Causa C‑330/03

Colegio de Ingenieros de Caminos, Canales y Puertos

contro

Administración del Estado

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Supremo)

«Libera circolazione dei lavoratori — Riconoscimento dei diplomi — Direttiva 89/48/CEE — Professione di ingegnere — Riconoscimento parziale e limitato delle qualifiche professionali — Artt. 39 CE e 43 CE»

Conclusioni dell’avvocato generale P. Léger, presentate il 30 giugno 2005 

Sentenza della Corte (Prima Sezione) 19 gennaio 2006 

Massime della sentenza

1.     Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Lavoratori — Riconoscimento dei diplomi di livello universitario che sanzionano formazioni professionali di durata minima triennale — Direttiva 89/48

(Direttiva del Consiglio 89/48/CEE)

2.     Libera circolazione delle persone — Libertà di stabilimento — Lavoratori — Riconoscimento dei diplomi di livello universitario che sanzionano formazioni professionali di durata minima triennale — Direttiva 89/48

(Artt. 39 CE e 43 CE; direttiva del Consiglio 89/48, art. 4, n. 1)

1.     La direttiva 89/48, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, non osta al fatto che, quando il titolare di un diploma ottenuto in uno Stato membro richieda l’autorizzazione per accedere ad una professione regolamentata in un altro Stato membro, le autorità di tale ultimo Stato accolgano la domanda parzialmente, se il titolare del diploma lo chiede, limitando la portata dell’autorizzazione alle sole attività alle quali il diploma in questione dà accesso nello Stato membro in cui è stato conseguito.

(v. punto 26, dispositivo 1)

2.     Gli artt. 39 CE e 43 CE non ostano a che, quando il titolare di un diploma ottenuto in uno Stato membro richiede l’autorizzazione preliminare per accedere ad una professione regolamentata in un altro Stato membro, questo Stato membro non consenta l’accesso parziale alla detta professione, limitato all’esercizio di una o più attività comprese da quest’ultima, qualora le lacune nella formazione in possesso dell’interessato rispetto a quella necessaria nello Stato membro ospitante possano essere effettivamente colmate con misure di compensazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva 89/48, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni.

Viceversa, gli artt. 39 CE e 43 CE ostano a che il detto Stato membro non accordi tale accesso parziale quando l’interessato lo richieda e quando le differenze tra gli ambiti di attività siano così rilevanti che sarebbe in realtà necessario seguire una formazione completa, a meno che il detto diniego di accesso parziale non sia giustificato da ragioni imperative di pubblico interesse, le quali siano adeguate a garantire la realizzazione dell’obiettivo che perseguono e non eccedano ciò che è necessario per ottenerlo.

(v. punti 27, 39, dispositivo 2)




SENTENZA DELLA CORTE (Prima Sezione)

19 gennaio 2006 (*)

«Libera circolazione dei lavoratori – Riconoscimento dei diplomi – Direttiva 89/48/CEE – Professione di ingegnere – Riconoscimento parziale e limitato delle qualifiche professionali – Artt. 39 CE e 43 CE»

Nel procedimento C-330/03,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Tribunal Supremo (Spagna) con decisione 21 luglio 2003, pervenuta in cancelleria il 29 luglio 2003, nella causa

Colegio de Ingenieros de Caminos, Canales y Puertos

contro

Administración del Estrado,

con l’intervento di:

Giuliano Mauro Imo,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dai sigg. P. Jann, presidente di sezione, K. Schiemann, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. E. Juhász ed E. Levits (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. P. Léger

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

viste le osservazioni scritte presentate:

–       per il Colegio de Ingenieros de Caminos, Canales y Puertos, dal sig. A. González Salinas, abogado;

–       per il governo spagnolo, dalla sig.ra N. Díaz Abad, in qualità di agente;

–       per il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. A. Cingolo, avvocato dello Stato;

–       per il governo austriaco, dal sig. E. Riedl, in qualità di agente;

–       per il governo svedese, dal sig. A. Kruse, in qualità di agente;

–       per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. H. Støvlbæk e F. Castillo de la Torre, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 giugno 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione degli artt. 3, primo comma, lett. a), e 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni (GU 1989, L 19, pag. 16; in prosieguo: la «direttiva»), oltre che degli artt. 39 CE e 43 CE.

2       La domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il Colegio de Ingenieros de Caminos, Canales y Puertos (Ordine degli ingegneri civili spagnoli; in prosieguo: il «Colegio») e l’Administración del Estado relativamente alla domanda del sig. Imo, cittadino italiano, in possesso di un diploma di laurea in ingegneria civile ad indirizzo idraulico, ottenuto in Italia, finalizzata a poter accedere alla professione di ingegnere civile in Spagna.

 Contesto normativo

 Diritto comunitario

3       La direttiva ha lo scopo di istituire un metodo di riconoscimento dei diplomi atto a facilitare ai cittadini europei l’esercizio di tutte le attività professionali subordinate in un determinato Stato membro ospitante al possesso di una formazione di livello universitario, sempreché essi siano in possesso di diplomi che li preparino alle dette attività, sanzionino un ciclo di studi di almeno tre anni e siano stati rilasciati in un altro Stato membro.

4       Ai sensi dell’art. 1, lett. c), della direttiva, per «professione regolamentata» si intende «l’attività o l’insieme delle attività professionali regolamentate che costituiscono questa professione in uno Stato membro».

5       L’art. 3, primo comma, della direttiva così prevede:

«Quando nello Stato membro ospitante l’accesso o l’esercizio di una professione regolamentata è subordinato al possesso di un diploma, l’autorità competente non può rifiutare ad un cittadino di un altro Stato membro, per mancanza di qualifiche, l’accesso a/o l’esercizio di tale professione, alle stesse condizioni che vengono applicate ai propri cittadini:

a)       se il richiedente possiede il diploma che è prescritto in un altro Stato membro per l’accesso o l’esercizio di questa stessa professione sul suo territorio, e che è stato ottenuto in un altro Stato membro, (…)

(…)».

6       L’art. 4, n. 1, della direttiva prevede quanto segue:

«L’articolo 3 non osta a che lo Stato membro ospitante esiga inoltre che il richiedente:

a)       provi che possiede un’esperienza professionale, quando la durata della formazione addotta a norma dell’articolo 3, lettere a) e b) è inferiore di almeno un anno a quella prescritta nello Stato membro ospitante. (…)

(…)

(…)

b)       compia un tirocinio di adattamento, per un periodo massimo di tre anni, o si sottoponga a una prova attitudinale:

–       quando la formazione ricevuta conformemente all’articolo 3, lettere a) e b) verte su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate nel diploma prescritto nello Stato membro ospitante, oppure

–       quando, nel caso di cui all’articolo 3, lettera a), la professione regolamentata nello Stato membro ospitante comprende una o più attività professionali regolamentate che non esistono nella professione regolamentata nello Stato membro di origine o provenienza del richiedente, e tale differenza è caratterizzata da una formazione specifica prescritta nello Stato membro ospitante e vertente su materie sostanzialmente diverse da quelle contemplate dal diploma dichiarato dal richiedente (…)

(…)

(…)».

7       L’art. 7 della direttiva disciplina il diritto di coloro che si servono del sistema comunitario di riconoscimento dei diplomi di fregiarsi dei propri titoli professionali e di fare uso dei propri titoli di studio. L’art. 7, nn. 1 e 2, è del seguente tenore:

«1.      L’autorità competente dello Stato membro ospitante riconosce ai cittadini degli altri Stati membri, che soddisfino alle condizioni di accesso e di esercizio di una professione regolamentata sul suo territorio, il diritto di fregiarsi del titolo professionale dello Stato membro ospitante che corrisponde a questa professione.

2.      L’autorità competente dello Stato membro ospitante riconosce ai cittadini degli Stati membri, che soddisfino alle condizioni di accesso e di esercizio di una attività professionale regolamentata sul suo territorio, il diritto di avvalersi del loro legittimo titolo di studio ed eventualmente della relativa abbreviazione, dello Stato membro di origine o di provenienza, nella lingua di tale Stato. Lo Stato membro ospitante può prescrivere che il titolo sia seguito dal nome e dal luogo dell’istituto o della commissione che lo ha rilasciato».

 Diritto nazionale

8       Alla direttiva è stata data esecuzione, nel diritto spagnolo, con il regio decreto 25 ottobre 1991, n. 1665, che disciplina il sistema generale di riconoscimento dei titoli d’istruzione superiore degli Stati membri dell’Unione europea che richiedono una formazione di durata almeno triennale (BOE 22 novembre 1991, n. 280, pag. 37916). Gli artt. 4 e 5 di tale decreto riprendono in sostanza le disposizioni degli artt. 3 e 4 della direttiva.

9       Ai sensi della normativa spagnola, la professione di «ingeniero de caminos, canales y puertos» (in prosieguo: di «ingegnere civile») abbraccia un ampio ambito di attività, come la progettazione e la costruzione di impianti idraulici, di infrastrutture per trasporti terrestri, marittimi e fluviali, la protezione delle spiagge e la pianificazione territoriale, anche urbanistica. Risulta dall’ordinanza di rinvio che si tratta di una professione regolamentata, poiché l’accesso ad essa e il suo esercizio sono subordinati al possesso di un titolo di studio spagnolo, conferito al termine di una formazione specifica di livello universitario di sei anni, o di una formazione equivalente ottenuta in un altro Stato membro e riconosciuta dal Ministero per la Promozione dello Sviluppo. Chiunque desideri esercitare tale professione in Spagna deve previamente iscriversi al Colegio, e tale iscrizione è subordinata al possesso della formazione appena descritta.

 Causa principale e questioni pregiudiziali

10     Il sig. Imo è in possesso di un diploma di laurea in ingegneria civile idraulica conseguito in Italia, il quale consente, in tale Stato, di esercitare la professione di ingegnere civile in ambito idraulico. Il 27 giugno 1996 egli ha chiesto al Ministero spagnolo per la Promozione dello Sviluppo il riconoscimento del suo diploma al fine di poter accedere, in Spagna, alla professione di ingegnere civile.

11     Con provvedimento 4 novembre 1996, il citato Ministero ha riconosciuto il diploma del sig. Imo e lo ha autorizzato ad accedere alla professione di ingegnere civile in Spagna senza alcuna condizione preliminare.

12     Il Colegio ha impugnato tale provvedimento dinanzi all’Audiencia Nacional (Tribunale spagnolo con competenze speciali e giurisdizione su tutto il territorio nazionale). Nel corso del procedimento, esso ha insistito sulla differenza fondamentale tra la professione di ingegnere civile in Spagna e quella di ingegnere civile in ambito idraulico in Italia, sia sul piano dei contenuti della formazione che su quello delle attività abbracciate da ciascuna di tali professioni.

13     Con decisione 1° aprile 1998, l’Audiencia Nacional ha respinto il ricorso, in particolare poiché il diploma di ingegneria civile ad indirizzo idraulico consentirebbe, in Italia, di accedere alla medesima professione svolta da un ingegnere civile in Spagna. D’altra parte, tale giudice ha osservato che la formazione ricevuta dal titolare del citato diploma in ingegneria comprendeva le materie fondamentali richieste in Spagna per il settore dell’ingegneria di cui si discute.

14     Il Colegio ha presentato ricorso per cassazione dinanzi al Tribunal Supremo. Quest’ultimo ha subito osservato che le due formazioni comportano rilevanti differenze sostanziali e che quindi la valutazione dei fatti compiuta dall’Audiencia Nacional era errata.

15     In tale contesto, il Tribunal Supremo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)       Se l’interpretazione del combinato disposto degli artt. 3, lett. a), e 4, n. 1, della direttiva (…), 89/48 (…) consenta allo Stato ospitante di procedere a un riconoscimento limitato delle qualifiche professionali di un richiedente in possesso del titolo di ingegnere civile idraulico (rilasciato in Italia) che intenda esercitare la professione in un altro Stato membro la cui legislazione riconosce come professione regolamentata quella di Ingeniero de Caminos, Canales y Puertos. Si parte dal presupposto che quest’ultima professione comprende nello Stato ospitante attività non sempre corrispondenti con il titolo del richiedente e che la formazione riconosciuta in capo a quest’ultimo non comprende materie fondamentali richieste, a carattere generale, al fine di ottenere il titolo di Ingeniero de Caminos, Canales y Puertos nello Stato ospitante.

2)       In caso di soluzione affermativa alla prima questione: se sia conforme agli artt. 39 CE e 43 CE il fatto d’imporre restrizioni ai richiedenti che intendano esercitare la loro professione, per conto proprio o di terzi, in uno Stato membro diverso da quello nel quale hanno conseguito la qualifica professionale, nel senso che il detto Stato ospitante possa escludere, con le sue norme interne, il riconoscimento limitato delle qualifiche professionali, qualora una tale decisione, conforme in linea di principio all’art. 4 della direttiva 89/48 (…), implichi l’imposizione di requisiti supplementari sproporzionati ai fini dell’esercizio della professione.

Per “riconoscimento” limitato s’intende, in questa sede, quello che autorizzerebbe il richiedente ad esercitare la propria attività di ingegnere soltanto nel settore corrispondente (quello idraulico) della professione, più ampia, di Ingeniero de Caminos, Canales y Puertos, regolamentata nello Stato ospitante, senza imporgli i requisiti supplementari di cui all’art. 4, n. 1, lett. b), della direttiva 89/48 (…)».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla prima questione

16     Con la prima questione il giudice della causa principale chiede, in sostanza, se la direttiva osti al fatto che, quando il titolare di un diploma ottenuto in uno Stato membro richiede l’autorizzazione per accedere ad una professione regolamentata in un altro Stato membro, le autorità di tale ultimo Stato accolgano la domanda parzialmente, a determinate condizioni, limitando la portata dell’autorizzazione alle sole attività alle quali il diploma in questione dà accesso nello Stato membro in cui è stato conseguito.

17     Per rispondere a tale questione è necessario esaminare, in primo luogo, la formulazione delle pertinenti disposizioni della direttiva, in secondo luogo, il sistema e la ratio generale di quest’ultima e, in terzo luogo, gli obiettivi che essa persegue.

18     Innanzi tutto, va ricordato che il testo della direttiva non consente né vieta esplicitamente il riconoscimento parziale delle qualifiche professionali, come definito nell’ordinanza di rinvio. Infatti, il divieto previsto dall’art. 3, primo comma, lett. a), della direttiva non osta ad un simile riconoscimento parziale, poiché un provvedimento assunto su domanda dell’interessato, che autorizzi quest’ultimo ad accedere ad una parte soltanto dell’ambito di attività compreso nella professione regolamentata nello Stato membro ospitante, non può essere equiparato ad un rifiuto d’accesso a tale professione.

19     Inoltre, per quanto riguarda il sistema della direttiva, va ricordato che il sistema di mutuo riconoscimento dei diplomi istituito dalla direttiva non implica che i diplomi rilasciati da altri Stati membri attestino una formazione analoga o comparabile a quella prescritta dallo Stato membro ospitante. Infatti, secondo il sistema creato dalla direttiva, un diploma non è riconosciuto in ragione del valore intrinseco della formazione che sanziona, ma in quanto dà accesso, nello Stato membro in cui è stato rilasciato o riconosciuto, ad una professione regolamentata. Differenze nell’organizzazione o nel contenuto della formazione acquisita nello Stato membro di provenienza rispetto a quella impartita nello Stato membro ospitante non possono bastare a giustificare il rifiuto di riconoscimento della qualifica professionale di cui si tratta. Al massimo, se tali differenze sono di natura sostanziale, possono giustificare che lo Stato membro ospitante esiga che il richiedente soddisfi l’una o l’altra misura di compensazione prevista dall’art. 4 della direttiva (v., in tal senso, sentenza 29 aprile 2004, causa C‑102/02, Beuttenmüller, Racc. pag. I‑5405, punto 52).

20     Ne consegue che, come giustamente rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 40‑43 delle sue conclusioni, l’espressione «questa stessa professione», contenuta all’art. 3, primo comma, lett. a), della direttiva, deve essere intesa come riferita a professioni che sono, nello Stato di provenienza e in quello ospitante, o identiche o analoghe o, in certi casi, semplicemente equivalenti per quanto riguarda le attività in cui esse si estrinsecano. Tale interpretazione è confermata dall’art. 4, n. 1, lett. b), secondo trattino, della direttiva. Nei casi a cui tale disposizione si riferisce, le autorità nazionali competenti devono considerare tutte le attività riferite alla professione in questione nei due Stati membri interessati, per determinare se se si tratti effettivamente della «stessa professione» e se, eventualmente, sia necessario applicare una delle misure di compensazione previste da tale norma. Ciò significa che, anche se la direttiva concepisce una professione regolamentata come un insieme unitario, essa riconosce tuttavia l’esistenza effettiva di attività professionali distinte e di formazioni corrispondenti. Di conseguenza, considerare separatamente ciascuna delle attività professionali riferite ad una professione regolamentata non è contrario né estraneo alla ratio generale della direttiva.

21     La posizione contraria, sostenuta sul punto dai governi spagnolo e svedese, non può essere accolta. Infatti, anche se l’art. 3, primo comma, della direttiva fissa il diritto del cittadino di uno Stato membro, titolare di un diploma previsto dalla direttiva, all’«accesso e/o [all’]esercizio [della] professione [sancita da tale diploma], alle stesse condizioni che vengono applicate ai (…) cittadini» del detto Stato, tale disposizione non può essere interpretata nel senso che essa imponga, sempre e senza alcuna eccezione, di consentire l’accesso integrale a tutte le attività relative a tale professione nello Stato membro ospitante. Come ha in sostanza rilevato l’avvocato generale ai paragrafi 48‑53 delle sue conclusioni, tale frase è una mera riformulazione dei principi fondamentali di non discriminazione e di reciproco affidamento, che sono insiti nel sistema comunitario di riconoscimento dei diplomi.

22     Quanto all’art. 7, n. 1, della direttiva, esso prevede che le autorità competenti dello Stato membro ospitante riconoscano ai cittadini degli altri Stati membri che soddisfano le condizioni di accesso e di esercizio di una professione regolamentata nel suo territorio il diritto di fregiarsi del titolo professionale dello Stato membro ospitante che corrisponde a questa professione. Tale disposizione, che riguarda le conseguenze concrete dell’applicazione delle norme di cui agli artt. 3 e 4 della medesima direttiva, ha l’obiettivo di agevolare l’assimilazione dei cittadini degli altri Stati membri, che abbiano conseguito il proprio titolo in tali Stati, ai cittadini dello Stato membro ospitante che abbiano acquisito la loro qualifica professionale nel medesimo. Tuttavia, il riconoscimento del diritto di fregiarsi del detto titolo professionale previsto dal citato art. 7, n. 1, è possibile solo quando gli interessati soddisfino tutte le condizioni di accesso e di esercizio prescritte per la professione di cui trattasi.

23     Infine, il ragionamento appena svolto è confermato in pieno da un’interpretazione teleologica della direttiva. Infatti, risulta dal terzo e dal tredicesimo ‘considerando’ della direttiva che il suo obiettivo principale è quello di agevolare l’accesso dei titolari di diplomi conferiti in uno Stato membro alle attività professionali corrispondenti negli altri Stati membri, e di rafforzare il diritto dei cittadini europei ad utilizzare le loro conoscenze professionali in tutti gli Stati membri. Va inoltre osservato che la direttiva è stata adottata sulla base dell’art. 57, n. 1, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 47, n. 1, CE). Ebbene, emerge dal testo di tale ultimo articolo che le direttive come quella della quale si discute in questa sede mirano a facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, certificati ed altri titoli stabilendo norme e criteri comuni che comportino, nei limiti del possibile, il riconoscimento automatico di tali diplomi, certificati ed altri titoli. Per contro, esse non hanno come obiettivo e non possono avere come effetto quello di rendere più difficile il riconoscimento di tali diplomi, certificati ed altri titoli nelle situazioni da esse non contemplate (sentenza 22 gennaio 2002, causa C‑31/00, Dreessen, Racc. pag. I‑663, punto 26).

24     A tale proposito va osservato che l’ambito di applicazione dell’art. 4, n. 1, della direttiva, il quale esplicitamente consente misure di compensazione, deve essere limitato ai casi in cui queste ultime si rivelino proporzionate al fine perseguito. In altri termini, sebbene siano espressamente autorizzate, tali misure possono, in taluni casi, rappresentare un elemento in grado di dissuadere pesantemente il cittadino di uno Stato membro dall’esercitare i diritti che gli sono conferiti dalla direttiva. Infatti, un tirocinio di adattamento e una prova attitudinale richiedono entrambi un tempo e uno sforzo considerevoli da parte dell’interessato. La disapplicazione di tali misure può rivelarsi importante, se non addirittura decisiva, per il cittadino di uno Stato membro che desideri accedere, in un altro Stato membro, ad una professione regolamentata. In un caso come quello di cui alla causa principale, un accesso parziale alla professione in questione, concesso su domanda dell’interessato, che non imponga a quest’ultimo misure di compensazione e gli consenta un accesso immediato alle attività professionali per le quali egli è già qualificato, sarebbe conforme agli obiettivi perseguiti dalla direttiva.

25     Ne consegue dunque che né il tenore, né il sistema, né gli obiettivi della direttiva escludono la possibilità di un accesso parziale ad una professione regolamentata, nei termini di cui all’ordinanza di rinvio. Si potrebbe certo sostenere, come fanno il governo spagnolo e quello svedese, che un simile accesso parziale potrebbe comportare un rischio di moltiplicazione delle attività professionali esercitate in modo autonomo da cittadini di altri Stati membri e, di conseguenza, una certa confusione nella mente dei consumatori. Tuttavia, tale rischio potenziale non è sufficiente per affermare l’incompatibilità con la direttiva di un riconoscimento parziale dei titoli professionali. Esistono infatti mezzi sufficientemente efficaci per porvi rimedio, come la possibilità di obbligare gli interessati ad indicare nome e luogo dell’istituzione o della commissione che ha conferito loro il titolo di studio. Inoltre, lo Stato membro ospitante può sempre obbligare gli interessati ad utilizzare, per tutti i rapporti giuridici e commerciali nel suo territorio, sia il titolo di studio ovvero il titolo professionale nella lingua e nella forma originale che la sua traduzione nella lingua ufficiale dello Stato membro ospitante, al fine di assicurarne la comprensione e di evitare ogni rischio di confusione.

26     Sulla base di quanto precede, alla prima questione va risposto dichiarando che la direttiva non osta al fatto che, quando il titolare di un diploma ottenuto in uno Stato membro richieda l’autorizzazione per accedere ad una professione regolamentata in un altro Stato membro, le autorità di tale ultimo Stato accolgano la domanda parzialmente, se il titolare del diploma lo chiede, limitando la portata dell’autorizzazione alle sole attività alle quali il diploma in questione dà accesso nello Stato membro in cui è stato conseguito.

 Sulla seconda questione

27     Con la seconda questione il giudice della causa principale chiede in sostanza se, in un caso come quello posto al suo esame, gli artt. 39 CE e 43 CE ostino a che lo Stato membro ospitante escluda la possibilità di un accesso parziale ad una professione regolamentata, limitato allo svolgimento di una o più attività rientranti in tale professione.

28     A tale proposito va ricordato che, ai sensi dell’art. 43, secondo comma, CE, l’esercizio della libertà di stabilimento è subordinato alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini. Ne consegue che, qualora l’accesso a un’attività specifica o l’esercizio della stessa sia subordinato nello Stato membro ospitante a una determinata disciplina, il cittadino di un altro Stato membro che intenda esercitare tale attività deve, di regola, soddisfare i requisiti fissati da tale normativa (sentenze 30 novembre 1995, causa C‑55/94, Gebhard, Racc. pag. I‑4165, punto 36, e 1° febbraio 2001, causa C‑108/96, Mac Quen e a., Racc. pag. I‑837, punto 25).

29     Le condizioni di accesso alla professione di ingegnere civile non sono state oggetto, a tutt’oggi, di un’armonizzazione a livello comunitario. Pertanto, gli Stati membri restano competenti a definire i citati requisiti, poiché la direttiva non limita la loro competenza sul punto. Ciò non toglie che gli Stati membri debbono esercitare i loro poteri in tale settore nel rispetto delle libertà fondamentali garantite dal Trattato CE (v. sentenze 29 ottobre 1998, cause riunite C‑193/97 e C‑194/97, De Castro Freitas e Escallier, Racc. pag. I‑6747, punto 23; 3 ottobre 2000, causa C‑58/98, Corsten, Racc. pag. I‑7919, punto 31, e Mac Quen e a., cit., punto 24).

30     Secondo giurisprudenza costante, i provvedimenti nazionali che possono limitare o scoraggiare l’esercizio di tali libertà sono accettabili solo qualora soddisfino quattro condizioni: non devono essere applicati in modo discriminatorio; devono rispondere a motivi imperativi di interesse pubblico; devono essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito, e non devono eccedere quanto necessario per il raggiungimento di questo (v., in particolare, sentenze 31 marzo 1993, causa C‑19/92, Kraus, Racc. pag. I‑1663, punto 32; Gebhard, cit., punto 37; 4 luglio 2000, causa C‑424/97, Haim, Racc. pag. I‑5123, punto 57, e Mac Quen e a., cit., punto 26).

31     In casi come quello di cui alla causa principale, una normativa dello Stato membro ospitante che escluda la possibilità, per le autorità di tale Stato, di consentire un accesso parziale ad una professione può limitare o scoraggiare l’esercizio sia della libera circolazione delle persone che della libertà di stabilimento, anche qualora tale normativa sia indistintamente applicabile ai cittadini dello Stato membro ospitante e a quelli degli altri Stati membri.

32     Riguardo all’obiettivo della normativa in esame nel procedimento principale, si deve ammettere, come evidenziano i governi spagnolo e svedese, che un riconoscimento parziale delle qualifiche professionali potrebbe in linea di principio avere l’effetto di suddividere le professioni regolamentate all’interno di uno Stato membro in diverse attività. Ciò comporterebbe in sostanza il rischio di produrre confusione nella mente dei destinatari dei servizi, che potrebbero essere indotti in errore relativamente all’estensione di tali qualifiche. Orbene, la protezione dei destinatari dei servizi, e in generale dei consumatori, è stata già ritenuta dalla Corte una ragione imperativa di pubblico interesse idonea a giustificare limitazioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (v. sentenze 4 dicembre 1986, causa 220/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 3663, punto 20; 21 settembre 1999, causa C‑124/97, Läärä e a., Racc. pag. I‑6067, punto 33, e 11 settembre 2003, causa C‑6/01, Anomar e a., Racc. pag. I‑8621, punto 73).

33     È inoltre necessario che le misure finalizzate a tale obiettivo non eccedano ciò che è necessario per il suo conseguimento. A tale proposito, come ha osservato la Commissione delle Comunità europee, va fatta una distinzione tra due situazioni differenti che possono verificarsi quando le autorità di uno Stato membro sono investite di una domanda di riconoscimento di una qualifica professionale conseguita in un altro Stato membro, e quando la differenza tra i contenuti della formazione o tra le attività che possono essere esercitate in forza del titolo relativo nei due Stati impedisce un riconoscimento pieno ed immediato. Vanno distinti i casi che possono essere obiettivamente risolti con gli strumenti previsti dalla direttiva e quelli che non possono esserlo.

34     Nella prima eventualità, si tratta dei casi in cui il livello di somiglianza delle due professioni, nello Stato membro di provenienza e in quello ospitante, è tale da consentire di parlare, in sostanza, della «stessa professione» ai sensi dell’art. 3, primo comma, lett. a), della direttiva. In casi del genere, le lacune esistenti nella formazione del richiedente se confrontata con quella necessaria nello Stato membro ospitante possono essere efficacemente colmate applicando le misure di compensazione previste dall’art. 4, n. 1, della direttiva, assicurando in tal modo una completa integrazione dell’interessato nel sistema professionale dello Stato membro ospitante.

35     Nella seconda eventualità invece, come giustamente osserva la Commissione, si tratta dei casi non contemplati dalla direttiva, poiché le differenze negli ambiti di attività sono così rilevanti che sarebbe in realtà necessario seguire una formazione completa. Ciò rappresenta un elemento in grado, obiettivamente, di spingere l’interessato a non svolgere, in un altro Stato membro, una o più attività per le quali egli è qualificato.

36     Spetta alle competenti autorità, soprattutto giurisdizionali, dello Stato membro ospitante determinare in quale misura, in ogni caso concreto, il contenuto della formazione seguita dall’interessato sia differente da quello richiesto in tale Stato. Orbene, nell’ambito della causa principale, il Tribunal Supremo ha rilevato che il contenuto della formazione di un ingegnere civile ad indirizzo idraulico in Italia e di un ingegnere civile in Spagna sono così profondamente differenti che applicare una misura di compensazione o di adattamento significherebbe, in pratica, obbligare l’interessato ad acquisire una nuova formazione professionale.

37     Inoltre, in casi specifici analoghi a quello di cui alla causa principale, uno dei criteri decisivi consiste nel determinare se l’attività professionale che l’interessato intende svolgere nello Stato membro ospitante sia o meno oggettivamente separabile dall’insieme delle attività oggetto della corrispondente professione in tale Stato. Spetta in primo luogo alle autorità nazionali dare una risposta a tale questione. Tuttavia, come ha osservato l’avvocato generale ai paragrafi 86 e 87 delle sue conclusioni, uno dei criteri decisivi a tale proposito consiste nel determinare se tale attività possa essere esercitata, in forma indipendente o autonoma, nello Stato membro in cui la qualificazione professionale in questione è stata ottenuta.

38     Qualora tale attività sia oggettivamente separabile dall’insieme delle attività oggetto della professione interessata nello Stato membro ospitante, si deve concludere che l’effetto dissuasivo derivante dall’esclusione di ogni possibilità di riconoscimento parziale del titolo professionale in questione è troppo rilevante per essere bilanciato dal timore di un eventuale pregiudizio dei diritti dei destinatari dei servizi. In un simile caso, il legittimo obiettivo della protezione dei consumatori e degli altri destinatari dei servizi può essere ottenuto attraverso mezzi meno vincolanti, come l’obbligo di utilizzare il titolo professionale originario o il titolo di studio sia nella lingua in cui è stato ottenuto e nella forma originale che nella lingua ufficiale dello Stato membro ospitante.

39     Alla seconda questione va dunque risposto dichiarando che gli artt. 39 CE e 43 CE non ostano a che uno Stato membro non consenta l’accesso parziale ad una professione, qualora le lacune nella formazione in possesso dell’interessato rispetto a quella necessaria nello Stato membro ospitante possano essere effettivamente colmate con misure di compensazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva. Viceversa, gli artt. 39 CE e 43 CE ostano a che uno Stato membro non accordi tale accesso parziale quando l’interessato lo richieda e quando le differenze tra gli ambiti di attività siano così rilevanti che sarebbe in realtà necessario seguire una formazione completa, a meno che il detto diniego di accesso parziale non sia giustificato da ragioni imperative di pubblico interesse, le quali siano adeguate a garantire la realizzazione dell’obiettivo che perseguono e non eccedano ciò che è necessario per ottenerlo.

 Sulle spese

40     Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:

1)      La direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/48/CEE, relativa ad un sistema generale di riconoscimento dei diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di una durata minima di tre anni, non osta al fatto che, quando il titolare di un diploma ottenuto in uno Stato membro richieda l’autorizzazione per accedere ad una professione regolamentata in un altro Stato membro, le autorità di tale ultimo Stato accolgano la domanda parzialmente, se il titolare del diploma lo chiede, limitando la portata dell’autorizzazione alle sole attività alle quali il diploma in questione dà accesso nello Stato membro in cui è stato conseguito.

2)      Gli artt. 39 CE e 43 CE non ostano a che uno Stato membro non consenta l’accesso parziale ad una professione, qualora le lacune nella formazione in possesso dell’interessato rispetto a quella necessaria nello Stato membro ospitante possano essere effettivamente colmate con misure di compensazione ai sensi dell’art. 4, n. 1, della direttiva 89/48. Viceversa, gli artt. 39 CE e 43 CE ostano a che uno Stato membro non accordi tale accesso parziale quando l’interessato lo richieda e quando le differenze tra gli ambiti di attività siano così rilevanti che sarebbe in realtà necessario seguire una formazione completa, a meno che il detto diniego di accesso parziale non sia giustificato da ragioni imperative di pubblico interesse, le quali siano adeguate a garantire la realizzazione dell’obiettivo che perseguono e non eccedano ciò che è necessario per ottenerlo.

Firme


* Lingua processuale: lo spagnolo.