Causa C-180/04

Andrea Vassallo

contro

Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova e Cliniche Universitarie Convenzionate

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale di Genova)

«Direttiva 1999/70/CE — Clausole 1, lett. b), e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato — Costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di violazione delle norme che disciplinano i contratti a tempo determinato stipulati in successione — Possibilità di deroga per i contratti di lavoro conclusi con una pubblica amministrazione»

Conclusioni dell’avvocato generale M. Poiares Maduro, presentate il 20 settembre 2005 

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 7 settembre 2006 

Massime della sentenza

Politica sociale — Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato — Direttiva 1999/70

[Direttiva del Consiglio 1999/70, allegato, clausole 1, lett. b), e 5]

L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura in allegato alla direttiva 1999/70, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.

(v. punto 42 e dispositivo)





SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

         7 settembre 2006 (*)

«Direttiva 1999/70/CE – Clausole 1, lett. b), e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato – Costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di violazione delle norme che disciplinano i contratti a tempo determinato stipulati in successione – Possibilità di deroga per i contratti di lavoro conclusi con una pubblica amministrazione»

Nel procedimento C‑180/04,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunale di Genova, con decisione 15 marzo 2004, pervenuta in cancelleria il 16 aprile 2004, nella causa

Andrea Vassallo

contro

Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova e Cliniche Universitarie Convenzionate,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dal sig. R. Schintgen (relatore), dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. G. Arestis e J. Klučka, giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig.ra M. Ferreira

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 luglio 2005,

considerate le osservazioni presentate:

–       per il sig. Vassallo, dagli avv.ti G. Bellieni e A. Lanata;

–       per l’Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova e Cliniche Universitarie Convenzionate, dall’avv. C. Ciminelli;

–       per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;

–       per il governo ellenico, dalle sig.re A. Samoni-Rantou e E. Mamouna, nonché dai sigg. M. Apessos e I. Bakopoulos, in qualità di agenti;

–       per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra N. Yerrell e dal sig. A. Aresu, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni presentate dall’avvocato generale all’udienza del 20 settembre 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle clausole 1, lett. b), e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43).

2       Questa domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Vassallo e il suo datore di lavoro, l’Azienda Ospedaliera Ospedale San Martino di Genova e Cliniche Universitarie Convenzionate (in prosieguo: l’«azienda ospedaliera»), in ordine al mancato rinnovo del contratto di lavoro che lo vincolava a tale datore di lavoro.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

3       Ai sensi della clausola 1, l’accordo quadro ha l’obiettivo di:

«a)      migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione;

b)      creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».

4       La clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro prevede che quest’ultimo «si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro».

5       Ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro:

«1.       Per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:

a)      ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;

b)      la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;

c)      il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.

2.      Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato:

a)      devono essere considerati “successivi”;

b)      devono essere ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».

6       Ai sensi dell’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri erano tenuti a mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a quest’ultima entro il 10 luglio 2001.

 La normativa nazionale

7       Con legge 29 dicembre 2000, n. 422, recante disposizioni per l’adempimento degli obiettivi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 2000 (Supplemento ordinario alla GURI n. 16 del 20 gennaio 2001; in prosieguo: la «legge n. 422/2000»), il legislatore nazionale ha delegato il governo italiano ad emanare i decreti legislativi necessari per recepire le direttive comunitarie di cui agli allegati A e B di tale legge. Nell’allegato B è in particolare menzionata la direttiva 1999/70.

8       L’art. 2, n. 1, lett. b), della legge n. 422/2000 dispone in particolare che, «per evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, saranno introdotte le occorrenti modifiche o integrazioni alle discipline stesse […]», e la stessa disposizione, alla lett. f), prevede che «i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che, nelle materie trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime […]».

9       Il 6 settembre 2001, il governo italiano ha adottato, sulla base dell’art. 2, n. 1, lett. f), della legge n. 422/2000, il decreto legislativo n. 368, recante attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES (GURI n. 235 del 9 ottobre 2001, pag. 4; in prosieguo: il «d. lgs. n. 368/2001»).

10     L’art. 1, n. 1, del d. lgs. n. 368/2001 dispone che «è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo».

11     Ai sensi dell’art. 4, n. 1, del d. lgs. n. 368/2001, il contratto di lavoro può essere prorogato una sola volta quando la durata iniziale di quest’ultimo sia inferiore a tre anni «a condizione che [la proroga] sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato». Tuttavia, in tal caso, la durata complessiva del detto contratto non può eccedere i tre anni.

12     L’art. 5 del d. lgs. n. 368/2001, intitolato «Scadenza del termine e sanzioni. Successione dei contratti», dispone:

«1.      Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell’art. 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, o al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore.

2.      Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.

3.      Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell’art. 1, entro un periodo di dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

4.      Quando si tratta di due assunzioni successive e a termine, intendendosi per tali quelle effettuate senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto».

13     L’art. 10 del d. lgs. n. 368/2001 contiene una lista di casi nei quali l’applicazione della nuova normativa relativa ai contratti a tempo determinato è esclusa. Nessuno di tali casi riguarda il settore della pubblica amministrazione.

14     Il d. lgs. n. 368/2001 è entrato in vigore, secondo il giudice del rinvio, il 21 settembre 2001. Il suo art. 11, n. 1, precisa che «[d]alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo sono abrogate […] tutte le disposizioni di legge che sono comunque incompatibili e non sono espressamente richiamate nel presente decreto legislativo». Il n. 3 del detto articolo aggiunge che «i contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente continuano a dispiegare i loro effetti fino alla scadenza».

15     D’altro canto, ai sensi dell’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (Supplemento ordinario alla GURI n. 106 del 9 maggio 2001, in prosieguo: il «d. lgs. n. 165/2001»):

«1.      Le pubbliche amministrazioni, nel rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale di cui ai commi precedenti, si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di assunzione e d’impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. I contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti a tempo determinato, dei contratti di formazione e di lavoro, degli altri rapporti formativi e della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo […].

2.      In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave».

 La controversia nella causa principale e le questioni pregiudiziali

16     Il ricorrente nella causa principale è stato assunto in qualità di cuoco dall’azienda ospedaliera in forza di due successivi contratti a tempo determinato, il primo per il periodo 5 luglio 2001 - 4 gennaio 2002 e il secondo, firmato il 2 gennaio 2002, che prolungava tale periodo sino all’11 luglio 2002.

17     Il secondo contratto del ricorrente nella causa principale non è stato rinnovato alla sua scadenza dall’azienda ospedaliera e quest’ultima ha proceduto al formale licenziamento dell’interessato al momento in cui egli si è presentato sul posto di lavoro al termine del detto contratto.

18     Il ricorrente nella causa principale ha impugnato la decisione di licenziamento dinanzi al Tribunale di Genova, chiedendo a quest’ultimo, da una parte, di dichiarare, sulla base del d. lgs. n. 368/2001, la sussistenza di un rapporto lavorativo a tempo indeterminato con l’azienda ospedaliera e, dall’altra, di condannare l’azienda stessa al pagamento delle retribuzioni dovute e al risarcimento del danno subito.

19     L’azienda ospedaliera fa valere che l’art. 5 del d. lgs. n. 368/2001 è inapplicabile nel caso di specie, in quanto l’art. 36 del d. lgs. n. 165/2001 vieta alle pubbliche amministrazioni di stipulare contratti di lavoro a tempo indeterminato.

20     Il giudice del rinvio ritiene che il d. lgs. n. 368/2001 non abbia abrogato l’art. 36 del d. lgs. n. 165/2001, il quale avrebbe il carattere di una lex specialis risultante dai principi costituzionali in materia di funzionamento e di organizzazione dei pubblici servizi.

21     Esso si basa, a questo proposito, sulla sentenza 13 marzo 2003, n. 89, della Corte costituzionale, da cui risulterebbe che l’art. 36, n. 2, prima frase, del d. lgs. n. 165/2001 è conforme ai principi costituzionali di uguaglianza e di buon andamento dell’amministrazione sanciti rispettivamente agli artt. 3 e 97 della Costituzione italiana. La Corte costituzionale ha considerato che il principio fondamentale in forza del quale l’accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione avviene mediante concorso, in applicazione dell’art. 97, terzo comma, della detta Costituzione, rende legittima la disparità di trattamento esistente tra i lavoratori del settore privato e quelli della pubblica amministrazione in caso di accertamento di un’illegalità nella conclusione di contratti successivi a tempo determinato.

22     Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, è escluso che il legislatore italiano abbia inteso, mediante il d. lgs. n. 165/2001, attuare la direttiva 1999/70. Esso si chiede se il sistema istituito dall’art. 36 del detto decreto legislativo comprenda «norme equivalenti per la prevenzione degli abusi» ai sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro. Inoltre, se si doveva riconoscere che la Repubblica italiana non ha effettuato una trasposizione completa di tale direttiva, dato che essa l’avrebbe trasposta unicamente per quanto riguarda i rapporti di lavoro nel settore privato, il giudice nazionale si chiede se la detta direttiva attribuisca ai singoli un diritto specifico alla conversione del loro rapporto di lavoro ovvero se, alla luce delle specificità dell’organizzazione del lavoro nel settore pubblico e, pertanto, dell’impossibilità di applicare a quest’ultimo le disposizioni del d. lgs. n. 368/2001, un tale inadempimento possa determinare solo diritti a un indennizzo nei confronti dello Stato membro inadempiente, conformemente alla giurisprudenza instaurata dalla sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C‑6/90 e C‑9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I‑5357).

23     Alla luce di quanto sopra, il Tribunale di Genova ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se – tenuto conto dei principi di non discriminazione e di effettività (avuto riguardo, per quanto specificamente riguarda l’Italia, alle misure da essa prese con riferimento al rapporto di lavoro alle dipendenze di datori di lavoro non pubblici) – la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell’Unione del 28 giugno 1999 (articolo 1 nonché clausole 1, lett. b), e clausola 5 dell’Accordo quadro sul lavoro CES‑UNICE‑CEEP recepito dalla Direttiva) debba essere intesa nel senso che osta ad una disciplina interna quale quella di cui all’art. 36 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che non stabilisce “a quali condizioni i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato … devono essere ritenuti contratti a tempo indeterminato”, addirittura escludendo in radice e in modo assoluto che l’abuso del ricorso a tale forma di contrattazione e di rapporti possa dare luogo alla costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

2)      In caso di risposta affermativa al [primo] quesito […], se, tenuto conto dell’avvenuta scadenza del termine di recepimento, la [direttiva 1999/70] […] (e in particolare la clausola 5 di essa), e i principi di diritto comunitario applicabili debbano ritenersi – anche alla luce del D. Lgs. 368/2001 e, segnatamente, del suo articolo 5, che considera conseguenza normale dell’abuso del contratto o del rapporto a termine la conversione in rapporto a tempo indeterminato – attribuire al singolo un diritto, attuale e immediatamente esigibile secondo le norme interne più prossime alla fattispecie (e quindi secondo le norme di cui al D. Lgs. 368/2001), al riconoscimento della titolarità, in proprio capo, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

3)      In caso di risposta affermativa al [primo] quesito […], e negativa al [secondo] quesito […], se, tenuto conto dell’avvenuta scadenza del termine di recepimento, la Direttiva 1999/70 […] (e in particolare la clausola 5 di essa) e i principi di diritto comunitario applicabili debbano ritenersi attribuire al singolo esclusivamente il diritto al risarcimento del danno eventualmente sofferto dalla mancata adozione, da parte della Repubblica Italiana, delle misure idonee a prevenire gli abusi del ricorso al contratto e/o al rapporto di lavoro a termine alle dipendenze di datori di lavoro pubblici».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

 Osservazioni presentate alla Corte

24     L’azienda ospedaliera ritiene che la domanda di pronuncia pregiudiziale sia irricevibile in quanto la direttiva 1999/70 non sarebbe direttamente applicabile alla controversia nella causa principale, in considerazione della mancanza di efficacia diretta orizzontale delle direttive, poiché essa non dipende né dallo Stato italiano né da alcun ministero. Si tratterebbe di un’azienda autonoma con dirigenti propri che sono tenuti, nell’ambito della loro gestione, ad applicare le norme del diritto interno, che non potrebbero sindacare e a cui non potrebbero derogare.

25     Anche il governo italiano fa valere che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile. Esso ritiene che tale domanda sia priva di ogni rilevanza per la soluzione della causa principale dato che il primo contratto è stato concluso prima della scadenza del termine di trasposizione della direttiva 1999/70, fissato al 10 luglio 2001.

 Giudizio della Corte

26     Per quanto riguarda, in primo luogo, l’eccezione di irricevibilità sollevata dall’azienda ospedaliera, basta constatare che risulta dalla decisione di rinvio che il giudice nazionale considera provato il fatto che tale azienda costituisce un ente del settore pubblico collegato alla pubblica amministrazione. Ora, secondo una giurisprudenza costante, una direttiva può essere fatta valere non soltanto nei confronti delle autorità dello Stato, ma anche nei confronti di organismi o di enti soggetti all’autorità o al controllo dello Stato o che dispongano di poteri eccedenti i limiti di quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti tra singoli, come enti pubblici territoriali o organismi che, indipendentemente dalla loro forma giuridica, siano stati incaricati, con un atto della pubblica autorità, di prestare, sotto il controllo di quest’ultima, un servizio di interesse pubblico (sentenze 22 giugno 1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo, Racc. pag. 1839, punto 31; 12 luglio 1990, causa C‑188/89, Foster e a., Racc. pag. I‑3313, punto 19, nonché 5 febbraio 2004, causa C‑157/02, Rieser Internationale Transporte, Racc. pag. I‑1477, punto 24).

27     Pertanto, la detta eccezione di irricevibilità non può essere accolta nel caso di specie.

28     Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’eccezione di irricevibilità sollevata dal governo italiano, basta constatare che risulta dalla direttiva 1999/70, il cui termine di recepimento è scaduto il 10 luglio 2001, che quest’ultima è diretta a prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato e che le sue disposizioni vertono principalmente sul rinnovo dei contratti a tempo determinato e sulle condizioni alle quali tale rinnovo è subordinato. Ora, il rinnovo del contratto controverso nella causa principale è avvenuto il 2 gennaio 2002 ed è quindi posteriore alla data in cui la detta direttiva doveva essere recepita nell’ordinamento nazionale. Di conseguenza non può essere validamente sostenuto che l’interpretazione di quest’ultima sia priva di ogni rilevanza per la soluzione della controversia all’esame del giudice del rinvio.

29     Neppure questa eccezione di irricevibilità può quindi essere accolta.

30     Risulta dalle considerazioni che precedono che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.

 Sul merito

 Sulla prima questione

31     Con la sua prima questione, sostanzialmente identica a quella sollevata nella causa C‑53/04, Marrosu e Sardino, decisa con sentenza in data odierna (non ancora pubblicata nella Raccolta), il giudice del rinvio chiede in sostanza se l’accordo quadro debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi ultimi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre invece una tale trasformazione è prevista per quanto riguarda i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato.

32     Al fine di risolvere tale questione, occorre innanzi tutto rilevare che, contrariamente a quanto sostengono l’azienda ospedaliera ed il governo italiano, la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro sono destinati ad applicarsi ai contratti e ai rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e altri enti del settore pubblico (sentenza 4 luglio 2006, causa C‑212/04, Adeneler e a., non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 54).

33     Orbene, come la Corte ha dichiarato al punto 48 della citata sentenza Marrosu e Sardino, la clausola 5 dell’accordo quadro non osta, in quanto tale, a che uno Stato membro riservi una sorte diversa all’abuso di ricorso a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione a seconda che i detti contratti o rapporti siano stati conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato o con un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.

34     Tuttavia, come risulta dal punto 105 della citata sentenza Adeneler e a., perché una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, che vieta, nel solo settore pubblico, la trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato di una successione di contratti a tempo determinato, possa essere considerata conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro interessato deve prevedere, in detto settore, un’altra misura effettiva per evitare e, nel caso, sanzionare l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato stipulati in successione.

35     Per quanto riguarda quest’ultima condizione, occorre ricordare che la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro impone agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure elencate in tale disposizione e dirette a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, qualora il diritto nazionale non preveda già misure equivalenti.

36     Inoltre quando, come nel caso di specie, il diritto comunitario non prevede sanzioni specifiche nel caso in cui siano stati comunque accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte ad una siffatta situazione, misure che devono rivestire un carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo per garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro (sentenza Adeneler e a., cit., punto 94).

37     Anche se le modalità di attuazione di siffatte norme rientrano nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri in virtù del principio dell’autonomia procedurale di questi ultimi, esse non devono tuttavia essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna (principio di equivalenza) né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività) (v., in particolare, sentenza 14 dicembre 1995, causa C‑312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I‑4599, punto 12, nonché Adeneler e a., cit., punto 95).

38     Ne consegue che, quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Infatti, secondo i termini stessi dell’art. 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono «prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti da [detta] direttiva» (sentenza Adeneler e a., cit., punto 102).

39     Non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione del diritto interno, compito che incombe esclusivamente al giudice del rinvio, il quale deve, nella fattispecie, determinare se i requisiti ricordati ai tre punti precedenti siano soddisfatti dalle disposizioni della normativa nazionale pertinente. La Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può però, ove necessario, fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua interpretazione (v. sentenza 21 febbraio 2006, causa C‑255/02, Halifax e a., Racc. pag. I‑1609, punti 76 e 77).

40     Al riguardo, si deve rilevare che una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, che prevede norme imperative relative alla durata e al rinnovo dei contratti a tempo determinato nonché il diritto al risarcimento del danno subito dal lavoratore a seguito del ricorso abusivo da parte della pubblica amministrazione a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato sembra, prima facie, soddisfare gli obblighi ricordati ai punti 36‑38 della presente sentenza.

41     Tuttavia, spetta al giudice del rinvio valutare in quale misura le condizioni di applicazione nonché l’attuazione effettiva dell’art. 36, n. 2, prima frase, del d. lgs. n. 165/2001 ne fanno uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, sanzionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato.

42     Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione sollevata dichiarando che l’accordo quadro dev’essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi ultimi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per quanto riguarda i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.

 Sulla seconda e sulla terza questione

43     Tenuto conto della soluzione data alla prima questione, non occorre risolvere la seconda e la terza questione.

 Sulle spese

44     Nei confronti delle parti della causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico.

Firme


* Lingua processuale: l'italiano.