SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

22 aprile 2021 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 2008/48/CE – Contratti di credito ai consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive – Pagamento effettuato in base a una clausola illecita – Arricchimento ingiustificato del creditore – Prescrizione del diritto alla restituzione – Principi del diritto dell’Unione – Principio di effettività – Articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 – Informazioni da inserire nel contratto di credito – Soppressione di taluni requisiti nazionali sulla base della giurisprudenza della Corte – Interpretazione della vecchia versione della normativa nazionale conformemente a tale giurisprudenza – Effetti nel tempo»

Nella causa C‑485/19,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Krajský súd v Prešove (Corte regionale di Prešov, Slovacchia), con decisione del 12 giugno 2019, pervenuta in cancelleria il 25 giugno 2019, nel procedimento

LH

contro

Profi Credit Slovakia s. r. o.,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta da J.-C. Bonichot, presidente di sezione, L. Bay Larsen, C. Toader, M. Safjan e N. Jääskinen (relatore), giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per la Profi Credit Slovakia s. r. o., da A. Cviková, advokátka;

per il governo slovacco, da B. Ricziová, in qualità di agente;

per la Commissione europea, da G. Goddin, N. Ruiz García e A. Tokár, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 settembre 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), del principio di effettività del diritto dell’Unione, nonché delle disposizioni della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio (GU 2008, L 133, pag. 66, e rettifiche in GU 2009, L 207, pag. 14, GU 2010, L 199, pag. 40, GU 2011, L 234, pag. 46, e GU 2015, L 36, pag. 15), in particolare, l’articolo 10, paragrafo 2, lettere h) e i), di detta direttiva.

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra LH e la Profi Credit Slovakia s. r. o., in merito a un arricchimento senza causa di tale società, che deriverebbe da un pagamento effettuato dal debitore sul fondamento di clausole asseritamente abusive o illecite di un contratto di credito al consumo.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Direttiva 93/13/CEE

3

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29):

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

4

L’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva così recita:

«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».

Direttiva 2008/48

5

La direttiva 2008/48 ha per obiettivo, conformemente al suo articolo 1, l’armonizzazione di taluni aspetti delle norme degli Stati membri in materia di contratti di credito ai consumatori.

6

L’articolo 3, lettera i), di tale direttiva definisce la nozione di «tasso annuo effettivo globale» (in prosieguo: il «TAEG»), ai fini di detta direttiva, come «il costo totale del credito al consumatore espresso in percentuale annua dell’importo totale del credito, se del caso includendo i costi di cui all’articolo 19, paragrafo 2».

7

Intitolato «Informazioni da inserire nei contratti di credito», l’articolo 10 della direttiva in parola, al suo paragrafo 2, dispone quanto segue:

«Nel contratto di credito figurano, in modo chiaro e conciso, le informazioni seguenti:

(...)

g)

il [TAEG] e l’importo totale che il consumatore è tenuto a pagare, calcolati al momento della conclusione del contratto di credito; sono indicate tutte le ipotesi utilizzate per il calcolo di tale tasso;

h)

l’importo, il numero e la periodicità dei pagamenti che il consumatore deve effettuare e, se del caso, l’ordine della distribuzione dei pagamenti ai vari saldi restanti dovuti ai diversi tassi debitori ai fini del rimborso;

i)

in caso di ammortamento del capitale di un contratto di credito a durata fissa il diritto del consumatore di ricevere, su richiesta e senza spese, in qualsiasi momento dell’intera durata del contratto di credito, un estratto sotto forma di tabella di ammortamento.

La tabella di ammortamento indica gli importi dovuti nonché i periodi e le condizioni di pagamento di tali importi; la tabella contiene la ripartizione di ciascun rimborso periodico per mostrare l’ammortamento del capitale, gli interessi calcolati sulla base del tasso debitore e, se del caso, gli eventuali costi aggiuntivi; qualora il tasso non sia fisso o i costi aggiuntivi possano essere modificati nell’ambito del contratto di credito, la tabella di ammortamento contiene in modo chiaro e conciso un’indicazione del fatto che i dati della tabella sono validi solo fino alla modifica successiva del tasso debitore o dei costi aggiuntivi conformemente al contratto di credito;

(...)».

8

Intitolato «Armonizzazione e obbligatorietà della direttiva», l’articolo 22 della direttiva 2008/48, al paragrafo 1, prevede quanto segue:

«Nella misura in cui la presente direttiva contiene disposizioni armonizzate, gli Stati membri non possono mantenere né introdurre nel proprio ordinamento disposizioni diverse da quelle in essa stabilite».

Diritto slovacco

Codice civile

9

L’articolo 53 dell’Občiansky zákonník (codice civile) è così formulato:

«1.   Un contratto stipulato con un consumatore non deve contenere disposizioni atte a creare, a danno del consumatore, un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti (clausola abusiva). (...)

(...)

5.

Le clausole abusive contenute in un contratto stipulato con un consumatore non sono valide».

10

Ai sensi dell’articolo 107 di detto codice:

«1.   Il diritto alla restituzione a titolo di un arricchimento senza causa si prescrive in due anni a decorrere dal giorno in cui l’interessato viene a conoscenza dell’arricchimento senza causa e scopre chi si è arricchito a suo danno.

2.   Il diritto alla restituzione a titolo di un arricchimento senza causa si prescrive al più tardi in tre anni e, in caso di arricchimento senza causa doloso, in dieci anni dal giorno in cui l’arricchimento senza causa ha avuto luogo.

(...)».

11

L’articolo 451, paragrafo 2, del predetto codice definisce l’«arricchimento senza causa» come «un incremento patrimoniale ottenuto per mezzo di una prestazione senza giustificazione legale, di una prestazione non valida o di una prestazione in cui la giustificazione legale è venuta meno, nonché un incremento patrimoniale di provenienza illecita».

Legge n. 129/2010

12

Lo zákon č. 129/2010 Z. z. o spotrebiteľských úveroch a o iných úveroch a pôžičkách pre spotrebiteľov a o zmene a doplnení niektorých zákonov (legge n. 129/2010 relativa ai crediti al consumo e agli altri crediti e prestiti erogati ai consumatori e che modifica e integra alcune altre leggi) è diretto a trasporre nell’ordinamento slovacco la direttiva 2008/48.

13

Nella versione applicabile al procedimento principale, l’articolo 9, paragrafo 2, lettera k), della legge n. 129/2010 disponeva che il contratto di credito al consumo indicasse l’importo, il numero e le scadenze dei rimborsi del capitale, degli interessi e delle altre spese a carico del debitore, nonché, se del caso, l’ordine della distribuzione dei pagamenti ai vari saldi restanti dovuti ai diversi tassi debitori ai fini del rimborso.

14

Allo scopo di conformarsi all’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 adottata nella sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842, punti da 51 a 59), il legislatore slovacco ha modificato la legge n. 129/2010 così che, nella versione applicabile dal 1o maggio 2018, all’articolo 9, paragrafo 2, lettera i), essa enuncia che nel contratto di credito al consumo devono essere indicati «l’importo, il numero e la periodicità dei pagamenti e, se del caso, l’ordine della distribuzione dei pagamenti ai vari saldi restanti dovuti ai diversi tassi debitori ai fini del rimborso».

15

Ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 1, della legge n. 129/2010, nella versione applicabile al procedimento principale, il credito al consumo è «considerato esente da interessi e spese» se il contratto ad esso relativo non contiene gli elementi richiesti, in particolare, all’articolo 9, paragrafo 2, lettere da a) a k), di detta legge o se non indica correttamente il TAEG a scapito del consumatore.

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

16

Il 30 maggio 2011, il ricorrente nel procedimento principale e la Profi Credit Slovakia hanno stipulato un contratto di credito al consumo per un importo di EUR 1500, con un tasso d’interesse del 70% e un TAEG del 66,31%, per un importo complessivo di EUR 3698,40 da rimborsare in 48 rate mensili di EUR 77,05 ciascuna, senza precisazioni riguardo alla ripartizione dei rimborsi tra quota capitale, interessi e altre spese a carico del debitore.

17

Dalla decisione di rinvio emerge, da un lato, che in base al suddetto contratto la Profi Credit Slovakia poteva, fin dal primo giorno del rapporto contrattuale, riscuotere una commissione di importo fino a EUR 367,49 a fronte della possibilità concessa al consumatore di ottenere in futuro una sospensione del rimborso del credito. A seguito dell’applicazione di tale commissione, il ricorrente nel procedimento principale non ha ricevuto la somma concordata di EUR 1500, bensì una somma residua di EUR 1132,51, vale a dire una riduzione del 24%, sebbene non fosse certo che tale consumatore si sarebbe avvalso della possibilità, a titolo oneroso, di differire il rimborso.

18

Dall’altro lato, nella decisione di rinvio si sottolinea che il TAEG menzionato in tale contratto (66,31%) è inferiore al tasso d’interesse (70%), circostanza che potrebbe dipendere da un calcolo del TAEG fuori dall’importo effettivamente erogato dalla Profi Credit Slovakia. La medesima decisione precisa che, nel diritto slovacco, l’indicazione non corretta del TAEG è sanzionata con la cessazione del diritto del creditore al pagamento degli interessi e delle spese relative al credito.

19

Il 2 febbraio 2017, dopo aver già rimborsato la totalità del credito, il ricorrente nel procedimento principale è stato informato da un consulente legale del fatto che la clausola di detto contratto relativa alla commissione di sospensione era abusiva e che le indicazioni che gli erano state fornite riguardo al TAEG non erano corrette.

20

Il 2 maggio 2017, il ricorrente nel procedimento principale ha presentato ricorso per la restituzione della commissione che, a suo avviso, era stata indebitamente riscossa. A sua difesa, la Profi Credit Slovakia ha invocato la prescrizione del diritto di agire dell’interessato. Con decisione del 15 novembre 2018, l’Okresný súd Prešov (Tribunale circoscrizionale di Prešov, Slovacchia) ha respinto tale ricorso.

21

Investito di un appello proposto dal ricorrente nel procedimento principale, il giudice del rinvio, il Krajský súd v Prešove (Corte regionale di Prešov, Slovacchia), ritiene che il contratto di cui trattasi possa, sotto vari profili, essere considerato contrario alle norme del diritto dell’Unione applicabili in materia di tutela dei consumatori.

22

In primo luogo, tale giudice espone che, in forza delle disposizioni dell’articolo 107, paragrafi 1 e 2, del codice civile slovacco, il diritto alla restituzione a titolo di un arricchimento senza causa si estingue:

vuoi alla scadenza di un termine di prescrizione di due anni, cosiddetto «soggettivo», il quale ha inizio quando l’interessato viene a conoscenza di un arricchimento senza causa e identifica il soggetto che si è arricchito a suo danno; tale termine sembra essere stato rispettato nel caso di specie, poiché tra il momento in cui il ricorrente nel procedimento principale ha ricevuto l’informazione (il 2 febbraio 2017) e quello in cui ha proposto il ricorso (il 2 maggio 2017) sono trascorsi meno di due anni;

vuoi alla scadenza di un termine di prescrizione di tre anni, cosiddetto «oggettivo», il quale decorre dal giorno in cui si è verificato l’arricchimento senza causa; tale termine sembra essere già scaduto nel caso di specie, dato che sarebbero trascorsi più di tre anni tra il pagamento della commissione di cui trattasi nel procedimento principale e la proposizione del ricorso;

vuoi ancora, in caso di arricchimento senza causa «doloso», alla scadenza di un termine di prescrizione «oggettivo» esteso a dieci anni, che decorre anch’esso dal verificarsi dell’arricchimento senza causa; tale termine sembra non essere scaduto nel caso di specie.

23

Il giudice del rinvio rileva, anzitutto, che il termine di prescrizione oggettivo di tre anni comincia e scade anche se il consumatore leso non ha conoscenza del carattere abusivo o illecito della clausola contrattuale che ha dato luogo all’arricchimento senza causa. A suo avviso, una norma nazionale del genere può pregiudicare il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo, garantito dall’articolo 47 della Carta, ed essere incompatibile con la giurisprudenza della Corte relativa alla tutela dei consumatori, quale prevista, in particolare, dalla direttiva 93/13 e dalla direttiva 2008/48.

24

Nell’ipotesi, poi, in cui un siffatto termine di prescrizione, applicabile nonostante la possibile ignoranza del consumatore, fosse considerato conforme al diritto dell’Unione, il giudice del rinvio si chiede se valga altrettanto per l’onere della prova a carico di tale consumatore. A questo proposito indica che, in passato, i giudici slovacchi hanno applicato le summenzionate disposizioni nazionali in senso favorevole ai consumatori, riconoscendo elasticamente la natura dolosa dell’arricchimento senza causa e consentendo così agli interessati di avvalersi del termine di prescrizione di dieci anni, ma che tale approccio è stato rimesso in discussione da una decisione del Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema della Repubblica slovacca) del 18 ottobre 2018.

25

Da tale decisione risulterebbe che grava sul consumatore che invoca il termine di prescrizione oggettivo speciale di dieci anni l’onere di provare l’intenzione del creditore di arricchirsi indebitamente a suo danno e che, in mancanza di una siffatta prova, gli è opponibile il termine di prescrizione oggettivo generale di tre anni. I giudici slovacchi di grado inferiore sarebbero tenuti a conformarsi a detta decisione. Tuttavia, il giudice del rinvio ritiene che quest’ultima possa essere in contrasto con l’articolo 47 della Carta e con il principio di effettività del diritto dell’Unione, dal momento che, a suo avviso, è praticamente impossibile, per un consumatore che non disponga di tutte le informazioni, fornire la prova richiesta.

26

Infine, nel caso in cui la Corte ritenesse che un siffatto onere della prova sia compatibile con le prescrizioni del diritto dell’Unione, occorrerebbe stabilire, da un lato, in capo a quale persona fisica il consumatore debba dimostrare la conoscenza della violazione dei propri diritti quando il creditore è una persona giuridica e, dall’altro, quale sia l’entità della violazione di tali diritti che egli è tenuto a provare.

27

In secondo luogo, il giudice del rinvio rileva che, in esecuzione della sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842), il legislatore slovacco ha modificato la legge n. 129/2010 eliminando, con effetto dal 1o maggio 2018, l’obbligo di indicare nei contratti di credito al consumo le scadenze dei rimborsi del capitale, degli interessi e delle altre spese a carico del debitore, che figurava all’articolo 9, paragrafo 2, lettera k), di tale legge nella versione applicabile al presente procedimento principale, per il quale la data di riferimento è il 30 maggio 2011. Tale obbligo è stato sostituito dall’obbligo di indicare in siffatti contratti «la periodicità dei pagamenti», istituito all’articolo 9, paragrafo 2, lettera i), di detta legge nella versione applicabile a decorrere dal 1o maggio 2018.

28

Orbene, in una decisione del 22 febbraio 2018, il Najvyšší súd Slovenskej republiky (Corte suprema della Repubblica slovacca) avrebbe dichiarato che, per quanto riguarda i contratti stipulati prima del 1o maggio 2018, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, i giudici slovacchi erano tenuti a giungere al risultato prodotto dalla suddetta modifica legislativa, ovvero a procedere a un’interpretazione della disposizione iniziale che fosse conforme al diritto dell’Unione e tale che i creditori dovessero indicare le informazioni richieste dalla disposizione, in siffatti contratti, solo globalmente, e non con una ripartizione tra quota capitale, interessi e altre spese connesse al credito.

29

In tale contesto, il giudice del rinvio si domanda se gli effetti delle direttive, quali riconosciuti nella giurisprudenza della Corte, ostino a che un giudice di uno Stato membro proceda, nei confronti di una disposizione nazionale dichiarata incompatibile con il diritto dell’Unione, a un’interpretazione conforme a tale diritto senza motivare la propria decisione né fondarla sugli usuali metodi di interpretazione. Si domanda inoltre se questi, qualora ritenesse che un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione condurrebbe a un’interpretazione contra legem, possa far produrre effetti diretti all’articolo 10, paragrafo 2, lettere h) e i), della direttiva 2008/48 e non applicare la disposizione nazionale di cui trattasi al rapporto contrattuale tra le parti del procedimento principale, per analogia con quanto avrebbe ammesso la Corte, in particolare, in materia di discriminazione.

30

Il giudice del rinvio sottolinea gli elementi di connessione che sussistono tra questi ultimi interrogativi e quelli che esso stesso aveva sottoposto alla Corte nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 5 settembre 2019, Pohotovosť (C‑331/18, EU:C:2019:665), la quale è stata pronunciata successivamente alla proposizione della presente domanda di pronuncia pregiudiziale.

31

Date tali circostanze, il Krajský súd v Prešove (Corte regionale di Prešov) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«A.

1)

Se l’articolo 47 della [Carta], e implicitamente il diritto del consumatore ad un ricorso giurisdizionale effettivo, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione normativa – quella dell’articolo 107, paragrafo 2, del codice civile [slovacco] sulla prescrizione del diritto del consumatore [in] un termine di prescrizione oggettivo di tre anni – ai sensi della quale il diritto del consumatore alla restituzione di una prestazione derivante da una clausola contrattuale abusiva si prescrive anche nel caso in cui il consumatore non sia in grado di vagliare egli stesso la clausola contrattuale abusiva e i termini decorrono e scadono indipendentemente dalla conoscenza che il consumatore abbia del carattere abusivo della clausola contrattuale.

2)

Ove la previsione della prescrizione del diritto del consumatore in un periodo oggettivo di tre anni, nonostante detta mancanza di conoscenza del consumatore, sia compatibile con l’articolo 47 della Carta e con il principio di effettività, il giudice del rinvio domanda poi:

se sia contraria all’articolo 47 della Carta e al principio di effettività una normativa nazionale in base alla quale ricade sul consumatore l’onere di dimostrare in giudizio che gli agenti del creditore sono consapevoli del fatto che il creditore abbia violato i diritti del consumatore, nella fattispecie la conoscenza del fatto che, non indicando il [TAEG] preciso, il creditore viola una norma di legge, che, in tal caso, il prestito è senza interessi e che il creditore, riscuotendo gli interessi, consegue un arricchimento senza causa.

3)

In caso di risposta negativa [alla seconda questione], relativamente dunque a quali persone, tra gli amministratori, i soci o i rappresentanti commerciali del creditore, il consumatore debba dimostrare la conoscenza di cui [alla seconda questione].

4)

In caso di risposta negativa [alla seconda questione], quale grado di conoscenza è sufficiente per raggiungere lo scopo, ossia per dimostrare l’intenzione del [creditore] di violare la normativa di riferimento sul mercato finanziario.

B.

5)

Se gli effetti delle direttive e la pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, segnatamente le sentenze del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278); del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punti 113114); del 19 gennaio 2010, Kücükdeveci (C‑555/07, EU:C:2010:21, punto 48); del 15 aprile 2008, Impact (C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 100); del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punti 2527), e del 15 gennaio 2014, Association de médiation sociale (C‑176/12, EU:C:2014:2, punto 38), ostino ad una prassi nazionale in base alla quale il giudice nazionale è giunto a concludere per la conformità al diritto dell’Unione senza impiegare metodi interpretativi e senza una debita motivazione.

6)

Nel caso in cui, dopo l’applicazione dei metodi interpretativi segnatamente dell’interpretazione teleologica, dell’interpretazione autentica, dell’interpretazione storica, dell’interpretazione sistematica, dell’interpretazione logica (il metodo a contrario, il metodo della reductio ad absurdum), e dopo l’applicazione dell’ordinamento giuridico nazionale nel suo complesso, al fine di conseguire l’obiettivo di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettere h) e i), della direttiva 2008/48 (...), il giudice giunga alla conclusione che l’interpretazione conforme al diritto dell’Unione dirige verso una situazione contra legem, se sia possibile – come ad esempio nei casi di discriminazione o nell’ambito della tutela dei dipendenti – riconoscere un effetto diretto [a tale] disposizione della direttiva, a fini di tutela degli imprenditori nei confronti dei consumatori nei rapporti di credito, e disapplicare la disposizione di legge non conforme al diritto dell’Unione.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla competenza della Corte e sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

32

In primo luogo, la Profi Credit Slovakia solleva dubbi riguardo alla correttezza della procedura seguita dal giudice del rinvio per deferire la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, asserendo che non le è stata data la possibilità di esprimersi preventivamente sulla sospensione del procedimento.

33

Tuttavia, occorre ricordare, al riguardo, che, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 267 TFUE, basato sulla netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il fatto che una questione pregiudiziale vertente sul diritto dell’Unione sia stata eventualmente sollevata in mancanza di previo contraddittorio non osta a che la Corte possa essere investita di una simile questione e, in ogni caso, non spetta alla Corte verificare se la decisione di rinvio sia stata adottata in modo conforme alle norme nazionali di organizzazione giudiziaria e di procedura (v., in tal senso, sentenza del 30 aprile 2020, Blue Air – Airline Management Solutions, C‑584/18, EU:C:2020:324, punti da 39 a 41 e giurisprudenza ivi citata).

34

In secondo luogo, la Profi Credit Slovakia sostiene che le questioni sollevate dal giudice del rinvio non sono ricevibili, argomentando, da un lato, che esse non vertono né sull’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione che armonizzano le norme nazionali sulla prescrizione né sugli effetti delle direttive, dall’altro, che l’articolo 51 della Carta limita l’ambito di applicazione di quest’ultima alle situazioni in cui gli Stati membri attuano il diritto dell’Unione e, infine, che tali questioni sono prive di utilità ai fini della soluzione della controversia principale.

35

Dal canto suo, il governo slovacco afferma che la prima questione è irricevibile, perché non soddisfa i requisiti di motivazione di cui all’articolo 94, lettera c), del regolamento di procedura della Corte. Secondo tale governo, ne consegue che non occorre esaminare le tre successive questioni, sollevate a continuazione della prima. In ogni caso, le questioni terza e quarta non rientrerebbero nella competenza della Corte, in quanto riguarderebbero l’interpretazione di norme di diritto nazionale. Inoltre, le questioni quinta e sesta non sarebbero necessarie per dirimere la controversia principale, dal momento che non spetterebbe alla Corte decidere se un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione sia o meno possibile per quanto riguarda le norme di diritto slovacco considerate e che, oltretutto, esisterebbe un altro fondamento giuridico che consente di accogliere direttamente il ricorso.

36

A tal riguardo, per quanto concerne le questioni pregiudiziali prima e seconda, occorre constatare che esse vertono, in sostanza, sull’interpretazione dell’articolo 47 della Carta, in combinato disposto con il principio di effettività del diritto dell’Unione.

37

Orbene, in forza dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, le disposizioni di quest’ultima si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione e, in base a una giurisprudenza costante, la nozione di «attuazione del diritto dell’Unione», ai sensi di tale disposizione, richiede l’esistenza di un collegamento tra un atto del diritto dell’Unione e il provvedimento nazionale in questione che vada al di là dell’affinità tra le materie prese in considerazione o dell’influenza indirettamente esercitata da una materia sull’altra, tenuto conto dei criteri di valutazione definiti dalla Corte (v., in tal senso, sentenze del 22 gennaio 2020, Baldonedo Martín, C‑177/18, EU:C:2020:26, punti da 57 a 59, e del 16 luglio 2020, Adusbef e a., C‑686/18, EU:C:2020:567, punti 5152).

38

Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, quanto la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte, le quali godono di una presunzione al riguardo. Pertanto, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione o sulla validità di una norma giuridica dell’Unione, la Corte, in linea di principio, è tenuta a statuire, salvo che risulti che l’interpretazione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure quando la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile a tali questioni (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 2020, Facebook Ireland e Schrems, C‑311/18, EU:C:2020:559, punto 73, e dell’8 ottobre 2020, Union des industries de la protection des plantes, C‑514/19, EU:C:2020:803, punti 2829).

39

Certamente, nel caso di specie, le prime due questioni sollevate dal giudice del rinvio non fanno riferimento ad alcun atto del diritto dell’Unione diverso dalla Carta. Tuttavia, dalla motivazione esposta nella decisione di rinvio emerge che in esse è stabilito, in modo chiaro e sufficiente, un nesso tra le norme sulla prescrizione di cui all’articolo 107, paragrafo 2, del codice civile che sono applicabili a un ricorso proposto da un consumatore, come il ricorrente nel procedimento principale, e le disposizioni del diritto derivato dell’Unione che hanno lo scopo di garantire la tutela dei consumatori.

40

Infatti, il giudice del rinvio si chiede, più specificamente, se tali norme nazionali possano non solo pregiudicare il diritto a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 della Carta, ma anche nuocere alla piena efficacia delle disposizioni relative alle clausole abusive contenute nella direttiva 93/13 e delle disposizioni concernenti il credito al consumo di cui alla direttiva 2008/48.

41

Detto altrimenti, e come indicato dall’avvocato generale ai paragrafi da 31 a 33 e 52 delle sue conclusioni, con le prime due questioni il giudice del rinvio chiede chiarimenti al fine di poter statuire sulla conformità, con le direttive 93/13 e 2008/48, di disposizioni del diritto slovacco relative ai termini di prescrizione applicabili a un’azione giudiziaria promossa nell’ambito dei contratti stipulati con i consumatori.

42

Conseguentemente, le prime due questioni sono ricevibili.

43

Per quanto attiene alle questioni pregiudiziali terza e quarta, si deve rilevare che esse vertono, in sostanza, sulla prova della natura dolosa dell’arricchimento senza causa, la quale è richiesta affinché possa applicarsi il termine di prescrizione di dieci anni previsto all’articolo 107, paragrafo 2, in fine, del codice civile, e più in particolare sulla determinazione delle persone in capo alle quali tale dolo deve essere dimostrato, nonché sul livello di conoscenza che tali persone devono aver avuto in proposito.

44

Al riguardo, occorre constatare che né il testo di tali due questioni né la motivazione della decisione di rinvio che vi fa riferimento contengono elementi idonei a stabilire un nesso tra le suddette questioni e una qualsivoglia disposizione del diritto dell’Unione. Orbene, la necessità di pervenire a un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo rispetti scrupolosamente i requisiti relativi al contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale e indicati in maniera esplicita all’articolo 94 del regolamento di procedura, i quali si presumono noti al giudice del rinvio. Dunque, è indispensabile, come previsto da detto articolo 94 e a pena di irricevibilità delle questioni sollevate, che la decisione di rinvio contenga, da un lato, un’illustrazione sommaria dei fatti rilevanti o, quanto meno, un’illustrazione delle circostanze di fatto sulle quali si basano le questioni e, dall’altro, l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio a interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, nonché il collegamento che esso stabilisce tra dette disposizioni e la normativa nazionale applicabile al procedimento principale (v., in tal senso, sentenza del 19 aprile 2018, Consorzio Italian Management e Catania Multiservizi, C‑152/17, EU:C:2018:264, punti 21, 2224 e giurisprudenza ivi citata).

45

Ne consegue che la terza questione e la quarta questione sottoposte alla Corte dal giudice del rinvio devono essere considerate irricevibili, in quanto la decisione di rinvio non contiene una motivazione sufficiente per consentire alla Corte di fornire loro una risposta utile.

46

Infine, per quanto riguarda le questioni pregiudiziali quinta e sesta, gli argomenti addotti dalla Profi Credit Slovakia e dal governo slovacco non possono bastare a confutare la presunzione di rilevanza di cui tali questioni godono, conformemente alla giurisprudenza richiamata al punto 38 della presente sentenza, dal momento che esse vertono, in sostanza, sulle modalità di un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione, e in particolare all’articolo 10, paragrafo 2, lettere h) e i), della direttiva 2008/48, come interpretato dalla Corte, delle norme di diritto nazionale applicabili al procedimento principale.

47

In tali circostanze, non può essere accolto neppure il motivo di irricevibilità tratto dal governo slovacco dall’esistenza di un altro fondamento giuridico, vale a dire l’indicazione inesatta del TAEG nel contratto di cui trattasi, che consentirebbe di accogliere il ricorso principale senza esaminare l’inosservanza dell’obbligo di precisare la ripartizione dei rimborsi tra quota capitale, interessi e altre spese a carico del debitore. A questo proposito, occorre rilevare, da un lato, che la Corte ha già respinto un argomento simile nella sentenza del 5 settembre 2019, Pohotovosť (C‑331/18, EU:C:2019:665, punti 3538), e, dall’altro, che le differenze tra il procedimento principale e quello che ha dato luogo a quest’ultima sentenza, invocate dal suddetto governo, non giustificano la scelta di optare per una via diversa dal rigetto in tal modo operato.

48

Da quanto precede risulta che le questioni quinta e sesta sono ricevibili.

Sulla prima questione

49

In via preliminare, occorre ricordare la giurisprudenza costante della Corte secondo la quale, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, quest’ultima è tenuta a fornire al giudice nazionale una soluzione utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva alla Corte incombe, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (v., in particolare, sentenze del 17 dicembre 2015, Neptune Distribution, C‑157/14, EU:C:2015:823, punto 33, e del 25 novembre 2020, Banca B., C‑269/19, EU:C:2020:954, punto 24).

50

Nella causa in esame, formalmente il giudice del rinvio ha sì limitato la sua prima questione all’interpretazione dell’articolo 47 della Carta, ma ciò non impedisce alla Corte di fornirgli tutti gli elementi interpretativi che possano essere utili per definire il procedimento principale, traendo dall’insieme degli elementi forniti da tale giudice e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del diritto dell’Unione che richiedono un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (v., in tal senso, sentenze del 17 dicembre 2015, Neptune Distribution, C‑157/14, EU:C:2015:823, punto 34, e dell’8 maggio 2019, PI, C‑230/18, EU:C:2019:383, punto 43).

51

Nel caso di specie, occorre intendere la prima questione sollevata come diretta, in sostanza, a stabilire se il principio di effettività debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in applicazione della quale un’azione proposta da un consumatore ai fini della restituzione di somme indebitamente versate, sul fondamento di clausole abusive ai sensi della direttiva 93/13 o di clausole contrarie ai requisiti di cui alla direttiva 2008/48, è soggetta a un termine di prescrizione di tre anni che decorre dal giorno in cui l’arricchimento ingiustificato ha avuto luogo.

52

A tal riguardo si deve rilevare che, conformemente a una giurisprudenza costante, in assenza di una normativa dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro, in virtù del principio dell’autonomia procedurale, stabilire le modalità processuali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, a condizione tuttavia che esse non siano meno favorevoli rispetto a quelle relative a situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e che non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 2020, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, C‑224/19 e C‑259/19, EU:C:2020:578, punto 83, e del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a., C‑511/18, C‑512/18 e C‑520/18, EU:C:2020:791, punto 223 e giurisprudenza ivi citata).

53

Per quanto riguarda specificamente il principio di effettività, il solo considerato nella presente causa, dalla giurisprudenza della Corte risulta che ogni caso in cui sorge la questione se una norma di procedura nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione deve essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta norma nell’insieme del procedimento, del suo svolgimento e delle sue peculiarità, dinanzi ai diversi giudici nazionali. Sotto tale profilo si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (v., in particolare, sentenze del 15 marzo 2017, Aquino, C‑3/16, EU:C:2017:209, punto 53, e del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Société Générale, C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punto 60).

54

Inoltre, la Corte ha precisato che l’obbligo degli Stati membri di garantire l’effettività dei diritti che i soggetti dell’ordinamento traggono dal diritto dell’Unione implica, segnatamente per i diritti derivanti dalla direttiva 93/13, un requisito di tutela giurisdizionale effettiva, sancito parimenti dall’articolo 47 della Carta, che vale, in particolare, per le modalità procedurali delle azioni basate su siffatti diritti (v., in tal senso, sentenze del 17 luglio 2014, Sánchez Morcillo e Abril García, C‑169/14, EU:C:2014:2099, punto 35, e del 31 maggio 2018, Sziber, C‑483/16, EU:C:2018:367, punto 49).

55

È alla luce di tali elementi che occorre esaminare se una norma nazionale sulla prescrizione come quella menzionata al punto 51 della presente sentenza possa essere considerata conforme al principio di effettività, tenendo presente che tale esame deve vertere non solo sulla durata del termine controverso nel procedimento principale, ma anche sulle modalità della sua applicazione, ivi compreso il fattore considerato per dare inizio al decorso di detto termine (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Société Générale, C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punto 61).

56

In primo luogo, per quanto attiene all’opposizione di un termine di prescrizione alle azioni proposte da consumatori per far valere diritti che essi traggono dal diritto dell’Unione, si deve rilevare che una siffatta norma non è, di per sé, contraria al principio di effettività, purché la sua applicazione non renda in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti, in particolare, dalla direttiva 93/13 e dalla direttiva 2008/48.

57

Infatti, la Corte ha riconosciuto che la tutela del consumatore non è assoluta e che la fissazione di termini di ricorso ragionevoli a pena di decadenza, nell’interesse della certezza del diritto, è compatibile con il diritto dell’Unione (sentenze del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Société Générale, C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punto 56, e del 16 luglio 2020, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, C‑224/19 e C‑259/19, EU:C:2020:578, punto 82 e giurisprudenza ivi citata).

58

Più nello specifico, la Corte ha già dichiarato che l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non ostano a una normativa nazionale che, pur prevedendo il carattere imprescrittibile dell’azione diretta a far dichiarare la nullità di una clausola abusiva contenuta in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, assoggetta a un termine di prescrizione l’azione diretta a far valere gli effetti restitutori di tale dichiarazione, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (v., in tal senso, sentenze del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Société Générale, C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punto 58, e del 16 luglio 2020, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, C‑224/19 e C‑259/19, EU:C:2020:578, punto 84).

59

In secondo luogo, per quanto attiene alla durata prevista per il termine di prescrizione esaminato, che nella fattispecie è di tre anni, la Corte ha dichiarato che, a condizione che tale lasso di tempo sia stabilito e conosciuto in anticipo, un termine di una siffatta durata appare, in linea di principio, sufficiente per consentire al consumatore interessato la preparazione e la proposizione di un ricorso effettivo, di modo che tale durata, di per sé, non è incompatibile con il principio di effettività (v., in tal senso, sentenze del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Société Générale, C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punti 6264, e del 16 luglio 2020, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, C‑224/19 e C‑259/19, EU:C:2020:578, punto 87 e giurisprudenza ivi citata).

60

Tuttavia, per quanto attiene, in terzo luogo, al dies a quo fissato per il termine di prescrizione esaminato, sussiste, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, un rischio non trascurabile che il consumatore interessato non invochi, durante il termine impartito, i diritti conferitigli dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 5 marzo 2020, OPR-Finance, C‑679/18, EU:C:2020:167, punto 22 e giurisprudenza ivi citata), il che lo porrebbe nell’impossibilità di far valere tali diritti.

61

Infatti, dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio, in particolare nell’ambito della sua prima questione, emerge che il termine di tre anni previsto all’articolo 107, paragrafo 2, del codice civile decorre dalla data in cui l’arricchimento ingiustificato ha avuto luogo e che la prescrizione opera anche nel caso in cui il consumatore non sia in grado di valutare egli stesso se una clausola contrattuale sia abusiva o non sia venuto a conoscenza del carattere abusivo della clausola contrattuale in questione.

62

A tal riguardo, è necessario tener conto della situazione di inferiorità nella quale si trovano i consumatori rispetto ai professionisti, sia a livello di potere negoziale sia rispetto al grado di informazione, e della circostanza che è possibile che i consumatori ignorino o non percepiscano la portata dei diritti derivanti loro dalla direttiva 93/13 o dalla direttiva 2008/48 (v., in tal senso, sentenze del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Société Générale, C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punti da 65 a 67, e del 16 luglio 2020, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, C‑224/19 e C‑259/19, EU:C:2020:578, punto 90 e giurisprudenza ivi citata).

63

Orbene, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi da 71 a 73 delle sue conclusioni, i contratti di credito, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, sono generalmente eseguiti nel corso di periodi di lunga durata, sicché, se l’evento che fa scattare il termine di prescrizione di tre anni consiste in qualsiasi pagamento effettuato dal debitore, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, non si può escludere che, almeno per una parte dei pagamenti effettuati, la prescrizione maturi prima della scadenza del contratto di cui trattasi, di modo che un simile regime di prescrizione è tale da privare sistematicamente i consumatori della possibilità di chiedere la restituzione dei pagamenti effettuati sul fondamento di clausole contrarie alle suddette direttive.

64

Pertanto, si deve considerare che modalità procedurali come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, in quanto richiedono che il consumatore agisca in giudizio entro un termine di tre anni dalla data dell’arricchimento ingiustificato e nella misura in cui tale arricchimento può aver luogo nel corso dell’esecuzione di un contratto di lunga durata, possono rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti al consumatore medesimo dalla direttiva 93/13 o dalla direttiva 2008/48. Conseguentemente, occorre considerare che siffatte modalità violano il principio di effettività (v., per analogia, sentenze del 9 luglio 2020, Raiffeisen Bank e BRD Groupe Société Générale, C‑698/18 e C‑699/18, EU:C:2020:537, punti 6775, e del 16 luglio 2020, Caixabank e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, C‑224/19 e C‑259/19, EU:C:2020:578, punto 91).

65

Peraltro, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 87 e 89 delle sue conclusioni, il dolo del professionista che fa ricorso a una clausola considerata abusiva è irrilevante rispetto ai diritti che i consumatori traggono dalle disposizioni della direttiva 93/13 e lo stesso vale per quanto riguarda l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48. Perciò, al fine di far valere i diritti derivanti da tali disposizioni, un consumatore non può essere tenuto a provare la natura dolosa del comportamento del professionista in questione. Ne consegue che la possibilità di estendere il termine di prescrizione di tre anni a condizione che il consumatore provi il dolo del professionista, quale prevista all’articolo 107, paragrafo 2, del codice civile, non può invalidare la constatazione effettuata al punto precedente della presente sentenza.

66

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che il principio di effettività deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in applicazione della quale un’azione proposta da un consumatore ai fini della restituzione di somme indebitamente versate nell’ambito dell’esecuzione di un contratto di credito, sul fondamento di clausole abusive ai sensi della direttiva 93/13 o di clausole contrarie ai requisiti di cui alla direttiva 2008/48, è soggetta a un termine di prescrizione di tre anni che decorre dal giorno in cui l’arricchimento ingiustificato ha avuto luogo.

Sulla seconda questione

67

Poiché la seconda questione è stata posta solo nell’ipotesi di una risposta di senso negativo alla prima questione, non è necessario rispondervi, alla luce della risposta affermativa fornita a tale prima questione.

Sulle questioni quinta e sesta

68

Con le questioni quinta e sesta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio interroga la Corte, in sostanza, sul modo di procedere a un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione di una normativa nazionale dichiarata incompatibile con le prescrizioni dell’articolo 10, paragrafo 2, lettere h) e i), della direttiva 2008/48, come interpretato dalla sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842), nel caso in cui il contratto di credito di cui trattasi sia stato stipulato prima della pronuncia di tale sentenza e prima di una modifica di detta normativa nazionale operata al fine di conformarsi all’interpretazione adottata nella suddetta sentenza.

69

A questo proposito occorre precisare che, al punto 59 di detta sentenza, relativo all’articolo 9, paragrafo 2, della legge n. 129/2010 nella versione applicabile nel corso del 2011, considerato anche nella presente causa, la Corte ha interpretato l’articolo 10, paragrafo 2, lettere h) e i), della direttiva 2008/48 nel senso che il contratto di credito a durata fissa, che prevede l’ammortamento del capitale mediante versamenti consecutivi di rate, non deve precisare, sotto forma di tabella di ammortamento, quale parte di ogni rata sarà destinata al rimborso di tale capitale e che siffatte disposizioni, in combinato disposto con l’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva in parola, ostano a che uno Stato membro preveda un obbligo del genere nella sua normativa nazionale.

70

Nella sentenza del 5 settembre 2019, Pohotovosť (C‑331/18, EU:C:2019:665, punto 51), la Corte ha confermato che l’articolo 10, paragrafo 2, lettere da h) a j), di detta direttiva, in combinato disposto con l’articolo 22, paragrafo 1, della stessa, osta a una normativa nazionale conformemente alla quale il contratto di credito deve precisare la ripartizione di ciascun rimborso tra, se del caso, l’ammortamento del capitale, gli interessi e le altre spese.

71

Inoltre, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’interpretazione che la Corte fornisce di una norma di diritto dell’Unione chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa, nel senso in cui deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata sin dal momento della sua entrata in vigore. Ne consegue che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a rapporti giuridici sorti e costituitisi prima della pronuncia della sentenza che statuisce sulla domanda d’interpretazione, sempreché, d’altro canto, sussistano i presupposti per sottoporre ai giudici competenti una controversia relativa all’applicazione di detta norma (v., in tal senso, sentenza del 5 settembre 2019, Pohotovosť, C‑331/18, EU:C:2019:665, punto 53).

72

Pertanto, nel procedimento principale, il giudice del rinvio deve interpretare, avvalendosi dei metodi riconosciuti dal diritto interno, le disposizioni slovacche applicabili alla data della conclusione del contratto di cui trattasi, ossia il 30 maggio 2011, per quanto possibile, conformemente alla direttiva 2008/48, come interpretata dalla sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842). Tale giudice non può validamente ritenere di trovarsi nell’impossibilità di interpretare le disposizioni nazionali in questione conformemente al diritto dell’Unione per il solo fatto che tali disposizioni sono state interpretate, dai giudici slovacchi, in un senso che non è compatibile con tale diritto (v., in tal senso, sentenze del 5 settembre 2019, Pohotovosť, C‑331/18, EU:C:2019:665, punti 5455, e del 5 marzo 2020, OPR-Finance, C‑679/18, EU:C:2020:167, punti 4244).

73

Se è vero che tale obbligo di interpretazione conforme trova i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare in quello della certezza del diritto, e non può quindi servire da fondamento ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale, i giudici nazionali, inclusi quelli che statuiscono in ultima istanza, devono tuttavia modificare, se del caso, una giurisprudenza nazionale consolidata quando questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva (v., in tal senso, sentenze del 5 settembre 2019, Pohotovosť, C‑331/18, EU:C:2019:665, punto 56, e del 5 marzo 2020, OPR-Finance, C‑679/18, EU:C:2020:167, punti 4345).

74

Nel caso di specie, la Corte ha già dichiarato, nella sentenza del 5 settembre 2019, Pohotovosť (C‑331/18, EU:C:2019:665, punto 57), che l’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, come interpretati dalla sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842), sono applicabili a un contratto di credito, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, che è stato stipulato prima della pronuncia di tale seconda sentenza e prima di una modifica della normativa nazionale operata al fine di conformarsi all’interpretazione adottata nella suddetta sentenza. In tal modo, la Corte ha considerato che i quesiti in subordine del giudice del rinvio nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 5 settembre 2019, Pohotovosť (C‑331/18, EU:C:2019:665), che vertevano, come nella presente causa, sugli eventuali effetti di tali disposizioni della direttiva 2008/48 sul rapporto tra i singoli interessati dal procedimento principale, nell’ipotesi, non accertata, di un’impossibilità di interpretare detta normativa conformemente al diritto dell’Unione, erano divenuti privi di oggetto.

75

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alle questioni quinta e sesta dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, come interpretati dalla sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842), sono applicabili a un contratto di credito che è stato stipulato prima della pronuncia di tale sentenza e prima di una modifica della normativa nazionale operata al fine di conformarsi all’interpretazione adottata nella suddetta sentenza.

Sulle spese

76

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

 

1)

Il principio di effettività deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale in applicazione della quale un’azione proposta da un consumatore ai fini della restituzione di somme indebitamente versate nell’ambito dell’esecuzione di un contratto di credito, sul fondamento di clausole abusive ai sensi della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, o di clausole contrarie ai requisiti di cui alla direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, è soggetta a un termine di prescrizione di tre anni che decorre dal giorno in cui l’arricchimento ingiustificato ha avuto luogo.

 

2)

L’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, come interpretati dalla sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842), sono applicabili a un contratto di credito che è stato stipulato prima della pronuncia di tale sentenza e prima di una modifica della normativa nazionale operata al fine di conformarsi all’interpretazione adottata nella suddetta sentenza.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: lo slovacco.