto 316 della presente sentenza, consistente nel garantire un elevato grado di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare della loro vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali che li riguardano. Una simile interpretazione è altresì conforme alla finalità dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, consistente nel garantire una protezione maggiore contro i trattamenti che, a causa della natura particolarmente sensibile dei dati che ne sono oggetto, possono costituire, come risulta dal considerando 51 di tale regolamento, un’ingerenza particolarmente grave nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, garantiti agli articoli 7 e 8 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punti 125126 nonché giurisprudenza ivi citata).

346

Nel caso di specie, si deve necessariamente constatare che la raccolta e la pubblicazione on-line delle informazioni relative alla pregressa «iscrizione» di un giudice a un «partito politico» e alle «cariche» ricoperte in tale partito, di cui all’articolo 88a, paragrafo 1, punto 3, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, costituiscono trattamenti idonei a rivelare le opinioni politiche dell’interessato, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD.

347

Per quanto riguarda le informazioni relative all’«appartenenza» passata o presente di un giudice ad «associazioni» e alle «cariche» ricoperte da tale giudice all’interno delle stesse oppure alle «cariche» passate o presenti ricoperte da quest’ultimo in seno a «fondazioni senza scopo di lucro», ai sensi dell’articolo 88a, paragrafo 1, punti 1 e 2, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, occorre constatare, come ha fatto l’avvocato generale ai paragrafi 244 e 245 delle sue conclusioni, che, in considerazione del carattere molto ampio e vago dei termini ai quali il legislatore polacco ha, quindi, fatto ricorso, la raccolta e la pubblicazione on-line di simili informazioni può, a seconda della natura specifica delle associazioni e delle fondazioni di cui trattasi, rivelare le convinzioni religiose o filosofiche degli interessati, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, come sostenuto dalla Commissione.

348

Ne consegue che, per sottrarsi al divieto sancito in tale articolo 9, paragrafo 1, le disposizioni nazionali contestate devono corrispondere a una delle ipotesi previste al paragrafo 2 di detto articolo 9 e soddisfare i requisiti ivi enunciati, vale a dire, nel caso di specie, i requisiti previsti all’articolo 9, paragrafo 2, lettera g), del RGPD.

349

Da tutto quanto precede risulta che, poiché le disposizioni nazionali contestate rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), e dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, nonché dell’articolo 7 e dell’articolo 8, paragrafo 1, della Carta, occorre ora valutare la loro eventuale giustificazione alla luce dell’articolo 6, paragrafo 3, e dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera g), di tale regolamento, nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

350

A tal riguardo, dai punti 334, 337 e 342 della presente sentenza risulta che, affinché le disposizioni nazionali contestate, quali basi giuridiche dei trattamenti di dati personali di cui trattasi, soddisfino i requisiti derivanti, rispettivamente, dall’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, dall’articolo 6, paragrafo 3, del RGPD e dall’articolo 9, paragrafo 2, lettera g), di quest’ultimo, tali trattamenti devono, in particolare, rispondere a un obiettivo di interesse pubblico ed essere proporzionati all’obiettivo legittimo così perseguito (v., in tal senso, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 73).

351

Nel caso di specie, la Commissione afferma nel suo ricorso che dalla relazione illustrativa del progetto che ha condotto all’adozione dell’articolo 88a della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, risulta che tale progetto era motivato dalla volontà di preservare la neutralità politica e l’imparzialità dei giudici, la fiducia del pubblico in tale imparzialità e, infine, la dignità delle funzioni esercitate da questi ultimi.

352

A sua difesa, la Repubblica di Polonia, al fine di giustificare l’adozione delle disposizioni nazionali contestate, ha fatto riferimento all’obiettivo consistente nel rafforzare la neutralità politica e l’imparzialità dei giudici e la fiducia dei singoli in tale imparzialità, precisando al contempo, per quanto riguarda detta neutralità politica, che, nel caso di specie, tali disposizioni nazionali mirano, più specificamente, a consentire ai singoli di essere informati in merito alle pregresse attività politiche dei giudici di cui trattasi, qualora tali attività siano tali da far dubitare dell’obiettività del giudice in una determinata controversia e da condurre, pertanto, alla sua eventuale ricusazione.

353

A tal riguardo, occorre evidenziare, anzitutto, che l’obiettivo così addotto dalla Repubblica di Polonia, che consisterebbe nell’assicurare la neutralità politica e l’imparzialità dei giudici e nel ridurre il rischio che questi ultimi possano essere influenzati, nell’esercizio delle loro funzioni, da considerazioni attinenti a interessi privati o politici, è, come sottolineato al punto 340 della presente sentenza, incontestabilmente di interesse pubblico e, di conseguenza, legittimo (v., per analogia, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punti 7576). Lo stesso vale per quanto concerne l’obiettivo consistente nel rafforzare la fiducia dei singoli in merito all’esistenza di una siffatta imparzialità.

354

Infatti, come più volte sottolineato dalla Corte, il requisito di indipendenza e di imparzialità degli organi giurisdizionali, che è inerente alla funzione giurisdizionale, fa parte del contenuto essenziale del diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva e a un equo processo, il quale riveste un’importanza capitale quale garante della protezione dell’insieme dei diritti che gli amministrati si vedono riconosciuti dal diritto dell’Unione, nonché della salvaguardia dei valori comuni agli Stati membri enunciati all’articolo 2 TUE, segnatamente del valore rappresentato dallo Stato di diritto (v., in tal senso, sentenze del 20 aprile 2021, Repubblika, C‑896/19, EU:C:2021:311, punto 51 e giurisprudenza ivi citata, e del 29 marzo 2022, Getin Noble Bank, C‑132/20, EU:C:2022:235, punto 94 e giurisprudenza ivi citata).

355

Secondo una consolidata giurisprudenza, le garanzie di indipendenza e di imparzialità richieste ai sensi del diritto dell’Unione presuppongono, quindi, l’esistenza di norme, relative in particolare alla composizione dell’organo giurisdizionale e alle cause di ricusazione dei suoi membri, che consentano di fugare qualsiasi legittimo dubbio, negli amministrati, riguardo all’impermeabilità di tale organo nei confronti di elementi esterni e alla sua neutralità rispetto agli interessi che si contrappongono (v., in tal senso, sentenza del 29 marzo 2022, Getin Noble Bank, C‑132/20, EU:C:2022:235, punto 95 e giurisprudenza ivi citata). Come ricordato al punto 95 della presente sentenza, tali norme devono, in particolare, consentire di escludere le forme di influenza più indiretta che possano orientare le decisioni di giudici interessati e di evitare, così, una mancanza di apparenza d’indipendenza o di imparzialità di questi ultimi, che sia tale da ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare ai singoli in una società democratica e in uno Stato di diritto.

356

Ne consegue che l’obiettivo che la Repubblica di Polonia afferma di aver voluto perseguire nel caso di specie corrisponde, in quanto tale, a una finalità di interesse generale riconosciuta dall’Unione, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, o, ancora, a un obiettivo di interesse pubblico e, quindi, legittimo, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, del RGPD, e che un siffatto obiettivo di interesse pubblico può, inoltre, essere qualificato come «rilevante», ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera g), di tale regolamento.

357

Di conseguenza, conformemente a tali disposizioni del diritto dell’Unione, un simile obiettivo autorizza limitazioni all’esercizio dei diritti garantiti agli articoli 7 e 8 della Carta, purché, in particolare, dette limitazioni rispondano effettivamente a tale obiettivo e siano proporzionate allo stesso (v., in tal senso, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 81).

358

Secondo una giurisprudenza costante, la proporzionalità di misure dalle quali risulti un’ingerenza nei diritti garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta richiede il rispetto dei requisiti di idoneità e di necessità nonché di quello relativo al carattere proporzionato di tali misure rispetto all’obiettivo perseguito (sentenza del 22 novembre 2022, Luxembourg Business Registers, C‑37/20 e C‑601/20, EU:C:2022:912, punto 63 e giurisprudenza ivi citata).

359

Più specificamente, le deroghe alla protezione dei dati personali e le limitazioni di quest’ultima operano entro i limiti dello stretto necessario, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate al soddisfacimento dei legittimi obiettivi perseguiti, si deve ricorrere alla meno restrittiva. Inoltre, un obiettivo di interesse generale non può essere perseguito senza tener conto del fatto che esso deve essere conciliato con i diritti fondamentali su cui incide la misura in questione, effettuando un contemperamento equilibrato tra, da un lato, l’obiettivo di interesse generale e, dall’altro, i diritti in questione, al fine di garantire che gli inconvenienti causati da tale misura non siano sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti. Così, la possibilità di giustificare una limitazione ai diritti garantiti dagli articoli 7 e 8 della Carta deve essere valutata misurando la gravità dell’ingerenza che una limitazione siffatta comporta e verificando che l’importanza dell’obiettivo di interesse generale perseguito da tale limitazione sia adeguata a detta gravità (sentenze del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 98 e giurisprudenza ivi citata, e del 22 novembre 2022, Luxembourg Business Registers, C‑37/20 e C‑601/20, EU:C:2022:912, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

360

Sulla stessa linea, il considerando 39 del RGPD sottolinea, in particolare, che il presupposto della necessità è soddisfatto quando l’obiettivo di interesse generale considerato non può ragionevolmente essere conseguito in modo altrettanto efficace mediante altri mezzi meno pregiudizievoli per i diritti fondamentali degli interessati, in particolare per i diritti al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali garantiti agli articoli 7 e 8 della Carta, atteso che le deroghe e le restrizioni al principio della protezione di simili dati devono applicarsi nei limiti dello stretto necessario (v., in tal senso, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

361

In tali circostanze, occorre verificare, sotto un primo profilo, se le disposizioni nazionali contestate, ammettendo che siano effettivamente motivate dal perseguimento dell’obiettivo di interesse generale addotto dalla Repubblica di Polonia, risultino idonee a realizzare tale obiettivo. Occorrerà eventualmente esaminare, sotto un secondo profilo, se l’ingerenza nei diritti fondamentali garantiti agli articoli 7 e 8 della Carta risultante da tali disposizioni nazionali sia limitata allo stretto necessario, nel senso che detto obiettivo non potrebbe ragionevolmente essere conseguito in modo altrettanto efficace con altri mezzi meno lesivi di tali diritti fondamentali, e, sotto un terzo profilo, se siffatta ingerenza non sia sproporzionata rispetto al medesimo obiettivo, il che implica, in particolare, una ponderazione dell’importanza di quest’ultimo e della gravità di detta ingerenza (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2022, Luxembourg Business Registers, C‑37/20 e C‑601/20, EU:C:2022:912, punto 66).

362

Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione se la pubblicazione nel Biuletyn Informacji Publicznej delle informazioni raccolte mediante le dichiarazioni in questione sia idonea a conseguire la finalità di interesse generale asseritamente perseguita nel caso di specie, si deve necessariamente constatare che la Repubblica di Polonia non ha fornito spiegazioni chiare e concrete che indichino per quali ragioni la pubblicazione on-line obbligatoria delle informazioni relative all’iscrizione di una persona a un partito politico prima della sua nomina a giudice e nel corso del suo mandato prima del 29 dicembre 1989 sia tale da poter contribuire attualmente a rafforzare il diritto dei singoli a che la loro causa sia esaminata da un organo giurisdizionale che soddisfa il requisito di imparzialità, nonché la fiducia degli stessi in una siffatta imparzialità.

363

A questo proposito, occorre, inoltre, ricordare che la Corte ha già dichiarato, più in generale, che le circostanze che hanno accompagnato la prima nomina di un giudice, intervenuta nel corso del periodo durante il quale il regime non democratico della Repubblica popolare di Polonia era in carica, non possono essere di per sé considerate idonee a far sorgere dubbi legittimi e seri, negli amministrati, in merito all’indipendenza e all’imparzialità di tale giudice, nell’esercizio delle sue successive funzioni giurisdizionali (sentenza del 29 marzo 2022, Getin Noble Bank, C‑132/20, EU:C:2022:235, punti da 82 a 84107).

364

Del resto, l’adozione delle disposizioni nazionali contestate dalla Commissione nell’ambito della sua quinta censura, le quali figurano, al pari di quelle oggetto delle censure prima e terza, nella legge di modifica, adottata in via d’urgenza e nel contesto descritto ai punti da 141 a 145 e 291 della presente sentenza, permette, come sostenuto dalla Commissione, di ritenere che tali disposizioni, nella parte in cui riguardano le informazioni relative all’iscrizione dei giudici a un partito politico prima della loro nomina e nel corso del loro mandato prima del 29 dicembre 1989 siano, in realtà, state adottate al fine di nuocere alla reputazione professionale dei giudici in questione e alla percezione degli stessi da parte dei singoli o, ancora, di stigmatizzare tali giudici e, pertanto, con l’intento di frenare lo sviluppo della carriera degli interessati.

365

Da quanto precede risulta che, nei limiti in cui le disposizioni nazionali contestate riguardano simili informazioni, con l’obbligo di menzionare il nome del partito politico di cui trattasi, le cariche ricoperte e la durata dell’iscrizione allo stesso, vale a dire dati personali, per di più «sensibili», ai sensi dell’articolo 9 del RGPD, tali disposizioni nazionali, anche a voler ammettere che abbiano effettivamente inteso perseguire l’obiettivo legittimo addotto nel caso di specie, sono in ogni caso inidonee a conseguire tale obiettivo.

366

Le constatazioni effettuate ai punti da 362 a 365 della presente sentenza sono sufficienti ad escludere che le disposizioni nazionali contestate, nella parte in cui prevedono la raccolta di informazioni e la pubblicazione on-line delle stesse relativamente all’iscrizione di una persona a un partito politico prima della sua nomina a giudice e nel corso del suo mandato prima del 29 dicembre 1989, possano soddisfare i requisiti derivanti dal principio di proporzionalità enunciato all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, nonché all’articolo 6, paragrafo 3, e all’articolo 9, paragrafo 2, lettera g), del RGPD. Ne consegue che dette disposizioni nazionali, nei limiti in cui riguardano siffatte informazioni, violano sia le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), e paragrafo 3, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, sia quelle dell’articolo 7 e dell’articolo 8, paragrafo 1, della Carta.

367

Per contro, per quanto riguarda le altre informazioni previste dalle disposizioni nazionali contestate, vale a dire quelle relative all’appartenenza attuale o pregressa a un’associazione e alle cariche ricoperte attualmente o in passato all’interno di quest’ultima o in una fondazione senza scopo di lucro, non si può escludere, a priori, che il fatto di pubblicare on-line siffatte informazioni contribuisca a rivelare l’esistenza di eventuali conflitti di interessi che possono influire sull’esercizio delle funzioni dei giudici di cui trattasi in occasione dell’esame di particolari controversie, favorendo un esercizio imparziale di tali funzioni e, dunque, un rafforzamento della fiducia dei singoli nell’azione della giustizia (v., in tal senso, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 83).

368

Di conseguenza, occorre verificare, in secondo luogo, se l’obiettivo addotto dalla Repubblica di Polonia possa essere ragionevolmente conseguito in modo altrettanto efficace mediante altre misure meno lesive dei diritti dei giudici di cui trattasi al rispetto della loro vita privata e alla protezione dei loro dati personali e se l’ingerenza in questione non sia sproporzionata rispetto a tale obiettivo, il che implica, in particolare, una ponderazione dell’importanza di quest’ultimo e della gravità di tale ingerenza.

369

Valutazioni del genere devono essere effettuate, in particolare, tenendo conto di tutti gli elementi di diritto e di fatto propri dello Stato membro interessato, quali l’esistenza di altre misure volte a garantire una siffatta imparzialità e a prevenire i conflitti di interessi (v., in tal senso, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 86).

370

A tal riguardo, se è certamente vero che, come affermato dalla Commissione e come risulta dal punto 300 della presente sentenza, esistono già diverse disposizioni nazionali finalizzate a sancire e a contribuire ad assicurare l’imparzialità dei giudici in Polonia, da ciò non discende, tuttavia, che misure che mirino a rafforzare ulteriormente tale imparzialità, ivi inclusa l’apparenza di imparzialità, e la fiducia dei singoli in essa debbano essere considerate eccedenti rispetto a quanto necessario a simili scopi.

371

Per di più, il fatto di mettere le informazioni di cui trattasi a disposizione delle autorità chiamate a risolvere o a prevenire eventuali conflitti di interessi, come suggerito dalla Commissione, non sarebbe necessariamente idoneo a consentire ai singoli di avere essi stessi conoscenza di tali informazioni e di rilevare l’eventuale esistenza di conflitti del genere risultante da queste ultime e, se del caso, di avvalersi di dette informazioni al fine di chiedere la ricusazione di un giudice chiamato a decidere una determinata controversia. Parimenti, la pubblicazione on-line delle medesime informazioni è, in linea di principio, in grado di consentire ai singoli interessati di disporne in piena trasparenza e senza dover svolgere adempimenti per informarsi su coloro che sono chiamati a dirimere le controversie di cui sono parte. Una simile trasparenza può, al contempo, contribuire a rafforzare la fiducia di tali singoli nella giustizia.

372

Tuttavia, occorre, da un lato, osservare che, nel caso di specie, i dati personali di cui trattasi si riferiscono, in particolare, a periodi anteriori alla data a partire dalla quale un giudice è tenuto a rendere la dichiarazione richiesta dalle disposizioni nazionali contestate, e ciò indipendentemente dal grado di anteriorità dei periodi interessati. Orbene, in assenza, perlomeno, di una limitazione temporale per quanto riguarda i periodi anteriori interessati, non si può ragionevolmente ritenere che le misure in questione, nella parte in cui si riferiscono a siffatti periodi anteriori, siano limitate a quanto è strettamente necessario al fine di contribuire a rafforzare il diritto dei singoli a che, in una determinata controversia, la loro causa sia esaminata da un organo giurisdizionale che soddisfi il requisito di imparzialità, nonché la fiducia degli stessi in tale imparzialità.

373

Dall’altro lato, in considerazione della giurisprudenza richiamata al punto 359 della presente sentenza, occorre altresì, al fine di valutare la proporzionalità del trattamento contestato dalla Commissione, esaminare la gravità dell’ingerenza nei diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali che tale trattamento implica e verificare se l’importanza della finalità di interesse generale da quest’ultimo perseguita sia in relazione con tale gravità.

374

Al fine di valutare la gravità di tale ingerenza, si deve segnatamente tener conto della natura dei dati personali in questione e, in particolare, della loro natura eventualmente sensibile, nonché della natura e delle modalità concrete del trattamento di detti dati, in particolare del numero di persone che hanno accesso agli stessi e delle modalità di accesso a questi ultimi (sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 99 e giurisprudenza ivi citata). Come sottolineato al punto 369 della presente sentenza, si deve altresì tener conto, a tal fine, di tutti gli elementi di diritto e di fatto specifici dello Stato membro di cui trattasi.

375

Nel caso di specie occorre rilevare, sotto un primo profilo, che la pubblicazione on-line delle informazioni nominative di cui trattasi può, a seconda dell’oggetto delle associazioni o delle fondazioni senza scopo di lucro in questione, rivelare informazioni su taluni aspetti sensibili della vita privata dei giudici interessati e, in particolare, le convinzioni religiose o filosofiche di questi ultimi, nel qual caso siffatte informazioni rientrano, allora, come precedentemente accertato, nell’ambito di applicazione dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD.

376

Sotto un secondo profilo, occorre osservare che il trattamento dei dati personali di cui trattasi comporta che tali dati siano resi liberamente accessibili su Internet al grande pubblico e, di conseguenza, a un numero potenzialmente illimitato di persone, sicché tale trattamento può consentire anche a persone che, per ragioni estranee alla finalità di interesse generale addotta, diretta a garantire l’imparzialità dei giudici e a prevenire conflitti di interessi relativi agli stessi, cerchino di ottenere informazioni sulla situazione personale del dichiarante, di accedere liberamente a detti dati (v., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2022, Luxembourg Business Registers, C‑37/20 e C‑601/20, EU:C:2022:912, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

377

Sotto un terzo profilo, occorre altresì tener conto del fatto che, come sostenuto dalla Commissione e come sottolineato al punto 364 della presente sentenza, nel contesto particolare, specifico dello Stato membro di cui trattasi, nel quale sono state adottate le disposizioni nazionali contestate, la pubblicazione on-line dei dati personali in questione può, ad esempio, esporre i giudici interessati a rischi di stigmatizzazione indebita, pregiudicando in modo ingiustificato la percezione di questi ultimi da parte sia dei soggetti coinvolti nel procedimento che del pubblico in generale, nonché al rischio che lo svolgimento della loro carriera sia indebitamente ostacolato.

378

Pertanto, un trattamento dei dati personali come quello previsto dalle disposizioni nazionali contestate deve essere considerato costitutivo di un’ingerenza particolarmente grave nei diritti fondamentali degli interessati al rispetto della loro vita privata e alla protezione dei loro dati personali, sanciti all’articolo 7 e all’articolo 8, paragrafo 1, della Carta.

379

La gravità di tale ingerenza deve, quindi, essere bilanciata con l’importanza della finalità di interesse generale addotta, volta a garantire l’imparzialità dei giudici, inclusa l’apparenza di imparzialità, e a prevenire conflitti di interessi in capo a questi ultimi, aumentando al contempo la trasparenza e la fiducia dei singoli in tale imparzialità.

380

A tal fine, occorre prendere in considerazione, in particolare, l’effettività e l’ampiezza del rischio asseritamente combattuto e le finalità realmente perseguite dalle disposizioni nazionali contestate, tenendo conto, segnatamente, del contesto nel quale queste ultime sono adottate, cosicché il risultato del bilanciamento da realizzare tra tali finalità, da un lato, e i diritti degli interessati al rispetto della loro vita privata e alla protezione dei loro dati personali, dall’altro, non è necessariamente lo stesso per tutti gli Stati membri (v., in tal senso, sentenza del 1o agosto 2022, Vyriausioji tarnybinės etikos komisija, C‑184/20, EU:C:2022:601, punto 110 e giurisprudenza ivi citata).

381

Nel caso di specie si deve necessariamente constatare che, tenuto conto del contesto nazionale generale e specifico già evocato, nel quale si inseriscono le disposizioni nazionali contestate, e delle conseguenze particolarmente gravi che possono derivare da tali disposizioni nazionali per i giudici interessati, il risultato del bilanciamento tra l’ingerenza derivante dalla pubblicazione on-line dei dati personali di cui trattasi e la finalità di interesse generale addotta non è equilibrato.

382

Infatti, rispetto allo status quo ante derivante dal quadro giuridico nazionale preesistente, la pubblicazione on-line dei dati personali di cui trattasi rappresenta un’ingerenza potenzialmente considerevole nei diritti fondamentali garantiti all’articolo 7 e all’articolo 8, paragrafo 1, della Carta, senza che tale ingerenza possa, nel caso di specie, venire giustificata dagli eventuali benefici che potrebbero derivarne in termini di prevenzione dei conflitti di interessi in capo ai giudici e di aumento della fiducia nell’imparzialità di questi ultimi.

383

In tale contesto, per di più, occorre sottolineare che ciascun giudice ha l’obbligo, in forza delle norme generalmente applicabili allo status dei giudici e all’esercizio delle sue funzioni, di astenersi in qualsiasi controversia in cui una circostanza, come la sua appartenenza attuale o pregressa a un’associazione o il fatto di ricoprire o aver precedentemente ricoperto cariche all’interno di quest’ultima o in una fondazione senza scopo di lucro, possa legittimamente suscitare un dubbio sulla sua imparzialità.

384

Alla luce di tutto quanto precede, si deve dichiarare che le disposizioni contestate violano sia le disposizioni dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), e paragrafo 3, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD, sia quelle dell’articolo 7 e dell’articolo 8, paragrafo 1, della Carta, anche in quanto riguardano la raccolta e la pubblicazione on-line dei dati personali relativi all’appartenenza attuale o passata a un’associazione e al fatto di ricoprire o aver precedentemente ricoperto cariche all’interno di quest’ultima o in una fondazione senza scopo di lucro.

385

In tali circostanze, la quinta censura deve essere integralmente accolta nella parte in cui verte sulla violazione di tali disposizioni del diritto dell’Unione.

386

Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, si deve dichiarare che:

avendo trasferito alla Sezione disciplinare, la cui indipendenza e imparzialità non sono garantite, la competenza a decidere in merito a controversie aventi incidenza diretta sullo status e sullo svolgimento della funzione di giudice e di giudice ausiliario, come, da un lato, le domande di autorizzazione all’esercizio dell’azione penale nei confronti dei giudici e dei giudici ausiliari o all’arresto degli stessi, e, dall’altro, le controversie in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale riguardanti i giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema), nonché le controversie in materia di pensionamento di questi ultimi, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE;

avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 107, paragrafo 1, punti 2 e 3, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, e l’articolo 72, paragrafo 1, punti da 1 a 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, che consentono di qualificare come illecito disciplinare la verifica del rispetto dei requisiti del diritto dell’Unione di indipendenza, imparzialità e precostituzione per legge dei giudici, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché in forza dell’articolo 267 TFUE;

avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 42a, paragrafi 1 e 2, e l’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, l’articolo 26, paragrafo 3, e l’articolo 29, paragrafi 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, l’articolo 5, paragrafi 1a e 1b, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, nonché l’articolo 8 della legge di modifica, che impediscono a tutti gli organi giurisdizionali nazionali di verificare il rispetto dei requisiti derivanti dal diritto dell’Unione e relativi alla garanzia di un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché in forza del principio del primato del diritto dell’Unione;

avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 26, paragrafi 2 e da 4 a 6, e l’articolo 82, paragrafi da 2 a 5, della legge sulla Corte suprema, come modificata, nonché l’articolo 10 della legge di modifica, che trasferiscono alla Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche la competenza esclusiva a esaminare le censure e le questioni di diritto riguardanti la mancanza di indipendenza di un organo giurisdizionale o di un giudice, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché in forza dell’articolo 267 TFUE e del principio del primato del diritto dell’Unione;

avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 88a della legge relativa agli organi giurisdizionali ordinari, come modificata, l’articolo 45, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata, e l’articolo 8, paragrafo 2, della legge relativa agli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata, la Repubblica di Polonia ha violato il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla tutela dei dati personali, garantiti all’articolo 7 e all’articolo 8, paragrafo 1, della Carta, nonché all’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), all’articolo 6, paragrafo 3, e all’articolo 9, paragrafo 1, del RGPD.

387

Il ricorso è respinto quanto al resto, ossia nella parte in cui la Commissione chiede, con la sua prima censura, di accertare la violazione dell’articolo 267 TFUE.

Sulle spese

388

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica di Polonia, rimasta essenzialmente soccombente, deve essere condannata alle spese, comprese quelle relative ai procedimenti sommari.

389

Ai sensi dell’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le spese sostenute dal Regno del Belgio, dal Regno di Danimarca, dal Regno dei Paesi Bassi, dalla Repubblica di Finlandia e dal Regno di Svezia resteranno a loro carico.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

Avendo trasferito alla Sezione disciplinare del Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia), la cui indipendenza e imparzialità non sono garantite, la competenza a decidere in merito a controversie aventi incidenza diretta sullo status e sullo svolgimento della funzione di giudice e di giudice ausiliario, come, da un lato, le domande di autorizzazione all’esercizio dell’azione penale nei confronti dei giudici e dei giudici ausiliari o all’arresto degli stessi, e, dall’altro, le controversie in materia di diritto del lavoro e della previdenza sociale riguardanti i giudici del Sąd Najwyższy (Corte suprema), nonché le controversie in materia di pensionamento di questi ultimi, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE.

 

2)

Avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 107, paragrafo 1, punti 2 e 3, della ustawa – Prawo o ustroju sądów powszechnych (legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari), del 27 luglio 2001, come modificata dalla ustawa o zmianie ustawy – Prawo o ustroju sądów powszechnych, ustawy o Sądzie Najwyższym oraz niektórych innych ustaw (legge recante modifica della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, della legge sulla Corte suprema e di talune altre leggi), del 20 dicembre 2019, e l’articolo 72, paragrafo 1, punti da 1 a 3, della ustawa o Sądzie Najwyższym (legge sulla Corte suprema), dell’8 dicembre 2017, come modificata da detta legge del 20 dicembre 2019, che consentono di qualificare come illecito disciplinare la verifica del rispetto dei requisiti del diritto dell’Unione europea di indipendenza, imparzialità e precostituzione per legge dei giudici, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché in forza dell’articolo 267 TFUE.

 

3)

Avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 42a, paragrafi 1 e 2, e l’articolo 55, paragrafo 4, della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, come modificata dalla predetta legge del 20 dicembre 2019, l’articolo 26, paragrafo 3, e l’articolo 29, paragrafi 2 e 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata da detta legge del 20 dicembre 2019, l’articolo 5, paragrafi 1a e 1b, della ustawa – Prawo o ustroju sądów administracyjnych (legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali amministrativi), del 25 luglio 2002, come modificata dalla medesima legge del 20 dicembre 2019, nonché l’articolo 8 di quest’ultima legge, che impediscono a tutti gli organi giurisdizionali nazionali di verificare il rispetto dei requisiti derivanti dal diritto dell’Unione e relativi alla garanzia di un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, nonché in forza del principio del primato del diritto dell’Unione.

 

4)

Avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 26, paragrafi 2 e da 4 a 6, e l’articolo 82, paragrafi da 2 a 5, della legge sulla Corte suprema, come modificata dalla predetta legge del 20 dicembre 2019, nonché l’articolo 10 di quest’ultima legge, che trasferiscono alla Izba Kontroli Nadzwyczajnej i Spraw Publicznych (Sezione di controllo straordinario e delle questioni pubbliche) del Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia) la competenza esclusiva a esaminare le censure e le questioni di diritto riguardanti la mancanza di indipendenza di un organo giurisdizionale o di un giudice, la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti ai sensi del combinato disposto dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE e dell’articolo 47 della Carta, nonché in forza dell’articolo 267 TFUE e del principio del primato del diritto dell’Unione.

 

5)

Avendo adottato e mantenuto in vigore l’articolo 88a della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali ordinari, come modificata dalla predetta legge del 20 dicembre 2019, l’articolo 45, paragrafo 3, della legge sulla Corte suprema, come modificata da detta legge del 20 dicembre 2019, e l’articolo 8, paragrafo 2, della legge relativa all’organizzazione degli organi giurisdizionali amministrativi, come modificata dalla medesima legge del 20 dicembre 2019, la Repubblica di Polonia ha violato il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla tutela dei dati personali, garantiti all’articolo 7 e all’articolo 8, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, nonché all’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, lettere c) ed e), all’articolo 6, paragrafo 3, e all’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati).

 

6)

Il ricorso è respinto quanto al resto.

 

7)

La Repubblica di Polonia è condannata a farsi carico, oltre che delle proprie spese, di quelle sostenute dalla Commissione europea, incluse quelle relative ai procedimenti sommari.

 

8)

Le spese sostenute dal Regno del Belgio, dal Regno di Danimarca, dal Regno dei Paesi Bassi, dalla Repubblica di Finlandia e dal Regno di Svezia restano a loro carico.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il polacco.