CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 17 ottobre 2018 ( 1 )

Causa C‑82/17 P

TestBioTech eV

European Network of Scientists for Social and Environmental Responsibility eV

Sambucus eV

contro

Commissione europea

«Impugnazione – Ambiente – Prodotti geneticamente modificati – Decisione della Commissione che autorizza l’immissione in commercio di prodotti contenenti soia geneticamente modificata MON 87701 x MON 89788 – Regolamento (CE) n. 1367/2006 – Articolo 10 – Richiesta di riesame interno di un atto amministrativo ai sensi del diritto ambientale – Onere della prova»

Introduzione

1.

Con la presente impugnazione, la TestBioTech eV, la European Network of Scientists for Social and Environmental Responsibility eV e la Sambucus eV (in prosieguo: le «ricorrenti») chiedono, in primo luogo, l’annullamento della sentenza del Tribunale del 15 dicembre 2016, TestBioTech e a./Commissione (T‑177/13, non pubblicata, in prosieguo: la sentenza impugnata, EU:T:2016:736), con la quale il Tribunale ha respinto il loro ricorso diretto all’annullamento della decisione della Commissione europea dell’8 gennaio 2013 ( 2 ) (in prosieguo: la «decisione controversa»), con cui la Commissione ha informato la TestBioTech di non aver accolto nessuno degli argomenti addotti per motivare la richiesta di riesame interno della decisione [di esecuzione della Commissione] n. 2012/347/UE, del 28 giugno 2012, che autorizza l’immissione in commercio di prodotti contenenti, costituiti o ottenuti a partire da soia geneticamente modificata MON 87701 × MON 89788 (MON-877Ø1-2 × MON-89788-1) a norma del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio [ ( 3 )] (GU 2012, L 171, pag. 13; in prosieguo: la «decisione di autorizzazione»). In secondo luogo, le ricorrenti chiedono l’annullamento della decisione controversa, nonché delle decisioni della Commissione, di contenuto identico, indirizzate alla European Network of Scientists for Social and Environmental Responsibility e alla Sambucus e, in subordine, di rinviare la causa al Tribunale.

2.

Per quanto riguarda le presenti conclusioni, la questione di diritto sollevata dalla presente impugnazione consentirà alla Corte di esaminare la natura, la portata e l’«onere della prova» nel meccanismo di riesame interno previsto dall’articolo 10 del regolamento (CE) n. 1367/2006 ( 4 ).

Contesto normativo

Diritto internazionale

3.

L’articolo 9, paragrafi da 1 a 4, della Convenzione di Aarhus ( 5 ) prevede quanto segue:

«1.   Nel quadro della propria legislazione nazionale, ciascuna Parte provvede affinché chiunque ritenga che la propria richiesta di informazioni formulata ai sensi dell’articolo 4 sia stata ignorata, immotivatamente respinta in tutto o in parte, non abbia ricevuto una risposta adeguata o comunque non sia stata trattata in modo conforme alle disposizioni di tale articolo, abbia accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale o a un altro organo indipendente e imparziale istituito dalla legge.

La Parte che preveda il ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale dispone affinché l’interessato abbia anche accesso a una procedura stabilita dalla legge, rapida e gratuita o poco onerosa, ai fini del riesame della propria richiesta da parte dell’autorità pubblica o da parte di un organo indipendente e imparziale di natura non giurisdizionale.

Le decisioni definitive prese a norma del presente paragrafo sono vincolanti per l’autorità pubblica in possesso delle informazioni. Esse sono motivate per iscritto almeno quando l’accesso alle informazioni viene negato in forza del presente paragrafo.

2.   Nel quadro della propria legislazione nazionale, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico interessato

a)

che vantino un interesse sufficiente o, in alternativa,

b)

che facciano valere la violazione di un diritto, nei casi in cui il diritto processuale amministrativo di detta Parte esiga tale presupposto,

abbiano accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale e/o ad un altro organo indipendente ed imparziale istituito dalla legge, per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni dell’articolo 6 e, nei casi previsti dal diritto nazionale e fatto salvo il paragrafo 3, ad altre pertinenti disposizioni della presente convenzione.

Le nozioni di “interesse sufficiente” e di “violazione di un diritto” sono determinate secondo il diritto nazionale, coerentemente con l’obiettivo di offrire al pubblico interessato un ampio accesso alla giustizia nell’ambito della presente convenzione. A tal fine si ritiene sufficiente, ai sensi della lettera a), l’interesse di qualsiasi organizzazione non governativa in possesso dei requisiti di cui all’articolo 2, paragrafo 5. Tali organizzazioni sono altresì considerate titolari di diritti suscettibili di violazione ai sensi della lettera b).

Le disposizioni del presente paragrafo non escludono la possibilità di esperire un ricorso preliminare dinanzi ad un’autorità amministrativa, né dispensano dall’obbligo di esaurire le vie di ricorso amministrativo prima di avviare un procedimento giudiziario, qualora tale obbligo sia previsto dal diritto nazionale.

3.   In aggiunta, e ferme restando le procedure di ricorso di cui ai paragrafi 1 e 2, ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti o contestare le omissioni dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale.

4.   Fatto salvo il paragrafo 1, le procedure di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 devono offrire rimedi adeguati ed effettivi, ivi compresi, eventualmente, provvedimenti ingiuntivi, e devono essere obiettive, eque, rapide e non eccessivamente onerose. Le decisioni prese in virtù del presente articolo sono emanate o registrate per iscritto. Le decisioni degli organi giurisdizionali e, ove possibile, degli altri organi devono essere accessibili al pubblico».

Diritto dell’Unione

4.

I considerando 11, 18, 19 e 21 del regolamento n. 1367/2006 stabiliscono quanto segue:

«11)

È opportuno che gli atti amministrativi di portata individuale possano essere soggetti a ricorso interno qualora abbiano effetti esterni e giuridicamente vincolanti (…).

(…)

18)

L’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus prevede l’accesso a procedure di ricorso di natura giurisdizionale e non avverso gli atti e le omissioni dei privati e delle pubbliche autorità che violano le norme di diritto ambientale. Le disposizioni sull’accesso alla giustizia dovrebbero essere compatibili con il trattato. In questo contesto, è opportuno che il presente regolamento si applichi esclusivamente agli atti e alle omissioni delle pubbliche autorità.

19)

Per assicurare mezzi di impugnazione adeguati e efficaci, compresi quelli esperibili dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità europee ai sensi delle pertinenti disposizioni del trattato, è opportuno che l’istituzione o l’organo comunitario che ha emanato l’atto oggetto di impugnazione o, in caso di presunta omissione, che avrebbe dovuto emanarlo, abbia la possibilità di riconsiderare la propria decisione o, nel caso di un comportamento omissivo, di adottare il provvedimento richiesto.

(…)

21)

Nel caso in cui una richiesta di riesame interno non sia stata accolta, le organizzazioni non governative interessate dovrebbero avere la possibilità di proporre ricorsi in materia ambientale dinanzi alla Corte di giustizia ai sensi delle pertinenti disposizioni del trattato».

5.

L’articolo 10, rubricato «Richiesta di riesame interno degli atti amministrativi» così dispone:

«1.   Qualsiasi organizzazione non governativa che soddisfa i criteri di cui all’articolo 11 può presentare una richiesta di riesame interno all’istituzione o all’organo comunitario che ha adottato un atto amministrativo ai sensi del diritto ambientale o, in caso di presunta omissione amministrativa, che avrebbe dovuto adottarlo.

Tale richiesta dev’essere formulata per iscritto entro un termine massimo di sei settimane a decorrere dalla data più recente tra quelle di adozione, notifica o pubblicazione dell’atto amministrativo o, in caso di presunta omissione, entro sei settimane dalla data in cui lo stesso avrebbe dovuto essere adottato. La richiesta deve contenere una motivazione del riesame.

2.   L’istituzione o l’organo comunitario di cui al paragrafo 1 esamina tale richiesta a meno che essa sia chiaramente infondata. Non appena possibile, e comunque entro dodici settimane dal ricevimento della richiesta, l’istituzione o l’organo comunitario risponde per iscritto adducendo le sue motivazioni.

3.   Qualora, nonostante la dovuta diligenza, l’istituzione o l’organo comunitario non sia in grado di agire a norma del paragrafo 2, non appena possibile, e in ogni caso entro i termini di cui al suddetto paragrafo, detta istituzione o detto organo comunitario informa l’organizzazione non governativa che ha formulato la richiesta dei motivi di impedimento e di quando intende porvi rimedio.

L’istituzione o l’organo comunitario è tenuto ad agire in ogni caso entro diciotto settimane dal ricevimento della richiesta».

6.

L’articolo 12 del medesimo regolamento («Ricorsi dinanzi alla Corte di giustizia»), prevede quanto segue:

«1.   L’organizzazione non governativa che ha formulato la richiesta di riesame interno ai sensi dell’articolo 10 può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia a norma delle pertinenti disposizioni del trattato.

2.   Qualora l’istituzione o l’organo comunitario ometta di agire a norma dell’articolo 10, paragrafo 2 o paragrafo 3, l’organizzazione non governativa ha il diritto di proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia a norma delle pertinenti disposizioni del trattato».

Fatti all’origine della controversia

7.

Le ricorrenti sono associazioni tedesche senza scopo di lucro. La TestBioTech eV promuove la ricerca indipendente e il dibattito pubblico sull’impatto delle biotecnologie. La European Network of Scientists for Social and Environmental Responsibility eV ha come scopo la promozione della scienza e della ricerca per la protezione dell’ambiente, della biodiversità e della salute umana contro gli effetti negativi delle nuove tecnologie e dei loro prodotti. La Sambucus eV si occupa di attività culturali.

8.

Il 14 agosto 2009 la Monsanto Europe SA ha presentato alle autorità competenti dei Paesi Bassi, a norma degli articoli 5 e 17 del regolamento (CE) n. 1829/2003, una domanda relativa all’immissione in commercio di alimenti, ingredienti alimentari e mangimi contenenti, costituiti o prodotti a partire da soia MON 87701 × MON 89788 (in prosieguo: la «Soia»). La domanda riguardava anche l’immissione in commercio della Soia presente in prodotti, diversi da alimenti e mangimi, che contengono tale soia o sono da essa costituiti e sono destinati agli stessi usi di tutti gli altri tipi di soia, ad eccezione della coltivazione.

9.

Il 15 febbraio 2012 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (in prosieguo: l’«EFSA») ha espresso un parere generale ai sensi degli articoli 6 e 18 del regolamento n. 1829/2003. Al punto 3 di tale parere, l’EFSA ha spiegato che il suo comitato di esperti scientifici sugli organismi geneticamente modificati aveva adottato un parere scientifico, il 25 gennaio 2012, sulla domanda della Monsanto (EFSA-GMO-NL-2009-73) relativa all’immissione in commercio delle Soia resistente agli insetti e tollerante agli erbicidi, a fini di alimentazione umana ed animale, importazione e lavorazione nel quadro del regolamento n. 1829/2003 (The EFSA Journal 2012;10[2]:2560, pagg. da 1 a 34), concludendo che, nel quadro degli usi previsti, la Soia era sicura quanto la versione non geneticamente modificata per quanto concerne i potenziali effetti sulla salute umana o animale o sull’ambiente. Inoltre, il comitato scientifico ha concluso che, nell’ambito degli usi previsti, l’incrocio della soia modificata non aveva dato luogo a interazioni tra eventi in grado di pregiudicare la sicurezza della Soia per quanto riguarda i potenziali effetti sulla salute umana e animale e sull’ambiente. Nel suo parere generale, l’EFSA ha concluso che essa «soddifa[ceva] i requisiti di cui agli articoli 6 e 18 [del regolamento n. 1829/2003] per l’immissione in commercio della [Soia]».

10.

Con la decisione di autorizzazione, la Commissione ha autorizzato, a determinate condizioni, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, e dell’articolo 16, paragrafo 2, del regolamento n. 1829/2003:

alimenti e ingredienti alimentari contenenti, costituiti o ottenuti a partire dalla Soia;

mangimi contenenti, costituiti o ottenuti a partire dalla Soia;

la Soia presente nei prodotti diversi da alimenti e da mangimi «che la contengono» o da essa costituiti per gli stessi usi di tutti gli altri tipi di soia, esclusa la coltivazione.

11.

Nei considerando 4, 6 e 7 della decisione di autorizzazione, la Commissione ha spiegato che, il 15 febbraio 2012, l’EFSA aveva espresso un parere favorevole, in conformità agli articoli 6 e 18 del regolamento n. 1829/2003, concludendo che la Soia, come descritta nella domanda, era sicura quanto la versione non geneticamente modificata per quanto concerne i potenziali effetti sulla salute umana e animale o sull’ambiente. Inoltre, la Commissione ha affermato che l’EFSA ha ritenuto che il piano di monitoraggio degli effetti ambientali presentato dal richiedente, consistente in un piano generale di sorveglianza, era conforme all’uso previsto per i prodotti. Su tale base, la Commissione ha ritenuto opportuno autorizzare la Soia e tutti i prodotti che la contengono o ne sono costituiti e per gli alimenti e i mangimi da essa ottenuti, come descritti nella domanda di autorizzazione.

12.

Con lettere del 6 agosto 2012, ciascuna delle ricorrenti ha chiesto alla Commissione di effettuare un riesame interno della decisione di autorizzazione, ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 1367/2006. Le ricorrenti sostenevano, in particolare, che la conclusione secondo cui la Soia era sostanzialmente equivalente alla versione non modificata era errata, che non erano stati considerati gli effetti sinergici o combinatori, che i rischi immunologici non erano stati adeguatamente valutati e che non era stato imposto un monitoraggio degli effetti sulla salute.

13.

Con la decisione controversa, dell’8 gennaio 2013, il commissario europeo per la Salute ha informato la TestBioTech che la Commissione non accettava alcuno degli «argomenti giuridici e scientifici addotti per giustificare la richiesta di riesame interno» della decisione di autorizzazione. La Commissione ha ritenuto, pertanto, che la decisione di autorizzazione fosse conforme alle disposizioni del regolamento n. 1829/2003. Più in particolare, la Commissione ha respinto gli argomenti dedotti dalla TestBioTech nella richiesta di riesame interno, ai sensi dei quali la decisione di autorizzazione era illegittima in ragione del fatto che la conclusione dell’EFTA secondo cui la Soia era «sostanzialmente equivalente» era errata, non erano stati considerati gli effetti sinergici o combinatori, i rischi immunologici non erano stati adeguatamente valutati e non era stato imposto un monitoraggio degli effetti sulla salute.

14.

Nella medesima data, il commissario europeo per la Salute ha trasmesso all’European Network of Scientists for Social and Environmental Responsibility (Rete europea degli scienziati per la Responsabilità Sociale e Ambientale) e alla Sambucus, rispettivamente, la seconda e la terza decisione, che sono sostanzialmente identiche alla decisione controversa, indirizzata alla TestBioTech.

15.

In tali tre decisioni, la Commissione ha riconosciuto che le ricorrenti soddisfacevano i criteri di cui all’articolo 11 del regolamento n. 1367/2006 e, pertanto, in qualità di organizzazioni non governative, potevano presentare una richiesta di riesame interno ai sensi di detto articolo.

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

16.

Con ricorso presentato il 18 marzo 2013, le ricorrenti hanno proposto un ricorso dinanzi al Tribunale chiedendo l’annullamento della decisione controversa.

17.

A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti hanno invocato, in sostanza, quattro motivi, vertenti, in primo luogo, sull’assenza di un’equivalenza sostanziale tra la Soia e la sua versione non modificata; in secondo luogo, sull’omessa valutazione degli effetti sinergici/combinatori e della tossicità; in terzo luogo, sull’assenza di un’esaustiva valutazione immunologica; e, in quarto luogo, sull’assenza di un monitoraggio del consumo di prodotti contenenti Soia dopo l’immissione in commercio.

18.

La Commissione, l’EFSA, nonché la Monsanto Europe e la Monsanto Company (in prosieguo: la «Monsanto») hanno chiesto al Tribunale di respingere il ricorso in quanto parzialmente irricevibile e parzialmente infondato.

19.

Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il ricorso in quanto parzialmente irricevibile e parzialmente infondato e ha condannato le ricorrenti alle spese (ad eccezione delle spese sostenute dalle intervenienti).

Conclusioni delle parti dinanzi alla Corte

20.

Con la loro impugnazione, le ricorrenti chiedono che la Corte voglia annullare la sentenza impugnata e annullare la decisione controversa o, in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale e condannare la Commissione alle spese.

21.

La Commissione chiede alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare le ricorrenti alle spese.

Valutazione dell’impugnazione

22.

A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti deducono cinque motivi di impugnazione. Esse lamentano, in primo luogo, che il Tribunale ha commesso un errore nel ritenere che «alcuni dei loro argomenti, elementi di prova e/o materiali» erano irricevibili. Con il secondo motivo lamentano che il Tribunale è incorso in un errore di diritto imponendo «un onere della prova non corretto ed impossibile» in capo alle organizzazioni senza scopo di lucro che agiscono ai sensi degli articoli 10 e 12 del regolamento n. 1367/2006. In terzo luogo, esse sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto omettendo di riconoscere che il documento di orientamento pubblicato dall’EFSA in conformità ai suoi obblighi giuridici fa insorgere un legittimo affidamento nel fatto che tali orientamenti saranno seguiti. In quarto luogo, esse sostengono che il Tribunale è incorso in un errore di diritto ritenendo che non era necessario rispettare la duplice valutazione sulla sicurezza prevista dal regolamento n. 1829/2003. Infine, in quinto luogo, esse lamentano che il Tribunale è incorso in un errore di diritto respingendo taluni elementi della contestazione delle ricorrenti in merito all’assenza secondo cui la Commissione aveva mancato di effettuare un’indagine adeguata sulla potenziale tossicità della Soia e di imporre un monitoraggio dell’impatto della Soia successivo all’autorizzazione.

23.

Come richiesto dalla Corte, limiterò la mia analisi al secondo motivo di impugnazione. Dal momento che tale motivo riguarda la natura, la finalità e le condizioni della procedura di riesame interno e del controllo giurisdizionale della decisione di riesame ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 1367/2006, esaminerò preliminarmente tali elementi da un punto di vista astratto, per poi applicarli specificamente al secondo motivo di impugnazione.

Natura, portata e condizioni della procedura di riesame interno ai sensi dell’articolo 10 del regolamento 1367/2006

24.

Mi occuperò, dunque, di interpretare (in termini di formulazione, struttura, genesi normativa e obiettivo) l’articolo 10 del regolamento n. 1367/2006 e proporrò criteri concreti da osservare nell’ambito di una procedura di riesame interno.

Formulazione e struttura dell’articolo 10 del regolamento n. 1367/2006

25.

Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006, qualsiasi organizzazione non governativa che soddisfi i criteri di cui all’articolo 11 del medesimo regolamento è legittimata a presentare una richiesta di riesame interno all’istituzione o all’organo dell’Unione che ha adottato un atto amministrativo ai sensi del diritto ambientale. Tale richiesta deve essere formulata per iscritto entro un termine massimo di sei settimane a decorrere dalla data più recente tra quelle di adozione, notifica o pubblicazione dell’atto amministrativo. La richiesta deve contenere i motivi di riesame ( 6 ). Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, l’istituzione o l’organo dell’Unione di cui al paragrafo 1 esamina tale richiesta, a meno che essa sia chiaramente infondata. Non appena possibile, e comunque entro dodici settimane dal ricevimento della richiesta, l’istituzione o l’organo dell’Unione risponde per iscritto adducendo le sue motivazioni.

26.

Dalla formulazione della norma risulta, quindi, che costituisce un prerequisito affinché una richiesta sia presa in esame dall’istituzione o dall’organo dell’Unione competente che essa 1) contenga l’indicazione dei motivi di riesame e 2) non sia «chiaramente infondata». Dalla lettura di tale disposizione, tuttavia, non si può dedurre direttamente che siano necessari requisiti più precisi in merito alla fondatezza dei motivi addotti.

Procedura di riesame interno nella struttura e nel contesto del regolamento n. 1367/2006

27.

L’articolo 12 del regolamento n. 1367/2006, che è l’ultima disposizione del titolo IV del regolamento, sul riesame interno e l’accesso alla giustizia, prevede, al primo paragrafo, che l’organizzazione non governativa che ha formulato una richiesta di riesame interno ai sensi dell’articolo 10 può proporre ricorso «dinanzi alla Corte di giustizia», a norma delle pertinenti disposizioni del trattato.

28.

A mio avviso, se la parte che chiede un riesame avesse facoltà di aggiungere o specificare i motivi del riesame interno nei procedimenti dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ciò contrasterebbe con il principio di buona amministrazione della giustizia. La parte che chiede un riesame deve, perciò, indicare espressamente tutti i motivi di riesame interno già nella richiesta stessa.

29.

Nell’ambito del procedimento dinanzi al Tribunale, è stata invocata, per analogia, un’altra procedura di riesame della normativa dell’Unione. Al punto 51 della sentenza impugnata, il Tribunale sembra tracciare un parallelo ( 7 ). tra l’articolo 10 del regolamento n. 1367/2006 e gli articoli 4, paragrafo 5, e 8, paragrafo 3, della direttiva 91/414/CEE ( 8 ).

30.

Non ritengo appropriata un’analogia con la direttiva 91/414. Infatti, come la Corte ha precisato nel passo della sentenza Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie, richiamata dal Tribunale in via analogica, «dal combinato disposto degli articoli 4, paragrafo 5, e 8, paragrafo 3, della direttiva 91/414 risulta che l’oggetto di tale riesame non è una rivalutazione di una sostanza attiva isolata, bensì quella del prodotto fitosanitario finale, e che un tale riesame è effettuato su iniziativa delle autorità nazionali e non su quella dei singoli interessati» ( 9 ). L’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 91/414 prevede, quindi, il riesame delle autorizzazioni per prodotti fitosanitari «se risulta che i requisiti di cui al paragrafo 1 [ ( 10 )] non sono più soddisfatti. In tal caso gli Stati membri possono esigere che il richiedente l’autorizzazione, o la parte a cui è stato accordato ai sensi dell’articolo 9 un ampliamento del campo di applicazione, fornisca ulteriori informazioni necessarie ai fini del riesame. Le autorizzazioni, ove occorra, possono essere mantenute per il periodo necessario a completare il riesame e a fornire tali ulteriori informazioni».

31.

Da quanto precede risulta che lo scopo della procedura di riesame di cui agli articoli 4, paragrafo 5, e 8, paragrafo 3, della direttiva 91/414 è una nuova valutazione di un prodotto fitosanitario finale, vale a dire una nuova valutazione di un risultato concreto. Per contro, la procedura di riesame interno ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 1367/2006, la quale peraltro si applica a qualsiasi «atto amministrativo ai sensi del diritto ambientale», si riferisce al riesame di un procedimento amministrativo, senza necessariamente incidere sul risultato concreto della decisione di autorizzazione ( 11 ).

32.

Del resto, lo stesso dicasi per la procedura di riesame ai sensi dell’articolo 21 del regolamento (CE) n. 1107/2009 ( 12 ). Tale regolamento, che ha abrogato la direttiva 91/414, prevede, al suo articolo 21, una procedura di riesame alla luce delle nuove conoscenze scientifiche e tecniche e dei dati di monitoraggio. Ciò non può essere l’idea alla base della procedura di riesame interno ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 1367/2006. Come emerge dai paragrafi 2 e 3 di tale disposizione, quella procedura di riesame interno è cronologicamente così ravvicinata alla procedura di autorizzazione che il suo scopo non può essere quello di prendere in considerazione l’eventuale emersione di nuove conoscenze scientifiche e tecniche o dati di monitoraggio. Piuttosto, la procedura di riesame interno è prevista al fine di accertare se siano stati trascurati elementi nel corso del procedimento di autorizzazione.

Genesi normativa

33.

Come ricordato al considerando 3 del regolamento n. 1367/2006, la Comunità ha firmato la Convenzione di Aarhus il 25 giugno 1998 e l’ha approvata il 17 febbraio 2005. Inoltre, i considerando 4, 5, 6, 7, 9, 12, 13, 16, 17 e 18 di tale regolamento fanno esplicito riferimento alla Convenzione di Aarhus.

34.

Il regolamento n. 1367/2006 contiene, quindi, disposizioni «per applicare le disposizioni della convenzione alle istituzioni e agli organi comunitari» ( 13 ).Il regolamento n. 1367/2006 contribuisce è, quindi, parte della normativa di attuazione della Convenzione di Aarhus nel diritto dell’Unione ( 14 ). Esso si applica alle istituzioni e agli organi dell’Unione nell’ambito di applicazione della Convenzione di Aarhus ( 15 ).

35.

Gli articoli 10 e 12 del regolamento n. 1367/2006 sono destinati ad attuare, nel diritto dell’Unione, l’articolo 9, paragrafo 3, della Convenzione di Aarhus, ai sensi del quale ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale per impugnare gli atti dei privati o delle pubbliche autorità compiuti in violazione del diritto ambientale nazionale ( 16 ).

36.

In tale contesto, la procedura di riesame interno di cui all’articolo 10 è intesa ad agevolare l’accesso alla giustizia di «enti qualificati», accesso di cui tali enti non godrebbero ai sensi dell’articolo 263, paragrafo 4, TFUE, come interpretato dalla Corte ( 17 ). Quando la decisione su una richiesta di riesame interno è indirizzata a un tale ente qualificato, il criterio dell’interesse diretto di cui all’articolo 263, paragrafo 4, TFUE è soddisfatto e detto ente può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia (articolo 12 del regolamento n. 1367/2006, in combinato disposto con l’articolo 263, paragrafo 4, TFUE).

37.

Sulla base della genesi della normativa, si potrebbe quindi ritenere che le condizioni da soddisfare non dovrebbero essere eccessivamente onerose per la parte che chiede il riesame. Se le condizioni per il riesame interno fossero eccessivamente rigorose, l’intento di agevolare l’accesso alla giustizia resterebbe soccombente. Tuttavia, a mio avviso, non è possibile dedurre criteri più precisi dalla genesi normativa del regolamento n. 1367/2006.

Scopo della procedura di riesame interno

38.

Al punto 51 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che «lo scopo di tale riesame non è una nuova valutazione dell’autorizzazione all’immissione in commercio per i prodotti in questione».

39.

Ciò detto, lo scopo del riesame interno deve ancora essere definito. Tale questione dipende dal possibile esito di siffatta procedura di riesame interno. Al punto 52 della sentenza impugnata, il Tribunale ha dichiarato che l’istituzione o l’organo che ha adottato la decisione di autorizzazione «deve esaminare la richiesta e, una volta concluso il riesame interno, può, con decisione motivata, respingere la richiesta di riesame interno in quanto infondata o in ragione del fatto che il riesame interno non ha condotto a un risultato diverso da quello accertato nella decisione di autorizzazione oppure, nei limiti di quanto giuridicamente ammissibile, adottare ogni altra misura ritenuta opportuna per modificare la decisione di autorizzazione, tra cui la modifica, la sospensione o la revoca di un’autorizzazione».

40.

Da quanto precede risulta che un riesame interno potrebbe portare alla revoca della decisione di autorizzazione. La procedura di riesame interno, pertanto, ha lo scopo di riesaminare il procedimento che ha condotto alla decisione di autorizzazione, al fine di verificare se nuove informazioni o una nuova valutazione di informazioni note possano giustificare la revisione della decisione di autorizzazione.

41.

Tale scopo è perfettamente in linea con il principio di precauzione nel diritto ambientale, ai sensi del quale quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano pienamente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi ( 18 ).

42.

La procedura di riesame interno potrebbe contribuire ad evidenziare pericoli non riscontrati nel corso del procedimento di autorizzazione.

43.

Peraltro, questo obiettivo è perfettamente in linea con le finalità della Convenzione di Aarhus, che deve senza alcun dubbio essere tenuta in considerazione nell’interpretazione dell’articolo 10 del regolamento n. 1367/2006 ( 19 ). Come è noto, tale convenzione ha un triplice obiettivo in materia ambientale: in primo luogo, facilitare l’accesso all’informazione, in secondo luogo, promuovere la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e, in terzo luogo, garantire l’accesso alla giustizia; l’obiettivo rilevante nella causa in oggetto è, ovviamente, un migliore accesso alla giustizia ( 20 ).

44.

L’articolo 10 del regolamento n. 1367/2006 prevede che debba essere adottata una decisione sulla richiesta di riesame interno. Tale decisione, indirizzata all’organizzazione non governativa che ha avviato la procedura di riesame, può, in seguito, essere impugnata ai sensi dell’articolo 12 del regolamento n 1367/2006, in combinato disposto con l’articolo 263, paragrafo 4, TFUE. Gli articoli 10 e 12 del regolamento n. 1367/2006, pertanto, agevolano l’accesso alla giustizia nel quadro delle disposizioni del Trattato, in quanto la loro applicazione conduce a una decisione individuale ai sensi dell’articolo 263, paragrafo 4, TFUE.

Criteri da applicare alla procedura di riesame

45.

Dall’interpretazione che precede discende che la questione se una procedura di riesame debba o meno essere avviata non può essere lasciata alla discrezionalità dell’istituzione o dell’organo competente a procedere. Ciò sarebbe in contrasto con la finalità della procedura di riesame sopra esposta.

46.

Per quanto riguarda l’intensità del controllo, ritengo che, nel corso di una procedura di riesame, dovrebbero essere seguiti i criteri e i passi di seguito esposti.

47.

In primo luogo, qualsiasi argomento presentato nella richiesta di riesame interno dovrebbe essere preso in considerazione, salvo che sia chiaramente infondato ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento n. 1367/2006. Spetta all’istituzione o all’organo competente dimostrare che l’argomento è chiaramente infondato. Ciò si può dedurre dall’espressione «a meno che» di cui all’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento.

48.

In secondo luogo, l’istituzione o l’organo dell’Unione competente dovrebbe consultare l’EFSA o qualsiasi altra agenzia o istituzione coinvolta nella procedura di autorizzazione, al fine di verificare se gli argomenti esposti nella richiesta sono fondati.

49.

In terzo luogo, l’istituzione o l’organo dell’Unione competente dovrebbe adottare una decisione dettagliatamente motivata sulla richiesta di riesame interno, rispondendo in modo concreto a tutti gli argomenti contenuti nella richiesta, fatta eccezione per gli argomenti chiaramente infondati. Le motivazioni addotte dovrebbero consentire al richiedente di comprendere il ragionamento dell’istituzione o dell’organo competente.

Motivazioni che devono essere dichiarate da chi chiede il riesame

50.

Dallo scopo della procedura di riesame esposto in precedenza discende, inoltre, che l’onere di addurre ed esporre argomenti al fine di dare avvio alla procedura di riesame interno, onere assegnato a chi chiede il riesame nell’ambito di una procedura di riesame interno, non dovrebbe essere eccessivamente gravoso per poter avviare tale procedura ( 21 ).

51.

Per quanto concerne la struttura e lo scopo degli articoli 10 e 12 del regolamento n. 1367/2006, quali descritti supra, è opportuno ricordare che: 1) la richiesta deve «contenere» una motivazione e 2) la richiesta non deve essere chiaramente infondata. Ne discende che, da un lato, asserzioni chiaramente infondate non sono sufficienti a soddisfare tali criteri. Dall’altro, non vi è alcuna disposizione che affermi che le ricorrenti debbano sostenere l’onere materiale di addurre ed esporre i loro argomenti attraverso la produzione di prove a sostegno.

52.

Tuttavia, se chi chiede il riesame mira ad ottenere qualcosa in più di una mera presa in considerazione dei suoi argomenti, ci si attende che fornisca ai fini della procedura di riesame interno, concreti e precisi argomenti che potrebbero essere in grado di porre in discussione la situazione di fatto su cui si basa la decisione di autorizzazione. Poiché la decisione di autorizzazione è adottata da un’autorità, la Commissione, a seguito della consultazione di un altro organo amministrativo, l’EFSA, vi è una presunzione di veridicità, completezza e precisione della decisione di autorizzazione, poiché appartiene alla natura stessa di tali autorità il fatto di essere imparziali. La richiesta di un riesame interno più intenso dovrebbe, pertanto, basarsi su argomenti che mettano in discussione ciò. I richiedenti il riesame dovrebbero essere in grado di fondare i loro argomenti su qualsiasi motivo e/o elemento di prova tale da far sorgere seri dubbi in merito alla suddetta presunzione La prova completa non è mai necessaria. D’altra parte, non sarebbero sufficienti neanche congetture.

Discrezionalità e controllo giurisdizionale

53.

La Commissione gode di un’ampia discrezionalità per quanto concerne l’esito del riesame: in primo luogo, può giungere alla conclusione che il riesame non esige una revisione del (procedimento di) autorizzazione; in secondo luogo, può riaprire il procedimento di autorizzazione, con esito da determinare; in terzo luogo, come correttamente statuito dal Tribunale al punto 52 della sentenza impugnata, può «adottare ogni altra misura ritenuta opportuna per modificare la decisione di autorizzazione, tra cui la modifica, la sospensione o la revoca di un’autorizzazione». In quarto luogo, nel caso di una richiesta di riesame interno chiaramente infondata, essa può, omettendo il secondo e il terzo passo sopra menzionati, respingere la richiesta in quanto chiaramente infondata. Tale discrezionalità dipende dalla qualità degli argomenti presentati da chi fa richiesta di riesame: quanto più gli argomenti sono persuasivi tanto più la Commissione è tenuta a procedere verso il riesame del procedimento di autorizzazione.

54.

Per quanto riguarda, poi, l’intensità del controllo giurisdizionale di una decisione di riesame interno ai sensi dell’articolo 10 del regolamento n. 1367/2006, occorre rilevare che l’articolo 12, i cui due paragrafi affermano semplicemente che il destinatario della decisione di riesame può proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia a norma delle pertinenti disposizioni del trattato, non contiene alcun criterio concernente l’intensità del controllo giurisdizionale.

55.

Come il Tribunale ha correttamente rilevato al punto 77 della sentenza impugnata, conformemente a una giurisprudenza costante, il controllo giurisdizionale delle decisioni è limitato quando esse comportano una complessa valutazione di fatti e, pertanto, implicano un ampio potere discrezionale dell’autorità che adotta la decisione. Il giudice dell’Unione non può, nell’ambito del controllo di tali decisioni, sostituire la propria valutazione dei fatti alla valutazione effettuata dall’autorità interessata. In tali casi, il giudice dell’Unione deve pertanto limitarsi a verificare l’esattezza degli accertamenti di fatto e di diritto compiuti dall’autorità interessata e a verificare, in particolare, che l’azione di tale autorità non sia viziata da errore manifesto o da sviamento di potere e che essa non abbia manifestamente ecceduto i limiti del suo potere discrezionale ( 22 ).

56.

Come il Tribunale ha correttamente osservato al punto 76 della sentenza impugnata, tale limitazione è pienamente conforme alla Convenzione di Aarhus. L’articolo 9, paragrafo 3, di tale convenzione prevede che «ciascuna Parte provvede affinché i membri del pubblico che soddisfino i criteri eventualmente previsti dal diritto nazionale possano promuovere procedimenti di natura amministrativa o giurisdizionale». Applicando tale disposizione all’Unione europea, è sufficiente che le condizioni per l’accesso alla giustizia siano uguali a quelle previste in via generale nel diritto dell’Unione. Pertanto, nei casi in cui è previsto un controllo giurisdizionale limitato nel diritto dell’Unione, la medesima limitazione può trovare applicazione anche quando lo scopo di un atto legislativo dell’Unione è quello di conformarsi alla Convenzione di Aarhus.

Secondo motivo di impugnazione

Argomenti delle parti

57.

Con il secondo motivo d’impugnazione, le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore di diritto imponendo «un onere della prova non corretto ed impossibile» alle organizzazioni non governative che agiscono ai sensi degli articoli 10 e 12 del regolamento n. 1367/2006.

58.

Secondo le ricorrenti, ai punti 67, 83 e 88 della sentenza impugnata, il Tribunale ha applicato l’onere della prova in un contesto diverso, che non è appropriato alla causa in esame e, quindi, ha applicato tale onere in modo incoerente con la sua stessa statuizione secondo cui le organizzazioni non governative non sono tenute a dimostrare che un organismo geneticamente modificato non è sicuro.

59.

Pertanto, al punto 67 della sentenza impugnata, il Tribunale ha applicato il criterio probatorio di cui alla sentenza Schräder/UCVV ( 23 ) a situazioni disciplinate dal regolamento n. 1367/2006 e ha affermato che «un terzo che contesti un’autorizzazione all’immissione in commercio deve dedurre elementi di prova sostanziali tali da far sorgere seri dubbi quanto alla legittimità della concessione di detta autorizzazione». Inoltre, il Tribunale ha dichiarato che il requisito consiste nel fatto che il richiedente «è tenuto a fornire una serie di elementi che sollevano seri dubbi in merito alla legittimità della decisione di autorizzazione» (punto 88 della sentenza impugnata). Dal punto di vista delle ricorrenti, non è chiaro se tali criteri debbano essere trattati allo stesso modo.

60.

In ogni caso, il Tribunale avrebbe commesso un errore nel considerare opportuno applicare un criterio così rigoroso a procedimenti avviati a norma degli articoli 10 o 12 del regolamento n. 1367/2006, perché le situazioni in esame non sono simili. I ricorsi ai sensi dell’articolo 12 del regolamento n. 1367/2006 sono proposti avverso le decisioni adottate sulle richieste di riesame interno ( 24 ) (presentate ai sensi dell’articolo 10 del regolamento 1367/2006), e non avverso le decisioni relative all’autorizzazione all’immissione in commercio. Lo scopo delle richieste di riesame interno è garantire che le preoccupazioni fondate siano prese in considerazione. Nella sentenza Schräder/UCVV ( 25 ), la Corte si è occupata dell’onere probatorio e giuridico previsto nei casi in cui un terzo contesti direttamente la decisione di non dichiarare nulla un’autorizzazione, attraverso una procedura di nullità completamente diversa.

61.

Il Tribunale, pertanto, ai punti 134, 135, da 148 a 150, 157, da 163 a 168, 170, da 205 a 209, da 217 a 224, 230, 231, da 238 a 243, 246, 247, 256, 282, 287 e 289, è incorso in un errore di diritto statuendo, sulla base di tale onere della prova, che le ricorrenti non avevano dimostrato che la Soia non era sicura.

62.

La Commissione ritiene che il livello di prova stabilito dal Tribunale è del tutto appropriato, data la natura della procedura di riesame interno istituita dal regolamento n. 1367/2006. In tale contesto, secondo la Commissione, è logico che il Tribunale dovrebbe dichiarare che il ricorrente che contesti la validità di una decisione di riesame interno con riferimento a un atto amministrativo sottostante (atto che, di per sé, non è oggetto di un procedimento di annullamento), è tenuto a dimostrare, per ottenere l’annullamento della decisione sul riesame interno, di aver presentato, nella richiesta di riesame interno, elementi che fanno sorgere seri dubbi circa la legittimità dell’atto amministrativo sottostante. In assenza di tale onere, non vi sarebbe alcuna differenza tra le condizioni che un ricorrente deve soddisfare quando contesta la legittimità dell’atto amministrativo sottostante e quelle previste per un ricorrente che contesti una decisione di riesame interno relativa al medesimo atto amministrativo.

63.

La Commissione sostiene, contrariamente a quanto ritenuto dalle ricorrenti, che il livello di prova richiesto dal Tribunale non è un «criterio eccessivamente rigoroso». Ciò non significa che chi chiede un riesame interno debba ripetere la valutazione del rischio né addurre prove per dimostrare la pericolosità dell’organismo geneticamente modificato autorizzato: come chiaramente spiegato dal Tribunale al punto 67 della sentenza impugnata, esso è tenuto unicamente a dedurre elementi di prova sostanziali tali da far sorgere seri dubbi in ordine alla legittimità dell’adozione della decisione di autorizzazione.

64.

Contrariamente a quanto affermano le ricorrenti, ossia che «lo scopo della richiesta [di riesame interno] è garantire che le preoccupazioni manifestate siano dichiarate fondate», non è possibile, secondo la Commissione, che ogni qual volta un richiedente sollevi dei dubbi, anche non seri, circa la validità di un’autorizzazione, l’istituzione debba sospendere l’autorizzazione e analizzare tali dubbi per verificare se siano fondati (ad esempio, chiedendo al richiedente l’autorizzazione di effettuare ulteriori studi o sperimentazioni). Di conseguenza, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto ai punti 67, 83 e 88 della sentenza impugnata.

65.

Per quanto riguarda gli altri punti contestati con il secondo motivo, la Commissione sostiene che le ricorrenti non contestano che il criterio giuridico applicato in tutti i punti controversi sia quello contestato dalle ricorrenti nella prima parte del secondo motivo, vale a dire il fatto che è stato loro imposto di dedurre prove tali da far sorgere seri dubbi in merito alla legittimità della decisione di autorizzazione. Di conseguenza, non è dedotto alcun errore di diritto autonomo in tale parte del ricorso. Alla luce di ciò, la seconda parte del secondo motivo dovrebbe essere respinta in quanto manifestamente irricevibile.

Analisi

66.

A norma degli articoli 10 e 12 del regolamento n. 1367/2006, 1) la richiesta deve perlomeno «contenere» una motivazione del riesame e 2) la richiesta non deve essere chiaramente infondata. In base all’analisi di cui sopra, congetture infondate non sono sufficienti a soddisfare tali condizioni. Inoltre, non vi è alcuna disposizione che affermi che chi chiede il riesame ha l’effettivo onere di addurre ed esporre i propri argomenti e deve dedurre prove.

67.

Tuttavia, come giustamente rilevato dalla Commissione, sussiste una differenza fondamentale tra il procedimento di autorizzazione, che conduce alla decisione di autorizzazione, e la procedura di riesame, il cui esito può, ma non necessariamente deve, determinare la riapertura del procedimento di autorizzazione. Al tempo stesso, le ricorrenti non godono di legittimazione ad impugnare direttamente la decisione di autorizzazione ai sensi dell’articolo 263, paragrafo 4, TFUE, in quanto non sono né direttamente né individualmente interessate dalla decisione di autorizzazione.

68.

Come illustrato in precedenza, se le ricorrenti intendono ottenere una procedura di riesame interno più rigorosa, ci si può attendere che chi chiede il riesame fornisca argomenti concreti e precisi in grado di porre in discussione la situazione di fatto su cui si basa la decisione di autorizzazione. Poiché la decisione di autorizzazione è adottata da un’autorità imparziale, la Commissione, a seguito della consultazione di un altro organo imparziale, l’EFSA, vi è una certa presunzione di veridicità, completezza e precisione della procedura di autorizzazione e della decisione di autorizzazione. La richiesta di un riesame interno, pertanto, dovrebbe basarsi su argomenti che mettano in discussione ciò. Le ricorrenti dovrebbero essere in grado di fondare i loro argomenti su qualsiasi motivo e/o «elemento di prova» tale da far sorgere seri dubbi in merito alla suddetta presunzione. La prova completa non è mai necessaria. D’altra parte, non sarebbero sufficienti neanche congetture.

69.

Pertanto, il criterio elaborato dal Tribunale dovrebbe essere inteso come una condizione preliminare sostanziale che impone al richiedente che desideri un’analisi più approfondita della richiesta di riesame interno di presentare argomenti tali da far sorgere seri dubbi in merito alla procedura di autorizzazione e/o alla decisione di autorizzazione. Interpretato in tal modo, il ragionamento del Tribunale ai punti 67, 83 e 88 della sentenza impugnata non è viziato da alcun errore di diritto ( 26 ).

70.

Per quanto riguarda gli altri elementi del secondo motivo di impugnazione, la Commissione ha giustamente sottolineato il fatto che le ricorrenti non contestano che il criterio giuridico utilizzato in tutti i punti controversi sia quello contestato dalle ricorrenti nella prima parte del secondo motivo, vale a dire il fatto che è stato loro imposto di dedurre elementi tali da far sorgere seri dubbi in merito alla legittimità della decisione di autorizzazione. Di conseguenza, in tale parte del ricorso non è dedotto alcun errore di diritto autonomo e tale parte deve, pertanto, essere respinta in quanto manifestamente irricevibile.

71.

Il secondo motivo d’impugnazione deve, pertanto, essere respinto.

Conclusione

72.

Alla luce di quanto precede, e senza entrare nel merito degli altri motivi di impugnazione, propongo alla Corte di respingere, in quanto parzialmente irricevibile e parzialmente infondato, il secondo motivo di impugnazione dedotto dalla TestBioTech eV, dalla European Network of Scientists for Social and Environmental Responsibility eV e dalla Sambucus eV avverso la sentenza del Tribunale del 15 dicembre 2016, TestBioTech e a./Commissione (T‑177/13, non pubblicata, EU:T:2016:736).


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Recante il riferimento Ares(2013) 19605.

( 3 ) Regolamento del 22 settembre 2003 relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (GU 2003, L 268, pag. 1).

( 4 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006 sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU 2006, L 264, pag. 13).

( 5 ) Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2005/370/EC del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU 2005, L 124, pag. 1; in prosieguo: la «Convenzione di Aarhus»).

( 6 ) Per quanto concerne le regole procedurali dettagliate che disciplinano la richiesta di riesame interno, v. la decisione della Commissione, del 13 dicembre 2007, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1367/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla convenzione di Aarhus con riguardo alle richieste di riesame interno degli atti amministrativi (2008/50/CE) (GU 2008, L 13, pag. 24). Ai sensi di tale decisione la parte che chiede il riesame deve «trasmettere le informazioni e la documentazione su cui sono basate tali motivazioni», v. articolo 1, punto 3), della stessa decisione.

( 7 ) Il Tribunale fa riferimento alla sentenza del 10 novembre 2005, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie, (C‑316/04, EU:C:2005:678, punto 68).

( 8 ) Direttiva del Consiglio, del 15 luglio 1991, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (GU 1991, L 230, pag. 1).

( 9 ) V. sentenza del 10 novembre 2005, Stichting Zuid-Hollandse Milieufederatie, (C‑316/04, EU:C:2005:678, punto 68).

( 10 ) Che riguardano, in sostanza, la sicurezza e l’efficacia del prodotto. Nota a piè di pagina aggiunta.

( 11 ) V. anche le conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen nelle cause riunite Consiglio e Parlamento/Commissione e Commissione/Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht (da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2014:310, paragrafo 130). Il ricorso ai sensi dell’articolo 12 del regolamento n. 1367/2006 non riguarda la decisione di autorizzazione, bensì la risposta fornita dall’istituzione o dall’organo a cui è stata indirizzata la richiesta di riesame interno, che nel caso di specie è la decisione controversa.

( 12 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari e che abroga le direttive del Consiglio 79/117/CEE e 91/414/CEE (GU 2009, L 309, pag. 1).

( 13 ) Considerando 4 del regolamento n. 1367/2006.

( 14 ) V., inoltre, direttiva 2003/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia (GU 2003, L 156, pag. 17), e la direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio (GU 2003, L 41, pag. 26).

( 15 ) Tuttavia, storicamente, la Convenzione di Aarhus ha legami ben più stretti con il diritto dell’Unione. Infatti, vi è stato un proficuo interscambio fra il diritto ambientale dell’Unione e il regime della Convenzione di Aarhus nel quadro del diritto internazionale, in quanto la vecchia direttiva 85/337/CEE del Consiglio, del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU 1985, L 175, pag. 40) e la direttiva 90/313/CEE del Consiglio, del 7 giugno 1990, concernente la libertà di accesso all’informazione in materia di ambiente (GU 1990, L 158, pag. 56) sono servite da «modello a livello internazionale: la loro filosofia di fondo è infatti recepita nella Convenzione di Århus». V. proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della Convenzione di Århus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, COM(2003) 622 def., pag. 3.

( 16 ) Tuttavia, come chiarito dalla Corte, non ci si può fondare sull’articolo 9, paragrafo 3 della Convenzione di Aarhus al fine di valutare la legittimità dell’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1367/2006; v. sentenza del 13 gennaio 2015, Consiglio e a../Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht (C‑401/12 P to C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punto 61).

( 17 ) V. proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della Convenzione di Århus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, COM(2003) 622 def., pag. 7. V. anche conclusioni dell’avvocato generale Jääskinen nelle cause riunite Consiglio e Parlamento/Commissione e Commissione/Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht (da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2014:310, paragrafi 123 e seguenti).

( 18 ) Sentenza del 9 settembre 2003, Monsanto Agricoltura Italia e a. (C‑236/01, EU:C:2003:431, punto 111 e giurisprudenza ivi citata).

( 19 ) V., in tal senso, supra, paragrafo 36 e, più in generale, le mie conclusioni in Saint-Gobain Glass Deutschland/Commissione (C‑60/15 P, EU:C:2016:778, paragrafi da 37 a 41).

( 20 ) Per aspetti concernenti l’accesso alle informazioni, v. le mie conclusioni in Saint-Gobain Glass Deutschland/Commissione (C‑60/15 P, EU:C:2016:778, paragrafi 37 e seguenti).

( 21 ) In tale contesto, è opportuno ricordare che vi è una differenza tra l’onere probatorio procedurale (onus probandi) e l’onere sostanziale di addurre ed esporre argomenti (onus proferendi). Nella presente causa la questione non riguarda il soggetto su cui grava l’onere della prova in un procedimento contraddittorio dinanzi a un giudice, bensì se e in quale misura il richiedente sia tenuto a suffragare la sua richiesta di riesame interno, ai sensi del diritto amministrativo materiale. V., in tal senso, le mie conclusioni in combit Software (C‑223/15, EU:C:2016:351, paragrafo 42 e nota 18), nonché le conclusioni dell’avvocato generale Kokott in Spagna/Lenzing (C‑525/04 P, EU:C:2007:73, paragrafi da 27 a 29).

( 22 ) Sentenze del 9 giugno 2005, HLH Warenvertrieb e Orthica (C‑211/03, C‑299/03 e da C‑316/03 a C‑318/03, EU:C:2005:370, punto 75), e del 21 gennaio 1999, Upjohn (C‑120/97, EU:C:1999:14, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

( 23 ) Sentenza del 21 maggio 2015 (C‑546/12 P, EU:C:2015:332, punto 57).

( 24 ) La richiesta utilizza, talora, il termine «nuova valutazione» anziché «riesame», dando adito a confusione.

( 25 ) Sentenza del 21 maggio 2015, Schräder/UCVV (C‑546/12 P, EU:C:2015:332).

( 26 ) Mi preme altresì sottolineare, a questo punto, che non rilevo una discrepanza tra i punti 88 e 170 della sentenza impugnata. Il punto 88 si riferisce ai criteri da applicare, mentre il punto 170 rappresenta il risultato dell’analisi.