SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

10 febbraio 2021 ( *1 )

«Impugnazione – Dumping – Importazione di ferrosilicio originario della Russia – Regolamento (CE) n. 1225/2009 – Articolo 11, paragrafi 9 e 10 – Rigetto delle domande di restituzione di dazi antidumping pagati – Prezzo all’esportazione costruito – Valutazione della traslazione dei dazi antidumping nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nell’Unione europea – Obbligo di applicare gli stessi metodi impiegati nell’inchiesta conclusa con l’istituzione del dazio – Mutamento di circostanze – Detrazione dei dazi antidumping pagati – Elementi di prova inoppugnabili»

Nella causa C‑56/19 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 25 gennaio 2019,

RFA International LP, con sede in Calgary (Canada), rappresentata da B. Evtimov, advokat, M. Krestiyanova e E. Borovikov, avocats, N. Tuominen, avocată, e D. O’Keeffe, solicitor,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Commissione europea, rappresentata inizialmente da J.-F. Brakeland, A. Demeneix e P. Němečková, successivamente da J.-F. Brakeland e P. Němečková, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da A. Arabadjiev, presidente di sezione, K. Lenaerts, presidente della Corte, facente funzione di giudice della Seconda Sezione, A. Kumin, T. von Danwitz e P.G. Xuereb (relatore), giudici,

avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 luglio 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, la RFA International LP (in prosieguo: la «RFA») chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 15 novembre 2018, RFA International/Commissione (T‑113/15, non pubblicata; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2018:783), con la quale il Tribunale ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento totale o parziale delle decisioni di esecuzione C(2014) 9805 final, C(2014) 9806 final, C(2014) 9807 final, C(2014) 9808 final, C(2014) 9811 final, C(2014) 9812 final e C(2014) 9816 final della Commissione, del 18 dicembre 2014, relative a domande di restituzione di dazi antidumping pagati sulle importazioni di ferrosilicio originario della Russia (in prosieguo: le «decisioni controverse»).

Contesto normativo

2

Il regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51, e rettifiche in GU 2010, L 7, pag. 22, e GU 2016, L 44, pag. 20), come modificato dal regolamento (UE) n. 37/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2014 (GU 2014, L 18, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento di base»), che era in vigore alla data di adozione delle decisioni controverse, al suo considerando 17 disponeva quanto segue:

«(...) È opportuno (...) precisare che, qualora sia necessario ricalcolare il margine di dumping con una ricostruzione del prezzo all’esportazione, i dazi non devono essere considerati un costo sostenuto tra l’importazione e la rivendita se detti dazi si ripercuotono sui prezzi dei prodotti soggetti alle misure nella Comunità».

3

L’articolo 2 di tale regolamento enunciava le norme che disciplinavano la determinazione del dumping. I suoi paragrafi 8 e 9 vertevano sui prezzi all’esportazione ed erano così formulati:

«8.   Il prezzo all’esportazione è il prezzo realmente pagato o pagabile per il prodotto venduto per l’esportazione dal paese esportatore alla Comunità.

9.   Quando non esiste un prezzo all’esportazione oppure quando il prezzo all’esportazione non è considerato attendibile a causa dell’esistenza di un rapporto d’associazione o di un accordo di compensazione tra l’esportatore e l’importatore o un terzo, il prezzo all’esportazione può essere costruito in base al prezzo al quale il prodotto importato è rivenduto per la prima volta ad un acquirente indipendente, ovvero, se il prodotto non viene rivenduto ad un acquirente indipendente o non viene rivenduto nello stato in cui è avvenuta la sua importazione, su qualsiasi altra base equa.

In questi casi, per stabilire [un] prezzo all’esportazione attendibile al livello frontiera comunitaria, sono applicati adeguamenti per tener conto di tutti i costi, compresi i dazi e le imposte, sostenuti tra l’importazione e la rivendita e dei profitti.

I costi per i quali sono applicati gli adeguamenti comprendono quelli normalmente a carico dell’importatore, ma che sono sostenuti da qualsiasi parte operante all’interno o all’esterno della Comunità, che sia collegata all’importatore o all’esportatore oppure ad essi vincolata da un accordo di compensazione. Sono inclusi in tali costi trasporto normale, assicurazione, movimentazione, carico e scarico e spese accessorie; dazi doganali, dazi antidumping ed altre tasse pagabili nel paese importatore per l’importazione o la vendita delle merci, nonché un margine adeguato per le spese generali, amministrative e di vendita e i profitti».

4

L’articolo 2, paragrafo 10, di detto regolamento prevedeva quanto segue riguardo al confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione:

«Tra il valore normale e il prezzo all’esportazione deve essere effettuato un confronto equo, allo stesso stadio commerciale e prendendo in considerazione vendite realizzate in date per quanto possibile ravvicinate, tenendo debitamente conto di altre differenze incidenti sulla comparabilità dei prezzi. Se il valore normale e il prezzo all’esportazione determinati non si trovano in tale situazione comparabile, si tiene debitamente conto, in forma di adeguamenti, valutando tutti gli aspetti dei singoli casi, delle differenze tra i fattori che, secondo quanto viene parzialmente affermato e dimostrato, influiscono sui prezzi e quindi sulla loro comparabilità. (...)».

5

L’articolo 11, paragrafo 8, del medesimo regolamento disciplinava la procedura di restituzione di dazi pagati. Tale disposizione era formulata come segue:

«Nonostante il paragrafo 2, un importatore può chiedere la restituzione di dazi pagati se dimostra che il margine di dumping in base al quale sono stati pagati i dazi è stato eliminato o ridotto ad un livello inferiore al dazio in vigore.

Per chiedere la restituzione dei dazi antidumping, l’importatore presenta una domanda alla Commissione. (...)

Una domanda di restituzione si considera sostenuta da sufficienti elementi di prova se contiene informazioni precise sull’importo della restituzione dei dazi antidumping richiesta e tutti i documenti doganali relativi al calcolo e al pagamento di detto importo. Essa deve inoltre contenere elementi di prova, per un periodo rappresentativo, relativi ai valori normali e ai prezzi all’esportazione nella Comunità per l’esportatore o il produttore al quale si applica il dazio. (...)

La Commissione decide se e in quale misura la domanda debba essere accolta, oppure decide in qualsiasi momento di avviare un riesame intermedio e le risultanze di tale riesame, svolto conformemente alle disposizioni pertinenti, sono utilizzate per stabilire se e in quale misura la restituzione sia giustificata. (...)».

6

A norma dell’articolo 11, paragrafi 9 e 10, del regolamento di base, era previsto quanto segue:

«9.   In tutte le inchieste relative a riesami o restituzioni svolte a norma del presente articolo la Commissione, se le circostanze non sono cambiate, applica gli stessi metodi impiegati nell’inchiesta conclusa con l’istituzione del dazio, tenendo debitamente conto delle disposizioni dell’articolo 2, in particolare i paragrafi 11 e 12, e dell’articolo 17.

10.   Nelle inchieste svolte a norma del presente articolo la Commissione esamina l’attendibilità dei prezzi all’esportazione a norma dell’articolo 2. Tuttavia, se il prezzo all’esportazione è costruito a norma dell’articolo 2, paragrafo 9, non viene detratto l’importo dei dazi antidumping quando sono forniti elementi di prova inoppugnabili del fatto che il dazio è debitamente traslato nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nella Comunità».

7

La Commissione ha definito gli orientamenti per l’applicazione dell’articolo 11, paragrafo 8, del regolamento di base nella sua comunicazione relativa alla restituzione dei dazi antidumping (GU 2014, C 164, pag. 9).

8

Il punto 4.1, lettera b), di detta comunicazione, intitolato «Applicazione dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base», enuncia quanto segue:

«Se il prezzo all’esportazione è costruito a norma dell’articolo 2, paragrafo 9, la Commissione lo calcola senza detrarre l’importo dei dazi antidumping pagati, quando sono forniti elementi di prova inoppugnabili del fatto che il dazio è debitamente traslato nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nell’Unione. La Commissione valuterà se un incremento dei prezzi di vendita applicati ad acquirenti indipendenti dell’Unione, registrato fra il periodo dell’inchiesta originaria e dell’inchiesta relativa alla restituzione, comprenda i dazi antidumping».

Fatti

9

I fatti all’origine della controversia sono illustrati ai punti da 1 a 30 della sentenza impugnata e possono essere riassunti come segue.

10

La RFA è una società in accomandita con sede in Canada. Attraverso la sua controllata svizzera, acquista, rivende, importa e immagazzina, nell’Unione europea, ferrosilicio originario della Russia, prodotto da due consociate con sede in Russia, ossia la Chelyabinsk Electrometallurgical Integrated Plant OAO (in prosieguo: la «CHEMK») e la Kuzneckie Ferrosplavy OAO (in prosieguo: la «KF»).

11

Il 25 febbraio 2008, in seguito a una denuncia depositata dal comitato di coordinamento dell’industria delle ferroleghe, che è un’associazione di produttori europei di ferroleghe, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato il regolamento (CE) n. 172/2008 che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva dei dazi provvisori istituiti sulle importazioni di ferrosilicio originarie della Repubblica popolare cinese, dell’Egitto, del Kazakstan, dell’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e della Russia (GU 2008, L 55, pag. 6). Dato il rapporto di associazione tra la RFT e le due società esportatrici menzionate al punto precedente, il prezzo all’esportazione nell’Unione è stato determinato conformemente all’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base.

12

In forza dell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento n. 172/2008, l’aliquota del dazio antidumping definitivo, applicabile al prezzo netto franco frontiera dell’Unione, dazio non corrisposto, sui prodotti fabbricati dalla CHEMK e dalla KF era del 22,7%.

13

Queste ultime hanno presentato dinanzi al Tribunale una domanda di annullamento parziale del regolamento n. 172/2008, nei limiti in cui esso le riguardava. Il ricorso di annullamento proposto da queste due società avverso detto regolamento è stato respinto dal Tribunale con sentenza del 25 ottobre 2011, CHEMK e KF/Consiglio (T‑190/08, EU:T:2011:618). L’impugnazione proposta da dette società contro tale sentenza è stata respinta dalla Corte con sentenza del 28 novembre 2013, CHEMK e KF/Consiglio (C‑13/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:780).

14

A seguito di una domanda di riesame intermedio parziale presentata dalle medesime società il 30 novembre 2009, il Consiglio ha adottato, il 16 gennaio 2012, il regolamento di esecuzione (UE) n. 60/2012 che chiude il riesame intermedio parziale a norma dell’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1225/2009 relativo alle misure antidumping applicabili alle importazioni di ferrosilicio originario, fra l’altro, della Russia (GU 2012, L 22, pag. 1). La misura antidumping in vigore è stata confermata.

15

Il mantenimento, in tale regolamento di esecuzione, del livello del dazio antidumping istituito dal regolamento n. 172/2008 è stato contestato dalla CHEMK e dalla KF dinanzi al Tribunale, il quale ha respinto il loro ricorso con sentenza del 28 aprile 2015, CHEMK e KF/Consiglio (T‑169/12, EU:T:2015:231). L’impugnazione proposta da dette società avverso tale sentenza è stata respinta dalla Corte con ordinanza del 9 giugno 2016, CHEMK e KF/Consiglio (C‑345/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:433).

16

Fra il 30 luglio 2009 e il 10 dicembre 2010, la RFA, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 8, del regolamento di base, ha presentato alla Commissione una prima serie di domande di restituzione di dazi antidumping da essa pagati nel periodo compreso tra il 7 gennaio 2009 e il 10 dicembre 2010, per le importazioni dei prodotti della CHEMK e della KF. L’inchiesta di restituzione ha riguardato il periodo compreso tra il 1o ottobre 2008 e il 30 settembre 2010. La Commissione, ai fini del calcolo di nuovi margini di dumping, ha suddiviso tale periodo in due parti. La prima andava dal 1o ottobre 2008 al 30 settembre 2009 (in prosieguo: il «primo periodo dell’inchiesta di restituzione») mentre la seconda andava dal 1o ottobre 2009 al 30 settembre 2010 (in prosieguo: il «secondo periodo dell’inchiesta di restituzione»).

17

Con decisioni C(2012) 5577 final, C(2012) 5585 final, C(2012) 5588 final, C(2012) 5595 final, C(2012) 5596 final, C(2012) 5598 final e C(2012) 5611 final della Commissione, del 10 agosto 2012, riguardanti le domande della RFA relative alla restituzione di dazi antidumping pagati sulle importazioni di ferrosilicio originario della Russia, tale istituzione, da un lato, ha accolto le domande di restituzione relative al primo periodo dell’inchiesta di restituzione e, dall’altro, ha respinto quelle relative al secondo periodo dell’inchiesta di restituzione. Tale diniego è stato contestato dalla RFA dinanzi al Tribunale, che ha respinto il ricorso con sentenza del 17 marzo 2015, RFA International/Commissione (T‑466/12, EU:T:2015:151). L’impugnazione proposta dalla RFA avverso tale sentenza è stata respinta dalla Corte con sentenza del 4 maggio 2017, RFA International/Commissione (C‑239/15 P, non pubblicata, EU:C:2017:337).

18

Fra il 1o marzo 2011 e il 26 giugno 2013, la RFA ha presentato alla Commissione una seconda serie di domande di restituzione di dazi antidumping da essa pagati nel periodo compreso tra il 1o ottobre 2010 e il 28 dicembre 2012, per le importazioni dei prodotti della CHEMK e della KF. L’inchiesta di restituzione avviata dalla Commissione in seguito a tale nuova domanda ha riguardato il periodo dal 1o ottobre 2010 al 31 dicembre 2012, che è stato suddiviso, ai fini del calcolo di nuovi margini di dumping, in due parti, che andavano, rispettivamente, dal 1o ottobre 2010 al 31 dicembre 2011 (in prosieguo: il «terzo periodo dell’inchiesta di restituzione») e dal 1o gennaio 2012 al 31 dicembre 2012 (in prosieguo: il «quarto periodo dell’inchiesta di restituzione»).

19

Il 18 dicembre 2014, la Commissione ha adottato le decisioni controverse. Nella sezione relativa alla costruzione del prezzo all’esportazione, la Commissione ha respinto, in particolare, la domanda presentata dalla RFA, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, diretta ad escludere la detrazione dei dazi antidumping dal prezzo all’esportazione costruito. Le ragioni sottese a tale diniego sono state sintetizzate dal Tribunale al punto 25 della sentenza impugnata come segue:

«La Commissione ha [indicato] di non poter accogliere la domanda della ricorrente, fondata sull’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base (...), diretta ad escludere la detrazione dei dazi antidumping dal prezzo della prima rivendita a un acquirente indipendente nell’Unione nel calcolo del prezzo all’esportazione costruito. Tale domanda era giustificata dalla ricorrente con la dovuta traslazione, a suo avviso, di tali dazi in tale prezzo di rivendita, come era stato riconosciuto per il primo e il secondo periodo dell’inchiesta di restituzione. La ricorrente avrebbe evidenziato che i suoi prezzi, determinati come [prezzi “costo assicurazione nolo” (“CIF”)], erano aumentati rispettivamente del 77% e del 102% tra il periodo dell’inchiesta che ha portato al regolamento [n. 172/2008], che si estendeva dal 1o ottobre 2005 al 30 settembre 2006, e il terzo e il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione. Per quanto riguarda i prezzi “franco fabbrica”, essi sarebbero aumentati del 193% tra il periodo d’inchiesta che ha portato al regolamento [n. 172/2008] e il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione. Tuttavia, contrariamente a quanto era avvenuto per il primo e per il secondo periodo dell’inchiesta di restituzione, la Commissione non ha ritenuto di essere in possesso di elementi che giustificassero la traslazione dei dazi antidumping nei prezzi di rivendita ad acquirenti indipendenti nell’Unione. Essa ha sottolineato, da un lato, che i prezzi indicati dalla ricorrente, stabiliti come prezzi “franco fabbrica” e [“CIF”], erano precisamente prezzi non comprensivi dei dazi antidumping e, dall’altro, che i prezzi “reso sdoganato” di prima rivendita a un acquirente indipendente nell’Unione dovevano coprire tutti i costi a monte, compresi i dazi antidumping. Orbene, i dati numerici forniti dalla ricorrente non sarebbero convincenti su questo punto sotto molti aspetti, in particolare dal momento che rifletterebbero medie, non essendo di conseguenza specificamente collegati alle operazioni per le quali era richiesta la restituzione di dazi antidumping. Per quanto riguarda il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione, la Commissione avrebbe osservato che uno dei produttori vendeva sottocosto alla ricorrente su talune vendite. Essa avrebbe altresì osservato incoerenze riguardanti i costi in funzione della destinazione dei prodotti. Per quanto riguarda il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione (...), la Commissione ha [indicato, ai punti da 84 a 85 e 87 delle decisioni controverse] che, nel 99% dei casi, i prezzi di rivendita dopo l’importazione nell’Unione non riflettevano i dazi antidumping, in quanto non coprivano [tutti] i costi, compresi i dazi antidumping. La Commissione ha aggiunto al riguardo che, tra il periodo dell’inchiesta che ha portato al regolamento [n. 172/2008] e il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione, i costi di produzione dei prodotti venduti nell’Unione dalla CHEMK e dalla KF erano aumentati del 100% e che tale aumento aveva raggiunto il 109% nel quarto periodo dell’inchiesta di restituzione».

20

Alla luce di tali elementi e dopo aver proceduto agli adeguamenti necessari al fine di garantire un confronto equo, conformemente all’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, tra il valore normale e il prezzo all’esportazione, che la Commissione ha ricondotto, a tal fine, al livello «franco fabbrica», tale istituzione ha identificato un margine di dumping del 40,8% per il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione e del 42,8% per il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione. Poiché tali margini di dumping erano superiori all’aliquota del dazio antidumping del 22,7% stabilita nel regolamento n. 172/2008, la Commissione ha respinto le domande di restituzione presentate dalla ricorrente.

21

Il 28 novembre 2012, in seguito alla pubblicazione di un avviso di imminente scadenza delle misure antidumping di cui al regolamento n. 172/2008, il comitato di collegamento dell’industria delle ferroleghe ha chiesto l’avvio di un riesame di tali misure. Ritenendo che fossero stati prodotti a tal fine sufficienti elementi di prova, il 28 febbraio 2013 la Commissione ha pubblicato l’avviso di apertura di un riesame in previsione della scadenza delle misure antidumping applicabili alle importazioni di ferrosilicio originarie della Repubblica popolare cinese e della Russia (GU 2013, C 58, pag. 15). L’inchiesta relativa alla persistenza o alla reiterazione del dumping ha riguardato il periodo dal 1o gennaio al 31 dicembre 2012. L’esame della probabilità di persistenza o reiterazione del pregiudizio è stato invece effettuato con riferimento al periodo di quattro anni compreso tra il 1o gennaio 2009 e il 31 dicembre 2012.

22

Il 9 aprile 2014 la Commissione ha adottato il regolamento di esecuzione (UE) n. 360/2014 che, in seguito ad un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1225/2009, istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di ferrosilicio originario della Repubblica popolare cinese e della Russia (GU 2014, L 107, pag. 13). In tale regolamento di esecuzione, la Commissione ha segnatamente precisato che, durante il periodo d’inchiesta corrispondente all’anno 2012, nel 99% dei casi il prezzo di rivendita a un acquirente indipendente nell’Unione non rifletteva il livello dei dazi antidumping e che, in tali condizioni, occorreva detrarli da tale prezzo per giungere al prezzo all’esportazione costruito. Il confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione così costruito, effettuato tenuto conto di diversi adeguamenti per svolgere un confronto equo conformemente alle disposizioni dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, ha indotto la Commissione a concludere per l’esistenza di un margine di dumping, espresso in percentuale del prezzo franco frontiera dell’Unione, dazio non corrisposto, del 43% per il periodo dell’inchiesta relativa al persistere o alla reiterazione del dumping compreso tra il 1o gennaio al 31 dicembre 2012. Essa ha, di conseguenza, mantenuto il dazio antidumping del 22,7% applicabile alle esportazioni dei prodotti della CHEMK e della KF dall’entrata in vigore del regolamento n. 172/2008. Il ricorso proposto da queste due società avverso detto regolamento di esecuzione è stato respinto dal Tribunale con sentenza del 15 novembre 2018, CHEMK e KF/Commissione (T‑487/14, EU:T:2018:792). Tale sentenza non è stata impugnata.

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

23

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 4 marzo 2015, la RFA ha proposto un ricorso diretto all’annullamento totale o parziale delle decisioni controverse, deducendo tre motivi a tal fine. Solo la risposta del Tribunale al secondo di tali motivi è presa in considerazione dalla RFA nella sua impugnazione.

24

Con tale secondo motivo, la ricorrente affermava, in sostanza, che la Commissione, nell’aver modificato il metodo utilizzato per la valutazione della traslazione dei dazi antidumping nei prezzi di rivendita nell’Unione senza che ciò fosse giustificato da un mutamento di circostanze, vale a dire nell’aver determinato tali prezzi alla luce dei costi di produzione del ferrosilicio in Russia, come rilevati al momento del terzo e del quarto periodo dell’inchiesta di restituzione, anziché analizzarli con riferimento ai prezzi di rivendita nell’Unione, quali stabiliti nel corso delle precedenti inchieste, e, in particolare, nell’inchiesta di riesame intermedio che ha portato al regolamento di esecuzione n. 60/2012, ha violato l’articolo 11, paragrafi 9 e 10, del regolamento di base. Secondo la RFA, l’applicazione dello stesso metodo impiegato nel corso di tale riesame intermedio avrebbe dovuto indurre la Commissione, nell’ambito del calcolo del prezzo all’esportazione costruito, a non detrarre i dazi antidumping pagati durante il terzo e il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione dal prezzo della prima rivendita a un acquirente indipendente nell’Unione, dal momento che detti dazi sarebbero stati interamente traslati in questi ultimi prezzi.

25

Con la sentenza impugnata il Tribunale ha integralmente respinto il ricorso e ha condannato la RFA alle spese. Esso ha ritenuto, in particolare, nell’ambito della sua valutazione del secondo motivo, quanto segue:

«69

(...) [P]er quanto riguarda l’applicazione dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, è giustificato che, in caso di evoluzione significativa dei costi di produzione dei prodotti di cui trattasi tra il periodo di inchiesta preso in considerazione precedentemente e il nuovo periodo di inchiesta, la Commissione tenga conto, per accertare se i dazi antidumping siano debitamente traslati nei prezzi di rivendita di detti prodotti nell’Unione in tale ultimo periodo, non dei prezzi di rivendita rilevati nel primo di detti periodi, bensì dei costi osservati durante il nuovo periodo di inchiesta. Queste considerazioni valgono anche qualora possa ritenersi che sia intervenuto un cambiamento di metodo rispetto a quanto è stato fatto nell’ambito di un’inchiesta precedente, il che avviene nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto in via principale dalla Commissione nelle decisioni [controverse] (...).

70

Tale prassi è intesa a garantire la solidità dell’analisi nel confronto di situazioni complesse sotto il profilo economico al fine non solo di giustificare la fondatezza delle misure adottate ai sensi della normativa antidumping, ma anche di assicurare, tra gli operatori che possono essere oggetto di siffatte misure, il rispetto del principio generale di diritto dell’Unione della parità di trattamento. Orbene, se è vero che garantire la solidità, nell’analisi economica, del confronto della situazione tra i due periodi giustifica, in linea di principio, l’applicazione dello stesso metodo, ciò non vale quando i parametri pertinenti siano cambiati in misura sufficiente da rendere l’applicazione del metodo utilizzato in precedenza non idonea a dare un risultato attendibile, nel caso di specie per valutare se i dazi antidumping erano stati, o non erano stati, debitamente traslati nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nell’Unione (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 18 settembre 2014, Valimar, C‑374/12, EU:C:2014:2231, punti 5059). Come sostiene la Commissione, sebbene i costi di produzione siano aumentati significativamente tra i due periodi raffrontati, un aumento dei prezzi di rivendita nell’Unione, pur se considerevole, non garantisce necessariamente che i dazi antidumping siano stati debitamente traslati, vale a dire pienamente traslati, nello stabilire tali prezzi. I costi di produzione possono essere aumentati in misura maggiore rispetto ai prezzi. In tal caso, sebbene i nuovi prezzi siano superiori al livello dei vecchi prezzi maggiorati con dazi antidumping, le parti interessate non hanno debitamente traslato i dazi antidumping tenuto conto dell’evoluzione dei loro costi di produzione.

71

Gli argomenti dedotti dalla ricorrente nel presente procedimento non rimettono in discussione tale analisi. Anzitutto, contrariamente a quanto sostiene, in sostanza, la ricorrente, l’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base non implica affatto, nei limiti in cui esso riguarda la questione se “il dazio è debitamente traslato nei prezzi di rivendita”, che per poter beneficiare di una risposta positiva soltanto l’equivalente del dazio antidumping deve essere integrato nel nuovo prezzo di rivendita oltre al prezzo di rivendita praticato in precedenza. Infatti, un dazio aggiuntivo rispetto ai costi normalmente sostenuti è “debitamente traslato” solo se si aggiunge a questi altri costi. Orbene, se tali altri costi aumentano, ma il prezzo di rivendita aumenta meno, in realtà il dazio è solo parzialmente o per nulla aggiunto a questi altri costi, anche se l’equivalente del dazio è stato aggiunto al prezzo di rivendita praticato in precedenza. Il passaggio della comunicazione della Commissione relativa alla restituzione dei dazi antidumping (...) non contraddice in alcun modo quest’analisi. Lo stesso può dirsi per la sentenza del 18 novembre 2015, Einhell Germany e a./Commissione (T‑73/12, EU:T:2015:865), richiamata dalla ricorrente. In particolare, il punto 155 di detta sentenza, letto nel suo contesto, indica che un metodo diverso dal raffronto dei prezzi di rivendita praticati nell’Unione prima e dopo l’imposizione dei dazi antidumping può essere appropriato per determinare se tali dazi siano traslati o meno nei nuovi prezzi di rivendita nell’Unione.

72

Per quanto attiene agli elementi concreti del caso di specie, riguardo al quarto periodo dell’inchiesta di restituzione, corrispondente all’anno 2012, si deve rilevare che, nelle decisioni [controverse], ad esempio al punto 85 della decisione C(2014) 9805 final, la Commissione ha osservato un aumento sostanziale dei costi di produzione rispetto al periodo di inchiesta iniziale, pari al 109%, senza essere contraddetta nel merito dalla ricorrente, in particolare nel presente ricorso. In siffatte circostanze, per stabilire se i dazi antidumping fossero stati debitamente traslati nei prezzi di rivendita praticati nell’Unione dalla ricorrente per conto della CHEMK e della KF durante il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione, era giustificato che la Commissione tenesse conto dei costi di produzione registrati nel 2012 anziché dei prezzi di rivendita utilizzati nell’inchiesta iniziale.

73

Orbene, in una situazione in cui, come rilevato dalla Commissione nelle decisioni [controverse], ad esempio al punto 84 della decisione C(2014) 9805 final, i prezzi di rivendita coprono solo nell’1% dei casi il costo dei beni, compreso il dazio antidumping, non si è affatto stabilito che tali dazi siano stati debitamente traslati.

74

Anche l’aumento di oltre il 100% dei prezzi di rivendita tra il periodo dell’inchiesta iniziale e il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione, invocato dalla ricorrente, non è sufficiente in tale contesto per dimostrare che i dazi antidumping siano stati interamente traslati durante il secondo di questi periodi. È sufficiente, infatti, com’è in sostanza affermato al precedente punto 70, che i costi di produzione siano aumentati più dei prezzi praticati per far sì che questi ultimi non riflettano correttamente i dazi antidumping, tenendo conto dell’evoluzione dei costi di produzione. Orbene, ciò è a priori provato dal fatto, rilevato dalla Commissione, che nel 99% dei casi il costo dei beni, compreso il dazio antidumping, non era coperto dai prezzi di rivendita nell’Unione nel 2012.

75

Pertanto, la Commissione ha correttamente detratto il dazio antidumping dal prezzo di rivendita al primo acquirente indipendente nell’Unione per calcolare il prezzo all’esportazione costruito per il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione, poiché non è stato dimostrato che il dazio antidumping fosse stato debitamente traslato nel primo di tali prezzi.

(...)

77

Tuttavia, la Commissione sostiene giustamente, come ha esposto nelle decisioni [controverse], ad esempio al punto 78 della decisione C(2014) 9805 final, che l’analisi dei prezzi di rivendita nell’Unione per stabilire in quale misura essi riflettano i dazi antidumping deve essere svolta allo stadio di commercializzazione successivo al pagamento di tali dazi, vale a dire, per definizione, a uno stadio di commercializzazione al quale il prezzo tiene conto di costi supplementari rispetto a quelli considerati allo stadio dei prezzi “franco fabbrica” o [“CIF”]. A tale proposito, occorre sottolineare che, sebbene il regolamento di base preveda che determinati prezzi siano adeguati ad uno stadio commerciale diverso da quello al quale sono praticati, ciò è per garantire un confronto equo dei prezzi che non riflettono necessariamente le medesime prestazioni. Così, l’articolo 2, paragrafo 10, lettera d), del regolamento di base (...) prevede che il confronto equo tra il prezzo all’esportazione e il valore normale può richiedere adeguamenti che tengano conto dei diversi stadi commerciali ai quali tali prezzi sono stati praticati. Tuttavia, ciò non si verifica quando si tratti di valutare unicamente i prezzi di rivendita nell’Unione nel contesto dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, che non prevede siffatti adeguamenti. Peraltro, nella misura in cui è legittimo che, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, in determinate situazioni, come quella del caso di specie, la Commissione analizzi i prezzi di rivendita tenendo conto di tutti i costi sostenuti prima di detta rivendita (...), un’analisi dei prezzi fissati allo stadio dei prezzi “franco fabbrica” o [“CIF”] non sarebbe coerente, neppure qualora si aggiungessero artificialmente a questi prezzi i dazi antidumping come secondo la ricorrente sarebbe stato fatto, vale a dire senza tenere conto di un certo numero di costi sopportati prima di tale rivendita. Inoltre, in siffatte situazioni, non occorre effettuare un confronto dei prezzi di rivendita nell’Unione tra due periodi successivi, confronto che, come nel presente procedimento, può essere influenzato dalla mancanza di omogeneità nel tempo degli stadi commerciali ai quali gli importatori dei prodotti in questione hanno fatturato ai primi acquirenti indipendenti nell’Unione. È invece indispensabile verificare se gli elementi forniti dall’importatore di cui trattasi dimostrino che il prezzo effettivamente pagato da detti acquirenti durante il periodo in esame riflette debitamente i dazi antidumping. A tale proposito, nelle decisioni [controverse] è stato rilevato, senza che ciò fosse contestato dalla ricorrente, che nel suddetto periodo essa vendeva già i prodotti prevalentemente sulla base del prezzo “reso sdoganato”, ossia comprensivo di tutti i costi intervenuti a monte della consegna, il che poteva facilitare la verifica sopra menzionata.

78

Di conseguenza, la ricorrente non poteva basarsi sull’evoluzione dei prezzi praticati allo stadio dei prezzi “franco fabbrica” o [“CIF”], anche aumentati dei dazi antidumping, per dimostrare che, durante il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione, essa traslava i dazi antidumping nei suoi prezzi di rivendita nell’Unione. La ricorrente avrebbe dovuto fornire elementi atti a dimostrare che i suoi prezzi “reso sdoganato” praticati durante detto periodo coprivano tutti i costi sostenuti a tale stadio per i prodotti in questione, compresi i dazi antidumping, cosa che essa non ha fatto. La Commissione ha quindi correttamente detratto il dazio antidumping dal prezzo di rivendita al primo acquirente indipendente nell’Unione per calcolare il prezzo all’esportazione costruito per il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione, in quanto non era stato dimostrato che il dazio antidumping fosse debitamente traslato nel primo di tali prezzi. Pertanto, non occorre esaminare gli argomenti esposti dalle parti riguardo all’attendibilità o al metodo di calcolo di tali prezzi “franco fabbrica” o [“CIF”]. Per quanto concerne l’affermazione della ricorrente, espressa nella replica, secondo cui anche il confronto dei prezzi di rivendita allo stadio “reso sdoganato” produrrebbe un risultato che dovrebbe dar luogo a una restituzione parziale dei dazi, si deve rilevare che, ad ogni modo, essa non è sufficientemente suffragata da poter essere presa in considerazione nell’ambito del controllo di legittimità delle decisioni [controverse] (v., in tal senso, sentenza del 17 marzo 2015, RFA International/Commissione, T‑466/12, EU:T:2015:151, punto 44 e giurisprudenza citata).

79

Da quanto precede risulta che il secondo motivo della ricorrente, basato sulla violazione dell’articolo 11, paragrafi 9 e 10, del regolamento di base nella costruzione del prezzo all’esportazione, è parimenti infondato».

Conclusioni delle parti dinanzi alla Corte

26

La RFA chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata;

statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta;

in subordine, rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo; e

condannare la Commissione alle spese sostenute nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte e del procedimento dinanzi al Tribunale.

27

La Commissione chiede che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione in quanto infondata e

condannare la RFA alle spese.

Sull’impugnazione

28

A sostegno della sua impugnazione, la RFA solleva due motivi. Con il suo primo motivo, che riguarda i punti da 69 a 71 della sentenza impugnata, essa critica il Tribunale per aver pronunciato una sentenza viziata da un difetto di motivazione, per aver formulato constatazioni di fatto materialmente inesatte e per aver operato un’interpretazione errata dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base. Con il suo secondo motivo, che concerne i punti da 72 a 75, 77 e 78 della sentenza impugnata, la ricorrente addebita al Tribunale di aver commesso un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 10, di tale regolamento.

Sul primo motivo

29

Il primo motivo si compone di due parti. Con la prima parte di tale motivo, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è viziata da un difetto di motivazione, in quanto il Tribunale non ha risposto al suo argomento relativo all’assenza di un mutamento di circostanze. Con la seconda parte di tale motivo, la ricorrente contesta al Tribunale di aver fornito constatazioni di fatto materialmente inesatte e di aver commesso un errore di diritto nella sua interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base.

Sulla prima parte del primo motivo, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

– Argomenti delle parti

30

Con la prima parte del suo primo motivo, la RFA addebita al Tribunale di aver violato il suo obbligo di motivazione in quanto, da un lato, nell’aver sintetizzato, ai punti da 69 a 71 della sentenza impugnata, le ragioni esposte dalla ricorrente in merito alla violazione, da parte della Commissione, dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, esso avrebbe omesso di prendere in considerazione l’argomento relativo all’assenza di un mutamento di circostanze, ai sensi di tale disposizione.

31

Dall’altro lato, la ricorrente ritiene che il Tribunale non abbia sufficientemente esposto, alla luce dei requisiti di cui all’articolo 36 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, le ragioni per le quali è giunto alla sua conclusione relativa all’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base.

32

La Commissione ritiene che la prima parte del primo motivo sia infondata.

– Giudizio della Corte

33

Secondo una costante giurisprudenza, l’obbligo di motivare le sentenze, che incombe al Tribunale ai sensi dell’articolo 36 e dell’articolo 53, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, non implica che esso debba fornire una spiegazione che ripercorra esaustivamente e singolarmente tutti i ragionamenti svolti dalle parti nella controversia. La motivazione può quindi essere implicita, a condizione che consenta agli interessati di conoscere le ragioni della decisione adottata e alla Corte di disporre degli elementi sufficienti per esercitare il suo controllo giurisdizionale (v., in tal senso, sentenze del 14 giugno 2016, Commissione/McBride e a., C‑361/14 P, EU:C:2016:434, punto 61, nonché del 25 ottobre 2017, PPG e SNF/ECHA, C‑650/15 P, EU:C:2017:802, punto 44).

34

Nel caso di specie, occorre constatare che, nell’aver fatto riferimento, ai punti da 69 a 71 della sentenza impugnata, all’aumento sostanziale dei costi di produzione del ferrosilicio in Russia, verificatosi tra i due periodi d’inchiesta considerati, il Tribunale ha effettivamente preso in esame l’argomento relativo al mutamento di circostanze.

35

Inoltre, esso ha sottolineato, in particolare ai punti 69 e 70 della sentenza impugnata, le ragioni sottese alla conclusione a cui è giunto riguardo all’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base. Infatti, da un lato, riferendosi all’articolo 11, paragrafo 10, di tale regolamento, il Tribunale ha dichiarato, nella prima frase del punto 69 di detta sentenza, che era giustificato che, in caso di evoluzione significativa dei costi di produzione del prodotto di cui trattasi tra il periodo di inchiesta preso in considerazione precedentemente e il nuovo periodo di inchiesta, la Commissione tenesse conto, nell’ambito della valutazione della traslazione dei dazi antidumping nei prezzi di rivendita nell’Unione in tale ultimo periodo, non dei prezzi di rivendita rilevati nel primo di detti periodi, bensì dei costi osservati durante il nuovo periodo di inchiesta. Dall’altro lato, il Tribunale, rispondendo implicitamente all’argomento della ricorrente vertente su una violazione dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, ha dichiarato, alla seconda frase del punto 69 della sentenza impugnata che «[q]ueste considerazioni valgono anche qualora possa ritenersi che sia intervenuto un cambiamento di metodo rispetto a quanto è stato fatto nell’ambito di un’inchiesta precedente, il che avviene nel caso di specie, contrariamente a quanto sostenuto in via principale dalla Commissione nelle decisioni impugnate». Esso ha esposto a tal fine, al punto 70 di detta sentenza, le ragioni per cui un cambiamento di metodo era in ogni caso giustificato.

36

In tali circostanze, occorre considerare che, pur essendo vero che gli argomenti della ricorrente sono stati esaminati brevemente nella sentenza impugnata, ciò non toglie che il ragionamento del Tribunale sia chiaro e tale da consentire tanto alla Corte di esercitare il suo sindacato giurisdizionale, quanto alla ricorrente di conoscere le ragioni per le quali il Tribunale ha respinto implicitamente il suo argomento secondo cui, tra i due periodi considerati, non sarebbe intervenuto alcun mutamento di circostanze atto a giustificare un cambiamento di metodo, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base. Ne consegue che il Tribunale ha così adempiuto l’obbligo di motivazione ad esso incombente.

37

Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dalla circostanza che la RFA è in disaccordo con l’analisi effettuata dal Tribunale ai punti da 69 a 71 della sentenza impugnata. Infatti, tale circostanza non può dimostrare l’esistenza di un difetto di motivazione della sentenza impugnata, dal momento che un siffatto disaccordo verte sulla fondatezza di tale analisi (v., in tal senso, ordinanza del 14 aprile 2016, KS Sports/EUIPO, C‑480/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:266, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

38

Orbene, secondo costante giurisprudenza, le censure e gli argomenti diretti a contestare la fondatezza di un atto non sono pertinenti nell’ambito di un motivo vertente sul difetto o sull’insufficienza di motivazione (v., in tal senso, sentenza del 18 giugno 2015, Ipatau/Consiglio, C‑535/14 P, EU:C:2015:407, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

39

Alla luce degli elementi che precedono, occorre respingere la prima parte del primo motivo in quanto infondata.

Sulla seconda parte del primo motivo, vertente su un errore di diritto commesso dal Tribunale nell’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base e su contestazioni di fatto materialmente inesatte

– Argomenti delle parti

40

Con la seconda parte del suo primo motivo, la RFA sostiene che il Tribunale, ai punti da 69 a 71 della sentenza impugnata, ha commesso un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base e, inoltre, ha proceduto a constatazioni di fatto materialmente inesatte.

41

In primo luogo, la ricorrente addebita al Tribunale di aver erroneamente considerato che la Commissione potesse correttamente procedere a una valutazione della traslazione dei dazi antidumping nei prezzi di rivendita nell’Unione non alla luce del prezzo di rivendita identificato nelle inchieste precedenti, vale a dire, in particolare, quella che ha portato all’adozione del regolamento n. 172/2008 e le inchieste di restituzione precedenti riguardanti le stesse misure, bensì dei costi di produzione del ferrosilicio in Russia. Così facendo, la Commissione non avrebbe applicato lo stesso metodo utilizzato in precedenza, senza che ciò fosse giustificato da un mutamento di circostanze, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base.

42

A tal riguardo, la RFA precisa che nel caso di specie non è intervenuto alcun mutamento di circostanze atto a giustificare l’abbandono del metodo precedentemente impiegato. Infatti, il mutamento preso in considerazione dal Tribunale ai punti da 69 a 71 della sentenza impugnata, legato all’aumento di oltre il 100% dei costi di produzione del ferrosilicio in Russia, esisteva ed era già noto alla Commissione durante le precedenti inchieste effettuate nel corso degli anni dal 2008 al 2010.

43

A tale proposito, la ricorrente deduce, da un lato, che, nell’essersi basato sulla premessa rilevata dalla Commissione, secondo la quale l’aumento dei costi di produzione del prodotto di cui trattasi sarebbe intervenuto solo nel corso del terzo e del quarto periodo dell’inchiesta di restituzione, il Tribunale avrebbe fornito, ai punti contestati della sentenza impugnata, constatazioni di fatto materialmente inesatte. Orbene, tali constatazioni di fatto erronee avrebbero condotto a valutazioni errate in diritto, che sarebbero in contrasto con una giurisprudenza costante in forza della quale, se le circostanze addotte esistevano già nel corso delle precedenti inchieste, non vi è alcun mutamento delle circostanze ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base (sentenza del 3 maggio 2018, Distillerie Bonollo e a./Consiglio, T‑431/12, EU:T:2018:251).

44

Dall’altro lato, nella sua replica, la ricorrente rileva che il Tribunale avrebbe snaturato i fatti nel ritenere che l’aumento dei costi di produzione, dedotto dalla Commissione, fosse intervenuto solo nel corso del terzo e del quarto periodo dell’inchiesta di restituzione precedenti l’adozione delle decisioni controverse, mentre tale aumento esisteva già durante le inchieste svoltesi nel corso degli anni dal 2008 al 2010.

45

In secondo luogo, la ricorrente addebita, in sostanza, al Tribunale di non aver constatato che la Commissione sarebbe venuta meno ai requisiti dell’onere della prova ad essa incombente in base alla giurisprudenza relativa all’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base (sentenza del 19 settembre 2013, Dashiqiao Sanqiang Refractory Materials/Consiglio, C‑15/12 P, EU:C:2013:572, punti 1718), in quanto avrebbe proceduto a un cambiamento di metodo, senza tuttavia aver dimostrato che le circostanze erano mutate.

46

In terzo luogo, la ricorrente ritiene, in sostanza, che i motivi indicati dal Tribunale al punto 70 della sentenza impugnata segnalino che il cambiamento di metodo così intervenuto era giustificato dalla circostanza che il nuovo metodo, applicato dalla Commissione nell’ambito del terzo e del quarto periodo dell’inchiesta di restituzione, era «più appropriato». Orbene, così facendo, il Tribunale avrebbe disatteso la giurisprudenza secondo la quale, per giustificare un cambiamento di metodo, non è sufficiente che un nuovo metodo sia più appropriato rispetto al precedente nel caso in cui quest’ultimo sia conforme all’articolo 2 del regolamento di base (sentenza dell’8 luglio 2008, Huvis/Consiglio, T‑221/05, non pubblicata, EU:T:2008:258, punto 50).

47

La ricorrente critica, inoltre, la constatazione operata dal Tribunale allo stesso punto 70 della sentenza impugnata, secondo cui il cambiamento di metodo garantirebbe tanto la solidità dell’analisi nel confronto di situazioni complesse sotto il profilo economico quanto la parità di trattamento tra gli operatori che possono essere soggetti alle medesime misure.

48

In quarto luogo, la RFA contesta la tesi sostenuta dalla Commissione secondo cui l’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base non sarebbe applicabile nel caso di specie, tenuto conto del fatto che la questione di un’eventuale detrazione dei dazi antidumping pagati dal prezzo all’esportazione non poteva porsi nell’ambito dell’inchiesta iniziale all’origine del regolamento n. 172/2008.

49

Secondo la ricorrente, tale argomento della Commissione è erroneo sia in fatto che in diritto.

50

Tale considerazione sarebbe corroborata, sul piano fattuale, dall’oggetto stesso della presente impugnazione, in quanto essa riguarderebbe non già la costruzione del prezzo all’esportazione, come interpretato dalla Commissione, bensì il cambiamento di metodo intervenuto, per quanto riguarda il calcolo del margine di dumping, tra l’inchiesta iniziale che ha portato all’adozione del regolamento n. 172/2008 e il terzo e il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione.

51

Sotto il profilo giuridico, la ricorrente sostiene, da un lato, che, se la tesi della Commissione dovesse essere accolta, essa avrebbe la conseguenza di privare di efficacia l’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, in quanto non vi sarebbe mai un’inchiesta iniziale con un prezzo all’esportazione costruito, nel calcolo del quale occorra tener conto dei dazi antidumping pagati. Dall’altro, il surrettizio tentativo di sostituzione della motivazione della Commissione sarebbe anch’esso giuridicamente erroneo, dal momento che né la Commissione, vuoi nell’ambito del procedimento amministrativo che ha preceduto l’adozione delle decisioni controverse, vuoi nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, né quest’ultimo hanno lasciato intendere in qualche modo che tale disposizione non si applichi nel caso di specie.

52

La Commissione ritiene che la seconda parte del primo motivo debba essere respinta in quanto in parte irricevibile e in parte inconferente o, in ogni caso, infondata.

– Giudizio della Corte

53

A norma dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, in tutte le inchieste di riesame la Commissione, se le circostanze non sono cambiate, deve applicare gli stessi metodi impiegati nell’inchiesta conclusa con l’istituzione del dazio di cui trattasi, tenendo debitamente conto delle disposizioni dell’articolo 2 di tale regolamento.

54

Secondo la giurisprudenza della Corte, l’eccezione che permette alle istituzioni di avvalersi nel corso di un procedimento di riesame di un metodo diverso da quello utilizzato nel procedimento iniziale se è intervenuto un mutamento delle circostanze deve necessariamente essere oggetto di un’interpretazione restrittiva, poiché una deroga o un’eccezione ad una regola generale deve essere interpretata restrittivamente (sentenza del 19 settembre 2013, Dashiqiao Sanqiang Refractory Materials/Consiglio, C‑15/12 P, EU:C:2013:572, punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

55

A tale proposito occorre sottolineare che l’onere della prova incombe alle istituzioni che devono provare che è intervenuto un mutamento delle circostanze per avvalersi, nel corso di un’inchiesta di riesame o di restituzione, di un metodo diverso da quello utilizzato nell’inchiesta iniziale (sentenza del 19 settembre 2013, Dashiqiao Sanqiang Refractory Materials/Consiglio, C‑15/12 P, EU:C:2013:572, punto 18).

56

La necessità di un’interpretazione restrittiva non può tuttavia consentire alle istituzioni di interpretare e di applicare tale disposizione in un modo incompatibile con la formulazione e la finalità di quest’ultima (sentenza del 19 settembre 2013, Dashiqiao Sanqiang Refractory Materials/Consiglio, C‑15/12 P, EU:C:2013:572, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).

57

Nel caso di specie, è giocoforza constatare che la differenza nell’approccio della Commissione, quale approvato dal Tribunale nella prima frase del punto 69 della sentenza impugnata, ai sensi della quale «è giustificato che, in caso di evoluzione significativa dei costi di produzione dei prodotti di cui trattasi tra il periodo di inchiesta preso in considerazione precedentemente e il nuovo periodo di inchiesta, la Commissione tenga conto, per accertare se i dazi antidumping siano debitamente traslati nei prezzi di rivendita di detti prodotti nell’Unione in tale ultimo periodo, non dei prezzi di rivendita rilevati nel primo di detti periodi, bensì dei costi osservati durante il nuovo periodo di inchiesta» deriva non da un «cambiamento di metodo», ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base, bensì da un mero aggiornamento del parametro relativo ai costi di produzione del prodotto di cui trattasi.

58

A tal riguardo, occorre inoltre sottolineare che precisazioni relative a tale differenza di comprensione della traslazione dei dazi antidumping nei prezzi di rivendita nell’Unione sono state fornite dalla Commissione in risposta ai quesiti scritti che le sono stati inviati dalla Corte nell’ambito del presente procedimento. Essa ha così rilevato quanto segue:

«A seconda delle circostanze specifiche di ciascun caso, esistono diversi possibili punti di confronto pertinenti per valutare se un aumento dei prezzi di vendita applicati ad acquirenti indipendenti dell’Unione comprenda i dazi antidumping.

Se la situazione di fatto non differisce da quella esistente nel periodo dell’inchiesta [iniziale] conclusa con l’istituzione [del dazio antidumping], la prima fase consiste nel limitare il confronto dei prezzi di rivendita (e di vendita successiva) del periodo dell’inchiesta relativa alla restituzione con quelli del periodo dell’inchiesta iniziale. Tuttavia, tale confronto tra due entrate nel corso di periodi diversi è sufficiente solo se gli altri fattori in grado di influenzare il livello dei prezzi sono rimasti invariati rispetto al periodo dell’inchiesta iniziale, poiché i prezzi possono essere diminuiti o aumentati indipendentemente dall’istituzione di dazi antidumping.

Di conseguenza, una seconda fase, basata sul confronto dei costi, può essere richiesta qualora, in particolare, un’inchiesta relativa alla restituzione o un riesame intermedio abbia luogo molto tempo dopo l’istituzione iniziale dei dazi antidumping. Infatti, in tal caso, i prezzi di rivendita possono essere cambiati a causa di fattori esterni (come una modifica dei costi di esportazione, un aumento o una diminuzione dei prezzi delle materie prime, una fluttuazione dei prezzi dovuta, ad esempio, alla stagionalità). (...) Nel caso in cui altri fattori abbiano influenzato il prezzo di rivendita, occorre distinguere tali altri fattori dalla potenziale incidenza del dazio antidumping al fine di stabilire se tale dazio sia effettivamente “traslato” nel prezzo di rivendita».

59

Ne consegue che il mero aggiornamento del parametro relativo ai costi di produzione del prodotto di cui trattasi, al quale la Commissione ha proceduto a causa dell’aumento sostanziale di tali costi, intervenuto tra l’inchiesta che ha portato al regolamento n. 172/2008 e il terzo e il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione che ha preceduto l’adozione delle decisioni controverse, non può essere considerato un cambiamento di metodo, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base.

60

Pertanto, il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel constatare, al punto 69 della sentenza impugnata, che è intervenuto un cambiamento di metodo rispetto a quanto è stato fatto nell’ambito di un’inchiesta precedente.

61

Si deve tuttavia ricordare che, qualora i motivi di una decisione del Tribunale rivelino una violazione del diritto dell’Unione, ma il dispositivo di quest’ultima appaia fondato per altri motivi di diritto, una tale violazione non è in grado di comportare l’annullamento della decisione e si deve dunque procedere a una sostituzione della motivazione (sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C‑599/14 P, EU:C:2017:583, punto 75).

62

Ciò si verifica nel caso di specie. Come risulta dai punti da 57 a 59 della presente sentenza, il medesimo metodo ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 9, del regolamento di base è stato applicato nel corso delle inchieste in questione, cosicché il Tribunale ha giustamente dichiarato, al punto 79 della sentenza impugnata, che il motivo vertente su una violazione di tale disposizione doveva essere respinto.

63

Gli altri argomenti dedotti dalla ricorrente nell’ambito della seconda parte del primo motivo, tutti diretti a mettere in discussione le valutazioni del Tribunale relative al carattere giustificato dell’asserito cambiamento di metodo che la Commissione avrebbe applicato nelle decisioni controverse, sono parimenti inconferenti per i motivi esposti ai punti da 57 a 59 della presente sentenza.

64

Alla luce di tutti gli elementi che precedono, occorre respingere la seconda parte del primo motivo in quanto inconferente. Di conseguenza, il primo motivo deve essere integralmente respinto.

Sul secondo motivo

65

Il secondo motivo, vertente su un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, si articola in due parti. Con la prima parte di tale motivo, la ricorrente critica il Tribunale per aver applicato, nell’ambito della determinazione dei nuovi prezzi all’esportazione, un criterio giuridico errato, in forza del quale tali prezzi dovevano comprendere non solo i dazi antidumping, ma anche tutti i costi di produzione del prodotto di cui trattasi. Con la seconda parte di detto motivo, la ricorrente contesta al Tribunale di aver considerato che, in forza del criterio così elaborato, la prova dell’incorporazione dei dazi antidumping nei prezzi all’esportazione poteva essere prodotta soltanto mediante dati relativi ai prezzi «reso sdoganato».

Sulla prima parte del secondo motivo, relativa al fatto che il Tribunale avrebbe applicato un criterio giuridico errato per determinare i nuovi prezzi all’esportazione

– Argomenti delle parti

66

Con la prima parte del suo secondo motivo, la RFA sostiene che il Tribunale, ai punti da 72 a 75 della sentenza impugnata, è incorso in un errore di diritto nell’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, in quanto ha ritenuto che i dazi antidumping da essa pagati nel corso del terzo e del quarto periodo dell’inchiesta di restituzione non fossero debitamente traslati nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nell’Unione, dato che i prezzi all’esportazione non coprivano tutti i costi di produzione dei prodotti di cui trattasi.

67

La conclusione tratta dal Tribunale ai suddetti punti sarebbe giuridicamente errata, dal momento che non sarebbe suffragata né dalle disposizioni pertinenti del regolamento di base, vale a dire il considerando 17 e l’articolo 11, paragrafo 10, di tale regolamento, né dal punto 4.1, lettera b), della comunicazione della Commissione relativa alla restituzione dei dazi antidumping, né dalla prassi decisionale della Commissione.

68

Secondo la ricorrente, l’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base presupponeva soltanto che la parte richiedente la restituzione fornisse elementi di prova inoppugnabili del fatto che i dazi antidumping fossero debitamente traslati nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nell’Unione. Tale requisito sarebbe soddisfatto ove fosse possibile dimostrare che i prezzi di rivendita e i successivi prezzi di vendita nell’Unione erano aumentati in misura sufficiente rispetto ai prezzi rilevati nel corso dell’inchiesta iniziale. Un simile aumento rifletterebbe, infatti, il fatto che tali prezzi incorporavano i dazi antidumping.

69

La Commissione ritiene che la prima parte del secondo motivo sia in parte irricevibile e in parte inconferente e, in ogni caso, infondata.

– Giudizio della Corte

70

Ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 8, primo comma, del regolamento di base, un importatore può chiedere la restituzione dei dazi antidumping pagati se può dimostrare che il margine di dumping in base al quale sono stati pagati tali dazi è stato eliminato o ridotto ad un livello inferiore al dazio in vigore.

71

All’articolo 11, paragrafo 10, di tale regolamento, il legislatore dell’Unione ha previsto la possibilità, nell’ambito della costruzione del prezzo all’esportazione, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 9, di detto regolamento, di non detrarre da tale prezzo l’importo corrispondente ai dazi antidumping pagati, «quando sono forniti elementi di prova inoppugnabili del fatto che tale [importo] è debitamente traslato nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nell’[Unione]».

72

Nel caso di specie, il Tribunale ha rilevato, al punto 71 della sentenza impugnata, che «l’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base non implica affatto, nei limiti in cui esso riguarda la questione se “il dazio è debitamente traslato nei prezzi di rivendita”, che per poter beneficiare di una risposta positiva soltanto l’equivalente del dazio antidumping deve essere integrato nel nuovo prezzo di rivendita oltre al prezzo di rivendita praticato in precedenza. Infatti, un dazio aggiuntivo rispetto ai costi normalmente sostenuti è “debitamente traslato” solo se si aggiunge a questi altri costi. Orbene, se tali altri costi aumentano, ma il prezzo di rivendita aumenta meno, in realtà il dazio è solo parzialmente o per nulla aggiunto a questi altri costi, anche se l’equivalente del dazio è stato aggiunto al prezzo di rivendita praticato in precedenza».

73

Ai punti da 72 a 74 di tale sentenza, il Tribunale ha spiegato le ragioni per le quali riteneva che l’aumento evidenziato dalla ricorrente di oltre il 100% dei prezzi di rivendita del prodotto di cui trattasi nell’Unione tra l’inchiesta iniziale e il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione non fosse sufficiente, di per sé, per dimostrare che i dazi antidumping erano stati interamente traslati in tali prezzi, dichiarando, in particolare, che «[è] sufficiente (...) che i costi di produzione siano aumentati più dei prezzi praticati per far sì che questi ultimi non riflettano correttamente i dazi antidumping, tenendo conto dell’evoluzione dei costi di produzione. Orbene, ciò è a priori provato dal fatto, rilevato dalla Commissione, che nel 99% dei casi il costo dei beni, compreso il dazio antidumping, non era coperto dai prezzi di rivendita nell’Unione [durante il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione]».

74

Alla luce di tali elementi, il Tribunale ha considerato, al punto 75 di detta sentenza, che la Commissione non aveva commesso errori nel detrarre i dazi antidumping dal prezzo di rivendita al primo acquirente indipendente nell’Unione per calcolare il prezzo all’esportazione costruito del prodotto di cui trattasi per il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione, in quanto la ricorrente non aveva dimostrato che tali dazi erano stati debitamente traslati nel primo di tali prezzi.

75

Occorre constatare, anzitutto, che, nei limiti in cui i punti da 72 a 75 della sentenza impugnata, che sono i soli contestati dalla ricorrente nell’ambito della prima parte del secondo motivo, riguardano solo il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione, l’argomento presentato dalla ricorrente per quanto riguarda il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione è inconferente.

76

Si devono poi respingere in quanto irricevibili le affermazioni della ricorrente menzionate ai punti 66 e 68 della presente sentenza, dal momento che, da un lato, esse mirano, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale ai paragrafi 82 e 83 delle sue conclusioni, a rimettere in discussione le valutazioni di mero fatto effettuate dal Tribunale ai punti da 72 a 75 della sentenza impugnata. Orbene, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2020, Larko/Commissione, C‑244/18 P, EU:C:2020:238, punto 25 e giurisprudenza ivi citata), non spetta a quest’ultima, nell’ambito di un’impugnazione, rimettere in discussione siffatte valutazioni, salvo nei casi in cui esse derivino da uno snaturamento dei documenti del fascicolo, che non è dedotto nel caso di specie.

77

Dall’altro lato, si deve osservare che gli elementi addotti dalla ricorrente in tale contesto non contengono alcuna argomentazione giuridica intesa a dimostrare in che modo il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto. Tali considerazioni non soddisfano quindi i requisiti giurisprudenziali in forza dei quali un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda (v., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2013, Wam Industriale/Commissione, C‑560/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:726, punto 42).

78

Occorre inoltre rilevare che la ricorrente non ha neppure presentato argomenti giuridici volti a dimostrare sotto quale profilo l’approccio seguito dal Tribunale ai punti contestati della sentenza impugnata nell’ambito della prima parte del secondo motivo si discostasse dalle disposizioni del regolamento di base menzionate al punto 67 della presente sentenza, o ancora dal punto 4.1, lettera b), della comunicazione della Commissione relativa alla restituzione dei dazi antidumping.

79

Per quanto riguarda, infine, l’argomento sollevato dalla RFA secondo cui tale approccio del Tribunale sarebbe sostanzialmente contrario alla prassi decisionale anteriore delle istituzioni, è sufficiente rilevare che, secondo una giurisprudenza costante, è solo nell’ambito dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base che deve essere valutata la questione se vi sia stata traslazione dei dazi antidumping nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nell’Unione, e non con riferimento alla pretesa prassi decisionale anteriore della Commissione (v., in tal senso, per analogia, sentenza del 15 novembre 2011, Commissione e Spagna/Government of Gibraltar e Regno Unito, C‑106/09 P e C‑107/09 P, EU:C:2011:732, punto 136 e giurisprudenza ivi citata).

80

Alla luce degli elementi che precedono, occorre respingere la prima parte del secondo motivo in quanto in parte irricevibile e in parte inconferente.

Sulla seconda parte del secondo motivo, vertente sul fatto che il Tribunale avrebbe erroneamente limitato la portata delle prove richieste ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base ai soli dati relativi al prezzo «reso sdoganato»

– Argomenti delle parti

81

Con la seconda parte del secondo motivo, la RFA contesta al Tribunale di aver considerato, ai punti 77 e 78 della sentenza impugnata, che i dati «reso sdoganato» erano gli unici dati idonei a confermare che i prezzi di rivendita nell’Unione del prodotto di cui trattasi incorporavano i dazi antidumping, limitando in tal modo la portata degli elementi di prova accettabili ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base. Inoltre, la ricorrente addebita al Tribunale di aver dichiarato che i dati da essa forniti, basati sui prezzi «franco fabbrica» e «CIF», erano incompleti e, pertanto, inutilizzabili.

82

Secondo la RFA, spettava alla Commissione, in forza del criterio giuridico da essa stabilito al punto 4.1, lettera b), della comunicazione relativa alla restituzione dei dazi antidumping, verificare e confermare se l’aumento dei prezzi di rivendita nell’Unione intervenuto tra l’inchiesta iniziale e il terzo e il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione incorporasse debitamente i dazi antidumping. Essa rammenta, a tal proposito, la giurisprudenza secondo la quale, nei limiti in cui tale comunicazione non viola norme di rango superiore, essa vincola la Commissione (sentenze del 28 gennaio 1992, Soba, C‑266/90, EU:C:1992:36, punto 19, e del 2 dicembre 2010, Holland Malt/Commissione, C‑464/09 P, EU:C:2010:733, punto 47).

83

Pertanto, l’unico requisito che incombe alla ricorrente, nella sua qualità di richiedente una restituzione di dazi antidumping, sarebbe quello di presentare elementi di prova inoppugnabili attestanti un cambiamento di comportamento in materia di prezzi nei confronti di acquirenti indipendenti nel mercato dell’Unione a seguito dell’imposizione di tali dazi. Inoltre, in assenza di indicazioni in tal senso nelle disposizioni giuridiche applicabili, sarebbe irrilevante il fatto che tali elementi di prova siano stati forniti sulla base dei prezzi «reso sdoganato», «franco fabbrica» o ancora «CIF».

84

A tal riguardo, la RFA precisa di aver fornito alla Commissione tutta una serie di elementi di prova inoppugnabili, che illustravano l’evoluzione dei suoi prezzi, fissati come prezzi «franco fabbrica» e «CIF» alla frontiera dell’Unione, a partire dall’inchiesta iniziale e fino al quarto periodo dell’inchiesta di restituzione. Tali prezzi sarebbero stati fissati sulla base dei prezzi «reso sdoganato» effettivi e avrebbero incluso l’importo corrispondente ai dazi antidumping. I dati forniti dalla ricorrente avrebbero mostrato un aumento del prezzo di rivendita del 193% allo stadio «franco fabbrica» e del 142% allo stadio «CIF» rispetto al periodo dell’inchiesta iniziale. Orbene, tale aumento coprirebbe ampiamente sia il dazio antidumping del 22,7% che l’aumento del 100% dei costi di produzione del prodotto di cui trattasi, rilevato dalla Commissione per gli stessi periodi.

85

La RFA aggiunge, nell’ambito della sua replica, di avere difficoltà a comprendere le ragioni per le quali la Commissione ritiene che solo i prezzi «reso sdoganato» siano prezzi alla frontiera dell’Unione, mentre, nelle decisioni controverse, essa ha rilevato che anche i prezzi «franco fabbrica» e «CIF» costituivano prezzi di questo tipo. Tale valutazione sarebbe corroborata dalle considerazioni formulate dal Tribunale al punto 24 della sentenza impugnata, in virtù del quale «[p]er quanto riguarda la determinazione del prezzo all’esportazione, la Commissione ha indicato che quest’ultimo doveva essere, in definitiva, adeguato anche al livello “franco fabbrica” al fine di consentire un confronto appropriato con il valore normale. Essa ha ricordato che la ricorrente era un’impresa collegata alla CHEMK e alla KF e che, di conseguenza, in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 9, del regolamento di base, per ottenere un prezzo all’esportazione attendibile, occorreva costruire quest’ultimo a partire dal prezzo della prima rivendita a un acquirente indipendente nell’Unione. La Commissione ha osservato che nella fattispecie si trattava, nella maggior parte dei casi, di un prezzo “reso sdoganato”, vale a dire tutte le spese sostenute dal venditore all’arrivo nel luogo di consegna (poiché la ricorrente aveva praticato un siffatto tipo di prezzo nel 79% dei casi durante il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione e nell’89% dei casi durante il quarto). La Commissione ha altresì ricordato che il prezzo all’esportazione era il prezzo alla frontiera dell’Unione, di norma corrispondente al prezzo [“CIF”], vale a dire tutte le spese sostenute a monte del passaggio della frontiera incluse nel prezzo (...)».

86

La Commissione ritiene che la seconda parte del secondo motivo sia infondata.

– Giudizio della Corte

87

Come rilevato al punto 71 della presente sentenza, all’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, il legislatore dell’Unione ha previsto la possibilità di non detrarre i dazi antidumping dal prezzo all’esportazione costruito, a condizione che «elementi di prova inoppugnabili» siano forniti dal richiedente la restituzione, dimostrando che tali dazi sono debitamente traslati nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nell’Unione.

88

A tal riguardo, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 92 delle sue conclusioni, la prova della traslazione dei dazi antidumping nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nell’Unione può essere fornita in qualunque modo, a condizione che essa sia «inoppugnabile».

89

Nel caso di specie, al punto 77 della sentenza impugnata, dopo aver precisato che la valutazione della traslazione dei dazi antidumping nei prezzi di rivendita nell’Unione doveva essere svolta a uno stadio di commercializzazione successivo al pagamento di tali dazi, vale a dire a uno stadio in cui il prezzo tiene conto di costi supplementari rispetto a quelli considerati allo stadio dei prezzi “franco fabbrica” o “CIF”, il Tribunale ha segnatamente rilevato che, nell’ambito della valutazione dei prezzi di rivendita nell’Unione, effettuata nel contesto dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, la Commissione doveva analizzare tali prezzi tenendo conto di tutti i costi sostenuti prima di detta rivendita. Infatti, secondo il Tribunale, «un’analisi dei prezzi fissati allo stadio dei prezzi “franco fabbrica” o [“CIF”] non sarebbe coerente, neppure qualora si aggiungessero artificialmente a questi prezzi i dazi antidumping come secondo la ricorrente sarebbe stato fatto, vale a dire senza tenere conto di un certo numero di costi sopportati prima di tale rivendita».

90

Esso ha aggiunto, al suddetto punto, che, nell’ambito di tale valutazione, era indispensabile verificare se gli elementi forniti dall’importatore di cui trattasi dimostrassero che il prezzo effettivamente pagato dai primi acquirenti indipendenti nell’Unione durante il periodo in esame rifletteva debitamente i dazi antidumping. Nel caso di specie, tale verifica sarebbe stata agevolata in quanto la RFA vendeva il prodotto di cui trattasi prevalentemente sulla base dei prezzi «reso sdoganato», i quali erano comprensivi di tutti i costi intervenuti a monte della consegna.

91

Alla luce di tali elementi, il Tribunale ha considerato, in sostanza, al punto 78 della sentenza impugnata, che non era sufficiente, al fine di rispondere ai requisiti relativi all’onere della prova a carico della ricorrente ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, che quest’ultima si basasse unicamente sull’evoluzione dei prezzi praticati allo stadio «franco fabbrica» o «CIF», anche aumentati dei dazi antidumping, per dimostrare che, durante il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione, essa aveva traslato i dazi antidumping nei suoi prezzi di rivendita nell’Unione. A tal fine, essa avrebbe dovuto fornire elementi atti a dimostrare che i prezzi «reso sdoganato» che essa aveva praticato durante detto periodo coprivano tutti i costi sostenuti, compresi i dazi antidumping, cosa che tuttavia non aveva fatto. Pertanto, la Commissione non avrebbe commesso errori nel detrarre i dazi antidumping dal prezzo di rivendita al primo acquirente indipendente nell’Unione per calcolare il prezzo all’esportazione costruito per il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione.

92

Occorre constatare, anzitutto, che, poiché i punti 77 e 78 della sentenza impugnata, che sono i soli contestati dalla ricorrente nell’ambito della seconda parte del secondo motivo, riguardano solo il terzo periodo dell’inchiesta di restituzione, l’argomento presentato dalla ricorrente per quanto riguarda il quarto periodo dell’inchiesta di restituzione è inconferente.

93

Si deve poi precisare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, l’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base fa gravare l’onere della prova sulla parte che richiede la restituzione, in quanto, ai sensi di tale disposizione, la Commissione deve effettuare solo un esame del contenuto degli elementi di prova forniti da tale parte, nonché le verifiche sottese a tale esame, al fine di determinare se quest’ultima abbia provato in modo sufficiente e inoppugnabile che il dazio antidumping era debitamente traslato nei prezzi di rivendita nell’Unione.

94

Inoltre, occorre considerare che, con il riferimento all’aggettivo «inoppugnabili» all’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, il legislatore dell’Unione ha inteso imporre, nell’ambito di tale disposizione, un livello di onere della prova ancora maggiore di quello generalmente previsto ai sensi del regolamento di base. Tale interpretazione è corroborata dal punto 4.1, lettera b), della comunicazione della Commissione relativa alla restituzione dei dazi antidumping, in quanto esso richiede che la parte che chiede la restituzione fornisca «elementi di prova inoppugnabili» del fatto che il dazio antidumping sia debitamente traslato nei prezzi di rivendita e nei successivi prezzi di vendita nell’Unione.

95

Nel caso di specie, a seguito dell’esame di tutti gli elementi di prova forniti dalla ricorrente, la Commissione ha ritenuto che essi non dimostrassero in modo inoppugnabile ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, letto alla luce del punto 4.1, lettera b), della comunicazione della Commissione relativa alla restituzione dei dazi antidumping, che questi ultimi fossero debitamente e incontestabilmente traslati nei prezzi di rivendita nell’Unione. Nei punti contestati della sentenza impugnata, il Tribunale è giunto a questa stessa conclusione, dopo aver proceduto alla propria valutazione degli elementi di prova forniti dalla ricorrente.

96

Pertanto, occorre considerare che l’argomento della RFA secondo cui il Tribunale avrebbe limitato la portata degli elementi di prova accettabili ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base ai soli dati relativi ai prezzi «reso sdoganato» deriva da un’interpretazione erronea della sentenza impugnata.

97

Tale argomento deve pertanto essere respinto in quanto infondato.

98

Lo stesso vale per le affermazioni della RFA di cui ai punti 82 e 83 della presente sentenza, con le quali la ricorrente critica, in sostanza, l’applicazione, da parte del Tribunale, delle norme relative alla ripartizione dell’onere della prova, ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base, dal momento che, come sottolineato al punto 93 della presente sentenza, l’onere della prova principale ai sensi di tale disposizione gravava su di essa. Pertanto, la ricorrente erra nel ritenere che le spettasse soltanto fornire elementi di prova attestanti un cambiamento di comportamento in materia di prezzi del prodotto di cui trattasi, nei confronti di acquirenti indipendenti dell’Unione, a seguito dell’istituzione del dazio antidumping.

99

Per quanto riguarda infine l’affermazione della RFA secondo cui dal punto 24 della sentenza impugnata emergerebbe che la Commissione aveva ammesso, nelle decisioni controverse, che i prezzi «franco fabbrica» e «CIF» costituivano, al pari dei prezzi «reso sdoganato», prezzi alla frontiera dell’Unione, è sufficiente constatare che tale punto verte non già sulla questione se vi sia stata traslazione dei dazi antidumping nei prezzi di rivendita nell’Unione, bensì su quella relativa agli adeguamenti che occorre effettuare al fine di garantire un confronto equo tra il valore normale e il prezzo all’esportazione. Orbene, come rilevato, in sostanza, dal Tribunale al punto 77 della sentenza impugnata, siffatti adeguamenti non sono pertinenti nell’ambito delle valutazioni effettuate ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 10, del regolamento di base.

100

Tale affermazione della ricorrente deve quindi essere respinta in quanto infondata.

101

Alla luce degli elementi che precedono, occorre respingere la seconda parte del secondo motivo in quanto in parte inconferente e in parte infondata. Di conseguenza, il secondo motivo dev’essere integralmente respinto.

102

Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l’impugnazione deve essere respinta.

Sulle spese

103

A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese.

104

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, di quest’ultimo, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

105

La ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’impugnazione è respinta.

 

2)

La RFA International LP è condannata alle spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.