CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 14 aprile 2016 ( 1 )

Causa C‑101/15 P

Pilkington Group Ltd e altri

contro

Commissione europea

«Impugnazione — Concorrenza — Intese (articolo 81 CE e articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo) — Ammende — Orientamenti del 2006 per il calcolo di ammende — Fatturati da considerare — Tasso di cambio ai fini del calcolo del massimale del 10% per le ammende ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1/2003 — Mercato europeo del vetro per auto»

I – Introduzione

1.

L’impugnazione in esame fornisce alla Corte l’occasione di esprimersi in ordine a due questioni la cui importanza per la futura prassi amministrativa della Commissione europea quale autorità garante della concorrenza non deve essere sottovalutata.

2.

Da un lato, si tratta di precisare quali fatturati dei partecipanti all’intesa devono essere presi in considerazione come base ai fini del calcolo delle ammende da applicare a loro carico. Dall’altro, occorre chiarire quale tasso di cambio deve essere preso come riferimento per la conversione valutaria quando un’impresa non pubblica i suoi fatturati in euro. Da ciò può dipendere se l’ammenda fissata dalla Commissione superi il massimale di legge del 10% del fatturato totale dell’impresa interessata e quali oneri comporti eventualmente per detta impresa il pagamento dell’ammenda.

3.

La causa verte, inoltre, su talune questioni specifiche concernenti i principi di parità di trattamento e di proporzionalità in sede di applicazione delle ammende in materia di intese nonché della competenza giurisdizionale anche di merito del Tribunale dell’Unione europea rispetto a tali sanzioni.

4.

Dette questioni giuridiche si profilano in relazione all’intesa nel settore del vetro per auto operante nello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE») scoperta dalla Commissione qualche anno fa e che il 12 novembre 2008 ha fatto oggetto di una decisione di applicazione dell’ammenda (in prosieguo: la «decisione controversa») ( 2 ). Nell’ambito del presente procedimento, diverse società del gruppo Pilkington (in prosieguo, congiuntamente: la «Pilkington») cercano tutela giuridica, dinanzi ai giudici dell’Unione, contro la decisione di cui trattasi.

5.

In primo grado le censure della Pilkington contro la decisione controversa non hanno trovato accoglimento; il suo ricorso di annullamento è stato respinto dal Tribunale con sentenza del 17 dicembre 2014 (in prosieguo: la «sentenza impugnata» oppure la «sentenza del Tribunale») ( 3 ). La Pilkington ripropone oggi la sua richiesta di tutela giuridica nel procedimento d’impugnazione dinanzi alla Corte.

6.

Dinanzi alla Corte pende attualmente un altro procedimento di impugnazione vertente sull’intesa nel settore del vetro per auto ( 4 ). Esso non ha però ad oggetto l’impugnazione della medesima sentenza del Tribunale e solleva problematiche giuridiche del tutto diverse.

II – Contesto normativo

7.

Il contesto normativo di diritto primario della presente controversia è dato dall’articolo 81 CE (ora articolo 101 TFUE) ( 5 ). Nella misura in cui è interessato il SEE, l’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo contiene una disposizione corrispondente a quella dell’articolo 81 CE. Assume inoltre rilievo, quanto al diritto derivato dell’Unione, l’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1/2003 ( 6 ).

8.

L’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 ha, per estratto, il seguente tenore:

«La Commissione può, mediante decisione, infliggere ammende alle imprese ed alle associazioni di imprese quando, intenzionalmente o per negligenza:

a)

commettono un’infrazione alle disposizioni dell’articolo 81 o dell’articolo 82 del [Trattato CE]; (…)

(…)

Per ciascuna impresa o associazione di imprese partecipanti all’infrazione, l’ammenda non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

(…)».

9.

Occorre, ad integrazione, richiamare gli orientamenti del 2006 ( 7 ) con cui la Commissione ha esposto la sua prassi amministrativa nell’ambito della fissazione delle ammende. Nei punti da 4 a 6 e nel punto 13 di detti orientamenti si rinvengono, in particolare, le seguenti indicazioni:

«4.

Il potere della Commissione di infliggere ammende alle imprese o alle associazioni di imprese che, intenzionalmente o per negligenza, violano le disposizioni degli articoli 81 o 82 del trattato costituisce uno dei mezzi che le sono stati attribuiti per consentirle di svolgere la missione di sorveglianza conferitale dal trattato. (...) A tal fine la Commissione deve far sì che la propria azione abbia il necessario carattere dissuasivo. (…) Quando la Commissione constata un’infrazione alle disposizioni degli articoli 81 o 82 [CE], può essere pertanto necessario infliggere un’ammenda a coloro che hanno agito illegalmente. Le ammende devono avere un effetto sufficientemente dissuasivo, allo scopo non solo di sanzionare le imprese in causa (effetto dissuasivo specifico), ma anche di dissuadere altre imprese dall’assumere o dal continuare comportamenti contrari agli articoli 81 e 82 [CE] (effetto dissuasivo generale).

5.

Per conseguire tali obiettivi è opportuno che la Commissione si riferisca, come base per la determinazione delle ammende, al valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione. Anche la durata dell’infrazione dovrebbe avere un ruolo significativo nella determinazione dell’importo appropriato dell’ammenda. Essa, infatti, necessariamente ha un impatto sulle conseguenze potenziali dell’infrazione sul mercato. Per questo si ritiene importante che l’ammenda rifletta anche il numero di anni durante i quali l’impresa ha partecipato all’infrazione.

6.

La combinazione della durata e del valore delle vendite a cui l’infrazione si riferisce è considerata un parametro adeguato per esprimere l’importanza economica dell’infrazione nonché il peso relativo di ciascuna impresa che vi ha partecipato. Il riferimento a tali fattori fornisce una buona indicazione dell’ordine di grandezza dell’ammenda, ma non va inteso come la base di un metodo di calcolo automatico e aritmetico.

(…)

13.

Al fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce (…), realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno dello Spazio economico europeo (SEE). In linea di massima la Commissione prenderà come riferimento le vendite realizzate dall’impresa nell’ultimo anno intero in cui questa ha partecipato all’infrazione (...)».

III – Contesto della controversia

A – Fatti e procedimento amministrativo

10.

La Pilkington è uno dei leader mondiali nella produzione di vetro, in particolare, di vetro per auto.

11.

In base agli accertamenti compiuti dal Tribunale, la Pilkington si è resa responsabile, con altre imprese attive in questo settore, di un’infrazione al diritto delle intese consistente nel raggiungimento di accordi sulle commesse di componenti di vetro per auto a favore di tutti i grandi costruttori di autoveicoli nel SEE. I partecipanti all’intesa avevano sviluppato strategie comuni quanto a prezzi e forniture volte a mantenere una posizione complessivamente costante delle rispettive imprese sul mercato interessato. In tale ottica, i partecipanti all’intesa monitoravano anche le decisioni adottate in occasione dei loro incontri e dei loro contatti e approvavano misure correttive a fini di reciproca compensazione.

12.

L’intesa nel settore del vetro per auto operava nel SEE tra il 10 marzo 1998 e l’11 marzo 2003, fermo restando che la durata della partecipazione delle singole imprese dell’intesa variava dall’una all’altra e si protraeva, nel caso della Pilkington, dal 10 marzo 1998 al 3 settembre 2002. Si trattava di un’infrazione unica e continuata.

13.

In data 18 aprile 2007, in pendenza del procedimento amministrativo, la Commissione inviava, a numerose delle imprese partecipanti all’intesa, tra cui la Pilkington, una comunicazione degli addebiti. La Commissione ha sentito le parti il 24 settembre 2007. Dopo aver coinvolto il Comitato consultivo in materia di intese e posizioni dominanti, la Commissione emanava, il 12 novembre 2008, la decisione controversa.

14.

Nell’articolo 1 della decisione controversa si constata che diverse imprese – tra cui anche la Pilkington [articolo 1, lettera c)] – hanno violato l’articolo 81 CE e l’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo, per aver partecipato a un insieme di accordi e/o condotte concordate nel settore del vetro per auto del SEE.

15.

Le ammende inflitte alle singole imprese per la rispettiva partecipazione all’intesa sono indicate nell’articolo 2 della decisione controversa. Nel caso della Pilkington, si tratta di 370 milioni di euro che le ricorrenti sono chiamate a versare solidalmente [articolo 2, paragrafo 1, lettera c)]. Con una decisione di modifica del 28 febbraio 2013, volta a rettificare taluni errori di calcolo, il suddetto importo veniva ridotto a 357 milioni di euro ( 8 ). A norma dell’articolo 2, paragrafo 2, della decisione controversa, l’ammenda doveva essere pagata in euro entro il termine di tre mesi dalla comunicazione della decisione.

B – Procedimento giurisdizionale di primo grado

16.

Contro la decisione controversa alcuni dei suoi destinatari hanno proposto ricorso in primo grado dinanzi al Tribunale, domandandone l’annullamento.

17.

Per quanto attiene al gruppo Pilkington, la Pilkington Group Ltd, la Pilkington Automotive Ltd, la Pilkington Automotive Deutschland GmbH, la Pilkington Holding GmbH e la Pilkington Italia SpA (in prosieguo: le «ricorrenti») hanno presentato dinanzi al Tribunale congiuntamente, in primo grado, un ricorso contro la Commissione con atto del 18 febbraio 2009.

18.

Con sentenza del 17 dicembre 2014 il Tribunale respingeva il suddetto ricorso condannando però la Commissione a sopportare il 10% delle spese della Pilkington ( 9 ). Il Tribunale disponeva che le ricorrenti si sarebbero fatte carico, per il resto, delle spese del procedimento di primo grado.

IV – Procedimento dinanzi alla Corte

19.

Con atto del 27 febbraio 2015 le ricorrenti hanno proposto, congiuntamente, la presente impugnazione contro la sentenza del Tribunale.

20.

Le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:

annullare la sentenza nella causa T‑72/09, nella parte in cui essa respinge l’impugnazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della decisione;

ridurre l’importo dell’ammenda inflitta alle ricorrenti nell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della decisione e

condannare la Commissione a farsi carico delle spese sostenute dalle ricorrenti.

21.

La Commissione chiede, dal canto suo, di:

respingere l’impugnazione e

condannare le ricorrenti alle spese.

22.

Dinanzi alla Corte l’impugnazione è stata discussa con procedimento scritto e, il 2 marzo 2016, orale.

V – Analisi dei motivi di impugnazione

23.

Nella sua impugnazione la Pilkington non riprende più tutte le questioni che hanno costituito oggetto del procedimento di primo grado. La controversia giuridica nel procedimento di impugnazione è, invece, circoscritta alle sole questioni attinenti al calcolo dell’ammenda. A questo proposito, le ricorrenti si fondano su tre motivi di impugnazione, di cui il primo riguarda i fatturati da prendere in considerazione (v., sul punto, qui a seguire, sub A), il secondo, il tasso di cambio dell’euro da applicare in sede di determinazione del massimale del 10% (v., al riguardo, più avanti, sub B) e, il terzo, vari principi generali di diritto oltre a considerazioni sullo Stato di diritto (v., in proposito, più avanti, sub C).

A – Sui fatturati da prendere in considerazione in sede di calcolo dell’ammenda (primo motivo di impugnazione)

24.

Il primo motivo di impugnazione è diretto contro i punti da 201 a 227 (e in particolare contro i punti da 217 a 227) della sentenza impugnata. Esso ha ad oggetto la tipologia di fatturati che possono fungere da base di calcolo di un’ammenda ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, lettera a), del regolamento n. 1/2003. A detta delle ricorrenti, il Tribunale avrebbe erroneamente confermato l’approccio della Commissione secondo cui potevano essere prese in considerazione anche forniture della Pilkington effettuate in ragione di contratti stipulati prima dell’inizio dell’infrazione, benché detti contratti non fossero stati nuovamente oggetto di trattative durante il periodo dell’infrazione. Il Tribunale si sarebbe così fondato su un’interpretazione giuridicamente errata del punto 13 degli orientamenti del 2006.

25.

Ai sensi del paragrafo 13 degli orientamenti del 2006, al fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizza il valore delle vendite dei beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzati dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno del SEE.

26.

Ne consegue che il punto 13 di detti orientamenti mira ad assumere, quale base di calcolo dell’ammenda inflitta a un’impresa, un importo che rifletta l’importanza economica dell’infrazione e il peso relativo dell’impresa interessata nell’infrazione medesima (in tal senso la giurisprudenza consolidata della Corte ( 10 ) che, a sua volta, attiene rigorosamente al tenore letterale del punto 6 degli orientamenti). Di contro, devono invece essere esclusi i fatturati privi di qualsiasi reale relazione con la sfera di applicazione dell’intesa nel SEE ( 11 ).

27.

Nel caso di specie si discute essenzialmente del fatto se debba sussistere un qualche nesso causale tra l’operato dell’intesa e le singole componenti del fatturato considerate in sede di calcolo dell’ammenda. Le ricorrenti ritengono che debbano essere tralasciate quantomeno quelle vendite di vetro per auto su cui l’intesa, necessariamente, non ha in alcun modo inciso, in quanto fondate su contratti conclusi – a loro dire, a normali condizioni di concorrenza – già prima dell’inizio dell’infrazione e che non sono stati oggetto di nuove trattative durante il periodo dell’infrazione. Esse ritengono che l’inclusione di dette vendite abbia portato a sovrastimare l’importanza dell’intesa.

28.

Non si tratta assolutamente di una controversia teorica o di un dettaglio tecnico: secondo le indicazioni fornite dalle ricorrenti, ove le suddette vendite della Pilkington non fossero state incluse nella base di calcolo, l’ammenda comminata dalla Commissione avrebbe dovuto essere di circa EUR 49 milioni inferiore.

29.

L’argomentazione delle ricorrenti sull’interpretazione del punto 13 degli orientamenti del 2006, seppur – di primo acchito – allettante, non supera però un esame più attento.

30.

Già la formulazione del punto 13 degli orientamenti del 2006 è, infatti, oltremodo ampia: essa ricomprende tutte le vendite di beni o servizi effettuate dal rispettivo partecipante all’intesa, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate nell’area geografica interessata all’interno dello Spazio economico europeo. Altrettanto generale è la formulazione del punto 5 degli stessi orientamenti, secondo cui le ammende sono determinate sulla base del valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione.

31.

Come già chiarito dalla Corte, la nozione di valore delle vendite impiegata nel punto 13 degli orientamenti del 2006 sarebbe intesa in senso eccessivamente restrittivo ove vi si volessero far rientrare soltanto vendite per le quali risulti accertato che sono state effettivamente oggetto dell’intesa sanzionabile ( 12 ). Di conseguenza, in base alla giurisprudenza, in sede di determinazione dell’importo di base dell’ammenda non deve essere data prova positiva del fatto che le singole componenti del fatturato prese in considerazione quale base di calcolo sono state di volta in volta influenzate dall’infrazione ( 13 ).

32.

È vero che la nozione di valore delle vendite di cui al punto 13 degli orientamenti del 2006 non può estendersi sino a ricomprendere addirittura vendite che non rientrano nella sfera di applicazione della rispettiva intesa ( 14 ). Tuttavia, quando si tratta – come nel caso di specie – di vendite che sono state comunque realizzate sul mercato rilevante, esse rientrano senz’altro nella base di calcolo dell’importo di base dell’ammenda ( 15 ). Diversamente da quanto affermato dalla Pilkington, dette vendite non ricadono assolutamente al di fuori del campo di applicazione dell’intesa.

33.

Le suddette vendite sono un indicatore utile del danno cagionato dall’intesa e, in particolare, dalla Pilkington alla concorrenza nel SEE, posto che esse forniscono informazioni sull’importanza economica dell’intesa sul mercato rilevante e sul peso relativo della Pilkington all’interno di essa, proprio come chiedono i punti 6 e 13 degli orientamenti del 2006 e la giurisprudenza della Corte emanata al riguardo ( 16 ).

34.

Se, come auspicato dalle ricorrenti, si escludesse dal calcolo dell’ammenda una parte delle vendite effettuate sul mercato rilevante, ciò minimizzerebbe in molti casi artificiosamente la rilevanza economica dell’intesa e contrasterebbe quindi diametralmente con l’obiettivo di cui ai punti 6 e 13 degli orientamenti del 2006 ( 17 ) (v., ad integrazione, i punti 4 e 5 dei suddetti orientamenti). La portata complessiva di un’infrazione al diritto delle intese non può, infatti, essere adeguatamente descritta considerando selettivamente soltanto singoli fatturati conseguiti dai partecipanti all’intesa sul mercato rilevante.

35.

In particolare, le modalità di calcolo di cui le ricorrenti auspicano l’applicazione non tengono conto del fatto che, tra gli obiettivi principali di molte intese – anche di quella qui controversa –, rientra la suddivisione del mercato tra i partecipanti all’intesa o il mantenimento delle rispettive quote di mercato a un livello concordato. Questo effetto stabilizzatore, evidenziato molto correttamente dal Tribunale ( 18 ), avvantaggia, per sua stessa natura, l’intera attività dei partecipanti all’intesa sul mercato in questione. Come osserva in modo del tutto convincente la Commissione, già la manipolazione di pochi negozi giuridici può essere sufficiente per raggiungere, sull’intero mercato, l’effetto voluto dai partecipanti all’intesa. Tuttavia, se lo scopo illecito dell’intesa, e quindi l’«attività illecita» dei suoi partecipanti, riguarda l’intero mercato, occorre altresì assumere quale base di calcolo delle ammende tutte le vendite realizzate in detto mercato.

36.

Non è pertanto rilevante se le imprese interessate abbiano comprovatamente – o anche solo potenzialmente – agito in maniera collusiva rispetto a ogni singolo negozio giuridico concluso. Altrettanto irrilevante è peraltro se e in che misura il risultato anticoncorrenziale perseguito dalle suddette imprese con l’intesa sia stato effettivamente raggiunto ( 19 ). È sufficiente invece che sia stata perseguita o raggiunta sul mercato considerato una distorsione della concorrenza ai sensi dell’articolo 81 CE (articolo 101 TFUE) ( 20 ). In un tal caso, l’insieme dei fatturati realizzati sul mercato dai partecipanti all’intesa deve essenzialmente confluire nel calcolo dell’importo di base dell’ammenda.

37.

Gli oneri amministrativi connessi alla valutazione di ciascuna vendita compiuta dai partecipanti all’intesa sul mercato rilevante sarebbero peraltro del tutto sproporzionati. Nella maggior parte dei casi, infatti, i valori di fatturato da prendere in considerazione nel calcolo dell’ammenda si fondano su una molteplicità di negozi giuridici con la conseguenza che sarebbe pressoché impossibile esaminare, per ciascuno di essi, l’influsso – effettivo o potenziale – delle pratiche collusive dei partecipanti all’intesa. Ciò è tanto più vero per il fatto che le intese si caratterizzano per una cultura della segretezza da parte delle imprese partecipanti che non dovrebbe essere pure «ricompensata» a livello di calcolo dell’ammenda ( 21 ).

38.

In conclusione, ciò che rileva è soltanto il fatto che le vendite da prendere in considerazione in sede di calcolo dell’importo di base dell’ammenda siano state realizzate sul mercato rilevante ( 22 ). Proprio questo fatturato infatti, proveniente dalla vendita dei prodotti oggetto dell’infrazione, costituisce l’elemento più idoneo per riflettere l’importanza economica dell’infrazione stessa ( 23 ). In tal modo è garantita l’applicazione di una sanzione adeguata che contribuisca a un’efficace attuazione delle regole di concorrenza sul mercato interno europeo (v. al riguardo anche i punti 4 e 5 degli orientamenti del 2006).

39.

Ne consegue che il primo motivo di impugnazione deve essere respinto.

B – Sul tasso di cambio applicabile in sede di calcolo del massimale del 10% per l’ammenda (secondo motivo di impugnazione)

40.

Il secondo motivo di impugnazione è diretto contro i punti da 410 a 423 della sentenza impugnata e riguarda il massimale vigente a livello dell’Unione per le ammende (talvolta detto anche «soglia di contenimento»), come risulta dall’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003. In base alla disposizione in parola, l’ammenda inflitta a un’impresa non deve superare il 10% del fatturato totale realizzato durante l’esercizio sociale precedente.

41.

Secondo le ricorrenti, la sentenza impugnata viola detta disposizione in quanto il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nel calcolare il tasso di cambio per la conversione valutaria da lira sterlina ( 24 ) in euro. Se il Tribunale non avesse preso a riferimento – come aveva fatto già la Commissione in precedenza – il valore medio del tasso dalla Banca centrale europea (BCE) durante l’ultimo esercizio sociale della Pilkington chiuso prima della decisione controversa, bensì – soluzione privilegiata dalla Pilkington – il tasso di cambio aggiornato al momento dell’emanazione della suddetta decisione, il massimale del 10% e, quindi, anche l’ammenda inflitta alla Pilkington, sarebbero stati quantificati in misura inferiore.

1. Osservazioni preliminari

42.

La censura qui sollevata scaturisce dal fatto che la controllante della Pilkington ha la propria sede nel Regno Unito cosicché i fatturati dell’intero gruppo Pilkington impiegati, nel caso di specie, quali base di calcolo, sono stati quantificati in lira sterlina. Le ammende comminate dalla Commissione a livello di Unione quale sanzione per le infrazioni al diritto delle intese sono invece espresse in euro. Per stabilire se l’ammenda fissata superi o meno il massimale di legge del 10% del fatturato totale della Pilkington nel suo ultimo esercizio sociale chiuso prima dell’emanazione della decisione controversa occorre pertanto effettuare una conversione valutaria.

43.

Le ricorrenti affermano, senza essere contraddette, che il fatturato totale della Pilkington nell’esercizio sociale compreso tra il 1o aprile 2007 e il 31 marzo 2008 ammontava a GBP 2,614 miliardi. Punto di partenza del calcolo del massimale del 10% ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003 era quindi un valore pari a GBP 261,4 milioni (ovvero il 10% di GBP 2,614 miliardi).

44.

Basandosi – come hanno fatto la Commissione e il Tribunale – sul tasso di conversione valutaria medio della BCE applicabile al periodo considerato (GBP 1 = EUR 1,415), si perviene a un massimale di EUR 370,1 milioni. Applicando invece il tasso di cambio specifico della BCE per il 12 novembre 2008, giorno in cui la Commissione ha emanato la decisione controversa (GBP 1 = EUR 1,2149 oppure EUR 1 = GBP 0,82310) ( 25 ), si arriverebbe a un massimale nettamente inferiore, pari a EUR 317,5 milioni.

45.

Nel primo caso, quindi, l’ammenda comminata dalla Commissione si colloca, con il suo importo rettificato di EUR 357 milioni, nettamente al di sotto del massimale del 10% ( 26 ), mentre nel secondo caso essa supererebbe detto massimale di quasi EUR 40 milioni. Proprio questa differenza di EUR 40 milioni è pertanto in gioco quando le parti discutono, nell’ambito del presente secondo motivo di impugnazione, della scelta del corretto tasso di cambio per la conversione valutaria. Si tratta di chiarire se il deprezzamento della lira sterlina rispetto all’euro, verificatosi nel periodo anteriore all’emanazione della decisione controversa, vada a vantaggio della Pilkington o se costituisca invece un rischio di cambio che essa è tenuta a sopportare.

2. Sulle censure sollevate dalla Pilkington

46.

Le ricorrenti, pur riconoscendo esplicitamente il diritto della Commissione di quantificare in euro le ammende inflitte in materia di intesa, ai sensi dell’articolo 23 del regolamento n. 1/2003, ritengono che le considerazioni svolte dal Tribunale in merito al tasso di cambio applicabile al calcolo del massimale del 10% siano errate.

47.

Le censure da esse sollevate, a tal riguardo, rispetto alla sentenza impugnata possono essere ricondotte essenzialmente a due ambiti: da un lato, il Tribunale non avrebbe riconosciuto l’obiettivo del massimale del 10% [v., al riguardo, qui a seguire, la sezione a)]; dall’altro, esso non avrebbe rispettato i requisiti di parità di trattamento e di certezza del diritto [v., sul punto, più avanti, sezione b)].

a) Obiettivo del massimale del 10%

48.

Con il massimale del 10%, ricavabile dall’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, viene inserito nel calcolo delle ammende in materia di intesa un elemento che persegue uno scopo distinto e autonomo rispetto a quello dei criteri fondamentali della gravità e della durata dell’infrazione ( 27 ). Si tratta di tener conto della capacità finanziaria delle imprese interessate e di evitare l’applicazione di ammende di un livello eccessivo e sproporzionato ( 28 ).

49.

Dirimente, nell’ambito dell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, è la capacità finanziaria dell’impresa alla data in cui essa è riconosciuta responsabile dell’infrazione e le è inflitta una sanzione pecuniaria dalla Commissione ( 29 ).

50.

La capacità finanziaria di un’impresa sarebbe indubbiamente presa in considerazione al meglio ove la si valutasse al giorno preciso in cui la Commissione emette la sua decisione di applicazione dell’ammenda. Ciò comporterebbe però per la Commissione difficoltà pratiche pressoché insormontabili: da un lato, all’atto dell’emanazione della suddetta decisione, non sono di norma disponibili i fatturati aggiornati dell’impresa interessata, o comunque essi non sono disponibili in forma certificata e quindi affidabile. Dall’altro, anche i processi decisionali interni alla Commissione – in particolare, la consultazione del comitato consultivo prevista per legge ( 30 ), ma anche la necessaria riflessione interna a detta istituzione sull’opportunità, il metodo di calcolo e l’importo della sanzione nel caso concreto ( 31 ) – impediscono di presentare ed elaborare continuamente, sino all’ultimo, dati nuovi.

51.

Il legislatore dell’Unione ha tenuto conto di detta circostanza e ha fissato, nell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, quale valore di riferimento per la capacità finanziaria dell’impresa interessata, un importo pari a un decimo del fatturato totale da essa realizzato durante l’esercizio sociale precedente alla decisione sull’ammenda ( 32 ). Viene introdotta una sorta di finzione legale secondo cui la capacità finanziaria di un’impresa ai fini del calcolo dell’ammenda corrisponderebbe a quella risultante dai suoi fatturati certificati per l’ultimo esercizio sociale chiuso prima dell’emanazione della decisione che infligge l’ammenda. Di norma ci si può infatti attendere che la capacita finanziaria dell’impresa, così valutata, non muti in maniera sostanziale nelle settimane o nei mesi anteriori all’emanazione di una decisione di applicazione dell’ammenda e che i fatturati del suo ultimo esercizio sociale chiuso mantengano così la loro affidabilità.

52.

Se però una determinata quota (10%) del fatturato totale dell’impresa interessata nel suo ultimo esercizio sociale chiuso costituisce, ex lege, il valore di riferimento per la sua capacità finanziaria, allora anche alla conversione valutaria deve applicarsi il tasso di cambio medio vigente nel corso del periodo di riferimento. Solo detto tasso infatti permette di effettuare una valutazione dei fatturati nel contesto da cui essi traggono origine, ossia rispecchia al meglio le condizioni economiche all’epoca presenti ( 33 ), aspetti questi cui il Tribunale ha fatto correttamente riferimento ( 34 ).

53.

La conversione di detti fatturati sulla base di un tasso di cambio diverso, riferito a un periodo successivo, potrebbe comportare una grave distorsione del loro significato: l’applicazione di un nuovo tasso di cambio a importi pregressi non sarebbe altro che un confronto tra mele e pere.

54.

Anche dalle sentenze della Corte citate dalle ricorrenti non si ricava alcun elemento idoneo a indicare che debba essere preso in considerazione un tasso di cambio successivo – ossia il tasso di cambio aggiornato vigente alla data dell’emanazione della decisione che infligge l’ammenda.

55.

In taluni casi, la Corte ha in effetti riconosciuto che il massimale del 10% è volto, in una certa misura, anche a proteggere le imprese interessate dalle oscillazioni del tasso di cambio ( 35 ). Non si tratta però di uno scopo autonomo del massimale, ma soltanto di un aspetto parziale della protezione che l’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003 garantisce all’impresa interessata rispetto ad ammende di un livello eccessivo e sproporzionato ( 36 ).

56.

Inoltre, i casi ad oggi discussi in giurisprudenza vertevano, rispettivamente, su fluttuazioni delle valute verificatesi prima della fine del periodo cui, a norma dell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, si riferisce il massimale del 10% ( 37 ). La Corte rivolgeva quindi, in un certo senso, il suo sguardo indietro e non, come richiede qui la Pilkington, in avanti, alle settimane e ai mesi successivi alla chiusura dell’ultimo esercizio sociale anteriore all’emanazione della decisione controversa.

57.

Esistono taluni buoni motivi per rivolgere lo «sguardo indietro», ma non per rivolgerlo «in avanti»: in primis, il periodo tra la cessazione dell’infrazione e l’ultimo esercizio sociale chiuso prima della decisione sull’ammenda si protrae di norma per vari anni ed è così, per sua natura, più esposto a variazioni della capacità finanziaria delle imprese imputabili a fluttuazioni delle valute rispetto alle poche settimane o mesi qui controversi che precedono immediatamente la decisione di applicazione dell’ammenda. In secondo luogo, solo ove si rivolga lo «sguardo indietro» è possibile disporre di cifre affidabili che – unitamente ai relativi tassi di cambio per la conversione valutaria – sono disponibili in tempo utile per poter essere prese in considerazione dalla Commissione nell’adozione della sua decisione.

58.

L’unico elemento rinvenibile in giurisprudenza che potrebbe indicare la possibilità di volgere lo «sguardo in avanti» e riconoscere, quindi, una qualche rilevanza ai tassi di cambio attuali, si rinviene nella sentenza, relativamente datata, pronunciata dal Tribunale di primo grado nella causa Sarrió/Commissione. Nell’ambito di detta causa, infatti, il Tribunale aveva accertato «che l’importo dell’ammenda convertito in moneta nazionale al tasso di cambio applicato al momento della pubblicazione della decisione non supera[sse] il 10% del fatturato complessivo realizzato dalla ricorrente [nell’ultimo esercizio sociale anteriore alla decisione]» ( 38 ).

59.

A quanto consta, tale approccio non ha però fatto scuola. E non ritengo neppure che la Corte dovrebbe oggi farlo proprio.

60.

A prescindere dall’obiezione fondamentale appena citata, ossia che l’impiego di un tasso di cambio aggiornato comporterebbe che vecchi fatturati siano illegittimamente convertiti sulla base di un tasso di cambio nuovo e non riferito allo stesso periodo, il riferimento compiuto dal Tribunale di primo grado nella causa Sarrió/Commissione al momento della pubblicazione della decisione mi sembra essere del tutto inadeguato e impraticabile: nel caso delle intese, la decisione è di norma pubblicata soltanto molto tempo dopo la sua adozione, talvolta addirittura anni più tardi. La Commissione dovrebbe quindi addirittura disporre di capacità divinatorie per poter tener conto di un siffatto futuro tasso di cambio già in sede di adozione della sua decisione. Non è dato inoltre sapere in che misura il tasso di cambio alla data di pubblicazione della decisione possa fornire informazioni sulla capacità finanziaria dell’impresa interessata rispetto a un momento molto anteriore, in cui la Commissione applica e riscuote l’ammenda.

61.

A mio avviso, la soluzione al problema sollevato dalle ricorrenti deve essere ricercata a un livello del tutto diverso, ossia nella normativa di bilancio dell’Unione: ove dovesse risultare che la capacità finanziaria di un’impresa – in ragione delle oscillazioni del tasso di cambio o per altre ragioni – si è considerevolmente ridotta tra la fine del suo ultimo esercizio sociale e la data di emanazione della decisione sull’ammenda della Commissione, la normativa in materia di bilancio prevede idonei meccanismi per tener conto del rischio di un sovraccarico a danno dell’impresa in parola in sede di riscossione dell’ammenda comminata dalla Commissione ( 39 ). Tali meccanismi permettono lo sviluppo di soluzioni pensate per il singolo caso, che spaziano dalla concessione di generose dilazioni di pagamento alla completa o parziale rinuncia al recupero di un credito accertato, fermo restando che occorre adeguatamente tener conto di eventuali distorsioni della concorrenza (v. sul punto, in particolare, gli articoli 89 e 91 delle modalità di applicazione delle regole finanziarie dell’Unione ( 40 )).

62.

Contrariamente a quanto affermato dalla Pilkington in udienza, il fatto che i meccanismi previsti nella normativa di bilancio dell’Unione operino soltanto in caso eccezionali estremi non milita assolutamente contro una tale soluzione. Le imprese interessate sono infatti chiamate a sostenere in proprio tutti i «normali» rischi connessi alla loro capacità finanziaria, in particolare, il normale rischio di cambio ( 41 ). Tornerò ancora sul punto in prosieguo ( 42 ).

63.

In tale contesto, le argomentazioni delle ricorrenti fondate sullo scopo del massimale del 10% non sono pertinenti.

b) Requisiti di parità di trattamento e di certezza del diritto

64.

Le ricorrenti richiamano inoltre, nell’ambito del presente caso, i principi della parità di trattamento e della certezza del diritto. A loro avviso, anche da detti principi risulterebbe che, ai fini della conversione valutaria, non deve trovare applicazione il tasso medio dell’ultimo esercizio sociale della Pilkington chiuso prima della decisione controversa, ma il tasso di cambio aggiornato alla data dell’emanazione della decisione.

i) Principio di parità di trattamento

65.

Le ricorrenti contestano al Tribunale, da un lato, una violazione del principio della parità di trattamento. A loro avviso, tutte le imprese devono essere trattate allo stesso modo a prescindere dalla valuta da loro utilizzata nella tenuta delle scritture contabili. Il Tribunale non ne avrebbe tenuto conto.

66.

Il principio della parità di trattamento costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, sancito dagli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali ( 43 ). Esso non può essere interpretato e applicato in modo diverso a seconda dell’ambito giuridico considerato.

67.

In base a una giurisprudenza consolidata, il principio in parola impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato ( 44 ).

68.

Il fatto che la Corte riconosca, specificamente per il calcolo delle ammende in materia di intese, che il massimale del 10%, previsto dall’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, è un limite uniformemente applicabile a tutte le imprese ( 45 ), altro non è che espressione del principio della parità di trattamento.

69.

Rispetto alla problematica qui di rilievo occorre osservare anzitutto che la capacità finanziaria di ciascuna impresa può, per sua natura, essere soggetta ancora a determinate oscillazioni tra la chiusura del suo ultimo esercizio sociale e il giorno dell’emanazione di una decisione che infligge l’ammenda. Tali oscillazioni possono risultare, ad esempio, da un’imprevista contrazione del fatturato, ma possono fondarsi anche su variazioni nella conversione valutaria, in particolare, quando un’impresa – a prescindere dal luogo in cui ha la sede – realizza una gran parte del suo fatturato in valuta estera.

70.

Tutte le imprese si trovano, al riguardo, nella medesima posizione e sono anche trattate dal legislatore dell’Unione alla stessa maniera: l’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003 non tiene conto infatti di tali oscillazioni della capacità finanziaria ai fini del calcolo del massimale del 10% a prescindere dal fatto che le imprese considerate quantifichino i loro fatturati in euro o in un’altra valuta. Non può quindi sussistere, sotto tale profilo, una violazione del principio della parità di trattamento.

71.

In aggiunta, per le imprese che non quantificano i propri fatturati in euro ma in valuta estera, l’onere risultante dal pagamento di un’ammenda può essere soggetto, a causa delle fluttuazioni del tasso di cambio, a variazioni – tra il loro ultimo esercizio sociale e il giorno dell’emanazione della decisione con cui la Commissione infligge l’ammenda – maggiori rispetto a quanto accade per le imprese che tengono le scritture contabili in euro. Sotto questo profilo, la situazione delle imprese che hanno la propria sede al di fuori della zona euro può quindi forse differenziarsi da quella delle imprese stabilite all’interno di essa.

72.

Dal solo fatto che le imprese con sede al di fuori della zona euro possono essere, rispetto alle imprese stabilite nella zona euro, maggiormente esposte a oscillazioni, legate alla valuta, delle loro risorse liquide non si può tuttavia desumere che esse abbiano diritto di pretendere una nuova, aggiornata, verifica della loro capacità finanziaria alla data dell’emanazione, da parte della Commissione, della decisione che infligge l’ammenda sulla base del tasso di cambio vigente a tale data.

73.

Tali oscillazioni imputabili alla valuta sono infatti espressione del rischio di cambio che ciascuna impresa è tenuta a sopportare ( 46 ). Un’impresa che stabilisce la propria sede al di fuori della zona euro accetta consapevolmente sia il rischio di un andamento valutario svantaggioso, che i benefici derivanti da un andamento ad essa favorevole. Una tale impresa non può – ricorrendo al principio della parità di trattamento ‑ trasferire sulla collettività, in maniera selettiva, soltanto gli svantaggi derivanti dall’avere la propria sede al di fuori della zona euro.

74.

Si osservi, solo a margine, che già prima dell’introduzione dell’euro non tutte le imprese attive sul mercato interno erano esposte ai medesimi rischi di cambio. È vero che la Commissione doveva, all’epoca, procedere a una conversione valutaria per tutte la imprese prima di applicare loro delle ammende, mentre oggi ciò è necessario soltanto per le imprese stabilite al di fuori della zona euro. Le imprese, già prima dell’introduzione dell’euro, dovevano tuttavia affrontare, a seconda dello Stato membro di stabilimento, oscillazioni valutarie di portata diversa e, quindi, rischi di cambio più o meno elevati.

ii) Principio della certezza del diritto

75.

Le ricorrenti affermano, d’altro canto, che il Tribunale avrebbe disatteso il principio della certezza del diritto. A loro avviso, ogni impresa deve poter prevedere nella propria valuta gli oneri finanziari cui rischia di essere esposta in forza di un’ammenda ad essa comminata dalla Commissione.

76.

Il principio della certezza del diritto rappresenta un principio generale del diritto dell’Unione il quale esige, in particolare, che una normativa che comporta conseguenze svantaggiose per i privati sia chiara e precisa e che la sua applicazione sia prevedibile per gli amministrati ( 47 ). Gli interessati devono poter conoscere senza ambiguità i propri diritti e obblighi e regolarsi di conseguenza ( 48 ).

77.

Nello stesso senso, la Corte ha osservato, con riferimento in particolare all’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, che le ammende in materia di intesa applicate dalla Commissione sono soggette, in base alla suddetta disposizione, a un limite massimo esprimibile in cifre e assoluto, sicché l’importo massimo dell’ammenda che può essere inflitta a una data impresa è determinabile anticipatamente ( 49 ).

78.

Nell’idea di prevedibilità è insito necessariamente un elemento di prognosi. Le prognosi possono essere effettuate in maniera più affidabile sulla base di preesistenti dati recenti rispetto a quanto possibile sulla base di dati futuri ancora ignoti.

79.

È indubbio quindi che un’impresa può meglio prevedere il massimale del 10% per le ammende in materia di intese applicabile nel suo caso a norma dell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003 se detto limite massimo è calcolato in ragione del tasso di cambio medio del suo ultimo esercizio sociale chiuso e non sulla base di un futuro, non ancora disponibile in anticipo, tasso di cambio aggiornato alla data di emanazione della decisione che infligge l’ammenda.

80.

Il Tribunale ha quindi del tutto correttamente osservato ( 50 ) che l’applicazione del tasso di cambio medio della BCE per l’ultimo esercizio sociale di un’impresa chiuso prima dell’emanazione della decisione che infligge l’ammenda è nettamente più adatto a garantire la certezza del diritto rispetto al ricorso al tasso di cambio aggiornato a un momento posto nel futuro, ossia la data di emanazione della decisione suddetta.

81.

Il succitato tasso medio è determinato, infatti, con la chiusura del relativo esercizio sociale e non è più soggetto a modifiche, mentre invece il tasso aggiornato dipende da circostanze future, in particolare, dal momento in cui la Commissione deciderà di emanare la sua decisione di applicazione dell’ammenda e dalla congiuntura economica in quel momento. In caso di applicazione del tasso medio, ogni impresa contro cui la Commissione agisce per un’infrazione al diritto delle intese, può così calcolare esattamente – già prima della decisione emanata a conclusione del procedimento – quale sarà l’importo massimo in euro dell’ammenda eventualmente dovuta.

82.

Le ricorrenti eccepiscono che le imprese che non quantificano i loro fatturati in euro potrebbero prevedere i rispettivi oneri di finanziamento per le ammende in materia di intese loro eventualmente inflitte in maniera meno precisa rispetto alle imprese che tengono le loro scritture contabili in euro.

83.

Tale incertezza è frutto, tuttavia, del rischio di cambio che, come abbiamo ricordato, le imprese stabilite al di fuori della zona euro sono sempre tenute a sopportare ( 51 ). Di più: un imprenditore previdente deve sempre adottare, a fronte di potenziali passività, misure nella valuta in cui tali passività dovranno essere estinte in futuro. Sotto questo profilo, non sussiste alcuna differenza sostanziale tra un’ammenda in materia di intesa eventualmente applicata dalla Commissione e le potenziali responsabilità di diritto civile che l’impresa interessata potrebbe dover affrontare eventualmente nei procedimenti dinanzi ai giudici nazionali.

84.

Se un’impresa è perseguita dalla Commissione nell’ambito di un procedimento ai sensi del regolamento n. 1/2003 quale presunto membro di un’intesa, è nel suo interesse effettuare, già in pendenza di detto procedimento, accantonamenti in euro sulla base del proprio fatturato nel rispettivo ultimo esercizio sociale chiuso in previsione di un’eventuale ammenda, o quantomeno garantirsi, mediante accordi con gli istituti di credito, la disponibilità – alla data di emanazione della decisione sull’ammenda – della necessaria liquidità in euro, sino al massimale del 10% di cui all’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003.

85.

L’impresa interessata che non adotti tali misure accetta, in definitiva, una speculazione sull’andamento del tasso di cambio e si assume consapevolmente il rischio di doversi in seguito procurare la divisa necessaria per il pagamento di un’eventuale ammenda a condizioni meno vantaggiose rispetto a quanto sarebbe accaduto alla chiusura del suo ultimo esercizio sociale prima della decisione sull’ammenda.

86.

Come già osservato dalla Corte in un altro contesto, le fluttuazioni monetarie costituiscono un’alea che può generare vantaggi oppure svantaggi ( 52 ). L’esistenza di tali fluttuazione monetarie, in quanto tale, non è idonea a rendere inadeguato l’importo di un’ammenda legittimamente fissato ( 53 ).

3. Conclusione intermedia

87.

Nel complesso, l’impiego – all’atto di procedere alla conversione valutaria nell’ambito della determinazione del massimale del 10% per le ammende in materia di intesa – del tasso di cambio medio per l’ultimo esercizio sociale dell’impresa interessata chiuso prima dell’emanazione della decisione che infligge l’ammenda non viola né lo scopo dell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, né i principi generali della parità di trattamento e della certezza del diritto. La conclusione del Tribunale in tal senso ( 54 ) non è viziata da alcun errore di diritto. Il secondo motivo di impugnazione è quindi infondato.

C – Su vari principi generali del diritto e sulle considerazioni attinenti allo Stato di diritto (terzo motivo di impugnazione)

88.

Il terzo motivo di impugnazione è dedicato a diversi principi generali del diritto e a talune considerazioni attinenti allo Stato di diritto, di cui le ricorrenti contestano al Tribunale la violazione. Con tale motivo, esse contestano, da un lato, i punti da 396 e 402 e, dall’altro, i punti 434, 438 e da 440 a 444 della sentenza impugnata. La prima parte del terzo motivo di impugnazione riguarda soltanto i requisiti giuridici ricavabili dai principi della parità di trattamento e di proporzionalità (v., al riguardo, qui a seguire, sezione 1), mentre la seconda parte verte sulla competenza giurisdizionale anche di merito del Tribunale (v., più avanti, sezione 2).

89.

Rispetto alle argomentazioni svolte delle ricorrenti in relazione a entrambe le parti del presente motivo di impugnazione, svolge un ruolo importante lo studio di una società di consulenza aziendale prodotto dalla Pilkington in primo grado. Dallo studio in parola le ricorrenti ritengono di poter desumere che la situazione finanziaria della Pilkington sarebbe notevolmente peggiorata a seguito dell’ammenda inflitta dalla Commissione.

90.

Osservo sin d’ora che il Tribunale ha adottato, rispetto al suddetto studio, un approccio del tutto adeguato e che non è possibile sollevare alcuna contestazione sotto il profilo giuridico. Il Tribunale ha correttamente preso in considerazione il succitato studio soltanto nell’ambito della competenza giurisdizionale anche di merito, nel cui contesto esso è libero di valutare anche circostanze e prove emerse solo dopo l’emanazione della decisione impugnata ( 55 ). Il Tribunale ha invece ignorato completamente, anche in questo caso correttamente, detto studio nell’ambito dell’esame della legittimità della decisione impugnata in quanto ivi possono essere presi in considerazione soltanto elementi di cui anche la Commissione disponeva già al momento dell’emanazione della suddetta decisione ( 56 ).

1. I principi della parità di trattamento e di proporzionalità (prima parte del terzo motivo di impugnazione)

91.

Le ricorrenti eccepiscono in primis che il Tribunale avrebbe travisato i requisiti giuridici insiti nei principi generali della parità di trattamento e di proporzionalità. Esse lamentano una «manifesta disparità» nell’onere che le sanzioni inflitte dalla Commissione comportano per i singoli partecipanti all’intesa. La Pilkington ritiene di essere stata punita molto più severamente delle sue corresponsabili, in quanto l’ammenda ad essa inflitta rappresenterebbe una quota molto maggiore del suo fatturato complessivo rispetto a quanto accade per le altre partecipanti all’intesa aventi una produzione maggiormente diversificata.

92.

Il Tribunale ha correttamente ricordato a tal riguardo ( 57 ) che gli importi finali delle ammende applicate alle imprese interessate non devono necessariamente rendere conto di ogni differenza tra le stesse imprese in ordine al loro fatturato complessivo o al loro fatturato rilevante ( 58 ). A prescindere dal massimale del 10% contenuto nell’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, il calcolo delle ammende in materia di intesa non è un’operazione meccanica in cui la sanzione deve necessariamente porsi in un determinato rapporto con il rispettivo fatturato totale di tutte le imprese interessate.

93.

È vero che, nel comminare le ammende in materia di intesa ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 2, primo comma, lettera a), del regolamento n. 1/2003, la Commissione non è, nell’esercizio della sua discrezionalità, completamente libera ma è soggetta a sindacato giurisdizionale quanto al rispetto, da parte sua, dei principi generali del diritto dell’Unione e dei diritti fondamentali garantiti a livello di Unione ( 59 ), segnatamente, dei principi della parità di trattamento e di proporzionalità ( 60 ).

94.

Nel caso di specie, il Tribunale non ha tuttavia violato i requisiti giuridici né dell’uno, né dell’altro principio.

a) Requisiti giuridici del principio della parità di trattamento

95.

Per quanto attiene in primis al principio della parità di trattamento, esso impone, come già osservato ( 61 ), che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato.

96.

Di norma, nel sanzionare le infrazioni al diritto delle intese, il principio della parità di trattamento è rispettato se tutti i partecipanti all’intesa sono trattati, in sede di calcolo delle ammende ad essi comminate, secondo i medesimi criteri ( 62 ), cosicché ‑ in senso qualitativo ‑ una stessa infrazione al diritto delle intese non è valutata in base a due criteri di valutazione ( 63 ). Il semplice fatto che l’ammenda definitivamente inflitta a un’impresa si avvicini o addirittura arrivi al 10% del suo fatturato totale, e quindi al massimale previsto per legge (articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003), mentre siffatta percentuale è inferiore per altri partecipanti all’intesa, non costituisce di per sé una violazione del principio di parità di trattamento ( 64 ).

97.

Le ricorrenti desiderano tuttavia ottenere che la Pilkington benefici, nel caso di specie, di un trattamento speciale di modo che l’ammenda comminata sia ridotta a una percentuale inferiore del fatturato totale. Esse contestano quindi al Tribunale di aver loro negato un siffatto trattamento.

98.

Uno scostamento dal classico metodo di calcolo delle ammende può essere eventualmente giustificato se il metodo di calcolo applicato dalla Commissione sulla base degli orientamenti del 2006 non permette una differenziazione sufficiente tra le ammende applicate ai singoli partecipanti all’intesa rispetto alla durata e alla gravità delle loro rispettive partecipazioni all’intesa, nonché rispetto a eventuali circostanze attenuanti o aggravanti ( 65 ). Nel caso di specie non sussistono però elementi in tal senso e neppure le ricorrenti hanno dedotto alcunché al riguardo.

99.

Se, in forza di particolari circostanze, la situazione della Pilkington si differenzi notevolmente, quanto al resto, da quella delle altre partecipanti all’intesa e ciò renda pertanto necessario un trattamento speciale in sede di calcolo dell’ammenda, è in definitiva una questione di valutazione dei fatti e degli elementi di prova. In base a una giurisprudenza costante ( 66 ), tale valutazione compete esclusivamente al Tribunale e non deve essere valutata nuovamente a livello di impugnazione dinanzi alla Corte, fatto salvo un eventuale snaturamento dei fatti o degli elementi di prova, che qui non viene tuttavia contestato.

100.

Solo per completezza, osservo che la forte specializzazione della Pilkington nel settore del vetro per auto e il minor grado di diversificazione dei suoi prodotti rispetto alle altre partecipanti all’intesa considerata non mi sembra, di per sé, sufficiente per far prevalere, nel calcolo dell’ammenda gravante su detta società, criteri particolari. La Commissione osserva invece correttamente che un’impresa, come la Pilkington, che realizza una quota molto importante del suo fatturato totale grazie ai prodotti oggetto dell’intesa, trae anche parimenti maggior vantaggio dall’eventuale utilità che i partecipanti all’intesa possono ricavare dalla loro condotta collusiva. In un contesto siffatto, non appare in alcun modo iniquo che l’ammenda applicata dalla Commissione rappresenti una percentuale maggiore del fatturato totale di tale impresa rispetto a quanto accade per gli altri partecipanti all’intesa.

101.

Tale conclusione non è messa in dubbio neppure dal fatto che la Commissione in passato ha operato, in singoli casi, una riduzione delle ammende per tener conto delle peculiarità del modello commerciale di singoli partecipanti dell’intesa. Secondo una giurisprudenza costante della Corte, infatti, la precedente prassi decisionale della Commissione non funge da contesto normativo applicabile alle ammende in materia di diritto della concorrenza ( 67 ).

102.

Per quanto attiene, nello specifico, alla causa Almamet, citata dalle ricorrenti, la situazione di detta impresa si caratterizzava per peculiarità che – quantomeno in base alle informazioni a disposizione dei giudici dell’Unione – non si rivengono nella stessa misura alla Pilkington ( 68 ).

103.

L’eccezione attinente alla violazione dei requisiti giuridici del principio della parità di trattamento deve quindi essere respinta come infondata.

b) Requisiti giuridici del principio di proporzionalità

104.

Per quanto attiene al principio di proporzionalità che, in base all’articolo 49, paragrafo 3, della Carta, gode del rango di diritto fondamentale ( 69 ), è pacifico che esso debba essere preso in considerazione anche in sede di applicazione delle ammende per le infrazioni al diritto delle intese ( 70 ).

105.

Le ricorrenti contestano qui al Tribunale, da ultimo, di aver trascurato i requisiti giuridici di proporzionalità rispetto al rapporto tra l’ammenda comminata dalla Commissione e il fatturato totale della Pilkington.

106.

Il già citato ( 71 ) massimale ex lege del 10%, di cui all’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 1/2003, garantisce essenzialmente che le ammende inflitte dalla Commissione ai partecipanti all’intesa siano in un rapporto adeguato con la rispettiva capacità finanziaria e che non siano applicate ammende di un livello eccessivo e sproporzionato ( 72 ). In caso di rispetto del suddetto massimale si presume che l’ammenda non gravi in modo eccessivo sulla capacità finanziaria dell’impresa interessata.

107.

Dalla sola circostanza che l’ammenda costituisce un peso finanziario – potenzialmente anche notevole – per l’impresa interessata e comporta un temporaneo indebolimento della sua forza economica, non si può affatto dedurre che l’ammenda sia sproporzionatamente elevata. Al contrario, la sanzione comminata a carico dell’impresa sotto forma di ammenda, deve farsi sentire per poter esplicare la sua funzione di prevenzione speciale e generale (v. al riguardo anche il punto 4 degli orientamenti del 2006). Tale obiettivo non sarebbe conseguito se l’impresa potesse, per così dire, «pagare per cassa».

108.

Se si volesse ridurre detta sanzione per il fatto che l’ammenda in materia di intesa comporta un possibile indebolimento della forza economica dell’impresa interessata, ciò avrebbe l’irragionevole conseguenza che l’impresa vedrebbe premiata una sua grave violazione alle regole della concorrenza con un ingiustificato vantaggio economico ( 73 ). Ove un’impresa dovesse trovarsi ad avere difficoltà di pagamento, la normativa dell’Unione in materia di bilancio prevede, come già ricordato ( 74 ), adeguate soluzioni.

109.

In tale contesto la censura attinente alla violazione dei requisiti giuridici del principio di proporzionalità appare infondata alla pari delle censure relative al principio della parità di trattamento.

2. Esercizio della competenza giurisdizionale anche di merito da parte del Tribunale (seconda parte del terzo motivo di impugnazione)

110.

Nell’ambito del presente terzo motivo di impugnazione, le ricorrenti lamentano, da ultimo, che il Tribunale non si sarebbe avvalso con la necessaria intensità della sua competenza giurisdizionale anche di merito ai sensi dell’articolo 261 TFUE in combinato disposto con l’articolo 31 del regolamento n. 1/2003.

111.

Oggetto di contesa sono qui soprattutto le considerazioni svolte nei punti 442 e 443 della sentenza impugnata, in base alle quali il Tribunale procede a una riduzione dell’ammenda inflitta dalla Commissione in ragione delle sue conseguenze finanziarie negative per l’impresa interessata solo «in presenza di circostanze eccezionali», «se giustificato da un interesse superiore» ( 75 ). Secondo le ricorrenti, il Tribunale, esprimendosi in questo senso, si sarebbe illegittimamente limitato a dare un’«applicazione troppo superficiale» della sua competenza giurisdizionale anche di merito ( 76 ).

112.

La Corte limita il controllo sull’esercizio, da parte del Tribunale, della competenza giurisdizionale anche di merito, agli errori manifesti ( 77 ). Errori di tal genere devono essere ritenuti sussistenti, in primo luogo, quando il Tribunale ha travisato l’ampiezza delle sue competenze ai sensi dell’articolo 261 TFUE ( 78 ), in secondo luogo, quando non ha esaminato in maniera minuziosa tutti gli aspetti rilevanti ( 79 ), e, in terzo luogo, quando ha applicato criteri giuridici erronei ( 80 ), non da ultimo alla luce dei principi della parità di trattamento ( 81 ) e di proporzionalità ( 82 ).

113.

La censura qui sollevata dalle ricorrenti in merito a un approccio troppo superficiale rispetto alla «pleine juridiction» ricade nella prima delle succitate categorie: al Tribunale viene in definitiva contestato di avere travisato l’ampiezza delle sue competenze ai sensi dell’articolo 261 TFUE ( 83 ).

114.

In effetti, tale competenza risulta estremamente ampia: a norma dell’articolo 261 TFUE, il Tribunale può, al di là del mero controllo di legittimità di un’ammenda inflitta dalla Commissione in materia di intesa, sostituire la propria valutazione per la determinazione dell’importo di tale ammenda a quella della Commissione ( 84 ). Esso può quindi estinguere, ridurre o aumentare l’ammenda anche per ragioni di mera opportunità senza dover preventivamente annullare la decisione impugnata ( 85 ). L’esercizio della competenza giurisdizionale anche di merito non presuppone pertanto necessariamente l’accertamento di un errore di diritto.

115.

Il Tribunale era, nel caso di specie, ben consapevole di detta possibilità ad esso accordata nell’ambito dell’articolo 261 TFUE ( 86 ). Esso non è assolutamente partito dal presupposto di poter procedere a una riduzione dell’ammenda applicata dalla Commissione soltanto in presenza di circostanze eccezionali. Esso ha invece ritenuto che una siffatta riduzione in ragione, specificamente, dell’asserito indebolimento della forza finanziaria dell’impresa interessata, sia adeguata soltanto in presenza di circostanze eccezionali.

116.

In altre parole, nel caso di specie, il Tribunale si è occupato eccome delle argomentazioni della Pilkington circa il peggioramento della sua forza finanziaria, nonché dello studio di una società di consulenza aziendale da essa prodotto. Esso si è però pronunciato, al riguardo, contro una riduzione dell’ammenda e ciò, non per mal interpretate considerazioni di diritto, ma soltanto per ragioni di opportunità. Ciò risulta con particolare evidenza ove si consideri il contesto in cui il Tribunale svolge le sue considerazioni in merito alle «circostanze eccezionali»: esso teme che se le ammende in materia di intesa non colpissero con una certa forza le imprese interessate, ciò andrebbe a pregiudizio dell’efficacia della politica di concorrenza dell’Unione ( 87 ).

117.

Come sopra già accennato ( 88 ), una valutazione di tal sorta non può essere in alcun modo contestata sotto il profilo giuridico. Essa si pone peraltro perfettamente in linea con la politica di concorrenza dell’Unione definita dalla Commissione nei suoi orientamenti del 2006 ( 89 ). Benché tali orientamenti non siano vincolanti per gli organi giurisdizionali, i giudici dell’Unione possono comunque lasciarsi ispirare da essi nell’esercizio della loro competenza giurisdizionale anche di merito ( 90 ).

118.

In conclusione, il Tribunale ha esercitato correttamente la sua competenza giurisdizionale anche di merito. In linea di principio la Corte non ha titolo per compiere, quale giudice dell’impugnazione, una valutazione più dettagliata dell’ammenda sotto il profilo della sua proporzionalità. Solo in casi del tutto eccezionali la Corte può intervenire in proprio, ossia quando «il livello della sanzione sia non soltanto inadeguato, ma anche eccessivo, al punto da essere sproporzionato» ( 91 ). Nel caso di specie non sussiste tuttavia alcun elemento indicante la presenza di una siffatta marcata ed evidente sproporzione tra infrazione e sanzione che renderebbe necessaria una rettifica da parte della Corte quale giudice dell’impugnazione.

119.

Anche quest’ultima parte del terzo motivo di impugnazione non merita quindi accoglimento. Il terzo motivo di impugnazione è pertanto, nel suo insieme, infondato.

D – Sintesi

120.

Poiché nessuno dei motivi dedotti dalle ricorrenti è stato accolto, l’impugnazione deve essere integralmente respinta.

VI – Spese

121.

A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del suo regolamento di procedura, quando l’impugnazione è respinta la Corte statuisce sulle spese.

122.

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafi 1 e 2, in combinato disposto con l’articolo 184, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda; quando vi siano più parti soccombenti, la Corte decide sulla ripartizione delle spese. Le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere pertanto condannate alle spese, conformemente alla domanda della Commissione. Avendo presentato l’impugnazione congiuntamente, esse saranno tenute a pagarle in solido tra loro.

VII – Conclusione

123.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:

1)

L’impugnazione è respinta.

2)

Le ricorrenti sopporteranno in solido le spese.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) Decisione della Commissione, del 12 novembre 2008, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 81 del Trattato che istituisce la Comunità europea e dell’articolo 53 dell’accordo SEE, C(2008) 6815 definitivo (Caso COMP/39.125 – Vetro destinato al settore auto, sintesi in GU 2009, C 173, pag. 13), come rettificata dalla decisione C(2009) 863 definitivo, dell’11 febbraio 2009, e dalla decisione C(2013) 1119 final, del 28 febbraio 2013.

( 3 ) Sentenza Pilkington Group e a./Commissione (T‑72/09, EU:T:2014:1094).

( 4 ) Causa AGC Glass Europe e a./Commissione (C‑517/15 P, GU 2015, C 398, pag. 20).

( 5 ) Determinante è soltanto il quadro normativo anteriore all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona in quanto la decisione controversa è stata emanata prima del 1o dicembre 2009.

( 6 ) Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 [CE] e 82 [CE] (GU 2003, L 1, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 1/2003»).

( 7 ) Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli «orientamenti del 2006»).

( 8 ) In prosieguo abbreviato anche in EUR.

( 9 ) Il Tribunale motiva detta decisione sulle spese sulla base del fatto che la Commissione soltanto in pendenza del procedimento giudiziale di primo grado ha emanato la decisione di modifica del 28 febbraio 2013 (v. supra paragrafo 15 e nota 2), con cui rettificava due errori di calcolo dell’ammenda (punti 448 e 449 della sentenza impugnata).

( 10 ) Sentenze Team Relocations e a./Commissione (C‑444/11 P, EU:C:2013:464, punto 76); Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punti 5759); Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione (C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punti 148149); LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punti 5355); InnoLux/Commissione (C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 50); AC‑Treuhand/Commissione (C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 64), e Toshiba Corporation/Commissione (C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punto 85).

( 11 ) Sentenze Team Relocations e a./Commissione (C‑444/11 P, EU:C:2013:464, punto 77); Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 58); LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 54), e InnoLux/Commissione (C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 62).

( 12 ) Sentenze Team Relocations e a./Commissione (C‑444/11 P, EU:C:2013:464, punto 76); Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 57); Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione (C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 148), e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 53).

( 13 ) In questo senso, sentenza LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 57).

( 14 ) Sentenze Team Relocations e a./Commissione (C‑444/11 P, EU:C:2013:464, punto 76); Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 57); Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione (C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 148); LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 53), e InnoLux/Commissione (C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 55).

( 15 ) In questo senso, sentenza LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 57), in cui la Corte chiarisce che il punto 13 degli orientamenti del 2006 «si riferisce alle vendite effettuate sul mercato rilevante coinvolto dall’infrazione».

( 16 ) V. sul punto ancora, supra, paragrafo 26 delle presenti conclusioni con la nota 10.

( 17 ) Sentenze Team Relocations e a./Commissione (C‑444/11 P, EU:C:2013:464, punto 77); Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 58); LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 54), e InnoLux/Commissione (C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 62).

( 18 ) Punti 224 e 226 della sentenza impugnata.

( 19 ) Anche accordi di intesa che, in definitiva, non vengono attuati dalle imprese coinvolte o che non conseguono sul mercato l’obiettivo sperato, sono e restano infrazioni al diritto della concorrenza che possono e devono essere sanzionate dall’autorità garante della concorrenza.

( 20 ) Sulla rilevanza del criterio della distorsione della concorrenza, v. anche le sentenze LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 63), e InnoLux/Commissione (C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 61).

( 21 ) Sentenze Team Relocations e a./Commissione (C‑444/11 P, EU:C:2013:464, punto 77); Guardian Industries und Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 58), e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 54).

( 22 ) V., sul punto, ancora una volta, la sentenza LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 57) con il suo riferimento alle «vendite effettuate sul mercato rilevante coinvolto dall’infrazione».

( 23 ) Sentenze Team Relocations e a./Commissione (C‑444/11 P, EU:C:2013:464, punti da 75 a 78); Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punti da 57 a 59); Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione (C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punti 148149); LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punti da 53 a 5864), e InnoLux/Commissione (C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 51).

( 24 ) In prosieguo abbreviato anche in GBP.

( 25 ) GU 2008, C 290, pag. 6.

( 26 ) Ove si faccia riferimento al tasso di cambio medio, anche l’importo originariamente fissato di EUR 370 milioni resta – seppur di poco – sotto il massimale del 10%.

( 27 ) Sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 282).

( 28 ) Sentenze Musique diffusion française e a./Commissione (da 100/80 a 103/80, EU:C:1983:158, punti 119121); Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P, e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punti 280281); Britannia Alloys & Chemicals/Commissione (C‑76/06 P, EU:C:2007:326, punto 24), e YKK e a./Commissione (C‑408/12 P, EU:C:2014:2153, punto 63).

( 29 ) Sentenza YKK e a./Commissione (C‑408/12 P, EU:C:2014:2153, punto 63).

( 30 ) Articolo 14 del regolamento n. 1/2003.

( 31 ) Le decisioni di applicazione dell’ammenda a norma dell’articolo 23, paragrafo 2, del regolamento n. 1/2003 sono adottate dalla Commissione in base al principio di collegialità [v. articolo 1 del regolamento interno della Commissione e articolo 17, paragrafo 6, lettera b), TUE e l’articolo 250 TFUE].

( 32 ) V., in questo senso, anche la sentenza YKK e a./Commissione (C‑408/12 P, EU:C:2014:2153, punto 64, primo periodo).

( 33 ) La questione del tasso di cambio in base al quale i fatturati delle singole società di un gruppo vengono inclusi nel calcolo nel fatturato totale di quest’ultimo – al tasso di cambio medio dell’esercizio sociale interessato o al tasso in vigore a una determinata data di riferimento – non costituisce oggetto del presente procedimento e non è stato in alcun modo affrontato da nessuna delle parti. Trascurerò anch’io pertanto detta questione nelle presenti conclusioni.

( 34 ) Punto 415 della sentenza impugnata.

( 35 ) Sentenze Enso Española/Commissione (C‑282/98 P, EU:C:2000:628, punto 59); Sarrió/Commissione (C‑291/98 P, EU:C:2000:631, punto 89), e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 606).

( 36 ) V., sul punto, supra, paragrafo 48 delle presenti conclusioni con la nota 28.

( 37 ) Ciò emerge con particolare evidenza dalla sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 605).

( 38 ) Sentenza Sarrió/Commissione (T‑334/94, EU:T:1998:97, punto 403).

( 39 ) In questo senso anche la sentenza Musique diffusion française e a./Commissione (da 100/80 a 103/80, EU:C:1983:158, punto 135).

( 40 ) Regolamento delegato (UE) n. 1268/2012 della Commissione, del 29 ottobre 2012, recante le modalità di applicazione del regolamento (UE, Euratom) n. 966/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell’Unione (GU 2012, L 362, pag. 1).

( 41 ) In questo senso, sentenze Enso Española/Commissione (C‑282/98 P, EU:C:2000:628, punto 59); Sarrió/Commissione (C‑291/98 P, EU:C:2000:631, punto 89), e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 604).

( 42 ) V. al riguardo, infra, paragrafo 73 delle presenti conclusioni.

( 43 ) Sentenze Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione (C‑550/07 P, EU:C:2010:512, punto 54), e Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 51); nello stesso senso già la sentenza Ruckdeschel e a. (117/76 und 16/77, EU:C:1977:160, punto 7).

( 44 ) Sentenze Arcelor Atlantique et Lorraine e a. (C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 23); Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione (C‑550/07 P, EU:C:2010:512, punto 55); Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 51), e P e S (C‑579/13, EU:C:2015:369, punto 41).

( 45 ) Sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P, e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 281).

( 46 ) In questo senso, sentenze Enso Española/Commissione (C‑282/98 P, EU:C:2000:628, punto 59); Sarrió/Commissione (C‑291/98 P, EU:C:2000:631, punto 89), e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 604).

( 47 ) Sentenze Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione (C‑550/07 P, EU:C:2010:512, punto 100), e Ålands Vindkraft (C‑573/12, EU:C:2014:2037, punto 127); v. anche sentenze Van Es Douane Agenten (C‑143/93, EU:C:1996:45, punto 27), e Association nationale d’assistance aux frontières pour les étrangers (C‑606/10, EU:C:2012:348, punto 76).

( 48 ) Sentenze ArcelorMittal Luxembourg/Commissione e Commissione/ArcelorMittal Luxembourg e a. (C‑201/09 P e C‑216/09 P, EU:C:2011:190, punto 68); ThyssenKrupp Nirosta/Commissione (C‑352/09 P, EU:C:2011:191, punto 81), e Ålands Vindkraft (C‑573/12, EU:C:2014:2037, punto 128).

( 49 ) Sentenze Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 55); LG Display und LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 51), e InnoLux/Commissione (C‑231/14 P, EU:C:2015:451, punto 48).

( 50 ) Punto 420 della sentenza impugnata.

( 51 ) V. supra, paragrafo 73 delle presenti conclusioni.

( 52 ) Sentenza Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 604).

( 53 ) Sentenze Enso Española/Commissione (C‑282/98 P, EU:C:2000:628, punto 59); Sarrió/Commissione (C‑291/98 P, EU:C:2000:631, punto 89), e Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 604).

( 54 ) Punto 421 in combinato disposto con i punti 415 e 416 della sentenza impugnata.

( 55 ) Sentenza Galp Energía España e a./Commissione (C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 72).

( 56 ) Sentenze Francia/Commissione (15/76 e 16/76, EU:C:1979:29, punto 7); Crispoltoni e a. (C‑133/93, C‑300/93 e C‑362/93, EU:C:1994:364, punto 43); IECC/Commissione (C‑449/98 P, EU:C:2001:275, punto 87), e Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 31).

( 57 ) Punto 397 della sentenza impugnata.

( 58 ) Sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 312).

( 59 ) Articolo 51, paragrafo 1, primo periodo, della Carta dei diritti fondamentali; v., a titolo integrativo, il rinvio dichiaratorio presente nel considerando 37 del regolamento n. 1/2003, secondo cui tale regolamento dovrebbe essere interpretato e applicato in relazione ai diritti e ai principi sanciti nella Carta.

( 60 ) In questo senso, sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punti 304319); Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione (C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:479, punto 58), e Guardian Industries e Guardian Europe/Commissione (C‑580/12 P, EU:C:2014:2363, punto 62).

( 61 ) V. sul punto supra, paragrafi 66 e 67 delle presenti conclusioni.

( 62 ) In questo senso sentenza Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione (C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:479, punto 58), secondo cui, per quanto riguarda la determinazione dell’importo dell’ammenda, l’applicazione di diversi metodi di calcolo non può condurre a una discriminazione tra le imprese che hanno partecipato a un accordo o a una pratica concordata contraria all’articolo 81, paragrafo 1, CE.

( 63 ) V., sul punto, le mie conclusioni nelle cause riunite Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione (C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:11, paragrafo 57).

( 64 ) Sentenza Putters International/Commissione (T‑211/08, EU:T:2011:289, punto 74).

( 65 ) In questo senso sentenza Putters International/Commissione (T‑211/08, EU:T:2011:289, punto 75); v. inoltre la risoluzione del Parlamento europeo del 10 marzo 2015 sulla relazione annuale sulla politica di concorrenza dell’UE 2013 presentata dalla Commissione il 6 maggio 2014 [risoluzione del Parlamento P8_TA(2015)0051, punto 29].

( 66 ) V., tra le tante, sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 177); Dole Food e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione (C‑286/13 P, EU:C:2015:184, punto 58), e Toshiba Corporation/Commissione (C‑373/14 P, EU:C:2016:26, punti 4041).

( 67 ) Sentenze JCB Service/Commissione (C‑167/04 P, EU:C:2006:594); Telefónica e Telefónica de España/Commissione (C‑295/12 P, EU:C:2014:2062, punto 189), e LG Display e LG Display Taiwan/Commissione (C‑227/14 P, EU:C:2015:258, punto 67).

( 68 ) Come osserva il Tribunale nella sentenza Novácke chemické závody/Commissione (T‑352/09, EU:T:2012:673, punto 139), la situazione dell’impresa Almamet si caratterizzava in particolare per il fatto che si trattava di un «commercio di materiali di valore elevato con un margine di profitto ridotto».

( 69 ) V. sul punto le mie conclusioni nella causa Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:248, paragrafo 222).

( 70 ) Sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 319), e Aalborg Portland e a./Commissione (C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6, punto 365).

( 71 ) V., sul punto, le considerazioni da me svolte sul secondo motivo di impugnazione, segnatamente, al paragrafo 48 delle presenti conclusioni.

( 72 ) Sentenze Musique diffusion française e a./Commissione (da 100/80 a 103/80, EU:C:1983:158, punti 119121); Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punti 280281); Britannia Alloys & Chemicals/Commissione (C‑76/06 P, EU:C:2007:326, punto 24), e YKK e a./Commissione (C‑408/12 P, EU:C:2014:2153, punto 63).

( 73 ) In questo senso, sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 327); SGL Carbon/Commissione (C‑308/04 P, EU:C:2006:433, punto 105), e KME Germany e a./Commissione (C‑389/10 P, EU:C:2011:816, punto 103); nello stesso senso, già sentenza IAZ International Belgium e a./Commissione (da 96/82 a 102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, EU:C:1983:310, punti 5455).

( 74 ) V. supra, paragrafo 61 delle presenti conclusioni.

( 75 ) Punto 442 della sentenza impugnata.

( 76 ) Nella lingua del procedimento: «a “light touch” review».

( 77 ) Sentenza Aalborg Portland e a./Commissione (C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, EU:C:2004:6, punto 365).

( 78 ) V., in questo senso, le mie conclusioni nelle cause Nederlandse Federatieve Vereniging voor de Groothandel op Elektrotechnisch Gebied/Commissione (C‑105/04 P, EU:C:2005:751, paragrafo 137), e Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:248, paragrafo 190); nello stesso senso, sentenze Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punti 155156), e Kone e a./Commissione (C‑510/11 P, EU:C:2013:696, punti 4042).

( 79 ) Sentenze Baustahlgewebe/Commissione (C‑185/95 P, EU:C:1998:608, punto 128); Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punti 244303), e Papierfabrik August Koehler e a./Commissione (C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, EU:C:2009:500, punto 125).

( 80 ) Sentenze Baustahlgewebe/Commissione (C‑185/95 P, EU:C:1998:608, punto 128); Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punti 244303), e Papierfabrik August Koehler e a./Commissione (C‑322/07 P, C‑327/07 P e C‑338/07 P, EU:C:2009:500, punto 125).

( 81 ) Sentenze Weig/Commissione (C‑280/98 P, EU:C:2000:627, punti 6368); Sarrió/Commissione (C‑291/98 P, EU:C:2000:631, punti 9799), e Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione (C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:479, punto 58).

( 82 ) Sentenze E.ON Energie/Commissione (C‑89/11 P, EU:C:2012:738, punto 126), e Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 165).

( 83 ) Dei requisiti giuridici ricavabili dai principi della parità di trattamento e della proporzionalità mi sono già occupato nella prima parte del terzo motivo di impugnazione (v. supra, paragrafi da 91 a 109 delle presenti conclusioni).

( 84 ) Sentenze Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 692), KME Germany e a./Commissione (C‑389/10 P, EU:C:2011:816, punto 130); AC‑Treuhand/Commissione (C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 74), e Galp Energía España e a./Commissione (C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 75).

( 85 ) Sentenze Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione (C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 692), e Prym e Prym Consumer/Commissione (C‑534/07 P, EU:C:2009:505, punto 86).

( 86 ) V. in particolare punti 431, 432 e 434 della sentenza impugnata.

( 87 ) Punto 441 della sentenza impugnata.

( 88 ) V. supra, paragrafi da 106 a 108 delle presenti conclusioni.

( 89 ) V. in particolare il punto 35 degli orientamenti del 2006: «In circostanze eccezionali la Commissione può, a richiesta, tener conto della mancanza di capacità contributiva di un’impresa in un contesto sociale ed economico particolare. La Commissione non concederà alcuna riduzione di ammenda basata unicamente sulla constatazione di una situazione finanziaria sfavorevole o deficitaria. Una riduzione potrebbe essere concessa soltanto su presentazione di prove oggettive dalle quali risulti che l’imposizione di un’ammenda, alle condizioni fissate dai presenti orientamenti, pregiudicherebbe irrimediabilmente la redditività economica dell’impresa e priverebbe i suoi attivi di qualsiasi valore».

( 90 ) Sentenze Commissione/Verhuizingen Coppens (C‑441/11 P, EU:C:2012:778, punto 80), e Galp Energía España e a./Commissione (C‑603/13 P, EU:C:2016:38, punto 90).

( 91 ) Sentenze E.ON Energie/Commissione (C‑89/11 P, EU:C:2012:738, punti 125126); Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punti 164165), e Telefónica e Telefónica de España/Commissione (C‑295/12 P, EU:C:2014:2062, punto 205).