SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

16 ottobre 2012 ( *1 )

«Inadempimento di uno Stato — Articolo 259 TFUE — Cittadinanza dell’Unione — Articolo 21 TFUE — Direttiva 2004/38/CE — Diritto di circolazione nel territorio degli Stati membri — Presidente dell’Ungheria — Divieto di ingresso nel territorio della Repubblica slovacca — Relazioni diplomatiche tra Stati membri»

Nella causa C-364/10,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 259 TFUE, proposto l’8 luglio 2010,

Ungheria, rappresentata da M. Z. Fehér e E. Orgován, in qualità di agenti,

ricorrente,

contro

Repubblica slovacca, rappresentata da B. Ricziová, in qualità di agente,

convenuta,

sostenuta da:

Commissione europea, rappresentata da A. Tokár, D. Maidani e S. Boelaert, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

interveniente,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dal sig. K. Lenaerts, vicepresidente, dai sigg. A. Tizzano (relatore), M. Ilešič, J. Malenovský, presidenti di sezione, A. Borg Barthet, U. Lõhmus, J.-C. Bonichot, dalla sig.ra C. Toader, dai sigg. J.-J. Kasel e M. Safjan, giudici,

avvocato generale: sig. Y. Bot

cancelliere: sig.ra R. Şereş, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 1o febbraio 2012,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 6 marzo 2012,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con il suo ricorso l’Ungheria chiede alla Corte di:

dichiarare che la Repubblica slovacca è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77), nonché dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, non avendo consentito, il 21 agosto 2009, l’ingresso del sig. Sólyom, Presidente dell’Ungheria, nel proprio territorio, fondandosi sulla direttiva 2004/38, ma senza rispettarne le disposizioni;

dichiarare che è incompatibile con il diritto dell’Unione, e più in particolare con gli articoli 3, paragrafo 2, TUE e 21, paragrafo 1, TFUE, la posizione sostenuta dalla Repubblica slovacca fino alla proposizione del presente ricorso, consistente nel considerare conforme alla direttiva 2004/38 il fatto di vietare l’ingresso nel territorio slovacco ad un rappresentante dell’Ungheria, quale il Presidente di tale Stato, conservando così la possibilità di reiterare tale comportamento illecito;

dichiarare che la Repubblica slovacca ha abusivamente applicato il diritto dell’Unione allorché le sue autorità hanno vietato l’ingresso del Presidente Sólyom nel suo territorio il 21 agosto 2009, e,

nell’ipotesi in cui l’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2004/38 possa essere limitato da una specifica disposizione di diritto internazionale, definire la portata e l’effetto di una tale deroga.

Contesto normativo

2

L’articolo 5 della direttiva 2004/38, al paragrafo 1, enuncia quanto segue:

«1. Senza pregiudizio delle disposizioni applicabili ai controlli dei documenti di viaggio alle frontiere nazionali, gli Stati membri ammettono nel loro territorio il cittadino dell’Unione munito di una carta d’identità o di un passaporto in corso di validità, nonché i suoi familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, muniti di valido passaporto.

Nessun visto d’ingresso né alcuna formalità equivalente possono essere prescritti al cittadino dell’Unione».

3

Il capo VI di tale direttiva, intitolato «Limitazioni del diritto d’ingresso e di soggiorno per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica», comprende l’articolo 27, i cui primi due paragrafi così dispongono:

«1.   Fatte salve le disposizioni del presente capo, gli Stati membri possono limitare la libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione o di un suo familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica. Tali motivi non possono essere invocati per fini economici.

2.   I provvedimenti adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza rispettano il principio di proporzionalità e sono adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale della persona nei riguardi della quale essi sono applicati. La sola esistenza di condanne penali non giustifica automaticamente l’adozione di tali provvedimenti.

Il comportamento personale deve rappresentare una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave da pregiudicare un interesse fondamentale della società. Giustificazioni estranee al caso individuale o attinenti a ragioni di prevenzione generale non sono prese in considerazione».

4

L’articolo 30 della direttiva prevede infine:

«1.   Ogni provvedimento adottato a norma dell’articolo 27, paragrafo 1, è notificato per iscritto all’interessato secondo modalità che consentano a questi di comprenderne il contenuto e le conseguenze.

2.   I motivi circostanziati e completi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica che giustificano l’adozione del provvedimento nei suoi confronti sono comunicati all’interessato, salvo che vi ostino motivi attinenti alla sicurezza dello Stato.

3.   La notifica riporta l’indicazione dell’organo giurisdizionale o dell’autorità amministrativa dinanzi al quale l’interessato può opporre ricorso e il termine entro il quale deve agire e, all’occorrenza, l’indicazione del termine impartito per lasciare il territorio dello Stato membro. Fatti salvi i casi di urgenza debitamente comprovata, tale termine non può essere inferiore a un mese a decorrere dalla data di notificazione».

I fatti all’origine della controversia, il procedimento precontenzioso e il procedimento dinanzi alla Corte

5

Su invito di un’associazione avente sede in Slovacchia, il sig. Sólyom, Presidente dell’Ungheria, si sarebbe dovuto recare il 21 agosto 2009 nella città slovacca di Komárno per partecipare alla cerimonia di inaugurazione di una statua di Santo Stefano.

6

Dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che, da un lato, il 20 agosto è un giorno di festa nazionale in Ungheria, in commemorazione di Santo Stefano, fondatore e primo re dello Stato ungherese. Dall’altro, il 21 agosto è una data delicata in Slovacchia, in quanto il 21 agosto 1968 le forze armate di cinque paesi del Patto di Varsavia, tra cui le truppe ungheresi, hanno invaso la Repubblica socialista cecoslovacca.

7

In esito a diversi scambi diplomatici tra le ambasciate dei due Stati membri relativamente alla progettata visita del Presidente dell’Ungheria, il 21 agosto 2009 il Ministero degli Affari Esteri slovacco ha infine trasmesso una nota verbale all’ambasciatore di Ungheria presso la Repubblica slovacca nella quale faceva divieto al Presidente dell’Ungheria di penetrare in territorio slovacco. In detta nota si invocava, per giustificare tale divieto, la direttiva 2004/38, nonché le disposizioni di diritto nazionale relative, da un lato, al soggiorno degli stranieri e, d’altro lato, alle forze di polizia.

8

Il Presidente Sólyom, informato del contenuto della predetta nota mentre era in viaggio verso la Repubblica slovacca, dava atto alla frontiera di averla ricevuta e rinunciava ad entrare nel territorio di detto Stato membro.

9

Con nota del 24 agosto 2009, le autorità ungheresi hanno contestato, in particolare, la circostanza che la direttiva 2004/38 potesse costituire un valido fondamento normativo per giustificare il rifiuto della Repubblica slovacca di concedere al Presidente dell’Ungheria l’ingresso nel proprio territorio. Esse hanno inoltre constatato che detta decisione di rifiuto non era sufficientemente motivata. Per tali ragioni, la Repubblica slovacca avrebbe adottato il suddetto provvedimento in violazione del diritto dell’Unione.

10

Nel corso di un incontro svoltosi il 10 settembre 2009 a Szécsény (Ungheria), i Primi Ministri ungherese e slovacco hanno adottato una dichiarazione comune nella quale ribadivano le rispettive tesi in ordine agli aspetti giuridici della decisione controversa, pur deplorando le circostanze del viaggio del Presidente Sólyom. Nella stessa occasione è stato adottato un «promemoria» inteso a chiarire, per l’avvenire, talune modalità pratiche delle visite ufficiali e non ufficiali nei due Stati di cui trattasi.

11

Con nota del 17 settembre 2009, le autorità slovacche hanno risposto alla nota del 24 agosto 2009 indicando che, considerate le circostanze dell’incidente, l’applicazione della direttiva 2004/38 era l’«ultima possibilità» di impedire al Presidente Sólyom l’ingresso nel territorio della Repubblica slovacca e hanno affermato di non avere agito in violazione del diritto dell’Unione.

12

Nel frattempo, il 3 settembre 2009 il Ministro degli Affari esteri ungherese ha inviato al vicepresidente della Commissione delle Comunità europee una lettera nella quale richiedeva il parere della Commissione in merito all’eventuale violazione del diritto dell’Unione da parte della Repubblica slovacca.

13

Nella sua lettera di risposta del 10 settembre 2009, il vicepresidente della Commissione ha riconosciuto che, conformemente alla direttiva 2004/38, qualsiasi restrizione al diritto di libera circolazione dovesse rispettare il principio di proporzionalità, che essa, ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 2, di tale direttiva, dovesse basarsi sul comportamento personale dell’interessato ed essere notificata a quest’ultimo nelle forme prescritte dall’articolo 30, spiegandone le ragioni con una motivazione precisa e completa. Egli ha inoltre osservato che spetta in primo luogo ai giudici nazionali assicurare il rispetto delle regole della predetta direttiva. Egli ha sottolineato che occorreva fare il possibile per evitare che tali situazioni si ripetessero e si è dichiarato fiducioso riguardo al fatto che un costruttivo dialogo bilaterale tra i due Stati membri avrebbe consentito di risolvere la controversia.

14

Il 12 ottobre 2009 il Ministro degli Affari esteri ungherese ha inviato, a nome del governo ungherese, una denuncia al presidente della Commissione e ha chiesto che quest’ultima valutasse l’opportunità di avviare, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, un procedimento per inadempimento contro la Repubblica slovacca, per violazione dell’articolo 21 TFUE e della direttiva 2004/38.

15

Con lettera dell’11 dicembre 2009, la Commissione ha considerato che i «cittadini dell’Unione hanno il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri in forza dell’articolo 21 [TFUE] e della direttiva 2004/38». Tuttavia, essa ha precisato che, «in base al diritto internazionale, gli Stati membri si riservano il diritto di controllare l’ingresso di un capo di Stato estero nel loro territorio, a prescindere dalla circostanza che tale capo di Stato sia o meno un cittadino dell’Unione».

16

Gli Stati membri dell’Unione europea continuerebbero ad organizzare le visite ufficiali tramite i canali politici bilaterali, cosicché tale materia esulerebbe dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Secondo la Commissione, un capo di Stato può, certo, decidere di visitare un altro Stato membro in qualità di privato cittadino, conformemente all’articolo 21 TFUE e alla direttiva 2004/38, ma dai documenti allegati alla denuncia del Ministro degli Affari esteri ungherese risulta che l’Ungheria e la Repubblica slovacca sono in disaccordo circa la natura della prevista visita.

17

La Commissione ha ritenuto quindi di non essere in grado di concludere che la Repubblica slovacca avesse violato le disposizioni del diritto dell’Unione relative alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione, sebbene tale Stato membro abbia invocato erroneamente, nella sua nota verbale del 21 agosto 2009, la direttiva 2004/38 e gli atti adottati per la sua attuazione nell’ordinamento giuridico interno.

18

Il 30 marzo 2010 l’Ungheria si è rivolta alla Commissione, conformemente all’articolo 259 TFUE. Il 30 aprile 2010 la Repubblica slovacca ha comunicato le proprie osservazioni. Infine, il 12 maggio 2010 le osservazioni orali dei due Stati membri sono state sentite nel corso di un’audizione organizzata dalla Commissione.

19

Nel suo parere motivato del 24 giugno 2010, la Commissione ha ritenuto che le disposizioni dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE e della direttiva 2004/38 non siano applicabili alle visite effettuate dal capo di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro e che, pertanto, l’asserito inadempimento non sussista.

20

L’8 luglio 2010 l’Ungheria ha proposto il presente ricorso. La Repubblica slovacca chiede il rigetto del ricorso e la condanna dell’Ungheria alle spese.

21

Con ordinanza del presidente della Corte del 28 gennaio 2011, la Commissione è stata autorizzata ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Repubblica slovacca.

Sul ricorso

Sulla competenza della Corte

Argomenti delle parti

22

La Repubblica slovacca eccepisce l’incompetenza della Corte a conoscere della presente controversia, in ragione dell’inapplicabilità del diritto dell’Unione ad una situazione come quella del caso di specie.

23

L’Ungheria, sostenuta su quest’unico punto dalla Commissione, ritiene invece che, giacché gli Stati membri si sono impegnati, ai sensi dell’articolo 344 TFUE, a non sottoporre una controversia relativa all’interpretazione o all’applicazione dei Trattati a un modo di composizione diverso da quelli previsti dai Trattati stessi, la Corte di giustizia dell’Unione europea sia la sola competente a conoscere di una controversia che oppone due Stati membri riguardo all’interpretazione del diritto dell’Unione. In particolare, uno Stato membro che ritenga che un altro Stato membro abbia violato il diritto dell’Unione può chiedere alla Commissione di proporre un ricorso per inadempimento, conformemente all’articolo 258 TFUE, oppure adire direttamente la Corte con un ricorso del genere, in applicazione dell’articolo 259 TFUE.

Giudizio della Corte

24

Per statuire sull’eccezione di incompetenza sollevata dalla Repubblica slovacca, è sufficiente constatare che, nell’ambito del presente ricorso, la Corte è chiamata pronunciarsi sulla portata del diritto dell’Unione e, in particolare, dell’articolo 21 TFUE nonché della direttiva 2004/38, al fine di valutare se sussista l’asserito inadempimento della Repubblica slovacca agli obblighi ad essa incombenti a norma di tale diritto.

25

Orbene, la questione se il diritto dell’Unione sia applicabile alla fattispecie rientra pienamente nelle competenze della Corte, in particolare in conformità dell’articolo 259 TFUE, a pronunciarsi circa la sussistenza di un eventuale inadempimento di tale diritto.

26

La Corte è pertanto competente a pronunciarsi sul ricorso proposto dall’Ungheria e l’eccezione di incompetenza avanzata dalla Repubblica slovacca deve essere respinta.

Sulla prima censura

Argomenti delle parti

27

Con la sua prima censura, l’Ungheria sostiene che la Repubblica slovacca, vietando al Presidente Sólyom l’ingresso nel proprio territorio, ha violato l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE e la direttiva 2004/38.

28

Al fine di dimostrare, anzitutto, l’applicabilità al caso di specie del diritto dell’Unione, il governo ungherese sostiene, in particolare, che la direttiva 2004/38 si applica a qualsiasi cittadino dell’Unione, compresi i capi di Stato, e a tutti i tipi di visite, vale a dire tanto ufficiali quanto private.

29

Esso aggiunge che, se il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea avessero voluto subordinare l’esercizio del diritto alla libera circolazione a norme di diritto internazionale, l’avrebbero previsto, come hanno fatto, ad esempio, all’articolo 3, paragrafo 2, lettera f), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44). Peraltro, siffatte norme di diritto internazionale non esisterebbero. Infatti, tenuto conto della giurisprudenza della Corte secondo cui il legislatore dell’Unione deve rispettare il diritto internazionale, se norme siffatte esistessero, la direttiva 2004/38 ne avrebbe tenuto conto. In ogni caso, anche ammesso che tali norme esistano, l’Ungheria ritiene che la loro applicazione non possa compromettere l’efficacia di una normativa dell’Unione, quale la direttiva 2004/38, introducendo una deroga al suo ambito di applicazione ratione personae.

30

L’Ungheria sostiene inoltre che la portata del diritto di qualsiasi cittadino dell’Unione di circolare liberamente all’interno dell’Unione europea non può essere interpretata restrittivamente, sicché tale diritto può essere assoggettato solo alle limitazioni eccezionalmente previste dalla direttiva 2004/38. Tuttavia, l’applicazione di tali limitazioni sarebbe possibile solo qualora ricorrano i presupposti sostanziali e procedurali previsti da tale direttiva.

31

Orbene, per quanto riguarda i presupposti sostanziali, l’articolo 27, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 ammetterebbe la possibilità per gli Stati membri di adottare provvedimenti restrittivi per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza ove essi si basino esclusivamente sul comportamento personale dell’interessato, nel rispetto del principio di proporzionalità. Inoltre, tali restrizioni sarebbero applicabili solo qualora il comportamento dell’interessato rappresenti una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave per un interesse fondamentale della società. Quanto ai presupposti procedurali, l’articolo 30 della medesima direttiva enuncerebbe le garanzie di cui deve godere qualsiasi cittadino dell’Unione il cui diritto alla libera circolazione venga limitato, attinenti, in particolare, alla comunicazione della motivazione di qualsiasi provvedimento restrittivo e dei mezzi di ricorso a sua disposizione.

32

Secondo l’Ungheria, nel vietare al Presidente dell’Ungheria l’ingresso in territorio slovacco la convenuta non avrebbe rispettato né i presupposti sostanziali né quelli procedurali previsti dalla direttiva 2004/38. Infatti, da un lato, il sig. Sólyom non avrebbe rappresentato una minaccia per alcun interesse fondamentale della società e, in ogni caso, un divieto di ingresso sarebbe stato un provvedimento sproporzionato. Dall’altro, non sarebbe stata inviata al sig. Sólyom alcuna comunicazione per informarlo dei motivi della decisione di cui trattasi e dei mezzi di ricorso a sua disposizione.

33

La Repubblica slovacca, sostenuta al riguardo dalla Commissione, precisa anzitutto che la progettata visita del Presidente dell’Ungheria non era una visita privata di un cittadino dell’Unione, bensì la visita di un capo di Stato nel territorio di un altro Stato membro. Pertanto, la questione che si pone è di stabilire se il diritto dell’Unione e, in particolare, l’articolo 21 TFUE nonché la direttiva 2004/38 siano applicabili ai capi di Stato degli Stati membri.

34

A tal riguardo, la Repubblica slovacca ritiene che, tenuto conto del ruolo dei capi di Stato, i loro spostamenti all’interno dell’Unione rientrino nell’ambito delle relazioni diplomatiche tra gli Stati membri, quali disciplinate dal diritto internazionale consuetudinario e dalle convenzioni internazionali. Infatti, il principio di attribuzione delle competenze risultante dagli articoli 3 TUE, 4, paragrafo 1, TUE e 5 TUE escluderebbe le relazioni diplomatiche bilaterali tra gli Stati membri dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Ciò sarebbe confermato, anzitutto, dalla sentenza del 22 marzo 2007, Commissione/Belgio (C-437/04, Racc. pag. I-2513), secondo cui gli Stati membri conserverebbero la facoltà di disciplinare le loro relazioni diplomatiche anche dopo l’adesione all’Unione. Oltre a ciò, nessuna disposizione dei Trattati attribuirebbe espressamente all’Unione la competenza a disciplinare le relazioni diplomatiche tra gli Stati membri.

35

Inoltre, un capo di Stato, in quanto titolare della sovranità dello Stato che rappresenta, potrebbe recarsi in un altro Stato sovrano solo qualora quest’ultimo ne sia stato informato e vi abbia acconsentito. A tale proposito, la Repubblica slovacca rammenta che l’articolo 4, paragrafo 2, TUE dispone che l’«Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale» e che il principio di libera circolazione non può in nessun caso comportare una modifica dell’ambito di applicazione del Trattato UE o delle disposizioni di diritto derivato.

36

Per quanto concerne gli argomenti formulati dall’Ungheria riguardo all’applicabilità al caso di specie del diritto dell’Unione, la Repubblica slovacca controbatte, in primo luogo, che il fatto che la direttiva 2004/38 non preveda deroghe relativamente alla circolazione dei capi di Stato non significa che detta direttiva sia loro applicabile, posto che l’applicazione del diritto dell’Unione ai capi di Stato è esclusa dai Trattati stessi. In secondo luogo, la Repubblica slovacca, come la Commissione, contesta il raffronto fatto tra la direttiva 2004/38 e la direttiva 2003/109, poiché questi due testi hanno oggetti diversi, mirando la seconda a migliorare l’integrazione degli immigrati in situazione regolare. In terzo luogo, le sentenze del 24 novembre 1992, Poulsen e Diva Navigation (C-286/90, Racc. pag. I-6019) e del 16 giugno 1998, Racke (C-162/96, Racc. pag. I-3655), non creerebbero alcun obbligo a carico del legislatore dell’Unione di indicare, per ogni atto di diritto derivato, l’ambito di applicazione ratione materiae e ratione personae dei Trattati nel contesto del diritto internazionale. Infine, in quarto luogo, le sentenze del 6 aprile 1995, RTE e ITP/Commissione (C-241/91 P e C-242/91 P, Racc. pag. I-743), e del 22 ottobre 2009, Bogiatzi (C-301/08, Racc. pag. I-10185), sarebbero pertinenti solo allorché non è contestata la competenza dell’Unione, diversamente da quanto avviene nel caso in esame.

37

Inoltre, se si ammettesse l’applicazione del diritto dell’Unione in circostanze come quelle della fattispecie, il capo di Stato di uno Stato membro beneficerebbe in un altro Stato membro di privilegi in base al diritto dell’Unione, pur essendo, al contempo, tutelato dalle immunità previste dal diritto internazionale contro l’applicabilità delle decisioni amministrative adottate da detto Stato in forza del diritto dell’Unione. Ne conseguirebbe che uno Stato membro non potrebbe né negare l’ingresso nel proprio territorio a tale persona né, tenuto conto delle sue immunità, allontanarla successivamente.

38

In ogni caso, anche ammesso che il diritto dell’Unione sia applicabile nel caso di specie, la Repubblica slovacca nega di avere applicato tale diritto e, in particolare, la direttiva 2004/38. Essa rileva, a tale proposito, che la nota verbale del 21 agosto 2009 contenente il riferimento alla direttiva 2004/38 si collocava nell’ambito degli scambi diplomatici concernenti l’organizzazione della progettata visita del Presidente dell’Ungheria e non costituiva quindi una «decisione» ai sensi della direttiva di cui trattasi. Peraltro, tale nota sarebbe stata redatta non da un agente di polizia dei servizi di controllo alle frontiere, bensì dal Ministero degli Affari Esteri, vale a dire un organo manifestamente incompetente ad adottare una decisione in prima istanza in applicazione della direttiva 2004/38 e delle pertinenti norme nazionali. Inoltre, lungi dall’essere essere indirizzata al sig. Sólyom, la nota in questione sarebbe stata trasmessa per via diplomatica all’Ungheria.

39

La Repubblica slovacca sostiene altresì che l’infelice formulazione della stessa nota e il riferimento alla direttiva 2004/38 non determinano l’applicazione ratione materiae alla presente causa della direttiva citata.

Giudizio della Corte

40

Al fine di pronunciarsi sulla prima censura del ricorso, occorre anzitutto ribadire che lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri (v., in particolare, sentenze del 20 settembre 2001, Grzelczyk, C-184/99, Racc. pag. I-6193, punto 31; del 2 marzo 2010, Rottmann, C-135/08, Racc. pag. I-1449, punto 43, e del 15 novembre 2011, Dereci e a., C-256/11, Racc. pag. I-11315, punto 62).

41

A tal fine l’articolo 20 TFUE conferisce a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro lo status di cittadino dell’Unione (v., in particolare, sentenze dell’11 luglio 2002, D’Hoop, C-224/98, Racc. pag. I-6191, punto 27; del 2 ottobre 2003, Garcia Avello, C-148/02, Racc. pag. I-11613, punto 21, e dell’8 marzo 2011, Ruiz Zambrano, C-34/09, Racc. pag. I-1177, punto 40).

42

Ne consegue che il sig. Sólyom, essendo cittadino ungherese, gode incontestabilmente di tale status.

43

Orbene, da un lato, è ben vero che, conformemente all’articolo 21 TFUE, la cittadinanza dell’Unione conferisce a ciascun cittadino dell’Unione il diritto fondamentale e individuale di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le restrizioni fissate dai Trattati e i provvedimenti adottati al fine della loro applicazione (v. sentenze del 7 ottobre 2010, Lassal, C-162/09, Racc. pag. I-9217, punto 29, e del 5 maggio 2011, McCarthy, C-434/09, Racc. pag. I-3375, punto 27).

44

D’altro lato, occorre ricordare che il diritto dell’Unione deve essere interpretato alla luce delle norme pertinenti di diritto internazionale, poiché tale diritto è parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione e vincola le istituzioni di quest’ultima (v., in questo senso, sentenze Racke, cit., punti 45 e 46, nonché del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione, C-402/05 P e C-415/05 P, Racc. pag. I-6351, punto 291).

45

Nella fattispecie occorre pertanto verificare se, come affermato dalla Repubblica slovacca, la circostanza che il sig. Sólyom, oltre ad essere cittadino dell’Unione, all’epoca dei fatti ricoprisse la funzione di capo dello Stato ungherese, sia atta a costituire una limitazione, fondata sul diritto internazionale, all’applicazione del diritto di circolazione conferitogli dall’articolo 21 TFUE.

46

A tal proposito va ricordato che, in base alle norme consuetudinarie di diritto internazionale generale nonché alle norme delle convenzioni multilaterali, i capi di Stato godono nelle relazioni internazionali di uno status speciale che comporta, in particolare, privilegi e immunità.

47

Specificamente, l’articolo 1 della Convenzione di New York del 14 dicembre 1973, sulla prevenzione e la punizione dei crimini contro le persone protette a livello internazionale, compresi gli agenti diplomatici, dichiara, in particolare, che qualsiasi capo di Stato, allorché si trova nel territorio di uno Stato estero, gode di tale protezione.

48

Di conseguenza, la presenza di un capo di Stato nel territorio di un altro Stato impone a quest’ultimo l’obbligo di garantire la protezione della persona che riveste detta funzione, e ciò indipendentemente dal titolo a cui il suo soggiorno sia effettuato.

49

Lo status di capo di Stato presenta quindi una specificità, derivante dal fatto di essere regolato dal diritto internazionale, con la conseguenza che i comportamenti di tale capo di Stato sul piano internazionale, ad esempio la sua presenza all’estero, rientrano nell’ambito di tale diritto, e in particolare del diritto delle relazioni diplomatiche.

50

Siffatta specificità è idonea a distinguere la persona che gode di tale status da tutti gli altri cittadini dell’Unione, cosicché all’ingresso di detta persona nel territorio di un altro Stato membro non si applicano le stesse condizioni che sono applicabili agli altri cittadini.

51

Ne consegue che la circostanza che un cittadino dell’Unione ricopra la funzione di capo di Stato è idonea a giustificare una limitazione, fondata sul diritto internazionale, all’esercizio del diritto di circolazione che l’articolo 21 TFUE gli conferisce.

52

Alla luce di tutto quel che precede, occorre concludere che, nelle circostanze della fattispecie, né l’articolo 21 TFUE né, a fortiori, la direttiva 2004/38 imponevano alla Repubblica slovacca di garantire l’ingresso nel suo territorio al Presidente dell’Ungheria e che, pertanto, la prima censura del ricorso deve essere respinta in quanto infondata.

Sulla terza censura

Argomenti delle parti

53

Con la sua terza censura, che è opportuno esaminare in secondo luogo, l’Ungheria sostiene che la Repubblica slovacca, negando al Presidente dell’Ungheria l’ingresso nel suo territorio, ha violato la direttiva 2004/38 e che il fatto stesso di fondare la nota verbale del 21 agosto 2009 su tale direttiva rientra nella nozione di abuso di diritto, come definita dalla giurisprudenza della Corte (v. in particolare, sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke, C-110/99, Racc. pag. I-11569). Di fatto, la Repubblica slovacca si sarebbe avvalsa della direttiva di cui trattasi per perseguire finalità politiche.

54

Orbene, secondo l’Ungheria, il ricorso al diritto dell’Unione per esprimere un’ostilità sul piano politico attraverso misure restrittive della libertà di circolazione dei cittadini è in contrasto con i valori fondamentali dell’Unione. Del pari, l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza menzionati dalla direttiva 2004/38 non potrebbero essere invocati per scopi politici. L’Ungheria aggiunge che, se tale comportamento fosse considerato compatibile con il diritto dell’Unione, nulla impedirebbe in futuro agli altri Stati membri di «comporre» le loro controversie bilaterali invocando il diritto dell’Unione, il che è palesemente in contrasto con gli obiettivi di tale diritto.

55

La Repubblica slovacca ribatte che non ha avuto luogo alcun abuso del diritto dell’Unione, non essendo tale diritto applicabile al caso di specie, e che, in ogni caso, non ricorrono nella fattispecie i presupposti previsti dalla giurisprudenza per constatare che sussista una siffatta applicazione abusiva.

Giudizio della Corte

56

Va ricordato che erroneamente, nella sua nota verbale del 21 agosto 2009, la Repubblica slovacca ha fatto riferimento alla direttiva 2004/38, come peraltro riconosciuto da tale Stato membro.

57

Nondimeno, siffatta circostanza non è sufficiente a dimostrare un abuso di diritto commesso dalla Repubblica slovacca.

58

La Corte ha infatti già avuto modo di dichiarare che la prova di una prassi abusiva richiede, da una parte, un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non è stato raggiunto e, dall’altra, un elemento soggettivo consistente nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (v. sentenze Emsland-Stärke, cit., punti 52 e 53, nonché del 21 luglio 2005, Eichsfelder Schlachtbetrieb, C-515/03, Racc. pag. I-7355, punto 39).

59

Orbene, nella fattispecie, da un lato, le condizioni previste per l’applicazione della direttiva 2004/38 non sono state formalmente rispettate. L’unico atto che faccia riferimento a tale direttiva è costituito infatti dalla nota verbale del 21 agosto 2009 del Ministero degli Affari Esteri slovacco inviata all’ambasciatore dell’Ungheria presso la Repubblica slovacca, non essendo stata adottata dalle autorità competenti nessuna decisione ai sensi dell’articolo 27 della menzionata direttiva né, a fortiori, notificata al sig. Sólyom in conformità dell’articolo 30 della stessa direttiva.

60

D’altro lato, per gli stessi motivi, risulta chiaramente dal fascicolo che la Repubblica slovacca non ha creato artificiosamente le condizioni necessarie per l’applicazione della direttiva 2004/38. In effetti, il mero fatto di invocare tale direttiva nella predetta nota verbale non è manifestamente idoneo a rendere possibile l’applicazione di siffatta direttiva ad una situazione di fatto alla quale non è applicabile.

61

Pertanto, anche la terza censura deve essere respinta in quanto infondata.

Sulle censure seconda e quarta

62

È opportuno esaminare congiuntamente le censure seconda e quarta.

Argomenti delle parti

63

Con la sua seconda censura, l’Ungheria sostiene che esiste il rischio che la Repubblica slovacca ripeta in futuro la violazione degli articoli 3 TUE e 21 TFUE, nonché della direttiva 2004/38. Un rischio del genere sarebbe confermato in particolare da varie dichiarazioni rese dalle autorità slovacche, secondo le quali il loro comportamento nei confronti del Presidente dell’Ungheria non avrebbe violato il diritto dell’Unione.

64

Dato che nega qualsiasi violazione del diritto dell’Unione a motivo, essenzialmente, della sua inapplicabilità nel caso di specie, la Repubblica slovacca considera che, conseguentemente, non sussiste alcun rischio di reiterazione. In ogni caso, la seconda censura riguarderebbe solo un comportamento futuro ed eventuale delle autorità slovacche. Inoltre, gli elementi addotti dall’Ungheria a sostegno di tale censura sarebbero dichiarazioni rese posteriormente alla nota del 21 agosto 2009, la cui presa in considerazione nel presente procedimento violerebbe i diritti della difesa della Repubblica slovacca. Infine, quest’ultima, riferendosi ad un netto miglioramento dei rapporti tra i due Stati membri nel periodo successivo ai fatti contestati – di cui sarebbe testimonianza, in particolare, l’incontro del 10 settembre 2009, ricordato al punto 10 della presente sentenza –, esclude la possibilità che simili malintesi possano ripetersi in futuro.

65

Con la sua quarta censura, l’Ungheria sostiene che, qualora la Corte dovesse concludere che nel caso di specie sono applicabili le norme del diritto internazionale, e non il diritto dell’Unione, essa dovrebbe allora precisare l’ambito di applicazione ratione personae di tali norme, al fine di chiarire i limiti all’applicazione dell’articolo 21 TFUE e della direttiva 2004/38 per quanto concerne le relazioni bilaterali tra gli Stati membri. In particolare, la Corte dovrebbe precisare se tali limiti riguardino solo i capi di Stato o anche altre categorie di cittadini dell’Unione.

66

La Repubblica slovacca ritiene che la questione di stabilire quali persone, oltre ai capi di Stato, siano sottratte all’applicazione dell’articolo 21 TFUE e della direttiva 2004/38 non abbia alcuna incidenza sulla soluzione della controversia.

Giudizio della Corte

67

Per pronunciarsi sulle due presenti censure, occorre ricordare che il procedimento istituito dall’articolo 259 TFUE è diretto a far constatare e a far cessare il comportamento di uno Stato membro che è in violazione del diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 7 febbraio 1979, Francia/Commissione, 15/76 e 16/76, Racc. pag. 321, punto 27; del 6 dicembre 2007, Commissione/Germania, C-456/05, Racc. pag. I-10517, punto 25, nonché del 21 settembre 2010, Svezia e a./API e Commissione, C-514/07 P, C-528/07 P e C-532/07 P, Racc. pag. I-8533, punto 119).

68

Dunque, poiché l’obiettivo del Trattato è di giungere all’effettiva eliminazione degli inadempimenti degli Stati membri e delle loro conseguenze (sentenza del 12 luglio 1973, Commissione/Germania, 70/72, Racc. pag. 813, punto 13), è irricevibile un ricorso a norma dell’articolo 259 TFUE che riguardi inadempimenti futuri ed eventuali o che si limiti a chiedere un’interpretazione del diritto dell’Unione.

69

Orbene, si deve necessariamente constatare che, con la sua seconda censura, l’Ungheria, da un lato, si limita a menzionare un rischio di futuri inadempimenti degli articoli 3 TUE e 21 TFUE, nonché della direttiva 2004/38, e, d’altro lato, essa non sostiene che tale rischio, ammesso che sia dimostrato, costituisca, di per sé, un inadempimento del diritto dell’Unione.

70

Per quanto riguarda la quarta censura, l’Ungheria non chiede alla Corte di constatare un inadempimento della Repubblica slovacca, ma cerca solo di ottenere un’interpretazione del diritto dell’Unione. Inoltre, tale interpretazione sarebbe, secondo quanto asserito, necessaria al fine di applicare tale diritto ad una situazione di fatto diversa da quella oggetto della fattispecie. In realtà, le circostanze nelle quali ha avuto luogo l’incidente avvenuto il 21 agosto 2009 tra l’Ungheria e la Repubblica slovacca riguardavano unicamente il Presidente dell’Ungheria e non altre categorie di cittadini.

71

La seconda e la quarta censura devono essere pertanto respinte in quanto irricevibili.

72

Non essendo stata accolta nessuna delle censure avanzate dall’Ungheria, il ricorso deve essere integralmente respinto.

Sulle spese

73

Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Repubblica slovacca ne ha fatto domanda, l’Ungheria, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

74

Ai sensi del paragrafo 4, primo comma, dello stesso articolo, la Commissione, intervenuta nella presente causa, sopporterà le proprie spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

Il ricorso è respinto.

 

2)

L’Ungheria è condannata alle spese.

 

3)

La Commissione europea sopporterà le proprie spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: lo slovacco.