CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 19 marzo 2015 ( 1 )

Causa C‑398/13 P

Inuit Tapiriit Kanatami e altri

contro

Commissione europea e altri

«Impugnazione — Regolamento (UE) n. 737/2010 — Regolamento (CE) n. 1007/2009 — Commercio dei prodotti derivati dalla foca — Divieto di immissione sul mercato nell’Unione europea — Deroghe a favore delle comunità Inuit — Scelta del corretto fondamento normativo — Competenza generale nell’armonizzazione del mercato interno (articolo 95 CE) — Diritti fondamentali — Diritto internazionale — Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni»

I – Introduzione

1.

Nel 2009 poteva il legislatore dell’Unione basarsi sull’articolo 95 CE (attualmente articolo 114 TFUE), al fine di vietare in larga misura l’immissione di prodotti derivati dalla foca sul mercato interno europeo? È questa, nella sostanza, la questione che la Corte è chiamata a risolvere nel presente procedimento di impugnazione.

2.

È superfluo sottolineare l’elevata delicatezza dei problemi giuridici concernenti l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 95 CE in relazione alla delimitazione di competenze tra l’Unione e gli Stati membri ( 2 ). A prescindere dalla portata di tale competenza generale nell’armonizzazione del mercato interno, il presente caso solleva anche problemi nell’ambito dei diritti fondamentali dell’Unione. Inoltre, occorre esaminare quali effetti possano essere attribuiti ad una Dichiarazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

3.

È già la seconda volta che tali questioni sono portate all’attenzione dei giudici dell’Unione dalla Inuit Tapiriit Kanatami in rappresentanza degli interessi degli Inuit canadesi ( 3 ), nonché da una serie di altre parti – anzitutto produttori o commercianti di prodotti derivati dalla foca. In mancanza di una loro legittimazione ad un’azione diretta ( 4 ) contro il regolamento di base del Parlamento europeo e del Consiglio ( 5 ), essi impugnano ora il regolamento di applicazione della Commissione europea ( 6 ) e invocano a tal riguardo, in via incidentale (ai sensi dell’articolo 277 TFUE), l’illegittimità del regolamento di base.

4.

Anche in tale occasione la richiesta della Inuit Tapiriit Kanatami e degli intervenienti a suo sostegno non è stata accolta in primo grado. Con sentenza del 25 aprile 2013 ( 7 ), il Tribunale dell’Unione europea respingeva il loro ricorso di annullamento in quanto infondato. Contro tale decisione essi si oppongono con la presente impugnazione.

II – La normativa pertinente

A – Disposizioni del diritto dell’Unione

5.

Le norme dell’Unione in materia di immissione dei prodotti derivati dalla foca sul mercato interno europeo si trovano, in parte, in un regolamento di base adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio nel 2009 (regolamento n. 1007/2009), in parte, in un regolamento di applicazione della Commissione del 2010 (regolamento n. 737/2010). Per quanto il presente procedimento sia diretto formalmente avverso il regolamento di applicazione, nella sostanza si deduce esclusivamente l’illegittimità del regolamento di base.

1. Il regolamento di base (regolamento n. 1007/2009)

6.

L’oggetto del regolamento n. 1007/2009 è determinato nel seguente modo dal suo articolo 1:

«Il presente regolamento fissa norme armonizzate in materia di immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca».

7.

L’articolo 3 del regolamento n. 1007/2009 stabilisce le seguenti «condizioni di immissione sul mercato» di prodotti derivati dalla foca:

«1.   L’immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca è autorizzata solo quando i prodotti derivati dalla foca provengono dalla caccia tradizionalmente praticata dagli Inuit e da altre comunità indigene e contribuiscono alla loro sussistenza. Tali condizioni si applicano al momento o nel luogo di importazione dei prodotti importati.

2.   In deroga al paragrafo 1:

a)

l’importazione di prodotti derivati dalla foca è altresì autorizzata quando ha natura occasionale ed è costituita esclusivamente da merci destinate all’uso personale dei viaggiatori o delle loro famiglie. Il tipo e la quantità di tali merci non sono tali da far ritenere che l’importazione possa avere finalità commerciali;

b)

l’immissione sul mercato è altresì autorizzata per i prodotti derivati dalla foca provenienti da sottoprodotti della caccia regolamentata dalla legislazione nazionale e praticata al solo scopo di garantire una gestione sostenibile delle risorse marine. Tale immissione sul mercato è autorizzata unicamente su basi non lucrative. Il tipo e la quantità di tali prodotti non sono tali da far ritenere che l’immissione sul mercato possa avere finalità commerciali.

L’applicazione del presente paragrafo non pregiudica il conseguimento degli obiettivi del presente regolamento.

3.   La Commissione, secondo la procedura di gestione (…) predispone note tecniche orientative contenenti un elenco indicativo dei codici della nomenclatura combinata che possono riguardare i prodotti derivati dalla foca soggetti al presente articolo.

4.   Fatto salvo quanto disposto dal paragrafo 3, le misure per l’attuazione del presente articolo, intese a modificare elementi non essenziali del presente regolamento completandolo, sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo (…)».

8.

Nell’articolo 2, paragrafo 4, del regolamento n. 1007/2009, inoltre, è contenuta la seguente definizione di «Inuit»:

«i membri indigeni del territorio Inuit, vale a dire le regioni artiche e subartiche in cui gli Inuit detengono, attualmente o storicamente, diritti e interessi aborigeni, riconosciuti dagli Inuit come membri del loro popolo e appartenenti ai seguenti gruppi: Inupiat, Yupik (Alaska), Inuit, Inuvialuit (Canada), Kalaallit (Groenlandia) e Yupik (Russia)».

9.

Inoltre, occorre richiamare il considerando 14 del regolamento n. 1007/2009:

«È opportuno che non siano lesi gli interessi economici e sociali fondamentali delle comunità Inuit che praticano la caccia alle foche a fini di sostentamento. La caccia fa parte integrante della cultura e dell’identità dei membri della società Inuit e, in quanto tale, è riconosciuta dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. Pertanto, l’immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca provenienti dalla caccia praticata tradizionalmente dalle comunità Inuit e da altre comunità indigene e che contribuiscono al loro sostentamento dovrebbe essere consentita».

2. Il regolamento di applicazione (regolamento n. 737/2010)

10.

In data 10 agosto 2010, sulla base dell’articolo 3, paragrafo 4, del regolamento n. 1007/2009, la Commissione ha adottato, nella forma del regolamento (UE) n. 737/2010 (in prosieguo anche: il «regolamento di applicazione»), modalità di applicazione sul commercio dei prodotti derivati dalla foca.

11.

A termini dell’articolo 1 del regolamento n. 737/2010:

«Il presente regolamento stabilisce le modalità di immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca ai sensi dell’articolo 3 del regolamento (CE) n. 1007/2009».

12.

All’articolo 3 del regolamento n. 737/2010 sono stabilite le condizioni che devono essere soddisfatte affinché i prodotti derivati dalla foca provenienti dalla caccia praticata da comunità Inuit o da altre comunità indigene possano essere immessi sul mercato.

13.

L’articolo 4 del regolamento n. 737/2010 fissa le condizioni alle quali i prodotti derivati dalla foca destinati all’uso personale dei viaggiatori o dei loro familiari possono essere importati.

14.

L’articolo 5 del regolamento n. 737/2010 disciplina infine le condizioni alle quali i prodotti derivati dalla foca ottenuti nell’ambito della gestione delle risorse marine possono essere immessi sul mercato.

B – Risoluzioni delle Nazioni Unite

15.

L’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con risoluzione 61/295, adottata nella sua 107a seduta plenaria del 13 settembre 2007, ha proclamato solennemente la «Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni» (in prosieguo: la «DNUDPI»).

16.

L’articolo 19 della DNUDPI è formulato nel modo seguente:

«Prima dell’adozione e dell’attuazione di misure legislative o amministrative che potrebbero interessare i popoli indigeni, gli Stati dovranno consultare e collaborare in buona fede con i popoli indigeni interessati attraverso le proprie istituzioni rappresentative ai fini dell’ottenimento del previo, libero consenso informato da parte loro».

17.

Dall’ultimo considerando del suo preambolo emerge che la DNUDPI è stata proclamata «come un ideale da perseguire in uno spirito di collaborazione e mutuo rispetto» ( 8 ).

III – Procedimento dinanzi alla Corte

18.

Con memoria dell’8 luglio 2013, la Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno (in prosieguo anche: i «ricorrenti») hanno presentato congiuntamente la presente impugnazione. Essi chiedono che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata, dichiarare il regolamento n. 1007/2009 illegittimo ed inapplicabile ai sensi dell’articolo 277 TFUE ed annullare il regolamento n. 737/2010 ai sensi dell’articolo 263 TFUE, nel caso in cui la Corte ritenga che ricorrono tutti gli elementi richiesti per decidere nel merito del ricorso di annullamento del regolamento controverso;

in subordine, annullare la sentenza impugnata e rimettere la causa dinanzi al Tribunale;

condannare la Commissione europea al pagamento delle spese sostenute dai ricorrenti.

19.

La Commissione chiede che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione e

condannare i ricorrenti in solido per il pagamento delle spese.

20.

Il Parlamento, intervenuto nella controversia in primo grado a sostegno della Commissione, chiede a sua volta di

respingere l’impugnazione e

condannare i ricorrenti alle spese.

21.

Infine, il Consiglio, ugualmente intervenuto in primo grado a sostegno della Commissione, chiede alla Corte di

respingere integralmente l’impugnazione e

condannare i ricorrenti alle spese di giudizio sostenute dal Consiglio.

22.

Dinanzi alla Corte si è svolta una fase scritta e, il 9 febbraio 2015, un’udienza sull’impugnazione proposta.

IV – Valutazione

23.

Nella loro impugnazione la Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno non riprendono più tutte le questioni oggetto del procedimento di primo grado. L’oggetto del contendere nel procedimento di impugnazione è, invece, ora circoscritto solo ad alcuni problemi selezionati concernenti, tutti, la legittimità del regolamento di base ( 9 ). Si tratta, a tal proposito, di errori di diritto in cui il Tribunale è incorso nel respingere la censura incidentale di illegittimità sollevata dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli intervenienti a suo sostegno contro il regolamento di base (articolo 277 TFUE). Prima di occuparmi di tali censure dal punto di vista del diritto sostanziale ( 10 ), è necessaria una breve osservazione preliminare sulla ricevibilità del ricorso di annullamento presentato in primo grado.

A – Osservazione preliminare sulla ricevibilità del ricorso di annullamento in primo grado

24.

Nonostante le obiezioni del Consiglio sollevate nel procedimento di primo grado, il Tribunale non procedeva in misura sufficiente all’esame dettagliato della legittimazione ad agire della Inuit Tapiriit Kanatami e degli intervenienti a suo sostegno, occupandosi direttamente del merito del loro ricorso ( 11 ).

25.

È vero che una siffatta circostanza non impedisce alla Corte, in linea di principio, di accertarsi d’ufficio, in fase di impugnazione, che la Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno disponessero della necessaria legittimazione ad agire ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE ( 12 ).

26.

Tuttavia, diversamente dal primo procedimento introdotto dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli intervenienti a suo sostegno, che si rivolgeva direttamente contro il regolamento di base ( 13 ), la presente controversia, diretta avverso il regolamento di applicazione, non solleva alcun problema basilare di ricevibilità con riguardo alla legittimazione ad agire. Infatti, si può sostenere che almeno quei ricorrenti che commercializzano in proprio prodotti derivati dalla foca e li immettono sul mercato interno europeo siano direttamente interessati dal regolamento di applicazione adottato dalla Commissione e che non è necessaria alcuna ulteriore misura di applicazione nei loro confronti. Pertanto, essi possono essere ritenuti legittimati, ai sensi della terza ipotesi di cui all’articolo 263, quarto comma, TFUE ( 14 ). Secondo la giurisprudenza, ciò è sufficiente per considerare nel complesso ricevibile il ricorso di annullamento proposto in primo grado congiuntamente da tutti i ricorrenti ( 15 ).

B – Sulla scelta dell’articolo 95 CE come fondamento normativo per il regolamento di base (primo motivo di impugnazione)

27.

Con il suo primo motivo di impugnazione, la Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno contestano al Tribunale due errori di diritto relativi all’articolo 95 CE. A tal riguardo, essi non mettono in dubbio la generale idoneità di detta disposizione a fungere da fondamento normativo di un ampio divieto di immissione sul mercato di determinati prodotti. Piuttosto, essi si limitano a considerare quale oggetto del procedimento due problemi molto circoscritti: da un lato, il momento, nel corso del procedimento legislativo, in cui le condizioni di applicazione dell’articolo 95 CE debbano essere soddisfatte e, dall’altro, l’importanza del volume degli scambi commerciali che deve essere pregiudicato per giustificare un ricorso all’articolo 95 CE.

1. Il momento rilevante ai fini della valutazione delle condizioni di cui all’articolo 95 CE (prima parte del primo motivo di impugnazione)

28.

In primo luogo, in riferimento ai punti da 36 a 64 della sentenza impugnata, i ricorrenti lamentano che il Tribunale non avrebbe preso in considerazione il momento pertinente allorché ha esaminato se le condizioni di cui all’articolo 95 CE fossero soddisfatte con riguardo al regolamento di base. Essi ritengono che non sarebbe rilevante il momento dell’adozione del regolamento di base, bensì un momento precedente, e precisamente quello in cui la Commissione avrebbe presentato la sua proposta per il regolamento in questione.

29.

Siffatto argomento non è fondato.

30.

Secondo costante giurisprudenza, ai fini della valutazione della legittimità di un atto dell’Unione è in ogni caso rilevante la situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato ( 16 ). Ciò vale, non da ultimo, anche per la questione controversa nel presente procedimento, vale a dire se le disparità sussistenti tra le normative nazionali fossero sufficientemente rilevanti da giustificare un intervento del legislatore dell’Unione sulla base dell’articolo 95 CE ( 17 ).

31.

Diversamente, si renderebbe notevolmente più difficile per il Parlamento e per il Consiglio modificare l’atto proposto dalla Commissione durante l’ordinario procedimento legislativo (in precedenza: la procedura di codecisione) al fine di tener conto di una nuova situazione di fatto o di diritto oppure di esprimere una differente valutazione politica delle questioni da decidere da parte del colegislatore, inclusa la questione del corretto fondamento normativo.

32.

Né il principio di attribuzione delle competenze invocato dai ricorrenti (articolo 5, paragrafo 2, primo periodo, in combinato disposto con il paragrafo 1, primo periodo, TUE, già articolo 5, paragrafo 1, CE), né l’obiettivo di armonizzazione di cui all’articolo 95 CE costituiscono motivi validi per non basarsi, nel controllo giurisdizionale, sul momento dell’adozione dell’atto in parola.

33.

È certamente corretto, in linea di principio, che la Commissione dovrebbe presentare proposte di atti legislativi al Parlamento e al Consiglio, solo se sia prevedibile che al momento della loro approvazione da parte dei due colegislatori saranno soddisfatte tutte le condizioni per ricorrere all’articolo 95 CE, dunque anche la necessità di una misura di armonizzazione a livello dell’Unione. Ciò discende dalla responsabilità istituzionale della Commissione (articolo 17, paragrafi 1 e 2, TUE), nonché dal suo obbligo di lealtà nei confronti delle altre istituzioni dell’Unione (articolo 13, paragrafo 2, secondo periodo, TUE) e degli Stati membri (articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE). Tuttavia, oggetto del controllo giurisdizionale su un atto legislativo non è l’azione dell’istituzione che ha presentato la proposta ma quella dell’istituzione che ha adottato l’atto legislativo. Di conseguenza, dinanzi alla Corte occorre tener conto del momento dell’adozione della decisione da parte del Parlamento e del Consiglio e non di quello in cui la Commissione abbia dato inizio al procedimento legislativo.

34.

Mi sembra infondato il timore dei ricorrenti che una proposta per così dire fantasiosa della Commissione – similmente ad una profezia che si autoavvera – possa addirittura determinare l’adozione di disposizioni legislative e amministrative nazionali divergenti e quindi generare di per sé, in ultima analisi, le condizioni per ricorrere all’articolo 95 CE. È di gran lunga più probabile che i legislatori nazionali si astengano dal disciplinare una determinata materia con strumenti di diritto interno dopo che la Commissione abbia presentato una proposta di una misura di armonizzazione a livello dell’Unione.

35.

Si può pertanto concludere che il Tribunale non abbia commesso errori di diritto nel basarsi, ai fini della verifica delle condizioni di cui all’articolo 95 CE, sul momento dell’adozione del regolamento di base invece di tener conto del momento della proposta della Commissione.

2. Le condizioni per ricorrere all’articolo 95 CE

36.

In secondo luogo, i ricorrenti deducono che le condizioni di applicazione dell’articolo 95 CE non sarebbero state soddisfatte nel caso di specie, a prescindere dal momento preso in considerazione. Tale critica si sente già nella prima parte di detto primo motivo di impugnazione sotto forma di alcuni argomenti citati in via subordinata e prosegue nella seconda parte. A tal riguardo, si possono distinguere due questioni: se le differenze tra le disposizioni legislative e amministrative nazionali erano sufficienti per invocare l’intervento del legislatore dell’Unione [sul punto, sub a) infra] e se il commercio di prodotti derivati dalla foca all’interno dell’Unione era così significativo da giustificare una misura di armonizzazione [sul punto, sub b) infra].

a) Differenze tra le disposizioni legislative e amministrative nazionali (argomento subordinato relativo alla prima parte del primo motivo di impugnazione)

37.

Ad avviso dei ricorrenti, al momento dell’adozione del regolamento di base – nonché prima del momento della proposta della Commissione – le differenze tra le normative nazionali in materia di immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca non erano sufficientemente rilevanti da avviare un procedimento normativo ai sensi dell’articolo 95 CE.

38.

Tale tesi non è convincente.

39.

È corretto che le misure previste dall’articolo 95, paragrafo 1, CE, devono essere effettivamente volte a migliorare le condizioni di instaurazione e di funzionamento del mercato interno ( 18 ).

40.

Se la semplice constatazione di disparità tra le normative nazionali ed il rischio astratto di ostacoli alle libertà fondamentali o di distorsioni della concorrenza che potrebbero derivare non fosse sufficiente per giustificare la scelta dell’articolo 95 CE come fondamento normativo, il legislatore dell’Unione potrebbe ricorrervi, inter alia, in caso di divergenze tra le normative nazionali qualora queste siano tali da costituire ostacolo alle libertà fondamentali ed incidere, in tal modo, direttamente sul funzionamento del mercato interno ( 19 ) ovvero possano creare sensibili distorsioni della concorrenza ( 20 ).

41.

Il regolamento di base soddisfa in toto tali requisiti.

42.

Secondo le constatazioni del Tribunale ( 21 ), contro le quali non è stata sollevata alcuna censura di snaturamento dinanzi alla Corte, diversi Stati membri avevano adottato, si accingevano ad adottare o stavano esaminando misure legislative intese a limitare o a vietare le attività economiche legate alla fabbricazione di prodotti derivati dalla foca. Più precisamente, al momento dell’approvazione del regolamento di base, alcuni Stati membri avevano già vietato l’immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca e altri intendevano adottare disposizioni in tal senso, mentre in altri ancora il commercio di detti prodotti non era oggetto di alcuna limitazione, cosicché le condizioni commerciali all’interno dell’Unione erano differenti e si poteva temere una frammentazione del mercato interno.

43.

Il legislatore dell’Unione potrebbe cogliere l’opportunità offerta da tali differenze nelle normative nazionali applicabili, cui si fa più volte riferimento nei considerando del regolamento di base ( 22 ), per una misura di armonizzazione a livello dell’Unione. Infatti, tali differenze sono tali da rendere più gravoso il commercio di prodotti derivati dalla foca sul mercato interno europeo ( 23 ). Inoltre, alla luce della divergenza delle normative nazionali sussisteva il rischio che i consumatori europei guardassero addirittura con sospetto analoghi prodotti non derivati invero dalla foca, ma solo difficilmente distinguibili da questi ( 24 ).

44.

La Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno criticano però il fatto che il Tribunale, in tale contesto, abbia fatto affidamento solo sulle affermazioni estremamente vaghe e generiche contenute nei considerando del regolamento di base. Inoltre, il Tribunale avrebbe erroneamente incluso nelle sue statuizioni le informazioni presentate per iscritto dalla Commissione solo nel corso del procedimento giurisdizionale.

45.

Anche tale censura non è però giustificata.

46.

Per un verso, va osservato che la motivazione di un atto dell’Unione di portata generale non può essere subordinata agli stessi requisiti previsti per la motivazione delle decisioni delle istituzioni dell’Unione in casi specifici. Nel caso di atti di portata generale, la motivazione può limitarsi a indicare, da un lato, la situazione complessiva che ha condotto alla sua adozione e, dall’altro, gli obiettivi generali che esso si prefigge; essa deve unicamente evidenziare nei tratti essenziali lo scopo perseguito dall’atto de quo ( 25 ).

47.

Per altro verso, secondo giurisprudenza consolidata, le istituzioni dell’Unione hanno la facoltà di precisare nel procedimento giurisdizionale, nell’ambito delle loro argomentazioni difensive, i motivi alla base di un atto impugnato ( 26 ). Sebbene non possano essere «aggiunti» motivi del tutto nuovi al riguardo ( 27 ), nulla impedisce però che le istituzioni dell’Unione forniscano al giudice informazioni generali relative ad un atto legislativo che gli consentano di controllare la fondatezza dei motivi dell’adozione di tale atto citati nel suo preambolo e pertanto, in ultima analisi, di valutare meglio la sua legittimità.

48.

Ciò è quanto si verifica, per l’appunto, nel caso di specie. Senza fondarsi su nuovi motivi, la Commissione, nella sua memoria presentata in primo grado, ha indicato unicamente quali Stati membri in quale momento abbiano adottato o abbiano preso in considerazione il fatto di adottare nella loro normativa interna divieti dell’immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca.

49.

Inoltre, il Tribunale ( 28 ) ha correttamente osservato che né il tenore letterale, né la finalità dell’articolo 95 CE presuppongono un numero minimo di Stati membri le cui disposizioni interne debbano divergere le une dalle altre affinché possano essere adottate misure di armonizzazione a livello dell’Unione.

50.

Diversamente da quanto la Inuit Tapiriit Kanatami e i suoi sostenitori mostrano di ritenere, la semplice circostanza che al momento dell’avvio del procedimento legislativo solo due Stati membri ( 29 ) avessero introdotto divieti di diritto interno relativi a prodotti derivati dalla foca non ostava ad un’applicazione dell’articolo 95 CE ( 30 ).

51.

Infatti, le condizioni previste per un intervento del legislatore dell’Unione ai sensi dell’articolo 95 CE non sono di tipo quantitativo, bensì qualitativo. Ai fini dell’adozione di una misura di armonizzazione non è così rilevante se e in quanti Stati membri un determinato prodotto sia oggetto di disciplina normativa o perfino di divieti. Ogni intralcio al commercio sul mercato interno, sia esso esistente oppure in concreto prevedibile, può giustificare una misura di armonizzazione, a condizione che siano rispettati i principi generali relativi all’esercizio dei poteri di armonizzazione, in particolare i principi di sussidiarietà e proporzionalità (articolo 5, paragrafi 3 e 4, TUE).

52.

Aggiungo che, a prescindere dall’esistenza o meno di divergenze tra le normative nazionali, un’armonizzazione a livello dell’Unione può essere necessaria anche quando un determinato prodotto di nuova creazione non abbia affatto un mercato né sia oggetto di regimi di scambio in Europa, in quanto deve essere previamente istituito un contesto normativo uniforme.

53.

In conclusione, non riscontro pertanto alcun segno di un errore di diritto commesso dal Tribunale nell’esame delle circostanze che giustificavano, nel caso di specie, il ricorso all’articolo 95 CE.

b) Importanza del volume degli scambi commerciali in questione ai fini di un intervento ai sensi dell’articolo 95 CE (seconda parte del primo motivo di impugnazione)

54.

D’altro canto, nell’ambito di detto primo motivo di impugnazione, i ricorrenti lamentano che il Tribunale avrebbe adoperato un criterio errato ai fini della valutazione delle disparità esistenti tra le disposizioni nazionali relative agli scambi di prodotti derivati dalla foca, affermando, alla fine del punto 56 della sentenza impugnata, che si tratterebbe di prodotti «per i quali gli scambi tra Stati membri non sono sicuramente trascurabili».

55.

Diversamente da quanto il Parlamento sembra ritenere, tale censura non si configura, per così dire, come un tentativo di mettere in discussione la valutazione dei fatti e degli elementi di prova compiuta dal Tribunale, il che sarebbe inammissibile nel procedimento di impugnazione. Si tratta, piuttosto, della questione se il Tribunale abbia applicato criteri giuridici corretti nell’esame della legittimità della decisione controversa e se abbia fatto conseguire all’accertamento della situazione conclusioni adeguate dal punto di vista giuridico. Il riesame di tale questione rientra senz’altro nelle funzioni della Corte quale giudice dell’impugnazione ( 31 ).

56.

In sostanza, i ricorrenti censurano al Tribunale di aver applicato requisiti poco rigorosi all’adozione di misure di armonizzazione da parte del legislatore dell’Unione. Facendo riferimento a formulazioni contenute in alcune precedenti sentenze della Corte, essi ritengono che l’articolo 95 CE potrebbe trovare applicazione come fondamento normativo solo con riguardo a un mercato in cui gli scambi tra Stati membri «rappresentano una parte relativamente importante» ( 32 ) oppure – in altre parole – in cui tali scambi «sono relativamente importanti» ( 33 ).

57.

Mi sembra che dette censure si basino su un doppio equivoco.

58.

Da un lato, il Tribunale, con le sue affermazioni relative a «scambi non trascurabili» che costituiscono oggetto di contestazione, non intendeva fissare alcuno specifico criterio per l’applicazione dell’articolo 95 CE, ma semplicemente rispondere in maniera puntuale ad un argomento dedotto proprio dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli intervenienti a suo sostegno nel procedimento in primo grado. Essi avevano, infatti, asserito che la produzione di prodotti derivati dalla foca nell’Unione sarebbe «trascurabile» ( 34 ).

59.

Dall’altro lato, la censura dei ricorrenti si fonda su una lettura inesatta della giurisprudenza della Corte riguardante l’articolo 95 CE. Sebbene sia vero che la Corte ha ripetutamente rilevato il carattere «relativamente importante» o la «parte relativamente importante» degli scambi dei prodotti in questione ( 35 ), tuttavia, si trattava, al riguardo, soltanto di una particolare valutazione delle circostanze del rispettivo caso di specie e non di un requisito giuridico per ricorrere all’articolo 95 CE che doveva essere soddisfatto da parte del legislatore dell’Unione.

60.

La competenza generale di armonizzazione del mercato interno (articolo 95 CE, ora articolo 114 TFUE) non conosce una soglia de minimis tale da precludere al legislatore dell’Unione l’adozione di misure di armonizzazione concernenti il prodotto in questione al di sotto di un volume commerciale minimo ( 36 ).

61.

Per un verso, alla luce della molteplicità dei mercati dei prodotti in Europa, una siffatta soglia de minimis sarebbe difficilmente definibile in via generale e pertanto potrebbe comportare una grave incertezza giuridica. Per altro verso, sussisterebbe il serio rischio che sorga un «mercato interno di seconda classe» in cui solo i prodotti di spicco con un significativo volume di scambi commerciali beneficerebbero di un contesto normativo uniforme applicabile in tutta l’Unione, mentre il commercio di prodotti meno importanti subirebbe ripercussioni negative. Tale situazione potrebbe andare a detrimento proprio di determinati prodotti di nuova creazione, i quali presentano ancora un limitato volume di scambi commerciali e necessitano, ove possibile, di contesti normativi uniformi per il loro lancio sul mercato interno.

62.

L’articolo 95 CE non esclude in alcun modo un ravvicinamento delle disposizioni legislative e amministrative degli Stati membri da parte del legislatore dell’Unione riguardo a prodotti con un volume di scambi commerciali trascurabile, a condizione che siano rispettati i principi generali relativi all’esercizio dei poteri di armonizzazione, in particolare, i principi di sussidiarietà e proporzionalità (articolo 5, paragrafi 3 e 4, TUE).

3. Conclusione intermedia

63.

In conclusione, per le ragioni indicate il primo motivo di impugnazione è in toto infondato.

C – Sui diritti fondamentali (secondo motivo di impugnazione)

64.

Con il loro secondo motivo di impugnazione, la Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno censurano nel complesso tre errori di diritto commessi, a loro avviso, dal Tribunale in relazione a principi generali di diritto con valore di diritti fondamentali

1. Il riferimento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo: la «CEDU») (prima parte del secondo motivo di impugnazione)

65.

In primo luogo, nell’ambito di tale secondo motivo di impugnazione, i ricorrenti criticano il fatto che il Tribunale abbia fatto riferimento solo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») ( 37 ), ma non alla CEDU come fonte di principi generali di diritto con valore di diritti fondamentali. Essi contestano al Tribunale di aver «reinterpretato» il loro argomento relativo alla CEDU dedotto in primo grado. Ciò è da loro ritenuto un errore di diritto.

66.

A tal riguardo, va notato che la CEDU come tale non fa attualmente parte del diritto dell’Unione, in quanto essa, come atto giuridico, non è stata ancora formalmente integrata nell’ordinamento giuridico dell’Unione ( 38 ). Di conseguenza, tale Convenzione, di per sé, non può ad oggi essere adoperata quale criterio per l’esame della legittimità di atti delle istituzioni dell’Unione.

67.

Il Tribunale, invece, si è basato del tutto legittimamente, nel presente caso, sulla Carta che, dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1o dicembre 2009, ha rango costituzionale (articolo 6, paragrafo 1, primo comma, TUE) ed è divenuta la più importante fonte di diritti fondamentali nel diritto dell’Unione ( 39 ).

68.

Per quanto concerne la CEDU, essa continua ad assolvere, in effetti, due funzioni importanti per la tutela dei diritti fondamentali a livello dell’Unione: da un lato, fornisce informazioni sul significato e sulla portata dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta, laddove questi ultimi corrispondano a quelli garantiti dalla CEDU (articolo 52, paragrafo 3, primo periodo, della Carta). Dall’altro lato, essa è e resta la più importante fonte di cognizione di diritti fondamentali non scritti che fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali (articolo 6, paragrafo 3, TUE). La CEDU definisce, pertanto, in ultima analisi, lo standard minimo della tutela dei diritti fondamentali da garantire a livello dell’Unione ( 40 ) (v. anche articolo 53 della Carta).

69.

Nel presente caso non risulta peraltro chiaro in quale misura debbano in tal modo discendere dalla CEDU – in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 3, TUE oppure con l’articolo 52, paragrafo 3, primo periodo, della Carta – requisiti più rigorosi, per il legislatore dell’Unione, di quelli risultanti dalla Carta, che il Tribunale cita. Nel loro ricorso di impugnazione, la Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno non hanno fatto alcuna specifica affermazione a tal riguardo. E anche nella fase orale non hanno fornito alcun chiarimento ad una mia esplicita richiesta in merito.

70.

Non è dunque chiaro quale valore aggiunto avrebbe dovuto apportare nel caso di specie il riferimento del Tribunale alla CEDU, di cui i ricorrenti avvertono la mancanza, né in quale misura tale omesso riferimento potrebbe comportare l’annullamento della sentenza impugnata ( 41 ).

71.

In tale contesto, concordo con il Parlamento sul fatto che l’argomento dei ricorrenti relativo alla CEDU sia privo di effetto utile (in lingua francese: «inopérant»). Ne consegue che la prima parte di detto secondo motivo di impugnazione è infondata.

2. La considerazione di interessi commerciali nell’ambito del diritto fondamentale alla tutela della proprietà (seconda parte del secondo motivo di impugnazione)

72.

In secondo luogo, nell’ambito di tale secondo motivo di impugnazione, i ricorrenti sostengono che il Tribunale sia incorso in un errore di diritto nell’escludere gli interessi commerciali dall’ambito di tutela del diritto di proprietà.

73.

Anche tale argomento è privo di fondamento.

74.

Secondo costante giurisprudenza, la tutela conferita dal diritto di proprietà garantita dal diritto dell’Unione, come attualmente sancita dall’articolo 17 della Carta, non si estende a semplici interessi o possibilità d’indole commerciale, la cui natura aleatoria è insita nell’essenza stessa dell’attività economica ( 42 ). Né un operatore economico può vantare un diritto quesito o anche solo un legittimo affidamento sulla conservazione di una situazione in atto che può essere modificata da atti del legislatore dell’Unione ( 43 ).

75.

Nulla di diverso discende dall’articolo 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU, di cui si deve tener conto in forza dell’articolo 52, paragrafo 3, primo periodo, della Carta e dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE. La garanzia della proprietà ivi sancita, infatti, secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non contempla, del pari, alcuna tutela di mere prospettive di guadagno ( 44 ).

76.

È pur vero che, in base alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in determinate circostanze ricadono nella tutela predisposta dall’articolo 1 del primo protocollo addizionale alla CEDU persino le aspettative legittime alla futura concretizzazione di pretese patrimoniali ( 45 ). Tuttavia, la Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno non possono invocare una siffatta aspettativa legittima nel presente caso. La loro richiesta, infatti, poggia esclusivamente sull’auspicio personale di poter continuare anche in futuro a commercializzare sul mercato interno europeo prodotti derivati dalla foca nella stessa misura in cui l’avevano fatto in passato. Invece, essi non dispongono di un’autorizzazione, un’assunzione d’impegno o una qualsivoglia situazione giuridica sulla quale poter fondare la loro aspettativa di siffatti futuri commerci ( 46 ). Anche a seguito di richiesta formulata all’udienza, essi non hanno potuto fornire alcuna indicazione specifica.

77.

Anche le diverse sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, invocate dai ricorrenti nel procedimento di impugnazione, non portano a differenti conclusioni. L’oggetto di tali sentenze, infatti – difformemente dal presente caso – era ben più ampio di mere prospettive di guadagno da parte delle imprese. Il tema principale, in quel caso, era costituito, inter alia, da licenze e portafogli clienti, vale a dire, da diritti quesiti ovvero da posizioni patrimoniali relative ad un’impresa che ne sfruttava il valore commerciale ( 47 ).

78.

Nel complesso, dunque, non si può affermare che la sentenza impugnata non abbia preso in considerazione lo standard minimo di tutela della proprietà risultante dalla CEDU. Il Tribunale non ha commesso errori di diritto nel rifiutarsi di considerare inclusa nella protezione conferita dal diritto di proprietà la mera aspettativa, nutrita dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli intervenienti a suo sostegno, di poter continuare a immettere sul mercato interno europeo prodotti derivati dalla foca nella stessa misura attuale ( 48 ).

79.

Ne consegue che anche la seconda parte del secondo motivo di impugnazione è infondata.

a) Osservazioni integrative sulla libertà d’impresa

80.

Nel caso in cui la Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno, nell’attuale fase di impugnazione, intendano invocare altresì il diritto fondamentale alla libertà d’impresa (articolo 16 della Carta) ( 49 ), il loro argomento risulta irricevibile per due motivi.

81.

Da un lato, l’esame di detto diritto fondamentale determinerebbe un ampliamento dell’oggetto della controversia discusso in primo grado ( 50 ).

82.

Dall’altro lato, va rammentato che la libertà d’impresa non è assoluta, ma deve essere presa in considerazione in relazione alla funzione da essa svolta nella società. Essa può essere soggetta ad un ampio ventaglio di interventi dei poteri pubblici atti a stabilire, nell’interesse generale, limiti all’esercizio dell’attività economica ( 51 ). L’impugnazione proposta dalla Inuit Tapiriit Kanatami e dagli intervenienti a suo sostegno non affronta in alcun punto tale aspetto, neanche in via incidentale. Ne consegue che il loro argomento sulla libertà d’impresa resta troppo vago perché possa essere adeguatamente valutato dalla Corte ( 52 ).

3. Il riferimento alla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (terza parte del secondo motivo di impugnazione)

83.

Infine, nell’ambito di tale secondo motivo di impugnazione, la Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno censurano un errore di diritto consistente nel fatto che il Tribunale «non abbia esaminato il regolamento di base alla luce dell’articolo 19 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni».

a) Ricevibilità

84.

Per quanto la formulazione di detta censura non brilli per chiarezza, la considero – diversamente dal Parlamento – sufficientemente comprensibile da poter costituire utilmente oggetto di statuizione nel procedimento di impugnazione. Infatti, in sostanza, si contesta al Tribunale di non aver tenuto nel debito conto le disposizioni dell’articolo 19 della DNUDPI in occasione dell’esame della legittimità del regolamento di base.

85.

Tuttavia, tale terza parte del secondo motivo di impugnazione è irricevibile, nella misura in cui fa riferimento al diritto internazionale consuetudinario. D’altronde, tale aspetto non costituiva oggetto del procedimento di primo grado dinanzi al Tribunale. Come correttamente osservato dal Parlamento, la Inuit Tapiriit Kanatami e gli intervenienti a suo sostegno non possono pertanto far valere il diritto internazionale consuetudinario anche nel procedimento di impugnazione ( 53 ). Nel caso in cui la Corte dovesse nondimeno considerare le affermazioni dei ricorrenti sul diritto internazionale consuetudinario come un mero approfondimento del loro argomento dedotto in primo grado ( 54 ), per ragioni di completezza, mi soffermerò nel prosieguo anche su tale aspetto.

b) Fondatezza

86.

In linea di principio, come risulta dall’articolo 3, paragrafo 5, TUE, l’Unione contribuisce alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale. Di conseguenza, quando adotta un atto, l’Unione è tenuta a rispettare il diritto internazionale nella sua globalità, ivi compreso il diritto internazionale consuetudinario al cui rispetto sono vincolate le istituzioni dell’Unione medesima ( 55 ).

87.

Prima facie, potrebbe sembrare, in effetti, che l’articolo 19 della DNUDPI, nel fare riferimento al «libero, previo e informato consenso», conferisca ai popoli indigeni una sorta di diritto di veto contro misure legislative e amministrative che possano ripercuotersi su tali popoli.

88.

Tuttavia, ad un’analisi più attenta, non risulta dalla DNUDPI alcuna norma vincolante sul piano del diritto internazionale che il legislatore dell’Unione possa aver infranto, adottando il regolamento di base.

89.

In primo luogo, una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, come quella con la quale è stata proclamata solennemente la DNUDPI, è di per sé priva di effetti giuridicamente vincolanti. Un semplice sguardo al preambolo della DNUDPI conferma tale assunto. In base ad esso, infatti, detta dichiarazione non si considera un vero e proprio testo normativo vincolante, ma «un ideale da perseguire in uno spirito di collaborazione e mutuo rispetto» ( 56 ). Di conseguenza, tale dichiarazione non è un testo normativo ma un documento politico e quindi, di per sé, inidoneo ad essere adoperato come criterio per l’esame della legittimità di atti delle istituzioni dell’Unione.

90.

In secondo luogo, non si può rinvenire nella DNUDPI – contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti – alcuna codificazione del diritto internazionale consuetudinario. Notoriamente, per la genesi di diritto internazionale consuetudinario è necessaria una prassi generalizzata seguita dai soggetti di diritto internazionale interessati (consuetudo; elemento oggettivo), alla quale viene riconosciuto il valore di norma giuridica (opinio iuris sive necessitatis; elemento soggettivo) ( 57 ). Tale ipotesi va esclusa, tuttavia, nel presente caso. È vero che la risoluzione dell’Assemblea generale, con la quale è stata proclamata solennemente la DNUDPI, è stata sostenuta da un’ampia maggioranza tra gli Stati membri delle Nazioni Unite. Tuttavia, colpisce il fatto che alcuni Stati significativi, in cui vivono comunità indigene, abbiano votato esplicitamente contro la risoluzione oppure si siano comunque astenuti ( 58 ). In tale contesto – quantomeno al momento dell’adozione del regolamento di base approvato soltanto circa due anni dopo la proclamazione solenne della DNUDPI – non si potrebbero considerare esistenti una prassi generalizzata e una convinzione giuridica dei soggetti di diritto internazionale interessati in relazione ai diritti dei popoli indigeni.

91.

In terzo luogo, non si possono desumere effetti giuridici vincolanti della DNUDPI nei confronti dell’Unione neanche facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte citata dai ricorrenti, esplicitata nelle cause NTN Toyo Bearing, Fediol e Nakajima. Infatti, il presente caso non è comparabile a quelle cause:

la DNUDPI non costituisce un contesto normativo generale e vincolante (co)deciso dalla stessa Unione ai sensi della sentenza NTN Toyo Bearing ( 59 ), alla cui rigorosa osservanza sarebbe stato tenuto il legislatore dell’Unione nell’adozione del divieto di immissione sul mercato di prodotti derivati dalla foca.

Analogamente, non sussiste nel caso di specie una situazione comparabile alla causa Fediol ( 60 ). È vero che il regolamento di base, in un passo del suo preambolo ( 61 ), rinvia espressamente alla DNUDPI. Con tale rinvio, però, non si persegue in alcun modo l’obiettivo di conferire ai singoli determinati diritti da ricondurre nell’alveo dell’articolo 19 della DNUDPI e suscettibili di essere fatti valere in giudizio.

Infine, il regolamento di base non è destinato neanche in via generale all’adempimento degli obblighi internazionali dell’Unione, come invece nella causa Nakajima ( 62 ). Infatti, come già osservato, la DNUDPI non contiene alcuna disposizione vincolante sul piano giuridico per l’azione dell’Unione o dei suoi Stati membri.

92.

Di certo, il fatto che la DNUDPI non abbia le caratteristiche di «hard law» non deve condurre alla falsa conclusione che una siffatta dichiarazione non abbia alcuna rilevanza per le istituzioni dell’Unione. Infatti, nella sua natura di «soft law» ( 63 ), essa assume quantomeno un valore di raccomandazione e, inoltre, un peso politico non trascurabile. Ciò è tanto più vero in quanto la DNUDPI è stata proclamata solennemente sotto forma di risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nonché sostenuta da molti Stati, tra cui anche tutti gli Stati membri dell’Unione europea.

93.

Il rispetto per le Nazioni Unite (articolo 3, paragrafo 5, secondo periodo, TUE), al pari della lealtà dell’Unione nei confronti dei propri Stati membri (articolo 4, paragrafo 3, primo comma, TUE) impongono che le istituzioni dell’Unione prendano in considerazione il contenuto della DNUDPI e ne tengano conto nell’esercizio dei loro poteri nel modo più ampio possibile, sebbene la menzionata dichiarazione non contempli alcuna disposizione vincolante sul piano giuridico per l’azione dell’Unione.

94.

Tale «efficacia da soft law» propria della DNUDPI non è stata affatto ignorata dal Tribunale. Anzi, quest’ultimo si è assicurato che il legislatore dell’Unione avesse preso in considerazione il contenuto della DNUDPI. Secondo quanto constatato nella sentenza impugnata ( 64 ), i rappresentanti delle comunità Inuit sono stati consultati in ampia misura e in diverse occasioni durante l’elaborazione sia del regolamento di base sia delle misure di applicazione e il legislatore dell’Unione ha inserito la «deroga Inuit» nel regolamento di base (articolo 3, paragrafo 1, del regolamento n. 1007/2009), la quale consente tuttora alle comunità Inuit e ad altre comunità indigene, al fine di garantire loro i mezzi di sussistenza, di commercializzare in misura limitata sul mercato interno europeo prodotti derivati dalla foca provenienti da metodi di caccia tradizionali. Nelle circostanze date, non poteva chiedersi di più al legislatore dell’Unione.

95.

In conclusione, anche tale terza e ultima parte del secondo motivo di impugnazione – laddove sia eventualmente ricevibile – non è pertinente e va respinta in quanto infondata.

D – Sintesi

96.

Dato che né il primo né il secondo motivo di impugnazione sono fondati, l’impugnazione non ha nel complesso alcuna prospettiva di successo e va respinta in quanto in parte irricevibile e in parte infondata.

V – Spese

97.

Se, come propongo nel presente caso, l’impugnazione è respinta, ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, la Corte statuisce sulle spese, applicandosi nello specifico gli articoli da 137 a 146 in combinato disposto con l’articolo 184, paragrafo 1, del regolamento di procedura.

98.

Dall’articolo 138, paragrafi 1 e 2, in combinato disposto con l’articolo 184, paragrafo 1, del regolamento di procedura risulta che la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda; quando vi siano più parti soccombenti, la Corte decide sulla ripartizione delle spese. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, i ricorrenti, rimasti soccombenti, devono essere condannati alle spese. Avendo presentato il ricorso congiuntamente, saranno tenuti a pagarle in solido tra loro ( 65 ).

99.

In deroga a quanto sopra, si deve statuire sulle spese del Parlamento e del Consiglio. Tali organi, che erano intervenuti nel procedimento di primo grado a sostegno della Commissione, hanno partecipato anche alla fase scritta e all’udienza del procedimento di impugnazione. Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 4, secondo periodo, del regolamento di procedura, la Corte può condannare parti così configurate a sopportare le proprie spese.

100.

Come risulta dalla formulazione («può»), quest’ultima disposizione non esclude affatto che, se del caso, la Corte possa statuire diversamente e condannare il ricorrente soccombente a sopportare le spese degli intervenienti a sostegno della controparte in primo grado, se le loro domande – come, nella specie, quelle del Parlamento e del Consiglio – sono state accolte nel procedimento di impugnazione ( 66 ). Nella fattispecie mi sembra però opportuno attenersi alla norma dettata dall’articolo 184, paragrafo 4, secondo periodo, del regolamento di procedura. A favore di tale conclusione depone anche l’articolo 140, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 184, paragrafo 1, del regolamento di procedura ( 67 ).

VI – Conclusione

101.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di statuire come segue:

1)

L’impugnazione è respinta.

2)

Il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea sopportano ciascuno le proprie spese.

3)

Per il resto, le spese processuali sono poste a carico dei ricorrenti in solido tra loro.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) Risultano pendenti altre controversie concernenti l’articolo 114 TFUE, segnatamente le cause C‑358/14 (Polonia/Parlamento e Consiglio), C‑477/14 (Pillbox 38) e C‑547/14 (Philip Morris e a.).

( 3 ) Gli Inuit sono un’etnia aborigena vivente soprattutto nelle regioni artiche e subartiche nel Canada centrale e nordorientale, in Alaska, in Groenlandia e in parti della Russia. La nozione di eschimese(i) talvolta utilizzata nel linguaggio comune indica, oltre agli Inuit, anche altre etnie artiche.

( 4 ) Ordinanza Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio (T‑18/10, EU:T:2011:419), confermata dalla sentenza Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio (C‑583/11 P, EU:C:2013:625).

( 5 ) Regolamento (CE) n. 1007/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, sul commercio dei prodotti derivati dalla foca (GU L 286, pag. 36).

( 6 ) Regolamento (UE) n. 737/2010 della Commissione, del 10 agosto 2010, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1007/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio sul commercio dei prodotti derivati dalla foca (GU L 216, pag. 1).

( 7 ) Sentenza Inuit Tapiriit Kanatami e a./Commissione (T‑526/10, EU:T:2013:215), in prosieguo: la «sentenza impugnata».

( 8 ) In lingua inglese: «as a standard of achievement to be pursued in a spirit of partnership and mutual respect»; in lingua francese: «qui constitue un idéal à atteindre dans un esprit de partenariat et de respect mutuel»; in lingua spagnola: «como ideal común que debe perseguirse en un espíritu de solidaridad y respeto mutuo».

( 9 ) I procedimenti iniziati dal Canada e dalla Norvegia contro l’Unione europea dinanzi all’organo di conciliazione dell’Organizzazione mondiale del commercio («EC – Seal Products», DS 400 e DS 401), nei quali sono state adottate, il 18 luglio 2014, relazioni finali con raccomandazioni, riguardavano questioni controverse differenti da quelle in discussione nel presente procedimento di impugnazione.

( 10 ) V., a tal riguardo, i paragrafi da 27 a 96 delle presenti conclusioni.

( 11 ) A tal riguardo, il Tribunale si basa sulla giurisprudenza applicata occasionalmente dalla Corte conformemente alle sentenze Consiglio/Boehringer (C‑23/00 P, EU:C:2002:118, punti 51 e 52), e Francia/Commissione (C‑233/02, EU:C:2004:173, punto 26).

( 12 ) Sentenza Stadtwerke Schwäbisch Hall e a./Commissione (C‑176/06 P, EU:C:2007:730, punto 18).

( 13 ) Al riguardo, v. supra nota 5.

( 14 ) La terza ipotesi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, introdotta con il Trattato di Lisbona, concede alle persone fisiche e giuridiche la legittimazione ad agire contro gli atti regolamentari che le riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione.

( 15 ) Sentenza CIRFS e a./Commissione (C‑313/90, EU:C:1993:111, punti 30 e 31).

( 16 ) Sentenze Francia/Commissione (15/76 e 16/76, EU:C:1979:29, punto 7); Crispoltoni e a. (C‑133/93, C‑300/93 e C‑362/93, EU:C:1994:364, punto 43); IECC/Commissione (C‑449/98 P, EU:C:2001:275, punto 87), e Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 50).

( 17 ) Sentenze Arnold André (C‑434/02, EU:C:2004:800, punto 38); Swedish Match (C‑210/03, EU:C:2004:802, punto 37); Germania/Parlamento e Consiglio (C‑380/03, EU:C:2006:772, punti 46, 51 e 55), e Vodafone e a. (C‑58/08, EU:C:2010:321, punto 39).

( 18 ) Sentenze British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco (C‑491/01, EU:C:2002:741, punto 60); Regno Unito/Parlamento e Consiglio (C‑217/04, EU:C:2006:279), e Vodafone e a. (C‑58/08, EU:C:2010:321, punto 32).

( 19 ) Sentenze Germania/Parlamento e Consiglio (C‑380/03, EU:C:2006:772, punto 37), e Vodafone e a. (C‑58/08, EU:C:2010:321, punto 32).

( 20 ) Sentenze Germania/Parlamento e Consiglio (C‑376/98, EU:C:2000:544, punti 84 e 106), e Vodafone e a. (C‑58/08, EU:C:2010:321, punto 32).

( 21 ) V., in particolare, punto 36 della sentenza impugnata.

( 22 ) Considerando 5, 6 e 7 del regolamento n. 1007/2009.

( 23 ) Considerando 6 del regolamento n. 1007/2009.

( 24 ) Considerando 7 e 10 del regolamento n. 1007/2009.

( 25 ) Sentenza AJD Tuna (C‑221/09, EU:C:2011:153, punto 59).

( 26 ) Sentenza Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (C‑286/98 P, EU:C:2000:630, punto 61); nello stesso senso già le sentenze Präsident e a./Alta Autorità (da 36/59 a 38/59 e 40/59, EU:C:1960:36, in particolare pagg. 864 e 865), e Picciolo/Parlamento (111/83, EU:C:1984:200, punto 22).

( 27 ) Sentenze Michel/Parlamento (195/80, EU:C:1981:284, punto 22); Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 463); Elf Aquitaine/Commissione (C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 149), e Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione e Commissione/Alliance One International e a. (C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:479, punto 74).

( 28 ) Punto 51 della sentenza impugnata.

( 29 ) Belgio e Paesi Bassi.

( 30 ) Nello stesso senso sentenze Arnold André (C‑434/02, EU:C:2004:800, punto 38), e Swedish Match (C‑210/03, EU:C:2004:802, punto 37).

( 31 ) Sentenze Sumitomo Metal Industries e Nippon Steel/Commissione (C‑403/04 P e C‑405/04 P, EU:C:2007:52, punto 40); Bertelsmann e Sony Corporation of America/Impala (C‑413/06 P, EU:C:2008:392, punto 117); Solvay/Commissione (C‑109/10 P, EU:C:2011:686, punto 51), e Commissione/Stichting Administratiekantoor Portielje (C‑440/11 P, EU:C:2013:514, punto 59).

( 32 ) Sentenze British American Tobacco (Investments) e Imperial Tobacco (C‑491/01, EU:C:2002:741, punto 64); Arnold André (C‑434/02, EU:C:2004:800, punto 39), e Swedish Match (C‑210/03, EU:C:2004:802, punto 38).

( 33 ) Sentenza Germania/Parlamento e Consiglio (C‑380/03, EU:C:2006:772, punto 53).

( 34 ) V. punto 55 della sentenza impugnata.

( 35 ) V., al riguardo, ancora le sentenze citate supra alle note 32 e 33.

( 36 ) La giurisprudenza ha finora riconosciuto una sorta di soglia de minimis solo riguardo all’intensità delle violazioni delle libertà fondamentali e non invece all’importanza del volume degli scambi commerciali in questione; v., ad esempio, sentenze CMC Motorradcenter (C‑93/92, EU:C:1993:838, punto 12); Graf (C‑190/98, EU:C:2000:49, punto 25), e Commissione/Spagna (C‑211/08, EU:C:2010:340, punto 72).

( 37 ) V. al riguardo, in particolare, punto 105 della sentenza impugnata.

( 38 ) Sentenze Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 32), e Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 44), nonché parere 2/13 (EU:C:2014:2454, punto 179).

( 39 ) Nello stesso senso, sentenze Otis e a. (C‑199/11, EU:C:2012:684); Chalkor/Commissione (C‑386/10 P, EU:C:2011:815), e Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:522); anche nella sentenza Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28), la Corte si è richiamata unicamente alle diposizioni della Carta, sebbene la questione ad essa sottoposta facesse riferimento anche al primo protocollo addizionale alla CEDU.

( 40 ) V., a tal proposito, anche le mie conclusioni presentate nella causa Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione (C‑550/07 P, EU:C:2010:229, paragrafo 143), nonché il mio parere nel procedimento consultivo 2/13 (EU:C:2014:2475, paragrafo 203).

( 41 ) Mi occuperò dell’argomento dei ricorrenti, secondo cui la protezione di interessi commerciali sarebbe più spiccata nella CEDU che nella Carta, nell’ambito della seconda parte del secondo motivo di impugnazione (v. al riguardo infra, paragrafi da 72 a 82 delle presenti conclusioni).

( 42 ) Sentenze Nold/Commissione (4/73, EU:C:1974:51, punto 14); FIAMM e a./Consiglio e Commissione (C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476, punto 185), e Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28, punto 34).

( 43 ) Sentenze Faust/Commissione (52/81, EU:C:1982:369, punto 27); Swedish Match (C‑210/03, EU:C:2004:802, punto 73), e Alliance for Natural Health e a. (C‑154/04 e C‑155/04, EU:C:2005:449, punto 128).

( 44 ) Corte eur. D.U., sentenze Marckx c. Belgio del 13 giugno 1979 (n. 6833/74, serie A n. 31, § 50), Anheuser-Busch c. Portogallo dell’11 gennaio 2007 (n 73049/01, Recueil des arrêts et décisions 2007-I, § 64), e Malik c. Regno Unito del 13 marzo 2012 (n. 23780/08, § 93).

( 45 ) V. ad esempio Corte eur. D.U., sentenze Pressos Compania Naviera c. Belgio del 20 novembre 1995 (n. 17849/91, serie A n. 322, § 31), e Maurice c. Francia del 6 ottobre 2005 (n. 11810/03, Recueil des arrêts et décisions 2005-IX, § 63).

( 46 ) In tal senso pure Corte eur. D.U.,, sentenze Maurice c. Francia (cit. supra alla nota 45, §§ 65 e 66), e Principe Hans-Adam II di Liechtenstein c. Germania del 12 luglio 2001 (n. 42527/98, Recueil des arrêts et décisions 2001-VIII, §§ da 83 a 87).

( 47 ) Corte eur. D.U.,, sentenze Tre Traktörer c. Svezia del 7 luglio 1989 (n. 10873/84, serie A n. 159, § 53); Van Marle e a. c. Paesi Bassi del 26 giugno 1986 (n. 8543/79 e a., serie A n. 101); Iatridis c. Grecia del 25 marzo 1999 (n. 31107/96, Recueil des arrêts et décisions 1999-II, §§ 54 e 55); Centro Europa 7 e Di Stefano c. Italia del 7 giugno 2012 n. 38433/09, Recueil des arrêts et décisions 2012, §§ 178 e 179), nonché Malik c. Regno Unito (cit. supra alla nota 41, § 93).

( 48 ) V., in particolare, punto 109 della sentenza impugnata.

( 49 ) È quanto lascia intendere il loro riferimento alla sentenza Alliance for Natural Health e a. (C‑154/04 e C‑155/04, EU:C:2005:449, punto 127).

( 50 ) Sentenza Groupe Gascogne/Commissione (C‑58/12 P, EU:C:2013:770, punto 35); v. anche sentenze Dansk Rørindustri e a./Commissione (C‑189/02 P, C‑202/02 P, da C‑205/02 P a C‑208/02 P e C‑213/02 P, EU:C:2005:408, punto 165); Alliance One International e Standard Commercial Tobacco/Commissione e Commissione/Alliance One International e a. (C‑628/10 P e C‑14/11 P, EU:C:2012:479, punto 111), nonché Nexans e Nexans France/Commissione (C‑37/13 P, EU:C:2014:2030, punto 45).

( 51 ) Sentenza Sky Österreich (C‑283/11, EU:C:2013:28, punti 45 e 46).

( 52 ) V., in tal senso, sentenze Lindorfer/Consiglio (C‑227/04 P, EU:C:2007:490, punto 83); Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punti 45 e 106), e MasterCard e a./Commissione (C‑382/12 P, EU:C:2014:2201, punto 151).

( 53 ) V. al riguardo, ancora una volta, la giurisprudenza citata alla nota 50.

( 54 ) V., ex multis, sentenze Scaramuzza/Commissione (C‑76/93 P, EU:C:1994:371, punto 18); Akzo Nobel e a./Commissione (C‑97/08 P, EU:C:2009:536, punti 38 e 39), e Commissione/Polonia (C‑504/09 P, EU:C:2012:178, punti 35 e 36).

( 55 ) Sentenza Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 101).

( 56 ) V. l’ultimo considerando del preambolo della DNUDPI (il corsivo è mio).

( 57 ) Al riguardo v., in particolare, le sentenze della Corte internazionale di giustizia del 20 febbraio 1969 nelle cause riunite Piattaforma continentale del Mare del Nord (Germania c. Paesi Bassi e Germania c. Danimarca), C.I.J. Recueil 1969, pag. 4 (punto 77), e del 27 giugno 1986 nel caso Attività militari e paramilitari nel e contro il Nicaragua (Nicaragua c. Stati Uniti d’America), C.I.J. Recueil 1986, pag. 14 (punti 183 e 184).

( 58 ) La risoluzione 61/295 è stata approvata con 143 voti a favore, 4 contrari e 11 astensioni (Official Records of the General Assembly, Sixty-First Session, Supplement n. 53, A/61/53, prima parte, capo II, sezione A). I voti contrari sono stati espressi da Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti d’America; tra gli astenuti si trovano, inter alia, il Bangladesh, il Kenia, la Colombia, la Nigeria e la Federazione russa.

( 59 ) Sentenza NTN Toyo Bearing e a./Consiglio (113/77, EU:C:1979:91, punto 21).

( 60 ) Sentenza Fediol/Commissione (191/82, EU:C:1983:259, punto 22); v., di recente, anche la sentenza Consiglio e Parlamento/Commissione e Commissione/Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht (da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punto 58).

( 61 ) Considerando 14 del regolamento n. 1007/2009.

( 62 ) Sentenza Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186, punto 31); v. di recente anche la sentenza Consiglio e Parlamento/Commissione e Commissione/Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht (da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punto 59).

( 63 ) Sulla nozione di «soft law» v., ad esempio, le più recenti conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Germania/Consiglio (C‑399/12, EU:C:2014:289, paragrafo 97, e giurisprudenza citata).

( 64 ) Punti 114 e 115 della sentenza impugnata.

( 65 ) Sentenza Akzo Nobel Chemicals e Akcros Chemicals/Commissione (C‑550/07 P, EU:C:2010:512, punto 123); nello stesso senso sentenza D e Svezia/Consiglio (C‑122/99 P e C‑125/99 P, EU:C:2001:304, punto 65); nell’ultima causa, D e il Regno di Svezia avevano presentato persino due impugnazioni separate e sono state condannate nondimeno a sopportare le spese in solido tra loro.

( 66 ) In tal senso, ad esempio, sentenza Consiglio/Zhejiang Xinan Chemical Industrial Group (C‑337/09 P, EU:C:2012:471, punto 112); in quel caso, il Consiglio, in quanto ricorrente soccombente, è stato condannato a sopportare le spese di Audace, quale interveniente a sostegno della controparte in primo grado, che era stata vittoriosa nel procedimento di impugnazione.

( 67 ) V., in tal senso, sentenza Inuit Tapiriit Kanatami e a./Parlamento e Consiglio (C‑583/11 P, EU:C:2013:625, punto 116).