SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

3 ottobre 2019 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Articolo 3, paragrafo 1 – Valutazione del carattere abusivo delle clausole contrattuali – Articolo 4, paragrafo 2 – Articolo 5 – Obbligo di redazione chiara e comprensibile delle clausole contrattuali – Clausole che impongono il pagamento di costi per servizi non specificati»

Nella causa C‑621/17,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Kúria (Corte suprema, Ungheria), con decisione del 26 ottobre 2017, pervenuta in cancelleria il 3 novembre 2017, nel procedimento

Gyula Kiss

contro

CIB Bank Zrt.,

Emil Kiss,

Gyuláné Kiss,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da A. Prechal (relatrice), presidente di sezione, F. Biltgen, J. Malenovský, C.G. Fernlund e L.S. Rossi, giudici,

avvocato generale: G. Hogan

cancelliere: R. Şereş, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 marzo 2019,

considerate le osservazioni presentate:

per G. Kiss, da I. Ölveczky e K. Czingula, ügyvédek;

per la CIB Bank Zrt., da J. Burai‑Kovács e G. Stanka, ügyvédek;

per il governo ungherese, da M.Z. Fehér, in qualità di agente;

per il governo del Regno Unito, da Z. Lavery, in qualità di agente, assistita da A. Howard, barrister;

per la Commissione europea, da N. Ruiz García e A. Tokár, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 15 maggio 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, dell’articolo 4, paragrafo 2, e dell’articolo 5 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia a titolo principale tra il sig. Gyula Kiss e la CIB Bank Zrt. (in prosieguo: la «CIB») per quanto riguarda una domanda di accertamento del carattere abusivo di talune clausole contenute in un contratto di prestito.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

Il dodicesimo, tredicesimo, sedicesimo, diciannovesimo e ventesimo considerando della direttiva 85/337 sono formulati come segue:

«considerando tuttavia che per le legislazioni nazionali nella loro forma attuale è concepibile solo un’armonizzazione parziale; che, in particolare, sono oggetto della presente direttiva soltanto le clausole non negoziate individualmente; che pertanto occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato, un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle della presente direttiva;

considerando che si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive; che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative nonché principi o disposizioni di convenzioni internazionali di cui gli Stati membri o la Comunità sono parte; che a questo riguardo l’espressione “disposizioni legislative o regolamentari imperative” che figura all’articolo 1, paragrafo 2 comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo;

(…)

considerando che la valutazione, secondo i criteri generali stabiliti, del carattere abusivo di clausole, in particolare nell’ambito di attività professionali a carattere pubblico per la prestazione di servizi collettivi che presuppongono una solidarietà fra utenti, deve essere integrata con uno strumento idoneo ad attuare una valutazione globale dei vari interessi in causa; che si tratta nella fattispecie del requisito di buona fede; che nel valutare la buona fede occorre rivolgere particolare attenzione alla forza delle rispettive posizioni delle parti, al quesito se il consumatore sia stato in qualche modo incoraggiato a dare il suo accordo alla clausola e se i beni o servizi siano stati venduti o forniti su ordine speciale del consumatore; che il professionista può soddisfare il requisito di buona fede trattando in modo leale ed equo con la controparte, di cui deve tenere presenti i legittimi interessi;

(…)

considerando che, ai fini della presente direttiva, la valutazione del carattere abusivo non deve vertere su clausole che illustrano l’oggetto principale del contratto o il rapporto qualità/prezzo della fornitura o della prestazione; che, nella valutazione del carattere abusivo di altre clausole, si può comunque tener conto dell’oggetto principale del contratto e del rapporto qualità/prezzo; (…)

considerando che i contratti devono essere redatti in termini chiari e comprensibili, che il consumatore deve avere la possibilità effettiva di prendere conoscenza di tutte le clausole e che, in caso di dubbio, deve prevalere l’interpretazione più favorevole al consumatore».

4

L’articolo 3, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue:

«Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto.»

5

Ai sensi dell’articolo 4 della suddetta direttiva:

«1.   Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

2.   La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile».

6

L’articolo 5 della direttiva 93/13 recita:

«Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore. (…)».

Diritto ungherese

Il codice civile

7

L’articolo 209/B della Polgári Törvénykönyvről szóló 1959. évi IV. Törvény (legge n. IV del 1959 che istituisce il codice civile) recita:

«1)   Una condizione generale o una clausola di un contratto stipulato tra un consumatore e un operatore economico è abusiva quando, in contrasto con il requisito della buona fede, stabilisce unilateralmente e ingiustificatamente, a danno di una delle parti, i diritti e gli obblighi dei contraenti derivanti dal contratto.

2)   In particolare, si considera che i diritti e gli obblighi sono stati stabiliti unilateralmente e ingiustificatamente a svantaggio di una delle parti quando:

a)

si discostano significativamente dalle norme essenziali applicabili al contratto; o

b)

sono incompatibili con l’oggetto o la funzione del contratto.

3)   Al fine di valutare il carattere abusivo di una clausola, occorre esaminare, da una parte, tutte le circostanze esistenti al momento della stipulazione del contratto che hanno indotto le parti a concluderlo, dall’altra, la natura dei servizi previsti ed i rapporti della clausola controversa con le altre clausole del contratto o con altri contratti.

4)   Possono essere determinate, mediante norma speciale, le clausole dei contratti stipulati con i consumatori aventi carattere abusivo o da considerare abusive fino a prova contraria.

5)   Le disposizioni relative alle clausole contrattuali abusive non sono applicabili alle clausole contrattuali che definiscono la prestazione principale e il corrispettivo, purché tali clausole siano redatte in modo chiaro e comprensibile per entrambe le parti.

6)   Una clausola contrattuale non può considerarsi abusiva qualora sia imposta da una disposizione legislativa o redatta in conformità della stessa».

8

L’articolo 523 dello stesso codice prevede che:

«1.   In forza di un contratto di mutuo, l’impresa finanziaria o un diverso soggetto finanziatore deve porre la somma convenuta a disposizione del mutuatario; il mutuatario deve rimborsare detta somma secondo quanto previsto dal contratto.

2.   In assenza di disposizioni contrarie, se il mutuante è un’impresa finanziaria il mutuatario deve corrispondere gli interessi (mutuo bancario)».

Legge Hpt

9

Conformemente all’articolo 210, paragrafo 2, dell’hitelintézetekről és a pénzügyi vállalkozásokról szóló 1996. évi CXII. törvény (legge n. CXII del 1996 relativa agli istituti di credito e alle imprese finanziarie; in prosieguo: la «legge Hpt»):

«Un contratto di servizi finanziari o un contratto di servizi finanziari complementari deve chiaramente determinare gli interessi, le spese nonché qualsiasi altro importo o condizione, comprese le conseguenze giuridiche di un’esecuzione tardiva nonché le modalità e le conseguenze dell’esecuzione delle obbligazioni secondarie che garantiscono il contratto».

10

L’articolo 212 della legge Hpt così dispone:

«1.   Un contratto di mutuo stipulato con consumatori o individui deve precisare il tasso annuo effettivo globale, espresso in percentuale e calcolato conformemente a disposizioni speciali.

2.   Il costo effettivo del mutuo corrisponde all’importo che il consumatore è tenuto a versare in forza del mutuo e comprende gli interessi, le commissioni di esborso e qualsiasi altra spesa da liquidare in relazione all’utilizzazione del mutuo.

3.   Il tasso annuo effettivo globale è il tasso di interesse interno mediante il quale il costo totale del credito e il capitale che il cliente deve rimborsare sono pari all’importo del credito al netto delle spese pagate dal cliente all’impresa finanziaria al momento dell’esborso».

11

Il punto I.10.2.a dell’allegato no 2 alla legge Hpt definisce come segue l’espressione «concessione di un mutuo in denaro»:

«messa a disposizione, in forza di un contratto di mutuo o di credito stipulato tra il mutuante e il mutuatario, di una somma in denaro che il mutuatario dovrà rimborsare – con interessi o senza – al momento definito dal contratto».

12

Il punto I.10.3 di detto allegato prevede quanto segue:

«L’attività di servizi finanziari consistente nella concessione di crediti e di mutui aventi ad oggetto una somma di denaro comprende le procedure relative alla valutazione della solvibilità, alla stesura dei contratti di credito o di mutuo e alla registrazione dei mutui erogati, nonché al loro monitoraggio, controllo e recupero».

13

Il punto III.7 del suddetto allegato definisce come segue la nozione di «interesse»:

«importo o altra prestazione che il debitore deve corrispondere al mutuante (o depositante) per l’utilizzo e il rischio del deposito assunto o del mutuo ottenuto, espresso quale percentuale dell’importo del deposito o del mutuo e che deve essere pagato (o liquidato) pro rata temporis».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

14

Il 16 settembre 2005, il ricorrente nel procedimento principale ha stipulato con la società dante causa della CIB un contratto di mutuo, per un importo pari a 16451 euro, che comporta un tasso d’interesse annuo del 5,4% e spese di gestione al tasso annuo del 2,4% su una durata di 20 anni. L’interessato era altresì tenuto a versare, in forza delle clausole contrattuali, la somma di 40000 fiorini ungheresi (HUF) (pari a circa 125 euro) a titolo di commissione di esborso. Il tasso annuo effettivo globale (TAEG) era fissato all’8,47%.

15

Il ricorrente nel procedimento principale ha proposto un ricorso dinanzi alla Győri Törvényszék (Corte di Győr, Ungheria) diretto a far constatare il carattere abusivo delle clausole relative alle spese di gestione e alla commissione di esborso, in quanto il contratto non specificava i servizi precisi che ne avrebbero dovuto costituire la contropartita.

16

Nella sua difesa, la CIB ha dedotto che essa non aveva alcun obbligo di specificare i servizi di cui le spese di gestione e la commissione di esborso rappresentavano la contropartita. Essa ha tuttavia precisato che la commissione di esborso faceva riferimento alle attività svolte prima della conclusione del contratto, mentre le spese di gestione costituivano la contropartita dei controlli svolti a seguito della conclusione del suddetto contratto.

17

La Győri Törvényszék (Corte di Győr) ha dichiarato abusiva la clausola relativa alla commissione di esborso, ma ha respinto la domanda riguardante le spese di gestione.

18

Poiché tanto il ricorrente nella causa principale quanto la CIB hanno interposto appello, la Győri Ítélőtábla (Corte d’appello regionale di Győr, Ungheria) ha confermato la sentenza pronunciata in primo grado. Per quanto riguarda la clausola relativa alle spese di gestione, tale giudice ha osservato che quest’ultima era redatta in modo chiaro e comprensibile, atteso che l’importo a carico del mutuatario a tale titolo era chiaramente definito ed era nota la natura della contropartita. Il giudice ha aggiunto che tali spese comprendevano operazioni quali il trattamento, la gestione, la registrazione e il recupero del prestito. Per quanto riguarda, invece, la commissione di esborso, tale giudice ha sottolineato che era difficile determinare i servizi precisi di cui tale commissione rappresentava la contropartita, atteso che il costo di tutti i servizi conosciuti era già compreso delle spese di gestione.

19

Il ricorrente nel procedimento principale proponeva quindi ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio.

20

Il ricorrente nel procedimento principale sostiene che il contratto non menziona chiaramente i servizi che costituiscono la contropartita delle spese di gestione che è tenuto a versare. A suo avviso, la CIB non ha dimostrato nel corso del procedimento che l’elaborazione e la gestione del credito generino a suo carico spese siffatte che non sono remunerate mediante gli interessi.

21

Da parte sua, la CIB contesta il carattere abusivo della clausola relativa alla commissione di esborso, osservando, in particolare, che nessuna norma giuridica in vigore al momento della conclusione del contratto di cui trattasi nel procedimento principale imponeva di specificare i servizi forniti in contropartita di tale commissione.

22

Il giudice del rinvio precisa che, al momento dei fatti della controversia principale, la nozione di «spese di gestione» non era definita nel diritto ungherese e che, in generale, i contratti di mutuo non indicavano neanche i servizi di cui le spese di gestione rappresentavano la contropartita. Gli istituti finanziari avrebbero impiegato due modelli diversi di credito per quanto riguarda tali spese, laddove il primo comportava spese di gestione oltre agli interessi, mentre il secondo non prevedeva spese di gestione, ma fissava un tasso di interesse più elevato diretto a coprire tali spese. Peraltro, anche se la maggior parte degli istituti finanziari fatturavano una commissione di esborso corrisposta con un unico versamento, tale giudice sottolinea che la legge ungherese vigente al momento della conclusione del contratto di cui trattasi nel procedimento principale non definiva la contropartita di tale commissione, la quale era menzionata solo all’articolo 212 della legge Hpt in quanto parte del costo totale del prestito.

23

Il giudice del rinvio nutre dubbi quanto al punto di sapere se le clausole di cui trattasi nel procedimento principale siano redatte in modo chiaro e comprensibile e si interroga sul modo in cui debba essere valutato il carattere eventualmente abusivo di queste ultime. Inoltre, sebbene la giurisprudenza nazionale in materia non sia uniforme, nella maggior parte dei casi sarebbe stato dichiarato che è sufficiente che il costo totale del prestito in questione sia chiaro, senza che sia necessario precisare la natura di tutti i servizi forniti in contropartita.

24

Tuttavia, da tale giurisprudenza non risulterebbe chiaramente quali siano i servizi forniti in contropartita delle spese di gestione, né se tali servizi possano essere distinti dalla prestazione principale, vale a dire la messa a disposizione di una somma in denaro e il rimborso di tale somma, maggiorata degli interessi. In ogni caso, nei limiti in cui esso comprende tanto l’interesse quanto le spese, il TAEG consentirebbe di conoscere il costo totale del mutuo e di paragonare le diverse offerte di mutuo presenti sul mercato.

25

Secondo una giurisprudenza minoritaria, invece, i servizi forniti in contropartita delle spese di gestione devono essere specificati. Infatti, sarebbe utile per il consumatore poter paragonare non solo gli importi del TAEG, ma anche la natura di tali servizi. A tal riguardo, la dissociazione in due elementi della contropartita della prestazione principale – interessi e spese di gestione – non sarebbe giustificata, in quanto, oltretutto, l’importo delle spese di gestione è diverso da quello utilizzato per il calcolo degli interessi. Infine, secondo la stessa giurisprudenza, i servizi forniti a fronte della commissione di esborso dovrebbero essere noti, al fine di poter garantire che tali servizi non siano fatturati due volte.

26

Il giudice del rinvio osserva peraltro che la giurisprudenza dei diversi Stati membri diverge anche per quanto riguarda la natura delle spese di gestione. Infatti, il Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia, Germania) riterrebbe che il carattere abusivo di una clausola relativa alle spese di gestione possa essere oggetto di valutazione, atteso che sono gli interessi, non tali spese, a rappresentare la contropartita della prestazione principale. Una siffatta clausola sarebbe abusiva qualora l’istituto di credito, mediante tali spese di gestione, faccia sopportare al solo consumatore, in particolare, l’onere delle spese di funzionamento sostenute nell’esclusivo interesse di tale istituto. Al contrario, l’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria) considererebbe che una clausola contrattuale che prevede spese di gestione rientra nella prestazione principale, il che osterebbe all’esame del suo carattere abusivo.

27

Per quanto riguarda il procedimento principale, il giudice del rinvio ritiene che la determinazione dei servizi forniti a fronte delle spese di gestione della commissione di esborso possa essere rilevante per determinare se le clausole del contratto concluso dal ricorrente nel procedimento principale siano sufficientemente chiare e comprensibili ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, e dell’articolo 5 della direttiva 93/13. Inoltre, qualora si constatasse che una di tali clausole non è redatta in modo chiaro e comprensibile, si porrebbe il problema se tale constatazione debba condurre ipso facto alla conclusione che tale clausola è abusiva ovvero se, per giungere a tale conclusione, sia altresì necessario, alla luce segnatamente dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, esaminare se, malgrado il requisito della buona fede, la suddetta clausola comporti a danno del consumatore un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti derivanti dal contratto

28

Infine, tale giudice nutre dubbi sul punto se occorra esaminare solo le prestazioni e le loro contropartite riguardanti le suddette clausole, ovvero se si debba tener conto di tutte le clausole del contratto e procedere a un bilanciamento dell’insieme dei vantaggi e svantaggi.

29

Ciò premesso, la Kúria (Corte suprema, Ungheria) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il requisito relativo alla redazione in modo chiaro e comprensibile di cui [all’articolo] 4, paragrafo 2, e [all’articolo] 5 della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che, in un contratto di mutuo stipulato con i consumatori, tale requisito è soddisfatto da una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale, che determina in modo preciso l’importo delle spese, delle commissioni e degli altri oneri (in prosieguo, congiuntamente: le «spese») a carico del consumatore, il relativo metodo di calcolo e il momento in cui devono essere pagati, la quale, tuttavia, non precisa a fronte di quali servizi specifici vengono pagate dette spese; oppure, se esso debba essere interpretato nel senso che il contratto deve altresì indicare quali siano tali servizi specifici. In quest’ultimo caso, se sia sufficiente che il contenuto del servizio reso possa dedursi dalla denominazione della spesa.

2)

Se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che la clausola contrattuale in materia di spese utilizzata nella presente fattispecie, senza che sia possibile individuare inequivocabilmente, in base al contratto, quali siano i servizi specifici resi a fronte di tali spese, determina, a danno del consumatore, malgrado il requisito della buona fede, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

30

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 5 della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che il requisito secondo il quale una clausola contrattuale deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile deve essere inteso in quanto diretto a imporre che clausole contrattuali che non hanno formato oggetto di un negoziato individuale, contenute in un contratto di mutuo stipulato con consumatori, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, le quali stabiliscono precisamente l’importo delle spese di gestione e di una commissione di esborso a carico del consumatore, il loro metodo di calcolo e la loro data di esigibilità, devono altresì specificare tutti i servizi forniti a fronte degli importi in questione.

31

Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile.

32

A tal riguardo, la Corte ha già dichiarato che le clausole contrattuali rientranti nella nozione di «oggetto principale del contratto», ai sensi della suddetta disposizione devono intendersi come quelle che fissano le prestazioni essenziali dello stesso contratto e che, come tali, lo caratterizzano. Per contro, le clausole che rivestono un carattere accessorio rispetto a quelle che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale non possono rientrare nella suddetta nozione (sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punti 3536 nonché giurisprudenza citata).

33

Spetta al giudice del rinvio valutare, dati la natura, l’impianto sistematico e le disposizioni del contratto di mutuo in oggetto, nonché il contesto giuridico e fattuale nel quale lo stesso si colloca, se la clausola in questione costituisca un elemento essenziale della prestazione del debitore consistente nel rimborso dell’importo messo a sua disposizione dal creditore (sentenza del 26 febbraio 2015, Matei, C‑143/13, EU:C:2015:127, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).

34

Peraltro, dai termini dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 risulta che la seconda categoria di clausole, relativamente alle quali non si può procedere ad alcuna valutazione del carattere eventualmente abusivo, ha una portata ridotta, dato che essa verte unicamente sulla congruità tra il prezzo o la remunerazione previsti ed i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, spiegandosi tale esclusione col fatto che non esiste nessun tariffario o criterio giuridico che possa inquadrare ed orientare il controllo di tale congruità (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2015, Matei, C‑143/13, EU:C:2015:127, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

35

Le clausole relative alla contropartita dovuta dal consumatore al mutuante o che incidono sul prezzo effettivo da pagare a quest’ultimo da parte del consumatore non rientrano dunque, in linea di principio, in tale seconda categoria di clausole, salvo per quanto riguarda la questione se l’importo della contropartita o del prezzo quale stabilito nel contratto sia commisurato al servizio fornito in cambio dal mutuante (sentenza del 26 febbraio 2015, Matei, C 143/13, EU:C:2015:127, punto 56). Tuttavia, nel caso di specie, risulta dal fascicolo di cui dispone la Corte, il che deve essere peraltro verificato dal giudice del rinvio, che il carattere asseritamente abusivo delle clausole di cui trattasi nel procedimento principale non riguarda il rapporto tra l’importo delle spese di gestione e della commissione di esborso e i servizi forniti in contropartita.

36

In ogni caso, che le clausole di cui trattasi nel procedimento principale rientrino o meno nell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, lo stesso requisito di trasparenza previsto da tale disposizione è contenuto anche nell’articolo 5 di tale direttiva, ai sensi del quale le clausole contrattuali scritte devono essere «sempre» redatte in modo chiaro e comprensibile. Come la Corte ha già dichiarato, il requisito di trasparenza che figura nella prima disposizione ha la stessa portata di quello previsto dalla seconda (v., in tal senso, sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punti da 67 a 69).

37

Infine, il suddetto requisito di trasparenza deve essere inteso nel senso che impone non solo che la clausola in questione sia intelligibile per il consumatore su un piano grammaticale, ma anche che tale consumatore sia posto in grado di valutare, sulla base di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche che gliene derivano (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2015, Bucura, C‑348/14, non pubblicata, EU:C:2015:447, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).

38

Nel caso di specie, risulta dalla decisione di rinvio che il contratto di mutuo di cui trattasi nel procedimento principale prevedeva l’esistenza di spese di gestione al tasso annuo del 2,4% su una durata di 240 mesi e che tali spese erano calcolate, durante il primo periodo annuale, sull’intero importo del mutuo, durante i periodi seguenti, sull’importo residuo dovuto al primo giorno del periodo annuale considerato. Inoltre, conformemente al contratto, il ricorrente era tenuto a versare la somma di HUF 40000 a titolo di commissione di esborso.

39

Risulta quindi che le clausole in questione permettevano al ricorrente nel procedimento principale di valutare le conseguenze economiche che gliene derivavano.

40

Va ricordato, a tal riguardo, che la Corte ha dichiarato in sostanza, nel caso di una clausola di un contratto di mutuo che prevedeva una «commissione di rischio», che non si poteva considerare che tale contratto esponeva in maniera trasparente i motivi che giustificavano la remunerazione corrispondente a tale commissione, dal momento che era contestato che il mutuante fosse tenuto a fornire una reale controprestazione per ottenere la suddetta commissione (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2015, Matei, C 143/13, EU:C:2015:127, punto 77).

41

Nel caso in esame, per quanto riguarda la clausola relativa alla commissione di esborso, è pacifico che il ricorrente nel procedimento principale contesta l’esistenza di una qualsivoglia reale contropartita a tale commissione. Spetta pertanto al giudice del rinvio verificare se l’interessato sia stato informato dei motivi che giustificano il pagamento di tale commissione.

42

Quanto alla clausola relativa alle spese di gestione, se da un lato il ricorrente nel procedimento principale non sembra concludere nel senso dell’assenza di qualsiasi contropartita a tali spese, esso afferma, dall’altro, che la natura esatta dei diversi servizi corrispondenti non è trasparente.

43

Certo, dalla giurisprudenza menzionata al punto 37 della presente sentenza non discende che il mutuante è tenuto a specificare nel contratto in questione la natura di tutti i servizi forniti in contropartita delle spese previste da una o più clausole contrattuali. Tuttavia, alla luce della protezione che la direttiva 93/13 è intesa ad accordare al consumatore in ragione del fatto che quest’ultimo si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, occorre che la natura dei servizi effettivamente forniti possa essere ragionevolmente compresa o dedotta a partire dal contratto considerato nel suo complesso. Inoltre, il consumatore deve essere in grado di verificare che non vi sia sovrapposizione tra le diverse spese o tra i servizi remunerati da queste ultime.

44

Nel procedimento principale, il giudice del rinvio deve esaminare se questo sia il caso alla luce dell’insieme degli elementi di fatto pertinenti, tra i quali rientrano non solo le clausole contenute nel contratto in questione, ma altresì la pubblicità e l’informazione fornite dal mutuante nell’ambito della negoziazione del contratto (v., in tal senso, sentenza del 26 febbraio 2015, Matei, C 143/13, EU:C:2015:127, punto 75).

45

Occorre quindi rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 5 della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che il requisito secondo il quale una clausola contrattuale deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile non impone che clausole contrattuali che non hanno formato oggetto di un negoziato individuale, contenute in un contratto di mutuo stipulato con consumatori, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, le quali stabiliscono precisamente l’importo delle spese di gestione e di una commissione di esborso a carico del consumatore, il loro metodo di calcolo e la loro data di esigibilità, debbano altresì specificare tutti i servizi forniti a fronte degli importi in questione.

Sulla seconda questione

46

Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, relativa a spese di gestione del mutuo, la quale non consente di individuare inequivocabilmente quali siano i servizi specifici resi a fronte di tali spese, determina a danno del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, malgrado il requisito della buona fede.

47

Occorre anzitutto precisare che, secondo una giurisprudenza consolidata, la competenza della Corte in materia verte sull’interpretazione della nozione di «clausola abusiva», di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, nonché sui criteri che il giudice nazionale può o deve applicare in sede di esame di una clausola contrattuale con riguardo alle disposizioni della direttiva, fermo restando che spetta al suddetto giudice pronunciarsi, in base ai criteri sopra citati, sulla qualificazione concreta di una specifica clausola contrattuale in funzione delle circostanze proprie del caso di specie. Ne risulta che la Corte deve limitarsi a fornire al giudice del rinvio indicazioni che quest’ultimo dovrà prendere in considerazione al fine di valutare il carattere abusivo della clausola di cui trattasi (sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 66 e giurisprudenza ivi citata).

48

Considerata la situazione di inferiorità del consumatore rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, la direttiva 93/13 obbliga gli Stati membri a prevedere un meccanismo che garantisca che qualsiasi clausola contrattuale che non sia stata oggetto di una trattativa individuale possa essere controllata al fine di valutarne l’eventuale natura abusiva. In tale contesto, spetta al giudice nazionale accertare, alla luce dei criteri enunciati agli articoli 3, paragrafo 1, nonché 5 di tale direttiva, se, date le circostanze proprie del caso di specie, una clausola di tal genere soddisfi i requisiti di buona fede, equilibrio e trasparenza posti dalla direttiva medesima (v., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C‑70/17 e C‑179/17, EU:C:2019:250, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

49

Infatti, il carattere trasparente di una clausola contrattuale, come previsto all’articolo 5 della direttiva 93/13, costituisce uno degli elementi da prendere in considerazione nell’ambito dell’esame del carattere abusivo di tale clausola, valutazione che deve essere svolta dal giudice nazionale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva. Nell’ambito di tale esame, tale giudice è tenuto a valutare, alla luce di tutte le circostanze della controversia, in un primo momento, la possibile violazione del requisito della buona fede e, in un secondo momento, la sussistenza di un eventuale significativo squilibrio a danno del consumatore, ai sensi di tale ultima disposizione (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punto 56).

50

Quanto al problema se sia rispettato il requisito della buona fede, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, occorre constatare che, alla luce del sedicesimo considerando della direttiva, a tale fine il giudice nazionale deve verificare se il professionista, qualora avesse trattato in modo leale ed equo con il consumatore, avrebbe potuto ragionevolmente aspettarsi che quest’ultimo aderisse ad una siffatta clausola nell’ambito di un negoziato individuale (sentenza del 14 marzo 2013, Aziz, C‑415/11, EU:C:2013:164, punto 69).

51

Per quanto riguarda l’esame della sussistenza di un eventuale significativo squilibrio, esso non può limitarsi ad una valutazione economica di natura quantitativa che si basi su un confronto tra il valore complessivo dell’operazione oggetto del contratto, da un lato, e i costi posti a carico del consumatore da tale clausola, dall’altro. Infatti, un significativo squilibrio può risultare dal mero fatto di un pregiudizio sufficientemente grave alla situazione giuridica in cui il consumatore, quale parte del contratto di cui trattasi, viene collocato in forza delle disposizioni nazionali applicabili, sia esso in forma di restrizione al contenuto dei diritti che, ai sensi di tali disposizioni, egli trae da tale contratto o di ostacolo all’esercizio dei medesimi o ancora dell’imposizione di un obbligo ulteriore, non previsto dalla disciplina nazionale. (sentenza del 16 gennaio 2014, Constructora Principado, C‑226/12, EU:C:2014:10, punti 2223).

52

Inoltre, conformemente all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 93/13, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o dei servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende.

53

È alla luce di tali criteri che spetta al giudice del rinvio valutare il carattere eventualmente abusivo delle clausole in questione nel procedimento principale.

54

A tal riguardo, come ricordato al punto 43 della presente sentenza, il fatto che i servizi forniti a fronte delle spese di gestione e della commissione di esborso non sono specificati non significa che le corrispondenti clausole non soddisfano il requisito di trasparenza previsto all’articolo 4, paragrafo 2, e all’articolo 5 della direttiva 93/13, purché la natura dei servizi effettivamente forniti possa essere ragionevolmente compresa o dedotta a partire dal contratto considerato nel suo complesso.

55

Quanto al problema se le clausole di cui trattasi nel procedimento principale, malgrado il requisito della buona fede, determinino a danno del consumatore un significativo squilibrio, occorre considerare, come risulta dalla decisione di rinvio, che la riscossione di spese di gestione e di una commissione di esborso è prevista dall’ordinamento interno. A meno che i servizi forniti in contropartita non rientrino ragionevolmente tra le prestazioni svolte nell’ambito della gestione o dell’esborso del prestito, o che gli importi posti a carico del consumatore a titolo di tali spese e di tale commissione siano sproporzionati rispetto all’importo del prestito, non appare, salvo verifica da parte del giudice del rinvio, che tali clausole incidano sfavorevolmente sulla situazione giuridica del consumatore, come prevista dall’ordinamento nazionale. Spetta al giudice del rinvio tener conto, inoltre, dell’effetto delle altre clausole contrattuali al fine di determinare se le suddette clausole determinino a danno del mutuatario un significativo squilibrio.

56

Occorre quindi rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, relativa a spese di gestione di un contratto di mutuo, la quale non consente di individuare inequivocabilmente quali siano i servizi specifici resi a fronte di tali spese, non determina, in linea di principio, a danno del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, malgrado il requisito della buona fede.

Sulle spese

57

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 4, paragrafo 2, e l’articolo 5 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che il requisito secondo il quale una clausola contrattuale deve essere redatta in modo chiaro e comprensibile non impone che clausole contrattuali che non hanno formato oggetto di un negoziato individuale, contenute in un contratto di mutuo stipulato con consumatori, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, le quali stabiliscono precisamente l’importo delle spese di gestione e di una commissione di esborso a carico del consumatore, il loro metodo di calcolo e la loro data di esigibilità, debbano altresì specificare tutti i servizi forniti a fronte degli importi in questione.

 

2)

L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale come quella di cui trattasi nel procedimento principale, relativa a spese di gestione di un contratto di mutuo, la quale non consente di individuare inequivocabilmente quali siano i servizi specifici resi a fronte di tali spese, non determina, in linea di principio, a danno del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, malgrado il requisito della buona fede.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’ungherese.