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Document 62021CJ0170

Sentenza della Corte (Nona Sezione) del 30 giugno 2022.
Profi Credit Bulgaria contro T.I.T.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Sofiyski rayonen sad.
Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE – Credito al consumo – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Articolo 6, paragrafo 1 – Esame d’ufficio – Diniego di emissione di un’ingiunzione di pagamento in caso di pretesa fondata su una clausola abusiva – Conseguenze relative al carattere abusivo di una clausola contrattuale – Diritto al rimborso – Principi di equivalenza e di effettività – Compensazione d’ufficio.
Causa C-170/21.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2022:518

 SENTENZA DELLA CORTE (Nona Sezione)

30 giugno 2022 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 93/13/CEE – Credito al consumo – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Articolo 6, paragrafo 1 – Esame d’ufficio – Diniego di emissione di un’ingiunzione di pagamento in caso di pretesa fondata su una clausola abusiva – Conseguenze relative al carattere abusivo di una clausola contrattuale – Diritto al rimborso – Principi di equivalenza e di effettività – Compensazione d’ufficio»

Nella causa C‑170/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sofiyski rayonen sad (Tribunale distrettuale di Sofia, Bulgaria), con decisione del 15 marzo 2021, pervenuta in cancelleria il 15 marzo 2021, nel procedimento

Profi Credit Bulgaria EOOD

contro

T.I.T.,

LA CORTE (Nona Sezione),

composta da S. Rodin, presidente di sezione, L.S. Rossi e O. Spineanu-Matei (relatrice), giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per la Profi Credit Bulgaria EOOD, da I. Peneva;

per la Commissione europea, da E. Georgieva e da N. Ruiz García, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Profi Credit Bulgaria EOOD (in prosieguo: la «PCB»), un istituto finanziario di diritto bulgaro, e T.I.T., un consumatore, in merito alla domanda di emissione di un’ingiunzione di pagamento di un debito pecuniario, in esecuzione di un contratto di credito al consumo concluso tra le parti del procedimento principale.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 enuncia quanto segue:

«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».

Diritto bulgaro

Il GPK

4

L’articolo 410 del Grazhdanski protsesualen kodeks (codice di procedura civile; in prosieguo: il «GPK») così dispone:

«1)   Il richiedente può chiedere che sia emanata un’ingiunzione di pagamento:

1. per crediti pecuniari o relativi a beni fungibili, se la relativa domanda è di competenza del Rayonen sad (Tribunale distrettuale);

(...)

3)   Se la pretesa creditoria ha origine da un contratto stipulato con un consumatore, occorre allegare alla domanda il contratto, se formulato per iscritto, con tutti gli allegati e le modifiche ed eventuali pertinenti condizioni generali di contratto».

5

Ai sensi dell’articolo 411 della GPK:

«1)   L’istanza dev’essere presentata dinanzi al Rayonen sad (Tribunale distrettuale) del luogo in cui il debitore ha il proprio indirizzo permanente o la propria sede legale; tale Tribunale procede d’ufficio, entro tre giorni, al controllo della propria competenza territoriale. (...)

2)   Il Tribunale esamina la domanda nel corso di un’udienza concernente aspetti procedurali ed emette un’ordinanza di ingiunzione entro il termine previsto al paragrafo 1, salvo nei casi in cui:

1.

la domanda non soddisfi i requisiti di cui all’articolo 410 [del presente codice] e il richiedente non sani le irregolarità commesse entro tre giorni dalla notifica delle stesse;

2.

la domanda sia contraria alla legge o al buon costume;

3.

la stessa domanda si basa su una clausola abusiva contenuta in un contratto stipulato con un consumatore o la cui esistenza può essere ragionevolmente presunta;

(...)

3)   Se accoglie la domanda, il Tribunale emette un’ordinanza ingiuntiva, una copia della quale è notificata al debitore».

6

Ai sensi dell’articolo 413, paragrafo 2, del GPK, l’ordinanza che respinge in tutto o in parte la domanda di emissione di un’ingiunzione può essere impugnata dal richiedente mediante un ricorso individuale di cui non è richiesta copia per la notificazione.

7

L’articolo 414, paragrafi 1 e 2, del GPK è così formulato:

«1)   Il debitore può presentare opposizione per iscritto contro l’ingiunzione di pagamento o una parte di essa. Tale opposizione non deve essere motivata, salvo nelle ipotesi di cui all’articolo 414a del presente codice.

2)   L’opposizione è proposta entro un mese dalla ricezione dell’ingiunzione; tale termine non è prorogabile».

8

L’articolo 422 del GPK enuncia quanto segue:

«1)   La domanda di accertamento del credito si considera proposta a decorrere dal deposito della domanda di emissione di un’ingiunzione, purché sia stato rispettato il termine di cui all’articolo 415, paragrafo 4, del presente codice.

2)   Salvo nei casi di cui all’articolo 420 del presente codice, la presentazione della domanda di cui al paragrafo 1 non sospende l’esecuzione immediata che è stata autorizzata.

3)   Se tale domanda è respinta con sentenza passata in giudicato, si pone fine all’esecuzione (...)

4)   Non viene adottata una decisione di revoca del provvedimento esecutivo se la domanda è respinta in quanto il credito non era dovuto».

Lo ZZD

9

L’articolo 76 dello zakon za zadalzheniyata i dogovorite (legge sulle obbligazioni e i contratti) (DV n. 275, del 22 novembre 1950), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: lo «ZZD»), prevede quanto segue:

«1)   Colui che è debitore nei confronti della stessa persona di diverse prestazioni della medesima specie può, qualora l’esecuzione non sia sufficiente a estinguere tutti i debiti, dichiarare quali di essi intenda soddisfare. In mancanza di tale dichiarazione, viene estinto il debito più oneroso. In caso di debiti ugualmente onerosi, viene estinto quello più antico e, se tutti hanno avuto origine nello stesso momento, ciascun debito viene estinto proporzionalmente.

2)   Se l’esecuzione non è sufficiente a estinguere gli interessi, le spese e il debito principale, si estinguono anzitutto le spese, poi gli interessi e per ultimo è estinto il debito principale».

Lo ZPK

10

L’articolo 9, paragrafo 1, dello zakon za potrebitelskiya Kredit (legge sul credito al consumo), del 18 febbraio 2010 (DV n. 18, del 5 marzo 2010, pag. 2), nella versione applicabile ai procedimenti principali (in prosieguo: lo «ZPK»), così dispone:

«Il contratto di credito al consumo è un contratto in base al quale il creditore concede o si impegna a concedere al consumatore un credito sotto forma di prestito, dilazione di pagamento o altra analoga facilitazione finanziaria, ad eccezione dei contratti conclusi per la prestazione di servizi o la cessione di beni della stessa natura per un periodo continuo, in base ai quali il consumatore paga il costo di tali servizi o di tali beni, per tutto il tempo in cui essi sono forniti o ceduti, mediante pagamenti rateizzati su tutto tale periodo».

11

L’articolo 10a dello ZPK così recita:

«1)   Il creditore può esigere dal consumatore spese e commissioni per prestazioni aggiuntive connesse con il contratto di credito al consumo.

2)   Il creditore non può esigere il pagamento di spese e commissioni per attività connesse con la messa a disposizione e la gestione del credito.

3)   Il creditore può esigere spese e/o commissioni per la stessa attività solo una tantum.

4)   Nel contratto di credito al consumo devono essere stabiliti in maniera chiara e precisa la tipologia e l’ammontare di spese/o commissioni, nonché l’attività per la quale esse sono richieste».

12

L’articolo 19 dello ZPK così dispone:

«(...)

4)   Il tasso annuo del costo del credito non può eccedere il quintuplo degli interessi di mora al tasso legale in leva bulgari (BGN) e in valuta estera, determinati con decreto del Consiglio dei Ministri della Repubblica di Bulgaria.

5)   Le clausole del contratto che eccedono la soglia stabilita nel paragrafo 4 sono considerate nulle.

6)   In caso di pagamenti eseguiti in base a contratti contenenti clausole dichiarate nulle ai sensi del paragrafo 5, gli importi corrisposti che eccedono la soglia indicata al paragrafo 4 saranno imputati ai successivi pagamenti di rimborso del credito».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

13

La PCB ha depositato presso il giudice del rinvio una domanda di emissione di un’ingiunzione di pagamento ai sensi dell’articolo 410 del GPK nei confronti di T.I.T., cittadino bulgaro (in prosieguo: il «consumatore interessato»), ai fini del pagamento da parte di quest’ultimo di un debito pecuniario, costituito dall’importo capitale, dagli interessi contrattuali, da un importo forfettario remunerativo di servizi supplementari e dagli interessi di mora, in esecuzione di un contratto di credito al consumo stipulato il 29 dicembre 2017 tra le parti nel procedimento principale. Secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, un siffatto procedimento di emissione di un’ingiunzione di pagamento si svolge unilateralmente fino all’emissione di quest’ultima.

14

In esecuzione di tale contratto di credito al consumo, il consumatore interessato aveva pagato, secondo la PCB, undici rate mensili prima di divenire insolvente e di ricevere notifica della dichiarazione di esigibilità anticipata del credito al consumo di cui trattasi.

15

Dopo aver constatato che una clausola di detto contratto di credito al consumo, relativa alla remunerazione per la fornitura di un insieme di servizi aggiuntivi, presentava carattere abusivo, il giudice del rinvio ha ritenuto che la domanda di emissione di un’ingiunzione di pagamento, nella parte relativa al pagamento di tale remunerazione, dovesse essere respinta sulla base dell’articolo 411, paragrafo 2, punto 3, del GPK. Inoltre, tale giudice ha ritenuto che l’importo già pagato dal consumatore interessato dovesse essere destinato, conformemente all’articolo 76, paragrafo 2, dello ZZD, al rimborso degli interessi contrattuali e del capitale, di modo che sarebbero state pagate 17 quote di tali interessi nonché 16 quote intere e una parte della diciassettesima quota di detto capitale.

16

Di conseguenza, con ordinanza del 9 novembre 2020, il giudice del rinvio ha emesso un’ordinanza di ingiunzione di pagamento nei confronti del consumatore interessato, in applicazione dello stesso contratto di credito al consumo, in forza della quale quest’ultimo doveva rimborsare alla PCB una somma ricalcolata da tale giudice, con imputazione d’ufficio dei versamenti già effettuati sull’importo del credito fatto valere dalla PCB.

17

La PCB ha proposto ricorso avverso tale ordinanza dinanzi al Sofyiski gradski sad (Tribunale di Sofia, Bulgaria). Con ordinanza del 16 febbraio 2021, da un lato, tale tribunale ha considerato che, conformemente all’articolo 411, paragrafo 2, punto 3, del GPK, il giudice di primo grado doveva negare l’emissione di un’ingiunzione di pagamento qualora la relativa domanda fosse fondata su una clausola abusiva contenuta in un contratto concluso con un consumatore, circostanza che poteva rilevare d’ufficio e senza necessità di opposizione proposta dal debitore. Nel merito, detto tribunale ha confermato l’esistenza di una clausola abusiva contenuta nel contratto di credito al consumo interessato.

18

Dall’altro lato, il Sofyiski gradski sad (Tribunale di Sofia) ha ritenuto che l’impugnazione proposta fosse fondata per il resto. Esso ha ritenuto, in particolare, che, imputando i pagamenti del consumatore agli interessi e al capitale, conformemente all’articolo 76, paragrafo 2, dello ZZD, il giudice di primo grado avesse ecceduto le proprie competenze in merito all’emissione di un’ingiunzione di pagamento. Il procedimento d’ingiunzione di pagamento fondato sull’articolo 410 del GPK non mirerebbe infatti, conformemente alla giurisprudenza del Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione, Bulgaria), a far accertare l’esistenza del credito di cui trattasi, ma unicamente a verificare se tale credito sia contestato. Il controllo dell’esistenza dell’asserito credito dovrebbe invece essere effettuato mediante un procedimento di accertamento, avviato su domanda del creditore interessato, conformemente all’articolo 422 del GPK nel caso in cui il debitore interessato eserciti il suo diritto di opporsi all’ingiunzione ai sensi dell’articolo 414 del GPK.

19

Il giudice d’appello, di conseguenza, ha parzialmente annullato l’ordinanza del 9 novembre 2020 del giudice del rinvio, confermando soltanto il rigetto della domanda nella parte in cui quest’ultima verteva sul pagamento della remunerazione dell’insieme di servizi supplementari di cui trattasi, in quanto fondata su una clausola considerata abusiva. Esso ha poi disposto l’emissione, a favore della PCB, ai sensi dell’articolo 410 del GPK, di un’ingiunzione di pagamento di tutte le altre somme richieste e ha rinviato la causa al giudice del rinvio, quale giudice di primo grado, per l’emissione di un’ingiunzione di pagamento.

20

Nutrendo dubbi sul modo di procedere, il giudice del rinvio osserva che, se fosse ammesso, in una fattispecie come quella in esame, in cui è stato accertato che il consumatore interessato aveva effettuato rimborsi in forza di una clausola abusiva contenuta in un contratto di credito al consumo, che, al fine di disapplicare tale clausola, il giudice proceda d’ufficio a una compensazione, applicando per analogia una disposizione dello ZPK, ossia l’articolo 19, paragrafo 6, dello ZPK, in combinato disposto con l’articolo 76, paragrafo 2, dello ZPK, tale consumatore non dovrebbe proporre opposizione ai sensi dell’articolo 414 del GPK o avviare un procedimento contenzioso per far valere il suo diritto a compensazione.

21

Occorrerebbe pertanto determinare, nell’ipotesi in cui l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 consenta al giudice nazionale di rifiutare parzialmente l’emissione di un’ingiunzione di pagamento, se, in forza di tale disposizione, detto giudice debba, d’ufficio, trarre tutte le conseguenze dal carattere abusivo della clausola di cui trattasi e procedere a una compensazione d’ufficio o se, al contrario, debba conformarsi alla giurisprudenza di un giudice di grado superiore che, nonostante l’accertamento della presenza nel contratto di credito al consumo interessato di una clausola abusiva, disponga l’emissione di un’ingiunzione di pagamento, e respinga la domanda di emissione di tale ingiunzione solo riguardo alle somme richieste sulla base di tale clausola abusiva, senza possibilità di compensazione. Il giudice del rinvio precisa, a tal riguardo, di sollevare tale questione nel contesto della fornitura di mezzi efficaci di tutela dei consumatori, in quanto, in forza del diritto bulgaro, la compensazione dei crediti da parte del giudice è ammissibile solo qualora sia esercitata in quanto diritto soggettivo. Quest’ultima potrebbe invece essere disposta d’ufficio solo a titolo di eccezione, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 6, dello ZPK.

22

Ciò premesso, il Sofiyski rayonen sad (Tribunale distrettuale di Sofia, Bulgaria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che, in procedimenti nei quali il debitore non è coinvolto fino al momento dell’emanazione di un’ingiunzione di pagamento da parte dell’autorità giurisdizionale, il giudice sia tenuto a verificare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale e, nel caso la ritenga tale, a disapplicarla.

2)

In caso di risposta affermativa alla prima questione: se il giudice nazionale sia tenuto a rifiutare in toto l’emanazione di una decisione giurisdizionale di ingiunzione di pagamento, qualora il titolo del beneficiario si basi in parte su una clausola contrattuale abusiva che concorre a determinare l’entità del diritto rivendicato.

3)

In caso di risposta affermativa alla prima questione e di risposta negativa alla seconda [questione]: se il giudice nazionale sia tenuto a rifiutare l’emanazione di una decisione giurisdizionale di ingiunzione di pagamento per la parte in cui il titolo del beneficiario si basa sulla clausola contrattuale abusiva.

4)

In caso di risposta affermativa alla terza questione: se il giudice nazionale sia tenuto – e, in caso affermativo, a quali condizioni – a tenere conto d’ufficio delle conseguenze del carattere abusivo di una clausola, qualora siano disponibili informazioni di un pagamento basato sulla stessa, provvedendo, tra l’altro, a compensare tale pagamento con altri debiti insoluti derivanti dal contratto.

5)

In caso di risposta affermativa alla quarta questione: se il giudice nazionale sia vincolato alle disposizioni di un giudice di grado superiore, alle quali, cui quale organo giurisdizionale sottoposto a controllo, deve attenersi ai sensi della legislazione nazionale, allorché tali disposizioni non tengono conto delle conseguenze del carattere abusivo di una clausola».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla ricevibilità

23

In primo luogo, la PCB mette in dubbio la ricevibilità della prima questione in quanto la Corte ha dichiarato, nella sentenza del 13 settembre 2018, Profi Credit Polska (C‑176/17, EU:C:2018:711), che una tutela effettiva dei diritti conferiti al consumatore dalla direttiva 93/13 può essere garantita solo a condizione che il sistema processuale nazionale interessato consenta, in particolare, nell’ambito del procedimento d’ingiunzione di pagamento, un controllo d’ufficio della potenziale natura abusiva delle clausole contenute nel contratto di cui trattasi concluso con un consumatore.

24

A tale riguardo, occorre ricordare, da un lato, che, anche in presenza di una giurisprudenza della Corte che permetta di risolvere il punto di diritto considerato, i giudici nazionali mantengono la completa libertà di adire la Corte qualora lo ritengano opportuno, senza che il fatto che le disposizioni di cui si chiede l’interpretazione siano già state interpretate dalla Corte abbia l’effetto di ostacolare una nuova pronuncia da parte della stessa (sentenza del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth, C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871, punto 21 e giurisprudenza ivi citata).

25

In secondo luogo, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita all’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolarità del caso, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria decisione, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché la questione sollevata riguardi l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (sentenza del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth, C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871, punto 23 e giurisprudenza ivi citata).

26

In secondo luogo, per quanto riguarda l’affermazione della PCB secondo cui il giudice del rinvio non ha constatato un’incompatibilità del diritto bulgaro con l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 di cui si chiede l’interpretazione, ma intende far interpretare disposizioni di tale diritto, occorre rilevare che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che tale giudice si interroga sull’interpretazione di tale disposizione al fine di stabilire se esso debba disapplicare, in forza del principio del primato del diritto dell’Unione, una normativa nazionale come interpretata da un giudice superiore la cui giurisprudenza è per esso vincolante.

27

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve concludere che la domanda di pronuncia pregiudiziale, compresa la prima questione, è ricevibile.

Nel merito

Sulle questioni prima, seconda e terza

28

Con le sue questioni dalla prima alla terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che il giudice nazionale, investito di una domanda di emissione di un’ingiunzione di pagamento, laddove il debitore consumatore non prende parte al procedimento fino all’emissione di tale ingiunzione di pagamento, è tenuto a disapplicare d’ufficio una clausola abusiva del contratto di credito al consumo concluso tra tale consumatore e il professionista interessato, sulla quale è fondata una parte della pretesa creditoria fatta valere, e se in tale ipotesi il giudice possa respingere soltanto in parte tale domanda.

29

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive.

30

Tale disposizione imperativa mira a sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina fra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime (sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

31

A tale scopo, in primo luogo, spetta al giudice nazionale, alle condizioni stabilite dal suo diritto, valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 ed escluderne l’applicazione affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore interessato, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

32

Al riguardo, occorre ricordare che il giudice nazionale può sì ovviare, in tal modo, allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista, ma a condizione che egli disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2018, Profi Credit Polska, C‑176/17, EU:C:2018:711, punto 42 e giurisprudenza citata). Ne consegue che, se del caso, il giudice nazionale dovrà adottare, in mancanza di opposizione da parte del consumatore interessato e se necessario d’ufficio, misure istruttorie necessarie per completare il fascicolo, chiedendo alle parti, nel rispetto del principio del contraddittorio, di fornirgli informazioni aggiuntive a tale scopo (v., in tal senso, ordinanza del 26 novembre 2020, DSK Bank e FrontEx International, C‑807/19, EU:C:2020:967, punti 5254 e giurisprudenza ivi citata).

33

Tali motivi valgono anche in riferimento a un procedimento di ingiunzione di pagamento (v., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2018, Profi Credit Polska, C‑176/17, EU:C:2018:711, punto 43 e giurisprudenza ivi citata)

34

In secondo luogo, secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 non esige che il giudice nazionale disapplichi oltre alla clausola del contratto dichiarata abusiva, anche le clausole che non sono state qualificate come tali (sentenza del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

35

Infatti, l’obiettivo perseguito da tale disposizione, e in particolare la sua seconda parte di frase, consiste non nell’annullare tutti i contratti contenenti clausole abusive, bensì nel ristabilire l’equilibrio tra le parti escludendo l’applicazione delle clausole considerate abusive, pur mantenendo, in linea di principio, la validità delle altre clausole del contratto di cui trattasi. Tale contratto deve, in linea di principio, sussistere senz’altra modifica oltre a quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive. Pertanto, detto contratto può essere mantenuto a condizione che, conformemente alle norme del diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto senza le clausole abusive sia giuridicamente possibile (v. in tal senso, sentenze del 7 agosto 2018, Banco Santander e Escobedo Cortés, C‑96/16 e C‑94/17, EU:C:2018:643, punto 75, e del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punto 83 e giurisprudenza citata).

36

In tale contesto, la Corte ha inoltre dichiarato che detta disposizione osta a una norma di diritto nazionale che consente al giudice nazionale di integrare il contratto interessato rivedendo il contenuto di una clausola di cui ha constatato il carattere abusivo (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

37

Risulta dagli elementi che precedono, che il giudice nazionale investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento fondata su un contratto di credito al consumo contenente una clausola abusiva potrà accogliere tale domanda, disapplicando tale clausola, a condizione che tale contratto possa sussistere senza nessun’altra modifica o revisione o integrazione, circostanza che spetta a tale giudice verificare. In tale ipotesi, detto giudice deve poter respingere detta domanda limitatamente alla parte delle pretese derivanti da detta clausola, se queste ultime possono essere distinte dal resto della domanda.

38

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni dalla prima alla terza dichiarando che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale, investito di una domanda di emissione di un’ingiunzione di pagamento, laddove il debitore consumatore non partecipa al procedimento fino all’emissione di tale ingiunzione di pagamento, è tenuto disapplicare d’ufficio una clausola abusiva del contratto di credito al consumo, concluso tra tale consumatore e il professionista interessato, su cui una parte del credito fatto valere è fondata. In tale ipotesi, il giudice dispone della facoltà di respingere parzialmente detta domanda, a condizione che il contratto possa sussistere senza nessun’altra modifica o revisione o integrazione, circostanza che spetta a detto giudice verificare.

Sulla quarta questione

39

Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che obbliga il giudice nazionale, investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento, a trarre d’ufficio le conseguenze del carattere abusivo di una clausola di un contratto di credito al consumo qualora quest’ultima abbia dato luogo a un pagamento, cosicché esso sarebbe tenuto a procedere a una compensazione d’ufficio tra tale pagamento e il saldo dovuto in forza di tale contratto.

40

A tal riguardo, il giudice del rinvio afferma che, se tale obbligo si impone al giudice nazionale, in forza dell’articolo 6 di tale direttiva, il consumatore interessato non dovrebbe più avviare un procedimento distinto per far valere il suo diritto alla compensazione.

41

Secondo una giurisprudenza costante, il giudice nazionale deve, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, trarre tutte le conseguenze che, secondo il diritto nazionale, derivano dall’accertamento del carattere abusivo di una clausola al fine di assicurarsi che il consumatore interessato non sia vincolato da quest’ultima (sentenza del 30 maggio 2013, Asbeek Brusse e de Man Garabito, C‑488/11, EU:C:2013:341, punto 49 e giurisprudenza ivi citata). Un obbligo del genere implica, come ricordato al punto 31 della presente sentenza, che spetta a tale giudice disapplicare la clausola considerata abusiva affinché non produca effetti vincolanti nei confronti di tale consumatore.

42

Dal momento che una siffatta clausola deve essere considerata, in linea di principio, come mai esistita, cosicché non può produrre effetti nei confronti di tale consumatore, l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare una clausola contrattuale abusiva che imponga il pagamento di una somma comporta, in linea di principio, un corrispondente effetto restitutorio per quanto riguarda tale somma (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punti 6162).

43

In tale contesto, la Corte ha considerato che spetta agli Stati membri, per mezzo della loro legislazione nazionale, definire le modalità per dichiarare il carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto, nonché le modalità con cui si realizzano i concreti effetti giuridici di tale dichiarazione. Tuttavia, tale constatazione deve consentire di ripristinare la situazione in diritto e in fatto che sarebbe stata quella del consumatore interessato se tale clausola abusiva non fosse esistita, fondando, in particolare, un diritto alla restituzione dei benefici che il professionista ha indebitamente acquisito a discapito del consumatore avvalendosi di tale clausola abusiva. Infatti, una siffatta disciplina da parte del legislatore nazionale della tutela garantita dalla direttiva 93/13 ai consumatori non può pregiudicare la sostanza di tale tutela (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punti 6566).

44

Sebbene gli Stati membri siano quindi tenuti, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, a prevedere nel loro diritto nazionale modalità procedurali che consentano di garantire il rispetto di detto diritto al rimborso, da ciò non deriva, per contro, un obbligo di attuare lo stesso diritto mediante compensazione d’ufficio da parte del giudice nazionale, benché quest’ultimo sia tenuto a disapplicare la clausola abusiva.

45

Ne consegue che una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in forza della quale il giudice investito di una domanda di emissione di un’ingiunzione di pagamento è tenuto a respingere tale domanda nella misura in cui quest’ultima è fondata su una clausola abusiva, ma non è autorizzato a procedere a una compensazione d’ufficio tra i pagamenti effettuati sulla base di tale clausola e il saldo dovuto, e che ha come conseguenza che il debitore, che non partecipa al procedimento d’ingiunzione di pagamento, è tenuto ad avviare un procedimento distinto per l’esercizio del suo diritto al rimborso integrale, non è, in linea di principio, in contrasto con l’articolo 6 della direttiva 93/13.

46

Tuttavia, secondo costante giurisprudenza, le modalità di salvaguardia dei diritti derivanti dal diritto dell’Unione, che gli Stati membri stabiliscono in forza del principio dell’autonomia procedurale, devono soddisfare la duplice condizione di non essere meno favorevoli di quelle che riguardano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza) e di non rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti ai consumatori dal diritto dell’Unione (principio di effettività) (v., in tal senso, sentenza del 18 febbraio 2016, Finanmadrid EFC, C‑49/14, EU:C:2016:98, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

47

In primo luogo, per quanto riguarda il principio di equivalenza, si deve osservare che, secondo lo stato del diritto interno descritto nella domanda di pronuncia pregiudiziale, l’articolo 19, paragrafo 6, dello ZPK prevede una compensazione d’ufficio quando una clausola è nulla in forza dell’articolo 19, paragrafo 5, dello ZPK, per quanto riguarda i pagamenti effettuati in base a una clausola che prevede un tasso eccedente il massimale del tasso annuo del costo del credito, definito all’articolo 19, paragrafo 4, di quest’ultimo. Secondo il giudice del rinvio, l’applicazione per analogia di tale articolo 19, paragrafo 6, in combinato disposto con l’articolo 76 dello ZZD, consentirebbe, nell’ambito di un procedimento di emissione di un’ingiunzione di pagamento fondata parzialmente su una clausola abusiva, di procedere anche a una compensazione d’ufficio, segnatamente, per quanto riguarda i pagamenti effettuati sulla base di tale clausola, cosicché il consumatore interessato non dovrebbe più avviare un procedimento distinto per ottenere il rimborso degli importi indebitamente pagati. Tuttavia, dal momento che, rispondendo ad una richiesta di informazioni formulata dalla Corte a tal riguardo, il giudice del rinvio ha affermato, da un lato, che esisteva una giurisprudenza contraddittoria riguardo alle condizioni in cui il giudice nazionale è tenuto, nell’ambito di un procedimento d’ingiunzione, a effettuare la compensazione d’ufficio in caso di constatazione di una clausola abusiva come quella prevista all’articolo 19, paragrafo 6, dello ZPK e, dall’altro, che esisteva una giurisprudenza divergente riguardo alla legittimità dell’applicazione per analogia di tale disposizione al fine di provvedere a una compensazione d’ufficio in casi che non danno luogo unicamente all’applicazione dell’articolo 19, paragrafo 4, dello ZPK, la Corte non dispone di elementi sufficienti per valutare il rispetto del principio di equivalenza. Spetterà pertanto al giudice nazionale, che è l’unico a poter avere una conoscenza diretta delle modalità procedurali del diritto al rimborso nel proprio ordinamento giuridico interno, verificare il rispetto di tale principio, prendendo in considerazione l’oggetto, la causa e gli elementi essenziali di tali modalità procedurali.

48

In secondo luogo, per quanto riguarda il principio di effettività, non risulta dalle informazioni comunicate dal giudice del rinvio, e, in particolare, da quelle vertenti sull’interpretazione giurisprudenziale dell’articolo 410 del GPK – in forza della quale il controllo dell’esistenza del credito di cui trattasi esula dalla competenza del giudice nell’ambito del procedimento d’ingiunzione di pagamento e obbliga di conseguenza il consumatore interessato, per esercitare il suo diritto al rimborso integrale derivante dall’articolo 6 della direttiva 93/13, ad avviare un procedimento distinto – che tale articolo renda impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di tale diritto, anche se tale obbligo richiede un comportamento attivo da parte del debitore interessato e lo svolgimento di un procedimento in contraddittorio. Non risulta pertanto che dette modalità procedurali rendano, di per sé, impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio del diritto al rimborso conferito dal diritto dell’Unione, circostanza che spetterà tuttavia al giudice del rinvio verificare. Al riguardo, occorre inoltre ricordare che il rispetto del principio di effettività non può giungere al punto di supplire integralmente alla completa passività del consumatore interessato (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2014, Kušionová, C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 56).

49

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quarta questione che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, benché tale disposizione obblighi il giudice nazionale, investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento, a trarre tutte le conseguenze che secondo il diritto nazionale derivano dall’accertamento del carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto di credito al consumo concluso tra un consumatore e un professionista, al fine di assicurarsi che tale consumatore non sia vincolato da tale clausola, essa non obbliga, in linea di principio, tale giudice a procedere alla compensazione d’ufficio tra il pagamento effettuato in base a detta clausola e il saldo dovuto ai sensi di tale contratto, fatto salvo tuttavia il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

Sulla quinta questione

50

In via preliminare, occorre rilevare che il giudice del rinvio ha sollevato la quinta questione nell’ipotesi di una risposta affermativa alla quarta questione.

51

Pertanto, con la quinta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, nell’ipotesi in cui, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, letto alla luce dei principi di equivalenza e di effettività, il giudice nazionale, investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento, sia obbligato a procedere a una compensazione d’ufficio tra il pagamento effettuato sulla base di una clausola abusiva contenuta in un contratto di credito al consumo e il saldo dovuto in forza di tale contratto, tale disposizione debba essere interpretata nel senso che tale giudice sarebbe tenuto a disapplicare la giurisprudenza di un organo giurisdizionale di grado superiore che vieta tale compensazione.

52

A tal riguardo, è giocoforza constatare che dalla giurisprudenza della Corte risulta che spetta a tale giudice, alla luce del principio del primato del diritto dell’Unione, disapplicare la giurisprudenza di un organo giurisdizionale di grado superiore, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che gli vieta di procedere a una compensazione d’ufficio, nell’ambito di un’ingiunzione di pagamento, tra gli importi pagati dal debitore interessato sulla base di clausole considerate abusive e il saldo dovuto in forza del contratto di credito al consumo di cui trattasi, se, nella stessa ipotesi, tale giurisprudenza non sarebbe compatibile con il diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punto 74).

53

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui, in forza di tale disposizione, letta alla luce dei principi di equivalenza e di effettività, il giudice nazionale, investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento, sia obbligato a procedere a una compensazione d’ufficio tra il pagamento effettuato sulla base di una clausola abusiva contenuta in un contratto di credito al consumo e il saldo dovuto in forza di tale contratto, detto giudice è tenuto a disapplicare la giurisprudenza in senso contrario di un organo giurisdizionale superiore.

Sulle spese

54

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale, investito di una domanda di emissione di un’ingiunzione di pagamento, laddove il debitore consumatore non partecipa al procedimento fino all’emissione di tale ingiunzione di pagamento, è tenuto a disapplicare d’ufficio una clausola abusiva del contratto di credito al consumo, stipulato tra tale consumatore e il professionista interessato, su cui una parte del credito fatto valere è fondata. In tale ipotesi, il giudice dispone della facoltà di respingere parzialmente detta domanda, a condizione che il contratto possa sussistere senza nessun’altra modifica o revisione o integrazione, circostanza che spetta a detto giudice verificare.

 

2)

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, benché tale disposizione obblighi il giudice nazionale, investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento, a trarre tutte le conseguenze che secondo il diritto nazionale derivano dall’accertamento del carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto di credito al consumo concluso tra un consumatore e un professionista, al fine di assicurarsi che tale consumatore non sia vincolato da tale clausola, essa non obbliga, in linea di principio, tale giudice a procedere alla compensazione d’ufficio tra il pagamento effettuato sulla base di tale clausola e il saldo dovuto ai sensi di tale contratto, fatto salvo tuttavia il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

 

3)

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, nell’ipotesi in cui, in forza di tale disposizione, letta alla luce dei principi di equivalenza e di effettività, il giudice nazionale, investito di una domanda d’ingiunzione di pagamento, sia obbligato a procedere a una compensazione d’ufficio tra il pagamento effettuato sulla base di una clausola abusiva contenuta in un contratto di credito al consumo e il saldo dovuto in forza di tale contratto, detto giudice è tenuto a disapplicare la giurisprudenza in senso contrario di un organo giurisdizionale superiore.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il bulgaro.

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