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Documento 62002CJ0055

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) del 12 ottobre 2004.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica portoghese.
Inadempimento di uno Stato - Artt. 1, 6 e 7 della direttiva 98/59/CE - Nozione di 'licenziamento collettivo' - Regime di licenziamenti per assimilazione - Trasposizione incompleta.
Causa C-55/02.

Raccolta della Giurisprudenza 2004 I-09387

Identificatore ECLI: ECLI:EU:C:2004:605

Arrêt de la Cour

Causa C-55/02

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica portoghese

«Inadempimento di uno Stato — Artt. 1, 6 e 7 della direttiva 98/59/CE — Nozione di “licenziamento collettivo” — Regime di licenziamenti per assimilazione — Trasposizione incompleta»

Massime della sentenza

Politica sociale — Ravvicinamento delle legislazioni — Licenziamenti collettivi — Direttiva 98/59 — Nozione di licenziamento collettivo — Cessazione del contratto di lavoro senza il consenso del lavoratore e derivante da circostanze estranee alla volontà del datore di lavoro — Inclusione

[Direttiva del Consiglio 98/59/CE, art. 1, n. 1, primo comma, lett. a)]

La nozione di licenziamento, di cui all’art. 1, n. 1, primo comma, lett. a), della direttiva 98/59, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, possiede una dimensione comunitaria e non può essere definita mediante un rinvio alle legislazioni degli Stati membri. Essa dev’essere interpretata nel senso che non comprende i soli licenziamenti per ragioni di natura strutturale, tecnologica o congiunturale, bensì qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso. Pertanto, una cessazione del contratto di lavoro senza il consenso del lavoratore non può sfuggire all’applicazione della direttiva per il solo fatto di derivare da circostanze estranee alla volontà del datore di lavoro. Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva volta appunto a rafforzare la protezione dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi risulterebbero raggiunti solo parzialmente se siffatta cessazione del contratto di lavoro fosse esclusa dal regime della direttiva stessa.

(v. punti 49-50, 52-53, 60, 66, dispositivo 1)





SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
12 ottobre 2004(1)

«Inadempimento di uno Stato – Artt. 1, 6 e 7 della direttiva 98/59/CE – Nozione di “licenziamento collettivo” – Regime di licenziamenti per assimilazione – Trasposizione incompleta»

Nella causa C-55/02,avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell'art. 226 CE,proposto il 22 febbraio 2004,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. J. Sack e M. França, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica portoghese, rappresentata dai sigg. L. Fernandes e F. Ribeiro Lopes, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,



LA CORTE (Seconda Sezione),,



composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dal sig. C. Gulmann, dalle sig.re F. Macken e N. Colneric (relatore), e dal sig. J.N. Cunha Rodrigues.

avvocato generale: sig. A. Tizzano
cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza dell'11 marzo 2004,

ha pronunciato la seguente



Sentenza



1
Con il proprio ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che, limitando la nozione di licenziamenti collettivi ai licenziamenti per ragioni di natura strutturale, tecnologica o congiunturale e non estendendo tale nozione ad ogni licenziamento per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi del Trattato CE e degli artt. 1, 6 e 7 della direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU L 225, pag. 16).


Contesto normativo

La normativa comunitaria

2
La direttiva del Consiglio 17 febbraio 1975, 75/129/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi (GU L 48, pag. 29), come modificata dalla direttiva del Consiglio 24 giugno 1992, 92/56/CEE (GU L 245, pag. 3), è stata abrogata, ai fini della sua codificazione, dalla direttiva 98/59 (in prosieguo: la «direttiva»). In tale occasione non è stato fissato alcun nuovo termine di trasposizione.

3
Come si legge nel secondo ‘considerando’ della direttiva, «occorre rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi, tenendo conto della necessità di uno sviluppo economico-sociale equilibrato nella Comunità».

4
Nel terzo ‘considerando’ della direttiva medesima si afferma «che, nonostante un’evoluzione convergente, sussistono differenze tra le disposizioni in vigore negli Stati membri della Comunità per quanto riguarda le modalità e la procedura dei licenziamenti collettivi e le misure che possono attenuare per i lavoratori le conseguenze di tali licenziamenti».

5
A termini del successivo quarto ‘considerando’, «tali differenze possono ripercuotersi direttamente sul funzionamento del mercato interno».

6
Nel successivo settimo ‘considerando’ si rileva che «è quindi necessario promuovere tale ravvicinamento nel progresso, ai sensi dell’articolo 117 del Trattato».

7
Ai sensi del successivo ottavo ‘considerando’, «per calcolare il numero di licenziamenti previsti nella definizione di licenziamenti collettivi ai sensi della presente direttiva occorre assimilare ai licenziamenti altre forme di cessazione del contratto di lavoro per iniziativa del datore di lavoro, purché i licenziamenti siano almeno cinque».

8
A termini del successivo nono ‘considerando’, la direttiva si applica «in linea di massima anche ai licenziamenti collettivi determinati dalla cessazione dell’attività dello stabilimento conseguente ad una decisione giudiziaria».

9
L’art. 1 della direttiva così recita:

«1. Ai fini dell’applicazione della presente direttiva:

a)
per licenziamento collettivo si intende ogni licenziamento effettuato da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore se il numero dei licenziamenti effettuati è, a scelta degli Stati membri:

i)
per un periodo di 30 giorni:

almeno pari a 10 negli stabilimenti che occupano abitualmente più di 20 e meno di 100 lavoratori;

almeno pari al 10% del numero dei lavoratori negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 100 e meno di 300 lavoratori;

almeno pari a 30 negli stabilimenti che occupano abitualmente almeno 300 lavoratori;

ii)
oppure, per un periodo di 90 giorni, almeno pari a 20, indipendentemente dal numero di lavoratori abitualmente occupati negli stabilimenti interessati;

b)
per rappresentanti dei lavoratori si intendono i rappresentanti dei lavoratori previsti dal diritto o dalla pratica in vigore negli Stati membri.

Per il calcolo del numero dei licenziamenti previsti nel primo comma, lettera a), sono assimilate ai licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno cinque.

2. La presente direttiva non si applica:

a)
ai licenziamenti collettivi effettuati nel quadro di contratti di lavoro a tempo determinato o per un compito determinato, a meno che tali licenziamenti non avvengano prima della scadenza del termine o dell’espletamento del compito previsto nei suddetti contratti;

(…)».

10
L’art. 2 della direttiva prevede una procedura di consultazione e di informazione dei rappresentanti dei lavoratori.

11
Il detto art. 2 dispone, al n. 2, primo comma, quanto segue:

«Nelle consultazioni devono essere almeno esaminate le possibilità di evitare o ridurre i licenziamenti collettivi, nonché di attenuarne le conseguenze ricorrendo a misure sociali di accompagnamento intese in particolare a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati».

12
Gli artt. 3 e 4 della direttiva stabiliscono le norme applicabili alla procedura di licenziamento collettivo.

13
L’art. 3, n. 1, della direttiva così recita:

«Il datore di lavoro deve notificare per iscritto ogni progetto di licenziamento collettivo all’autorità pubblica competente.

Tuttavia, gli Stati membri possono prevedere che in caso di un progetto di licenziamento collettivo determinato dalla cessazione delle attività dello stabilimento conseguente ad una decisione giudiziaria, il datore di lavoro debba notificarlo per iscritto all’autorità pubblica competente soltanto dietro richiesta di quest’ultima.

La notifica dovrà contenere tutte le informazioni utili concernenti il progetto di licenziamento collettivo e le consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori previste all’articolo 2, segnatamente i motivi del licenziamento, il numero dei lavoratori che dovranno essere licenziati, il numero dei lavoratori abitualmente occupati ed il periodo nel corso del quale s’effettueranno i licenziamenti».

14
A termini dell’art. 4 della direttiva:

«1. I licenziamenti collettivi il cui progetto è stato notificato all’autorità pubblica competente avranno effetto non prima di 30 giorni dalla notifica prevista all’articolo 3, paragrafo 1, ferme restando le disposizioni che disciplinano i diritti individuali in materia di termini di preavviso.

Gli Stati membri possono accordare all’autorità pubblica competente la facoltà di ridurre il termine fissato al primo comma.

2. L’autorità pubblica competente si avvale del termine di cui al paragrafo 1 per cercare soluzioni ai problemi posti dai licenziamenti collettivi prospettati.

(…)

4. Gli Stati membri non sono tenuti ad applicare il presente articolo ai licenziamenti collettivi determinati dalla cessazione delle attività di uno stabilimento conseguente ad una decisione giudiziaria».

15
Il successivo art. 6 precisa quanto segue:

«Gli Stati membri provvedono affinché i rappresentanti dei lavoratori e/o i lavoratori dispongano di procedure amministrative e/o giurisdizionali per far rispettare gli obblighi previsti dalla presente direttiva».

16
Ai sensi del successivo art. 7:

«Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni essenziali di diritto interno che essi adottano o hanno già adottato nel settore disciplinato dalla presente direttiva.

La normativa nazionale

17
L’art. 53 della Costituzione portoghese così dispone:

«Ai lavoratori è garantita la sicurezza del posto di lavoro. Sono vietati i licenziamenti senza giusta causa o per motivi politici o ideologici».

18
Nell’ordinamento giuridico portoghese la direttiva è stata trasposta per mezzo del decreto legge 27 febbraio 1989, n. 64-A, relativo al regime giuridico della cessazione dei contratti individuali di lavoro e della conclusione ed espirazione dei contratti di lavoro a termine (Diário da República I, serie I, n. 48 del 27 febbraio 1989; in prosieguo: la «LCCL»). La legge 18 maggio 1999, n. 32 (Diário da República I, serie I-A, n. 115 del 18 maggio 1999), ha modificato il regime dei licenziamenti collettivi, incardinato nel regime giuridico della cessazione del contratto di lavoro e della conclusione del contratto di lavoro a termine, approvato dal detto decreto legge.

19
L’art. 3 della LCCL, intitolato «Forme di cessazione del contratto di lavoro», si colloca nel capitolo I di tale legge, a sua volta intitolato «Principi generali». Tale disposizione così recita:

«1. Sono vietati i licenziamenti senza giusta causa.

2. Il contratto di lavoro può cessare per effetto di:

a)       espirazione;

b)       revoca per comune volontà delle parti;

c)       licenziamento disposto dal datore di lavoro;

d)       risoluzione, motivata o meno, su iniziativa del lavoratore;

e)       risoluzione, disposta dall’una o dall’altra parte, durante il periodo di prova;

f)
soppressione di posti di lavoro per motivi oggettivi di natura strutturale, tecnologica o congiunturale relativi all’impresa».

20
L’art. 4 della LCCL, intitolato «Cause di espirazione», si colloca nel capitolo II della detta legge, intitolato «L’espirazione del contratto di lavoro». Tale disposizione così recita:

«Il contratto di lavoro espira conformemente alle disposizioni generali di legge, in particolare:

(…)

b)
In caso di impossibilità assoluta e definitiva, sopravvenuta successivamente alla conclusione del contratto, di svolgere la prestazione da parte del lavoratore ovvero di riceverla da parte del datore di lavoro».

21
L’art. 6 della LCCL, relativo al decesso del datore di lavoro individuale o allo scioglimento dell’ente collettivo datore di lavoro, si colloca parimenti nel capitolo II della detta legge, che così dispone:

«1. Il decesso del datore di lavoro individuale implica l’espirazione del contratto di lavoro, salvo il caso in cui i successori del de cuius proseguano l’attività per la quale il lavoratore è stato assunto ovvero l’impresa venga ceduta, nel qual caso trova applicazione l’art. 37 del regime giuridico del contratto individuale di lavoro, approvato con decreto legge 24 novembre 1969, n. 49408.

2. In caso di espirazione del contratto per effetto delle norme di cui al precedente n. 1, il lavoratore ha diritto ad un’indennità corrispondente ad un mese di retribuzione per ogni anno di anzianità o frazione di anno, indennità da attingersi dal patrimonio dell’impresa.

3. Lo scioglimento dell’ente collettivo datore di lavoro, in assenza di cessione di azienda, implica l’espirazione dei contratti di lavoro nei termini di cui ai precedenti nn. 1 e 2».

22
Il capitolo V della LCCL riguarda la cessazione dei contratti di lavoro per effetto della soppressione di posti di lavoro per motivi di ordine strutturale, tecnologico o congiunturale relativi all’impresa. Tale capitolo si articola in due sezioni, intitolate «Licenziamento collettivo» (sezione I) e «Cessazione del rapporto lavorativo per soppressione del posto di lavoro nei casi diversi dal licenziamento collettivo» (sezione II).

23
L’art. 16 della LCCL, intitolato «Nozione», che costituisce il primo articolo della detta sezione I, così recita:

«Per licenziamento collettivo si intende la cessazione, ad iniziativa del datore di lavoro, di contratti di lavoro individuali riguardanti, simultaneamente o in ordine successivo, in un periodo di tre mesi un numero di lavoratori almeno pari a due per un’impresa che occupa fino a cinquanta lavoratori o a cinque per un’impresa che occupa più di cinquanta lavoratori, sempre che tale cessazione sia fondata sulla chiusura definitiva dell’impresa, di una o più sezioni della stessa o su una riduzione del personale per ragioni di natura strutturale, tecnologica o congiunturale».

24
Inoltre, la sezione I del capitolo V della LCCL prevede, segnatamente, agli artt. 17 e 18 gli obblighi di comunicazione e di consultazione incombenti al datore di lavoro, all’art. 19 l’intervento dell’autorità pubblica competente, all’art. 23 i diritti dei lavoratori e, all’art. 24, le conseguenze derivanti dal licenziamento illegittimo.

25
La sezione II del medesimo capitolo V riguarda, inter alia, all’art. 26 i motivi di soppressione di posti di lavoro, all’art. 27 le condizioni necessarie perché si verifichi la cessazione del contratto di lavoro, all’art. 28 gli obblighi di comunicazione incombenti al datore di lavoro, all’art. 29 le relative norme procedurali, all’art. 30 la cessazione del contratto di lavoro e all’art. 32 i diritti dei lavoratori.

26
A termini dell’art. 27, n. 1, lett. b) e c), della LCCL, la cessazione del contratto di lavoro è subordinata, in particolare, alla duplice condizione che sia praticamente impossibile mantenere il rapporto lavorativo e che non sussistano contratti a tempo determinato per funzioni corrispondenti a quelle del posto di lavoro soppresso.

27
Nel capitolo VIII della LCCL, intitolato «Casi particolari di cessazione del contratto di lavoro», l’art 56, relativo alle fattispecie di fallimento o di insolvenza del datore di lavoro, così dispone:

«1.     La dichiarazione giudiziaria di fallimento o di insolvenza del datore di lavoro non pone termine ai contratti di lavoro, incombendo al curatore fallimentare l’obbligo di continuare ad assolvere integralmente gli obblighi nei confronti dei lavoratori derivanti dai detti contratti, sino alla chiusura definitiva dell’azienda.

2. Tuttavia, prima della chiusura definitiva dell’azienda, il curatore fallimentare può risolvere i contratti di lavoro dei lavoratori la cui collaborazione non sia indispensabile al funzionamento dell’impresa, conformemente al regime previsto agli artt. 16-25».

28
L’art. 172 del Codice portoghese relativo alle procedure speciali di liquidazione giudiziaria e di fallimento, approvato con decreto legge 23 aprile 1993, n. 132 (Diário da República I, serie I-A, n. 95 del 23 aprile 1993), modificato dal decreto legge 20 ottobre 1998, n. 315 (Diário da República I, serie I-A, n. 242 del 20 ottobre 1998), così dispone:

«I lavoratori dell’impresa in stato di fallimento ricadono, con riguardo al mantenimento del loro contratto di lavoro successivamente alla dichiarazione di fallimento, nel regime generale di cessazione del contratto di lavoro, salva restando la cessazione del contratto connessa alla cessione di aziende industriali e commerciali».


Il procedimento precontenzioso

29
La Commissione, ritenendo la LCCL parzialmente incompatibile con le disposizioni della direttiva, avviava il procedimento per inadempimento. Dopo aver intimato alla Repubblica portoghese di presentare osservazioni, la Commissione emanava, in data 29 dicembre 2000, un parere motivato con cui invitava il detto Stato membro ad adottare tutte le misure necessarie per conformarsi al parere medesimo entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica.

30
Ritenendo che le informazioni comunicate dalle autorità portoghesi rivelassero la sussistenza dell’inadempimento contestato nel parere motivato, la Commissione decideva di proporre il presente ricorso.


Sul ricorso

31
La Commissione sostiene che la nozione di licenziamento collettivo nel diritto portoghese non ricomprende tutte le fattispecie di licenziamenti collettivi previste dalla direttiva. Conseguentemente, le disposizioni portoghesi presenterebbero una sfera di applicazione più ristretta rispetto a quella della direttiva.

32
La Commissione precisa che la definizione della nozione di «licenziamento collettivo», di cui all’art. 16 della LCCL, non ricomprende, ad esempio, le ipotesi di licenziamenti disposti da un datore di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore in caso di dichiarazione di fallimento, di procedure di liquidazione analoghe a quelle di fallimento, di espropriazione, di incendio o altre cause di forza maggiore, nonché nei casi di cessazione dell’attività dell’impresa a seguito di decesso dell’imprenditore.

33
Secondo il governo portoghese, il ricorso della Commissione è infondato, salvo per quanto riguarda la parte relativa alla cessazione del contratto di lavoro nella fase finale di liquidazione della procedura di fallimento, conseguente alla chiusura definitiva dell’azienda che non sia stata interamente ceduta. Infatti, quanto alle fattispecie menzionate dalla Commissione, alcune, caratterizzate da circostanze determinate, non sarebbero ricomprese nella nozione di licenziamento collettivo prevista dalla direttiva e le altre sarebbero disciplinate dalla normativa portoghese relativa al licenziamento collettivo.

La nozione di «licenziamento collettivo» prevista dalla direttiva

Argomenti delle parti

34
Il governo portoghese sostiene che la direttiva non avrebbe provveduto a definire la nozione di «licenziamento», atteso che la maggior parte degli ordinamenti giuridici degli Stati membri accoglierebbero la nozione comune di atto volontario del datore di lavoro diretto a far cessare il rapporto lavorativo e comunicato al lavoratore.

35
La direttiva non disporrebbe che ogni cessazione del contratto di lavoro per motivi non inerenti alla persona del lavoratore venga qualificata come «licenziamento».

36
Sarebbe peraltro impossibile applicare integralmente il regime disposto dalla direttiva ai casi di espirazione del contratto di lavoro risultanti dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa non dipendente dalla volontà del datore di lavoro, il che confermerebbe che tali fattispecie non ricadono nel licenziamento collettivo. La direttiva non sarebbe stata concepita per trovare applicazione in tali fattispecie.

37
Secondo il governo portoghese, sussisterebbe un dilemma tra l’applicazione integrale della direttiva ovvero la sua esclusione. Considerato che vari e rilevanti obblighi previsti dalla direttiva risulterebbero inapplicabili in talune situazioni di cessazione definitiva dell’attività dell’impresa indipendenti dalla volontà del datore di lavoro, si dovrebbe necessariamente ritenere, in conclusione, che la direttiva non trovi integrale applicazione in tali fattispecie.

38
La Commissione riconosce che la direttiva non definisce la nozione di «licenziamento». Tuttavia, secondo l’istituzione, l’assenza di tale definizione non autorizza gli Stati membri ad escludere dalla sfera di applicazione della direttiva fattispecie come quelle soggette nel diritto portoghese a un regime di espirazione del contratto di lavoro.

39
A parere della Commissione, il governo portoghese, a fronte del preteso «dilemma» della scelta tra «l’applicazione integrale della direttiva ovvero la sua esclusione», ha optato per la non applicazione della direttiva, violando in tal modo manifestamente il diritto comunitario.

40
L’istituzione osserva che, quanto alle fattispecie di espropriazione, di incendio o altri casi di forza maggiore, il governo portoghese dà prova di un’erronea comprensione del regime di tutela istituito dalla direttiva, probabile conseguenza di una lettura selettiva delle sezioni II, «Informazione e consultazione», e III, «Procedura di licenziamento collettivo», della direttiva.

41
A tal riguardo, la Commissione sostiene, inter alia, che è del tutto coerente che la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori verta sulle possibilità di attenuare le conseguenze derivanti dai licenziamenti mediante l’esame di misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati, anche quando non risulti possibile evitare la chiusura definitiva dell’impresa e, quindi, la cessazione dei contratti di lavoro.

42
A parere della Commissione, il governo portoghese sostiene un’interpretazione della procedura di licenziamento collettivo che svuota le varie disposizioni della direttiva di ogni effetto utile. Ciò varrebbe, in particolare, per l’obbligo previsto dall’art. 3 della direttiva medesima, che impone al datore di lavoro di notificare per iscritto all’autorità pubblica competente qualsiasi progetto di licenziamento collettivo. Tanto il datore di lavoro la cui azienda sia stata distrutta da un incendio quanto i successori di un imprenditore deceduto sarebbero in grado di rispettare tale obbligo.

Giudizio della Corte

43
A termini dell’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva, ai fini dell’applicazione della direttiva medesima si intendono per «licenziamenti collettivi» i licenziamenti effettuati da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore sempre che sussistano taluni requisiti di natura quantitativo/temporale.

44
La direttiva non definisce espressamente la nozione di «licenziamento». Tuttavia, tale nozione dev'essere oggetto di interpretazione uniforme ai fini della direttiva.

45
Infatti, dalle esigenze tanto dell’applicazione uniforme del diritto comunitario quanto del principio d’uguaglianza discende che una disposizione di diritto comunitario che non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per quanto riguarda la determinazione del suo senso e della sua portata deve normalmente dar luogo, nell’intera Comunità, ad un’interpretazione autonoma ed uniforme da effettuarsi tenendo conto del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa (sentenze 19 settembre 2000, causa C‑287/98, Linster, Racc. pag. I‑6917, punto 43, e 11 marzo 2003, causa C‑40/01, Ansul, Racc. pag. I‑2439, punto 26).

46
Nella specie, contrariamente all’art. 1, n. 1, lett. b), della direttiva, che dispone espressamente che per «rappresentanti dei lavoratori» si intendono i rappresentanti dei lavoratori previsti dal diritto o dalla pratica in vigore negli Stati membri, la lett. a) dello stesso art. 1, n. 1, non contiene alcun rinvio espresso al diritto degli Stati membri per quanto attiene alla definizione di licenziamento.

47
Inoltre, dal titolo nonché dal terzo, quarto e settimo ‘considerando’ della direttiva emerge che l’obiettivo della medesima consiste nel promuovere il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in tema di licenziamenti collettivi.

48
Armonizzando le norme applicabili ai licenziamenti collettivi, il legislatore comunitario ha al tempo stesso inteso garantire una protezione di analoga natura dei diritti dei lavoratori nei vari Stati membri e promuovere il ravvicinamento degli oneri che le dette norme di tutela comportano per le imprese della Comunità (sentenza 8 giugno 1994, causa C‑383/92, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑2479, punto 16).

49
Pertanto, la nozione di «licenziamento», di cui all’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva, non può essere definita mediante un rinvio alle legislazioni degli Stati membri, bensì possiede una dimensione comunitaria.

50
Tale nozione dev'essere interpretata nel senso che comprende qualsiasi cessazione del contratto di lavoro non voluta dal lavoratore e, quindi, senza il suo consenso. Essa non esige che le cause sottese alla cessazione del rapporto lavorativo corrispondano alla volontà del datore di lavoro.

51
Tale interpretazione della nozione di «licenziamento» ai fini della direttiva risulta dall’obiettivo perseguito dalla direttiva medesima e dal contesto della disposizione di cui trattasi.

52
In tal senso, la direttiva mira, come emerge dal suo secondo ‘considerando’, a rafforzare la tutela dei lavoratori in caso di licenziamenti collettivi. A termini dei successivi terzo e settimo ‘considerando’, devono costituire oggetto di ravvicinamento delle legislazioni soprattutto le differenze sussistenti tra le disposizioni in vigore negli Stati membri con riguardo alle misure capaci di attenuare le conseguenze derivanti dai licenziamenti collettivi.

53
Gli obiettivi perseguiti dalla direttiva risulterebbero raggiunti solo parzialmente se la cessazione del contratto di lavoro non dipendente dalla volontà del datore di lavoro fosse esclusa dal regime della direttiva stessa.

54
Per quanto attiene al contesto della disposizione di cui trattasi, la direttiva si applica in linea di principio, come risulta dal nono ‘considerando’ nonché dall’art. 3, n. 1, secondo comma, della medesima, anche ai licenziamenti collettivi conseguenti alla cessazione dell’attività dell’azienda risultante da una decisione giudiziaria. Orbene, in tale ipotesi, la cessazione del contratto di lavoro deriva da circostanze non volute dal datore di lavoro.

55
In tale contesto si deve aggiungere che la direttiva, nel suo testo iniziale, vale a dire la direttiva 75/129, prevedeva, all’art. 1, n. 2, lett. d), la sua inapplicabilità ai lavoratori interessati dalla cessazione dell’attività dell’azienda conseguente ad una decisione giudiziaria. Il detto articolo prevedeva una deroga alla regola stabilita dall’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva medesima, in cui si affermava, in termini identici a quelli della stessa disposizione della direttiva 98/59, che, ai fini dell’applicazione della detta direttiva, si intendevano per «licenziamenti collettivi» i licenziamenti effettuati da un datore di lavoro per uno o più motivi non inerenti alla persona del lavoratore. Tale deroga non sarebbe stata necessaria se la nozione di «licenziamento» si traducesse quale «atto volontario del datore di lavoro».

56
Come correttamente rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 46 e 47 delle conclusioni, i licenziamenti si distinguono dalle cessazioni del contratto di lavoro che, in presenza dei presupposti di cui all’art. 1, n. 1, ultimo comma, della direttiva, sono assimilate ai licenziamenti in considerazione della mancanza di consenso da parte del lavoratore.

57
All’interpretazione accolta al punto 50 della presente sentenza non può opporsi che l’applicazione integrale della direttiva non è, ad esempio, possibile in taluni casi in cui la cessazione definitiva dell’attività dell’impresa non dipende dall’attività del datore di lavoro. In ogni caso, non può escludersi, in tali ipotesi, l’applicazione in toto della direttiva.

58
A termini dell’art. 2, n. 2, primo comma, della direttiva, le consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori non sono unicamente dirette a ridurre o limitare i licenziamenti collettivi, bensì riguardano, inter alia, le possibilità di attenuare le conseguenze di tali licenziamenti ricorrendo a misure sociali di accompagnamento intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati. Risulterebbe contrario allo spirito della direttiva ridurre la sfera di applicazione di tale disposizione interpretando restrittivamente la nozione di «licenziamento».

59
Considerazioni dello stesso genere valgono per quanto attiene agli obblighi di notifica all’autorità pubblica competente, previsti all’art. 3 della direttiva. Tali obblighi, che possono eventualmente configurarsi in termini diversi per effetto della facoltà attribuita agli Stati membri ai sensi del n. 1, secondo comma, del detto articolo, ben potrebbero essere assolti da un datore di lavoro in casi in cui la cessazione dei contratti di lavoro sia imposta da circostanze estranee alla sua volontà. L’interpretazione contraria priverebbe i lavoratori dei regimi di tutela previsti da tale disposizione nonché dall’art. 4 della direttiva.

60
Da tutte le suesposte considerazioni emerge che una cessazione del contratto di lavoro non sfugge all’applicazione della direttiva per il solo fatto di derivare da circostanze estranee alla volontà del datore di lavoro.

La valutazione, sotto il profilo giuridico, della normativa portoghese

61
Tutte le fattispecie indicate supra al punto 32, in ordine alle quali il governo portoghese ha riconosciuto che esse sono qualificate nell’ordinamento giuridico portoghese come fattispecie di «espirazione del contratto», sono ricomprese nella direttiva, in quanto ricadono nella definizione di «licenziamento» ai sensi della direttiva medesima.

62
È irrilevante al riguardo che, nel diritto portoghese, tali fattispecie vengano qualificate non come licenziamenti, bensì quali espirazioni de iure del contratto di lavoro. Infatti, si tratta di cessazioni del contratto di lavoro non volute dal lavoratore, quindi di licenziamenti ai sensi della direttiva.

63
Conseguentemente, la Repubblica portoghese non ha provveduto alla corretta trasposizione dell’art. 1, n. 1, lett. a), della direttiva.

64
La censura relativa al mancato adempimento degli obblighi derivanti dall’art. 6 della direttiva è parimenti fondata. Nessun elemento consente di ritenere che la Repubblica portoghese, ancorché abbia accolto un’interpretazione della nozione di «licenziamento» più restrittiva di quella accolta nella direttiva, abbia tuttavia provveduto a che i lavoratori dispongano, in tutti i casi di licenziamento collettivo ai sensi della detta direttiva, di procedure amministrative e/o giurisdizionali che garantiscano il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva stessa.

65
Nella parte in cui il ricorso riguarda l’art. 7 della direttiva, si deve necessariamente rilevare che la Commissione non ha indicato sotto quale profilo la Repubblica portoghese avrebbe violato tale disposizione.

66
Conseguentemente, da un lato, si deve rilevare che, limitando la nozione di licenziamenti collettivi ai licenziamenti per ragioni di natura strutturale, tecnologica o congiunturale e non estendendo tale nozione ai licenziamenti per qualsiasi motivo non inerente alla persona del lavoratore, la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 1 e 6 della direttiva; dall’altro, il ricorso dev'essere respinto quanto al resto.


Sulle spese

67
A termini dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica portoghese, rimasta sostanzialmente soccombente, dev'essere conseguentemente condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1)
Limitando la nozione di licenziamenti collettivi ai licenziamenti per ragioni di natura strutturale, tecnologica o congiunturale e non estendendo tale nozione ai licenziamenti per qualsiasi motivo non inerente alla persona del lavoratore, la Repubblica portoghese è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 1 e 6 della direttiva del Consiglio 20 luglio 1998, 98/59/CE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi.

2)
Il ricorso è respinto quanto al resto.

3)
La Repubblica portoghese è condannata alle spese.

Firme


1
Lingua processuale: il portoghese.

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