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Document 52014DC0472
COMMUNICATION FROM THE COMMISSION TO THE EUROPEAN PARLIAMENT, THE COUNCIL, THE EUROPEAN ECONOMIC AND SOCIAL COMMITTEE AND THE COMMITTEE OF THE REGIONS Tackling unfair trading practices in the business-to-business food supply chain
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese
/* COM/2014/0472 final */
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI Affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese /* COM/2014/0472 final */
Affrontare le pratiche commerciali
sleali nella filiera alimentare tra imprese
1.
Introduzione
La filiera
alimentare consente la fornitura al pubblico di prodotti alimentari e di
bevande per il consumo dei singoli o delle famiglie. Essa incide ogni giorno sulla
vita dei consumatori dell’UE e assorbe una parte considerevole del bilancio
medio delle famiglie[1].
Prima che un prodotto raggiunga i consumatori, un certo numero di operatori
(produttori, trasformatori, dettaglianti, ecc.) contribuisce ad accrescerne il
valore, incidendo in tal modo sul prezzo finale pagato dal consumatore. Al
riguardo, il mercato unico ha apportato importanti benefici agli operatori
della filiera alimentare. I fornitori e i dettaglianti, sia di grandi che di
piccole dimensioni, hanno ora maggiori opportunità di mercato e hanno accesso
ad una clientela più vasta. Gli scambi transfrontalieri tra gli Stati membri
dell’UE rappresentano attualmente circa il 20% della produzione di generi
alimentari e di bevande nell’UE, e almeno il 70% del totale delle esportazioni
di prodotti agroalimentari degli Stati membri è destinato ad altri Stati membri[2].
Pertanto il buon funzionamento e l’efficienza della filiera alimentare in tutta
l’UE possono dare un significativo contributo al mercato unico. Tuttavia negli
ultimi decenni taluni sviluppi, quali la concentrazione e l’integrazione
verticale crescenti dei partecipanti al mercato in tutta l’UE, hanno
determinato cambiamenti strutturali della filiera alimentare. Questi sviluppi
hanno contribuito a creare una situazione caratterizzata da livelli molto
diversi di potere contrattuale e da squilibri economici nei rapporti
commerciali individuali tra gli operatori della filiera. Le differenze di
potere contrattuale sono comuni e legittime nei rapporti commerciali, ma il
loro abuso può portare a volte a pratiche commerciali sleali[3]. Le
pratiche commerciali sleali possono essere definite in termini generali come
pratiche che si discostano ampiamente dalla buona condotta commerciale, sono in
contrasto con la buona fede e la correttezza e sono imposte unilateralmente da
un partner commerciale all’altro partner. La presente
comunicazione non prevede un’azione normativa a livello UE e non prescrive un’unica
soluzione per affrontare il problema delle pratiche commerciali sleali, bensì
incoraggia le parti interessate e gli Stati membri a combattere tali pratiche in
maniera opportuna e proporzionata, tenendo conto delle circostanze nazionali e
delle migliori pratiche. Essa incoraggia gli operatori della filiera alimentare
europea ad aderire a regimi volontari al fine di promuovere le migliori
pratiche e di ridurre le pratiche commerciali sleali, sottolineando altresì l’importanza
di mezzi di ricorso efficaci. La Commissione intende continuare a lavorare in
stretta collaborazione con gli Stati membri e le parti interessate. Tutti i
soggetti coinvolti dovranno fare la loro parte per contribuire a eliminare le
pratiche commerciali sleali.
2.
Contesto
Benché sia
difficile valutarne la reale portata e frequenza, il problema delle pratiche
commerciali sleali è stato riconosciuto da tutte le parti interessate della
filiera alimentare. Diverse indagini rivelano che le pratiche commerciali
sleali sono relativamente diffuse, almeno in alcuni settori della filiera. Ad
esempio, in un’indagine condotta su scala europea tra i fornitori della filiera
alimentare, il 96% dei partecipanti ha dichiarato di aver già subito almeno una
forma di pratica commerciale sleale[4]. Anche a livello nazionale sono state
condotte alcune indagini. In una relazione dell’autorità spagnola garante della
concorrenza sui rapporti tra produttori e dettaglianti del settore alimentare,
il 56% degli intervistati ha affermato che si riscontrano frequentemente o
occasionalmente modifiche retroattive delle clausole contrattuali[5].
Un’indagine condotta dall’autorità italiana garante della concorrenza rivela
che il 57% dei produttori accetta spesso o sempre modifiche retroattive
unilaterali per timore di ritorsioni commerciali nel caso in cui rifiuti di
apportare le modifiche[6]. Le pratiche
commerciali sleali possono avere effetti dannosi, in particolare sulle PMI
operanti nella filiera alimentare[7].
Possono incidere sulla capacità delle PMI di sopravvivere sul mercato, di
realizzare nuovi investimenti finanziari in prodotti e tecnologie e di
sviluppare attività transfrontaliere nel mercato unico. L’effetto complessivo
delle pratiche commerciali sleali sul mercato è difficile da quantificare con
precisione, ma l’effetto negativo diretto sulle parti vittime di tali pratiche
è indubbio. Nell’indagine su scala europea di cui sopra, l’83% degli
intervistati che ritiene di aver subito pratiche commerciali sleali ha dichiarato
che esse hanno aumentato i costi e il 77% che esse hanno ridotto i profitti.
Inoltre, tali pratiche possono anche avere effetti negativi indiretti lungo la
filiera, in particolare in quanto scoraggiano le PMI dall’avviare rapporti
commerciali per paura di vedersi imporre pratiche commerciali sleali. La nuova
politica agricola comune (PAC)[8]
e la nuova politica comune della pesca (PCP)[9]
rafforzano la posizione dei produttori nella filiera nei confronti degli
operatori a valle, in particolare sostenendo la creazione e lo sviluppo delle
organizzazioni di produttori. La nuova organizzazione comune di mercato unica
comprende anche elementi volti a ridurre gli squilibri di potere contrattuale
tra gli agricoltori e gli altri operatori della filiera alimentare in alcuni
settori specifici (latte, olio di oliva, carni bovine, seminativi). Le nuove
norme offrono agli Stati membri anche la possibilità di imporre l’obbligo del
contratto scritto in altri settori agricoli, fatte salve garanzie per impedire
che tali disposizioni ostacolino il corretto funzionamento del mercato interno.
La riforma della PAC, in particolare mediante la nuova organizzazione comune di
mercato unica, prevede elementi che mirano a ridurre l’insorgenza di squilibri
di potere contrattuale tra gli agricoltori e le altre parti della filiera
alimentare. Diversi Stati
membri hanno disciplinato le pratiche commerciali sleali a livello nazionale
utilizzando molti approcci diversi, a volte normativi e a volte basati su
piattaforme di autoregolamentazione degli operatori del mercato. Laddove le
norme esistono, differiscono in termini di livello, natura e forma giuridica
della protezione accordata contro le pratiche commerciali sleali. La presenza e la
dannosità delle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare sono state
riconosciute anche dagli attori del Forum di alto livello per un migliore
funzionamento della filiera alimentare, istituito dalla Commissione nel 2010[10].
Riconoscendo la necessità di affrontare la questione a livello europeo, i
portatori di interesse hanno istituito un quadro di autoregolamentazione, la Supply
Chain Initiative, che la Commissione ha accolto con favore e che dopo nove
mesi registra un buon livello di adesione tra le imprese manifatturiere, le
imprese operanti nel commercio all’ingrosso e nel commercio al dettaglio,
nonché tra alcune PMI. Non tutti i soggetti interessati hanno aderito a questa
iniziativa a livello dell’UE, in particolare gli agricoltori e le imprese del
settore della trasformazione delle carni. Gli agricoltori sono rappresentati
nelle piattaforme nazionali in alcuni Stati membri[11],
mentre all’iniziativa a livello UE hanno aderito finora solo quattro
associazioni agricole. Inoltre, l’iniziativa vincola solo le imprese che
decidono di aderirvi. Il risultato è
che oggi esistono ancora notevoli divergenze nel modo in cui sono affrontate
nell’UE le questioni relative alle pratiche commerciali sleali nella filiera
alimentare. I benefici
potenziali della riduzione delle pratiche commerciali sleali potrebbero essere
considerevoli, in particolare per le PMI e le microimprese, che più delle
grandi imprese sono esposte alle pratiche commerciali sleali e ai loro effetti.
Va inoltre osservato che le pratiche commerciali sleali applicate nell’UE
potrebbero avere effetti diretti o indiretti sui produttori e sulle imprese con
sede nei paesi terzi, compresi i paesi in via di sviluppo. In tale contesto
la presente comunicazione intende favorire rapporti commerciali corretti e
duraturi e condizioni di parità tra gli operatori della filiera alimentare,
contribuendo a ridurre gli effetti dannosi e i possibili ostacoli
transfrontalieri causati dalle pratiche commerciali sleali, in particolare per
le PMI.
3.
Problemi causati dalle pratiche commerciali sleali
Oltre alla
Commissione europea, anche il Parlamento europeo ha espresso preoccupazione per
le possibili ripercussioni delle pratiche commerciali sleali a livello dell’UE.
Nel gennaio 2012 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione[12]
che ha messo in evidenza la dimensione europea degli squilibri nella filiera
alimentare che possono dar luogo a pratiche sleali. La risoluzione ha individuato
un elenco di pratiche commerciali sleali specifiche per le quali sono state
chieste una regolamentazione, una vigilanza e sanzioni specifiche. Per una migliore
comprensione della questione nel gennaio 2013 la Commissione ha pubblicato un
Libro verde sulle pratiche commerciali sleali con l’intento di raccogliere il
parere dei portatori di interesse sulla presenza di pratiche commerciali sleali
nella filiera alimentare e non alimentare[13]
e di individuare i possibili modi per affrontarle. I risultati della consultazione
pubblica che ne è seguita hanno fornito indicazioni importanti, che si
illustrano di seguito. 1.
In linea di principio le pratiche
commerciali sleali possono essere presenti in qualsiasi settore, tuttavia le
risposte dei portatori di interesse al Libro verde indicano che nella filiera
alimentare esse sono particolarmente problematiche. 2.
Le principali categorie di pratiche
commerciali sleali individuate nel Libro verde e confermate da alcuni portatori
di interesse possono essere descritte come segue: - l’abuso retroattivo
da parte del partner commerciale di condizioni contrattuali non precise,
ambigue o incomplete; - il trasferimento
eccessivo e imprevedibile da parte del partner di costi o rischi sulla
controparte; - l’uso da parte del
partner commerciale di informazioni riservate; - la cessazione o l’interruzione
non giustificate del rapporto commerciale. 3.
Tra le prassi problematiche sono state
indicate anche le restrizioni territoriali dell’offerta. Si tratta di
restrizioni imposte talvolta da fornitori multinazionali ai dettaglianti, che
impediscono a questi ultimi di rifornirsi di merci identiche all’estero o da
una sede centrale. Tuttavia le restrizioni territoriali sono di natura diversa
rispetto alle categorie di pratiche commerciali sleali indicate in precedenza,
e pertanto la Commissione le esaminerà separatamente. 4.
Gli effetti diretti delle summenzionate
pratiche commerciali sleali, in particolare quando sono applicate in maniera
imprevedibile, possono comportare costi ingiustificati o generare profitti
inferiori alle attese per il partner commerciale nella posizione negoziale più
debole. Modifiche imprevedibili delle clausole contrattuali potrebbero anche
comportare una sovrapproduzione e tradursi in inutili sprechi alimentari. Il
fatto di essere vittima di pratiche commerciali sleali, o anche la prospettiva
di esserlo nel futuro, può incidere sulla capacità o sulla disponibilità del
partner commerciale più debole a finanziare investimenti. Attualmente la
Commissione sta conducendo anche uno studio sulla scelta e sull’innovazione nel
settore del commercio al dettaglio, che dovrebbe consentire di chiarirne l’evoluzione
e le determinanti a livello del mercato nel suo complesso. Inoltre, a causa
della diversità dei quadri regolamentari nazionali in materia di pratiche
commerciali sleali, le PMI devono affrontare, dato che dispongono di risorse
giuridiche limitate, situazioni complesse per quanto riguarda le pratiche
commerciali sleali e i possibili rimedi. Le incertezze che ne risultano possono
dissuadere alcune imprese, in particolare le PMI, dall’entrare in nuovi mercati
geografici o anche dall’operare a livello transfrontaliero. Questi fattori sono emersi da un’indagine
condotta su scala europea tra gli agricoltori e i produttori primari del mercato
agroalimentare. Il 46% degli intervistati ha affermato che le pratiche
commerciali sleali hanno un effetto negativo sull’accesso a nuovi mercati o ad
attività transfrontaliere[14].
4.
Un panorama diversificato di misure contro le
pratiche commerciali sleali nell’UE
4.1.
Approccio frammentato alle pratiche commerciali
sleali
In qualche
misura il vigente quadro normativo a livello UE contiene alcune norme miranti
ad affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare o al di
là di essa. Gli strumenti esistenti, quali la summenzionata riforma della PAC,
il diritto della concorrenza, la disciplina sulle pratiche commerciali[15], le
clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori[16], la
proposta di direttiva sui segreti commerciali[17]
e altre normative intersettoriali possono essere utili per affrontare le
pratiche commerciali sleali in alcune situazioni, ma nella maggior parte dei
casi non si applicano alle pratiche commerciali sleali specifiche descritte
sopra. La proposta di regolamento relativo a un diritto comune europeo della
vendita[18]
vieta talune clausole abusive nei contratti tra imprese, il che crea un’utile
chiarezza nei rapporti a lungo termine. Tuttavia, l’applicazione della norma,
una volta adottata dai colegislatori, dipenderà da un accordo bilaterale tra le
parti commerciali interessate. Molte sono le
differenze nel modo in cui le pratiche commerciali sleali sono disciplinate a
livello nazionale. Alcuni Stati membri hanno adottato misure regolamentari,
mentre altri hanno optato per approcci basati sull’autoregolamentazione o non
hanno intrapreso azioni specifiche contro le pratiche commerciali sleali nelle
catene di fornitura, limitandosi invece a enunciare principi generali. Gli
Stati membri che hanno cercato di affrontare specificamente le pratiche
commerciali sleali nella normativa nazionale hanno messo in atto specifiche
disposizioni in materia di rapporti tra imprese, hanno integrato la normativa
nazionale in materia di concorrenza o hanno esteso l’applicazione della
direttiva sulle pratiche commerciali sleali[19]
ai rapporti tra imprese. Alcuni Stati membri che avevano inizialmente
affrontato le pratiche commerciali sleali con iniziative volontarie, hanno
successivamente deciso di affrontare tali pratiche attraverso strumenti
normativi. A causa della
diversità degli approcci, la portata e il tipo di protezione concessa contro le
pratiche commerciali sleali nonché i potenziali meccanismi messi in atto per il
controllo del rispetto delle norme dipendono dal paese in cui ha sede l’impresa
che dispone di un forte potere contrattuale e che applica pratiche commerciali
sleali. Ciò potrebbe risultare problematico con l’aumento delle forniture da
diversi paesi. Inoltre, nelle loro risposte alla consultazione sul Libro verde
le autorità pubbliche hanno riferito di casi isolati di “shopping del foro”,
ossia la pratica secondo cui la parte contraente più forte decide
unilateralmente lo Stato membro, e quindi il quadro normativo, del contratto
per evitare i quadri nazionali che prevedono misure più severe contro le
pratiche commerciali sleali. La questione è stata esplicitamente sollevata da 5
Stati membri nel corso della consultazione pubblica e nelle discussioni in vari
forum di portatori di interesse organizzati dalla Commissione.
4.2.
Controllo del rispetto delle norme
Tutte le parti
vittime di pratiche commerciali sleali possono in linea di principio impugnare
le clausole contrattuali abusive dinanzi al giudice invocando le norme generali
di diritto civile. Tuttavia alcune parti interessate, in particolare le PMI,
hanno fatto osservare che spesso i procedimenti giudiziari non sono in pratica
uno strumento efficace per affrontare le pratiche commerciali sleali. In primo
luogo, la controversia è generalmente costosa e di lunga durata. In secondo
luogo, e forse cosa più importante, la parte più debole in un rapporto
commerciale nella filiera alimentare (nella maggior parte dei casi una PMI)
spesso teme che il ricorso al giudice possa indurre la parte più forte a porre
fine al rapporto commerciale (il “fattore paura”). Ciò può scoraggiare le parti
vittime di pratiche commerciali sleali dal rivolgersi al giudice, il che a sua
volta limita il fattore dissuasivo nei confronti della parte che applica le
pratiche commerciali sleali. Per questo
motivo, alcuni Stati membri hanno creato altri meccanismi di ricorso per
affrontare le pratiche commerciali sleali nelle filiere verticali. Alcuni Stati
membri hanno designato un’autorità preposta al controllo del rispetto delle
norme indipendente dagli operatori del mercato interessati, mentre in altri
Stati membri sono allo studio possibili riforme in tal senso. In alcuni casi l’autorità
nazionale garante della concorrenza è stata preposta al controllo del rispetto
delle norme in materia di comportamenti abusivi nei confronti di parti
commerciali economicamente dipendenti e/o di abuso della posizione di maggiore
potere contrattuale. Tuttavia, vi sono anche esempi di Stati membri che hanno
designato altre autorità (ad esempio, le autorità competenti per questioni
riguardanti i prodotti alimentari o la protezione dei consumatori) o hanno
istituito nuove autorità amministrative per controllare il rispetto delle norme
contro le pratiche commerciali sleali. Molte di queste autorità hanno il potere
di svolgere indagini e accettano di norma le denunce riservate. In altri Stati
membri i portatori di interesse hanno creato un meccanismo volontario di
risoluzione per la soluzione extragiudiziale delle controversie. In altri casi
è stato scelto un “approccio misto”, consistente in regimi volontari integrati
da controlli del rispetto delle norme da parte di autorità pubbliche. Gli agricoltori
e le PMI fornitrici sottolineano che l’esistenza di un’autorità amministrativa
avente il potere di avviare indagini e di accettare denunce riservate su
presunte pratiche commerciali sleali sarebbe fondamentale per affrontare la
questione del fattore paura descritto sopra. La maggior parte di questi
portatori di interesse chiede l’istituzione di un organismo di controllo
indipendente a livello nazionale, in quanto il controllo efficace del rispetto
delle norme sarebbe un fattore chiave per ridurre l’uso delle pratiche
commerciali sleali. Altri portatori
di interesse ritengono che vada innanzitutto esaminata la possibilità di creare
quadri volontari e soluzioni basate sull’autoregolamentazione. Nel caso in cui
tali modelli non consentissero di lottare efficacemente contro le pratiche
commerciali sleali, si potrebbe prevedere l’istituzione di un’autorità
indipendente.
4.3.
La Supply Chain Initiative
La Supply Chain
Initiative è stata sviluppata nell’ambito del Forum di alto livello per un
migliore funzionamento della filiera alimentare istituito dalla Commissione, il
quale è composto dalle autorità nazionali e dalle principali parti interessate
che rappresentano a livello dell’UE le imprese fornitrici e i dettaglianti nel
settore alimentare. Nel novembre 2011 tutti i partecipanti al gruppo di
lavoro sulle pratiche commerciali sleali istituito dal Forum hanno concordato
un insieme di principi di buone pratiche nei rapporti verticali nella filiera
alimentare[20].
I principi includono: prevedibilità delle modifiche delle condizioni
contrattuali, responsabilità per il proprio rischio imprenditoriale e
motivazione delle richieste e degli oneri. In un secondo
tempo, nel settembre 2013 è stato istituito il quadro volontario per l’attuazione
dei principi di buone pratiche nella filiera (ossia la Supply Chain
Initiative)[21].
Le singole imprese possono aderire all’iniziativa dopo aver valutato la
conformità con i principi di buona pratica. Conformemente all’iniziativa e a
determinate condizioni, le singole controversie possono essere risolte mediante
meccanismi di risoluzione delle controversie, di mediazione e di arbitrato. Per
prevenire le pratiche commerciali sleali, il quadro di attuazione si concentra
sui requisiti organizzativi a livello di impresa, compresa la formazione del
personale e la capacità di partecipare ai meccanismi di risoluzione delle
controversie definite dal quadro. La violazione di questi requisiti organizzativi
può portare all’esclusione dell’impresa dall’iniziativa. Il quadro impegna i
membri ad assicurare che le parti più deboli che utilizzano i meccanismi di
risoluzione delle controversie non siano soggette a ritorsioni commerciali. L’iniziativa è
gestita da un gruppo preposto alla governance composto da varie
associazioni di categoria in rappresentanza degli operatori della filiera
alimentare. Ad oggi, nove mesi dopo il lancio, hanno aderito 98 gruppi e
imprese del settore della produzione e del commercio all’ingrosso e al
dettaglio, in rappresentanza di 736 imprese operanti in tutti gli Stati membri
dell’UE. Il numero di PMI aderenti è in crescita. Tuttavia non tutte le
associazioni di categoria hanno sottoscritto il quadro. In particolare, i
rappresentanti dei produttori primari (ossia gli agricoltori) e delle imprese
operanti nel settore della trasformazione delle carni hanno deciso di non
partecipare al gruppo preposto alla governance del regime a livello UE.
Sebbene concordino con i principi, queste parti interessate lamentano la
mancanza nell’iniziativa di un controllo efficace e indipendente del rispetto
delle norme. Alcune di esse partecipano comunque a livello nazionale. Le parti
interessate ritengono che la Supply Chain Initiative non affronti
adeguatamente il summenzionato fattore paura che tocca le parti commerciali
economicamente dipendenti, in particolare perché l’impresa vittima delle
pratiche commerciali sleali non ha la possibilità di presentare una denuncia
riservata. L’iniziativa volontaria prevede la riservatezza solo in caso di
controversie aggregate attraverso la possibilità offerta alle associazioni di
categoria di chiedere al gruppo preposto alla governance un’interpretazione
dei principi; l’accesso ai meccanismi di risoluzione delle controversie è
subordinato all’accordo di entrambe le parti contrattuali. L’iniziativa non
prevede né indagini né sanzioni qualora un’impresa violi i principi di buone
pratiche. Occorre
riconoscere che il meccanismo di risoluzione delle controversie proposto nell’ambito
di un’iniziativa di autoregolamentazione non può spingersi oltre certi limiti.
Pertanto, l’integrazione della Supply Chain Initiative con misure
indipendenti di controllo del rispetto delle norme negli Stati membri in cui
attualmente tali misure non esistono consentirebbe di aumentare l’efficacia
dell’iniziativa, rimuovendo allo stesso tempo la riserva principale all’adesione
all’iniziativa di alcuni gruppi di portatori di interesse. Al riguardo
occorre osservare che la relazione d’iniziativa del Parlamento europeo su
questioni connesse al commercio al dettaglio adottata nel dicembre 2013, pur
appoggiando i principi e il quadro della Supply Chain Initiative, ha
invitato la Commissione a valutare la necessità e la fattibilità di un sistema
indipendente di controllo delle norme che tenga conto del summenzionato fattore
paura dei piccoli operatori della filiera[22].
5.
Una strategia efficace contro le pratiche
commerciali sleali
5.1.
Adozione generalizzata da parte del mercato della Supply
Chain Initiative
I codici di
condotta volontari rappresentano un’importante pietra angolare per la creazione
di un contesto in cui le imprese intrattengono rapporti commerciali corretti e
duraturi. Possono contribuire efficacemente a favorire l’atteggiamento giusto e
a creare meccanismi di approccio ai negoziati e di risoluzione delle
controversie adeguati in seno alle organizzazioni, riducendo in tal modo, o se
possibile eliminando, le pratiche commerciali sleali. Inoltre, i codici
volontari possono prevedere procedure di risoluzione delle controversie tra due
parti di un rapporto verticale, che spesso consentono di evitare procedimenti
giudiziari lunghi e onerosi. La Supply Chain Initiative costituisce
pertanto un passo molto importante verso la soluzione del problema delle pratiche
commerciali sleali. La creazione di piattaforme nazionali nell’ambito dell’iniziativa
può rafforzarne ulteriormente gli effetti positivi. Soluzioni
proposte 1) La Commissione incoraggia tutte le imprese e
organizzazioni della filiera alimentare ad aderire a un’iniziativa volontaria
per affrontare le pratiche commerciali sleali, in particolare la Supply
Chain Initiative, per mostrare il proprio impegno, rafforzare la fiducia
nella filiera alimentare e raggiungere la massa critica e l’ampia copertura di cui
tali regimi hanno bisogno per essere efficaci. 2) La Commissione invita le imprese della filiera alimentare
a promuovere attivamente la Supply Chain Initiative presso i partner
commerciali, informandoli dei loro diritti e doveri. Una volta aderito all’iniziativa
esse dovrebbero informarne automaticamente tutti i partner commerciali
incoraggiandoli a fare altrettanto. 3) Il gruppo preposto alla governance della Supply
Chain Initiative dovrebbe proseguire e intensificare gli sforzi per
sensibilizzare le PMI e per trovare modalità efficaci di adesione delle PMI all’iniziativa.
Le PMI sono i principali beneficiari di tali regimi, ragion per cui è
fondamentale aumentarne al massimo la partecipazione. 4) Il gruppo preposto alla governance della Supply
Chain Initiative dovrebbe continuare a guidare e ad agevolare la creazione
di piattaforme nazionali in ogni Stato membro dell’UE. 5) La Commissione continuerà ad agevolare lo scambio di
informazioni e il dialogo tra i principali gruppi di portatori di interesse e a
collaborare strettamente con il gruppo preposto alla governance dell’iniziativa
per accrescerne la diffusione, soprattutto presso le PMI, continuando a seguire
da vicino l’evoluzione dell’iniziativa e a promuovere gli interventi della Supply
Chain Initiative intesi a rafforzare il meccanismo di risoluzione delle
controversie e i sistemi sanzionatori.
5.2.
Principi di buona pratica
Gli Stati membri
che hanno già disciplinato le pratiche commerciali sleali a livello nazionale
hanno seguito approcci diversi, nonché definizioni diverse di pratiche sleali.
Le definizioni nazionali variano da descrizioni molto generali a elenchi
dettagliati di pratiche vietate. Al contrario, alcuni Stati membri non hanno
adottato alcuna azione specifica contro le pratiche commerciali sleali. Per
disciplinare efficacemente le pratiche commerciali sleali in tutta l’UE, in
particolare a livello transfrontaliero, sarebbe utile un’interpretazione comune
delle norme in materia di pratiche commerciali sleali. La Supply
Chain Initiative non prevede una definizione precisa di pratiche
commerciali sleali, ma propone un elenco di principi di buone pratiche, oltre a
dare esempi di pratiche corrette e di pratiche sleali. Questi principi sono
stati concordati da tutte le pertinenti associazioni di categoria nell’UE nella
catena verticale di fornitura alimentare nel quadro del Forum di alto livello. Essi
rappresentano pertanto una base utile per individuare le pratiche commerciali
sleali che si potrebbero disciplinare tramite eventuali iniziative in materia.
L’individuazione delle pratiche commerciali sleali consente a sua volta la
definizione dei principi per affrontarle. Si ricorda che, nell’applicazione di
tali principi, gli operatori economici devono anche garantire il rispetto di
tutte le norme applicabili, compreso il diritto della concorrenza a livello
nazionale e/o europeo, a seconda del caso. I principi
definiti dal Forum ad alto livello e approvati dalla Supply Chain Initiative
sono i seguenti: (a)
accordi scritti: gli accordi devono avere forma
scritta, salvo impossibilità o in presenza di accordi orali reciprocamente
accettabili e convenienti. Dovrebbero contenere clausole chiare e trasparenti e
comprendere il maggior numero possibile di elementi pertinenti e prevedibili,
compresi i diritti e le procedure di risoluzione; (b)
prevedibilità: non dovrebbero essere possibili
modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali, a meno che tale
possibilità e le relative circostanze e condizioni siano state concordate
preventivamente. Gli accordi dovrebbero definire la procedura che le parti
dovrebbero seguire per discutere le modifiche necessarie per l’attuazione dell’accordo
o dovute a circostanze imprevedibili, secondo le modalità previste dall’accordo; (c)
rispetto: gli accordi devono essere rispettati; (d)
informazione: lo scambio di informazioni deve
avvenire nel rigoroso rispetto delle norme in materia di concorrenza e di altre
norme applicabili, e le parti dovrebbero prendere ragionevoli precauzioni per
assicurare che le informazioni fornite siano corrette e non ingannevoli; (e)
riservatezza: deve essere tutelata la riservatezza
delle informazioni, a meno che le informazioni siano già pubbliche o siano
state ottenute in modo indipendente dalla parte ricevente mediante mezzi
legittimi e in buona fede. Le informazioni riservate sono utilizzate dalla
parte destinataria soltanto per le finalità per le quali sono state comunicate; (f)
responsabilità per i rischi: tutte le parti
contraenti della filiera dovrebbero assumersi in misura appropriata i propri
rischi imprenditoriali; (g)
richiesta motivata: le parti contraenti non
ricorrono a minacce per ottenere un vantaggio ingiustificato o trasferire costi
ingiustificati. Soluzioni
proposte 6) La Commissione incoraggia gli Stati membri a valutare se
il vigente quadro normativo nazionale è idoneo ad affrontare le pratiche
commerciali sleali, tenendo conto delle migliori pratiche degli altri Stati
membri. Gli Stati membri dovrebbero inoltre considerare gli altri possibili
effetti delle pratiche commerciali sleali, come l’aumento degli sprechi
alimentari. A tal fine, gli Stati membri sono invitati a valutare se il quadro
nazionale possa basarsi su un elenco di pratiche o su una disposizione generale
che consenta di affrontare eventuali violazioni dei principi summenzionati. 7) Inoltre, gli Stati membri dovrebbero incoraggiare le
imprese aventi sede nel loro territorio ad aderire a codici di condotta
volontari, a livello nazionale e dell’UE. 8) La Commissione continuerà a sostenere lo scambio delle
migliori pratiche tra gli Stati membri, ad esempio organizzando seminari con
esperti delle amministrazioni nazionali.
5.3.
Assicurare a livello nazionale un controllo
efficace del rispetto delle norme
Al fine di
assicurare la presenza di un fattore di dissuasione credibile contro l’uso di
pratiche commerciali sleali, è necessario un adeguato controllo del rispetto
delle norme. Se la parte più
debole nel rapporto commerciale è economicamente dipendente dalla controparte
commerciale più forte, esiterà forse a denunciare le pratiche commerciali
sleali ricorrendo al giudice o a meccanismi volontari di risoluzione delle
controversie. Potrebbero verificarsi situazioni di dipendenza economica. Ad
esempio, da uno studio condotto dall’autorità spagnola garante della
concorrenza[23]
emerge che nel 2010, in media, quasi il 40% dei profitti dei fornitori della
filiera ortofrutticola è stato generato da tre soli dettaglianti. In casi
estremi, la situazione di dipendenza economica è tale che la redditività
economica della parte acquirente o della parte cedente dipende da singoli
rapporti commerciali. Nel caso in cui pratiche commerciali sleali non vengano
denunciate per timore di perdere la relazione contrattuale, è possibile
rafforzare considerevolmente le norme contro tali pratiche offrendo alla parte
più debole la possibilità di ricorrere ad un’autorità o ad un organismo
indipendenti dotati di poteri di controllo e proteggendo la riservatezza del
denunciante. Soluzioni
proposte 9) La Commissione invita gli Stati membri a valutare l’efficacia
e la credibilità dei meccanismi nazionali disponibili per il controllo del
rispetto delle norme in materia di pratiche commerciali sleali e a esaminare l’opportunità
di ulteriori misure procedurali od organizzative, basandosi sulle migliori
pratiche degli altri Stati membri. Particolare attenzione dovrebbe essere
prestata alla capacità di tutelare la riservatezza delle singole imprese che
presentano le denunce e alla possibilità di svolgere indagini. 10) I meccanismi nazionali di controllo del rispetto delle
norme, che potrebbero prevedere l’istituzione di organismi preposti al tal
fine, dovrebbero poter cooperare efficacemente a livello dell’UE per affrontare
le pratiche commerciali sleali applicate a livello transfrontaliero ed evitare
l’arbitraggio regolamentare. 11) La Commissione continuerà a sostenere il coordinamento tra
gli Stati membri, facilitando lo scambio di informazioni tra i meccanismi
nazionali di controllo del rispetto delle norme. 12) Nello sviluppo e nell’applicazione di misure di controllo
del rispetto delle norme, gli Stati membri dovrebbero agire in modo
proporzionato, tenendo in considerazione le eventuali conseguenze per il
benessere dei consumatori e delle parti interessate. In particolare, dovrebbero
applicare agli operatori stranieri gli stessi criteri e prassi di mercato
applicati agli operatori nazionali.
5.4.
Potenziali costi e benefici della riduzione delle
pratiche commerciali sleali
I potenziali
benefici dell’eliminazione o almeno della riduzione delle pratiche commerciali
sleali possono essere notevoli. Quando si tenta di individuare tali costi e
benefici, emergono diversi livelli a cui gli effetti si fanno sentire: nei
singoli rapporti bilaterali i benefici potenziali sono abbastanza ovvi. Le pratiche
commerciali sleali hanno spesso un impatto finanziario negativo diretto sulle
imprese che ne sono vittime. Inoltre, comportamenti imprevedibili dei partner
commerciali che abusano del loro maggiore potere contrattuale potrebbero
comportare perdite di efficienza economica, ad esempio riduzione degli
investimenti o sotto/sovrapproduzione, dovute all’imprevedibilità e all’aumento
dei costi di transazione legati al rischio di cambiamenti unilaterali e
imprevisti delle condizioni commerciali. Pertanto notevoli potrebbero essere i
benefici derivanti dal rendere più duraturi i rapporti commerciali nella
filiera alimentare. Forse potrebbero andare oltre i benefici diretti e il
miglioramento delle condizioni finanziarie delle imprese prima vittime di
pratiche commerciali sleali, ossia PMI nella maggior parte dei casi. I meccanismi
suggeriti nella presente comunicazione potrebbero anche attenuare l’impatto
delle pratiche commerciali sleali sulle parti più deboli nei paesi terzi,
compresi i paesi in via di sviluppo. È più complesso
valutare gli effetti delle pratiche commerciali sleali e il complessivo impatto
benefico della loro eventuale riduzione o eliminazione per il mercato nel suo
insieme. Quanto al potenziale impatto sui consumatori, non vi sono elementi che
indichino un impatto negativo sui prezzi al consumo[24] negli
Stati membri in cui le pratiche commerciali sleali sono disciplinate e in cui
la repressione degli abusi nei rapporti tra imprese è affidata a organismi
pubblici. Nei casi in cui le pratiche commerciali sleali possono avere effetti
negativi sulla qualità, disponibilità e scelta dei prodotti, da una riduzione o
un’eliminazione di tali pratiche ci si può attendere benefici per i
consumatori. In termini di
impatto sui costi, non vi sarebbero costi aggiuntivi per le imprese che già
aderiscono o che hanno in programma di aderire alla Supply Chain Initiative
o ad analoghe iniziative nazionali. L’approccio suggerito non comporterebbe
alcun costo per gli Stati membri in cui il quadro vigente attualmente soddisfa
i criteri di cui sopra. Negli Stati membri che scegliessero di adeguare il
proprio quadro in linea con quanto sopra, i costi del controllo del rispetto
delle norme varierebbero in funzione dell’esistenza di un meccanismo già
utilizzato a tali fini o della necessità di porre in atto nuovi strumenti
procedurali od organizzativi.
6.
Conclusioni
Nella maggior
parte dei casi le pratiche tra gli operatori di mercato nella filiera
alimentare sono corrette e durature per entrambe le parti. Nondimeno, i
portatori di interesse di tutta la filiera confermano l’esistenza di pratiche
commerciali sleali; in particolare le PMI affermano che tali pratiche si
verificano con relativa frequenza e producono effetti negativi sulla loro
redditività e sulla loro capacità di fare affari. La consultazione sul Libro
verde, gli studi che l’hanno accompagnato e alcune delle più recenti iniziative
nazionali indicano che un “approccio misto”, vale a dire regimi volontari
integrati da misure di controllo del rispetto della normativa credibili,
efficaci e basate su principi comparabili, potrebbe essere un mezzo adeguato
per affrontare il problema delle pratiche commerciali sleali. In presenza di un
fattore di dissuasione credibile, iniziative volontarie quali la Supply
Chain Initiative potrebbero essere il principale strumento per risolvere i
conflitti tra le parti commerciali, mentre il controllo del rispetto delle
norme da parte di un organismo pubblico o il ricorso al giudice dovrebbero
essere utilizzati solo nel caso in cui la soluzione bilaterale, più efficiente
e più rapida, non fosse realizzabile. La soluzione proposta nella presente
comunicazione consentirebbe pertanto non solo di integrare ma anche di
rafforzare la Supply Chain Initiative rendendola più interessante per i
gruppi di parti interessate che finora non hanno aderito in ragione delle
riserve sulla mancanza di un controllo effettivo del rispetto delle norme. Al fine di
affrontare le questioni riguardanti le pratiche commerciali sleali, la presente
comunicazione propone una combinazione di quadri volontari e regolamentari,
individuando le pratiche commerciali sleali e i principi per affrontarle,
tenendo conto della diversità delle situazioni e degli approcci a livello
nazionale. Mentre alcuni Stati membri hanno adottato una legislazione
specifica, altri si basano sui principi generali di diritto e/o su iniziative
di autoregolamentazione. Per valutare se siano necessarie ulteriori misure, in
linea con la presente comunicazione e tenendo conto delle migliori pratiche,
gli Stati membri dovrebbero agire in maniera proporzionata e tener conto dell’impatto
sul benessere dei portatori di interesse e dei consumatori. A livello della
Commissione, le azioni proposte non hanno alcuna incidenza sul bilancio
superiore a quanto già previsto per gli anni futuri nella programmazione
ufficiale. La Commissione
intende monitorare e valutare i progressi compiuti analizzando: i) l’impatto
concreto della Supply Chain Initiative e delle sue piattaforme nazionali[25] e ii) i
meccanismi di controllo del rispetto delle norme istituiti dagli Stati membri
per accrescere la fiducia di tutte le parti nel corretto funzionamento di una
filiera alimentare sostenibile. La Commissione
presenterà una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio alla fine del 2015.
Alla luce della relazione, la Commissione deciderà in merito alla possibilità
di adottare ulteriori misure a livello dell’UE per affrontare le questioni
descritte. [1] La spesa alimentare rappresenta il 14% circa del
bilancio medio delle famiglie europee (fonte: indagine Eurostat sui bilanci
delle famiglie). [2] Relazione del Forum di alto livello per un migliore
funzionamento della filiera alimentare, dicembre 2012. [3] Cfr. la comunicazione della Commissione COM(2009)591 dal titolo “Migliore funzionamento della filiera
alimentare in Europa” http://ec.europa.eu/economy_finance/publications/publication16061_en.pdf. [4] “Unfair Commercial Practices in Europe”, marzo 2011;
indagine sulle pratiche commerciali sleali in Europa, organizzata da Dedicated
per conto della CIAA (Federazione europea delle industrie alimentari) e
dell’AIM (Associazione europea delle industrie di marca). [5] Relazione sui rapporti tra produttori e dettaglianti del
settore alimentare, Comisión Nacional de la Competencia, ottobre 2011. [6] Indagine conoscitiva sul
settore della GDO – IC43, agosto 2013. [7] Cfr. anche la comunicazione della Commissione COM(2011)
78 definitivo dal titolo “Riesame dello “Small Business Act” per l’Europa”, in
cui si afferma che “[...] le PMI si trovano spesso di fronte a clausole
contrattuali abusive e a pratiche imposte dai vari attori della catena di
approvvigionamento.” [8] Il nuovo programma di sviluppo rurale prevede misure di
sostegno alla creazione e allo sviluppo delle organizzazioni di produttori che
possono aiutare questi ultimi a tener testa ai grandi acquirenti. [9] La nuova organizzazione comune del mercato dei prodotti
della pesca e dell’acquacoltura (regolamento (UE) n. 1379/2013) offre un
sostegno alle organizzazioni di produttori al fine di migliorare la
commercializzazione dei loro prodotti e la loro posizione di mercato attraverso
piani di produzione e di commercializzazione. [10] Decisione della Commissione, del 30 luglio 2010, che
istituisce il Forum di alto livello per un migliore funzionamento della filiera
alimentare (2010/C 210/03). [11] Belgio, Germania, Paesi Bassi e Finlandia. [12] Risoluzione del Parlamento europeo sugli squilibri nella
filiera alimentare del 19.1.2012. [13] Libro verde sulle pratiche commerciali sleali nella catena
di fornitura alimentare e non alimentare tra imprese in Europa, COM(2013) 37
del 31 gennaio 2013. [14] “Impact of Unfair Trading Practices in the European
agri-food sector”, aprile 2013; studio sull’impatto delle pratiche commerciali
sleali nel settore agroalimentare europeo, organizzato da Dedicated per conto
del COPA COGECA (Associazione europea degli agricoltori e delle cooperative
agricole). [15] Direttiva 2006/114/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del
12 dicembre 2006, concernente la pubblicità ingannevole e comparativa. [16] Direttiva
93/13/CEE, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti
stipulati con i consumatori. [17] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio sulla protezione del know-how riservato e delle informazioni
commerciali riservate (segreti commerciali) contro l’acquisizione, l’utilizzo e
la divulgazione illeciti, COM(2013) 813 final del 28 novembre 2013. [18] Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del
Consiglio relativo a un diritto comune europeo della vendita, COM(2011) 635
definitivo dell’11 ottobre 2011. [19] Direttiva
2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005,
relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato
interno. [20] http://www.supplychaininitiative.eu [21] Id. [22] Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 dicembre 2013
sul Piano d’azione europeo per il commercio al dettaglio a vantaggio di tutte
le parti interessate. [23] Relazione sui rapporti tra produttori e dettaglianti del
settore alimentare, Comisión Nacional de la Competencia, ottobre 2011. [24] Per quanto riguarda l’andamento generale dei prezzi, si
rivela utile lo strumento europeo di sorveglianza dei prezzi dei prodotti
alimentari:
http://ec.europa.eu/enterprise/sectors/food/competitiveness/prices_monitoring_en.htm [25] Al riguardo la Commissione prenderà in considerazione la
possibilità di prolungare il mandato del Forum di alto livello per un migliore
funzionamento della filiera alimentare perché possa seguire l’attuazione delle
azioni previste dalla presente comunicazione mediante un dialogo trasparente
con le parti interessate del settore privato e le autorità nazionali.