CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 25 luglio 2018 ( 1 )

Causa C‑437/17

Gemeinsamer Betriebsrat EurothermenResort Bad Schallerbach GmbH

contro

EurothermenResort Bad Schallerbach GmbH

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria)]

«Rinvio pregiudiziale – Articolo 45 TFUE – Regolamento (UE) n. 492/2011 – Libera circolazione dei lavoratori – Divieto di discriminazione fondata sulla nazionalità – Diritto alle ferie annuali retribuite – Normativa nazionale che prevede la concessione di una settimana supplementare di ferie annuali retribuite ai lavoratori che hanno maturato 25 anni di servizio presso uno stesso datore di lavoro»

I. Introduzione

1.

Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria) chiede alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità di talune disposizioni dell’Urlaubsgesetz ( 2 ) (legge in materia di ferie austriaca, in prosieguo l’«UrlG») con il divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità dei lavoratori dettato all’articolo 45, paragrafo 2, TFUE e all’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 492/2011 ( 3 ) nonché con il principio della libera circolazione dei lavoratori garantito dall’articolo 45, paragrafo 1, TFUE.

2.

In sostanza, le disposizioni dell’UrlG in questione subordinano la concessione di una sesta settimana di ferie annuali retribuite al requisito di aver maturato quantomeno 25 anni di servizio presso il medesimo datore di lavoro – vale a dire il datore di lavoro attuale. Ai fini del calcolo di tale anzianità, i periodi di servizio maturati presso i precedenti datori di lavoro vengono tuttavia presi in considerazione, a loro volta, soltanto a titolo integrativo ed in misura limitata.

3.

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale si colloca nell’ambito di un ricorso per cassazione («Revision») che oppone il Gemeinsamer Betriebsrat EurothermenResort Bad Schallerbach GmbH (in prosieguo: il «comitato aziendale») alla società EurothermenResort Bad Schallerbach GmbH per quanto attiene alle condizioni relative alla concessione di tale sesta settimana di ferie annuali retribuite. A parere del comitato aziendale, il diritto dell’Unione imporrebbe di prendere in considerazione i periodi di servizio maturati dai lavoratori presso i loro precedenti datori di lavoro in Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria alle stesse condizioni di quelli maturati presso il datore di lavoro attuale.

4.

Nelle presenti conclusioni, esporrò le ragioni per le quali, a mio avviso, una normativa nazionale quale l’UrlG che, ai fini della concessione di diritti alle ferie annuali retribuite, considera i periodi di servizio maturati da un lavoratore presso i suoi precedenti datori di lavoro in modo meno favorevole rispetto a quelli maturati presso il datore di lavoro attuale, non costituisce né una discriminazione fondata sulla nazionalità né un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori. Infine, in via subordinata, esporrò i motivi per i quali, a mio parere, detta normativa, anche nel caso in cui la Corte dovesse ritenere che essa implichi una discriminazione o un ostacolo, può risultare giustificata.

II. Contesto normativo

A.   Regolamento n. 492/2011

5.

L’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 492/2011 prevede quanto segue:

«Il lavoratore cittadino di uno Stato membro non può ricevere sul territorio degli altri Stati membri, a motivo della propria cittadinanza, un trattamento diverso da quello dei lavoratori nazionali per quanto concerne le condizioni di impiego e di lavoro, in particolare in materia di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale o ricollocamento se disoccupato».

B.   La normativa austriaca

6.

L’articolo 2, paragrafo 1, dell’UrlG così dispone:

«Per ciascun anno di lavoro, spetta al lavoratore un periodo ininterrotto di ferie retribuite. La durata di tali ferie è di 30 giorni lavorativi se la sua anzianità di servizio è inferiore a 25 anni e deve essere portata a 36 giorni lavorativi se è stato maturato il venticinquesimo anno».

7.

Ai sensi dell’articolo 3 dell’UrlG:

«1)   Ai fini della determinazione della durata delle ferie devono essere computati complessivamente i periodi di servizio presso uno stesso datore di lavoro che non presentano soluzioni di continuità superiori, rispettivamente, a tre mesi.

[…]

2)   Ai fini della determinazione della durata delle ferie occorre computare:

1.

il periodo di servizio prestato nel territorio nazionale […] nell’ambito di un altro rapporto di lavoro qualora presenti una durata, rispettivamente, di almeno sei mesi;

[…]

3)   i periodi ai sensi del paragrafo 2, punto 1, devono essere computati complessivamente soltanto sino a una durata massima di cinque anni. […]

[…]».

III. Procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

8.

La EurothermenResort Bad Schallerbach è una società austriaca operante nel settore del turismo. Questa società impiega, in particolare, un certo numero di lavoratori che vantano precedenti periodi di servizio maturati con datori di lavoro precedenti, nel territorio di Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria.

9.

Il comitato aziendale della EurothermenResort Bad Schallerbach citava in giudizio la società medesima dinanzi al Landesgericht Wels (Tribunale regionale di Wels, Austria) in merito al diritto alle ferie annuali retribuite dei lavoratori di cui trattasi. In tale contesto, il comitato aziendale sosteneva che, limitando la possibilità di computare, ai fini dell’anzianità di servizio richiesta dall’articolo 2, paragrafo 1, dell’UrlG con riguardo alla concessione di una sesta settimana di ferie, i periodi di attività lavorativa precedenti, maturati in altri Stati membri diversi dall’Austria — periodi computati sino ad un massimo di cinque anni —, l’ articolo 3, paragrafo 2, punto 1, e paragrafo 3, dell’UrlG sfavorirebbe particolarmente i lavoratori migranti e renderebbe meno attraente l’esercizio da parte dei lavoratori austriaci della loro libertà di circolazione. Lo stesso comitato aziendale riteneva che, conformemente al diritto dell’Unione, tali periodi di attività pregressi dovrebbero essere computati in toto, di modo che qualsiasi lavoratore in possesso di un’esperienza professionale di 25 anni abbia diritto a una sesta settimana di ferie ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, dell’UrlG.

10.

Con sentenza del 25 gennaio 2017, il Landesgericht Wels (Tribunale regionale di Wels, Austria) respingeva il ricorso, ritenendo, in particolare, che le disposizioni controverse dell’UrlG non implichino alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità, dal momento che tutti i precedenti periodi lavorativi maturati presso altri datori di lavoro sono trattati allo stesso modo. A tal riguardo, sebbene la formulazione dell’articolo 3, paragrafo 2, punto 1, dell’UrlG si riferisca unicamente ai periodi di servizio maturati nel territorio nazionale, la giurisprudenza dell’Oberster Gerichtshof (Corte suprema) imporrebbe di computare negli stessi termini di quelli maturati nel territorio di altri Stati membri. Peraltro, sarebbe consentito agli Stati membri prevedere vantaggi per i lavoratori che vantino una certa anzianità di servizio all’interno di una stessa azienda.

11.

Con sentenza del 3 maggio 2017, l’Oberlandesgericht Linz (Tribunale regionale superiore di Linz, Austria) confermava la sentenza di primo grado. A tale riguardo, il giudice di appello riteneva che, per quanto non si possa escludere che la perdita della sesta settimana di ferie annuali retribuite dissuada un lavoratore austriaco dall’esercitare il proprio diritto alla libera circolazione, l’ostacolo che ne deriva sarebbe giustificato dall’obiettivo di premiare la fedeltà dei dipendenti al proprio datore di lavoro.

12.

Avverso tale sentenza il comitato aziendale proponeva quindi ricorso per cassazione («Revision») dinanzi all’Oberster Gerichtshof (Corte suprema). Ciò detto, tale ultimo giudice decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 45 TFUE e l’articolo 7, paragrafo 1, del [regolamento n. 492/2011], debbano essere interpretati nel senso che ostino ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale [articolo 3, paragrafo 2, punto 1, in combinato disposto con gli articoli 3, paragrafo 3, e 2, paragrafo 1, dell’UrlG], secondo cui un lavoratore che abbia maturato complessivamente 25 anni di servizio, peraltro non presso un medesimo datore di lavoro austriaco, abbia diritto soltanto a cinque settimane di ferie annuali, mentre un lavoratore che abbia maturato 25 anni di servizio presso uno stesso datore di lavoro austriaco abbia diritto a sei settimane di ferie l’anno».

13.

La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata registrata presso la cancelleria della Corte in data 19 luglio 2017. Il comitato aziendale, EurothermenResort Bad Schallerbach, il governo austriaco e la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte. Le osservazioni orali delle parti medesime sono state sentite all’udienza del 3 maggio 2018.

IV. Analisi

A.   Considerazioni preliminari

14.

Conquista sociale primordiale, il diritto alle ferie annuali retribuite riconosciuto ai lavoratori è disciplinato nel diritto dell’Unione. A tal riguardo, l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE, detta «direttiva orario di lavoro» ( 4 ), garantisce a tutti i lavoratori dell’Unione europea ferie annuali retribuite di 4 settimane. Poiché tale direttiva stabilisce solo norme minime, gli Stati membri restano liberi di andare oltre tale livello di base e riconoscere ai lavoratori soggetti alla loro legislazione diritti maggiori. Tuttavia, le eventuali condizioni alle quali tali medesimi Stati membri subordinano tali diritti supplementari devono essere conformi alle disposizioni generali del diritto dell’Unione, ivi comprese le norme sulla libera circolazione dei lavoratori previste dall’articolo 45 TFUE e nel regolamento n. 492/2011.

15.

La normativa austriaca in materia di ferie, l’UrlG, va precisamente oltre le quattro settimane garantite dal diritto dell’Unione. L’articolo 2, paragrafo 1, di tale legge riconosce ai lavoratori, per ogni anno di servizio, cinque o sei settimane di ferie annuali retribuite, a seconda che il lavoratore interessato dimostri o meno di possedere più di 25 anni di anzianità di servizio.

16.

L’anzianità così richiesta è calcolata secondo le regole previste all’articolo 3 dell’UrlG. A norma del paragrafo 1 di tale articolo, i periodi di servizio maturati presso lo stesso datore di lavoro – vale a dire il datore di lavoro – sono cumulati, sempreché privi di soluzioni di continuità superiori a tre mesi ( 5 ). Il successivo paragrafo 2 dispone, al punto 1, che i periodi di servizio compiuti presso uno o più datori di lavoro precedenti vengono parimenti computati, a condizione che ciascun rapporto di lavoro precedente fosse di durata non inferiore a sei mesi ( 6 ). Tuttavia, ai sensi del successivo paragrafo 3, tali periodi di servizio precedenti vengono computati, nel loro complesso, sino a un massimo di cinque anni.

17.

Al fine di comprendere l’ambito di applicazione di tali disposizioni, immaginiamo il caso di un lavoratore, il sig. Mahler, che abbia trascorso 5 anni all’interno dell’azienda X, e successivamente 8 presso l’azienda Y, prima di essere e infine assunto presso l’azienda Z, dove abbia lavorato senza soluzione di continuità per 15 anni. Conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, e all’articolo 3, paragrafi da 1 a 3, dell’UrlG, l’entità del diritto alle ferie annuali retribuite del sig. Mahler viene calcolata tenendo conto, in primo luogo, dell’anzianità di servizio maturata presso l’azienda Z, vale a dire 15 anni, cui si aggiungono, a titolo integrativo, i periodi lavorativi compiuti presso i due datori di lavoro precedenti, vale a dire 13 anni, periodi che vengono peraltro computata solo per 5 anni – ossia 20 anni in totale. Di conseguenza, sebbene la carriera professionale del sig. Mahler ricopra un periodo di 28 anni, egli non soddisfa i 25 anni di anzianità di servizio richiesti per godere della sesta settimana di ferie annuali retribuite prevista dall’articolo 2, paragrafo 1, dell’UrlG.

18.

Il ricorso per cassazione («Revision») proposto dal comitato aziendale dinanzi all’Oberster Gerichtshof (Corte suprema) si fonda sulla premessa secondo cui dalle norme controverse dell’UrlG deriverebbero effetti contrari al diritto dell’Unione. Tali norme violerebbero il principio di non discriminazione sancito dall’articolo 45, paragrafo 2, TFUE e dall’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 492/2011 e limiterebbero la libertà di circolazione dei lavoratori, in particolare austriaci. Occorre pertanto soffermarsi, in successione, su questi due aspetti, nell’esaminare anzitutto i motivi per cui, a mio parere, una normativa come l’UrlG non implica alcuna discriminazione fondata sulla nazionalità (B) e poi quelli per i quali la stessa conclusione vale, a mio avviso, per quanto riguarda l’esistenza di una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori (C).

B.   Sull’assenza di una discriminazione fondata sulla nazionalità dei lavoratori

19.

L’articolo 45, paragrafo 2, TFUE vieta qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. L’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 492/2011 costituisce, a sua volta, una particolare espressione di tale divieto nel campo specifico delle condizioni di impiego e di lavoro. In questa materia, queste due disposizioni devono essere pertanto interpretate nello stesso modo ( 7 ).

20.

Norme come quelle previste dall’UrlG rientrano nell’ambito di applicazione di tali disposizioni, in quanto il diritto alle ferie annuali retribuite riconosciuto ai lavoratori fa senza dubbio parte del settore delle condizioni di impiego e di lavoro.

21.

Per quanto riguarda l’esistenza di un’eventuale discriminazione contraria a tali disposizioni, l’articolo 2, paragrafo 1, e l’articolo 3, paragrafi da 1 a 3, dell’UrlG istituiscono, ai fini dell’entità del diritto alle ferie annuali retribuite di cui gode un lavoratore, una distinzione fondata sul criterio dell’anzianità di servizio presso l’attuale datore di lavoro. Queste disposizioni si applicano indistintamente a tutti i lavoratori a prescindere dalla loro nazionalità. Pertanto, esse non comportano una discriminazione fondata direttamente su tale criterio.

22.

Tuttavia, secondo una costante giurisprudenza della Corte, l’articolo 45, paragrafo 2, TFUE e l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 492/2011 vietano non solo le discriminazioni fondate direttamente sulla nazionalità dei lavoratori, bensì anche quelle fondate indirettamente su tale criterio, vale a dire «qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga al medesimo risultato» ( 8 ).

23.

Il criterio applicabile in materia è stato sancito per la prima volta nella sentenza del 23 maggio 1996, O’Flynn ( 9 ). Secondo la Corte, «a meno che non sia obiettivamente giustificata e adeguatamente commisurata allo scopo perseguito, una disposizione di diritto nazionale, [benché indistintamente applicabile secondo la cittadinanza], dev’essere giudicata indirettamente discriminatoria quando, per sua stessa natura, tenda ad essere applicata più ai lavoratori migranti che a quelli nazionali e, di conseguenza, rischi di essere sfavorevole in modo particolare ai primi» ( 10 ).

24.

Ne consegue che dev’essere considerata una discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità, a meno che non sia obiettivamente giustificata, qualsiasi misura che possa verosimilmente, alla luce di fatti generalmente riconosciuti o di altri elementi ( 11 ), determinare, potenzialmente, effetti diversi per i cittadini nazionali e per i cittadini di altri Stati membri, particolarmente sfavorevoli per questi ultimi. Ciò dovrebbe derivare dalla natura stessa della misura, ossia dal criterio di distinzione prescelto, il quale deve produrre, malgrado la sua apparente neutralità, effetti simili a quelli generati dal criterio della nazionalità. Il potenziale discriminatorio di tale criterio si realizza separando – ipoteticamente – i cittadini nazionali e stranieri in due gruppi distinti, e poi ricavando, all’interno di ciascun gruppo, la percentuale di persone, potenzialmente pregiudicate dal criterio in questione e, infine, confrontando le due percentuali ( 12 ).

25.

La giurisprudenza della Corte fornisce numerosi esempi di criteri che possono svantaggiare in particolare, nella pratica, i gruppi di stranieri: la residenza ( 13 ), il luogo d’assunzione di un lavoratore ( 14 ), la lingua ( 15 ) o il luogo di acquisizione delle conoscenze linguistiche ( 16 ), il luogo di conseguimento del diploma ( 17 ) o, ancora, il sistema educativo in cui sia iscritto un tirocinante ( 18 ).

26.

Tali criteri dissimulano fondamentalmente una connessione con un dato Stato membro, riferendosi a caratteristiche dello Stato medesimi, quali il suo territorio o la sua lingua accostandosi, quindi, al criterio della nazionalità. La patina di neutralità si strapperà facilmente ( 19 ). È pur vero che talvolta criteri del tutto estranei a qualsiasi considerazione connessa alla nazionalità si rivelano comunque indirettamente discriminatori su tale base. La giurisprudenza della Corte contiene alcuni esempi storici ( 20 ). Tuttavia, sono necessari elementi supplementari per rivelare l’esistenza di una disparità di trattamento indirettamente fondata sulla nazionalità ( 21 ).

27.

Nel caso di specie, il comitato aziendale e la Commissione sostengono che il criterio dell’anzianità di servizio presso l’attuale datore di lavoro, su cui si basano l’articolo 2, paragrafo 1, e l’articolo 3, paragrafi da 1 a 3, dell’UrlG risulterebbe, in pratica, più favorevole per i lavoratori austriaci rispetto ai lavoratori cittadini di altri Stati membri. Infatti, i primi risiederebbero per la stragrande maggioranza in Austria, dove inizierebbero la loro carriera professionale, e potrebbero rimanere al servizio dello stesso e unico datore di lavoro ininterrottamente per i 25 anni necessari, secondo l’articolo 2, paragrafo 1, dell’UrlG, per godere di una sesta settimana di ferie annuali retribuite. Invece, i secondi inizierebbero, in generale, la propria carriera professionale nel loro Stato membro d’origine e si legherebbero a un datore di lavoro austriaco soltanto nelle fasi successive della loro carriera. In tale contesto, sarebbe più difficile per i lavoratori provenienti da altri Stati membri ottenere l’anzianità di servizio richiesta, essendo la loro esperienza professionale precedente computata solo entro il limite di cinque anni fissato dall’articolo 3, paragrafo 3, dell’UrlG ( 22 ).

28.

La EurothermenResort Bad Schallerbach ed il governo austriaco sono di parere opposto. A loro avviso, non è possibile concludere per l’esistenza, nel caso di specie, di una discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità, poiché le norme dell’UrlG tratterebbero allo stesso modo i lavoratori austriaci e i lavoratori di altri Stati membri. Nel solco dello stesso ragionamento, il giudice del rinvio precisa che non è notorio che i lavoratori austriaci tenderebbero a restare con lo stesso datore di lavoro per un periodo di 25 anni e che, di conseguenza, potrebbero beneficiare della sesta settimana di ferie annuali retribuite di cui all’articolo 2, paragrafo 1, di tale legge in misura significativamente maggiore rispetto ai lavoratori di altri Stati membri. Al contrario, i lavoratori austriaci cambierebbero frequentemente datore di lavoro.

29.

Come rilevato in precedenza, condivido la tesi dei secondi.

30.

Infatti, il criterio dei 25 anni di anzianità di servizio adottato dall’articolo 2, paragrafo 1, dell’UrlG, favorisce i lavoratori che non cambiano datore di lavoro durante il periodo ivi prescritto. Correlativamente, questo criterio sfavorisce tutti i lavoratori che abbiano cambiato datore di lavoro nel corso della loro carriera vedendo le loro esperienze professionali acquisite presso precedenti datori di lavoro computate entro il limite di cinque anni di cui all’articolo 3, paragrafo 3, dell’UrlG. A tal riguardo, la nazionalità del datore di lavoro o dei datori di lavoro precedenti e il luogo di esecuzione del rapporto o dei rapporti di lavoro di cui trattasi costituiscono circostanze irrilevanti. Le norme di tale legge non fanno alcuna distinzione tra la mobilità interna – nel territorio austriaco – e la mobilità esterna – da o verso un altro Stato membro – di un lavoratore. I periodi di servizio maturati presso un datore di lavoro o presso più datori di lavoro precedenti sono presi in considerazione allo stesso modo, che siano maturati nel territorio nazionale o in un altro Stato membro ( 23 ).

31.

Di conseguenza, tutti i lavoratori cittadini di Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria, in possesso di un’esperienza professionale di oltre cinque anni presso uno o più datori di lavoro diversi dal loro attuale datore di lavoro, risultano, certamente, pregiudicati dalle norme dell’UrlG. Tuttavia, tutti i lavoratori austriaci che abbiano cambiato datore di lavoro nel corso della loro carriera professionale lo sono nella stessa misura. Pertanto, il criterio dell’anzianità di servizio presso l’attuale datore di lavoro incide allo stesso modo sul gruppo di lavoratori nazionali e sul gruppo di lavoratori provenienti da altri Stati membri ( 24 ). Diversamente starebbero le cose se elementi supplementari rivelassero o, quantomeno, autorizzassero a ritenere che i primi cambino lavoro in modo significativamente meno frequente rispetto ai secondi. Tuttavia, come rilevato dal giudice del rinvio, nulla sembra indicarlo ( 25 ).

32.

La Commissione sostiene tuttavia che il fatto che una percentuale significativa di lavoratori austriaci sia pregiudicato dalle norme dell’UrlG non impedirebbe l’accertamento di una discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità. Infatti, basterebbe la constatazione che la maggioranza dei lavoratori che soddisfano il requisito dei 25 anni di servizio previsto dall’articolo 2, paragrafo 1, dell’UrlG siano austriaci e/o che la maggior parte di coloro che siano sfavoriti dal computo limitato dei periodi di servizio maturati presso i precedenti datori di lavoro a norma dell’articolo 3, paragrafo 3, dell’UrlG, siano cittadini di altri Stati membri.

33.

A tal riguardo, ricordo che, al fine di dimostrare che una normativa nazionale implichi, de facto, una disparità di trattamento fondata sulla nazionalità, non è né necessario né sufficiente rilevare che la maggioranza delle persone favorite dalla normativa stessa siano cittadini nazionali o che la maggioranza degli sfavoriti siano stranieri. Una simile logica risulterebbe gravemente carente ( 26 ). Come rilevato supra al paragrafo 24, è all’eventuale esistenza di una differenza tra la percentuale di stranieri che possono essere svantaggiati dall’UrlG rispetto a quella dei cittadini nazionali, che occorre prestare attenzione. Orbene, tale differenza è, a mio avviso, assai improbabile nella specie ( 27 ).

34.

Una diversa conclusione non risulta nemmeno, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, dalla giurisprudenza della Corte, secondo cui, perché una misura possa essere qualificata come indirettamente discriminatoria, non è necessario che produca l’effetto di avvantaggiare l’insieme dei cittadini nazionali o di sfavorire unicamente i soli cittadini degli altri Stati membri ad esclusione di quelli nazionali ( 28 ).

35.

Infatti, tale giurisprudenza non risulta di alcun ausilio in una controversia come quella oggetto del procedimento principale. Tale giurisprudenza afferma, né più né meno, che, per quanto una normativa nazionale possa sfavorire maggiormente il gruppo dei cittadini non nazionali rispetto al gruppo dei cittadini nazionali, il fatto che una certa quota di questi ultimi non possa soddisfare il requisito controverso non impedisce di accertare l’esistenza di una discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità. Invece, la medesima giurisprudenza non può consentire di affermare l’esistenza di una discriminazione di tal genere nel caso di norme che, come nel caso di specie, presentino effetti analoghi sui cittadini nazionali e sui cittadini non nazionali ( 29 ).

36.

È ben vero che esiste un’abbondante giurisprudenza della Corte relativa al calcolo dell’anzianità nella funzione pubblica degli Stati membri ai fini delle promozioni e degli incentivi in termini retributivi generalmente connessi. Secondo tale giurisprudenza, le normative nazionali che escludano, in tale materia, qualsiasi possibilità di prendere in considerazione periodi di lavoro compiuti da un lavoratore presso la pubblica amministrazione di un altro Stato membro o che subordinino il computo di detti periodi a condizioni più rigorose di quelle applicabili a periodi di servizio svolti presso un’amministrazione pubblica nazionale, sono indirettamente discriminatorie sulla base della nazionalità ( 30 ).

37.

Tuttavia, se le normative oggetto delle precedenti cause erano basate su un criterio di distinzione – anzianità nel servizio pubblico nazionale – in apparenza simile a quello su cui si basa nel caso di specie l’UrlG, tali normative si differenziano, in realtà, da tale legge nella loro applicazione.

38.

La sentenza del 30 settembre 2003, Köbler ( 31 ), fornisce a tal proposito un esempio eloquente. Detta causa verteva su un’indennità speciale di anzianità di servizio concessa dallo Stato austriaco, in qualità di datore di lavoro, ai professori universitari che avessero, in particolare, esercitato tale professione per almeno quindici anni in qualsiasi università pubblica austriaca. Come rilevato dalla Corte, questa indennità produceva la conseguenza di ricompensare i professori di università austriache che continuavano ad esercitare la loro professione nel territorio austriaco a detrimento di quelli che esercitavano tale professione nel territorio di altri Stati membri. Questa indennità produceva, quindi, una compartimentazione del mercato del lavoro dei professori universitari austriaco.

39.

Tale normativa consentiva quindi una mobilità massima all’interno di un gruppo di datori di lavoro nazionali distinti ( 32 ).Per contro, l’UrlG considera soltanto l’anzianità di servizio acquisita presso un unico datore di lavoro — vale a dire il datore di lavoro attuale. Come rilevato supra al paragrafo 30, tale legge tratta pertanto la mobilità interna nel territorio nazionale con lo stesso rigore della mobilità esterna: qualsiasi cambiamento di datore di lavoro comporta l’applicazione del trattamento sfavorevole.

40.

Inoltre, come sostenuto dall’EurothermenResort Bad Schallerbach all’udienza, senza essere contraddetta in merito, l’attuale datore di lavoro non deve necessariamente essere un datore di lavoro austriaco. L’articolo 2, paragrafo 1, e l’articolo 3, paragrafo 1, del UrlG non esigono nemmeno che i periodi di servizio maturati presso l’attuale datore di lavoro siano stati maturati nel territorio nazionale. A tal riguardo,la resistente nel procedimento principale sostiene, sempre senz’essere contraddetta ex adverso, che tutti i periodi di servizio compiuti presso lo stesso datore di lavoro sono trattati allo stesso modo, indipendentemente dal luogo in cui siano stati maturati ( 33 ). L’unica condizione che si aggiunge, implicitamente ma chiaramente, a quella di restare presso un solo e medesimo datore di lavoro sarebbe quella di essere soggetti al diritto austriaco al momento della concessione della sesta settimana.

41.

Immaginiamo il caso di un lavoratore tedesco addetto a una sede di una determinata impresa, situata in Germania, che, dopo diversi anni di attività, viene assegnato a una sede di tale medesima impresa situata in Austria — rientrando in tal modo, in linea di principio, nell’ambito di applicazione del diritto austriaco ( 34 ). Ai fini della concessione di una sesta settimana di ferie in conformità alle norme controverse dell’UrlG, i periodi da lui maturati sul territorio tedesco sarebbero trattati con lo stesso favore di quelli maturati nel territorio austriaco, poiché la condizione relativa all’identità del datore di lavoro sarebbe soddisfatta ( 35 ).

42.

Il comitato aziendale e la Commissione si sono tuttavia richiamati alla sentenza del 5 dicembre 2013, SALK ( 36 ), la quale dovrebbe trovare applicazione per analogia nella specie. Ricordo che tale sentenza riguardava la normativa del Land di Salisburgo – vale a dire una disciplina essenzialmente regionale –, che, per determinare la data di riferimento ai fini dell’avanzamento dei dipendenti di una società holding di tre ospedali e di una serie di altri stabilimenti situati in tale Land, operava una distinzione a seconda che i lavoratori avessero sempre prestato attività lavorativa presso servizi interni a detto Land o presso altri datori di lavoro nazionali o stranieri. Per i primi, i periodi di servizio erano presi in considerazione in toto, mentre per i secondi i periodi di servizio svolti prima dell’assunzione presso tale Land venivano presi in considerazione solo in misura minore.

43.

Orbene, in tale causa, poteva essere ragionevolmente sostenuto, come nel caso di specie, che la mobilità interna e la mobilità esterna venivano trattate allo stesso modo. Ciò non ha impedito alla Corte di rilevare una discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità, trasponendo i propri precedenti relativi all’anzianità nella funzione pubblica degli Stati membri e ricordando la giurisprudenza richiamata supra al paragrafo 34 ( 37 ).

44.

Nutro talune riserve quanto alla sentenza «SALK» ( 38 ). In detta causa, tutti i lavoratori austriaci, al pari dei lavoratori di altri Stati membri, che fossero stati precedentemente alle dipendenze di un datore di lavoro, pubblico o privato, diverso dal Land Salzburg, risultavano svantaggiati. Dubito che, in tale causa, si sia verificata, in realtà, una discriminazione indiretta sulla base della nazionalità. A mio avviso, la trasposizione della giurisprudenza relativa alle normative applicabili a livello nazionale – come quelle relative all’anzianità nel servizio pubblico nazionale – alle analoghe normative adottate da enti locali o regionali può esser operata solo con cautela. Ad esempio, se è probabile che una condizione di residenza imposta a livello nazionale svantaggi in modo particolare dei cittadini di altri Stati membri, ciò vale a maggior ragione se questa condizione è imposta da un’autorità locale ( 39 ).

45.

Tuttavia, anche nell’ipotesi in cui la Corte non intenda rimettere in discussione tale sentenza, è comunque possibile distinguerla dalla causa in esame. Infatti, la normativa oggetto di tale sentenza favoriva ancora un certo grado di mobilità interna, poiché un lavoratore di detto Land avrebbe potuto cambiare lavoro continuando a beneficiare di norme favorevoli relative al calcolo dell’anzianità, anche se avesse scelto di far parte di un’altra impresa pubblica interna al Land medesimo per un periodo minimo. Le norme dell’UrlG si distinguono, dunque, facilmente dalla normativa in discussione in detta causa.

46.

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, sono del parere che una normativa quale l’UrlG non implichi alcuna disparità di trattamento diretta o indiretta fondata sulla nazionalità dei lavoratori. Diversamente starebbero le cose soltanto nel caso in cui risultasse verosimile che i lavoratori austriaci cambino sensibilmente meno spesso datore di lavoro rispetto ai lavoratori cittadini di altri Stati membri. Nessun elemento nei documenti prodotti dinanzi alla Corte consente di presumerlo.

C.   Sull’assenza di un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, contrario all’articolo 45 TFUE

47.

Secondo la costante giurisprudenza della Corte, l’articolo 45 TFUE vieta non solo le discriminazioni fondate, direttamente o indirettamente, sulla nazionalità, bensì anche le normative nazionali le quali, benché applicabili indipendentemente dalla nazionalità dei lavoratori interessati, costituiscono ostacoli frapposti a tale libertà ( 40 ).

48.

L’articolo 45 TFUE tutela i lavoratori da uno Stato membro che intendano entrare nel mercato del lavoro di un altro Stato membro, sia nei confronti del loro Stato membro di origine sia dello Stato membro ospitante. Nel caso in esame è dunque necessario verificare se disposizioni come quelle dell’UrlG siano tali da costituire un ostacolo «all’ingresso» dei lavoratori cittadini di altri Stati membri sul mercato austriaco (1) o un ostacolo all’«uscita» dei lavoratori austriaci dal mercato nazionale verso il mercato di altri Stati membri (2).

1. Sull’assenza di un ostacolo «all’ingresso»

49.

Secondo costante giurisprudenza, l’articolo 45 TFUE osta a qualsiasi provvedimento nazionale che, seppur applicabile senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, sia idoneo ad ostacolare o a scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE ( 41 ).

50.

Dal momento che la direttiva 2003/88 prevede solo prescrizioni minime per quanto concerne il diritto alle ferie annuali retribuite concesse ai lavoratori, continuano ad esistere disparità tra gli Stati membri in materia. In questo caso, le norme dell’UrlG potrebbero, in assoluto, rendere meno attraente, agli occhi di un lavoratore, l’idea di proseguire la propria carriera in Austria nell’ipotesi in cui il diritto del lavoro del proprio Stato membro d’origine gli riconosca un periodo di ferie maggiore rispetto a quanto previsto dalle suddette norme.

51.

Tuttavia, l’articolo 45 TFUE non può garantire ad un lavoratore che il trasferimento in uno Stato membro diverso dal proprio Stato membro di origine resti neutrale in materia previdenziale, in quanto tale trasferimento, in considerazione delle disparità di cui al paragrafo precedente, può, a seconda dei casi, risultare più o meno favorevole per l’interessato sotto tale profilo. Tale articolo non riconosce quindi al lavoratore medesimo il diritto di far valere, nello Stato membro ospitante, delle condizioni di lavoro di cui beneficiava nello Stato membro di origine conformemente alla normativa nazionale di quest’ultimo. ( 42 ). Può solamente, in linea di principio, beneficiare delle condizioni di lavoro applicabili ai lavoratori nazionali, conformemente al principio di uguaglianza di trattamento ( 43 ). In caso contrario, qualsiasi legislazione dello Stato membro ospitante di un lavoratore che sia meno favorevole rispetto a quella dello Stato membro d’origine costituirebbe un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori. Tale ragionamento presenterebbe un forte impatto sulle normative sociali degli Stati membri.

52.

Di conseguenza, ritengo che disposizioni come quelle dell’UrlG non possano costituire un ostacolo all’ingresso di cittadini lavoratori di altri Stati membri sul mercato del lavoro austriaco.

2. Sull’assenza di una barriera «in uscita»

53.

Risulta dalla giurisprudenza della Corte che il complesso delle norme del Trattato FUE relative alla libera circolazione delle persone è inteso a facilitare ai cittadini dell’Unione l’esercizio di attività lavorative di qualsivoglia natura nel territorio dell’Unione ed osta ai provvedimenti che potrebbero sfavorirli qualora intendano svolgere un’attività economica nel territorio di un altro Stato membro. In tale contesto, i cittadini degli Stati membri dispongono, in particolare, del diritto, loro direttamente riconosciuto dal Trattato FUE, di lasciare il paese d’origine per entrare nel territorio di un altro Stato membro ed ivi soggiornare al fine di esercitare un’attività economica ( 44 ).

54.

Pertanto, le disposizioni che impediscano ad un cittadino di uno Stato membro di lasciare il paese d’origine per esercitare il proprio diritto di libera circolazione, o che lo dissuadano dal farlo, costituiscono ostacoli frapposti all’esercizio del suo diritto alla libertà di circolazione ( 45 ).

55.

Nel caso di specie, è incontestabile che le norme dell’UrlG non producono l’effetto di impedire ai lavoratori austriaci di esercitare un’attività subordinata in un altro Stato membro. Si tratta quindi, tutt’al più, di verificare se tali norme siano tali da dissuaderli dal farlo.

56.

Al tal riguardo, laddove le norme dell’UrlG subordinano la concessione di una sesta settimana di ferie annuali retribuite alla circostanza di essere rimasti, per un certo numero di anni, al servizio dello stesso datore di lavoro, esse incentivano fatalmente i lavoratori a non lasciare il loro attuale datore di lavoro. Non ritengo tuttavia che norme di tal genere siano in grado di dissuadere i lavoratori austriaci dall’esercitare la loro libertà di circolazione.

57.

A tal riguardo, il fatto che un lavoratore cambi datore di lavoro non implica la perdita di un diritto acquisito ( 46 ). Lasciando il proprio datore di lavoro per passare alle dipendenze di un altro, anche in un altro Stato membro, un lavoratore non fa altro che interrompere la continuità dell’anzianità di servizio necessaria per ottenere tale sesta settimana e così diminuire le proprie eventuali possibilità di ottenere tale vantaggio.

58.

Anche supponendo che un lavoratore preferisca rimanere presso il proprio attuale datore di lavoro per acquisire l’anzianità richiesta, in conformità all’UrlG, al fine di beneficiare di una sesta settimana di ferie supplementare ( 47 ), piuttosto che andare a esercitare un’attività subordinata presso un datore di lavoro in un altro Stato membro, in cui la legislazione in materia di ferie sia meno generosa, ciò non costituirebbe una restrizione contraria all’articolo 45 TFUE, per ragioni analoghe a quelle indicate supra al paragrafo 51: tale articolo non potrebbe garantire ad un lavoratore che un trasferimento in uno Stato membro diverso dal suo Stato di origine sia neutro in materia sociale. Non vi è alcun ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori se una persona ha scelto di continuare a lavorare in un determinato Stato membro, al fine di beneficiare di un vantaggio sociale, piuttosto che andare a esercitare la propria attività in uno Stato membro in cui la normativa gli sia meno favorevole. Il ragionamento inverso avrebbe, inoltre, un forte impatto sulle normative sociali degli Stati membri.

59.

Il comitato aziendale e la Commissione sostengono, tuttavia, che le norme dell’UrlG sono in grado di dissuadere dall’esercitare la libertà di circolazione i lavoratori austriaci che intendano abbandonare il loro attuale datore di lavoro per un datore di lavoro in un altro Stato membro, ma che intendano far poi ritorno ai servizi del loro datore di lavoro originario. A tal proposito, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 3, paragrafo 1, dell’UrlG, i periodi di servizio maturati da un lavoratore con lo stesso datore di lavoro sono computati nella loro totalità solo quando non sono separati da un’interruzione di più di tre mesi. Pertanto, se un lavoratore si dimettesse dal proprio datore di lavoro originario, offrisse i propri servizi ad altro datore di lavoro – straniero o nazionale – e facesse poi ritorno al datore di lavoro iniziale, i periodi di servizio maturati prima delle sue dimissioni sarebbero presi in considerazione, come quelli svolti presso il secondo datore di lavoro, entro il limite di cinque anni di cui all’articolo 3, paragrafo 3, dell’UrlG.

60.

Tuttavia, come giustamente rilevato dal giudice del rinvio, tale argomento si basa su una serie di circostanze allo stesso tempo troppo aleatorie e indirette perché l’UrlG costituisca un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori contrario all’articolo 45 TFUE ( 48 ).

61.

A tal riguardo, è pur vero che, nella sentenza Köbler ( 49 ), la Corte ha dichiarato che una normativa nazionale che non preveda il computo, ai fini della concessione di un’indennità per anzianità di servizio, dei periodi lavorativi svolti in un altro Stato membro è atta a dissuadere i lavoratori dello Stato membro in questione dall’esercitare la loro libertà di circolazione in quanto, al loro ritorno nella funzione pubblica di tale Stato, gli anni di pertinente esperienza professionale acquisiti in un altro Stato membro non verrebbero valorizzati. La Corte ha accolto un’interpretazione simile nella sentenza «SALK», con riguardo a lavoratori impiegati nelle pubbliche funzioni del Land di Salisburgo che intendevano ritornare in tali funzioni dopo essersi avvalsi della loro libertà di circolazione.

62.

Tuttavia, non sono sicuro, ancora una volta, che la logica di tale giurisprudenza sulla funzione pubblica possa essere trasposta al caso di specie. A tale riguardo, il governo austriaco sostiene correttamente che la reintegrazione di un dipendente del settore pubblico nel proprio servizio d’origine, dopo un periodo di distacco presso un’amministrazione di un altro Stato membro o di collocamento in disponibilità intesa ad acquisire un’esperienza professionale presso un altro datore di lavoro pubblico o privato, costituisce prassi comune. Per contro, sarebbe molto meno comune che un lavoratore del settore privato, che abbia cambiato datore di lavoro, torni al proprio datore di lavoro originario per ivi proseguire la propria carriera. Un tale reinserimento costituirebbe, per un lavoratore incerto tra restare al servizio del suo datore di lavoro o dimettersi, un evento aleatorio e indiretto. Infatti, al momento opportuno, tale ipotetico reinserimento sarà subordinato al rispetto di una serie di condizioni che sfuggono al controllo del lavoratore interessato, quali la disponibilità di un posto di lavoro al suo ritorno e la scelta del datore di lavoro di riassumere lui invece di un altro. Tale argomento è, a mio avviso, del tutto ragionevole.

63.

Inoltre, l’attuale giurisprudenza della Corte si riferisce, ricordo, al computo dell’anzianità di servizio ai fini del calcolo della retribuzione dei dipendenti della funzione pubblica. In tale settore, gli effetti dell’anzianità possono essere percepiti immediatamente o a breve termine. Per contro, nel caso di specie, anche supponendo che un lavoratore riesca a far ritorno presso il proprio datore di lavoro originario dopo essersi avvalso del proprio diritto alla libera circolazione, il diritto alla sesta settimana di ferie costituirebbe, in ogni caso, un evento mediato, che interverrebbe in generale in un lontano futuro, in relazione ai 25 anni di anzianità di servizio richiesti a tal proposito. Pertanto, sarebbe necessario che il lavoratore interessato rimanga presso il suo datore di lavoro il tempo necessario, il che dipenderà quindi da circostanze relativamente aleatorie, riguardanti sia la vita privata del lavoratore – che potrebbe, per motivi diversi, decidere di partire ancora una volta – che del suo datore di lavoro – che potrebbe dover recedere dal rapporto di lavoro per vari motivi.

64.

Alla luce di tutti i suesposti rilievi, ritengo che le norme previste dall’UrlG non costituiscano un ostacolo «all’ uscita» dei lavoratori austriaci verso il mercato del lavoro degli altri Stati membri.

D.   In subordine, sull’esistenza di una giustificazione oggettiva

65.

Per motivi di completezza e nell’ipotesi che la Corte dovesse ritenere che l’articolo 2, paragrafo 1, e l’articolo 3, paragrafi da 1 a 3, dell’UrlG implichino una disparità di trattamento indiretta fondata sulla nazionalità o che tali disposizioni costituiscano un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, esporrò, nei paragrafi seguenti, le ragioni per le quali queste disposizioni mi sembrano, in ogni caso, giustificate.

66.

A tal riguardo, ricordo che, secondo costante giurisprudenza della Corte, una differenza di trattamento fondata indirettamente sulla nazionalità, non costituisce una discriminazione vietata qualora essa sia obiettivamente giustificata da un obiettivo legittimo e proporzionata all’obiettivo perseguito. Una misura nazionale che limiti la libera circolazione dei lavoratori è inoltre compatibile con il diritto dell’Unione laddove soddisfi le stesse condizioni.

67.

Per quanto riguarda l’esistenza, nel caso di specie, di una giustificazione oggettiva, il governo austriaco sostiene che le disposizioni controverse dell’UrlG siano volte a ricompensare la fedeltà dei lavoratori verso il loro datore di lavoro.

68.

La Corte non ha mai formalmente ammesso che un obiettivo di fidelizzazione giustifichi una disparità di trattamento indirettamente fondata indirettamente sulla nazionalità o un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori. Essa si è limitata a dichiarare, in momenti diversi, ma sempre con una certa prudenza, che «non può essere escluso» ( 50 ) che la fidelizzazione possa costituire una giustificazione di tal genere, escludendo peraltro che tale obiettivo possa essere invocato nel caso concreto ( 51 ).

69.

A mio parere, l’obiettivo di fidelizzazione può, infatti, giustificare una disparità di trattamento fondata sulla nazionalità o un ostacolo in contrasto con l’articolo 45 TFUE. Infatti, i legittimi obiettivi di politica sociale e dell’occupazione perseguiti dagli Stati membri devono essere considerati, a mio avviso, quali giustificazioni ammissibili in materia. Orbene, allo stato attuale del diritto dell’Unione, gli Stati membri medesimi dispongono di un ampio poter discrezionale, in particolare nella scelta degli obiettivi che essi intendono perseguire nell’ambito di tale politica ( 52 ). Non ravviso, quindi, alcun ostacolo a considerare la fidelizzazione come un siffatto obiettivo legittimo. Come sostenuto dalla EurothermenResort Bad Schallerbach, la stabilità del rapporto di lavoro offre al lavoratore una certa sicurezza. La Commissione ha inoltre correttamente rilevato che la fidelizzazione dei lavoratori è un bene per il datore di lavoro, il quale può più facilmente pianificare la propria attività avendo garantita la stabilità del proprio personale.

70.

Per quanto riguarda, poi, il criterio della proporzionalità, si deve rammentare che tale principio esige che la normativa di cui trattasi dev’essere idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo di cui trattasi senza eccedere quanto necessario per conseguirlo ( 53 ).

71.

Orbene, ritengo, da un lato, che le regole dell’UrlG siano idonee a conseguire l’obiettivo di fidelizzazione indicato. A tal riguardo, rilevo che, nelle cause concernenti l’anzianità di servizio dei dipendenti pubblici sottoposte all’esame della Corte, le normative controverse ricompensavano l’esperienza professionale maturata non solo presso un solo, ma presso una pluralità di datori di lavoro ( 54 ). A fronte di tale constatazione, la Corte ha dichiarato che tali normative non erano idonee a raggiungere tale obiettivo ( 55 ). Si trattava, in definitiva, di «falsi» premi di fedeltà. Per contro, come reiteratamente osservato nel corso delle presenti conclusioni, le norme dell’UrlG ricompensano, sostanzialmente, solo l’anzianità maturata presso lo stesso datore di lavoro. La sesta settimana di ferie annuali retribuite ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1 dell’UrlG costituisce pertanto un «vero» premio di fedeltà ( 56 ).

72.

Il comitato aziendale sostiene, tuttavia, che le norme dell’UrlG non conseguirebbero in modo efficace tale obiettivo di fidelizzazione, in quanto i lavoratori in possesso dell’anzianità richiesta per poter beneficiare della sesta settimana di ferie annuali retribuite ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, dell’UrlG sarebbero, di fatto, poco numerosi. Peraltro, le regole dell’UrlG non tutelerebbero i lavoratori da un eventuale licenziamento anteriore all’ottenimento dell’anzianità di servizio necessaria per beneficiarne. Inoltre, sarebbero ipotizzabili migliori misure di fidelizzazione.

73.

Tuttavia, l’ampio potere di discrezionalità di cui godono Stati membri, secondo la giurisprudenza richiamata supra al punto 69, si estende parimenti alla definizione di misure atte a realizzare gli obiettivi di politica sociale e dell’occupazione che essi perseguono. Pertanto, nell’ambito dell’analisi dell’adeguatezza di una normativa quale l’UrlG, la Corte non dovrebbe verificare se essa costituisca il modo migliore per assicurare la fedeltà dei lavoratori. È sufficiente che essa sia in grado di contribuire a questa fedeltà. A mio avviso, ciò è quanto avviene nella specie.

74.

D’altra parte, per quanto riguarda la necessità delle regole dell’UrlG con riguardo allo scopo di fidelizzazione perseguito, mi sembra che l’ampio potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri debba operare anche in questa sede. In particolare, non spetta alla Corte stabilire la durata di un’anzianità di servizio meritoria, salvo sostituirsi al legislatore nazionale. Analogamente, ancora una volta, il semplice fatto che esistano altri metodi per ricompensare la fedeltà, senza dubbio attuati in altri Stati membri, non è sufficiente per concludere che le norme dell’UrlG siano sproporzionate ( 57 ).

75.

Ritengo che occorra altresì tenere presente, per valutare la necessità delle regole dell’UrlG, che esse concedono un vantaggio ai lavoratori, che va oltre quanto imposto dalla direttiva 2003/88. Coloro che non beneficiano della sesta settimana di ferie annuali retribuite prevista all’articolo 2, paragrafo 1, dell’UrlG possono sempre godere di una settimana di ferire ulteriore rispetto al livello minimo di quattro settimane garantito da tale direttiva.

76.

Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, le disposizioni controverse non impediscono in alcun modo ad un datore di lavoro di ricompensare la fedeltà dei lavoratori in altro modo. A tal riguardo, EurothermenResort Bad Schallerbach ha affermato, senza essere contraddetta in merito, che esistono al riguardo molte altre misure per premiare la fedeltà nel diritto austriaco. Inoltre, tale società e il governo austriaco hanno rilevato, senza essere contraddetti, che le parti sociali e i singoli datori di lavoro, a livello aziendale, possono superare le norme dell’UrlG, subordinando, ad esempio, la concessione di una sesta settimana di ferie annuali retribuite a una minore anzianità di servizio, come la stessa Commissione ha riconosciuto all’udienza.

77.

Infine, la misura de qua non implica l’effetto di compartimentazione del mercato nazionale del lavoro descritto nella sentenza Köbler ( 58 ). A tal riguardo, ricordo che in tale sentenza la Corte ha dichiarato che, ricompensando l’esperienza professionale acquisita presso le sole università pubbliche austriache, l’indennità di anzianità de qua era idonea ad incidere sulla scelta operata da un professore universitario tra un impiego in un’università austriaca ed un impiego in un’università di un altro Stato membro, determinando, in tal modo, una compartimentazione del mercato del lavoro nazionale incompatibile con il principio stesso della libera circolazione dei lavoratori – il che contribuiva alla natura ingiustificata di tale normativa ( 59 ). Per contro, nel caso di specie, laddove un lavoratore interrompa la continuità della propria anzianità di servizio, ai fini della concessione della sesta settimana di ferie annuali retribuite, sia che egli lavori presso un datore di lavoro nazionale sia presso un datore di lavoro di un altro Stato membro, le norme dell’UrlG non hanno l’effetto di orientarlo nella scelta tra un impiego in un’azienda austriaca ovvero in un’azienda di un altro Stato membro ( 60 ).

78.

Alla luce di tutti i suesposti rilievi, sono dell’avviso che disposizioni quali l’articolo 2, paragrafo 1, e l’articolo 3, paragrafo 1, dell’UrlG siano giustificate e proporzionate.

V. Conclusione

79.

Sulla base delle considerazioni svolte supra, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale proposta dall’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria) nei termini seguenti:

L’articolo 45, paragrafi 1 e 2, TFUE e l’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, per effetto della quale un lavoratore in possesso di un totale di 25 anni di servizio, senza averli peraltro maturati presso lo stesso datore di lavoro austriaco, abbia diritto unicamente a cinque settimane di ferie annuali retribuite, laddove un lavoratore che abbia maturato 25 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro abbia diritto a sei settimane di ferie l’anno.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Legge del 7 luglio 1976 (BGB1. 1976/390), come pubblicata nella BGB1 I 2013/3.

( 3 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU 2011, L 141, pag. 1).

( 4 ) Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU 2003, L 299, pag. 9).

( 5 ) La EurothermenResort Bad Schallerbach e il governo austriaco rilevano che, ai sensi del secondo periodo del paragrafo 1 dell’articolo 3 dell’UrlG, non menzionato nell’ordinanza di rinvio, l’anzianità di servizio si perde anche in caso di interruzione dovuta alle dimissioni del lavoratore, al suo licenziamento anteriormente alla scadenza del contratto non per gravi motivi oppure a causa di licenziamento per colpa.

( 6 ) Come rilevato supra al paragrafo 10, sebbene la formulazione dell’articolo 3, paragrafo 2, punto 1, dell’UrlG faccia riferimento unicamente ai periodi di servizio maturati nel territorio austriaco, la giurisprudenza dell’Oberster Gerichtshof (Corte suprema) ha «corretto» tale disposizione imponendo di computare i periodi di servizio maturati nel territorio di altri Stati membri.

( 7 ) Sentenze del 26 ottobre 2006, Commissione/Italia (C‑371/04, EU:C:2006:668, punto 17), e del 5 dicembre 2013, Zentralbetriebsrat der gemeinnützigen Salzburger Landeskliniken (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 23, in prosieguo, la «sentenza SALK»). Nel prosieguo delle presenti conclusioni richiamerò dunque alternativamente l’una o l’altra di tali disposizioni ovvero entrambe congiuntamente.

( 8 ) Tale giurisprudenza trova origine nella sentenza del 12 febbraio 1974, Sotgiu, 152/73, EU:C:1974:13, punto 11). V., più di recente, sentenze del 10 settembre 2009, Commissione/Germania (C‑269/07, EU:C:2009:527, punto 53); del 28 giugno 2012, Erny (C‑172/11, EU:C:2012:399, punto 39), e del 20 giugno 2013, Giersch e a. (C‑20/12, EU:C:2013:411, punto 41).

( 9 ) Setnenza C‑237/94, EU:C:1996:206.

( 10 ) Sentenza del 23 maggio 1996, O’Flynn (C‑237/94, EU:C:1996:206, punto 20) (corsivo mio). Tale sentenza ha unificato le diverse formulazioni utilizzate in precedenza dalla Corte, la quale aveva alternativamente dichiarato che dovevano essere considerate indirettamente discriminatorie le condizioni che, benché indistintamente applicabili secondo la cittadinanza, «riguardino essenzialmente [...] o in gran parte i lavoratori migranti» o che «possono essere soddisfatte più agevolmente dai lavoratori nazionali che dai lavoratori migranti» o ancora che «rischiano di essere sfavorevoli, in modo particolare, ai lavoratori migranti [...]» (v. il punto 18 della sentenza, il corsivo è mio). La formulazione contenuta in tale sentenza si ritrova poi costantemente nella giurisprudenza della Corte [v., in particolare, sentenze del 27 novembre 1997, Meints, C‑57/96, EU:C:1997:564, punto 45); del 10 settembre 2009, Commissione/Germania (C‑269/07, EU:C:2009:527, punto 54), e del 5 dicembre 2013, SALK, C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 26).

( 11 ) Nella sentenza del 23 maggio 1996, O’Flynn (C‑237/94, EU:C:1996:206, punto 22), la Corte ha dichiarato che una normativa che subordini la concessione di un’indennità diretta coprire le spese di inumazione o cremazione di un familiare sostenute da un lavoratore alla condizione che queste abbiano avuto luogo nel territorio nazionale, può risultare indirettamente discriminatoria sulla base della nazionalità, sulla base del rilievo che «è soprattutto il lavoratore migrante che, in caso di decesso di un suo familiare, tenderà a farne eseguire l’ inumazione in un altro Stato membro, in considerazione dei legami che i membri di una famiglia del genere conservano generalmente con il loro Stato di origine» (corsivo mio).

( 12 ) V., in tal senso, sentenza del 6 marzo 2018, SEGRO e Horvath (cause riuniteC‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2018:157, punto 73) nonché le mie conclusioni nelle cause riunite SEGRO e Horvath (C‑52/16 e C‑113/16, EU:C:2017:410, punti 7980). La questione della determinazione degli effetti di una misura sulle varie categorie di persone è oggetto di una giurisprudenza ben più precisa in materia di parità di trattamento tra lavoratori uomini e donne (per una sintesi di detta giurisprudenza e un’illustrazione delle numerose difficoltà sollevate da tale questione, v. Barnard, C., EU Employment Law, Oxford University Press, 4a edizione, 2012, OUP, pag. 282-286). Ai fini dell’applicazione del principio di non discriminazione fondata sulla nazionalità, non è però necessario scendere a questo livello di dettaglio, dato il carattere generale del criterio applicato in questo settore.

( 13 ) V., in particolare, sentenze del 14 febbraio 1995, Schumacker (C‑279/93, EU:C:1995:31, punto 28), e del 7 maggio 1998, Clean Car Autoservice (C‑350/96, EU:C:1998:205, punto 29).

( 14 ) Sentenza del 12 febbraio 1974, Sotgiu (152/73, EU:C:1974:13, punto 11).

( 15 ) Sentenza del 28 novembre 1989, Groener (C‑379/87, EU:C:1989:599, punto 12).

( 16 ) Sentenze del 28 novembre 1989, Groener (C‑379/87, EU:C:1989:599, punto 23), e del 6 giugno 2000, Angonese (C‑281/98, EU:C:2000:296, punti 39-42).

( 17 ) Sentenza del 7 luglio 2005, Commissione/Austria (C‑147/03, EU:C:2005:427, punti 43, 4647).

( 18 ) Sentenza del 21 novembre 1991, Le Manoir, (C‑27/91, EU:C:1991:441, punto 11).

( 19 ) V., in tal senso, le conclusioni dell’avvocato generale Lenz nella causa O’Flynn (C‑237/94, EU:C:1996:123, paragrafo 27). Le condizioni geografiche o linguistiche costituiscono, in materia di discriminazione fondata sulla nazionalità, l’equivalente delle condizioni di assunzione quali il requisito di un’altezza minima (v. sentenza del 18 ottobre 2017, Kalliri, C‑409/16, EU:C:2017:767) o di una determinata forza fisica (v. sentenza del 1o luglio 1986Rummler, 237/85, EU:C:1986:277) in materia di discriminazioni fondate sul sesso.

( 20 ) In particolare, nella causa sfociata nella sentenza del 16 febbraio 1978, Commissione/Irlanda (61/77, EU:C:1978:29), la Corte ha avuto modo di esaminare una normativa irlandese che escludeva da una zona di pesca i pescherecci superiori a determinate dimensioni o ad una determinata potenza. Orbene, questi requisiti di dimensioni e di potenza, sebbene fossero realmente neutri per quanto riguarda la nazionalità, comportavano in pratica l’esclusione dalle acque in questione di gran parte delle flotte pescherecce francese e dei Paesi Bassi, mentre le flotte irlandese e britannica, composte da natanti più piccoli, erano in gran parte esenti.

( 21 ) Come nel caso di cui alla nota a piè di pagina precedente, i dati relativi alle caratteristiche specifiche delle flotte pescherecce degli Stati membri.

( 22 ) Il comitato aziendale sostiene che i lavoratori cittadini di Stati membri diversi dalla Repubblica d’Austria sono sempre svantaggiati dalle regole dell’UrlG. La Commissione avrebbe adottato la stessa tesi nelle sue osservazioni scritte, prima di modificare la sua posizione in udienza sostenendo che essi sono svantaggiati nella maggior parte dei casi.

( 23 ) Ricordo che la formulazione dell’articolo 3, paragrafo 2, punto 1, dell’UrlG, che fa riferimento solo ai periodi di attività di servizio maturati in Austria — condizione che comporta incontestabilmente una disparità di trattamento indiretta fondata sulla nazionalità —, è stata «corretta» dalla giurisprudenza dell’Oberster Gerichtshof (Corte suprema), che impone di computare i periodi di servizio maturati nel territorio di altri Stati membri (v. supra, paragrafo 10 e la relativa nota a piè di pagina delle presenti conclusioni). Tale «correzione» giurisprudenziale non esenta il legislatore austriaco dal modificare detta disposizione. Infatti, secondo una costante giurisprudenza della Corte, il mantenimento invariato di un atto nazionale contrario al diritto dell’Unione «crea una situazione di fatto ambigua, in quanto mantiene gli interessati in uno stato d’incertezza circa le possibilità loro garantite di fare appello al diritto dell’Unione» [v. sentenze del 24 marzo 1988, Commissione/Italia (104/86, EU:C:1988:171, punto 12), e del 13 luglio 2000, Commissione/Francia (C‑160/99, EU:C:2000:410, punto 22)].

( 24 ) Il comitato aziendale rileva che, secondo un sondaggio, solo il 13% dei lavoratori negli Stati membri dell’Unione non hanno in media mai cambiato lavoro, mentre tra il 60 e il 66% di essi hanno cambiato lavoro da una a cinque volte, cosa che riguarderebbe in particolare i lavoratori stagionali – come quelli impiegati, nel caso di specie, nel settore del turismo — e confermerebbe l’impatto negativo, sui lavoratori, delle disposizioni dell’UrlG controverse. Orbene, intendo tale argomento nel senso che queste disposizioni discriminatorie sfavoriscano de facto la maggior parte dei lavoratori, in particolare stagionali, indipendentemente dalla loro nazionalità.

( 25 ) A tal riguardo, una disparità di trattamento in base alla nazionalità derivante dalle norme dell’UrlG potrebbe eventualmente desumersi da statistiche nazionali riguardanti una popolazione sufficiente, che non riflettano fenomeni puramente fortuiti o congiunturali e che, in generale, appaiano significativi [v. per analogia in materia di discriminazione di genere, la sentenza del 6 aprile 2000, Jørgensen (C‑226/98, EU:C:2000:191, punto 33)]. Orbene, le statistiche presentate dal governo austriaco nelle sue osservazioni scritte nonché all’udienza tendono, al contrario, a dimostrare il dinamismo del mercato del lavoro austriaco.

( 26 ) Tale ragionamento è fondamentalmente viziato dal rapporto ineguale tra cittadini nazionali e stranieri che sono oggetto, de facto, della normativa in questione. Poiché la legislazione sociale austriaca riguarda, sostanzialmente, un numero superiore di lavoratori austriaci — in quanto, a rigor di logica, il mercato del lavoro di tale Stato membro comprende soprattutto Austriaci — vi sono naturalmente più austriaci che stranieri che beneficiano della sesta settimana di ferie annuali retribuite prevista dall’UrlG.V., per analogia, per quanto riguarda le discriminazioni fondate sul sesso, la sentenza del 9 febbraio 1999, Seymour-Smith e Perez (C‑167/97, EU:C:1999:60, punto 59), in cui la Corte ha precisato che gli effetti discriminatori di una misura si valuta confrontando «da un lato, le quote rispettive di lavoratori che soddisfano o non soddisfano il requisito dei due anni di lavoro prescritto dalla norma controversa all’interno dei lavoratori subordinati di sesso maschile e, dall’altro, le stesse proporzioni esistenti tra i lavoratori di sesso femminile. Non è sufficiente prendere in considerazione il numero di persone interessate, dal momento che tale numero dipende dal numero di lavoratori attivi nell’intero Stato membro, nonché dalla ripartizione dei lavoratori e delle lavoratrici nello stesso Stato membro» (il corsivo è mio).

( 27 ) In ogni caso, benché si possa ammettere che, in termini assoluti, la maggior parte dei lavoratori che beneficino della sesta settimana di ferie annuali retribuite ex articolo 2, paragrafo 1, dell’UrlG siano austriaci, dubito fortemente che la maggior parte di coloro che subiscano ripercussioni negative a causa di tale legge siano cittadini di altri Stati membri, per i motivi esposti supra al paragrafo 31.

( 28 ) Sentenze del 28 giugno 2012, Erny (C‑172/11, EU:C:2012:399, punto 41); del 20 giugno 2013, Giersch e a. (C‑20/12, EU:C:2013:411, punto 45), e del 5 dicembre 2013, SALK (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 27).

( 29 ) In tale contesto, non si può nemmeno sostenere, come fa il comitato aziendale, che tutti i lavoratori stranieri siano svantaggiati, laddove solo alcuni lavoratori nazionali lo sarebbero, indipendentemente dal numero. Il carattere sproporzionato di tale affermazione è immediatamente evidente. È probabile che un certo numero di cittadini di altri Stati membri, quali ad esempio la Germania, inizino la loro attività professionale in Austria. Inoltre, i lavoratori che abbiano iniziato la loro carriera in un altro Stato membro e che siano stati assunti dal loro attuale datore di lavoro con un’esperienza professionale inferiore a cinque anni di non risulteranno svantaggiati dal limite stabilito all’articolo 3, paragrafo 3, dell’UrlG.

( 30 ) V., in particolare, sentenze del 15 gennaio 1998, Schöning-Kougebetopoulou (C‑15/96, EU:C:1998:3, punto 22); del 12 marzo 1998, Commissione/Grecia, C‑187/96, EU:C:1998:101, punti 2021); del 30 novembre 2000, Österreichischer Gewerkschaftsbund (C‑195/98, EU:C:2000:655, punti da 41 a 44); del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punti 70, 7173); del 12 maggio 2005, Commissione/Italia (C‑278/03, EU:C:2005:281, punto 18); del 26 ottobre 2006, Commission/Italia (C‑371/04, EU:C:2006:668, punto 18), e del 5 dicembre 2013, SALK, C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 28).

( 31 ) Sentenza C‑224/01, EU:C:2003:513, punti 73 nonché 8586.

( 32 ) V. sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 84). V. parimenti sentenze del 30 novembre 2000, Österreichischer Gewerkschaftsbund (C‑195/98, EU:C:2000:655, punto 49), e del 5 dicembre 2013, SALK (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 40). In tale contesto, la Corte ritiene che le diverse istituzioni pubbliche e le amministrazioni degli Stati membri siano datori di lavoro giuridicamente distinti.

( 33 ) V., a contrario, la causa sfociata nella sentenza del 10 marzo 2011, Casteels (C‑379/09, EU:C:2011:131). Tale causa riguardava un contratto collettivo che, ai fini della concessione di una pensione complementare, computava diversamente i periodi di servizio maturati da un lavoratore con il medesimo datore di lavoro in funzione del fatto che tali periodi fossero stati svolti in una sede situata all’estero o in una sede situata nello Stato membro interessato.

( 34 ) A tal proposito, ricordo che, in mancanza di scelta delle parti, il contratto individuale di lavoro è disciplinato dalla legge del paese nel quale o, in mancanza, a partire dal quale il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolga abitualmente la propria attività lavorativa. V. l’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) (GU 2008, L 177, pag. 6).

( 35 ) Spetta unicamente al giudice del rinvio interpretare le norme dell’UrlG e verificare le affermazioni dedotte dalla EurothermenResort Bad Schallerbach in merito. Ciò detto, anche supponendo che non siano dimostrate, la mera circostanza che l’UrlG tratti esattamente nella stessa maniera qualsiasi cambiamento di datore di lavoro è sufficiente, a mio avviso, per concludere nel senso dell’insussistenza di una discriminazione indiretta.

( 36 ) Sentenza del 5 dicembre 2013 (C‑514/12, EU:C:2013:799).

( 37 ) Sentenza del 5 dicembre 2013, SALK (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 31).

( 38 ) Sentenza del 5 dicembre 2013, (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 31).

( 39 ) V., al riguardo, le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Bickel e Franz (C‑274/96, EU:C:1998:115, paragrafo 38): «Supponiamo, ad esempio, che ad opera della normativa pertinente gli scavi di Pompei fossero aperti gratuitamente fuori stagione per i residenti di Napoli e dintorni. Sarebbe difficile sostenere che tale norma operi a specifico detrimento dei cittadini degli altri Stati membri visto che anche la grande maggioranza dei residenti italiani ne sarebbe colpita [...]» (corsivo aggiunto). È pertanto censurabile che la Corte abbia accolto un’interpretazione opposta, nella sentenza del 16 gennaio 2003, Commissione/Italia (C‑388/01, EU:C:2003:30) giudicando indirettamente discriminatori sulla base della nazionalità una serie di normative, adottate da enti locali, che offrivano gratuitamente l’accesso ai musei locali ai residenti nel territorio di loro giurisdizione. Al punto 14 di tale sentenza, la Corte ha respinto l’argomento secondo il quale la maggior parte degli italiani sarebbe svantaggiata allo stesso modo degli stranieri limitandosi a richiamare, ancora una volta, la giurisprudenza ricordata supra al paragrafo 34.

( 40 ) V. in particolare, le sentenze del 15 dicembre 1995, Bosman (C‑415/93, EU:C:1995:463, punto 96), e del 27 gennaio 2000, Graf (C‑190/98, EU:C:2000:49, punto 18).

( 41 ) V., in particolare, le sentenze del 1o aprile 2008, Governo della Comunità francese e governo vallone (C‑212/06, EU:C:2008:178, punto 45); del 10 marzo 2011, Casteels(C‑379/09, EU:C:2011:131, punto 43), e del 18 luglio 2017, Erzberger (C‑566/15, EU:C:2017:562, punto 33).

( 42 ) Sentenza del 18 luglio 2017Erzberger (C‑566/15, EU:C:2017:562, paragrafi 3435).

( 43 ) V., in tal senso le conclusioni dell’avvocato generale Fennelly nella causa Graf (C‑190/98, EU:C:1999:423, paragrafo 32): «Normalmente, il lavoratore migrante deve prendere il mercato del lavoro nazionale così com’è». V. ugualmente le mie conclusioni nella causa Erzberger (C‑566/15, EU:C:2017:347, paragrafi da 74 a 78).

( 44 ) Sentenze del 15 dicembre 1995, Bosman, C‑415/93, EU:C:1995:463, punti 9495), e del 1o aprile 2008, governo della Comunità francese e governo vallone, C‑212/06, EU:C:2008:178, punto 44).

( 45 ) Sentenze del 15 dicembre 1995, Bosman (C‑415/93, EU:C:1995:463, punto 96); del 16 marzo 2010, Olympique Lyonnais (C‑325/08, EU:C:2010:143, punto 34), e del 5 dicembre 2013, SALK (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 30).

( 46 ) La controversia in esame differisce quindi dalla giurisprudenza della Corte in materia di previdenza, in particolare dalle sentenze del 21 gennaio 2016, Commissione/Cipro, (C‑515/14, EU:C:2016:30), nonché del 13 luglio 2016, Pöpperl (C‑187/15, EU:C:2016:550). Nelle cause sfociate in tali sentenze, il dipendente pubblico che si dimetteva dalla funzione pubblica nazionale e passava ad altro datore di lavoro, incluso un datore di lavoro in un altro Stato membro, perdeva il beneficio di un vantaggio per il quale aveva finora versato contributi e che poteva, pertanto, essere considerato acquisito. Tale ipotesi non ricorre nella specie. Inoltre, sebbene i diritti previdenziali siano potenzialmente esportabili, lo stesso non vale per quanto riguarda il diritto alle ferie annuali retribuite.

( 47 ) È probabile che l’importanza che un lavoratore conferisce a questa considerazione, ponderando i pro e i contro delle dimissioni e di un trasferimento all’estero, sia, in generale, particolarmente bassa. In effetti, ciò dipenderà dall’età del lavoratore interessato e dagli anni già trascorsi al servizio del suo attuale datore di lavoro, a seconda che tale lavoratore sia più o meno vicino a 25 anni di anzianità di servizio esperienza richiesti dall’articolo 2, paragrafo 1 dell’UrlG. Tuttavia, il rischio di perdere tale beneficio sembra comunque essere un dato irrilevante rispetto ai dubbi di natura esistenziale che potrà affrontare un lavoratore che preveda di lasciare il suo Stato membro di origine per cercare fortuna oltrefrontiera.

( 48 ) V., in tale senso, la sentenza del 27 gennaio 2000, Graf (C‑190/98, EU:C:2000:49, punto 25). V. anche, per analogia, le sentenze del 4 ottobre 1991, Society for the Protection of Unborn Children Ireland (C‑159/90, EU:C:1991:378, punto 24); del 15 giugno 2010, Commission/Espagne (C‑211/08, EU:C:2010:340, punto 72), e del 12 luglio 2012, SC Volksbank România (C‑602/10, EU:C:2012:443, punto 81). La questione della natura eccessivamente aleatoria e indiretta di un evento futuro affinché la normativa nazionale possa costituire un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori non deve confondersi con quella dell’importanza di tale ostacolo, sulla quale la Corte ritiene che anche un ostacolo di minore importanza è vietato dall’articolo 45 TFUE [v., in tal senso, sentenze del 13 dicembre 1989, Corsica Ferries (France) (C‑49/89, EU:C:1989:649, punto 8), nonché del 1o aprile 2008, Gouvernement de la Communauté française et gouvernement wallon (C‑212/06, EU:C:2008:178, punto 52)]. Infatti, la prima questione riguarda l’influenza – probabile o, al contrario, puramente ipotetica e quindi inesistente – di tale normativa sulla scelta di un lavoratore di esercitare la propria libertà di circolazione, mentre la seconda questione verte sulle conseguenze di tale normativa sui lavoratori che esercitano detta libertà.

( 49 ) Sentenza del 30 settembre 2003 (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 74).

( 50 ) Sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 83), e del 5 dicembre 2013, SALK (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 38); V., inoltre l’ordinanza del 10 marzo 2005, Marhold (C‑178/04, non pubblicata, EU:C:2005:164, punto34).

( 51 ) Sentenze del 15 gennaio 1998, Schöning-Kougebetopoulou (C‑15/96, EU:C:1998:3, punti 2627); del 30 novembre 2000, Österreichischer Gewerkschaftsbund (C‑195/98, EU:C:2000:655, punto 49); del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punti 83 et 84), e del 5 dicembre 2013, SALK (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 38).

( 52 ) V., relativamente all’articolo 45 TFUE, sentenza del 13 dicembre 2012, Caves Krier FrèresC‑379/11, EU:C:2012:798, punto 51). V., in particolare, per quanto riguarda gli altri ambiti del diritto dell’Unione, le sentenze del 22 novembre 2005, Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709, punto 63); dell’11 gennaio 2007, ITC (C‑208/05, EU:C:2007:16, punto 39), e del 16 ottobre 2007, Palacios de la Villa (C‑411/05, EU:C:2007:604, punto 68).

( 53 ) V., in particolare, sentenza del 5 dicembre 2013, SALK (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

( 54 ) La Corte ha ritenuto, in effetti, che i singoli enti pubblici ed amministrazioni degli Stati membri costituissero datori di lavoro distinti. V. supra la nota a piè di pagina n.32 e la giurisprudenza ivi richiamata.

( 55 ) Sentenze del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punto 84), e del 5 dicembre 2013, SALK (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 38). In certe cause più risalenti, la Corte ha anche considerato che le misure in questione non miravano realmente a conseguire l’obiettivo della fidelizzazione invocato [v. sentenze del 15 gennaio 1998, Schöning-Kougebetopoulou (C‑15/96, EU:C:1998:3, punto 26), e del 30 novembre 2000, Österreichischer Gewerkschaftsbund (C‑195/98, EU:C:2000:655, punto 49)].

( 56 ) È pertanto logico che, nel sistema dell’UrlG, i periodi di servizio maturati presso i precedenti datori di lavoro siano presi in considerazione solo in misura marginale, in quanto tali periodi sono semplicemente non paragonabili a quelli compiuti presso il datore di lavoro attuale con riferimento all’obiettivo di fidelizzazione perseguito. In termini assoluti, i periodi di servizio presso i precedenti datori di lavoro non dovrebbero affatto essere presi in considerazione. Tuttavia, a mio parere, il computo di tali periodi fino ad un massimo di cinque anni, come previsto all’articolo 3, paragrafi 2 e 3, dell’UrlG, mira unicamente ad attenuare il rigore della regola dei 25 anni di anzianità e contribuisce, quindi, alla sua proporzionalità.

( 57 ) V., per analogia, per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi, sentenza del 10 maggio 1995, Alpine InvestmentsC‑384/93, EU:C:1995:126, punto 51), e le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Alpine Investments (C‑384/93, EU:C:1995:15, paragrafo 88).

( 58 ) V. sentenza del 30 settembre 2003, C‑224/01, EU:C:2003:513.

( 59 ) Sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punti 8586).

( 60 ) Certamente, la fidelizzazione sarà sempre, in una certa misura, contraria alla logica delle libertà di circolazione garantite dal Trattato FUE. Un premio di fedeltà ricompensa l’immobilismo, laddove le disposizioni del trattato FUE promuovono il movimento. Ciò non è peraltro incompatibile con il diritto dell’Unione, il quale non osta alle relazioni stabili e permanenti, sia professionali che personali.