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Document 52014DC0002

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO Relazione congiunta sull’applicazione della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica e della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro

/* COM/2014/02 final */

52014DC0002

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO Relazione congiunta sull’applicazione della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica e della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro /* COM/2014/02 final */


RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO

Relazione congiunta sull’applicazione della direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica e della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro

1. introduzione

La protezione contro le discriminazioni è uno degli ambiti in cui il diritto dell’UE incide direttamente sulla vita quotidiana dei cittadini dell’Unione. Il quadro esauriente definito dalle direttive antidiscriminazione dell’UE[1] informa il panorama del diritto europeo in materia di discriminazione ormai da oltre un decennio. Prima del recepimento delle due direttive, in alcuni Stati membri la legislazione in materia era quasi inesistente e le direttive hanno introdotto nuovi elementi, come la protezione contro le discriminazioni fondate sull’età, negli ordinamenti di tutti gli Stati membri.

Le direttive antidiscriminazione: - vietano le discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica (direttiva 2000/43/CE) e sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali (direttiva 2000/78/CE); - offrono protezione in alcune sfere fondamentali della vita: l’occupazione e la formazione professionale (entrambe le direttive); l’istruzione, la sicurezza sociale e l’assistenza sanitaria, l’accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l’alloggio (direttiva 2000/43/CE); - vietano diverse forme di discriminazione, cioè la discriminazione diretta e indiretta, le molestie, l’ordine di discriminare persone e la vittimizzazione; - impongono agli Stati membri di prevedere sanzioni e mezzi di ricorso efficaci.

Le prime relazioni di applicazione risalgono rispettivamente al 2006[2] e al 2008[3]. Considerato che le due direttive antidiscriminazione prevedono relazioni periodiche[4] e che l'approccio normativo e i contenuti di molte loro disposizioni sono identici, con il presente documento si è voluto riferire congiuntamente per entrambe; a ciò si aggiunga che la maggior parte degli Stati membri le ha recepite con un’unica legge nazionale. Al momento dell'adozione delle prime relazioni molti Stati membri le avevano appena recepite e non avevano quindi ancora abbastanza esperienza della loro applicazione.

Oggi il processo di recepimento è concluso in tutti i 28 Stati membri e questi ultimi hanno acquisito maggiore esperienza. La Corte di giustizia dell’Unione europea (di seguito “la Corte di giustizia”) le ha inoltre interpretate nella propria giurisprudenza. La presente relazione offre quindi l’occasione per esaminare l’applicazione delle due direttive, fare il punto dell’interpretazione della Corte di giustizia e dei giudici nazionali e individuare le sfide future[5].

Conformemente alle direttive[6], tutti gli Stati membri hanno trasmesso alla Commissione informazioni per contribuire alla presente relazione. La Commissione ha altresì consultato gli organismi nazionali per la promozione della parità di trattamento[7], la rete europea Equinet, l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, le parti sociali[8], le organizzazioni della società civile[9] e la rete europea degli esperti giuridici in materia di non discriminazione[10].

2. Stato di recepimento e procedure di infrazione

Entrambe le direttive sono state recepite negli ordinamenti giuridici dei 28 Stati membri[11] e la Commissione ha verificato la conformità di tutte le leggi nazionali di attuazione. Sono stati avviati procedimenti di infrazione nei confronti di 25 Stati membri[12] per non conformità con entrambe le direttive, soprattutto tra il 2005 e il 2007. Il fatto che molti Stati membri abbiano avuto problemi all’inizio può spiegarsi con la novità delle due direttive. I problemi tipicamente riguardavano la definizione di discriminazione diretta e indiretta, di molestie e vittimizzazione, la legittimazione giuridica delle organizzazioni portatrici di interessi legittimi, le restrizioni della portata e l’interpretazione troppo estensiva delle deroghe ammesse ai sensi delle direttive. Quasi tutti questi casi di infrazione “di prima generazione” sono ormai chiusi, avendo gli Stati membri allineato la propria legislazione alle direttive[13]. In un unico caso il procedimento di infrazione è sfociato in una sentenza della Corte di giustizia che dichiara lo Stato membro inadempiente per non aver imposto a tutti i datori di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli per i disabili e per essere quindi venuto meno all’obbligo di recepire correttamente la direttiva 2000/78/CE[14].

La Commissione continua a monitorare gli sviluppi negli Stati membri e, se necessario, avvierà procedimenti di infrazione[15].

La Commissione ogni anno riceve denunce connesse alle due direttive (mediamente circa 20-30) che però riguardano perlopiù singoli casi di discriminazione e non già il recepimento o l’applicazione errata delle direttive e quindi non comportano procedimenti di infrazione. Un numero ben superiore di denunce è trattato a livello nazionale. I mezzi di ricorso per i singoli casi di discriminazione sono quelli previsti dal solo diritto nazionale e sono esperibili solo dinanzi ai giudici nazionali; alla Commissione spetta invece esaminare se una denuncia riveli il recepimento o l’applicazione errata delle direttive nello Stato membro interessato. Sono attualmente oggetto di procedimenti di infrazione tre casi basati su denunce riguardanti la direttiva 2000/78/CE[16].

3. Attuazione e applicazione delle direttive

Entrambe le direttive sono state recepite nella legislazione nazionale, ma dall’esame delle esperienze nazionali emergono ancora difficoltà di attuazione e di applicazione.

Di conseguenza, per rispondere a tali difficoltà la Commissione, la rete europea Equinet, l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) e i singoli Stati membri hanno tutti pubblicato orientamenti per l’applicazione delle due direttive[17]. Inoltre la Commissione finanzia la formazione di giudici e altri operatori della giustizia per promuovere la corretta applicazione delle direttive migliorando la conoscenza della normativa dell’UE in materia di parità di trattamento[18].

3.1 Conoscenza dei diritti

Entrambe le direttive[19] sottolineano l’importanza di diffondere informazioni per assicurare che le persone interessate siano a conoscenza del loro diritto alla parità di trattamento. Tutti gli europei, non solo le minoranze, tendono a essere poco consapevoli dei propri diritti[20]. Per esempio, non tutti sanno che le discriminazioni sul lavoro sono vietate sin dalla presentazione della domanda[21]. Per molti Stati membri colmare questa lacuna è una sfida importante, per questo hanno indicato il loro modo di affrontare il problema, con documenti di informazione e orientamento, campagne di sensibilizzazione e portali informativi, anche per gruppi specifici (minoranze, giovani)[22]. Rivolgersi alle persone più esposte a rischi, oltre a quelle suscettibili di violare la legge, come i datori di lavoro, sembra essere un modo efficace di utilizzare le risorse[23].

Nel mondo del lavoro, sindacati e parti sociali svolgono un ruolo fondamentale nel sensibilizzare all'antidiscriminazione sia i lavoratori che i datori di lavoro[24]. Molti Stati membri forniscono anche orientamenti pratici sulle leggi antidiscriminazione applicabili al lavoro[25].

3.2 Mancanza di dati sulla parità di trattamento

Le direttive non impongono agli Stati membri di raccogliere dati sulla parità[26]. Tuttavia la raccolta e l'analisi, che spettano agli Stati membri, contribuiscono a lottare contro le discriminazioni e promuovono la parità di trattamento in quanto provano le discriminazioni esistenti, rendendole trasparenti e quantificandole. Invece, se mancano dati sulla parità, è più difficile valutare le situazioni e dimostrare che sussistono discriminazioni[27]. Ciò vale soprattutto per la discriminazione indiretta: i dati statistici spesso svolgono un ruolo decisivo nel dimostrare gli effetti perniciosi di una disposizione apparentemente neutra per un determinato gruppo. La prima relazione sull’applicazione della direttiva 2000/43/CE esprimeva preoccupazione poiché “la scarsità dei dati etnici nella maggior parte degli Stati membri può (…) costituire un ostacolo per un adeguato controllo dell’applicazione della normativa comunitaria”. La situazione è rimasta essenzialmente invariata e concerne entrambe le direttive. Il problema è stato segnalato da numerosi interpellati (organismi nazionali per la promozione della parità[28], Agenzia per i diritti fondamentali, organizzazioni non governative) e la Commissione ne condivide le preoccupazioni.

La maggior parte degli Stati membri ammette i dati statistici quale mezzo di prova della discriminazione e accetta anche i test situazionali[29]. Tuttavia molti non raccolgono dati sulla parità o li raccolgono in misura molto limitata, appellandosi ad esempio alle disposizioni in materia di protezione dei dati. Va sottolineato che il diritto dell’UE, segnatamente la direttiva sulla protezione dei dati[30], non impedisce agli Stati membri di raccogliere dati per produrre statistiche, purché siano rispettate le garanzie previste dalla direttiva stessa[31]. Fornire orientamenti pratici o stabilire norme per la raccolta di dati sulla parità a livello nazionale è una buona prassi che sembra offrire almeno un punto di partenza per affrontare la problematica[32].

3.3 Segnalazioni insufficienti

Tutte le informazioni disponibili confermano bassi livelli di segnalazione degli eventi di discriminazione. Ciò riguarda sia la denuncia iniziale, per esempio a un organismo per la promozione della parità di trattamento o alla polizia, sia l’avvio di un’azione legale. Dati recenti indicano che in tutti i gruppi etnici e di migranti considerati, l’82% di coloro che hanno subito discriminazioni non ha sporto denuncia[33]. I motivi indicati con maggiore frequenza sono la convinzione che la denuncia non produrrebbe alcun risultato, il non sapere come e a chi presentare la denuncia e le esperienze negative dovute al disagio, alla burocrazia o alla durata della procedura. Contrariamente alle preoccupazioni espresse prima dell’adozione delle direttive, non si è registrato un aumento considerevole dei procedimenti giudiziari per discriminazione. Il numero di casi segnalati è generalmente basso e si stima rappresenti soltanto una piccola percentuale dei casi effettivi di discriminazione nell’UE. In alcuni Stati membri i numeri potrebbero essere persino troppo bassi, dato che non vengono denunciati né perseguiti casi di discriminazione palese. Ciò evidenzia la necessità di aumentare le iniziative di sensibilizzazione e denuncia e di migliorare l’accesso ai meccanismi di segnalazione e alla giustizia. Gli organismi nazionali per la promozione della parità di trattamento potrebbero svolgere un ruolo importante[34], contribuendo a rendere le procedure di denuncia più “attente all'utente” e facilitando la denuncia delle discriminazioni da parte delle vittime.

3.4 Accesso alla giustizia

L’accesso a una giustizia rapida ed efficace riveste importanza fondamentale per le vittime. Sono ostacoli alla giustizia la brevità dei termini per sporgere denuncia, la durata e il costo del procedimento, compreso l’effetto potenzialmente dissuasivo esercitato sulle vittime dal principio “chi perde paga”, e la disponibilità limitata del patrocinio a spese dello Stato[35].

L’allegato I della presente relazione contiene orientamenti concreti su come presentare denuncia di discriminazione, spiega i diritti delle vittime in un linguaggio e in una forma semplici e dà consigli pratici su come avviare un'azione in caso di discriminazione.

3.5 Sanzioni e mezzi di ricorso

Le due direttive non armonizzano le sanzioni e i mezzi di ricorso contro le discriminazioni, ma impongono agli Stati membri di stabilire sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive e di garantire che siano disponibili procedure giurisdizionali ai fini dell’esecuzione degli obblighi derivanti dalle direttive, possibilmente preceduti da un procedimento amministrativo precontenzioso. I problemi iniziali incontrati da numerosi Stati membri in relazione al corretto recepimento delle disposizioni sulle sanzioni[36] sono risolti e le sanzioni previste dalla legge nazionale sono in genere appropriate. Permangono tuttavia potenziali motivi di preoccupazione riguardo alla disponibilità dei mezzi di ricorso nella pratica e al dubbio che le sanzioni irrogate nei casi concreti siano pienamente conformi alle disposizioni delle direttive[37]. I tribunali nazionali sembrano avere la tendenza ad applicare lo scaglione inferiore delle sanzioni previste dalla legge, anche in termini di livello e importo del risarcimento riconosciuto[38]. Nella causa Accept, la Corte di giustizia ha rilevato che la direttiva 2000/43/CE deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che preveda sanzioni meramente simboliche e che in caso di accertamento di una data discriminazione, qualora in determinate circostanze non sia possibile pronunciare altro che un ammonimento, detta normativa viola le disposizioni della direttiva[39]. Alla luce di queste problematiche, la Commissione continuerà a monitorare le norme applicate in materia di sanzioni e mezzi di ricorso negli Stati membri.

3.6 Interpretazione giurisprudenziale

La Corte di giustizia ha chiarito nella sua giurisprudenza l’interpretazione di entrambe le direttive. La maggior parte dei casi riguarda l’interpretazione della direttiva 2000/78/CE in relazione alle discriminazioni fondate sull’età, in particolare l’articolo 6, paragrafo 1, secondo il quale le disparità di trattamento in ragione dell’età possono essere giustificate se sussiste una finalità legittima e se i mezzi per il conseguimento di tale finalità sono appropriati e necessari.

La giurisprudenza in materia di discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale, la disabilità e la razza o l’origine etnica è meno sviluppata perché sono meno numerosi i casi rinviati alla Corte. In questo tipo di cause, la Corte di giustizia ha esaminato questioni essenziali quali il divieto imposto a un datore di lavoro di bandire un annuncio di assunzione discriminatoria, la definizione di disabilità e l’esclusione dei partner dello stesso sesso dalle prestazioni connesse al lavoro riconosciute alle coppie eterosessuali. La Corte di giustizia non ha ancora avuto occasione di pronunciarsi sulle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali.

Gli Stati membri riferiscono di situazioni variabili sul fronte della giurisprudenza nazionale. In alcuni Stati membri le direttive hanno creato un’importante giurisprudenza[40] e i casi sono regolarmente sottoposti alla Corte di giustizia[41]. Altri Stati membri segnalano un numero limitato di casi[42].

L’allegato II della presente relazione offre una panoramica della giurisprudenza più importante della Corte di giustizia ed evidenzia alcuni casi interessanti esaminati dai giudici nazionali.

4. ASPETTI COMUNI A ENTRAMBE LE DIRETTIVE

Sebbene i singoli motivi di discriminazione presentino caratteristiche specifiche[43], la struttura delle due direttive e le nozioni fondamentali sono simili (definizioni, azione positiva, requisiti minimi, difesa dei diritti, onere della prova, diffusione delle informazioni, dialogo con le parti sociali e le organizzazioni non governative, sanzioni).

4.1 Discriminazione indiretta

Sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutra può mettere persone che possiedono una determinata caratteristica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che tale disposizione, criterio o prassi sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. La nozione di discriminazione indiretta è complessa e molti Stati membri all’inizio hanno avuto difficoltà a recepirla correttamente. È ora sancita dalla legge, ma la sua applicazione nella pratica resta ardua. Alcuni Stati membri[44] riferiscono di preoccupazioni suscitate dalla mancanza di chiarezza o di comprensione della nozione di discriminazione indiretta presso i giudici nazionali. Altri Stati membri[45] segnalano di non disporre ancora di una giurisprudenza che orienti l’interpretazione della discriminazione indiretta[46]. L’allegato I della presente relazione presenta esempi di situazioni di discriminazione indiretta.

4.2 Onere della prova

Elemento essenziale per garantire il corretto trattamento delle denunce di discriminazione è l’inversione dell’onere della prova davanti ai giudici o altre autorità competenti[47]. Ciò significa che, nei casi in cui una persona si ritenga vittima di discriminazione ed esponga fatti dai quali si può presumere che vi sia stata discriminazione, incombe alla parte convenuta provare l'insussistenza di discriminazione. Inizialmente otto Stati membri hanno avuto problemi a recepire correttamente la nozione di onere della prova[48]. Alcuni Stati membri[49] riferiscono che continua a porre difficoltà la corretta applicazione dell’inversione dell'onere probatorio, nozione che resta poco conosciuta tra i giudici nazionali. Per risolvere il problema, uno Stato membro riferisce che sta esaminando la possibilità di inserire l’inversione dell’onere della prova direttamente nel codice di procedura civile (e non solo nella normativa in materia di parità di trattamento)[50]. La Commissione promuove la corretta applicazione di questa nozione con corsi di formazione per giudici e operatori della giustizia nazionali[51].

4.3 Azione positiva

Le direttive consentono espressamente, e non già impongono l'obbligo agli Stati membri, di mantenere o adottare misure specifiche per evitare o compensare gli svantaggi correlati ai motivi di discriminazione contemplati[52]. L’azione positiva per definizione deve andare a beneficio dei gruppi di destinatari. Quasi tutti gli Stati membri hanno preso una qualche forma di azione positiva nell’ambito di applicazione delle due direttive[53], per esempio in favore delle persone disabili o dei Rom[54].

4.4 Discriminazione multipla

Le direttive non contengono disposizioni specifiche sulla discriminazione multipla, ma entrambe affermano che “le donne sono spesso vittime di numerose discriminazioni”[55]. In ogni caso, le direttive consentono già di affrontare due o più motivi di discriminazione nella stessa situazione, sebbene possa costituire un problema la diversità di livello di protezione garantito a seconda dei motivi, essendo l’ambito di applicazione della direttiva 2000/78/CE limitato alle sole questioni connesse all’occupazione. La Commissione ha cercato di colmare questa lacuna presentando una proposta di nuova direttiva nel 2008[56].

4.5 Discriminazione per associazione, supposizione e percezione

La Corte di giustizia ha già statuito che, in determinate circostanze, le discriminazioni fondate sulla disabilità possono comprendere la discriminazione basata sullo stretto rapporto dell’attore con una persona disabile, sebbene l’attore non sia esso stesso disabile[57]. Il ragionamento sembra avere carattere generale e applicabile anche agli altri motivi di discriminazione previsti dalle due direttive.

Come emerge dalla giurisprudenza nazionale esistente[58], la Commissione ritiene che le direttive vietino anche le situazioni in cui una persona subisce una discriminazione diretta basata sulla percezione o supposizione errata che presenti le caratteristiche tutelate dalle direttive stesse, per esempio se un candidato a un posto di lavoro non è selezionato perché il datore di lavoro ritiene erroneamente che sia omosessuale o di una particolare origine etnica.

4.6 Tutela per tutti nell’Unione europea

Emerge chiaramente dalle due direttive che il divieto di discriminazione si applica anche ai cittadini di paesi terzi, ma non riguarda le differenze di trattamento basate sulla nazionalità e non pregiudica le disposizioni in materia di ingresso e di soggiorno[59]. È un elemento importante delle direttive, che dà risalto al fatto che il divieto di discriminazione tutela tutti nell’Unione europea, non solo i cittadini dell’UE. I cittadini di paesi terzi, compresi gli apolidi[60], spesso sono particolarmente vulnerabili alla discriminazione a causa della loro situazione[61]. Alcuni problemi, tuttavia, non derivano direttamente dalla legislazione ma da come è applicata nella pratica. Alla legislazione devono associarsi anche una politica adeguata e misure finanziarie[62]. Gli Stati membri riferiscono che la protezione contro le discriminazioni fondate sui motivi contemplati dalle direttive si applica sul loro territorio. Vari Stati membri descrivono la propria politica in materia di integrazione degli immigrati e dei cittadini di paesi terzi come interventi preventivi contro la discriminazione.

5. Aspetti specifici della direttiva sulla parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (2000/43/CE)

5.1 Divieto di discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica

La direttiva 2000/43/CE non definisce le nozioni di razza e origine etnica. Spetta agli Stati membri decidere se definire tali concetti nella legislazione nazionale[63]. Alcuni ordinamenti nazionali parlano soltanto di “origine etnica” o “etnia” senza mai usare i termini “razza” o “origine razziale”. In linea di principio, la Commissione non ha nulla contro questo approccio all’applicazione della direttiva, purché sia chiaro che non comporta limitazione alcuna dell’ambito di applicazione della legislazione nazionale rispetto a quello della direttiva.

Talvolta si osserva una sovrapposizione tra razza e origine etnica e altri motivi, in particolare la nazionalità, la religione e la lingua. La direttiva 2000/43/CE non tratta della discriminazione in ragione della nazionalità in quanto tale (a meno che la differenza di trattamento a motivo della nazionalità o della lingua risulti poi una discriminazione indiretta fondata sull’origine etnica) e la protezione contro eventi discriminatori basati sulla religione è espressamente garantita dalla direttiva 2000/78/CE[64].

5.2 Ambito di applicazione ratione materiae della direttiva

Secondo l’articolo 3, paragrafo 1, lettera h), sono vietate le discriminazioni per quanto attiene all’“accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l’alloggio”. La direttiva si applica sia al settore pubblico che al settore privato, ma alcune azioni degli Stati membri (per esempio, di polizia) possono comportare l’esercizio dell’autorità pubblica senza configurare alcun elemento di fornitura di “servizio”, secondo la definizione attribuita a tale nozione nei trattati e nella giurisprudenza della Corte di giustizia.

Un altro concetto che a volte crea difficoltà è che i beni e i servizi debbano essere “a disposizione del pubblico” (N.d.T.: l'espressione non figura nella versione italiana della direttiva). Questa condizione sembrerebbe escludere le situazioni in cui l’offerta di un determinato bene o servizio non è resa di dominio pubblico (per es. con annuncio su un quotidiano o un sito Internet accessibile al pubblico), ma è limitata alla cerchia ristretta di una famiglia.

5.3 Ruolo degli organismi per la promozione della parità di trattamento

In forza della direttiva, gli Stati membri sono tenuti a istituire uno o più organismi tra i cui compiti rientrino l’assistenza indipendente alle vittime di discriminazioni, la pubblicazione di relazioni indipendenti e lo svolgimento di inchieste indipendenti, e tutti gli Stati membri lo hanno fatto[65]. Questo obbligo riguarda soltanto le discriminazioni in ragione della razza e dell’origine etnica (e del sesso, ai sensi delle direttive sulla parità fra donne e uomini[66]), ma non quelle a motivo della religione o delle convinzioni personali, della disabilità, dell’età e dell’orientamento sessuale. Tuttavia, nella maggior parte degli Stati membri il mandato dell’organismo nazionale per la promozione della parità comprende tutti questi motivi di discriminazione[67] e in 15 Stati membri anche altri motivi oltre a quelli contemplati dalla normativa dell’UE (per esempio, nazionalità, lingua, opinione politica). In molti Stati membri tali organismi vantano anche competenze più ampie di quelle previste dalla direttiva o, per quanto riguarda le discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età e l’orientamento sessuale, di competenze che si estendono oltre l'ambito dell’occupazione.

Esistono differenze evidenti tra gli Stati membri quanto alle competenze e risorse attribuite a questi organismi e al modo in cui sono strutturati. Alcuni organismi svolgono un ruolo consultivo e di promozione, altri hanno competenze quasi giurisdizionali. La direttiva impone agli Stati membri di garantire che gli organismi per la promozione della parità dispongano delle competenze e risorse necessarie per svolgere con efficacia i loro compiti, in particolare il ruolo indispensabile di assistenza alle vittime di discriminazioni. Considerate le crescenti preoccupazioni al riguardo, la Commissione sta procedendo a un controllo più vasto della conformità degli Stati membri con le disposizioni della direttiva (e delle direttive sulla parità fra donne e uomini) in relazione agli organismi nazionali per la promozione della parità di trattamento. In altri termini, sta verificando che ogni organismo per la promozione della parità disponga del mandato e dei poteri necessari, e anche che svolga effettivamente tutti i compiti previsti dalla direttiva[68].

5.4 Tutela dei Rom ai sensi della direttiva

La direttiva 2000/43/CE tratta tutte le discriminazioni basate sulla razza e l’origine etnica in maniera esaustiva. I Rom, come gruppo etnico particolarmente numeroso e vulnerabile, rientrano pienamente nell’ambito di applicazione della direttiva.

La Commissione ha già affrontato problemi originati direttamente dalle disposizioni nazionali di attuazione, anche avviando procedimenti di infrazione[69]. È raro però che i problemi relativi ai Rom derivino direttamente dalla legislazione[70], è più facile invece che siano dovuti alle modalità di applicazione pratica delle norme pertinenti[71]. Ne consegue la necessità di estendere, ove opportuno, il controllo della Commissione alle prassi nazionali che incidono sull’attuazione del principio della parità di trattamento. Mentre i singoli eventi di discriminazione devono essere trattati in virtù della legislazione nazionale e dai giudici nazionali, la Commissione verifica che la direttiva sia rispettata sistematicamente nelle prassi amministrative degli Stati membri.

La Commissione riconosce che la normativa da sola non basta a risolvere il problema profondamente radicato dell’esclusione sociale dei Rom e i pregiudizi che tuttora subiscono. La normativa deve essere accompagnata da una politica e da misure finanziarie. Un contributo fondamentale all'offensiva contro la discriminazione nei confronti dei Rom a livello di Unione europea è venuto dall’adozione del quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020[72], cui ha fatto seguito il monitoraggio annuale delle strategie nazionali degli Stati membri svolto dalla Commissione. I quattro settori fondamentali delle strategie nazionali a favore dei Rom (istruzione, occupazione, assistenza sanitaria e alloggio) rientrano tutti nella direttiva. Per conseguire la piena parità nella pratica, in alcune circostanze può essere necessaria un’azione positiva a favore dei Rom, in particolare in questi quattro settori fondamentali.

Al contempo, la Commissione ha continuato a potenziare la tutela giuridica dei Rom con la sua proposta di raccomandazione del Consiglio relativa ai Rom che il Consiglio ha adottato il 9 dicembre 2013[73]. La raccomandazione promuove un’ampia gamma di misure specifiche nei quattro settori fondamentali, ma anche misure orizzontali volte a migliorare la situazione dei Rom, e dà particolare risalto alla necessità di garantire che la direttiva sia applicata efficacemente sul terreno, in particolare incoraggiando gli Stati membri a prendere nuove misure per garantire che le proprie normative a livello nazionale, regionale e locale non siano discriminatorie e non conducano a pratiche di segregazione[74]. La raccomandazione rafforzerà l’efficacia della protezione contro le discriminazioni e promuoverà misure proattive.

La Corte di giustizia non si è ancora pronunciata su casi riguardanti specificamente i Rom[75], ma si possono trovare esempi interessanti nella giurisprudenza nazionale (cfr. allegato II).

6. Aspetti specifici della direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione (2000/78/CE)

6.1 Età

All’epoca dell’adozione della direttiva, la nozione di discriminazione fondata sull’età per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro era una novità in molti Stati membri, il che ha richiesto dai datori di lavoro un cambiamento di approccio rispetto alle questioni legate all’età. Le discriminazioni nei confronti dei lavoratori più anziani acquistano crescente importanza a causa dei cambiamenti demografici in atto in Europa, che sono all’origine di gran parte della normativa recente in materia di età, come l’abolizione o l’innalzamento dell’età pensionabile obbligatoria, i disincentivi al pensionamento anticipato e altre misure volte a mantenere i lavoratori anziani sul mercato del lavoro.

L’articolo 6 della direttiva prevede, in alcune circostanze, una giustificazione per le disparità di trattamento in ragione dell’età[76]. Eventuali deroghe devono tuttavia essere oggettivamente e ragionevolmente giustificate da una finalità legittima, compresi giustificati obiettivi di politica del lavoro, di mercato del lavoro e di formazione professionale, e i mezzi per il conseguimento di tale finalità devono essere appropriati e necessari. Poiché concede notevole flessibilità agli Stati membri, questa disposizione ha dato origine a un numero considerevole di decisioni importanti della Corte di giustizia e dei giudici nazionali, che hanno gettato luce sui criteri di ammissibilità delle disparità di trattamento.

Data la particolare importanza e la rilevanza pratica di questo ambito, l’allegato III della presente relazione presenta una panoramica delle problematiche legate all’età[77].

6.2 Disabilità

La Corte di giustizia ha già pronunciato alcune sentenze epocali sulle discriminazioni a motivo della disabilità. Nella causa Chacón Navas[78], la Corte ha definito la nozione di handicap e ha stabilito che la malattia in quanto tale non è riconducibile a tale nozione. Più di recente, nelle cause riunite Ring e Skouboe Werge[79], ha invece precisato che la nozione di handicap in talune circostanze può includere una condizione patologica causata da una malattia incurabile o che richieda cure di lunga durata. La Corte ha altresì integrato nella propria interpretazione la nozione di disabilità prevista dalla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

La convenzione è il primo strumento internazionale sui diritti umani giuridicamente vincolante del quale l’Unione europea è divenuta parte contraente[80]. Di conseguenza, la convenzione vincola l’Unione europea entro i limiti delle sue competenze[81] e la direttiva 2000/78/CE deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme alla convenzione[82].

L’obbligo in capo ai datori di lavoro di prendere soluzioni ragionevoli per i disabili[83] è uno degli elementi fondamentali della direttiva e la Commissione ha rigorosamente controllato il corretto recepimento di questa previsione negli ordinamenti nazionali. Inizialmente diversi Stati membri hanno avuto problemi al riguardo[84]. Con sentenza del 4 luglio 2013 la Corte di giustizia ha constatato che uno Stato membro[85] non aveva recepito correttamente la disposizione della direttiva poiché la legge nazionale non comprendeva esaustivamente tutti i disabili. Tutti gli altri casi invece sono chiusi.

6.3 Orientamento sessuale

All’epoca del recepimento della direttiva, il divieto di discriminazione fondata sulle tendenze sessuali era una novità per quasi tutti gli Stati membri. La Commissione aveva dovuto avviare procedimenti di infrazione contro diversi Stati membri[86] a causa della protezione carente prevista per questo motivo. Tutti i casi sono ormai chiusi e tutti gli Stati membri garantiscono la necessaria protezione.

La Corte di giustizia ha interpretato i confini entro cui sussiste discriminazione a motivo delle tendenze sessuali con alcune sentenze epocali, come le sentenze Maruko e Römer[87], nelle quali conclude che, se il diritto nazionale pone persone dello stesso sesso in una posizione analoga a quella dei coniugi, le disposizioni nazionali che negano ai partner dello stesso sesso le prestazioni riconosciute ai coniugi rientrano nella sfera di applicazione della direttiva. La recente causa Accept[88] illustra le difficoltà che ancora restano e la necessità di mantenere costante la vigilanza sul rispetto del divieto di discriminazione[89]. In questa causa la Corte ha stabilito che le dichiarazioni pubbliche rilasciate dal dirigente principale di una squadra di calcio professionistica in Romania, in cui affermava che non avrebbe mai ingaggiato un calciatore omosessuale, violavano la direttiva 2000/78/CE.

6.4 Religione o convinzioni personali

La direttiva vieta le discriminazioni a motivo della religione o delle convinzioni personali sul lavoro e assicura protezione a chiunque professi una particolare religione o convinzione personale. Tuttavia, l’articolo 4, paragrafo 2, ammette una deroga per chiese e altre organizzazioni la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali allorché agiscono in qualità di datori di lavoro. Queste organizzazioni possono, a determinate condizioni, stabilire requisiti specifici basati sulla religione o le convinzioni personali dei dipendenti. Tali requisiti (definiti “requisiti per lo svolgimento dell’attività lavorativa”) devono essere essenziali, legittimi e giustificati e non devono basarsi su altri criteri (per esempio, le tendenze sessuali del dipendente). La Commissione ha controllato la conformità delle leggi nazionali di attuazione con questa deroga, che per giunta, riguardando un'eccezione, va interpretata restrittivamente. In un primo tempo sei Stati membri[90] hanno avuto problemi di corretta attuazione della disposizione, ma tutti i procedimenti di infrazione sono ormai chiusi.

7. Conclusioni e prospettive per il futuro

Ad oggi, tutti gli Stati membri hanno preso le disposizioni necessarie per recepire le due direttive nei rispettivi ordinamenti giuridici e istituito le procedure e gli organismi indispensabili per la loro applicazione. Le autorità amministrative e giurisdizionali degli Stati membri, e i rispettivi organismi per la promozione della parità di trattamento, sono ormai in prima linea per garantire sistematicamente a tutti una piena e fattiva protezione. La Commissione europea provvederà a monitorare l’attuazione delle direttive, assisterà in questo le autorità degli Stati membri e continuerà a svolgere tale funzione di controllo anche nel contesto della relazione annuale sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Ora come ora la sfida principale è sensibilizzare il pubblico alle forme di tutela esistenti e assicurare una migliore attuazione e applicazione pratica delle direttive. La Commissione si adopererà, di concerto con gli Stati membri e i rispettivi organismi per la promozione della parità di trattamento, per realizzare appieno il potenziale delle direttive in termini di tutela del diritto fondamentale alla parità di trattamento nell’UE. Scopo dei tre allegati della presente relazione è contribuire in tal senso. Eppure la legislazione da sola non basta a garantire la piena parità di trattamento; deve essere associata a un’azione politica adeguata. Il programma Progress dell’Unione europea per l’occupazione e la solidarietà sociale già finanzia attività di sensibilizzazione e formazione, ma la Commissione deve rafforzare tali attività in cooperazione con gli Stati membri se vuole un miglioramento tangibile della conoscenza dei diritti in tutta l’UE.

Rafforzare il ruolo di vigilanza degli organismi nazionali per la promozione della parità di trattamento può contribuire in misura decisiva a un’attuazione e applicazione più efficace di entrambe le direttive. Migliorando l’efficacia di tali organismi in modo che possano sfruttare appieno le loro potenzialità, si potrà contribuire in misura determinante a promuovere la parità di trattamento, rendendola accessibile più facilmente per tutti nell’UE e più rapidamente e a minor costo rispetto al ricorso giurisdizionale per tutte le parti interessate (inclusi gli Stati membri).

[1]               Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU L 180 del 19.7.2000, pag. 22) e direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303 del 2.12.2000, pag. 16).

[2]               COM(2006) 643 definitivo del 30.10.2006 (direttiva 2000/43/CE).

[3]               COM(2008) 225 definitivo del 19.6.2008 (direttiva 2000/78/CE).

[4]               Articolo 17 della direttiva 2000/43/CE e articolo 19 della direttiva 2000/78/CE.

[5]               Ai sensi dell’articolo 25 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), la Commissione presenta una relazione, ogni tre anni, in merito all’applicazione delle disposizioni della parte del trattato “Non discriminazione e cittadinanza dell’Unione”, cfr. COM(2013) 270 dell’8 maggio 2013. La relazione ai sensi dell’articolo 25 TFUE per il periodo 2011-2013 rimanda alla presente relazione per quanto riguarda la non discriminazione ai sensi dell’articolo 19 TFUE.

[6]               Articoli citati nella nota 4.

[7]               Belgio, Danimarca, Germania, Ungheria, Austria, Svezia e Regno Unito hanno risposto separatamente.

[8]               Centro europeo delle imprese a partecipazione pubblica e delle imprese di interesse economico generale (CEEP), BusinessEurope, Confederazione europea dei sindacati (CES), EUROCADRES e Unione europea dell’artigianato e delle piccole e medie imprese (UEAPMI).

[9]               Lobby europea delle donne, Piattaforma delle ONG europee del settore sociale (Piattaforma sociale), Rete europea sulle religioni e le convinzioni personali (ENORB), Rete europea contro il razzismo (ENAR), ILGA-Europe, Piattaforma per gli anziani (AGE Platform), Forum europeo sulla disabilità (EDF), Open Society, Amnesty International e Centro europeo per i diritti dei Rom (ERRC). La Piattaforma per la cooperazione internazionale sui migranti senza documenti (PICUM) e il Forum europeo delle donne musulmane hanno inoltre trasmesso contributi di propria iniziativa.

[10]             Questa rete offre consulenza alla Commissione sulle direttive antidiscriminazione.

[11]             La direttiva 2000/43/CE doveva essere recepita entro il 19 luglio 2003 nei paesi UE-15, entro il 1° maggio 2004 nei paesi UE-10, entro il 1° gennaio 2007 in Romania e Bulgaria ed entro il 1° luglio 2013 in Croazia; la direttiva 2000/78/CE doveva essere recepita entro il 2 dicembre 2003 nei paesi UE-15 ed entro le date suindicate nei nuovi Stati membri. Tuttavia la direttiva 2000/78/CE concedeva fino a un massimo di tre anni supplementari per recepire le disposizioni relative all’età e alla disabilità.

[12]             Nessun procedimento contro il Lussemburgo; per Bulgaria e Croazia l’esame è ancora in corso.

[13]             Restano aperti i procedimenti di infrazione per non conformità avviati nei confronti di Belgio e Romania (Belgio per entrambe le direttive, Romania per la direttiva 2000/78/CE).

[14]             Causa C-312/11, Commissione/Italia, sentenza del 4 luglio 2013.

[15]             Si vedano i procedimenti di infrazione più recenti, avviati nei confronti di due Stati membri (Ungheria per la direttiva 2000/78/CE nel 2012 e Finlandia per la direttiva 2000/43/CE nel 2013). Il primo caso riguarda la riduzione dell’età pensionabile obbligatoria per giudici, procuratori e notai; il secondo riguarda le competenze insufficienti dell’organismo nazionale per la promozione della parità ai sensi della direttiva 2000/43/CE. La Corte di giustizia ha condannato l’Ungheria per non essersi conformata alla direttiva 2000/78/CE avendo notevolmente ridotto l’età pensionabile obbligatoria prevista per giudici, procuratori e notai (causa C-286/12, Commissione/Ungheria, sentenza del 6 novembre 2012). A seguito della sentenza, l’11 marzo 2013 l’Ungheria ha adottato la legge T‑9598 per garantire la conformità con la direttiva e il caso potrebbe chiudersi il 20 novembre 2013.

[16]             Due casi riguardano la Grecia e i limiti di età nell’ambito del servizio pubblico, il terzo riguarda la Repubblica ceca e l’insufficiente protezione contro le discriminazioni per le persone disabili in cerca di lavoro.

[17]             Le pubblicazioni della Commissione, a cura della rete europea degli esperti giuridici in materia di non discriminazione, sono disponibili all’indirizzo: http://ec.europa.eu/justice/discrimination/document/index_en.htm#h2-7, le relazioni di Equinet sono disponibili all’indirizzo: http://www.equineteurope.org e le relazioni della FRA all’indirizzo: http://fra.europa.eu.

[18]             I finanziamenti provengono dal programma Progress 2007-2013 (decisione n. 1672/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006, che istituisce un programma comunitario per l’occupazione e la solidarietà sociale – Progress (GU L 315 del 15.11.2006). I corsi di formazione sono attualmente organizzati dall’Accademia del diritto europeo di Trier, sulla base di un contratto concluso con la Commissione, cfr. http://www.era.int.

[19]             Articolo 10 della direttiva 2000/43/CE e articolo 12 della direttiva 2000/78/CE.

[20]             Secondo l’indagine EU-MIDIS condotta dall’Agenzia per i diritti fondamentali nel 2010 (http://fra.europa.eu/en/publications-and-resources/publications?title=EU-MIDIS+&=Apply), soltanto il 25% degli interpellati afferma di essere a conoscenza della normativa antidiscriminazione

[21]             Le offerte di lavoro non devono contenere requisiti discriminatori come l’età o l’origine etnica degli aspiranti. Alcuni Stati membri hanno sperimentato i CV anonimi per escludere eventuali pregiudizi nella selezione dei candidati a un colloquio di lavoro; per esempio il progetto pilota tedesco http://www.antidiskriminierungsstelle.de/DE/ThemenUndForschung/anonymisierte_bewerbungen/anonymisierte_bewerbungen_node.html.

[22]             Per esempio, Bulgaria, Irlanda, Italia, Polonia, Romania, Slovacchia e Spagna. Gli organismi per la promozione della parità di trattamento di Austria, Regno Unito e Polonia hanno trasmesso informazioni dettagliate in proposito. Alcuni Stati membri riferiscono di utilizzare i finanziamenti del programma Progress per progetti di sensibilizzazione.

[23]             È anche una delle raccomandazioni formulate dalla FRA nel suo parere n. 1/2013 relativo alle due direttive, consultabile all’indirizzo: http://fra.europa.eu/en/opinion/2013/fra-opinion-situation-equality-european-union-10-years-initial-implementation-equality.

[24]             Gli articoli 11 e 12 della direttiva 2000/43/CE e gli articoli 13 e 14 della direttiva 2000/78/CE evidenziano il ruolo delle parti sociali e delle organizzazioni non governative nella promozione della parità di trattamento.

[25]             Per esempio, gli orientamenti per le imprese e i lavoratori della commissione per la parità e i diritti umani del Regno Unito, disponibili online all’indirizzo: http://www.equalityhumanrights.com/advice-and-guidance/new-equality-act-guidance/

[26]             Per dati sulla parità si intendono i dati raccolti in materia di parità di trattamento e discriminazioni.

[27]             Questo non riguarda soltanto i dati relativi ai motivi di discriminazione previsti dalle due direttive, ma anche i dati disaggregati per sesso. Se gli Stati membri non raccolgono dati in base al sesso, non sono in grado di stabilire se le donne, invece che gli uomini, siano vittime di discriminazioni.

[28]             Cfr. anche la relazione Equinet del dicembre 2009, Statistics on Discrimination and Database on Complaints. A contribution from national equality bodies, disponibile all’indirizzo: http://www.equineteurope.org.

[29]             I test situazionali sono un metodo che permette di evidenziare eventuali discriminazioni sulla base di situazioni in cui vengono confrontate le esperienze di due persone – ad esempio due candidati nel medesimo posto di lavoro – che differiscono tra loro solo per la particolare caratteristica in esame (per es. l’età).

[30]             Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281 del 23.11.1995, pagg. 31-50). L’imminente riforma del quadro giuridico dell’UE in materia di protezione dei dati personali, presentata dalla Commissione europea, non introdurrà modifiche al riguardo.

[31]             Nella presente relazione tutti i riferimenti ai dati sulla parità sono da intendersi nel senso di dati anonimi raccolti a fini statistici e di prova, che escludono la possibilità di identificare le persone fisiche interessate.

[32]             Germania, Irlanda, Francia, Croazia e Ungheria hanno pubblicato indagini, relazioni o manuali in materia di raccolta di dati sulla parità di trattamento.

[33]             Indagine EU-MIDIS del 2010, condotta dall’Agenzia per i diritti fondamentali, disponibile all’indirizzo: http://fra.europa.eu/en/publications-and-resources.

[34]             Cfr. la relazione Equinet 2012 Tackling the ‘Known Unknown’ How Equality Bodies Can Address Under-Reporting of Discrimination through Communications, consultabile all’indirizzo: http://www.equineteurope.org.

[35]             Queste restrizioni emergono dagli studi condotti in materia, per esempio uno studio comparativo del 2011 sull’accesso alla giustizia ai sensi delle leggi in materia di uguaglianza di genere e antidiscriminazione (Comparative study on access to justice in gender equality and anti-discrimination law), richiesto dalla Commissione europea e disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/justice/gender-equality/files/conference_sept_2011/final_report_access_to_justice_final_en.pdf e la relazione della FRA Access to justice in cases of discrimination in the EU – Steps to further equality, disponibile all’indirizzo: http://fra.europa.eu/en/publications-and-resources.

[36]             Per esempio, vari Stati membri avevano erroneamente fissato un limite massimo di risarcimento nei casi di discriminazione.

[37]             Studi citati alla nota 35 e relazioni nazionali elaborate da esperti giuridici indipendenti in materia di antidiscriminazione, organismi nazionali per la promozione della parità di trattamento e Equinet.

[38]             Per esempio, dati raccolti da esperti giuridici indipendenti di tutti gli Stati membri, confrontati e riepilogati nella relazione Developing Anti-Discrimination Law in Europe dell’ottobre 2012, disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/justice/discrimination/document/index_en.htm#h2-7.

[39]             Causa C-81/12, Asociaţia ACCEPT/Consiliul Naţional pentru Combaterea Discriminării, sentenza del 25 aprile 2013. La Corte di giustizia ha lasciato al giudice nazionale il compito di valutare se ciò si verifichi nel caso della normativa in questione.

[40]             Per esempio, la Germania.

[41]             Per esempio, la Danimarca e la Germania.

[42]             Per esempio, l’Estonia riferisce che nel periodo 2007-2011 i giudici estoni si sono pronunciati soltanto in tre casi di discriminazione nel settore dell’occupazione. La Finlandia riferisce che la legge antidiscriminazione ha generato ben poca giurisprudenza e che i tribunali superiori non hanno esaminato praticamente nessun caso di discriminazione. La Lettonia non indica nessuna causa penale per il periodo 2009-2012 e segnala tra le 44 e le 57 cause annuali vagamente legate alle discriminazioni e alle disparità di trattamento. A Malta la giurisprudenza in materia è praticamente inesistente.

[43]             Per esempio, la nozione di “soluzione ragionevole”, che si applica soltanto nel contesto delle disabilità.

[44]             Per esempio, l’Irlanda e la Danimarca.

[45]             Per esempio, l’Estonia, la Slovenia e la Finlandia.

[46]             Nel loro contributo comune, gli organismi per la promozione della parità di trattamento hanno indicato una necessità specifica di monitoraggio per garantire l’applicazione uniforme della nozione di discriminazione indiretta. Cfr. Equality law in Practice – Report on the Implementation of the Race and General Framework Directives, relazione dell’Equinet, maggio 2013, disponibile all’indirizzo: http://www.equineteurope.org.

[47]             L’inversione dell’onere probatorio si applica unicamente nei procedimenti civili e non in quelli penali.

[48]             Repubblica ceca, Estonia, Italia, Cipro, Lituania, Ungheria, Malta e Romania.

[49]             Belgio, Malta e Slovacchia.

[50]             Slovacchia.

[51]             Cfr. nota 18. Una delle questioni specificamente trattate nell’ambito della formazione è l’onere della prova nei casi di discriminazione.

[52]             Si vedano l’articolo 5 della direttiva 2000/43/CE e l’articolo 7 della direttiva 2000/78/CE. Stando alle due previsioni, allo scopo di assicurare l’effettiva e completa parità, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi connessi, da un lato, con una determinata razza o origine etnica, dall’altro, con la religione o le convinzioni personali, l’handicap, l’età o le tendenze sessuali.

[53]             Soltanto la Lituania ha comunicato di non aver preso misure di questo tipo.

[54]             Per quanto riguarda l’azione positiva a favore delle persone disabili, gli Stati membri indicano di aver fissato obiettivi per la loro assunzione nel settore pubblico. L’azione positiva a favore dei Rom è più diversificata e comprende i quattro ambiti fondamentali previsti dalle strategie nazionali per i Rom (occupazione, alloggio, istruzione e assistenza sanitaria). Nella raccomandazione del Consiglio su misure efficaci per l’integrazione dei Rom negli Stati membri adottata il 9 dicembre 2013 (documento del Consiglio n. 16970/13 disponibile all’indirizzo http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/lsa/139979.pdf – riferimento GU non ancora disponibile), agli Stati membri è raccomandato, al fine di promuovere la piena uguaglianza effettiva dei Rom, “di adottare misure di intervento efficaci per assicurare la loro parità di trattamento e il rispetto dei loro diritti fondamentali, tra cui la parità di accesso all’istruzione, all’occupazione, all’assistenza sanitaria e all’alloggio.” (punto 1.1).

[55]             Considerando 14 della direttiva 2000/43/CE e considerando 3 della direttiva 2000/78/CE. Entrambe le direttive menzionano anche la necessità di valutare, conformemente al principio dell’integrazione di genere, l’impatto delle disposizioni adottate su donne e uomini (articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2000/43/CE e articolo 19, paragrafo 2, della direttiva 2000/78/CE). Molti Stati membri hanno affermato di non disporre di informazioni pertinenti al riguardo; Irlanda, Spagna, Francia, Paesi Bassi e Polonia hanno invece fornito informazioni complete.

[56]             Proposta di direttiva recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, COM(2008) 426 definitivo.

[57]             Causa C-303/06, Coleman, sentenza del 17 luglio 2008, nella quale la Corte di giustizia ha statuito che la direttiva 2000/78/CE tutela la madre di un bambino disabile contro le molestie e le discriminazioni sul lavoro, allorché i problemi derivano dal fatto che ha bisogno di permessi supplementari per prendersi cura del figlio.

[58]             Cfr. allegato II, punto 2c.

[59]             Articolo 3, paragrafo 2, di entrambe le direttive, considerando 13 della direttiva 2000/43/CE e considerando 12 della direttiva 2000/78/CE.

[60]             Per “cittadino di un paese terzo” si intende chi non è cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, TFUE, come definito, per esempio, nella direttiva 2011/98/UE.

[61]             Esempi di direttive che stabiliscono specificamente il diritto dei cittadini di paesi terzi alla parità di trattamento rispetto ai cittadini degli Stati membri sono la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU L 16 del 23.1.2004, pag. 44), modificata dalla direttiva 2011/51/UE (GU L 132 del 19.5.2011, pag. 1) per estenderne il campo di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale, e la direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro (GU L 343 del 23.12.2011, pag. 1). Quest’ultima, al considerando 29, menziona espressamente le direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE.

[62]             I principi fondamentali comuni sull’integrazione stabiliscono un quadro a livello UE per la cooperazione politica in materia di integrazione dei cittadini dei paesi terzi, compreso il rispetto dei principi di parità e di non discriminazione, che è stato ulteriormente sviluppato attraverso le comunicazioni della Commissione in materia di integrazione, gli scambi fra gli Stati membri e la consultazione con le parti interessate. Principi fondamentali comuni per la politica di integrazione degli immigrati nell’Unione europea, adottati il 19 novembre 2004 (documento del Consiglio n. 14615/04); Un’agenda comune per l’integrazione, COM (2005) 389 definitivo; Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi, COM (2011) 455 definitivo.

[63]             Il Regno Unito riferisce che una definizione di “razza” figura all’articolo 9, paragrafo 1, dell’Equality Act del 2010, così formulata: “La razza comprende: a) il colore; b) la nazionalità; c) l’origine etnica o nazionale.”, mentre il concetto di “origine etnica o nazionale” è incluso nella definizione di “razza” e non è ulteriormente definito. In Svezia la definizione di “identità etnica” come “origine nazionale o etnica, colore della pelle o altre caratteristiche analoghe” figura nella legge contro le discriminazioni. Altri Stati membri si richiamano all’interpretazione data in documenti preparatori nazionali, dalla giurisprudenza nazionale o nelle convenzioni internazionali, in particolare la convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale menzionata anche nel preambolo della direttiva.

[64]             La relazione Equinet Equality Law in Practice – Comparative analysis of discrimination cases in Europe dimostra, nello studio di un caso valutato dagli organismi nazionali per la promozione della parità, quanto possa essere difficile stabilire il confine tra motivi diversi; la relazione è disponibile all’indirizzo: http://www.equineteurope.org.

[65]             Ciò nonostante sono in corso procedimenti di infrazione nei confronti di Belgio e Finlandia in relazione alle competenze insufficienti dell’organismo o degli organismi nazionali per la promozione della parità, ma la questione per il Belgio sembra in procinto di risolversi.

[66]             Direttiva 2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura (GU L 373 del 21.12.2004, pag. 37) e direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (rifusione) (GU L 204 del 26.7.2006, pag. 23).

[67]             Tutti tranne Danimarca, Italia, Malta, Portogallo, Spagna e Finlandia. In Danimarca però, la commissione danese per la parità di trattamento, un organismo amministrativo indipendente incaricato di esaminare le denunce, è competente per una grande varietà di motivi di discriminazione, tra cui tutti quelli contemplati dalla direttiva 2000/78/CE.

[68]             Sono stati contattati diversi Stati membri nel corso di questo controllo ed è stato chiesto loro di fornire prove dell’assistenza prestata alle vittime di discriminazioni, delle relazioni pubblicate e delle inchieste svolte. Finora è stato avviato un procedimento di infrazione nei confronti della Finlandia (riguardante l’assenza di un organismo per la promozione della parità di trattamento competente in materia di occupazione ai sensi della direttiva 2000/43/CE).

[69]             Per esempio, la Commissione ha contestato una disposizione della legge rumena che pareva autorizzare una particolare categoria di discriminazioni indirette nel settore della gestione e della pianificazione del territorio. La disposizione era formulata in termini neutri, ma sembrava mirare direttamente i Rom.

[70]             Per accertare se una data legge o misura comportino un elemento discriminatorio specifico nei confronti dei Rom, non è indispensabile che si riferiscano espressamente ai Rom o usino un altro termine (per esempio “nomadi”), basta che sia chiaro che sono dirette contro i Rom.

[71]             Non necessariamente norme in materia di parità di trattamento, ma anche altre disposizioni sulla parità di trattamento negli ambiti previsti dalla direttiva (per esempio, la normativa in materia di edilizia popolare per quanto riguarda l’accesso all’alloggio).

[72]             COM(2011) 173 definitivo del 5.4.2011.

[73]             Documento del Consiglio n. 16970/13 disponibile all’indirizzo http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/lsa/139979.pdf – riferimento GU non ancora disponibile).

[74]             Punto 2.1 della raccomandazione.

[75]             La causa C-394/11, Belov, il primo caso di discriminazione specifica nei confronti dei Rom sottoposto alla Corte di giustizia, è stata dichiarata “non ammissibile” dalla Corte il 31 gennaio 2013, in quanto l’organismo bulgaro per la promozione della parità di trattamento (che ha rinviato il caso alla Corte) non è considerato un organo giurisdizionale ai sensi del trattato.

[76]             Condizioni specifiche per i giovani e i lavoratori anziani, fissazione di condizioni minime di età, di esperienza professionale o di anzianità di lavoro e fissazione di un’età massima per l’assunzione.

[77]             Basata sui contributi degli Stati membri e delle parti interessate e su una relazione del 2011 della Commissione, Age and Employment, disponibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/justice/discrimination/document/index_en.htm#h2-7.

[78]             Causa C-13/05 Chacón Navas, sentenza dell’11 luglio 2006.

[79]             Cause riunite C-335/11 e C-337/11, Ring e Skouboe Werge, sentenza dell’11 aprile 2013.

[80]             L’Unione europea ha firmato la convenzione il 30 marzo 2007 e la convenzione 7 è entrata in vigore per l’UE il 22 gennaio 2011. La prima relazione periodica dell’UE sull’attuazione della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità è prevista nel 2014.

[81]             Tali competenze sono elencate nell’allegato II della decisione 2010/48/CE del Consiglio, del 26 novembre 2009, relativa alla conclusione, da parte della Comunità europea, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (GU L 23 del 27.1.2010, pag. 35).

[82]             Cfr. punti 28-32 delle cause riunite Ring e Skouboe Werge, citate alla nota 79.

[83]             Prevedere soluzioni ragionevoli significa che il datore di lavoro deve prendere i provvedimenti appropriati per consentire ai disabili di accedere a un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato.

[84]             Belgio, Estonia, Cipro, Italia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia e Slovacchia.

[85]             L’Italia. Causa C-312/11, Commissione/Italia, sentenza del 4 luglio 2013. A seguito della sentenza, l’Italia ha modificato la propria normativa e la modifica è attualmente all’esame della Commissione.

[86]             Repubblica ceca, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Finlandia e Regno Unito.

[87]             Causa C-267/06, Maruko/Versorgungsanstalt der deutschen Bühnen, sentenza del 1° aprile 2008, e causa C-147/08, Römer/Freie und Hansestadt Hamburg, sentenza del 10 maggio 2011.

[88]             Causa C-81/12, Asociaţia ACCEPT/Consiliul Naţional pentru Combaterea Discriminării, sentenza del 25 aprile 2013.

[89]             Cfr. la recente indagine condotta dalla FRA a livello UE sulle esperienze di discriminazione, violenza e molestie subite da persone LGBT, pubblicata nel maggio 2013 e disponibile all’indirizzo: http://fra.europa.eu/en/publication/2013/eu-lgbt-survey-european-union-lesbian-gay-bisexual-and-transgender-survey-results, e il documento Equinet del 2013, Equality bodies promoting equality & non-discrimination for LGBTI people, disponibile all’indirizzo: www.equineteurope.org, il cui scopo è valorizzare l’operato degli organismi che promuovono la parità di trattamento e lottano contro le discriminazioni nei confronti delle persone LGBTI.

[90]             Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Slovenia, Finlandia e Regno Unito.

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