CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 3 settembre 2020 ( 1 )

Causa C‑620/19

Land Nordrhein-Westfalen

contro

D.-H.T., in veste di curatore fallimentare nella procedura di insolvenza sul patrimonio della J & S Service UG

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Competenza giurisdizionale della Corte – Richiamo nella normativa nazionale alle disposizioni del diritto dell’Unione – Giurisprudenza Dzodzi – Rinvio diretto e incondizionato – Interesse all’uniformità concettuale – Regolamento (UE) 2016/679 – Protezione dei dati – Restrizioni – Articolo 23, paragrafo 1, lettere e) e j) – Esecuzione delle azioni civili – Procedure di insolvenza – Amministrazione finanziaria»

I. Introduzione

1.

Ai sensi dell’articolo 267 TFUE, una domanda di pronuncia pregiudiziale deve riguardare l’interpretazione dei trattati o la validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione. Uno dei requisiti per la competenza della Corte ai sensi di tale disposizione è che l’atto dell’Unione di cui si chiede l’interpretazione sia applicabile nel procedimento principale, ove detta applicabilità è normalmente specificata nell’atto dell’Unione stesso.

2.

La Corte ha tuttavia dichiarato, a partire dalla sentenza Dzodzi ( 2 ), che i trattati non escludono dalla competenza della Corte le domande di pronuncia pregiudiziale su disposizioni dell’Unione che non si applicano direttamente ai fatti di causa (ossia in virtù delle disposizioni contenute negli stessi atti giuridici dell’Unione), ma quando tali disposizioni sono rese applicabili indirettamente (ossia mediante un rinvio operato dal diritto nazionale, che estende effettivamente l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione). La Corte ha pertanto statuito che, quando una normativa nazionale si conforma, per le soluzioni che apporta a situazioni non rientranti nell’ambito di applicazione dell’atto dell’Unione considerato, a quelle adottate dal suddetto atto, sussiste un sicuro interesse dell’Unione a che, per evitare future divergenze d’interpretazione, le disposizioni riprese da tale atto ricevano un’interpretazione uniforme.

3.

Anche se tale dictum è stato poi confermato e applicato in una serie di altri cause (in prosieguo: la «giurisprudenza Dzodzi» ( 3 )), i limiti della competenza della Corte in tali situazioni rimangono, a tutt’oggi, ancora poco chiari.

4.

La presente causa porta questa linea giurisprudenziale ai suoi limiti esterni. Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) chiede alla Corte di interpretare l’articolo 23, paragrafo 1, lettere e) e j), del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati) ( 4 ), anche se tale disposizione non si applica direttamente alla situazione di cui trattasi nel procedimento principale. Infatti, tale situazione esula, per una serie di ragioni, dal campo di applicazione del regolamento 2016/679. L’articolo 23, paragrafo 1, di detto regolamento è stato reso applicabile alla situazione di cui è investito il giudice del rinvio solo in virtù di un rinvio contenuto nella normativa nazionale applicabile.

5.

La presente causa invita quindi la Corte a chiarire fino a che punto possa essere ragionevolmente spinta la logica di un rinvio nazionale, iniziata con la causa Dzodzi, in uno scenario in cui, a seguito non di una, ma di numerose estensioni del campo di applicazione di una norma dell’Unione operati dal legislatore nazionale, il giudice del rinvio si trova a dover interpretare detta norma che, a mio avviso, semplicemente non esprime nulla di utile sulla questione effettivamente sottoposta a detto giudice.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

6.

I considerando 2, 4 e 73 del regolamento 2016/679 prevedono quanto segue:

«2)

I principi e le norme a tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali dovrebbero rispettarne i diritti e le libertà fondamentali, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali, a prescindere dalla loro nazionalità o dalla loro residenza. (...)

(...)

4)

Il trattamento dei dati personali dovrebbe essere al servizio dell’uomo. Il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità. Il presente regolamento rispetta tutti i diritti fondamentali e osserva le libertà e i principi riconosciuti dalla Carta [dei diritti fondamentali dell’Unione europea; in prosieguo: la «Carta»], sanciti dai trattati, in particolare il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e delle comunicazioni, la protezione dei dati personali, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di espressione e d’informazione, la libertà d’impresa, il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, nonché la diversità culturale, religiosa e linguistica.

(...)

73)

Il diritto dell’Unione o degli Stati membri può imporre limitazioni a specifici principi e ai diritti di informazione, accesso, rettifica e cancellazione di dati, al diritto alla portabilità dei dati, al diritto di opporsi, alle decisioni basate sulla profilazione, nonché alla comunicazione di una violazione di dati personali all’interessato e ad alcuni obblighi connessi in capo ai titolari del trattamento, ove ciò sia necessario e proporzionato in una società democratica per la salvaguardia della sicurezza pubblica, ivi comprese la tutela della vita umana, in particolare in risposta a catastrofi di origine naturale o umana, le attività di prevenzione, indagine e perseguimento di reati o l’esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia contro e la prevenzione di minacce alla sicurezza pubblica, o di violazioni della deontologia professionale, per la tutela di altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell’Unione o di uno Stato membro, tra cui un interesse economico o finanziario rilevante dell’Unione o di uno Stato membro, per la tenuta di registri pubblici per ragioni di interesse pubblico generale, per l’ulteriore trattamento di dati personali archiviati al fine di fornire informazioni specifiche connesse al comportamento politico sotto precedenti regimi statali totalitari o per la tutela dell’interessato o dei diritti e delle libertà altrui, compresi la protezione sociale, la sanità pubblica e gli scopi umanitari. Tali limitazioni dovrebbero essere conformi alla Carta e alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».

7.

L’articolo 1 del regolamento 2016/679 («Oggetto e finalità») enuncia quanto segue:

«1.   Il presente regolamento stabilisce norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché norme relative alla libera circolazione di tali dati.

2.   Il presente regolamento protegge i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche, in particolare il diritto alla protezione dei dati personali.

(...)».

8.

L’articolo 23 del regolamento 2016/679 («Limitazioni») è la disposizione conclusiva del capo III che tratta dei diritti dell’interessato. Esso stabilisce quanto segue:

«1.   Il diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento può limitare, mediante misure legislative, la portata degli obblighi e dei diritti di cui agli articoli da 12 a 22 e 34, nonché all’articolo 5, nella misura in cui le disposizioni ivi contenute corrispondano ai diritti e agli obblighi di cui agli articoli da 12 a 22, qualora tale limitazione rispetti l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e sia una misura necessaria e proporzionata in una società democratica per salvaguardare:

(...)

e)

altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale dell’Unione o di uno Stato membro, in particolare un rilevante interesse economico o finanziario dell’Unione o di uno Stato membro, anche in materia monetaria, di bilancio e tributaria, di sanità pubblica e sicurezza sociale;

(...)

j)

l’esecuzione delle azioni civili».

B.   Diritto nazionale

9.

L’articolo 2a («Ambito di applicazione delle norme sul trattamento dei dati personali») dell’Abgabenordnung (codice tributario tedesco; in prosieguo: l’«AO»), come modificato dalla legge del 17 luglio 2017 ( 5 ), così recita:

«3)   Le norme della presente legge e delle leggi tributarie relative al trattamento dei dati personali non si applicano nel caso in cui risulti direttamente applicabile il diritto dell’Unione europea, segnatamente il regolamento 2016/679 (...) nella versione in vigore, o esso trovi applicazione ai sensi del paragrafo 5.

(...)

5)   Salvo quanto altrimenti disposto, le disposizioni del regolamento 2016/679, della presente legge e delle leggi tributarie relative al trattamento dei dati personali di persone fisiche si applicano mutatis mutandis alle informazioni relative:

1.

alle persone fisiche decedute o

2.

agli organismi, associazioni di persone dotate o meno di personalità giuridica o masse patrimoniali identificati o identificabili».

10.

L’articolo 32b («Obbligo di informazione dell’amministrazione finanziaria nel caso in cui i dati personali non siano stati ottenuti presso l’interessato») dell’AO recita come segue:

«1)   L’obbligo dell’amministrazione finanziaria di informare l’interessato ai sensi dell’articolo 14, paragrafi 1, 2 e 4, del regolamento 2016/679 non sussiste, ad integrazione delle eccezioni elencate nell’articolo 14, paragrafo 5, del regolamento 2016/679, e nell’articolo 31c, paragrafo 2,

1.

nei casi in cui la comunicazione dell’informazione di cui trattasi

a)

pregiudicherebbe il regolare adempimento dei compiti che rientrano nella competenza dell’amministrazione finanziaria o di altre autorità pubbliche ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, lettere da d) a h), del regolamento 2016/679, oppure

b)

(...)

e pertanto l’interesse dell’interessato a ottenere l’informazione passa in secondo piano. L’articolo 32a, paragrafo 2, si applica analogamente».

11.

L’articolo 32c («Diritto di accesso dell’interessato») dell’AO recita come segue:

«1)   Il diritto dell’interessato a ottenere informazioni da un’amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 15 del regolamento 2016/679 non sussiste se

1.

l’interessato non dev’essere informato ai sensi dell’articolo 32b, paragrafo 1 o 2;

2.

la comunicazione dell’informazione pregiudicherebbe l’invocazione, l’esercizio o la difesa di diritti rientranti nel diritto civile da parte del soggetto giuridico cui fa capo l’amministrazione finanziaria o la difesa dell’amministrazione finanziaria contro pretese rientranti nel diritto civile ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento 2016/679 fatte valere nei suoi confronti; restano impregiudicati gli obblighi di informazione dell’amministrazione finanziaria ai sensi del diritto civile, (...)».

12.

L’articolo 32e («Rapporto con altri diritti di accesso e comunicazione di informazioni») dell’AO recita come segue:

«Ove l’interessato o un terzo abbia nei confronti dell’amministrazione finanziaria un diritto di accesso ad informazioni ai sensi della legge sulla libertà d’informazione del 5 settembre 2005 (...) o ai sensi delle corrispondenti normative vigenti dei Länder, si applicano corrispondentemente gli articoli da 12 a 15 del regolamento 2016/679 in combinato disposto con gli articoli da 32a a 32d. Sono al riguardo esclusi più ampi diritti in relazione a dati fiscali. (...)».

13.

Ai sensi dell’articolo 129, paragrafo 1, dell’Insolvenzordnung (legge in materia di procedure di insolvenza del 5 ottobre 1994) e successive modifiche:

«Il curatore fallimentare può impugnare (...) gli atti giuridici anteriori all’apertura della procedura d’insolvenza e pregiudizievoli per i creditori».

14.

Ai sensi dell’articolo 143, paragrafo 1, prima frase, dell’Insolvenzordnung, la conseguenza giuridica dell’accoglimento di un’impugnazione è che il beneficiario del pagamento in questione deve restituirlo alla massa fallimentare.

15.

Ai sensi dell’articolo 144, paragrafo 1, di detta legge, il credito originario del beneficiario nei confronti del debitore fallimentare viene riattivato. Tale credito deve essere soddisfatto dalla massa fallimentare.

16.

L’articolo 2 («Campo di applicazione») del Gesetz über die Freiheit des Zugangs zu Informationen für das Land Nordrhein-Westfalen (legge sulla libertà d’informazione del Land Renania settentrionale-Vestfalia; in prosieguo: la «legge sulla libertà d’informazione») del 27 novembre 2001, nella versione modificata, recita:

«1)   La presente legge si applica all’attività amministrativa delle pubbliche autorità (...). Ai fini della presente legge, per autorità pubblica si intende qualsiasi organismo che svolge compiti di pubblica amministrazione.

(...)».

17.

L’articolo 4 («Diritto all’informazione») di tale legge recita:

«1)   Qualsiasi persona fisica può far valere, nei confronti degli organismi di cui all’articolo 2, in conformità della presente legge, il diritto di accesso alle informazioni ufficiali in possesso dell’organismo.

2)   Eventuali disposizioni di legge speciali riguardanti l’accesso alle informazioni amministrative, la fornitura di informazioni o la concessione dell’accesso al fascicolo hanno la precedenza sulle disposizioni della presente legge. (...)».

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

18.

Il ricorrente nel procedimento principale è il curatore fallimentare di una società, la J & S Service UG. In tale veste, egli ha chiesto alcune informazioni all’amministrazione finanziaria in relazione alla situazione fiscale della società insolvente da lui amministrata, al fine di esaminare la possibilità di intentare azioni revocatorie fondate sull’insolvenza contro l’ufficio delle imposte competente.

19.

Il ricorrente ha presentato tale richiesta sulla base della legge sulla libertà d’informazione. Il ricorrente ha chiesto, in particolare, informazioni sugli atti di esecuzione forzata, potenziali ed effettivamente adottati, nei confronti della società, sui pagamenti ricevuti dalla società e sulla data in cui l’amministrazione finanziaria è venuta a conoscenza dello stato di insolvenza della società. Il ricorrente ha inoltre chiesto un estratto della contabilità della società in relazione a tutte le imposte per il periodo compreso tra marzo 2014 e giugno 2015.

20.

La richiesta di accesso alle informazioni presentata dal ricorrente è stata respinta dall’ufficio delle imposte. Il ricorrente ha impugnato tale decisione dinanzi al Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo, Germania), che ha sostanzialmente accolto il ricorso. Il ricorso del Land è stato respinto dall’Oberverwaltungsgericht (Tribunale amministrativo superiore del Land, Germania). Detto giudice ha ritenuto che il diritto all’informazione, sancito dalla legge del Land sulla libertà d’informazione, non fosse escluso dalle disposizioni specifiche sul segreto fiscale. Anche se in generale, questo tipo di informazioni potrebbe essere soggetto al segreto fiscale, non lo è certamente nei confronti del curatore fallimentare della società a cui le informazioni si riferiscono.

21.

Il Land ha quindi proposto un ricorso per cassazione dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale). Detto giudice, nutrendo dubbi in ordine alla corretta interpretazione dell’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 – disposizione cui fanno riferimento le disposizioni sul segreto fiscale – ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento [2016/679] miri a tutelare anche gli interessi dell’amministrazione finanziaria.

2)

In caso di risposta affermativa, se l’espressione «esecuzione delle azioni civili» comprenda anche la difesa da parte dell’amministrazione finanziaria contro azioni civili e se i relativi diritti debbano già essere stati fatti valere.

3)

Se la disposizione di cui all’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del regolamento [2016/679] sulla salvaguardia di un rilevante interesse economico o finanziario di uno Stato membro in materia tributaria, consenta una limitazione del diritto di accesso di cui all’articolo 15 del medesimo regolamento a difesa dalle azioni revocatorie fondate sull’insolvenza nei confronti dell’amministrazione finanziaria».

22.

Il Land Renania settentrionale-Vestfalia, i governi ceco, tedesco e polacco e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte nel presente procedimento.

IV. Analisi

23.

Le tre questioni proposte dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) riguardano l’interpretazione dell’articolo 23, paragrafo 1, lettere e) e j), del regolamento 2016/679. Tuttavia, è pacifico che tale disposizione non si applica direttamente alla situazione di cui trattasi nel procedimento principale. Come spiega il giudice del rinvio, l’articolo 23, paragrafo 1, è stato reso indirettamente applicabile dal legislatore nazionale attraverso un rinvio operato dalle disposizioni nazionali pertinenti.

24.

In tali circostanze, prima di rispondere ai quesiti posti, occorre affrontare una questione procedurale preliminare: se la Corte sia competente a risolvere le questioni sollevate nella presente causa.

25.

Le parti che hanno presentato osservazioni nel presente procedimento sostengono tesi diverse a tale riguardo: mentre il Land Renania settentrionale-Vestfalia, il governo polacco e, in una certa misura, la Commissione hanno espresso dubbi sulla competenza della Corte, i governi ceco e tedesco hanno assunto una posizione opposta.

26.

In tale contesto, le presenti conclusioni sono articolate come segue. In primo luogo, esaminerò la competenza della Corte nella presente causa (A). A tal fine, illustrerò la giurisprudenza Dzodzi (1), ricordandone le origini e l’ampliamento (a), nonché i limiti che la Corte ha progressivamente introdotto (b). Alla luce dei problemi che possono derivare da un’ampia applicazione di tale giurisprudenza, proporrò quindi alla Corte di consolidarla (2). In seguito, applicherò il quadro giuridico proposto al caso di specie, concludendo che, a mio parere, non si possono trarre utili indicazioni dalla legislazione dell’Unione invocata per la specifica questione affrontata dal giudice nazionale (3). Essendo giunto alla conclusione che la Corte non è competente nella presente causa, tratterò il merito delle tre questioni sollevate solo molto brevemente e nei limiti di quanto è logicamente possibile (B).

A.   Competenza della Corte

1. La giurisprudenza Dzodzi

a) Origine ed estensione

27.

Le origini della giurisprudenza Dzodzi si possono rinvenire nella sentenza Thomasdünger ( 6 ). In detta causa, il giudice del rinvio ha chiesto alla Corte l’interpretazione di una specifica posizione della tariffa doganale comune (in prosieguo: la «TDC»). Tuttavia, la causa riguardava l’importazione di merci in Germania da un altro Stato membro e quindi era al di fuori del campo di applicazione della TDC. Il motivo alla base del rinvio era che le autorità tedesche avevano fatto riferimento, nelle norme nazionali pertinenti, alle posizioni definite nella TDC per altri scopi.

28.

Nelle sue brevi conclusioni, l’avvocato generale Mancini ha proposto alla Corte di dichiarare la propria incompetenza. A suo parere, il Trattato non autorizzava la Corte a pronunciarsi nei casi in cui le disposizioni (allora) comunitarie da interpretare incidessero sugli interessi delle parti non in modo diretto, ma per relationem. A suo avviso, la Corte era incompetente per quanto riguarda le disposizioni prese in considerazione solo perché un’autorità nazionale ha deciso, liberamente e unilateralmente, di assumerle come punto di riferimento per la determinazione delle proprie regole ( 7 ).

29.

Nella sua sentenza, tuttavia, la Corte non si è occupata della questione. La Corte ha fatto riferimento alla presunzione di pertinenza delle questioni sottoposte e si è poi soffermata sul merito delle stesse ( 8 ).

30.

Un’esplicita dichiarazione della propria competenza a pronunciarsi su rinvii pregiudiziali in cause come quella in esame è arrivata con la sentenza Dzodzi ( 9 ). La causa riguardava il diritto di soggiorno in Belgio del coniuge (di cittadinanza togolese) di un cittadino belga deceduto che non si era mai avvalsa della libertà di lavorare o di soggiornare in un altro Stato membro. La legislazione dell’Unione cui faceva riferimento il giudice belga non era chiaramente applicabile e la causa non presentava alcun elemento transfrontaliero. Tuttavia, in base a una disposizione nazionale, il giudice del rinvio ha sottolineato che il coniuge di un cittadino belga doveva essere trattato come se fosse un cittadino comunitario. Di conseguenza, detto giudice ha chiesto alla Corte se la sig.ra Dzodzi avrebbe avuto il diritto di risiedere e rimanere in Belgio se suo marito fosse stato cittadino di uno Stato membro diverso dal Belgio.

31.

Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Darmon ha raccomandato alla Corte di dichiarare la propria incompetenza. In particolare, ha sottolineato che l’unità e la coerenza dell’ordinamento giuridico comunitario sono indifferenti alle situazioni esterne al suo ambito d’applicazione, a prescindere dall’eventuale somiglianza delle disposizioni nazionali pertinenti con le disposizioni comunitarie di cui si chiedeva l’interpretazione ( 10 ).

32.

La Corte non ha seguito la raccomandazione dell’avvocato generale. Essa ha basato la sua competenza su tre considerazioni principali: i) la presunzione di pertinenza, ii) il testo del Trattato che non esclude esplicitamente la competenza, e iii) l’interesse della Comunità, «per evitare future divergenze d’interpretazione, a garantire un’interpretazione uniforme di tutte le norme di diritto comunitario, a prescindere dalle condizioni in cui verranno applicate» ( 11 ).

33.

La sentenza Dzodzi è in seguito diventata una giurisprudenza consolidata. L’approccio è stato applicato non solo in cause riguardanti le libertà fondamentali, ma anche in cause riguardanti, tra l’altro, la politica agricola comune ( 12 ), la tutela dei consumatori ( 13 ), la fiscalità ( 14 ), la politica sociale ( 15 ) e le leggi in materia di concorrenza ( 16 ).

34.

Anche se il contesto di fatto e di diritto di dette cause variava, nella maggior parte di esse due elementi sembravano essere di particolare importanza per la Corte: i) il fatto che le norme nazionali riproducessero fedelmente le pertinenti disposizioni dell’Unione ( 17 ) e/o ii) l’espressa (o comunque chiara) intenzione del legislatore nazionale di armonizzare il diritto nazionale con il diritto dell’Unione. Quest’ultimo requisito è stato considerato soddisfatto, tra l’altro, quando, nel disciplinare situazioni puramente interne, una normativa nazionale si conformava alle soluzioni adottate nel diritto dell’Unione ( 18 ), al fine, in particolare, di evitare che vi fossero discriminazioni nei confronti dei cittadini nazionali o eventuali distorsioni di concorrenza ( 19 ), o al fine di assicurare un unico contesto normativo in situazioni analoghe ( 20 ).

35.

La giurisprudenza successiva permane piuttosto ambigua per quanto riguarda la portata esatta dell’estensione della competenza derivante dalla sentenza Dzodzi. I principi derivanti da tale giurisprudenza sembrano essere stati applicati molto generosamente in diverse cause.

36.

In particolare, in alcune cause la Corte si è spinta fino ad accettare riferimenti vaghi, indiretti o impliciti al diritto dell’Unione. È il caso, ad esempio, della sentenza BIAO, dove le disposizioni nazionali «non avevano riportato letteralmente le [pertinenti disposizioni dell’Unione]», ma il governo nazionale e il giudice del rinvio hanno convenuto che la sentenza della Corte sarebbe stata vincolante a livello nazionale ( 21 ). Sulla stessa linea, nella sentenza BAT, la Corte si è pronunciata sulla base del fatto che fosse «pacifico che la normativa nazionale si [era] conformata, per le soluzioni che essa apporta ad una situazione interna, a quelle adottate in diritto comunitario», sebbene la specifica disposizione in questione non facesse esplicito riferimento a tal proposito al diritto dell’Unione ( 22 ).

37.

Analogamente, nella sentenza Kofisa, la Corte ha accettato un rinvio in cui la norma nazionale per la disciplina situazioni interne non rinviava a una disposizione specifica del diritto dell’Unione, bensì soltanto alle pertinenti «leggi doganali» dell’Unione ( 23 ). Analogamente, nella causa Schoonbroodt, la Corte ha pronunciato una sentenza nella quale le pertinenti disposizioni nazionali si limitavano a rinviare alle «soluzioni accolte dal diritto comunitario» ( 24 ). Infine, nella sentenza Ostas, la Corte ha dichiarato la propria competenza ai sensi della giurisprudenza Dzodzi, fatte salve le verifiche da parte del giudice del rinvio dell’esistenza di un rinvio diretto e incondizionato ( 25 ).

38.

È interessante notare che, nella sentenza Federconsorzi e nella sentenza Fournier ( 26 ), la Corte ha dichiarato la propria competenza anche nei casi in cui il rinvio alle pertinenti disposizioni comunitarie non era inserito in alcuna normativa nazionale, ma solo in contratti o accordi di diritto privato stipulati da enti pubblici.

39.

Inoltre, nelle sentenze Kofisa e Poseidon, la Corte si è pronunciata assumendo che la sua sentenza sarebbe stata vincolante per il giudice del rinvio. La Corte ha osservato che nessun elemento versato agli atti lasciava supporre che il giudice a quo avesse la facoltà di discostarsi dall’interpretazione fornita dalla Corte delle pertinenti disposizioni dell’Unione ( 27 ). La Corte si è spinta ancora più in là nella sentenza Fournier, in cui si è dichiarata competente dopo aver rilevato che le disposizioni nazionali in questione rientravano in un settore non contemplato dalla pertinente direttiva e, di conseguenza, i termini utilizzati nelle disposizioni nazionali «non [dovevano] (...) avere necessariamente lo stesso significato di quelli usati nella [pertinente] direttiva». La Corte ha rilevato che «[s]petta (...) quindi al giudice proponente, unico competente ad interpretare [le disposizioni nazionali in questione], attribuire ai termini usati da [dette disposizioni] il senso che esso ritiene opportuno, senza che esso sia vincolato in proposito dal senso che deve essere attribuito all’identica espressione contenuta nella direttiva» ( 28 ).

40.

Infine, in alcune cause, la Corte non ha precisato perché, in linea con la giurisprudenza Dzodzi, fosse competente a rispondere al rinvio. Si è limitata a ripetere la giurisprudenza senza spiegare come i principi enunciati fossero applicabili ai fatti di causa ( 29 ).

b) I limiti

41.

Nonostante si sia consolidata, la giurisprudenza Dzodzi ha continuato a essere oggetto di critiche da parte di diversi avvocati generali: Jacobs nella causa Leur-Bloem ( 30 ) e nella causa BIAO ( 31 ), Ruiz-Jarabo Colomer nella causa Kofisa ( 32 ) e Tizzano nella causa Adam ( 33 ). In sostanza, gli avvocati generali i) hanno ritenuto poco convincente la mancanza di un’esclusione espressa della competenza nei trattati, tenuto conto del principio fondamentale di attribuzione delle competenze ivi sancito, ii) hanno messo in dubbio l’esistenza di un interesse reale dell’Unione a garantire un’interpretazione conforme, iii) hanno insistito sul fatto che è insolito interpretare le norme del diritto dell’Unione al di fuori del loro contesto e iv) hanno dubitato del carattere vincolante della risposta della Corte in tali circostanze. Su tale base, detti avvocati generali hanno invitato la Corte ad abbandonare la giurisprudenza Dzodzi o, in ogni caso, ad applicarla in senso restrittivo.

42.

La Corte non ha mai seguito il suggerimento di abbandonare la giurisprudenza Dzodzi. Tuttavia, nel corso del tempo vi ha introdotto alcune condizioni.

43.

In primo luogo, nella causa Kleinwort Benson, su suggerimento dell’avvocato generale Tesauro ( 34 ), la Corte si è dichiarata incompetente in quanto il diritto nazionale in questione non prevedeva «un rinvio diretto e incondizionato» alle pertinenti disposizioni del diritto dell’Unione, ma si limitava a prenderle a modello, senza riprenderne completamente la formulazione. Inoltre, la Corte ha osservato che il diritto nazionale era chiaro sul fatto che l’interpretazione fornita dalla Corte non avrebbe necessariamente vincolato il giudice nazionale ( 35 ).

44.

Anche se il criterio del «rinvio diretto e incondizionato» non è stato sempre seguito negli anni successivi alla pronuncia della sentenza nella causa Kleinwort Benson ( 36 ), la Corte lo ha progressivamente applicato in modo più rigoroso. Essa ha quindi respinto le cause in cui il rinvio era poco chiaro, non documentato o troppo generico ( 37 ), e in cui il rinvio non implicava che la risposta fornita da parte della Corte sarebbe stata vincolante per il giudice del rinvio ( 38 ). La Corte ha invece accettato i rinvii nelle cause in cui dal fascicolo in suo possesso risultava che le pertinenti disposizioni dell’Unione erano state rese applicabili dal diritto nazionale in maniera diretta e incondizionata ( 39 ). In una serie di cause, la Corte ha accettato il rinvio solo dopo aver ricevuto assicurazione che l’interpretazione delle disposizioni dell’Unione richiesta alla Corte sarebbe stata vincolante per le autorità nazionali ( 40 ). Ove necessario, la Corte non ha esitato a esaminare i lavori preparatori delle leggi nazionali per verificare la volontà del legislatore nazionale di trattare allo stesso modo le situazioni dell’Unione e quelle nazionali ( 41 ).

45.

In secondo luogo, nella causa Ullens de Schooten, la Corte ha sottolineato che, nei casi che riguardano le libertà fondamentali, la sua competenza a rispondere alle questioni poste in situazioni puramente interne costituisce un’eccezione. La Corte ha poi proceduto a sistematizzare la questione, elencando quattro serie di circostanze in cui è comunque competente a rispondere ai rinvii (la giurisprudenza Dzodzi è una di queste). È importante che la Corte abbia sottolineato che, nel contesto di una situazione i cui elementi si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro, «spetta al giudice del rinvio indicare alla Corte, in conformità a quanto richiesto dall’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, sotto quale profilo, malgrado il suo carattere puramente interno, la controversia dinanzi ad esso pendente presenti con le disposizioni del diritto dell’Unione (...) un elemento di collegamento che rende l’interpretazione in via pregiudiziale richiesta necessaria alla soluzione di tale controversia» ( 42 ).

46.

La recente giurisprudenza della Corte (tanto prima che dopo la sentenza Ullens de Schooten) sembra confermare che, per dichiarare decisamente la propria competenza, la Corte è pronta a verificare in modo più rigoroso se i giudici del rinvio abbiano debitamente fornito alla Corte tutte le informazioni necessarie a tal fine ( 43 ).

47.

In terzo luogo, vi è la sentenza Nolan. In detta causa, la Corte ha statuito che la giurisprudenza Dzodzi non si applicava quando «un atto dell’Unione prevede[va] espressamente un caso di esclusione dal suo ambito di applicazione». La Corte ha stabilito che «non è possibile affermare o presumere che sussista, in un settore escluso dal legislatore dell’Unione dall’ambito di applicazione dell’atto da esso adottato, un interesse dell’Unione a che sia fornita un’interpretazione uniforme delle disposizioni di tale atto» ( 44 ).

48.

È vero, la sentenza Nolan potrebbe essere interpretata nel senso che la regola Dzodzi non si applica ogni volta che le disposizioni dell’Unione cui fa riferimento il diritto nazionale escludono espressamente situazioni come quelle del procedimento principale. Tuttavia, se fosse interpretata in tal modo, la sentenza Nolan sarebbe un unicum nella giurisprudenza ( 45 ).

49.

Infatti, in cause successive la Corte ha chiarito che una tale (ampia) interpretazione della sentenza Nolan non è corretta. Nella sentenza E, la Corte ha rifiutato di seguire la stessa logica, rilevando che «la causa che ha dato luogo a tale sentenza era caratterizzata da specificità che non si ritrovano nel procedimento principale» ( 46 ). Più recentemente, nelle sentenze G.S. e V.G., la Corte ha sottolineato che la sua competenza non può «variare a seconda che l’ambito di applicazione della pertinente disposizione [dell’Unione] sia stato delimitato per mezzo di una definizione positiva o [mediante] la definizione di taluni casi di esclusione, potendo queste due tecniche legislative essere usate indifferentemente» ( 47 ). In particolare, la Corte ha spiegato che la giurisprudenza Dzodzi mira «a consentire alla Corte di pronunciarsi sull’interpretazione di disposizioni di diritto dell’Unione, indipendentemente dalle condizioni in cui esse sono chiamate ad applicarsi, in situazioni che gli autori dei Trattati o il legislatore dell’Unione non hanno ritenuto utile includere nell’ambito di applicazione delle medesime disposizioni» ( 48 ).

50.

Pertanto, ritengo che la sentenza Nolan debba essere intesa piuttosto come una causa in cui la Corte si è dichiarata incompetente in quanto la disposizione dell’Unione di cui si chiedeva l’interpretazione era stata «utilizzata» dal legislatore nazionale in un contesto troppo distante da quello originario. Infatti, non solo la disposizione dell’Unione non si applicava alla situazione in questione ratione personae, ma anche il contesto giuridico in cui operava la norma nazionale variava notevolmente.

2. Consolidare e chiarire la giurisprudenza Dzodzi

51.

Nonostante le critiche di cui è stata oggetto, la Corte ha costantemente confermato la giurisprudenza Dzodzi. Tuttavia, come risulta dalla panoramica appena esposta, è tutt’altro che chiaro quali siano le condizioni alle quali una causa sarà accettata, anche se effettivamente fuori dell’ambito di applicazione di un atto dell’Unione, nonché i limiti esatti di tale estensione.

52.

Credo che la Corte dovrebbe cogliere l’opportunità offerta da questa causa per fare almeno un po’ di chiarezza sulla questione ( 49 ). In mancanza di un quadro più preciso, i giudici nazionali sono privi di indicazioni su quando possono sottoporre alla Corte questioni relative all’interpretazione delle disposizioni dell’Unione applicabili solo indirettamente nel procedimento principale. È quasi superfluo sottolineare, in questo contesto, che ogni rinvio respinto per motivi procedurali comporta inevitabilmente un uso non ottimale del tempo e delle risorse sia per il giudice del rinvio che per la Corte di giustizia.

53.

Nei passaggi che seguono illustrerò le condizioni che, a mio parere, dovrebbero essere soddisfatte affinché un rinvio operato al di fuori dell’ambito di applicazione di un provvedimento dell’Unione sia accettabile secondo l’approccio Dzodzi. Due di tali condizioni – una duplice condizione sostanziale e una condizione procedurale – già derivano dalla giurisprudenza della Corte (a). Suggerisco di confermare espressamente che esiste una terza condizione, sostanziale, oltre a queste due, che riguarda l’interesse all’uniformità concettuale ricercata da un siffatto rinvio (b).

a) Rinvio diretto e incondizionato e dovere del giudice nazionale di spiegare il rinvio

54.

Una prima condizione sostanziale – che in realtà è una duplice condizione – è stata enunciata per la prima volta nella sentenza Kleinwort Benson ed è stata più recentemente confermata in una serie di cause: il diritto nazionale deve contenere un «rinvio diretto e incondizionato» alle disposizioni dell’Unione di cui si chiede l’interpretazione alla Corte. Ciò fa sorgere naturalmente la questione: quando un rinvio è diretto e incondizionato?

55.

Il termine «diretto» deve essere inteso, a mio avviso, nel senso che il rinvio deve essere specifico e privo di ambiguità, in contrapposizione a un rinvio generale (o generico) ( 50 ). Tale requisito è certamente soddisfatto da disposizioni nazionali che contengono un esplicito rinvio a disposizioni dell’Unione identificate o facilmente identificabili. Non si può tuttavia escludere che i rinvii che non si trovano nella disposizione nazionale stessa, ma in altri documenti – come gli atti che accompagnano la legislazione (o altri lavori preparatori), o nella legislazione di attuazione – possano essere considerati sufficientemente chiari ed esaustivi a tal fine ( 51 ).

56.

A sua volta, il termine «incondizionato» sembra indicare che le disposizioni dell’Unione cui si fa riferimento sono «applicabili senza limiti alla fattispecie di cui alla causa principale» ( 52 ), il che implica che al giudice del rinvio non è consentito scostarsi dall’interpretazione fornita dalla Corte ( 53 ). Siffatta lettura del termine «incondizionato» è confermata dalla giurisprudenza summenzionata, nella quale la Corte ha sottolineato l’importanza che la sua sentenza sia vincolante nel procedimento principale ( 54 ).

57.

Dopo la sentenza Ullens de Schooten, è anche emersa chiaramente l’esistenza di una condizione procedurale da soddisfare affinché la Corte accetti il rinvio in una causa Dzodzi. La competenza della Corte in situazioni in cui il diritto dell’Unione non si applica direttamente ai fatti del caso di specie costituisce un’eccezione e, in quanto tale, deve essere interpretata restrittivamente. Inoltre, una conoscenza chiara e dettagliata da parte della Corte delle leggi nazionali pertinenti è tanto più importante nelle cause Dzodzi, in quanto la pertinenza e la necessità di una risposta da parte della Corte potrebbe non essere subito evidente ( 55 ). Spetta quindi al giudice del rinvio spiegare alla Corte perché, nonostante il fatto che le disposizioni dell’Unione in questione non siano direttamente applicabili nel procedimento principale, la Corte è competente a pronunciarsi. La mancata fornitura delle informazioni rilevanti su questo punto semplicemente impedisce alla Corte di dichiararsi competente ( 56 ).

b) Interesse per l’«uniformità concettuale»

58.

Vi è, a mio avviso, un requisito aggiuntivo che deve essere soddisfatto perché sorga la competenza della Corte nelle cause Dzodzi. Sebbene talune tracce di tale requisito possano essere individuate nella giurisprudenza ( 57 ), devo ammettere che la Corte, a tutt’oggi, non vi ha fatto esplicito riferimento. Tuttavia, questo requisito aggiuntivo sembra derivare dalla logica stessa che sta alla base della giurisprudenza Dzodzi.

59.

La principale giustificazione della competenza della Corte nelle cause Dzodzi – che la Corte ha ripetuto, quasi come un mantra, in tutta la sua giurisprudenza – è che, in situazioni di rinvio, è nell’interesse dell’Unione garantire un’interpretazione uniforme delle pertinenti disposizioni dell’Unione «per evitare future divergenze d’interpretazione». Di conseguenza, tale «uniformità di interpretazione» deve, sulla struttura di tali cause, aver fatto riferimento all’interesse dell’Unione a mantenere l’uniformità interna in seno a uno Stato membro e non, cosa che corrisponderebbe, infatti, il caso di specie più tradizionale del diritto dell’Unione, l’interpretazione uniforme del diritto dell’Unione in tutti i suoi Stati membri. Altrimenti, sarebbe piuttosto difficile capire come esattamente l’uniformità del diritto dell’Unione possa essere minacciata da singoli Stati membri che mantengono unilateralmente a livello nazionale norme diverse al di fuori del campo di applicazione del diritto dell’Unione.

60.

Tuttavia, non riesco a comprendere perché ogni rinvio a disposizioni, principi o concetti del diritto dell’Unione rinvenibili nelle leggi degli Stati membri debba necessariamente suscitare un interesse, da parte dell’Unione, ad avere (ciò che potrebbe essere definito come) «uniformità concettuale».

61.

Comprendo un interesse per l’uniformità concettuale, non solo per l’Unione, ma anche e a maggior ragione per lo Stato membro, nel non avere una situazione dove operano i due insiemi di norme, a livello nazionale, in un contesto funzionalmente e giuridicamente comparabile. È probabile che ciò avvenga quando tali norme perseguono le stesse finalità e riguardano lo stesso oggetto. In tali situazioni – e in esse soltanto – mi sembra sia auspicabile e possibile interpretare i due insiemi di norme in modo coerente.

62.

Infatti, diversi avvocati generali hanno avvertito la Corte del pericolo di interpretare una norma fuori dal suo contesto, o di applicarla a un insieme di fatti diversi da quelli che il legislatore dell’Unione aveva in mente ( 58 ). Non posso fare a meno di condividere l’espressione delle stesse riserve. Tuttavia, laddove il contesto dei due insiemi di norme è essenzialmente analogo, detti rischi sono probabilmente minori.

63.

Ciò detto, potrebbe essere necessario un chiarimento in merito al requisito che la disposizione nazionale e quella dell’Unione riguardino lo stesso oggetto. Infatti, nella misura in cui la prima regola una materia che esula dall’ambito della seconda, tale requisito non può, ovviamente, essere inteso come una richiesta di perfetta identità, ma piuttosto come una richiesta di contiguità, prossimità o stretta somiglianza dei loro oggetti.

64.

È probabile che tale requisito sia soddisfatto se le autorità nazionali decidono di estendere la portata delle norme dell’Unione a situazioni «prossime», al fine di trattare in modo analogo sia le situazioni disciplinate dall’Unione sia quelle puramente interne. Ciò si verifica in particolare quando le norme nazionali pertinenti sono, per dire, «un passo indietro», rispetto al quadro legislativo dell’Unione al quale operano un rinvio, sia che si tratti di ratione materiae, ratione personae, ratione loci o ratione temporis.

65.

Gli esempi tratti dalla giurisprudenza aiutano a comprendere meglio questo concetto. Nella causa Dzodzi, le normative comunitaria e nazionale pertinenti riguardavano manifestamente la stessa materia: l’acquisizione del diritto di soggiorno a favore dei coniugi, rispettivamente, di cittadini dell’Unione e di cittadini belgi. Il giudice belga ha quindi chiesto alla Corte se la sig.ra Dzodzi sarebbe stata titolare di tale diritto, se fosse rientrata ratione personae nell’ambito di applicazione della normativa comunitaria in materia ( 59 ). Nella causa Leur-Bloem, il legislatore neerlandese, nel recepire le disposizioni dell’Unione in materia di fiscalità da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo e agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi, aveva ampliato l’ambito di applicazione di tali norme per includervi anche le fusioni tra due società dei Paesi Bassi ( 60 ). Nelle cause SIG e Solar Electric Martinique, la legislazione francese aveva sostanzialmente reso applicabili le norme dell’Unione in materia di IVA ai dipartimenti e territori d’oltremare, nonostante questi ultimi fossero espressamente esclusi dall’ambito di applicazione delle pertinenti direttive dell’Unione ( 61 ). Nella causa Europamur, le leggi spagnole in materia avevano esteso il campo di applicazione delle norme dell’Unione sulle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori anche alla regolamentazione delle pratiche commerciali tra professionisti ( 62 ). In numerose cause, la Corte ha risposto a questioni riguardanti la corretta interpretazione dell’articolo 101 TFUE, laddove gli accordi o le pratiche in questione non incidevano sul gioco della concorrenza nel mercato interno, ma avrebbero potuto violare le norme nazionali in materia di concorrenza ( 63 ).

66.

Persino in molte cause in cui la Corte può aver valutato generosamente l’esistenza di un rinvio diretto e condizionato – come nelle sentenze Fournier, Ostas o BIAO ( 64 ) – resta il fatto che le norme nazionali in questione avevano realizzato con un semplice «singolo passaggio» l’estensione dell’ambito di applicazione delle norme dell’Unione in materia ( 65 ).

67.

Eppure, quanto più la legislazione nazionale si sposta dal contesto in cui le disposizioni dell’Unione sono state concepite e operano, tanto più diventa esiguo l’interesse dell’Unione (e dello Stato membro interessato) a garantire l’uniformità concettuale, e tanto più debole è il fondamento della competenza giurisdizionale della Corte. La Corte potrebbe forse avvalersi della competenza giurisdizionale per interpretare una norma dell’Unione sul trasporto su strada di suini se uno Stato membro dovesse estendere il campo di applicazione della norma al trasporto su strada di ovini. Ma la Corte si dichiarerebbe poi competente, con riferimento alla sentenza Dzodzi, anche nel caso in cui uno Stato membro estendesse tali norme, o solo alcune disposizioni selezionate di tali norme, sulla base di un rinvio chiaro e incondizionato, ai trasporti interstellari di esseri umani?

68.

Ovviamente, nulla impedisce alle autorità degli Stati membri di ispirarsi alle norme dell’Unione esistenti e di prendere a prestito tali norme – o alcuni principi, concetti e termini in esse utilizzati – per disciplinare altre questioni. Tuttavia, la loro creatività nell’innestare nuovi elementi sulle norme dell’Unione non può comportare, come conseguenza, un’estensione anomala e senza limiti della competenza della Corte.

69.

Quindi, la logica di fondo è quella dei singoli passi. Come regola generale, fare un solo passo al di fuori dell’attuale quadro giuridico dell’Unione, preservando al contempo la logica generale di tale quadro, potrebbe non rappresentare un problema. Tuttavia, una serie di piccoli passi per il legislatore nazionale diventa improvvisamente un balzo alquanto gigantesco per la Corte, che viene poi in sostanza chiamata a giudicare indirettamente una causa che ha ben poco a che fare con lo strumento originario del diritto dell’Unione.

c) Sintesi intermedia

70.

In sintesi, affinché la Corte si dichiari competente in una causa in cui il diritto dell’Unione in questione è applicato dinanzi al giudice nazionale in virtù della sua estensione nazionale al di là dell’ambito di applicazione originariamente concepito, devono essere soddisfatte tre condizioni.

71.

In primo luogo, il diritto nazionale deve contenere un rinvio diretto e incondizionato alla disposizione dell’Unione la cui interpretazione è richiesta dalla Corte, il che rende tale disposizione del diritto dell’Unione non solo chiaramente applicabile al caso di specie, ma significa anche che le indicazioni fornite dalla Corte saranno vincolanti per il giudice nazionale nel caso di specie.

72.

In secondo luogo, le norme dell’Unione estese dal diritto nazionale devono continuare a operare in un contesto funzionalmente e giuridicamente comparabile, in cui permanga l’interesse a preservare l’uniformità concettuale, e all’interno del quale l’interpretazione delle disposizioni del diritto dell’Unione possa ancora essere di aiuto pratico al giudice del rinvio.

73.

In terzo luogo, il giudice del rinvio è tenuto a spiegare chiaramente come i due requisiti di cui sopra siano soddisfatti nel caso di specie, precisando le disposizioni pertinenti del diritto nazionale.

74.

È alla luce di questo quadro che valuterò ora se la Corte è competente nel caso di specie.

3. Sul caso di specie

75.

In primo luogo, a partire dall’ultima condizione procedurale, le informazioni necessarie affinché la Corte si pronunci sulla sua competenza sono chiaramente indicate nell’ordinanza di rinvio. Il giudice del rinvio spiega infatti in modo esauriente perché, a suo avviso, la Corte è competente secondo la giurisprudenza Dzodzi. La Corte non ha quindi necessità di ricorrere a ipotesi relative al diritto nazionale a tale riguardo.

76.

In secondo luogo, è innegabile che il diritto nazionale rilevante, l’AO, opera un rinvio «diretto e incondizionato» alle disposizioni del regolamento 2016/679. Un rinvio esplicito alle disposizioni di tale regolamento è contenuto negli articoli 2a, 32b e 32e dell’AO. Inoltre, l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO stabilisce che i termini «l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria o la difesa nell’ambito dell’esecuzione di azioni civili» devono essere interpretati alla luce dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento 2016/679 ( 66 ). L’intenzione di allineare le due serie di norme traspare anche dalla relazione introduttiva di tale legge. Inoltre, è altresì pacifico che la risposta della Corte sarebbe vincolante per il giudice del rinvio.

77.

In terzo luogo, tuttavia, dubito fortemente che vi sia interesse a garantire l’uniformità concettuale. Mi sembra infatti che le disposizioni dell’Unione e nazionali in questione – se valutate tanto a livello macro (nell’ambito dello strumento giuridico di appartenenza) quanto a livello micro (concentrandosi sulle sole disposizioni specifiche) – non perseguano lo stesso obiettivo né riguardino lo stesso oggetto.

78.

Per cominciare, è appena necessario sottolineare le notevoli differenze, in termini di contenuto e di finalità, dei diversi contesti legislativi di cui le due disposizioni fanno parte. L’articolo 23, paragrafo 1, è una disposizione del regolamento generale sulla protezione dei dati: un corpus di norme che disciplinano il trattamento dei dati personali nel mercato unico ( 67 ). Tale regolamento stabilisce, in primo luogo, limiti all’utilizzo del trattamento dei dati al fine di tutelare i diritti fondamentali degli interessati.

79.

Per contro, l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, è invece una disposizione del codice tributario tedesco, uno strumento giuridico del tutto diverso. Le disposizioni contenute in tale strumento, comprese quelle relative al trattamento dei dati, sono orientate a garantire una tassazione uniforme e legittima e la salvaguardia del gettito fiscale.

80.

Inoltre, le due disposizioni specifiche, prese insieme o isolatamente, si differenziano anche per obiettivi e contenuti.

81.

L’articolo 23 del regolamento 2016/679 stabilisce situazioni in cui l’Unione o gli Stati membri sono autorizzati a introdurre restrizioni ai diritti normalmente concessi agli interessati, garantiti al capo III del regolamento 2016/679 (ad esempio, i diritti accesso, rettifica e cancellazione), e i corrispondenti obblighi imposti ai responsabili del trattamento (come gli obblighi di informazione). Nelle situazioni ivi elencate (da interpretare in modo restrittivo), alcuni interessi pubblici o privati possono limitare il diritto fondamentale delle persone alla protezione dei dati personali ( 68 ).

82.

Per contro, l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO – incluso nella prima parte, quarto capo («Protezione dei dati e segreto fiscale») dell’AO – fa parte di una serie di norme volte a disciplinare i casi in cui l’amministrazione finanziaria può (o non può) divulgare o utilizzare i dati dei soggetti passivi ai quali hanno avuto accesso nell’ambito di procedure fiscali. All’interno di tale dimensione, come dimostra anche il caso in esame, tali norme fungono effettivamente da restrizioni o limitazioni al diritto di accesso del singolo alle informazioni detenute dalle autorità pubbliche.

83.

In particolare, il giudice del rinvio spiega che l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO è stato introdotto per porre rimedio a una situazione di svantaggio dell’amministrazione finanziaria nell’ambito di una procedura di insolvenza. Secondo il diritto tedesco, un’azione revocatoria proposta nell’ambito di una procedura di insolvenza costituisce un’azione di diritto civile che si svolge dinanzi giudici civili. Il diritto fallimentare tedesco pone sullo stesso piano i creditori di diritto privato e i creditori di diritto pubblico, cosicché i crediti di diritto pubblico, come i tributi e i contributi previdenziali, non sono assistiti da prelazione.

84.

Tuttavia, come sottolinea ulteriormente il giudice del rinvio, prima dell’adozione dell’articolo 32c, paragrafi 1, punto 2, dell’AO, l’amministrazione finanziaria si trovava, di fatto, in una posizione peggiore rispetto ai creditori privati. Infatti, grazie a una giurisprudenza nazionale che riguardo alle norme sulla libertà di informazione e l’accesso alle informazioni, era favorevole a tale accesso, i curatori fallimentari potevano chiedere all’amministrazione finanziaria l’accesso alle informazioni fiscali relative al debitore insolvente. Ciò consentiva agli amministratori di decidere in piena cognizione di causa se avviare azioni revocatorie fondate sull’insolvenza nei confronti di detta amministrazione. Tale possibilità non esiste nei confronti dei creditori privati del debitore insolvente, atteso che detti creditori non sono soggetti alle normative sulla libertà d’informazione.

85.

È in tale contesto e prassi legislativa che il legislatore tedesco ha introdotto l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO per evitare che, nelle procedure di insolvenza, l’amministrazione finanziaria si trovi in una posizione più debole rispetto ad altri creditori privati.

86.

Di conseguenza, le finalità delle due disposizioni sono anch’esse diverse: l’articolo 23 del regolamento 2016/679 cerca di raggiungere un giusto equilibrio tra il rispetto dei diritti fondamentali delle persone fisiche interessate dal trattamento dei dati (ad esempio, la vita privata e familiare) e la necessità di salvaguardare altri interessi legittimi in una società democratica (ad esempio, la sicurezza nazionale). Per contro, l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO mira a correggere uno squilibrio percepito nei confronti dell’amministrazione finanziaria quando le azioni revocatorie sono intentate nell’ambito di una procedura di insolvenza.

87.

Inoltre, per raggiungere tale obiettivo, l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO, lungi dall’estendere semplicemente la portata dell’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 a talune situazioni «prossime», «prende in prestito» una disposizione da quest’ultimo e la applica, attraverso un interessante rinvio normativo, a una serie di circostanze alquanto diverse. Tale interpretazione normativa è tuttavia possibile solo perché in altri elementi del quadro legislativo nazionale vi sono già state, in precedenza, diverse altre estensioni dell’ambito di applicazione del regolamento 2016/679, ratione materiae e ratione personae.

88.

In primo luogo, l’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 si applica solo alle persone fisiche, mentre l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO si applica a tutte le persone fisiche e giuridiche. Di fatto, nel caso di specie, l’accesso alle informazioni è richiesto in relazione ai dati fiscali di una persona giuridica. Ovviamente, questo non è un dettaglio di poco conto: il bilanciamento richiesto dall’articolo 23, paragrafo 1, non può necessariamente essere effettuato nello stesso modo nei confronti dei dati riguardanti una persona giuridica, ai quali il regolamento 2016/679 non è neppure applicabile, è pertanto non implica alcuna ponderazione o valutazione legislativa alla luce di una siffatta situazione. L’interesse di una persona fisica a proteggere la propria vita privata e quella della sua famiglia difficilmente può essere paragonato all’interesse di una persona giuridica che potrebbe dover proteggere dati riguardanti, ad esempio, la sua attività, la sua organizzazione o la sua posizione fiscale.

89.

In secondo luogo, come ha spiegato il governo tedesco, secondo il diritto nazionale il curatore fallimentare è un «terzo» ( 69 ) ai fini dell’accesso ai dati del debitore insolvente. Pertanto, non si può ritenere che il curatore fallimentare agisca sulla base di diritti che l’interessato (la società amministrata) gli ha conferito. Tuttavia, l’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 verte sui diritti dei soggetti interessati e sugli obblighi dei responsabili del trattamento. Tale disposizione semplicemente non riguarda l’accesso di terzi alle informazioni in possesso delle autorità pubbliche.

90.

In terzo luogo, l’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679, a differenza dell’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO, non verte sulle restrizioni alle richieste di accesso alle informazioni, detenute dalle autorità pubbliche, basate su regole di trasparenza e apertura. La disposizione dell’Unione stabilisce quali restrizioni possono essere applicate ai diritti degli interessati (compreso il diritto di accesso), cercando di far valere i loro diritti di privacy nei confronti dei titolari e dei responsabili del trattamento dei dati (indipendentemente dalla loro natura privata o pubblica).

91.

Pertanto, l’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 è una disposizione che consente eccezioni specifiche ad alcuni diritti degli interessati, derivanti dal sistema e dalla logica del regolamento generale sulla protezione dei dati. Il suo scopo è l’ottenimento di un giusto equilibrio tra i diritti fondamentali degli individui, ossia persone fisiche, e alcuni interessi primari pubblici e privati.

92.

L’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO opera «un trapianto» di questa disposizione cercando di fornire un certo equilibrio in un contesto legislativo e fattuale completamente diverso. La disposizione nazionale serve infatti a limitare una portata troppo ampia delle norme nazionali sull’accesso alle informazioni in possesso delle autorità pubbliche, privando alcuni (terzi) dell’accesso alle informazioni di carattere fiscale, al fine di (ri)stabilire un equilibrio tra le parti nelle azioni revocatorie nelle procedure di insolvenza.

93.

In conclusione, l’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 e l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO fanno parte di diversi ordinamenti giuridici, perseguono obiettivi diversi e seguono una logica completamente diversa. Non vedo perché dovrebbe esistere un interesse, certamente per l’Unione e forse anche per la Repubblica federale tedesca, a garantire tra di essi l’uniformità concettuale.

94.

Su tale base, raccomando alla Corte di dichiarare, nella fattispecie, la propria incompetenza a rispondere ai quesiti posti.

95.

Tuttavia, poiché è mio dovere assistere (pienamente) la Corte, tratterò brevemente il merito delle questioni sottoposte, con l’importante avvertenza che, per tutto quanto ho appena spiegato, non credo che questa Corte possa fornire al giudice del rinvio alcuna risposta utile ai fini della controversia pendente dinanzi al giudice medesimo.

96.

Metaforicamente parlando, è come se a un arbitro di hockey su ghiaccio venisse chiesto da un giocatore di scacchi tra il pubblico dello stadio del ghiaccio, per decidere se può fare l’arrocco con la regina, se l’eccezione al divieto di liberazione (icing) è applicabile in una situazione in cui entrambe le squadre sono in inferiorità numerica ma solo un portiere lascia la sua linea di porta e si muove in direzione del disco. La risposta plausibile a una simile domanda è che le regole dell’hockey su ghiaccio non precludono una tale mossa, ma sospetto che ciò sia dovuto al fatto che, molto probabilmente, esse non hanno nulla da dire sulla possibilità di arrocco con la regina negli scacchi.

B.   Sul merito delle questioni pregiudiziali

97.

Con le sue tre questioni il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una disposizione nazionale – quale l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO – che limita il diritto di accesso ai dati personali detenuti dall’amministrazione finanziaria qualora tali dati possano essere utilizzati per promuovere azioni revocatorie fondate sull’insolvenza nei confronti di quest’ultima, sia compatibile con l’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679.

98.

Come si evince dalle considerazioni sviluppate in precedenza, la risposta a questa domanda non può che essere affermativa. A causa del diverso contenuto, portata e finalità, il regolamento 2016/679 non ha nulla da dire sulla concreta scelta legislativa operata dalle autorità tedesche di limitare la portata delle norme nazionali sulla libertà di informazione nell’ambito delle procedure di insolvenza al fine di ristabilire l’uguaglianza tra i creditori di diritto pubblico e privato.

99.

In ogni caso, e nonostante la difficoltà logica incontrata nell’«adattare» la disposizione dell’Unione in questione ai fatti di causa, nel prosieguo cercherò di interpretarla come se fosse applicabile in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale.

1. Sulla prima questione

100.

Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento 2016/679 consenta restrizioni introdotte nel perseguimento di un interesse della pubblica amministrazione, in contrasto con la tutela degli interessi dei privati.

101.

Il giudice del rinvio sottolinea che tale possibilità è evidentemente presunta dal legislatore nazionale: l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO rinvia espressamente all’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento 2016/679. Tuttavia, detto giudice rileva che alcuni studiosi sostengono che le situazioni previste all’articolo 23, paragrafo 1, lettere i) e j), consentano restrizioni solo nel perseguimento di un interesse privato e non possano quindi «coprire» il perseguimento di un obiettivo pubblico.

102.

Il Land e i governi ceco e tedesco ritengono che alla prima questione debba essere data una risposta affermativa. Per quanto riguarda la questione (astratta) dell’interpretazione dell’articolo 23, paragrafo 1, lettere i) e j), condivido il loro punto di vista. Non risulta, né dalla formulazione né dall’obiettivo dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento 2016/679, che tale disposizione sia inapplicabile nei confronti della pubblica amministrazione.

103.

La lettera j) si riferisce solo all’«esecuzione delle azioni civili», senza alcuna limitazione per quanto riguarda la natura privata o pubblica delle parti del procedimento. Nulla nel testo dell’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 (o nel considerando 73) esclude dall’ambito di applicazione di tale disposizione le azioni civili alle quali partecipa la pubblica amministrazione, in qualità di attrice o di convenuta.

104.

Inoltre, anche se le azioni civili sono per lo più intentate tra privati, nel perseguimento di un interesse privato, non vedo alcun motivo ragionevole per cui il legislatore dell’Unione avrebbe inteso trattare in modo diverso i procedimenti di diritto civile in cui la pubblica amministrazione è parte in causa. Una regola del genere, che conceda più diritti ad alcuni ricorrenti rispetto ad altri, sarebbe a mio avviso piuttosto strana.

105.

Presumo che la finalità della norma di cui alla lettera j) sia consentire al legislatore dell’Unione o nazionale di decidere che, nell’ambito di un procedimento per l’esecuzione di un’azione civile, le norme specifiche sulla comunicazione degli atti prevalgano, in caso di conflitto, sulle norme generali derivanti dalla protezione dei dati. Infatti, la maggior parte degli ordinamenti giuridici prevede regimi speciali di comunicazione degli atti nel contesto dei procedimenti giudiziari, inclusi quelli civili. Tuttavia, i regimi degli Stati membri variano in modo significativo. Data l’importanza di tali regimi, è possibile ipotizzare che il legislatore dell’Unione abbia la facoltà decidere che la loro applicazione non sia influenzata dalle norme sulla protezione dei dati. È logico che sia così, indipendentemente dal fatto che le parti siano soggetti di diritto privato o pubblico, e indipendentemente dall’interesse privato o pubblico alla base della loro azione o difesa.

106.

La Commissione, tuttavia, sostiene la posizione contraria. Essa afferma che l’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 opera una distinzione di principio tra le eccezioni volte a salvaguardare gli interessi pubblici, elencate alle lettere da a) a h), e quelle volte a salvaguardare gli interessi privati, elencate alle lettere i) e j) di detto articolo. La Commissione spiega che la lettera j) non figurava nel predecessore dell’attuale disposizione (articolo 13 della direttiva 95/46/CE ( 70 )) ed è stata aggiunta solo dal regolamento in vigore. La Commissione sostiene che, essendo stata aggiunta in fondo all’elenco e non nella sua parte iniziale, la lettera j), come la lettera i), deve essere finalizzata alla tutela degli interessi privati.

107.

La Commissione afferma inoltre che l’aggiunta della lettera j) era intesa a codificare le constatazioni della Corte nella sentenza Promusicae ( 71 ), in cui la Corte aveva riscontrato un’apparente lacuna nelle disposizioni corrispondenti all’attuale articolo 23 rispetto alla capacità delle parti (private) di far valere i propri diritti dinanzi ai giudici nazionali. A suo parere, l’emendamento aveva un campo di applicazione molto specifico e ristretto.

108.

Tuttavia, non vedo alcun elemento, né nel testo del regolamento 2016/679 né nei lavori preparatori, a sostegno delle argomentazioni della Commissione. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, in particolare, trovo piuttosto sorprendente che la Commissione non abbia presentato alcun documento di questo tipo alla Corte, né vi abbia almeno fatto riferimento nelle sue osservazioni.

109.

In ogni caso, dai lavori preparatori pubblicamente disponibili sembra che la lettera j) non fosse presente nella proposta di regolamento presentata dalla Commissione nel 2012 ( 72 ). Detta lettera è stata successivamente introdotta dal Consiglio ( 73 ). Tuttavia, nei documenti che ho potuto esaminare non ho trovato alcuna traccia dell’asserita volontà del legislatore dell’Unione di limitare la portata di questo emendamento all’esecuzione delle azioni di esecuzione forzata intentate da parti private ( 74 ). Non vedo neppure indicazioni specifiche secondo cui il legislatore dell’Unione avrebbe strutturato l’elenco delle eventuali restrizioni in funzione della dicotomia dell’interesse pubblico/privato suggerita dalla Commissione.

110.

Non mi convince neppure l’argomentazione secondo cui l’ambito di applicazione della lettera j) dovrebbe essere piuttosto ristretto, in quanto il legislatore dell’Unione ha semplicemente inteso reagire alla sentenza Promusicae.

111.

La lettera j) potrebbe essere stata suggerita dalla sentenza Promusicae. Tuttavia, non comprendo perché, una volta che la problematica è stata «evidenziata» da tale sentenza, il legislatore abbia necessariamente inteso limitare l’emendamento ai fatti specifici di quella controversia. Perché limitare la modifica alle azioni civili intentate da parti private nel perseguimento di un interesse privato? Come sopra accennato nei paragrafi 104 e 105, una siffatta regola risulterebbe alquanto irragionevole.

112.

Non vedo quindi alcun motivo per concludere che l’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento 2016/679 consenta di introdurre restrizioni solo nel caso in cui l’esecuzione delle azioni civili sia perseguita da privati.

2. Sulla seconda questione

113.

Con la seconda questione il giudice del rinvio chiede se l’espressione «esecuzione delle azioni civili» di cui all’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento 2016/679 comprenda anche la difesa dalle azioni civili e, in caso di risposta affermativa, se l’esistenza del credito debba essere già stata accertata.

114.

Il giudice del rinvio spiega che l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO stabilisce in sostanza il principio secondo cui, in una situazione come quella del procedimento principale, gli obblighi di informazione devono essere disciplinati esclusivamente da norme di diritto civile. Tuttavia, tali norme (nazionali) prevedono obblighi di comunicazione degli atti solo nel caso in cui un’azione revocatoria fondata sull’insolvenza sia accertata nel merito e la procedura riguardi solo l’ulteriore determinazione della natura e dell’entità del credito. Di conseguenza, fino a quando non viene stabilito un obbligo di restituzione, il curatore fallimentare può richiedere informazioni solo al debitore insolvente.

115.

Il giudice del rinvio sottolinea che il termine «Durchsetzung» utilizzato nella versione tedesca dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento 2016/679 si riferisce tradizionalmente alla sfera del titolare del diritto ed è utilizzato principalmente quale sinonimo di esecuzione di un credito già accertato nel merito. Tale termine è infatti simile ai termini «enforcement» nella versione inglese del regolamento ed «exécution» nella versione francese del regolamento. Su tale base, il giudice del rinvio si chiede se la difesa dalle azioni civili possa rientrare nel termine «esecuzione». In tale contesto, detto giudice richiama l’attenzione sul fatto che altre disposizioni del regolamento fanno riferimento alle nozioni di «accertamento», «esercizio» o «difesa in sede giudiziaria» di diritti ( 75 ).

116.

Se l’espressione «esecuzione delle azioni civili» comprende la difesa dell’amministrazione finanziaria da tali azioni, ciò solleva l’ulteriore questione – secondo il giudice del rinvio – se i diritti (nella specie pretese revocatorie fondate sull’insolvenza) debbano già essere stati fatti valere, o se sia sufficiente che vengano richieste le informazioni per accertare tali diritti. Invero, il tenore letterale dell’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO si riferisce alla difesa del soggetto giuridico dell’amministrazione finanziaria «da diritti civili fatti valere nei suoi confronti» ( 76 ). Ciò suggerisce che il titolare del diritto abbia già invocato nei confronti della controparte un diritto che sarebbe già stato sostanzialmente concretizzato. Tuttavia, è possibile anche una diversa interpretazione testuale. Inoltre, se la norma nazionale dovesse escludere il diritto di accesso ai dati fiscali solo nelle procedure esecutive, detta norma risulterebbe praticamente svuotata di contenuto: il curatore fallimentare avrebbe già ottenuto in precedenza i dati necessari. Il giudice del rinvio sarebbe quindi incline a leggere l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO nel senso che l’espressione «fatte valere» comprende anche «non ancora fatte valere» o «eventuali».

117.

Anche per quanto riguarda la seconda questione mi trovo d’accordo con le opinioni espresse dal Land e dai governi ceco e tedesco.

118.

Innanzitutto, mi sembra che l’esecuzione delle azioni civili comporti necessariamente una valutazione delle argomentazioni addotte a sostegno dell’esistenza del credito, nonché delle argomentazioni a sostegno dell’inesistenza del credito. Un’interpretazione contraria sarebbe incompatibile con il principio della parità delle armi. Invero, ciò altererebbe l’equilibrio procedurale tra le parti del procedimento giudiziario in favore del ricorrente. Di conseguenza, il concetto di «esecuzione» deve comprendere quello di «difesa» contro l’azione intentata dal ricorrente.

119.

Tale conclusione non è messa in discussione dal fatto che altre disposizioni di detto regolamento utilizzano l’espressione «accertamento, esercizio o difesa» di un diritto in sede giudiziaria. In primo luogo, tali disposizioni possono essere state redatte a più «mani» in tempi diversi [come illustrato, la lettera j) è stata aggiunta dal Consiglio in una fase successiva]. In secondo luogo, queste altre disposizioni non includono il termine «esecuzione» tra quelli utilizzati e non si prestano quindi a un confronto significativo.

120.

Nella stessa logica, sono anch’io del parere che la limitazione prevista all’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento 2016/679 non sia subordinata alla condizione che i diritti civili siano già stati fatti valere.

121.

Certo, il termine utilizzato nel regolamento, nelle varie versioni linguistiche ( 77 ), può essere letto come riferito solo alla fase esecutiva del procedimento: quella in cui si ottiene, se del caso mediante coercizione, l’ottemperanza da parte di un soggetto. Tuttavia, tale termine può anche essere inteso, più in generale, come riferito all’avvio di un procedimento al fine di vedere riconosciuto, e quindi tutelato, il proprio diritto soggettivo.

122.

Credo che sia da preferire quest’ultima interpretazione. Non riesco a comprendere la logica del motivo per cui il legislatore dell’Unione permetterebbe agli Stati membri di mantenere i propri regimi specifici sull’obbligo di comunicazione solo in alcuni tipi o fasi di procedimenti civili e non in altre. Se motivi relativi alla tutela dell’integrità e dell’equità dei procedimenti civili consentono agli Stati membri di introdurre restrizioni ai diritti degli interessati (e agli obblighi dei responsabili del trattamento), tali norme dovrebbero probabilmente applicarsi, in linea di principio, in qualsiasi fase del procedimento ( 78 ).

123.

L’interpretazione opposta sembrerebbe inoltre illogica: perché permettere agli Stati membri di limitare l’accesso durante la fase finale (o di esecuzione) del procedimento ma non prima? Come giustamente sottolineato dal giudice del rinvio, il curatore avrebbe già acquisito le informazioni richieste e la norma che limita l’accesso non avrebbe più senso.

124.

Concludo quindi che l’espressione «esecuzione delle azioni civili», di cui all’articolo 23, paragrafo 1, lettera j), del regolamento 2016/679, comprende anche la difesa dalle azioni civili e non si limita alle situazioni in cui l’esistenza del credito sia già stata fatta valere.

3. Sulla terza questione

125.

Infine, con la terza questione il giudice del rinvio si interroga sostanzialmente sulla compatibilità con l’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del regolamento 2016/679 di una disposizione nazionale, quale l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO, che limita il diritto di accesso ai dati detenuti dall’amministrazione finanziaria quando questi ultimi possono essere utilizzati per intentare azioni revocatorie fondate sull’insolvenza nei confronti di detta amministrazione.

126.

Il giudice del rinvio sottolinea che l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO non fa riferimento alla lettera e), ma alla lettera j) dell’articolo 23, paragrafo 1. Tuttavia, detto giudice non esclude che la lettera e) possa comunque fornire una base valida per la disposizione nazionale. A tale riguardo, il giudice del rinvio si chiede se gli obiettivi perseguiti dall’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO – collocare l’amministrazione finanziaria in una posizione equivalente a quella degli altri creditori nel caso di azioni revocatorie fondate sull’insolvenza al fine di garantire un’imposizione uniforme e di salvaguardare il gettito fiscale – possano essere considerati un «importante obiettivo di interesse pubblico generale» ai sensi della lettera e). Inoltre, il giudice del rinvio chiede anche se la disposizione nazionale controversa appartenga alla «materia tributaria», ai sensi della lettera e), in quanto l’oggetto della controversia su cui è chiamato a pronunciarsi non è disciplinato dal diritto tributario, ma dal diritto fallimentare.

127.

A questo proposito, ma sempre con l’avvertimento di cui sopra ( 79 ), concordo nuovamente con il Land, e con i governi ceco e tedesco, secondo cui a tale questione si dovrebbe rispondere in senso affermativo.

128.

L’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), consente restrizioni volte a salvaguardare «altri importanti obiettivi di interesse pubblico generale (...) di uno Stato membro, in particolare un rilevante interesse economico o finanziario dell’Unione o di uno Stato membro, anche in materia monetaria, di bilancio e tributaria» ( 80 ). Dalla formulazione stessa dell’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del regolamento 2016/679 risulta quindi che gli Stati membri hanno la facoltà di introdurre restrizioni a taluni diritti conferiti da tale regolamento al fine di perseguire interessi economici in materia tributaria.

129.

L’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del regolamento 2016/679 riprende, in sostanza, i termini dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 95/46 ( 81 ), per il quale la Corte ha dichiarato che «[u]na restrizione alla tutela dei dati conferita dalla direttiva 95/46 a fini fiscali è (...) espressamente prevista dalla stessa direttiva» ( 82 ).

130.

È vero, come sottolinea la Commissione, che l’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del regolamento 2016/679 elenca una serie di eccezioni e, in quanto tale, deve essere interpretato restrittivamente. Certamente, come regola generale, questo è l’approccio corretto. Tuttavia, la lettera e) non è di per sé una restrizione, ma solo l’affermazione di un obiettivo legittimo. Per sua stessa natura, un obiettivo legittimo è aperto nella sua formulazione. Ciò è comune alla maggior parte degli interessi elencati all’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 (segnatamente, sicurezza nazionale, difesa e pubblica sicurezza). Il motivo è, chiaramente, che un’interpretazione e un’applicazione restrittiva delle restrizioni consentite dall’articolo 23, paragrafo 1, è garantita dall’obbligo di soddisfare le condizioni stabilite nella prima frase della disposizione: ogni restrizione deve i) essere introdotta mediante misure legislative, ii) rispettare l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e, iii) essere una misura necessaria e proporzionata in una società democratica.

131.

Pertanto, l’unico requisito di cui all’articolo 23, paragrafo 1, lettera e) è che l’interesse che lo Stato membro intende tutelare sia «importante». Ancora una volta, il regolamento non offre alcuna indicazione su ciò che può (o non può) essere considerato «importante».

132.

Personalmente, leggerei «importante» come semplicemente «meritevole di protezione»: un interesse che, nella misura in cui consente di derogare a una serie di disposizioni dell’Unione, è riconosciuto come legittimo anche nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Pertanto, a condizione che l’interesse perseguito vada a vantaggio della collettività (obiettivo di interesse pubblico generale) e che non sia in contrasto con una norma o un principio del diritto dell’Unione a, o comunque iniquo o sleale, tale interesse rientra chiaramente nell’ambito di applicazione della lettera e).

133.

Detto questo, non c’è bisogno di sottolineare che l’obiettivo di garantire una tassazione uniforme e di salvaguardare il gettito fiscale è riconosciuto come obiettivo legittimo nell’ordinamento giuridico dell’Unione ( 83 ). Tuttavia, le specifiche modalità con cui l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO persegue tale obiettivo potrebbero andare oltre lo «spazio di sicurezza» concesso agli Stati membri dall’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del regolamento 2016/679?

134.

Ritengo di no.

135.

Non vedo perché il diritto dell’Unione, e più specificamente l’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del regolamento 2016/679, debba essere interpretato nel senso che osta ad una disposizione nazionale, quale l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO, che mira a porre l’amministrazione finanziaria in una posizione equivalente a quella degli altri creditori nel contesto delle azioni revocatorie fondate sull’insolvenza.

136.

A parte il fatto, ancora una volta, che è piuttosto difficile dedurre una qualsiasi posizione dell’articolo 23, paragrafo 1, del regolamento 2016/679 sulla questione della parità tra creditori di diritto pubblico e privato nelle procedure di insolvenza, vorrei anche sottolineare che, in diversi altri Stati membri, l’amministrazione finanziaria gode di una posizione privilegiata nel contesto delle procedure di insolvenza. È quindi ipotizzabile che il legislatore tedesco possa ritenere che, in tale procedura, l’amministrazione finanziaria non debba essere collocata (almeno) in una situazione peggiore rispetto ai creditori privati.

137.

La Commissione sostiene, tuttavia, che l’istituzione della parità di trattamento tra l’amministrazione finanziaria e i creditori di diritto privato in azioni come quella di cui al procedimento principale non costituisce un interesse pubblico generale, ma un interesse proprio dello Stato che non può essere ponderato con il diritto fondamentale dell’interessato ad avere accesso ai dati raccolti che lo riguardano. Pertanto, la Commissione ritiene che l’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del regolamento 2016/679 debba essere interpretato nel senso che osta ad una disposizione nazionale come l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO.

138.

La logica sottesa alla distinzione tra «interessi pubblici generali» e «interessi propri dello Stato», e i perimetri precisi dei due concetti, francamente mi sfuggono. In mancanza di una spiegazione da parte della Commissione su questo punto, e non trovandone traccia nel testo del regolamento 2016/679, ritengo che le argomentazioni della Commissione siano poco convincenti.

139.

Alla luce di quanto precede, concludo che una disposizione nazionale, quale l’articolo 32c, paragrafo 1, punto 2, dell’AO, che limita il diritto di accesso alle informazioni in possesso dell’amministrazione finanziaria, quando tali informazioni possono poi essere utilizzate per far valere nei confronti di detta amministrazione azioni revocatorie fondate sull’insolvenza, non può essere considerata incompatibile con l’articolo 23, paragrafo 1, lettera e), del regolamento 2016/679, ma in termini pratici soprattutto perché quest’ultima disposizione non esprime nulla su tale specifica questione.

V. Conclusioni

140.

Propongo alla Corte di dichiararsi incompetente a rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania).


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Sentenza del 18 ottobre 1990 (C‑297/88 e C‑197/89, EU:C:1990:360) (in prosieguo: la «sentenza Dzodzi»).

( 3 ) La Corte stessa ha fatto riferimento a questo filone di cause come la «giurisprudenza Dzodzi» nelle sentenze del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punto 27), e del 17 luglio 1997, Giloy (C‑130/95, EU:C:1997:372, punto 23).

( 4 ) GU 2016, L 119, pag. 1.

( 5 ) Legge entrata in vigore il 25 maggio 2018.

( 6 ) Sentenza del 26 settembre 1985 (166/84, EU:C:1985:373).

( 7 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Mancini nella causa Thomasdünger (166/84, EU:C:1985:208, paragrafi 12).

( 8 ) Sentenza del 26 settembre 1985, Thomasdünger (166/84, EC:C:1985:373, punto 11).

( 9 ) V. supra, nota 2.

( 10 ) Conclusioni nelle cause riunite Dzodzi (C‑297/88 e C‑197/89, EU:C:1990:274, paragrafi da 8 a 11). L’avvocato generale ha assunto la stessa posizione nelle conclusioni nella causa Gmurzynska-Bscher (C‑231/89, EU:C:1990:276), presentate lo stesso giorno.

( 11 ) Sentenza Dzodzi, punti da 29 a 43.

( 12 ) V. ad esempio, sentenza del 25 giugno 1992, Federconsorzi (C‑88/91, EU:C:1992:276).

( 13 ) V., in particolare, sentenza del 12 luglio 2012, SC Volksbank România (C‑602/10, EU:C:2012:443).

( 14 ) V. sentenze del 3 dicembre 1998, Schoonbroodt (C‑247/97, EU:C:1998:586), e dell’11 gennaio 2001, Kofisa Italia (C‑1/99, EU:C:2001:10).

( 15 ) V., in particolare, sentenza del 7 novembre 2013, Isbir (C‑522/12, EU:C:2013:711).

( 16 ) V., ex multis, sentenze dell’11 dicembre 2007, ETI e a. (C‑280/06, EU:C:2007:775), e del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160).

( 17 ) V., in tal senso, sentenze del 4 dicembre 2014, FNV Kunsten Informatie en Media (C‑413/13, EU:C:2014:2411, punto 19); del 26 novembre 2015, Maxima Latvija (C‑345/14, EU:C:2015:784, punto 13); e del 21 novembre 2019, Deutsche Post e a. (C‑203/18 e C‑374/18, EU:C:2019:999, punto 39).

( 18 ) Sentenza del 16 marzo 2006, Poseidon Chartering (C‑3/04, EU:C:2006:176, punto [16]).

( 19 ) V., ex multis, sentenza del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punto 32).

( 20 ) V., in tal senso, sentenze del 17 luglio 1997, Giloy (C‑130/95, EU:C:1997:372, punto 28), e del 21 luglio 2016, VM Remonts e a. (C‑542/14, EU:C:2016:578, punto 18).

( 21 ) Sentenza del 7 gennaio 2003 (C‑306/99, EU:C:2003:3, punto 92).

( 22 ) Sentenza del 29 aprile 2004, British American Tobacco (C‑222/01, EU:C:2004:250, punto 41).

( 23 ) Sentenza dell’11 gennaio 2001, Kofisa Italia, (C‑1/99, EU:C:2001:10, punti da 18 a 33).

( 24 ) Sentenza del 3 dicembre 1998, Schoonbroodt (C‑247/97, EU:C:1998:586, punto 15).

( 25 ) Sentenza del 14 gennaio 2016, Ostas celtnieks (C‑234/14, EU:C:2016:6, punti 2021).

( 26 ) Rispettivamente, sentenze del 25 giugno 1992 (C‑88/91, EU:C:1992:276, punti 23), e del 12 novembre 1992 (C‑73/89, EU:C:1992:431, punti 13, 1422).

( 27 ) Sentenze dell’11 gennaio 2001, Kofisa Italia (C‑1/99, EU:C:2001:10, punto 31), e del 16 marzo 2006, Poseidon Chartering (C‑3/04, EU:C:2006:176, punto 18).

( 28 ) Sentenza del 12 novembre 1992 (C‑73/89, EU:C:1992:431, punti 2223).

( 29 ) V., ad esempio, sentenze del 3 dicembre 2015, Quenon K. (C‑338/14, EU:C:2015:795, punti da 15 a 19), del 17 maggio 2017, ERGO Poist’ovňa (C‑48/16, EU:C:2017:377, punti da 26 a 32).

( 30 ) C‑28/95, EU:C:1996:332.

( 31 ) C‑306/99, EU:C:2001:608.

( 32 ) Conclusioni nella sentenza Kofisa Italia (C‑1/99 e C‑226/99, EU:C:2000:498, paragrafi 28 e seguenti).

( 33 ) C‑267/99, EU:C:2001:190, paragrafi da 22 a 35.

( 34 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Tesauro nella causa Kleinwort Benson (C‑346/93, EU:C:1995:17, paragrafi 18 e seguenti).

( 35 ) Sentenza del 28 marzo 1995 (C‑346/93, EU:C:1995:85, punti 20 e seguenti).

( 36 ) Per una panoramica e critica, v. Krommendijk, J., «Wide Open and Unguarded Stand our Gates: The CJEU and References for a Preliminary Ruling in Purely Internal Situations», German Law Journal, vol. 18, 2017, pagg. da 1359 a 1394; e Arena, A., «Le “situazioni puramente interne” nel diritto dell’Unione Europea», Editoriale Scientifica, Napoli, 2019, pagg. da 127 a 143 e da 180 a 200.

( 37 ) V., ad esempio, sentenze del 18 dicembre 2014, Generali-Providencia Bitzosító (C‑470/13, EU:C:2014:2469, punto 25) e del 16 giugno 2016, Rodríguez Sánchez (C‑351/14, EU:C:2016:447, punto 66). V. anche ordinanza del 28 giugno 2016, ItalSempione – Spedizioni Internazionali (C‑450/15, non pubblicata, EU:C:2016:508, punti da 21 a 23).

( 38 ) V., ad esempio, ordinanza del 3 settembre 2015, Orrego Arias (C‑456/14, non pubblicata, EU:C:2015:550, punti 2425).

( 39 ) V., ad esempio, sentenza del 27 giugno 2018, SGI e Valériane (C‑459/17 e C‑460/17, EU:C:2018:501, punto 28).

( 40 ) V. sentenze del 7 gennaio 2003, BIAO (C‑306/99, EU:C:2003:3, punto 92), e del 14 marzo 2013, Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2013:160, punti 1822).

( 41 ) Sentenze del 7 novembre 2013, Isbir (C‑522/12, EU:C:2013:711, punto 29), e del 21 novembre 2019, Deutsche Post e a. (C‑203/18 e C‑374/18, EU:C:2019:999, punto 40).

( 42 ) Sentenza del 15 novembre 2016 (C‑268/15, EU:C:2016:874, punti da 47 a 55, in particolare 53 e 55).

( 43 ) V., ad esempio, sentenze del 7 luglio 2011, Agafiţei e a. (C‑310/10, EU:C:2011:467, punto 43); del 20 marzo 2014, Caixa d’Estalvis i Pensions de Barcelona (C‑139/12, EU:C:2014:174, punti 4647); del 24 ottobre 2019, Belgische Staat (C‑469/18 e C‑470/18, EU:C:2019:895, punti 2425); e del 30 gennaio 2020, I.G.I. (C‑394/18, EU:C:2020:56, punti da 47 a 54). V. altresì ordinanze del 3 luglio 2014, Tudoran (C‑92/14, EU:C:2014:2051, punti 4142), e del 12 maggio 2016, Sahyouni (C‑281/15, EU:C:2016:343, punti da 27 a 31).

( 44 ) Sentenza dell’18 ottobre 2012 (C‑583/10, EU:C:2012:638, punti da 32 a 57).

( 45 ) L’unica decisione che può forse essere letta come successiva a Nolan, anche se con un ragionamento a contrario, è la sentenza del 26 marzo 2020, Kreissparkasse Saarlouis (C‑66/19, EU:C:2020:242, punti 2526).

( 46 ) Sentenza del 13 marzo 2019 (C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 42).

( 47 ) Sentenza del 12 dicembre 2019, G.S e V.G. (Minaccia per l’ordine pubblico) (C‑381/18 e C‑382/18, EU:C:2019:1072, punto 47).

( 48 ) Sentenza del 12 dicembre 2019, G.S e V.G. (Minaccia per l’ordine pubblico) (C‑381/18 e C‑382/18, EU:C:2019:1072, punto 47). Il corsivo è mio.

( 49 ) Credo fermamente, come i miei predecessori citati in queste conclusioni, che la verità sia che la linea della giurisprudenza Dzodzi sia un’anomalia e debba essere abbandonata. A parte il fatto che tale giurisprudenza è altamente discutibile dal punto di vista costituzionale, soprattutto oggi, quando, forse diversamente dal passato, si tende a custodire con maggiore attenzione quanto rientra «nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione», l’approccio Dzodzi è nato anche in un’epoca in cui il numero di rinvii provenienti dai tribunali nazionali era molto più contenuto e la Corte apparentemente non aveva remore a svolgere del lavoro supplementare. Ma sospetto anche che la Corte non sia ancora pronta a fare un simile passo.

( 50 ) V., in tal senso, sentenze del 21 dicembre 2011, Cicala (C‑482/10, EU:C:2011:868, punto 25), e del 7 novembre 2013, Romeo (C‑313/12, EU:C:2013:718, punti da 19 a 38). V. altresì le conclusioni presentate dall’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Allianz Hungária Biztosító e a. (C‑32/11, EU:C:2012:663, paragrafo 29).

( 51 ) V., parimenti, le conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa ETI e a. (C‑280/06, EU:C:2007:404, paragrafo 39), e le conclusioni presentate dall’avvocato generale Pikamäe nelle cause riunite Deutsche Post e a. (C‑203/18 e C‑374/18, EU:C:2019:502, paragrafi 4748).

( 52 ) Sentenza del 21 dicembre 2011, Cicala (C‑482/10, EU:C:2011:868, punto 27).

( 53 ) Ordinanza del 9 settembre 2014, Parva Investisionna Banca e a. (C‑488/13, EU:C:2014:2191, punto 29).

( 54 ) Supra, paragrafo 44 delle presenti conclusioni.

( 55 ) V., in tal senso, Ritter, C., «Purely Internal Situations, Reverse Discrimination, Guimont, Dzodzi and Article 234», European Law Review, 31, 2006, pagg. da 690 a 710, in particolare pag. 709; e Iglesias Sancheuz, S., «Purely Internal Situations and the Limits of EU law: A Consolidated Case Law or a Notion to be Abandoned?», European Constitutional Law Review, 14, 2018, pagg. da 7 a 36, in particolare pag. 31.

( 56 ) V., in tal senso, le conclusioni presentate dall’avvocato generale Wahl nelle cause riunite Venturini e a. (da C‑159/12 a C‑161/12, EU:C:2013:529, paragrafi da 54 a 62).

( 57 ) Infatti, talune decisioni della Corte possono essere interpretate nel senso che suggeriscono che debba essere «dimostrat[a]» l’esistenza di un interesse certo dell’Unione a interpretare le disposizioni in questione per evitare future divergenze d’interpretazione (v., in particolare, sentenza del 7 luglio 2011, Agafiţei e a., C‑310/10, EU:C:2011:467, punto 42); v., altresì, sentenze del 12 luglio 2012, SC Volksbank România (C‑602/10, EU:C:2012:443, punti 8788), e del 19 ottobre 2017, Europamur Alimentación (C‑295/16, EU:C:2017:782, punto 32) o quanto meno «ipotizzabile» [sentenza del 19 ottobre 2017, Solar Electric Martinique (C‑303/16, EU:C:2017:773, punto 29)].

( 58 ) V. supra, paragrafo 41 delle presenti conclusioni.

( 59 ) Sentenza Dzodzi, punti da 29 a 43.

( 60 ) Sentenza del 17 luglio 1997, Leur Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punti 3132).

( 61 ) Rispettivamente, sentenze del 19 ottobre 2017, Solar Electric Martinique (C‑303/16, EU:C:2017:773, punto 29), e del 27 giugno 2018, SGI e Valériane (C‑459/17 e C‑460/17, EU:C:2018:501, punto 28).

( 62 ) Sentenza del 19 ottobre 2017, Europamur Alimentación (C‑295/16, EU:C:2017:782, punto 31).

( 63 ) V., tra l’altro, la giurisprudenza citata supra, alla nota 17.

( 64 ) Rispettivamente, sentenze del 12 novembre 1992, Fournier (C‑73/89, EU:C:1992:431, punto 23) (integrazione di una nozione contenuta nella direttiva dell’Unione europea in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli in un accordo che disciplina la stessa materia); del 7 gennaio 2003, BIAO (C‑306/99, EU:C:2003:3, punti da 68 a 77) (estensione di una regola contabile dell’Unione a determinate situazioni non rientranti nell’ambito di applicazione della pertinente direttiva dell’Unione); nonché del 14 gennaio 2016, Ostas celtnieks (C‑234/14, EU:C:2016:6, punti da 17 a 19) (estensione delle norme dell’Unione in materia di appalti pubblici a un contratto il cui valore di mercato era inferiore alla soglia fissata dalla pertinente direttiva dell’Unione).

( 65 ) Si veda però anche la sentenza del 12 luglio 2012, SC Volksbank România (C‑602/10, EU:C:2012:443, punti da 85 a 93), in cui la Corte ha accettato di interpretare le disposizioni dell’Unione relative ai contratti di credito ai consumatori, nonostante tali disposizioni non fossero applicabili nel procedimento principale ratione temporis e ratione materiae. È comunque innegabile che entrambe gli insiemi di norme si applicano a situazioni molto simili, in quanto riguardano lo stesso oggetto (contratti di credito) e perseguono lo stesso obiettivo (tutela dei consumatori).

( 66 ) Citato integralmente al paragrafo 11 delle presenti conclusioni.

( 67 ) V., in particolare, i considerando 2 e 4 e l’articolo 1 del regolamento 2016/679.

( 68 ) V., in particolare, i considerando 4 e 73 del regolamento 2016/679. Più in generale, v. Feiler, L., Forgó, N., Weig, M., The EU General Protection des information (GDPR) – A Commentary, GLP, 2018, pagg. da 138 a 140; Moore, D., «Comment to Article 23 – Restrictions», in Kuner, C., Bygrave, L., Docksey, C., Drechsler, L. (ed.), The EU General Data Protection Regulation (GDPR) – A Commentary, Oxford University Press, 2020, pagg. 543 e 554; Ehmann, E., Selmayer, M. (ed.), Datenschutz-Grundverordnung: Kommentar. 2a ed., C.H. Beck, 2018, pagg. da 467 a 469.

( 69 ) Per tale nozione nel regolamento 2016/679, v. articolo 4, punto 10.

( 70 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU 1995, L 281, pag. 31).

( 71 ) Sentenza del 29 gennaio 2008 (C‑275/06, EU:C:2008:54, punti da 51 a 55).

( 72 ) Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e la libera circolazione di tali dati (regolamento generale sulla protezione dei dati) COM(2012) 11 definitivo del 25 gennaio 2012 (pagg. 54 e 55).

( 73 ) V., in particolare, documenti del Consiglio 9398/15 del 1o giugno 2015 (pagg. 145 e 146) e 9565/15 dell’11 giugno 2015 (pagg. 107 e 108).

( 74 ) Tralasciando la più ampia la questione strutturale sulla possibile rilevanza di una siffatta presunta volontà se questa non è riflessa in alcun modo né nel testo dell’atto giuridico né nei suoi considerando – v. in dettaglio le mie conclusioni nella causa BV (C‑129/19, EU:C:2020:375, paragrafi da 119 a 123).

( 75 ) Articolo 9, paragrafo 2, lettera f), articolo 17, paragrafo 3, lettera e), articolo 18, paragrafo 1, lettera c), e paragrafo 2, articolo 21, paragrafo 1, seconda frase, e articolo 49, paragrafo 1, lettera e), del regolamento 2016/679.

( 76 ) Il corsivo è mio.

( 77 ) Tale espressione è simile, tra l’altro, alle versioni ceca («vymáhání»), spagnola («ejecución»), finlandese («täytäntöönpano»), italiana («esecuzione»), portoghese («execução») e slovacca («vymáhanie») del regolamento.

( 78 ) V., per analogia, la logica ragionevolmente più ampia abbracciata dalla Corte nell’interpretazione dell’espressione «possono essere divulgate nell’ambito di procedimenti civili o commerciali» per quanto riguarda la questione se detto procedimento debba effettivamente essere già pendente nella sentenza del 13 settembre 2018, Buccioni (C‑594/16, EU:C:2018:717, punto 35).

( 79 ) Paragrafi da 93 a 95 delle presenti conclusioni.

( 80 ) Il corsivo è mio.

( 81 ) Paragrafo 106 delle presenti conclusioni.

( 82 ) Sentenza del 27 settembre 2017, Puškár (C‑73/16, EU:C:2017:725, punto 42).

( 83 ) V., in tal senso, le sentenze del 13 dicembre 2005, Marks & Spencer (C‑446/03, EU:C:2005:763, punto 51), e del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 68).