SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

31 maggio 2018 ( *1 )

«Diritto istituzionale – Parlamento europeo – Regolamento interno del Parlamento – Comportamento che lede la dignità del Parlamento e il corretto svolgimento dei lavori parlamentari – Sanzioni disciplinari di perdita del diritto all’indennità di soggiorno e di sospensione temporanea della partecipazione a tutte le attività del Parlamento – Libertà di espressione – Obbligo di motivazione – Errore di diritto»

Nella causa T‑770/16,

Janusz Korwin-Mikke, residente in Józefów (Polonia), rappresentato da M. Cherchi e A. Daoût, avvocati,

ricorrente,

contro

Parlamento europeo, rappresentato da S. Alonso de León e S. Seyr, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto, da un lato, una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione del presidente del Parlamento del 5 luglio 2016 e della decisione dell’Ufficio di presidenza del Parlamento del 1o agosto 2016, con cui si infligge al ricorrente la sanzione della perdita del diritto all’indennità di soggiorno per un periodo di dieci giorni e della sospensione temporanea dalla partecipazione a tutte le attività del Parlamento per un periodo di cinque giorni consecutivi e, dall’altro lato, una domanda fondata sull’articolo 268 TFUE e diretta ad ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito dal ricorrente in conseguenza delle suddette decisioni,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata),

composto da G. Berardis, presidente, S. Papasavvas (relatore), D. Spielmann, Z. Csehi e O. Spineanu-Matei, giudici,

cancelliere: G. Predonzani, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell’udienza del 29 novembre 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti

1

Il ricorrente, Janusz Korwin-Mikke, è deputato al Parlamento europeo.

2

Nella sessione plenaria del Parlamento del 7 giugno 2016 (in prosieguo: la «sessione plenaria del 7 giugno 2016»), sul tema «Lo stato attuale degli aspetti esterni del programma europeo sulle migrazioni: per un nuovo accordo sulle migrazioni», il ricorrente ha dichiarato in polacco:

«Il problema non deriva dal fatto che gli immigrati ci inondano, ma dal fatto che sono immigrati inadatti. Non vogliono assolutamente lavorare presso la Bayerische Motorwerke né da Aldi. Sono stati promessi loro importanti sussidi ed essi vogliono ricevere degli importanti sussidi. Già una volta [ho fatto riferimento a loro], cosa che mi è costata 3000 euro, ma un diplomatico congolese ha detto che l’Europa era inondata dalla cloaca africana. Allora, possiamo essere fieri del fatto che abbiamo liberato una parte dell’Africa da tale cloaca, ma è nostro dovere far ragionare questa gente. Ebbene, nulla fa ragionare meglio della fame. Occorre smettere di pagare loro i sussidi e semplicemente obbligarli a lavorare. E visto che l’esempio è il migliore insegnante, abbiamo il dovere di dare l’esempio e di smettere di pagare i sussidi anche a noi stessi, perché demoralizziamo anche la nostra stessa gente».

3

A seguito di tali dichiarazioni, la vicepresidente del Parlamento che presiedeva il dibattito, ha invitato il ricorrente a «rivolgersi con rispetto all’Assemblea». Immediatamente dopo, una deputata europea ha sollevato un cartellino blu e ha chiesto al ricorrente di produrre elementi di prova a sostegno delle sue affermazioni.

4

In risposta a tale interrogazione, il ricorrente ha dichiarato:

«(…) anche l’America era sfruttata, e ha avuto uno sviluppo straordinario. Per contro, faccio solo riferimento all’opinione di un diplomatico del Congo – paese che ne sa qualcosa sull’emigrazione africana. Io so una cosa: quando si pagano le persone per non fare nulla, le si demoralizza. Occorre eliminare tutti i sussidi. Le persone devono vivere del lavoro, non dei sussidi».

5

Il ricorrente ha successivamente ripreso la parola per precisare la traduzione in inglese di una parola utilizzata in occasione del suo intervento.

6

L’8 giugno 2016, il ricorrente è stato convocato dal presidente del Parlamento ad un’udienza che si è tenuta il 14 giugno 2016.

7

Con messaggio di posta elettronica del 9 giugno 2016, il ricorrente ha trasmesso alla vicepresidente del Parlamento che aveva presieduto il dibattito in questione un video trasmesso sul sito Internet YouTube nel corso del quale possono essere ascoltate le dichiarazioni rese dal diplomatico congolese al quale egli faceva riferimento nel suo intervento del 7 giugno 2016.

8

Con decisione del 5 luglio 2016 (in prosieguo: la «decisione del presidente»), il presidente del Parlamento ha inflitto al ricorrente le sanzioni della perdita del diritto all’indennità di soggiorno per un periodo di dieci giorni e di sospensione temporanea dalla partecipazione a tutte le attività del Parlamento per un periodo di cinque giorni consecutivi, fatto salvo l’esercizio del diritto di voto in seduta plenaria.

9

Il 18 luglio 2016, il ricorrente ha presentato un ricorso interno dinanzi l’ufficio del Parlamento nei confronti della decisione del presidente, chiedendo l’annullamento delle sanzioni disposte nei suoi confronti, nonché le pubbliche scuse del presidente del Parlamento dinanzi al Parlamento per aver utilizzato termini offensivi nei suoi confronti.

10

Con decisione del 1o agosto 2016 (in prosieguo: la «decisione dell’Ufficio di presidenza»), notificata al ricorrente il 2 settembre 2016, l’Ufficio di presidenza del Parlamento ha confermato le sanzioni inflitte al ricorrente con la decisione del Presidente.

Procedimento

11

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 2 novembre 2016, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

12

Su proposta della Sesta Sezione, il Tribunale ha deciso, in applicazione dell’articolo 28 del suo regolamento di procedura, di rinviare la causa dinanzi ad un collegio giudicante ampliato.

13

Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Sesta Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale del procedimento e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste all’articolo 89 del regolamento di procedura, ha invitato il Parlamento a depositare alcuni documenti e le parti a rispondere ad alcuni quesiti. Le parti hanno ottemperato a tali richieste nei termini stabiliti.

14

Le parti sono state sentite nelle loro difese e nelle loro risposte ai quesiti orali posti dal Tribunale durante l’udienza del 29 novembre 2017.

Conclusioni delle parti

15

Il ricorrente conclude che il Tribunale voglia:

annullare la decisione del presidente;

annullare la decisione dell’Ufficio di presidenza;

ordinare il risarcimento del danno finanziario e morale cagionato dalle decisioni del presidente e dell’ufficio di presidenza, valutato in EUR 13060;

condannare il Parlamento alle spese.

16

Il Parlamento chiede che il Tribunale voglia:

respingere la domanda di annullamento della decisione del presidente in quanto irricevibile;

respingere la domanda di annullamento della decisione dell’Ufficio di presidenza in quanto infondata;

respingere la domanda di risarcimento danni in quanto in parte irricevibile e in parte infondata;

condannare il ricorrente alle spese.

17

Durante l’udienza, il ricorrente ha dichiarato di rinunciare al primo capo della domanda, ritenendo che la decisione del presidente fosse stata sostituita dalla decisione dell’Ufficio di presidenza, che costituisce la posizione definitiva del Parlamento, circostanza di cui è stato preso atto nel verbale d’udienza.

In diritto

Sulle domande di annullamento

18

A sostegno delle sue domande di annullamento, il ricorrente deduce quattro motivi. Il primo motivo verte sulla violazione dell’articolo 166 del regolamento interno del Parlamento europeo (in prosieguo: il «regolamento interno»), della libertà di parola e di espressione e dell’obbligo di motivazione. Il secondo motivo verte su una violazione dell’articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), del principio generale di imparzialità e dell’obbligo di motivazione. Il terzo motivo verte sulla violazione dell’articolo 6 della CEDU, dei diritti della difesa nonché dell’articolo 166, paragrafo 1, del regolamento interno. Il quarto motivo verte sulla violazione dei principi di proporzionalità e ne bis in idem, nonché sulla violazione dell’obbligo di motivazione.

Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 166 del regolamento interno, della libertà di parola e di espressione e dell’obbligo di motivazione

19

Si deve rilevare, a titolo preliminare, che, con il presente motivo, suddiviso in tre parti, il ricorrente fa valere, in sostanza, oltre alla violazione della sua libertà di espressione, la violazione dell’articolo 166 del regolamento interno, in quanto, da un lato, il Parlamento non avrebbe dimostrato che le condizioni richieste per l’applicazione della disposizione in parola fossero soddisfatte e, dall’altro, tale decisione non sarebbe sufficientemente motivata. Ciò è stato, del resto, confermato all’udienza, circostanza di cui si è preso atto.

20

Occorre esaminare, anzitutto, la terza parte, e poi, congiuntamente, la prima e la seconda.

– Sulla terza parte, vertente su una violazione dell’obbligo di motivazione

21

Il ricorrente sostiene che la decisione dell’Ufficio di presidenza non soddisferebbe l’obbligo di motivazione, in quanto, in primo luogo, essa non menziona eventuali ripercussioni nella stampa o reazioni a livello politico; in secondo luogo, essa non dimostra che le sue dichiarazioni avrebbero costituito un incitamento all’odio, e, in terzo luogo, non tiene conto del fatto che dette dichiarazioni erano state inizialmente rese da un diplomatico congolese. Inoltre, la motivazione della decisione in questione non consentirebbe di sapere se egli ha commesso un’infrazione con modalità eccezionalmente gravi all’ordine della seduta plenaria del 7 giugno 2016, né quali sono i principi di cui all’articolo 11 del regolamento interno che sarebbero stati violati.

22

Il Parlamento contesta tali argomenti.

23

Occorre ricordare che l’obbligo di motivazione costituisce una forma sostanziale che va tenuta distinta dalla questione della fondatezza della motivazione, la quale attiene alla legittimità nel merito dell’atto controverso (v. sentenza del 22 maggio 2012, Internationaler Hilfsfonds/Commissione, T‑300/10, UE:T:2012:247, punto 180 e la giurisprudenza citata). La motivazione di una decisione consiste difatti nell’esprimere formalmente i motivi su cui si fonda tale decisione. Siffatta motivazione può essere sufficiente pur esprimendo motivi erronei (v. ordinanza del 12 luglio 2012, Dover/Parlamento, C‑278/11 P, non pubblicata, EU:C:2012:457, punto 36 e giurisprudenza citata).

24

Inoltre, la motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto la questione di decidere se la motivazione di un atto soddisfi gli obblighi di cui all’articolo 296 TFUE deve essere risolta alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto nonché del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (v. sentenza del 22 maggio 2012, Internationaler Hilfsfonds/Commissione, T‑300/10, EU:T:2012:247, punto 181, e giurisprudenza citata).

25

Nel caso di specie, la decisione dell’Ufficio di presidenza si compone di tre sezioni. La prima (punti da 1 a 27 della decisione) espone i fatti che hanno portato all’adozione delle sanzioni di cui trattasi, le precedenti dichiarazioni del ricorrente che sono state già oggetto di sanzioni e la procedura di ricorso interno avviata da quest’ultimo contro la decisione del presidente. La seconda (punti da 28 a 37 della decisione) ha lo scopo di dimostrare che il comportamento del ricorrente costituisce una violazione dell’articolo 11 del regolamento interno. Infine, la terza (punti da 38 a 45 della decisione) contiene una valutazione giuridica dell’articolo 166 del regolamento interno.

26

In particolare, ai punti da 28 a 31 della sua decisione, dopo aver ricordato, da un lato, il tenore letterale dell’articolo 11, paragrafi 2 e 3, del regolamento interno e, dall’altro, la portata del diritto alla libertà di parola e di espressione, l’Ufficio di presidenza del Parlamento ha rilevato che tale diritto poteva essere limitato se violava altri diritti, «in particolare se offende[va] o insulta[va] altre persone» o «per garantire la tutela dei diritti o della reputazione di altre persone». Infatti, al punto 32 di tale decisione, l’Ufficio di presidenza del Parlamento ha dichiarato che il principio di libertà di parola garantito a tutti i deputati del Parlamento non era applicabile al «linguaggio offensivo, ingiurioso o irrispettoso» o «al comportamento lesivo della dignità del Parlamento (…) e che costituisce violazione dei principi e dei valori fondamentali dell’Unione».

27

Per quanto riguarda il comportamento contestato al ricorrente, le critiche mosse dal Parlamento nella decisione dell’Ufficio di presidenza riguardavano «il linguaggio (…) deliberatamente offensivo e provocatorio, non solo contro persone di origine africana, ma anche nei confronti dell’intero Parlamento» (punto 33); «[i]l metodo di citare altre persone (…) usato deliberatamente (…) con l’intenzione di esprimere la propria opinione» (punto 34); la natura «indubbiamente offensiv[a] nei confronti dei destinatari» dell’«idea di costringere con la fame le persone a lavorare» che «lede la dignità del Parlamento (…) e costituisce violazione dei valori e dei principi fondamentali dell’Unione» (punto 36) e, infine, il «comportamento» del ricorrente, che «costitui[va] una violazione dell’art[icolo] 11, [paragrafo] 2[,] del [r]egolamento [interno], poiché mancava di rispetto reciproco, violava i valori e i principi definiti negli atti fondamentali dell’U[nione] e in particolare la dignità del Parlamento» (punto 37).

28

Ne consegue che, fatto salvo l’esame della sua fondatezza che sarà effettuato nell’ambito della prima e della seconda parte del presente motivo, la decisione dell’Ufficio di presidenza contiene una motivazione conforme alle prescrizioni dell’articolo 296 TFUE.

29

Di conseguenza, la terza parte del primo motivo deve essere respinta.

– Sulla prima e sulla seconda parte, relative, rispettivamente, alla violazione della libertà di espressione e ad una violazione dell’articolo 166 del regolamento interno

30

Il ricorrente fa valere, in sostanza, che il Parlamento non avrebbe dimostrato che le condizioni richieste per l’applicazione dell’articolo 166 del regolamento interno fossero soddisfatte e che gli sarebbe quindi stata irrogata una sanzione disciplinare in violazione della libertà di espressione rafforzata di cui godrebbe in qualità di parlamentare, secondo la giurisprudenza costante della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»).

31

A tale proposito, egli sostiene, in primo luogo, che la decisione dell’Ufficio di presidenza è viziata da un errore di diritto, in quanto non terrebbe sufficientemente conto del fatto che le sue dichiarazioni, pronunciate nell’ambito dell’esercizio delle sue funzioni parlamentari all’interno del Parlamento, costituivano elementi del suo discorso politico.

32

In secondo luogo, il ricorrente sostiene che la decisione dell’Ufficio di presidenza non dimostra che le dette dichiarazioni abbiano effettivamente cagionato un’infrazione all’ordine della seduta plenaria del 7 giugno 2016 con modalità eccezionalmente gravi o che abbiano perturbato l’attività politica in violazione dell’articolo 11 del regolamento interno, così da far ritenere che le condizioni sostanziali di cui all’articolo 166 del regolamento fossero effettivamente state soddisfatte.

33

In terzo luogo, il ricorrente afferma che dalla motivazione della decisione dell’Ufficio di presidenza emerge che egli è stato anche sanzionato per dichiarazioni formulate a margine della seduta plenaria del 7 giugno 2016 o nell’ambito dell’esercizio dei suoi diritti della difesa, che non rientravano nell’ambito di applicazione dell’articolo 166 del regolamento interno.

34

Il Parlamento fa valere, in primo luogo, che l’esame della validità della decisione dell’Ufficio di presidenza deve essere effettuato unicamente alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e, in particolare, con riferimento al suo articolo 11, che sancisce la libertà di espressione, e della sua interpretazione da parte del giudice dell’Unione europea. La giurisprudenza della Corte EDU invocata dal ricorrente non sarebbe quindi applicabile al caso di specie, ma potrebbe, tutt’al più, costituire una fonte di ispirazione. Quand’anche lo fosse, non ne risulterebbe che la sua libertà di parola sia illimitata.

35

Il Parlamento sottolinea poi che, nell’esercizio delle competenze previste agli articoli 166 e 167 del regolamento interno, il suo presidente e, se del caso, l’Ufficio di presidenza del Parlamento, dispongono di un certo margine di discrezionalità. Il controllo del Tribunale dovrebbe, pertanto, limitarsi ad esaminare se l’esercizio di un tale potere non sia viziato da un errore manifesto di valutazione o da uno sviamento di potere e se le garanzie procedurali siano state rispettate.

36

Il Parlamento sostiene, infine, che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la decisione dell’Ufficio di presidenza non è stata adottata in violazione della libertà di espressione del medesimo ed è conforme all’articolo 11, paragrafi 2 e 3, e all’articolo 166 del regolamento interno. Inoltre, esso ritiene che l’argomento del ricorrente sia infondato in fatto, in quanto detta decisione avrebbe effettivamente tenuto conto della circostanza che le dichiarazioni di cui trattasi erano state formulate nell’ambito dell’esercizio delle sue funzioni parlamentari.

37

Si deve rilevare, anzitutto, che il Parlamento non può contestare la pertinenza della CEDU e della giurisprudenza della Corte EDU nel caso di specie, ai fini dell’esame della violazione dell’articolo 166 del regolamento interno.

38

Se è vero, infatti, che la CEDU non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione (sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 44, e del 3 settembre 2015, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Commissione, C‑398/13 P, EU:C:2015:535, punto 45) e che, pertanto, l’esame della validità di un atto di diritto derivato dell’Unione deve essere svolto alla luce unicamente dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta (sentenza del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU, EU:C:2016:84, punto 46), occorre ricordare, da un lato, che, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e, dall’altro, che risulta dall’articolo 52, paragrafo 3, della Carta che, laddove essa contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla CEDU. Secondo le spiegazioni relative a tale disposizione, che, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE e dell’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, devono essere prese in considerazione per l’interpretazione della stessa, il significato e la portata dei diritti garantiti sono determinati non solo dal testo della CEDU, ma anche, in particolare, dalla giurisprudenza della Corte EDU (v. sentenza del 30 giugno 2016, Toma e Biroul Executorului Judecătoresc Horațiu-Vasile Cruduleci, C‑205/15, EU:C:2016:499, punto 41 e giurisprudenza citata). Discende, inoltre, da dette spiegazioni che l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta è inteso ad assicurare la necessaria coerenza tra i diritti contenuti nella Carta e i corrispondenti diritti garantiti dalla CEDU, senza che ciò pregiudichi l’autonomia del diritto dell’Unione e della Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza del 28 luglio 2016, JZ, C‑294/16 PPU, EU:C:2016:610, punto 50). Inoltre, si deve rilevare che siffatta equivalenza tra le libertà riconosciute dalla Carta e quelle garantite dalla CEDU è stata stabilita formalmente in merito alla libertà di espressione (sentenza del 4 maggio 2016, Philip Morris Brands e a., C‑547/14, EU:C:2016:325, punto 147).

39

Per quanto riguarda, in particolare, la libertà di espressione, è importante ricordare che essa occupa un posto essenziale nelle società democratiche e che, in quanto tale, costituisce un diritto fondamentale garantito in particolare dall’articolo 11 della Carta, dall’articolo 10 della CEDU e dall’articolo 19 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966 (v., in tal senso, sentenza del 6 settembre 2011, Patriciello, C‑163/10, EU:C:2011:543, punto 31).

40

A siffatto riguardo, occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, fatte salve le disposizioni dell’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU, la libertà di espressione vale non solo per le informazioni o per le idee accolte con favore o considerate come inoffensive o indifferenti, ma anche a tutte quelle che offendono, sconcertano o disturbano lo Stato o una parte qualsiasi della popolazione. Questo è ciò che richiedono il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura, senza i quali non può esistere una società democratica (Corte EDU, 7 dicembre 1976, Handyside c. Regno Unito, CE:ECHR:1976:1207JUD000549372, § 49).

41

Il diritto alla libertà di espressione non costituisce, tuttavia, una prerogativa assoluta e il suo esercizio può essere subordinato, a determinate condizioni, a restrizioni.

42

Orbene, data l’importanza fondamentale della libertà di espressione, le restrizioni a quest’ultima devono essere valutate rigorosamente e, come si evince tanto dall’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU, quanto dall’articolo 52, paragrafo 1, della Carta, le ingerenze nella libertà di espressione sono consentite unicamente qualora esse soddisfino una triplice condizione. In primo luogo, la limitazione in questione deve essere «prevista dalla legge». Altrimenti detto: l’istituzione dell’Unione che adotta misure tali da restringere la libertà di espressione di una persona deve disporre di una base giuridica a detto fine. In secondo luogo, siffatta limitazione deve perseguire una finalità di interesse generale, riconosciuta come tale dall’Unione. In terzo luogo, la limitazione di cui trattasi non deve essere eccessiva, ciò che implica, da un lato, che essa deve essere necessaria e proporzionata allo scopo perseguito, e dall’altro, che la sostanza della libertà in discussione non deve essere intaccata (v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punti 6984, e giurisprudenza ivi citata).

43

È inoltre importante chiarire che un’interferenza o restrizione alla libertà di espressione può essere considerata «prevista dalla legge» solo se la norma è enunciata con sufficiente precisione in modo da essere prevedibile nei suoi effetti e da consentire al destinatario di adeguare la propria condotta (v., in tal senso, Corte EDU, 17 febbraio 2004, Maestri c. Italia, CE:ECHR:2004:0217JUD003974898, § 30).

44

Si deve peraltro rilevare che, in una democrazia, il Parlamento o gli organi equiparabili costituiscono luoghi indispensabili al dibattito politico. L’interferenza nella libertà di espressione esercitata all’interno di tali organismi può pertanto essere giustificata solo per motivi imperativi (Corte EDU, 17 dicembre 2002, A. c. Regno Unito, CE:ECHR:2002:1217JUD003537397, § 79).

45

Inoltre, come costantemente rilevato dalla Corte EDU nella sua giurisprudenza, la libertà di espressione dei parlamentari riveste un’importanza particolare. Infatti, sebbene preziosa per tutti, la libertà di espressione lo è soprattutto per un eletto dal popolo; egli rappresenta i suoi elettori, segnala le loro preoccupazioni e difende i loro interessi. Di conseguenza, le ingerenze nella libertà di espressione di un parlamentare dell’opposizione, come il ricorrente, impongono al giudice di esercitare un controllo particolarmente rigoroso (Corte EDU, 23 aprile 1992, Castells c. Spagna, CE:ECHR:1992:0423JUD001179885, § 42).

46

Occorre quindi considerare che alla libertà di espressione dei parlamentari deve conferirsi una tutela rafforzata alla luce dell’importanza fondamentale che il Parlamento ricopre in una società democratica.

47

Tuttavia, pur sottolineando che qualsiasi intervento in sede parlamentare richiede un alto grado di tutela, la Corte EDU ha recentemente ammesso, visto lo stretto legame esistente tra il carattere autenticamente democratico di un sistema politico e il funzionamento del Parlamento, che l’esercizio della libertà di espressione all’interno del Parlamento deve talvolta cedere il passo ai legittimi interessi costituiti dalla tutela del corretto svolgimento delle attività parlamentari e dalla protezione dei diritti degli altri parlamentari (Corte EDU, 17 maggio 2016, Karácsony e altri c. Hongrie, CE:ECHR:2016:0517JUD 004246113, §§ da 138 a 141).

48

Occorre rilevare che la Corte EDU, da un lato, ha collegato la possibilità per un parlamento di sanzionare il comportamento di uno dei suoi membri alla necessità di garantire il corretto svolgimento delle attività parlamentari e, dall’altro, ha riconosciuto ai parlamenti un’ampia autonomia per disciplinare le modalità, il momento e il luogo scelto dai parlamentari per i loro interventi (il controllo esercitato dalla Corte EDU è pertanto limitato), ma, per contro, una facoltà molto limitata di circoscrivere il contenuto delle dichiarazioni espresse dai parlamentari (il controllo esercitato dalla Corte EDU essendo di conseguenza più rigoroso). Nella sua giurisprudenza, fa riferimento, a tale riguardo, solo a «una certa misura di regolamentazione (…) necessaria per contrastare mezzi di espressione quali gli appelli diretti o indiretti alla violenza» (Corte EDU, 17 maggio 2016, Karácsony e altri c. Ungheria, CE:ECHR:2016:0517JUD004246113, § 140).

49

Ne consegue che, da un lato, un regolamento interno di un parlamento potrebbe prevedere la possibilità di sanzionare le dichiarazioni dei parlamentari solo nell’ipotesi in cui queste pregiudichino il regolare funzionamento del Parlamento o rappresentino un grave pericolo per la società come gli inviti alla violenza o all’odio razziale.

50

D’altra parte, il potere riconosciuto ai parlamenti, di infliggere sanzioni disciplinari al fine di garantire il corretto svolgimento delle loro attività o la tutela di determinati diritti, principi o libertà fondamentali dovrebbe conciliarsi con la necessità di garantire il rispetto della libertà di espressione dei parlamentari.

51

Pertanto, occorre verificare, tenendo conto della particolare importanza che riveste la libertà di espressione dei parlamentari e dei ristretti limiti entro i quali possono essere apportate limitazioni a tale libertà, conformemente ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte EDU in siffatto contesto, se, infliggendo la sanzione disciplinare in questione, il Parlamento abbia osservato le condizioni di cui all’articolo 166, paragrafo 1, del suo regolamento interno.

52

Nel caso di specie, il regolamento interno, nella versione in vigore al momento dei fatti così come applicata dall’Ufficio di presidenza, prevede, al quarto capo del suo titolo VII intitolato «Misure in caso di mancato rispetto delle norme di comportamento applicabili ai deputati», misure di applicazione immediata, che possono essere adottate dal presidente della seduta per ripristinare l’ordine (articolo 165 del regolamento interno) e sanzioni disciplinari che possono essere adottate dal presidente del Parlamento nei confronti di un deputato (articolo 166 del regolamento interno).

53

A norma dell’articolo 166, paragrafo 1, del regolamento interno, che è stato applicato nel presente caso, il presidente del Parlamento adotta una decisione motivata che irroga la sanzione adeguata «[n]el caso di infrazioni all’ordine o di turbativa dell’attività del Parlamento con modalità eccezionalmente gravi, in violazione dei principi definiti all’articolo 11 (…)».

54

Orbene, occorre sottolineare che la formulazione dell’articolo 166, paragrafo 1, del regolamento interno varia a seconda delle versioni linguistiche del regolamento stesso. Pertanto, a differenza della versione in lingua francese di tale disposizione, prodotta dal Parlamento su richiesta del Tribunale e citata al precedente punto 53 e al punto 38 della decisione dell’Ufficio di presidenza, e, in particolare, delle versioni in lingua tedesca, italiana, spagnola, neerlandese e greca, la versione in lingua inglese non menziona la turbativa «all’ordine» o «dell’attività» del Parlamento, ma utilizza l’espressione «disruption of Parliament». Secondo il Parlamento, siffatta espressione non riguarderebbe esclusivamente i lavori parlamentari all’interno dell’emiciclo, ma designerebbe una situazione più ampia rispetto alla seduta, comprendente anche l’effetto sulla sua reputazione o sulla sua dignità in quanto istituzione

55

A tale riguardo, è importante ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte, la necessità di un’interpretazione uniforme di una disposizione di diritto dell’Unione richiede che, in caso di divergenza tra le sue varie versioni linguistiche, la disposizione di cui trattasi sia interpretata in funzione del contesto e della finalità della normativa di cui essa costituisce un elemento (v., in tal senso, sentenza del 23 novembre 2016, Bayer CropScience e Stichting De Bijenstichting, C‑442/14, EU:C:2016:890, punto 84, e giurisprudenza ivi citata).

56

Ne consegue che la tesi sostenuta dal Parlamento in udienza secondo cui ci si dovrebbe basare sulla versione inglese dell’articolo 166 del regolamento interno per interpretare la volontà del legislatore e tutte le versioni linguistiche non può essere accolta.

57

Infatti, tenuto conto del suo contesto e della sua finalità, l’articolo 166 del regolamento interno prevede il caso di una lesione al buon funzionamento del Parlamento o al buon ordine dei lavori parlamentari ed è quindi inteso a sanzionare il comportamento di un deputato che partecipa alla seduta o ai lavori parlamentari che potrebbe seriamente ostacolare il loro svolgimento. Tale interpretazione corrisponde, inoltre, come indicato ai precedenti punti da 48 a 50, all’obiettivo generalmente perseguito da un regolamento disciplinare di un parlamento la cui legittimità è stata riconosciuta dalla Corte EDU (v., in tal senso, Corte EDU, 17 maggio 2016, Karácsony e a. c. Ungheria, CE:ECHR:2016:0517JUD004246113, §§ da 138 a 140).

58

Inoltre, si deve rilevare che la formulazione letterale dell’articolo 166 del regolamento interno tende a considerare sanzionabili due fattispecie, vale a dire nel caso di «infrazioni all’ordine (…)» o di «turbativa dell’attività del Parlamento con modalità eccezionalmente gravi, in violazione dei principi definiti all’articolo 11 (…)».

59

Occorre notare, a tal proposito, che non risulta né dalla decisione dell’Ufficio di presidenza, né dalle memorie delle parti, che le dichiarazioni rese dal ricorrente al Parlamento durante la seduta plenaria del 7 giugno 2016 abbiano creato alcuna infrazione all’ordine della seduta stessa, ai sensi della prima alternativa di cui all’articolo 166, paragrafo 1, del regolamento interno. La decisione in parola si limita al massimo ad indicare che, a seguito del discorso del ricorrente, la vicepresidente del Parlamento che presiedeva i dibattiti l’ha richiamato all’ordine, e poi che una deputata ha utilizzato la procedura – del tutto ordinaria e non indicativa di una qualsiasi infrazione all’ordine della seduta – del «cartellino blu» per chiedere al ricorrente di fornire elementi di prova a sostegno delle sue affermazioni.

60

Inoltre, il Parlamento ha confermato, nelle sue risposte scritte ai quesiti del Tribunale nonché in udienza, che non si è verificata alcuna infrazione all’ordine o turbativa dell’attività con modalità eccezionalmente gravi presso la sua sede, nel corso della seduta plenaria del 7 giugno 2016 e nel contesto dei relativi dibattiti, in seguito all’intervento del ricorrente. Tuttavia, il Parlamento ha affermato che il caso del ricorrente rientrava comunque nella seconda alternativa prevista dall’articolo 166, paragrafo 1, del regolamento interno, vale a dire «la turbativa dell’attività», la quale sarebbe stata conseguenza diretta della violazione dei principi di cui all’articolo 11 del medesimo regolamento, che istituisce norme di comportamento dei deputati. A tale proposito, il Parlamento ha affermato che la «turbativa» che avrebbe giustificato l’imposizione di sanzioni disciplinari nei confronti del ricorrente si era realizzata al di fuori della seduta, mediante una lesione alla sua reputazione e alla sua dignità in quanto istituzione. Il Parlamento ha inoltre precisato che la turbativa dell’attività di cui all’articolo 166, paragrafo 1, del regolamento interno non era limitata ai dibattiti o alle attività al suo interno, ma che occorreva attribuirle un’accezione più ampia, comprendente il Parlamento nel suo insieme, la sua dignità, la sua reputazione e il suo funzionamento.

61

Tale argomentazione non può essere accolta.

62

In primo luogo, occorre difatti constatare che l’affermazione del Parlamento, in udienza, secondo cui la situazione del ricorrente sarebbe rientrata nella seconda alternativa di cui all’articolo 166, paragrafo 1, del regolamento interno, vale a dire la turbativa delle attività del Parlamento, non emerge dalla decisione dell’Ufficio di presidenza, la quale non fornisce chiarimenti sullo specifico motivo di violazione che è stato preso in considerazione nel caso di specie tra quelli contemplati in detta disposizione. Inoltre, al punto 40 di detta decisione, si conclude nel senso di una violazione dei principi di cui all’articolo 11 del suddetto regolamento e, al contempo, per l’esistenza di un’infrazione all’ordine della seduta o dell’attività del Parlamento con modalità eccezionalmente gravi. Orbene, è sufficiente ricordare a tal proposito che è l’articolo 166 del regolamento interno, e non l’articolo 11 di quest’ultimo, a precisare le condizioni nelle quali può essere irrogata una sanzione a un deputato. Infatti, l’articolo 11 di detto regolamento prevede norme di comportamento che richiamano i principi e i valori che devono osservare i deputati nel loro comportamento, limitandosi tuttavia a precisare che il mancato rispetto di siffatte norme può comportare l’applicazione di misure conformemente agli articoli 165, 166 e 167 di detto regolamento. Ne consegue che la conclusione tratta al punto 40 della decisione dell’Ufficio di presidenza, secondo cui una violazione dei principi enunciati all’articolo 11 del menzionato regolamento comporterebbe ipso facto la constatazione di un’«infrazion[e] all’ordine della seduta o delle attività del Parlamento con modalità eccezionalmente gravi» non deriva per nulla da tale disposizione.

63

In secondo luogo, per quanto riguarda la condizione relativa alla turbativa delle attività del Parlamento, occorre rilevare che, sebbene l’articolo 166, paragrafo 1, del regolamento interno operi un rinvio ai principi definiti dall’articolo 11 del medesimo regolamento, un’interpretazione letterale della prima di queste disposizioni condurrebbe a ritenere che la violazione di tali principi non costituisca un motivo di incriminazione autonomo, ma una condizione integrativa, necessaria per poter sanzionare le turbative dell’attività del Parlamento, elemento che il Parlamento ha peraltro confermato in udienza. Ne consegue che una violazione dei principi di cui all’articolo 11 del regolamento interno, quand’anche fosse dimostrata, non può, di per sé, essere sanzionata in quanto tale, ma solo se accompagnata da una turbativa dei lavori del Parlamento, circostanza che il Parlamento ha del pari confermato all’udienza.

64

In terzo luogo, contrariamente a quanto affermato dal Parlamento in udienza, la turbativa dell’attività del Parlamento di cui all’articolo 166, paragrafo 1, del regolamento interno che si sarebbe concretizzata al di fuori dell’emiciclo, a causa delle ripercussioni che avrebbero avuto le dichiarazioni del ricorrente all’esterno del Parlamento, non può essere intesa come una lesione della reputazione o della dignità di quest’ultimo in quanto istituzione. Peraltro, la decisione dell’Ufficio di presidenza non fornisce alcuna indicazione in tal senso e non contiene alcuna valutazione relativa ai criteri che hanno potuto indurre l’Ufficio di presidenza del Parlamento a ravvisare un’asserita lesione della dignità del Parlamento. Inoltre, non avendo definito criteri oggettivi per valutare l’esistenza di una siffatta lesione e tenuto conto del carattere quantomeno vago della nozione di «dignità del Parlamento» o di lesione di quest’ultima, nonché dell’ampio margine discrezionale di cui dispone il Parlamento in materia, una siffatta interpretazione avrebbe l’effetto di limitare la libertà di espressione dei parlamentari in modo arbitrario.

65

Oltretutto, si deve rilevare che l’articolo 11, paragrafo 2, primo comma, del regolamento interno riguarda il «comportamento» dei deputati e prevede che esso debba rispettare determinati obblighi, vale a dire essere improntato al rispetto reciproco, poggiare sui valori e i principi dell’Unione, salvaguardare la dignità del Parlamento e non compromettere il regolare svolgimento dei lavori né la quiete in tutti gli edifici del Parlamento. Analogamente, anche l’articolo 166, paragrafo 2, di detto regolamento riguarda il comportamento dei deputati e prevede che, ai fini della sua valutazione, deve essere preso in considerazione il carattere puntuale, ricorrente o permanente nonché il grado di gravità di quest’ultimo, sulla base dell’allegato XV degli orientamenti generali allegati al detto regolamento. Per contro, le dichiarazioni, le parole o i discorsi non vengono citati e non possono, pertanto, come tali, costituire oggetto di una misura sanzionatoria.

66

Siffatta lettura è corroborata dall’articolo 11, paragrafo 3, primo comma, del regolamento interno, secondo il quale «[l]’applicazione del presente articolo non ostacola in altro modo la vivacità delle discussioni parlamentari né la libertà di parola dei deputati». Inoltre, una siffatta interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 2, di detto regolamento è rafforzata dalla recente modifica del regolamento interno del Parlamento, entrata in vigore il 16 gennaio 2017, volta ad ampliare l’ambito di applicazione delle sanzioni disciplinari. Infatti, il divieto esplicito di ogni linguaggio o comportamento diffamatorio, razzista o xenofobo è stata introdotta nel nuovo articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento interno. Inoltre, il paragrafo 3, primo comma, dell’articolo 11 del regolamento interno, oggi articolo 11, paragrafo 4, primo comma, di detto regolamento, è stato anch’esso modificato e prevede ora che «[l]’applicazione del presente articolo non ostacola in altro modo la vivacità delle discussioni parlamentari né la libertà di parola dei deputati». Ne consegue che, nella presente causa, anche supponendo che le dichiarazioni espresse nell’ambito delle funzioni parlamentari possano essere assimilate a un comportamento e che esse abbiano potuto, in quanto tali, costituire una violazione dei principi di cui all’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento interno, nella versione applicabile all’epoca dei fatti, non potevano essere oggetto di una sanzione in assenza di infrazioni all’ordine o di turbativa delle attività del Parlamento con modalità eccezionalmente gravi.

67

Del resto, la distinzione stabilita al punto 1 dell’allegato XV delle direttive cui rinvia l’articolo 166, paragrafo 2, del regolamento interno, (v. punto 65 supra), tra, da una parte, i comportamenti di natura visiva, che possono essere tollerati in determinate circostanze e, dall’altra, «quelli che comportano una turbativa attiva dell’attività parlamentare», non consente di ritenere che dichiarazioni in sede parlamentare possano essere incluse in quest’ultima categoria di comportamenti e, a questo titolo, essere sanzionate, in mancanza di una constatazione di infrazioni all’ordine o di turbativa dell’attività del Parlamento con modalità eccezionalmente gravi.

68

Tenuto conto di quanto precede, nonché della particolare importanza che riveste la libertà di espressione dei parlamentari e dei rigorosi limiti in cui possono esserle apportate restrizioni, ricordati ai precedenti punti da 37 a 50, gli articoli 11 e 166 del regolamento interno, nella versione applicabile alla presente causa, devono essere interpretati nel senso che non consentono di sanzionare un deputato a causa di dichiarazioni espresse nell’ambito delle sue funzioni parlamentari. Anche supponendo che tali dichiarazioni possano essere assimilate al comportamento del deputato, queste non avrebbero comunque potuto essere oggetto di sanzioni, tenuto conto dell’assenza di infrazioni all’ordine o di turbativa dell’attività del Parlamento con modalità eccezionalmente gravi in violazione dell’articolo 11 del regolamento interno.

69

In tale contesto, e nonostante il carattere particolarmente scioccante dei termini impiegati dal ricorrente nel suo intervento durante la seduta plenaria del 7 giugno 2016, il Parlamento non poteva, nel caso di specie, infliggergli una sanzione disciplinare sulla base dell’articolo 166, paragrafo 1, del suo regolamento interno. Del resto, quest’ultimo non può utilmente sostenere, come ha fatto in udienza, che ciò che ha sanzionato in realtà era il linguaggio utilizzato dal ricorrente nel suo discorso e non il contenuto di quest’ultimo, tenuto conto in particolare della formulazione dei punti 34 e 36 della decisione dell’Ufficio di presidenza, che si riferiscono alla «intenzione [del ricorrente] di esprimere la propria opinione» o l’ «idea» espressa dal ricorrente.

70

Inoltre, anche se si ritenesse che la turbativa dell’attività non fosse limitata in senso stretto all’interno dell’emiciclo, tenuto conto del fatto che il riferimento di cui all’articolo 166, paragrafo 1, del regolamento interno esiste solo con riferimento alla prima alternativa, ossia l’infrazione all’ordine [della seduta] con modalità eccezionalmente gravi, un’accezione ampia come quella sostenuta dal Parlamento non può essere accolta per i motivi esposti al precedente punto 64.

71

Da quanto precede risulta che il primo motivo deve essere accolto, senza che sia necessario pronunciarsi sull’argomentazione del ricorrente secondo cui egli sarebbe stato oggetto di sanzioni anche per delle dichiarazioni fatte a margine della seduta plenaria del 7 giugno 2016 o nell’ambito dell’esercizio dei suoi diritti della difesa.

72

Alla luce di quanto precede, si deve accogliere il secondo capo della domanda e annullare la decisione dell’Ufficio di presidenza, senza che sia necessario esaminare gli altri motivi dedotti a sostegno della domanda di annullamento. In tale contesto, non occorre pronunciarsi sull’adozione della misura di organizzazione del procedimento richiesta dal ricorrente, attinente al secondo motivo.

Sulle conclusioni dirette al risarcimento del danno

73

A sostegno della sua domanda di risarcimento, il ricorrente sostiene che l’annullamento della decisione dell’Ufficio di presidenza non gli consentirà di ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti. Pertanto, egli chiede, da un lato, il risarcimento del danno finanziario derivante dalla perdita del diritto all’indennità di soggiorno pari a EUR 3060. Dall’altro, egli chiede la condanna del Parlamento al pagamento di una somma di EUR 10000 a titolo di risarcimento del danno morale cagionato da una sospensione della sua partecipazione alle attività del Parlamento e dalla lesione alla sua reputazione e alla sua onorabilità.

74

Il Parlamento sostiene che la domanda di risarcimento del danno è irricevibile. Inoltre ritiene che l’annullamento della decisione dell’Ufficio di presidenza costituirebbe un risarcimento adeguato del danno morale del ricorrente. In subordine, ritiene che sia adeguato un importo pari, al massimo, ad EUR 1000.

75

Nel caso di specie, per quanto riguarda, in primo luogo, la domanda di risarcimento del danno finanziario derivante dalla perdita del diritto all’indennità di soggiorno, è sufficiente rilevare che il ricorrente non spiega in che modo, anche in caso di annullamento della decisione dell’Ufficio di presidenza, la circostanza che egli ha già subito la sanzione in parola non gli consentirà di ottenere il risarcimento di tutti i danni, tanto più che si limita a chiedere il versamento dell’importo corrispondente all’indennità che avrebbe percepito in assenza della sanzione inflitta, vale a dire EUR 3060. Orbene, tenuto conto dell’annullamento della decisione dell’Ufficio di presidenza e conformemente all’articolo 266 TFUE, spetterà al Parlamento adottare i provvedimenti che l’esecuzione della presente sentenza comporta, il che implica il rimborso dell’importo corrispondente all’indennità di soggiorno il cui pagamento è stato sospeso

76

Ne consegue che la domanda di risarcimento del danno finanziario dev’essere respinta.

77

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la domanda di risarcimento del danno morale asseritamente subito dal ricorrente, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, l’annullamento di un atto viziato da illegittimità può costituire di per sé un risarcimento adeguato e, in linea di principio, sufficiente di qualsiasi danno morale che tale atto possa aver causato (sentenze del 9 luglio 1987, Hochbaum e Rawes/Commissione, 44/85, 77/85, 294/85 e 295/85, EU:C:1987:348, punto 22, e del 9 novembre 2004, Montalto/Consiglio, T‑116/03, EU:T:2004:325, punto 127), a meno che la parte ricorrente non dimostri di aver subito un danno morale distinto dall’illecito su cui si fonda l’annullamento e che non possa essere integralmente risarcito da tale annullamento (v., sentenza del 25 giugno 2015, EE/Commissione, F‑55/14, EU:F:2015:66, paragrafo 46 e giurisprudenza ivi citata).

78

Nel caso di specie, nulla nel fascicolo consente di accertare che la decisione del presidente e la decisione dell’Ufficio di presidenza sarebbero state adottate in condizioni che avrebbero causato un danno morale al ricorrente indipendentemente dall’atto annullato. Pertanto, la domanda di risarcimento del danno morale deve essere respinta.

Sulle spese

79

Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 3, del regolamento di procedura, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Nel caso di specie, giacché è stata accolta solamente la domanda di annullamento, occorre statuire che ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione ampliata)

dichiara e statuisce:

 

1)

La decisione dell’Ufficio di presidenza del Parlamento europeo del 1o agosto 2016 è annullata.

 

2)

La domanda di risarcimento è respinta.

 

3)

Il sig. Janusz Korwin-Mikke e il Parlamento sopporteranno ciascuno le proprie spese.

 

Berardis

Papasavvas

Spielmann

Csehi

Spineanu-Matei

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 31 maggio 2018.

Firme


( *1 ) Lingua del procedimento: il francese.