CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MELCHIOR WATHELET

presentate il 14 aprile 2016 ( 1 )

Causa C‑115/15

Secretary of State for the Home Department

contro

NA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Corte d’appello [Inghilterra e Galles] [sezione civile] Regno Unito)]

«Rinvio pregiudiziale — Articoli 20 TFUE e 21 TFUE — Articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 — Divorzio — Mantenimento del diritto di soggiorno del cittadino di uno Stato terzo, affidatario dei figli minori aventi la cittadinanza di un altro Stato membro dell’Unione europea — Articolo 12, primo comma, del regolamento n. 1612/68»

I – Introduzione

1.

La questione principale della presente causa è se un cittadino di un paese terzo che soggiornava in uno Stato membro con un cittadino dell’Unione europea, quale coniuge di quest’ultimo, possa egli stesso continuare a soggiornare in tale Stato sebbene il cittadino dell’Unione abbia definitivamente lasciato lo Stato in questione e il procedimento di divorzio sia stato introdotto successivamente alla sua partenza.

2.

La Corte ha già avuto l’occasione di esaminare tale questione nella causa sfociata nella sentenza Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476). Tuttavia, a differenza di questa prima causa, la partenza del coniuge e il divorzio ad essa successivo hanno luogo in un contesto di violenza domestica. Orbene, pur se l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE ( 2 ) prende in considerazione tale ipotesi, la Corte non ha ancora avuto l’occasione di interpretarla.

3.

La presenza, nel territorio del paese ospitante, di due minori nati dall’unione fra un cittadino dell’Unione e il cittadino di uno Stato terzo fornirà parimenti alla Corte l’occasione di precisare i criteri di valutazione del test della «privazione del nucleo essenziale dei diritti» risultante dalla giurisprudenza avviata dalla sentenza Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124).

II – Contesto normativo

A – Trattato FUE

4.

L’articolo 20 TFUE precisa che è istituita una cittadinanza dell’Unione, e che beneficia della medesima chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. Ai sensi del paragrafo 2 di tale articolo, i cittadini dell’Unione hanno, in particolare, «il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri». In conformità all’articolo 20, paragrafo 2, secondo comma, TFUE, tale diritto è esercitato «secondo le condizioni e i limiti definiti dai trattati e dalle misure adottate in applicazione degli stessi».

5.

L’articolo 21 TFUE precisa tuttavia che, se è pur vero che ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, tale diritto è esercitato «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi».

B – Direttiva 2004/38

6.

Secondo il considerando 15 della direttiva 2004/38, «[è] necessario inoltre tutelare giuridicamente i familiari in caso di decesso del cittadino dell’Unione, di divorzio, di annullamento del matrimonio o di cessazione di una unione registrata. È quindi opportuno adottare misure volte a garantire che, in tali ipotesi, nel dovuto rispetto della vita familiare e della dignità umana e a determinate condizioni intese a prevenire gli abusi, i familiari che già soggiornano nel territorio dello Stato membro ospitante conservino il diritto di soggiorno esclusivamente su base personale».

7.

L’articolo 7 della direttiva 2004/38 disciplina il soggiorno per un periodo superiore a tre mesi nei seguenti termini:

«1.   Ciascun cittadino dell’Unione ha il diritto di soggiornare per un periodo superiore a tre mesi nel territorio di un altro Stato membro, a condizione:

a)

di essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante; o

b)

di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante; (…)

(…)

2.   Il diritto di soggiorno di cui al paragrafo 1 è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnino o raggiungano nello Stato membro ospitante il cittadino dell’Unione, purché questi risponda alla condizioni di cui al paragrafo 1, lettere a), b) o c).

(…)».

8.

In conformità all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38:

«Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell’unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro se:

a)

il matrimonio o l’unione registrata sono durati almeno tre anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio o annullamento o dello scioglimento dell’unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b); o

b)

il coniuge o partner non avente la cittadinanza di uno Stato membro ha ottenuto l’affidamento dei figli del cittadino dell’Unione in base ad accordo tra i coniugi o i partner di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), o decisione giudiziaria; o

c)

situazioni particolarmente difficili, come il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio o l’unione registrata, esigono la conservazione del diritto di soggiorno;

d)

il coniuge o il partner non avente la cittadinanza di uno Stato membro beneficia, in base ad un accordo tra i coniugi o conviventi di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), o decisione giudiziaria, di un diritto di visita al figlio minore, a condizione che l’organo giurisdizionale abbia ritenuto che le visite devono obbligatoriamente essere effettuate nello Stato membro ospitante, e fintantoché siano considerate necessarie.

Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’articolo 8, paragrafo 4.

I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale».

9.

L’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 prevede, infine, che il cittadino dell’Unione che abbia soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante ha diritto al soggiorno permanente in detto Stato. In conformità al paragrafo 2 dello stesso articolo, tali disposizioni «si applicano anche ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante».

C – Il regolamento (CEE) n. 1612/68

10.

Ai sensi dell’articolo 12, primo comma, del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità ( 3 ), «[i] figli del cittadino di uno Stato membro, che sia o sia stato occupato sul territorio di un altro Stato membro, sono ammessi a frequentare i corsi d’insegnamento generale, di apprendistato e di formazione professionale alle stesse condizioni previste per i cittadini di tale Stato, se i figli stessi vi risiedono».

III – Fatti

11.

NA è una cittadina pakistana. Nel settembre 2003, ella ha sposato KA a Karachi (Pakistan). Dopo essersi recato e aver risieduto in Germania, quest’ultimo ha ottenuto la cittadinanza tedesca.

12.

Nel marzo 2004, la coppia si è trasferita nel Regno Unito e il 7 novembre 2005 NA ha ottenuto un permesso di soggiorno valido fino al 21 settembre 2009.

13.

I loro rapporti si sono tuttavia deteriorati al punto che NA è stata vittima di diversi episodi di violenza domestica. Dopo aver aggredito NA (all’epoca incinta di oltre cinque mesi), KA ha abbandonato il domicilio coniugale nell’ottobre 2006. Nel dicembre 2006, egli ha lasciato definitivamente il Regno Unito per fare ritorno in Pakistan.

14.

Quando risiedeva nel Regno Unito, KA è stato sia lavoratore dipendente sia autonomo. Il 5 dicembre 2006, egli ha chiesto alle autorità britanniche di annullare il permesso di soggiorno di NA in quanto egli si era stabilito in modo permanente in Pakistan. Egli ha chiesto di essere informato dell’annullamento del permesso.

15.

Egli ha affermato di avere divorziato da NA mediante «talaq» ( 4 ) pronunciato a Karachi il 13 marzo 2007. Nel settembre 2008, è stata NA ad avviare un procedimento di divorzio nel Regno Unito. La sentenza definitiva di divorzio è stata pronunciata il 4 agosto 2009, e NA ha ottenuto l’affidamento delle due figlie della coppia.

16.

MA è nata il 14 novembre 2005 e IA è nata il 3 febbraio 2007. Esse hanno entrambe la cittadinanza tedesca e frequentano la scuola nel Regno Unito, rispettivamente, dal gennaio 2009 e dal settembre 2010.

17.

NA ha presentato una domanda intesa ad ottenere un permesso di soggiorno permanente nel Regno Unito, che le è stato negato.

18.

NA ha proposto ricorso avverso tale rifiuto. Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso. Tuttavia, il 22 febbraio 2013, il giudice di secondo grado, l’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber) [tribunale superiore (sezione immigrazione e asilo)] ha riformato la prima sentenza.

19.

Tale giudice ha confermato, anzitutto, che NA non beneficiava del mantenimento del proprio diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 in quanto, alla data del divorzio, KA non esercitava più, in tale Stato membro, i suoi diritti conferiti dai Trattati.

20.

Per contro, esso ha poi ritenuto che ella beneficiasse di un diritto di soggiorno in forza dell’articolo 20 TFUE, in applicazione dei principi enunciati nella sentenza Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124), da un lato, e dell’articolo 12 del regolamento n. 1612/68, dall’altro.

21.

Infine, alla luce del fatto che è pacifico che il diniego di un diritto di soggiorno nel Regno Unito nei confronti di NA costringerebbe le figlie, MA e IA, a lasciare tale Stato membro con la madre, in quanto ne ha l’affidamento esclusivo, l’Upper Tribunal (Immigration and Asylum Chamber) [tribunale superiore (sezione immigrazione e asilo)], ritenendo che il previsto allontanamento di MA e di IA dal Regno Unito violerebbe i diritti ad esse spettanti in forza dell’articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), ha accolto il ricorso proposto da NA in forza di tale disposizione.

22.

NA ha proposto appello avverso tale sentenza nella parte relativa al diniego del diritto di soggiorno fondato sull’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Le autorità britanniche hanno parimenti proposto appello avverso la sentenza nella parte relativa al diritto di soggiorno di NA, fondato, da un lato, sull’articolo 20 TFUE, e, dall’altro, sull’articolo 12 del regolamento n. 1612/68. Le considerazioni svolte nella sentenza in relazione all’articolo 8 della CEDU non sono invece state oggetto di alcuna contestazione.

23.

È in tale contesto che, in due sentenze pronunciate, rispettivamente, il 17 luglio 2014 e il 25 febbraio 2015, la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles) (sezione civile)] ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte quattro questioni pregiudiziali.

IV – Domanda di pronuncia pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

24.

Con decisione del 25 febbraio 2015, pervenuta alla Corte il 6 marzo 2015, la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles) (sezione civile)] ha pertanto sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se, al fine di mantenere il diritto di soggiorno ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, il cittadino di un paese terzo, ex coniuge di un cittadino dell’Unione, debba essere in grado di dimostrare che il suo ex coniuge stava esercitando, al momento del loro divorzio, i diritti conferiti dai Trattati nello Stato membro ospitante.

2)

Se un cittadino dell’Unione abbia, in base al diritto dell’Unione, il diritto di soggiornare in uno Stato membro ospitante ai sensi degli articoli 20 e 21 del TFUE nel caso in cui l’unico Stato all’interno dell’Unione in cui esso ha diritto di soggiornare sia lo Stato di cui ha la cittadinanza, ma un giudice competente ha accertato che l’espulsione del cittadino dallo Stato membro ospitante verso il suo Stato di cittadinanza violerebbe i suoi diritti ai sensi dell’articolo 8 della CEDU o dell’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la “Carta”).

3)

Nel caso in cui il cittadino dell’Unione di cui alla seconda questione pregiudiziale (…) sia un figlio, se il genitore che ne ha l’affidamento in via esclusiva abbia un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro ospitante qualora il figlio debba accompagnare il genitore in caso di espulsione di quest’ultimo dallo Stato membro ospitante.

4)

Se un figlio abbia diritto di soggiornare nello Stato membro ospitante a norma dell’articolo 12 del regolamento n. 1612/68 (divenuto articolo 10 del regolamento [(UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione (GU L 141, pag. 1)]) qualora il genitore cittadino dell’UE che sia stato occupato nello Stato membro ospitante abbia smesso di soggiornarvi prima che il figlio iniziasse a frequentare ivi la scuola».

25.

NA, l’Aire Centre, i governi del Regno Unito, danese, olandese e polacco, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte. NA, l’Aire Centre, il governo del Regno Unito e la Commissione hanno inoltre presentato osservazioni orali all’udienza svoltasi il 18 febbraio 2016.

V – Analisi

A – Sul carattere asseritamente ipotetico delle questioni pregiudiziali

26.

Secondo il governo del Regno Unito, la seconda e la terza questione sottoposte dal giudice del rinvio avrebbero natura ipotetica e sarebbero irrilevanti ai fini della soluzione della controversia, in quanto a NA e alle sue figlie è già stato riconosciuto un diritto di soggiorno nel Regno Unito in base all’articolo 8 della CEDU. Secondo il governo olandese, tale constatazione renderebbe ipotetiche tutte le questioni sollevate.

27.

A tal riguardo, risulta da una giurisprudenza costante che, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali quale prevista dall’articolo 267 TFUE, spetta unicamente al giudice nazionale, il quale è investito della controversia e deve assumersi la responsabilità della futura pronuncia giurisdizionale, valutare, alla luce delle peculiarità della causa dinanzi ad esso pendente, sia la necessità di una decisione in via pregiudiziale ai fini della pronuncia della propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che esso propone alla Corte ( 5 ).

28.

In conformità a tale giurisprudenza, «le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto normativo e fattuale che egli definisce sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza» ( 6 ).

29.

Orbene, nella specie, non risulta in maniera manifesta che il problema all’origine delle questioni sollevate sia meramente ipotetico.

30.

Infatti, non può escludersi che le risposte che la Corte fornirà alle diverse questioni che le vengono sottoposte stabiliscano se NA abbia il diritto di beneficiare di talune prestazioni previdenziali e di prestazioni non contributive attualmente negatele a causa della limitazione dei diritti conferiti da un diritto di soggiorno fondato sull’articolo 8 della CEDU ( 7 ). Un diritto di soggiorno fondato direttamente sul diritto dell’Unione sarebbe idoneo, quantomeno, a conferire a NA un livello superiore di certezza del diritto ( 8 ).

31.

Ciò premesso, invito la Corte ha ritenere ricevibili le questioni sottoposte dal giudice del rinvio.

B – Osservazioni preliminari in relazione all’articolo 16 della direttiva 2004/38

32.

Il giudice del rinvio ha circoscritto le sue questioni all’interpretazione degli articoli 20 TFUE e 21 TFUE, dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 e dell’articolo 12 del regolamento n. 1612/68.

33.

Tuttavia, la Corte ha già avuto occasione di precisare – segnatamente in una causa relativa al diritto di soggiorno di un cittadino di uno Stato terzo, diretto ascendente di cittadini dell’Unione in tenera età – che tale circostanza non ostava a che la Corte fornisse tutti gli elementi interpretativi del diritto dell’Unione che possono essere utili per dirimere la controversia sottopostagli, indipendentemente dal fatto che il giudice del rinvio vi abbia fatto riferimento o meno nel formulare le sue questioni ( 9 ).

34.

Nella specie la Commissione, nelle sue osservazioni scritte, si è posta la questione della possibilità che a NA sia riconosciuto un diritto di soggiorno permanente sulla base dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, e questo a far data dal mese di marzo del 2009.

35.

Infatti, in conformità all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, il familiare di un cittadino dell’Unione non avente la cittadinanza di uno Stato membro beneficia del riconoscimento di un diritto di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi quando accompagni o raggiunga nello Stato membro ospitante detto cittadino dell’Unione, purché quest’ultimo risponda alle condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, lettere da a) a c), della direttiva 2004/38 ( 10 ).

36.

Inoltre, in conformità all’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, se il soggiorno è prolungato legalmente «in via continuativa per cinque anni assieme al cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante», il familiare di detto cittadino dell’Unione non avente la cittadinanza di uno Stato membro ha diritto al soggiorno permanente in questo stesso territorio.

37.

Orbene, nella specie, si evince dagli elementi del fascicolo della Corte che NA è arrivata nel territorio del Regno Unito con il marito, KA, cittadino dell’Unione, nel marzo del 2004. È inoltre pacifico che, fino alla sua partenza nel dicembre del 2006, KA era un lavoratore subordinato o autonomo. NA poteva pertanto pretendere, fino a tale data, un diritto di soggiorno sulla base dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

38.

Inoltre, è parimenti assodato che NA aveva l’affidamento esclusivo delle sue due figlie (una delle quali nata prima che KA abbandonasse il domicilio coniugale), le quali sono cittadine dell’Unione, in quanto sono cittadine tedesche.

39.

Sulla base dei principi elaborati dalla Corte nella sentenza Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639), il diritto di soggiorno derivato di NA è dunque proseguito ininterrottamente tramite le figlie ( 11 ). Infatti, secondo la Corte, le condizioni previste dalla direttiva 2004/38 affinché un minore, cittadino dell’Unione, benefici di un diritto di soggiorno sul territorio di uno Stato membro del quale non ha la cittadinanza sono soddisfatte a condizione che qualcuno (non necessariamente il minore stesso, ma, nella specie, uno dei suoi genitori) possa garantire che egli soddisfa i bisogni finanziari e le altre condizioni richieste affinché un cittadino dell’Unione inattivo possa beneficiare di un diritto di soggiorno in un altro Stato membro ( 12 ).

40.

Secondo la Corte, in tali circostanze, l’articolo 20 TFUE e la direttiva 2004/38 «conferiscono al cittadino minorenne in tenera età di uno Stato membro, coperto da un’adeguata assicurazione malattia ed a carico di un genitore, egli stesso cittadino di uno Stato terzo, le cui risorse siano sufficienti affinché il primo non divenga un onere per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante, un diritto di soggiorno a durata indeterminata sul territorio di quest’ultimo Stato. In un caso siffatto, le stesse disposizioni consentono al genitore che ha effettivamente la custodia di tale cittadino di soggiornare con quest’ultimo nello Stato membro ospitante» ( 13 ).

41.

Sembra emergere dalle spiegazioni fornite dal rappresentante di NA all’udienza del 18 febbraio 2016, che le condizioni attinenti alle «risorse sufficienti» non ricorrano nella specie. Incombe tuttavia al giudice nazionale verificare se tali condizioni erano soddisfatte fra il momento in cui il marito ha lasciato il Regno Unito e il marzo del 2009, data alla quale NA sarebbe stata residente da cinque anni nel Regno Unito. Se il giudice del rinvio dovesse constatare l’esistenza di un periodo continuativo di «soggiorno legale» di cinque anni in capo a NA, quest’ultima avrebbe allora acquisito un diritto di soggiorno permanente in forza dell’articolo 16 della direttiva 2004/38.

42.

È vero che, a differenza delle situazioni di fatto sfociate nelle sentenze Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639) e Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645), il diritto di soggiorno derivato di NA non sarebbe eventualmente collegato al diritto di soggiorno di uno stesso ed unico cittadino dell’Unione (sua figlia). Esso sarebbe nato tramite il diritto di soggiorno di suo marito per proseguire poi grazie a quello delle figlie.

43.

A tal riguardo, è vero che l’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 si applica ai «familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che abbiano soggiornato legalmente assieme al cittadino dell’Unione» ( 14 ), il che potrebbe implicare che il diritto derivato invocato debba promanare dalla stessa persona.

44.

Tuttavia, la successione nel tempo di diversi fattori di collegamento alla cittadinanza dell’Unione – per di più all’interno della stessa unità familiare – non mi sembra idonea a rimettere in discussione, da sola, la realtà di un soggiorno legale per un periodo continuativo di cinque anni. Orbene, è questa la condizione essenziale imposta all’articolo 16 per beneficiare di un diritto di soggiorno permanente.

45.

Mi chiedo se non sarebbe infatti paradossale non esigere dal cittadino di uno Stato terzo che egli mantenga una coabitazione ( 15 ), ovvero un’«effettiva comunanza di vita coniugale» ( 16 ) con il cittadino dell’Unione, ma negare che il legame con la cittadinanza dell’Unione – chiave di accesso al diritto di soggiorno – prosegua in maniera continuativa tramite un’altra persona, nella specie uno o più suoi figli.

46.

Un’interpretazione letterale dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 mi parrebbe pertanto eccessivamente rigorosa, ove, secondo la Corte, persino il contesto e gli scopi perseguiti dalla direttiva 2004/38, impediscono di interpretare restrittivamente le sue disposizioni ( 17 ).

47.

Inoltre, aggiungerò, ad abundantiam, che, nel caso del procedimento principale, sempreché NA abbia disposto di risorse economiche sufficienti affinché la figlia maggiore non divenisse un onere per le finanze pubbliche dello Stato membro ospitante, il periodo di cinque anni mi sembra parimenti soddisfatto dal novembre del 2010, essendo MA nata il 14 novembre 2005.

C – Sulla prima questione pregiudiziale

48.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede se il cittadino di uno Stato terzo, ex coniuge di un cittadino dell’Unione, al fine di conservare un diritto di soggiorno ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, debba essere in grado di dimostrare che il suo ex coniuge stava esercitando, al momento del divorzio, i suoi diritti conferiti dai Trattati nello Stato membro ospitante.

49.

L’articolo 13 della direttiva 2004/38 disciplina il mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento dell’unione registrata (in prosieguo: «in caso di divorzio»).

50.

Finora, tale disposizione è stata oggetto di un’unica domanda di pronuncia pregiudiziale ( 18 ). L’ipotesi era quella contemplata all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38. Si trattava, infatti, di stabilire se il cittadino di uno Stato terzo, divorziato da un cittadino dell’Unione, il cui matrimonio era durato almeno tre anni prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, poteva beneficiare del mantenimento del diritto di soggiorno in tale Stato membro sebbene il coniuge cittadino dell’Unione avesse lasciato tale Stato prima del divorzio.

51.

Nella sua sentenza, la Corte ha ritenuto che «il diritto di soggiorno del coniuge del cittadino dell’Unione, cittadino di un paese terzo, p[ossa] essere solamente mantenuto, sul fondamento dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, se lo Stato membro in cui risiede tale cittadino è lo “Stato membro ospitante”, ai sensi dell’articolo 2, punto 3, della direttiva 2004/38, alla data di inizio del procedimento giudiziario» ( 19 ).

52.

Nel procedimento principale, la Corte dovrà esaminare questa volta la situazione contemplata all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, vale a dire la possibilità di mantenere il soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro in caso di divorzio se «situazioni particolarmente difficili, come il fatto di aver subito violenza domestica [l’]esigono».

53.

Si pone la questione se, in una situazione del genere, il cittadino dell’Unione coniuge di un cittadino di uno Stato terzo debba avere soggiornato nello Stato membro ospitante fino alla data della decisione giudiziaria di divorzio affinché il cittadino di uno Stato terzo possa far valere il mantenimento del proprio diritto di soggiorno.

1. Il contesto interpretativo risultante dalla sentenza Singh e a.

54.

Nella sentenza Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476), la Corte ha dichiarato che una domanda di divorzio posteriore alla partenza del coniuge cittadino dell’Unione non può determinare il ripristino del diritto di soggiorno del coniuge cittadino di uno Stato terzo «dal momento che l’articolo 13 della direttiva 2004/38 parla solamente di “mantenimento” di un diritto di soggiorno sussistente» ( 20 ).

55.

Prendendo le mosse dal combinato disposto degli articoli 12 e 13 della direttiva 2004/38, essa ha considerato che il diritto di soggiorno derivato del cittadino di un paese terzo cessa al momento in cui il coniuge, cittadino dell’Unione, lascia lo Stato membro in cui entrambi risiedono per stabilirsi in un altro Stato membro o in un paese terzo ( 21 ).

56.

Essa ha tuttavia ritenuto che il diritto di soggiorno del coniuge del cittadino dell’Unione, cittadino di un paese terzo, possa essere mantenuto, sul fondamento dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, se lo Stato membro in cui risiede tale cittadino è lo «Stato membro ospitante», ai sensi dell’articolo 2, punto 3, della direttiva 2004/38, alla data di inizio del procedimento giudiziario ( 22 ).

57.

Questi tre punti della sentenza Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476) consentono di comprendere la logica che prevale in sede di interpretazione dell’articolo 13 della direttiva 2004/38.

58.

Il principio è il venir meno del diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione che non hanno la cittadinanza di uno Stato membro allorché il cittadino dell’Unione al quale è collegato il diritto di soggiorno lascia il territorio dello Stato membro ospitante. Tuttavia, taluni eventi che possono sopraggiungere nell’ambito di un procedimento di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento dell’unione registrata consentono di mantenere il diritto di soggiorno dei familiari.

59.

Infatti, come dimostrato dalla sentenza Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476), non sono il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell’unione registrata in quanto tali che mantengono il diritto di soggiorno dei familiari, bensì le ipotesi specifiche dettagliate di cui all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2004/38.

60.

Rilevo, a tal riguardo, che la Commissione, nei commenti relativi all’articolo 13 della proposta sfociata nell’adozione della direttiva 2004/38, presentava già le diverse ipotesi enunciate quali «condizioni alternative» ( 23 ), vale a dire che una sola è sufficiente a far scattare il mantenimento del diritto di soggiorno.

61.

Di conseguenza, le ipotesi previste all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2004/38 devono essere intese come altrettanti elementi che fanno scattare il mantenimento del diritto di soggiorno del cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione.

62.

Se detto coniuge lascia lo Stato membro ospitante prima del verificarsi di una di tali ipotesi, l’articolo 13 non può avere come effetto quello di «mantenere» il diritto di soggiorno, in quanto esso, in realtà, è già venuto meno. Per contro, nel caso in cui la partenza prevista all’articolo 12, paragrafo 3, si sia verificata dopo uno degli eventi – e non della pronuncia del divorzio stricto sensu – che fa scattare il mantenimento del diritto di soggiorno in forza dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, la successiva partenza del cittadino dell’Unione non rileva in alcun modo.

2. L’ipotesi di «situazioni particolarmente difficili» prevista all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38

63.

Secondo una giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte ( 24 ).

64.

Il testo dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 non consente, da solo, di fornire una risposta utile alla prima questione pregiudiziale.

65.

Rilevo cionondimeno che, contrariamente alle altre ipotesi contemplate da detto primo comma, è un passato conchiuso che viene utilizzato per definire la situazione di fatto che fa scattare il mantenimento del diritto di soggiorno.

66.

Infatti, l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 si applica alla violenza domestica «durante il matrimonio o l’unione registrata». Esiste pertanto necessariamente uno scarto temporale fra la violenza domestica, elemento che provoca l’applicazione della disposizione, e il divorzio.

67.

Inoltre, diversi elementi consentono di definire l’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione.

68.

Da un lato, il considerando 15 della direttiva 2004/38 fa espressamente riferimento alla necessità di «tutelare giuridicamente i familiari in caso (…) di divorzio, di annullamento del matrimonio o di cessazione di una unione registrata».

69.

Dall’altro, le spiegazioni della Commissione relative alla proposta sfociata nell’adozione dell’articolo 13 della direttiva 2004/38 precisano che «[l]a disposizione mira ad offrire una certa tutela giuridica a queste persone il cui diritto di soggiorno discende dal vincolo familiare rappresentato dal matrimonio e che potrebbero, per questo motivo, essere ricattate con la minaccia del divorzio» ( 25 ).

70.

Orbene, un siffatto rischio di «minaccia del divorzio» o del diniego del divorzio mi sembra particolarmente presente in un contesto di violenze domestiche. Infatti, la perdita del diritto di soggiorno derivato, in capo al coniuge cittadino di uno Stato terzo, nell’ipotesi in cui il cittadino lasci l’Unione, potrebbe essere utilizzata come mezzo di pressione per opporsi al divorzio, quando siffatte circostanze sono già idonee a comportare un indebolimento psicologico in capo alla vittima e, in ogni caso, un timore nei confronti dell’autore delle violenze.

71.

La necessità di una presenza effettiva del coniuge cittadino dell’Unione nel territorio dello Stato membro ospitante fino al divorzio, o, quantomeno, fino all’introduzione del procedimento giudiziario di divorzio, sarebbe parimenti idonea a compromettere l’applicazione di detto articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, alla luce del rischio di sanzione penale connessa a comportamenti che integrano una violenza domestica.

72.

Infatti, non può escludersi che l’autore di tali fatti tenti di lasciare il territorio nel quale i fatti sono stati commessi al fine di sottrarsi ad un’eventuale condanna, privando de facto il cittadino di uno Stato terzo del suo diritto di soggiorno derivato. Orbene, l’introduzione di un procedimento di divorzio a causa di violenze domestiche potrebbe condurre, contemporaneamente, alla denuncia dei fatti alle autorità giudiziarie.

73.

Un’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, la quale imponga al cittadino di uno Stato terzo di dimostrare che il suo ex coniuge esercitava i diritti derivati dai Trattati nello Stato membro ospitante al momento del divorzio al fine di poter conservare un diritto di soggiorno sarebbe pertanto manifestamente contraria all’obiettivo di tutela giuridica perseguito da detta disposizione.

74.

Infine, come già ricordato in precedenza, «[i]n considerazione del contesto e degli scopi perseguiti dalla direttiva 2004/38, le disposizioni della medesima non possono essere interpretate restrittivamente e, comunque, non devono essere private della loro efficacia pratica» ( 26 ).

75.

Orbene, un’interpretazione che imponga la presenza del coniuge cittadino dell’Unione nel territorio dello Stato membro ospitante fino all’introduzione del procedimento di divorzio sarebbe non solo restrittiva, ma priverebbe inoltre la disposizione della sua efficacia pratica, consistente nel trasformare il diritto di soggiorno derivato di un familiare di un cittadino dell’Unione in un diritto di soggiorno personale in circostanze particolari che meritano di essere tutelate.

76.

Infatti, se il fatto di essere vittima di un atto di violenza domestica è stato reputato, dal legislatore dell’Unione, un motivo che giustifica la trasformazione di un diritto derivato in un diritto individuale, il riconoscimento di un siffatto diritto non può essere assoggettato alla sola volontà dell’autore dei fatti di restare nel territorio dello Stato membro ospitante.

3. Conclusione intermedia

77.

Anche letti in combinato disposto, gli articoli 12 e 13 della direttiva 2004/38 non consentono di intendere il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell’unione registrata, in quanto tali, come elementi che fanno scattare il mantenimento del diritto di soggiorno.

78.

Queste situazioni precise, enunciate nel titolo dell’articolo 13 della direttiva 2004/38, costituiscono unicamente un contesto nel quale uno degli eventi enunciati al paragrafo 2 di detto articolo può sopraggiungere e, in tal modo, comportare il mantenimento del diritto di soggiorno del coniuge cittadino di uno Stato terzo se, e soltanto se, il cittadino dell’Unione è sempre presente nel territorio dello Stato membro ospitante in tale momento.

79.

Per quanto riguarda, più specificamente, l’ipotesi delle violenze domestiche contemplata all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, l’interpretazione teleologica di tale disposizione porta a ritenere il sopraggiungere delle violenze domestiche un elemento che fa scattare il mantenimento del diritto di soggiorno del cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione.

80.

Qualsiasi altra interpretazione priverebbe l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 del suo effetto utile, che consiste nell’assicurare una tutela giuridica alla vittima dell’atto di violenza, mentre l’interpretazione proposta rispetta, inoltre, il tenore letterale della disposizione controversa.

81.

Infine, il rischio di abuso menzionato al considerando 15 della direttiva 2004/38 è sufficientemente escluso dall’obbligo di cui all’articolo 13, paragrafo 2, secondo comma, in forza del quale il diritto di soggiorno delle persone prese in considerazione dal primo comma «rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni».

82.

Al termine di tale analisi, propongo dunque di risolvere la prima questione pregiudiziale sollevata nel senso che, nel caso in cui il divorzio sia conseguente a violenze domestiche, l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 non esige che il cittadino dell’Unione, coniuge del cittadino di uno Stato terzo, soggiorni egli stesso nel territorio dello Stato membro ospitante in conformità all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, al momento del divorzio, affinché tale cittadino di uno Stato terzo possa conservare un diritto di soggiorno personale in forza di detta disposizione.

D – Sulla seconda e sulla terza questione pregiudiziale

83.

Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 20 TFUE e/o l’articolo 21 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro neghi ad un cittadino dell’Unione il diritto di soggiorno nel proprio territorio allorché un giudice competente ha accertato che il suo allontanamento verso lo Stato membro del quale egli ha la cittadinanza violerebbe l’articolo 8 della CEDU e l’articolo 7 della Carta.

84.

Con la terza questione, il giudice del rinvio prende in considerazione la medesima situazione, ma in relazione ad un cittadino di uno Stato terzo genitore affidatario esclusivo del cittadino dell’Unione.

85.

Tali questioni sono state affrontate congiuntamente da tutte le parti che hanno presentato osservazioni scritte, ad eccezione del governo del Regno Unito. Ritengo parimenti che queste due questioni possano essere analizzate congiuntamente alla luce della sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645).

86.

La causa sfociata in tale sentenza, infatti, verteva su una situazione comparabile, in quanto riguardava dei minori cittadini dell’Unione nati in uno Stato membro del quale non avevano la cittadinanza da un padre cittadino dell’Unione e da una madre cittadina di uno Stato terzo. Orbene, nella sua sentenza, la Corte ha scelto di affrontare in via prioritaria la questione alla luce dell’articolo 21 TFUE, sebbene solo l’articolo 20 TFUE fosse stato invocato dal giudice del rinvio ( 27 ).

1. L’insegnamento della sentenza Alokpa e Moudoulou relativo all’articolo 21 TFUE

87.

Nella sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645), la Corte ha ricordato che, nell’ambito di una situazione in cui un cittadino dell’Unione era nato nello Stato membro ospitante e non aveva esercitato il suo diritto alla libera circolazione, i termini «disporre di risorse economiche sufficienti» che figurano all’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38 e che condizionano la legittimità di un soggiorno superiore a tre mesi «dovevano essere interpretati nel senso che è sufficiente che i cittadini dell’Unione dispongano di siffatte risorse, senza che tale disposizione contenga il minimo requisito in merito alla provenienza delle medesime – infatti, le risorse potevano essere fornite dal cittadino di un paese terzo genitore del minore in questione» ( 28 ).

88.

Discende da tale constatazione una giurisprudenza costante secondo la quale «mentre conferiscono un diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante al cittadino in tenera età di un altro Stato membro il quale soddisfi le condizioni fissate dall’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva, l’articolo 21 TFUE e la direttiva 2004/38 consentono al genitore che abbia effettivamente la custodia di tale cittadino di soggiornare con lui nello Stato membro ospitante» ( 29 ).

89.

Infatti, «il rifiuto di consentire al genitore, cittadino di uno Stato membro o di un paese terzo, che abbia effettivamente la custodia di un cittadino dell’Unione minorenne, di soggiornare insieme a tale cittadino nello Stato membro ospitante priverebbe di ogni efficacia il diritto di soggiorno di quest’ultimo, dal momento che il godimento del diritto di soggiorno da parte di un minore in tenera età implica necessariamente che tale minore abbia la facoltà di essere accompagnato dalla persona che ne garantisce effettivamente la custodia e, quindi, che tale persona possa risiedere con lui nello Stato membro ospitante durante tale soggiorno» ( 30 ).

90.

Poiché la situazione di fatto della controversia di cui al procedimento principale è simile, non ravviso alcun motivo per discostarsi da tale giurisprudenza costante e dalla conseguenza secondo la quale spetta al giudice del rinvio verificare se le figlie di NA soddisfino le condizioni fissate all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 e godano, di conseguenza, di un diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante in base all’articolo 21 TFUE ( 31 ).

91.

Si tratta pertanto, «[i]n particolare, [di] verificare se i suddetti figli dispongano, da soli o grazie alla madre, di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia completa, come prevede l’articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2004/38» ( 32 ).

92.

In caso contrario, la Corte ha dichiarato che l’articolo 21 TFUE non ostava a che venisse negato un diritto di soggiorno al cittadino di uno Stato terzo, sebbene questi avesse a proprio carico esclusivo figli in tenera età, cittadini dell’Unione, i quali soggiornano con lui nel territorio di uno Stato membro del quale non sono cittadini ( 33 ).

93.

L’eventuale applicazione dell’articolo 7 della Carta (e/o dell’articolo 8 della CEDU) non mi sembra incidere su tale ragionamento nella misura in cui esso verte specificamente sul diritto alla libera circolazione, il quale è garantito dall’articolo 21 TFUE «fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi», come l’articolo 7 della direttiva 2004/38 ( 34 ).

2. L’insegnamento della sentenza Alokpa e Moudoulou relativo all’articolo 20 TFUE

94.

Se è pur vero che l’articolo 21 TFUE non consente incondizionatamente di fondare il diritto di soggiorno del cittadino di uno Stato terzo che ha l’affidamento esclusivo di minori cittadini dell’Unione, la Corte ha riconosciuto all’articolo 20 TFUE una portata autonoma.

95.

Infatti, nella sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645), la Corte ha affermato espressamente che il giudice nazionale, sulla base dell’articolo 20 TFUE, doveva «ancora verificare se un siffatto diritto di soggiorno non potrebbe esserle comunque concesso in via eccezionale, pena pregiudicare l’effetto utile della cittadinanza dell’Unione di cui godono i (…) figli [del cittadino di uno Stato terzo che ne ha l’affidamento esclusivo], poiché, in conseguenza di siffatto diniego, questi ultimi sarebbero di fatto costretti a lasciare il territorio dell’Unione nel suo insieme e privati, quindi, del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status suddetto» ( 35 ).

96.

Si tratta in tal caso, in realtà, del substrato della giurisprudenza avviata dalla sentenza Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124), come confermata e precisata in diverse sentenze successive ( 36 ).

97.

Risulta da tale giurisprudenza che un diritto di soggiorno deve essere accordato sulla base dell’articolo 20 TFUE a favore di un cittadino di un paese terzo, genitore di un cittadino dell’Unione, qualora il rifiuto di detto diritto di soggiorno privi tale cittadino del godimento reale ed effettivo dei diritti connessi al suo status di cittadino dell’Unione, costringendolo a lasciare il territorio dell’Unione considerato nel suo insieme.

98.

Il criterio di valutazione della «privazione del nucleo essenziale dei diritti» è, dalla sentenza Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734), stabilito in maniera chiara ( 37 ). Si pone la questione della sua valutazione: se l’obbligo di lasciare il territorio dell’Unione debba essere inteso giuridicamente oppure in concreto, alla luce dei fatti.

3. I criteri di valutazione dell’obbligo di lasciare il territorio dell’Unione nel suo insieme

99.

È evidente che le due figlie di NA, in quanto cittadine tedesche, hanno il diritto di abitare in Germania. Di conseguenza, se esse dovessero lasciare il territorio del Regno Unito per recarsi in Germania, la madre avrebbe un diritto di soggiorno derivato in quest’ultimo Stato, in conformità ai principi elaborati nella sentenza Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124) ( 38 ).

100.

Infatti, se così non fosse, MA e IA sarebbero costrette a lasciare il territorio dell’Unione per seguire la madre, verosimilmente in Pakistan; ciò le priverebbe del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dal loro status di cittadine dell’Unione.

101.

Una situazione analoga era all’origine della causa sfociata nella sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645).

102.

In tale causa, la sig.ra Alokpa affermava che, se le autorità lussemburghesi le avessero negato un diritto di soggiorno sebbene ella risiedesse nel territorio di tale Stato membro con i figli, cittadini francesi, la stessa si sarebbe trovata nell’impossibilità di recarsi in Francia e di soggiornarvi con gli stessi, e sarebbe pertanto stata obbligata a ritornare in Togo.

103.

Secondo l’avvocato generale Mengozzi, occorreva «dunque verificare se l’esecuzione di una decisione del genere produrrebbe l’effetto, ai sensi della citata giurisprudenza Ruiz Zambrano nonché Dereci e a., di obbligare, nei fatti, cittadini dell’Unione a lasciare il territorio dell’Unione nel suo insieme, privandoli del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dal loro status» ( 39 ).

104.

Orbene, nella sentenza che ne era seguita, la Corte, condividendo la valutazione dell’avvocato generale Mengozzi, ha constatato che «la sig.ra Alokpa, nella sua qualità di madre di Jarel e di Eja Moudoulou e di persona che, sin dalla loro nascita, ne ha da sola la custodia effettiva, potrebbe godere di un diritto derivato ad accompagnarli e a soggiornare con loro sul territorio francese» ( 40 ).

105.

La Corte ne ha desunto che, «in linea di principio, il diniego da parte delle autorità lussemburghesi di concedere un diritto di soggiorno alla sig.ra Alokpa non può avere come conseguenza di obbligare i figli della medesima a lasciare il territorio dell’Unione nel suo insieme» ( 41 ). Nello stesso punto, essa ha cionondimeno precisato che spetta al giudice del rinvio «tuttavia (…) verificare se, alla luce di tutte le circostanze del procedimento principale, tale ipotesi ricorra effettivamente» ( 42 ).

106.

Quest’ultima precisazione mi sembra essenziale. Essa ha un senso solo se la valutazione del test della «privazione del nucleo essenziale dei diritti» non è una questione meramente giuridica.

107.

Infatti, la possibilità giuridica – vale a dire teorica –, per i minori cittadini dell’Unione e il genitore cittadino di uno Stato terzo che ne ha l’affidamento esclusivo, di risiedere nel territorio dello Stato membro di cui i minori sono cittadini, è stata riconosciuta dalla Corte.

108.

Orbene, la Corte affida espressamente al giudice nazionale il compito di verificare se, «alla luce di tutte le circostanze del procedimento principale» ( 43 ), il diniego dello Stato membro ospitante di concedere un diritto di soggiorno al genitore cittadino di uno Stato terzo possa avere come conseguenza di obbligare i suoi figli a lasciare il territorio nel suo insieme.

109.

Risulta da tale precisazione che, da un lato, le circostanze da prendere in considerazione sono, necessariamente, fattuali ( 44 ) e che, dall’altro, esse sono idonee a vanificare la possibilità teorica di non dover lasciare il territorio dell’Unione, considerato nel suo insieme. In altri termini, il principio elaborato nella sentenza Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124) potrebbe essere «riattivato» nei confronti dello Stato del quale minori hanno la cittadinanza ( 45 ).

110.

Tale esame fattuale del test della «privazione del nucleo essenziale dei diritti» è conforme alla logica che deve prevalere in sede di interpretazione della cittadinanza dell’Unione.

111.

Infatti, secondo quando affermato costantemente dalla Corte, lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri ( 46 ). Non può trattarsi, pertanto, di una conchiglia vuota. Come sottolineato di recente dall’avvocato generale Szpunar, «[d]ire ai cittadini degli Stati membri che essi sono cittadini dell’Unione genera aspettative, definendo al contempo diritti e doveri» ( 47 ).

112.

Orbene, se il diritto di circolazione e di stabilimento viene espressamente indicato come un diritto del cittadino dell’Unione agli articoli 20 TFUE e 21 TFUE, nonché all’articolo 45 della Carta, non può essere negato a detto cittadino il fatto di avere eventualmente creato in uno Stato membro diverso dal proprio un legame reale e duraturo più significativo o sostanziale che nello Stato membro del quale ha la cittadinanza.

113.

Il diritto dell’Unione è idoneo a dare sostanza al concetto di cittadinanza dell’Unione solo a condizione di collegare la sua tutela al legame con un luogo, al fatto di essere ancorato ad un territorio e di essere integrato nella vita non solo amministrativa ed economica del paese ospitante, ma anche nella sua vita sociale e culturale ( 48 ).

114.

In altre parole, la possibilità che un cittadino di uno Stato terzo e i suoi figli, cittadini dell’Unione, possano recarsi nello Stato membro del quale questi ultimi sono cittadini, non può essere sostenuta unicamente in astratto ( 49 ).

115.

Orbene, nella specie, sembra accertato che le figlie di NA, benché aventi la cittadinanza tedesca, non hanno alcun legame con tale Stato membro, nel cui territorio esse non hanno mai vissuto e del quale non conoscono la lingua. Nate e iscritte a scuola nel Regno Unito, è in questo Stato membro che esse hanno costruito la loro cittadinanza.

116.

La Commissione stessa rileva, nelle sue osservazioni scritte, che, se le figlie di NA beneficiano, «in quanto cittadine tedesche, di un diritto di soggiorno incondizionato in Germania, è parimenti pacifico che non ci si possa aspettare né da loro né dalla madre che esse vivano in tale paese, e, su tale base, i giudici nazionali hanno ritenuto che il loro allontanamento dal Regno Unito verso la Germania avrebbe necessariamente comportato una violazione della CEDU» ( 50 ).

117.

Ritengo pertanto che, se tali informazioni dovessero essere confermate dal giudice del rinvio, spetterebbe al medesimo riconoscere a MA e a IA il diritto di soggiorno nel Regno Unito sulla base dell’articolo 20 TFUE, mentre NA otterrebbe ella stessa, di riflesso, un diritto di soggiorno derivato. Infatti, negare tale diritto alle figlie di NA le priverebbe del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione. Orbene, secondo la sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645), l’articolo 20 TFUE osta a siffatta conseguenza ( 51 ).

4. Sull’incidenza dell’articolo 7 della Carta e dell’articolo 8 della CEDU

118.

Nella seconda questione, il giudice del rinvio ricorda che è stato accertato in giudizio che l’allontanamento dei cittadini dell’Unione, nella specie dei minori, dallo Stato membro ospitante verso lo Stato membro di cui hanno la cittadinanza, violerebbe i diritti che essi traggono dall’articolo 8 della CEDU e dall’articolo 7 della Carta.

119.

Si pone la questione se un siffatto accertamento possa incidere sulla risposta da dare a tale questione.

120.

La questione dell’incidenza dell’articolo 7 della Carta e dell’articolo 8 della CEDU sull’applicazione dell’articolo 20 TFUE è già stata sottoposta alla Corte. Nella sentenza Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734), essa vi ha risposto considerando che, «qualora il giudice del rinvio ritenga che, alla luce delle circostanze delle cause principali, le posizioni dei ricorrenti nelle cause principali siano soggette al diritto dell’Unione, esso dovrà valutare se il diniego del diritto di soggiorno di questi ultimi nelle cause principali leda il diritto al rispetto della vita privata e familiare, previsto dall’art[icolo] 7 della Carta. Viceversa, qualora ritenga che dette posizioni non rientrino nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione, esso dovrà condurre un siffatto esame alla luce dell’art[icolo] 8, [paragrafo] 1, della CEDU» ( 52 ).

121.

Tale conclusione mi fa riflettere. Infatti, nella sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645), la Corte non esita a dichiarare che «gli articoli 20 TFUE e 21 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro neghi a un cittadino di un paese terzo un diritto di soggiorno sul suo territorio quando tale cittadino abbia a proprio carico esclusivo figli in tenera età, cittadini dell’Unione, i quali sin dalla nascita soggiornano con lui in tale Stato membro senza possederne la cittadinanza e senza aver esercitato il proprio diritto alla libera circolazione, sempreché tali cittadini dell’Unione non soddisfino le condizioni fissate dalla direttiva 2004/38 sempreché un siffatto diniego non li privi del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione» ( 53 ).

122.

Se una disposizione del Trattato non osta a che uno Stato membro neghi un diritto di soggiorno, fatto salvo il rispetto di talune condizioni, ci si colloca, per ipotesi, nell’ambito di applicazione di tale disposizione ( 54 ). In caso contrario, la Corte dovrebbe dichiararsi incompetente a risolvere la questione sollevata.

123.

Mi sembra pertanto certo che le questioni connesse all’applicazione dell’articolo 20 TFUE e l’incidenza della cittadinanza dell’Unione sul diritto di soggiorno ricadano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione ( 55 ).

124.

Di conseguenza, se il giudice del rinvio ha ritenuto che l’espulsione di un cittadino dell’Unione violi l’articolo 7 della Carta (o l’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU, in quanto il loro contenuto è equivalente), tale valutazione deve essere presa in considerazione in sede di applicazione dell’articolo 20 TFUE e in sede di valutazione del test della «privazione del nucleo essenziale dei diritti».

125.

L’integrazione dell’articolo 7 della Carta nella riflessione del giudice nazionale relativa all’applicazione dell’articolo 20 TFUE non mi sembra peraltro idonea a comportare un’estensione dell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, estensione che sarebbe contraria all’articolo 51, paragrafo 2, della Carta.

126.

Infatti, è la cittadinanza europea sancita all’articolo 20 TFUE che fa scattare la protezione dei diritti fondamentali – e in particolare, nella specie, dell’articolo 7 della Carta – e non il contrario ( 56 ).

5. Conclusione intermedia

127.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo di risolvere la seconda e la terza questione pregiudiziale sottoposte dal giudice del rinvio affermando che gli articoli 20 TFUE e 21 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro neghi ad un cittadino di un paese terzo il diritto di soggiorno nel proprio territorio, allorché tale cittadino ha l’affidamento esclusivo dei figli, cittadini dell’Unione, i quali soggiornano col medesimo in tale Stato membro fin dalla nascita, senza possedere la cittadinanza di questo stesso Stato, e si sono avvalsi del loro diritto di libera circolazione, a condizione che tali cittadini dell’Unione soddisfino le condizioni fissate dalla direttiva 2004/38 o, altrimenti, che un siffatto diniego privi, di fatto, detti cittadini del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, tenendo conto di tutte le circostanze del caso di specie. Qualora sia stato accertato in giudizio che l’espulsione dei cittadini dell’Unione di cui trattasi violerebbe l’articolo 7 della Carta o l’articolo 8, paragrafo 1, della CEDU, il giudice nazionale deve tenerne conto.

E – Sulla quarta questione pregiudiziale

128.

Con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 12 del regolamento n. 1612/68 debba essere interpretato nel senso che un minore, nonché, di conseguenza, il genitore che ne ha l’affidamento, benefici di un diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante qualora il genitore che è cittadino dell’Unione e che ha lavorato in tale Stato membro abbia cessato di risiedervi prima che il figlio abbia iniziato a frequentarvi la scuola.

129.

La giurisprudenza della Corte consente di risolvere affermativamente tale questione.

130.

Infatti, secondo la Corte, «[il] diritto riconosciuto al figlio di un lavoratore migrante, ex art[icolo] 12 del regolamento n. 1612/68, di proseguire, nelle migliori condizioni possibili, le scuole nello Stato membro ospitante implica necessariamente il diritto del figlio di essere accompagnato dalla persona che ne sia effettivamente affidataria e, quindi, che tale persona sia in grado di risiedere con il medesimo nel detto Stato membro per la durata degli studi. Negare la concessione del diritto di soggiorno al genitore effettivamente affidatario del figlio che eserciti il diritto di proseguire le scuole nello Stato membro ospitante costituirebbe violazione di tale diritto» ( 57 ).

131.

I figli di un cittadino di uno Stato membro che lavora o ha lavorato nello Stato membro ospitante e il genitore effettivamente affidatario dei medesimi possono pertanto avvalersi, in quest’ultimo Stato, di un diritto di soggiorno sul solo fondamento dell’articolo 12, primo comma, del regolamento n. 1612/68 ( 58 ).

132.

Nella sentenza Teixeira (C‑480/08, EU:C:2010:83), la Corte ha ricordato che «l’art[icolo] 12 del regolamento n. 1612/68 è diretto, segnatamente, a garantire che i figli di un cittadino lavoratore di uno Stato membro possano intraprendere e, all’occorrenza, terminare le scuole nello Stato membro ospitante, ancorché il genitore non eserciti più attività di lavoro dipendente nel detto Stato membro» ( 59 ).

133.

Essa ha parimenti precisato che, «[s]econdo consolidata giurisprudenza, l’art[icolo] 12 del regolamento n. 1612/68 impone unicamente che il figlio abbia vissuto con i genitori o con uno di essi in uno Stato membro mentre almeno uno dei genitori vi risiedeva in qualità di lavoratore (sentenze [Brown (197/86, EU:C:1988:323)], punto 30, e Gaal [(C‑7/94, EU:C:1995:118)], punto 27)» ( 60 ).

134.

In modo ancora più chiaro, la Corte ha dichiarato che «[i]l diritto del figlio di soggiornare in tale Stato per seguirvi gli studi, conformemente all’art[icolo] 12 del regolamento n. 1612/68, e, conseguentemente, il diritto di soggiorno del genitore che ne abbia l’effettivo affidamento non possono pertanto essere soggetti alla condizione che uno dei genitori abbia svolto, alla data in cui il figlio ha iniziato gli studi, un’attività lavorativa come lavoratore migrante nello Stato membro ospitante» ( 61 ).

135.

Nella sentenza Ibrahim e Secretary of State for the Home Department, la Corte ha affermato, inoltre, in un caso in cui uno dei minori interessati aveva iniziato a frequentare la scuola dopo che il genitore ex lavoratore migrante aveva lasciato lo Stato membro ospitante, che «il diritto alla parità di trattamento per quanto concerne l’accesso all’insegnamento non è limitato ai figli dei lavoratori migranti. Esso trova applicazione anche nei confronti dei figli degli ex lavoratori migranti» ( 62 ).

136.

Si evince pertanto incontestabilmente da tale giurisprudenza che l’articolo 12 del regolamento n. 1612/68 deve essere interpretato nel senso che un minore, nonché, di conseguenza, il genitore che ne ha l’affidamento, beneficiano del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, qualora il genitore che è cittadino dell’Unione e che ha lavorato in tale Stato membro abbia cessato di risiedervi prima che il minore abbia iniziato a frequentarvi la scuola.

137.

Tale interpretazione dell’articolo 12 del regolamento n. 1612/68 è inoltre conforme al principio secondo il quale tale disposizione «non può essere interpretata in senso restrittivo (…) e non dev’essere, in ogni caso, privata del proprio effetto utile» ( 63 ).

138.

Aggiungerò, ad ogni buon fine, che discende dai fatti all’origine della sentenza Alarape e Tijani (C‑529/11, EU:C:2013:290) che i principi richiamati in precedenza si applicano parimenti ai cittadini di Stati terzi, ascendenti di cittadini dell’Unione.

VI – Conclusione

139.

Sulla base delle considerazioni svolte, propongo alla Corte di rispondere nei termini seguenti alle questioni pregiudiziali sollevate dalla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) [Corte d’appello (Inghilterra e Galles) (sezione civile)]:

«1)

Nel caso in cui il divorzio sia conseguente a violenze domestiche, l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE, non esige che il cittadino dell’Unione europea, coniuge di un cittadino di uno Stato terzo, soggiorni egli stesso nel territorio dello Stato membro ospitante in conformità all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, al momento del divorzio, affinché tale cittadino di uno Stato terzo possa conservare un diritto di soggiorno personale in forza di tale disposizione.

2)

Gli articoli 20 TFUE e 21 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro neghi ad un cittadino di un paese terzo il diritto di soggiorno nel proprio territorio, allorché tale cittadino ha l’affidamento esclusivo dei figli, cittadini dell’Unione, i quali soggiornano col medesimo in tale Stato membro fin dalla nascita, senza possedere la cittadinanza di questo stesso Stato, e si sono avvalsi del loro diritto di libera circolazione, a condizione che tali cittadini dell’Unione soddisfino le condizioni fissate dalla direttiva 2004/38 o, altrimenti, che un siffatto diniego privi, di fatto, detti cittadini del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, tenendo conto di tutte le circostanze del caso di specie. Qualora sia stato accertato in giudizio che l’espulsione dei cittadini dell’Unione di cui trattasi violerebbe l’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea o l’articolo 8, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, il giudice nazionale deve tenerne conto.

3)

L’articolo 12 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità, deve essere interpretato nel senso che un minore nonché, di conseguenza, il genitore che ne ha l’affidamento, beneficiano del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante, qualora il genitore che è cittadino dell’Unione e che ha lavorato in tale Stato membro abbia cessato di risiedervi prima che il minore abbia iniziato a frequentarvi la scuola».


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU L 158, pag. 77, nonché rettifica in GU 2004, L 229, pag. 35.

( 3 ) GU L 257, pag. 2.

( 4 ) Si tratta di una forma di divorzio unilaterale legale in Pakistan ma non riconosciuta nel Regno Unito.

( 5 ) V., in tal senso, sentenza Trespa International (C‑248/07, EU:C:2008:607, punto 32).

( 6 ) Sentenza Wojciechowski (C‑408/14, EU:C:2015:591, punto 32). V. parimenti, ex multis, sentenze Pujante Rivera (C‑422/14, EU:C:2015:743, punto 20 e la giurisprudenza ivi citata), nonché Trespa International (C‑248/07, EU:C:2008:607, punto 33).

( 7 ) V., in tal senso, le osservazioni scritte presentate da NA (punto 7).

( 8 ) V., in tal senso, le osservazioni scritte presentate dall’Aire Centre (punto 3).

( 9 ) V., in tal senso, segnatamente, sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 20).

( 10 ) Ossia essere lavoratore subordinato o autonomo nello Stato membro ospitante o disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi in questo stesso Stato o, ancora, seguirvi a titolo principale un corso di studi (a condizione di soddisfare gli stessi requisiti attinenti alle risorse economiche e alla copertura medica cit. supra).

( 11 ) Sentenza Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639, punti da 45 a 47). V. parimenti, sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 29).

( 12 ) V., in tal senso, segnatamente, sentenze Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639, punti 2830, nonché punti 41 e 47), e Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 27).

( 13 ) Sentenza Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639, punto 47). Il corsivo è mio.

( 14 ) Il corsivo è mio.

( 15 ) V., in tal senso, sentenze Diatta (267/83, EU:C:1985:67, punti 2022), nonché Iida (C‑40/11, EU:C:2012:691, punto 58).

( 16 ) V., in tal senso, sentenza Ogieriakhi (C‑244/13, EU:C:2014:2068, punti 36, 3847).

( 17 ) V., in tal senso, sentenza Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 84).

( 18 ) Sentenza Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476).

( 19 ) Sentenza Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 61). Il corsivo è mio.

( 20 ) Punto 67.

( 21 ) Sentenza Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 62).

( 22 ) Sentenza Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 61).

( 23 ) Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [COM(2001) 257 def., GU C 270 E, pag. 150]. Il corsivo è mio.

( 24 ) V., segnatamente, sentenze Yaesu Europe (C‑433/08, EU:C:2009:750, punto 24); Brain Products (C‑219/11, EU:C:2012:742, punto 13); Koushkaki (C‑84/12, EU:C:2013:862, punto 34), nonché Lanigan (C‑237/15 PPU, EU:C:2015:474, punto 35).

( 25 ) Proposta di direttiva COM(2001) 257 def.

( 26 ) Sentenza Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 84).

( 27 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punti 20, 2132).

( 28 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 27), la quale rimanda ai punti 28 e 30 della sentenza Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639).

( 29 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 29), la quale rimanda ai punti 46 e 47 della sentenza Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639).

( 30 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata).

( 31 ) V., in tal senso, sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 30 e la giurisprudenza ivi citata).

( 32 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 30 e la giurisprudenza ivi citata).

( 33 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 31 e dispositivo).

( 34 ) L’avvocato generale Mengozzi si era parimenti interrogato sulla possibilità che le disposizioni della Carta possano mitigare, o persino ignorare le condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, onde garantire il rispetto della vita familiare sancito all’articolo 7 della Carta (conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Alokpa e Moudoulou, C‑86/12, EU:C:2013:197, paragrafo 34). La sua conclusione era simile alla mia, in quanto egli riteneva che «[u]na siffatta ipotesi sembr[asse] tuttavia difficilmente prospettabile nei limiti in cui condurrebbe ad ignorare i limiti posti dall’articolo 21 TFUE al diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri» (paragrafo 35); l’avvocato generale Mengozzi rimandava, a tal riguardo, ai requisiti imposti dalla direttiva 2004/38.

( 35 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 33).

( 36 ) V. sentenze McCarthy (C‑434/09, EU:C:2011:277, punto 47); Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734, punti 64, 6667); Iida (C‑40/11, EU:C:2012:691, punto 71); Ymeraga e a. (C‑87/12, EU:C:2013:291, punto 36), nonché Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 32). V., parimenti, l’analisi dell’evoluzione di tale giurisprudenza nelle conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nelle cause Rendón Marín e CS (C‑165/14 e C‑304/14, EU:C:2016:75).

( 37 ) V., segnatamente, Nic Shuibhne, N., «(Some of) The Kids Are All Right», C.M.L. Rev., 2012 (49), pag. da 349 a 380, spec. pag. 362; Lenaerts, K., «The concept of EU citizenship in the case law of the European Court of Justice», ERA Forum, 2013, pag. da 569 a 583.

( 38 ) V., in tal senso, sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punti 3435).

( 39 ) Conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:197, paragrafo 52).

( 40 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 34).

( 41 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 35). Il corsivo è mio.

( 42 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 35). Il corsivo è mio.

( 43 ) Sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 35). Il corsivo è mio.

( 44 ) Nella sentenza Dereci e a. (C‑256/11, EU:C:2011:734), la Corte aveva già lasciato al giudice nazionale il compito di determinare se il diniego di accordare un diritto di soggiorno al cittadino di uno Stato terzo non comportasse la privazione del godimento effettivo del nucleo essenziale dei diritti conferiti dallo status di cittadino dell’Unione ai suoi familiari. In risposta a talune critiche formulate da una parte della dottrina a tal riguardo, Koen Lenaerts risponde che la questione se, forzando il sig. Dereci a lasciare l’Austria, i suoi figli sarebbero stati obbligati a seguirlo, è «clearly a factual question» (Lenaerts, K., «The concept of EU citizenship in the case law of the European Court of Justice», ERA Forum, 2013, pag. da 569 a 583, specialmente pag. 575, nota 32). Non posso che approvare tale constatazione.

( 45 ) L’espressione deriva da Anne Rigaux (Rigaux, A., «Regroupement familial», Europe, dicembre 2013, commentario 499).

( 46 ) V., segnatamente, sentenze Grzelczyk (C‑184/99, EU:C:2001:458, punto 31); D’Hoop (C‑224/98, EU:C:2002:432, punto 28); Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 82); Garcia Avello (C‑148/02, EU:C:2003:539, punto 22); Orfanopoulos e Oliveri (C‑482/01 e C‑493/01, EU:C:2004:262, punto 65); Pusa (C‑224/02, EU:C:2004:273, punto 16); Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639, punto 25); Bidar (C‑209/03, EU:C:2005:169, punto 31); Commissione/Austria (C‑147/03, EU:C:2005:427, punto 45); Schempp (C‑403/03, EU:C:2005:446, punto 15); Spagna/Regno Unito (C‑145/04, EU:C:2006:543, punto 74); Commissione/Paesi Bassi (C‑50/06, EU:C:2007:325, punto 32); Huber (C‑524/06, EU:C:2008:724, punto 69); Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104); Prinz e Seeberger (C‑523/11 e C‑585/11, EU:C:2013:524, punto 24), nonché Martens (C‑359/13, EU:C:2015:118, punto 21).

( 47 ) Conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nelle cause Rendón Marín e CS (C‑165/14 e C‑304/14, EU:C:2016:75, paragrafo 117).

( 48 ) A tal riguardo, v. Azoulai, L., «Le sujet des libertés de circuler», in Dubout, É. e Maitrot de la Motte, A., L’unité des libertés de circulation – In varietate concordia?, Bruylant, 2013, pag. da 385 a 411, spec. pag. 408.

( 49 ) L’espressione deriva dall’avvocato generale Szpunar (v. le sue conclusioni nelle cause Rendón Marín e CS, C‑165/14 e C‑304/14, EU:C:2016:75, nota 109).

( 50 ) V. punto 36 delle osservazioni scritte della Commissione.

( 51 ) V., in tal senso, sentenza Alokpa e Moudoulou (C‑86/12, EU:C:2013:645, punto 36 e dispositivo).

( 52 ) Punto 72.

( 53 ) Punto 36 e dispositivo.

( 54 ) V., in tal senso, Carlier, J.-Y., «La libre circulation des personnes dans l’Union européenne», Journal de droit européen, 2014, pag. da 167 a 175, spec. pag. 174. È parimenti questa l’interpretazione sostenuta dall’avvocato generale Sharpston nelle cause O. e a. (C‑456/12 e C‑457/12, EU:C:2013:837). Infatti, secondo l’avvocato generale Sharpston, «è necessario considerare la situazione giuridica attraverso il prisma della Carta se, e solo se, una disposizione di diritto dell’UE impone un obbligo positivo o negativo allo Stato membro (a prescindere dal fatto che tale obbligo discenda dai Trattati o dal diritto derivato dell’UE» (paragrafo 61). Orbene, è esattamente quello che avviene, nella specie, con l’articolo 20 TFUE, in quanto quest’ultimo subordina la possibilità per gli Stati membri di negare un diritto di soggiorno a talune condizioni.

( 55 ) A siffatta conclusione perviene anche l’avvocato generale Szpunar nelle sue conclusioni nelle cause Rendón Marín e CS (C‑165/14 e C‑304/14, EU:C:2016:75, paragrafi 119120), il quale si dice «convinto» del fatto che situazioni che si iscrivono nell’ambito della giurisprudenza avviata dalle sentenze Zhu e Chen (C‑200/02, EU:C:2004:639), Rottmann (C‑135/08, EU:C:2010:104), nonché Ruiz Zambrano (C‑34/09, EU:C:2011:124), rientrino nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Infatti, l’avvocato generale Szpunar prende le mosse dalla constatazione che i cittadini degli Stati membri beneficiano dello status di cittadino dell’Unione. «Pertanto, in quanto cittadini dell’Unione, tali figli hanno il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio dell’Unione, e ogni limitazione a tale diritto rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione» (paragrafo 120).

( 56 ) V., in tal senso, Kochenov, D., «The Right to Have What Rights? EU Citizenship in Need of Clarification», European Law Journal, vol. 19, 2013, pag. da 502 a 516, spec. pag. 511. V. parimenti, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston O. e a. (C‑456/12 e C‑457/12, EU:C:2013:837, paragrafi 6263).

( 57 ) Sentenza Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 73). V., parimenti, sentenza Teixeira (C‑480/08, EU:C:2010:83, punto 39).

( 58 ) V., in tal senso, sentenze Ibrahim e Secretary of State for the Home Department (C‑310/08, EU:C:2010:80, punto 59); Teixeira (C‑480/08, EU:C:2010:83, punto 36), nonché Alarape e Tijani (C‑529/11, EU:C:2013:290, punto 26).

( 59 ) Sentenza Teixeira (C‑480/08, EU:C:2010:83, punto 51). Il corsivo è mio. La Corte rimanda al punto 69 della sentenza Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493).

( 60 ) Sentenza Teixeira (C‑480/08, EU:C:2010:83, punto 52).

( 61 ) Sentenza Teixeira (C‑480/08, EU:C:2010:83, punto 74). Il corsivo è mio.

( 62 ) Sentenza Ibrahim e Secretary of State for the Home Department (C‑310/08, EU:C:2010:80, punto 39). Il corsivo è mio.

( 63 ) Sentenza Baumbast e R (C‑413/99, EU:C:2002:493, punto 73).