SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)

8 luglio 2008 ( *1 )

«Responsabilità extracontrattuale — Funzione pubblica — Indagini dell’OLAF — Caso “Eurostat” — Trasmissione ad autorità giudiziarie nazionali di informazioni relative a fatti penalmente perseguibili — Mancata informazione preventiva dei funzionari interessati e del comitato di vigilanza dell’OLAF — Fuga di notizie nella stampa — Divulgazione da parte dell’OLAF e della Commissione — Violazione del principio della presunzione di innocenza — Danno morale — Nesso di causalità»

Nella causa T-48/05,

Yves Franchet, ex funzionario della Commissione delle Comunità europee, residente a Nizza (Francia),

Daniel Byk, funzionario della Commissione delle Comunità europee, residente a Lussemburgo (Lussemburgo),

rappresentati dagli avv.ti G. Vandersanden e L. Levi,

ricorrenti,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. J.-F. Pasquier, in qualità di agente,

convenuta,

avente ad oggetto una domanda di risarcimento del danno materiale e morale che si afferma essere stato subito a causa dei presunti illeciti commessi dalla Commissione e dall’OLAF nell’ambito delle indagini concernenti il caso «Eurostat»,

IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),

composto dal sig. M. Jaeger, presidente, dalla sig.ra V. Tiili (relatore) e dal sig. T. Tchipev, giudici,

cancelliere: sig.ra K. Pocheć, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 ottobre 2007,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Contesto normativo

1

L’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), istituito dalla decisione della Commissione 28 aprile 1999, 1999/352/CE, CECA, Euratom (GU L 136, pag. 20), è incaricato, in particolare, di effettuare indagini amministrative interne destinate a ricercare i fatti gravi, connessi con l’esercizio di attività professionali, che possono costituire un inadempimento degli obblighi dei funzionari ed agenti delle Comunità perseguibile in sede disciplinare e, se del caso, penale.

2

Il regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 25 maggio 1999, n. 1073, relativo alle indagini svolte dall’OLAF (GU L 136, pag. 1), disciplina i controlli, le verifiche e le azioni svolti dai dipendenti dell’OLAF nell’esercizio delle loro funzioni. Le indagini effettuate dall’OLAF consistono in indagini «esterne», ossia all’esterno delle istituzioni della Comunità, e in indagini «interne», ossia all’interno di tali istituzioni.

3

Il decimo ‘considerando’ del regolamento n. 1073/1999 enuncia:

«considerando che tali indagini devono essere condotte in base al trattato, e in particolare al protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità, nel rispetto dello statuto dei funzionari delle Comunità europee e del regime applicabile agli altri agenti (…) nonché nel pieno rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in particolare del principio dell’equità, del diritto della persona coinvolta a esprimersi sui fatti che la riguardano e del diritto a che la conclusione dell’indagine si fondi unicamente su elementi aventi valore probatorio; che a tal fine le istituzioni, organi e organismi dovranno determinare le condizioni e le modalità secondo le quali devono svolgersi le indagini interne; che di conseguenza occorrerà modificare lo statuto al fine di definire i diritti e gli obblighi dei funzionari e degli altri agenti nell’ambito delle indagini interne».

4

Il tredicesimo ‘considerando’ del regolamento n. 1073/1999 così dispone:

«considerando che spetta alle autorità competenti nazionali, o eventualmente alle istituzioni, organi o organismi decidere, in base alla relazione redatta dall’[OLAF], sui provvedimenti da prendere a seguito delle indagini; che occorre tuttavia prevedere l’obbligo per il direttore dell’[OLAF] di trasmettere direttamente alle autorità giudiziarie dello Stato membro interessato le informazioni raccolte dall’[OLAF] in occasione delle indagini interne su fatti penalmente perseguibili».

5

L’art. 4 del regolamento n. 1073/1999 è così formulato:

«Indagini interne

1.   Nei settori di cui all’articolo 1, l’[OLAF] svolge le indagini amministrative all’interno delle istituzioni, degli organi e degli organismi (…)

Tali indagini interne sono condotte nel rispetto delle norme dei trattati, in particolare del protocollo sui privilegi e sulle immunità, nonché dello statuto, alle condizioni e secondo le modalità stabilite dal presente regolamento nonché dalle decisioni adottate da ciascuna istituzione, organo od organismo. Le istituzioni si concertano sulla disciplina da istituire con tali decisioni.

(…)

5.   Qualora dalle indagini emerga la possibilità di un coinvolgimento individuale di un membro, di un dirigente, di un funzionario od agente, l’istituzione, l’organo o l’organismo di appartenenza ne è informato.

Nei casi che richiedano che sia mantenuto il segreto assoluto ai fini dell’indagine o che esigano il ricorso a mezzi d’investigazione di competenza di un’autorità giudiziaria nazionale, questa informazione può essere differita.

(…)».

6

Ai sensi dell’art. 6, n. 5, del regolamento n. 1073/1999:

«Le indagini si svolgono in modo continuativo per un periodo di tempo che deve essere proporzionato alle circostanze ed alla complessità del caso».

7

L’art. 8 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Riservatezza e tutela dei dati», è così formulato:

«1.   Le informazioni ottenute in qualsiasi forma nell’ambito di indagini esterne sono protette dalle disposizioni relative a tali inchieste.

2.   Le informazioni comunicate o ottenute in qualsiasi forma nell’ambito di indagini interne sono coperte dal segreto d’Ufficio e godono della tutela concessa dalla normativa vigente per le istituzioni delle Comunità europee.

In particolare, tali informazioni possono essere comunicate solo a coloro che, nelle istituzioni delle Comunità europee, ovvero degli Stati membri, sono tenuti a conoscerle in virtù delle loro funzioni, e non possono essere utilizzate per fini diversi dalla lotta contro le frodi, contro la corruzione e contro ogni altra attività illecita.

3.   Il direttore provvede affinché gli agenti dell’[OLAF] e tutti coloro che agiscono sotto la sua autorità rispettino le disposizioni comunitarie e nazionali sulla tutela dei dati personali, in particolare quelle di cui alla direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché alla libera circolazione di tali dati [GU L 281, pag. 31].

4.   Il direttore dell’[OLAF] e i membri del comitato di vigilanza di cui all’articolo 11 vegliano sull’applicazione delle disposizioni del presente articolo nonché degli articoli 286 [CE] e 287 [CE]».

8

L’art. 9 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Relazione sulle indagini e provvedimenti conseguenti alle indagini», dispone:

«1.   Al termine di un’indagine, l’[OLAF] redige sotto l’autorità del direttore una relazione che contiene in particolare i fatti accertati, l’eventuale indicazione del danno finanziario e le conclusioni dell’indagine, incluse le raccomandazioni del direttore dell’[OLAF] sui provvedimenti da prendere.

2.   Queste relazioni sono redatte tenendo conto delle prescrizioni di procedura previste nella legislazione nazionale dello Stato membro interessato. Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali. Le relazioni sono soggette alle medesime regole di valutazione riguardanti le relazioni amministrative nazionali e hanno valore identico ad esse.

3.   La relazione redatta in seguito a un’indagine esterna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi alle autorità competenti degli Stati membri interessati in base alla regolamentazione relativa alle indagini esterne.

4.   La relazione redatta in seguito a un’indagine interna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi all’istituzione, all’organo o all’organismo interessato. Le istituzioni, gli organi e gli organismi danno alle indagini interne il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano disciplinare e giudiziario, e ne informano il direttore dell’[OLAF] entro la scadenza fissata da quest’ultimo nelle conclusioni della sua relazione».

9

L’art. 10 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Trasmissione di informazioni da parte dell’[OLAF]», così recita:

«1.   Fatti salvi gli articoli 8, 9 e 11 del presente regolamento e le disposizioni del regolamento (Euratom, CE) n. 2185/96, l’[OLAF] può trasmettere in qualsiasi momento alle autorità competenti degli Stati membri interessati le informazioni ottenute nel corso delle indagini esterne.

2.   Fatti salvi gli articoli 8, 9 e 11 del presente regolamento, il direttore dell’[OLAF] trasmette alle autorità giudiziarie dello Stato membro interessato le informazioni raccolte dall’[OLAF] in occasione di indagini interne su fatti penalmente perseguibili. Fatte salve le esigenze di indagine, ne informa simultaneamente lo Stato membro interessato.

3.   Fatti salvi gli articoli 8 e 9 del presente regolamento, l’[OLAF] può trasmettere in qualsiasi momento all’istituzione, all’organo o all’organismo interessato le informazioni ottenute nel corso delle indagini interne».

10

L’art. 11 del regolamento n. 1073/1999, intitolato «Comitato di vigilanza», dispone quanto segue:

«1.   Il comitato di vigilanza, controllando regolarmente l’esecuzione della funzione di indagine, garantisce l’indipendenza dell’[OLAF].

Su richiesta del direttore, o di propria iniziativa, il comitato sottopone al direttore dei pareri in merito alle attività dell’[OLAF], senza tuttavia interferire nello svolgimento delle indagini in corso.

(…)

7.   Il direttore trasmette ogni anno al comitato di vigilanza il programma delle attività dell’[OLAF] di cui all’articolo 1 del presente regolamento. Il direttore tiene regolarmente informato il comitato delle attività dell’[OLAF], delle sue indagini, dei loro risultati e dei provvedimenti conseguenti alle indagini. Nei casi in cui un’indagine sia in corso da più di nove mesi il direttore informa il comitato di vigilanza delle ragioni che non permettono ancora di concludere l’indagine e del prevedibile periodo di tempo necessario per concluderla. Il direttore informa il comitato dei casi in cui l’istituzione, l’organo o l’organismo interessato non hanno dato seguito alle raccomandazioni che egli ha formulato. Il direttore informa il comitato dei casi che rendono necessaria la trasmissione di informazioni alle autorità giudiziarie di uno Stato membro.

(…)».

11

L’art. 12, n. 3, secondo e terzo comma, del regolamento n. 1073/1999 così recita:

«Il direttore riferisce regolarmente al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Commissione e alla Corte dei conti sui risultati delle indagini svolte dall’[OLAF], nel rispetto della riservatezza delle medesime nonché dei diritti legittimi delle persone interessate e, ove opportuno, delle norme nazionali in materia di procedimenti giudiziari.

Queste istituzioni assicurano il rispetto della riservatezza delle indagini svolte dall’[OLAF], dei diritti legittimi delle persone interessate e, in caso di procedimenti giudiziari pendenti, tutte le norme nazionali ad essi relative».

12

L’art. 4 della decisione della Commissione 2 giugno 1999, 1999/396/CE, CECA, Euratom, riguardante le condizioni e le modalità delle indagini interne in materia di lotta contro le frodi, la corruzione e ogni altra attività illecita lesiva degli interessi finanziari della Comunità (GU L 149, pag. 57), definisce le modalità di informazione dell’interessato nei termini seguenti:

«Qualora si manifesti la possibilità di coinvolgimento personale di un membro, di un funzionario o di un agente della Commissione, l’interessato viene prontamente informato, se ciò non rischia di pregiudicare l’indagine. In ogni caso non si può trarre alcuna conclusione, al termine dell’indagine, riguardante personalmente un membro, un funzionario o un agente della Commissione senza aver dato modo all’interessato di esprimersi su tutti i fatti che lo concernono.

Nei casi in cui ai fini dell’indagine sia necessaria la massima segretezza e si debba ricorrere ai mezzi investigativi di competenza di un’autorità giudiziaria nazionale, l’esecuzione dell’obbligo di invitare il membro, il funzionario o l’agente della Commissione ad esprimersi, può essere differita con il consenso del presidente della Commissione o del segretario generale della medesima».

13

Ai sensi dell’art. 2 del regolamento interno del comitato di vigilanza dell’OLAF (GU 2000, L 41, pag. 12), intitolato «Rispetto della legalità»:

«Il comitato vigila acciocché le attività dell’OLAF siano espletate nel pieno rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché in conformità dei trattati e del diritto derivato, in particolare del protocollo sui privilegi e le immunità e dello statuto dei funzionari».

14

Ai sensi dell’art. 14, nn. 1-3, del regolamento interno del comitato di vigilanza dell’OLAF:

«1.   Le riunioni del comitato di [vigilanza] non sono pubbliche. Le sue delibere come pure i documenti di qualsiasi natura sulla cui base le delibere stesse sono state adottate, sono confidenziali, a meno che il comitato di [vigilanza] non decida altrimenti.

2.   I documenti e le informazioni presentate dal direttore dell’OLAF sono soggetti alle disposizioni di cui all’articolo 287 del trattato CE sulla protezione della segretezza.

3.   Il comitato di [vigilanza] delibera sulla base di documenti e di progetti di parere, di relazione o di decisione».

15

L’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, dispone, per quanto riguarda il diritto a un giusto processo:

«(…)

2.   Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

3.   In particolare, ogni accusato ha diritto di:

a)

essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;

b)

disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

(…)».

16

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata il 7 dicembre 2000 a Nizza (GU 2000, C 364, pag. 1; in prosieguo: la «Carta»), prevede quanto segue:

«Articolo 41

Diritto ad una buona amministrazione

1.   Ogni individuo ha diritto a che le questioni che lo riguardano siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione.

2.   Tale diritto comprende in particolare:

il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio;

il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale;

l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

3.   Ogni individuo ha diritto al risarcimento da parte della Comunità dei danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni conformemente ai principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati membri.

(…)

Articolo 48

Presunzione di innocenza e diritti della difesa

1.   Ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata.

2.   Il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato».

Fatti all’origine della controversia

17

I ricorrenti, sigg. Yves Franchet e Daniel Byk, sono, rispettivamente, l’ex direttore generale e l’ex direttore di Eurostat (Ufficio statistico delle Comunità europee).

18

Numerose revisioni contabili interne ad Eurostat evidenziavano eventuali irregolarità nella gestione finanziaria. Di conseguenza l’OLAF avviava numerose indagini concernenti, in particolare, i contratti conclusi da Eurostat con le società Eurocost, Eurogramme, Datashop, Planistat e CESD Communautaire, nonché le sovvenzioni accordate a queste ultime.

19

Il 4 luglio 2002 l’OLAF trasmetteva alle autorità giudiziarie lussemburghesi un fascicolo relativo all’indagine concernente Eurocost e un altro fascicolo relativo all’indagine concernente Eurogramme.

20

Il 13 novembre 2002 il sig. Franchet inviava al direttore generale dell’OLAF una lettera così redatta:

«(…)

Apprendo dalla Cocobu che avete fornito loro informazioni relative ai fascicoli da Voi inviati alle autorità giudiziarie lussemburghesi, informazioni di cui non sono in possesso; leggo sulla rivista Stern che avete individuato in Eurostat “tutta una serie di casi”, riguardo ai quali non ho ricevuto alcuna comunicazione dai vostri servizi.

(…)».

21

Il 13 marzo 2003 il Parlamento adottava una risoluzione concernente il caso Eurostat.

22

Il 19 marzo 2003 il direttore generale dell’OLAF inviava alle autorità giudiziarie francesi una lettera avente ad oggetto la «Trasmissione di informazioni relative a fatti di eventuale rilievo penale CMS N. IO/2002/0510 — Eurostat/Datashop/Planistat» (in prosieguo: la «lettera 19 marzo 2003»), accompagnata da una nota di due ispettori dell’OLAF, indirizzata lo stesso giorno al direttore generale dell’OLAF, avente per oggetto una «Denuncia di fatti di eventuale rilievo penale CMS N. IO/2002/0510 — Eurostat/Datashop/Planistat » (in prosieguo: la «nota del 19 marzo 2003»).

23

Il 3 aprile 2003 il direttore generale dell’OLAF inviava un documento di sintesi all’attenzione del segretario generale della Commissione, concernente le indagini in corso su Eurostat.

24

Il 19 maggio 2003 i ricorrenti chiedevano alla Commissione «l’assistenza ai sensi dell’art. 24 dello Statuto per tutelare la [loro] reputazione e i [loro] diritti di difesa contro gli autori di tali informazioni fuorvianti e contro coloro che le diffondono» e di essere sollevati dai loro incarichi per poter organizzare la propria difesa.

25

Il 21 maggio 2003 i ricorrenti erano oggetto di un trasferimento interno su loro stessa domanda.

26

Il 26 maggio 2003 i ricorrenti inviavano due lettere al direttore generale dell’OLAF e chiedevano, in particolare, di essere informati «il più rapidamente possibile in merito alle censure e alle accuse formulate dall’OLAF» nei loro confronti, per garantire il rispetto dei diritti della difesa nelle audizioni fissate per la fine di giugno del 2003. Essi chiedevano inoltre di avere accesso all’intero fascicolo e facevano presente di non essere stati informati, né sentiti, prima della trasmissione dei fascicoli alle autorità giudiziarie nazionali. Affermavano altresì che «sembra[va] peraltro evidente che vi [fossero] state fughe di notizie dall’OLAF verso la stampa riguardanti elementi riservati e che tali fughe di notizie erano state organizzate intenzionalmente nell’ambito di una campagna denigratoria e di contestazione di Eurostat, o addirittura di altri funzionari di alto livello della Commissione».

27

Lo stesso giorno, i ricorrenti inviavano anche due lettere al comitato di vigilanza dell’OLAF, comunicandogli di avere appreso dalla stampa che l’OLAF aveva trasmesso ad autorità giudiziarie nazionali un fascicolo contenente accuse relative a «reati di appropriazione indebita, occultamento di appropriazione indebita e costituzione di un’associazione a delinquere», che essi non erano mai stati sentiti dall’OLAF e che vi era stata una fuga di notizie. Essi chiedevano al comitato di vigilanza di «pronunciarsi sull’inammissibile comportamento dell’OLAF, che [aveva] organizzato tali fughe di notizie o non [aveva] adottato tutte le misure necessarie per evitarle, assumendosene così la piena responsabilità nei [loro] confronti (…) e di ingiungere inoltre all’OLAF di vigilare affinché i loro diritti fondamentali [fossero] in prosieguo integralmente rispettati».

28

Il 26 maggio 2003 i ricorrenti inviavano ancora due lettere, rispettivamente al segretario generale della Commissione e a un direttore generale della stessa, chiedendo alla Commissione di precisare il contenuto dell’assistenza che aveva accettato di accordare loro. Essi chiedevano inoltre di poter consultare gli elementi relativi al fascicolo dell’OLAF eventualmente a disposizione della Commissione.

29

Il 5 giugno 2003 i ricorrenti si rivolgevano al direttore generale dell’OLAF, chiedendogli di poter accedere al fascicolo prima delle audizioni previste per la fine di giugno del 2003.

30

L’11 giugno 2003 la Commissione conferiva al servizio di revisione contabile interna (service d’audit interne; in prosieguo: il «SAI») il mandato di esaminare taluni contratti conclusi e talune sovvenzioni accordate da Eurostat nel contesto dei provvedimenti conseguenti al procedimento di discarico. Il SAI redigeva tre relazioni, la prima datata 7 luglio, la seconda 24 settembre e la terza 22 ottobre 2003.

31

Nei mesi di giugno e luglio 2003 la commissione per il controllo dei bilanci del Parlamento (Cocobu) si riuniva e procedeva a uno scambio di opinioni sul fascicolo Eurostat, in particolare con alcuni membri della Commissione.

32

Il 18 giugno 2003 i ricorrenti si rivolgevano nuovamente al direttore generale dell’OLAF, sottolineando che il «diritto di essere sentiti presuppone[va] che l’interessato [fosse] informato delle censure formulate nei suoi confronti e [potesse] consultare il fascicolo» e sostenevano che pertanto le audizioni previste per la fine di giugno non potevano svolgersi regolarmente. Essi constatavano che «le audizioni [avrebbero potuto] proseguire dopo che il fascicolo [fosse stato] reso accessibile e che i difensori e i loro clienti [avessero potuto] disporre del tempo necessario per esaminare i documenti».

33

Il 23 giugno 2003, durante una prima audizione dell’OLAF, il sig. Franchet depositava una dichiarazione preliminare con una nota giuridica relativa ai diritti della difesa. Il 25 e 26 giugno 2003 egli veniva sentito dall’OLAF in merito al fascicolo Eurocost. Il 26 e 27 giugno 2003 egli veniva ascoltato in merito ai fascicoli Datashop e Planistat, e, il 2 luglio 2003, sul fascicolo CESD Communautaire.

34

Il 1o luglio 2003 il sig. P., capo unità presso il segretariato generale della Commissione, inviava all’attenzione dei membri della Commissione una nota relativa alla riunione della Cocobu e allo scambio di opinioni con il segretario generale della Commissione e il direttore generale dell’OLAF del 30 giugno 2003.

35

Il 3 e 4 luglio 2003 il sig. Byk veniva sentito dall’OLAF in merito ai fascicoli Datashop e Planistat. Egli depositava inoltre una dichiarazione preliminare con una nota giuridica relativa ai diritti della difesa.

36

Il 9 luglio 2003 la Commissione decideva di avviare un procedimento disciplinare nei confronti dei ricorrenti. Essendo ancora in corso l’indagine dell’OLAF, tale procedimento veniva immediatamente sospeso. La Commissione istituiva inoltre una squadra operativa pluridisciplinare, denominata «task-force» (in prosieguo: la «task-force»).

37

Lo stesso giorno, la Commissione pubblicava un comunicato stampa intitolato «La Commissione prende provvedimenti a seguito di malversazioni finanziarie all’interno di Eurostat» (IP/03/979).

38

Il 17 luglio 2003 i ricorrenti inviavano una lettera al presidente della Commissione, informandolo della loro situazione.

39

Il 22 luglio 2003 i ricorrenti inviavano una lettera alla Commissione in cui facevano riferimento ai presunti illeciti commessi da quest’ultima e tali da farne sorgere la responsabilità. Essi chiedevano inoltre alla Commissione di trasmettere loro i documenti citati nelle decisioni di avvio dei procedimenti disciplinari.

40

I verbali delle audizioni dei ricorrenti di fine giugno e di inizio luglio venivano redatti l’11 agosto 2003.

41

Il 24 settembre 2003 il direttore generale dell’OLAF comunicava al presidente della Commissione una «sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse». Secondo la nota di trasmissione, «questa nota di sintesi non [poteva] in alcun modo essere considerata una relazione finale di indagine ai sensi del regolamento n. 1073/1999» ed era «intesa unicamente a porre in evidenza le principali conclusioni tratte dalle indagini svolte».

42

Lo stesso giorno venivano trasmesse al Parlamento tale sintesi, accompagnata da una relazione intitolata «Relazione della task-force Eurostat (TFES) — Sintesi e conclusioni», e una nota informativa relativa ad Eurostat, basata sulla seconda relazione intermedia redatta dal SAI.

43

Il 25 settembre 2003 l’OLAF redigeva le relazioni finali di indagine, ai sensi dell’art. 9 del regolamento n. 1073/1999, sui casi Eurocost, Datashop, Planistat e CESD Communautaire.

44

Lo stesso giorno, il presidente della Commissione veniva sentito dalla Cocobu e pronunciava inoltre un discorso dinanzi alla Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari del Parlamento.

45

Il 25 settembre 2003 i ricorrenti inviavano una lettera alla Commissione, riferendosi ai documenti trasmessi il 24 settembre 2003 al Parlamento. In tale lettera essi osservavano che «[era] inaccettabile che [essi] fossero chiamati in causa pubblicamente senza avere accesso ai documenti che li accusa[vano]» e si domandavano se «[fosse] normale apprendere ancora una volta dalla stampa di essere accusati di varie malversazioni». Con tale lettera, essi chiedevano inoltre alla Commissione di trasmettere loro tali relazioni, nonché i documenti richiesti con lettera 22 luglio 2003, ossia:

«—

la nota del 3 aprile 2003 (004201) e le note del 19 marzo 2003 (003441 e 003440) redatte dall’OLAF;

la relazione della DG [“]Bilancio[”] del 4 luglio 2003 (“DGBUDG Report — Analysis of audit reports on Eurostat systems for grants and procurement”);

la relazione del [SAI] della Commissione del 7 luglio 2003 (“First Interim Report — IAS examination of Eurostat contracts and grants: reportable events”);

le tre relazioni preparate dal [SAI], dalla task-force e dall’OLAF per l’audizione del [presidente della Commissione] del 25 settembre 2003».

46

Il 1o ottobre 2003 la Commissione adottava una decisione relativa alla riorganizzazione di Eurostat, con effetto dal 1o novembre 2003, disponendo la soppressione di una direzione e di un posto di direttore.

47

Il 10 ottobre 2003 i ricorrenti ricevevano copia delle relazioni finali del 25 settembre 2003 sui casi Eurocost, Datashop e CESD Communautaire, nonché copia dei tre documenti trasmessi al Parlamento il 24 settembre 2003, menzionati supra, al punto 42. Lo stesso giorno, essi ricevevano i documenti menzionati nelle decisioni di avvio dei procedimenti disciplinari, chiesti con lettere 22 luglio e 25 settembre 2003, ad eccezione della lettera e della nota del 19 marzo 2003, in quanto «si tratta[va] della lettera inviata dall’OLAF alle autorità giudiziarie francesi a Parigi, che fa[ceva] quindi parte integrante di un procedimento di indagine a livello nazionale».

48

Il 23 ottobre 2003 i ricorrenti presentavano una domanda in forza dell’art. 90, n. 1, dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee, nella versione applicabile al caso di specie (in prosieguo: lo «Statuto»), diretta a ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa degli illeciti commessi dalla Commissione, compresi quelli imputabili all’OLAF.

49

Con decisione 10 maggio 2004, ricevuta dai ricorrenti il 17 maggio 2004, l’autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l’«APN») respingeva tale domanda.

50

Il 19 maggio 2004 i ricorrenti presentavano un reclamo contro la decisione 10 maggio 2004 in forza dell’art. 90, n. 2, dello Statuto. Il 5 agosto 2004 i ricorrenti presentavano un reclamo complementare.

51

Con decisione 27 ottobre 2004, notificata ai ricorrenti con lettera 3 novembre 2004, l’APN respingeva esplicitamente tale reclamo.

Procedimento e conclusioni delle parti

52

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 gennaio 2005 i ricorrenti hanno proposto il presente ricorso.

53

Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di aprire la fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento di cui all’art. 64 del regolamento di procedura del Tribunale, ha invitato le parti a produrre taluni documenti e a rispondere ad alcuni quesiti scritti. Esse hanno parzialmente ottemperato a tali richieste entro il termine impartito.

54

Con ordinanza 6 giugno 2007, conformemente agli artt. 65, lett. b), 66, n. 1, e 67, n. 3, secondo comma, del regolamento di procedura, il Tribunale ha ordinato alla Commissione di produrre tutti i documenti trasmessi alle autorità giudiziarie francesi nell’ambito della pratica Eurostat, disponendo che tali documenti non fossero comunicati ai ricorrenti in quella fase. Essa ha ottemperato a tale richiesta.

55

L’11 giugno 2007 la Commissione ha depositato le proprie osservazioni sulle risposte dei ricorrenti ai quesiti e alle richieste di produzione di documenti del Tribunale. Lo stesso giorno, i ricorrenti hanno depositato le loro osservazioni sulle risposte della Commissione a tali quesiti e richieste.

56

Le parti hanno svolto le loro difese orali e risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza del 3 ottobre 2007.

57

In udienza, le parti hanno confermato che, tra i documenti prodotti dalla Commissione a seguito della misura di istruzione disposta dal Tribunale, gli unici documenti di cui i ricorrenti non disponevano erano gli allegati alla nota del 19 marzo 2003, la denuncia del 10 luglio 2003 e la relazione finale Planistat. I ricorrenti hanno acconsentito a che il Tribunale potesse utilizzare, se del caso, le informazioni contenute in tali documenti, che non erano stati loro comunicati, cosa di cui è stato preso atto nel verbale di udienza. Il Tribunale ha ritenuto necessario utilizzare soltanto i documenti di cui disponevano i ricorrenti.

58

In udienza, su richiesta del Tribunale, la Commissione ha depositato una nota dell’OLAF del 16 maggio 2003. I ricorrenti non si sono opposti a tale deposito, cosa di cui è stato preso atto nel verbale di udienza.

59

I ricorrenti chiedono che il Tribunale voglia:

condannare la Commissione a versare loro una somma provvisoriamente valutata in EUR 1 milione a titolo di risarcimento dei danni materiali e morali subiti;

condannare la Commissione alle spese.

60

La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare i ricorrenti alle spese.

In diritto

61

A sostegno del loro ricorso per risarcimento dei danni, i ricorrenti invocano l’esistenza di illeciti commessi dall’OLAF e dalla Commissione, il sorgere di gravi danni materiali e morali, nonché un nesso di causalità diretto tra i presunti illeciti commessi e il danno che ne sarebbe derivato.

62

In via preliminare, la Commissione contesta la produzione, da parte dei ricorrenti, di taluni documenti del comitato di vigilanza dell’OLAF allegati al ricorso.

63

La Commissione afferma inoltre che il ricorso per risarcimento dei danni è parzialmente prematuro.

I — Sulla domanda di stralcio di taluni documenti allegati al ricorso

A — Argomenti delle parti

64

La Commissione chiede che siano stralciati dal fascicolo di causa taluni documenti del comitato di vigilanza dell’OLAF prodotti dai ricorrenti a sostegno del loro ricorso. Si tratta di sei allegati al ricorso.

65

Da un lato, la Commissione sostiene che tali documenti sono di natura interna e non possono essere resi pubblici. Dall’altro, essi sarebbero stati ottenuti dai ricorrenti con mezzi illegittimi e andrebbero quindi eliminati dal fascicolo, compresi i riferimenti e le citazioni riprese nel ricorso (sentenza della Corte 17 dicembre 1981, cause riunite da 197/80 a 200/80, 243/80, 245/80 e 247/80, Ludwigshafener Walzmühle Erling e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. 3211, punti 13-16).

66

La Commissione sottolinea che documenti interni riservati possono essere prodotti dai ricorrenti a sostegno dei loro ricorsi solo qualora questi ultimi possano dimostrare di averli ottenuti in modo legittimo.

67

Orbene, nel caso di specie, i documenti in questione sarebbero effettivamente documenti interni del comitato di vigilanza dell’OLAF e, ai sensi dell’art. 14 del regolamento interno di quest’ultimo, sarebbero riservati. Il comitato di vigilanza non avrebbe mai deciso di revocare la riservatezza di tali documenti e di renderli pubblici, né di trasmetterli ai ricorrenti ai fini della loro difesa. Dato che si tratterebbe di documenti destinati a rimanere meramente interni, il fatto che essi non presentino la dicitura «riservato» non sarebbe tale da farne venir meno la riservatezza.

68

In ogni caso, secondo la Commissione, spetta ai ricorrenti indicare con quali mezzi legittimi siano riusciti a ottenere tali documenti, ad esempio con una domanda di accesso seguita da una risposta favorevole del comitato di vigilanza dell’OLAF. Non costituirebbero una prova del legittimo ottenimento di detti documenti le attestazioni prodotte dai ricorrenti secondo cui essi non avrebbero sottratto, né rubato, né intercettato alcun documento interno prodotto dalla segreteria del comitato di vigilanza dell’OLAF, cosa di cui la Commissione non li avrebbe mai accusati.

69

Infine, secondo la Commissione, nessuno di tali documenti sarebbe atto a dimostrare in cosa consistano i presunti illeciti dell’OLAF o della Commissione.

70

I ricorrenti negano che tali documenti siano riservati e che siano stati ottenuti con mezzi illegittimi.

71

I ricorrenti sottolineano che se, con riguardo a un fascicolo come quello di cui alla presente causa, nella quale si chiede il risarcimento di un danno, non si potessero né commentare né consultare documenti che costituiscono la prova effettiva degli illeciti commessi dall’OLAF e dalla Commissione, che sono elementi essenziali per farne sorgere la responsabilità, sussisterebbe evidentemente un grave e concreto pregiudizio al pieno rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva.

72

I ricorrenti sostengono che i documenti in questione dimostrano la fondatezza delle loro critiche al funzionamento dell’OLAF e che sarebbe questo il vero motivo per cui la Commissione ne contesta la produzione agli atti.

B — Giudizio del Tribunale

73

La Commissione fa valere che taluni allegati al ricorso sono documenti interni riservati del comitato di vigilanza dell’OLAF, che non sono stati ottenuti dai ricorrenti in modo regolare. Si tratta dei seguenti documenti:

il resoconto integrale dell’intervento del segretario generale della Commissione dinanzi al comitato di vigilanza dell’OLAF del 3 settembre 2003; egli non sarebbe stato avvertito di tale registrazione al momento del suo intervento e avrebbe successivamente ottenuto dal presidente del comitato di vigilanza la garanzia che detto documento sarebbe rimasto meramente interno a tale comitato e alla sua segreteria;

la nota della segreteria del comitato di vigilanza all’attenzione del presidente di quest’ultimo e di uno dei membri del comitato, del 5 marzo 2003;

la nota della segreteria del comitato di vigilanza all’attenzione del presidente di quest’ultimo, del 27 maggio 2003;

il verbale della riunione del 2 e 3 settembre 2003 del comitato di vigilanza;

la relazione del comitato di vigilanza, del 15 gennaio 2004, redatta su richiesta del Parlamento in merito a questioni procedurali sollevate dalle indagini svolte sul caso Eurostat;

la nota informativa della segreteria del comitato di vigilanza, del 10 ottobre 2003, sullo svolgimento delle indagini dell’OLAF sul caso Eurostat e sulle loro ripercussioni sulla situazione dell’OLAF.

74

Si deve rilevare che né l’eventuale riservatezza dei documenti in questione né il fatto che essi siano stati eventualmente ottenuti in modo irregolare osta a che tali documenti vengano mantenuti nel fascicolo.

75

Infatti, non esiste alcuna disposizione che preveda espressamente il divieto di tenere conto di prove, illegittimamente ottenute, ad esempio in violazione di diritti fondamentali.

76

È vero che nella sentenza Ludwigshafener Walzmühle Erling e a./Consiglio e Commissione, citata supra, al punto 65, invocata dalla Commissione, la Corte ha constatato che, poiché sussisteva un dubbio sia sulla natura stessa del documento contestato, sia sulla questione del se le intervenienti l’avessero ottenuto per vie legittime, il documento doveva essere eliminato dal fascicolo (punto 16).

77

Così, di regola, un’istituzione può legittimamente chiedere il ritiro di un documento interno quando esso non sia stato ottenuto con mezzi legittimi da coloro che lo fanno valere. Infatti, un documento interno ha carattere riservato, salvo che l’istituzione da cui promana abbia accettato di divulgarlo.

78

Tuttavia, nella sua giurisprudenza successiva, la Corte non ha escluso che, in taluni casi, anche documenti interni possano essere legittimamente inclusi nel fascicolo di una pratica (ordinanze della Corte 19 marzo 1985, causa 232/84, Tordeur e a., punto 8, e 15 ottobre 1986, causa 31/86, LAISA/Consiglio, 31/86, punto 5). Inoltre, in alcuni casi il Tribunale ha accettato di tenere conto di documenti di cui non era stata dimostrata l’acquisizione con mezzi legittimi.

79

Pertanto, in determinate situazioni, non è necessario che il ricorrente dimostri di avere ottenuto legalmente il documento riservato invocato a sostegno della sua tesi. Il Tribunale ha ritenuto, effettuando una ponderazione degli interessi da tutelare, che occorresse valutare se circostanze particolari, quali il carattere decisivo della produzione del documento allo scopo di garantire il controllo della regolarità della procedura di adozione dell’atto impugnato (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 6 marzo 2001, causa T-192/99, Dunnett e a./BEI, Racc. pag. II-813, punti 33 e 34) o di dimostrare l’esistenza di uno sviamento di potere (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 29 febbraio 1996, causa T-280/94, Lopes/Corte di giustizia, Racc. PI pagg. I-A-77 e II-239, punto 59), giustificassero il fatto di non procedere al ritiro di un documento.

80

Si deve rilevare che, nel caso di specie, il contesto specifico del ricorso in esame consente di concludere che i documenti in questione devono essere mantenuti nel fascicolo. Infatti, detti documenti sono necessari per valutare il comportamento tenuto dall’OLAF nell’ambito delle indagini su Eurostat. Pertanto, la particolarità del presente procedimento, in cui i ricorrenti mirano a dimostrare l’illegittimità del comportamento dell’OLAF, giustifica il fatto di non procedere al ritiro di tali documenti (v., in tal senso, sentenza Dunnett e a./BEI, cit. al punto 79 supra, punti 33 e 34).

81

A tale riguardo, occorre rammentare che si tratta di documenti preparatori del comitato di vigilanza dell’OLAF, il cui compito, ai sensi dell’art. 2 del suo regolamento interno, consiste nel vigilare «acciocché le attività dell’OLAF siano espletate nel pieno rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché in conformità dei trattati e del diritto derivato, in particolare del protocollo sui privilegi e le immunità e dello statuto dei funzionari», nonché di un resoconto integrale dell’intervento del segretario generale della Commissione dinanzi a tale comitato. Occorre inoltre constatare che i ricorrenti si trovano in una posizione difficile per dimostrare l’eventuale illegittimità del comportamento dell’OLAF. Infine, si deve rilevare che detti documenti sono idonei a dimostrare i fatti che i ricorrenti contestano all’OLAF e possono quindi presentare una certa rilevanza ai fini della soluzione della controversia in esame.

82

Di conseguenza, tenuto conto della natura dei documenti in questione e delle peculiarità della controversia, occorre respingere la domanda di ritiro dei detti documenti.

II — Sul carattere prematuro del ricorso

A — Argomenti delle parti

83

La Commissione fa valere che gli argomenti dei ricorrenti relativi a pretese irregolarità commesse durante il procedimento d’indagine sono per la maggior parte prematuri.

84

La Commissione precisa di non avere eccepito l’irricevibilità del ricorso, bensì di far valere il carattere prematuro del ricorso, in quanto ritiene, da un lato, che taluni motivi dei ricorrenti, relativi a vizi di procedura imputabili alla Commissione stessa o all’OLAF, possano essere valutati solo alla luce delle conseguenze che tali vizi potrebbero avere su un’eventuale futura decisione finale nei procedimenti penali o disciplinari (sentenza del Tribunale 18 dicembre 1992, cause riunite da T-10/92 a T-12/92 e T-15/92, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II-2667, punto 48) e, dall’altro, che, supponendo che si possano addebitare fatti illeciti alla Commissione o all’OLAF, la valutazione del danno subito cambierebbe in funzione dell’orientamento delle decisioni penali e/o disciplinari che li riguardano. Pertanto, la valutazione del preteso danno morale sarebbe correlata al loro grado di «colpevolezza» e le conseguenze degli atti illeciti dell’OLAF o della Commissione, ammesso che questi siano dimostrati, non potrebbero essere valutate senza tenere conto di eventuali illeciti commessi dai ricorrenti.

85

La Commissione fa riferimento alla sentenza della Corte 28 marzo 1979, causa 90/78, Granaria/Consiglio e Commissione (Racc. pag. 1081, punto 6) e si richiama alla possibilità per il Tribunale di statuire, in una prima fase del procedimento, sulla questione se il comportamento dell’OLAF o della Commissione sia tale da far sorgere la responsabilità della Comunità, pur riservando a un’eventuale fase successiva, in funzione della natura degli illeciti considerati, l’esame della questione relativa alla gravità del danno morale.

86

I ricorrenti contestano il preteso carattere prematuro del ricorso e rilevano che le conclusioni della Commissione non sono chiare su questo punto.

87

Essi fanno valere che il ricorso soddisfa tutte le condizioni di ricevibilità e di merito necessarie perché sorga la responsabilità della Commissione e per consentire al Tribunale di esercitare il suo controllo giurisdizionale.

88

Nulla permetterebbe di ritenere che un ricorso per risarcimento dei danni abbia carattere sussidiario rispetto all’avvio di un procedimento disciplinare e/o ad indagini condotte dalle autorità giudiziarie di uno Stato membro. Sarebbe contrario al principio fondamentale del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva e a una sana amministrazione della giustizia che un avvenimento futuro e incerto potesse, di per sé solo, condizionare e paralizzare un ricorso per risarcimento dei danni, con la conseguenza che il danno continuerebbe ad aumentare e gli interessati sarebbero privati del diritto di ottenerne il risarcimento.

89

Secondo i ricorrenti, il danno da essi subito è insorto e persiste da quando la Commissione ha commesso gli illeciti e non fa che aumentare con il passare del tempo.

B — Giudizio del Tribunale

90

È pacifico che i procedimenti giurisdizionali nazionali sono ancora in corso. Tuttavia, gli eventuali risultati di tali procedimenti non potrebbero influire sul presente procedimento. Nel caso in esame, infatti, non occorre sapere se i fatti contestati ai ricorrenti siano dimostrati o meno, dato che tale questione non rientra nella competenza del Tribunale. Nella specie, infatti, non si tratta di sapere se i ricorrenti abbiano commesso atti illeciti nell’esercizio della loro attività professionale, ma di esaminare il modo in cui l’OLAF ha condotto e concluso un’indagine che li riguarda personalmente ed eventualmente attribuisce loro la responsabilità delle irregolarità constatate pubblicamente molto prima che fosse adottata una decisione finale, nonché il modo in cui si è comportata la Commissione nel contesto di tale indagine. Qualora i ricorrenti venissero considerati non colpevoli dalle autorità giudiziarie nazionali, tale circostanza non porrebbe necessariamente rimedio all’eventuale danno che essi avrebbero comunque subito.

91

Pertanto, dato che il danno lamentato nel ricorso in esame è diverso da quello che potrebbe attestare un verdetto di non colpevolezza dei ricorrenti emesso dalle autorità giudiziarie nazionali, le richieste risarcitorie non possono essere respinte in quanto premature, con la conseguenza che i ricorrenti potrebbero proporre la domanda di risarcimento solo dopo le eventuali decisioni finali delle autorità giudiziarie nazionali.

92

Pertanto, dato che il ricorso non è prematuro, non occorre rinviare a un’eventuale fase successiva l’esame delle questioni relative alla natura e alla gravità dei danni.

III — Sul sorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità

93

Risulta da una giurisprudenza costante che, in forza dell’art. 288, secondo comma, CE, il sorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità per comportamento illecito dei suoi organi presuppone che siano soddisfatte varie condizioni, vale a dire l’illiceità del comportamento di cui si fa carico alle istituzioni, l’effettività del danno e l’esistenza di un nesso di causalità fra il comportamento fatto valere e il danno lamentato (sentenza della Corte 29 settembre 1982, causa 26/81, Oleifici Mediterranei/CEE, Racc. pag. 3057, punto 16; sentenze del Tribunale 11 luglio 1996, causa T-175/94, International Procurement Services/Commissione, Racc. pag. II-729, punto 44; 16 ottobre 1996, causa T-336/94, Efisol/Commissione, Racc. pag. II-1343, punto 30, e 11 luglio 1997, causa T-267/94, Oleifici Italiani/Commissione, Racc. pag. II-1239, punto 20).

94

Quando una di queste condizioni non è adempiuta, il ricorso deve essere interamente respinto senza che sia necessario esaminare gli altri presupposti (sentenza del Tribunale 20 febbraio 2002, causa T-170/00, Förde-Reederei/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II-515, punto 37; v., in tal senso, sentenza della Corte 15 settembre 1994, causa C-146/91, KYDEP/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-4199, punto 81).

95

Per quanto riguarda la prima condizione, la giurisprudenza richiede che venga accertata una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli (sentenza della Corte 4 luglio 2000, causa C-352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag. I-5291, punto 42). Quanto al presupposto relativo al fatto che la violazione dev’essere sufficientemente qualificata, il criterio decisivo per considerarlo soddisfatto è quello della violazione grave e manifesta, da parte dell’istituzione comunitaria interessata, dei limiti posti al suo potere discrezionale. Qualora l’istituzione in questione disponga solamente di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per constatare l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata (sentenza della Corte 10 dicembre 2002, causa C-312/00 P, Commissione/Camar e Tico, Racc. pag. I-11355, punto 54, e sentenza del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T-198/95, T-171/96, T-230/97, T-174/98 e T-225/99, Comafrica e Dole Fresh Fruit Europe/Commissione, Racc. pag. II-1975, punto 134).

96

I ricorrenti fanno valere che sia l’OLAF che la Commissione hanno commesso atti illeciti e che solo quest’ultima può essere perseguita per il complesso di tali atti. L’OLAF avrebbe commesso atti illeciti sia nei confronti dei ricorrenti che nei confronti della Commissione.

97

Pertanto, il Tribunale ritiene che occorra esaminare anzitutto la questione se l’OLAF e/o la Commissione abbiano commesso violazioni sufficientemente qualificate di una norma giuridica preordinata a conferire diritti ai singoli.

A — Sull’illegittimità del comportamento dell’OLAF

1. Sugli illeciti commessi dall’OLAF in occasione della trasmissione dei fascicoli relativi al caso Eurostat alle autorità giudiziarie francesi e lussemburghesi

a) Argomenti delle parti

98

Anzitutto, i ricorrenti sottolineano la netta distinzione esistente, per quanto riguarda la trasmissione delle informazioni da parte dell’OLAF, tra le indagini esterne e le indagini interne. Essi rilevano la confusione fatta riguardo alla natura dell’indagine e a quella dell’invio alle autorità giudiziarie francesi del 19 marzo 2003. Infatti, secondo le dichiarazioni rese dal direttore generale dell’OLAF dinanzi alla Cocobu il 30 giugno 2003, si sarebbe trattato di un «fascicolo esterno», in cui tuttavia sarebbero menzionati i nomi dei ricorrenti. Orbene, l’indagine sarebbe stata di natura meramente interna, il che avrebbe richiesto che l’istituzione interessata ne fosse informata prima di qualsiasi comunicazione all’esterno.

99

Secondo i ricorrenti, l’OLAF avrebbe quindi qualificato le proprie indagini interne come indagini esterne per celare vizi di procedura derivanti dal fatto che né la Commissione né il suo comitato di vigilanza erano stati informati della trasmissione del fascicolo Eurostat alle autorità giudiziarie francesi e lussemburghesi da parte dell’OLAF.

100

I ricorrenti fanno inoltre valere di non essere stati previamente informati neppure della trasmissione, da parte dell’OLAF, dei fascicoli Datashop e Planistat alle autorità giudiziarie francesi e che il sig. Franchet non è stato informato della trasmissione del fascicolo Eurocost, che non riguardava il sig. Byk, alle autorità giudiziarie lussemburghesi.

101

Pertanto, l’OLAF avrebbe deliberatamente violato il principio di buona amministrazione, il principio del contraddittorio, i diritti della difesa e l’obbligo di raccogliere elementi di indagine sia a carico che a difesa, sanciti, in particolare, dalla CEDU e dalla Carta.

102

I ricorrenti invocano altresì l’art. 4 della decisione 1999/396 e si richiamano in proposito alla decisione del Mediatore europeo 26 aprile 2002, relativa alla denuncia registrata con il n. 781/2001/IJH, nella parte relativa all’OLAF, secondo cui «tale disposizione obbliga l’OLAF a non trarre conclusioni sfavorevoli nei confronti di una persona sulla quale sia in corso un’indagine prima di avere informato l’interessato in merito alle denunce di cui è oggetto e ai fatti su cui esse si fondano, e di avergli dato la possibilità di formulare le sue osservazioni», in cui il Mediatore aveva peraltro osservato che «[s]i tratta[va] di un normale elemento di qualsiasi procedimento d’indagine equo ed efficace» e che, «[i]noltre, una testimonianza che non [avesse potuto] essere contestata in tal modo non [avrebbe] di regola valore probante».

103

Secondo i ricorrenti, la Commissione interpreta in modo troppo restrittivo gli artt. 4 e 10 del regolamento n. 1073/1999 e l’art. 4 della decisione 1999/396 e lede pertanto i diritti fondamentali. Secondo tale interpretazione, la decisione dell’OLAF di differire l’informazione dovuta all’istituzione, in linea di principio, non sarebbe soggetta a controllo e l’OLAF potrebbe quindi adottare tale decisione per esentarsi, senza alcun effettivo limite di tempo, da qualsiasi obbligo di informazione.

104

Infatti, né l’OLAF né la Commissione avrebbero mai spiegato perché sia stata richiesta la massima segretezza o quale fosse la giustificazione della pretesa necessità di differire l’informativa alla Commissione, ad eccezione della nota di sintesi sulle indagini in corso relative a Eurostat, inviata dal direttore generale dell’OLAF all’attenzione del segretario generale della Commissione il 3 aprile 2003 (v. supra, punto 23). Per quanto riguarda l’esigenza di differire l’informativa al funzionario interessato, per quanto è a conoscenza dei ricorrenti, il segretario generale non avrebbe mai espresso il consenso richiesto dall’art. 4, secondo comma, della decisione 1999/396.

105

I ricorrenti invocano inoltre una proposta di regolamento del Parlamento e del Consiglio 10 febbraio 2004, che modifica il regolamento n. 1073/1999 [COM(2004) 103 def.], nonché un progetto di accordo istituzionale del 14 agosto 2003, per un codice di condotta che garantisca un rapido scambio di informazioni tra l’OLAF e la Commissione nel quadro delle indagini interne [SEC(2003) 871 consolidato], che prevedono, in particolare, l’obbligo di dare un contenuto all’informativa dell’OLAF. Del pari, secondo la proposta di regolamento che modifica il regolamento n. 1073/1999, il funzionario interessato dovrebbe essere sentito al momento della comunicazione di un’informazione alle autorità giudiziarie nazionali, il che non costituirebbe una modifica del regolamento esistente, dato che sancirebbe solo i principi fondamentali contenuti in particolare nella Carta, come avrebbe ricordato la Commissione. I ricorrenti fanno presente di essere stati sentiti dall’OLAF in quanto hanno chiesto tale audizione, e non perché l’OLAF li abbia convocati.

106

Infine, secondo i ricorrenti, l’OLAF avrebbe «orientato» le autorità giudiziarie francesi attribuendo già qualifiche di carattere penale a fatti che aveva ritenuto di poter individuare nel caso Eurostat, il che è incompatibile con il suo ruolo, che consiste nello svolgere indagini amministrative. La nota del 19 marzo 2003 inviata alle autorità giudiziarie francesi conterrebbe una vera e propria analisi giuridica secondo il diritto francese dei fatti riportati e attribuirebbe a questi ultimi una qualificazione penale in base al diritto francese, andando al di là della trasmissione di informazioni prevista ai sensi del regolamento n. 1073/1999.

107

La Commissione fa valere, in primo luogo, che i ricorrenti non possono invocare l’obbligo dell’OLAF di informarla, né di sentirli o di informarli prima di trasmettere le informazioni alle autorità giudiziarie nazionali, a prescindere dalla qualificazione dell’indagine (interna o esterna).

108

La Commissione sostiene che, ai sensi dell’art. 10 del regolamento n. 1073/1999, l’OLAF deve trasmettere alle autorità giudiziarie dello Stato membro interessato le informazioni raccolte in occasione di indagini interne su fatti penalmente perseguibili, mentre nel caso delle indagini esterne tale trasmissione costituisce una semplice facoltà. Nessuna disposizione di tale articolo prevedrebbe che detta trasmissione debba essere preceduta o accompagnata da un’informativa all’istituzione interessata o ai funzionari eventualmente implicati.

109

La Commissione fa riferimento all’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1073/1999 e constata che l’assenza di informativa all’istituzione di appartenenza dei funzionari che potrebbero essere personalmente coinvolti può giustificarsi con l’esigenza di differire tale informativa. Anche ammettendo che il differimento non sia giustificabile nel caso di specie, l’eventuale mancanza di informativa alla Commissione non avrebbe alcun effetto sulla regolarità del procedimento riguardante i ricorrenti, dato che essi non sarebbero stati lesi in alcun modo da tale omessa informazione.

110

Per quanto riguarda il diritto dei ricorrenti di essere sentiti o informati, la Commissione sostiene che, ai sensi dell’art. 4 della decisione 1999/396, l’informazione del funzionario che possa essere personalmente coinvolto è subordinata alla condizione che tale informazione non rischi di pregiudicare l’indagine e che spetta all’OLAF valutare se tale condizione sussista. L’obbligo di porre l’interessato in condizione di esprimersi su tutti i fatti che lo riguardano sarebbe determinante nel momento in cui l’OLAF trae le proprie conclusioni al termine dell’indagine, dato che tale obbligo può essere differito, in alcuni casi particolari, solo con il consenso del presidente della Commissione o del segretario generale della stessa, ma non nel momento in cui, sul fondamento dell’art. 10 del regolamento n. 1073/1999, l’OLAF trasmette informazioni in corso d’indagine alle autorità giudiziarie di uno Stato membro.

111

Inoltre, conformemente all’art. 4 della decisione 1999/396, i ricorrenti sarebbero stati posti in condizione di esprimersi su tutti i fatti che li riguardavano prima che l’OLAF traesse le proprie conclusioni dalle indagini a loro carico.

112

Contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, sarebbe errato affermare che la decisione dell’OLAF di differire l’informativa dovuta all’istituzione non sia soggetta di regola a un controllo e che tale controllo possa essere effettuato solo al termine dell’indagine, nel caso in cui essa non abbia alcun seguito, o al termine dei procedimenti penali e/o disciplinari. Pertanto, secondo la Commissione, la mancanza di informativa si giustifica con l’esigenza di una segretezza assoluta ai fini dell’indagine o con la necessità di ricorrere a mezzi investigativi rientranti nella competenza di un’autorità giudiziaria nazionale, e voler esercitare un controllo su tale giustificazione in una fase anteriore equivarrebbe «a batterla in breccia».

113

Inoltre, la Commissione sottolinea che un fatto illecito può derivare solo dalla violazione della normativa esistente al momento dei fatti, e non dalla violazione di una disposizione contenuta in una proposta di nuova normativa presentata successivamente ai fatti.

114

In secondo luogo, la Commissione fa valere che le qualificazioni penali attribuite dall’OLAF ai fatti illeciti da esso comunicati a un’autorità giudiziaria nazionale costituiscono semplici indicazioni, che non vincolano minimamente quest’ultima. Si tratterebbe solo della manifestazione delle riflessioni degli agenti dell’OLAF incaricati della pratica, dal momento che la trasmissione a un’autorità giudiziaria sarebbe giustificata solo qualora l’OLAF ritenesse che i fatti in questione siano eventualmente rilevanti sotto il profilo penale. La Commissione sottolinea che le autorità giudiziarie adite dall’OLAF restano perfettamente libere di accettare e/o limitare tale deferimento e che non è compito dell’OLAF dare istruzioni di alcun tipo a dette autorità.

115

Inoltre, i ricorrenti interpreterebbero erroneamente il punto 3.4.3 della relazione della Commissione 2 aprile 2003, relativa alla valutazione delle attività dell’OLAF [COM(2003) 154 def.]. La Commissione non avrebbe mai inteso affermare che la comunicazione a un’autorità giudiziaria nazionale ha l’effetto di vincolare tale autorità alle risultanze dell’indagine dell’OLAF, semmai il contrario.

b) Giudizio del Tribunale

Sulla qualificazione delle indagini

116

Occorre ricordare che, ai sensi del regolamento n. 1073/1999, le indagini effettuate dall’OLAF consistono in indagini esterne, vale a dire all’esterno delle istituzioni della Comunità, e in indagini interne, vale a dire all’interno di dette istituzioni. Le norme procedurali che l’OLAF deve seguire variano in funzione della natura dell’indagine.

117

I ricorrenti fanno valere che l’OLAF ha qualificato le proprie indagini interne come indagini esterne per celare vizi di procedura. L’indagine avrebbe avuto natura puramente interna, il che avrebbe richiesto che l’istituzione interessata, il comitato di vigilanza dell’OLAF e i funzionari implicati ne fossero informati prima di qualsiasi comunicazione all’esterno.

118

Il Tribunale rileva che, effettivamente, durante lo svolgimento delle varie indagini di cui trattasi è stata fatta una certa confusione sulla loro natura.

119

A tale riguardo, dalla nota di sintesi del 3 aprile 2003 (v. supra, punto 23) risulta che l’OLAF aveva qualificato come indagini interne le indagini relative ai fascicoli Eurocost (trasmesso all’autorità giudiziaria lussemburghese) e Datashop (trasmesso all’autorità giudiziaria francese). Nella «sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse», l’indagine relativa al fascicolo Eurocost era stata qualificata come indagine interna, quella relativa al fascicolo Eurogramme come indagine esterna, quella relativa al fascicolo CESD Communautaire come indagine interna e quella relativa al fascicolo Datashop come indagine interna. Nella nota in questione si rileva inoltre che l’indagine interna relativa alla rete Datashop ha consentito di porre in evidenza il ruolo fondamentale della società Planistat, motivo per cui l’OLAF ha avviato, il 18 marzo 2003, un’indagine esterna su quest’ultima società.

120

Orbene, dalla nota del 1o luglio 2003 (v. supra, punto 34), relativa alla riunione della Cocobu e allo scambio di pareri con il segretario generale della Commissione e il direttore generale dell’OLAF del 30 giugno 2003, risulta che tale qualificazione non era chiara. Infatti, secondo la suddetta nota, il direttore generale dell’OLAF aveva rilevato che, nel caso del fascicolo Eurostat, le parti interna ed esterna erano interconnesse e più precisamente che, per quanto riguardava i fascicoli Eurocost e Eurogramme, la parte esterna era praticamente conclusa, che era stata trasmessa all’autorità giudiziaria lussemburghese e che i fascicoli Datashop e Planistat presentavano la medesima interconnessione tra parti esterne e interne.

121

Inoltre, nella relazione del comitato di vigilanza dell’OLAF del 15 gennaio 2004, redatta su richiesta del Parlamento in ordine a questioni procedurali sollevate dalle indagini relative a Eurostat, detto comitato aveva rilevato quanto segue:

«L’OLAF ha inoltre incontrato difficoltà nell’applicare le disposizioni del regolamento relativo alle indagini interne, da un lato, e alle indagini esterne, dall’altro. Inizialmente, l’OLAF ha avviato indagini esterne e solo quando è emerso che potevano risultare coinvolti taluni funzionari sono state aperte indagini interne. Tale suddivisione meramente amministrativa dei medesimi fascicoli ha determinato una certa confusione».

122

Risulta dagli atti che, quanto meno alla fine delle indagini, le pratiche Eurocost, Datashop e CESD Communautaire erano pratiche interne, mentre le pratiche Eurogramme e Planistat erano pratiche esterne. Tuttavia, risulta altresì che le pratiche Datashop e Planistat erano strettamente connesse.

123

È importante determinare la natura della comunicazione del 19 marzo 2003 alle autorità giudiziarie francesi. A tale riguardo, si deve osservare che è irrilevante il fatto che nella lettera e nella nota del 19 marzo 2003 si menzioni nel riferimento la pratica esterna Planistat (aperta il giorno precedente) e non la pratica interna Datashop. Tale circostanza non esonera dagli obblighi procedurali che vanno rispettati nelle indagini interne allorché risultino implicati funzionari. Inoltre, nonostante il riferimento a una pratica esterna, nella nota del 19 marzo 2003 gli inquirenti si riferiscono alla pertinente disposizione del regolamento n. 1073/1999, relativa alla trasmissione delle informazioni raccolte dall’OLAF in occasione di indagini interne. Nella lettera 19 marzo 2003 non si precisa esplicitamente se si trattasse di un’indagine interna o esterna. Tuttavia, secondo il suo oggetto, si trattava della «[t]rasmissione di informazioni relative a fatti penalmente rilevanti», il che corrisponde al contenuto dell’art. 10, n. 2, del regolamento n. 1073/1999, relativo alla trasmissione di informazioni raccolte in occasione di indagini interne su fatti penalmente perseguibili. Pertanto, il fatto di non menzionare il riferimento del fascicolo interno non autorizza ad ignorare i diritti della difesa delle persone ivi menzionate. In ogni caso, dopo il riferimento del fascicolo, si menzionano «Eurostat/Datashop/Planistat». Inoltre, il direttore generale dell’OLAF ha constatato nella sua nota del 3 aprile 2003 (v. supra, punto 23) che la pratica interna Datashop, in cui erano implicati taluni funzionari, era stata oggetto di una comunicazione al Procuratore della Repubblica di Parigi (Francia).

124

Di conseguenza, si deve osservare che, ai fini del presente procedimento, l’invio del fascicolo Eurocost alle autorità giudiziarie lussemburghesi in data 4 luglio 2002 riguardava un’indagine interna, al pari dell’invio del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi del 19 marzo 2003.

125

Occorre quindi esaminare se l’OLAF abbia violato una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli in occasione della trasmissione di fascicoli d’indagine interna alle autorità giudiziarie nazionali.

Informazione dei ricorrenti, della Commissione e del comitato di vigilanza dell’OLAF

— Informazione dei ricorrenti

126

I ricorrenti sostengono di non essere stati anticipatamente informati della trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi e che neppure il sig. Franchet è stato informato della trasmissione del fascicolo Eurocost, che non riguardava il sig. Byk, alle autorità giudiziarie lussemburghesi. Pertanto, l’OLAF avrebbe deliberatamente violato il principio di buona amministrazione, il principio del contraddittorio, i diritti della difesa e l’obbligo di raccogliere elementi di indagine sia a carico che a difesa, sanciti, in particolare, dalla CEDU e dalla Carta. I ricorrenti si richiamano inoltre all’art. 4 della decisione 1999/396.

127

Il Tribunale ricorda che l’informazione dei funzionari interessati è prevista solo nell’ambito delle indagini interne, all’art. 4 della decisione 1999/396, con cui la Commissione ha definito condizioni e modalità delle indagini interne.

128

Dalle disposizioni dell’art. 4, primo comma, della decisione 1999/396 risulta che il funzionario interessato deve essere prontamente informato della possibilità di un suo coinvolgimento personale, se ciò non rischia di pregiudicare l’indagine, e che, in ogni caso, non si può trarre alcuna conclusione, al termine dell’indagine, riguardante personalmente un funzionario della Commissione senza aver dato modo all’interessato di esprimersi su tutti i fatti che lo concernono [ordinanza del presidente della Corte 8 aprile 2003, causa C-471/02 P(R), Gómez-Reino/Commissione, Racc. pag. I-3207, punto 63].

129

La violazione di tali disposizioni, che fissano le condizioni nella quali il rispetto dei diritti della difesa del funzionario interessato può essere conciliato con le esigenze di riservatezza proprie di ogni indagine di questa natura, costituirebbe una violazione delle forme sostanziali applicabili alla procedura d’indagine (ordinanza Gómez-Reino/Commissione, cit. al punto 128 supra, punto 64).

130

Tuttavia, l’art. 4 della decisione 1999/396 non riguarda esplicitamente la trasmissione delle informazioni alle autorità giudiziarie nazionali e quindi non prevede l’obbligo di informare il funzionario interessato prima di tale trasmissione. Infatti, a norma dell’art. 10 del regolamento n. 1073/1999, l’OLAF può (indagini esterne) o deve (indagini interne) trasmettere le informazioni alle autorità giudiziarie nazionali. Tale trasmissione delle informazioni può quindi precedere le «conclusioni tratte al termine dell’indagine», che normalmente sono contenute nella relazione di indagine.

131

Inoltre, secondo l’ordinanza Gómez-Reino/Commissione, citata supra, al punto 128 (punto 68), le conclusioni tratte dall’OLAF al termine dell’indagine, che riguardano personalmente un funzionario, ai sensi dell’art. 4 della decisione 1999/396, sono necessariamente quelle contenute nella relazione redatta sotto l’autorità del direttore di tale ufficio, come previsto dall’art. 9 del regolamento n. 1073/1999, e il seguito dato all’indagine interna dall’istituzione interessata può aversi in particolare sul piano disciplinare e giudiziario.

132

Si può quindi senz’altro ritenere che, al momento della trasmissione di informazioni alle autorità giudiziarie nazionali, non esistesse alcuna relazione ai sensi dell’art. 9 del regolamento n. 1073/1999 comunicata dall’OLAF alla Commissione e concernente personalmente i ricorrenti.

133

Tuttavia, rimane ancora da esaminare se, eventualmente, occorra ritenere che le «informazioni» trasmesse alle autorità giudiziarie lussemburghesi e francesi contenessero «conclusioni riguardanti personalmente» i ricorrenti.

134

Per quanto riguarda, in primo luogo, la trasmissione del fascicolo Eurocost alle autorità giudiziarie lussemburghesi effettuata il 4 luglio 2002, nella nota di trasmissione si precisa che né il sig. Franchet né i rappresentanti di Eurocost sono stati sentiti dall’OLAF, e ciò volutamente, per non compromettere i risultati dell’indagine giudiziaria. È quindi pacifico che il sig. Franchet non è stato sentito in merito a tale fascicolo prima della sua trasmissione alle autorità giudiziarie lussemburghesi.

135

Nella nota sopra citata si precisa che il sig. Franchet è uno dei fondatori di Eurocost, di cui è anche stato presidente, vicepresidente e membro, che egli era regolarmente presente alle assemblee generali di Eurocost e che aveva firmato il contratto di lavoro del direttore di Eurocost all’epoca in cui ne era presidente. Il direttore generale dell’OLAF sottolinea che sussiste un potenziale conflitto di interessi e che le conclusioni di una revisione contabile interna evidenziano numerose irregolarità e casi di frodi perpetrate dai responsabili di Eurocost a danno di Eurostat. A proposito delle «manipolazioni contabili dirette a mascherare frodi a danno di Eurostat», si precisa che a tale riguardo è stata evocata l’esistenza di accordi taciti con Eurostat. Si menzionano inoltre «doppi e persino tripli finanziamenti di talune spese».

136

Si deve rilevare che tale nota di trasmissione, che menziona espressamente il sig. Franchet in relazione a un potenziale conflitto d’interessi, dev’essere interpretata nel senso che contiene «conclusioni riguardanti personalmente» il sig. Franchet. A tale riguardo occorre inoltre sottolineare che, nella nota del 3 aprile 2003 (v. supra, punto 23), il direttore generale dell’OLAF ha precisato che, «[c]on lettera 10 luglio 2002, il Procuratore di Stato di Lussemburgo ha comunicato che non si opponeva all’audizione dei funzionari accusati dagli inquirenti dell’OLAF» e che «potrebbe risultare implicato il [d]irettore generale [di Eurostat]».

137

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi effettuata il 19 marzo 2003, è pacifico che i ricorrenti non sono stati né informati né posti in condizione di esprimersi sul fascicolo prima della sua trasmissione. Si deve inoltre ricordare che la lettera 19 marzo 2003 aveva per oggetto la «[t]rasmissione di informazioni relative a fatti di eventuale rilievo penale» e la nota che l’accompagnava riguardava la «[d]enuncia di fatti di eventuale rilievo penale».

138

Nella lettera 19 marzo 2003, il direttore generale dell’OLAF osserva che, fatta salva la valutazione dell’autorità giudiziaria francese, «sembrerebbe che l’OLAF abbia messo in luce comportamenti fraudolenti, che hanno arrecato danno al bilancio comunitario e di eventuale rilievo penale», precisando che «[d]all’indagine è emerso che tali atti erano stati compiuti dagli animatori della società Planistat Europe SA, avente sede a Parigi, con la complicità attiva di funzionari europei».

139

Nella nota del 19 marzo 2003 si precisa, nell’ambito di una «[c]ronologia dei fatti oggetto dell’indagine», al punto 2.3, intitolato «Accertamenti compiuti nel corso dell’indagine», che una relazione del revisore contabile interno di Eurostat del settembre 1999 relativa ai Datashop di Bruxelles (Belgio), Lussemburgo (Lussemburgo) e Madrid (Spagna), sulla cui base era stata avviata l’indagine dell’OLAF, «a[veva] evidenziato numerose irregolarità commesse nella gestione di questi tre Datashop tra il 1996 e la fine del 1999» e che, «[n]el caso di specie, una parte significativa dei fatturati “dichiarati” da questi tre Datashop — tra il 50 e il 55% — alimentava fondi neri il cui impiego era subordinato all’autorizzazione di un funzionario [di Eurostat]».

140

Nella nota in questione si rileva inoltre che «[g]li unici che dispongano di un quadro complessivo dell’intera vicenda sono i dirigenti del Gruppo Planistat e verosimilmente il sig. Byk, capo unità presso Eurostat, di nazionalità francese», che le fatture false «venivano pagate tramite prelievi dai fondi neri (…) previa approvazione del signor Daniel Byk, direttore di Eurostat, di nazionalità francese», che «[erano] stati fatturati e pagati in tal modo circa [EUR] 922500» e che «Eurostat, con lo stratagemma dei fondi neri, a[veva] appianato un pesante passivo di Planistat Europe SA che, in condizioni normali, sarebbe dovuto rimanere a carico del contraente della Commissione», pur precisando che «i fondi neri [erano] anche serviti a pagare spese di vitto, albergo, viaggio (…) generate da alcuni funzionari di Eurostat, tra cui il sig. Byk».

141

Nella descrizione degli illeciti penali in questione, al punto 3.1, intitolato «Appropriazione indebita», si rileva quanto segue:

«La creazione, da parte di alcuni funzionari comunitari, di una rete di operatori economici, uno dei cui obiettivi consisteva nel celare alla Commissione parte degli introiti derivanti dalla vendita di prodotti o di servizi statistici comunitari, potrebbe costituire uno sviamento “di fondi, valori o altri beni” previsto dall’art. 314-1 del codice penale, che definisce l’appropriazione indebita. Tutti gli elementi costitutivi dell’illecito sono stati posti in essere con la complicità di funzionari comunitari, dei dirigenti del gruppo Planistat e dei dirigenti dei Datashop interessati. I funzionari comunitari non potevano ignorare il regolamento finanziario in vigore, che li obbligava a far risultare la totalità delle entrate.

Inoltre, questi stessi funzionari comunitari hanno utilizzato le somme in questione per scopi estranei all’interesse comunitario, dato che tale denaro è chiaramente servito a pagare spese non previste dal contratto stipulato dalla società Planistat Europe SA con la Commissione, o spese personali di detti funzionari. L’intento fraudolento consiste in tale impiego a scopi diversi da quelli comunitari».

142

Dopo avere esaminato la questione dell’occultamento delle appropriazioni indebite, in relazione alla società Planistat, al punto 3.3, intitolato «L’associazione per delinquere», si rileva quanto segue:

«Secondo l’art. 450-1 del codice penale, “[c]ostituisce associazione per delinquere qualunque associazione o intesa costituita ai fini della preparazione, caratterizzata da uno o più fatti materiali, di uno o più crimini o reati puniti con la reclusione non inferiore a cinque anni (…)”.

Rimane da chiedersi se tale qualifica possa essere utilizzata anche nell’ambito nel caso in esame, dato che, per realizzare il saccheggio dei fondi comunitari, è stata necessaria l’associazione tra i funzionari, i dirigenti di Planistat e quelli dei Datashop che hanno commesso reati di appropriazione indebita.

(…)».

143

Infine, al punto 3.5, intitolato «Applicazione della legge francese ai reati commessi all’estero da cittadini francesi», si rileva quanto segue:

«(…)

Nel caso in esame, il sig. Yves Franchet, direttore di Eurostat, e il sig. Daniel Byk, capo unità presso Eurostat, entrambi funzionari della Commissione europea, con sede di lavoro a Lussemburgo, che potrebbero avere organizzato in tutto o in parte il sistema, sono di nazionalità francese.

L’insieme degli elementi sopra indicati consente di affermare che l’OLAF si trova di fronte a una vasta operazione di saccheggio dei fondi comunitari con alla base una serie di atti di eventuale rilievo penale, fatta salva la valutazione della competente autorità giudiziaria.

Di conseguenza, sarebbe opportuno trasmettere la presente nota e i documenti allegati al Procuratore della Repubblica di Parigi».

144

Dalla nota del 19 marzo 2003 emerge chiaramente che essa contiene «conclusioni riguardanti personalmente» i ricorrenti.

145

Pertanto, prima della trasmissione del fascicolo Eurocost alle autorità giudiziarie lussemburghesi, per quanto riguarda il sig. Franchet, e prima della trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi, per quanto riguarda i sigg. Franchet e Byk, questi ultimi, in linea di principio, avrebbero dovuto essere informati e sentiti in merito ai fatti che li riguardavano, in base all’art. 4 della decisione 1999/396.

146

Tale disposizione, tuttavia, prevede una deroga laddove ai fini dell’indagine sia necessaria la massima segretezza e si debba ricorrere ai mezzi investigativi di competenza di un’autorità giudiziaria nazionale. In questi casi, l’obbligo di invitare il funzionario ad esprimersi può essere differito con il consenso del segretario generale della Commissione. Pertanto, perché si possa differire l’informativa, devono sussistere le due condizioni della necessità di massima segretezza e dell’esigenza di ricorrere a mezzi investigativi di competenza di un’autorità giudiziaria nazionale. Occorre inoltre ottenere il previo consenso del segretario generale della Commissione.

147

A tale riguardo, per quanto concerne la trasmissione del fascicolo Eurocost alle autorità giudiziarie lussemburghesi, da una lettera del 2 agosto 2002, inviata dal segretario generale della Commissione al direttore generale dell’OLAF, risulta che il primo ha prestato il proprio consenso a che gli interessati non fossero informati. Egli ha motivato tale decisione affermando che, «[i]n attesa dell’esito delle discussioni tra i [loro] servizi in ordine al miglioramento delle procedure esistenti, [egli poteva] prestare il [suo] consenso [alla] proposta [del direttore generale dell’OLAF] di non informare gli interessati nella pratica menzionata in oggetto». Il segretario generale della Commissione non ha quindi accennato a nessuna delle suddette condizioni. In ogni caso, tale consenso è stato prestato successivamente alla trasmissione del fascicolo di cui trattasi.

148

Per quanto riguarda la trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi, risulta dalla nota del 3 aprile 2003, che è quindi successiva alla trasmissione del 19 marzo 2003, che il direttore generale dell’OLAF ha constatato in tale nota che erano implicati funzionari di Eurostat e dell’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, che tale parte del fascicolo era stata trasmessa alle autorità giudiziarie francesi e che occorreva differire l’informativa ai funzionari, conformemente all’art. 4 della decisione 1999/396, data la necessità di mantenere la massima segretezza ai fini dell’indagine. Tuttavia, non vi si fa alcun riferimento alla seconda delle condizioni sopra menzionate.

149

Inoltre, in risposta a un quesito scritto del Tribunale, la Commissione ha confermato che il suo segretario generale «non [aveva] avuto modo di prestare il proprio consenso al differimento dell’obbligo di invitare i ricorrenti ad esprimersi».

150

Di conseguenza, nel caso di specie non sussistevano tutte le condizioni di applicazione della deroga prevista dall’art. 4 della decisione 1999/396, che consente di differire l’informativa.

151

Si deve rilevare che l’obbligo di chiedere e ottenere il consenso del segretario generale della Commissione non è una semplice formalità, eventualmente esperibile in una fase successiva. Infatti, se così fosse, l’esigenza di ottenere tale consenso perderebbe la sua ragion d’essere, ossia garantire che siano rispettati i diritti della difesa dei funzionari interessati, che la loro informazione venga differita solo in casi del tutto eccezionali e che la valutazione di tale carattere eccezionale non venga riservata all’OLAF, ma sia rimessa anche al giudizio del segretario generale della Commissione.

152

Pertanto, l’OLAF ha violato l’art. 4 della decisione 1999/396 e i diritti della difesa dei ricorrenti in occasione della trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi, nonché detto articolo e i diritti della difesa del sig. Franchet in occasione della trasmissione del fascicolo Eurocost alle autorità giudiziarie lussemburghesi.

153

È innegabile che la norma giuridica violata nel caso di specie, secondo cui le persone sottoposte ad indagine devono essere informate e messe in condizione di esprimersi su tutti i fatti che le riguardano, conferisce diritti ai singoli (v., in tal senso e per analogia, sentenza del Tribunale 12 settembre 2007, causa T-259/03, Nikolaou/Commissione, punto 263).

154

È vero che l’art. 4 della decisione 1999/396 conferisce all’OLAF un margine di valutazione discrezionale laddove, ai fini dell’indagine, sia necessaria la massima segretezza e si debba ricorrere ai mezzi investigativi di competenza di un’autorità giudiziaria nazionale (v., per analogia, sentenza Nikolaou/Commissione, cit. al punto 153 supra, punto 264). Tuttavia, per quanto riguarda le modalità di adozione della decisione di differire l’informativa ai funzionari interessati, l’OLAF non dispone di alcun margine discrezionale. Del pari, l’OLAF non dispone di alcun margine di discrezionalità in ordine alla verifica delle condizioni di applicazione dell’art. 4 della decisione 1999/396.

155

Come si è rilevato in precedenza, nel caso di specie non sono state rispettate le condizioni e le modalità di applicazione di tale deroga, dato che l’OLAF non ha invocato l’esigenza di ricorrere ai suddetti mezzi investigativi e non ha chiesto, né tanto meno ottenuto, il consenso del segretario generale della Commissione in tempo utile per differire l’obbligo di invitare il funzionario interessato dall’indagine ad esprimersi.

156

Pertanto, avendo violato l’obbligo di informazione ad esso incombente, l’OLAF ha commesso una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli.

— Informazione della Commissione

157

I ricorrenti fanno valere che la Commissione non è stata previamente informata della trasmissione dei fascicoli concernenti Eurostat alle autorità giudiziarie lussemburghesi e francesi da parte dell’OLAF. Il Tribunale ritiene che tale argomento debba essere inteso nel senso che si tratta di stabilire se la Commissione dovesse essere informata con modalità diverse da quelle di cui all’art. 4 della decisione 1999/396 affinché il suo segretario generale prestasse il proprio consenso, come si è rilevato in precedenza.

158

A tale riguardo, si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 10, n. 2, del regolamento n. 1073/1999, l’OLAF deve trasmettere alle autorità giudiziarie dello Stato membro interessato le informazioni raccolte in occasione di indagini interne su fatti penalmente perseguibili, mentre, in occasione di indagini esterne, tale trasmissione è solo facoltativa. Nella specie, si deve osservare che le relazioni di indagine non erano ancora state redatte e pertanto la trasmissione dei fascicoli consisteva, a priori, nella trasmissione di informazioni, anche se contenevano conclusioni riguardanti personalmente i ricorrenti, e non in quella delle relazioni di indagine, disciplinata dall’art. 9 del regolamento n. 1073/1999. A norma dell’art. 10, n. 3, è facoltativa anche la trasmissione all’istituzione interessata delle informazioni raccolte in occasione di indagini interne. Nessuna disposizione di tale articolo prevede che la trasmissione delle informazioni alle autorità giudiziarie nazionali debba essere preceduta o accompagnata dall’informazione dell’istituzione interessata.

159

L’informazione dell’istituzione interessata nell’ambito delle indagini interne è prevista dall’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1073/1999. Tuttavia, tale disposizione non prevede alcun termine per fornire tale informazione. Essa non prevede, ad esempio, che l’istituzione interessata debba essere informata prima della trasmissione delle informazioni alle autorità giudiziarie nazionali. Essa contiene inoltre una deroga relativa ai casi in cui occorra mantenere la massima segretezza ai fini dell’indagine. In tal caso, l’OLAF può differire l’informazione. Risulta dagli atti che l’OLAF ha ritenuto che, quanto meno per quanto riguarda la pratica Datashop — Planistat, si trattasse di un caso che richiedeva la massima segretezza ai fini dell’indagine (v. nota del 3 aprile 2003, cit. al punto 23 supra). Va rilevato che rientra nella discrezionalità dell’OLAF decidere se occorra applicare tale deroga.

160

Nella specie, si deve constatare che l’OLAF non era tenuto a informare la Commissione prima di trasmettere informazioni alle autorità giudiziarie nazionali ai sensi dell’art. 4, n. 5, del regolamento n. 1073/1999.

161

Pertanto, l’OLAF non ha violato gli artt. 4 e 10 del regolamento n. 1073/1999 per non avere informato la Commissione prima di trasmettere le informazioni alle autorità giudiziarie nazionali.

162

In ogni caso, i ricorrenti non hanno dimostrato in quale modo il fatto che la Commissione non sia stata informata prima della trasmissione delle informazioni alle autorità giudiziarie nazionali avrebbe leso i loro diritti, fatte salve le considerazioni svolte in ordine all’applicazione dell’art. 4 della decisione 1999/396. Va infatti rilevato che le disposizioni menzionate al punto precedente non contengono norme giuridiche che conferiscono diritti ai singoli di cui il giudice comunitario deve garantire il rispetto.

— Informazione del comitato di vigilanza dell’OLAF

163

I ricorrenti fanno valere che neppure il comitato di vigilanza dell’OLAF è stato informato prima della trasmissione di informazioni alle autorità giudiziarie lussemburghesi e francesi.

164

A tale riguardo il Tribunale ricorda che, ai sensi dell’art. 11, n. 7, del regolamento n. 1073/1999, nell’ambito del controllo regolare sull’esecuzione della funzione di indagine da parte del comitato di vigilanza, «[i]l direttore [dell’OLAF] informa il comitato dei casi che rendono necessaria la trasmissione di informazioni alle autorità giudiziarie di uno Stato membro». Si deve rilevare che dal tenore letterale di tale disposizione emerge che detta informazione dev’essere fornita prima della trasmissione. Infatti, se così non fosse, essa non riguarderebbe «casi che rendono necessaria la trasmissione di informazioni», espressione che rinvia a un evento futuro. Questa interpretazione è corroborata anche dalla dichiarazione resa dal presidente del comitato di vigilanza dell’OLAF dinanzi alla House of Lords Select Committee on the European Union (Commissione speciale sull’Unione europea della Camera dei Lord del Regno Unito) il 19 maggio 2004, in cui egli ha affermato che «[l]’OLAF [aveva] l’obbligo di informare il comitato [di vigilanza] prima di trasmettere alcunché a un’autorità giudiziaria».

165

Risulta dalla risposta della Commissione al quesito scritto del Tribunale che il direttore generale dell’OLAF ha informato il comitato di vigilanza in merito alla trasmissione dei fascicoli Eurocost ed Eurogramme alle autorità giudiziarie lussemburghesi il 25 ottobre 2002, vale a dire successivamente alla trasmissione effettuata il 4 luglio 2002. Del pari, il comitato di vigilanza è stato informato il 24 marzo 2003 della trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi, ossia, anche in questo caso, successivamente alla trasmissione effettuata il 19 marzo 2003.

166

Pertanto, l’OLAF ha violato l’art. 11, n. 7, del regolamento n. 1073/1999. Tuttavia, occorre ancora esaminare se si tratti di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli di cui il giudice comunitario deve garantire il rispetto.

167

A tale riguardo va ricordato che anche se, a norma dell’art. 11, n. 1, del regolamento n. 1073/1999, il comitato di vigilanza dell’OLAF non interferisce nello svolgimento delle indagini in corso, conformemente all’art. 2 del suo regolamento interno, esso «vigila acciocché le attività dell’OLAF siano espletate nel pieno rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché in conformità dei trattati e del diritto derivato, in particolare del protocollo sui privilegi e le immunità e dello statuto dei funzionari».

168

Tale comitato ha dunque il compito di tutelare i diritti delle persone sottoposte alle indagini dell’OLAF. È quindi innegabile che l’obbligo di consultare tale comitato prima di trasmettere informazioni alle autorità giudiziarie nazionali sia inteso a conferire diritti agli interessati.

169

Di conseguenza, si deve ritenere che, violando l’art. 11, n. 7, del regolamento n. 1073/1999, l’OLAF abbia violato una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli.

170

Inoltre, dato che l’art. 11, n. 7, del regolamento n. 1073/1999 prevede che l’informazione del comitato di vigilanza costituisce un obbligo incondizionato e non lascia alcun margine di discrezionalità, si tratta di una violazione sufficientemente qualificata.

L’influenza esercitata sulle autorità giudiziarie nazionali

171

I ricorrenti fanno valere che l’OLAF ha «orientato» le autorità giudiziarie francesi, dando anzitempo una qualifica penale a fatti che aveva ritenuto di poter individuare nel caso Eurostat, il che sarebbe incompatibile con la sua funzione, consistente nell’effettuare indagini amministrative.

172

Il Tribunale ricorda che il seguito che le autorità nazionali riservano alle informazioni loro trasmesse dall’OLAF è rimesso esclusivamente ed interamente alla loro responsabilità. Spetta pertanto a tali autorità verificare esse stesse se siffatte informazioni giustifichino o impongano l’avvio di procedimenti penali. Di conseguenza, la tutela giurisdizionale nei confronti di siffatti procedimenti deve essere assicurata a livello nazionale con tutte le garanzie previste dal diritto interno, ivi comprese quelle derivanti dai diritti fondamentali che, facendo parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, devono del pari essere rispettati dagli Stati membri quando danno esecuzione ad una normativa comunitaria [sentenze della Corte 13 luglio 1989, causa 5/88, Wachauf, Racc. pag. 2609, punto 19; 10 luglio 2003, cause riunite C-20/00 e C-64/00, Booker Aquaculture e Hydro Seafood, Racc. pag. I-7411, punto 88, e ordinanza del presidente della Corte 19 aprile 2005, causa C-521/04 P(R), Tillack/Commissione, Racc. pag. I-3103, punto 38].

173

Pertanto, l’argomento dei ricorrenti relativo all’influenza esercitata sulle autorità giudiziarie nazionali è inoperante.

2. Sulla divulgazione delle informazioni da parte dell’OLAF

a) Argomenti delle parti

174

I ricorrenti contestano all’OLAF di avere violato l’obbligo di riservatezza, sancito in particolare dagli artt. 8 e 12 del regolamento n. 1073/1999, il principio di buona amministrazione e il principio della presunzione di innocenza. Infatti, da un lato, vi sarebbero state fughe di notizie relative alla trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi. I ricorrenti avrebbero appreso dalla stampa, nel maggio 2003, delle accuse loro rivolte e del fatto che erano state adite le autorità giudiziarie francesi.

175

Dall’altro lato, tali fughe di notizie sarebbero proseguite. Secondo i ricorrenti, esse riguardano elementi inclusi nella relazione e comunicati alle autorità giudiziarie nazionali, o direttamente collegati agli incontri avuti dai ricorrenti con gli inquirenti dell’OLAF tra il 23 giugno e il 4 luglio 2003. La loro origine sarebbe quindi ben determinata. Le spiegazioni fornite dinanzi agli inquirenti dell’OLAF sarebbero apparse il giorno successivo o alcuni giorni dopo, trascritte praticamente parola per parola, sulla stampa.

176

Anche la trasmissione al presidente della Commissione della «sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse», effettuata dall’OLAF il 24 settembre 2003, costituirebbe una violazione dell’obbligo di riservatezza. Tale documento non sarebbe stato comunicato ai ricorrenti e il direttore generale dell’OLAF avrebbe dovuto sapere che esso sarebbe stato utilizzato pubblicamente dal presidente della Commissione il giorno seguente e che il giorno prima era stato pubblicamente divulgato presso il Parlamento.

177

Inoltre, l’OLAF avrebbe indicato pubblicamente i ricorrenti — anche attraverso fughe di notizie sui giornali — quali responsabili di una serie di illeciti penali, il che avrebbe indotto a credere alla loro colpevolezza e avrebbe compromesso la valutazione dei fatti da parte del giudice francese, violando così la presunzione di innocenza. Il direttore generale dell’OLAF avrebbe reso dichiarazioni alla stampa e dinanzi alla Cocobu in cui avrebbe definito il caso grave e serio, dichiarazioni che avrebbero quindi contenuto un giudizio sul caso, mentre le indagini sarebbero state ancora in corso. Pertanto, l’OLAF non avrebbe rispettato neppure l’obbligo di riservatezza.

178

La Commissione contesta gli argomenti dei ricorrenti e rileva che incombe a loro dimostrare la veridicità dell’accusa o dell’imputazione gravemente lesiva dell’onorabilità dell’OLAF che hanno formulato.

179

Per quanto riguarda la trasmissione della «sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse» del 24 settembre 2003, la Commissione fa riferimento all’art. 10 del regolamento n. 1073/1999 e rileva che, anche se si trattava di un’indagine esterna, l’OLAF avrebbe potuto trasmettere tali informazioni anche alla Commissione, dato che quest’ultima era interessata sotto il profilo della tutela degli interessi finanziari della Comunità.

180

Infine, la Commissione sostiene che la censura relativa alla violazione della presunzione d’innocenza è priva di qualsiasi fondamento. Infatti, l’OLAF non potrebbe adottare alcuna decisione di carattere giudiziario o disciplinare nei confronti dei ricorrenti, in quanto non sarebbe un organo giudiziario né disciplinare. Quand’anche altre autorità pubbliche avessero violato la presunzione di innocenza, i ricorrenti non avrebbero spiegato in quali occasioni l’OLAF li abbia pubblicamente indicati quali colpevoli di una serie di illeciti penali.

b) Giudizio del Tribunale

Sulle fughe di notizie

181

Secondo i ricorrenti, da un lato, vi sarebbe stata una fuga di notizie riguardanti la trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi. Dall’altro, tali fughe di notizie sarebbero continuate.

182

Il Tribunale ricorda che, secondo la giurisprudenza, incombe al ricorrente, nell’ambito di un ricorso per risarcimento, dimostrare che sussistono tutte le condizioni cui è subordinato il sorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità ai sensi dell’art. 288, secondo comma, CE (sentenze del Tribunale 19 marzo 2003, causa T-273/01, Innova Privat-Akademie/Commissione, Racc. pag. II-1093, punto 23, e 17 dicembre 2003, causa T-146/01, DLD Trading/Consiglio, Racc. pag. II-6005, punto 71). Pertanto, poiché nella specie i ricorrenti non hanno dimostrato che la pubblicazione di informazioni relative all’indagine di cui erano stati oggetto era conseguente a una divulgazione di informazioni imputabile all’OLAF, tale pubblicazione, in linea di principio, non può essere contestata a quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza Nikolaou/Commissione, cit. al punto 153 supra, punto 141).

183

Questa regola, tuttavia, subisce un’attenuazione quando l’evento dannoso potrebbe essere stato provocato da cause diverse e l’istituzione comunitaria non abbia prodotto alcun elemento di prova che consenta di stabilire a quale di tali cause sia imputabile l’evento, malgrado che la medesima istituzione si trovasse nella posizione migliore per fornire prove al riguardo, motivo per cui la residua incertezza dev’essere posta a suo carico (v., in tal senso, sentenze della Corte 8 ottobre 1986, cause riunite 169/83 e 136/84, Leussink-Brummelhuis e a./Commissione, Racc. pag. 2801, punti 16 e 17). È necessario adottare tale approccio per esaminare se i ricorrenti abbiano dimostrato che talune informazioni erano state divulgate dall’OLAF o da uno dei suoi agenti, fatta salva, in questa fase, la valutazione del Tribunale in ordine alla questione se le eventuali divulgazioni costituiscano atti illeciti commessi dall’OLAF (v., in tal senso, sentenza Nikolaou/Commissione, cit. al punto 153 supra, punto 142).

— Sull’esistenza e sul contenuto delle fughe di notizie

184

Si deve rilevare che, nel caso di specie, l’esistenza di fughe di notizie dev’essere considerata un fatto notorio. Infatti, la stessa Commissione ha ammesso in udienza che «vi [era] stata una comunicazione alle autorità giudiziarie nazionali, [che] vi [erano] sicuramente state, in una o più occasioni, fughe di notizie che, alcune settimane dopo, [erano] apparse sui giornali». Nonostante tale generica ammissione in merito all’esistenza di fughe di notizie, la Commissione insiste sul fatto che incombe ai ricorrenti dimostrare che si siano verificate fughe di notizie dall’OLAF. I ricorrenti ammettono di non disporre di prove scritte del fatto che questa o quella persona fosse all’origine delle fughe di notizie, ma sostengono che da un complesso di indizi e di presunzioni emerge che talune fughe di notizie provenivano dall’OLAF.

185

A tale riguardo, occorre constatare che il resoconto integrale dell’intervento del segretario generale della Commissione dinanzi al comitato di vigilanza dell’OLAF del 3 settembre 2003 dà atto dell’esistenza di fughe di notizie. Occorre citare un passaggio di tale resoconto integrale, di cui la Commissione aveva chiesto lo stralcio dagli atti, che dimostra l’esistenza di difficoltà:

«Sui problemi relativi alle audizioni delle persone, sono perfettamente d’accordo, effettivamente c’è un problema. Va tutto bene se si mantiene la riservatezza. Se davvero c’è la riservatezza, un fascicolo predisposto dall’OLAF viene trasmesso alla procura e spetta alla procura valutare se si debbano [o meno] sentire le persone. Tutto questo va benissimo se non ci sono fughe di notizie. Purtroppo, per il momento, [dall’]OLAF filtra di tutto. Dunque, la presunt[a] riservatezza: io sono il [sig. Franchet o sig. Byk] e [leggo] sul Financial Times di essere accusato di avere saccheggiato fondi comunitari. Scusatemi, ma la vostra reputazione è distrutta. Non c’è niente da fare, anche se fossero poi completamente scagionate, quelle persone sono distrutte, professionalmente e anche personalmente. Quindi, è una questione seria. È in gioco la carriera, la vita privata, l’integrità delle persone. Perciò, secondo me, fintantoché non si riescono a evitare le fughe di notizie, si deve fare molta attenzione a ciò che si scrive e si dice, bisogna essere molto prudenti».

186

Inoltre, secondo la nota della segreteria del comitato di vigilanza dell’OLAF del 27 maggio 2003, inviata all’attenzione del presidente del comitato di vigilanza:

«Vari articoli apparsi soprattutto sui giornali tedeschi e successivamente su quelli francesi davano notizia della trasmissione delle informazioni da parte dell’OLAF al Procuratore della Repubblica di Parigi.

Sembra che le fughe di notizie sulla stampa tedesca siano avvenute proprio in coincidenza con gli spostamenti in Germania di alcuni responsabili dell’OLAF, nonché con le celebrazioni per il [50o] anniversario di Eurostat.

L’articolo qui allegato del quotidiano Libération, pubblicato il 22 maggio 2003, sembrerebbe essere stato scritto esclusivamente sulla base della comunicazione trasmessa dall’OLAF al Procuratore della Repubblica di Parigi. L’articolo è firmato da due giornalisti inviati a Bruxelles, il che lascia pensare che la fuga di notizie abbia avuto origine a Bruxelles, e non a Parigi».

187

Analogamente, secondo la relazione del comitato di vigilanza dell’OLAF del 15 gennaio 2004, redatta su richiesta del Parlamento e concernente questioni procedurali sollevate dalle indagini relative a Eurostat:

«Questo caso è stato segnato dalla divulgazione alla stampa e alle istituzioni da parte dell’OLAF, intenzionalmente o meno, di informazioni e dichiarazioni che, mettendo in discussione i diritti individuali delle persone sottoposte ad indagine, ma anche il corretto svolgimento dell’indagine stessa, avrebbero dovuto essere trattate come informazioni riservate».

188

Risulta inoltre dalla nota del 1o luglio 2003 (v. supra, punto 34) che le fughe di notizie erano un fatto acquisito per il direttore generale dell’OLAF, dato che questi aveva affermato quanto segue: «Quanto alle fughe di notizie, è in corso un’indagine del servizio di sicurezza della Commissione».

189

Pertanto, si deve rilevare che l’esistenza di fughe di notizie è già sufficientemente dimostrata sulla base dei documenti sopra citati.

190

Nella loro risposta a un quesito scritto del Tribunale, i ricorrenti precisano che le informazioni e i termini utilizzati nella lettera e nella nota dell’OLAF del 19 marzo 2003 costituiscono il fondamento di una prima serie di articoli o di prese di posizione pubbliche di media o di deputati europei, che evidentemente avevano avuto accesso a tali documenti. A tale riguardo, i ricorrenti citano vari articoli di stampa.

191

Nelle sue osservazioni in merito alla risposta dei ricorrenti, la Commissione nega che gli articoli di stampa prodotti provino l’esistenza di fughe di notizie, in particolare dall’OLAF, e rileva che si tratta di un’asserzione non dimostrata. Essa fa valere che tali articoli non consentono assolutamente di affermare che l’OLAF sia all’origine delle fughe di notizie relative alla trasmissione effettuata il 19 marzo 2003 alle autorità giudiziarie francesi o a qualsiasi altro fatto.

192

In proposito, il Tribunale osserva che gli articoli di stampa prodotti dai ricorrenti confermano l’esistenza delle fughe di notizie. Essi contengono riferimenti, in particolare, a una «fonte ben informata», nonché citazioni dirette della lettera e della nota del 19 marzo 2003 inviate alle autorità giudiziarie francesi.

193

Occorre ancora citare alcuni di tali articoli, per esaminare più nel dettaglio il contenuto delle fughe di notizie.

194

Secondo un articolo apparso sulla Süddeutsche Zeitung del 26 aprile 2003:

«Dovrebbe essere un giorno di festa. Il 16 maggio, l’Ufficio statistico delle Comunità europee compirà 50 anni (…)

Tuttavia, la festa potrebbe essere meno grandiosa del previsto. Alla vigilia di questo importante anniversario, la dirigenza di Eurostat è nel mirino delle critiche. Secondo informazioni pervenute alla Süddeutsche Zeitung, da alcuni controlli interni emergono gravi accuse. Si tratta di “fondi neri” che sarebbero stati sottratti dal bilancio di organismi finanziati dall’Unione europea. L’OLAF (…) indaga attivamente da mesi sulla questione.

(…) Dal 1999 al più tardi, sono stati sottratti dai bilanci ufficiali almeno 900000 euro — provenienti dalle entrate dei “Data Shop”. Si sospetta che alti funzionari si siano appropriati di somme prelevate da questi fondi neri.

Si sa ancora troppo poco sui dettagli. Fino a prova contraria, si deve presumere che tutti gli interessati siano innocenti. Qualora le accuse persistessero, saremmo in presenza di una frode particolarmente audace. (…)

I sospetti investono anche la direzione, con a capo il francese Yves Franchet. Franchet è uno dei fondatori della società Eurocost, che da molto tempo riceve aiuti economici dall’Ufficio statistico. Come segnalava il Parlamento europeo nel mese di marzo, Eurocost è accusata in particolare di avere manipolato il proprio bilancio. (…)

Con questa nuova accusa di fondi neri, il caso Eurostat potrebbe avere sviluppi imprevisti. Secondo la deputata europea S., “Se questa grave accusa fosse confermata, il caso assumerebbe una nuova dimensione” (…)».

195

Il 16 maggio 2003 è stato pubblicato sul Financial Times un altro articolo secondo cui:

«Il pubblico ministero francese ha aperto un’indagine penale su una presunta “vasta operazione di saccheggio” di fondi dell’Unione europea, che coinvolge i due principali dirigenti di Eurostat (…)

(…)

L’annuncio di un’indagine penale è giunto nel bel mezzo dei cinque giorni di celebrazione del 50o anniversario di Eurostat (…)

Si tratta per il momento di un’indagine preliminare nei confronti di ignoti avviata dal Tribunale di Parigi, a seguito di un’indagine condotta dall’OLAF (…) su due alti funzionari francesi, Yves Franchet, da molto tempo direttore generale di Eurostat, e Daniel Byk, direttore di una delle sei direzioni di Eurostat.

Secondo il fascicolo trasmesso dall’OLAF alle autorità francesi, si sospetta che il 1[9] marzo i due abbiano aperto un conto presso una banca di depositi a Lussemburgo, in cui sarebbero stati accumulati fino a 900000 euro prelevati da fondi che sarebbero dovuti pervenire a Eurostat.

(…)».

196

In un altro articolo redatto dallo stesso giornalista a Bruxelles, si fa riferimento a «[u]n’indagine penale avviata dal pubblico ministero francese in merito a pesanti accuse a carico di Yves Franchet, direttore generale, e Daniel Byk, uno dei direttori dell’istituzione», che erano «sospettati di essere coinvolti nell’apertura di un conto bancario presso una banca di depositi di Lussemburgo, che sfuggiva alla vigilanza dei controllori finanziari». Tale articolo fa inoltre riferimento alle pratiche Eurocost, Eurogramme e CESD Communautaire.

197

Inoltre, secondo un articolo apparso su La Voix du Luxembourg il 16 maggio 2003, «secondo un’indagine approfondita e fonti ben informate, risulta che il caso vada ben al di là di questo» e che «è dimostrato che, in una lettera inviata il 19 marzo al Procuratore della Repubblica del Tribunale di Parigi, il direttore generale dell’[OLAF] denuncia l’attuazione di “atti fraudolenti che hanno causato pregiudizio al bilancio comunitario e di eventuale rilievo penale”». Si deve rilevare che tale articolo contiene citazioni dirette della lettera e della nota del 19 marzo 2003 inviate alle autorità giudiziarie francesi.

198

Risulta quindi da tali articoli che, molto probabilmente, la stampa era in possesso di alcune informazioni relative alla trasmissione di informazioni alle autorità giudiziarie francesi. In tali articoli si fa riferimento ai «fondi neri» e i ricorrenti vengono menzionati in particolare quali possibili organizzatori dell’intero sistema o di parte di esso.

199

Inoltre, il 14 maggio 2003 il sig. Franchet ha inviato al segretario generale della Commissione una lettera anonima che gli era pervenuta e che è stata spedita, secondo lui, a un giornale lussemburghese. Va rilevato che tale lettera anonima, il cui oggetto è intitolato «50o anniversario di Eurostat», contiene alcuni estratti della lettera e della nota del 19 marzo 2003 inviate alle autorità giudiziarie francesi e menziona esplicitamente i nomi dei ricorrenti. Si deve inoltre rilevare che tali estratti sono gli stessi riportati nell’articolo pubblicato su La Voix du Luxembourg, citato supra, al punto 197.

200

Inoltre, da una dichiarazione del 16 maggio 2003 relativa a Eurostat, diffusa con il comunicato stampa del 19 maggio 2003 (IP/03/709) e prodotta dai ricorrenti in risposta a un quesito scritto del Tribunale, risulta che la Commissione aveva «deplora[to] la violazione della riservatezza di tale indagine dell’OLAF, che determina[va] una situazione difficile, anzitutto per i funzionari menzionati nei media, ma anche per la Commissione, che non [poteva] decidere quali provvedimenti adottare fino a che non [fosse] entrata in possesso delle necessarie informazioni provenienti dall’indagine dell’OLAF». Essa constatava in tale comunicato che «sui media circola[vano] informazioni (…) relative a presunte irregolarità legate ai “datashop” di Eurostat e al possibile coinvolgimento di [alcuni suoi] funzionari» e che «[t]ali affermazioni (…) [erano] (…) oggetto di un’indagine dell’OLAF, che [aveva] trasmesso al Pubblico ministero francese un fascicolo concernente alcuni aspetti della stessa».

201

Sulla base di questo complesso di documenti occorre quindi rilevare che, in generale, vi sono state fughe di notizie e che i ricorrenti hanno appreso dalla stampa della trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi, circostanza che la Commissione non contesta.

202

Per quanto riguarda l’imputabilità di tali fughe di notizie all’OLAF, in risposta a un quesito del Tribunale, la Commissione ha affermato che, poiché le informazioni contenute nel fascicolo trasmesso alle autorità giudiziarie francesi erano state comunicate al comitato di vigilanza dell’OLAF e al servizio giuridico della stessa Commissione prima che apparissero sui giornali, non si poteva dimostrare con certezza che le notizie provenissero dall’OLAF. A tale riguardo, il Tribunale ritiene sufficiente constatare che un’eventuale fuga di notizie dal comitato di vigilanza dell’OLAF sarebbe imputabile all’OLAF e che, in ogni caso, anche se le fughe di notizie provenissero dal servizio giuridico della Commissione, la Comunità sarebbe parimenti responsabile.

203

Pertanto, dal momento che la Commissione non ha neppure invocato la possibilità che la fonte delle fughe di notizie potesse essere di natura non comunitaria, quali le autorità giudiziarie francesi, il fatto che le informazioni potessero essere note a tali autorità non comunitarie non impedisce di presumere che la loro fonte fosse l’OLAF o un’altra fonte di cui la Comunità deve rispondere.

204

Si deve quindi ritenere accertata l’esistenza di fughe di notizie per quanto riguarda la trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi. Inoltre, tutti gli indizi che emergono dagli atti e dal loro contesto (v. l’analisi dei vari documenti svolta in precedenza) consentono di concludere che la fonte delle fughe di notizie è l’OLAF e, in mancanza di indizi nel senso che la fonte sarebbe invece il servizio giuridico della Commissione, si deve presumere che la fonte di tali fughe di notizie sia proprio l’OLAF.

205

Per quanto attiene alle presunte fughe di notizie sugli incontri svoltisi tra i ricorrenti e gli inquirenti dell’OLAF tra il 23 giugno e il 4 luglio 2003 o quelle relative alle relazioni, occorre rilevare che dai documenti sopra esaminati non emerge chiaramente che vi siano state fughe di notizie relative ai suddetti incontri o alle suddette relazioni. I ricorrenti non sono riusciti a dimostrarlo neppure attraverso gli articoli di stampa che hanno prodotto. Pertanto, l’esistenza di tali eventuali fughe di notizie non è stata sufficientemente dimostrata.

206

In base a quanto precede si deve concludere che, in mancanza di qualsiasi elemento di prova prodotto dalla Commissione e atto a dimostrare che le fughe di notizie potrebbero avere un’origine diversa, l’OLAF è responsabile delle fughe di notizie relative alle informazioni contenute nella lettera e nella nota del 19 marzo 2003 concernenti la trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi e che tali informazioni sono apparse sulla stampa a seguito di tali fughe di notizie.

207

Occorre quindi esaminare se l’OLAF abbia violato una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli.

— Analisi delle pretese violazioni di norme giuridiche che conferiscono diritti ai singoli eventualmente derivanti dalla divulgazione di informazioni da parte dell’OLAF

208

I ricorrenti lamentano, in particolare, la violazione dell’obbligo di riservatezza delle indagini dell’OLAF, la violazione del principio di buona amministrazione e la violazione del principio della presunzione di innocenza.

209

Per quanto riguarda il principio della presunzione di innocenza, il Tribunale ricorda che tale principio, che costituisce un diritto fondamentale, enunciato all’art. 6, n. 2, della CEDU e all’art. 48, n. 1, della Carta, attribuisce ai singoli diritti di cui il giudice comunitario garantisce il rispetto (sentenza del Tribunale 4 ottobre 2006, causa T-193/04, Tillack/Commissione, Racc. pag. II-3995, punto 121).

210

Secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), l’art. 6, n. 2, della CEDU riguarda l’intero procedimento penale, a prescindere dal suo esito, e non solo l’esame della fondatezza dell’accusa. Tale disposizione garantisce che nessuno sarà indicato né trattato quale colpevole di un reato prima che la sua colpevolezza sia stata accertata da un giudice. Pertanto, essa impone in particolare che i membri di un tribunale, nell’esercizio delle loro funzioni, non partano dall’idea preconcetta che l’imputato ha commesso il fatto contestatogli. Ledono la presunzione di innocenza le dichiarazioni o decisioni che riflettano la sensazione che l’imputato sia colpevole e inducano il pubblico a credere alla sua colpevolezza, o pregiudichino la valutazione dei fatti da parte del giudice competente (v. sentenza della Corte eur. D.U. Pandy c. Belgio del 21 settembre 2006, §§ 41-42).

211

La Corte EDU ha inoltre dichiarato che il principio della presunzione di innocenza sancito dall’art. 6, n. 2, della CEDU, pur figurando tra gli elementi del giusto processo penale prescritto dall’art. 6, n. 1, della CEDU, non costituisce solo una garanzia processuale in materia penale: esso ha una portata più ampia e implica che nessun rappresentante dello Stato dichiari che una persona è colpevole di un’infrazione prima che la sua colpevolezza sia stata accertata da un giudice (v. sentenza della Corte eur. D.U. Y.B. e a. c. Turchia del 28 ottobre 2004, § 43). Infatti, nella sentenza Allenet de Ribemont c. Francia del 10 febbraio 1995 (serie A n. 308, §§ 35-36), invocata dai ricorrenti, la Corte EDU aveva già considerato, dopo avere ricordato che la CEDU dev’essere interpretata in modo da garantire diritti concreti ed effettivi, e non teorici e illusori, che le violazioni della presunzione di innocenza possono essere commesse non solo da un giudice o da un tribunale, ma anche da altre autorità pubbliche. A tale riguardo, la Corte EDU ha sottolineato l’importanza della scelta dei termini da parte dei rappresentanti dello Stato nelle dichiarazioni che essi formulano prima che una persona sia stata giudicata e riconosciuta colpevole di un reato. Ciò che rileva ai fini dell’applicazione dell’art. 6, n. 2, della CEDU è il significato reale delle dichiarazioni in questione, e non la loro forma letterale. Tuttavia, la questione se la dichiarazione di un pubblico ufficiale costituisca una violazione del principio della presunzione di innocenza deve essere chiarita nel contesto delle circostanze particolari in cui è stata formulata la dichiarazione controversa (sentenza Y.B. e a. c. Turchia, cit., § 44).

212

Inoltre, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha ammesso che l’art. 6, n. 2, della CEDU non può impedire alle autorità, visto l’art. 10 della stessa, che garantisce la libertà di espressione, di informare il pubblico in merito a indagini penali ancora in corso, ma impone che lo facciano con tutta la discrezione e la riservatezza che il rispetto della presunzione di innocenza richiede (sentenze Allenet de Ribemont c. Francia, cit. al punto 211 supra, § 38, e Y.B. e a. c. Turchia, cit. al punto 211 supra, § 47).

213

Tale principio trova il suo corollario nell’obbligo di riservatezza incombente all’OLAF ai sensi dell’art. 8, n. 2, del regolamento n. 1073/1999.

214

Del pari, si è dichiarato che, in forza del dovere di sollecitudine e del principio di buona amministrazione, l’istituzione interessata deve, da un lato, evitare di fornire alla stampa informazioni atte a recare pregiudizio al funzionario di cui trattasi e, dall’altro, disporre tutte le misure necessarie per impedire all’interno dell’istituzione qualsiasi forma di diffusione di informazioni che potrebbero avere carattere diffamatorio nei suoi confronti (v. ordinanza del presidente del Tribunale 12 dicembre 1995, causa T-203/95 R, Connolly/Commissione, Racc. pag. II-2919, punto 35).

215

Nella specie, i ricorrenti fanno valere che l’OLAF li ha indicati pubblicamente — anche attraverso fughe di notizie pervenute alla stampa — quali responsabili di una serie di reati, il che avrebbe indotto a credere alla loro colpevolezza e avrebbe compromesso la valutazione dei fatti da parte del giudice francese, violando così il principio della presunzione di innocenza.

216

Si deve ricordare che, ad esempio, nell’articolo di stampa del 16 maggio 2003 pubblicato sul Financial Times, citato supra, al punto 195, si afferma chiaramente, sulla base di informazioni pervenute con tutta probabilità attraverso fughe di notizie provenienti dall’OLAF, che i ricorrenti potrebbero avere compiuto una «vasta operazione di saccheggio di fondi comunitari». È evidente che tale dichiarazione lede il principio della presunzione di innocenza e riflette la sensazione che i ricorrenti siano colpevoli, inducendo il pubblico a credere alla loro colpevolezza.

217

Pertanto, lasciando filtrare informazioni che contenevano già in sé stesse questa dichiarazione, l’OLAF ha violato il principio della presunzione di innocenza. Inoltre, con tali fughe di notizie, esso ha violato l’obbligo di riservatezza delle indagini e, provocando la divulgazione alla stampa di elementi sensibili delle indagini, ha leso l’interesse a una buona amministrazione nella misura in cui ha consentito al grande pubblico di accedere, a indagini in corso, a informazioni riservate dell’amministrazione.

218

Come si è già rilevato supra, il principio della presunzione di innocenza conferisce diritti ai singoli. Si deve rilevare che, allo stesso modo, l’obbligo di riservatezza conferisce diritti ai singoli sottoposti a un’indagine dell’OLAF, in quanto essi hanno il diritto di attendersi che le indagini a loro carico vengano svolte nel rispetto dei loro diritti fondamentali. Del pari, i ricorrenti hanno il diritto di far valere, nel caso di specie, il principio di buona amministrazione, laddove esso implica il diritto a che le indagini che li riguardano vengano effettuate nel rispetto della riservatezza.

219

Occorre rilevare che si tratta di violazioni sufficientemente qualificate di tali norme giuridiche, dato che spetta all’OLAF vigilare affinché non si verifichino tali fughe di notizie, che ledono i diritti fondamentali degli interessati, quale la presunzione di innocenza, e l’amministrazione non dispone di alcun margine di discrezionalità nell’adempimento di tale obbligo.

Sull’invio del 24 settembre 2003

220

I ricorrenti fanno valere che l’OLAF ha violato l’obbligo di riservatezza per avere trasmesso al presidente della Commissione, in data 24 settembre 2003, la «sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse».

221

Tale sintesi è stata inviata al presidente della Commissione dal direttore generale dell’OLAF. Secondo la nota di trasmissione, quest’ultimo gli ha trasmesso «una breve sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse che potrebbero essere oggetto di eventuale divulgazione». Inoltre, il direttore generale ha precisato che «questa nota di sintesi non [poteva] in alcun modo essere considerata come una relazione finale di indagine ai sensi del regolamento n. 1073/1999». Infine, egli ha osservato che «questo documento di lavoro, di portata generale, [era] inteso solo a porre in evidenza le principali conclusioni tratte dalle indagini svolte». La stessa sintesi specifica per ciascuna pratica (Eurocost, Eurogramme, Datashop, Planistat e CESD Communautaire) l’oggetto dell’indagine nonché i risultati e le conclusioni della stessa.

222

A tale riguardo, è sufficiente ricordare che, ai sensi dell’art. 10, n. 3, del regolamento n. 1073/1999, l’OLAF può trasmettere in qualsiasi momento all’istituzione interessata le informazioni raccolte nel corso delle indagini interne. Peraltro, i ricorrenti adducono argomenti parzialmente contraddittori, dato che, da un lato, contestano all’OLAF di non avere trasmesso alcune informazioni alla Commissione e, dall’altro, gli contestano di averlo fatto per altre informazioni. Si deve inoltre ricordare che i ricorrenti erano già stati sentiti in merito a tali fascicoli durante le audizioni tenutesi a giugno e luglio 2003 e, pertanto, essi non possono affermare di non essere stati sentiti prima di detta trasmissione.

223

In ogni caso, dato che l’OLAF poteva legittimamente trasmettere tale documento alla Commissione, si deve rilevare che non lo si può ritenere responsabile dell’eventuale fatto che il presidente della Commissione abbia utilizzato pubblicamente il detto documento e che esso sia stato divulgato presso il Parlamento. Tale aspetto sarà ancora esaminato in prosieguo, nell’ambito della valutazione dell’eventuale comportamento illecito della Commissione.

Sulle prese di posizione del direttore generale dell’OLAF

224

I ricorrenti fanno valere che il direttore generale dell’OLAF ha preso posizione sul caso, definendolo grave e serio, sia sulla stampa che in occasione delle sue dichiarazioni dinanzi alla Cocobu.

225

Per quanto riguarda le pretese dichiarazioni alla stampa del direttore generale dell’OLAF, il Tribunale constata che i ricorrenti non ne hanno fornito la benché minima prova. Inoltre, non si è dimostrato in quale modo il fatto che il direttore generale dell’OLAF abbia dichiarato in un’intervista televisiva del 30 giugno 2003 che il caso Eurostat era un «caso grave» avrebbe violato la riservatezza del procedimento. In ogni caso, i ricorrenti non hanno prodotto elementi che consentano di verificare il contenuto delle dichiarazioni rilasciate alla televisione.

226

Anche per quanto riguarda le dichiarazioni rese dal direttore generale dell’OLAF dinanzi alla Cocobu il 30 giugno e il 16 luglio 2003, i ricorrenti non hanno spiegato perché il fatto che quest’ultimo abbia qualificato il caso Eurostat come «non normale» e «non classico» avrebbe violato la riservatezza del procedimento.

227

Tuttavia, i ricorrenti lamentano a tale riguardo anche la violazione del principio della presunzione di innocenza.

228

In proposito, si deve esaminare quanto affermato dal direttore generale dell’OLAF in occasione delle dichiarazioni dinanzi alla Cocobu. Secondo la nota del 1o luglio 2003, il direttore generale dell’OLAF, durante il suo intervento del 30 giugno 2003 dinanzi alla Cocobu, ha rilevato che «l’OLAF [avrebbe proseguito] l’indagine interna e che i sigg. Franchet e Byk [sarebbero stati] sentiti, ma non [sarebbe stato] possibile concludere l’indagine entro la fine di giugno». Egli ha inoltre affermato, «[q]uanto alla questione dei motivi per cui non [erano] stati adottati provvedimenti disciplinari, quale la sospensione, [di aver] reso note le esitazioni dell’OLAF ma [di aver] soprattutto osservato che l’OLAF non aveva voluto compromettere l’indagine interna suonando subito il campanello d’allarme». Ha peraltro rilevato che «i sigg. Franchet e Byk non hanno mai tentato di influire sull’indagine». Durante l’intervento del 16 luglio 2003 dinanzi alla Cocobu, il direttore generale dell’OLAF ha sottolineato «che il fatto che [fosse] implicato un direttore generale [era] del tutto eccezionale» e che «inizialmente tale elemento non era emerso». Ha poi sottolineato come «una relazione contabile interna non implicasse necessariamente l’esistenza di prove». Ha inoltre constatato che il sig. Franchet era stato informato dell’avvio dell’indagine e della comunicazione delle risultanze alle autorità giudiziarie lussemburghesi.

229

Si deve rilevare che, sebbene il direttore generale dell’OLAF abbia espressamente menzionato i ricorrenti in occasione degli interventi dinanzi alla Cocobu, non si può ritenere che egli abbia violato il principio della presunzione di innocenza. Infatti, le sue affermazioni erano piuttosto di natura informativa, segnatamente in risposta alle domande dei membri della Cocobu, anziché tali da indurre a credere alla colpevolezza dei ricorrenti.

230

Pertanto, l’OLAF non ha violato il principio della presunzione di innocenza sotto questo profilo.

3. Sui pretesi illeciti nella stesura e nella comunicazione delle note e delle relazioni finali

a) Argomenti delle parti

231

I ricorrenti si riferiscono alla decisione del Mediatore 3 luglio 2003, relativa alla denuncia contro l’OLAF, registrata con il numero 1625/2002/IJH, secondo cui il principio di buona amministrazione esige che le indagini amministrative dell’OLAF siano condotte «in maniera accurata, imparziale e oggettiva». Orbene, ciò non sarebbe accaduto nel caso di specie.

232

Infatti, l’OLAF avrebbe tratto conclusioni già in una nota del 1o luglio 2002 relativa alla pratica Eurocost, molto prima di istruire tale pratica e di sentire il sig. Franchet, che tuttavia sarebbe stato menzionato nella comunicazione trasmessa il 4 luglio 2002 alle autorità giudiziarie lussemburghesi.

233

Inoltre, né la «sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse» del 24 settembre 2003 né le relazioni finali dell’OLAF prenderebbero in considerazione gli elementi comunicati dai ricorrenti nel corso delle audizioni di giugno e luglio 2003 sulle pratiche Eurocost, Datashop — Planistat e CESD Communautaire. Del pari, l’OLAF non avrebbe spiegato i motivi per cui non li avrebbe presi in considerazione. Il semplice fatto di precisare che gli interessati negano la propria responsabilità non significherebbe che essi siano stati utilmente sentiti dagli inquirenti dell’OLAF.

234

Inoltre, l’OLAF non avrebbe sottoposto le sue conclusioni ai ricorrenti prima di redigere le relazioni finali, violando così nuovamente il loro diritto di essere sentiti.

235

I ricorrenti sottolineano che, secondo il decimo ‘considerando’ del regolamento n. 1073/1999, la conclusione di un’indagine può fondarsi unicamente su elementi aventi valore probatorio. Pertanto, l’OLAF, per formulare le sue conclusioni, dovrebbe tenere conto di tutti gli elementi raccolti e non potrebbe interpretarli in modo funzionale alla missione o allo scopo che si sarebbe prefissato.

236

Inoltre, l’OLAF avrebbe esercitato forti pressioni sulle autorità giudiziarie nazionali affinché perseguissero i ricorrenti. Infatti, la trasmissione da parte dell’OLAF alle autorità giudiziarie francesi delle relazioni finali sui casi CESD Communautaire e Datashop — Planistat sarebbe contraria all’art. 9, n. 4, del regolamento n. 1073/1999, posto che il seguito da dare alle relazioni finali sul piano disciplinare e giudiziario rientrerebbe nella competenza dell’istituzione interessata, e non in quella dell’OLAF.

237

La Commissione sottolinea, per quanto riguarda l’obbligo di condurre le indagini in modo accurato e imparziale, che l’OLAF può decidere esso stesso il momento in cui ritiene di dover trasmettere le informazioni raccolte durante un’indagine. La Commissione nega che gli inquirenti abbiano affermato di avere trasmesso le informazioni senza avere una piena ed esatta conoscenza di tutti i fatti cui tali informazioni si riferiscono. Gli stessi ricorrenti ammetterebbero di essere stati sentiti dagli inquirenti dell’OLAF. Tuttavia, questi ultimi avrebbero potuto sentirli solo a partire dal momento in cui lo consentiva lo stato dell’indagine, il che relativizzerebbe l’affermazione dei ricorrenti secondo cui essi sarebbero stati sentiti solo su loro richiesta.

238

Per quanto riguarda la mancata considerazione degli elementi comunicati dai ricorrenti all’OLAF durante le loro audizioni di giugno e luglio 2003, la Commissione rileva che i casi in questione sono ormai di competenza delle autorità giudiziarie francesi e lussemburghesi e che, pertanto, ritiene di non doversi pronunciare sul merito di tali casi nell’ambito del presente procedimento. In ogni caso, l’OLAF non sarebbe tenuto a condividere il punto di vista dei ricorrenti. Inoltre, la «sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse» preciserebbe che i funzionari interessati erano stati sentiti e negavano la propria responsabilità.

239

Quanto alle asserite pressioni dell’OLAF sulle autorità giudiziarie francesi, in relazione al fatto che sarebbe spettato alla Commissione e non all’OLAF trasmettere le relazioni di indagine conformemente all’art. 9, n. 4, del regolamento n. 1073/1999, la Commissione sottolinea che tale disposizione non impedisce affatto all’OLAF di inviare a titolo informativo la relazione finale di un’indagine interna a un’autorità giudiziaria nazionale, soprattutto se quest’ultima ha già ricevuto informazioni nel corso dell’indagine. Detta disposizione riserverebbe all’istituzione interessata il compito di dare alle risultanze di un’indagine interna il seguito che ritenga appropriato sul piano disciplinare e giudiziario.

b) Giudizio del Tribunale

240

In primo luogo, per quanto riguarda la nota del 1o luglio 2002, è sufficiente rilevare che essa non contiene alcun riferimento, neppure implicito, al sig. Franchet. In ogni caso, poiché il Tribunale ha già osservato che il sig. Franchet avrebbe dovuto essere sentito in merito alla trasmissione del fascicolo Eurocost alle autorità giudiziarie lussemburghesi, non occorre esaminare la questione se egli avrebbe dovuto essere sentito a proposito di tale nota, che faceva parte del fascicolo inviato a dette autorità.

241

In secondo luogo, per quanto riguarda l’asserita mancanza di considerazione degli elementi comunicati dai ricorrenti in fase di stesura delle relazioni finali, è sufficiente ricordare che i ricorrenti si limitano a svolgere ampi argomenti di fatto senza tuttavia produrre alcuna prova a loro sostegno. Inoltre non spetta al Tribunale riesaminare tali fascicoli. Peraltro, come rileva la Commissione, l’OLAF e i suoi inquirenti non sono affatto tenuti a condividere il punto di vista dei ricorrenti. Inoltre, nella «sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse» del 24 settembre 2003, si è sottolineato che i funzionari interessati, sentiti dai servizi dell’OLAF, avevano negato la propria responsabilità per i fatti loro addebitati, sostenendo in particolare di avere sempre agito nell’interesse della Commissione.

242

Inoltre, per quanto riguarda l’argomento dei ricorrenti secondo cui le conclusioni dell’indagine possono fondarsi unicamente su elementi aventi valore probatorio e, pertanto, l’OLAF dovrebbe prendere in considerazione tutti gli elementi raccolti, senza interpretarli in modo funzionale alla missione o all’obiettivo che si sarebbe prefissato, è sufficiente constatare che i ricorrenti non hanno minimamente dimostrato che le conclusioni dell’OLAF siano basate su elementi non probanti o che quest’ultimo si sia prefissato un determinato obiettivo.

243

Inoltre, per quanto riguarda la pretesa violazione dell’obbligo di motivazione, consistente nel fatto che l’OLAF non avrebbe spiegato i motivi per cui non avrebbe tenuto conto delle osservazioni dei ricorrenti, è sufficiente rilevare che, secondo una giurisprudenza costante, la violazione dell’obbligo di motivazione, sancito dall’art. 253 CE, non è atta di per sé a far sorgere la responsabilità della Comunità (sentenze della Corte 15 settembre 1982, causa 106/81, Kind/CEE, Racc. pag. 2885, punto 14; 6 giugno 1990, causa C-119/88, AERPO e a./Commissione, Racc. pag. I-2189, punto 20, e 30 settembre 2003, causa C-76/01 P, Eurocoton e a./Consiglio, Racc. pag. I-10091, punto 98; sentenze del Tribunale 18 settembre 1995, causa T-167/94, Nölle/Consiglio e Commissione, Racc. pag. II-2589, punto 57; 13 dicembre 1995, cause riunite T-481/93 e T-484/93, Exporteurs in Levende Varkens e a./Commissione, Racc. pag. II-2941, punto 104; 20 marzo 2001, causa T-18/99, Cordis/Commissione, Racc. pag. II-913, punto 79, e 6 dicembre 2001, causa T-43/98, Emesa Sugar/Consiglio, Racc. pag. II-3519, punto 63). Tale argomento va quindi respinto.

244

In ogni caso, l’obbligo di motivazione non implica che si debba esigere che vengano discussi tutti i punti di fatto e di diritto sollevati dagli interessati nel corso del procedimento (v., in tal senso, sentenza della Corte 17 gennaio 1984, cause riunite 43/82 e 63/82, VBVB e VBBB/Commissione, Racc. pag. 19, punto 22; sentenze del Tribunale 5 dicembre 2002, causa T-277/01, Stevens/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-253 e II-1273, punto 71, e 1o aprile 2004, causa T-198/02, N/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-115 e II-507, punto 109).

245

Pertanto, i ricorrenti non possono far valere il fatto che l’OLAF non ha tenuto conto di tutti gli elementi e di tutte le osservazioni da loro comunicati.

246

In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento dei ricorrenti secondo cui l’OLAF non avrebbe sottoposto loro le sue conclusioni prima di redigere le relazioni finali, violando così il loro diritto di essere sentiti, è sufficiente rilevare che i ricorrenti sono stati sentiti alla fine di giugno e all’inizio di luglio del 2003 in merito ai fascicoli in questione, vale a dire ben prima che l’OLAF redigesse tali relazioni, nel settembre 2003. Il diritto di essere sentiti non esigeva che l’OLAF sottoponesse le sue conclusioni ai ricorrenti.

247

In quarto luogo, per quanto concerne la trasmissione delle relazioni finali alle autorità giudiziarie nazionali e le pretese pressioni esercitate su queste ultime, si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 9, n. 4, del regolamento n. 1073/1999, la relazione redatta in seguito a un’indagine interna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi all’istituzione, all’organo o all’organismo interessato, che dà alle indagini interne il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano disciplinare e giudiziario e ne informa il direttore dell’OLAF.

248

Occorre inoltre ricordare che, a tenore dell’art. 10, n. 2, del regolamento n. 1073/1999, il direttore dell’OLAF trasmette alle autorità giudiziarie dello Stato membro interessato le informazioni raccolte dall’OLAF in occasione di indagini interne su fatti penalmente perseguibili.

249

Nella specie, l’OLAF aveva già trasmesso informazioni alle autorità giudiziarie francesi conformemente all’art. 10, n. 2, del regolamento n. 1073/1999. Si deve rilevare che l’art. 9, n. 4, del regolamento n. 1073/1999 non osta a che l’OLAF trasmetta a titolo informativo la relazione finale di un’indagine interna a un’autorità giudiziaria nazionale, soprattutto se quest’ultima ha già ricevuto informazioni nel corso delle indagini. L’art. 9, n. 4, di detto regolamento riserva all’istituzione interessata il compito di dare il seguito richiesto dalle risultanze ottenute da un’indagine interna sul piano disciplinare e giudiziario e di informarne il direttore dell’OLAF.

250

In ogni caso, i ricorrenti non sono riusciti a dimostrare che l’OLAF abbia effettivamente esercitato forti pressioni sulle autorità giudiziarie francesi.

251

Risulta da quanto precede che i ricorrenti non sono riusciti a dimostrare che l’OLAF abbia tenuto un comportamento illegittimo nel redigere e trasmettere le note e le relazioni finali, ad eccezione del comportamento illegittimo già constatato in sede di esame della trasmissione delle informazioni alle autorità giudiziarie lussemburghesi e francesi.

4. Sul negato accesso a taluni documenti

a) Argomenti delle parti

252

I ricorrenti sostengono che l’OLAF, rifiutando di trasmettere loro l’intero fascicolo, ha commesso un atto di cattiva amministrazione, oltre ad avere leso i loro diritti fondamentali. Infatti, nessun elemento della normativa pertinente giustificherebbe la mancata comunicazione del fascicolo istruttorio e, a fortiori, della relazione di indagine (esterna o interna) a una persona chiamata in causa dall’OLAF, indipendentemente dalla questione se l’indagine si sia conclusa in tutto o in parte.

253

Non si potrebbe riconoscere all’OLAF la facoltà di negare l’accesso ai suoi documenti per generici motivi attinenti alla tutela dell’efficacia e della riservatezza della missione affidatagli e alla sua autonomia. Poiché l’accesso ai documenti costituisce un diritto fondamentale, qualsiasi eventuale limitazione andrebbe interpretata in modo restrittivo.

254

La Commissione fa notare che l’OLAF non si è mai opposto illegittimamente a tale accesso, dato che non ha nessun obbligo in tal senso nella fase preliminare costituita dalla sua indagine. L’accesso al fascicolo sarebbe possibile solo in una fase successiva, nel caso in cui venisse dato seguito alle relazioni dell’OLAF, nell’ambito di un procedimento disciplinare e/o giudiziario. Inoltre, i documenti rilevanti sarebbero stati presentati ai ricorrenti nel corso delle loro audizioni in funzione delle domande che venivano loro rivolte.

b) Giudizio del Tribunale

255

Si deve ricordare che l’OLAF non è obbligato ad accordare a un funzionario comunitario che si presume essere coinvolto in un’indagine interna, prima dell’adozione di una decisione finale dell’APN che gli arrechi pregiudizio, l’accesso ai documenti oggetto di un’indagine siffatta o a quelli redatti dallo stesso OLAF in tale occasione; se così non fosse, si rischierebbe di compromettere l’efficacia e la riservatezza della missione affidata all’OLAF e l’indipendenza di tale organo. In particolare, il semplice fatto che una parte di un fascicolo di indagine riservato possa essere stata illecitamente divulgata alla stampa non giustifica di per sé una deroga, in favore del funzionario che si presume essere interessato, alla riservatezza di tale fascicolo e dell’indagine condotta dall’OLAF. Il rispetto dei diritti di difesa del funzionario in questione è sufficientemente garantito dall’art. 4 della decisione 1999/396 (ordinanza del Tribunale 18 dicembre 2003, causa T-215/02, Gómez-Reino/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-345 e II-1685, punto 65; sentenza Nikolaou/Commissione, cit. al punto 153 supra, punto 241).

256

Pertanto, l’art. 4 della decisione 1999/396 non obbliga l’OLAF a dare accesso ai documenti oggetto di un’indagine interna o a quelli redatti dallo stesso OLAF, in particolare perché un’interpretazione di tale articolo che gli imponesse un obbligo in tal senso ostacolerebbe i lavori di detto organo (sentenza Nikolaou/Commissione, cit. al punto 153 supra, punto 242).

257

Tale approccio non è in contrasto con il rispetto del diritto a una buona amministrazione, previsto dall’art. 41 della Carta, secondo cui tale diritto comprende il diritto di ogni individuo di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale. Pertanto, secondo tale principio, l’accesso al fascicolo può essere negato quando lo esiga il rispetto della riservatezza.

258

Dato che siffatta interpretazione esclude qualsiasi obbligo per l’OLAF di dare accesso al proprio fascicolo prima di avere adottato la relazione finale, si deve respingere l’argomento dei ricorrenti relativo all’accesso al fascicolo di indagine.

259

Per quanto riguarda l’accesso alla relazione finale, occorre constatare che nessuno degli obblighi risultanti dall’art. 4 della decisione 1999/396 riguarda tale questione. Quanto al principio del contraddittorio, l’esistenza di una sua violazione da parte dell’OLAF può essere dimostrata solo nel caso in cui la relazione finale venga pubblicata o sia seguita dall’adozione di un atto recante pregiudizio (v., in tal senso e per analogia, sentenza Nikolaou/Commissione, cit. al punto 153 supra, punti 267 e 268).

260

Nella specie, non si afferma che le relazioni siano state pubblicate senza prima essere comunicate ai ricorrenti. Laddove i destinatari delle relazioni finali, ossia la Commissione e le autorità giudiziarie francesi o lussemburghesi, avessero intenzione di adottare un atto del genere nei confronti dei ricorrenti sulla base delle relazioni finali, spetterebbe eventualmente a queste altre autorità, e non all’OLAF, concedere ai ricorrenti di consultare tali relazioni conformemente alle proprie norme di procedura (v., in tal senso, sentenza Nikolaou/Commissione, cit. al punto 153 supra, punto 269).

261

Si deve quindi ritenere che, nel caso di specie, l’OLAF non abbia commesso alcun illecito per quanto riguarda l’accesso alle relazioni finali.

262

In ogni caso, come emerge dal precedente punto 47, i ricorrenti hanno avuto accesso, su loro domanda, alle relazioni finali, ad eccezione della relazione finale sull’indagine relativa al caso Planistat, che riguarda la parte esterna della pratica Datashop — Planistat.

5. Sul trattamento del caso Eurostat entro un termine ragionevole e sulla violazione degli artt. 6 e 11 del regolamento n. 1073/1999

a) Argomenti delle parti

263

I ricorrenti contestano all’OLAF il fatto che le indagini siano sfociate in una relazione finale solo il 25 settembre 2003, ossia quasi tre anni dopo la loro apertura o tre anni e mezzo dopo la trasmissione all’OLAF dei fascicoli Eurocost e Datashop — Planistat e diciotto mesi dopo l’apertura, o quasi due anni dopo la trasmissione all’OLAF, del fascicolo CESD Communautaire. Tali termini sarebbero quindi irragionevoli e ingiustificati, visto il termine di nove mesi previsto dall’art. 11, n. 7, del regolamento n. 1073/1999 e l’obbligo previsto dall’art. 6, n. 5, del medesimo regolamento di svolgere le indagini in modo continuativo per un periodo di tempo che deve essere proporzionato alle circostanze e alla complessità del caso.

264

Infatti, il sig. Franchet avrebbe trasmesso all’OLAF le relazioni di revisione contabile da cui sono scaturite le indagini già nel marzo 2000 (caso Eurocost) e nel novembre 2001 (caso CESD Communautaire). Il controllore finanziario avrebbe avuto a disposizione la relazione di revisione relativa al fascicolo Datashop — Planistat fin dal febbraio 2000 e l’avrebbe trasmessa all’OLAF nel marzo dello stesso anno. L’OLAF avrebbe avviato le proprie indagini solo il 6 ottobre 2000 sui fascicoli Eurocost e Datashop — Planistat e il 18 marzo 2002 sul fascicolo CESD Communautaire, impiegando così rispettivamente otto mesi (casi Eurocost e Datashop — Planistat) e quattro mesi (caso CESD Communautaire) per decidere di avviare un’indagine, senza tuttavia avere avuto il tempo di sentire i ricorrenti.

265

Secondo i ricorrenti, l’OLAF non ha mai informato il suo comitato di vigilanza dei motivi per cui l’indagine non poteva concludersi entro nove mesi, né del prevedibile periodo di tempo necessario per concluderla.

266

Pertanto, impiegando molto tempo anzitutto per avviare le indagini, per svolgerle e per concluderle, rivolgendosi alle autorità giudiziarie in modo poco coerente e sulla base di indagini incomplete e non concluse, l’OLAF avrebbe tenuto un comportamento incompatibile con la nozione di termine ragionevole e con i principi di buona amministrazione e di sana gestione.

267

Inoltre, i ricorrenti avrebbero subito un danno a causa di tale ritardo e potrebbero legittimamente lamentarsi della durata eccessiva di un’indagine anche prima di esservi attivamente coinvolti o prima che sia stata resa nota la loro implicazione nella stessa.

268

La Commissione ammette che è trascorso molto tempo fra il momento in cui l’OLAF ha ricevuto comunicazione dei diversi fascicoli, quello in cui esso ha avviato le indagini e quello in cui tali indagini si sono concluse. Questo ritardo si spiegherebbe in parte con l’istituzione stessa dell’OLAF, che avrebbe iniziato la sua attività il 1o giugno 1999 con il personale della precedente task-force «Coordinamento di lotta antifrode», che ha sostituito. L’arrivo dei nuovi agenti sarebbe stato scaglionato tra la metà del 2001 e quella del 2002 e tale avvicendamento di personale avrebbe comportato una completa riorganizzazione del servizio, un cambiamento della dirigenza e riassegnazioni dei fascicoli.

269

Tuttavia, la lunghezza del periodo non sarebbe di per sé irragionevole, se si tiene conto del grado di complessità della pratica. Infatti, l’OLAF avrebbe puntualmente ricevuto i diversi fascicoli relativi al caso in questione e solo dopo il loro raffronto, che avrebbe richiesto qualche tempo, sarebbe pienamente emersa la gravità del problema.

b) Giudizio del Tribunale

270

Si deve ricordare che, ai sensi dell’art. 6, n. 5, del regolamento n. 1073/1999, le indagini si svolgono in modo continuativo per un periodo di tempo che deve essere proporzionato alle circostanze e alla complessità del caso.

271

Inoltre, l’art. 11, n. 7, del regolamento n. 1073/1999 prevede che nei casi in cui un’indagine sia in corso da più di nove mesi, il direttore dell’OLAF informi il comitato di vigilanza delle ragioni che non permettono ancora di concludere l’indagine e del prevedibile periodo di tempo necessario per concluderla.

272

Si deve quindi constatare che il regolamento n. 1073/1999 non prevede alcun termine preciso e tassativo per la conclusione delle indagini dell’OLAF.

273

A tale riguardo, va ricordato che l’obbligo di osservare un termine ragionevole nei procedimenti amministrativi costituisce un principio generale di diritto comunitario di cui il giudice comunitario assicura il rispetto e che è inoltre ripreso, in quanto componente del diritto a una buona amministrazione, dall’art. 41, n. 1, della Carta (sentenza del Tribunale 11 aprile 2006, causa T-394/03, Angeletti/Commissione, Racc. PI pag. I-A-2-95, in particolare II-A-2-441 punto 162).

274

Pertanto, il procedimento dinanzi all’OLAF non può essere prolungato oltre un termine ragionevole, che dev’essere valutato in funzione delle circostanze del caso di specie.

275

Nel caso in esame risulta dagli atti che l’OLAF disponeva, rispettivamente a partire dal 17 marzo 2000, 12 aprile 2000 e 15 novembre 2001, delle relazioni di revisione contabile concernenti i fascicoli Datashop, Eurocost e CESD Communautaire.

276

Dagli atti risulta altresì che l’OLAF ha avviato le indagini interne sui fascicoli Datashop ed Eurocost il 6 ottobre 2000, e il 18 marzo 2002 sul fascicolo CESD Communautaire. Esso ha quindi impiegato rispettivamente circa sette e sei mesi per avviare le indagini sui casi Datashop ed Eurocost, e quattro mesi per aprire quelle sul caso CESD Communautaire.

277

Tali indagini si sono concluse con le relazioni finali di indagine del 25 settembre 2005. Pertanto, le indagini sui casi Datashop ed Eurocost si sono concluse circa tre anni e mezzo dopo l’intervento dell’OLAF e circa tre anni dopo la loro apertura, mentre l’indagine sul caso CESD Communautaire si è conclusa circa un anno e dieci mesi dopo l’intervento dell’OLAF e un anno e mezzo dopo la sua apertura.

278

Si deve rilevare che tali periodi possono essere considerati relativamente lunghi.

279

Come ha ammesso la stessa Commissione, è trascorso molto tempo tra il momento in cui l’OLAF ha ricevuto comunicazione dei diversi fascicoli, quello in cui ha aperto le indagini e quello in cui tali indagini si sono concluse. Tale ritardo si spiegherebbe in parte con l’istituzione stessa dell’OLAF, che avrebbe avviato le sue attività il 1o giugno 1999 con il personale dell’ex task-force «Coordinamento di lotta antifrode», che ha sostituito. L’arrivo dei nuovi agenti sarebbe stato scaglionato tra la metà del 2001 e quella del 2002 e tale avvicendamento di personale avrebbe comportato una completa riorganizzazione del servizio, un cambiamento della dirigenza e riassegnazioni dei fascicoli.

280

Il Tribunale ritiene che tali spiegazioni non bastino a giustificare tempi così lunghi. Infatti, come hanno giustamente rilevato i ricorrenti, i funzionari interessati non devono subire le carenze dell’organizzazione amministrativa dei servizi della Commissione. Il fatto che l’OLAF abbia incontrato difficoltà nell’avvio delle sue attività non può costituire un motivo per escludere la responsabilità della Commissione.

281

Tuttavia, come fa valere la Commissione, occorre anche tenere conto del grado di complessità della pratica. La complessità del caso Eurostat, inerente alle diverse indagini cui esso ha dato origine e all’eventuale interazione tra le stesse, non è contestabile ed emerge dagli atti.

282

Di conseguenza, i termini non possono essere considerati irragionevoli nelle circostanze del caso di specie.

283

Per quanto riguarda l’argomento dei ricorrenti secondo cui l’OLAF non avrebbe mai informato il suo comitato di vigilanza dei motivi per i quali l’indagine non poteva concludersi entro nove mesi, né gli ha comunicato il prevedibile periodo di tempo necessario per concluderla, è sufficiente rilevare che, anche se così fosse, i ricorrenti non hanno comunque dimostrato che si tratti di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce diritti ai singoli.

284

Va quindi respinta la censura dei ricorrenti relativa a una pretesa durata irragionevole delle indagini.

285

Risulta da quanto sopra esposto che l’OLAF ha commesso vari illeciti idonei a far sorgere la responsabilità della Comunità. Tali illeciti consistono nella trasmissione delle informazioni alle autorità giudiziarie lussemburghesi e francesi senza avere prima sentito i ricorrenti e il suo comitato di vigilanza e nelle fughe di notizie relative alla trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi.

B — Sull’illegittimità del comportamento della Commissione

1. Sulla divulgazione delle informazioni da parte della Commissione

a) Argomenti delle parti

286

I ricorrenti fanno valere che, ai sensi dell’art. 12, n. 3, del regolamento n. 1073/1999, le istituzioni sono tenute ad assicurare il rispetto della riservatezza delle indagini dell’OLAF e dei diritti legittimi delle persone interessate, nonché il rispetto dei diritti fondamentali, cosa che la Commissione non avrebbe fatto.

287

Nella specie, le trasmissioni di informazioni o di relazioni dell’OLAF alle autorità giudiziarie nazionali avrebbero dato origine a «fughe di notizie, più o meno orchestrate, verosimilmente intenzionali, provenienti dall’OLAF», le quali avrebbero condotto a una campagna mediatica denigratoria a danno dei ricorrenti che avrebbe leso gravemente i loro diritti legittimi, la loro onorabilità e la loro dignità. Del pari, in seguito alle audizioni dei ricorrenti dinanzi agli inquirenti dell’OLAF, la stampa sarebbe venuta a conoscenza di elementi particolarmente precisi del caso Eurostat. La Commissione non avrebbe quindi garantito il rispetto della riservatezza. I ricorrenti rilevano peraltro che la Commissione non contesta tali circostanze.

288

Inoltre, la stessa Commissione avrebbe divulgato informazioni, violando l’obbligo di riservatezza ad essa incombente, nonché i principi del contraddittorio e della presunzione di innocenza. I ricorrenti si riferiscono a un comunicato stampa del 9 luglio 2003, con cui la Commissione aveva reso noto l’avvio di procedimenti disciplinari nei confronti di tre propri funzionari. Tale comunicato, pur precisando che l’apertura di detti procedimenti era stata disposta senza pregiudizio al principio della presunzione di innocenza, sarebbe intervenuto in un contesto tale da arrecare necessariamente nocumento ai diritti legittimi dei ricorrenti. Per di più, nel detto comunicato stampa la Commissione avrebbe reso pubblici elementi riservati del caso Eurostat basandosi su indagini nel corso delle quali i ricorrenti non sarebbero mai stati previamente sentiti.

289

Inoltre, il 24 settembre 2003 la Commissione avrebbe fatto circolare presso il Parlamento tre documenti che chiamavano in causa i ricorrenti o contenevano critiche nei loro confronti (v. supra, punto 42), che non sarebbero stati previamente trasmessi ai ricorrenti e sui quali questi ultimi non avrebbero quindi avuto occasione di formulare osservazioni, e che sarebbero stati ad essi comunicati solo su loro richiesta, il 10 ottobre 2003, nonostante fossero stati ampiamente divulgati all’interno delle istituzioni e alla stampa fin dal 25 settembre 2003.

290

I ricorrenti fanno valere che, anche ammettendo che i documenti in questione, provenienti dalla task-force e dal SAI, non li chiamino in causa specificamente e personalmente, dato che il compito di tali istituzioni non era di pronunciarsi formalmente sull’esistenza di una frode o di chiamare in causa qualcuno individualmente, il semplice fatto che detti documenti sollevino dubbi sulla regolarità di alcuni elementi constatati arreca loro pregiudizio.

291

Nella replica, i ricorrenti fanno valere che tale divulgazione è avvenuta in violazione dell’accordo quadro sulle relazioni tra il Parlamento e la Commissione (allegato XIII del regolamento interno del Parlamento), secondo cui queste due istituzioni devono rispettare, nell’ambito di qualsiasi informazione riservata, in particolare «i diritti fondamentali della persona, compresi i diritti della difesa e della tutela della vita privata». Oltretutto, le informazioni riservate potrebbero essere comunicate solo al presidente del Parlamento, ai presidenti delle commissioni parlamentari interessate, nonché all’Ufficio di presidenza e alla Conferenza dei presidenti. Orbene, nella fattispecie la diffusione sarebbe stata più ampia, dato che i documenti divulgati sarebbero stati accessibili praticamente a qualsiasi parlamentare e perfino alla stampa. Inoltre, il presidente della Commissione sarebbe intervenuto dinanzi ai presidenti dei gruppi parlamentari, categoria che non sarebbe menzionata dall’art. 1, n. 4, di detto accordo quadro.

292

Inoltre, nel discorso pronunciato il 25 settembre 2003 dinanzi alla Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari del Parlamento, il presidente della Commissione avrebbe formulato accuse estremamente gravi nei confronti dei ricorrenti e in particolare del sig. Franchet. Pur senza accusare personalmente il sig. Franchet di essere responsabile delle irregolarità, il presidente della Commissione gli avrebbe contestato il fatto di avere permesso che tali irregolarità si verificassero. Il sig. Franchet sarebbe anche stato accusato di avere disinformato il membro della Commissione esercente la tutela, come ammetterebbe la Commissione, e di avere interesse «a dissimulare la verità su fatti risalenti al passato».

293

Pertanto, con tale atto di accusa, che non è stato preceduto da alcun incontro con l’accusato, il quale sarebbe quindi stato «gettato in pasto» ai membri della Cocobu e alla stampa, e unicamente sulla base di relazioni redatte in un clima di sospetto nei confronti della Commissione, che doveva quindi mostrarsi inflessibile, il presidente di quest’ultima non avrebbe tenuto un comportamento improntato alla dignità e all’onestà che ogni cittadino ha il diritto di attendersi da lui. Egli non avrebbe rispettato i diritti fondamentali, in particolare i diritti della difesa, e le sue valutazioni si sarebbero fondate su elementi di fatto inesatti. Secondo i ricorrenti, è inammissibile che egli abbia deciso, per motivi esclusivamente politici, di individuare un colpevole allo scopo di distogliere da sé qualsiasi critica. Tale «strategia dell’ombrello», come l’ha definita la stampa, sarebbe servita solo a guadagnare tempo.

294

La Commissione sottolinea che l’OLAF, nell’ambito della sua missione di indagine, agisce in modo totalmente autonomo e che non spetta a lei intervenire sugli atti di indagini di tale istituzione. L’art. 12, n. 3, del regolamento n. 1073/1999 imporrebbe alla Commissione la riservatezza su quanto dovesse apprendere in merito alle indagini dell’OLAF. La Commissione assumerebbe qualsiasi eventuale responsabilità imputata all’OLAF, ma ciò non le attribuirebbe alcuna competenza a intervenire sugli atti di indagine di quest’ultimo allo scopo di garantirne la riservatezza.

295

Per quanto riguarda il comunicato stampa del 9 luglio 2003 e le decisioni adottate lo stesso giorno, secondo la Commissione essi apparivano particolarmente prudenti, misurati e attenti alla tutela dei singoli, se si tiene conto del contesto, «segnato dalla comparsa di un innegabile clima di tensione interistituzionale a seguito dell’esercizio di discarico 2001».

296

Quanto ai tre documenti trasmessi al Parlamento il 24 settembre 2003 (v. supra, punto 42), la Commissione rileva che la sintesi e le conclusioni dei lavori della task-force non chiamano in causa i ricorrenti. La nota informativa, basata sulla seconda relazione intermedia redatta dal SAI, conterrebbe osservazioni preliminari la cui esaustività non sarebbe garantita e che non esaminerebbe l’eventuale responsabilità diretta e individuale dei ricorrenti, i quali pertanto non potrebbero lamentarsi del fatto che tali documenti non sono stati loro previamente comunicati e di non aver avuto la possibilità di formulare le proprie osservazioni. Detti documenti si limiterebbero a rilevare carenze sistemiche. Ammettere che le relazioni provenienti da strutture quali la task-force o il SAI possano arrecare pregiudizio a funzionari per il semplice fatto che sollevano dubbi sulla regolarità di taluni atti o comportamenti equivarrebbe semplicemente a negare qualsiasi possibilità di svolgere attività di revisione contabile.

297

Per quanto riguarda il discorso pronunciato dal presidente della Commissione il 25 settembre 2003, quest’ultimo si sarebbe limitato a svolgere un’analisi senza concessioni di una situazione grave, senza tuttavia cercare di far apparire i ricorrenti quali «capri espiatori». Pur avendo contestato al sig. Franchet di non essersi ritirato in modo sufficientemente rapido da talune entità, contrariamente alle istruzioni impartite dalla precedente Commissione, e di avere mantenuto i rapporti contrattuali con talune società nonostante i risultati di alcune revisioni contabili messi a sua disposizione, il che sarebbe in contrasto con il principio di precauzione nella sua accezione più elementare, egli tuttavia non avrebbe accusato i ricorrenti di tali irregolarità.

298

Secondo la Commissione, la principale contestazione mossa nei confronti del sig. Franchet non riguarda la sua eventuale implicazione personale in frodi o irregolarità, bensì l’insufficienza delle informazioni trasmesse al membro della Commissione esercente la tutela, dato che quest’ultimo, nel momento in cui ha assunto l’incarico, non è stato informato del caso Eurostat. La Commissione rileva che il suo presidente ha anche individuato chiaramente i problemi di comunicazione tra l’OLAF e la stessa Commissione e ha ammesso che occorre migliorare la gestione finanziaria a livello di controllo centrale. Egli non avrebbe mai messo in discussione la responsabilità penale o disciplinare dei ricorrenti, ma avrebbe chiaramente invocato la «responsabilità politico-amministrativa» del sig. Franchet.

b) Giudizio del Tribunale

299

In via preliminare, per quanto riguarda la censura dei ricorrenti secondo cui la Commissione non ha vigilato sulla riservatezza delle indagini in occasione delle comunicazioni alle autorità giudiziarie nazionali, è sufficiente rilevare che, se pure, ai sensi dell’art. 12, n. 3, terzo comma, del regolamento n. 1073/1999, le istituzioni assicurano il rispetto della riservatezza delle indagini svolte dall’OLAF e dei diritti legittimi delle persone interessate, tale disposizione non può essere tuttavia interpretata nel senso che essa impone alla Commissione un obbligo generale di garantire che l’OLAF, il quale svolge le proprie indagini in piena autonomia, rispetti la riservatezza. Infatti, detta disposizione va letta insieme al comma precedente, secondo cui il direttore generale dell’OLAF riferisce regolarmente alle istituzioni sui risultati delle indagini nel rispetto dei medesimi principi. Così, risulta dall’art. 12 del regolamento n. 1073/1999 che, qualora il direttore generale dell’OLAF abbia comunicato alle istituzioni, Commissione inclusa, informazioni relative alle indagini, dette istituzioni devono garantire la riservatezza delle informazioni trasmesse e i diritti legittimi degli interessati nel trattamento di tali informazioni.

300

Occorre quindi esaminare se la Commissione abbia tenuto un comportamento illecito divulgando essa stessa varie informazioni nell’ambito delle indagini in questione.

Sul comunicato stampa della Commissione del 9 luglio 2003

301

I ricorrenti, riferendosi al comunicato stampa del 9 luglio 2003 (IP/03/979), fanno valere che la stessa Commissione ha divulgato informazioni in violazione dell’obbligo di riservatezza ad essa incombente, nonché dei principi del contraddittorio e della presunzione di innocenza.

302

Occorre citare detto comunicato stampa:

«La Commissione prende provvedimenti a seguito di malversazioni finanziarie all’interno di Eurostat

Nelle ultime settimane, la Commissione europea ha svolto una propria indagine all’interno [di Eurostat]. Dai risultati preliminari di tale inchiesta emerge chiaramente l’esistenza di carenze e irregolarità nel sistema di gestione di Eurostat. Con tutto il rispetto dovuto ai provvedimenti adottati in piena autonomia dall’[OLAF], la Commissione ritiene che occorra affrontare immediatamente tali preoccupanti questioni. Pertanto, in data odierna la Commissione ha adottato una serie di provvedimenti intesi a risolvere i problemi più urgenti.

Il presidente della Commissione (…) ha dichiarato: “Attendiamo pazientemente il risultato dalle varie indagini in corso. Tuttavia, le nostre stesse indagini ci inducono ad agire immediatamente e la Commissione intende accelerare i tempi. Adottiamo oggi misure radicali e difficili, ma indispensabili. Quali che siano i fatti accaduti in passato, essi verranno esaminati e il funzionamento di Eurostat obbedirà alle regole e ai principi che la presente Commissione ha giurato di applicare”.

Misure

La Commissione ha avviato procedimenti disciplinari nei confronti di tre propri funzionari. In via cautelativa, alcuni dirigenti di Eurostat saranno trasferiti e assegnati a funzioni di consigliere.

Qualora risultasse che un membro facente o che abbia fatto parte del personale di Eurostat ha commesso una violazione del regolamento finanziario e dello Statuto del personale, egli sarà sottoposto a procedimento disciplinare. La Commissione tiene a sottolineare che le decisioni relative all’apertura di un procedimento disciplinare o al trasferimento di funzionari vengono adottate nel rispetto del principio della presunzione di innocenza.

(…)

[Dalle verifiche compiute dalla DG “Bilancio” sulle relazioni di revisione contabile redatte a seguito della revisione interna di Eurostat] emerge che sono state commesse alcune gravi violazioni del regolamento finanziario e che il seguito dato a vari aspetti importanti delle relazioni di revisione contabile interna non è stato sufficientemente ampio e rigoroso e non è sfociato in provvedimenti sostanziali.

(…)

I risultati del [SAI] hanno carattere preliminare e devono ancora essere confermati. Tuttavia, tali risultati e i primi indizi inducono a ritenere che siano stati commessi gravi misfatti.

Si attende ancora la relazione dell’OLAF, prevista per la fine di giugno».

303

Secondo i ricorrenti, tale comunicato stampa costituisce una violazione dei loro diritti legittimi e lede il principio della presunzione di innocenza.

304

Il Tribunale rileva che i ricorrenti non sono esplicitamente nominati in tale comunicato stampa. Tuttavia, dato che i loro nomi erano già stati ampiamente diffusi, in particolare nel maggio 2003, in relazione all’esistenza di carenze e irregolarità nel sistema di gestione all’interno di Eurostat, non vi era alcun dubbio che tale comunicato stampa si riferisse ai ricorrenti.

305

Infatti, la stessa Commissione aveva già reso noto al pubblico i nomi dei ricorrenti con la dichiarazione su Eurostat da essa divulgata con il comunicato stampa del 19 maggio 2003 (IP/03/709) e che i ricorrenti hanno prodotto in risposta a un quesito scritto del Tribunale. Secondo tale dichiarazione:

«Venerdì scorso è pervenuta alla Commissione una breve nota intermedia dell’OLAF relativa a indagini in corso su presunte irregolarità verificatesi in passato all’interno di Eurostat, le quali confermano che alcuni soggetti indagati potrebbero chiamare in causa la responsabilità individuale di alcuni funzionari di alto livello. Tuttavia, tale nota non fornisce ancora prove riguardo a soggetti precisi. Inoltre, i funzionari interessati non sono stati sentiti dall’OLAF.

La Commissione esaminerà tale situazione nella sua prossima riunione di mercoledì, nell’ottica di adottare tutti i provvedimenti necessari per garantire una rapida conclusione delle indagini in corso e tutelare gli interessi finanziari della Comunità, nonché la reputazione dell’istituzione e dei suoi funzionari. In tale contesto, la Commissione esaminerà le richieste dei sigg. Yves Franchet, direttore generale di Eurostat, e Daniel Byk, direttore di Eurostat, di essere sollevati dal loro attuale incarico a tutela degli interessi dell’istituzione e per poter essere in condizione di difendersi.

La Commissione chiede all’OLAF di accelerare le indagini in corso e in particolare di dare ai funzionari ritenuti potenzialmente implicati la possibilità di essere sentiti».

306

Così, la Commissione ha chiaramente associato i nomi dei ricorrenti alle presunte irregolarità del caso Eurostat. Ciò si è verificato nuovamente il 21 maggio 2003, quando la Commissione ha pubblicato un altro comunicato stampa, intitolato «La Commissione prende provvedimenti per tutelare gli interessi dell’istituzione e del suo personale di fronte alle denunce relative a Eurostat» (IP/03/723), che i ricorrenti hanno prodotto in risposta a un quesito scritto del Tribunale e secondo cui:

«In data odierna la Commissione ha esaminato la situazione creatasi in seguito ad alcune denunce concernenti l’Ufficio statistico europeo, Eurostat. In tale contesto, essa ha adottato quattro provvedimenti diretti a tutelare gli interessi dell’istituzione e del suo personale.

In primo luogo, la Commissione accetta, su loro richiesta, di trasferire a nuove funzioni per la durata dell’indagine il direttore generale di Eurostat Yves Franchet e il direttore di Eurostat Daniel Byk. Tali trasferimenti non costituiscono in alcun modo un provvedimento disciplinare, ma vengono adottati a tutela degli interessi dell’istituzione e per dare agli interessati la possibilità di difendersi dagli addebiti. A decorrere dalla data odierna le due persone sopra nominate vengono quindi temporaneamente assegnate a funzioni di consigliere presso la direzione generale [“]Amministrazione[”]. La Commissione ha inoltre deciso di nominare temporaneamente il sig. [V.A.], attuale direttore generale per la traduzione, direttore generale di Eurostat, al fine di garantire la continuità della gestione di Eurostat.

La Commissione rileva che [l’OLAF] intende presentare entro la fine di giugno dell’anno corrente una relazione sulla possibile implicazione nelle indagini di funzionari della Commissione.

In secondo luogo, vista la situazione creatasi intorno ai sigg. Franchet e Byk, in particolare nei media, la Commissione ha deciso di fornire loro assistenza per la tutela della loro reputazione e dei loro diritti di difesa.

In terzo luogo, essa ha incaricato la direzione generale [“]Bilancio[”] di analizzare le relazioni di revisione contabile realizzate da Eurostat, per verificare [che], nei casi sottoposti alle indagini dell’OLAF, siano state effettivamente rispettate le modalità previste dal regolamento finanziario.

Infine, la Commissione ha deciso di costituirsi parte civile nel procedimento avviato dal Procuratore della Repubblica di Parigi, al fine di tutelare gli interessi civili e finanziari dell’istituzione.

La Commissione sottolinea che le indagini dell’OLAF sono ancora in corso e osserva che l’OLAF, da un lato, offrirà ai funzionari potenzialmente interessati l’occasione di essere sentiti e, dall’altro, tenterà di portare a termine le indagini nel più breve tempo possibile.

La Commissione intende inoltre porre l’accento sul diritto di ogni persona alla presunzione di innocenza e ricorda che le informazioni di cui essa dispone in questa fase non consentono di trarre conclusioni in ordine alla responsabilità di specifici funzionari.

L’OLAF è stato creato precisamente per tutelare gli interessi finanziari delle Comunità e ne viene garantita l’autonomia operativa e investigativa. La Commissione rispetta le prerogative dell’OLAF e si astiene quindi dall’intraprendere iniziative di qualsiasi tipo che possano pregiudicare il risultato delle sue indagini, di cui non anticipa le risultanze. Ciò significa tuttavia che la Commissione non è in grado di trarre proprie conclusioni prima che l’OLAF abbia terminato il suo lavoro e fornito una relazione».

307

Così, tale comunicato stampa ha di nuovo chiaramente associato i nomi dei ricorrenti alle denunce relative al caso Eurostat.

308

Pertanto, tenuto conto del contesto e della pubblicità che la stessa Commissione aveva già dato ai ricorrenti e alla loro eventuale implicazione nelle malversazioni all’interno di Eurostat, si deve rilevare che la divulgazione al pubblico della decisione della Commissione 9 luglio 2003 di avviare procedimenti disciplinari nei confronti di tre suoi funzionari poteva rafforzare l’impressione che i ricorrenti potessero essere colpevoli, o quanto meno sospettati delle malversazioni oggetto delle indagini sulla gestione dei programmi rientranti nella competenza di Eurostat. Tale impressione non è fugata dalla precisazione secondo cui «[l]a Commissione tiene a sottolineare che le decisioni relative all’apertura di un procedimento disciplinare o al trasferimento dei funzionari vengono adottate nel rispetto del principio della presunzione di innocenza» (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 7 febbraio 2007, causa T-339/03, Clotuche/Commissione, punto 145, e cause riunite T-118/04 e T-134/04, Caló/Commissione, punto 120).

309

Si deve rilevare che le modalità con cui era stata annunciata la decisione, del 9 luglio 2003, di avviare i procedimenti disciplinari, avevano necessariamente suscitato nel pubblico, o quanto meno in una sua parte, l’impressione che i ricorrenti fossero implicati nelle irregolarità commesse all’interno di Eurostat (v., in tal senso, sentenze Clotuche/Commissione, cit. al punto 308 supra, punto 219, e Caló/Commissione, cit. al punto 308 supra, punto 155).

310

A tale riguardo, si deve ricordare che, come si è rilevato supra, ai punti 210 e 211, il principio della presunzione di innocenza esige che una persona accusata di un’infrazione sia considerata innocente fino a quando non ne sia stata dimostrata la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio nel corso di un processo. Orbene, al momento della pubblicazione di tale comunicato stampa, e a tutt’oggi, la colpevolezza dei ricorrenti non era e non è ancora stata provata.

311

Tuttavia, occorre anche ricordare che non si può impedire alle istituzioni di informare il pubblico sulle indagini in corso (v. supra, punto 212). Orbene, nella specie non si può ritenere che la Commissione l’abbia fatto con tutta la discrezione e la prudenza richieste, rispettando il giusto equilibrio tra gli interessi dei ricorrenti e quelli dell’istituzione. Infatti, con la pubblicità che ha deciso di dare al caso Eurostat, pur prestando attenzione a non associare i nomi dei ricorrenti alle malversazioni, essa non è rimasta entro i limiti di quanto giustificava l’interesse del servizio.

312

Pertanto, non si può accogliere l’argomento della Commissione secondo cui il comunicato stampa del 9 luglio 2003 appare particolarmente prudente, misurato e attento alla tutela dei singoli, tenuto conto del contesto «segnato dalla comparsa di un innegabile clima di tensione interistituzionale a seguito dell’esercizio di discarico 2001».

313

Di conseguenza, la Commissione, pubblicando tale comunicato stampa, ha violato il principio della presunzione di innocenza.

314

Come si è rilevato supra, al punto 209, detto principio conferisce diritti ai singoli. Si deve inoltre osservare che, nelle circostanze del caso di specie, tale violazione dev’essere considerata sufficientemente qualificata, dato che la Commissione non dispone di alcun margine di discrezionalità per quanto riguarda l’obbligo di rispettare la presunzione di innocenza ad essa incombente.

Sui documenti trasmessi al Parlamento il 24 settembre 2003

315

I ricorrenti fanno valere che il 24 settembre 2003 la Commissione ha fatto circolare presso il Parlamento tre documenti che li chiamavano in causa o esprimevano critiche nei loro confronti, documenti che non sarebbero stati loro previamente trasmessi e sui quali essi non avrebbero quindi avuto occasione di formulare osservazioni.

316

Si tratta della «sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse», redatta dal direttore generale dell’OLAF, della relazione intitolata «Relazione della task-force Eurostat (TEFS) — Sintesi e conclusioni» e di una nota informativa concernente Eurostat, basata sulla seconda relazione intermedia redatta dal SAI.

317

Per quanto concerne la «sintesi delle pratiche Eurostat attualmente chiuse», essa è stata inviata al presidente della Commissione dal direttore generale dell’OLAF. Occorre sottolineare che i ricorrenti contestano alla Commissione solo il fatto di non avere loro comunicato tale documento e di non averli sentiti prima della sua trasmissione. Orbene, è sufficiente rilevare che, poiché non si tratta di un documento redatto dalla Commissione, quest’ultima non era tenuta a sentire i ricorrenti prima di trasmetterlo al Parlamento. Inoltre, come risulta dai precedenti punti 33 e 35, l’OLAF aveva sentito i ricorrenti a giugno e luglio 2003, quindi molto prima di redigere tale sintesi.

318

Per quanto riguarda poi i documenti della task-force e del SAI in questione, i ricorrenti fanno valere che, anche se essi non li chiamano in causa specificamente e individualmente, dato che il compito di tali organismi non era pronunciarsi formalmente sull’esistenza di una frode o di chiamare in causa qualcuno individualmente, il semplice fatto che tali documenti sollevino dubbi sulla regolarità di alcuni elementi constatati arreca loro pregiudizio.

319

A tale riguardo, il Tribunale rileva che il documento contenente la sintesi e le conclusioni della relazione della task-force non chiama direttamente in causa i ricorrenti. Infatti non si tratta di un atto recante pregiudizio e il principio del rispetto della difesa non può quindi essere validamente invocato dai ricorrenti per criticare il fatto di non essere stati sentiti prima della stesura di detta relazione. I ricorrenti non possono neppure lamentare un eventuale danno derivante dall’invio del documento in questione al Parlamento.

320

Per quanto riguarda la nota informativa concernente Eurostat, basata sulla seconda relazione intermedia redatta dal SAI, neanch’essa chiama direttamente in causa i ricorrenti. Secondo questi ultimi, tale documento presenta elementi pregiudizievoli in particolare per il sig. Franchet, laddove fa riferimento alla mancanza di trasparenza e di comunicazione tra l’ex direttore generale di Eurostat e il membro della Commissione esercente la tutela. Inoltre, essi sottolineano che nel detto documento si rileva che «la mancanza di controlli sulla gestione di tali fondi comporta il rischio di esporsi in modo inammissibile alle frodi e alle irregolarità». Tuttavia, il Tribunale rileva che i ricorrenti omettono di citare la frase seguente, secondo cui, «[t]enuto conto della natura della missione del SAI, [non è possibile] pronunciarsi su un’ipotesi di frode implicante un arricchimento individuale». Si deve rilevare che tali elementi non bastano a dimostrare che i ricorrenti avrebbero dovuto essere sentiti in merito prima della stesura di detta relazione, né che la trasmissione di quest’ultima al Parlamento abbia causato loro un pregiudizio. In ogni caso, la relazione del SAI su cui si è fondata la nota in questione non era ancora la relazione finale. Inoltre, non si può ritenere che si tratti di un atto recante pregiudizio.

321

Infine, i ricorrenti fanno valere nella replica che la divulgazione dei tre documenti in questione è avvenuta in violazione dell’accordo quadro sui rapporti tra il Parlamento e la Commissione (allegato XIII del regolamento interno del Parlamento), secondo cui queste due istituzioni devono rispettare, nell’ambito di qualsiasi informazione riservata, in particolare «i diritti fondamentali della persona, compresi i diritti della difesa e della tutela della vita privata».

322

A tale riguardo, il Tribunale ritiene sufficiente constatare che si tratta di un motivo nuovo, introdotto in corso di causa, che non si fonda su elementi di diritto o di fatto emersi durante il procedimento. Di conseguenza, esso va respinto in quanto irricevibile, conformemente all’art. 48, n. 2, del regolamento di procedura.

323

Ad abundantiam, si deve rilevare che i ricorrenti non hanno minimamente dimostrato che la Commissione abbia trasmesso informazioni riservate a destinatari diversi da quelli menzionati nel detto accordo quadro e che i documenti divulgati fossero accessibili praticamente a tutti i parlamentari e perfino alla stampa.

324

Di conseguenza, dato che la Commissione non era tenuta a sentire i ricorrenti prima di trasmettere al Parlamento i tre documenti in questione, né a comunicarli loro prima di trasmetterli, si devono respingere le censure formulate dai ricorrenti a tale riguardo.

Sul discorso del presidente della Commissione del 25 settembre 2003

325

I ricorrenti fanno valere che il presidente della Commissione, nel discorso pronunciato il 25 settembre 2003 dinanzi ai presidenti dei gruppi parlamentari del Parlamento, ha formulato accuse estremamente gravi nei confronti dei ricorrenti e in particolare del sig. Franchet e che, pertanto, non ha rispettato i loro diritti fondamentali.

326

Secondo la Commissione, in tale discorso il suo presidente non ha accusato i ricorrenti delle irregolarità. Tuttavia, il Tribunale rileva che l’interpretazione data dalla Commissione a tale discorso (v. supra, punti 297 e 298) non rispecchia la realtà. È vero che, in tale discorso, il presidente della Commissione ha sottolineato la mancanza di trasparenza e di comunicazione tra il direttore generale di Eurostat e il membro della Commissione esercente la tutela. Tuttavia, egli ha lasciato intendere che non vi fossero dubbi sul coinvolgimento nelle irregolarità del direttore generale di Eurostat e di un altro funzionario di alto livello.

327

Egli ha osservato ad esempio che, «[n]onostante le istruzioni impartite dalla precedente Commissione affinché si ritirasse da tali organi (…), il direttore generale prosegue invece la collaborazione con tali entità in altre forme e con altre modalità», che «[si] sono quindi verificate derive» e che «[a]lcune relazioni di revisione contabile (…) sottolineavano infrazioni anche gravi o molto gravi alle norme vigenti e che recavano pregiudizio agli interessi finanziari dell’Unione». Egli ha poi sottolineato che i fatti sono apparsi alla Commissione «in tutta la loro gravità e portata nel maggio 2003, nella prima nota sostanziale trasmessa dall’OLAF al segretario generale», che, «[o]ltre alla gravità dei fatti, l’elemento senza precedenti e più sconfortante era il coinvolgimento dello stesso direttore generale di Eurostat e di un altro funzionario di alto livello nel caso Datashop» e che «[v]eniva meno un anello fondamentale», ossia «quello del legittimo affidamento riposto dagli organismi politici in un direttore generale, il che gettava una luce del tutto diversa sull’intero fascicolo Eurostat e richiedeva una rilettura approfondita dell’intera cronologia degli eventi».

328

Egli ne ha dedotto, in particolare, che i fatti in questione «costituiscono, a parte il loro eventuale rilievo penale, un catalogo di cattive pratiche, lassismo (…) perfino dilettantismo nella gestione e nel controllo, palesi irregolarità e rischi di frode, se non frodi vere e proprie» e che «[t]utto ciò ricade sui vertici di Eurostat».

329

Inoltre, per quanto riguarda la mancanza comunicazione tra il direttore generale di Eurostat e il membro della Commissione esercente la tutela, il presidente della Commissione ha constatato che, a partire dal momento in cui il suo gabinetto ha ricevuto, su sua richiesta, una «nota informativa» nel luglio 2002, a seguito della pubblicazione del comunicato con cui l’OLAF annunciava la trasmissione alle autorità giudiziarie lussemburghesi dei fascicoli relativi a Eurostat, «il gabinetto disponeva di alcune tessere del puzzle, insufficienti di per sé a innescare una reazione, in quanto mancava ancora l’elemento più importante», ossia la «chiamata in causa dello stesso direttore generale». Egli ha poi ammesso che «[c]iascuno può valutare, secondo la propria cultura amministrativa, tale palese mancanza di comunicazione e quindi di reazione», o addirittura che «[q]ualcuno potrebbe pensare che spettasse al gabinetto vigilare più attentamente e chiedere informazioni che il direttore generale non gli forniva spontaneamente». Tuttavia, egli riteneva dal canto suo che si dovesse stabilire«[c]hi aveva interesse a dissimulare la verità su fatti risalenti al passato» e che questi non era «[s]icuramente il [membro della Commissione]».

330

Si deve rilevare che da tali passaggi emerge chiaramente che il presidente della Commissione, pur senza accusare in particolare il sig. Franchet di essere responsabile delle irregolarità, gli ha contestato il fatto di avere permesso che tali irregolarità si verificassero e ha rilevato che, a suo parere, tale responsabilità era assolutamente indubbia. Lo ha inoltre accusato in modo abbastanza diretto di avere celato la verità sui fatti in questione. Ha poi menzionato un «altro funzionario di alto livello» in relazione al caso Datashop, il che non lascia alcuna dubbio sull’identità del sig. Byk, il cui nome era già stato divulgato pubblicamente dalla stessa Commissione.

331

Si deve quindi ritenere che, con tale discorso, il presidente della Commissione non abbia rispettato pienamente i diritti fondamentali dei ricorrenti e in particolare il principio della presunzione di innocenza, dato che le dichiarazioni contenute in tale discorso, come quella secondo cui «[t]utto ciò ricade sui vertici di Eurostat» e il «coinvolgimento del direttore generale di Eurostat e di un altro funzionario di alto livello», rispecchiano la sensazione che i ricorrenti siano responsabili delle irregolarità menzionate. Tale comportamento costituisce una violazione sufficientemente qualificata del detto principio, che conferisce diritti ai singoli.

332

Risulta da quanto precede che con il comunicato stampa del 9 luglio 2003 e con il discorso pronunciato dal suo presidente il 25 settembre 2003 la Commissione ha commesso violazioni del principio della presunzione di innocenza sufficientemente qualificate per far sorgere la responsabilità della Comunità.

2. Sui procedimenti disciplinari

a) Argomenti delle parti

333

I ricorrenti fanno valere che la Commissione ha tenuto un comportamento contraddittorio. Infatti, essa avrebbe deciso di avviare procedimenti disciplinari per poi sospenderli immediatamente in attesa dei risultati delle indagini amministrative che aveva avviato, atteggiamento ancor meno comprensibile se si considera che l’avvio dei procedimenti disciplinari si fondava su fatti che non sarebbero diversi dal contesto in cui la Commissione avrebbe deciso di accordare la propria assistenza ai ricorrenti. I ricorrenti rilevano che il fatto che sia stata presentata una denuncia penale non osta a che l’istituzione prosegua il procedimento disciplinare, in quanto non si può infliggere un’eventuale sanzione disciplinare prima che sia terminato il procedimento penale dinanzi alle autorità giudiziarie nazionali.

334

Secondo i ricorrenti, avviare un procedimento disciplinare prima della fine delle indagini interne non ha alcun senso ed è contrario al principio di buona gestione e sana amministrazione. Infatti, in virtù delle disposizioni generali d’attuazione concernenti le indagini amministrative e i procedimenti disciplinari, pubblicate sulle Informazioni amministrative del 30 giugno 2004, n. 86-2004, il direttore generale dell’amministrazione e del personale avvia il procedimento disciplinare dopo la relazione dell’Ufficio di indagine e di disciplina della Commissione (IDOC) o, se del caso, direttamente dopo la relazione dell’OLAF.

335

Nella fattispecie, la Commissione, avviando il 9 luglio 2003 indagini multiple e parallele e avviando i procedimenti disciplinari, avrebbe agito in preda al panico per «placare gli animi», come emergerebbe dalle affermazioni formulate dal presidente del comitato di vigilanza dell’OLAF durante l’intervento del segretario generale della Commissione in occasione della riunione del comitato di vigilanza del 3 settembre 2003. La Commissione avrebbe quindi dovuto attendere la conclusione delle indagini interne che aveva disposto e quella dei lavori dell’OLAF, nonché l’inizio dei lavori, non ancora avviati, dell’IDOC e le relative risultanze, prima di pronunciarsi sulla questione dell’apertura di un procedimento disciplinare a carico dei ricorrenti.

336

I ricorrenti fanno valere che la decisione di avviare i procedimenti disciplinari, anche se non costituisce un atto recante pregiudizio, è però tale da cagionare un danno in ragione del carattere infamante che tale decisione necessariamente riveste.

337

La Commissione sottolinea che la decisione di avviare un procedimento disciplinare è solo una fase procedurale preparatoria, che non pregiudica la posizione definitiva dell’amministrazione e che pertanto non può essere considerata un atto recante pregiudizio. Inoltre, i ricorrenti non dimostrerebbero l’illegittimità degli atti compiuti dall’APN, mentre le censure formulate dall’APN a sostegno dell’avvio dei procedimenti disciplinari sarebbero state corroborate da varie relazioni e dalle informazioni trasmesse dall’OLAF con le note del 3 e 19 aprile 2003.

338

Secondo la Commissione, era opportuno sospendere i procedimenti disciplinari a carico dei ricorrenti per evitare eventuali interferenze fra tali procedimenti e i procedimenti penali già avviati su fatti analoghi, tanto più che le autorità giudiziarie nazionali possono avvalersi di mezzi investigativi di cui le autorità amministrative non dispongono.

b) Giudizio del Tribunale

339

I ricorrenti contestano alla Commissione, da un lato, di avere deciso di avviare procedimenti disciplinari e di averli immediatamente sospesi in attesa dei risultati delle indagini e, dall’altro, di avere avviato i procedimenti disciplinari prima della conclusione delle indagini interne.

340

In via preliminare, il Tribunale ricorda che la decisione dell’APN di avviare un procedimento disciplinare è solo una fase preparatoria del procedimento. Essa non pregiudica la posizione definitiva dell’amministrazione e pertanto non può essere considerata un atto recante pregiudizio ai sensi dell’art. 91 dello Statuto. Di conseguenza, detta decisione può essere impugnata solo indirettamente nell’ambito di un ricorso diretto contro una decisione disciplinare finale che arrechi pregiudizio al funzionario (sentenza del Tribunale 13 marzo 2003, causa T-166/02, Pessoa e Costa/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-89 e II-471, punto 37).

341

Per quanto riguarda, anzitutto, il fatto che i procedimenti disciplinari sono stati sospesi, si deve ricordare che l’art. 88, quinto comma, dello Statuto prevede che, «quando il funzionario sia sottoposto a procedimento penale per gli stessi fatti, la sua posizione sarà definitivamente regolata soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza dell’autorità giudiziaria». Risulta da tale disposizione che è fatto divieto all’APN di regolare definitivamente, sul piano disciplinare, la posizione del funzionario interessato pronunciandosi su fatti costituenti l’oggetto di un procedimento penale concomitante, fino a che non sia passata in giudicato la decisione emessa dall’organo giurisdizionale penale investito della cognizione di tali fatti (sentenza Pessoa e Costa/Commissione, cit. al punto 340 supra, punto 45). Pertanto, l’art. 88, quinto comma, dello Statuto non conferisce un potere discrezionale all’APN incaricata di regolare definitivamente la situazione di un funzionario nei cui confronti sia stato avviato un procedimento disciplinare, a differenza dell’art. 7, secondo comma, dell’allegato IX dello Statuto, in forza del quale il consiglio di disciplina, nel caso in cui i fatti addebitati siano oggetto di azione promossa dinanzi a un giudice penale, può decidere di soprassedere a formulare il proprio parere fino a quando non verrà emessa la decisione dell’autorità giudiziaria (sentenze del Tribunale 19 marzo 1998, causa T-74/96, Tzoanos/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-129 e II-343, punti 32 e 33, e 10 giugno 2004, causa T-307/01, François/Commissione, Racc. pag. II-1669, punto 59).

342

Si deve precisare che l’art. 88, quinto comma, dello Statuto risponde a una duplice ratio. Da un lato, tale articolo soddisfa l’esigenza di non incidere sulla posizione del funzionario interessato nell’ambito di azioni penali che vengano avviate nei suoi confronti in relazione a fatti che sono del resto oggetto di un procedimento disciplinare in seno alla sua istituzione di appartenenza (sentenza Tzoanos/Commissione, cit. al punto 341 supra, punto 34). Dall’altro, la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della conclusione del procedimento penale consente di prendere in considerazione, nell’ambito del detto procedimento disciplinare, constatazioni di fatto operate dal giudice penale, una volta che la decisione di quest’ultimo sia passata in giudicato. A tale riguardo si deve ricordare che l’art. 88, quinto comma, dello Statuto sancisce il principio secondo cui «il penale blocca il disciplinare nello stato in cui si trova», il che si giustifica in particolare con il fatto che i giudici penali nazionali dispongono di poteri di indagine più ampi rispetto a quelli dell’APN (sentenza del Tribunale 21 novembre 2000, causa T-23/00, A/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-263 e II-1211, punto 37). Pertanto, nel caso in cui i medesimi fatti possano configurare un illecito penale e una violazione degli obblighi statutari incombenti al funzionario, l’amministrazione è vincolata dagli accertamenti fattuali compiuti dal giudice penale nell’ambito del procedimento. Una volta che quest’ultimo abbia accertato l’esistenza dei fatti in questione nella fattispecie, l’amministrazione può procedere in seguito alla loro qualificazione giuridica alla luce della nozione di illecito disciplinare, verificando in particolare se essi costituiscano violazioni degli obblighi statutari (sentenza François/Commissione, cit. al punto 341 supra, punto 75).

343

Pertanto, nel caso di specie, essendo pacifico che i procedimenti disciplinari avviati nei confronti dei ricorrenti vertevano, almeno in parte, sui medesimi fatti oggetto delle azioni penali, la Commissione non poteva pronunciarsi in via definitiva sulla posizione dei ricorrenti sul piano disciplinare fino a che non fosse passata in giudicato la decisione dei giudici penali (v., in tal senso, sentenza François/Commissione, cit. al punto 341 supra, punto 73).

344

Pertanto, non si può contestare alla Commissione di avere sospeso i procedimenti disciplinari avviati nei confronti dei ricorrenti; anzi, essa era tenuta a sospenderli.

345

Per quanto riguarda, poi, il fatto che la Commissione ha avviato i procedimenti disciplinari prima della conclusione delle indagini interne, è vero che, in virtù dell’art. 4, n. 2, delle disposizioni generali di attuazione concernenti le indagini amministrative e i procedimenti disciplinari, cui i ricorrenti si richiamano:

«Prima di avviare l’indagine, il direttore generale del personale e dell’amministrazione consulta l’[OLAF] per accertarsi che quest’ultimo non proceda a un’indagine di propria iniziativa e non abbia intenzione di farlo. Fintantoché è in corso un’indagine dell’OLAF ai sensi del regolamento n. 1073/1999, non sarà avviata alcuna indagine amministrativa ai sensi del paragrafo precedente vertente sui medesimi fatti».

346

Pertanto, in virtù di tale disposizione non può avviarsi un procedimento disciplinare fintantoché sia ancora in corso l’indagine dell’OLAF sui medesimi fatti. Orbene, tale decisione non era ancora applicabile al momento dell’adozione delle decisioni di avviare i procedimenti disciplinari, il 9 luglio 2003. A quella data, la disposizione applicabile era l’art. 5, n. 2, della decisione della Commissione 19 febbraio 2002, C (2002) 540, concernente le indagini amministrative e i procedimenti disciplinari, secondo cui:

«Prima di avviare l’indagine il direttore generale del personale e dell’amministrazione consulta l’[OLAF] per accertarsi che quest’ultimo non proceda ad un’indagine di propria iniziativa e non abbia intenzione di farlo».

347

Anche se tale disposizione non vietava espressamente di avviare il procedimento disciplinare prima della conclusione dell’indagine dell’OLAF sui medesimi fatti, occorre domandarsi quale utilità avrebbe tale disposizione se non dovesse essere interpretata in tal senso. Infatti, prevedendosi l’obbligo del direttore generale del personale e dell’amministrazione di accertarsi che l’OLAF non procedesse a un’indagine di propria iniziativa e non avesse intenzione di farlo, si intendeva dire che, se così fosse stato, non si poteva ancora avviare un’indagine disciplinare.

348

Inoltre, l’art. 5, n. 7, della decisione C (2002) 540 prevedeva che, «[q]uando l’APN riceve una relazione di indagine dall’OLAF, la esamina, se occorre, per un periodo minimo di due settimane e, qualora lo ritenga utile, chiede all’OLAF di integrare la relazione o di procedere a un’indagine amministrativa supplementare». Pertanto, è sulla base di tale relazione di indagine dell’OLAF che l’APN adottava la decisione di procedere eventualmente a un’indagine amministrativa e, se del caso, all’apertura di un procedimento disciplinare.

349

Occorre inoltre ricordare che, ai sensi dell’art. 9, n. 4, del regolamento n. 1073/1999, le istituzioni danno alle indagini interne dell’OLAF il seguito richiesto dalle risultanze ottenute, in particolare sul piano disciplinare e giudiziario.

350

Si deve quindi ritenere che la Commissione non avrebbe dovuto adottare una decisione in merito all’avvio dei procedimenti disciplinari il 9 luglio 2003, data in cui le indagini dell’OLAF vertenti sui medesimi fatti non si erano ancora concluse. La Commissione avrebbe potuto prendere tale decisione solo dopo il 25 settembre 2003, una volta ricevute le relazioni finali di indagine.

351

Pertanto, la Commissione ha violato le norme che regolano il procedimento disciplinare e vietano di avviare detto procedimento prima della conclusione delle indagini dell’OLAF.

352

Si deve rilevare che lo scopo perseguito da tali norme consiste, in particolare, nel tutelare il funzionario interessato garantendo che l’APN avvii il procedimento disciplinare solo qualora disponga di elementi precisi e pertinenti, in particolare a sua difesa, raccolti durante l’indagine condotta dall’OLAF, che può avvalersi di ampi mezzi investigativi. Pertanto, le norme che disciplinano il procedimento disciplinare sopra ricordate costituiscono norme giuridiche che conferiscono diritti ai singoli.

353

Occorre inoltre rilevare che si tratta di una violazione sufficientemente qualificata di tali norme, dato che la Commissione non dispone di alcun margine di discrezionalità per quanto riguarda l’obbligo ad essa incombente di rispettare le norme relative al procedimento disciplinare. Del resto, risulta dagli atti che non è del tutto escluso che la Commissione abbia avviato tali procedimenti disciplinari per «placare gli animi», come sostengono i ricorrenti. Pertanto, la Commissione, procedendo all’apertura dei procedimenti disciplinari prima della conclusione delle indagini, non ha tenuto sufficientemente conto degli interessi dei ricorrenti.

3. Sulle diverse indagini della Commissione e sul loro svolgimento

a) Argomenti delle parti

354

I ricorrenti fanno valere che i loro diritti fondamentali potrebbero essere stati lesi dall’istituzione della task-force, dato che quest’ultima era composta da funzionari non appartenenti all’OLAF e quindi non soggetti alle norme rigorose imposte ai funzionari dell’OLAF in termini di procura, mandato e riservatezza ai sensi dell’art. 6 del regolamento n. 1073/1999, e ciò nonostante il fatto che la task-force fosse stata posta, il 23 luglio 2003, sotto la diretta autorità del direttore generale dell’OLAF. Inoltre, poiché la Commissione avrebbe deciso di rafforzare gli effettivi dell’OLAF di 20 unità per il fascicolo Eurostat, non sarebbero state note le articolazioni fra questi due gruppi di lavoro.

355

Secondo i ricorrenti, la confusione creatasi nei procedimenti va imputata alla pluralità di indagini amministrative. Infatti, sarebbero state condotte almeno otto indagini, in parallelo, sul fascicolo Eurostat: almeno cinque indagini dell’OLAF, un’indagine del SAI, una della task-force e una della direzione generale (DG) «Bilancio» della Commissione. Sarebbero inoltre state adite due autorità giudiziarie nazionali. L’esistenza delle varie indagini, le loro modalità e le sovrapposizioni avrebbero sollevato molteplici dubbi, quali la proporzionalità delle indagini rispetto ai costi.

356

La lettera del segretario generale della Commissione 10 ottobre 2003 non fugherebbe i loro dubbi al riguardo. I ricorrenti osservano che la missione della task-force è consistita, fino al 23 luglio 2003, nell’occuparsi degli aspetti interni ed esterni delle indagini condotte dall’OLAF e nell’avviare un’indagine amministrativa allo scopo di valutare le responsabilità del personale per le irregolarità finanziarie. Nella relazione 24 settembre 2003, intitolata «Relazione della task-force Eurostat (TFES) — Sintesi e conclusioni», quest’ultima avrebbe sottolineato una serie di problemi e di dubbi che riguarderebbero effettivamente i ricorrenti, e in ogni caso il sig. Franchet.

357

I ricorrenti fanno valere che il fatto che il personale dell’IDOC sia stato messo a disposizione della task-force non è casuale né privo di conseguenze sull’indagine amministrativa che l’IDOC avrebbe potuto essere chiamata a svolgere sul fascicolo Eurostat. Infatti, dato che la task-force avrebbe necessariamente esaminato le questioni che riguardavano i ricorrenti e da cui sarebbe potuto emergere un loro coinvolgimento personale, sembrerebbe che l’IDOC abbia svolto un’indagine al di fuori del suo quadro organico.

358

Inoltre, i ricorrenti fanno valere che la Commissione ha violato il principio di buona amministrazione. Infatti, essi non sarebbero mai stati sentiti nell’ambito delle numerose indagini avviate dalla Commissione. Sarebbe stata loro offerta solo la possibilità di formulare osservazioni sulla relazione della DG «Bilancio» di giugno 2003.

359

Tale comportamento dimostrerebbe una cronica mancanza di comunicazione e di trasparenza riguardo a Eurostat. I ricorrenti si domandano perché il controllore finanziario non abbia mai interpellato Eurostat per chiedere spiegazioni o uno scambio di vedute a seguito della trasmissione della relazione di revisione Datashop e perché si sia rivolto direttamente all’OLAF in termini particolarmente allarmanti. Il controllore finanziario non avrebbe conservato per Eurostat alcuna copia della propria nota all’OLAF del 2 marzo 2000, e questo contrariamente alle raccomandazioni contenute in detta nota. Esso non avrebbe neppure mai interpellato Eurostat in merito alle eventuali carenze dei meccanismi di gestione o di controllo, mentre lo stesso controllore finanziario, il SAI e la DG «Bilancio» avrebbero formulato tali contestazioni nel 2003. Se dette contestazioni fossero state fondate e vi fossero stati motivi per muovere le gravi accuse formulate e rese pubbliche dal presidente della Commissione, i menzionati servizi avrebbero dovuto rivolgersi al membro della Commissione interessato. Essi sarebbero invece rimasti inattivi per vari anni. Secondo i ricorrenti, nulla può giustificare la persistente inerzia della Commissione.

360

Inoltre, i ricorrenti fanno riferimento a due interrogazioni parlamentari sottoposte alla Commissione nel luglio e nell’ottobre 2003, che evidenziano le perplessità suscitate dal comportamento tenuto dalla Commissione e dall’OLAF nel caso Eurostat, anche riguardo alla legittimità delle decisioni adottate. Essi affermano inoltre che la stampa ha potuto misurare i «guasti» causati dalla Commissione e dall’OLAF.

361

La Commissione fa valere, per quanto riguarda la creazione della task-force, che il suo segretario generale ha fornito ai ricorrenti ampie spiegazioni su questo punto nella sua lettera 10 ottobre 2003. Inoltre, dalla relazione della task-force del 24 settembre 2003 risulterebbe chiaramente che quest’ultima ha concentrato i propri lavori sulle carenze sistemiche e non ha formulato conclusioni su singole persone. L’assegnazione di membri dell’IDOC alla task-force sarebbe stata effettuata ad hoc, per ampliare la gamma di competenze della stessa. Secondo la Commissione, tale assegnazione era possibile in quanto le attività della task-force non rientravano nell’ambito di applicazione della decisione C (2002) 540, ma perseguivano uno scopo diverso da quello delle indagini amministrative e dei procedimenti disciplinari, ossia individuare carenze sistemiche.

362

In ogni caso, i ricorrenti non potrebbero giudicare l’opportunità del modo in cui la Commissione ha deciso di procedere alle indagini interne dirette a fare a chiarezza su tutte le attività di Eurostat, dato che tali diverse indagini non avrebbero leso i loro diritti individuali.

363

Per quanto riguarda il diritto di essere sentiti, gli stessi ricorrenti ammetterebbero di avere avuto la possibilità di formulare osservazioni sulla relazione della DG «Bilancio» del giugno 2003.

364

Infine, la Commissione rileva che non le compete, in questa fase, rispondere ad affermazioni riguardanti in particolare il contenuto delle accuse che l’hanno indotta ad avviare i procedimenti disciplinari nei confronti dei ricorrenti. Gli argomenti dei ricorrenti diretti a dimostrare l’infondatezza delle censure formulate nei loro confronti andrebbero esaminati solo nell’ambito di tali procedimenti, nel rispetto dei diritti della difesa.

b) Giudizio del Tribunale

365

In primo luogo, per quanto riguarda la creazione della task-force, è sufficiente constatare che i ricorrenti non hanno dimostrato concretamente in quale modo la semplice creazione della task-force avrebbe violato i loro diritti fondamentali e in quale modo l’eventuale carattere inopportuno della sua creazione avrebbe leso direttamente i loro diritti. Tale argomento va quindi respinto.

366

In secondo luogo, per quanto riguarda la pluralità delle indagini, è del pari sufficiente constatare che i ricorrenti non hanno dimostrato concretamente in quale modo la semplice apertura e l’esistenza di tali diverse indagini avrebbero configurato una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce loro diritti. Quand’anche tale confusione corrispondesse alla realtà, non spetterebbe ai ricorrenti valutare l’opportunità del modo in cui la Commissione aveva deciso di procedere alle indagini interne dirette a far luce su tutte le attività di Eurostat, come ha osservato la stessa Commissione. Inoltre, la questione relativa alla proporzionalità delle indagini rispetto ai costi non rientra nell’ambito di applicazione di alcuna norma giuridica che conferisce diritti ai singoli. Di conseguenza, occorre respingere gli argomenti relativi alla pluralità delle indagini.

367

In terzo luogo, per quanto riguarda la pretesa violazione del principio di buona amministrazione inerente al fatto che la Commissione non avrebbe mai sentito i ricorrenti nel corso delle numerose indagini da essa avviate, è sufficiente constatare che il diritto dei ricorrenti di essere sentiti è già stato esaminato in precedenza, in sede di esame degli argomenti concreti dedotti a tale riguardo. Occorre solo ricordare che, poiché non si tratta di atti della Commissione recanti pregiudizio ai ricorrenti, questi ultimi non possono validamente invocare il principio del rispetto dei diritti della difesa per criticare il fatto di non essere stati sentiti prima che fossero redatte note o relazioni nell’ambito delle diverse indagini.

368

Infine, per quanto riguarda le altre critiche generiche formulate in merito al comportamento della Commissione, è sufficiente constatare che, anche in questo caso, i ricorrenti non hanno dimostrato l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata di una norma giuridica che conferisce loro diritti.

4. Sul diniego di accesso ai documenti

a) Argomenti delle parti

369

I ricorrenti fanno valere che la Commissione rifiuta di comunicare loro i documenti in suo possesso provenienti dall’OLAF, violando in tal modo il loro diritto fondamentale di accesso ai documenti, sancito dall’art. 255 CE, dall’art. 41 della Carta e dal regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 30 maggio 2001, n. 1049, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU L 145, pag. 43).

370

I ricorrenti si riferiscono ai loro ricorsi proposti in forza del regolamento n. 1049/2001 nell’ambito delle cause riunite T-391/03 e T-70/04. Sottolineano tuttavia che la censura mossa nel quadro nel presente ricorso è indipendente dal regolamento n. 1049/2001, in quanto riguarda il loro interesse personale, a prescindere dal diritto di accesso di ogni cittadino ai documenti della Commissione. Essi avrebbero un interesse del tutto peculiare a ottenere la comunicazione di documenti in possesso della Commissione e provenienti dall’OLAF, vista la loro situazione personale nell’ambito del caso Eurostat.

371

In particolare, la Commissione avrebbe rifiutato di comunicare la lettera e la nota del 19 marzo 2003 inviate alle autorità giudiziarie francesi, giustificando tale rifiuto, nella lettera 10 ottobre 2003, con la circostanza che esse erano parte integrante di un procedimento di indagine a livello nazionale. Orbene, si tratterebbe di documenti fondamentali ai fini di tale pratica, che consentirebbero ai ricorrenti di valutare e contestare la regolarità del comportamento della Commissione e del suo servizio amministrativo, l’OLAF, e di difendere i propri diritti.

372

La Commissione si limita a menzionare il fatto che i ricorrenti hanno proposto i ricorsi nelle cause riunite T-391/03 e T-70/04 sul fondamento del regolamento n. 1049/2001 e a sottolineare che la loro richiesta di accesso e il rigetto della stessa rientravano nell’ambito di applicazione di tale regolamento.

b) Giudizio del Tribunale

373

La domanda dei ricorrenti, laddove essi invocano l’accesso ai documenti sulla base del regolamento n. 1049/2001, non rientra nell’ambito del presente procedimento, dato che tale domanda è già stata esaminata nella sentenza del Tribunale 6 luglio 2006, cause riunite T-391/03 e T-70/04, Franchet e Byk/Commissione (Racc. pag. II-2023).

374

Inoltre, per quanto riguarda l’interesse particolare invocato dai ricorrenti, è sufficiente rilevare che, nel corso del presente procedimento, essi hanno avuto accesso alla lettera e alla nota del 19 marzo 2003 trasmesse alle autorità giudiziarie francesi e, pertanto, hanno potuto utilmente tutelare i loro diritti. Del pari, essi hanno avuto accesso, in udienza, alla nota dell’OLAF del 16 maggio 2003, cui si fa riferimento nel comunicato stampa del 19 maggio 2003, e hanno potuto utilmente tutelare i loro diritti.

375

Pertanto, non vi è più luogo a statuire sulla domanda di accesso ai documenti dell’OLAF in possesso della Commissione.

376

Risulta da quanto precede che la Commissione ha commesso vari atti illeciti che potrebbero far sorgere la responsabilità della Comunità. Tali atti consistono nella pubblicazione del comunicato stampa del 9 luglio 2003, nel discorso del suo presidente del 25 settembre 2003 e nell’avvio di procedimenti disciplinari prima della conclusione delle indagini.

377

Occorre quindi esaminare la realtà dei danni asseriti e l’esistenza di un nesso di causalità tra gli illeciti constatati dal Tribunale e i danni subiti.

C — Sul danno e il nesso di causalità

378

Visto il legame particolarmente stretto esistente, nelle circostanze del caso di specie, tra la questione se i ricorrenti abbiano subito un danno risarcibile e quella del nesso di causalità tra gli illeciti constatati e l’asserito danno, occorre esaminare le due questioni congiuntamente.

1. Argomenti delle parti

a) Sul danno morale

379

I ricorrenti fanno valere, anzitutto, che la loro reputazione professionale, che era riconosciuta e apprezzata da tutti, sia in Eurostat e nella Commissione che al di fuori di tale istituzione, «è stata pubblicamente e gravemente offesa». I ricorrenti, senza preavviso e senza essere sentiti, sarebbero «stati vilipesi, in un’avventata reazione di difesa» che sarebbe indegna dei vertici istituzionali. Inoltre, i violenti attacchi condotti da una certa stampa tedesca contro i ricorrenti, che riportava affermazioni totalmente estranee alla realtà dei fatti formulate all’interno del Parlamento e da alcuni funzionari, avrebbero obbligato i ricorrenti a sporgere denuncia per diffamazione il 21 maggio 2003.

380

I ricorrenti lamentano quindi un rifiuto da parte del loro ambiente professionale e un’irrimediabile lesione della loro reputazione. Essi avrebbero subito un vero e proprio «“linciaggio” professionale». A tale riguardo, i ricorrenti si riferiscono all’intervento svolto dal segretario generale della Commissione dinanzi al comitato di vigilanza dell’OLAF il 3 settembre 2003.

381

Il sig. Franchet, collocato a riposo nel marzo 2004, avrebbe subito una completa e brutale interruzione di qualsiasi contatto con i suoi collaboratori, i suoi partner e il suo ambiente professionale. Nei suoi confronti sarebbero state proferite «maldicenze» in modo aggressivo e ingiusto.

382

Quanto al sig. Byk, benché fosse stato considerato dalla commissione di selezione il più idoneo a ricoprire il posto di direttore di Eurostat, per il quale si era proposto a seguito della riorganizzazione dello stesso, egli non avrebbe potuto essere nominato a causa del procedimento avviato contro di lui. Trasferito alla DG «Personale e amministrazione», egli avrebbe dovuto abbandonare qualsiasi prospettiva e speranza di ritrovare in futuro un’occupazione corrispondente alla sua specializzazione e alla sua esperienza. Le accuse infondate, diffuse sulla stampa, sarebbero causa di un’immensa sofferenza e di un incontestabile stato di angoscia.

383

Inoltre, i ricorrenti lamentano gravi conseguenze sulla loro vita privata e sociale. I loro familiari si sarebbero interrogati sull’argomento. Per di più, lo stato di salute dei ricorrenti ne avrebbe sofferto e il sig. Byk sarebbe stato vittima di un attacco cerebrale, che potrebbe essere dovuto all’ansia e alla tensione nervosa causategli dal caso Eurostat. Essi ritengono di essere stati vittime e capri espiatori di un gioco politico che si sarebbe svolto intorno a loro e che essi avrebbero ampiamente subito rispettando il proprio dovere di riservatezza.

384

Per quanto riguarda la valutazione del danno morale, i ricorrenti lo quantificano provvisoriamente in EUR 800000, cifra che sarebbe commisurata alla gravità degli illeciti commessi dalla Commissione e dell’OLAF e alle conseguenze che tali illeciti avrebbero avuto sul loro stato di salute fisica e mentale. Tale importo dovrebbe essere ripartito in parti uguali tra i ricorrenti, poiché essi avrebbero subito i medesimi illeciti, alle stesse condizioni, e le conseguenze sul loro stato di salute, ancorché leggermente diverse, dovrebbero essere ritenute equivalenti.

385

Secondo i ricorrenti, se la Commissione e l’OLAF avessero reagito fin dalla trasmissione delle relazioni di revisione contabile interna effettuata dal sig. Franchet, nel 2000, per le pratiche in questione, e se in quel momento si fosse avviato un dialogo, il caso Eurostat non sarebbe mai esistito e nessuno sarebbe stato attaccato ingiustamente. La mancata reazione della Commissione e dell’OLAF sarebbe in gran parte la causa della piega presa successivamente dagli eventi e delle accuse ingiustificate rivolte ai ricorrenti.

386

I ricorrenti sottolineano che essi sono colpevoli agli occhi di tutti, anche se l’indagine penale riguardante il sig. Byk è ancora in corso a Parigi e i procedimenti disciplinari rimangono aperti. Una pubblica condanna senza giudizio e senza una vera indagine preliminare configurerebbe un grave illecito e causerebbe un pesante danno morale, che aumenterebbe con il persistere dello stato di sofferenza. Tale condanna pubblica potrebbe anche incidere sull’esito delle indagini dinanzi alle autorità giudiziarie francesi.

387

La Commissione non nega che la situazione vissuta dai ricorrenti possa costituire un danno morale. Tuttavia, essa non comprende in quale modo l’eventuale danno sia stato quantificato in EUR 800000, né quale parte di tale somma spetterebbe a ciascuno di essi, e su quale base.

b) Sul danno materiale

388

I ricorrenti fanno valere che il danno materiale consiste sostanzialmente nelle spese elevate che essi hanno dovuto sostenere per tutelare i propri diritti a partire dalla data (maggio 2003) in cui sono venuti a conoscenza delle accuse mosse nei loro confronti.

389

Essi quantificano il danno materiale in EUR 200000, in via provvisionale e con riserva di maggiorazione. Il danno in questione potrebbe essere ridotto nel caso in cui il Tribunale dovesse decidere di condannare la Commissione al pagamento di tutte le spese.

390

Nella replica, i ricorrenti precisano che il danno materiale non consiste solo nel rimborso delle spese legali. Infatti, resterebbero a loro carico spese ingenti non coperte dalla condanna alle spese, quali le spese di trasporto per i numerosi spostamenti che essi avrebbero dovuto effettuare fra Nizza e Lussemburgo o Bruxelles fin dall’inizio del procedimento nel maggio del 2003. Inoltre, a partire da tale data i ricorrenti avrebbero dovuto difendersi e fare ricorso all’assistenza dei loro avvocati, dinanzi all’OLAF e nell’intero procedimento precontenzioso di domanda e di reclamo, e tali spese non sarebbero coperte dalle spese di giudizio. Per di più, vi sarebbero spese supplementari inerenti alle indagini svolte in Francia, per gli spostamenti e gli onorari dei legali francesi. I ricorrenti menzionano inoltre il loro ricorso ai sensi del regolamento n. 1049/2001.

391

Su richiesta del Tribunale, i ricorrenti sono disponibili a precisare gli elementi costitutivi del danno materiale subito, ad esclusione delle spese di giudizio.

392

La Commissione fa valere che i ricorrenti non hanno dimostrato alcun danno materiale. Le spese che avrebbero sostenuto per la loro difesa non costituirebbero un danno materiale, ma spese. Essi non potrebbero ottenere il rimborso della parte di spese che sarebbe non recuperabile, in quanto risultante da spese sopportate nella fase precontenziosa, qualificandola come danno materiale.

c) Sul nesso di causalità

393

I ricorrenti fanno valere che tutti i danni subiti traggono origine direttamente dal comportamento illegittimo della Commissione, dell’OLAF e degli altri servizi. Essi sarebbero stati gravemente danneggiati, ad esempio, dall’imprevedibilità degli attacchi di cui sarebbero stati oggetto, dalla loro colpevolizzazione, senza una previa indagine e senza rispetto per i diritti della difesa, da parte delle autorità giudiziarie francesi, dalla mancanza di previa audizione, dalle fughe di notizie orchestrate intenzionalmente e dirette ad arrecare loro pregiudizio, nonché dall’apertura di procedimenti disciplinari, immediatamente sospesi, per consentire alla Commissione di «salvare la faccia» di fronte al Parlamento.

394

I ricorrenti sottolineano che, se la Commissione non avesse agito in modo illegittimo, i ricorrenti non sarebbero stati chiamati in causa e la loro reputazione non sarebbe stata distrutta pubblicamente. Essi non sarebbero stati «scaricati» dal loro ambiente di lavoro e dichiarati responsabili di azioni indegne dal presidente della Commissione. Infatti, il caso Eurostat non sarebbe esistito. Il «pasticcio istituzionale» che avrebbe dovuto portare a una condanna della Commissione si sarebbe potuto evitare solo con una manovra di questo tipo, consistente nel colpevolizzare i ricorrenti. Inoltre, le accuse pubbliche potrebbero compromettere le indagini a carico del sig. Byk condotte dalle autorità giudiziarie francesi.

395

Infine, i ricorrenti si chiedono quale altra origine potrebbe avere il danno da essi subito, se non il modo in cui sono stati trattati dalla Commissione e dall’OLAF. Si chiedono come possa la Commissione, da un lato, ammettere l’esistenza di un effettivo danno morale e, dall’altro, negare il nesso di causalità tra il sorgere del danno e gli illeciti da essa commessi.

396

La Commissione fa valere che i ricorrenti non hanno fornito la prova del nesso di causalità. La causa diretta del danno subito dai ricorrenti risiederebbe nelle fughe di notizie sulla stampa, ma essi non produrrebbero alcun elemento atto a dimostrare che tali fughe di notizie siano attribuibili alla Commissione o all’OLAF.

2. Giudizio del Tribunale

397

Si deve preliminarmente ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, un danno, per essere risarcibile, deve derivare in modo sufficientemente diretto dal comportamento contestato (sentenza della Corte 4 ottobre 1979, cause riunite 64/76, 113/76, 167/78, 239/78, 27/79, 28/79 e 45/79, Dumortier Frères e a./Consiglio, Racc. pag. 3091, punto 21; sentenze del Tribunale International Procurement Services/Commissione, cit. al punto 93 supra, punto 55; 25 giugno 1997, causa T-7/96, Perillo/Commissione, Racc. pag. II-1061, punto 41, e 27 giugno 2000, causa T-72/99, Meyer/Commissione, Racc. pag. II-2521, punto 49). Risulta inoltre da una giurisprudenza costante che spetta al ricorrente fornire la prova del nesso di causalità ex art. 288, secondo comma, CE (v., in tal senso, sentenza della Corte 30 gennaio 1992, cause riunite C-363/88 e C-364/88, Finsider e a./Commissione, Racc. pag. I-359, punto 25; sentenze del Tribunale 18 settembre 1995, causa T-168/94, Blackspur e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. II-2627, punto 40, e 30 settembre 1998, causa T-149/96, Coldiretti e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. II-3841, punto 101).

398

A tale riguardo, si deve ricordare che gli atti illeciti dell’OLAF idonei a far sorgere la responsabilità della Comunità consistono nella trasmissione delle informazioni alle autorità giudiziarie lussemburghesi e francesi senza avere sentito i ricorrenti e il proprio comitato di vigilanza, nonché nelle fughe di notizie relative alla trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi (v. supra, punto 285); gli atti illeciti della Commissione idonei a far sorgere la responsabilità della Comunità consistono nella pubblicazione del comunicato stampa del 9 luglio 2003 e nel discorso del suo presidente del 25 settembre 2003, nonché nell’apertura dei procedimenti disciplinari prima della conclusione delle indagini (v. supra, punto 376).

399

I ricorrenti hanno lamentato nella fattispecie due danni distinti, ossia un danno morale e un danno materiale. Il Tribunale ritiene che occorra esaminare in ordine successivo ciascun tipo di danno, per valutare in quale misura siano stati dimostrati, da un lato, la loro esistenza e, dall’altro, il nesso di causalità fra tali danni e uno degli illeciti commessi dall’OLAF o dalla Commissione.

a) Sul danno morale

400

Si deve rilevare che il fatto che l’OLAF abbia trasmesso i fascicoli Eurocost e Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie nazionali senza avere sentito i ricorrenti ha causato loro un danno. Infatti, la circostanza di non essersi potuti esprimere sui fatti che li riguardavano personalmente e di non essersi potuti difendere ha necessariamente provocato nei ricorrenti sentimenti di ingiustizia e frustrazione. Si deve constatare che tale danno deriva direttamente dal comportamento illegittimo dell’OLAF e che esiste un nesso di causalità tra tale comportamento e il danno in questione.

401

Per quanto riguarda il fatto che l’OLAF non ha informato il suo comitato di vigilanza prima di effettuare tali comunicazioni, è sufficiente rilevare che questa circostanza non ha cagionato alcun danno ulteriore ai ricorrenti. Infatti, le conseguenze di tale illecito sono le stesse derivanti dal fatto che i ricorrenti non sono stati sentiti e, pertanto, non possono costituire un danno distinto.

402

Quanto alle fughe di notizie relative alla trasmissione del fascicolo Datashop — Planistat alle autorità giudiziarie francesi, si riconosce, anche da parte della Commissione, che vi è stata una lesione dell’onorabilità e della reputazione professionale dei ricorrenti, viste le informazioni che sono state pubblicate dalla stampa. Occorre inoltre constatare che il nesso di causalità tra l’illecito commesso dall’OLAF e il danno morale subito dai ricorrenti è indubbiamente diretto. Infatti, quando un’informazione riservata diviene oggetto di una fuga di notizie, la pubblicazione di tali informazioni è la conseguenza prevedibile e naturale di detto atto illegittimo e permane quindi un nesso di causalità sufficientemente diretto.

403

Per quanto attiene alla pubblicazione del comunicato stampa del 9 luglio 2003 (v. supra, punto 302), si deve rilevare che, dando l’impressione, attraverso tale comunicato stampa liberamente accessibile al pubblico, che i ricorrenti fossero associati alle malversazioni in questione, la Commissione ha leso la loro reputazione e la loro onorabilità (v. supra, punti 308-310). Poiché il detto comunicato stampa è stato pubblicato dalla stessa Commissione, esiste indubbiamente un nesso di causalità diretto fra l’atto illecito commesso dalla Commissione e il danno morale.

404

Del pari, per quanto concerne il discorso del presidente della Commissione, non si può negare che, con le dichiarazioni rese dinanzi al Parlamento, egli abbia leso la reputazione e l’onorabilità dei ricorrenti (v. supra, punti 326-331) e che esista pertanto un nesso di causalità diretto fra tali dichiarazioni e il danno in questione.

405

Per quanto riguarda il fatto che la Commissione ha avviato i procedimenti disciplinari nei confronti dei ricorrenti prima della conclusione delle indagini dell’OLAF, si deve rilevare che tale circostanza ha cagionato un pregiudizio alla reputazione dei ricorrenti, perturbandone la vita privata, ponendoli in uno stato di prolungata incertezza costituente un danno morale che deve essere risarcito (v., in tal senso, sentenza François/Commissione, cit. al punto 341 supra, punto 110). Inoltre, benché la Commissione abbia immediatamente sospeso detti procedimenti, la sospensione non ha avuto alcun effetto nei confronti del pubblico, dato che il comunicato stampa del 9 luglio 2003 menzionava solo le decisioni di avviare procedimenti disciplinari, ma non la loro sospensione. Tuttavia, poiché le indagini dell’OLAF si sono concluse due mesi dopo l’avvio dei procedimenti disciplinari, momento in cui la Commissione poteva legittimamente avviare i procedimenti in questione, il suddetto stato di incertezza non è durato a lungo.

406

Inoltre, i ricorrenti fanno valere che il sig. Byk, benché sia stato ritenuto dalla commissione di selezione il più idoneo a ricoprire il posto di direttore di Eurostat, per il quale aveva fatto domanda a seguito della ristrutturazione dello stesso avvenuta nell’autunno del 2003, non ha potuto essere nominato a causa del procedimento avviato contro di lui. A tale riguardo, il Tribunale constata che i ricorrenti non hanno dimostrato la loro asserzione. Anzi, risulta da una nota del 5 marzo 2004, fornita dai ricorrenti al Tribunale in risposta a un quesito scritto, che tre candidature, tra cui quella del sig. Byk, presentavano le qualifiche richieste per il posto in questione. Risulta inoltre dalla medesima nota che il comitato consultivo aveva segnalato le buone qualifiche di altri due candidati. Pertanto, tale argomento dev’essere respinto.

407

In ogni caso, il sig. Byk avrebbe potuto chiedere l’annullamento di tale preteso rigetto di candidatura se riteneva che esso fosse erroneamente fondato sull’esistenza di un procedimento disciplinare a suo carico (v., in tal senso, sentenza Pessoa e Costa/Commissione, cit. al punto 340 supra, punto 69).

408

Inoltre, i ricorrenti lamentano un danno connesso al loro stato di salute. Il Tribunale rileva anzitutto che i ricorrenti non hanno fornito alcun documento giustificativo a sostegno dei loro argomenti, quali certificati medici, e che pertanto tale danno non è in alcun modo dimostrato.

409

In ogni caso, si deve rilevare che i ricorrenti non sono riusciti a dimostrare che gli illeciti sopra individuati siano stati la causa diretta, ai sensi della giurisprudenza citata supra, al punto 397, di un eventuale deterioramento del loro stato di salute fisico o mentale. Inoltre, gli stessi ricorrenti hanno fatto riferimento ai «violenti attacchi condotti da una certa stampa tedesca» contro di loro, che potrebbero parimenti costituire una causa di tale presunto deterioramento.

410

Infine, per quanto riguarda l’elemento tratto dal danno morale legato alle gravi conseguenze sui loro familiari, si deve sottolineare che le affermazioni dei ricorrenti non sono confermate da alcun elemento concreto atto a dimostrare l’esistenza dell’elemento di danno lamentato né quella di un nesso di causalità tra tale preteso danno e i procedimenti di indagine e disciplinari di cui essi sono stati oggetto (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 9 luglio 2002, causa T-21/01, Zavvos/Commissione, Racc. PI pagg. I-A-101 e II-483, punto 334).

411

Risulta da quanto precede che i ricorrenti hanno dovuto sopportare sentimenti di ingiustizia e di frustrazione e hanno subito una lesione delle propria onorabilità e reputazione professionale a causa del comportamento illegittimo dell’OLAF e della Commissione. Tenendo conto delle particolari circostanze del caso in esame, nonché del fatto che è stata gravemente lesa la reputazione dei ricorrenti, occorre quantificare equitativamente tale danno in EUR 56000.

b) Sul danno materiale

412

I ricorrenti fanno valere che il danno materiale da essi subito consiste essenzialmente nelle spese elevate che hanno dovuto sostenere per tutelare i propri diritti dal momento (maggio 2003) in cui hanno avuto conoscenza per la prima volta delle accuse formulate nei loro confronti.

413

Il Tribunale rileva che la domanda diretta a ottenere il risarcimento del danno materiale non può essere considerata ricevibile. Benché i ricorrenti abbiano valutato complessivamente tale danno in EUR 200000, essi non hanno quantificato le varie componenti di tale presunto danno e non hanno dimostrato, né affermato, l’esistenza di circostanze particolari tali da giustificare la mancata quantificazione, nell’atto introduttivo, del danno in questione. In proposito, non è sufficiente affermare che essi, «[su] richiesta del Tribunale», sono «disponibili a precisare gli elementi costitutivi del [preteso] danno materiale subito, ad esclusione delle spese di giudizio». Si deve quindi rilevare che la domanda diretta a ottenere il risarcimento del danno materiale in questione non soddisfa i requisiti di cui all’art. 44, n. 1, del regolamento di procedura e di conseguenza dev’essere respinta in quanto irricevibile (v., in tal senso, sentenza della Corte 23 settembre 2004, causa C-150/03 P, Hectors/Parlamento, Racc. pag. I-8691, punto 62; sentenze del Tribunale 20 settembre 1990, causa T-37/89, Hanning/Parlamento, Racc. pag. II-463, punto 82, e 6 aprile 2006, causa T-309/03, Camós Grau/Commissione, Racc. pag. II-1173, punto 166).

414

Ad abundantiam si può rilevare che, come ha giustamente constatato la Commissione, le spese che i ricorrenti avrebbero sostenuto per la propria difesa non sono elementi costitutivi di un danno materiale, ma spese. A tale riguardo occorre ricordare che, in ogni caso, le spese sostenute dalle parti ai fini del procedimento giurisdizionale non possono in quanto tali essere considerate un danno distinto rispetto all’onere delle spese del giudizio (v., in tal senso, sentenza della Corte 10 giugno 1999, causa C-334/97, Commissione/Montorio, Racc. pag. I-3387, punto 54).

415

Per quanto riguarda le spese di assistenza legale sostenute prima dell’avvio del procedimento giurisdizionale, il danno lamentato deriva in realtà da una scelta degli stessi ricorrenti e pertanto non può essere imputato direttamente alla Commissione (v., in tal senso, sentenza della Corte 28 giugno 2007, causa C-331/05 P, Internationaler Hilfsfonds/Commissione, Racc. pag. I-5475, punto 27).

416

Ne consegue che i ricorrenti non possono legittimamente chiedere, nell’ambito di un ricorso per risarcimento, il risarcimento del danno derivante dalle spese che affermano di aver sostenuto durante la fase amministrativa del procedimento dinanzi alla Commissione. Si deve rilevare che la stessa soluzione vale per le spese di assistenza legale relative al procedimento dinanzi all’OLAF.

417

Per quanto riguarda eventuali spese connesse ai procedimenti dinanzi ai giudici nazionali, si deve osservare che tali spese non possono essere rimborsate nel presente procedimento, in mancanza di un nesso di causalità tra il danno asserito e gli illeciti commessi dall’OLAF e dalla Commissione (v., in tal senso, sentenza François/Commissione, cit. al punto 341 supra, punto 109). In ogni caso, poiché la questione del rimborso delle spese sopportate a livello nazionale rientra nella competenza esclusiva del giudice nazionale, quest’ultimo, in mancanza di misure di armonizzazione comunitarie in questo settore, deve risolvere tale questione in base alle norme interne applicabili (v., in tal senso, sentenza Nölle/Consiglio e Commissione, cit. al punto 243 supra, punto 37).

418

Pertanto, si deve constatare che la domanda dei ricorrenti diretta a ottenere il risarcimento del danno materiale è irricevibile e, in ogni caso, infondata.

Sulle spese

419

Ai sensi dell’art. 87, n. 3, del regolamento di procedura, il Tribunale può ripartire le spese se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, restando inteso che, in virtù dell’art. 88 del medesimo regolamento, nelle cause fra le Comunità e i loro funzionari le spese sostenute dalle istituzioni restano a loro carico.

420

Nella specie, poiché il ricorso è stato parzialmente accolto, sarà operata un’equa valutazione della causa, tenuto conto del contesto particolare della controversia, condannando la Commissione a sopportare, oltre alle proprie spese, tutte le spese sostenute dai ricorrenti.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

La Commissione è condannata a versare ai sigg. Yves Franchet e Daniel Byk la somma di EUR 56000.

 

2)

Il ricorso è respinto per il resto.

 

3)

La Commissione è condannata alle spese.

 

Jaeger

Tiili

Tchipev

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’8 luglio 2008.

Il cancelliere

E. Coulon

Il presidente

M. Jaeger

Indice

 

Contesto normativo

 

Fatti all’origine della controversia

 

Procedimento e conclusioni delle parti

 

In diritto

 

I — Sulla domanda di stralcio di taluni documenti allegati al ricorso

 

A — Argomenti delle parti

 

B — Giudizio del Tribunale

 

II — Sul carattere prematuro del ricorso

 

A — Argomenti delle parti

 

B — Giudizio del Tribunale

 

III — Sul sorgere della responsabilità extracontrattuale della Comunità

 

A — Sull’illegittimità del comportamento dell’OLAF

 

1. Sugli illeciti commessi dall’OLAF in occasione della trasmissione dei fascicoli relativi al caso Eurostat alle autorità giudiziarie francesi e lussemburghesi

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio del Tribunale

 

Sulla qualificazione delle indagini

 

Informazione dei ricorrenti, della Commissione e del comitato di vigilanza dell’OLAF

 

— Informazione dei ricorrenti

 

— Informazione della Commissione

 

— Informazione del comitato di vigilanza dell’OLAF

 

L’influenza esercitata sulle autorità giudiziarie nazionali

 

2. Sulla divulgazione delle informazioni da parte dell’OLAF

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio del Tribunale

 

Sulle fughe di notizie

 

— Sull’esistenza e sul contenuto delle fughe di notizie

 

— Analisi delle pretese violazioni di norme giuridiche che conferiscono diritti ai singoli eventualmente derivanti dalla divulgazione di informazioni da parte dell’OLAF

 

Sull’invio del 24 settembre 2003

 

Sulle prese di posizione del direttore generale dell’OLAF

 

3. Sui pretesi illeciti nella stesura e nella comunicazione delle note e delle relazioni finali

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio del Tribunale

 

4. Sul negato accesso a taluni documenti

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio del Tribunale

 

5. Sul trattamento del caso Eurostat entro un termine ragionevole e sulla violazione degli artt. 6 e 11 del regolamento n. 1073/1999

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio del Tribunale

 

B — Sull’illegittimità del comportamento della Commissione

 

1. Sulla divulgazione delle informazioni da parte della Commissione

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio del Tribunale

 

Sul comunicato stampa della Commissione del 9 luglio 2003

 

Sui documenti trasmessi al Parlamento il 24 settembre 2003

 

Sul discorso del presidente della Commissione del 25 settembre 2003

 

2. Sui procedimenti disciplinari

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio del Tribunale

 

3. Sulle diverse indagini della Commissione e sul loro svolgimento

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio del Tribunale

 

4. Sul diniego di accesso ai documenti

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Giudizio del Tribunale

 

C — Sul danno e il nesso di causalità

 

1. Argomenti delle parti

 

a) Sul danno morale

 

b) Sul danno materiale

 

c) Sul nesso di causalità

 

2. Giudizio del Tribunale

 

a) Sul danno morale

 

b) Sul danno materiale

 

Sulle spese


( *1 ) Lingua processuale: il francese.