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Document 62018CJ0808

Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 17 dicembre 2020.
Commissione europea contro Ungheria.
Inadempimento di uno Stato – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione – Direttive 2008/115/CE, 2013/32/UE e 2013/33/UE – Procedura di riconoscimento di una protezione internazionale – Accesso effettivo – Procedura di frontiera – Garanzie procedurali – Soggiorno obbligatorio in zone di transito – Trattenimento – Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Ricorsi proposti contro le decisioni amministrative che respingono la domanda di protezione internazionale – Diritto di rimanere nel territorio.
Causa C-808/18.

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2020:1029

 SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

17 dicembre 2020 ( *1 )

Indice

 

Contesto normativo

 

Diritto dell’Unione

 

Direttiva 2008/115

 

Direttiva 2013/32

 

Direttiva 2013/33

 

Diritto ungherese

 

Legge sul diritto di asilo

 

Legge sulle frontiere dello Stato

 

Codice di procedura giurisdizionale amministrativa

 

Decreto governativo 301/2007

 

Procedimento precontenzioso

 

Sul ricorso

 

Osservazioni preliminari

 

Sulla prima censura, relativa all’accesso alla procedura di protezione internazionale

 

Argomenti delle parti

 

Giudizio della Corte

 

Sulla seconda e sulla terza censura, relative al trattenimento dei richiedenti protezione internazionale

 

Argomenti delle parti

 

– Sulla seconda censura

 

– Sulla terza censura

 

Giudizio della Corte

 

– Sull’esistenza di un trattenimento nelle zone di transito di Röszke e di Tompa

 

– Sulla compatibilità del trattenimento nelle zone di transito di Röszke e di Tompa con gli obblighi previsti dalle direttive 2013/32 e 2013/33

 

– Sull’articolo 72 TFUE

 

Sulla quarta censura, relativa all’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare

 

Argomenti delle parti

 

Giudizio della Corte

 

Sulla quinta censura, relativa al diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato

 

Argomenti delle parti

 

Giudizio della Corte

 

– Sulla prima parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32

 

– Sulla seconda parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 6, della direttiva 2013/32

 

– Sulla terza parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 6, lettere a) e b), della direttiva 2013/32

 

Sulle spese

«Inadempimento di uno Stato – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione – Direttive 2008/115/CE, 2013/32/UE e 2013/33/UE – Procedura di riconoscimento di una protezione internazionale – Accesso effettivo – Procedura di frontiera – Garanzie procedurali – Soggiorno obbligatorio in zone di transito – Trattenimento – Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Ricorsi proposti contro le decisioni amministrative che respingono la domanda di protezione internazionale – Diritto di rimanere nel territorio»

Nella causa C‑808/18,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 21 dicembre 2018,

Commissione europea, rappresentata da M. Condou-Durande, A. Tokár e J. Tomkin, in qualità di agenti,

ricorrente,

contro

Ungheria, rappresentata da M.Z. Fehér e M.M. Tátrai, in qualità di agenti,

convenuta,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, E. Regan, M. Ilešič e N. Wahl, presidenti di sezione, E. Juhász, D. Šváby, S. Rodin, F. Biltgen, K. Jürimäe, C. Lycourgos (relatore), P.G. Xuereb e I. Jarukaitis, giudici,

avvocato generale: P. Pikamäe

cancelliere: R. Șereș, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 febbraio 2020,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 giugno 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 3 e 6, dell’articolo 24, paragrafo 3, dell’articolo 43 e dell’articolo 46, paragrafi 5 e 6, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60, e rettifica in GU 2020, L 423, pag. 68), dell’articolo 2, lettera h), e degli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96), nonché dell’articolo 5, dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98), in combinato disposto con gli articoli 6, 18 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»):

prescrivendo che la domanda di asilo debba essere introdotta personalmente dinanzi all’autorità competente, ed esclusivamente nelle zone di transito, ad entrare nelle quali essa autorizza solo un piccolo numero di persone;

applicando una procedura particolare a titolo di regola generale, durante la quale non sono assicurate le garanzie previste dalla direttiva 2013/32;

disponendo che occorra applicare a tutti i richiedenti asilo, ad eccezione dei minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni, una procedura da cui consegue il loro trattenimento, per l’intera durata della procedura di asilo, nelle strutture delle zone di transito, che possono lasciare soltanto qualora si dirigano verso la Serbia, e non corredando tale trattenimento delle garanzie previste dalla direttiva 2013/33;

riconducendo dall’altro versante della barriera di frontiera i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare senza rispettare le procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115;

omettendo di recepire nel proprio diritto nazionale l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 e adottando disposizioni che derogano alla regola generale dell’effetto sospensivo automatico del ricorso dei richiedenti protezione internazionale in situazioni non rientranti nell’articolo 46, paragrafo 6, della medesima direttiva.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Direttiva 2008/115

2

L’articolo 2 della direttiva 2008/115 dispone quanto segue:

«1.   La presente direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare.

2.   Gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai cittadini di paesi terzi:

a)

sottoposti a respingimento alla frontiera conformemente all’articolo 13 del [regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1)] ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell’attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un’autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro;

(…)».

3

Ai sensi dell’articolo 3 della direttiva succitata:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

2.

“soggiorno irregolare” la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;

(…)».

4

L’articolo 5 di detta direttiva così dispone:

«Nell’applicazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono nella debita considerazione:

a)

l’interesse superiore del bambino;

b)

la vita familiare;

c)

le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato;

e rispettano il principio di non-refoulement».

5

L’articolo 6, paragrafi 1 e 2, della stessa direttiva prevede quanto segue:

«1.   Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5.

2.   Un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di quest’ultimo. In caso di mancata osservanza di questa prescrizione da parte del cittadino di un paese terzo interessato ovvero qualora motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale impongano la sua immediata partenza, si applica il paragrafo 1».

6

L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 enuncia quanto segue:

«Le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d’ingresso e le decisioni di allontanamento sono adottate in forma scritta, sono motivate in fatto e in diritto e contengono informazioni sui mezzi di ricorso disponibili.

Le informazioni sui motivi in fatto possono essere ridotte laddove la legislazione nazionale consenta che il diritto di informazione sia limitato, in particolare per salvaguardare la sicurezza nazionale, la difesa, la pubblica sicurezza e per la prevenzione, le indagini, l’accertamento e il perseguimento di reati».

7

A norma dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva in parola:

«Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza».

8

Ai sensi dell’articolo 18 di detta direttiva:

«1.   Nei casi in cui un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporta un notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario, sino a quando persiste la situazione anomala detto Stato membro può decidere di accordare per il riesame giudiziario periodi superiori a quelli previsti dall’articolo 15, paragrafo 2, terzo comma, e adottare misure urgenti quanto alle condizioni di trattenimento in deroga a quelle previste all’articolo 16, paragrafo 1, e all’articolo 17, paragrafo 2.

2.   All’atto di ricorrere a tali misure eccezionali, lo Stato membro in questione ne informa la Commissione. Quest’ultima è informata anche non appena cessino di sussistere i motivi che hanno determinato l’applicazione delle suddette misure eccezionali.

3.   Nulla nel presente articolo può essere interpretato nel senso che gli Stati membri siano autorizzati a derogare al loro obbligo generale di adottare tutte le misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi ad essi incombenti ai sensi della presente direttiva».

Direttiva 2013/32

9

Il considerando 29 della direttiva 2013/32 è formulato come segue:

«Taluni richiedenti possono necessitare di garanzie procedurali particolari, tra l’altro, per motivi di età, genere, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, grave malattia psichica o in conseguenza di torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale. Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per individuare i richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari prima che sia presa una decisione in primo grado. A tali richiedenti è opportuno fornire un sostegno adeguato, compreso tempo sufficiente, così da creare i presupposti necessari affinché accedano effettivamente alle procedure e presentino gli elementi richiesti per istruire la loro domanda di protezione internazionale».

10

L’articolo 2 di tale direttiva così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(…)

c)

“richiedente”: il cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione definitiva

d)

“richiedente che necessita di garanzie procedurali particolari”: il richiedente la cui capacità di godere dei diritti e adempiere gli obblighi previsti dalla presente direttiva è limitata a causa di circostanze individuali;

e)

“decisione definitiva”: una decisione che stabilisce se a un cittadino di un paese terzo o a un apolide è concesso lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria a norma della direttiva 2011/95/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9)] e che non è più impugnabile nell’ambito del capo V della presente direttiva, indipendentemente dal fatto che l’impugnazione produca l’effetto di autorizzare i richiedenti a rimanere negli Stati membri interessati in attesa del relativo esito;

(…)

p)

“rimanere nello Stato membro”: il fatto di rimanere nel territorio, compreso alla frontiera o in zone di transito, dello Stato membro in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata o è oggetto d’esame;

(…)».

11

L’articolo 3, paragrafo 1, della suddetta direttiva prevede quanto segue:

«La presente direttiva si applica a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri, nonché alla revoca della protezione internazionale».

12

L’articolo 6 della medesima direttiva così dispone:

«1.   Quando chiunque presenti una domanda di protezione internazionale a un’autorità competente a norma del diritto nazionale a registrare tali domande, la registrazione è effettuata entro tre giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.

Se la domanda di protezione internazionale è presentata ad altre autorità preposte a ricevere tali domande ma non competenti per la registrazione a norma del diritto nazionale, gli Stati membri provvedono affinché la registrazione sia effettuata entro sei giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.

Gli Stati membri garantiscono che tali altre autorità preposte a ricevere le domande di protezione internazionale quali la polizia, le guardie di frontiera, le autorità competenti per l’immigrazione e il personale dei centri di trattenimento abbiano le pertinenti informazioni e che il loro personale riceva il livello necessario di formazione adeguato ai loro compiti e alle loro responsabilità e le istruzioni per informare i richiedenti dove e in che modo possono essere inoltrate le domande di protezione internazionale.

2.   Gli Stati membri provvedono affinché chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale abbia un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto prima. Qualora il richiedente non [inoltri] la propria domanda, gli Stati membri possono applicare di conseguenza l’articolo 28.

3.   Fatto salvo il paragrafo 2, gli Stati membri possono esigere che le domande di protezione internazionale siano introdotte personalmente e/o in un luogo designato.

4.   In deroga al paragrafo 3, una domanda di protezione internazionale si considera [inoltrata] quando un formulario sottoposto dal richiedente o, qualora sia previsto nel diritto nazionale, una relazione ufficiale è pervenuta alle autorità competenti dello Stato membro interessato.

5.   Qualora le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano molto difficile all’atto pratico rispettare il termine di cui al paragrafo 1, gli Stati membri possono stabilire che tale termine sia portato a dieci giorni lavorativi».

13

Secondo l’articolo 7 della direttiva 2013/32:

«1.   Gli Stati membri provvedono affinché ciascun adulto con capacità di agire abbia il diritto di presentare una domanda di protezione internazionale per proprio conto.

(…)

3.   Gli Stati membri provvedono affinché il minore abbia il diritto di presentare domanda di protezione internazionale per proprio conto, se ha la capacità di agire in giudizio ai sensi del diritto dello Stato membro interessato, ovvero tramite i genitori o altro familiare adulto, o un adulto responsabile per lui secondo la legge o la prassi dello Stato membro interessato, o tramite un rappresentante».

14

L’articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva così prevede:

«Qualora vi siano indicazioni che cittadini di paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito alle frontiere esterne, desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri forniscono loro informazioni sulla possibilità di farlo. In tali centri di trattenimento e ai valichi di frontiera gli Stati membri garantiscono servizi di interpretazione nella misura necessaria per agevolare l’accesso alla procedura di asilo».

15

L’articolo 24, paragrafo 3, di detta direttiva stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri provvedono affinché, qualora i richiedenti siano stati identificati come richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari, essi siano forniti di sostegno adeguato per consentire loro di godere dei diritti e di adempiere gli obblighi della presente direttiva per tutta la durata della procedura d’asilo.

Qualora tale sostegno adeguato non possa essere fornito nell’ambito delle procedure di cui all’articolo 31, paragrafo 8, e all’articolo 43, in particolare qualora gli Stati membri ritengano che il richiedente che necessita di garanzie procedurali particolari abbia subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, essi non applicano o cessano di applicare l’articolo 31, paragrafo 8, e l’articolo 43. Qualora gli Stati membri applichino l’articolo 46, paragrafo 6, ai richiedenti ai quali non possono essere applicati l’articolo 31, paragrafo 8, e l’articolo 43 a norma del presente comma, gli Stati membri forniscono almeno le garanzie previste dall’articolo 46, paragrafo 7».

16

Ai sensi dell’articolo 26 della medesima direttiva:

«1.   Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo motivo che si tratta di un richiedente. I motivi e le condizioni del trattenimento e le garanzie per i richiedenti trattenuti sono conformi alla direttiva [2013/33].

2.   Qualora un richiedente sia trattenuto, gli Stati membri provvedono affinché sia possibile un rapido controllo giurisdizionale a norma della direttiva [2013/33]».

17

Ai termini dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2013/32:

«Qualora vi siano ragionevoli motivi per ritenere che il richiedente abbia implicitamente ritirato la domanda o rinunciato ad essa, gli Stati membri provvedono affinché l’autorità accertante prenda la decisione di sospendere l’esame ovvero, se l’autorità accertante giudica la domanda infondata in base a un adeguato esame del merito della stessa in linea con l’articolo 4 della direttiva [2011/95], respingere la domanda».

18

A norma dell’articolo 31, paragrafo 8, della direttiva in parola:

«Gli Stati membri possono prevedere[, nel rispetto dei principi di base e delle garanzie fondamentali di cui al capo II,] che una procedura d’esame sia accelerata e/o svolta alla frontiera o in zone di transito a norma dell’articolo 43 se:

a)

nel presentare domanda ed esporre i fatti il richiedente ha sollevato soltanto questioni che non hanno alcuna pertinenza per esaminare se attribuirgli la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [2011/95]; oppure

b)

il richiedente proviene da un paese di origine sicuro a norma della presente direttiva; o

c)

il richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti falsi od omettendo informazioni pertinenti o documenti relativi alla sua identità e/o alla sua cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la decisione negativamente; o

d)

è probabile che, in mala fede, il richiedente abbia distrutto o comunque fatto sparire un documento d’identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità o la cittadinanza; o

e)

il richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e contraddittorie, palesemente false o evidentemente improbabili che contraddicono informazioni sufficientemente verificate sul paese di origine, rendendo così chiaramente non convincente la sua asserzione di avere diritto alla qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]; o

f)

il richiedente ha presentato una domanda reiterata di protezione internazionale inammissibile ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5; o

g)

il richiedente presenta la domanda al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione anteriore o imminente che ne comporterebbe l’allontanamento; o

h)

il richiedente è entrato illegalmente nel territorio dello Stato membro o vi ha prolungato illegalmente il soggiorno e, senza un valido motivo, non si è presentato alle autorità o non ha presentato la domanda di protezione internazionale quanto prima possibile rispetto alle circostanze del suo ingresso; o

i)

il richiedente rifiuta di adempiere all’obbligo del rilievo dattiloscopico (...); o

j)

il richiedente può, per gravi ragioni, essere considerato un pericolo per la sicurezza nazionale o l’ordine pubblico dello Stato membro o il richiedente è stato espulso con efficacia esecutiva per gravi motivi di sicurezza o di ordine pubblico a norma del diritto nazionale».

19

L’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva succitata così dispone:

«Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se:

a)

un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale;

b)

un paese che non è uno Stato membro è considerato paese di primo asilo del richiedente a norma dell’articolo 35;

c)

un paese che non è uno Stato membro è considerato paese terzo sicuro per il richiedente a norma dell’articolo 38;

d)

la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]; o

e)

una persona a carico del richiedente presenta una domanda, dopo aver acconsentito, a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, a che il suo caso faccia parte di una domanda presentata a suo nome e non vi siano elementi relativi alla situazione della persona a carico che giustifichino una domanda separata».

20

Ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, della medesima direttiva:

«Gli Stati membri possono prevedere che l’esame della domanda di protezione internazionale e della sicurezza del richiedente stesso nel suo caso specifico, secondo quanto prescritto al capo II, non abbia luogo o non sia condotto esaurientemente nei casi in cui un’autorità competente abbia stabilito, in base agli elementi disponibili, che il richiedente sta cercando di entrare o è entrato illegalmente nel suo territorio da un paese terzo sicuro a norma del paragrafo 2».

21

L’articolo 41, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 così dispone:

«Gli Stati membri possono ammettere una deroga al diritto di rimanere nel territorio qualora una persona:

a)

abbia presentato una prima domanda reiterata, che non è ulteriormente esaminata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dallo Stato membro in questione; o

b)

manifesti la volontà di presentare un’altra domanda reiterata nello stesso Stato membro a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima domanda reiterata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, o dopo una decisione definitiva che respinge tale domanda in quanto infondata.

Gli Stati membri possono ammettere tale deroga solo se l’autorità accertante ritenga che la decisione di rimpatrio non comporti il “refoulement” diretto o indiretto, in violazione degli obblighi incombenti allo Stato membro a livello internazionale e dell’Unione».

22

L’articolo 43 della stessa direttiva, intitolato «Procedure di frontiera», così dispone:

«1.   Gli Stati membri possono prevedere procedure, conformemente ai principi fondamentali e alle garanzie di cui al capo II, per decidere alla frontiera o nelle zone di transito dello Stato membro:

a)

sull’ammissibilità di una domanda, ai sensi dell’articolo 33, ivi presentata; e/o

b)

sul merito di una domanda nell’ambito di una procedura a norma dell’articolo 31, paragrafo 8.

2.   Gli Stati membri provvedono affinché la decisione nell’ambito delle procedure di cui al paragrafo 1 sia presa entro un termine ragionevole. Se la decisione non è stata presa entro un termine di quattro settimane, il richiedente è ammesso nel territorio dello Stato membro, affinché la sua domanda sia esaminata conformemente alle altre disposizioni della presente direttiva.

3.   Nel caso in cui gli arrivi in cui è coinvolto un gran numero di cittadini di paesi terzi o di apolidi che presentano domande di protezione internazionale alla frontiera o in una zona di transito, rendano all’atto pratico impossibile applicare ivi le disposizioni di cui al paragrafo 1, dette procedure si possono applicare anche nei luoghi e per il periodo in cui i cittadini di paesi terzi o gli apolidi in questione sono normalmente accolti nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito».

23

L’articolo 46 di detta direttiva così dispone:

«(…)

5.   Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.

6.   Qualora sia stata adottata una decisione:

a)

di ritenere una domanda manifestamente infondata conformemente all’articolo 32, paragrafo 2, o infondata dopo l’esame conformemente all’articolo 31, paragrafo 8, a eccezione dei casi in cui tali decisioni si basano sulle circostanze di cui all’articolo 31, paragrafo 8, lettera h);

b)

di ritenere inammissibile una domanda a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettere a), b) o d);

c)

di respingere la riapertura del caso del richiedente, sospeso ai sensi dell’articolo 28; o

d)

di non esaminare o di non esaminare esaurientemente la domanda ai sensi dell’articolo 39,

un giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di rimanere nello Stato membro e, ove il diritto nazionale non preveda in simili casi il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso.

(…)

8.   Gli Stati membri autorizzano il richiedente a rimanere nel territorio in attesa dell’esito della procedura volta a decidere se questi possa rimanere nel territorio, di cui ai paragrafi 6 e 7.

(…)».

Direttiva 2013/33

24

Il considerando 17 della direttiva 2013/33 enuncia quanto segue:

«I motivi di trattenimento stabiliti nella presente direttiva lasciano impregiudicati altri motivi di trattenimento, compresi quelli che rientrano nell’ambito dei procedimenti penali, applicabili conformemente alla legislazione nazionale, non correlati alla domanda di protezione internazionale presentata dal cittadino di un paese terzo o dall’apolide».

25

L’articolo 2 di tale direttiva così dispone:

«Ai fini della presente direttiva si intende per:

(…)

b)

“richiedente”: il cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione definitiva;

(…)

h)

“trattenimento”: il confinamento del richiedente, da parte di uno Stato membro, in un luogo determinato, che lo priva della libertà di circolazione;

(…)».

26

L’articolo 3, paragrafo 1, della suddetta direttiva così dispone:

«La presente direttiva si applica a tutti i cittadini di paesi terzi e agli apolidi che manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale nel territorio di uno Stato membro, comprese la frontiera, le acque territoriali o le zone di transito, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio in qualità di richiedenti, nonché ai familiari, se inclusi nella domanda di protezione internazionale ai sensi del diritto nazionale».

27

L’articolo 7 della medesima direttiva prevede quanto segue:

«1.   I richiedenti possono circolare liberamente nel territorio dello Stato membro ospitante o nell’area loro assegnata da tale Stato membro. L’area assegnata non pregiudica la sfera inalienabile della vita privata e permette un campo d’azione sufficiente a garantire l’accesso a tutti i benefici della presente direttiva.

2.   Gli Stati membri possono stabilire un luogo di residenza per il richiedente, per motivi di pubblico interesse, ordine pubblico o, ove necessario, per il trattamento rapido e il controllo efficace della domanda di protezione internazionale.

3.   Gli Stati membri possono subordinare la concessione delle condizioni materiali d’accoglienza all’effettiva residenza del richiedente in un determinato luogo, da determinarsi dagli Stati membri. Tale decisione, che può essere di carattere generale, è adottata caso per caso e definita [dal] diritto nazionale.

(…)».

28

Ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2013/33:

«1.   Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente ai sensi della direttiva [2013/32].

2.   Ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso, gli Stati membri possono trattenere il richiedente, salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive.

3.   Un richiedente può essere trattenuto soltanto:

a)

per determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza;

b)

per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento, in particolare se sussiste il rischio di fuga del richiedente;

c)

per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio;

d)

quando la persona è trattenuta nell’ambito di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva [2008/115], al fine di preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento e lo Stato membro interessato può comprovare, in base a criteri obiettivi, tra cui il fatto che la persona in questione abbia già avuto l’opportunità di accedere alla procedura di asilo, che vi sono fondati motivi per ritenere che la persona abbia manifestato la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio;

e)

quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;

f)

conformemente all’articolo 28 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide [(GU 2013, L 180, pag. 31)].

I motivi di trattenimento sono specificati nel diritto nazionale.

4.   Gli Stati membri provvedono affinché il diritto nazionale contempli le disposizioni alternative al trattenimento, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato».

29

A norma dell’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva in parola:

«Il trattenimento dei richiedenti è disposto per iscritto dall’autorità giurisdizionale o amministrativa. Il provvedimento di trattenimento precisa le motivazioni di fatto e di diritto sulle quasi si basa».

30

L’articolo 10, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue:

«Il trattenimento dei richiedenti ha luogo, di regola, in appositi centri di trattenimento. Lo Stato membro che non possa ospitare il richiedente in un apposito centro di trattenimento e sia obbligato a sistemarlo in un istituto penitenziario, provvede affinché il richiedente trattenuto sia tenuto separato dai detenuti ordinari e siano applicate le condizioni di trattenimento previste dalla presente direttiva.

(…)».

31

L’articolo 11 della medesima direttiva prevede quanto segue:

«1.   Lo stato di salute, anche mentale, dei richiedenti trattenuti che sono persone vulnerabili costituisce la preoccupazione principale delle autorità nazionali.

Alle persone vulnerabili trattenute gli Stati membri assicurano controlli periodici e sostegno adeguato tenendo conto della loro particolare situazione, anche dal punto di vista sanitario.

2.   I minori sono trattenuti solo come ultima risorsa e dopo aver accertato che misure alternative meno coercitive non possono essere applicate in maniera efficace. A tale trattenimento deve farsi ricorso per un periodo di durata più breve possibile ed è fatto il possibile perché siano rilasciati e ospitati in alloggi idonei per i minori.

L’interesse superiore del minore, come prescritto all’articolo 23, paragrafo 2, deve essere una considerazione preminente per gli Stati membri.

I minori trattenuti devono potere avere la possibilità di svolgere attività di tempo libero, compresi il gioco e attività ricreative consone alla loro età.

3.   I minori non accompagnati sono trattenuti solo in circostanze eccezionali. È fatto il possibile affinché i minori non accompagnati trattenuti siano rilasciati il più rapidamente possibile.

I minori non accompagnati non sono mai trattenuti in istituti penitenziari.

Per quanto possibile, ai minori non accompagnati deve essere fornita una sistemazione in istituti dotati di personale e strutture consoni a soddisfare le esigenze di persone della loro età.

Ai minori non accompagnati trattenuti gli Stati membri garantiscono una sistemazione separata dagli adulti.

(…)».

32

L’articolo 18, paragrafo 9, della direttiva 2013/33 così dispone:

«In casi debitamente giustificati gli Stati membri possono stabilire in via eccezionale modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza diverse da quelle previste nel presente articolo, per un periodo ragionevole e di durata più breve possibile, qualora:

a)

sia richiesta una valutazione delle esigenze specifiche del richiedente, ai sensi dell’articolo 22,

b)

le capacità di alloggio normalmente disponibili siano temporaneamente esaurite.

Siffatte diverse condizioni soddisfano comunque le esigenze essenziali».

33

Ai sensi dell’articolo 21 di detta direttiva:

«Nelle misure nazionali di attuazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono conto della specifica situazione di persone vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, quali le vittime di mutilazioni genitali femminili».

34

L’articolo 22, paragrafo 1, terzo comma, della suddetta direttiva così dispone:

«Gli Stati membri assicurano che il sostegno fornito ai richiedenti con esigenze di accoglienza particolari ai sensi della presente direttiva tenga conto delle loro esigenze di accoglienza particolari durante l’intera procedura di asilo e provvedono a un appropriato controllo della loro situazione».

Diritto ungherese

Legge sul diritto di asilo

35

L’articolo 4, paragrafo 3, della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge LXXX del 2007 sul diritto di asilo) (Magyar Közlöny 2007/83; in prosieguo: la «legge sul diritto di asilo») dispone quanto segue:

«Le disposizioni della presente legge devono essere applicate, per quanto riguarda le persone che necessitano di un trattamento particolare, tenendo conto delle esigenze specifiche derivanti dalla loro situazione».

36

L’articolo 5, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo prevede quanto segue:

«Il richiedente asilo è legittimato:

a)

in conformità alle condizioni previste dalla presente legge, a soggiornare nel territorio ungherese e, in conformità alla normativa specifica, a ottenere un permesso di soggiorno nel territorio ungherese;

b)

in conformità alle condizioni previste dalla presente legge e alla normativa specifica, a ricevere prestazioni, assistenza e alloggio;

c)

a svolgere un’attività lavorativa nel luogo in cui è situato il centro di accoglienza o in un luogo di lavoro determinato dal datore di lavoro pubblico nei nove mesi successivi all’inoltro della domanda di asilo o, dopo la scadenza di tale termine, in conformità alle norme generali applicabili ai cittadini stranieri».

37

L’articolo 29 di tale legge così dispone:

«Occorre garantire le condizioni di accoglienza tenendo conto delle esigenze specifiche delle persone che necessitano di un trattamento particolare».

38

Secondo l’articolo 30, paragrafo 3, di tale legge:

«Nell’adottare una decisione che limiti o revochi il beneficio delle condizioni materiali di accoglienza,

a)

l’autorità competente in materia di asilo deve prendere in considerazione la situazione individuale del richiedente asilo, tenendo segnatamente conto delle persone che necessitano di un trattamento particolare, e

b)

la restrizione o la revoca devono essere proporzionate alla violazione commessa».

39

L’articolo 31/A della medesima legge così recita:

«1.   L’autorità competente in materia di asilo può, al fine di svolgere la procedura in materia di asilo o di assicurare un trasferimento ai sensi del regolamento [n. 604/2013], e tenendo contestualmente conto dei limiti di cui all’articolo 31/B, trattenere i richiedenti asilo il cui permesso di soggiorno sia basato esclusivamente sull’inoltro di una domanda

a)

quando ciò consenta di determinare l’identità o la cittadinanza dell’interessato quando essa è incerta;

b)

quando l’interessato sia sottoposto a una procedura di rimpatrio e sussistano elementi obiettivi, tra cui il fatto che egli abbia già avuto l’opportunità di accedere alla procedura di protezione internazionale, che consentano di dimostrare, o altri validi motivi che consentano di supporre, che egli abbia manifestato la volontà di presentare la propria domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio;

c)

per determinare i fatti e le circostanze su cui si basa la domanda di asilo qualora essi non possano essere ottenuti senza il trattenimento, in particolare se sussiste un rischio di fuga dell’interessato;

d)

quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;

e)

quando la domanda sia stata presentata nella zona internazionale di un aeroporto;

f)

o quando il trattenimento sia necessario per assicurare le procedure di trasferimento ai sensi del regolamento [n. 604/2013], e sussista un serio rischio di fuga dell’interessato.

(…)

2.   Il trattenimento dei richiedenti asilo può essere disposto al termine di una valutazione caso per caso e solo se l’obiettivo perseguito non può essere realizzato con una misura che garantisca che l’interessato resti a disposizione delle autorità.

(…)

5.   Il trattenimento dei richiedenti asilo è disposto con una decisione esecutiva sin dalla sua notifica.

(…)».

40

L’articolo 31/B della legge sul diritto di asilo enuncia quanto segue:

«1.   Non può essere disposto alcun trattenimento solo per il fatto che è stata inoltrata una domanda di asilo.

2.   Non può essere disposto alcun trattenimento nei confronti di un richiedente asilo minore non accompagnato.

3.   Il trattenimento può essere disposto nei confronti di famiglie con figli minori solo come misura di ultima istanza, tenendo conto in primo luogo dell’interesse superiore dei minori.

(…)».

41

L’articolo 32/D, paragrafo 1, di tale legge prevede quanto segue:

«La domanda è una dichiarazione, presentata da una parte, in base alla quale l’autorità competente in materia di asilo avvia un procedimento amministrativo».

42

Secondo l’articolo 35 di detta legge:

«1.   La procedura d’asilo inizia con l’inoltro della domanda di asilo all’autorità competente in materia di asilo. Il richiedente asilo è sottoposto alla procedura di asilo

a) a decorrere dalla data in cui egli ha introdotto personalmente la propria domanda di protezione internazionale all’autorità competente in materia di asilo, o,

b) qualora egli abbia inoltrato la propria domanda di protezione internazionale a un’altra autorità, a decorrere dalla data di registrazione di tale domanda da parte dell’autorità competente in materia di asilo,

fino alla notifica della decisione emessa in esito al procedimento, quando essa non è più impugnabile.

(…)».

43

L’articolo 51 della medesima legge prevede quanto segue:

«1.   Qualora i presupposti per l’applicazione dei regolamenti [n. 604/2013 e n. 118/2014] non siano soddisfatti, l’autorità competente in materia di asilo si pronuncia sulla questione dell’ammissibilità della domanda, nonché sulla sussistenza dei presupposti per una decisione sull’oggetto della domanda con procedimento accelerato.

2.   La domanda è inammissibile

(…)

e)

se esiste, per quanto riguarda il richiedente, un paese terzo che possa per lui essere considerato un paese terzo sicuro.

(…)

7.   È possibile decidere sulla domanda con procedimento accelerato se il richiedente

(…)

h) è entrato illegalmente nel territorio ungherese, o ha prolungato illegalmente il suo soggiorno e non ha presentato domanda di asilo entro un termine ragionevole, pur avendo avuto la possibilità di inoltrarla in precedenza, e non ha potuto fornire alcun motivo valido per giustificare tale ritardo;

(…)».

44

Ai sensi dell’articolo 53 della legge sul diritto di asilo:

«1.   L’autorità competente in materia di asilo respinge la domanda con ordinanza qualora ravvisi la sussistenza di uno dei presupposti di cui all’articolo 51, paragrafo 2.

2.   Una decisione di rigetto motivata dall’inammissibilità della domanda, oppure emessa a seguito di procedimento accelerato, può essere contestata nell’ambito di un procedimento giurisdizionale amministrativo.

(…)

6.   Nell’ambito del procedimento giurisdizionale amministrativo, il deposito di un ricorso non ha l’effetto di sospendere l’esecuzione della decisione, ad eccezione delle decisioni in materia di asilo adottate in applicazione dell’articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7, lettera h)».

45

Il 15 settembre 2015, è entrata in vigore la egyes törvényeknek a tömeges bevándorlás kezelésével összefüggő módosításáról szóló 2015. évi CXL. törvény (legge CXL del 2015 che modifica talune leggi in un contesto di gestione dell’immigrazione di massa) (Magyar Közlöny 2015/124, in prosieguo: la «legge sulla gestione dell’immigrazione di massa»). La legge sulla gestione dell’immigrazione di massa, che ha modificato, in particolare, la legge sul diritto di asilo, introduce le nozioni di «situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa» e di «procedura di frontiera». Essa prevede inoltre la creazione di zone di transito all’interno delle quali sono applicate le procedure di asilo.

46

In forza della legge sulla gestione dell’immigrazione di massa, in una «situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa», le domande presentate nelle zone di transito istituite alla frontiera sono esaminate secondo le norme della procedura di frontiera.

47

A tal riguardo, l’articolo 71/A della legge sul diritto di asilo, introdotto dalla legge sulla gestione dell’immigrazione di massa, così dispone:

«1)   Se il cittadino straniero inoltra la propria domanda nella zona di transito:

a)

prima di fare ingresso nel territorio ungherese; oppure

b)

dopo essere stato fermato nel territorio ungherese all’interno di una striscia di 8 km a partire dal tracciato della frontiera esterna, come definita all’articolo 2, secondo comma, del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) [(GU 2016, L 77, pag. 1)] o dai segni di demarcazione della frontiera, ed essere stato scortato al di là dell’ingresso di una struttura per la protezione dell’ordine alla frontiera, come prevista dall’az államhatárról szóló 2007. évi LXXXIX. törvény (legge LXXXIX del 2007 sulle frontiere dello Stato);

le disposizioni del presente capo si applicano fatte salve le deroghe previste dal presente articolo.

2)   Nella pendenza della procedura di frontiera, i richiedenti asilo non beneficiano dei diritti di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e c).

3)   L’autorità competente in materia di asilo statuisce in via prioritaria sull’ammissibilità della domanda di asilo, al più tardi entro gli 8 giorni successivi al suo inoltro. Essa notifica senza indugio la propria decisione.

4)   Se sono decorse quattro settimane dalla data di inoltro della domanda, l’autorità competente in materia di polizia degli stranieri autorizza l’ingresso nel territorio ungherese, in conformità alla norma di diritto applicabile.

5)   Se la domanda non è inammissibile, l’autorità competente in materia di polizia degli stranieri autorizza l’ingresso nel territorio ungherese, in conformità alla norma di diritto applicabile.

6)   Se il richiedente è autorizzato ad entrare nel territorio ungherese, l’autorità competente in materia di asilo svolge la procedura di asilo in conformità alle norme generali.

7)   Le norme che governano la procedura di frontiera non si applicano alle persone che necessitano di un trattamento particolare.

(…)».

48

L’határőrizeti területen lefolytatott eljárás szigorításával kapcsolatos egyes törvények módosításáról szóló 2017. évi XX. törvény (legge XX del 2017, recante modifica di talune leggi relative al rafforzamento della procedura applicata nella zona di frontiera sorvegliata) (Magyar Közlöny 2017/39; in prosieguo: la «legge XX del 2017») ha ampliato i casi in cui il governo può dichiarare una «situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa», ai sensi della la legge sul diritto di asilo, e ha modificato le disposizioni che consentono di derogare alle disposizioni generali di tale legge in una situazione del genere.

49

A seguito dell’entrata in vigore della legge XX del 2017, l’articolo 80/A della legge sul diritto di asilo prevede quanto segue:

«1.   Una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa può essere dichiarata:

a)

se il numero di richiedenti asilo che arrivano in Ungheria supera in media:

aa) 500 persone al giorno nell’arco di un mese;

ab) 750 persone al giorno nell’arco di due settimane consecutive; oppure

ac) 800 persone al giorno nell’arco di una settimana;

b)

se il numero di persone che si trovano nelle zone di transito in Ungheria, ad eccezione di quelle che prestano assistenza ai cittadini stranieri, supera in media:

ba) 1000 persone al giorno nell’arco di un mese;

bb) 1500 persone al giorno nell’arco di due settimane consecutive; oppure

bc) 1600 persone al giorno nell’arco di una settimana;

c)

se, oltre ai casi di cui alle lettere a) e b), si verifica una circostanza connessa a tale situazione migratoria che:

ca) minaccia direttamente la sicurezza della frontiera esterna ungherese, come definita all’articolo 2, paragrafo 2, del codice frontiere Schengen;

cb) minaccia direttamente la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico o la salute pubblica all’interno di una striscia di territorio ungherese di 60 metri a partire dal tracciato della frontiera esterna ungherese, quale definita all’articolo 2, paragrafo 2, del codice frontiere Schengen, o dai segni di demarcazione della frontiera, o in qualsiasi località situata nel territorio ungherese, in particolare se si verificano conflitti o se sono commessi atti di violenza in un centro di accoglienza o in una struttura abitativa per stranieri che si trovano nella zona così delimitata o nella suddetta località e nei suoi dintorni.

2.   Su iniziativa del capo della polizia nazionale e del capo dell’autorità competente in materia di asilo e su proposta del ministro competente, il governo può dichiarare con decreto una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa. Tale situazione può riferirsi all’intero territorio ungherese o a una parte determinata di esso.

(…)

4.   Il decreto governativo di cui al paragrafo 2 resta in vigore per un periodo massimo di sei mesi, salvo che il governo ne proroghi la validità. Il governo può prorogare la validità del decreto di cui al paragrafo 2 se, al momento della proroga, i presupposti applicabili alla dichiarazione di una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa sono soddisfatti.

(…)

6.   In una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, occorre applicare le disposizioni degli articoli da 80/B a 80/G unicamente nel territorio definito nel decreto governativo di cui al paragrafo 2, e unicamente nella misura necessaria per trattare le cause profonde di una simile situazione e per gestirla».

50

Ai sensi dell’articolo 80/H della legge sul diritto di asilo:

«In caso di situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, le disposizioni dei capi da I a IV e da V/A a VIII devono essere applicate fatte salve le deroghe previste dagli articoli da 80/I a 80/K».

51

L’articolo 80/I di detta legge prevede quanto segue:

«Non devono essere applicate le seguenti disposizioni:

(…)

b) articolo 35, paragrafi 1 e 6;

(…)

i) articoli da 71/A a 72».

52

Secondo l’articolo 80/J di detta legge:

«1.   La domanda di asilo deve essere introdotta personalmente dinanzi l’autorità competente ed esclusivamente nella zona di transito, a meno che il richiedente asilo:

a)

sia oggetto di una misura coercitiva, di una misura o di una condanna che limita la libertà personale;

b)

sia oggetto di un provvedimento di trattenimento disposto dall’autorità competente in materia di asilo;

c)

soggiorni legalmente nel territorio ungherese e non chieda di essere alloggiato in un centro di accoglienza.

2.   Il richiedente asilo è soggetto alla procedura di asilo a partire dalla data in cui la domanda di protezione internazionale viene introdotta dinanzi all’autorità competente e fino alla notifica della decisione adottata al termine della procedura, quando questa non è più impugnabile.

3.   La polizia scorta il cittadino straniero il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare, e che manifesti la propria intenzione di introdurre una domanda di asilo, al di là dell’ingresso di una struttura per la protezione dell’ordine alla frontiera, come prevista dall’az államhatárról szóló 2007. évi LXXXIX. törvény (legge LXXXIX del 2007 sulle frontiere dello Stato). L’interessato può introdurre la propria domanda di asilo in conformità alle disposizioni del paragrafo 1.

4.   Nella pendenza della procedura, i richiedenti asilo che soggiornano nella zona di transito non beneficiano dei diritti di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e c).

5.   L’autorità competente in materia di asilo assegna al richiedente asilo la zona di transito come luogo di soggiorno fino a quando l’ordinanza di trasferimento ai sensi del regolamento [n. 604/2013] o la decisione non più impugnabile sia divenuta esecutiva. Il richiedente asilo può lasciare la zona di transito attraversando il portale di uscita.

6.   Se il richiedente asilo è un minore non accompagnato di età inferiore a 14 anni, l’autorità competente in materia di asilo conduce la procedura di asilo secondo le norme generali dopo l’ingresso del minore nel territorio ungherese. Essa deve trovare immediatamente una sistemazione temporanea per il minore e contemporaneamente chiedere all’autorità competente in materia di tutela di nominare un tutore che lo protegga e lo rappresenti. Il tutore deve essere nominato entro otto giorni dal ricevimento della domanda dell’autorità competente in materia di asilo. L’autorità competente in materia di tutela comunica senza indugio al minore non accompagnato e all’autorità competente in materia di asilo il nome del tutore nominato».

53

Ai sensi dell’articolo 80/K della medesima legge:

«1.   Una decisione di rigetto motivata dall’inammissibilità della domanda, oppure emessa a seguito di un procedimento accelerato, può essere contestata entro un termine di tre giorni. L’autorità competente in materia di asilo trasmette al giudice, entro i tre giorni, il ricorso, accompagnato dai documenti relativi alla causa e dalla comparsa di risposta.

2.   L’autorità competente in materia di asilo adotta una decisione sulla base delle informazioni di cui dispone, o chiude la procedura, se il richiedente asilo:

(…)

d) lascia la zona di transito.

(…)

4.   La decisione che pone fine alla procedura in applicazione del paragrafo 2 non può essere contestata nell’ambito di un procedimento giurisdizionale amministrativo.

(…)

7.   Le decisioni indirizzate ai richiedenti asilo che hanno lasciato la zona di transito sono notificate loro mediante avviso. (…)

(…)

10.   Dopo la notifica di una decisione non più impugnabile, il richiedente asilo lascia la zona di transito.

11.   Se il richiedente asilo presenta nuovamente una domanda quando è stata emessa una decisione definitiva di chiusura o di rigetto sulla sua domanda precedente, egli perde il beneficio dei diritti di cui all’articolo 5, paragrafo 1), lettere da a) a c)».

Legge sulle frontiere dello Stato

54

L’articolo 5/A dell’államhatárról szóló, 2007. évi LXXXIX (legge LXXXIX del 2007 sulle frontiere dello Stato (Magyar Közlöny 2007/88; in prosieguo: la «legge sulle frontiere dello Stato») dispone quanto segue:

«1.   Conformemente alla presente legge, è possibile utilizzare, nel territorio ungherese, una striscia di 60 metri a partire dal tracciato della frontiera esterna quale definita all’articolo 2, paragrafo 2, del codice frontiere Schengen, o dai segni di demarcazione della frontiera, al fine di costruire, impiantare e gestire strutture per la protezione dell’ordine alla frontiera – comprese quelle di cui all’articolo 15/A –, e di svolgere i compiti riguardanti la difesa e la sicurezza nazionali, la gestione delle catastrofi, la sorveglianza delle frontiere, l’asilo e la polizia degli stranieri.

1 bis   La polizia può, nel territorio ungherese, fermare i cittadini stranieri il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare, all’interno di una striscia di 8 km a partire dal tracciato della frontiera esterna quale definita all’articolo 2, paragrafo 2, del codice frontiere Schengen o dai segni di demarcazione della frontiera, e scortarli al di là dell’ingresso della struttura più vicina di cui al paragrafo 1, salvo in caso di sospetto di reato.

1 ter.   In una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, la polizia può, nel territorio ungherese, fermare i cittadini stranieri il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare e scortarli al di là dell’ingresso della struttura più vicina di cui al paragrafo 1, salvo in caso di sospetto di reato.

(…)».

55

L’articolo 15/A di tale legge enuncia quanto segue:

«1.   Nella zona cui all’articolo 5, paragrafo 1, può essere istituita una zona di transito che funga da luogo di soggiorno temporaneo per i richiedenti asilo o protezione sussidiaria (...) e da luogo in cui si svolgono le procedure in materia di asilo e di polizia degli stranieri e che ospiti le strutture necessarie a tal fine.

2.   Il richiedente protezione internazionale che si trovi nella zona di transito può entrare nel territorio ungherese:

a)

se l’autorità competente in materia di asilo adotta una decisione di riconoscimento della protezione internazionale;

b)

se sono soddisfatte le condizioni per lo svolgimento di una procedura di asilo, in conformità alle norme generali, o

c)

se occorre applicare le disposizioni di cui all’articolo 71/A, paragrafi 4 e 5, della legge sul diritto di asilo.

2 bis.   In una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, l’ingresso nel territorio ungherese di un richiedente protezione internazionale che si trovi in una zona di transito può essere autorizzato nei casi di cui al paragrafo 2, lettere a) e b).

3.   Nella zona di transito, gli organismi pubblici assolvono le proprie funzioni ed esercitano i propri poteri conformemente alle disposizioni legislative ad essi applicabili.

4.   Contrariamente alle disposizioni di cui al paragrafo 1, in una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, anche una struttura situata in un luogo diverso da quello indicato all’articolo 5, paragrafo 1, può essere designata come zona di transito».

Codice di procedura giurisdizionale amministrativa

56

L’articolo 39, paragrafo 6, della közigazgatási perrendtartásról szóló 2017. évi I. törvény (legge I del 2017, recante codice di procedura giurisdizionale amministrativa) (Magyar Közlöny 2017/30; in prosieguo: il «codice di procedura giurisdizionale amministrativa») così recita:

«Salvo disposizioni contrarie previste dalla presente legge, il ricorso non ha l’effetto di sospendere l’entrata in vigore dell’atto amministrativo».

57

L’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa prevede quanto segue:

«1.   Qualsiasi persona il cui diritto o interesse legittimo sia stato violato da un’azione dell’amministrazione o dal mantenimento di una situazione risultante da tale azione può presentare, in qualsiasi fase del procedimento, una domanda di tutela giurisdizionale immediata dinanzi al giudice competente adito, al fine di evitare il verificarsi di un rischio imminente di danno, di ottenere una decisione provvisoria relativa al rapporto giuridico contestato o il mantenimento della situazione che ha dato luogo alla controversia.

2.   Nell’ambito di una domanda di tutela immediata, è possibile chiedere:

a)

l’effetto sospensivo,

(…)».

Decreto governativo 301/2007

58

L’articolo 33 dell’a menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény végrehajtásáról szóló, 301/2007. (XI. 9.) Korm. rendelet [decreto governativo 301/2007. (XI. 9.), relativo all’attuazione della legge sul diritto d’asilo (Magyar Közlöny 2007/151], prevede quanto segue:

«1.   Se la situazione individuale del richiedente asilo che necessita di un trattamento particolare lo giustifica, l’autorità competente in materia di asilo è tenuta a provvedere affinché quest’ultimo benefici di un alloggio separato presso il centro di accoglienza.

2.   Occorre, per quanto possibile, garantire che l’unità familiare sia preservata anche nel caso in cui una persona che necessita di un trattamento particolare benefici di un alloggio separato».

59

L’articolo 34, comma 1, di tale decreto prevede quanto segue:

«Oltre alle disposizioni degli articoli 26 e 27, i richiedenti asilo che necessitano di un trattamento particolare – nella misura in cui ciò sia necessario alla luce della loro situazione individuale e sulla base, inoltre, di una perizia medica – hanno il diritto di accedere gratuitamente a prestazioni sanitarie giustificate in considerazione del loro stato di salute, a misure di riabilitazione, a un’assistenza psicologica, comprese cure di psicologia clinica, nonché a un trattamento psicoterapeutico».

Procedimento precontenzioso

60

L’11 dicembre 2015 la Commissione ha inviato all’Ungheria una lettera di diffida contestando a tale Stato membro di aver violato, in particolare, l’articolo 46, paragrafi 1, 3, 5 e 6, della direttiva 2013/32.

61

L’Ungheria ha risposto a tale lettera di diffida sostenendo che la sua normativa era compatibile con il diritto dell’Unione.

62

Il 7 marzo 2017 l’Ungheria ha adottato la legge XX del 2017. La Commissione ha ritenuto che tale legge fosse tale da destare preoccupazioni ulteriori rispetto a quelle già esposte nella suddetta lettera di diffida.

63

Il 18 maggio 2017 la Commissione ha quindi inviato all’Ungheria una lettera di diffida complementare, con la quale contestava a tale Stato membro di non aver adempiuto agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 5, dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, degli articoli 3, 6 e 7, dell’articolo 24, paragrafo 3, dell’articolo 31, paragrafo 8, degli articoli 33, 38, 43 e dell’articolo 46, paragrafi 1, 3, 5 e 6, della direttiva 2013/32, nonché degli articoli 2, 8, 9, 11 e dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2013/33, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera g), e con l’articolo 17, paragrafi 3 e 4, di tale direttiva e, infine, degli articoli 6, 18 e 47 della Carta.

64

Con lettera del 18 luglio 2017, l’Ungheria ha risposto a tale lettera di diffida complementare, integrando poi la propria risposta il 2 ottobre e il 20 novembre 2017. Pur dichiarando che la sua normativa era compatibile con il diritto dell’Unione, tale Stato membro l’ha tuttavia modificata su taluni punti particolari.

65

L’8 dicembre 2017 la Commissione ha inviato all’Ungheria un parere motivato, notificatole lo stesso giorno, in cui essa ha dichiarato che tale Stato membro non aveva osservato gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 5, dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, degli articoli 3 e 6, dell’articolo 24, paragrafo 3, dell’articolo 43 e dell’articolo 46, paragrafi 3, 5 e 6, della direttiva 2013/32, nonché dell’articolo 2, lettera h), e degli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33, in combinato disposto con gli articoli 6, 18 e 47 della Carta:

limitando, nell’ambito del procedimento di ricorso contro una decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale, l’esame di cui all’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 ai fatti e alle questioni giuridiche esaminate in sede di adozione della decisione;

omettendo di recepire nel proprio diritto nazionale l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 e adottando disposizioni che derogano alla regola generale dell’«effetto sospensivo automatico» del ricorso dei richiedenti protezione internazionale in situazioni non rientranti nell’articolo 46, paragrafo 6, della medesima direttiva;

riconducendo forzatamente dall’altro versante della barriera di frontiera i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare senza rispettare le procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115;

prevedendo che la domanda di asilo debba essere introdotta personalmente dinanzi all’autorità competente ed esclusivamente nella zona di transito;

disponendo che occorra applicare a tutti i richiedenti asilo (ad eccezione dei minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni) una procedura da cui consegue il loro trattenimento, per l’intera durata della procedura di asilo, nelle strutture di una zona di transito, che essi possono lasciare soltanto qualora si dirigano verso la Serbia, e non corredando tale trattenimento delle garanzie adeguate;

riducendo da otto a tre giorni il termine per la presentazione di una domanda di controllo avente ad oggetto le decisioni di primo livello recanti rigetto di una domanda di asilo.

66

L’8 febbraio 2018 l’Ungheria ha risposto al parere motivato della Commissione, ribadendo che, a suo avviso, la sua normativa era conforme al diritto dell’Unione.

67

Il 21 dicembre 2018, non essendo persuasa dalle osservazioni formulate dall’Ungheria, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

Osservazioni preliminari

68

Per costante giurisprudenza della Corte, l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza di tale termine [sentenza del 28 gennaio 2020, Commissione/Italia (Direttiva lotta contro i ritardi di pagamento), C‑122/18, EU:C:2020:41, punto 58 e giurisprudenza ivi citata]. Pertanto, l’esistenza o meno dell’inadempimento va valutata alla luce dello stato della normativa interna vigente in tale data [v., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2019, Commissione/Belgio (articolo 260, paragrafo 3, TFUE – Reti ad alta velocità), C‑543/17, EU:C:2019:573, punti 2324].

69

In udienza, l’Ungheria ha confermato che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato inviatole dalla Commissione, ossia l’8 febbraio 2018, le disposizioni della legge XX del 2017 erano applicabili in tutto il territorio ungherese, poiché l’applicazione del decreto governativo che aveva dichiarato, in tutto il suo territorio, una «situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa», ai sensi della legge sul diritto di asilo, era stata prorogata almeno fino a tale data.

70

Ne consegue che, nell’ambito dell’esame della compatibilità della normativa ungherese con le disposizioni del diritto dell’Unione che la Commissione ritiene essere state violate dall’Ungheria, la Corte deve prendere in considerazione le modifiche apportate a tale normativa dalla legge XX del 2017.

Sulla prima censura, relativa all’accesso alla procedura di protezione internazionale

Argomenti delle parti

71

La Commissione ritiene che l’Ungheria abbia violato gli articoli 3 e 6 della direttiva 2013/32 esigendo che la domanda di asilo sia introdotta personalmente ed esclusivamente nelle zone di transito di Röszke (Ungheria) e di Tompa (Ungheria), l’accesso alle quali è stato fortemente limitato dalle autorità ungheresi.

72

A tale riguardo, in primo luogo, la Commissione osserva che, qualora sia stata dichiarata una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, l’articolo 80/J, paragrafo 1, della legge sul diritto d’asilo, introdotto dalla legge XX del 2017, impone, in linea di principio, che qualsiasi domanda di asilo sia introdotta personalmente nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, alla frontiera serbo-ungherese.

73

La Commissione sostiene, inoltre, che le autorità ungheresi autorizzano solo un numero molto limitato di ingressi quotidiani in ciascuna di tali zone di transito. In tal senso, sarebbe assodato che, dal 23 gennaio 2018, una sola persona al giorno può entrare in ciascuna delle suddette zone di transito, il che creerebbe tempi di attesa di diversi mesi prima di poter entrare in una di esse per presentarvi una domanda di protezione internazionale.

74

L’ammissione in ciascuna delle zone di transito di Röszke e di Tompa avverrebbe in base a una lista di attesa informale, che sarebbe trasmessa da «capi comunità» alle autorità ungheresi. Poiché non esiste alcuna infrastruttura sulla striscia di terra che separa la frontiera serbo‑ungherese da tali zone di transito, poche persone pazienterebbero davanti all’ingresso di queste ultime, mentre la maggior parte di esse soggiornerebbe nei villaggi serbi dei dintorni.

75

In secondo luogo, la Commissione osserva che dagli articoli 3 e 6 della direttiva 2013/32 risulta che gli Stati membri sono tenuti a garantire che chiunque intenda ottenere protezione internazionale possa presentare una domanda in tal senso nel loro territorio e abbia accesso, dopo l’arrivo nel loro territorio, alla procedura per il riconoscimento di tale protezione. Tale obbligo varrebbe indipendentemente dal paese terzo attraverso il cui territorio il richiedente giunge alla frontiera di uno Stato membro.

76

Ebbene, autorizzando solo le persone che si trovano nelle zone di transito di Röszke e di Tompa a presentare e a far registrare una domanda di protezione internazionale e limitando in modo estremamente restrittivo l’accesso a tali zone, l’Ungheria non darebbe alle persone che si trovano alle sue frontiere la possibilità di presentare una domanda di protezione internazionale e di farla registrare entro il termine previsto dalla direttiva 2013/32.

77

Secondo la Commissione, a prescindere dal numero esatto di persone in attesa, un sistema che subordini il diritto di registrazione conferito dall’articolo 6 della direttiva 2013/32 alla condizione che la domanda sia presentata in un luogo preciso, al quale l’accesso è limitato su un lungo periodo, non è conforme all’obbligo, previsto in tale articolo, secondo cui l’accesso alla procedura deve essere garantito in tempo utile.

78

L’Ungheria replica, in primo luogo, che i richiedenti protezione internazionale non hanno il diritto di scegliere il loro paese di asilo e che una parte delle persone che si presentano alle sue frontiere non fugge da persecuzioni che le minaccia direttamente.

79

Occorrerebbe, inoltre, prendere in considerazione non solo l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, ma anche i paragrafi 2 e 3 di tale articolo, dai quali emergerebbe che il legislatore dell’Unione autorizza gli Stati membri ad esigere che il richiedente protezione internazionale introduca la propria domanda personalmente in un luogo designato, il che implicherebbe necessariamente che può essere impossibile introdurre contemporaneamente un numero molto elevato di domande.

80

Inoltre, la direttiva 2013/32 non determinerebbe il numero di luoghi in cui ciascuno Stato membro deve assicurare la possibilità di introdurre domande d’asilo. Secondo l’Ungheria, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, nel suo territorio esistevano due zone di transito, rispettivamente situate a Röszke e a Tompa, lungo il percorso dei richiedenti protezione internazionale e nelle quali era possibile introdurre simili domande. Inoltre, la maggior parte delle persone che entrano illegalmente in Ungheria tenterebbe di attraversare la frontiera serbo-ungherese in prossimità di tali zone di transito, cosicché ci si poteva ragionevolmente attendere da tali persone che esse introducessero la propria domanda in dette zone di transito.

81

Il diritto dell’Unione non osterebbe pertanto all’articolo 80/J, paragrafo 1, della legge sul diritto d’asilo, il quale si applicherebbe, del resto, solo in caso di dichiarazione di «situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa».

82

L’Ungheria osserva, peraltro, che una siffatta situazione di crisi può essere dichiarata, in particolare, perché lo giustificano esigenze nazionali in materia di ordine pubblico e di sicurezza interna. Orbene, nella fattispecie, nel 2018 sarebbero stati commessi in Ungheria più di 17000 reati connessi all’immigrazione clandestina. L’obbligo di introdurre una domanda di protezione internazionale nelle zone di transito rafforzerebbe così l’efficacia della lotta contro il traffico di esseri umani e risponderebbe all’esigenza di protezione delle frontiere dello spazio Schengen.

83

Inoltre, l’articolo 80/J, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo prevederebbe deroghe all’obbligo di presentare la domanda di asilo in tali zone di transito. Le persone che soggiornano legalmente nel territorio ungherese potrebbero quindi introdurre la loro domanda in qualsiasi luogo in tale territorio.

84

Peraltro, una volta introdotta la domanda nella zona di transito interessata, il procedimento sarebbe avviato conformemente alle norme generali. L’articolo 32/D della legge sul diritto d’asilo garantirebbe quindi che, dopo la presentazione della domanda, l’autorità competente in materia di asilo avvii immediatamente tale procedura. La registrazione di detta domanda sarebbe quindi effettuata immediatamente dopo la sua presentazione nella zona di transito interessata, o comunque, al più tardi, entro le 24 ore, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2013/32.

85

L’Ungheria nega, in secondo luogo, che l’accesso alle zone di transito sia stato limitato. Peraltro, sebbene le autorità ungheresi siano a conoscenza della prassi consistente nel fatto che i richiedenti asilo che accedono alla procedura di asilo in Serbia o che beneficiano di un’assistenza in tale Stato terzo si presentano davanti alle suddette zone di transito in un ordine determinato, stabilito secondo liste elaborate da loro stessi, dalle autorità serbe o da determinate organizzazioni, le autorità ungheresi non avrebbero alcuna influenza sull’ordine così stabilito e non parteciperebbero all’elaborazione di simili liste, e neppure le utilizzerebbero.

86

Infine, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, l’assenza di lunghe file di attesa davanti all’ingresso delle zone di transito di Röszke e di Tompa si spiegherebbe con il fatto che le persone interessate sono o erano già sottoposte a una procedura di asilo in corso in Serbia e beneficerebbero dell’assistenza in tale Stato terzo.

Giudizio della Corte

87

Con la sua prima censura, la Commissione contesta, in sostanza, all’Ungheria di aver violato gli articoli 3 e 6 della direttiva 2013/32, autorizzando solo un numero molto ridotto di persone ad accedere quotidianamente, a partire dalla Serbia, alle zone di transito di Röszke e di Tompa, situate nelle immediate vicinanze della frontiera serbo-ungherese, e ciò sebbene le domande di protezione internazionale possano essere presentate solo personalmente e in tali zone di transito.

88

In primo luogo, occorre ricordare che, sotto un primo profilo, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 prevede che tale direttiva si applichi a tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri.

89

Sotto un secondo profilo, l’articolo 6 di tale direttiva, rubricato «Accesso alla procedura», prevede, al paragrafo 1, primo comma, che, quando chiunque presenti una domanda di protezione internazionale a un’autorità competente a norma del diritto nazionale a registrare tali domande, detta registrazione è effettuata entro tre giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda. L’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, della medesima direttiva precisa che, se la domanda di protezione internazionale è presentata ad altre autorità preposte a ricevere tali domande ma non competenti per la registrazione a norma del diritto nazionale, gli Stati membri provvedono affinché la registrazione sia effettuata entro sei giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.

90

Così facendo, il legislatore dell’Unione ha accolto una concezione ampia delle autorità che, senza essere competenti a registrare domande di protezione internazionale, possono tuttavia ricevere simili domande, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2013/32. Così, un’autorità nazionale deve, in linea di principio, essere considerata tale se è plausibile che una domanda di protezione internazionale le venga presentata da un cittadino di paese terzo o da un apolide [v., in tal senso, sentenza del 25 giugno 2020, Ministerio Fiscal (Autorità che può ricevere una domanda di protezione internazionale), C‑36/20 PPU, EU:C:2020:495, punti da 57 a 59]. Del resto, l’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, di tale direttiva menziona espressamente che costituiscono autorità siffatte la polizia, le guardie di frontiera, le autorità competenti per l’immigrazione e il personale dei centri di trattenimento.

91

Sotto un terzo profilo, qualora le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano molto difficile all’atto pratico rispettare i termini di cui all’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva, l’articolo 6, paragrafo 5, della medesima direttiva consente, a titolo di deroga, agli Stati membri di registrare le domande di protezione internazionale entro un termine di dieci giorni lavorativi dalla loro presentazione.

92

Sotto un quarto profilo, occorre aggiungere che, conformemente all’articolo 6, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32, chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale deve avere un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto prima, fermo restando che, fatto salvo tale diritto, gli Stati membri possono esigere che tale domanda sia introdotta personalmente e/o in un luogo designato a tal fine.

93

Da quanto sopra deriva che gli Stati membri sono, in linea generale, tenuti a registrare, entro un termine fissato all’articolo 6 della direttiva 2013/32, ogni domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo alle autorità nazionali rientrante nell’ambito di applicazione di tale direttiva, e che essi devono poi garantire che gli interessati abbiano un’effettiva possibilità di inoltrare la loro domanda quanto prima (v., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2018, Hasan,C‑360/16, EU:C:2018:35, punto 76).

94

Ciò premesso, occorre sottolineare, in secondo luogo, che, come confermato dalla Commissione in udienza, la sua prima censura verte non già sulla procedura di registrazione o di inoltro della domanda di protezione internazionale in quanto tale, bensì sulle modalità secondo le quali una siffatta domanda deve, preliminarmente, poter essere presentata alle autorità ungheresi.

95

A tal riguardo, occorre rilevare che, sotto un primo aspetto, dall’articolo 7 della direttiva 2013/32 risulta che gli Stati membri sono tenuti a garantire il diritto, per il cittadino di un paese terzo o per un apolide, di presentare, per proprio conto o per il tramite di un terzo, una domanda di protezione internazionale.

96

Detto articolo 7, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva, conferisce pertanto al cittadino di un paese terzo o all’apolide il diritto di presentare una domanda di protezione internazionale, compreso alle frontiere di uno Stato membro o nelle zone di transito di quest’ultimo. A tal riguardo, se è vero che, come osserva l’Ungheria, l’articolo 6, paragrafo 3, di detta direttiva autorizza gli Stati membri a imporre che le domande di protezione internazionale siano introdotte in un luogo designato, occorre rilevare che nessuna disposizione della medesima direttiva introduce una norma analoga per quanto riguarda la presentazione delle domande di protezione internazionale.

97

Una siffatta domanda si considera, peraltro, presentata non appena la persona interessata abbia manifestato, presso una delle autorità di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, la propria volontà di beneficiare della protezione internazionale, senza che la manifestazione di tale volontà possa essere sottoposta a una qualche formalità amministrativa [v., in tal senso, sentenza del 25 giugno 2020, Ministerio Fiscal (Autorità che può ricevere una domanda di protezione internazionale), C‑36/20 PPU, EU:C:2020:495, punti 9394].

98

Discende pertanto dall’articolo 6 della direttiva 2013/32 che ogni cittadino di un paese terzo o apolide ha il diritto di presentare una domanda di protezione internazionale a una delle autorità di cui a detto articolo, manifestando, presso una di esse, la propria volontà di beneficiare di una protezione internazionale.

99

Sotto un secondo aspetto, occorre sottolineare che la presentazione della domanda di protezione internazionale a una delle autorità di cui all’articolo 6 della direttiva 2013/33 costituisce una tappa essenziale nella procedura di riconoscimento della protezione internazionale.

100

Infatti, il cittadino di un paese terzo o l’apolide acquisisce la qualità di richiedente protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della direttiva 2013/32, a partire dal momento in cui presenta una simile domanda [sentenza del 25 giugno 2020, Ministerio Fiscal (Autorità che può ricevere una domanda di protezione internazionale), C‑36/20 PPU, EU:C:2020:495, punto 92].

101

Inoltre, è a partire dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale che inizia a decorrere il termine entro il quale tale domanda deve essere registrata, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva, e che il richiedente deve essere messo in condizione di inoltrare la propria domanda di protezione internazionale quanto prima, come richiesto dall’articolo 6, paragrafo 2, di detta direttiva. Occorre inoltre sottolineare che l’inoltro di tale domanda fa decorrere il termine entro il quale, conformemente all’articolo 31 della medesima direttiva, l’autorità accertante deve, in linea di principio, statuire sulla domanda di protezione internazionale.

102

Il diritto di presentare una siffatta domanda condiziona pertanto il rispetto effettivo dei diritti a che tale domanda sia registrata e possa essere inoltrata ed esaminata entro i termini fissati dalla direttiva 2013/32 e, in definitiva, l’effettività del diritto di asilo, quale garantito dall’articolo 18 della Carta.

103

Pertanto, uno Stato membro non può, salvo compromettere l’effetto utile dell’articolo 6 di tale direttiva, ritardare, in modo ingiustificato, il momento in cui la persona interessata è messa in condizione di presentare la propria domanda di protezione internazionale.

104

Sotto un terzo aspetto, occorre ricordare che l’obiettivo stesso di detta direttiva, in particolare quello del suo articolo 6, paragrafo 1, consiste nel garantire un accesso effettivo, facile e rapido alla procedura di protezione internazionale [sentenza del 25 giugno 2020, Ministerio Fiscal (Autorità che può ricevere una domanda di protezione internazionale), C‑36/20 PPU, EU:C:2020:495, punto 82].

105

L’articolo 8, paragrafo 1, della medesima direttiva conferma, del resto, un obiettivo del genere. Infatti, tale disposizione ha lo scopo di facilitare la presentazione delle domande di protezione internazionale imponendo, in particolare, agli Stati membri di fornire informazioni in merito alla possibilità di presentare una siffatta domanda a qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide presente a un valico di frontiera, compresa una zona di transito alle frontiere esterne, qualora vi siano indicazioni che tale persona desideri presentare una simile domanda.

106

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’articolo 6 della direttiva 2013/32 impone agli Stati membri di garantire che le persone interessate possano essere in grado di esercitare in modo effettivo il diritto di presentare una domanda di protezione internazionale, anche alle loro frontiere, non appena ne manifestino la volontà, affinché tale domanda sia registrata e possa essere inoltrata ed esaminata nel rispetto effettivo dei termini fissati da tale direttiva.

107

Occorre esaminare se, nel caso di specie, l’Ungheria si sia conformata a un simile obbligo.

108

A tale riguardo, detto Stato membro conferma che l’articolo 80/J della legge sul diritto di asilo impone ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi che, giungendo dalla Serbia, intendano accedere, in Ungheria, alla procedura di protezione internazionale, non solo di inoltrare, ma anche di presentare le proprie domande di protezione internazionale in una delle due zone di transito di Röszke e di Tompa.

109

In tal senso, nelle sue osservazioni, l’Ungheria ha precisato che il termine fissato all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 per la registrazione di una domanda di protezione internazionale non può iniziare a decorrere fintanto che i richiedenti protezione internazionale non abbiano raggiunto una di tali zone di transito. Ne consegue che la presentazione delle loro domande può aver luogo solo in dette zone, circostanza che l’Ungheria ha del resto confermato in udienza.

110

Tenendo a mente tale precisazione preliminare, occorre esaminare se, come sostiene la Commissione, le autorità ungheresi abbiano proceduto a una drastica limitazione del numero di persone che, di fatto, sono autorizzate ad entrare quotidianamente in ciascuna delle stesse zone di transito al fine di presentarvi una domanda di protezione internazionale.

111

A tale riguardo, occorre ricordare, anzitutto, che una prassi amministrativa può costituire oggetto di ricorso per inadempimento qualora risulti in una certa misura costante e generale [v., in particolare, sentenze del 9 maggio 1985, Commissione/Francia,21/84, EU:C:1985:184, punto 13, e del 5 settembre 2019, Commissione/Italia (batterio Xylella fastidiosa), C‑443/18, EU:C:2019:676, punto 74].

112

Inoltre, la Commissione ha l’obbligo di dimostrare l’esistenza dell’inadempimento contestato e di fornire alla Corte gli elementi necessari alla verifica, da parte di quest’ultima, della sussistenza di tale inadempimento, senza potersi basare su una qualche presunzione [v., in particolare, sentenze del 27 aprile 2006, Commissione/Germania,C‑441/02, EU:C:2006:253, punto 48, e del 2 maggio 2019, Commissione/Croazia (Discarica di Biljane Donje), C‑250/18, non pubblicata, EU:C:2019:343, punto 33]. È solamente quando la Commissione fornisca elementi sufficienti a dimostrare che determinati fatti si sono verificati sul territorio dello Stato membro convenuto che spetta a quest’ultimo contestare in modo sostanziale e dettagliato i dati forniti dalla Commissione e le conseguenze che ne derivano [v., in particolare, sentenze del 26 aprile 2005, Commissione/Irlanda,C‑494/01, EU:C:2005:250, punto 44, e del 28 marzo 2019, Commissione/Irlanda (Sistema di raccolta e di trattamento delle acque reflue), C‑427/17, non pubblicata, EU:C:2019:269, punto 39].

113

Per quanto riguarda, in particolare, una censura avente ad oggetto l’attuazione di una disposizione nazionale, la Corte ha statuito che la dimostrazione di un inadempimento di Stato richiede la produzione di elementi di prova di natura specifica rispetto a quelli abitualmente presi in considerazione nell’ambito di un ricorso per inadempimento avente unicamente ad oggetto il contenuto di una disposizione nazionale e che, ciò considerato, l’inadempimento può essere provato soltanto mediante una dimostrazione sufficientemente documentata e circostanziata della prassi rimproverata alle autorità amministrative e/o ai giudici nazionali e attribuibile allo Stato membro di cui trattasi (sentenze del 27 aprile 2006, Commissione/Germania, C‑441/02, EU:C:2006:253, punto 49, e del 9 luglio 2015, Commissione/Irlanda, C‑87/14, EU:C:2015:449, punto 23).

114

Nel caso di specie, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 59 delle sue conclusioni, la Commissione ha allegato al suo ricorso varie relazioni a sostegno della sua affermazione secondo cui i cittadini di paesi terzi o gli apolidi che desideravano presentare una domanda di protezione internazionale presso autorità operanti nelle zone di transito di Röszke e di Tompa subivano tempi di attesa di diversi mesi, causati da una prassi costante e generalizzata delle autorità ungheresi, la quale era ancora applicata alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, vale a dire l’8 febbraio 2018, consistente nel limitare l’ingresso autorizzato in queste due zone di transito a un numero significativamente ridotto di persone al giorno.

115

Così, secondo una delle tre relazioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (HCR), allegate al ricorso della Commissione, sin dall’ottobre 2015, le autorità ungheresi hanno deciso di limitare il numero di ingressi quotidiani autorizzati in ciascuna delle zone di transito di Röszke e di Tompa. Da queste tre relazioni risulta altresì che il numero di ingressi quotidiani autorizzati in tali zone di transito è diminuito in modo progressivo e costante, di modo che, nel corso del 2018, solo due persone al giorno erano autorizzate ad entrare in ciascuna di tali zone di transito. Occorre aggiungere, al riguardo, che dette relazioni godono di particolare rilevanza in considerazione del ruolo affidato all’HCR dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 137, n. 2545 (1954)], nel rispetto della quale devono essere interpretate le norme del diritto dell’Unione in materia di asilo (v., in tal senso, sentenza del 23 maggio 2019, Bilali, C‑720/17, EU:C:2019:448, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

116

Peraltro, i dati contenuti nelle stesse relazioni coincidono, in larga misura, con le osservazioni riportate in due relazioni del 2017, provenienti, da un lato, dal rappresentante speciale del Segretario generale del Consiglio d’Europa per le migrazioni e i rifugiati e, dall’altro, dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, allegati al ricorso e anch’essi richiamati dalla Commissione.

117

Risulta, inoltre, dalle relazioni dell’HCR, allegate al ricorso, che la fissazione, da parte delle autorità ungheresi, di un numero massimo di ingressi quotidiani autorizzati in ciascuna delle zone di transito di Röszke e di Tompa ha avuto come conseguenza che i cittadini di paesi terzi o gli apolidi che si trovavano in Serbia nelle immediate vicinanze della frontiera serbo-ungherese, e che desideravano presentare una domanda di protezione internazionale in Ungheria, hanno dovuto far fronte a tempi di attesa che non hanno cessato di aumentare e che, nel febbraio 2018, ammontavano a più di 11 mesi.

118

Ne consegue che la Commissione ha dimostrato, in modo sufficientemente documentato e circostanziato, l’esistenza, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, vale a dire l’8 febbraio 2018, di una prassi amministrativa costante e generalizzata delle autorità ungheresi volta a limitare l’accesso alle zone di transito di Röszke e di Tompa in modo sistematico e talmente drastico che i cittadini di paesi terzi o gli apolidi che, arrivando dalla Serbia, desideravano accedere, in Ungheria, alla procedura di protezione internazionale si sono trovati di fronte alla quasi impossibilità pratica di presentare una domanda di protezione internazionale in Ungheria.

119

Ebbene, una prassi amministrativa del genere è incompatibile con gli obblighi derivanti dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2013/32.

120

Nessuno degli argomenti dedotti dall’Ungheria è in grado di rimettere in discussione tale conclusione.

121

A tal riguardo, occorre anzitutto rilevare che tale Stato membro nega, certamente, il fatto che istruzioni amministrative abbiano avuto lo scopo di limitare il numero quotidiano di domande di protezione internazionale che possono essere presentate in ciascuna delle zone di transito di Röszke e di Tompa.

122

Tuttavia, oltre al fatto che tale affermazione è formalmente contraddetta dalle relazioni menzionate ai punti 115 e 116 della presente sentenza, l’Ungheria non ha spiegato, in modo giuridicamente adeguato, la ragione per la quale, nell’asserita assenza di istruzioni del genere, erano state elaborate liste d’attesa, di cui essa ha ammesso l’esistenza, al fine di fissare l’ordine in cui le persone che si trovavano in Serbia, nelle immediate vicinanze delle zone di transito di Röszke e di Tompa, e che desideravano presentare una domanda di protezione internazionale in una di tali zone di transito, avrebbero potuto entrarvi.

123

A tal riguardo, e quand’anche, come sostenuto dall’Ungheria, le autorità ungheresi non abbiano partecipato all’elaborazione di tali liste né influito sull’ordine di accesso alle zone di transito così stabilito dalle suddette liste, resta il fatto che l’esistenza stessa di queste ultime deve essere considerata l’inevitabile conseguenza della prassi rilevata al punto 118 della presente sentenza.

124

Peraltro, non può essere accolto neppure l’argomento dell’Ungheria secondo cui la progressiva scomparsa delle importanti file d’attesa davanti all’ingresso di dette zone di transito dimostrerebbe che non esiste alcuna restrizione d’ingresso in tali zone di transito.

125

Infatti, è pacifico che non è disponibile alcuna infrastruttura nella striscia di terra che separa la frontiera serbo-ungherese dal portale d’ingresso delle zone di transito di Röszke e Tompa, ragion per cui è estremamente difficile restarvi per un lungo periodo. Inoltre, come giustamente sottolineato dalla Commissione, dalle relazioni depositate in allegato al suo ricorso si può dedurre che l’importanza delle file d’attesa davanti all’ingresso di ciascuna delle zone di transito è diminuita a partire dalla data in cui sono apparse le liste d’attesa menzionate al punto 122 della presente sentenza, in quanto solo le persone situate in una posizione utile in tali liste sono condotte, dalle autorità serbe, nella striscia di terra che separa la frontiera serbo‑ungherese dal portale d’ingresso della zona di transito interessata, il giorno prima della data in cui è previsto che tali persone possano entrare in detta zona di transito.

126

Ne consegue che la scomparsa delle importanti file d’attesa davanti all’ingresso delle zone di transito di Röszke e di Tompa non può rimettere in discussione il rilievo secondo cui le autorità ungheresi hanno deciso di limitare drasticamente l’accesso a tali zone.

127

Infine, sebbene, come ricorda l’Ungheria, spetti certamente agli Stati membri assicurarsi, in particolare, dell’attraversamento regolare delle frontiere esterne, conformemente al regolamento 2016/399, il rispetto di un simile obbligo non può tuttavia giustificare la violazione dell’articolo 6 della direttiva 2013/32 da parte degli Stati membri.

128

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 6 della direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 3 della stessa, prevedendo che le domande di protezione internazionale provenienti da cittadini di paesi terzi o da apolidi che, arrivando dalla Serbia, desiderano accedere, nel suo territorio, alla procedura di protezione internazionale possano essere presentate solo nelle zone di transito di Röszke e Tompa, e adottando nel contempo una prassi amministrativa costante e generalizzata che limita drasticamente il numero di richiedenti autorizzati a entrare quotidianamente in tali zone di transito.

Sulla seconda e sulla terza censura, relative al trattenimento dei richiedenti protezione internazionale

Argomenti delle parti

– Sulla seconda censura

129

Con la sua seconda censura, la Commissione contesta all’Ungheria di aver violato l’articolo 24, paragrafo 3, e l’articolo 43 della direttiva 2013/32.

130

In primo luogo, la Commissione sottolinea, sotto un primo profilo, che l’articolo 26 della direttiva 2013/32 enuncia la regola di principio secondo cui un richiedente protezione internazionale non può essere trattenuto per il solo fatto di aver presentato una domanda di protezione internazionale. Se è vero che l’articolo 43 di tale direttiva autorizza gli Stati membri ad applicare norme particolari al riguardo, quando istituiscono procedure di confine, essi sarebbero tuttavia tenuti, in una simile ipotesi, a rispettare gli obblighi previsti da detto articolo 43. Orbene, la legge XX del 2017 avrebbe introdotto nuove disposizioni incompatibili con detto articolo 43.

131

In tal senso, secondo l’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo, l’intera procedura di esame della domanda di protezione internazionale dovrebbe svolgersi nella zona di transito, contrariamente a quanto sarebbe previsto dal medesimo articolo 43.

132

Inoltre, tale articolo 80/J, paragrafo 5, non limiterebbe la durata della procedura di frontiera a quattro settimane, come sarebbe richiesto dall’articolo 43 della direttiva 2013/32.

133

La Commissione ritiene, sotto un secondo profilo, che neppure le garanzie procedurali particolari di cui al capo II della direttiva 2013/32 siano rispettate. Così, il «sostegno adeguato» di cui le persone che necessitano di tali garanzie procedurali particolari devono beneficiare, conformemente all’articolo 24, paragrafo 3, di tale direttiva, non sarebbe garantito nel corso della procedura prevista all’articolo 80/J della legge sul diritto di asilo, poiché la legge XX del 2017 ha sospeso, in caso di situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, l’applicazione delle disposizioni della legge sul diritto di asilo in forza delle quali le procedure di frontiera non sono applicabili ai richiedenti che necessitano di siffatte garanzie procedurali particolari.

134

Secondo la Commissione, l’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo obbliga pertanto, in violazione dell’articolo 24, paragrafo 3, e dell’articolo 43 della direttiva 2013/32, i richiedenti a rimanere nella zona di transito interessata al di là di un termine di quattro settimane affinché la loro domanda sia pienamente esaminata, senza che tale esame sia limitato ai casi di inammissibilità previsti all’articolo 33 di tale direttiva o a un esame nel merito nei casi previsti all’articolo 31, paragrafo 8, di quest’ultima, e senza che sia concesso un «sostegno adeguato» alle persone che necessitano delle garanzie procedurali particolari di cui al capo II della direttiva 2013/32.

135

In secondo luogo, la Commissione ritiene che l’articolo 72 TFUE non consenta agli Stati membri di rifiutare l’applicazione del diritto dell’Unione invocando genericamente il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna.

136

A tal riguardo, la Commissione osserva come non sembri che la situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa sia stata dichiarata nel territorio ungherese per un periodo transitorio.

137

Peraltro, l’ipotesi in cui un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi chieda simultaneamente una protezione internazionale sarebbe stata presa in considerazione dal legislatore dell’Unione, in particolare all’articolo 6, paragrafo 5, all’articolo 14, paragrafo 1, all’articolo 31, paragrafo 3, lettera b), e all’articolo 43, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, all’articolo 10, paragrafo 1, e all’articolo 18, paragrafo 9, della direttiva 2013/33 nonché all’articolo 18 della direttiva 2008/115. Tali norme sarebbero dirette a consentire agli Stati membri di optare per soluzioni flessibili in caso di emergenza e di discostarsi, in una certa misura, dalle norme generalmente applicabili. Di conseguenza, la situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa invocata dall’Ungheria potrebbe e dovrebbe essere risolta nell’ambito del diritto dell’Unione.

138

L’Ungheria replica, in primo luogo, che le procedure svolte nelle zone di transito sono condotte in applicazione delle norme generali previste dalla direttiva 2013/32, cosicché non è necessario che tali procedure siano conformi all’articolo 43 di tale direttiva, riguardante le procedure di frontiera.

139

Sulla base della normativa in vigore alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, le zone di transito di Röszke e di Tompa sarebbero, in sostanza, centri di accoglienza aperti, situati in prossimità della frontiera serbo-ungherese, dove sarebbe svolta l’intera procedura di esame delle domande di asilo.

140

Per quanto riguarda, in secondo luogo, il rispetto dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, l’Ungheria sostiene che l’articolo 4, paragrafo 3, della legge sul diritto di asilo sancisce il principio secondo cui le disposizioni di tale legge devono essere applicate tenendo conto delle esigenze specifiche dei richiedenti che necessitano di un trattamento procedurale particolare. Di conseguenza, l’autorità competente in materia di asilo sarebbe costantemente attenta alle particolari esigenze di tali richiedenti, durante l’intero svolgimento della procedura. Le particolari esigenze di detti richiedenti sarebbero altresì prese in considerazione, in modo più specifico, in altre disposizioni.

141

In terzo luogo, l’articolo 72 TFUE autorizzerebbe, in ogni caso, l’Ungheria a dichiarare una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa e ad applicare, in una situazione del genere, norme procedurali derogatorie. A tal riguardo, detto Stato membro ritiene che le disposizioni di diritto derivato invocate dalla Commissione si siano rivelate insufficienti per consentire di gestire in modo adeguato la situazione esistente a partire dalla crisi del 2015.

– Sulla terza censura

142

La Commissione contesta all’Ungheria di essere venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 2, lettera h), nonché degli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33, avendo trattenuto tutti i richiedenti protezione internazionale, ad eccezione dei minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni, per tutta la durata della procedura di esame della loro domanda, senza rispettare le garanzie previste al riguardo.

143

La Commissione osserva, in primo luogo, che il soggiorno obbligatorio dei richiedenti in una delle zone di transito di Röszke o di Tompa comporta una restrizione della loro libertà individuale di portata tale da dover essere assimilata al trattenimento ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33.

144

Infatti, tali zone di transito sarebbero luoghi chiusi che i richiedenti potrebbero lasciare solo in direzione della Serbia. Inoltre, conformemente all’articolo 80/K, paragrafo 2, lettera d), della legge sul diritto di asilo, l’autorità competente in materia di asilo potrebbe chiudere la procedura se il richiedente lasciasse la zona di transito interessata. Detto richiedente non sarebbe quindi realmente libero di lasciare tale zona, poiché, così facendo, si esporrebbe al rischio di vedere chiuso l’esame della propria domanda e di perdere così la possibilità di ottenere una protezione internazionale.

145

La Commissione rileva altresì che il tempo trascorso dal richiedente protezione internazionale nelle zone di transito costituisce un fattore importante per determinare se il soggiorno in tali zone possa essere considerato un trattenimento. Orbene, i rappresentanti della Commissione avrebbero constatato in loco che taluni richiedenti vi soggiornavano da più di quattordici mesi.

146

In secondo luogo, la Commissione sostiene che un simile trattenimento è incompatibile con l’articolo 26 della direttiva 2013/32 nonché con l’articolo 8, paragrafi 2 e 3, l’articolo 9 e l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2013/33, in quanto sarebbe applicato a titolo di regola generale, in modo sistematico, senza valutazione individuale né adozione di una decisione scritta, e in quanto riguarderebbe anche i minori, ad eccezione dei minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni.

147

Sebbene l’articolo 80/I della legge sul diritto di asilo non escluda, in caso di situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, l’applicazione delle disposizioni nazionali che recepiscono le disposizioni del diritto dell’Unione relative al trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, la Commissione ritiene tuttavia che dette disposizioni non siano rilevanti in una situazione del genere, dal momento che, in tale situazione, tutti i richiedenti sarebbero tenuti a soggiornare in una delle due zone di transito, conformemente all’articolo 80/J, paragrafo 5, di detta legge.

148

L’Ungheria replica che tali zone di transito non sono luoghi di trattenimento, ma, in sostanza, centri di accoglienza, situati nel suo territorio alla frontiera esterna dello spazio Schengen, designati come luogo di svolgimento della procedura di asilo conformemente al diritto dell’Unione.

149

Tale Stato membro fa valere che una persona che intenda recarsi nel suo territorio può utilizzare un valico di frontiera, senza entrare in una delle suddette zone di transito, se è in possesso di documenti in corso di validità. Peraltro, le stesse zone di transito sarebbero chiuse unicamente in direzione dell’Ungheria, al fine di proteggere la frontiera esterna dello spazio Schengen, ma i loro occupanti sarebbero liberi di lasciarle per la Serbia. Inoltre, né la durata del soggiorno in un centro di accoglienza, né la qualità delle condizioni ivi esistenti, dovrebbero essere prese in considerazione al fine di stabilire se il soggiorno in quest’ultimo possa essere assimilato a un trattenimento.

150

Per giunta, il richiedente che lascia una zona di transito non sarebbe esposto necessariamente a conseguenze sfavorevoli. Infatti, l’articolo 80/K, paragrafo 2, lettera d), della legge sul diritto di asilo prevederebbe che, in una simile ipotesi, l’autorità competente in materia di asilo adotti una decisione sulla base delle informazioni a sua disposizione o chiuda la procedura. Pertanto, anche in assenza del richiedente, tale autorità potrebbe pronunciarsi sulla domanda di protezione internazionale e, se del caso, accoglierla.

151

Del resto, l’inoltro di una domanda di asilo non porterebbe automaticamente a una privazione sistematica della libertà, poiché, ai sensi dell’articolo 80/J, paragrafo 1, lettera c), della legge sul diritto di asilo, una persona che soggiorna legalmente nel territorio ungherese potrebbe presentare la sua domanda senza doversi recare né dover rimanere in una delle zone di transito.

152

Occorrerebbe inoltre prendere in considerazione l’articolo 80/J, paragrafo 1, lettera b), della legge sul diritto d’asilo, che riguarderebbe in modo specifico l’inoltro delle domande di asilo inoltrate da persone trattenute. Le norme specifiche riguardanti il trattenimento o il mantenimento del medesimo sarebbero previste, a loro volta, agli articoli da 31/A a 31/I di detta legge e garantirebbero il pieno rispetto delle disposizioni della direttiva 2013/33 relative al trattenimento.

153

Per quanto riguarda la visita effettuata da rappresentanti della Commissione, l’Ungheria sottolinea, inoltre, che essa riguardava soltanto la zona di transito di Röszke e che non si può escludere che le persone interrogate dai rappresentanti della Commissione in tale occasione non siano state richiedenti protezione internazionale, bensì persone sottoposte a una procedura di competenza della polizia per gli stranieri.

154

L’Ungheria deduce, infine, che l’autorità competente in materia di asilo adotta in ogni caso una decisione relativa alla sistemazione nella zona di transito, quale luogo di soggiorno assegnato all’interessato nel corso della procedura di asilo, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2013/33, decisione che è impugnabile. Peraltro, il carattere personalizzato della sistemazione e della presa in carico dell’interessato si tradurrebbe, in particolare, nel raggruppamento dei richiedenti per nazionalità negli alloggi, nella proposta di un regime alimentare specifico, nonché nella fornitura di mobili e cure sanitarie, in particolare di cure psicologiche.

Giudizio della Corte

155

Con la seconda e la terza censura, che occorre esaminare congiuntamente, la Commissione contesta, in sostanza, all’Ungheria di aver violato l’articolo 24, paragrafo 3, e l’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché l’articolo 2, lettera h), e gli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33, avendo istituito un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione internazionale, nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, senza rispettare le condizioni e le garanzie derivanti da tali disposizioni.

156

Occorre osservare, in via preliminare, che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ungheria, la chiusura di queste due zone di transito a seguito della sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367), è irrilevante nell’ambito dell’esame del presente ricorso. Infatti, come ricordato al punto 68 della presente sentenza, l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, ossia, nel caso di specie, l’8 febbraio 2018.

– Sull’esistenza di un trattenimento nelle zone di transito di Röszke e di Tompa

157

Dall’articolo 80/J, paragrafi 1, 5 e 6, della legge sul diritto di asilo risulta che ogni richiedente protezione internazionale che non disponga già di un titolo di soggiorno nel territorio ungherese deve rimanere in una delle due zone di transito di Röszke e di Tompa durante l’esame della sua domanda, ovvero, se del caso, nel corso del procedimento giurisdizionale avente ad oggetto l’esame del ricorso diretto a contestare un’eventuale decisione di rigetto di quest’ultima, a meno che l’interessato sia un minore non accompagnato di età inferiore a 14 anni o sia già oggetto di una misura di trattenimento o di restrizione della libertà individuale, ai sensi dell’articolo 80/J, paragrafo 1, di detta legge.

158

L’Ungheria contesta tuttavia l’affermazione della Commissione secondo cui un simile obbligo di rimanere in una di queste due zone di transito costituisce un trattenimento ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33.

159

A tale riguardo, occorre rilevare che il trattenimento di un richiedente protezione internazionale, ai sensi di tale disposizione, è una nozione autonoma del diritto dell’Unione da intendersi come una misura coercitiva che priva tale richiedente della sua libertà di circolazione e lo isola dal resto della popolazione, imponendogli di soggiornare in modo permanente in un perimetro circoscritto e ristretto (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 223).

160

Nel caso di specie, dal ricorso nonché dai documenti ad esso allegati risulta che i richiedenti protezione internazionale il cui luogo di soggiorno è la zona di transito di Röszke o quella di Tompa sono tenuti a soggiornare in modo permanente nella zona di transito interessata, la quale è recintata e sormontata da filo spinato. Tali richiedenti sono alloggiati in container la cui superficie non è superiore a 13 m2. Essi non possono entrare in contatto con persone esterne alla zona di transito interessata, ad eccezione del loro legale rappresentante, e i loro movimenti all’interno della stessa sono limitati e sorvegliati dai membri dei servizi d’ordine permanentemente presenti in detta zona di transito e nelle immediate vicinanze della medesima.

161

L’Ungheria non contesta tali elementi.

162

Ne consegue che, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 134 delle sue conclusioni, il collocamento dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa non si distingue da un regime di trattenimento.

163

L’argomento dedotto dall’Ungheria, secondo cui tali richiedenti sono liberi di lasciare la zona di transito interessata in direzione della Serbia, non può rimettere in discussione una simile valutazione.

164

Infatti, da un lato, e senza che spetti alla Corte, nell’ambito della presente causa, pronunciarsi sulla conformità del comportamento delle autorità serbe all’accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare fra la Comunità europea e la Repubblica di Serbia, allegato alla decisione 2007/819/CE del Consiglio, dell’8 novembre 2007 (GU 2007, L 334, pag. 45), occorre rilevare che un eventuale ingresso dei richiedenti protezione internazionale in Serbia sarebbe, con ogni verosimiglianza, considerato illegale da tale Stato terzo e che, di conseguenza, essi sarebbero ivi esposti a sanzioni. Pertanto, segnatamente per tale ragione, non si può ritenere che i richiedenti protezione internazionale posti nelle zone di transito di Röszke e di Tompa abbiano una possibilità effettiva di lasciare tali zone di transito (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 229).

165

Dall’altro lato, lasciando il territorio ungherese, tali ricorrenti richiedenti rischiano di perdere qualsiasi possibilità di ottenere lo status di rifugiato in Ungheria. Infatti, secondo l’articolo 80/J, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo, essi possono depositare una nuova domanda di asilo solo in una di queste due zone di transito. Inoltre, dall’articolo 80/K, paragrafi 2 e 4, di tale legge discende che l’autorità competente in materia di asilo può decidere di chiudere la procedura di protezione internazionale qualora il richiedente lasci una di queste due zone, senza che tale decisione possa essere contestata nell’ambito di un procedimento giurisdizionale amministrativo (sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 230).

166

Ne consegue che l’obbligo per i richiedenti protezione internazionale di soggiornare nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, quale discende dall’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo, deve essere considerato un trattenimento ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33.

– Sulla compatibilità del trattenimento nelle zone di transito di Röszke e di Tompa con gli obblighi previsti dalle direttive 2013/32 e 2013/33

167

In primo luogo, la Commissione contesta all’Ungheria di aver istituito un sistema di trattenimento dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e di Tompa che non rispetta le condizioni previste all’articolo 43 della direttiva 2013/32 e che non è giustificato da alcuno dei motivi menzionati all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della direttiva 2013/33.

168

Secondo giurisprudenza costante, l’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della direttiva 2013/33 elenca in modo esaustivo i vari motivi che possono giustificare il trattenimento di un richiedente protezione internazionale. Ciascuno di tali motivi risponde a una necessità specifica e ha carattere autonomo (sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 250 e giurisprudenza ivi citata).

169

Se è vero che, come enunciato dal considerando 17 di tale direttiva, quest’ultima non osta a che gli Stati membri stabiliscano altri motivi di trattenimento, compresi quelli che rientrano nell’ambito dei procedimenti penali, qualora essi non siano correlati allo status di richiedente protezione internazionale, occorre rilevare, nel caso di specie, che il sistema di trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, istituito all’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo, non si fonda su un motivo indipendente dallo status di questi ultimi.

170

Occorre pertanto esaminare se il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale indicati al punto 157 della presente sentenza nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, sin dal loro arrivo nel territorio ungherese, rientri in almeno una delle ipotesi elencate all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della direttiva 2013/33.

171

A tale riguardo, sotto un primo profilo, si deve escludere che un simile trattenimento possa essere giustificato da uno dei motivi di cui alle lettere da d) a f) di detto articolo 8, paragrafo 3, primo comma.

172

Infatti, per quanto riguarda, da un lato, il motivo di trattenimento menzionato all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della direttiva 2013/33, è pacifico che i richiedenti protezione internazionale di cui al punto 157 della presente sentenza sono trattenuti nelle zone di transito di Röszke e di Tompa senza che sia stato previamente dimostrato che il loro comportamento individuale costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società o della sicurezza interna o esterna dell’Ungheria (v., a tal riguardo, sentenza del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 67).

173

Per quanto riguarda, dall’altro lato, i motivi di trattenimento elencati all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettere d) e f), della direttiva 2013/33, è altrettanto pacifico che tali richiedenti sono tenuti a rimanere nelle zone di transito di Röszke o di Tompa, quand’anche essi non siano già oggetto di una misura di trattenimento nell’ambito di una procedura di rimpatrio, ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2008/115, e nonostante l’assenza di una decisione adottata ai sensi dell’articolo 28 del regolamento n. 604/2013.

174

Sotto un secondo profilo, è vero che un richiedente protezione internazionale può, in forza dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettere a) e b), della direttiva 2013/33, essere trattenuto, in particolare, nelle immediate vicinanze delle frontiere di uno Stato membro, al fine di determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza o per determinare gli elementi su cui si basa la sua domanda di protezione internazionale e che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento.

175

Ciò detto, se è vero che il corretto funzionamento del sistema europeo comune di asilo richiede che le autorità nazionali competenti dispongano di informazioni affidabili relative all’identità o alla cittadinanza del richiedente protezione internazionale e agli elementi sui quali si basa la sua domanda, un simile obiettivo non può tuttavia giustificare che siano adottate misure di trattenimento senza che tali autorità nazionali abbiano preventivamente verificato, caso per caso, se queste ultime siano proporzionate ai fini perseguiti, verifica che comporta la necessità di assicurarsi, in particolare, che il ricorso al trattenimento sia utilizzato esclusivamente in ultima istanza (v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2017, K., C‑18/16, EU:C:2017:680, punto 48).

176

Orbene, l’Ungheria non nega che il sistema di trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, istituito dall’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo, non prevede alcun esame individualizzato della proporzionalità del trattenimento di tali richiedenti alla luce dell’obiettivo perseguito, consistente nel verificare l’identità o la cittadinanza di questi ultimi o gli elementi sui quali si basa la loro domanda.

177

Resta pertanto da esaminare, sotto un terzo profilo, se il regime di trattenimento istituito dall’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo possa essere giustificato ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera c), della direttiva 2013/33, in forza del quale uno Stato membro può trattenere un richiedente protezione internazionale per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel suo territorio.

178

A tale riguardo, occorre anzitutto rilevare che la situazione di cui al citato articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera c), include il regime di trattenimento che può essere istituito dagli Stati membri quando essi decidono di attuare procedure di frontiera, ai sensi dell’articolo 43 della direttiva 2013/32 (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punti 237238).

179

Ai sensi di detto articolo 43, gli Stati membri sono infatti autorizzati a «trattenere», ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33, i richiedenti protezione internazionale che si presentano alle loro frontiere, prima di riconoscere ai medesimi un diritto di ingresso nel loro territorio, alle condizioni enunciate da tale articolo 43 e al fine di garantire l’effettività delle procedure previste dal medesimo articolo 43 (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punti 237239).

180

Pertanto, sebbene l’Ungheria neghi formalmente che le procedure di esame delle domande di protezione internazionale condotte nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, conformemente all’articolo 80/J della legge sul diritto di asilo, siano procedure di frontiera, ai sensi dell’articolo 43 della direttiva 2013/32, tale circostanza non può dispensare la Corte dal prendere in considerazione il rispetto di quest’ultimo articolo nell’ambito del suo esame della conformità della normativa ungherese all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera c), della direttiva 2013/33, dato che nessun altro motivo elencato in tale disposizione può giustificare il sistema di trattenimento istituito all’articolo 80/J, paragrafo 5, di tale legge.

181

Occorre poi sottolineare che l’articolo 43, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 impone che la durata del trattenimento di un richiedente protezione internazionale, ai sensi di tale articolo, non possa mai superare quattro settimane a decorrere dalla data di inoltro della domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, mentre il paragrafo 3 di tale articolo 43 si limita ad autorizzare gli Stati membri, nelle circostanze da esso previste, a proseguire le procedure di frontiera al di là di tale termine di quattro settimane, purché i richiedenti siano, allo scadere di tale termine, normalmente accolti nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito, il che esclude che essi possano rimanere in stato di trattenimento (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punti da 241 a 245).

182

Orbene, non risulta da alcuna disposizione della normativa ungherese pertinente che il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa sia limitato a una durata di quattro settimane a decorrere dalla data di inoltro della loro domanda.

183

Inoltre, dall’articolo 43, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 risulta che un trattenimento fondato su tale disposizione è giustificato soltanto al fine di consentire allo Stato membro interessato di esaminare, prima di riconoscere al richiedente protezione internazionale il diritto di entrare nel suo territorio, se la sua domanda non sia inammissibile, ai sensi dell’articolo 33 della direttiva 2013/32, o se essa non debba essere respinta in quanto infondata per uno dei motivi elencati all’articolo 31, paragrafo 8, di tale direttiva.

184

Orbene, come rilevato al punto 157 della presente sentenza, i richiedenti protezione internazionale sono tenuti a rimanere nelle zone di transito di Röszke e di Tompa durante l’intero esame della loro domanda, o anche nel corso del procedimento giurisdizionale avente ad oggetto l’esame del ricorso diretto a contestare un’eventuale decisione di rigetto di quest’ultima, e non unicamente al fine di verificare se le loro domande possano essere respinte per uno dei motivi indicati al punto precedente.

185

Ne consegue che il sistema di trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, istituito dall’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo, non rispetta le condizioni previste all’articolo 43 della direttiva 2013/32 e non può pertanto, nel caso di specie, essere giustificato sulla base dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera c), della direttiva 2013/33.

186

Da quanto precede risulta che l’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo prevede il trattenimento di richiedenti protezione internazionale al di fuori delle condizioni previste dall’articolo 43 della direttiva 2013/32 e dei casi, tassativamente elencati, nei quali tale trattenimento è autorizzato ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2013/33.

187

In secondo luogo, la Commissione contesta all’Ungheria di aver violato l’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, in quanto il «sostegno adeguato», ai sensi di tale disposizione, di cui devono beneficiare i richiedenti protezione internazionale che necessitano di garanzie procedurali particolari non è garantito nel corso del procedimento condotto nelle zone di transito di Röszke e di Tompa.

188

A tale riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2013/32, un «richiedente che necessita di garanzie procedurali particolari» è un richiedente la cui capacità di godere dei diritti e adempiere gli obblighi previsti da tale direttiva è limitata a causa di circostanze individuali. Dal considerando 29 di detta direttiva emerge che tra tali circostanze rientrano l’età dell’interessato, il suo genere, il suo orientamento sessuale, la sua identità di genere, l’esistenza di una disabilità, di una grave malattia psichica o le conseguenze di torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale.

189

Come risulta dagli articoli 21 e 22 della direttiva 2013/33, tenuto conto della loro vulnerabilità, tali richiedenti devono essere oggetto di una particolare attenzione da parte degli Stati membri, durante tutta la procedura di asilo, in particolare per quanto riguarda le condizioni in cui essi vengono accolti nel territorio dello Stato membro interessato nel corso di tale procedura.

190

Risulta, più in particolare, dall’articolo 11 di tale direttiva che, se il trattenimento dei richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari non è escluso per principio, il loro stato di salute, anche mentale, deve, quando sono trattenuti, costituire la preoccupazione principale degli Stati membri, i quali devono assicurare controlli periodici e «sostegno adeguato» tenendo conto della loro particolare situazione.

191

In tale ottica, l’articolo 24, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva 2013/32 prevede che, qualora il sostegno adeguato di cui devono beneficiare i richiedenti che necessitano di garanzie procedurali speciali non possa essere loro fornito nell’ambito di una procedura di frontiera, ai sensi dell’articolo 43 di tale direttiva, gli Stati membri non applicano o cessano di applicare tale procedura.

192

Pertanto, le autorità nazionali sono tenute a garantire, al termine di un esame individualizzato, che un trattenimento, sulla base dell’articolo 43 della direttiva 2013/32, di un richiedente protezione internazionale che necessita di garanzie procedurali particolari non lo privi del «sostegno adeguato» di cui egli può avvalersi nell’ambito dell’esame della sua domanda.

193

Nel caso di specie, occorre rilevare che, come sostenuto dall’Ungheria, diverse disposizioni della normativa ungherese pertinente hanno lo scopo di tener conto delle esigenze specifiche di tutti i richiedenti protezione internazionale che necessitano di garanzie procedurali particolari, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32.

194

In tal senso, l’articolo 4, paragrafo 3, della legge sul diritto d’asilo dispone che le autorità siano tenute ad applicare le disposizioni di tale legge ai richiedenti che necessitano di un trattamento particolare tenendo conto delle loro esigenze specifiche. Parimenti, gli articoli 29 e 30 di detta legge prevedono che le condizioni di accoglienza di tali richiedenti debbano essere garantite prendendo in considerazione le esigenze specifiche di questi ultimi, esigenze che devono essere prese in considerazione anche qualora l’autorità competente limiti o revochi il beneficio delle condizioni materiali di accoglienza.

195

Risulta inoltre dall’articolo 33, paragrafi 1 e 2, del decreto governativo 301/2007 che l’autorità competente in materia di asilo deve garantire che il richiedente che necessita di garanzie procedurali particolari benefici di un alloggio separato nel centro di accoglienza il quale preservi, per quanto possibile, la sua unità familiare. Dall’articolo 34 di tale decreto discende altresì che detto richiedente ha il diritto di ricorrere gratuitamente a prestazioni sanitarie, comprese cure psicologiche, ove necessario.

196

Ciò premesso, resta il fatto che l’Ungheria riconosce che, a partire dall’entrata in vigore dell’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge in materia di asilo, tutti i richiedenti protezione internazionale che necessitano di garanzie procedurali particolari, tranne i minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni e quelli che già dispongono di un titolo di soggiorno nel territorio ungherese o che sono oggetto di un’altra misura di trattenimento o di restrizione della loro libertà individuale, sono tenuti a soggiornare nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, per l’intera durata della procedura di esame della loro domanda di protezione internazionale, ovvero, eventualmente, nel corso del procedimento giurisdizionale avente ad oggetto l’esame del ricorso diretto a contestare una decisione di rigetto di tale domanda.

197

Inoltre, non risulta da alcuna delle disposizioni nazionali invocate da tale Stato membro che le autorità ungheresi competenti debbano esaminare se un simile trattenimento sia compatibile con la necessità di concedere un «sostegno adeguato», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, a tali richiedenti vulnerabili nel corso di tale periodo.

198

Un regime di trattenimento del genere è incompatibile con l’obbligo di tener conto delle esigenze specifiche di tali categorie di richiedenti, quale risulta dall’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32.

199

Infatti, come sottolineato ai punti 191 e 192 della presente sentenza, l’articolo 24, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva 2013/32 osta a che un richiedente protezione internazionale che necessita di garanzie procedurali particolari sia trattenuto, in forza dell’articolo 43 della direttiva 2013/32, in modo automatico, senza che sia stato previamente verificato se tale trattenimento lo privi del «sostegno adeguato» cui ha diritto. Ciò considerato, dal momento che, come rilevato ai punti da 181 a 185 della presente sentenza, il regime di trattenimento istituito dall’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo eccede i limiti entro i quali l’articolo 43 della direttiva 2013/32 autorizza il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, ne consegue, a maggior ragione, che l’applicazione di un simile regime di trattenimento a tutti i richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari, ad eccezione dei minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni e dei richiedenti che già dispongono di un titolo di soggiorno nel territorio ungherese o che sono oggetto di un’altra misura di trattenimento o di restrizione della loro libertà individuale, senza verifica della compatibilità del trattenimento di tali richiedenti con le loro esigenze specifiche, non può essere giudicato conforme all’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32.

200

In terzo luogo, la Commissione contesta all’Ungheria di aver violato l’articolo 11 della direttiva 2013/33 imponendo che tutti i richiedenti protezione internazionale minorenni, diversi dai minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni, siano trattenuti nelle zone di transito di Röszke e di Tompa per l’intera durata della procedura di esame della loro domanda.

201

L’articolo 11, paragrafo 2 della direttiva 2013/33 dispone segnatamente che i minori sono trattenuti solo come ultima risorsa e dopo aver accertato che misure alternative meno coercitive non possono essere applicate in maniera efficace.

202

La protezione in tal modo specificamente accordata ai minori completa le garanzie riconosciute in modo più generale da tale articolo 11 a tutti i richiedenti che necessitano di condizioni di accoglienza particolari.

203

Orbene, l’Ungheria non nega che tutti i richiedenti protezione internazionale minorenni, ad eccezione dei minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni, sono costretti a rimanere in una delle due zone di transito di Röszke o di Tompa fino all’esito della procedura di esame della loro domanda, o anche, eventualmente, fino all’esito del procedimento giurisdizionale avente ad oggetto l’esame del ricorso diretto a contestare una decisione di rigetto di tale domanda, a meno che tali persone siano già oggetto di un’altra misura di trattenimento o di restrizione della loro libertà individuale o dispongano già di un altro titolo di soggiorno sul territorio ungherese, il che è incompatibile con le garanzie specifiche derivanti dall’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2013/33.

204

In quarto luogo, la Commissione contesta all’Ungheria di aver violato l’articolo 9 della direttiva 2013/33 in quanto il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa non sarebbe stato disposto per iscritto e non consentirebbe al richiedente di conoscere i motivi di fatto e di diritto sui quali tale trattenimento si basa.

205

In conformità all’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2013/33, il trattenimento di un richiedente protezione internazionale è disposto per iscritto dall’autorità giurisdizionale o amministrativa, e il provvedimento di trattenimento deve inoltre precisare i motivi di fatto e di diritto sui quali si basa.

206

L’Ungheria sostiene che l’autorità competente in materia di asilo adotta, in ogni singolo caso, una decisione relativa alla sistemazione nella zona di transito interessata, in quanto luogo di soggiorno attribuito al richiedente protezione internazionale nel corso della procedura di esame della sua domanda.

207

Tale affermazione non è tuttavia supportata da alcun rinvio ad una disposizione della normativa nazionale pertinente. Del resto, se è vero che, ai sensi dell’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto d’asilo, l’autorità competente in materia di asilo assegna al richiedente la zona di transito interessata come suo luogo di soggiorno, da tale disposizione non risulta, tuttavia, che un provvedimento del genere debba rivestire la forma di un atto scritto la cui motivazione soddisfi i requisiti enunciati all’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2013/33.

208

Ne consegue che la Commissione ha dimostrato in modo giuridicamente adeguato che l’Ungheria non si era conformata agli obblighi di cui all’articolo 9 della direttiva 2013/33.

209

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’Ungheria non ha rispettato gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 24, paragrafo 3, e dell’articolo 43 della direttiva 2013/32, nonché degli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33.

210

Per contro, la Commissione non ha esposto le ragioni per le quali l’Ungheria avrebbe violato l’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33, disposizione che si limita a definire la nozione di «trattenimento» ai sensi di tale direttiva.

211

A tale riguardo, occorre precisare che la circostanza che l’Ungheria abbia istituito un sistema di trattenimento, nelle zone di transito di Röszke e Tompa, al di fuori dei casi in cui il diritto dell’Unione autorizza il trattenimento di un richiedente protezione internazionale e senza rispettare le garanzie che, in forza di tale diritto, devono circondare un tale trattenimento non può essere sufficiente a dimostrare un mancato o errato recepimento, da parte di tale Stato membro, della definizione stessa della nozione di «trattenimento» di cui all’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33.

– Sull’articolo 72 TFUE

212

Ai sensi dell’articolo 72 TFUE, le disposizioni contenute nel titolo V del Trattato FUE, relativo allo spazio di sicurezza, di libertà e di giustizia, non ostano all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna.

213

Come esposto al punto 141 della presente sentenza, l’Ungheria sostiene che tale articolo 72 autorizza gli Stati membri a derogare alle norme dell’Unione adottate, conformemente all’articolo 78 TFUE, in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, qualora il rispetto di tali norme osti a una gestione adeguata da parte degli Stati membri di una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso in massa di richiedenti protezione internazionale. Ne conseguirebbe, più in particolare, nel caso di specie, che le norme nazionali che disciplinano le procedure condotte nelle zone di transito di Röszke e Tompa potrebbero derogare all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32.

214

A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante della Corte, anche se spetta agli Stati membri stabilire le misure adeguate per garantire l’ordine pubblico nel loro territorio nonché la loro sicurezza interna ed esterna, da ciò non deriva tuttavia che simili misure esulino del tutto dall’applicazione del diritto dell’Unione. Infatti, come la Corte ha dichiarato, il Trattato FUE prevede deroghe espresse da applicare in situazioni che possono compromettere l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza soltanto nei suoi articoli 36, 45, 52, 65, 72, 346 e 347, che riguardano ipotesi eccezionali chiaramente delimitate. Non è lecito dedurne una riserva generale, inerente al Trattato FUE, che escluda dall’ambito d’applicazione del diritto dell’Unione qualsiasi provvedimento adottato per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Ammettere l’esistenza di una riserva del genere, prescindendo dai presupposti specifici stabiliti dal Trattato, rischierebbe di compromettere la forza cogente e l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione [sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 143 e giurisprudenza ivi citata].

215

Inoltre, la deroga prevista all’articolo 72 TFUE, per costante giurisprudenza, in particolare, in materia di deroghe previste agli articoli 346 e 347 TFUE, deve essere interpretata restrittivamente. Ne consegue che tale articolo 72 non può essere interpretato nel senso che conferisce agli Stati membri il potere di derogare alle disposizioni del diritto dell’Unione mediante un mero richiamo a responsabilità che incombono sui medesimi per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna [v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punti 144145 e giurisprudenza ivi citata].

216

La portata delle esigenze relative al mantenimento dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale non può quindi essere determinata unilateralmente da ogni Stato membro, senza il controllo delle istituzioni dell’Unione. È pertanto onere dello Stato membro che invoca il beneficio dell’articolo 72 TFUE dimostrare la necessità di avvalersi della deroga prevista da tale articolo al fine di esercitare le proprie responsabilità in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e della salvaguardia della sicurezza interna [sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punti 146147].

217

Orbene, occorre rilevare, in primo luogo, che, nell’ambito del presente ricorso, l’Ungheria si è limitata a invocare, in maniera generale, i rischi di turbative dell’ordine pubblico e della sicurezza interna che un afflusso in massa di richiedenti protezione internazionale potrebbe causare, senza dimostrare in modo giuridicamente adeguato la necessità in cui essa versava di derogare specificamente all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32, tenuto conto della situazione esistente nel suo territorio alla scadenza del termine impartito nel parere motivato, ossia all’8 febbraio 2018.

218

Pertanto, se è vero che tale Stato membro menziona, a sostegno della propria linea difensiva relativa alla prima censura, un numero rilevante di reati, commessi nel corso del 2018, che esso ha considerato connessi all’immigrazione clandestina, ciò non toglie che esso non precisa l’impatto che detti reati hanno potuto avere sul mantenimento dell’ordine pubblico e sulla salvaguardia della sicurezza interna nel suo territorio fino all’8 febbraio 2018. L’Ungheria non precisa neppure sotto quale profilo si imponesse una deroga all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32, tenuto conto di un simile numero di reati, al fine di garantire il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna.

219

In senso esattamente contrario, occorre rilevare che, secondo le affermazioni dello stesso Stato membro, la maggior parte dei reati richiamati da quest’ultimo era legata all’ingresso e al soggiorno irregolari nel suo territorio. Orbene, l’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo impone il trattenimento di richiedenti protezione internazionale che non hanno cercato di entrare illegalmente in Ungheria e che, tenuto conto di tale qualità di richiedente protezione internazionale, non possono essere considerati in situazione di soggiorno irregolare nel territorio di tale Stato membro.

220

Ne consegue che l’Ungheria non dimostra in che modo i reati da essa richiamati richiedessero, al fine di garantire il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna, di derogare, nel modo previsto da tale articolo 80/J, paragrafo 5, alle garanzie che circondano il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, imposte all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32.

221

In secondo luogo, occorre sottolineare che il legislatore dell’Unione ha debitamente tenuto conto dell’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri in forza dell’articolo 72 TFUE consentendo a questi ultimi, conformemente all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della direttiva 2013/33, di trattenere ogni richiedente protezione internazionale qualora lo richieda la protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine pubblico, il che, come ricordato al punto 172 della presente sentenza, presuppone tuttavia che sia dimostrato che il comportamento individuale del richiedente protezione internazionale costituisca una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società o della sicurezza interna o esterna dello Stato membro interessato.

222

Peraltro, come sottolineato dalla Commissione, adottando le direttive 2013/32 e 2013/33, il legislatore dell’Unione ha altresì provveduto a prendere in considerazione la situazione in cui uno Stato membro debba far fronte a un aumento molto significativo del numero di domande di protezione internazionale.

223

In tal senso, in particolare, l’articolo 10, paragrafo 1, e l’articolo 18, paragrafo 9, della direttiva 2013/33 consentono di derogare parzialmente alle disposizioni di tale direttiva qualora le capacità di collocamento in centri di permanenza temporanea o le capacità di alloggio in centri di accoglienza siano esaurite.

224

Occorre inoltre rilevare che l’articolo 43, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 consente, in caso di afflusso in massa di richiedenti protezione internazionale alle frontiere di uno Stato membro o nelle zone di transito di quest’ultimo, di proseguire le procedure di frontiera previste da tale articolo 43 al di là del termine di quattro settimane previsto al paragrafo 2 di quest’ultimo, limitando al contempo la libertà di movimento di tali richiedenti a una zona situata nelle immediate vicinanze delle frontiere o delle zone di transito di tale Stato membro, conformemente all’articolo 7 della direttiva 2013/33 (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság,C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 247).

225

Ne consegue che, nell’ambito del presente ricorso, l’Ungheria non può legittimamente invocare l’articolo 72 TFUE per giustificare l’inosservanza degli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 24, paragrafo 3, e dell’articolo 43 della direttiva 2013/32.

226

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 24, paragrafo 3, e dell’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché degli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33, istituendo un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, senza rispettare le garanzie previste da tali disposizioni.

Sulla quarta censura, relativa all’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare

Argomenti delle parti

227

La Commissione contesta all’Ungheria di aver permesso, in forza dell’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato, che, in una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare siano ricondotti forzatamente su una striscia di terra priva di qualsiasi infrastruttura, tra una barriera di frontiera, situata nel territorio ungherese, e la frontiera serbo-ungherese propriamente detta, senza che le procedure e le garanzie definite all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1 della direttiva 2008/115 siano rispettate.

228

In primo luogo, la Commissione rileva che l’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato si sostituisce all’articolo 5, paragrafo 1 bis, di tale legge, quando viene dichiarata una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, e riguarda tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare. L’Ungheria non potrebbe pertanto fondarsi sull’eccezione all’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, prevista all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di quest’ultima.

229

In secondo luogo, anche se non è ricondotto fino alla frontiera propriamente detta, il cittadino di un paese terzo, scortato fino a una stretta striscia frontaliera del territorio ungherese, in cui non è disponibile alcuna infrastruttura e dalla quale non vi è modo di recarsi nel resto del territorio ungherese, ad eccezione delle zone di transito di Röszke e di Tompa, non avrebbe, in pratica, altra scelta se non quella di lasciare detto territorio, tenuto conto della lunga attesa esistente per entrare in una di tali zone di transito.

230

La misura prevista all’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato corrisponderebbe pertanto alla nozione di «allontanamento» quale definita all’articolo 3, punto 5, della direttiva 2008/115, anche se l’operazione di trasporto fisico potrebbe non concludersi al di fuori del territorio dello Stato membro interessato.

231

L’allontanamento dei cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare avverrebbe tuttavia senza l’adozione di una decisione di rimpatrio nei loro confronti, in modo indiscriminato, senza tener conto dell’interesse superiore del minore, della vita familiare e dello stato di salute dell’interessato e senza rispettare il principio di non respingimento. Non sarebbe fornita alcuna giustificazione scritta e, in mancanza di una decisione di rimpatrio, l’interessato non disporrebbe di alcun mezzo di ricorso.

232

In terzo luogo, la Commissione ritiene che una siffatta deroga sostanziale, generale e prolungata alle disposizioni della direttiva 2008/115 non possa essere giustificata ai sensi dell’articolo 72 TFUE. Il legislatore dell’Unione avrebbe, del resto, rispettato tale disposizione di diritto primario prevedendo, all’articolo 18 della direttiva 2008/115, norme specifiche destinate ad essere applicate alle situazioni di emergenza causate dal numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi soggetti a un obbligo di rimpatrio.

233

In primo luogo, l’Ungheria deduce che l’articolo 5, paragrafo 1 bis, della legge sulle frontiere dello Stato ricade nella deroga di cui all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/115. Quanto all’articolo 5, paragrafo 1 ter, di detta legge, tale Stato membro sostiene che esso può essere applicato solo in caso di situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, e ciò al fine di preservare l’ordine pubblico e la sicurezza interna.

234

Orbene, l’articolo 72 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, consentirebbe agli Stati membri di adottare e di applicare norme relative al mantenimento dell’ordine pubblico e alla salvaguardia della sicurezza interna derogatorie rispetto alle disposizioni del diritto dell’Unione. A tale riguardo, il quadro normativo, previsto dal diritto derivato ai fini della gestione delle situazioni di crisi causate da un’immigrazione di massa, si sarebbe rivelato insufficiente a parere stesso della Commissione, che ne avrebbe tratto le conseguenze presentando, nel 2016, una riforma importante per quanto riguarda le direttive 2013/32 e 2008/115.

235

In una situazione di crisi come quella esistente in Ungheria, l’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato potrebbe pertanto derogare alle disposizioni della direttiva 2008/115 che la Commissione ritiene essere state violate da tale Stato membro.

236

In secondo luogo, l’Ungheria sostiene che, in ogni caso, in forza di detto articolo 5, paragrafo 1 ter, i servizi di polizia sono autorizzati a far attraversare, ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare, non la frontiera serbo-ungherese, ma unicamente la barriera di frontiera, che sarebbe situata in Ungheria, a poca distanza da tale frontiera, anche se non esiste alcuna infrastruttura sulla striscia di terra che separa tale barriera dalla suddetta frontiera propriamente detta. I cittadini di paesi terzi non sarebbero di conseguenza allontanati verso la Serbia. In mancanza di un rimpatrio effettivo, l’applicazione delle norme della direttiva 2008/115 sarebbe per definizione esclusa, in quanto uno Stato membro non può eseguire un provvedimento di allontanamento sul proprio territorio.

237

Il trasferimento effettuato ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato avrebbe, in realtà, lo scopo di consentire a tali cittadini di presentare, quanto prima, una domanda di protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e di Tompa.

238

Il diritto dell’Unione non indicherebbe, del resto, il luogo in cui occorrerebbe condurre le persone il cui soggiorno è irregolare, né imporrebbe di offrire a questi ultimi una qualche assistenza.

239

In terzo luogo, l’Ungheria sottolinea che, in sede di applicazione pratica delle misure di polizia adottate sul fondamento dell’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato, il modo in cui sono trattati i cittadini di paesi terzi sarebbe conforme ai requisiti di cui all’articolo 3, punto 5, della direttiva 2008/115.

240

Le garanzie generali riguardanti le misure di polizia, in particolare il requisito di proporzionalità, sarebbero fissate nella Rendőrségről szóló 1994. évi XXXIV. törvény (legge XXXIV del 1994 relativa alla polizia) (Magyar Közlöny 1994/41). Inoltre, chiunque sia stato oggetto di misure coercitive disporrebbe della facoltà di proporre ricorso ai sensi dell’articolo 92 di tale legge. Infine, l’articolo 33 di detta legge definirebbe, nei dettagli, gli obblighi che devono essere rispettati nell’ambito di un provvedimento di polizia adottato in forza dell’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato.

Giudizio della Corte

241

Con la sua quarta censura, la Commissione contesta, in sostanza, all’Ungheria di essere venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 5, dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, consentendo che i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e che sono fermati sul territorio ungherese siano ricondotti forzatamente al di là di una barriera di frontiera eretta in tale territorio, ad alcuni metri dalla frontiera serbo-ungherese, senza che le procedure e le garanzie previste da tali disposizioni siano rispettate.

242

A tale riguardo, in primo luogo, occorre sottolineare che, secondo l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, quest’ultima si applica, in linea di principio, a tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro sia irregolare.

243

La nozione di «soggiorno irregolare» è definita all’articolo 3, punto 2, di tale direttiva come presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 6 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro. Da tale definizione risulta che qualunque cittadino di un paese terzo che sia presente sul territorio di uno Stato membro senza ivi soddisfare le condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza soggiorna, per effetto di detta sola circostanza, in modo irregolare senza che tale presenza sia subordinata alla condizione di una durata minima o dell’intenzione di restare in tale territorio (sentenza del 7 giugno 2016, Affum, C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 48).

244

Nel caso di specie, è pacifico che l’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato consente di adottare una misura di riconduzione forzata al di là della barriera di frontiera nei confronti dei cittadini di paesi terzi soggiornanti irregolarmente nel territorio ungherese, ai sensi dell’articolo 3, punto 2, della direttiva 2008/115, a meno che tali cittadini non siano sospettati di aver commesso un reato.

245

In secondo luogo, occorre rilevare che l’articolo 2, paragrafo 2, di tale direttiva elenca i motivi per i quali gli Stati membri possono decidere di sottrarre dall’ambito di applicazione di detta direttiva un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare, ai sensi di detto articolo 3, punto 2.

246

Ciò premesso, è pacifico che l’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato non limita il suo ambito di applicazione alle categorie di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare nei confronti dei quali l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 autorizza gli Stati membri a derogare a tale direttiva. Del resto, l’Ungheria non sostiene che tale articolo 5, paragrafo 1 ter rientri in una delle deroghe previste da detto articolo 2, paragrafo 2.

247

In terzo luogo, qualora un cittadino di un paese terzo rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, egli deve, in linea di principio, essere assoggettato alle norme e alle procedure comuni previste da quest’ultima al fine del suo allontanamento, e ciò fintantoché il soggiorno non sia stato, eventualmente, regolarizzato (v., in tal senso, sentenze del 7 giugno 2016, Affum, C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 61, nonché del 19 marzo 2019, Arib e a., C‑444/17, EU:C:2019:220, punto 39).

248

In forza di tali norme e procedure, il cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare dev’essere oggetto di una procedura di rimpatrio, la cui successione delle fasi corrisponde ad una gradazione delle misure da adottare ai fini dell’esecuzione della decisione di rimpatrio, che deve, in linea di principio, essere stata adottata nei suoi confronti, affinché sia rimpatriato in maniera umana e nel pieno rispetto dei suoi diritti fondamentali nonché della sua dignità [v., in tal senso, sentenze del 7 giugno 2016, Affum, C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 62, nonché dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, punto 100 e giurisprudenza ivi citata].

249

Così, una volta constatata l’irregolarità del soggiorno, le autorità nazionali competenti devono, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 e fatte salve le eccezioni previste dall’articolo 6, paragrafi da 2 a 5, della stessa, emanare una decisione di rimpatrio (sentenza dell’11 dicembre 2014, Boudjlida, C‑249/13, EU:C:2014:2431, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

250

Dal considerando 6 della direttiva 2008/115 risulta inoltre che tale decisione di rimpatrio deve essere adottata al termine di una procedura equa e trasparente. Più in particolare, in applicazione dell’articolo 5 di tale direttiva, quando l’autorità nazionale competente prevede di adottare una decisione di rimpatrio, essa deve, da un lato, rispettare il principio di non-refoulement e tenere nella debita considerazione l’interesse superiore del bambino, la vita familiare e le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato e, dall’altro, sentire l’interessato al riguardo [v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308, punti da 101 a 103].

251

La direttiva 2008/115 fissa inoltre i requisiti formali cui sono soggette le decisioni di rimpatrio. Conformemente al suo articolo 12, paragrafo 1, tali decisioni devono essere adottate in forma scritta e devono essere motivate. Il suo articolo 13, paragrafo 1, obbliga peraltro gli Stati membri a predisporre mezzi di ricorso effettivi contro tali decisioni (v., in tal senso, sentenza del 5 novembre 2014, Mukarubega, C‑166/13, EU:C:2014:2336, punto 40).

252

Una volta adottata la decisione di rimpatrio, il cittadino di un paese terzo che ne è oggetto deve ancora, in linea di principio, beneficiare, in forza dell’articolo 7 di detta direttiva, di un certo termine per lasciare volontariamente il territorio dello Stato membro interessato. L’allontanamento forzato avviene solo in ultima istanza, conformemente all’articolo 8 della medesima direttiva, e fatto salvo l’articolo 9 della stessa, che impone agli Stati membri di rinviare l’allontanamento nei casi da esso previsti.

253

Ne consegue che, fatte salve le eccezioni previste all’articolo 6, paragrafi da 2 a 5, della direttiva 2008/115, gli Stati membri devono adottare una decisione di rimpatrio nei confronti dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare e che rientrano nell’ambito di applicazione di tale direttiva, nel rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali che quest’ultima istituisce, prima di procedere, se del caso, al loro allontanamento.

254

Nel caso di specie, in primo luogo, occorre rilevare che l’Ungheria non nega che, in forza dell’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato, i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare possano essere oggetto di una riconduzione forzata al di là della barriera di frontiera, senza rispettare, in via preliminare, le procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115. A tal riguardo, occorre sottolineare che le garanzie che circondano l’intervento dei servizi di polizia, fatte valere dall’Ungheria e riassunte al punto 240 della presente sentenza, non possono, evidentemente, essere considerate corrispondenti alle garanzie previste dalla direttiva 2008/115.

255

In secondo luogo, contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria, occorre assimilare la riconduzione forzata di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare al di là della barriera di frontiera eretta sul suo territorio a un allontanamento da tale territorio.

256

Infatti, se è vero che, ai sensi dell’articolo 3, punto 5, della direttiva 2008/115, per allontanamento si intende il trasporto fisico fuori dallo Stato membro in esecuzione di un obbligo di rimpatrio, resta il fatto che le garanzie che circondano le procedure di rimpatrio e di allontanamento previste da tale direttiva sarebbero private del loro effetto utile se uno Stato membro potesse dispensarsene, anche quando esso proceda ad uno spostamento forzato di un cittadino di un paese terzo, il quale equivale, in pratica, al suo trasporto fisico al di fuori del suo territorio.

257

Orbene, l’Ungheria ammette che lo spazio che si situa tra la barriera di frontiera, al di là della quale i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare possono essere ricondotti forzatamente, e la frontiera serbo-ungherese si limita a una stretta striscia di terra priva di qualsiasi infrastruttura. Dopo essere stato ricondotto forzatamente dalle autorità di polizia ungheresi in tale stretta striscia di terra, il cittadino di un paese terzo non ha quindi altra scelta se non quella di lasciare il territorio ungherese e di recarsi in Serbia per poter alloggiarsi e nutrirsi.

258

A tal riguardo, occorre rilevare che, contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria, tale cittadino non dispone della possibilità effettiva di entrare, a partire da tale striscia di terra, in una delle due zone di transito di Röszke e di Tompa per presentarvi una domanda di protezione internazionale.

259

Come rilevato al punto 128 della presente sentenza, esisteva infatti, almeno fino alla scadenza del termine fissato nel parere motivato inviato dalla Commissione all’Ungheria, una prassi costante e generalizzata delle autorità ungheresi consistente nel ridurre drasticamente l’accesso a tali zone di transito, che rendeva del tutto illusoria la possibilità, per un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno era irregolare ricondotto forzatamente al di là della barriera di frontiera, di entrare, in tempi brevi, in una delle suddette zone di transito.

260

Del resto, il rappresentante speciale del Segretario generale del Consiglio d’Europa per le migrazioni e i rifugiati e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti sono giunti, in sostanza, alla stessa conclusione nelle loro relazioni allegate al ricorso della Commissione.

261

Infine, occorre respingere l’argomento dell’Ungheria secondo il quale l’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato sarebbe giustificato in forza dell’articolo 72 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, per motivi analoghi a quelli esposti ai punti 216 e 217 della presente sentenza, dal momento che tale Stato membro si limita, a tal riguardo, a invocare, in maniera generale, un rischio di turbativa dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale, senza dimostrare in modo giuridicamente adeguato la necessità in cui esso versava di derogare specificamente alla direttiva 2008/115, in considerazione della situazione esistente nel suo territorio alla data dell’8 febbraio 2018 (v., per analogia, sentenza del 2 luglio 2020, Stadt Frankfurt am Main, C‑18/19, EU:C:2020:511, punti da 27 a 29 e giurisprudenza ivi citata).

262

Per quanto riguarda, più specificamente, l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, l’Ungheria non dimostra che, alla luce di tale situazione, l’effettiva preservazione delle funzioni statali essenziali contemplate da tale disposizione, come quella di tutelare la sicurezza nazionale, poteva essere garantita solo derogando alla direttiva 2008/115 [v., per analogia, sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 170].

263

Occorre altresì rilevare che il legislatore dell’Unione, adottando, in particolare, l’articolo 6, paragrafo 2, l’articolo 7, paragrafo 4, l’articolo 11, paragrafi 2 e 3, nonché l’articolo 12, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2008/115, ha tenuto in debito conto l’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri in forza dell’articolo 72 TFUE. Infatti, tali disposizioni consentono a detti Stati di derogare a diverse norme imposte da tale direttiva quando ciò sia necessario ai fini della tutela dell’ordine pubblico o della sicurezza pubblica o nazionale.

264

Inoltre, come fatto valere dalla Commissione, l’articolo 18 della direttiva 2008/115, che l’Ungheria non ha richiamato, è espressamente dedicato alle situazioni di emergenza che uno Stato membro può dover affrontare nei casi in cui numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporti un notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario. In forza di detto articolo 18, gli Stati membri che devono affrontare una siffatta situazione possono derogare a talune norme relative al trattenimento e al mantenimento in stato di trattenimento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, senza con ciò violare il proprio obbligo generale di adottare tutte le misure appropriate per assicurare il rispetto degli obblighi ad essi incombenti in forza della direttiva 2008/115.

265

Infine, contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria, la mera circostanza che sia prevista una revisione della direttiva 2008/115 non è sufficiente a dimostrare che le disposizioni attualmente in vigore di tale direttiva non abbiano tenuto in debito conto le responsabilità incombenti agli Stati membri nelle materie di cui all’articolo 72 TFUE.

266

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che, consentendo l’allontanamento di tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio nazionale è irregolare, ad eccezione di quelli che sono sospettati di aver commesso un reato, senza rispettare le procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni.

Sulla quinta censura, relativa al diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato

Argomenti delle parti

267

La Commissione ritiene, in primo luogo, che l’Ungheria non abbia correttamente recepito l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, che garantisce il diritto del richiedente protezione internazionale di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato in attesa dell’esito del procedimento avente ad oggetto l’esame del ricorso giurisdizionale diretto contro la decisione che ha respinto in prime cure la sua domanda.

268

Essa rileva al riguardo che, secondo il diritto ungherese, la proposizione di un ricorso avverso una decisione amministrativa non ha, in linea di principio, effetto sospensivo, in quanto l’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa prevede unicamente la possibilità per un giudice di disporre un simile effetto a determinate condizioni.

269

La legge sul diritto di asilo, in quanto lex specialis, stabilirebbe, a sua volta, le norme in materia di procedura giurisdizionale amministrativa applicabili al controllo delle decisioni in materia di asilo. Orbene, la legge sulla gestione dell’immigrazione di massa, entrata in vigore il 1o agosto 2015, avrebbe abrogato le disposizioni della legge sul diritto di asilo che garantiscono espressamente l’effetto sospensivo dei ricorsi proposti contro le decisioni di rigetto di una domanda di protezione internazionale. Tale abrogazione varrebbe anche in assenza di una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa.

270

È pur vero che l’articolo 5, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo riconoscerebbe un diritto di soggiorno al richiedente. Tuttavia, tale disposizione subordinerebbe tale diritto a condizioni supplementari che non sono esposte precisamente. Peraltro, neppure l’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo, applicabile in una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, garantirebbe un adeguato recepimento dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32. Infatti, il soggiorno nella zona di transito, imposto da detto articolo 80/J, paragrafo 5, dovrebbe essere qualificato come trattenimento e non corrisponderebbe ai requisiti di cui all’articolo 46 di tale direttiva.

271

Per quanto riguarda, in secondo luogo, il controllo giurisdizionale delle decisioni che respingono in quanto inammissibile una domanda di asilo, previsto all’articolo 46, paragrafo 6, della direttiva 2013/32, l’articolo 53, paragrafo 6, della legge sul diritto di asilo prevederebbe che la presentazione del ricorso a tal fine non abbia, in linea di principio, effetto sospensivo, il che non sarebbe conforme a detto articolo 46, paragrafo 6, in forza del quale gli Stati membri dovrebbero garantire l’effetto sospensivo automatico dei ricorsi contro decisioni di inammissibilità, o garantire che un giudice adotti una decisione relativa a tale effetto sospensivo.

272

Inoltre, la legge sul diritto d’asilo non preciserebbe chiaramente se l’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa sia applicabile ai procedimenti giudiziari rientranti nell’ambito di applicazione della legge sul diritto di asilo.

273

In terzo luogo, per quanto riguarda le ipotesi di cui all’articolo 46, paragrafo 6, lettere a) e b), della direttiva 2013/32, per le quali si applica la norma di cui all’articolo 46, paragrafo 5, di tale direttiva, la Commissione ammette che esse sono contemplate all’articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7, lettera h), della legge sul diritto di asilo, e che l’articolo 53, paragrafo 6, di tale legge prevede che il deposito di una richiesta non abbia l’effetto di sospendere l’esecuzione della decisione impugnata, ad eccezione delle decisioni in materia di asilo adottate in applicazione di detto articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7, lettera h).

274

Tuttavia, la legge sul diritto di asilo non prevederebbe chiaramente che il deposito di un ricorso diretto a contestare le decisioni adottate sul fondamento di detto articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7, lettera h), abbia effetto sospensivo. Solo un ragionamento a contrario consentirebbe di concludere che sarebbe applicabile una regola diversa dalla mancanza di effetto sospensivo. Ad ogni modo, il testo della legge sul diritto di asilo non preciserebbe se questa diversa norma comporti un effetto sospensivo automatico, come sarebbe richiesto dall’articolo 46, paragrafo 5, e paragrafo 6, lettere a) e b), della direttiva 2013/32.

275

L’Ungheria replica che la sua normativa garantisce adeguatamente la possibilità, per i richiedenti protezione internazionale, di rimanere nel suo territorio, conformemente all’articolo 46 della direttiva 2013/32, anche se tale articolo non è stato recepito in modo letterale nel suo diritto nazionale.

276

In primo luogo, l’articolo 5, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo prevederebbe che il richiedente abbia il diritto di soggiornare nel territorio ungherese conformemente alle condizioni previste da tale legge. Tale diritto dovrebbe essere garantito ad ogni richiedente assoggettato a una procedura di asilo, il che implicherebbe, conformemente all’articolo 35, paragrafo 1, di detta legge, che egli ne benefici fino alla notifica della decisione emessa in esito alla procedura di asilo, decisione che corrisponderebbe, eventualmente, alla decisione giurisdizionale pronunciata a seguito dell’esame del ricorso volto a contestare la decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale.

277

Il rinvio alle condizioni previste dalla legge, operato dall’articolo 5, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo, implicherebbe che il cittadino di un paese terzo debba conformarsi allo status di richiedente definito dalla legge. Un’altra condizione potrebbe essere l’obbligo, per il richiedente, di risiedere nel luogo designato dall’autorità competente in materia di asilo. L’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo istituirebbe una regola di questo tipo. Infine, tali condizioni sarebbero parimenti volte ad escludere dal beneficio del diritto di soggiorno il richiedente protezione internazionale che inoltri nuovamente una domanda di protezione internazionale, conformemente all’articolo 80/K, paragrafo 11, di tale legge.

278

Inoltre, ai sensi dell’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo, qualora venga dichiarata una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, il richiedente avrebbe il diritto di soggiornare nella zona di transito interessata e, pertanto, nel territorio ungherese, fino alla notifica della decisione definitiva, conformemente all’articolo 80/J, paragrafo 2, di tale legge.

279

Per quanto riguarda, in secondo luogo, le ipotesi di cui all’articolo 46, paragrafo 6, della direttiva 2013/32, il richiedente, in forza dell’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa, sarebbe in grado di chiedere una tutela giurisdizionale immediata, la quale potrebbe tradursi nella concessione di un effetto sospensivo e, di conseguenza, nella possibilità di rimanere nel territorio ungherese.

280

In terzo luogo, le ipotesi previste all’articolo 46, paragrafo 6, lettere a) e b), della direttiva 2013/32, per le quali si applica l’articolo 46, paragrafo 5, sarebbero contemplate dall’articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7, lettera h), della legge sul diritto di asilo, essendo automaticamente garantito il diritto di rimanere nel territorio ungherese in entrambi i casi.

Giudizio della Corte

281

Con la sua quinta censura, la Commissione contesta, in sostanza, all’Ungheria di essere venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 46, paragrafi 5 e 6, della direttiva 2013/32, in quanto tale Stato membro non garantisce, alle condizioni previste da tali disposizioni, il diritto dei richiedenti protezione internazionale di rimanere nel suo territorio, in attesa dell’esito del procedimento avente ad oggetto l’esame del ricorso diretto contro la decisione che ha respinto in prime cure la loro domanda.

– Sulla prima parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32

282

In primo luogo, occorre rilevare che, in forza dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, i richiedenti protezione internazionale sono autorizzati, fatti salvi i casi di cui all’articolo 41, paragrafo 1, e all’articolo 46, paragrafo 6, di tale direttiva, a rimanere nel territorio dello Stato membro interessato fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo contro le decisioni di cui al paragrafo 1 di tale articolo 46 oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.

283

Ai sensi dell’articolo 2, lettera p), della direttiva 2013/32, l’espressione «rimanere nello Stato membro» si riferisce al fatto di rimanere nel territorio dello Stato membro in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata o è oggetto d’esame, compreso alla frontiera o in una delle zone di transito del medesimo.

284

In secondo luogo, occorre sottolineare che il cittadino di un paese terzo o l’apolide la cui domanda di protezione internazionale sia stata respinta in prime cure dall’autorità accertante continua a beneficiare, in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2013/33, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera b), della stessa, delle condizioni di accoglienza previste da tale direttiva, fintantoché egli sia autorizzato a soggiornare nel territorio, in forza dell’articolo 46 della direttiva 2013/32, al fine di contestare una simile decisione di rigetto.

285

Infatti, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 prevede che il richiedente protezione internazionale benefici delle condizioni di accoglienza previste da tale direttiva, per tutto il tempo in cui quest’ultimo è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato membro interessato nella sua qualità di richiedente e, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), di detta direttiva, il cittadino di un paese terzo o l’apolide deve essere considerato un richiedente protezione internazionale, ai sensi della medesima direttiva, fintantoché non sia stata adottata una decisione definitiva sulla sua domanda.

286

Orbene, alla luce dello stretto legame esistente tra l’ambito di applicazione della direttiva 2013/32 e quello della direttiva 2013/33, occorre utilizzare, ai fini dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2013/33, la stessa definizione di decisione definitiva adottata dall’articolo 2, lettera e), della direttiva 2013/32 al fine di determinare l’ambito di applicazione di quest’ultima direttiva, vale a dire una decisione che stabilisce se a un cittadino di un paese terzo o a un apolide è concesso lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria e che non è più impugnabile nell’ambito del capo V di tale direttiva, indipendentemente dal fatto che l’impugnazione produca l’effetto di autorizzare i richiedenti a rimanere negli Stati membri interessati in attesa del relativo esito.

287

Ne consegue, da un lato, che, sebbene l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 si limiti a conferire al richiedente protezione internazionale che rientra nel suo ambito di applicazione un diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato, l’esistenza di tale diritto è tuttavia sancita in modo incondizionato, fatte salve le eccezioni previste all’articolo 41, paragrafo 1, e all’articolo 46, paragrafo 6, di tale direttiva, e, dall’altro, che uno Stato membro può fissare modalità di esercizio di un diritto siffatto solo a condizione che queste ultime siano conformi, in particolare, alle direttive 2013/32 e 2013/33.

288

In terzo luogo, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante della Corte, le disposizioni di una direttiva devono essere attuate con un’efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie per garantire la certezza del diritto, la quale esige che, qualora la direttiva miri ad attribuire diritti ai singoli, i destinatari siano posti in grado di conoscere la piena portata dei loro diritti (sentenze dell’8 luglio 1999, Commissione/Francia, C‑354/98, EU:C:1999:386, punto 11; del 14 marzo 2006, Commissione/Francia, C‑177/04, EU:C:2006:173, punto 48, e del 4 ottobre 2018, Commissione/Spagna, C‑599/17, non pubblicata, EU:C:2018:813, punto 19 e giurisprudenza ivi citata)

289

Ne consegue che, quando uno Stato membro decide di stabilire le modalità di esercizio del diritto di rimanere nel suo territorio, come sancito dall’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, queste ultime devono essere definite in modo sufficientemente chiaro e preciso affinché il richiedente protezione internazionale possa conoscere l’esatta portata di tale diritto e sia possibile valutare se siffatte modalità siano compatibili, in particolare, con le direttive 2013/32 e 2013/33.

290

Sulla scorta di tali osservazioni, occorre, nel caso di specie, rilevare, in primo luogo, come sia pacifico che, in caso di dichiarazione di una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, l’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto d’asilo stabilisce, in deroga all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), di tale legge, che i richiedenti sono tenuti a rimanere nelle zone di transito di Röszke e di Tompa fino all’esito della procedimento che ha ad oggetto l’esame del ricorso proposto contro la decisione dell’autorità competente in materia di asilo recante rigetto della loro domanda.

291

Tale articolo 80/J, paragrafo 5, garantisce quindi che i richiedenti abbiano il diritto di rimanere nel territorio ungherese fintantoché pende il ricorso giurisdizionale diretto contro la decisione che ha respinto la loro domanda. Ciò premesso, come rilevato al punto 226 della presente sentenza, durante tale periodo essi sono soggetti ad un sistema di trattenimento generalizzato, in tali zone di transito, incompatibile con i diritti riconosciuti loro dall’articolo 24, paragrafo 3, e dall’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché dagli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33.

292

A tal riguardo, occorre rilevare, più in particolare, tenuto conto della situazione discussa nell’ambito dell’esame della presente censura, che nessuno dei motivi di trattenimento elencati all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della direttiva 2013/33 riguarda l’ipotesi di un richiedente protezione internazionale la cui domanda sia stata respinta in prime cure dall’autorità accertante e che benefici ancora di un termine per proporre ricorso avverso tale decisione o che abbia proposto un tale ricorso.

293

Ebbene, come risulta dal punto 287 della presente sentenza, uno Stato membro non può imporre modalità di esercizio del diritto di rimanere nel suo territorio, garantito dall’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, che violino i diritti garantiti ai richiedenti protezione internazionale dalle direttive 2013/32 e 2013/33.

294

Ne consegue che l’Ungheria, consentendo, in caso di dichiarazione di una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, ai richiedenti protezione internazionale la cui domanda è stata respinta in prime cure dall’autorità accertante di rimanere nel suo territorio solo a condizione che essi siano trattenuti in maniera contraria alle direttive 2013/32 e 2013/33, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32.

295

In secondo luogo, è pacifico che, qualora non venga dichiarata alcuna situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della legge sul diritto di asilo, che non è stato abrogato dalla legge XX del 2017, prevede che il richiedente asilo abbia il diritto di soggiornare nel territorio ungherese conformemente alle condizioni previste da tale legge, fermo restando che tale diritto sussiste, in forza dell’articolo 35, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo, fino alla notifica della decisione non impugnabile emessa in esito alla procedura di asilo.

296

La Commissione ritiene tuttavia che tale normativa non garantisca al richiedente protezione internazionale il diritto di rimanere nel territorio ungherese, alle condizioni previste all’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, in quanto tale diritto è subordinato, dall’articolo 5, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo, a condizioni non altrimenti definite.

297

L’Ungheria ha sottolineato, nelle sue memorie processuali e in udienza, che le condizioni alle quali tale articolo 5, paragrafo 1, rinvia consistono nel richiedere, da un lato, che l’interessato si conformi allo status di richiedente stabilito dalla legge e rispetti, inoltre, l’obbligo che gli è imposto, se del caso, di risiedere in un luogo determinato, che può essere, conformemente all’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo, una delle due zone di transito di Röszke e di Tompa, qualora sia stata dichiarata una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa. Dall’altro lato, secondo tale Stato membro, tali condizioni mirano anche a privare, conformemente all’articolo 80/K, paragrafo 11, di tale legge, il richiedente che ha presentato una nuova domanda di asilo del diritto di rimanere nel territorio ungherese, quando sia stata emessa una decisione definitiva di chiusura o di rigetto in merito alla sua precedente domanda.

298

A tal riguardo, sotto un primo profilo, occorre rilevare che, conformemente all’articolo 7 della direttiva 2013/33, gli Stati membri possono imporre, a determinate condizioni, un luogo di residenza ai richiedenti protezione internazionale, anche dopo che la loro domanda sia stata respinta in prime cure dall’autorità accertante. Pertanto, non si può ritenere contrario all’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 che il diritto di rimanere nel territorio di uno Stato membro sia subordinato al rispetto di una simile condizione di residenza, purché quest’ultima rispetti le garanzie previste all’articolo 7 della direttiva 2013/33. Occorre tuttavia rilevare che l’Ungheria non individua una disposizione della legge sul diritto di asilo che contenga proprio una condizione del genere.

299

Sotto un secondo profilo, occorre rilevare che l’articolo 80/J, paragrafo 5, e l’articolo 80/K, paragrafo 11, della legge sul diritto di asilo sono applicabili unicamente qualora sia stata dichiarata una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa e che, come ammesso dall’Ungheria in udienza, in una simile ipotesi, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della legge sul diritto di asilo non è applicabile. Tale Stato membro non può pertanto, senza cadere in contraddizione, affermare che l’articolo 80/J, paragrafo 5, e l’articolo 80/K, paragrafo 11, della legge sul diritto di asilo fissano le condizioni alle quali si applica l’articolo 5, paragrafo 1, di tale legge.

300

Infine, sotto un terzo profilo, occorre rilevare che la condizione che impone di rispettare lo status di richiedente protezione internazionale definito dalla legge e alla quale, secondo le stesse affermazioni dell’Ungheria, il diritto di soggiorno derivante dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della legge sul diritto di asilo sarebbe a sua volta subordinato si presta a diverse interpretazioni e rinvia ad altre condizioni, che non sono state identificate da tale Stato membro.

301

Orbene, come rilevato al punto 289 della presente sentenza, quando uno Stato membro prevede modalità di esercizio del diritto di rimanere nel suo territorio, garantito dall’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, tali modalità devono essere individuate in modo sufficientemente chiaro e preciso affinché il richiedente protezione internazionale possa conoscere l’esatta portata di tale diritto e sia possibile valutare se modalità siffatte siano compatibili, in particolare, con le direttive 2013/32 e 2013/33.

302

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32.

– Sulla seconda parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 6, della direttiva 2013/32

303

In deroga all’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, l’articolo 46, paragrafo 6, della medesima consente agli Stati membri, nei casi previsti da tale disposizione, in particolare quando la decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale sia fondata su determinati motivi di inammissibilità, di non concedere automaticamente il diritto di rimanere nel territorio in attesa dell’esito del ricorso proposto dal richiedente, purché un giudice sia competente a decidere se l’interessato possa rimanere nel territorio dello Stato membro interessato, nonostante la decisione adottata in prime cure di cui egli è oggetto.

304

Secondo la Commissione, l’Ungheria non ha correttamente recepito detta disposizione per la ragione, da un lato, che l’articolo 53, paragrafo 6, della legge sul diritto di asilo non concede un effetto sospensivo alla proposizione del ricorso avverso una decisione che respinge la domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile e, dall’altro, che tale legge non precisa chiaramente se l’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa, che consente di chiedere, al giudice competente adito, la sospensione della decisione amministrativa impugnata, sia applicabile ai procedimenti giudiziari previsti dalla legge sul diritto di asilo.

305

Ne consegue che la Commissione contesta, in sostanza, all’Ungheria di non aver recepito, in modo sufficientemente chiaro e preciso, l’articolo 46, paragrafo 6, della direttiva 2013/32, in quanto la normativa ungherese non precisa espressamente che l’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa si applica alle decisioni che respingono una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile.

306

Una siffatta argomentazione, tuttavia, è infondata.

307

Infatti, come in sostanza rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 207 delle sue conclusioni, il semplice fatto che l’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa abbia portata generale e che l’articolo 53, paragrafo 6, della legge sul diritto di asilo non precisi che tale articolo 50 si applica nell’ambito delle procedure disciplinate da tale legge non è sufficiente per ritenere che l’Ungheria non si sia conformata in modo preciso e sufficientemente chiaro all’articolo 46, paragrafo 6, della direttiva 2013/32. A tal riguardo, occorre sottolineare che l’articolo 53, paragrafo 6, della legge sul diritto di asilo non esclude l’applicazione del medesimo articolo 50, né introduce una norma che sia incompatibile con quest’ultimo articolo. Inoltre, la Commissione non ha fornito alcun elemento che consenta di far dubitare della possibilità per i giudici ungheresi di applicare l’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa nell’ambito dell’esame di un ricorso giurisdizionale diretto contro una decisione che respinge una domanda di protezione internazionale in quanto irricevibile.

308

Ne consegue che la seconda parte della quinta censura deve essere respinta in quanto infondata, senza che sia necessario esaminare se l’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa costituisca, quanto al resto, un recepimento completo e corretto dell’articolo 46, paragrafo 6, ultimo comma, della direttiva 2013/32.

– Sulla terza parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 6, lettere a) e b), della direttiva 2013/32

309

In deroga alla regola sancita dall’articolo 46, paragrafo 6, della direttiva 2013/32, dalle lettere a) e b) di tale disposizione si deduce che, qualora la domanda di protezione internazionale sia respinta in quanto infondata a causa delle circostanze indicate all’articolo 31, paragrafo 8, lettera h), di tale direttiva o sia dichiarata inammissibile a norma del suo articolo 33, paragrafo 2, lettere c) ed e), il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro deve essere concesso alle condizioni previste all’articolo 46, paragrafo 5, di detta direttiva, e non all’articolo 46, paragrafo 6, ultimo comma, di quest’ultima.

310

La Commissione contesta all’Ungheria di non aver recepito in modo sufficientemente chiaro e preciso tale norma derogatoria, per la ragione che l’articolo 53, paragrafo 6, della legge sul diritto di asilo non farebbe chiaramente emergere che il deposito del ricorso ha effetto sospensivo, quando quest’ultimo ha lo scopo di contestare una decisione adottata sul fondamento dell’articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7, lettera h), della legge sul diritto di asilo.

311

Un simile argomento deve tuttavia essere respinto in quanto infondato.

312

Infatti, come in sostanza rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 211 delle sue conclusioni, dalla formulazione stessa dell’articolo 53, paragrafo 6, della legge sul diritto di asilo risulta chiaramente che i ricorsi proposti avverso decisioni adottate ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7, lettera h), della legge sul diritto di asilo hanno effetto sospensivo automatico.

313

Pertanto, anche la terza parte della quinta censura deve essere respinta in quanto infondata, senza che sia necessario esaminare se l’articolo 53, paragrafo 6, della legge sul diritto di asilo costituisca, per il resto, un recepimento completo e corretto dell’articolo 46, paragrafo 6, lettere a) e b), della direttiva 2013/32.

314

Ne consegue che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, subordinando a condizioni contrarie al diritto dell’Unione l’esercizio, da parte dei richiedenti protezione internazionale che rientrano nell’ambito di applicazione di tale disposizione, del loro diritto di rimanere nel suo territorio.

315

Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre dichiarare che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 5, dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, dell’articolo 6, dell’articolo 24, paragrafo 3, dell’articolo 43 e dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 e degli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33:

prevedendo che le domande di protezione internazionale provenienti da cittadini di paesi terzi o da apolidi che, arrivando dalla Serbia, desiderano accedere, nel suo territorio, alla procedura di protezione internazionale possano essere presentate solo nelle zone di transito di Röszke e Tompa, e adottando nel contempo una prassi amministrativa costante e generalizzata che limita drasticamente il numero di richiedenti autorizzati a entrare quotidianamente in tali zone di transito;

istituendo un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa, senza rispettare le garanzie previste all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché agli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33;

consentendo l’allontanamento di tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare, ad eccezione di quelli che sono sospettati di aver commesso un reato, senza rispettare le procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115;

subordinando a condizioni contrarie al diritto dell’Unione l’esercizio, da parte dei richiedenti protezione internazionale che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, del loro diritto di rimanere nel suo territorio.

316

Il ricorso è respinto quanto al resto.

Sulle spese

317

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, dello stesso regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, qualora ciò appaia giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, la Corte può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese della controparte. Poiché l’Ungheria è rimasta sostanzialmente soccombente e la Commissione ne ha fatto domanda, occorre condannare l’Ungheria a sopportare, alla luce delle circostanze del caso di specie, oltre alle proprie spese, i quattro quinti delle spese della Commissione. Quest’ultima sopporterà un quinto delle proprie spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 5, dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, dell’articolo 6, dell’articolo 24, paragrafo 3, dell’articolo 43 e dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e degli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale:

prevedendo che le domande di protezione internazionale provenienti da cittadini di paesi terzi o da apolidi che, arrivando dalla Serbia, desiderano accedere, nel suo territorio, alla procedura di protezione internazionale possano essere presentate solo nelle zone di transito di Röszke (Ungheria) e Tompa (Ungheria), e adottando nel contempo una prassi amministrativa costante e generalizzata che limita drasticamente il numero di richiedenti autorizzati a entrare quotidianamente in tali zone di transito;

istituendo un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa, senza rispettare le garanzie previste all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché agli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33;

consentendo l’allontanamento di tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare, ad eccezione di quelli che sono sospettati di aver commesso un reato, senza rispettare le procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115;

subordinando a condizioni contrarie al diritto dell’Unione l’esercizio, da parte dei richiedenti protezione internazionale che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, del loro diritto di rimanere nel suo territorio.

 

2)

Il ricorso è respinto quanto al resto.

 

3)

L’Ungheria sopporta, oltre alle proprie spese, i quattro quinti delle spese della Commissione europea.

 

4)

La Commissione europea sopporta un quinto delle proprie spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’ungherese.

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