SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

15 luglio 2021 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Cittadino di uno Stato membro che non esercita attività economica e che soggiorna nel territorio di un altro Stato membro sul fondamento del diritto nazionale – Articolo 18, primo comma, TFUE – Non discriminazione in base alla nazionalità – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 7 – Requisiti per ottenere un diritto di soggiorno di più di tre mesi – Articolo 24 – Prestazioni di assistenza sociale – Nozione – Parità di trattamento – Accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord – Periodo di transizione – Disposizione nazionale che esclude dal beneficio di una prestazione di assistenza sociale i cittadini dell’Unione che dispongono di un diritto di soggiorno a tempo determinato in forza del diritto nazionale – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 1, 7 e 24»

Nella causa C‑709/20,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Appeal Tribunal for Northern Ireland (Tribunale d’appello dell’Irlanda del Nord, Regno Unito), con decisione del 21 dicembre 2020, pervenuta in cancelleria il 30 dicembre 2020, nel procedimento

CG

contro

The Department for Communities in Northern Ireland,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, J.-C. Bonichot, A. Prechal, E. Regan, M. Ilešič, L. Bay Larsen, A. Kumin e N. Wahl, presidenti di sezione, T. von Danwitz, K. Jürimäe (relatrice), C. Lycourgos, I. Jarukaitis, N. Jääskinen, I. Ziemele e J. Passer, giudici,

avvocato generale: J. Richard de la Tour

cancelliere: C. Strömholm, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 maggio 2021,

considerate le osservazioni presentate:

per CG, da R. Drabble e T. de la Mare, QC, T. Royston e G. Sarathy, barristers, nonché da M. Black e S. Park, solicitors;

per The Department for Communities in Northern Ireland, da C. Cooley, in qualità di agente, assistita da T. McGleenan, QC, e da L. McMahon, BL;

per il governo del Regno Unito, da F. Shibli e S. McCrory, in qualità di agenti, assistiti da D. Blundell, QC, nonché da J. Smyth, barrister;

per la Commissione europea, da E. Montaguti e J. Tomkin, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 24 giugno 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 18 TFUE.

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia fra CG, una cittadina con doppia nazionalità croata e olandese, residente in Irlanda del Nord (Regno Unito) dal 2018, e il Department for Communities in Northern Ireland (Ministero delle Comunità dell’Irlanda del Nord, Regno Unito), in merito al diniego di quest’ultimo di concederle una prestazione di assistenza sociale.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

L’articolo 18, primo comma, TFUE dispone quanto segue:

«Nel campo di applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità».

4

L’articolo 20, paragrafo 1, TFUE così recita:

«È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce».

5

L’articolo 21, paragrafo 1, TFUE enuncia quanto segue:

«Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi».

L’accordo sul recesso del Regno Unito

6

Il sesto, l’ottavo e il nono comma del preambolo dell’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica (GU 2020, L 29, pag. 7; in prosieguo: l’«accordo sul recesso del Regno Unito»), adottato il 17 ottobre 2019 ed entrato in vigore il 1o febbraio 2020, enunciano quanto segue:

«Riconoscendo che è necessario garantire la protezione reciproca dei cittadini dell’Unione e dei cittadini del Regno Unito, e relativi familiari, che hanno esercitato diritti di libera circolazione prima della data stabilita nel presente accordo, e garantire che i diritti di cui godono in forza del presente accordo siano opponibili e si basino sul principio di non discriminazione; riconoscendo altresì che è opportuno proteggere i diritti derivanti dai periodi di copertura assicurativa previdenziale,

(...)

Considerando che è nell’interesse sia dell’Unione sia del Regno Unito stabilire un periodo di transizione o di esecuzione durante il quale – nonostante tutte le conseguenze del recesso del Regno Unito dall’Unione per quanto riguarda la partecipazione del Regno Unito alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, in particolare lo scadere, alla data di entrata in vigore del presente accordo, del mandato di tutti i membri di tali istituzioni, organi e organismi nominati, designati o eletti in virtù dell’adesione del Regno Unito all’Unione – dovrebbe applicarsi al Regno Unito e nel Regno Unito, di norma con gli stessi effetti giuridici prodotti negli Stati membri, il diritto dell’Unione, compresi gli accordi internazionali, al fine di evitare turbative durante il periodo di negoziazione dell’accordo o degli accordi sulle future relazioni,

Riconoscendo che, anche se il diritto dell’Unione sarà applicabile al Regno Unito e nel Regno Unito durante il periodo di transizione, le specificità del Regno Unito in quanto Stato che è receduto dall’Unione fanno sì che sia importante per il Regno Unito essere in grado di assumere iniziative per preparare e stabilire nuovi accordi internazionali propri, anche in ambiti di competenza esclusiva dell’Unione, purché siffatti accordi non entrino in vigore né si applichino durante il periodo di transizione, salvo autorizzazione dell’Unione».

7

La prima parte di tale accordo, dedicata alle disposizioni comuni, contiene gli articoli da 1 a 8 dello stesso. L’articolo 2, lettera a) e c), di detto accordo così recita:

«Ai fini del presente accordo si applicano le definizioni seguenti:

a)

“diritto dell’Unione”:

i)

il trattato sull’Unione europea (“TUE”), il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”) e il trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (“trattato Euratom”), modificati o integrati, nonché i trattati di adesione e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, congiuntamente denominati “trattati”;

ii)

i principi generali del diritto dell’Unione;

iii)

gli atti adottati dalle istituzioni, organi e organismi dell’Unione;

(...)

c)

“cittadino dell’Unione”, chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro».

8

L’articolo 4 dello stesso accordo, intitolato «Metodi e principi relativi agli effetti giuridici, all’attuazione e all’applicazione del presente accordo», prevede quanto segue ai suoi paragrafi da 1 a 4:

«1.   Le disposizioni del presente accordo e le disposizioni del diritto dell’Unione rese applicabili dal presente accordo producono nei confronti del Regno Unito e nel Regno Unito gli stessi effetti giuridici che producono nell’Unione e nei suoi Stati membri.

Pertanto, le persone giuridiche o fisiche possono in particolare far valere direttamente le disposizioni contenute nel presente accordo o cui il presente accordo rinvia, che soddisfano le condizioni di efficacia diretta a norma del diritto dell’Unione.

2.   Il Regno Unito provvede ad assicurare la conformità con il paragrafo 1, anche per quanto riguarda il conferimento alle proprie autorità giudiziarie e amministrative dei poteri necessari per disapplicare le disposizioni nazionali incoerenti o incompatibili, attraverso il diritto primario nazionale.

3.   Le disposizioni del presente accordo che rimandano al diritto dell’Unione o a sue nozioni o disposizioni sono interpretate e applicate secondo i metodi e i principi generali del diritto dell’Unione.

4.   Le disposizioni del presente accordo che rimandano al diritto dell’Unione o a sue nozioni o disposizioni sono interpretate ai fini della loro attuazione e applicazione conformemente alla pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea antecedente la fine del periodo di transizione».

9

La seconda parte dell’accordo sul recesso del Regno Unito, intitolato «Diritti dei cittadini», è composto dagli articoli da 9 a 39 dello stesso. L’articolo 9, lettera c), i), di tale accordo così recita:

«Ai fini della presente parte e fatto salvo il titolo III si applicano le definizioni seguenti:

(...)

c)

“Stato ospitante”:

i)

per i cittadini dell’Unione e i loro familiari, il Regno Unito, qualora vi abbiano esercitato il diritto di soggiorno in conformità del diritto dell’Unione prima della fine del periodo di transizione e continuino a soggiornarvi dopo la fine del periodo di transizione».

10

L’articolo 10, paragrafo 1, di detto accordo enuncia quanto segue:

«Fatto salvo il titolo III, la presente parte si applica alle persone seguenti:

a)

cittadini dell’Unione che hanno esercitato il diritto di soggiorno nel Regno Unito in conformità del diritto dell’Unione prima della fine del periodo di transizione e che continuano a soggiornarvi dopo la fine del periodo di transizione;

(...)».

11

L’articolo 12 dell’accordo sul recesso del Regno Unito dispone quanto segue:

«Nell’ambito di applicazione della presente parte e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dalla stessa previste, nello Stato ospitante e nello Stato sede di lavoro è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità ai sensi dell’articolo 18, primo comma, TFUE nei confronti delle persone di cui all’articolo 10 del presente accordo».

12

L’articolo 13, paragrafo 1, di tale accordo prevede quanto segue:

«I cittadini dell’Unione e i cittadini del Regno Unito hanno il diritto di soggiornare nello Stato ospitante fatte salve le limitazioni e le condizioni di cui agli articoli 21, 45 o 49 TFUE e all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 7, paragrafo 1, lettere a), b) o c), all’articolo 7, paragrafo 3, all’articolo 14, all’articolo 16, paragrafo 1, o all’articolo 17, paragrafo 1, della [direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, nonché rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35; GU 2005, L 197, pag. 34 e GU 2020, L 191, pag. 6)]».

13

L’articolo 18 di detto accordo, intitolato «Rilascio dei documenti di soggiorno», così recita:

«1.   Lo Stato ospitante può prescrivere ai cittadini dell’Unione o ai cittadini del Regno Unito, ai loro familiari e altre persone che soggiornano nel suo territorio alle condizioni previste dal presente titolo di chiedere un nuovo status di soggiorno che conferisca loro i diritti di cui al presente titolo, unitamente a un documento attestante tale status, eventualmente in formato digitale.

La richiesta di tale status è soggetta alle condizioni seguenti:

(…)

k)

lo Stato ospitante può solamente prescrivere ai cittadini dell’Unione e ai cittadini del Regno Unito di presentare, oltre ai documenti di identità di cui alla lettera i) del presente paragrafo, i documenti giustificativi seguenti di cui all’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/CE:

(…)

ii)

per coloro che soggiornano nello Stato ospitante ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38/CE come persone economicamente inattive, la prova che dispongono, per se stessi e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti affinché essi non divengano un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato ospitante durante il periodo di soggiorno e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato ospitante;

(…)

(…)

4.   Se lo Stato ospitante ha scelto di non prescrivere ai cittadini dell’Unione o ai cittadini del Regno Unito, ai loro familiari e altre persone che soggiornano nel suo territorio alle condizioni stabilite dal presente titolo di chiedere il nuovo status di soggiorno di cui al paragrafo 1 quale condizione di soggiorno legale, le persone idonee a beneficiare di un diritto di soggiorno a norma del presente titolo hanno il diritto di ricevere, alle condizioni previste dalla direttiva 2004/38/CE, un documento di soggiorno, eventualmente in formato digitale, corredato di una dichiarazione attestante che esso è stato rilasciato in conformità del presente accordo».

14

L’articolo 19 dell’accordo sul recesso del Regno Unito, intitolato «Rilascio di documenti di soggiorno durante il periodo di transizione», prevede quanto segue al suo paragrafo 1:

«Durante il periodo di transizione lo Stato ospitante può acconsentire a che siano presentate su base volontaria, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente accordo, le domande di status di soggiorno o di documento di soggiorno di cui all’articolo 18, paragrafi 1 e 4».

15

L’articolo 23 di tale accordo, intitolato «Parità di trattamento», dispone quanto segue:

«1.   Ai sensi dell’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE, fatte salve le disposizioni specifiche previste dal presente titolo e dai titoli I e IV della presente parte, ogni cittadino dell’Unione o cittadino del Regno Unito che soggiorna, in base al presente accordo, nel territorio dello Stato ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nell’ambito di applicazione della presente parte. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari di cittadini dell’Unione o di cittadini del Regno Unito che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

2.   In deroga al paragrafo 1, lo Stato ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni di assistenza sociale durante i periodi di soggiorno previsti all’articolo 6 o all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2004/38/CE, né è tenuto a concedere, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 15 del presente accordo, aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, a persone che non mantengano tale status o a loro familiari».

16

L’articolo 38, paragrafo 1, di detto accordo prevede quanto segue:

«La presente parte fa salve le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative applicabili in uno Stato ospitante o in uno Stato sede di lavoro che siano più favorevoli per le persone interessate. Il presente paragrafo non si applica al titolo III».

17

La terza parte dell’accordo sul recesso del Regno Unito, intitolata «Disposizioni relative alla separazione», contiene gli articoli da 40 a 125 dello stesso. L’articolo 86 di tale accordo, intitolato «Cause pendenti dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea», dispone quanto segue ai suoi paragrafi 2 e 3:

«2.   La Corte di giustizia dell’Unione europea resta competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle domande presentate dai giudici del Regno Unito prima della fine del periodo di transizione.

3.   Ai fini del presente capo, la Corte di giustizia dell’Unione europea si considera adita e la domanda di pronuncia pregiudiziale si considera presentata nel momento in cui la domanda giudiziale è registrata presso la cancelleria della Corte di giustizia o, secondo il caso, del Tribunale».

18

L’articolo 89, paragrafo 1, di detto accordo così recita:

«Le sentenze e le ordinanze della Corte di giustizia dell’Unione europea pronunciate prima della fine del periodo di transizione, nonché le sentenze e le ordinanze emesse dopo la fine di tale periodo nei procedimenti di cui agli articoli 86 e 87 sono vincolanti nella loro totalità per il Regno Unito e nel Regno Unito».

19

L’articolo 126 dell’accordo sul recesso del Regno Unito, intitolato «Periodo di transizione», enuncia quanto segue:

«È previsto un periodo di transizione o esecuzione che decorre dalla data di entrata in vigore del presente accordo e termina il 31 dicembre 2020».

20

L’articolo 127 di tale accordo, intitolato «Ambito di applicazione della transizione», dispone quanto segue ai suoi paragrafi 1 e 3:

«1.   Salvo che il presente accordo non disponga diversamente, il diritto dell’Unione si applica al Regno Unito e nel Regno Unito durante il periodo di transizione.

(...)

3.   Durante il periodo di transizione il diritto dell’Unione applicabile a norma del paragrafo 1 produce nei confronti del Regno Unito e nel Regno Unito gli stessi effetti giuridici che produce all’interno dell’Unione e degli Stati membri, ed è interpretato e applicato secondo gli stessi metodi e principi generali applicabili all’interno dell’Unione».

La direttiva 2004/38

21

I considerando 10 e 16 della direttiva 2004/38 così recitano:

«(10)

Occorre tuttavia evitare che coloro che esercitano il loro diritto di soggiorno diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo iniziale di soggiorno. Pertanto il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari per un periodo superiore a tre mesi dovrebbe essere subordinato a condizioni.

(...)

(16)

I beneficiari del diritto di soggiorno non dovrebbero essere allontanati finché non diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante. Pertanto una misura di allontanamento non dovrebbe essere la conseguenza automatica del ricorso al sistema di assistenza sociale. Lo Stato membro ospitante dovrebbe esaminare se si tratta di difficoltà temporanee e tener conto della durata del soggiorno, della situazione personale e dell’ammontare dell’aiuto concesso prima di considerare il beneficiario un onere eccessivo per il proprio sistema di assistenza sociale e procedere all’allontanamento. In nessun caso una misura di allontanamento dovrebbe essere presa nei confronti di lavoratori subordinati, lavoratori autonomi o richiedenti lavoro, quali definiti dalla Corte di giustizia, eccetto che per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza».

22

L’articolo 1 di tale direttiva enuncia quanto segue:

«La presente direttiva determina:

a)

le modalità d’esercizio del diritto di libera circolazione e soggiorno nel territorio degli Stati membri da parte dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

b)

il diritto di soggiorno permanente nel territorio degli Stati membri dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari;

c)

le limitazioni dei suddetti diritti per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica».

23

L’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva così recita:

«La presente direttiva si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione che si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, nonché ai suoi familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, che accompagnino o raggiungano il cittadino medesimo».

24

L’articolo 7 della stessa direttiva, intitolato «Diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi», prevede quanto segue al suo paragrafo 1:

«Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

(...)

b)

di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; o

(...)».

25

L’articolo 24 della direttiva 2004/38, intitolato «Parità di trattamento», così recita:

«1.   Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente.

2.   In deroga al paragrafo 1, lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire il diritto a prestazioni d’assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno o, se del caso, durante il periodo più lungo previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), né è tenuto a concedere prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente aiuti di mantenimento agli studi, compresa la formazione professionale, consistenti in borse di studio o prestiti per studenti, a persone che non siano lavoratori subordinati o autonomi, che non mantengano tale status o loro familiari».

26

L’articolo 37 di tale direttiva, intitolato «Disposizioni nazionali più favorevoli», prevede quanto segue:

«Le disposizioni della presente direttiva non pregiudicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di diritto interno che siano più favorevoli ai beneficiari della presente direttiva».

Diritto del Regno Unito

L’appendice UE del regime di residenza

27

L’EU Settlement Scheme – Appendix EU of the UK Immigration Rules [regime di residenza «EU Settlement Scheme» – appendice «UE» alle norme sull’immigrazione (in prosieguo: l’«appendice UE del regime di residenza»)] è un atto con il quale le autorità britanniche, in previsione del recesso del Regno Unito dall’Unione, hanno adottato un nuovo regime giuridico applicabile ai cittadini dello Spazio economico europeo (SEE) e, di conseguenza, ai cittadini dell’Unione che vivono nel Regno Unito. Esso consente a tutti i cittadini dell’Unione residenti nel Regno Unito prima del 31 dicembre 2020, e ai loro familiari, di chiedere l’autorizzazione a restare nel Regno Unito. Tale regime giuridico è entrato in vigore il 30 marzo 2019.

28

L’appendice UE del regime di residenza prevede il procedimento e le condizioni che diverse categorie di cittadini dell’Unione e i loro familiari devono seguire per ottenere il diritto di soggiorno permanente e il diritto di soggiorno temporaneo nel territorio del Regno Unito. Esso prevede in tal senso che i cittadini dell’Unione che erano titolari del diritto di risiedere in via permanente in tale territorio beneficino dello status di residente permanente e che quelli che risiedono da meno di cinque anni nel Regno Unito si vedano riconoscere lo status di residente non permanente (Pre-Settled Status), il quale conferisce loro un diritto di soggiorno temporaneo di cinque anni.

Il regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza

29

L’Universal Credit Regulations (Northern Ireland) 2016 [regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza (Irlanda del Nord)], come modificato dal Social Security (Income-related Benefits) (Updating and Amendment) (EU Exit) Regulations (Northern Ireland) 2019 [regolamento del 2019 sulla sicurezza sociale (prestazioni legate al reddito) (aggiornamento e modifica) (recesso dall’Unione europea) (Irlanda del Nord)] (in prosieguo: il «regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza»), prevede quanto segue al suo articolo 9:

«Persone che si considera non si trovino in Irlanda del Nord.

(1)   Ai fini di determinare se una persona soddisfi il requisito di base per trovarsi in Irlanda del Nord, fatto salvo il caso in cui ella rientri nell’ambito del paragrafo 4, si ritiene che una persona non si trovi in Irlanda del Nord se la stessa non ha la propria residenza abituale nel Regno Unito, nelle Isole Normanne, nell’Isola di Man o nella Repubblica di Irlanda.

(2)   Si considera che una persona abbia la propria residenza abituale nel Regno Unito, nelle Isole Normanne, nell’Isola di Man o nella Repubblica di Irlanda solo se ella è titolare di un diritto di soggiorno in uno di tali luoghi.

(3)   Ai fini del paragrafo 2, un diritto di soggiorno non comprende un diritto esistente:

(a)

a norma dell’articolo 13 dell’[Immigration (European Economic Area) Regulations 2016 (regolamento del 2016 sull’immigrazione – Spazio economico europeo), (SI 2016/1052); in prosieguo: il “regolamento SEE”] o dell’articolo 6 della direttiva 2004/38,

(b)

a norma dell’articolo 14 del regolamento SEE, ma esclusivamente nei casi in cui un siffatto diritto sussista ai sensi del regolamento SEE in ragione del fatto che la persona è:

(i)

un avente diritto ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, di tale regolamento in quanto richiedente lavoro, o

(ii)

un familiare (ai sensi dell’articolo 7 di detto regolamento) di un siffatto richiedente lavoro,

(c)

a norma dell’articolo 16 del regolamento SEE, ma esclusivamente nei casi in cui il diritto sussista ai sensi di tale regolamento poiché la persona soddisfa i criteri enunciati all’articolo 16, paragrafo 5, di detto regolamento o all’articolo 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (nel caso in cui il diritto di soggiorno sorga dal fatto che, in caso contrario, un cittadino britannico sarebbe privato del godimento effettivo dei suoi diritti in quanto cittadino dell’Unione), oppure;

(d)

in qualità di persona che ha ottenuto un’autorizzazione temporanea per l’ingresso o il soggiorno nel Regno Unito ai sensi dell’Immigration Act 1971 (legge del 1971 sull’immigrazione) in virtù:

(i)

[dell’appendice UE del regime di residenza] sulla base dell’articolo 3, paragrafo 2, della legge sull’immigrazione,

(…)

(…)».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

30

CG, cittadina con doppia nazionalità croata e olandese, è madre di due bambini in tenera età che cresce da sola. Ella ha dichiarato di essere giunta in Irlanda del Nord con il suo compagno, di nazionalità olandese e padre dei suoi figli, nel corso del 2018. Ella non ha mai esercitato un’attività economica nel Regno Unito e vi viveva con il suo compagno finché non si è trasferita in un centro di accoglienza per donne maltrattate. CG non ha alcun reddito per mantenere se stessa e i suoi figli.

31

Il 4 giugno 2020 lo Home Office (Ministero dell’Interno, Regno Unito) ha concesso a CG, sulla base dell’appendice UE del regime di residenza, lo status di residente non permanente nel Regno Unito (Pre-Settled Status), sul cui fondamento le è stato riconosciuto un diritto di soggiorno temporaneo. La concessione di detto status non è soggetta alla condizione della disponibilità di risorse economiche.

32

L’8 giugno 2020 CG ha depositato una domanda per ottenere una prestazione di assistenza sociale, chiamata reddito di cittadinanza (Universal Credit), presso il Ministero delle Comunità dell’Irlanda del Nord. Con decisione del 17 giugno 2020, tale domanda è stata respinta, con la motivazione che CG non soddisfaceva le condizioni di soggiorno richieste per beneficiarne.

33

L’autorità amministrativa competente ha ritenuto che solo le persone titolari di un diritto di soggiorno nel Regno Unito, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza, possano essere considerate abitualmente residenti nel Regno Unito e possano pertanto chiedere di ottenere il reddito di cittadinanza. Per contro, i cittadini degli Stati membri, come CG, titolari di un diritto di soggiorno ai sensi dell’appendice UE del regime di residenza sono esclusi, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, lettera d), i), del regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza, dalla categoria dei potenziali beneficiari del reddito di cittadinanza.

34

Il diritto di soggiorno creato, tramite l’appendice UE del regime di residenza, per i cittadini degli Stati membri non figura, come risulta da tale articolo 9, paragrafo 3, lettera d), i), fra i diritti di soggiorno che consentono di riscontrare l’esistenza di una residenza abituale nel Regno Unito. Tramite tale disposizione, la quale è stata inserita nel regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza dal regolamento del 2019 sulla sicurezza sociale (in prosieguo: il «regolamento del 2019»), le autorità nazionali hanno voluto escludere le persone di cui trattasi dalla categoria dei potenziali beneficiari del reddito di cittadinanza, prevedendo che il diritto di soggiorno di cui tali persone sono adesso titolari non sia rilevante per fondare una «residenza abituale» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza.

35

La decisione del 17 giugno 2020 del Ministero delle Comunità dell’Irlanda del Nord è stata confermata il 30 giugno 2020, a seguito di un ricorso amministrativo proposto da CG avverso la medesima.

36

CG ha dunque presentato un ricorso avverso la decisione del 17 giugno 2020 dinanzi all’Appeal Tribunal (Northern Ireland) (Tribunale d’appello dell’Irlanda del Nord, Regno Unito). Ella contesta segnatamente la legittimità dell’articolo 9, paragrafo 3, lettera d), i), del regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza, il quale ha costituito il fondamento di tale decisione. Siffatta disposizione violerebbe l’articolo 18 TFUE, nonché gli obblighi che incomberebbero al Regno Unito in forza dell’European Communities Act 1972 (legge del 1972 sulle Comunità europee), relativa all’adesione del Regno Unito all’Unione europea, nella misura in cui essa escluderebbe dal beneficio di una prestazione di assistenza sociale cittadini dell’Unione riconosciuti dal Regno Unito come legalmente residenti sul proprio territorio.

37

CG fa valere, a tal riguardo, che, essendo titolare di un diritto di soggiorno temporaneo risultante dallo status di residente non permanente riconosciutole il 4 giugno 2020, si deve ritenere che ella si trovi nel territorio dell’Irlanda del Nord, ai sensi dell’articolo 9 del regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza. Per questo motivo, ella dovrebbe poter far valere il diritto alla concessione del reddito di cittadinanza. Il diniego di concederle tale prestazione di assistenza sociale, con la motivazione che il suo status non sarebbe rilevante per fondare la «residenza abituale» nel Regno Unito, costituirebbe una differenza di trattamento fra i cittadini dell’Unione residenti legalmente nel Regno Unito e i cittadini britannici e, pertanto, una discriminazione in base alla nazionalità ai sensi dell’articolo 18, primo comma, TFUE. Ella sostiene che, in applicazione della sentenza del 7 settembre 2004, Trojani (C‑456/02, EU:C:2004:488) e della giurisprudenza nazionale rilevante, la stessa può avvalersi direttamente di tale disposizione al fine di vedersi concedere il beneficio di una prestazione di assistenza sociale, a causa del fatto che ella è titolare di un diritto di soggiorno ai sensi del diritto nazionale, pur non soddisfacendo le condizioni per ottenere un diritto di soggiorno ai sensi del diritto dell’Unione.

38

Il Ministero delle Comunità dell’Irlanda del Nord sostiene che, in forza del diritto nazionale, lo status di residente non permanente (Pre-Settled Status) non conferisce di per sé un diritto alle prestazioni d’assistenza sociale, le quali rimangono assoggettate alle loro specifiche condizioni di ammissibilità.

39

In tali circostanze, l’Appeal Tribunal (Northern Ireland) (Tribunale d’appello per l’Irlanda del Nord) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 9, paragrafo 3, lettera [d]), i), del [regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza], inserito dal [regolamento del 2019], che esclude dal diritto alle prestazioni sociali i cittadini dell’Unione [...] titolari di un diritto di soggiorno nazionale (permesso di soggiorno limitato) [nel caso di specie lo status di residente non permanente (“pre-settled status”) ottenuto sulla base dell’appendice UE del regime di residenza], sia illegittimamente discriminatorio (in modo diretto o indiretto) ai sensi dell’articolo 18 [TFUE] ed incompatibile con gli obblighi del Regno Unito ai sensi della legge del 1972 sulle Comunità europee.

2)

In caso di risposta affermativa alla prima questione, e qualora l’articolo 9, paragrafo 3, lettera [d]), i), del [regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza] debba essere ritenuto indirettamente discriminatorio: se l’articolo 9, paragrafo 3, lettera [d]), punto i), del [regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza] sia giustificato ai sensi dell’articolo 18 TFUE e se esso sia incompatibile con gli obblighi del Regno Unito ai sensi della legge del 1972 sulle Comunità europee».

Sull’istanza di procedimento accelerato

40

L’Appeal Tribunal for Northern Ireland (Tribunale d’appello per l’Irlanda del Nord) ha chiesto alla Corte di sottoporre la presente causa al procedimento accelerato previsto all’articolo 105 del regolamento di procedura della Corte, alla luce dell’urgenza manifesta di tale causa e della difficile situazione finanziaria di CG.

41

L’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura prevede che, su domanda del giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, quando la natura della causa richiede un suo rapido trattamento, il presidente della Corte, sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, possa decidere di sottoporre un rinvio pregiudiziale a procedimento accelerato.

42

Con decisione del presidente della Corte del 26 gennaio 2021, è stata presentata una richiesta di informazioni al giudice del rinvio. Gli è stato chiesto, in particolare, di precisare se esisteva un rischio potenziale di violazione dei diritti fondamentali di CG e dei suoi figli sanciti agli articoli 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali (in prosieguo: la «Carta») e di indicare le risorse finanziarie a disposizione di CG, nonché le condizioni di alloggio della stessa e quelle dei suoi figli.

43

Con messaggio di posta elettronica del 5 febbraio 2021, il giudice del rinvio ha confermato, da un lato, che CG non disponeva di alcuna risorsa finanziaria, che non aveva attualmente accesso alle prestazioni dello Stato e che viveva in un centro di accoglienza per donne maltrattate e, dall’altro, che i diritti fondamentali dei suoi figli rischiavano di essere violati.

44

In tali circostanze, alla luce dell’indigenza materiale di CG e dei suoi figli e dell’impossibilità, per la stessa, in forza del diritto nazionale, di fruire di prestazioni di assistenza sociale, il presidente della Corte, con decisione dell’11 febbraio 2021, sentiti la giudice relatrice e l’avvocato generale, ha accolto l’istanza di procedimento accelerato di cui all’articolo 105 del regolamento di procedura.

Sulla competenza della Corte

45

Secondo una giurisprudenza costante, spetta alla Corte esaminare le condizioni in presenza delle quali essa viene adita dal giudice nazionale, al fine di verificare la propria competenza (sentenza del 10 dicembre 2020, J & S Service, C‑620/19, EU:C:2020:1011, punto 32 e la giurisprudenza ivi citata).

46

A tal riguardo, dall’articolo 19, paragrafo 3, lettera b), TUE e dall’articolo 267, primo comma, TFUE risulta che la Corte è competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione del diritto dell’Unione o sulla validità degli atti compiuti dalle istituzioni dell’Unione. Il secondo comma di tale articolo 267 precisa, in sostanza, che quando una questione che può essere oggetto di un rinvio pregiudiziale è sollevata in un giudizio pendente davanti a una giurisdizione di uno Stato membro, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.

47

Nella specie, il 1o febbraio 2020, data di entrata in vigore dell’accordo sul recesso del Regno Unito, tale Stato è receduto dall’Unione, divenendo così uno Stato terzo. Ne consegue che gli organi giurisdizionali del Regno Unito non possono più, a partire da tale data, essere considerati giurisdizioni di uno Stato membro.

48

Tale accordo prevede tuttavia, al suo articolo 126, un periodo di transizione che va dalla data di entrata in vigore di detto accordo, ossia il 1o febbraio 2020, al 31 dicembre 2020. L’articolo 127 del medesimo prevede che, nel corso di tale periodo, salvo tale accordo non disponga diversamente, il diritto dell’Unione si applichi al Regno Unito e nel suo territorio, produca gli stessi effetti giuridici che produce all’interno dell’Unione e dei suoi Stati membri e sia interpretato e applicato secondo gli stessi metodi e principi generali applicabili all’interno dell’Unione.

49

L’articolo 86 dell’accordo sul recesso del Regno Unito prevede parimenti, al suo paragrafo 2, che la Corte resti competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulle domande presentate dai giudici del Regno Unito prima della fine del periodo di transizione. Dal paragrafo 3 di tale articolo risulta inoltre che una domanda di pronuncia pregiudiziale si considera presentata, ai sensi del paragrafo 2, nel momento in cui la domanda giudiziale è stata registrata presso la cancelleria della Corte.

50

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale è stata presentata dinanzi alla Corte da un giudice del Regno Unito il 30 dicembre 2020, ossia prima della fine del periodo di transizione, nell’ambito di una controversia concernente una domanda di prestazione di assistenza sociale depositata l’8 giugno 2020 da CG presso il Ministero delle Comunità dell’Irlanda del Nord.

51

Ne consegue, da un lato, che la fattispecie di cui al procedimento principale rientra nell’ambito di applicazione ratione temporis del diritto dell’Unione, in applicazione degli articoli 126 e 127 dell’accordo sul recesso del Regno Unito e, dall’altro, che la Corte è competente a statuire in via pregiudiziale sulla domanda del giudice del rinvio, in applicazione dell’articolo 86, paragrafo 2, di tale accordo, nei limiti in cui tale domanda è intesa ad ottenere un’interpretazione dell’articolo 18, primo comma, TFUE.

52

Per contro, la Corte non è competente a pronunciarsi sulla prima questione, nella misura in cui essa è intesa a valutare la compatibilità dell’articolo 9, paragrafo 3, lettera d), i), del regolamento del 2016 sul reddito di cittadinanza con gli obblighi incombenti al Regno Unito ai sensi della legge del 1972 sulle Comunità europee, poiché una siffatta questione non verte né sull’interpretazione del diritto dell’Unione né sulla validità di un atto compiuto dalle istituzioni dell’Unione, ai sensi dell’articolo 267, primo comma, TFUE.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla ricevibilità delle questioni

53

Il governo del Regno Unito indica, nelle sue osservazioni scritte, che la fattispecie di cui al procedimento principale è disciplinata dal solo diritto nazionale e, pertanto, non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Esso ritiene che il diritto di soggiorno temporaneo di cui al procedimento principale sia stato concesso a CG sulla sola base del diritto nazionale e che la circostanza che tale persona abbia potuto avere accesso al territorio del Regno Unito in forza del diritto dell’Unione per un periodo iniziale di tre mesi sia irrilevante al fine di valutare la fattispecie di cui al procedimento principale.

54

Si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria decisione, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenza del 10 dicembre 2020, J & S Service, C‑620/19, EU:C:2020:1011, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata).

55

Il diniego della Corte di statuire su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile solo quando appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte [sentenza del 24 novembre 2020, Openbaar Ministerie (Falso in atti), C‑510/19, EU:C:2020:953, punto 26 e la giurisprudenza ivi citata].

56

Nella specie, dagli elementi del fascicolo a disposizione della Corte emerge che CG, la quale possiede la doppia nazionalità croata e olandese, è entrata nel territorio del Regno Unito nel corso del 2018 e che soggiorna in tale territorio, sulla base del diritto nazionale, dal 4 giugno 2020.

57

Poiché il diritto dell’Unione è applicabile in tale Stato sino alla fine del periodo di transizione ai sensi dell’articolo 127 dell’accordo sul recesso del Regno Unito, salvo tale accordo disponga altrimenti, occorre ricordare che un cittadino dell’Unione, cittadino di uno Stato membro, che si è trasferito in un altro Stato membro, si è avvalso della sua libertà di circolazione, cosicché la sua situazione rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 19 novembre 2020, ZW, C‑454/19, EU:C:2020:947, punto 23 e la giurisprudenza ivi citata).

58

Analogamente, dalla giurisprudenza della Corte risulta che un cittadino di uno Stato membro, avente a tale titolo lo status di cittadino dell’Unione, che soggiorna legalmente nel territorio di un altro Stato membro, rientra anche per questo motivo nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Pertanto, in ragione della sua qualità di cittadino dell’Unione, un cittadino di uno Stato membro che soggiorna in un altro Stato membro ha il diritto di avvalersi dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE e rientra nell’ambito di applicazione dei Trattati ai sensi dell’articolo 18 TFUE, che contiene il principio di non discriminazione in base alla cittadinanza [sentenza del 17 dicembre 2020, Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Estradizione verso l’Ucraina), C‑398/19, EU:C:2020:1032, punti 2930 e la giurisprudenza ivi citata].

59

Ne consegue che la situazione di CG rientrava nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione sino alla fine del periodo di transizione previsto dall’accordo sul recesso del Regno Unito. In tali circostanze, si deve ritenere che le questioni sollevate siano ricevibili nei limiti in cui vertono sull’interpretazione dell’articolo 18, primo comma, TFUE.

Nel merito

Sulla prima questione

60

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 18 TFUE debba essere interpretato nel senso che una disposizione nazionale che esclude dalle prestazioni sociali i cittadini dell’Unione che fruiscono di un diritto di soggiorno temporaneo in forza del diritto nazionale ricada nel divieto di discriminazione in base alla nazionalità previsto a tale articolo.

61

In via preliminare, occorre ricordare che, conformemente a una costante giurisprudenza, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita all’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (sentenza del 17 dicembre 2020, Generalstaatsanwaltschaft Hamburg, C‑416/20 PPU, EU:C:2020:1042, punto 27 e la giurisprudenza ivi citata).

62

Nella specie, per quanto riguarda, in primo luogo, le disposizioni rilevanti per rispondere ai quesiti del giudice del rinvio, occorre rilevare che l’articolo 20, paragrafo 1, TFUE conferisce a chiunque possegga la cittadinanza di uno Stato membro lo status di cittadino dell’Unione e che tale status è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri che consente a chi tra di essi si trovi nella medesima situazione di ottenere, nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato FUE, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente previste, il medesimo trattamento giuridico (sentenza dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punti 5758 e la giurisprudenza ivi citata).

63

Ogni cittadino dell’Unione può quindi far valere il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, sancito dall’articolo 18 TFUE, in tutte le situazioni che rientrano nella sfera di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione. Tali situazioni comprendono quelle che rientrano nell’esercizio della libertà di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri conferita dall’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), TFUE e dall’articolo 21 TFUE (sentenza dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 59 e la giurisprudenza ivi citata).

64

Poiché CG è una cittadina dell’Unione che si è avvalsa della sua libertà di circolare e di soggiornare per trasferirsi nel Regno Unito, la sua situazione rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto dell’Unione, cosicché ella, in linea di principio, può far valere il divieto di discriminazione in base alla nazionalità figurante all’articolo 18 TFUE.

65

Tuttavia, in conformità ad una giurisprudenza costante, l’articolo 18, primo comma, TFUE è applicabile in maniera autonoma soltanto in situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione per le quali il Trattato FUE non preveda norme specifiche che vietano discriminazioni (sentenza del 6 ottobre 2020, Jobcenter Krefeld, C‑181/19, EU:C:2020:794, punto 78). Inoltre, l’articolo 20, paragrafo 2, secondo comma, TFUE precisa espressamente che i diritti che tale articolo conferisce ai cittadini dell’Unione si esercitano «secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi», fermo restando che l’articolo 21 TFUE subordina, a sua volta, il diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri al rispetto delle «limitazioni e (…) condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi» (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 60 e la giurisprudenza ivi citata).

66

In tal senso, il principio di non discriminazione viene concretizzato all’articolo 24 della direttiva 2004/38 nei confronti dei cittadini dell’Unione che esercitano la loro libertà di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri.

67

A tal riguardo, si deve ricordare che, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, rientrano nell’ambito di applicazione di tale direttiva e beneficiano dei diritti dalla stessa riconosciuti i cittadini dell’Unione che si recano o soggiornano in uno Stato membro diverso da quello di cui hanno la cittadinanza, nonché i loro familiari ai sensi dell’articolo 2, punto 2, della medesima, che li accompagnino o li raggiungano (sentenza del 10 settembre 2019, Chenchooliah, C‑94/18, EU:C:2019:693, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata). Orbene, è questa la situazione che si verifica nel caso di una persona come CG, la quale possiede la doppia cittadinanza croata e olandese, che si è avvalsa della libertà di circolare e soggiornare nel territorio del Regno Unito prima della fine del periodo di transizione previsto all’articolo 126 dell’accordo sul recesso del Regno Unito. Ne consegue che una persona che si trova nella situazione di CG rientra nell’ambito di applicazione della direttiva medesima, cosicché è alla luce dell’articolo 24 della direttiva 2004/38, e non dell’articolo 18, primo comma, TFUE, che deve essere valutata la questione se tale persona subisca una discriminazione in base alla cittadinanza.

68

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la natura delle prestazioni sociali di cui al procedimento principale, occorre rilevare che la nozione di «prestazioni d’assistenza sociale» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 fa riferimento all’insieme dei regimi di assistenza istituiti da autorità pubbliche a livello nazionale, regionale o locale, a cui può ricorrere un soggetto che non disponga delle risorse economiche sufficienti a far fronte ai bisogni elementari propri e a quelli della sua famiglia e che rischia, per questo, di diventare, durante il suo soggiorno, un onere per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante che potrebbe produrre conseguenze sul livello globale dell’aiuto che può essere concesso da tale Stato (sentenza dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 63 e la giurisprudenza ivi citata).

69

In tal senso, prestazioni di sussistenza che mirano a conferire ai loro beneficiari il minimo dei mezzi di sussistenza necessari per condurre una vita conforme alla dignità umana, devono essere considerate alla stregua di «prestazioni d’assistenza sociale» ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 (v., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, Jobcenter Krefeld, C‑181/19, EU:C:2020:794, punto 57 e la giurisprudenza ivi citata).

70

Dal fascicolo a disposizione della Corte risulta che la prestazione richiesta da CG, ossia il reddito di cittadinanza, è una prestazione di sussistenza in denaro, la quale rientra in un regime di tutela sociale finanziato da introiti fiscali, la cui concessione è subordinata ad una condizione concernente la disponibilità di risorse economiche. Il suo obiettivo consiste nel sostituire diverse altre prestazioni sociali, come l’assegno per persone in cerca di impiego basato sul reddito (income based jobseeker’s allowance), l’indennità di integrazione salariale e di sostegno basata sul reddito (income-related employment and support allowance), il sostegno al reddito (income support), il credito d’imposta per persone in attività (working tax credit), l’assegno familiare (child tax credit) e il sussidio per l’alloggio (housing benefit).

71

Ne consegue che il reddito di cittadinanza, fatte salve le verifiche che spetta al giudice del rinvio effettuare, deve essere qualificato come prestazione di assistenza sociale, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

72

In tali circostanze, la prima questione deve essere riformulata nel senso che, con la stessa, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 24 della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro ospitante che esclude dalle prestazioni d’assistenza sociale i cittadini dell’Unione economicamente inattivi e che non dispongono di risorse sufficienti ai quali tale Stato membro ha concesso, sulla base del diritto nazionale, un diritto di soggiorno temporaneo, mentre tali prestazioni sono garantite ai cittadini dello Stato membro interessato che si trovano nella stessa situazione.

73

Dalla decisione di rinvio risulta che la ricorrente nel procedimento principale risiede nel Regno Unito da più di tre mesi; che ella non è alla ricerca di un posto di lavoro e che è entrata nel territorio di tale Stato per accompagnare il compagno, padre dei suoi figli in tenera età, dal quale la stessa si è separata a causa di violenza domestica. Una situazione del genere non rientra in nessuna delle fattispecie nelle quali l’articolo 24, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 consente di derogare alla parità di trattamento, segnatamente per quanto riguarda l’accesso ad una prestazione di assistenza sociale come il reddito di cittadinanza.

74

In conformità all’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, ogni cittadino dell’Unione che risiede, in base a detta direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato.

75

La Corte ha dichiarato che, per quanto riguarda l’accesso a prestazioni di assistenza sociale, un cittadino dell’Unione può chiedere di beneficiare della parità di trattamento, ai sensi di tale disposizione, rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante solo se il suo soggiorno sul territorio di tale Stato membro rispetta i requisiti fissati dalla direttiva 2004/38 (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punti 6869).

76

A tal riguardo, occorre ricordare che, nel caso di un soggiorno di una durata superiore a tre mesi ma inferiore a cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante, il beneficio del diritto di soggiorno è subordinato alle condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, il quale prevede segnatamente, alla lettera b), per un cittadino economicamente inattivo, l’obbligo di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti. Dal considerando 10 di tale direttiva risulta, infatti, che dette condizioni sono dirette, segnatamente, a evitare che queste persone divengano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 71 e la giurisprudenza ivi citata).

77

Orbene, riconoscere che cittadini dell’Unione che non beneficiano di un diritto di soggiorno in forza della direttiva 2004/38 possano chiedere di fruire di prestazioni di assistenza sociale allo stesso titolo dei cittadini nazionali si porrebbe in contrasto con tale obiettivo e rischierebbe di consentire a cittadini dell’Unione economicamente inattivi di utilizzare il sistema di protezione sociale dello Stato membro ospitante per finanziare il proprio sostentamento (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punti 74, 7677 e la giurisprudenza ivi citata).

78

Ne discende che uno Stato membro ha la possibilità, ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2004/38, di negare la concessione di prestazioni di assistenza sociale a cittadini dell’Unione economicamente inattivi che esercitino la libertà di circolazione e che non dispongano delle risorse sufficienti per poter rivendicare il beneficio del diritto di soggiorno ai sensi di tale direttiva (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punto 78).

79

Occorre pertanto effettuare un esame concreto della situazione economica di ogni interessato, senza tener conto delle prestazioni di assistenza sociale richieste, per valutare se questi soddisfi il requisito di disporre di risorse sufficienti previsto all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38 e se possa dunque avvalersi, nello Stato membro ospitante, del principio di non discriminazione di cui all’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva per beneficiare della parità di trattamento rispetto ai cittadini di detto Stato membro (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2014, Dano, C‑333/13, EU:C:2014:2358, punti 8081).

80

Nel procedimento principale, dalla risposta del giudice del rinvio alla richiesta di informazioni della Corte emerge che CG non dispone di risorse economiche sufficienti. Pertanto, una siffatta persona può divenire un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale del Regno Unito e non può dunque avvalersi del principio di non discriminazione previsto all’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

81

Tale valutazione non può essere inficiata dal fatto che CG è titolare di un diritto di soggiorno temporaneo, in forza del diritto nazionale, che le è stato concesso senza la condizione della disponibilità di risorse economiche. Infatti, se un cittadino dell’Unione economicamente inattivo e senza risorse economiche sufficienti che soggiorna nello Stato membro ospitante al di fuori delle condizioni previste dalla direttiva 2004/38 potesse avvalersi del principio di non discriminazione enunciato all’articolo 24, paragrafo 1, di tale direttiva, egli beneficerebbe di una protezione più ampia di quella di cui lo stesso avrebbe beneficiato in applicazione delle disposizioni di detta direttiva, le quali avrebbero comportato il diniego a detto cittadino di un diritto di soggiorno.

82

Inoltre, occorre invero rilevare che disposizioni nazionali che, come le disposizioni di cui al procedimento principale, conferiscono un diritto di soggiorno ad un cittadino dell’Unione sebbene non siano soddisfatte tutte le condizioni previste dalla direttiva 2004/38 a tal fine, rientrano nell’ipotesi contemplata all’articolo 37 di tale direttiva, ai sensi del quale quest’ultima non osta a che il diritto degli Stati membri istituisca un regime più favorevole rispetto a quello sancito dalle disposizioni di detta direttiva.

83

Tuttavia, un siffatto diritto di soggiorno non può in alcun modo essere considerato concesso «in base» alla direttiva 2004/38, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della stessa. Infatti, la Corte ha dichiarato che il fatto di non pregiudicare le disposizioni nazionali più favorevoli di quelle della direttiva 2004/38 per quanto riguarda il diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione non implica affatto che tali disposizioni debbano essere integrate nel sistema istituito da detta direttiva, e ne ha desunto, in particolare, che spetta a ciascuno Stato membro che abbia deciso di instaurare un regime più favorevole di quello istituito dalle disposizioni di detta direttiva precisare quali siano le conseguenze di un diritto di soggiorno concesso sulla sola base del diritto interno (sentenza del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja, C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punti 4950).

84

Ciò premesso, come è stato sottolineato al punto 57 della presente sentenza, un cittadino dell’Unione che, come CG, si sia spostato in un altro Stato membro, ha esercitato la sua libertà fondamentale di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri, conferita dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, cosicché la sua situazione rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, e ciò anche qualora egli tragga il suo diritto di soggiorno dal diritto nazionale.

85

A tal riguardo, occorre ricordare che l’ambito di applicazione della Carta è definito all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, il quale prevede che, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, le disposizioni della Carta si applichino agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione (sentenza del 13 giugno 2017, Florescu e a., C‑258/14, EU:C:2017:448, punto 44 e la giurisprudenza ivi citata). In virtù del suo articolo 51, paragrafo 2, la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati (sentenza del 19 novembre 2019, TSN e AKT, C‑609/17 e C‑610/17, EU:C:2019:981, punto 42).

86

Peraltro, secondo giurisprudenza costante, i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione sono destinati ad essere applicati in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione (sentenza del 19 novembre 2019, TSN e AKT, C‑609/17 e C‑610/17, EU:C:2019:981, punto 43 e la giurisprudenza ivi citata).

87

Nella specie, dalla decisione di rinvio risulta che le autorità del Regno Unito hanno concesso a CG un diritto di soggiorno sebbene ella non disponesse di risorse economiche sufficienti. Come è stato rilevato al punto 82 della presente sentenza, tali autorità hanno applicato un regime più favorevole, in termini di diritto di soggiorno, rispetto a quello istituito dalle disposizioni della direttiva 2004/38, cosicché tale azione non può essere considerata un’attuazione di tale direttiva. Così facendo, dette autorità, per contro, hanno riconosciuto il diritto di un cittadino di uno Stato membro di soggiornare liberamente nel suo territorio conferito ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, senza avvalersi delle condizioni e delle limitazioni a tale diritto previste dalla direttiva 2004/38.

88

Ne consegue che, allorché le autorità dello Stato membro ospitante concedono tale diritto in circostanze come quelle che caratterizzano il procedimento principale, esse attuano le disposizioni del Trattato FUE relative allo status di cittadino dell’Unione, il quale, come è stato sottolineato al punto 62 della presente sentenza, è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri, e che esse sono pertanto tenute a conformarsi alle disposizioni della Carta.

89

In particolare, spetta allo Stato membro ospitante, in conformità all’articolo 1 della Carta, assicurare che un cittadino dell’Unione che si sia avvalso della sua libertà di circolare e soggiornare nel territorio degli Stati membri, che sia titolare di un diritto di soggiorno in forza del diritto nazionale, e che si trovi in una situazione di vulnerabilità possa vivere in condizioni dignitose.

90

Inoltre, l’articolo 7 della Carta riconosce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Tale articolo deve essere letto congiuntamente all’obbligo di prendere in considerazione, in tutti gli atti relativi ai minori, l’interesse superiore del minore, riconosciuto all’articolo 24, paragrafo 2, di quest’ultima [v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2019, SM (Minore sottoposto a kafala algerina), C‑129/18, EU:C:2019:248, punto 67 e la giurisprudenza ivi citata].

91

Lo Stato membro ospitante è tenuto a consentire ai minori, i quali sono particolarmente vulnerabili, di essere alloggiati in condizioni dignitose insieme al genitore o ai genitori dei quali sono a carico.

92

Nella specie, dalla decisione di rinvio emerge che CG si ritrova madre di due bambini in tenera età, priva di qualsivoglia risorsa economica per provvedere al sostentamento proprio e dei suoi figli, ed isolata per essere fuggita da un partner violento. In una situazione del genere, le autorità nazionali competenti possono opporre un rifiuto ad una domanda di prestazioni di assistenza sociale, come il reddito di cittadinanza, solo dopo avere verificato che tale rifiuto non esponga il cittadino interessato e i figli a suo carico ad un rischio concreto e attuale di violazione dei loro diritti fondamentali, come sanciti dagli articoli 1, 7 e 24 della Carta. Nell’ambito di tale esame, dette autorità possono tenere conto di tutti gli strumenti di assistenza previsti dal diritto nazionale e dei quali il cittadino interessato e i suoi figli possono beneficiare effettivamente ed attualmente. Nella controversia di cui al procedimento principale, incomberà al giudice del rinvio, in particolare, verificare se CG e i suoi figli possano beneficiare effettivamente ed attualmente degli aiuti, diversi dal reddito di cittadinanza, ai quali i rappresentanti del governo del Regno Unito e del Ministero delle Comunità dell’Irlanda del Nord hanno fatto riferimento nelle loro osservazioni sottoposte alla Corte.

93

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere nei seguenti termini alla prima questione:

L’articolo 24 della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla normativa di uno Stato membro ospitante che esclude dalle prestazioni di assistenza sociale i cittadini dell’Unione economicamente inattivi che non dispongono di risorse sufficienti e ai quali tale Stato membro ha concesso un diritto di soggiorno temporaneo, mentre tali prestazioni sono garantite ai cittadini dello Stato membro interessato che si trovano nella stessa situazione.

Tuttavia, se un cittadino dell’Unione soggiorna legalmente, secondo il diritto nazionale, nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, le autorità nazionali competenti a concedere prestazioni di assistenza sociale sono tenute a verificare che il rifiuto di concedere tali prestazioni sulla base di tali norme non esponga tale cittadino, e i figli a suo carico, a un rischio concreto e attuale di violazione dei loro diritti fondamentali sanciti dagli articoli 1, 7 e 24 della Carta. Quando tale cittadino non dispone di risorse per mantenere sé stesso e i suoi figli ed è isolato, queste autorità devono garantire che, in caso di rifiuto delle prestazioni di assistenza sociale, detto cittadino possa comunque vivere con i suoi figli in condizioni dignitose. Nell’ambito di questo esame, le suddette autorità possono prendere in considerazione tutti i regimi di assistenza previsti dal diritto nazionale e di cui il cittadino interessato e i suoi figli possono effettivamente beneficiare.

Sulla seconda questione

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Alla luce della risposta fornita alla prima questione, non occorre rispondere alla seconda questione.

Sulle spese

95

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

 

L’articolo 24 della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, deve essere interpretato nel senso che esso non osta alla normativa di uno Stato membro ospitante che esclude dalle prestazioni di assistenza sociale i cittadini dell’Unione economicamente inattivi che non dispongono di risorse sufficienti e ai quali tale Stato ha concesso un diritto di soggiorno temporaneo, mentre tali prestazioni sono garantite ai cittadini dello Stato membro interessato che si trovano nella stessa situazione.

 

Tuttavia, se un cittadino dell’Unione soggiorna legalmente, secondo il diritto nazionale, nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di cui ha la cittadinanza, le autorità nazionali competenti a concedere prestazioni di assistenza sociale sono tenute a verificare che il rifiuto di concedere tali prestazioni sulla base di tali norme non esponga tale cittadino, e i figli a suo carico, a un rischio concreto e attuale di violazione dei loro diritti fondamentali sanciti dagli articoli 1, 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Quando il suddetto cittadino non dispone di risorse per mantenere sé stesso e i suoi figli ed è isolato, queste autorità devono garantire che, in caso di rifiuto delle prestazioni di assistenza sociale, lo stesso cittadino possa comunque vivere con i suoi figli in condizioni dignitose. Nell’ambito di questo esame, le suddette autorità possono prendere in considerazione tutti i regimi di assistenza previsti dal diritto nazionale e di cui il cittadino interessato e i suoi figli possono effettivamente beneficiare.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.