CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 15 aprile 2021 ( 1 )

Causa C‑911/19

Fédération bancaire française (FBF)

contro

Autorité de contrôle prudentiel et de résolution (ACPR)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia)]

«Rinvio pregiudiziale – Normativa bancaria – Orientamenti sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio adottati dall’Autorità bancaria europea – Soft law – Atti non vincolanti dell’Unione produttivi di effetti giuridici – Attuazione da parte degli Stati membri – Sindacato giurisdizionale – Rapporto tra gli articoli 263 e 267 TFUE – Incompetenza dell’Autorità bancaria europea»

I. Introduzione

1.

Come recita una citazione tratta da Il Trono di Spade, «ciò che è morto non muoia mai». Pertanto, ciò che è morto non può neppure essere ucciso, forse ad eccezione degli Estranei. Tuttavia, mi chiedo se qualcosa che non sia mai stato vivo (o, piuttosto, non abbia mai visto la luce come atto vincolante dell’Unione) possa essere annullato (o, piuttosto, dichiarato invalido) dalla Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale. In alternativa, si pone l’interrogativo se la Corte possa fornire un’interpretazione (vincolante) di un atto non vincolante dell’Unione.

2.

Nel 2017, l’Autorità bancaria europea (in prosieguo: l’«ABE») ha emanato gli orientamenti sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio ( 2 ). In seguito, l’Autorité de contrôle prudentiel et de résolution francese (Autorità di controllo prudenziale e di risoluzione; in prosieguo: l’«ACPR») ha dichiarato, in un parere, di conformarsi a tali orientamenti, rendendoli quindi applicabili a tutti gli enti finanziari sottoposti alla sua vigilanza. La Fédération bancaire française (Federazione bancaria francese; in prosieguo: la «FBF») ha chiesto l’annullamento di tale parere dinanzi al giudice del rinvio, sostenendo che l’ABE non era competente ad adottare detti orientamenti.

3.

La presente causa si compone di vari livelli. Da un lato, vi è la questione se, adottando gli orientamenti controversi, l’ABE abbia ecceduto l’ambito delle sue competenze ai sensi del regolamento n. 1093/2010 ( 3 ). Per quanto possa essere complesso farsi strada nella fitta rete della normativa di diritto derivato, di natura alquanto tecnica, si tratta, di fatto, della questione più semplice.

4.

Questioni ben più complesse emergono soltanto in un secondo momento e riguardano le conseguenze di un siffatto accertamento di incompetenza per quanto concerne un atto non vincolante (o di soft law) nel contesto di un procedimento di rinvio pregiudiziale. Ci si chiede se la Corte abbia il potere di dichiarare l’invalidità di un atto non vincolante. In termini sistematici, la questione consiste nello stabilire se possa esservi una totale disconnessione tra i procedimenti di cui all’articolo 263 TFUE e all’articolo 267 TFUE per quanto concerne gli atti non vincolanti. Ci si chiede se le sentenze della Corte nelle cause Grimaldi ( 4 ), Foto-Frost ( 5 ) e Belgio/Commissione ( 6 ) possano essere riconciliate per quanto attiene a veri e propri strumenti di soft law. Occorre stabilire se atti non vincolanti dell’Unione possano essere sottoposti al controllo della Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE, come risulta dalla sentenza nella causa Grimaldi, nonostante non sia possibile il sindacato giurisdizionale (diretto) di tali atti ai sensi dell’articolo 263 TFUE, come da ultimo confermato nella causa Belgio/Commissione.

5.

Un ultimo aspetto, assai importante, consiste nel fatto che tutte tali questioni sono sollevate in un contesto specifico in cui il diritto nazionale permette un accesso che pare molto più esteso, a differenza di quanto avviene a livello dell’Unione, al sindacato giurisdizionale diretto di atti di soft law, ivi compresi atti nazionali di «attuazione» di atti non vincolanti dell’Unione. In tal modo, si pone la questione se i giudici nazionali siano tenuti, alla luce della sentenza nella causa Foto-Frost, a sollevare questioni vertenti sulla validità di atti non vincolanti dell’Unione. O possano semplicemente annullare essi stessi l’atto nazionale di attuazione, poiché un atto non (realmente) vincolante potrebbe, con certezza, essere liberamente disatteso?

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

1. Regolamento n. 1093/2010

6.

L’articolo 1 del regolamento n. 1093/2010 istituisce l’Autorità bancaria europea. Nella sua versione applicabile all’epoca dell’adozione degli orientamenti controversi, esso individuava il campo di azione dell’ABE nei seguenti termini:

«2.   L’[ABE] opera nel quadro dei poteri conferiti dal presente regolamento e nell’ambito di applicazione della direttiva 2002/87/CE [ ( 7 )] e della direttiva 2009/110/CE [ ( 8 )], del regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio [ ( 9 )], della direttiva 2013/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio [ ( 10 )], della direttiva 2014/49/UE [ ( 11 )] del Parlamento europeo e del Consiglio, del regolamento (UE) 2015/847 del Parlamento europeo e del Consiglio [ ( 12 )], della direttiva (UE) 2015/2366 del Parlamento europeo e del Consiglio [ ( 13 )], nella misura in cui tali atti si applicano agli enti creditizi e agli istituti finanziari e alle relative autorità di vigilanza competenti, delle parti pertinenti della direttiva 2002/65/CE [ ( 14 )] e della direttiva (UE) 2015/849 del Parlamento europeo e del Consiglio [ ( 15 )], comprese le direttive, i regolamenti e le decisioni basati sui predetti atti e ogni altro atto giuridicamente vincolante dell’Unione che attribuisca compiti all’[ABE]. L’[ABE] opera altresì in conformità del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio [ ( 16 )].

3.   L’[ABE] opera altresì nel settore di attività degli enti creditizi, dei conglomerati finanziari, delle imprese di investimento, degli istituti di pagamento e degli istituti di moneta elettronica, in relazione a questioni non direttamente contemplate negli atti di cui al paragrafo 2, incluse le questioni relative alla governance, alla revisione contabile e all’informativa finanziaria, purché tali azioni dell’[ABE] siano necessarie per assicurare l’applicazione effettiva e coerente di tali atti.

(…)

5.   L’obiettivo dell’[ABE] è proteggere l’interesse pubblico contribuendo alla stabilità e all’efficacia a breve, medio e lungo termine del sistema finanziario, a beneficio dell’economia dell’Unione, dei suoi cittadini e delle sue imprese. L’[ABE] contribuisce a:

a)

migliorare il funzionamento del mercato interno, con particolare riguardo a un livello di regolamentazione e di vigilanza valido, efficace e uniforme;

b)

garantire l’integrità, la trasparenza, l’efficienza e il regolare funzionamento dei mercati finanziari;

c)

rafforzare il coordinamento internazionale in materia di vigilanza;

d)

impedire l’arbitraggio regolamentare e promuovere pari condizioni di concorrenza;

e)

assicurare che il rischio di credito e altri rischi siano adeguatamente regolamentati e oggetto di opportuna vigilanza, e

f)

aumentare la protezione dei consumatori.

A tali fini, l’[ABE] contribuisce all’applicazione uniforme, efficiente ed efficace degli atti di cui al paragrafo 2, favorisce la convergenza in materia di vigilanza, fornisce pareri al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione ed effettua analisi economiche dei mercati per promuovere il raggiungimento degli obiettivi dell’[ABE]».

7.

L’articolo 8 di tale regolamento, rubricato «Compiti e poteri dell’[ABE]», prevede quanto segue:

«1.   L’[ABE] svolge i seguenti compiti:

a)

contribuisce all’elaborazione di norme e prassi comuni di regolamentazione e vigilanza di elevata qualità, in particolare fornendo pareri alle istituzioni dell’Unione ed elaborando orientamenti, raccomandazioni, progetti di norme tecniche di regolamentazione e di attuazione e altre atte misure che sono basate sugli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2;

(…)

b)

contribuisce all’applicazione uniforme degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione, in particolare contribuendo ad una cultura comune della vigilanza, assicurando l’applicazione uniforme, efficiente ed efficace degli atti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, impedendo l’arbitraggio regolamentare, mediando e risolvendo controversie tra autorità competenti, assicurando una vigilanza efficace e coerente sugli istituti finanziari, garantendo il funzionamento uniforme dei collegi delle autorità di vigilanza e prendendo provvedimenti, anche in situazioni di emergenza;

(…)

2.   Per l’esecuzione dei compiti enumerati al paragrafo 1, l’[ABE] dispone dei poteri stabiliti nel presente regolamento, ossia:

(…)

c)

emanare orientamenti e formulare raccomandazioni secondo le modalità previste all’articolo 16;

(…)».

8.

L’articolo 9 del regolamento n. 1093/2010, rubricato «Compiti relativi alla protezione dei consumatori e alle attività finanziarie», così dispone:

«1.   L’[ABE] assume un ruolo guida nella promozione della trasparenza, della semplicità e dell’equità nel mercato per i prodotti o servizi finanziari destinati ai consumatori in tutto il mercato interno, anche tramite:

a)

la raccolta, l’analisi e l’informativa sulle tendenze dei consumatori;

b)

il riesame e il coordinamento dell’alfabetizzazione finanziaria e delle iniziative formative da parte delle autorità competenti;

c)

l’elaborazione di standard formativi per l’industria, e

d)

il contributo a favore dello sviluppo di norme comuni in materia di divulgazione.

2.   L’Autorità esegue il monitoraggio delle attività finanziarie nuove ed esistenti e può adottare orientamenti e raccomandazioni volti a promuovere la sicurezza e la solidità dei mercati e la convergenza delle prassi di regolamentazione.

(…)».

9.

L’articolo 16 di tale regolamento, rubricato «Orientamenti e raccomandazioni», prevede quanto segue:

«1.   Al fine di istituire prassi di vigilanza uniformi, efficienti ed efficaci nell’ambito del SEVIF e per assicurare l’applicazione comune, uniforme e coerente del diritto dell’Unione, l’Autorità emana orientamenti e formula raccomandazioni indirizzate alle autorità competenti o agli istituti finanziari.

2.   L’Autorità effettua, se del caso, consultazioni pubbliche sugli orientamenti e sulle raccomandazioni e analizza i potenziali costi e benefici. Dette consultazioni e analisi sono proporzionate rispetto alla sfera d’applicazione, alla natura e all’impatto degli orientamenti o delle raccomandazioni. Ove opportuno, l’[ABE] richiede altresì pareri o consulenza al gruppo delle parti interessate nel settore bancario di cui all’articolo 37.

3.   Le autorità e gli istituti finanziari competenti compiono ogni sforzo per conformarsi agli orientamenti e alle raccomandazioni.

Entro due mesi dall’emanazione di un orientamento o di una raccomandazione, ciascuna autorità nazionale di vigilanza competente conferma se è conforme o intende conformarsi all’orientamento o alla raccomandazione in questione. Nel caso in cui un’autorità competente non sia conforme o non intenda conformarsi, ne informa l’[ABE] motivando la decisione.

L’[ABE] pubblica l’informazione secondo cui l’autorità competente non è conforme o non intende conformarsi agli orientamenti o alla raccomandazione. L’[ABE] può anche decidere, caso per caso, di pubblicare le ragioni fornite da un’autorità competente riguardo alla mancata conformità all’orientamento o alla raccomandazione in questione. L’autorità competente riceve preliminarmente comunicazione di tale pubblicazione.

Ove richiesto dall’orientamento o dalla raccomandazione in questione, gli istituti finanziari riferiscono, in maniera chiara e dettagliata, se si conformano all’orientamento o alla raccomandazione in parola.

(…)».

2. Orientamenti dell’ABE

10.

Ai sensi della sezione 1, punto 1, degli orientamenti dell’ABE sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio, «[i]l presente documento contiene orientamenti emanati in applicazione dell’articolo 16 del regolamento (UE) n. 1093/2010. Conformemente all’articolo 16, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1093/2010, le autorità competenti e gli enti finanziari compiono ogni sforzo per conformarsi agli orientamenti».

11.

Il punto 2 degli orientamenti dell’ABE prevede quanto segue:

«Gli orientamenti presentano la posizione dell’ABE in merito alle prassi di vigilanza adeguate all’interno del Sistema europeo di vigilanza finanziaria o alle modalità di applicazione del diritto dell’Unione in un particolare settore. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1093/2010, le autorità competenti sono tenute a conformarsi a detti orientamenti integrandoli opportunamente nelle rispettive prassi di vigilanza (per esempio modificando il proprio quadro giuridico o le proprie procedure di vigilanza), anche quando gli orientamenti sono diretti principalmente agli enti».

12.

Il punto 3 degli orientamenti, rubricato «Obblighi di comunicazione», precisa quanto segue:

«Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1093/2010, le autorità competenti devono comunicare all’ABE entro 23.05.2016 se sono conformi o se intendono conformarsi agli orientamenti in questione; in alternativa sono tenute a indicare le ragioni della mancata conformità. Qualora entro il termine indicato non sia pervenuta alcuna comunicazione da parte delle autorità competenti, queste sono ritenute dall’ABE non conformi (...)».

13.

Il punto 5 apre la sezione 2 degli orientamenti dell’ABE, definendo il loro oggetto:

«I presenti orientamenti riguardano la costituzione di dispositivi di governance e di controllo sui prodotti sia per i produttori sia per i distributori; essi costituiscono parte integrante della disciplina generale sui requisiti organizzativi e sul sistema dei controlli interni delle imprese. Gli orientamenti si riferiscono ai processi interni, alle funzioni e alle strategie finalizzati all’elaborazione dei prodotti, alla loro immissione sul mercato e alla loro revisione durante l’intero ciclo di vita. Essi stabiliscono procedure per assicurare che gli interessi, gli obiettivi e le caratteristiche del mercato di riferimento (target market) siano soddisfatti. Gli orientamenti non disciplinano, tuttavia, l’idoneità dei prodotti rispetto ai singoli consumatori».

14.

Il punto 6 degli orientamenti definisce il loro ambito di applicazione:

«I presenti orientamenti si applicano ai produttori e ai distributori di prodotti offerti e venduti ai consumatori e specificano i dispositivi di governance e di controllo sui prodotti in relazione a:

l’articolo 74, paragrafo 1, della direttiva 2013/36/UE [“direttiva sui requisiti patrimoniali IV (CRD IV)”], l’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva 2007/64/CE ( 17 ) [la “direttiva sui servizi di pagamento (PSD)”] e l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2009/110/CE [la “direttiva sulla moneta elettronica EMD)”] in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva PSD; e

l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2014/17/UE [ ( 18 )] [la “direttiva sui contratti di credito ai consumatori relativi a immobili residenziali, o direttiva sul credito ipotecario (MCD)”]».

15.

Il punto 7 degli orientamenti precisa quanto segue:

«Le autorità competenti possono valutare se applicare i presenti orientamenti ad altre entità presenti nelle rispettive giurisdizioni che non rientrano nell’ambito di applicazione degli atti legislativi sopra menzionati, ma che sono soggette a vigilanza. In particolare, le autorità competenti possono valutare se applicare i presenti orientamenti agli intermediari diversi dagli intermediari del credito di cui alla direttiva MCD, quali ad esempio gli intermediari di credito al consumo».

16.

Il punto 8 degli orientamenti così recita:

«Le autorità competenti possono valutare se estendere la medesima protezione prevista nei presenti orientamenti a soggetti diversi dai consumatori, quali le microimprese e le piccole e medie imprese (PMI)».

17.

Il punto 11 degli orientamenti prevede quanto segue:

«I presenti orientamenti sono rivolti alle autorità competenti di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1093/2010 e agli enti finanziari di cui all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1093/2010 (il “regolamento ABE”)».

18.

Il punto 16, rubricato «Data di applicazione», conclude le sezioni «introduttive» da 1 a 3. Esso stabilisce che «I presenti orientamenti si applicano a partire dal 3 gennaio 2017».

19.

Gli orientamenti sono contenuti nelle due sezioni successive: la sezione 4, in materia di «Dispositivi di governance e di controllo sui prodotti per i produttori», e la sezione 5, dedicata ai «Dispositivi di governance e di controllo sui prodotti per i distributori». Le due sezioni contengono un totale di 12 orientamenti, la maggior parte dei quali suddivisi in ulteriori regole.

B.   Diritto nazionale

20.

Il parere dell’Autorità di controllo prudenziale e di risoluzione, dell’8 settembre 2017, intitolato «Attuazione degli orientamenti dell’Autorità bancaria europea sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio (EBA/GL/2015/18)», prevede quanto segue:

«L’Autorità di controllo prudenziale e di risoluzione (ACPR) ha dichiarato di conformarsi agli orientamenti dell’Autorità bancaria europea sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio (EBA/GL/2015/18), che sono allegati al presente parere.

Tali orientamenti sono applicabili agli enti creditizi, agli istituti di pagamento e agli istituti di moneta elettronica soggetti alla vigilanza dell’ACPR, i quali devono compiere ogni sforzo per conformarsi a tali orientamenti e, ai sensi del punto 14 degli orientamenti, per accertarsi che i loro distributori vi si conformino, conformemente all’articolo 16 del regolamento (UE) n. 1093/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità bancaria europea».

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

21.

Il 22 marzo 2016, sulla base dell’articolo 16 del regolamento n. 1093/2010, l’ABE ha adottato orientamenti sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio. Gli orientamenti sono rivolti alle autorità nazionali competenti e agli enti finanziari.

22.

L’8 settembre 2017, l’ACPR, in qualità di autorità di vigilanza francese competente in materia, ha pubblicato un parere sul suo sito Internet. In tale parere, l’ACPR ha dichiarato di conformarsi a tali orientamenti. Essa ha altresì dichiarato che gli orientamenti in questione erano applicabili agli enti creditizi, agli istituti di pagamento e agli istituti di moneta elettronica soggetti al suo controllo, che erano tenuti ad adoperarsi al massimo per conformarsi a tali orientamenti e per accertarsi che i loro distributori vi si conformassero.

23.

L’8 novembre 2017, la FBF ha proposto dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia), il giudice del rinvio, un ricorso diretto all’annullamento del parere dell’ACPR. La FBF sostiene che gli orientamenti dell’ABE, resi applicabili dal parere, siano invalidi, a motivo dell’incompetenza dell’ABE ad adottare tali orientamenti.

24.

Il giudice del rinvio nutre dubbi in merito alla ricevibilità e alla fondatezza dell’eccezione di invalidità degli orientamenti controversi.

25.

Il giudice del rinvio ritiene che la ricevibilità di tale eccezione di invalidità ai fini di una domanda di pronuncia pregiudiziale dipenda dalla circostanza se gli orientamenti controversi possano essere oggetto di un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE e se una federazione professionale quale la FBF possa proporre detto ricorso.

26.

Per quanto concerne la fondatezza di tale eccezione, il giudice del rinvio osserva che gli orientamenti dell’ABE menzionano vari atti legislativi dell’Unione, ma che nessuno di essi, ad eccezione della direttiva 2014/17, prevede espressamente disposizioni relative alla governance dei prodotti bancari al dettaglio, che corrisponde al settore coperto dagli orientamenti. Inoltre, nessuno di tali atti legislativi contiene una disposizione che autorizzi l’ABE a emanare orientamenti sulla governance dei prodotti bancari al dettaglio. Tuttavia, dal regolamento n. 1093/2010 risulta che l’ABE contribuisce ad assicurare che il rischio di credito e altri rischi siano adeguatamente regolamentati e oggetto di opportuna vigilanza e ad aumentare la protezione dei consumatori. Trattasi esattamente degli obiettivi che la governance dei prodotti bancari al dettaglio contribuisce a perseguire.

27.

In tale contesto di fatto e di diritto, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se gli orientamenti adottati da un’autorità europea di vigilanza possano essere oggetto di ricorso di annullamento previsto dalle disposizioni dell’articolo 263 [TFUE]. In caso affermativo, se una federazione professionale sia legittimata a contestare, mediante un ricorso di annullamento, la validità degli orientamenti rivolti ai membri di cui difende gli interessi e che non la riguardano né direttamente né individualmente.

2)

In caso di risposta negativa a una delle due questioni poste nell’ambito della prima questione, se gli orientamenti adottati da un’autorità europea di vigilanza possano essere oggetto del rinvio pregiudiziale previsto dalle disposizioni dell’articolo 267 [TFUE]. In caso affermativo, se una federazione professionale sia legittimata a contestare, mediante eccezione, la validità degli orientamenti rivolti ai membri di cui difende gli interessi e che non la riguardano né direttamente né individualmente.

3)

Nell’ipotesi in cui la Fédération bancaire française sia legittimata a contestare, mediante eccezione, gli orientamenti adottati dall’Autorità bancaria europea il 22 marzo 2016, se tale Autorità, adottando tali orientamenti, abbia ecceduto le competenze che le sono attribuite dal regolamento n. 1093/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea)».

28.

La FBF, l’ACPR, i governi francese e polacco, la Commissione europea e l’ABE hanno presentato osservazioni scritte. Ad eccezione del governo polacco, dette parti hanno altresì presentato osservazioni orali all’udienza tenutasi il 20 ottobre 2020.

IV. Analisi

29.

Le presenti conclusioni sono strutturate come esposto nel prosieguo. Inizierò con osservazioni introduttive sulle questioni proposte dal giudice del rinvio e sulla natura (non) vincolante degli orientamenti controversi (A). Mi occuperò poi delle questioni poste dal giudice del rinvio in ordine invertito, cominciando con la terza questione, al fine di determinare se gli orientamenti controversi siano effettivamente stati adottati dall’ABE nell’ambito delle sue competenze (B). Dopo aver concluso che l’ABE ha ecceduto, di fatto, l’ambito delle sue competenze, mi occuperò della prima e della seconda questione e di vari altri elementi concernenti il rapporto generale tra gli articoli 263 e 267 TFUE per quanto concerne gli atti non vincolanti dell’Unione (C).

A.   Osservazioni preliminari

1. Se si tratti, come sembra, di una causa di agevole soluzione

30.

Da un certo punto di vista, la causa è alquanto semplice. Se si considerassero le questioni poste isolatamente rispetto al caso di specie e se si rispondesse ad esse nell’ordine in cui sono state poste, non sarebbe molto difficile fornire una risposta.

31.

La prima questione è irricevibile. La presente causa è stata proposta in forma di domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE. In tale contesto procedurale, chiedere se lo stesso ricorso possa eventualmente essere proposto in forma di ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE equivale a una questione del tutto ipotetica. Analogamente, chiedere se una federazione professionale sia legittimata o meno a impugnare gli orientamenti controversi in tale procedimento non è rilevante ai fini della decisione della causa di cui è investito il giudice del rinvio.

32.

Anche la seconda questione è di agevole risposta. Sebbene tale questione sia ricevibile, la risposta può essere agevolmente dedotta dalla giurisprudenza esistente. A partire dalla sentenza nella causa Grimaldi, la Corte ha costantemente ribadito che l’articolo 267 TFUE attribuisce alla Corte la competenza a statuire, in via pregiudiziale, sulla validità e l’interpretazione degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, «senza alcuna eccezione» ( 19 ). Pertanto, è chiaro che gli atti non vincolanti dell’Unione possono formare oggetto di una domanda di pronuncia pregiudiziale avente ad oggetto la loro validità ( 20 ).

33.

Inoltre, la sottoquestione comune alla prima e alla seconda questione, concernenti la legittimazione ad agire delle associazioni di categoria, non sono rilevanti nel contesto del procedimento di rinvio pregiudiziale. Spetta esclusivamente al giudice nazionale decidere se adire o meno la Corte in via pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE ( 21 ). Secondo la Corte, tutte le parti possono, nell’ambito di un procedimento nazionale, eccepire l’invalidità di un atto dell’Unione e indurre tale giudice, che non è competente a constatare egli stesso una simile invalidità, ad interrogare in proposito la Corte mediante una questione pregiudiziale ( 22 ).

34.

Tuttavia, quanto al resto, il diritto dell’Unione non disciplina la questione della determinazione delle parti dinanzi al giudice nazionale. Se il diritto nazionale permette che siano sollevate tali eccezioni, anche in questo caso rientrerà nella competenza esclusiva del giudice nazionale decidere se reputi necessario (o sia tenuto a) adire la Corte. Pertanto, la questione se la FBF sia legittimata a dedurre un’eccezione di invalidità dinanzi al giudice nazionale avverso un atto dell’Unione è una questione disciplinata dal diritto nazionale.

35.

Così, rispondendo alle questioni nell’ordine in cui sono state poste e trattando le prime due questioni in modo astratto, indipendentemente dai fatti della presente causa, si potrebbe agevolmente e immediatamente giungere alla terza questione e concludere che il tema della competenza dell’ABE ad adottare gli orientamenti controversi sia la sola vera questione nella causa in esame.

36.

Tuttavia, non ritengo che una simile scorciatoia sia opportuna. Infatti, nel tentativo di rispondere alla terza questione e di trarne le necessarie conclusioni, ci si rende pienamente conto della portata della prima e della seconda questione, nel caso in cui queste ultime non siano affrontate astrattamente, bensì, piuttosto, nel contesto specifico della presente causa.

37.

Inoltre, è chiaro che una lettura così semplicistica delle tre questioni non renderebbe giustizia al giudice del rinvio. Infatti, dalla decisione di rinvio, in particolare se letta congiuntamente alle istruttive conclusioni del rapporteur public del Consiglio di Stato in tale causa ( 23 ), emerge chiaramente che il giudice del rinvio è a conoscenza della giurisprudenza della Corte in materia. Da tali documenti risulta che il giudice del rinvio si interroga, in sostanza, sulle conclusioni esatte a cui tale giurisprudenza potrebbe condurlo in una causa specifica quale quella dinanzi ad esso pendente.

38.

In siffatto contesto, il giudice del rinvio si interroga, in particolare, sul rapporto tra gli articoli 263 e 267 TFUE per quanto concerne atti di soft law, segnatamente in circostanze in cui il giudice nazionale effettua il controllo giurisdizionale di atti non vincolanti nazionali, mentre la Corte non ammette, nel contesto del ricorso di annullamento, il controllo di atti non vincolanti dell’Unione. Tale problema si colloca al centro della questione concernente i parallelismi (o la loro assenza) tra i due tipi di procedimento, specialmente per quanto concerne la posizione delle associazioni di categoria in entrambi. A tale problema se ne collega un altro, anch’esso individuato dal giudice nazionale nella sua decisione di rinvio. Esso concerne il fatto che, nel contesto del procedimento di rinvio pregiudiziale, il piano del controllo nazionale e di quello europeo si intersecano: ci si chiede se i giudici nazionali siano tenuti, ai sensi della sentenza nella causa Foto-Frost, a sottoporre alla Corte questioni concernenti la validità di un atto non vincolante dell’Unione in sede di controllo di un atto nazionale che ha reso applicabile l’atto dell’Unione in questione a livello nazionale, a singoli destinatari.

39.

In tale contesto, nella misura in cui la risposta alla terza questione contribuirà a chiarire i problemi più generali sollevati dalla prima e dalla seconda questione, preferisco iniziare con tale questione, per poi occuparmi di tali aspetti strutturali. In tal modo, l’esempio specifico degli orientamenti adottati dall’ABE illustrerà in modo efficace i problemi strutturali concernenti il controllo di strumenti di soft law dinanzi alla Corte di giustizia.

2. Se gli orientamenti controversi siano un (vero e proprio) atto non vincolante

40.

Prima di occuparmi della terza questione, è tuttavia necessario affrontare un altro problema preliminare. Occorre stabilire se gli orientamenti controversi siano un vero e proprio atto non vincolante che non produce effetti giuridici vincolanti, come sostenuto da tutte le parti del procedimento. Ciò che potrebbe sembrare un’affermazione banale è, invece, una premessa iniziale fondamentale ai fini della discussione che segue. Tale problema si nasconde, di fatto, nella prima parte della prima questione, dato che la giurisprudenza costante esclude i veri e propri atti di soft law dal controllo giurisdizionale ai sensi dell’articolo 263 TFUE. Di converso, nel caso in cui tale atto produca effetti giuridici vincolanti (e, quindi, costituisca un «falso» strumento di soft law), esso sarebbe soggetto al controllo di cui all’articolo 263 TFUE (sempre che il ricorrente sia direttamente e individualmente interessato da tale atto).

41.

Infatti, secondo una giurisprudenza costante, tutte le disposizioni adottate dalle istituzioni, a prescindere dalla loro forma, che siano destinate a produrre effetti giuridici vincolanti sono considerate «atti impugnabili» ai sensi dell’articolo 263 TFUE. Per determinare se l’atto impugnato produca effetti giuridici vincolanti occorre riferirsi alla sua sostanza e valutarne gli effetti in funzione di criteri obiettivi, come il contenuto dell’atto stesso, tenendo conto eventualmente del contesto in cui quest’ultimo è stato adottato nonché dei poteri dell’istituzione emanante ( 24 ).

42.

Ci si chiede se gli orientamenti controversi producano effetti giuridici vincolanti alla luce di tale criterio tradizionale.

43.

Da un lato, in primo luogo, è vero che gli orientamenti controversi sono redatti in termini non imperativi. Gli orientamenti sostanziali destinati ai produttori e ai distributori di prodotti bancari, contenuti nelle sezioni 4 e 5 degli orientamenti, utilizzano il termine «dovrebbero», anziché il termine «devono». In secondo luogo, le autorità competenti ( 25 ) non sono obbligate a conformarvisi. L’articolo 16, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 1093/2010 esige che l’autorità competente confermi se è conforme o intende conformarsi agli orientamenti adottati dall’ABE. Nel caso in cui un’autorità competente non sia conforme o non intenda conformarsi, ne informa l’Autorità motivando la decisione ( 26 ). In terzo luogo, in sede di valutazione del contesto e delle competenze dell’agenzia in questione, tale argomento non può che cadere nello stesso tipo di ragionamento circolare che ho già menzionato altrove ( 27 ): i) poiché l’ABE era certamente a conoscenza del fatto che i suoi orientamenti non sono vincolanti, ii) essa non poteva essere mossa dall’intenzione di adottare uno strumento vincolante e iii) dunque, è evidente che l’organo autore dell’atto non aveva alcuna intenzione di adottare un atto giuridico vincolante.

44.

Su tale base, è indubbiamente possibile concludere che gli orientamenti controversi non producono, di per sé, effetti giuridici vincolanti.

45.

D’altro lato, tuttavia, tali orientamenti sono emanati nel contesto di una serie di meccanismi, e sono accompagnati da una serie di meccanismi che, interpretati alla luce del regolamento n. 1093/2010, quale loro base giuridica, rendono tali atti idonei a essere ragionevolmente concepiti come volti a indurre i loro destinatari a rispettarli.

46.

In primo luogo, conformemente all’articolo 16, paragrafo 3, primo comma, del regolamento n. 1093/2010, la sezione 1, punto 1, degli orientamenti controversi prevede che le autorità nazionali competenti e gli enti finanziari «compiono ogni sforzo per conformarsi agli orientamenti». Senza effettuare un’analisi dettagliata di ciò che implica esattamente nello specifico l’espressione «compiere ogni sforzo», si può presumere che gli orientamenti controversi non siano stati adottati sul presupposto che i loro destinatari possano semplicemente ignorarli, in particolare se il compimento di siffatto sforzo è stato imposto a tali destinatari in forma di dovere.

47.

In secondo luogo, ci si chiede chi sia esattamente il destinatario. Sebbene gli orientamenti controversi siano formalmente rivolti, ai sensi del punto 11 degli stessi, alle autorità competenti e agli enti finanziari ( 28 ), è chiaro che gli enti finanziari sono i soggetti che dovranno rispettare i relativi obblighi e, quindi, ne sono i reali destinatari. Questa logica discende dal contenuto degli orientamenti di cui alle sezioni 4 e 5, che si dirigono esclusivamente ai produttori e ai distributori di prodotti bancari.

48.

In termini sistematici, gli orientamenti sono molto simili alle direttive: anche se formalmente indirizzate agli Stati membri, le loro disposizioni sono dirette a disciplinare a tempo debito la condotta dei singoli, i quali non hanno altra scelta se non quella di applicarle. Le autorità competenti non sono le vere destinatarie di tali obblighi; il loro compito è semplicemente quello di optare per l’applicazione o per la non applicazione degli orientamenti. Tuttavia, una volta adottata tale decisione, la natura inizialmente non vincolante muta, e diventa decisamente vincolante, poiché il «destinatario nominativo» (l’autorità di vigilanza competente) diviene l’effettivo «esecutore». Pertanto, ai reali destinatari degli orientamenti, segnatamente gli enti finanziari, è concesso un margine molto limitato, o meglio, non è concesso alcun margine quanto alla scelta se conformarsi o meno a tali orientamenti.

49.

Inoltre, alla luce di un’interpretazione congiunta dei punti 6, 7 e 8 degli orientamenti controversi ( 29 ), non è neppure chiaro se la decisione formale dell’autorità competente di non conformarsi esenti, di fatto, gli enti finanziari dal dovere di compiere «ogni sforzo per conformarsi agli orientamenti». La decisione delle autorità competenti di non conformarsi potrebbe parimenti significare soltanto che esse non faranno rispettare tali orientamenti, senza che ciò incida sul dovere posto in capo agli enti finanziari. In altri termini, tali orientamenti potrebbero essere dotati di vita propria per quanto attiene agli enti finanziari, indipendentemente dalla posizione adottata dalle autorità competenti.

50.

In terzo luogo, e in relazione al punto precedente, quando le autorità competenti decidono di conformarsi, gli enti finanziari divengono effettivamente vincolati al rispetto degli orientamenti controversi a livello nazionale, in conseguenza alla loro «attuazione» o «incorporazione» ad opera dell’autorità nazionale competente. Nella presente causa, dichiarando, nel suo parere, di conformarsi agli orientamenti controversi, l’ACPR ha reso obbligatorio, de facto, il contenuto di questi ultimi per gli enti finanziari in Francia. A tale riguardo, un punto che merita di essere sottolineato è che, a differenza di una direttiva, il cui contenuto deve prima essere recepito in una fonte di diritto nazionale, l’intero contenuto degli orientamenti diviene applicabile, per effetto del parere dell’ACPR, a tutti «[g]li enti creditizi, [g]li istituti di pagamento e [g]li istituti di moneta elettronica soggetti alla vigilanza dell’ACPR» ( 30 ).

51.

È opportuno spiegare chiaramente quest’ultimo punto concernente l’effettiva applicazione a livello nazionale. Una volta che l’autorità nazionale competente ha deciso di conformarsi, il rispetto degli orientamenti diviene obbligatorio in tale Stato membro. Secondo il rapporteur public del Conseil d’État (Consiglio di Stato), nella controversia di cui al procedimento principale, il mancato rispetto degli orientamenti non può condurre direttamente all’irrogazione di una sanzione. Tuttavia, il contenuto degli orientamenti codifica le migliori prassi alle quali gli enti finanziari sono tenuti a conformarsi. Nel caso in cui tali enti non si conformino a dette prassi, tale fatto potrebbe essere interpretato come una cattiva prassi da parte loro. Su tale base, l’ACPR può emettere segnalazioni individuali, il cui mancato rispetto potrebbe, in sostanza, esporre tali enti finanziari al rischio di un procedimento disciplinare ( 31 ).

52.

In sintesi, alla luce della definizione tradizionale di atto di diritto dell’Unione produttivo di effetti giuridici vincolanti ai fini dell’articolo 263 TFUE, concordo sul fatto che gli orientamenti, specialmente se considerati soltanto a livello dell’Unione, siano suscettibili di essere considerati un vero e proprio strumento di soft law non vincolante. Tuttavia, quando tale criterio è applicato a casi quali quello in parola, siffatto approccio tradizionale non offre risposte utili, ma si limita a evidenziare in modo alquanto eloquente la natura del problema.

53.

Il criterio per determinare se un atto di diritto dell’Unione sia suscettibile di controllo deve concentrarsi sulla questione se tale atto possa essere ragionevolmente percepito come volto a indurre (o a imporre effettivamente) il suo rispetto al suo destinatario. Il risultato deve essere calibrato, e tener conto del continuum degli effetti giuridici per poi logicamente concentrarsi più da vicino sui precisi effetti prodotti dall’atto controverso sulla situazione giuridica dei suoi destinatari. Se il problema risiede nella forma ibrida di governance, in tal caso anche il rimedio può essere ibrido, logicamente adattato al tipo esatto di effetti prodotti e percepiti come problematici. Tuttavia, come recentemente sottolineato dalla sentenza nella causa Belgio/Commissione, la Corte rimane concentrata sull’atto e sul suo autore, distaccata dalla vita reale dell’atto giuridico e dei suoi destinatari, entrando così in un circolo in cui la natura dell’atto è determinata dall’intenzione del suo autore e viceversa. In ultima analisi, in un siffatto mondo binario, soltanto uno dei seguenti risultati è possibile: piena sussistenza di effetti giuridici vincolanti o insussistenza di effetti di tale natura.

54.

Non desidero riproporre argomenti che la Corte ha già giudicato non persuasivi. ( 32 ) Si tratta, piuttosto, di spiegare in che modo tali scelte incidono sulla presente causa. I livelli normativi e giurisdizionali dell’Unione e nazionali sono, almeno nell’ambito del procedimento di rinvio pregiudiziale, vasi comunicanti. Tale circostanza aggiunge un ulteriore strato di complessità alla presente causa, in cui l’approccio tradizionale consistente nell’esaminare solo ed esclusivamente l’atto di diritto dell’Unione al livello dell’Unione diviene problematico: un atto che, forse, potrebbe essere interpretato come uno strumento di soft law, considerando solo ed esclusivamente l’ABE e le autorità nazionali competenti, diviene qualcosa di assai differente a un livello inferiore, all’interno degli Stati membri. A tale livello, la «soft law» non è «più così soft» e potrebbe addirittura diventare un vero e proprio atto vincolante. Occorre precisare che, indubbiamente, il diritto dell’Unione non si oppone a tale risultato. Accade, piuttosto, il contrario: l’intero sistema è strutturato per funzionare esattamente in tal modo.

55.

In sintesi, per quanto concerne i loro reali destinatari, ossia gli enti finanziari a livello nazionale, gli orientamenti sono molto meno «soft» di quanto sarebbero nel caso in cui l’attenzione fosse posta sul livello delle autorità nazionali competenti. Tuttavia, a titolo di premessa di base, per quanto concerne l’approccio ordinario della Corte agli atti dell’Unione che non producono effetti giuridici vincolanti, è improbabile che la Corte possa considerare gli orientamenti controversi come vincolanti e quindi, suscettibili di controllo ai sensi dell’articolo 263 TFUE.

B.   Sulla terza questione: se l’ABE abbia ecceduto le sue competenze ai sensi del regolamento n. 1093/2010

56.

Ad avviso della FBF, gli orientamenti controversi disciplinano la governance dei prodotti. Essi sarebbero privi di qualsiasi base giuridica, non potendo essere considerati strumenti attuativi degli atti legislativi menzionati all’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 1093/2010, poiché questi ultimi disciplinano, essenzialmente, la governance societaria. È più probabile che, nell’adottare gli orientamenti controversi, l’ABE si sia ispirata alla direttiva 2014/62/UE ( 33 ), che disciplina la governance dei prodotti finanziari e in cui la nozione di «mercato di riferimento» e la distinzione tra produttori e distributori sono centrali.

57.

La Commissione condivide ampiamente la posizione della FBF. Tuttavia, essa ritiene che gli orientamenti controversi non esulino interamente dall’ambito delle competenze dell’ABE, nella misura in cui si riferiscono all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2014/17. Quest’ultimo permette la disciplina della governance dei prodotti, l’individuazione dei mercati di riferimento e l’effettuazione di una distinzione tra produttori e distributori. Quanto al resto, tuttavia, gli orientamenti esulano dalle competenze dell’ABE e, di conseguenza, secondo la Commissione, dovrebbero essere dichiarati invalidi.

58.

L’ACPR, i governi francese e polacco e l’ABE sostengono la tesi opposta. Ad avviso dell’ACPR, del governo francese e dell’ABE, l’ABE è legittimata ad adottare orientamenti al di là del campo di applicazione in senso stretto degli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 1093/2010, poiché l’articolo 1, paragrafo 3, di tale regolamento estende le competenze dell’ABE a materie non coperte da tali atti. In ogni caso, la governance dei prodotti e la governance societaria sono interconnesse, sicché gli orientamenti controversi non possono essere considerati al di fuori dell’ambito delle competenze dell’ABE. Secondo le stesse parti intervenienti, nonché ad avviso del governo polacco, l’azione dell’ABE è legittima anche in quanto il regolamento n. 1093/2010 mira espressamente a fornire tutela ai consumatori. L’ABE era competente ad adottare gli orientamenti controversi nella misura in cui essi sono funzionali a tale obiettivo. Di conseguenza, ad avviso dell’ACPR e dell’ABE, dovrebbe essere operata una mera valutazione generale delle competenze dell’ABE ad adottare orientamenti. Siffatta valutazione generale condurrebbe alla conclusione che l’ABE era competente ad adottare gli orientamenti controversi.

59.

Nelle sezioni che seguono, esporrò il mio dissenso in merito alle tesi dell’ACPR, dei governi francese e polacco e dell’ABE. Sebbene gli orientamenti controversi possano, se valutati in termini generali, rientrare grossomodo nel regolamento n. 1093/2010 (1), spiegherò il motivo per cui non ritengo che una valutazione così debole e indulgente sia ammissibile nel contesto di atti non vincolanti (2). Alla luce dell’incompatibilità degli orientamenti controversi con il regolamento n. 1093/2010, la questione che resta è, dunque, quella di stabilire quale debba essere l’esito formale di tale conclusione (3).

1. Sulla compatibilità degli orientamenti controversi con il regolamento n. 1093/2010 per quanto concerne le competenze dell’ABE

60.

Gli orientamenti controversi riguardano l’introduzione di una governance dei prodotti per i prodotti bancari al dettaglio. In particolare, tali orientamenti raccomandano ai produttori di individuare i mercati di riferimento pertinenti e di garantire che i prodotti siano adeguati a tali mercati ( 34 ). Gli orientamenti raccomandano altresì l’effettuazione di test dei prodotti per valutare in che modo i prodotti inciderebbero sui consumatori in un’ampia serie di scenari ( 35 ). Inoltre, i produttori dovrebbero selezionare distributori che siano adeguati allo specifico mercato di riferimento e dovrebbero poter fornire ai distributori informazioni concernenti le caratteristiche e i rischi del prodotto per i consumatori ( 36 ). Da parte loro, i distributori di prodotti bancari dovrebbero rendere al consumatore una descrizione delle principali caratteristiche dei prodotti in questione e dei loro rischi ( 37 ).

61.

Conformemente alla sezione 2, punto 6, gli orientamenti controversi si applicano ai produttori e ai distributori di prodotti offerti e venduti ai consumatori in relazione a quattro disposizioni di specifici atti legislativi, segnatamente l’articolo 74, paragrafo 1, della direttiva 2013/36/UE, l’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva 2007/64/CE, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2009/110/CE e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2014/17/UE. Le autorità competenti possono altresì «valutare se applicare i presenti orientamenti ad altre entità presenti nelle rispettive giurisdizioni che non rientrano nell’ambito di applicazione degli atti legislativi sopra menzionati, ma che sono soggette a vigilanza» ( 38 ).

62.

Confrontando il campo di applicazione indicato con l’effettivo contenuto degli orientamenti, appare alquanto evidente che, come suggerito, in sostanza, dalla FBF e dalla Commissione, gli orientamenti controversi, per quanto attiene alla loro base giuridica, si spingono oltre rispetto a quanto consentito dal regolamento n. 1093/2010.

63.

Ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1093/2010, «[a]l fine di istituire prassi di vigilanza uniformi, efficienti ed efficaci nell’ambito del SEVIF e per assicurare l’applicazione comune, uniforme e coerente del diritto dell’Unione, l’Autorità emana orientamenti e formula raccomandazioni indirizzate alle autorità competenti o agli istituti finanziari».

64.

Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 1093/2010, l’ABE opera nel quadro dei poteri conferiti da tale regolamento e nell’ambito di applicazione di una serie di atti legislativi ivi elencati e di ogni altro atto giuridicamente vincolante dell’Unione che attribuisca compiti all’Autorità. In virtù dell’articolo 1, paragrafo 3, l’ABE opera altresì nel settore di attività dei vari enti finanziari indicati in tale disposizione «in relazione a questioni non direttamente contemplate negli atti legislativi di cui al paragrafo 2 (...) purché tali azioni siano necessarie per assicurare l’applicazione effettiva e coerente di tali atti» ( 39 ).

65.

Da detta formulazione emerge chiaramente che, indipendentemente dal tipo di atto adottato, l’ABE può agire soltanto entro i confini (sostanziali) di tali atti legislativi. Inoltre, una serie di altre disposizioni del regolamento n. 1093/2010, concernenti i compiti e le competenze dell’ABE, conferma che tali atti costituiscono, per l’ABE, la linea di confine ( 40 ). Pertanto, gli orientamenti controversi devono essere valutati alla luce del contenuto e del campo di applicazione di tali atti.

66.

Per quanto concerne le direttive 2013/36, 2007/64 e 2009/110, che sono specificamente menzionate negli orientamenti controversi per quanto concerne il campo di applicazione di questi ultimi ( 41 ), risulta che si tratta di atti legislativi ai quali l’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 1093/2010 fa riferimento ( 42 ). Così, in linea di principio, l’ABE è legittimata ad adottare orientamenti al fine di dare corpo a tali strumenti.

67.

Tuttavia, vi è un evidente divario fra l’oggetto di tali atti e quello degli orientamenti. Mentre questi ultimi hanno introdotto «regole» specifiche in materia di governance dei prodotti, i primi riguardano tutti la governance societaria, prevedendo, in particolare, procedure interne alle istituzioni finanziarie, chiare strutture organizzative con linee di responsabilità coerenti e procedure concernenti la gestione del rischio e i requisiti patrimoniali. Non è chiaro in che modo orientamenti sulla governance dei prodotti contribuiscano all’applicazione effettiva e coerente di atti in materia di governance societaria, soprattutto a breve termine. Mentre questi ultimi atti riguardano i rischi connessi a una governance societaria disfunzionale a lungo termine (quindi, un problema strutturale), gli orientamenti controversi provvedono a disciplinare i processi interni in materia di governance dei prodotti che influenzano i risultati a breve termine, Pertanto, il tipo (e il grado) di rischio disciplinato negli orientamenti controversi, da un lato, e negli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 1093/2010, dall’altro, sono diversi.

68.

La differenza tra governance dei prodotti e governance societaria come oggetto di disciplina non è meramente accademica. Un esempio analogo tratto da un altro settore, quale l’industria automobilistica, può aiutare a illustrare la differenza. La governance societaria esige che i fabbricanti di automobili applichino meccanismi di controllo in ogni fase della produzione, possiedano una struttura organizzativa trasparente, determinino chiaramente i soggetti responsabili e il contenuto della responsabilità, si dotino di meccanismi per la risoluzione di eventuali problemi e così via. Tutte queste regole sono legate al corretto funzionamento della società. Di converso, la governance dei prodotti esige che i fabbricanti di automobili individuino il mercato di riferimento di un nuovo veicolo, considerino le modalità in cui un nuovo modello di automobile si inserisce nella gamma di veicoli esistenti e se la presenza di troppe alternative impedisca al consumatore di compiere decisioni informate. Tali «regole» hanno poco a che vedere con il funzionamento interno della società; esse mirano a disciplinare il processo decisionale imprenditoriale per quanto concerne la qualità dei prodotti da offrire ai consumatori. In altri termini, le regole in materia di governance societaria riguardano la qualità dei processi e dei meccanismi interni introdotti al fine di assicurare il corretto funzionamento della società. La governance dei prodotti concerne le scelte imprenditoriali compiute, in sostanza, ai fini della commercializzazione di automobili.

69.

Inoltre, concordo con la FBF sul fatto che l’oggetto di tali atti legislativi non è lo stesso della direttiva 2014/65, la quale disciplina specificamente ed espressamente la governance dei prodotti finanziari commercializzati da prestatori di servizi di investimento ( 43 ). Di conseguenza, l’ABE non era legittimata ad adottare orientamenti sulla governance dei prodotti bancari.

70.

Di converso, come riconosciuto dalla Commissione e, in una certa misura, anche dal giudice del rinvio, l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2014/17, anch’esso specificamente menzionato nella sezione 2, punto 6, degli orientamenti controversi, è indubbiamente legato ai prodotti, in particolare ai prodotti di credito. Esso potrebbe fungere, almeno parzialmente, da base giuridica adeguata degli orientamenti controversi.

71.

Tuttavia, la direttiva 2014/17 non si occupa della governance dei prodotti nello stesso modo in cui se ne occupano gli orientamenti controversi. Essa, invece, disciplina la condotta degli erogatori di credito nei singoli casi, nonché la metodologia da seguire per decidere se concedere o meno un credito a un determinato consumatore. Inoltre, sebbene talune disposizioni della direttiva 2014/17 attribuiscano all’ABE competenza ad adottare determinate regole ( 44 ), nessuna di tali disposizioni riguarda specificamente le regole di governance dei prodotti né fa riferimento all’adozione di orientamenti in materia.

72.

Pertanto, sono restio ad affidarmi alla direttiva 2014/17 al fine di esaminare la questione della competenza dell’ABE ad adottare gli orientamenti controversi. Infatti, anche se la direttiva 2014/17 fosse considerata, di fatto, come base giuridica nella causa in esame, quod non, mi chiedo a che cosa possa condurre nello specifico, in termini pratici, un esito positivo in uno dei quattro obiettivi. Le osservazioni della Commissione illustrano tale problema in modo alquanto efficace.

73.

La Commissione ha sostenuto che la Corte dovrebbe dichiarare invalidi gli orientamenti controversi, nella parte in cui riguardano: i) l’articolo 10, paragrafo 4, della direttiva 2007/64; ii) l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2009/110; iii) l’articolo 74, paragrafo 1, della direttiva 2013/36. Al contempo, inoltre, la Commissione ha chiesto alla Corte di dichiarare che gli orientamenti controversi sono validi nella parte in cui riguardano l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2014/17 (o meglio, riproducendo integralmente le conclusioni della Commissione, di dichiarare che l’esame di tale punto non ha rivelato alcun elemento idoneo a far sorgere dubbi in merito alla validità degli orientamenti).

74.

Devo ammettere che, nell’immaginare che cosa potrebbe implicare, in termini pratici, il dispositivo di una pronuncia di questo tipo, rimango un poco perplesso. Mi chiedo se ciò significhi che gli orientamenti sarebbero «validi», ma il loro campo di applicazione sarebbe giudizialmente limitato ai soli contratti di credito con i consumatori relativi ai beni immobili residenziali. Gli orientamenti rimarrebbero applicabili soltanto allorché gli enti finanziari offrano tali specifici prodotti? Oppure, su tale base, sarebbe necessario entrare nel dettaglio e valutare i singoli orientamenti, uno ad uno?

75.

Alla luce di tali considerazioni, mi sembra che l’unica opzione sensata consista nel dichiarare validi o invalidi gli orientamenti nel loro complesso. A mio avviso, gli orientamenti controversi non rientrano, nel loro complesso, nel campo di applicazione degli atti legislativi di cui al regolamento n. 1093/2010 o di quelli che conferiscono compiti specifici in capo all’ABE. L’ABE ha quindi ecceduto le sue competenze nell’adottare orientamenti il cui oggetto non è coperto da tali atti legislativi.

2. Sul grado di intensità del controllo degli atti non vincolanti dell’Unione

76.

Applicando un tipo normale di controllo alla presente causa, si giungerebbe alla conclusione provvisoria di cui supra. Per «normale» intendo il tipo di controllo che la Corte è solita effettuare, e con lo stesso livello di intensità, quando esamina la validità di atti produttivi di effetti giuridici vincolanti ( 45 ).

77.

Tuttavia, è opportuno chiedersi, anzitutto, se gli atti che, asseritamente, non producono alcun effetto giuridico vincolante debbano essere sottoposti a siffatto tipo normale di controllo. In sintesi, se non si tratta di atti vincolanti, mi chiedo per quale motivo qualcuno, inclusa la Corte, dovrebbe preoccuparsene. Perché è necessario controllare se un organo dell’Unione abbia rispettato o meno l’ambito delle sue competenze se nessuno è tenuto a prestare attenzione a ciò che afferma? Tali considerazioni dovrebbero condurre, per lo meno per quanto riguarda i veri e propri atti di soft law, a un controllo alquanto indulgente, se non addirittura ad un’assenza di controllo.

78.

È sostanzialmente in linea con tale logica che l’ACPR e l’ABE hanno sostenuto, in udienza, che il grado di controllo di atti non vincolanti dell’Unione dovrebbe essere inferiore a quello applicato nel caso di atti vincolanti, concretizzandosi in una mera valutazione generale degli atti non vincolanti. Tale argomento suggerisce, in sostanza, che, anche nel caso in cui atti non vincolanti non rientrino strettamente nell’ambito delle competenze dell’ABE, il fatto che essi possano rientrare grossomodo in tale ambito sarebbe sufficiente ai fini dell’accertamento della legittimità degli orientamenti dell’ABE. In particolare, per quanto concerne la ripartizione delle competenze, gli autori di atti non vincolanti beneficerebbero di un certo margine di manovra e non sarebbero costretti entro limiti rigorosi. In pratica, l’annullamento di tali atti si verificherebbe soltanto nel caso in cui essi si collochino manifestamente al di fuori dei limiti delle competenze attribuite al loro autore.

79.

Infatti, da un certo punto di vista, la governance dei prodotti non sarebbe così diversa dalla governance societaria, se entrambe sono considerate in modo astratto, teleologico. Entrambe hanno un impatto sulla stabilità del sistema finanziario. Come sottolineato dall’ABE nel corso dell’udienza, l’obiettivo generale degli orientamenti è raccomandare processi interni in grado di eliminare un rischio eccessivo, poiché l’assunzione di rischi imprudenti è stata all’origine della crisi finanziaria emersa nel 2008. Un efficace controllo sui prodotti e dispositivi in grado di assicurare che i prodotti finanziari soddisfino i requisiti dei mercati di riferimento sono suscettibili di migliorare le prestazioni economiche dell’ente finanziario e di diminuire il rischio di fallimento.

80.

Analogamente, come sostenuto dall’ACPR, dai governi francese e polacco e dall’ABE, gli orientamenti dell’ABE possono essere considerati rientranti nel mandato dell’ABE, poiché il regolamento n. 1093/2010 mira espressamente alla protezione dei consumatori. Certamente, la protezione dei consumatori è un importante obiettivo perseguito dal regolamento n. 1093/2010. Tale scopo emerge segnatamente dall’articolo 1, paragrafo 5, lettera f) ( 46 ) e, soprattutto, dall’articolo 9, che è dedicato ai «Compiti relativi alla protezione dei consumatori e alle attività finanziarie». Detto obiettivo globale potrebbe eventualmente essere utilizzato per giustificare l’azione dell’ABE in un’ampia gamma di settori.

81.

Certamente ammetto siffatti tali argomenti. Tuttavia, semplicemente non posso aderirvi, né per quanto concerne questo caso concreto, né in generale.

82.

Per quanto concerne specificamente gli orientamenti in esame, non credo che, per legittimarli, dovrebbe essere abbracciata un’interpretazione teleologica generosa della portata dell’azione dell’ABE fondata su «obiettivi generali» vagamente definiti. Un intervento normativo così esteso dell’ABE, fondato su obiettivi definiti in modo ampio, non è sostenibile alla luce dello stesso articolo 9, paragrafo 1, del regolamento n. 1093/2010. Ai sensi di tale disposizione, il ruolo dell’ABE risulta alquanto circoscritto – esso consiste nella raccolta e nell’analisi delle tendenze dei consumatori, nel riesame e nel coordinamento delle iniziative formative, nonché nell’elaborazione di standard formativi. Sebbene tale elenco non sia esaustivo, è indicativo di tipi assai differenti di misure e azioni previsti per l’ABE nel quadro della «protezione dei consumatori».

83.

Inoltre, l’assunzione eccessiva di rischi è, ovviamente, pericolosa. Tuttavia, qualsiasi decisione imprenditoriale comporta un rischio. L’eventualità che detti rischi si concretizzino non è una giustificazione sufficiente per permettere a un’agenzia dell’Unione di disciplinarli tutti, in particolare attraverso «semplici» orientamenti. Se la governance dei prodotti e la governance societaria devono considerarsi connesse al punto di giustificare l’azione dell’ABE per quanto riguarda la prima, sulla base di atti legislativi concernenti la seconda, in tal caso l’ABE sarebbe legittimata ad adottare regole, eventualmente senza alcun limite, in un ampio spettro di situazioni, che hanno poco a che vedere con la governance societaria in senso stretto. Mi chiedo se, in tal caso, l’ABE non sarebbe competente a iniziare ad adottare orientamenti sulla selezione e sulla promozione del personale, sulla scelta dei fornitori di software, sul funzionamento delle linee di assistenza o sui processi di acquisto di mobilia. O forse l’ABE dovrebbe anche poter disciplinare la sicurezza delle cinture delle auto aziendali utilizzate dai dirigenti apicali di un ente finanziario. Se figure così importanti per la stabilità del settore finanziario non fossero debitamente protette nell’infelice caso di un incidente automobilistico, anche la stabilità del settore sarebbe in qualche modo minacciata.

84.

Inoltre, in via generale, vi sono altri numerosi e assai forti argomenti sul motivo per cui, se il controllo giurisdizionale di atti giuridici non vincolanti dovesse essere condotto ai sensi dell’articolo 267 TFUE (come ribadito dalla Corte), dovrebbe trattarsi di un tipo di controllo normale, ordinario.

85.

In primo luogo, permettere alle istituzioni e, più in generale, ai numerosi organi dell’Unione di adottare atti «giuridicamente non vincolanti», soggetti ad un controllo giurisdizionale limitato (ad esempio, senza alcun controllo concernente la competenza) non farebbe che incoraggiare un’ulteriore diffusione di «criptonormativa» nella forma di soft law dell’Unione. Come ho spiegato nelle mie conclusioni nella causa Belgio/Commissione ( 47 ), gli organi dell’Unione sono in grado, attraverso la soft law, di generare complessi paralleli di regole che eludono il processo legislativo e possono avere un impatto sull’equilibrio istituzionale.

86.

In secondo luogo, siffatte prassi possono incidere non soltanto sull’equilibrio istituzionale (orizzontale) ma, soprattutto, sulla legittimazione complessiva delle regole a valle. La proliferazione delle agenzie dell’Unione ha determinato il sorgere di preoccupazioni per quanto concerne la legittimazione legata all’esercizio di competenze amministrative delegate. È quindi necessario assicurare che detto esercizio non resti privo di controllo, anche nel caso in cui si tratti, formalmente, di atti non vincolanti dell’Unione ( 48 ).

87.

In terzo luogo, tali argomenti assumono particolare forza in circostanze in cui è già in atto una tangibile «fuga verso strumenti di soft law» in una serie di nuovi settori di intervento, come nel caso dell’unione bancaria e della vigilanza finanziaria, che costituiscono un esempio lampante di tale fenomeno. In tale contesto, è paradossale constatare che, sebbene il Trattato di Lisbona abbia infine dotato la Corte di una piena competenza per difetto per quanto concerne tutti gli atti adottati dagli organi e dalle istituzioni dell’Unione, abolendo la struttura a pilastri ( 49 ), rivelatasi incompleta dal punto di vista della tutela giurisdizionale, lo stesso problema potrebbe ora riproporsi internamente e settori di intervento dell’Unione che disciplinano il comportamento dei singoli sarebbero nuovamente esclusi, di fatto, da qualsiasi controllo, questa volta per effetto di una scelta della Corte stessa.

88.

In quarto luogo, vi è un altro argomento specificamente concernente le agenzie dell’Unione, in contrapposizione alle istituzioni dell’Unione. Mentre tutti gli organi dell’Unione, di fatto, sono soggetti al principio delle competenze di attribuzione, alle agenzie dell’Unione si tende a riconoscere, inoltre, un mandato specializzato e alquanto ristretto. Accanto all’argomento di ordine costituzionale per cui tale struttura non ammette un mero controllo indulgente, vi è un argomento più pragmatico. Vi è il rischio di una «casa affollata da soft law». In una situazione in cui varie agenzie o organi possiedono mandati che si sovrappongono, e che possono sfociare nella disciplina, da parte di tali soggetti, di materie simili o contigue (come nel caso, ancora una volta, del settore bancario e finanziario), interpretare tali mandati con un elevato livello di astrazione e in riferimento al perseguimento di obiettivi astratti condurrebbe soltanto a far nascere strumenti di soft law che si sovrappongono o, addirittura, confliggono tra di loro.

89.

Non esito a riconoscere la singolare natura di tale considerazione: come può esserci, per definizione, un conflitto tra atti giuridicamente non vincolanti? Atti non giuridicamente vincolanti non possono contrastare gli uni con gli altri, poiché non sono in grado di creare obblighi giuridici. In quanto tale, cosa potrebbe dunque essere in conflitto?

90.

Infine, in quinto luogo, il problema consiste nel fatto che la Corte pare essersi rifiutata di accogliere tale logica, come recentemente confermato nella causa Belgio/Commissione. Nelle mie conclusioni in tale causa ( 50 ) ho suggerito, infatti, la possibilità di fare riferimento alla forma di un atto giuridico dell’Unione, la quale determinerà il modo in cui occorre valutarne il contenuto. Così, se un atto è denominato «orientamenti», esso sarà ritenuto privo di qualsiasi effetto giuridico vincolante e chiunque sarà legittimato a ignorarlo completamente, poiché si tratta di orientamenti.

91.

Tuttavia, la Corte ha ribadito il suo approccio pregresso, nell’ambito del quale occorre decidere, anzitutto, in ogni singolo caso e indipendentemente dalla denominazione formale di un atto, se si tratti di un atto di soft law «vero e proprio» o «falso» ( 51 ). Tuttavia, la conseguenza necessaria di siffatto approccio è che, prima di accertare se un determinato atto sia un vero e proprio atto di soft law, non si può escludere che esso produca, di fatto, obblighi giuridicamente vincolanti. Dunque, è certamente possibile che i destinatari di norme dell’Unione di qualsiasi natura si trovino, di fatto, in una posizione in cui non sono in grado di distinguere quali siano gli elementi formalmente vincolanti e, per quanto concerne i loro obblighi sostanziali, a quali degli orientamenti eventualmente confliggenti debbano conformarsi.

92.

A titolo illustrativo finale, tornando all’esempio specifico dell’ABE, sembrerebbe che lo stesso legislatore dell’Unione abbia iniziato a prendere atto dei potenziali problemi che potrebbero sorgere e abbia dimostrato l’intenzione di controllare l’azione dell’ABE più da vicino. Infatti, il regolamento n. 1093/2010 è stato nel frattempo modificato dal regolamento 2019/2175. In seguito a tale modifica e pur non essendo applicabile ratione temporis alla presente causa, l’articolo 60 bis del regolamento 2019/2175, rubricato «Travalicamento delle competenze da parte dell’Autorità», stabilisce che «[q]ualsiasi persona fisica o giuridica interessata direttamente e individualmente dalla questione può inviare un avviso circostanziato alla Commissione se ritiene che l’Autorità abbia travalicato la propria competenza (...) nell’intervenire in conformità [dell’articolo] 16 (...) ( 52 )».

93.

Ribadisco che, in riferimento a veri e propri atti di soft law, tutto ciò è semplicemente sorprendente. Nel capo V, rubricato «Mezzi di ricorso», vi è una disposizione che parte dal presupposto che, quando adotta atti che dovrebbero essere orientamenti o raccomandazioni giuridicamente non vincolanti ai sensi dell’articolo 16 del regolamento, oppure anche pareri non vincolanti ai sensi dell’articolo 16 bis, l’ABE potrebbe eccedere le sue competenze, nel qual caso è necessario un mezzo di ricorso. A prescindere dalla logica sistematica sottesa a tale disposizione, è legittimo supporre che essa non sarebbe stata introdotta se il legislatore dell’Unione non fosse giunto alla conclusione di poter essere di fronte a un problema. L’unica certezza che resta è che è improbabile che la cassetta della posta della Commissione sia sommersa se la condizione affinché una persona sia legittimata, in sostanza, a scrivere una lettera alla Commissione sia che essa deve essere «interessata individualmente e direttamente» dall’atto controverso, soprattutto se ai fini dell’interpretazione di tali nozioni si trae ispirazione dalla giurisprudenza costante della Corte sull’articolo 263, quarto comma, TFUE.

94.

Alla luce di tutti questi argomenti, non posso che concludere che, di fatto, è essenziale che gli atti non vincolanti adottati dalle agenzie dell’Unione siano sottoposti al normale controllo giurisdizionale, per lo meno per quanto attiene al profilo della competenza, in modo che tali agenzie non interferiscano illegittimamente con le competenze di altri organi o istituzioni dell’Unione.

3. Sull’esito (formale) di siffatto controllo

95.

Una questione finale, nel contesto del controllo giurisdizionale di atti giuridicamente non vincolanti, consiste nel tipo di esito di tale controllo nelle circostanze in cui sia stata proposta una domanda di pronuncia pregiudiziale concernente la validità di tale atto. Mi chiedo quale possa essere l’esito nel caso in cui i) l’atto dell’Unione controverso non sia giuridicamente vincolante e, quindi, non possa formare oggetto di un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE e, dunque, non possa essere formalmente annullato nell’ambito di tale procedimento, ma ii) la Corte abbia accertato l’incompetenza dell’autorità emanante a seguito di una domanda di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

96.

Sono plausibili due esiti. In primo luogo, l’atto giuridicamente non vincolante dell’Unione potrebbe essere dichiarato invalido, come accade normalmente per altri tipi di atti (vincolanti) di diritto dell’Unione giudicati insoddisfacenti ai sensi dell’articolo 267 TFUE. In secondo luogo, una questione concernente la validità di detto atto potrebbe essere riformulata, di fatto, come se si trattasse di una questione interpretativa ai sensi dell’articolo 267 TFUE, concernente l’interpretazione dell’atto non vincolante dell’Unione stesso, oppure l’interpretazione dell’atto legislativo (vincolante) sulla base del quale detto atto è stato adottato (nel caso di specie, il regolamento n. 1093/2010).

97.

Si potrebbe forse scartare immediatamente la prima alternativa della seconda ipotesi: laddove la Corte accerti che un’autorità ha adottato un atto non vincolante di diritto dell’Unione in violazione delle sue competenze, non vedo in che modo potrebbe effettivamente incombere alla Corte riunirsi e iniziare a redigere nuovamente l’atto in questione, giudizialmente, attraverso l’«interpretazione» di qualcosa che, per cominciare, non avrebbe mai dovuto esistere.

98.

Se non vado errato, per quanto concerne la prassi seguita dalla Corte sino ad oggi, essa non ha mai dichiarato l’invalidità di un atto non vincolante dell’Unione fino a tempi molto recenti ( 53 ). Ciò è forse dovuto, in parte, al fatto che, per quanto concerne tali atti, i giudici nazionali sono soliti proporre questioni di interpretazione ( 54 ). Tuttavia, è anche giusto riconoscere che (sinora) la Corte ha sempre riformulato le questioni di validità come questioni di interpretazione ( 55 ).

99.

L’esempio più chiaramente riconoscibile di tale «trasformazione» è forse contenuto nella sentenza della Grande Sezione nella causa Kotnik e a., in cui la Corte ha specificamente valutato varie questioni di validità come se si trattasse di questioni di interpretazione ( 56 ). Inoltre in altre due recenti occasioni, la Corte ha persino espressamente escluso la possibilità di esaminare la validità dell’atto in questione dopo aver concluso che si trattava di un atto privo di effetti vincolanti ( 57 ).

100.

Di conseguenza, in un certo senso, si può ritenere che la giurisprudenza della Corte fornisca una risposta alla domanda, forse un poco cruda, con cui ho aperto le presenti conclusioni: ciò che non ha mai visto la luce (come diritto) non può essere seppellito (dalla Corte). Tutto ciò che la Corte può fare è statuire con autorità che tale animale non è mai nato, poiché la fisionomia della madre esclude la possibilità che possa aver dato alla luce una simile creatura.

101.

In un certo senso, questa soluzione evita, perlomeno, alcuni dei problemi che possono sorgere nel caso in cui la Corte dichiari invalido, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, un atto che non può essere annullato ai sensi dell’articolo 263 TFUE, in quanto privo di effetti giuridici vincolanti. La Corte potrebbe continuare con tale approccio e dichiarare, quindi, nella presente causa, che l’interpretazione del combinato disposto degli articoli 1, 8 e 16 del regolamento n. 1093/2010 ostava all’adozione, da parte dell’ABE degli orientamenti controversi, a motivo dell’incompetenza dell’ABE ad adottarli.

102.

Inoltre, una simile risposta potrebbe risultare più appropriata rispetto a una risposta concernente la validità nell’ambito della terza questione, poiché, da un punto di vista formale, il giudice non ha proposto una questione di validità. Esso si è limitato a chiedere se l’ABE abbia ecceduto le sue competenze nell’adozione degli orientamenti controversi.

103.

Nel complesso, dunque, tale esito è possibile ( 58 ). A tutti i fini pratici, dichiarare che un animale non esiste non è molto diverso dall’affermare che, in primis, sua madre non avrebbe mai potuto darlo alla luce ( 59 ). Tale dichiarazione, tuttavia, ha il suo prezzo, poiché è essa stessa a dare origine a problemi. Per questo motivo insisto nel raccomandare alla Corte di fornire espressamente una risposta per quanto concerne la validità degli orientamenti controversi.

104.

In primo luogo, sebbene il giudice del rinvio abbia formulato la terza questione in termini di competenza, l’accertamento di incompetenza conduce, logicamente, all’annullamento o a una dichiarazione di invalidità ( 60 ). È alquanto difficile comprendere in che modo una dichiarazione di eccesso di poteri possa coesistere accanto a un atto che, in un certo senso, continua a rimanere sospeso a mezz’aria.

105.

In secondo luogo, e su un piano più sostanziale, si pone l’interrogativo se, in tal caso, spetti al giudice del rinvio agire sulla base della risposta fornita dalla Corte. Ci si chiede se, traendo le necessarie conseguenze da tale dichiarazione della Corte, il giudice nazionale possa quindi dichiarare esso stesso l’invalidità degli orientamenti; oppure se la dichiarazione di eccesso di poteri a livello dell’Unione lo legittimi ad annullare lo strumento «attuativo» nazionale di soft law.

106.

In ogni caso, in termini sistematici, tutte le opzioni ipotetiche a disposizione del giudice del rinvio menzionate supra sono insoddisfacenti dal punto di vista di complessi distinti di regole, di diritto dell’Unione e nazionali, e sono suscettibili di pregiudicare la giurisprudenza Foto-Frost. In linea di principio, spetta esclusivamente alla Corte occuparsi della (in)validità di atti di diritto dell’Unione. Di converso, i giudici nazionali possono annullare soltanto atti di origine nazionale. In generale, fornire risposte alla stregua delle quali «un atto di diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che osta a un altro atto» è opportuno per atti nazionali, e non per atti dell’Unione (siano essi vincolanti o meno). Questa costruzione è effettivamente necessaria nel caso della normativa nazionale, poiché la Corte è competente a interpretare il diritto dell’Unione, ma non a valutare il diritto nazionale. Di converso, tale struttura non è appropriata nel caso in cui gli orientamenti controversi siano atti dell’Unione poiché, in linea di principio, la Corte è competente non soltanto a controllarli, ma anche ad annullarli o a dichiararli invalidi.

107.

In terzo luogo, la riformulazione di una questione di validità in una questione di interpretazione equivale a un’importante revisione (o, perlomeno, a una limitazione della portata) della giurisprudenza Grimaldi. Diversamente da quanto statuito in tale sentenza e da ciò che è stato in seguito sovente ribadito ( 61 ), la Corte non sarebbe competente a pronunciarsi sulla «validità (...) degli atti adottati dalle istituzioni [dell’Unione], senza alcuna eccezione». La Corte sarebbe quindi privata della possibilità di pronunciarsi sulla validità degli atti non vincolanti dell’Unione ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Vi sarebbe, dunque, un’ampia eccezione alla competenza della Corte, che con la proliferazione degli strumenti di soft-law sarebbe destinata a crescere ininterrottamente, tanto ai sensi dell’articolo 267, quanto ai sensi dell’articolo 263 TFUE.

108.

In quarto luogo, infine, limitare la portata della giurisprudenza Grimaldi significherebbe, in un certo senso, reintrodurre una certa coerenza fra l’articolo 263 e l’articolo 267 TFUE. Tuttavia, siffatta coerenza si attesterebbe al minimo comune denominatore e opererebbe a discapito della tutela giurisdizionale effettiva prevista dal diritto dell’Unione. Ciò significherebbe che, non essendovi un accesso effettivo al controllo giurisdizionale di atti di soft law ai sensi dell’articolo 263 TFUE, sarebbe opportuno che non vi fosse accesso neppure ai sensi dell’articolo 267.

109.

Nella sezione di chiusura delle presenti conclusioni (C) spiegherò il motivo e il modo in cui tale logica non è corretta in termini strutturali. Tuttavia, al fine di fornire una risposta alla terza questione, suggerisco alla Corte di scegliere la risposta più semplice, chiara e, indubbiamente, onesta: gli orientamenti controversi devono essere dichiarati invalidi poiché l’ABE ha agito al di fuori delle competenze ad essa attribuite dal regolamento n. 1093/2010.

C.   Sulla prima e sulla seconda questione: il rapporto tra gli articoli 263 e 267 TFUE

110.

Soltanto a questo punto è possibile apprezzare pienamente i problemi più ampi sollevati dalla prima e dalla seconda questione del giudice del rinvio. Così, nel prosieguo, mi occuperò di entrambe tali questioni, in sequenza. Inizierò con la seconda parte della prima e della seconda questione, che riguardano la legittimazione ad agire della FBF dinanzi ai giudici nazionali (1). Quindi, mi occuperò della giurisprudenza Foto-Frost e della questione se un giudice nazionale sia tenuto a proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte nel caso in cui ciò che stia ponderando assomigli molto a una «disabilitazione» dell’applicazione nazionale di un atto non vincolante dell’Unione (2). Infine, mi soffermerò sul rapporto complessivo tra gli articoli 263 e 267 TFUE per quanto concerne atti non vincolanti del diritto dell’Unione, sotteso alla prima parte della prima e della seconda questione (3). Tale approccio mi condurrà, infine, a una conclusione alquanto insoddisfacente in merito allo stato complessivo del diritto dell’Unione in tale settore, e a chiedermi in che modo (se possibile) le sentenze nelle cause Grimaldi, Foto-Frost e Belgio/Commissione possano essere riconciliate per quanto concerne strumenti di soft law (4).

1. Legittimazione ad agire ai sensi dell’articolo 263 TFUE e dell’articolo 267 TFUE (seconda parte della prima e della seconda questione)

111.

Se considerata come appare e letta autonomamente ( 62 ), la seconda parte della prima questione è irricevibile, poiché la causa in esame non è un ricorso di annullamento. Alla seconda parte della seconda questione dovrebbe rispondersi nel senso che la questione concernente il momento e le modalità in cui una parte di un procedimento nazionale può sollevare un’eccezione di illegittimità è disciplinata dal diritto nazionale, e non dal diritto dell’Unione.

112.

Tuttavia, interpretando la prima e la seconda questione congiuntamente e collocandole nel contesto della presente causa, risulta che la preoccupazione del giudice del rinvio riguarda, di fatto, lo «scenario TWD»: una situazione in cui un ricorrente, che avrebbe potuto proporre un ricorso di annullamento avverso un atto dell’Unione dinanzi alla Corte di giustizia, ma non lo ha fatto, non può contestare la validità di una misura nazionale di attuazione di tale atto dinanzi a un giudice nazionale.

113.

Ai sensi della giurisprudenza TWD ( 63 ), come affinata, da ultimo, nella causa Georgsmarienhütte e a. ( 64 ), qualora un soggetto che intende contestare un atto dell’Unione sia certamente legittimato ad agire ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, egli è tenuto ad avvalersi del mezzo di impugnazione previsto da tale disposizione proponendo un ricorso dinanzi al Tribunale. Di conseguenza, la possibilità per il singolo di eccepire, dinanzi al giudice nazionale adito, l’invalidità delle disposizioni contenute negli atti dell’Unione presuppone che tale parte non fosse legittimata a proporre, in forza dell’articolo 263 TFUE, un ricorso diretto contro tali disposizioni.

114.

Nella presente causa, il giudice del rinvio chiede, in primo luogo, se una federazione professionale, quale la FBF, avrebbe potuto impugnare gli orientamenti controversi dell’ABE mediante un ricorso di annullamento, al fine di accertare, nelle circostanze della causa in esame, se essa conservasse la legittimazione a contestare la legittimità di un atto nazionale (il parere dell’ACPR) attuativo degli orientamenti dell’ABE.

115.

Nel contesto di una causa concernente un vero e proprio atto di soft law, ritengo che tali considerazioni non siano affatto pertinenti. Ciò premesso, anche nel caso in cui dette considerazioni siano pertinenti, esse sono ingiustificate.

116.

In primo luogo, poiché secondo l’impostazione tradizionale della Corte gli orientamenti dell’ABE non sono vincolanti ( 65 ), un ricorso di annullamento dinanzi alla Corte di giustizia sarebbe, in ogni caso, irricevibile, a motivo della natura dell’atto dell’Unione in questione, indipendentemente dalla questione se il ricorrente sia direttamente e individualmente interessato. Sino ad oggi, nell’impostazione della Corte, in presenza di un vero e proprio atto di soft law, non vi è, di fatto, alcun atto impugnabile. Nella prassi, siffatta valutazione (oggettiva) precede, persino, qualsiasi valutazione concernente la legittimazione ad agire (alquanto soggettiva) di una determinata persona. Di conseguenza, in un certo senso, se non vi è un atto impugnabile, nessuno può richiedere il controllo di tale atto ai sensi dell’articolo 263 TFUE.

117.

In secondo luogo, e in ogni caso, la giurisprudenza TWD non sarebbe applicabile al caso di specie e, più in generale, è assai difficile che possa trovare applicazione in una causa concernente atti di soft law.

118.

La ragione è semplice. La giurisprudenza TWD e le pronunce che l’hanno seguita esigono che vi sia un «indubbio diritto» di proporre un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE affinché allo stesso ricorrente sia preclusa l’attivazione di un controllo ai sensi dell’articolo 267 TFUE ( 66 ). Tuttavia, è quasi impossibile affermare che una federazione professionale che protegge gli interessi dei suoi membri, quale la FBF, sia titolare di un indubbio diritto a proporre un ricorso ai sensi dell’articolo 263 TFUE avverso atti non vincolanti dell’Unione quali gli orientamenti controversi. Infatti, per quanto concerne gli atti di soft law, occorre sempre valutare, in primo luogo, se tale atto sia o meno un vero e proprio atto giuridico non vincolante, il che, di per sé, costituisce già una valutazione alquanto complessa. Inoltre, la successiva questione che si pone sarebbe se un’associazione o altro organismo che difende gli interessi dei suoi membri siano individualmente e direttamente interessati e beneficino, dunque, della legittimazione ad agire ( 67 ).

119.

Tutto ciò equivale a un tipo di valutazione complessa ben differente dalla logica e della finalità dell’eccezione TWD ( 68 ). Tale eccezione deve essere debitamente limitata alla ricevibilità manifesta. Essa non può essere estesa ai casi di ricevibilità potenziale, in cui l’effettiva valutazione delle condizioni di cui all’articolo 263 TFUE è provvisoriamente scritta a margine dell’articolo 267 TFUE, imponendo quindi ai giudici nazionali di esaminarli in parallelo. Non può neppure essere capovolta, facendola diventare un’irricevibilità manifesta.

120.

Ne consegue che, ai sensi del diritto dell’Unione, una federazione professionale può certamente contestare mediante eccezione, la validità di orientamenti dell’Unione rivolti ai membri di cui difende gli interessi, anche nel caso in cui essi non la riguardino né direttamente né individualmente. Il momento e il modo in cui possa eventualmente farlo, ai sensi del diritto e delle procedure nazionali, è una questione completamente diversa, il cui esame spetta al giudice del rinvio.

2. Se la giurisprudenza Foto-Frost sia applicabile ad atti non vincolanti

121.

Prima di occuparmi della questione strutturale globale sollevata dal giudice del rinvio in merito al grado di (dis)connessione tra gli articoli 263 e 267 TFUE, per quanto concerne il controllo della validità di atti di soft law, vi è un altro pezzo del puzzle che deve essere oggetto di discussione: la giurisprudenza Foto-Frost.

122.

La sentenza nella causa Foto-Frost e le sue implicazioni sul controllo nazionale degli atti non vincolanti sono state richiamate dal giudice nella sua decisione di rinvio, ma non sono sfociate nella proposizione di una questione specifica alla Corte. La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, infatti, è il risultato dell’applicazione, da parte del giudice del rinvio, delle due sentenze nella causa Grimaldi e Foto-Frost al contesto specifico degli atti non vincolanti, nel caso in cui il diritto nazionale, a differenza del diritto dell’Unione, permetta il controllo diretto di atti di soft law. In tale situazione, ci si chiede se ai giudici nazionali incomba il dovere di interpellare la Corte in merito alla validità degli orientamenti controversi, in applicazione della giurisprudenza Foto-Frost. In alternativa, ci si chiede se si tratti di una mera facoltà offerta dalla giurisprudenza Grimaldi ( 69 ).

123.

Nella sentenza Foto-Frost la Corte ha affermato che i giudici nazionali hanno il dovere di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte concernente la validità di un atto di diritto dell’Unione, salvo che ritengano infondati i motivi di invalidità addotti ( 70 ). La ratio espressa a sostegno di tale obbligo, che non è previsto nel testo del Trattato ( 71 ), è duplice: in primo luogo, l’esigenza di uniformità è particolarmente imperiosa quando sia in causa la validità di un atto dell’Unione, affinché non vi siano divergenze tra i giudici nazionali a tale riguardo. In secondo luogo, la coerenza del sistema di tutela giurisdizionale e del sistema completo di rimedi giuridici dell’Unione (in particolare, la competenza esclusiva dell’Unione ad annullare gli atti dell’Unione) esige che, quando la validità di un atto dell’Unione è contestata dinanzi a un giudice nazionale, la competenza a dichiarare l’invalidità di tale atto debba essere riservata alla Corte ( 72 ).

124.

A differenza della Commissione, non vedo in che modo tale logica e le due ragioni previste possano applicarsi a veri e propri atti di soft law.

125.

In primo luogo, per quanto concerne il requisito dell’uniformità, è vero che, sulla base di una certa interpretazione, le autorità nazionali competenti che decidano di conformarsi agli orientamenti controversi dovrebbero farlo nello stesso modo in tutta l’Unione. In particolare, l’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1093/2010 attribuisce all’ABE la competenza ad adottare tali orientamenti al fine di «assicurare l’applicazione comune, uniforme e coerente del diritto dell’Unione». Pertanto, l’uniformità a cui si ambisce non sarebbe un’uniformità all’interno dell’Unione e del mercato interno nel loro complesso, bensì un’uniformità nelle singole e alquanto accidentali realtà normative limitate agli Stati membri le cui autorità competenti hanno deciso di conformarsi agli orientamenti.

126.

Mi chiedo, tuttavia, se questo sia il tipo di uniformità prospettato nella sentenza Foto-Frost. Si pone l’interrogativo se siffatta uniformità sia categoricamente richiesta anche per quanto concerne atti in relazione ai quali non vi è, per definizione, tale uniformità, come nel caso di atti che, semplicemente, possono (e non devono) essere applicati. Per quanto concerne, in particolare, gli orientamenti e le raccomandazioni dell’ABE, l’articolo 16, paragrafo 3, del regolamento n. 1093/2010 precisa che le autorità nazionali competenti possono decidere di non conformarvisi. Inoltre, se un giudice nazionale decidesse, senza l’assistenza della Corte, di annullare un atto nazionale attuativo di un atto non vincolante dell’Unione, in termini pratici ciò avrebbe lo stesso effetto di una decisione dell’autorità competente di non conformarvisi.

127.

In secondo luogo, l’argomento tratto dalla coerenza del sistema di tutela giurisdizionale e dal sistema completo di rimedi giurisdizionali dell’Unione è, se possibile, ancora più affascinante. Nella causa Foto-Frost, la Corte ha suggerito, in sostanza, che l’obbligo di sottoporre una questione pregiudiziale di validità è giustificato dal fatto che la Corte stessa fornisce, per quanto concerne gli atti di diritto dell’Unione, un controllo giurisdizionale effettivo comparabile a quello assicurato dai giudici nazionali.

128.

Tuttavia, attualmente, a livello orizzontale, l’accesso al controllo di atti non vincolanti di diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 263 TFUE, semplicemente, non è possibile, non essendovi, per cominciare, un atto impugnabile, il che significa che il ricorso di annullamento è considerato irricevibile. A livello verticale, l’assenza di equivalenza nella tutela giurisdizionale risulta persino più marcata se posta a confronto con (taluni) giudici nazionali, quali il giudice del rinvio nella causa in esame, che, di fatto, garantiscono una (certa) tutela giurisdizionale effettiva per quanto attiene agli atti non vincolanti ( 73 ).

129.

Così, semmai, la coerenza in termini di tutela giurisdizionale effettiva impone, per quanto concerne atti non vincolanti dell’Unione, l’esito esattamente opposto: ossia, chiaramente, che la giurisprudenza Foto-Frost non possa essere applicata a tali atti. Mi è difficile dare un senso all’argomento secondo cui, poiché i giudici dell’Unione non garantiscono una tutela effettiva nei confronti di veri e propri atti di soft law, tale tutela inesistente dovrebbe essere centralizzata dinanzi alla Corte.

130.

Se così fosse, credo che si tratterebbe di uno dei pochi casi in cui l’applicazione dell’articolo 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») potrebbe decisamente entrare in gioco. Non avrei grossi dubbi sul fatto che un sistema giuridico nazionale che permetta l’accesso dei singoli a una tutela giurisdizionale effettiva avverso atti non vincolanti che incidono sulla loro situazione giuridica garantisca un livello di tutela giurisdizionale che, di fatto, è (più) elevato rispetto a quello assicurato dalla Corte.

131.

In sintesi, sulla base della sua logica e della sua finalità, la giurisprudenza Foto-Frost non è applicabile agli atti non vincolanti dell’Unione. Ciò significa, in termini pratici, che un giudice nazionale è legittimato, se il diritto nazionale gli attribuisce tale competenza, ad annullare l’atto nazionale di «incorporazione» o di «attuazione» che ha reso applicabile nel territorio nazionale un atto di soft law dell’Unione, senza essere obbligato a proporre previamente alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale al riguardo. Del pari, il «parallelismo dei motivi di contestazione», affermato dalla Corte nella causa Melki e Abdeli ( 74 ), che impone l’obbligo di effettuare un rinvio pregiudiziale, non è applicabile, parimenti, agli atti non vincolanti dell’Unione. Naturalmente, ciò non impedisce ai giudici nazionali di proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale sull’interpretazione di uno strumento non vincolante o della normativa su cui si basa. Tuttavia, semplicemente, la logica della centralizzazione delle questioni di validità insita nella giurisprudenza Foto-Frost non è applicabile agli atti non vincolanti dell’Unione.

132.

Siffatta conclusione può sembrare radicale, ma soltanto a coloro che, internamente, credono in qualcosa di diverso da ciò che dichiarano all’esterno. Se crediamo realmente che la soft law dell’Unione non sia vincolante e non produca alcun effetto giuridico, mi chiedo per quale motivo dovrebbe sconvolgerci l’idea che i giudici nazionali possano trattare a loro piacimento gli atti nazionali attuativi di tali semplici indicazioni. La coerenza è la chiave. Si può ritenere che tali atti producano, di fatto, alcuni effetti (ma, in tal caso, l’accesso ai giudici dell’Unione dovrebbe essere garantito) oppure che non producano alcun effetto giuridico (e, in tal caso, occorrerebbe interrogarsi sul motivo per cui il loro annullamento da parte di un giudice nazionale porrebbe un problema). Nella migliore delle ipotesi, tale giudice si starebbe impegnando in un esercizio del tutto inutile, ossia uccidere qualcosa che è sempre stato morto.

133.

L’unica opzione che pone un problema è quella secondo cui, per quanto concerne l’accesso ai giudici dell’Unione ai sensi dell’articolo 263 TFUE, un atto non produce alcun effetto giuridico vincolante, con la conseguenza che non è previsto alcun accesso al giudice. Tuttavia, quando lo stesso problema si pone ai sensi dell’articolo 267 TFUE, lo stesso atto risorgerebbe miracolosamente, pieno di vita, contestualmente persino all’attivazione dell’obbligo previsto dalla giurisprudenza Foto-Frost. L’immagine assai preoccupante che emerge da tale dissonanza è che la natura di un atto di diritto dell’Unione muterebbe a seconda che esso concerna, da un lato, l’accesso alla Corte o, dall’altro, gli obblighi dei giudici nazionali.

3. Accesso alla Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE e accesso ai sensi dell’articolo 263 TFUE: se il sistema di rimedi giuridici sia completo (prima parte della prima e della seconda questione)

134.

La questione strutturale, di ordine generale, che ha iniziato parzialmente a emergere nelle parti precedenti della presente sezione è la seguente: ci si chiede in che misura sia possibile affermare che un atto dell’Unione non giuridicamente vincolante (e, dunque, non suscettibile di controllo ai sensi dell’articolo 263 TFUE) possa comunque essere sottoposto a controllo e, eventualmente, dichiarato invalido ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Infatti, entrambi i punti precedenti, ossia l’eccezione TWD nonché la logica sottesa alla giurisprudenza Foto-Frost, si fondano sulla presunzione che esista un sistema di tutela giurisdizionale di diritto dell’Unione che deve operare come un tutt’uno.

135.

Tuttavia, vi sono anche una serie di argomenti i quali suggeriscono che sia possibile, in realtà, un certo grado di dissociazione tra i due tipi di procedimenti, in particolare per quanto concerne atti non vincolanti di diritto dell’Unione.

136.

In primo luogo, vi è una chiara differenza testuale. Infatti, il primo comma dell’articolo 263 TFUE limita il campo di applicazione di tale disposizione agli atti che producono effetti giuridici nei confronti di terzi, e ad esso la giurisprudenza della Corte ha aggiunto che si deve trattare di effetti giuridici vincolanti. Soltanto tali atti sono impugnabili ai sensi dell’articolo 263 TFUE ( 75 ). Di converso, un’analoga limitazione non si rinviene nel testo, né nella giurisprudenza costante concernente il campo di applicazione dell’articolo 267 TFUE. Infatti, come confermato dalla Corte in una serie di occasioni, nel filone giurisprudenziale sorto dalla sentenza Grimaldi, l’articolo 267 TFUE attribuisce alla Corte la competenza a statuire, in via pregiudiziale, sulla validità e sull’interpretazione degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, senza alcuna eccezione ( 76 ).

137.

In secondo luogo, nel sottolineare la coerenza del sistema, la Corte ha altresì insistito sul fatto che vi è un «sistema completo di rimedi» offerto dal diritto dell’Unione. Secondo la Corte, con gli articoli 263 e 277 TFUE, da un lato, e con l’articolo 267, dall’altro, il Trattato ha istituito un sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti inteso ad assicurare il controllo della legittimità degli atti dell’Unione e ha affidato tale controllo ai giudici dell’Unione ( 77 ). Sin dalla sentenza nella causa Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio ( 78 ), l’«approccio basato sul sistema completo di rimedi» ha permesso ai ricorrenti non privilegiati di adire la Corte nel contesto dell’articolo 267 TFUE quando non era loro possibile ai sensi dell’articolo 263 TFUE, a causa dei rigorosi requisiti rappresentati dalle condizioni dell’interesse diretto e individuale.

138.

In altri termini, affinché siano completi, i singoli procedimenti devono essere complementari. Questo è il fondamento su cui la maggior parte della giurisprudenza in tale settore è stata costruita nel corso degli ultimi trent’anni, da quando la porta (dell’accesso diretto) è stata (ri)chiusa nella causa Unión de Pequeños Agricultores. In questa logica, infatti, le condizioni e l’accesso ai sensi degli articoli 263 e 267 TFUE sono stati per l’appunto dissociati: l’accesso relativamente limitato ai sensi dell’articolo 263 TFUE avrebbe dovuto essere affiancato da un accesso molto ampio ai sensi dell’articolo 267 TFUE, mentre i giudici nazionali ne sarebbero divenuti, di fatto, i guardiani.

139.

Nella presente causa, il governo francese, nonché il giudice del rinvio, hanno ampiamente citato la giurisprudenza della Corte a tale riguardo, e si sono basati su tale logica per affermare la possibilità di sottoporre domande di pronuncia pregiudiziale sulla validità di atti dell’Unione non vincolanti nel caso in cui sia precluso un ricorso di annullamento.

140.

In terzo luogo, anche la complementarietà e la conseguente dissociazione che ne deriva sarebbero necessarie al fine di salvaguardare un certo grado di accesso a un rimedio effettivo conforme all’articolo 47 della Carta. Infatti, se atti dell’Unione che incidono sulla situazione giuridica di un singolo non potessero mai, da un punto di vista strutturale, essere sottoposti all’attenzione della Corte, ciò sarebbe totalmente incompatibile con i rigidi requisiti recentemente coniati dalla Corte ai sensi di tale disposizione ( 79 ) o, persino, ai sensi dell’articolo 19 TUE ( 80 ).

141.

Tuttavia, siffatta dissociazione tra gli articoli 263 e 267 TFUE per quanto concerne il controllo degli atti non vincolanti dell’Unione non è priva di sfide intellettuali, alcune delle quali strutturalmente gravose.

142.

In primo luogo, a livello concettuale, è difficile comprendere, alla luce della natura degli atti non vincolanti dell’Unione, in che modo una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla validità di un atto non vincolante dell’Unione sia consentita, al contrario di un ricorso di annullamento. Un atto che nessun ricorrente potrebbe impugnare ai sensi dell’articolo 263 TFUE diverrebbe, improvvisamente, un atto che chiunque potrebbe contestare ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

143.

Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, il rinvio pregiudiziale per accertamento di validità costituisce, al pari del ricorso d’annullamento, uno strumento di controllo della legittimità degli atti dell’Unione ( 81 ). Mentre il loro esito, nel caso in cui sia accertata un’incompatibilità tra l’atto dell’Unione in questione e un atto dell’Unione di rango più elevato, è leggermente differente da un punto di vista formale (segnatamente, l’annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, in contrapposizione alla dichiarazione di invalidità ai sensi dell’articolo 267 TFUE), essi condividono gli stessi effetti erga omnes e, in generale, ex tunc: l’atto dell’Unione in questione deve essere considerato nullo e non può più trovare applicazione ( 82 ).

144.

Di conseguenza, logicamente, o gli atti dell’Unione sono vincolanti e, quindi, possono essere annullati o dichiarati invalidi ai sensi dell’articolo 263 TFUE o dell’articolo 267 TFUE, oppure non sono vincolanti e, quindi, non sono suscettibili di controllo e, a fortiori, non possono essere dichiarati nulli o invalidi ai sensi dell’articolo 263 TFUE, dell’articolo 267 TFUE.

145.

In secondo luogo, se non vi è un atto suscettibile di controllo, non è neppure immediatamente evidente il motivo per cui dovrebbe applicarsi la logica sottesa al «sistema completo di rimedi». A tale riguardo, la giurisprudenza della Corte costituisce, in sostanza, uno strumento per sopperire l’assenza di legittimazione ad agire (soggettiva) dei singoli in un procedimento (articolo 263 TFUE), indicando i casi in cui tale condizione non è presente in un altro procedimento (articolo 267 TFUE). L’obiettivo era quello di tentare di ristabilire una sorta di equilibrio tra i ricorrenti privilegiati e non privilegiati. Non si tratta affatto di uno strumento per la creazione di un accesso alla Corte ai sensi dell’articolo 267 TFUE nel caso in cui tale accesso sia precluso a chiunque, ivi compresi i ricorrenti privilegiati, ai sensi dell’articolo 263 TFUE.

146.

Inoltre, così facendo, si capovolgerebbe la distinzione, che ha alimentato gran parte della giurisprudenza sull’articolo 263 TFUE ma che non è presente nell’ambito dell’articolo 267 TFUE, tra ricorrenti privilegiati e non privilegiati per quanto concerne il controllo degli atti non vincolanti dell’Unione. Mentre, da un lato, nella causa Belgio/Commissione, a un ricorrente privilegiato (uno Stato membro), è stata negata la possibilità di impugnare un atto non vincolante dell’Unione per quanto attiene al profilo dell’incompetenza dell’Unione ad adottare tale atto ( 83 ), questo stesso motivo, invece, potrebbe essere utilizzato da qualsiasi ricorrente individuale, senza dover dimostrare alcun interesse diretto e individuale, mediante l’articolo 267 TFUE.

147.

Tutto ciò significherebbe, in termini pratici, che, al fine di ottenere il controllo di un atto non vincolante dell’Unione, i ricorrenti privilegiati si troverebbero nella stessa posizione dei singoli, se non in una posizione peggiore. Ad esempio, uno Stato membro dovrebbe contestare indirettamente l’attuazione di un atto nazionale (presumibilmente un suo stesso atto) dinanzi a un giudice nazionale. In alternativa, poiché non è neppure chiaro se le norme procedurali nazionali possano consentire siffatto tipo di impugnazione, le autorità degli Stati membri dovrebbero incrociare le dita e sperare che: a) un singolo contesti l’atto di attuazione; b) il giudice nazionale permetta alle autorità dello Stato di intervenire nel procedimento principale; c) tale giudice adisca la Corte con una domanda di pronuncia pregiudiziale (di interpretazione o validità), in modo che le autorità dello Stato possano eventualmente perorare la loro causa dinanzi alla Corte. La situazione sarebbe ancora più affascinante con riguardo a un altro tipo di ricorrente privilegiato, ossia le istituzioni dell’Unione.

148.

In terzo luogo, e infine, vi è un altro argomento, alquanto pragmatico, concernente il motivo per cui ha poco senso argomentare a favore di un ampio accesso al controllo giurisdizionale degli atti non vincolanti ai sensi dell’articolo 267 TFUE mentre, di fatto, è precluso l’accesso ai sensi dell’articolo 263 TFUE: una ponderata assegnazione dei ruoli all’interno della Corte di giustizia dell’Unione europea. Tale argomento non concerne il tema specifico della soft law, ma riguarda, in generale, la politica giudiziaria degli ultimi trent’anni in materia di accesso complessivamente ristretto ai sensi dell’articolo 263 TFUE, accompagnato da un libero accesso ai sensi dell’articolo 267 TFUE ( 84 ). In conseguenza a tale politica giudiziaria, questioni che, altrimenti, sarebbero state trattate al livello del sistema giudiziario attualmente caratterizzato tanto dalle necessarie competenze, quanto dalle risorse in termini di struttura giudiziaria, ossia il Tribunale, sono invece giunte direttamente alla Corte, sotto forma di domande di pronuncia pregiudiziale.

4. Conclusione (strutturalmente) insoddisfacente (ma necessaria)

149.

Grimaldi, Foto-Frost e Belgio/Commissione: trovo alquanto difficile, se non impossibile, applicare tutte e tre queste pronunce contemporaneamente nel contesto di una causa quale quella in esame. Immaginare un modo per riconciliare tutte le tre sentenze per quanto concerne gli atti non vincolanti dell’Unione ricorda una partita di scacchi in fase di stallo, in cui, indipendentemente dalla mossa che si decida di fare, il risultato è la perdita inevitabile di almeno un pezzo.

150.

A mio avviso, è ben chiaro quale delle tre debba essere rivista. Tuttavia, ciò non può essere fatto attraverso un rinvio pregiudiziale. Ritengo che la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame serva semplicemente a mettere in luce, come esempio molto utile, ciò che accadrebbe se la Corte rimanesse intrappolata in dicotomie, che si trascinano da decenni, consistenti nell’idea che il diritto possa essere vincolante al 100% oppure inesistente. Alla fine, qualcun altro potrà sentire il dovere di fare un passo avanti e garantire la necessaria tutela giurisdizionale che la Corte non è disponibile a fornire ai sensi dell’articolo 263 TFUE.

151.

Tuttavia, per quanto concerne l’esito specifico della causa in esame, la Corte ha a sua disposizione, almeno teoricamente, tre opzioni.

152.

In primo luogo, per cominciare, essa potrebbe trasporre il requisito concernente la necessità che vi sia un atto giuridicamente vincolante di diritto dell’Unione (vale a dire un atto impugnabile) all’articolo 263 TFUE quanto alla facoltà di proporre una domanda di rinvio pregiudiziale di validità ai sensi dell’articolo 267 TFUE. Tuttavia, in tal caso, la Corte non terrebbe conto della formulazione dell’articolo 267, primo comma, TFUE, modificando la sentenza Grimaldi e rendendo chiaramente non applicabile la giurisprudenza Foto-Frost a tali non atti. Inoltre, è necessario spendere alcune parole sul requisito della «coerenza» dei rimedi giurisdizionali, la quale fa sì che non vi sia, nell’interesse di tale coerenza, alcun rimedio. Tuttavia, da un punto di vista formale, riservare a chiunque un trattamento egualmente sfavorevole è, in un certo senso, un’operazione effettivamente coerente.

153.

In secondo luogo, la Corte potrebbe riformulare la terza questione del giudice del rinvio come se vertesse sull’interpretazione della base giuridica degli orientamenti controversi, e non della loro validità ( 85 ). Ciò equivarrebbe a una parziale modifica della giurisprudenza Grimaldi, salvo poterla eventualmente inquadrare come «precisazione» di tale sentenza: laddove, nella sentenza Grimaldi e in tutta la giurisprudenza successiva, la Corte ha continuato a insistere sulla possibilità di proporre questioni di validità concernenti «gli atti [dell’Unione], senza alcuna eccezione», si è sempre sottinteso che ciò significasse, in realtà «gli atti giuridicamente vincolanti di diritto dell’Unione, senza alcuna eccezione» ( 86 ). Di conseguenza, neppure la giurisprudenza Foto-Frost sarebbe applicabile a tali atti.

154.

In terzo luogo, qualora la Corte ritenga che l’ABE abbia ecceduto le sue competenze, essa potrebbe, naturalmente, dichiarare invalidi gli orientamenti controversi. Ciò significherebbe confermare e applicare la giurisprudenza Grimaldi, ma rivisitando indirettamente la giurisprudenza Belgio/Commissione. Certamente, da un punto di vista formale, quest’ultimo precedente e il filone giurisprudenziale pregresso che esso ha scolpito nella pietra per quanto concerne la natura di un atto impugnabile ai sensi dell’articolo 263 TFUE, rimarrebbero intatti. Tuttavia, per le ragioni esposte nella precedente sezione, concernenti il grado di possibile dissonanza tra gli articoli 263 e 267 TFUE ( 87 ), mi chiedo per quanto a lungo potrà essere ragionevolmente mantenuta tale differenziazione.

155.

Ciò detto, anche a prescindere da tutte queste questioni, fintantoché non vi sia una tutela giurisdizionale effettiva contro eventuali effetti giuridici pregiudizievoli di atti non vincolanti dell’Unione ai sensi dell’articolo 263 TFUE, proporre una domanda di pronuncia pregiudiziale di validità ai sensi dell’articolo 267 TFUE in riferimento a tali stessi atti rimane l’unico modo attraverso il quale la Corte può garantire, perlomeno, la parvenza di un sistema completo di rimedi nel diritto dell’Unione. Questa, di fatto, è l’unica conclusione possibile, sebbene strutturalmente insoddisfacente, in termini di tutela giurisdizionale effettiva.

V. Conclusione

156.

Propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia), nel modo seguente:

L’articolo 267 TFUE autorizza la proposizione di una domanda di pronuncia pregiudiziale di validità di atti non vincolanti dell’Unione, quali gli orientamenti sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio, adottati dall’Autorità bancaria europea il 22 marzo 2016;

L’articolo 267 TFUE non osta a che una federazione professionale contesti, mediante eccezione sollevata dinanzi a un giudice nazionale e conformemente alle regole sulla legittimazione ad agire previste dal diritto nazionale, la validità degli orientamenti destinati ai membri di cui difende gli interessi e che possano non riguardarla né direttamente né individualmente;

L’oggetto e il contenuto degli orientamenti sui dispositivi di governance e di controllo sui prodotti bancari al dettaglio, adottati dall’Autorità bancaria europea il 22 marzo 2016, non rientrano nell’ambito di applicazione degli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1093/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/78/CE della Commissione. Pertanto, tali orientamenti non sono validi.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Orientamenti del 22 marzo 2016 (EBA/GL/2015/18).

( 3 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), modifica la decisione n. 716/2009/CE e abroga la decisione 2009/78/CE della Commissione (GU 2010, L 331, pag. 12).

( 4 ) Sentenza del 13 dicembre 1989, Grimaldi (C‑322/88, EU:C:1989:646; in prosieguo: la sentenza «Grimaldi»).

( 5 ) Sentenza del 22 ottobre 1987, Foto-Frost (314/85, EU:C:1987:452; in prosieguo: la sentenza «Foto-Frost»).

( 6 ) Sentenza del 20 febbraio 2018, Belgio/Commissione (C‑16/16 P, EU:C:2018:79; in prosieguo: la sentenza «Belgio/Commissione»).

( 7 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2002, relativa alla vigilanza supplementare sugli enti creditizi, sulle imprese di assicurazione e sulle imprese di investimento appartenenti ad un conglomerato finanziario e che modifica le direttive 73/239/CEE, 79/267/CEE, 92/49/CEE, 92/96/CEE, 93/6/CEE e 93/22/CEE del Consiglio e le direttive 98/78/CE e 2000/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2003, L 35, pag. 1).

( 8 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l’avvio, l’esercizio e la vigilanza prudenziale dell’attività degli istituti di moneta elettronica, che modifica le direttive 2005/60/CE e 2006/48/CE e che abroga la direttiva 2000/46/CE (GU 2009, L 267, pag. 7).

( 9 ) Regolamento del 26 giugno 2013, relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento e che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 (GU 2013, L 176, pag. 1).

( 10 ) Direttiva del 26 giugno 2013, sull’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento, che modifica la direttiva 2002/87/CE e abroga le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE (GU 2013, L 176, p. 338).

( 11 ) Direttiva del 16 aprile 2014, relativa ai sistemi di garanzia dei depositi (GU 2014, L 173, pag. 149).

( 12 ) Regolamento del 20 maggio 2015, riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il regolamento (CE) n. 1781/2006 (GU 2015, L 141, pag. 1).

( 13 ) Direttiva del 25 novembre 2015 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, che modifica le direttive 2002/65/CE, 2009/110/CE e 2013/36/UE e il regolamento (UE) n. 1093/2010, e abroga la direttiva 2007/64/CE (GU 2015, L 337, pag. 35).

( 14 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori e che modifica la direttiva 90/619/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 98/27/CE (GU 2002, L 271, pag. 16).

( 15 ) Direttiva del 20 maggio 2015, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo, che modifica il regolamento (UE) n. 648/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 2005/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2006/70/CE della Commissione (GU 2015, L 141, pag. 73).

( 16 ) Regolamento del 15 ottobre 2013, che attribuisce alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche in materia di vigilanza prudenziale degli enti creditizi (GU 2013, L 287, pag. 63).

( 17 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE e 2006/48/CE, che abroga la direttiva 97/5/CE (GU 2007, L 319, pag. 1).

( 18 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010 (GU 2014, L 60, pag. 34).

( 19 ) V. sentenza Grimaldi (punto 8); sentenza del 13 giugno 2017, Florescu e a. (C‑258/14, EU:C:2017:448, punto 30); Belgio/Commissione (punto 44); e sentenza del 27 febbraio 2018, Western Sahara Campaign UK (C‑266/16, EU:C:2018:118, punto 44). V. anche, in una causa pendente, nel contesto di raccomandazioni dell’ABE, le conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Balgarska Narodna Banka (C‑501/18, EU:C:2020:729, paragrafi da 95 a 102).

( 20 ) V., per quanto concerne le raccomandazioni dell’Unione, sentenze Grimaldi (punti da 8 a 18), e Belgio/Commissione (C‑16/16 P, EU:C:2018:79, punto 44).

( 21 ) V., per esempio, sentenza del 18 luglio 2013, Consiglio Nazionale dei Geologi (C‑136/12, EU:C:2013:489, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

( 22 ) V., ad esempio, sentenza del 27 novembre 2012, Pringle (C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

( 23 ) Conclusioni della sig.ra Emilie Bokdam, rapporteur public, del 4 dicembre 2019 nella causa n. 415550 – Fédération bancaire française (disponibile all’indirizzo Internet: https://www.conseil-etat.fr).

( 24 ) V., ad esempio, sentenze del 31 marzo 1971, Commissione/Consiglio (22/70, EU:C:1971:32, punti 3942) e del 25 ottobre 2017, Romania/Commissione (C‑599/15 P, EU:C:2017:801, punti 4748); e Belgio/Commissione (punti 31 e 32).

( 25 ) Come definite all’articolo 4, paragrafo 2, del regolamento n. 1093/2010 (in sostanza, le autorità nazionali di regolamentazione).

( 26 ) Tuttavia, il punto 3 della prima sezione degli orientamenti dichiara che «[q]ualora entro il termine indicato non sia pervenuta alcuna comunicazione da parte delle autorità competenti, queste sono ritenute dall’ABE non conformi». È interessante notare, in termini concettuali, come un punto di orientamenti non vincolanti tenti di modificare (o derogare a) un obbligo chiaramente imposto dal testo dell’articolo 16, paragrafo 3, del regolamento n. 1093/2010. Tuttavia, poiché il punto 3 non impone, di fatto, alcun obbligo aggiuntivo, ma esenta da tale obbligo creando una presunzione di «silencio negativo», tecnicamente parlando non vi è l’imposizione di un nuovo obbligo giuridico. Ciò che rimane è, semplicemente, una certa perplessità per il modo in cui orientamenti non vincolanti possono alterare il contenuto di un obbligo giuridico contenuto in un regolamento.

( 27 ) V. le mie conclusioni nella causa Belgio/Commissione (C‑16/16 P, EU:C:2017:959, paragrafi da 76 a 79).

( 28 ) Mentre l’articolo 16, paragrafo 1, del regolamento n. 1093/2010 stabilisce che l’ABE emana orientamenti indirizzati alle autorità competenti o agli istituti finanziari.

( 29 ) Poiché gli orientamenti controversi precisano, al punto 7, che le autorità competenti «possono valutare» se applicare gli orientamenti a entità diverse dai produttori e dai distributori di prodotti finanziari, in relazione agli atti legislativi ivi menzionati, si potrebbe ritenere che gli orientamenti si applichino per difetto a questi ultimi, indipendentemente dalla posizione adottata dalle autorità competenti.

( 30 ) V. supra, paragrafo 20 delle presenti conclusioni. Come chiaramente affermato in tale parere, gli orientamenti controversi sono stati semplicemente «allegati» al parere, senza modifiche.

( 31 ) V. le conclusioni della sig.ra Bokdam, pag. 5 (v. supra, nota 23).

( 32 ) V. le mie conclusioni nella causa Belgio/Commissione (C‑16/16 P, EU:C:2017:959).

( 33 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa ai mercati degli strumenti finanziari e che modifica la direttiva 2002/92/CE e la direttiva 2011/61/UE (GU 2014, L 173, pag. 349).

( 34 ) Orientamento 3.

( 35 ) Orientamento 4.

( 36 ) Orientamenti 7 e 8.

( 37 ) Orientamento 12.

( 38 ) V. punto 7 degli orientamenti controversi.

( 39 ) Il corsivo è mio.

( 40 ) V., nel capo II, a titolo non esaustivo: articolo 8, paragrafo 1, lettere a) e b), articolo 9, paragrafo 5, articolo 10, paragrafo 1, articolo 15, paragrafo 1 e articolo 17, paragrafi 1 e 6, del regolamento n. 1093/2010.

( 41 ) In particolare, rispettivamente, l’articolo 74, paragrafo 1, l’articolo 10, paragrafo 4, e l’articolo 3, paragrafo 1, come elencati al punto 6 della sezione degli orientamenti.

( 42 ) La versione applicabile ratione temporis dell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 1093/2010 non menziona la direttiva 2010/64, bensì la direttiva 2015/2366, in quanto quest’ultima ha sostituito la prima.

( 43 ) L’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 1093/2010 non fa riferimento alla direttiva 2014/65, poiché essa attribuisce all’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (l’ESMA), e non all’ABE, la competenza ad adottare orientamenti sulla governance dei prodotti. V., a tal riguardo, gli orientamenti dell’ESMA sugli obblighi di governance dei prodotti ai sensi della MiFID II (ESMA35-43-620).

( 44 ) Quali gli articoli 29, 34 e 37 nonché l’allegato 2 della direttiva 2014/17.

( 45 ) V., in generale, per il riconoscimento di una diversa intensità del controllo giurisdizionale ai sensi dell’articolo 263 TFUE, ad esempio, sentenze del 18 marzo 2014, Commissione/Parlamento e Consiglio (C‑427/12, EU:C:2014:170, punto 40); o del 30 aprile 2019, Italia/Consiglio (Contingente di pesca del pesce spada del Mediterraneo) (C‑611/17, EU:C:2019:332, punti 57120).

( 46 ) Si può osservare che risulta esservi una certa divergenza tra la versione in lingua inglese dell’articolo 1, paragrafo 5, lettera f), che originariamente faceva riferimento a «customer protection» [protezione dei clienti] e le altre versioni linguistiche (quale quella francese, tedesca, italiana, spagnola, neerlandese o ceca), che menzionavano la protezione dei consumatori. A seguito delle ultime modifiche apportate dal regolamento (UE) 2019/2175 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2019 (GU 2019, L 334, pag. 1) al regolamento n. 1093/2010, la stessa disposizione recita, ora «aumentare la protezione dei clienti e dei consumatori». Non è mia intenzione argomentare sulla base di tale differenza. È semplicemente affascinante prendere atto della tecnica legislativa consistente nel chiarire le discrepanze linguistiche includendo tutti i concetti divergenti.

( 47 ) (C‑16/16 P, EU:C:2017:959, paragrafi da 93 a 95).

( 48 ) V., in tal senso, sentenze del 13 giugno 1958, Meroni/Alta Autorità (9/56, EU:C:1958:7); del 14 maggio 1981, Romano (98/80, EU:C:1981:104); e del 22 gennaio 2014, Regno Unito/Parlamento e Consiglio (C‑270/12, EU:C:2014:18).

( 49 ) V. anche le mie conclusioni nella causa Ungheria/Parlamento (C‑650/18, EU:C:2020:985, paragrafi da 33 a 37).

( 50 ) Conclusioni nella causa Belgio/Commissione (C‑16/16 P, EU:C:2017:959, paragrafi da 144 a 171).

( 51 ) Sentenza Belgio/Commissione, (C‑16/16 P, EU:C:2018:79, punti 2932).

( 52 ) V. anche il considerando 5 del regolamento 2019/2175: «(…) Il contenuto e la forma delle azioni e misure delle AEV, compresi strumenti quali gli orientamenti (...) dovrebbero sempre basarsi sugli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, dei regolamenti istitutivi e permanere entro i limiti da essi fissati o entro l’ambito delle loro competenze»; inoltre, in tal senso, v. anche il secondo comma dell’articolo 16, paragrafo 1: «Gli orientamenti e le raccomandazioni sono conformi ai poteri o alle competenze conferiti dagli atti legislativi di cui all’articolo 1, paragrafo 2, o al presente articolo».

( 53 ) Nella sentenza del 25 marzo 2021, Balgarska Narodna Banka (C‑501/18, EU:C:2021:249) in cui la Corte ha dichiarato l’invalidità delle raccomandazioni adottate dall’ABE. La circostanza che le raccomandazioni di cui trattasi fossero un vero e proprio strumento di soft law, ossia chiaramente non vincolanti (punto 79 della sentenza) e dunque espressamente escluse da un controllo giurisdizionale a norma dell’articolo 263 TFUE (punto 82), ad avviso della Corte, non ostava, in base alla sentenza Grimaldi, ad un esame completo della validità di detto atto non vincolante ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

( 54 ) V., oltre alla sentenza nella causa Grimaldi, sentenza del 13 giugno 2017, Florescu e a. (C‑258/14, EU:C:2017:448).

( 55 ) V., ad esempio, sentenze dell’8 aprile 1992, Wagner (C‑94/91, EU:C:1992:181, punto 17); dell’11 maggio 2006, Friesland Coberco Dairy Foods (C‑11/05, EU:C:2006:312); e del 19 luglio 2016, Kotnik e a. (C‑526/14, EU:C:2016:570, punti da 31 a 34 e da 46 a 94).

( 56 ) Sentenza del 19 luglio 2016, Kotnik e a. (C‑526/14, EU:C:2016:570, punti da 31 a 34 e da 46 a 94), per quanto concerne le questioni dalla seconda alla quinta del giudice del rinvio.

( 57 ) V., ad esempio, per quanto concerne una nota esplicativa della Commissione relativa ai titoli d’importazione e d’esportazione, sentenza dell’8 aprile 1992, Wagner (C‑94/91, EU:C:1992:181, punti 1617); per quanto concerne le conclusioni di un comitato del codice doganale, sebbene gli Stati membri fossero tenuti a «prendere in considerazione» tali conclusioni, v. sentenza dell’11 maggio 2006, Friesland Coberco Dairy Foods (C‑11/05, EU:C:2006:312, punti 4041), interpretata alla luce del paragrafo 24 delle conclusioni dell’avvocato generale Poiares Maduro (EU:C:2006:78): «[s]olo una disposizione avente un effetto giuridico vincolante può costituire oggetto di controllo di legittimità». V., tuttavia, il recente discostamento da tale linea nella sentenza Balgarska Narodna Banka (C‑501/18, EU:C:2021:249, punti 79 e da 82 a 83).

( 58 ) Certamente nel caso di specie. Infatti, in altri casi, potrebbe non esservi sempre una disposizione giuridica generale quale l’articolo 16 del regolamento n. 1093/2010, al quale possa essere formalmente applicata tale «interpretazione».

( 59 ) Almeno per tutti i terzi i quali desiderino, semplicemente, che non vi sia alcun animale. La questione potrebbe essere diversa se considerata dal punto di vista di tale animale, che potrebbe sentirsi offeso da quest’ultima dichiarazione.

( 60 ) V., ad esempio, sentenza del 24 maggio 2007, Commissione/Portogallo (C‑376/06, non pubblicata, EU:C:2007:308, punto 47).

( 61 ) V. la giurisprudenza citata supra, alla nota 19.

( 62 ) V. supra paragrafi da 30 a 34 delle presenti conclusioni.

( 63 ) Sentenze del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90); del 23 febbraio 2006, Atzeni e a. (C‑346/03 e C‑529/03, EU:C:2006:130, punto 31); del 27 novembre 2012, Pringle (C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 41); e del 28 aprile 2016, Borealis Polyolefine e a. (C‑191/14, C‑192/14, C‑295/14, C‑389/14 e da C‑391/14 a C‑393/14, EU:C:2016:311, punto 46).

( 64 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Georgsmarienhütte e a. (C‑135/16, EU:C:2018:582).

( 65 ) Come suggerito supra, ai paragrafi da 40 a 55 delle presenti conclusioni.

( 66 ) V. sentenze TWD (punto 24) e del 25 luglio 2018, Georgsmarienhütte e a. (C‑135/16, EU:C:2018:582, punto 17).

( 67 ) Per un’illustrazione della complessità e della varietà delle conclusioni raggiunte, v., ad esempio, sentenze del 16 marzo 1978, Unicme e a./Consiglio (123/77, EU:C:1978:73); del 25 luglio 2002, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio (C‑50/00 P, EU:C:2002:462); e del 10 gennaio 2006, IATA e ELFAA (C‑344/04, EU:C:2006:10).

( 68 ) V., a tale riguardo, le conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Georgsmarienhütte e a. (C‑135/16, EU:C:2018:120, paragrafo 40).

( 69 ) Per esigenze di completezza, è opportuno osservare che, qualora la Corte condivida l’approccio secondo cui le questioni di validità di atti di soft law ai sensi dell’articolo 267 TFUE costituiscono, di fatto, questioni di interpretazione della «normativa madre» (come discusso supra, ai paragrafi da 98 a 103), in tal caso la giurisprudenza Foto-Frost non si applicherebbe, in nessun caso, agli atti di soft law. Tuttavia, ciò significherebbe anche ribaltare parzialmente (o, eufemisticamente, «limitare» notevolmente) la giurisprudenza Grimaldi (paragrafo 107 delle presenti conclusioni).

( 70 ) Sentenze Foto-Frost (punti da 14 a 20); del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli (C‑188/10 e C‑189/10, EU:C:2010:363, punti da 54 a 56); del 6 ottobre 2015, Schrems (C‑362/14, EU:C:2015:650, punto 62) e del 28 marzo 2017, Rosneft (C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 78).

( 71 ) V. le mie conclusioni nella causa Consorzio Italian Management (C‑561/19, paragrafi 47 e 48).

( 72 ) Sentenza Foto-Frost (punti da 15 a 17).

( 73 ) V., ad esempio, sentenze del Conseil d’État (Consiglio di Stato) del 21 marzo 2016, Société Fairvesta International GmhB e a. (n. 368082), e del 21 marzo 2016, Société Numéricable (n. 390023). V., per esempi tratti da altri ordinamenti giuridici nazionali, le mie conclusioni nella causa Belgio/Commissione (C‑16/16 P, EU:C:2017:959, paragrafi 8485).

( 74 ) La sentenza del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli (C‑188/10 e C‑189/10, EU:C:2010:363, punti 5556), ha articolato chiaramente una conseguenza dell’obbligo discendente dalla giurisprudenza Foto-Frost, dichiarando che, qualora un giudice nazionale sia chiamato ad esaminare la validità di un atto nazionale attuativo con riguardo agli stessi elementi contenuti nell’atto originario di diritto dell’Unione, tale giudice deve offrire alla Corte di giustizia l’opportunità di pronunciarsi sugli stessi motivi per quanto attiene all’atto originario di diritto dell’Unione, proponendo una questione di validità di detto atto.

( 75 ) V., ad esempio, sentenze del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione (C‑463/10 P e C‑475/10 P, EU:C:2011:656, punto 36); del 13 febbraio 2014, Ungheria/Commissione (C‑31/13 P, EU:C:2014:70, paragrafo 54); del 25 ottobre 2017, Romania/Commissione (C‑599/15 P, EU:C:2017:801, punto 47); Belgio/Commissione (punto 31); e del 26 marzo 2019, Commissione/Italia (C‑621/16 P, EU:C:2019:251, punto 44).

( 76 ) V. la giurisprudenza citata supra, alla nota 19.

( 77 ) V., ad esempio, sentenze del 23 aprile 1986, Les Verts/Parlamento (294/83, EU:C:1986:166, punto 23); del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio (C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 92); e del 28 marzo 2017, Rosneft (C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 66).

( 78 ) Sentenza del 25 luglio 2002, (C‑50/00 P, EU:C:2002:462, punto 40).

( 79 ) V., ad esempio, sentenze del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund (C‑682/15, EU:C:2017:373, punti da 43 a 59), e del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626).

( 80 ) V., ad esempio, sentenze del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses (C‑64/16, EU:C:2018:117, punti da 29 a 40); del 24 giugno 2019, Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema) (C‑619/18, EU:C:2019:531); e del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema) (C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punti da 82 a 86).

( 81 ) V., ad esempio, sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft (C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 68 e giurisprudenza ivi citata).

( 82 ) V., ad esempio, in tal senso, sentenze del 26 aprile 1994, Roquette Frères (C‑228/92, EU:C:1994:168, punto 17); del 5 ottobre 2004, Commissione/Grecia (C‑475/01, EU:C:2004:585, punto 18 e giurisprudenza ivi citata); e del 6 ottobre 2015, Schrems (C‑362/14, EU:C:2015:650, punto 52).

( 83 ) V., in particolare, il primo motivo di impugnazione (sentenza Belgio/Commissione, punto 39).

( 84 ) V., in generale, le mie conclusioni nella causa Région de Bruxelles-Capitale/Commissione (C‑352/19 P, EU:C:2020:588, paragrafo 142).

( 85 ) Come suggerito supra (paragrafi da 102 a 108 delle presenti conclusioni), la Corte potrebbe insistere sul fatto formale che, alla luce della sua precisa formulazione, la terza questione del giudice del rinvio potrebbe essere intesa come una questione di interpretazione. Tuttavia, ciò significa anche accettare che spetterebbe al giudice nazionale trarre dall’accertamento di un eccesso di poteri da parte di un organo dell’Unione le conseguenze necessarie.

( 86 ) V. nuovamente sentenza del 25 marzo 2021, Balgarska Narodna Banka (C‑501/18, EU:C:2021:249, punto 83).

( 87 ) V. supra, paragrafi da 135 a 148 delle presenti conclusioni.