ORDINANZA DELLA CORTE (Nona Sezione)

13 dicembre 2016 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Incompetenza manifesta – Articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva 2012/29/UE – Articolo 2, paragrafo 1, lettera a) – Norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 49, 51, 53 e 54 – Delitto d’ingiuria – Abrogazione da parte del legislatore nazionale del delitto di ingiuria – Assenza di collegamento con il diritto dell’Unione – Manifesta incompetenza della Corte»

Nella causa C‑484/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Giudice di pace di Taranto (Italia), con ordinanza del 2 settembre 2016, pervenuta in cancelleria l’8 settembre 2016, nel procedimento penale a carico di

Antonio Semeraro

LA CORTE (Nona Sezione),

composta da E. Juhász (relatore), presidente di sezione, C. Vajda e C. Lycourgos, giudici,

avvocato generale: M. Wathelet

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente all’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (GU 2012, L 315, pag. 57).

2        Tale domanda è stata proposta nell’ambito di un procedimento penale promosso a carico del sig. Antonio Semeraro.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

 Carta

3        L’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), rubricato «Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene», così dispone:

«1.      Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest’ultima.

2.      Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un’azione o di un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni.

3.      Le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato».

4        L’articolo 51 della Carta, intitolato «Ambito di applicazione», è del seguente tenore:

«1.      Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati.

2.      La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati».

5        Ai sensi dell’articolo 53 della Carta, rubricato «Livello di protezione»:

«Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, nel rispettivo ambito di applicazione, dal diritto dell’Unione, dal diritto internazionale, dalle convenzioni internazionali delle quali l’Unione o tutti gli Stati membri sono parti, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, e dalle costituzioni degli Stati membri».

6        L’articolo 54 della Carta, rubricato «Divieto dell’abuso di diritto», stabilisce quanto segue:

«Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un’attività o compiere un atto che miri a distruggere diritti o libertà riconosciuti nella presente Carta o a imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta».

 Direttiva 2012/29

7        I considerando 2, 4, 9, 66 e 67 della direttiva 2012/29 così recitano:

«(2)      L’Unione si è impegnata nella protezione delle vittime di reato e nell’istituzione di norme minime in tale ambito e il Consiglio ha adottato la decisione quadro 2001/220/GAI (...). Nell’ambito del programma di Stoccolma ‑ Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini [(GU 2010, C 115, pag. 1)], adottato dal Consiglio europeo durante la sua riunione del 10 e 11 dicembre 2009, la Commissione e gli Stati membri sono stati invitati a esaminare come migliorare la legislazione e le misure concrete di sostegno per la protezione delle vittime, con particolare attenzione all’assistenza e al riconoscimento di tutte le vittime, incluse, in via prioritaria, le vittime del terrorismo.

(...)

(4)      Nella risoluzione del 10 giugno 2011 relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti e della tutela delle vittime, in particolare nei procedimenti penali [(GU 2011, C 187, pag. 1)] (...), il Consiglio ha dichiarato che si dovrebbero intraprendere azioni a livello di Unione per rafforzare i diritti, il sostegno e la tutela delle vittime di reato. A tal fine e in conformità con la citata risoluzione, la presente direttiva mira a rivedere e a integrare i principi enunciati nella decisione quadro 2001/220/GAI e a realizzare significativi progressi nel livello di tutela delle vittime in tutta l’Unione, in particolare nei procedimenti penali.

(...)

(9)      Un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime. (...)

(...)

(66)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti dalla Carta (...). In particolare, è volta a promuovere il diritto alla dignità, alla vita, all’integrità fisica e psichica, alla libertà e alla sicurezza, il rispetto della vita privata e della vita familiare, il diritto di proprietà, il principio di non‑discriminazione, il principio della parità tra donne e uomini, i diritti dei minori, degli anziani e delle persone con disabilità e il diritto a un giudice imparziale.

(67)      Poiché l’obiettivo della presente direttiva, vale a dire stabilire norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a motivo della portata e degli effetti potenziali, essere conseguito meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea (TUE). La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo».

8        Ai sensi dell’articolo 1, primo comma, della suddetta direttiva, scopo della medesima è «garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate e possano partecipare ai procedimenti penali».

9        A norma dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), i), di tale direttiva, ai fini della medesima, si intende per «vittima» una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato.

 Diritto italiano

10      L’articolo 2 della Costituzione italiana stabilisce quanto segue:

«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

11      L’articolo 3 della Costituzione italiana così dispone:

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

12      La direttiva 2012/29 è stata recepita nel diritto italiano con il decreto legislativo del 15 dicembre 2015, n. 212 (GURI n. 3, del 5 gennaio 2015), entrato in vigore il 26 agosto 2016.

13      Il delitto di ingiuria era previsto dall’articolo 594 del codice penale italiano nei seguenti termini:

«Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516.

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

La pena è della reclusione fino ad un anno o della multa fino a euro 1 032 se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.

Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone».

14      Detto articolo 594 è stato abrogato, il 6 febbraio 2016, dall’articolo 1 del decreto legislativo del 15 gennaio 2016, n. 7 (in prosieguo: il «decreto legislativo n. 7/2016»).

15      Secondo il giudice del rinvio, il reato previsto all’articolo 594 del codice penale è stato trasformato in illecito civile sottoposto a sanzione pecuniaria, illecito definito all’articolo 4 del decreto legislativo n. 7/2016 nei seguenti termini:

«1.      Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro cento a euro ottomila:

a)      chi offende l’onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.

2.      Nel caso di cui alla lettera a) del primo comma, se le offese sono reciproche, il giudice può non applicare la sanzione pecuniaria civile ad uno o ad entrambi gli offensori.

3.      Non è sanzionabile chi ha commesso il fatto previsto dal primo comma, lettera a), del presente articolo, nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso.

4.      Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da euro duecento a euro dodicimila:

(...)

f)      chi commette il fatto di cui al comma 1, lettera a), del presente articolo, nel caso in cui l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato o sia commessa in presenza di più persone; (...)».

16      L’articolo 5 del decreto legislativo n. 7/2016, rubricato «Criteri di commisurazione delle sanzioni pecuniarie», così dispone:

«1.      L’importo della sanzione pecuniaria civile è determinato dal giudice tenuto conto dei seguenti criteri:

a)      gravità della violazione;

b)      reiterazione dell’illecito;

c)      arricchimento del soggetto responsabile;

d)      opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito;

e)      personalità dell’agente;

f)      condizioni economiche dell’agente».

 Causa principale e questione pregiudiziale

17      Il 24 marzo 2012, a Massafra (Italia), il sig. Laterza, mentre assisteva a una partita di calcio e tentava di separare alcuni tifosi che litigavano, è stato minacciato e aggredito verbalmente e fisicamente dal sig. Semeraro.

18      A seguito della querela depositata dal sig. Laterza il 26 marzo 2012, dinanzi al giudice del rinvio pende il procedimento penale promosso a carico del sig. Semeraro.

19      Dinanzi al giudice del rinvio, il sig. Semeraro è perseguito, ai sensi degli articoli 612, 582 e 594 del codice penale, per minaccia, lesione personale e ingiuria, in quanto, avendo rivolto al sig. Laterza espressioni ingiuriose, ne ha offeso l’onore e il decoro.

20      Il giudice del rinvio ritiene che, abrogando il reato previsto all’articolo 594 del codice penale, lo Stato italiano sia venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’articolo 83 TFUE e della direttiva 2012/29. Egli rileva che il principio di legalità è sancito agli articoli 49, 51, 53 e 54 della Carta, e che tale principio è equivalente a quello previsto all’articolo 25 della Costituzione italiana.

21      Detto giudice osserva che, a causa dell’abrogazione del delitto di ingiuria, è tenuto a porre fine al procedimento penale, dal momento che occorre dichiarare che il fatto contestato al sig. Semeraro non è più previsto dalla legge come reato.

22      Il giudice del rinvio rileva che il delitto di ingiuria, quale era previsto dall’articolo 594 del codice penale prima dell’abrogazione di tale articolo, e il reato di diffamazione, previsto all’articolo 595 del codice penale, sono reati simili, che si distinguono solamente per la presenza o per l’assenza della persona offesa.

23      Egli afferma che esiste dunque una disparità di trattamento manifesta tra i due fatti, dal momento che il reato di diffamazione previsto all’articolo 595 del codice penale è mantenuto, mentre quello di ingiuria che era previsto all’articolo 594 del codice penale è stato abrogato dal decreto legislativo n. 7/2016. Questa scelta del legislatore sarebbe discriminatoria, irrazionale e sproporzionata, dato che il comportamento dell’autore nei due reati considerati costituisce la stessa condotta antigiuridica.

24      Il giudice indica che l’azione per risarcimento del danno esercitata dalla persona offesa, prevista all’articolo 4 del decreto legislativo n. 7/2016, attiene prettamente ad un danno non patrimoniale, che va raccordato con la previsione del reato di cui al considerando 9 e all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), i), della direttiva 2012/29.

25      Egli fa valere che la nozione di «danno non patrimoniale» dev’essere interpretata anche alla luce dei lavori preparatori dell’attuale codice civile italiano, la cui relazione ministeriale ha previsto l’obbligo di risarcire i danni non patrimoniali. Un obbligo siffatto sarebbe previsto tanto dal codice civile quanto dal codice penale.

26      Il giudice del rinvio rileva che l’azione per risarcimento del danno che la parte offesa dovrebbe esercitare ai sensi degli articoli 3 e 4 del decreto legislativo n. 7/2016 non ha alcuna funzione di «repressione e prevenzione», ma costituisce un’azione «ex post» che potrebbe anche non fornire soddisfazione per mancata disponibilità economica dell’offensore. Così, l’offesa alla persona non darebbe luogo ad alcuna tutela e riparazione, poiché il suddetto decreto legislativo non contiene clausole di salvaguardia in favore della persona offesa.

27      Richiamandosi alle sentenze del 9 marzo 1978, Simmenthal (106/77, EU:C:1978:49, punti da 14 a 18 e 21), del 19 giugno 1990, Factortame e a. (C‑213/89, EU:C:1990:257, punti 20 e 21), nonché del 3 maggio 2005, Berlusconi e a. (C‑387/02, C‑391/02 e C‑403/02, EU:C:2005:270, punti 67 e 72), il giudice del rinvio invoca il principio del primato e ritiene che occorra disapplicare il diritto interno quando è contrario a una norma di diritto dell’Unione direttamente applicabile.

28      Nella fattispecie, egli ritiene che occorra disapplicare la disposizione del decreto legislativo n. 7/2016, che abroga l’articolo 594 del codice penale, con la conseguente reviviscenza, conformemente a una sentenza della Corte suprema di cassazione (Italia), della norma abrogata dalla disposizione disapplicata.

29      In tale contesto, il Giudice di pace di Taranto (Italia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se la direttiva [2012/29], e, in particolare, i considerando n. 9), n. 66) e n. 67), nonché l’art. 2 comma 1-lett. a) della citata direttiva [2012/29], nel rispetto dell’art. 83 del TFUE e degli artt. 2 e 3 della Costituzione italiana, nonché degli artt. 49, 51, 53 e 54 della [Carta], osta all’abrogazione del reato di cui all’art. 594 c.p. di cui all’art. [1] e seguenti del Decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7».

 Sulla competenza della Corte

30      Ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando la Corte è manifestamente incompetente a conoscere di una causa o quando una domanda è manifestamente irricevibile, la Corte, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata, senza proseguire il procedimento.

31      Tale norma deve essere applicata nel caso di specie.

32      Nell’ambito di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la Corte può unicamente interpretare il diritto dell’Unione nei limiti delle competenze attribuite all’Unione europea (ordinanza del 14 aprile 2016, Târșia, C‑328/15, non pubblicata, EU:C:2016:273, punto 18 e giurisprudenza ivi citata).

33      Anzitutto, occorre constatare che la direttiva 2012/29, alla luce dei suoi considerando e delle sue disposizioni, in particolare dei suoi considerando 2 e 4 nonché del suo articolo 1, paragrafo 1, primo comma, stabilisce solo le norme riguardanti i diritti, l’assistenza e la protezione delle vittime di reato. Secondo il suo articolo 1, paragrafo 1, primo comma, essa ha l’unico scopo di garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate e possano partecipare ai procedimenti penali. Nessuna disposizione della suddetta direttiva, invece, riguarda la definizione dei reati o l’obbligo degli Stati membri di qualificare determinati atti come «reati» nei loro rispettivi ordinamenti giuridici.

34      A tale riguardo, occorre osservare che, secondo la definizione contenuta all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della suddetta direttiva, per vittima si intende una persona fisica che ha subito un danno causato direttamente da un «reato».

35      La direttiva 2012/29 non poteva contenere disposizioni sulla definizione dei reati nel settore oggetto della questione pregiudiziale.

36      Tale direttiva ha per base giuridica l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE, il quale dispone che, laddove necessario per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale, il Parlamento europeo e il Consiglio possono stabilire norme minime deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria. Tali norme minime tengono conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e riguardano, tra l’altro, i diritti delle vittime della criminalità.

37      Contrariamente ai paragrafi 1 e 2 dell’articolo 83 TFUE, che costituiscono basi giuridiche per l’adozione delle direttive che istituiscono norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni, è necessario rilevare come l’articolo 82, paragrafo 2, TFUE non attribuisca competenza al legislatore dell’Unione né per definire elementi dei reati né per obbligare gli Stati membri a qualificare determinati atti come «reati».

38      L’articolo 83 TFUE prevede, da un lato, che il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante direttive secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni. Le sfere interessate sono il terrorismo, la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, il traffico illecito di stupefacenti, il traffico illecito di armi, il riciclaggio di denaro, la corruzione, la contraffazione di mezzi di pagamento, la criminalità informatica e la criminalità organizzata, ma, in funzione dell’evoluzione della criminalità, il Consiglio può adottare, deliberando all’unanimità e previa approvazione del Parlamento europeo, una decisione che individua altre sfere di criminalità che rispondono ai criteri di cui a detto paragrafo.

39      D’altro lato, l’articolo 83, paragrafo 2, TFUE dispone che, allorché il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale si rivela indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione in un settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione, norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nel settore in questione possono essere stabilite tramite direttive. Tali direttive sono adottate secondo la stessa procedura legislativa ordinaria o speciale utilizzata per l’adozione delle misure di armonizzazione in questione, fatto salvo l’articolo 76 TFUE.

40      Ne consegue che l’articolo 83, paragrafi 1 e 2, TFUE non conferisce neppure all’Unione competenza ad adottare norme sulla definizione di reati quali il delitto di ingiuria discusso nel procedimento principale.

41      È pacifico che il giudice del rinvio non richiama alcuna direttiva avente per base giuridica l’articolo 83 TFUE, il che avrebbe per effetto di impedire la depenalizzazione di un reato come quello precedentemente rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 594 del codice penale.

42      Ciò considerato, occorre rilevare che la situazione di fatto e di diritto del procedimento principale non ricade nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

43      Quanto alla richiesta interpretazione degli articoli 49, 51, 53 e 54 della Carta, dal suddetto articolo 51, paragrafo 1, emerge che le disposizioni della medesima si applicano agli Stati membri esclusivamente quando questi ultimi attuano il diritto dell’Unione. L’articolo 6, paragrafo 1, TUE nonché l’articolo 51, paragrafo 2, della Carta precisano che le disposizioni di quest’ultima non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati.

44      Orbene, al punto 41 della presente ordinanza è stato rilevato che la situazione di fatto e di diritto della causa principale non ricade nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. La Corte non è quindi competente a pronunciarsi al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono, di per sé sole, fondare tale competenza (v. sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 22, e ordinanza del 7 maggio 2015, Pondiche, C‑608/14, non pubblicata, EU:C:2015:313, punto 21).

45      Di conseguenza, si deve dichiarare, ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura, che la Corte è manifestamente incompetente a rispondere alla questione sottoposta dal Giudice di pace di Taranto (Italia).

46      Ciò considerato, non occorre pronunciarsi sulla domanda di procedimento accelerato presentata dal giudice del rinvio (v. ordinanza del 16 luglio 2015, Striani e a., C‑299/15, non pubblicata, EU:C:2015:519, punto 20).

 Sulle spese

47      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) così provvede:

La Corte di giustizia dell’Unione europea è manifestamente incompetente a rispondere alla domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal Giudice di pace di Taranto (Italia) con ordinanza del 2 settembre 2016.

Lussemburgo, 13 dicembre 2016

Il cancelliere

 

      Il presidente della Nona Sezione

A. Calot EscobarE. Juhász


* Lingua processuale: l’italiano.