SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

18 giugno 2015 ( *1 )

«Ricorso di annullamento — Direttiva 2013/34/UE — Obblighi in materia di bilanci d’esercizio a carico di talune tipologie di imprese — Principi di sussidiarietà e di proporzionalità — Obbligo di motivazione»

Nella causa C‑508/13,

avente ad oggetto un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, proposto il 23 settembre 2013,

Repubblica di Estonia, rappresentata da K. Kraavi‑Käerdi, in qualità di agente,

ricorrente,

contro

Parlamento europeo, rappresentato da U. Rösslein e M. Allik, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da P. Mahnič Bruni e A. Stolfot, in qualità di agenti,

convenuti,

sostenuti da:

Commissione europea, rappresentata da H. Støvlbæk e L. Naaber‑Kivisoo, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, J.‑C. Bonichot (relatore), A. Arabadjiev, J.L. da Cruz Vilaça e C. Lycourgos, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con il suo ricorso, la Repubblica di Estonia chiede alla Corte di annullare parzialmente l’articolo 4, paragrafi 6 e 8, e, in toto, gli articoli 6, paragrafo 3, e 16, paragrafo 3, della direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio (GU L 182, pag. 19, e rettifiche in GU 2013, L 215, pag. 16, e GU 2014, L 373, pag. 47; in prosieguo: la «direttiva»).

Contesto normativo

2

I considerando 4, 8, 10 e 55 della direttiva enunciano quanto segue:

«(4)

(...) È necessario che la legislazione contabile dell’Unione trovi un opportuno equilibrio tra gli interessi dei destinatari dei bilanci e l’interesse delle imprese a non essere eccessivamente gravate da obblighi in materia di informativa.

(...)

(8)

È inoltre necessario che si stabiliscano condizioni giuridiche equivalenti minime nell’Unione quanto all’ampiezza delle informazioni finanziarie che dovrebbero essere fornite al pubblico da parte di imprese concorrenti.

(...)

(10)

La presente direttiva dovrebbe assicurare che i requisiti relativi alle piccole imprese siano in larga misura armonizzati in tutta l’Unione. La presente direttiva si basa sul principio “pensare anzitutto in piccolo”. Per evitare che su queste imprese gravino oneri amministrativi sproporzionati, gli Stati membri dovrebbero poter prescrivere solo un numero limitato di informazioni mediante note supplementari rispetto a quelle obbligatorie. Nel caso in cui esista un sistema di deposito unico, tuttavia, gli Stati membri possono in alcuni casi prescrivere un numero limitato di informazioni supplementari ove esse siano esplicitamente richieste dalla loro normativa fiscale e siano strettamente necessarie ai fini dell’esazione fiscale. Per le imprese medie e grandi gli Stati membri dovrebbero poter prescrivere requisiti che vanno al di là dei requisiti minimi prescritti dalla presente direttiva.

(...)

(55)

Poiché gli obiettivi della presente direttiva – vale a dire facilitare gli investimenti transfrontalieri e accrescere in tutta l’Unione la comparabilità e la fiducia del pubblico nei bilanci e nell’informativa di bilancio fornendo informazioni specifiche più ampie e coerenti – non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque, a motivo della portata e degli effetti della presente direttiva, essere conseguiti meglio a livello dell’Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tali obiettivi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo».

3

L’articolo 4, paragrafi da 5 a 8, della medesima direttiva, intitolato «Disposizioni generali», stabilisce quanto segue:

«5.   Gli Stati membri possono imporre a imprese diverse dalle piccole imprese di fornire nel bilancio d’esercizio informazioni aggiuntive rispetto a quelle richieste ai sensi della presente direttiva.

6.   In deroga al paragrafo 5, gli Stati membri possono prescrivere che le piccole imprese redigano, divulghino e pubblichino nei bilanci informazioni aggiuntive rispetto agli obblighi previsti dalla presente direttiva, purché dette informazioni siano raccolte in un sistema di deposito unico e l’obbligo dell’informativa sia previsto dalla normativa fiscale nazionale ai soli fini dell’esazione fiscale. (...)

7.   Al momento del recepimento della presente direttiva e quando introducono nella legislazione nazionale nuovi obblighi in conformità del paragrafo 6, gli Stati membri comunicano alla Commissione eventuali informazioni supplementari da essi prescritte in conformità del paragrafo 6.

8.   Gli Stati membri che si avvalgono di soluzioni elettroniche per il deposito e la pubblicazione dei bilanci d’esercizio assicurano che le piccole imprese non siano tenute a pubblicare, in conformità del capo 7, le informazioni supplementari richieste dalla normativa fiscale nazionale di cui al paragrafo 6».

4

L’articolo 6, paragrafi 1 e 3, di detta direttiva, recante il titolo «Principi generali di bilancio», stabilisce quanto segue:

«1.   Le voci esposte nei bilanci d’esercizio [annuali] e consolidati sono rilevate e valutate conformemente ai seguenti principi generali:

(...)

h)

la rilevazione e la presentazione delle voci nel conto economico e nello stato patrimoniale tengono conto della sostanza dell’operazione o del contratto in questione;

(...)

3.   Gli Stati membri possono esentare le imprese dagli obblighi di cui al paragrafo 1, lettera h)».

5

L’articolo 16, paragrafo 3, della stessa direttiva, intitolato «Contenuto della nota integrativa di tutte le imprese», così recita:

«Gli Stati membri non impongono alle piccole imprese obblighi in materia di informativa ulteriori rispetto a quanto è disposto o consentito dal presente articolo».

Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti

6

La Repubblica di Estonia chiede che la Corte voglia:

in via principale, annullare le seguenti disposizioni della direttiva:

l’articolo 4, paragrafo 6, nella parte in cui subordina la possibilità per gli Stati membri di richiedere alle piccole imprese informazioni contabili aggiuntive rispetto a quelle previste dalla direttiva, purché tale obbligo sia «previsto dalla normativa fiscale nazionale ai soli fini dell’esazione fiscale»;

l’articolo 4, paragrafo 8, nella parte in cui fa riferimento alla condizione che l’obbligo di fornire informazioni supplementari sia «previsto dalla normativa fiscale nazionale ai soli fini dell’esazione fiscale» menzionata nell’articolo 4, paragrafo 6;

l’articolo 6, paragrafo 3, e

l’articolo 16, paragrafo 3;

in subordine, nel caso in cui la Corte ritenesse inammissibile tale domanda di annullamento parziale, annullare integralmente la direttiva e

condannare il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea alle spese.

7

Il Parlamento e il Consiglio chiedono che la Corte voglia:

respingere il ricorso e

condannare la Repubblica di Estonia alle spese.

8

Conformemente all’articolo 131, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, la Commissione europea è stata autorizzata ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio.

Sul ricorso

Sulla ricevibilità

Argomenti delle parti

9

Il Parlamento e il Consiglio fanno valere che la domanda di parziale annullamento della direttiva è irricevibile per il motivo che le relative disposizioni di cui la Repubblica di Estonia chiede l’annullamento non sono separabili dalle altre sue disposizioni.

10

Per contro, la Repubblica di Estonia considera che l’annullamento delle sole disposizioni impugnate non inciderebbe sulla sostanza della direttiva. La domanda di annullamento parziale sarebbe dunque ricevibile.

Giudizio della Corte

11

In virtù di una giurisprudenza costante della Corte, l’annullamento parziale di un atto dell’Unione è possibile solo se gli elementi di cui è chiesto l’annullamento siano separabili dal resto dell’atto (v., in particolare, sentenze Commissione/Consiglio, C‑29/99, EU:C:2002:734, punto 45, nonché Commissione/Parlamento e Consiglio, C‑427/12, EU:C:2014:170, punto 16).

12

La Corte ha ripetutamente dichiarato che tale requisito della separabilità non è soddisfatto quando l’annullamento parziale di un atto avrebbe l’effetto di modificare la sostanza dell’atto medesimo (v., in tal senso, sentenza Commissione/Polonia, C‑504/09 P, EU:C:2012:178, punto 98 e giurisprudenza ivi citata).

13

Nel caso di specie, dai considerando 4, 8 e 10 della direttiva risulta che la normativa dell’Unione di armonizzazione della contabilità deve, da un lato, instaurare un giusto equilibrio tra le contrapposte necessità dei destinatari dei bilanci e dei loro produttori, che sono le imprese, e, dall’altro, deve tener conto dell’onere speciale che rappresenta per le imprese più piccole la produzione di tale informativa.

14

Pertanto, il legislatore dell’Unione, adottando la direttiva, ha inteso sostanzialmente raggiungere un doppio equilibrio, sia tra imprese e destinatari dei bilanci, sia tra grandi e piccole imprese, dato che queste ultime sopportano un onere amministrativo relativamente maggiore rispetto alle prime, quando tanto le une quanto le altre devono soddisfare sotto ogni aspetto i medesimi requisiti.

15

Orbene, per le une, le disposizioni impugnate limitano la discrezionalità lasciata agli Stati membri per aumentare detto onere amministrativo e, per le altre, prevedono un’eccezione all’armonizzazione in relazione a un principio generale di bilancio. Si tratta, di conseguenza, di disposizioni intrinseche al conseguimento degli equilibri perseguiti dal legislatore dell’Unione e menzionati nel punto 14 della presente sentenza.

16

Ne consegue che l’eventuale annullamento delle disposizioni impugnate incide necessariamente sulla sostanza della direttiva e, pertanto, dette disposizioni non possono essere considerate separabili dall’ambito legislativo da essa stabilito.

17

Di conseguenza, il ricorso della Repubblica di Estonia è ricevibile unicamente nella parte in cui è diretto all’annullamento totale della direttiva.

Sulla legittimità della direttiva impugnata

18

A sostegno della propria domanda di annullamento della direttiva, la Repubblica di Estonia deduce tre motivi, relativi alla violazione, rispettivamente, del principio di proporzionalità, del principio di sussidiarietà e dell’obbligo di motivazione.

Sul primo motivo, relativo alla violazione del principio di proporzionalità

– Argomenti delle parti

19

La Repubblica di Estonia, per quanto concerne, anzitutto, le disposizioni che limitano la possibilità per gli Stati membri di derogare al divieto di imporre requisiti supplementari alle piccole imprese che figura negli articoli 4, paragrafi 6 e 8, e 16, paragrafo 3, della direttiva, fa valere che esse non attuano misure adeguate ai due obiettivi perseguiti dalla direttiva e non costituiscono le misure meno vincolanti per la realizzazione di tali obiettivi.

20

Riguardo al primo obiettivo, consistente nel migliorare la chiarezza e la comparabilità dei bilanci d’esercizio delle imprese nel mercato interno, detto Stato membro sostiene che le proprie norme nazionali sono state elaborate sul modello delle norme internazionali di bilancio, le quali richiedono informazioni supplementari rispetto a quelle previste dalla direttiva. Esso ritiene che la Commissione abbia commesso un errore di valutazione nei criteri considerati nella fase dell’analisi d’impatto, essendosi basata soprattutto su indicatori quantitativi relativi al numero di piccole imprese, invece che su indicatori qualitativi, come la quota di fatturato di dette piccole imprese nell’economia nazionale. Orbene, in Estonia, le piccole imprese contribuirebbero in misura maggiore rispetto agli altri Stati membri al fatturato complessivo di tutte le imprese. In tal senso, gli articoli 4, paragrafi 6 e 8, e 16, paragrafo 3, della medesima direttiva violerebbero l’articolo 5 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al Trattato UE e al Trattato FUE (in prosieguo: il «protocollo n. 2»).

21

Per quanto concerne il secondo obiettivo della direttiva (la limitazione degli obblighi di fornire informazioni a carico delle piccole imprese), la Repubblica di Estonia afferma che l’applicazione degli articoli 4, paragrafi 6 e 8, e 16, paragrafo 3, di quest’ultima non comporterà una siffatta limitazione, bensì, solamente, un trasferimento di tale obbligo, in quanto le informazioni che non dovranno più figurare nel bilancio continueranno ad essere richieste da talune autorità nazionali. Detto Stato membro fa valere che esso, da parte sua, ha già attuato una politica nazionale di riduzione dell’onere amministrativo a carico delle imprese mediante un sistema di dichiarazione elettronica cosiddetto di «one‑stop‑shop».

22

Per quanto riguarda, poi, il combinato disposto dei paragrafi 1, lettera h), e 3 dell’articolo 6 della direttiva, che consente agli Stati membri di esentare le imprese dall’osservanza del principio di contabilità della «prevalenza della sostanza sulla forma», la Repubblica di Estonia afferma che una siffatta esenzione, costituendo una deroga al principio dell’«immagine fedele», sarebbe contraria all’obiettivo di migliorare la comparabilità e la chiarezza dei bilanci delle imprese.

23

Infine, la Repubblica di Estonia sostiene, più in generale, che il principio di proporzionalità è stato violato poiché il legislatore dell’Unione non ha tenuto conto della sua situazione particolare di Stato membro avanzato in materia di amministrazione elettronica o, ancora, in conseguenza della possibilità di applicare i principi contabili internazionali previsti dal regolamento n. 1606/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, relativo all’applicazione di principi contabili internazionali (GU L 243, pag. 1).

24

Al contrario, il Parlamento e il Consiglio, riguardo alle disposizioni che limitano le possibilità di imporre oneri supplementari alle piccole imprese, affermano che la decisione del legislatore dell’Unione di differenziare i requisiti in materia di bilanci delle imprese in funzione delle loro dimensioni è una scelta politica basata su criteri oggettivi, dopo aver ponderato tutti gli interessi in gioco. Il principio di proporzionalità richiede che tale scelta costituisca una misura adeguata alla luce degli obiettivi perseguiti dalla direttiva a livello dell’Unione e non, in ogni caso, alla luce della situazione particolare di uno Stato membro. Dette istituzioni sostengono altresì che una misura siffatta è necessaria al conseguimento di tali obiettivi e che sarebbe, al contrario, sproporzionato imporre alle piccole imprese gli stessi obblighi imposti alle grandi. Il Consiglio aggiunge che, se la deroga al divieto di imporre oneri supplementari alle piccole imprese fosse consentita per fini diversi dall’esazione fiscale, essa comporterebbe un eccesso di regolamentazione.

25

Quanto alla possibilità per gli Stati membri di concedere alle imprese deroghe al principio della «prevalenza della sostanza sulla forma», il Parlamento ricorda che si tratta di una misura meno vincolante della sua applicazione a tutte le imprese e, pertanto, di un’armonizzazione minima il cui carattere sproporzionato non è stato dimostrato dalla Repubblica di Estonia.

26

La Commissione afferma che le contestazioni volte dalla Repubblica di Estonia alla sua analisi d’impatto sono infondate, poiché tale analisi è stata realizzata da un contraente esterno secondo la procedura adeguata, previa consultazione del comitato competente e tenendo conto della situazione sia dell’Unione sia di ciascuno degli Stati membri.

27

Il Parlamento e il Consiglio sostengono, sempre a proposito dell’analisi d’impatto della Commissione, che, in ogni caso, il richiamo effettuato dalla Repubblica di Estonia all’articolo 5 del protocollo n. 2 è irrilevante, in quanto tale disposizione non si applica alla procedura di elaborazione delle direttive, bensì a quella dei progetti di atti legislativi e non ha carattere vincolante sul modo in cui il legislatore dell’Unione deve procedere per valutare la conformità di un atto legislativo al principio di proporzionalità.

– Giudizio della Corte

28

In via preliminare, occorre ricordare che il principio di proporzionalità, che è parte integrante dei principi generali del diritto dell’Unione, esige che gli strumenti predisposti da una norma siano idonei a realizzare lo scopo perseguito e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerlo [v., in particolare, sentenze British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, C‑491/01, EU:C:2002:741, punto 122, nonché Digital Rights Ireland e a., C‑293/12 e C‑594/12, EU:C:2014:238, punto 46 e giurisprudenza ivi citata].

29

Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale delle condizioni menzionate al punto precedente, occorre riconoscere al legislatore dell’Unione un ampio potere discrezionale in un settore come quello del caso di specie, che richiede da parte sua scelte di natura politica, economica e sociale e rispetto al quale esso è chiamato ad effettuare valutazioni complesse. Di conseguenza, solo la manifesta inidoneità di una misura adottata in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale misura [v. sentenze British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, C‑491/01, EU:C:2002:741, punto 123, nonché Vodafone e a., C‑58/08, EU:C:2010:321, punto 52 e giurisprudenza ivi citata].

30

Riguardo all’obiettivo perseguito dalla direttiva, occorre rilevare che, come risulta in particolare dai suoi articoli 4, 6 e 16 nonché dai suoi considerando 8, 10, 38 e 55, quest’ultima mira, da un lato, a stabilire norme armonizzate sulle informazioni finanziarie che devono essere messe a disposizione del pubblico per migliorare la comparabilità dei bilanci d’esercizio delle imprese nell’insieme dell’Unione e, dall’altro, ad evitare che l’applicazione di tali norme costituisca un onere per le piccole imprese, prevedendo talune deroghe riguardo ad esse.

31

A tal fine, il legislatore dell’Unione ha previsto, in particolare, due tipi di misure di cui la Repubblica di Estonia contesta la conformità al principio di proporzionalità.

32

Da un lato, gli articoli 4, paragrafi 6 e 8, e 16, paragrafo 3, della direttiva limitano le possibilità concesse agli Stati membri di richiedere alle piccole imprese di includere nei propri bilanci conti economici e note integrative, obblighi ulteriori rispetto a quelli previsti dalla direttiva in modo armonizzato. In proposito, la direttiva vieta, per principio, agli Stati membri di imporre alle imprese di cui trattasi siffatti obblighi supplementari, e a tale divieto deroga unicamente imponendo limiti precisi alle eccezioni che essa prevede. Tra questi limiti figura il requisito, prescritto al suo articolo 4, paragrafo 6, che gli obblighi supplementari imposti dallo Stato membro siano già previsti nella normativa fiscale nazionale e ai soli fini dell’esazione fiscale.

33

Nel porre tale limite, basato su criteri oggettivi, il legislatore dell’Unione ha inteso sostanzialmente evitare che le piccole imprese fossero tenute a fornire documenti o informazioni di ordine contabile oltre, da un lato, agli obblighi informativi previsti dalla direttiva e, dall’altro, agli obblighi dichiarativi contenuti nelle normative fiscali nazionali.

34

Un limite di questo tipo è manifestamente idoneo a realizzare uno degli obiettivi previsti dalla direttiva, consistente nel limitare l’imposizione di un maggiore onere amministrativo a carico delle piccole imprese.

35

Inoltre, la Repubblica di Estonia non dimostra in che modo il legislatore dell’Unione, nel porre detto limite, avrebbe adottato una misura che eccederebbe quanto necessario per il raggiungimento dell’obiettivo perseguito, in particolare perché essa pregiudicherebbe in modo manifestamente eccessivo l’interesse dei destinatari dei bilanci a fronte dei potenziali benefici in materia di onere amministrativo a carico delle piccole imprese.

36

Dall’altro lato, l’articolo 6, paragrafo 3, della direttiva consente agli Stati membri di esentare le imprese, nell’elaborazione dei rispettivi bilanci, dall’osservanza del principio contabile della «prevalenza della sostanza sulla forma». Questa possibilità è giustificata, in particolare, dal fatto che l’onere amministrativo di un contabile è ridotto se quest’ultimo può limitarsi ad illustrare la forma giuridica di una transazione piuttosto che la sua sostanza commerciale.

37

Orbene, riguardo a tale possibilità, dal fascicolo sottoposto alla Corte non risulta che la Repubblica di Estonia abbia, come era tenuta a fare in considerazione del controllo svolto dalla Corte e richiamato al punto 29 della presente sentenza, corredato il proprio motivo di elementi sufficienti che consentissero di dimostrare la manifesta inidoneità delle misure adottate dal legislatore dell’Unione in relazione all’obiettivo di migliorare la comparabilità e la chiarezza dei bilanci delle imprese previsto dalla direttiva.

38

Pertanto, dall’analisi delle misure menzionate ai punti 32 e 36 della presente sentenza non risulta che il legislatore dell’Unione, nell’adottarle, abbia manifestamente ecceduto i limiti del suo potere discrezionale.

39

Infine, per quanto concerne l’argomento della Repubblica di Estonia secondo cui il principio di proporzionalità sarebbe stato violato in quanto il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto della sua situazione particolare di Stato membro avanzato in materia di amministrazione elettronica, occorre rilevare che la direttiva 2013/34 ha un impatto in tutti gli Stati membri e presuppone che sia garantito un equilibrio tra i diversi interessi in gioco, tenuto conto degli obiettivi perseguiti da tale direttiva. Di conseguenza, la ricerca di un siffatto equilibrio che non prenda in considerazione la situazione particolare di un solo Stato membro, ma quella dell’insieme degli Stati membri dell’Unione, non può essere considerata contraria al principio di proporzionalità.

40

Da quanto precede risulta che il primo motivo, relativo alla violazione del principio di proporzionalità, deve essere disatteso.

Sul secondo motivo, relativo alla violazione del principio di sussidiarietà

– Argomenti delle parti

41

La Repubblica di Estonia sostiene che il legislatore dell’Unione ha violato il principio di sussidiarietà, in primo luogo, poiché, sebbene un’azione a livello dell’Unione fosse necessaria per garantire la comparabilità dei bilanci delle imprese, la direttiva non attua tale azione in modo adeguato; in secondo luogo, in quanto l’obiettivo di riduzione dell’onere amministrativo a carico delle piccole imprese avrebbe potuto essere meglio raggiunto a livello degli Stati membri; in terzo luogo, per la mancanza, negli elementi allegati al progetto di direttiva, della scheda di valutazione dell’osservanza del principio di sussidiarietà, prevista dal protocollo n. 2; in quarto luogo, dato che la giustificazione della direttiva alla luce del principio di sussidiarietà avrebbe dovuto essere effettuata per ciascuna delle sue disposizioni, e, in quinto luogo, dal momento che la situazione particolare di ogni Stato membro in relazione al principio di sussidiarietà non sarebbe stata presa in considerazione.

42

Il Parlamento e il Consiglio fanno valere, in primo luogo, che il legislatore dell’Unione ha svolto un esame sufficiente del progetto di direttiva alla luce del principio di sussidiarietà per giungere alla conclusione che era necessaria un’azione a livello dell’Unione; in secondo luogo, che la situazione di uno Stato membro particolare, indipendentemente dal suo grado di avanzamento nella realizzazione di un obiettivo specifico, non può ostacolare la necessità di un’azione dell’Unione per realizzare distinti obiettivi in tutta l’Unione; in terzo luogo, che l’obbligo di motivazione degli atti legislativi alla luce del principio di sussidiarietà non si valuta per ciascuna disposizione considerata separatamente, ma si tratta di una considerazione di carattere generale, e, in quarto luogo, che da tale principio non deriva un obbligo di tener conto degli interessi particolari di ogni Stato membro considerato individualmente, che rimetterebbe in discussione la tecnica stessa dell’armonizzazione.

43

La Commissione ritiene che la Repubblica di Estonia non abbia, come era tenuta a fare in considerazione del controllo operato dalla Corte, dimostrato che il legislatore dell’Unione avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione nell’attuazione del principio di sussidiarietà.

– Giudizio della Corte

44

Occorre ricordare che il principio di sussidiarietà è enunciato all’articolo 5, paragrafo 3, TUE, ai sensi del quale l’Unione, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, interviene soltanto se e nei limiti in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione prospettata, possono essere meglio realizzati a livello dell’Unione. Inoltre, il protocollo n. 2 stabilisce, all’articolo 5, gli orientamenti per accertare se tali requisiti siano soddisfatti (sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, C‑176/09, EU:C:2011:290, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).

45

Trattandosi di un settore, nel caso di specie il miglioramento delle condizioni della libertà di stabilimento, che non figura tra quelli in cui l’Unione dispone di una competenza esclusiva, occorre esaminare se l’obiettivo dell’azione progettata potesse essere meglio realizzato a livello dell’Unione [v. sentenza British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco, C‑491/01, EU:C:2002:741, punto 180].

46

In proposito, e come rilevato ai punti 13 e 14 della presente sentenza, la direttiva persegue un doppio obiettivo, consistente non solo nell’armonizzare i bilanci delle imprese dell’Unione affinché i destinatari dei bilanci dispongano di dati confrontabili, ma anche nel farlo tenendo conto, mediante un regime speciale, anch’esso ampiamente armonizzato, della situazione particolare delle piccole imprese, sulle quali l’applicazione dei requisiti contabili previsti per le medie e grandi imprese imporrebbe un onere amministrativo eccessivo.

47

Orbene, anche supponendo che, come sostiene la Repubblica di Estonia, il secondo di questi due obiettivi possa essere meglio raggiunto mediante un’azione a livello degli Stati membri, resta cionondimeno il fatto che il perseguimento di tale obiettivo ad un siffatto livello potrebbe consolidare, se non generare, situazioni in cui taluni Stati membri ridurrebbero maggiormente o in modo differente rispetto ad altri l’onere amministrativo a carico delle piccole imprese, andando così all’esatto opposto dell’obiettivo principale della direttiva, consistente nella creazione di condizioni giuridiche equivalenti minime per la contabilità di imprese concorrenti.

48

Dall’interdipendenza dei due obiettivi considerati dalla direttiva risulta che il legislatore dell’Unione poteva legittimamente ritenere che la sua azione dovesse implicare un regime speciale delle piccole imprese e che, in ragione di tale interdipendenza, questo doppio obiettivo poteva essere meglio realizzato a livello dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Vodafone e a., C‑58/08, EU:C:2010:321, punto 78).

49

Di conseguenza, la direttiva non è stata adottata in violazione del principio di sussidiarietà.

50

L’argomento addotto dalla Repubblica di Estonia sul modo asseritamente insufficiente in cui il legislatore dell’Unione si sarebbe accertato dell’osservanza del principio di sussidiarietà prima di avviare la propria azione non è idoneo a inficiare tale conclusione.

51

In proposito, la Repubblica di Estonia non può utilmente sostenere che la verifica del rispetto del principio di sussidiarietà avrebbe dovuto essere effettuata non per la direttiva nel suo insieme, ma per ciascuna delle sue disposizioni in particolare. Tale affermazione, infatti, rientra comunque nella contestazione della motivazione dell’atto impugnato, e sarà esaminata nell’ambito del terzo motivo.

52

Infine, sebbene la Repubblica di Estonia sostenga che il legislatore dell’Unione non ha preso sufficientemente in considerazione la situazione di ciascuno degli Stati membri e, pertanto, la propria, siffatto argomento non può essere accolto.

53

Infatti, il principio di sussidiarietà non è inteso a limitare la competenza dell’Unione in funzione della situazione di questo o di quell’altro Stato membro individualmente considerato, ma impone solamente che l’azione prevista possa, a motivo della sua portata o dei suoi effetti, essere meglio realizzata a livello dell’Unione, tenuto conto dei suoi obiettivi, elencati nell’articolo 3 TUE, e delle disposizioni particolari riguardanti i differenti settori, in particolare le diverse libertà, come la libertà di stabilimento, previste dai Trattati.

54

Ne consegue che il principio di sussidiarietà non può avere l’effetto di invalidare un atto dell’Unione a causa della situazione particolare di uno Stato membro, fosse pure più avanzato di altri in relazione a un obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione, poiché quest’ultimo, come nel caso di specie, ha ritenuto sulla base di elementi dettagliati e senza commettere alcun errore di valutazione che l’interesse generale dell’Unione potesse essere meglio tutelato da un’azione a livello di quest’ultima.

55

Dalle suesposte considerazioni risulta che il secondo motivo, relativo alla violazione del principio di sussidiarietà, deve essere disatteso.

Sul terzo motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione

– Argomenti delle parti

56

La Repubblica di Estonia sostiene, da un lato, che il legislatore dell’Unione non ha esposto sufficientemente in diritto e in fatto i motivi delle limitazioni che esso ha posto, agli articoli 4, paragrafi 6 e 8, e 16, paragrafo 3, della direttiva, alla possibilità di richiedere alle piccole imprese dati contabili supplementari rispetto a quelli che prevede la direttiva e, dall’altro, che tale legislatore avrebbe dovuto giustificare maggiormente la possibilità che ha concesso agli Stati membri di derogare al principio di contabilità della «prevalenza della sostanza sulla forma».

57

Secondo il Parlamento, il Consiglio nonché la Commissione, la direttiva è sufficientemente motivata riguardo ai requisiti dell’articolo 296 TFUE. In proposito, tali istituzioni sostengono, in particolare, che il legislatore dell’Unione non è tenuto a motivare specificamente ogni scelta tecnica che adotta.

– Giudizio della Corte

58

Occorre ricordare che, sebbene la motivazione richiesta dall’articolo 296 TFUE debba far apparire in maniera chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione dell’Unione da cui promana l’atto controverso, onde consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e alla Corte di esercitare il proprio controllo, tuttavia non si richiede che la motivazione contenga tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti (v., in particolare, sentenza Commissione/Consiglio, C‑122/94, EU:C:1996:68, punto 29).

59

Più in particolare, non si può pretendere che tale motivazione specifichi i vari fatti, talora molto numerosi e complessi, in considerazione dei quali una direttiva è stata adottata né, a fortiori, che essa ne fornisca una valutazione più o meno completa (v., per analogia, sentenza Italia/Consiglio e Commissione, C‑100/99, EU:C:2001:383, punto 63).

60

Di conseguenza, se l’atto contestato fa emergere, per l’essenziale, lo scopo perseguito dall’istituzione, è superfluo esigere una motivazione specifica per ciascuna delle scelte tecniche da essa operate (v., in particolare, sentenza Italia/Consiglio e Commissione, C‑100/99, EU:C:2001:383, punto 64).

61

Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il rispetto dell’obbligo di motivazione deve essere valutato alla luce non solo del tenore dell’atto impugnato, ma anche del suo contesto e delle circostanze del caso di specie, e in particolare dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo riguardate direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni (sentenza VBA/Florimex e a., C‑265/97 P, EU:C:2000:170, punto 93).

62

Orbene, in proposito, si deve sottolineare che la Repubblica di Estonia ha partecipato, secondo le modalità previste dal Trattato FUE, al procedimento legislativo che ha comportato l’adozione della direttiva di cui essa è destinataria, alla stessa stregua degli altri Stati membri rappresentati nel Consiglio in forza dell’articolo 55 di detta direttiva. Pertanto, e in ogni caso, essa non può utilmente avvalersi del fatto che il Parlamento e il Consiglio, autori della direttiva, non l’hanno messa in grado di conoscere le giustificazioni delle scelte delle misure cui essi hanno proceduto.

63

Per quanto concerne la questione se il legislatore dell’Unione abbia posto la Corte in grado di svolgere la propria funzione di controllo della legittimità di dette scelte, è giocoforza constatare che al legislatore non può essere addebitata alcuna mancanza, tenuto conto degli elementi sufficienti di fatto e di diritto contenuti nella direttiva, richiamati in particolare ai punti 2 e 3 della presente sentenza.

64

Ne consegue che il terzo motivo, relativo alla violazione dell’obbligo di motivazione, deve essere disatteso.

65

Dall’insieme dei suesposti rilievi emerge che, poiché nessuno dei motivi dedotti dalla Repubblica di Estonia a sostegno del proprio ricorso può essere accolto, quest’ultimo deve essere respinto.

Sulle spese

66

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Parlamento e il Consiglio ne hanno fatto domanda, la Repubblica di Estonia, rimasta soccombente, va condannata alle spese. In applicazione dell’articolo 140, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la Commissione, interveniente nel presente procedimento, sopporterà le proprie spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

Il ricorso è respinto.

 

2)

La Repubblica di Estonia è condannata alle spese.

 

3)

La Commissione europea sopporta le proprie spese.

 

Firme


( *1 )   Lingua processuale: l’estone.