Causa T‑43/02
Jungbunzlauer AG
contro
Commissione delle Comunità europee
«Concorrenza — Intese — Acido citrico — Art. 81 CE — Ammenda — Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 — Imputabilità del comportamento ad una controllata — Principio di legalità delle pene — Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende — Principio di proporzionalità — Principio del ne bis in idem — Diritto di accesso al fascicolo»
Massime della sentenza
1. Diritto comunitario — Principi generali del diritto — Certezza del diritto
2. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)
3. Concorrenza — Regole comunitarie — Infrazioni — Addebito
(Art. 81, n. 1, CE)
4. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Impatto concreto sul mercato
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 1 A, primo comma)
5. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)
6. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
7. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
8. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2; comunicazione della Commissione 98/C 9/03)
9. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
10. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Criteri — Gravità dell’infrazione — Circostanze attenuanti
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15; comunicazione della Commissione 98/C 9/03, punto 3)
11. Concorrenza — Ammende — Sanzioni comunitarie e sanzioni inflitte in uno Stato membro o in uno Stato terzo per violazione del diritto nazionale della concorrenza
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)
12. Concorrenza — Ammende — Importo — Sanzioni comunitarie e sanzioni inflitte dalle autorità di uno Stato membro per violazione del diritto nazionale della concorrenza
(Regolamento del Consiglio n. 17, art. 15)
13. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione
(Artt. 81, n. 1, CE e 82 CE; accordo SEE, art. 53, n. 1; regolamento del Consiglio n. 17, art. 15, n. 2)
14. Concorrenza — Procedimento amministrativo — Rispetto dei diritti della difesa — Accesso al fascicolo
(Art. 81, n. 1, CE; regolamento del Consiglio n. 17, art. 19, n. 1)
15. Concorrenza — Ammende — Importo — Potere discrezionale della Commissione — Sindacato giurisdizionale
(Art. 229 CE)
1. Il principio di legalità è un corollario del principio di certezza del diritto, il quale costituisce un principio generale del diritto comunitario, che esige segnatamente che qualsiasi normativa comunitaria, in particolare quando impone o consente di imporre sanzioni, sia chiara e precisa, affinché le persone interessate possano conoscere senza ambiguità i diritti e gli obblighi che ne derivano e regolarsi di conseguenza.
Tale principio, che fa parte dei principi generali del diritto comunitario che si trovano alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è stato sancito da diversi trattati internazionali, in particolare dall’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e ciò, tra l’altro, per quanto concerne le infrazioni e le sanzioni penali, si impone sia alle norme di carattere penale sia agli strumenti amministrativi specifici che impongono o consentono di imporre sanzioni amministrative. Esso è applicabile non solo alle norme che stabiliscono gli elementi costitutivi di un’infrazione, ma anche a quelle che definiscono le conseguenze derivanti da un’infrazione alle prime.
A tale proposito, risulta dall’art. 7 della citata convenzione che la legge deve definire chiaramente le infrazioni e le pene che le reprimono. Tale presupposto viene soddisfatto quando il soggetto di diritto può conoscere, a partire dal tenore della disposizione rilevante e, se occorre, con l’ausilio dell’interpretazione datane dai tribunali, quali atti ed omissioni fanno sorgere la sua responsabilità penale.
Risulta dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che l’art. 7, n. 1, della Convenzione non esige una precisione dei termini delle disposizioni a norma delle quali queste sanzioni vengono inflitte tale da rendere prevedibili con assoluta certezza le conseguenze potenzialmente risultanti da un’infrazione alle disposizioni stesse. Infatti, secondo la stessa giurisprudenza, l’esistenza di termini vaghi nella disposizione non comporta necessariamente una violazione di tale art. 7. Così, la nozione di diritto utilizzata in tale articolo corrisponde a quella di legge figurante in altri articoli della Convenzione. Inoltre, numerose leggi non hanno una precisione assoluta e molte di esse, a causa della necessità di evitare una rigidità eccessiva e di adattarsi ai mutamenti di situazione, si servono necessariamente di formule più o meno indeterminate, e l’interpretazione e l’applicazione di queste ultime dipendono dalla pratica. Tuttavia, qualsiasi legge presuppone condizioni qualitative fra cui, tra l’altro, quelle di accessibilità e prevedibilità. Il fatto che una legge conferisca un potere discrezionale non è però di per sé incompatibile con l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un potere siffatto vengano definite con sufficiente chiarezza, in considerazione del legittimo obiettivo in gioco, per fornire all’individuo una protezione adeguata contro l’arbitrio. Infine, oltre al testo stesso della legge, nel valutare il carattere definito o meno delle nozioni utilizzate la Corte europea dei diritti dell’uomo tiene conto della giurisprudenza consolidata e pubblicata.
Peraltro, la presa in considerazione delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri non consente di dare al principio generale di diritto comunitario costituito dal principio di legalità una interpretazione diversa.
(v. punti 71-73, 75-81)
2. In materia di concorrenza, il fatto che le imprese non siano in grado di conoscere con precisione, in anticipo, il livello delle ammende che la Commissione deciderà di infliggere in ogni caso di specie non è tale da provare che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 violi il principio di legalità.
Infatti, al fine di evitare un’eccessiva rigidità normativa e di permettere un adattamento della regola di diritto alle circostanze, va permesso un certo grado di imprevedibilità circa la sanzione che può essere irrogata per un’infrazione. Un’ammenda comprendente una variazione sufficientemente circoscritta tra l’ammenda minima e quella massima che può essere inflitta per una data infrazione può dunque contribuire all’efficacia della sanzione stessa, sotto il profilo sia della sua applicazione sia del suo potere di dissuasione.
A tale proposito, la Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato ed eccessivo per fissare ammende in caso di infrazione alle regole della concorrenza, dovendo essa rispettare il massimale fissato in base al fatturato dell’impresa interessata. In particolare, il massimale del 10% del fatturato dell’impresa interessata è ragionevole, in considerazione degli interessi difesi dalla Commissione in occasione di infrazioni quali i cartelli. Inoltre, la valutazione del carattere ragionevole delle ammende che possono essere irrogate sul fondamento dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non dev’essere condotta in termini assoluti, ma in termini relativi, cioè in rapporto al fatturato del contravventore.
Analogamente, la Commissione è tenuta a rispettare i principi generali di diritto, specialmente i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, nonché i criteri e il metodo di calcolo che essa deve applicare nell’ambito della fissazione dell’importo delle ammende.
Peraltro, sulla base dei criteri accolti all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione medesima ha elaborato una prassi decisionale nota al pubblico e accessibile. Anche se, certamente, la precedente prassi decisionale della Commissione non vincola di per sé la Commissione quando fissa l’importo di un’ammenda, ciò non toglie che, a norma del principio della parità di trattamento, che costituisce un principio generale del diritto alla cui osservanza è tenuta la Commissione, quest’ultima non può trattare situazioni analoghe in maniera differenziata o situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato.
Per giunta, per scrupolo di trasparenza e al fine di accrescere la certezza del diritto per le imprese interessate, la Commissione ha pubblicato orientamenti in cui enuncia il metodo di calcolo che essa stessa si impone in ogni fattispecie.
Infine, conformemente all’art. 253 CE, la Commissione è tenuta a fornire una motivazione, in particolare quanto al livello dell’ammenda inflitta e al metodo scelto a tale riguardo. Questa motivazione deve rivelare, in modo chiaro e inequivocabile, il ragionamento della Commissione in modo da consentire agli interessati di conoscere le giustificazioni del provvedimento adottato al fine di valutare l’opportunità di adire il giudice comunitario e, eventualmente, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo controllo.
(v. punti 82-91)
3. L’art. 81, n. 1, CE, vietando alle imprese, in particolare, di stipulare accordi o di partecipare a pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio fra Stati membri e che abbiano lo scopo o l’effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, si rivolge ad entità economiche costituite da un insieme di elementi materiali ed umani che può concorrere a che sia commessa un’infrazione prevista da tale disposizione.
Qualora, tra il momento in cui l’infrazione è commessa e quello in cui l’impresa deve risponderne, la società responsabile delle attività del gruppo sul mercato sul quale è stata commessa l’infrazione alle regole della concorrenza trasferisca le proprie attività a un’altra del medesimo gruppo, il fatto che la prima società continui ad esistere ancora come ente giuridico non esclude che, alla luce del diritto comunitario della concorrenza, la seconda divenga responsabile degli atti commessi dalla prima.
(v. punti 122, 132)
4. Secondo la formulazione del punto 1 A, primo comma, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, nel calcolare l’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione la Commissione tiene conto, in particolare, dell’impatto concreto dell’infrazione sul mercato quando sia misurabile. Tale impatto misurabile dell’intesa deve essere considerato sufficientemente dimostrato quando la Commissione è in grado di fornire indizi concreti e credibili che indicano, con ragionevole probabilità, che l’intesa ha avuto un impatto sul mercato.
Infatti, l’esame dell’impatto di una intesa sul mercato implica necessariamente il ricorso a ipotesi. In questo contesto, la Commissione deve, in particolare, esaminare quale sarebbe stato il prezzo del prodotto in esame in assenza di intesa. Orbene, nel procedere all’esame delle cause dell’effettiva evoluzione dei prezzi, è azzardato speculare sul rispettivo ruolo di ciascuna delle dette cause. Si deve tener conto della circostanza obiettiva che, in ragione dell’intesa sui prezzi, le parti hanno per l’appunto rinunciato alla loro libertà di farsi concorrenza sui prezzi. Pertanto, la valutazione dell’influenza derivante da fattori diversi dalla detta volontaria astensione dei partecipanti all’intesa è necessariamente fondata su ragionevoli probabilità, non quantificabili con esattezza.
Quindi, a meno che non si voglia togliere effetto utile al criterio di cui al punto 1 A, primo comma, non può rimproverarsi alla Commissione di aver preso come base l’impatto concreto di una intesa sul mercato avente un oggetto anticoncorrenziale, quale un’intesa sui prezzi ovvero sulle quote, senza quantificare tale impatto o senza fornire in proposito dati di valutazione in cifre.
(v. punti 151-155)
5. In materia di concorrenza, l’onere della prova dell’esistenza di effetti di un’infrazione sul mercato rilevante che incombe alla Commissione quando ne tiene conto nell’ambito del calcolo dell’ammenda in rapporto alla gravità dell’infrazione è meno pesante di quello su essa gravante quando deve dimostrare l’esistenza in quanto tale di un’infrazione nel caso di un’intesa. In effetti, per tener conto dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato è sufficiente che la Commissione fornisca «valide ragioni per tenerne conto».
(v. punto 161)
6. In occasione della determinazione della gravità di un’infrazione in materia di concorrenza va tenuto conto, in particolare, del contesto normativo ed economico del comportamento addebitato. A tale proposito, per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, spetta alla Commissione fare riferimento al gioco della concorrenza che si sarebbe normalmente avuto in assenza dell’infrazione.
Da un lato, ne deriva che, nel caso di intese vertenti sui prezzi, si deve constatare – con un ragionevole grado di probabilità – che gli accordi hanno effettivamente consentito ai partecipanti interessati di conseguire un livello di prezzo superiore a quello che si sarebbe avuto in assenza d’intesa. D’altro lato, ne consegue che la Commissione, nell’ambito della sua valutazione, deve prendere in considerazione tutte le condizioni obiettive del mercato rilevante, tenuto conto del contesto economico ed eventualmente normativo vigente. Si deve tener conto dell’esistenza, se del caso, di «fattori economici obiettivi» dai quali risulti che, in un contesto di «libero gioco della concorrenza», il livello dei prezzi non si sarebbe evoluto in modo identico a quello dei prezzi praticati.
(v. punti 177-179)
7. La gravità delle infrazioni alle regole di concorrenza deve essere accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie del caso di specie e il suo contesto, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esauriente di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione.
Parimenti, tra gli elementi di valutazione della gravità dell’infrazione possono, a seconda dei casi, figurare il volume e il valore delle merci oggetto dell’infrazione nonché la dimensione e la potenza economica dell’impresa e quindi l’influenza che questa può esercitare sul mercato rilevante. Da un lato, ne consegue che è lecito, ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, tener conto sia del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, per quanto approssimativa e imperfetta, della sua dimensione e potenza economica, sia della quota di mercato delle imprese interessate nel mercato rilevante che può fornire un’indicazione della portata dell’infrazione. Dall’altro, ne consegue che non si deve attribuire né all’una né all’altra di tali cifre un peso eccessivo rispetto agli altri elementi di valutazione, con la conseguenza che la determinazione dell’importo adeguato di un’ammenda non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo.
(v. punti 213-214, 227)
8. Nel fissare l’importo delle ammende da infliggere alle diverse imprese che hanno partecipato alla stessa infrazione alle regole di concorrenza, è consentito alla Commissione, conformemente ai suoi orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA, non fissare le ammende in funzione del fatturato realizzato da ciascuna delle imprese interessate sul mercato rilevante, ma applicare, quale punto di partenza del suo calcolo per tutte le imprese interessate, un importo assoluto fisso in funzione della natura stessa dell’infrazione commessa, importo successivamente modulato per ognuna delle imprese interessate in funzione di numerosi elementi.
(v. punto 223)
9. Il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni comunitarie non vadano oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefisso.
Nel contesto del calcolo delle ammende, occorre determinare la gravità delle infrazioni in rapporto a numerosi elementi e non è necessario attribuire ad alcuno di tali elementi un’importanza sproporzionata rispetto agli altri elementi di valutazione.
Il principio di proporzionalità implica in tale contesto che la Commissione deve fissare l’ammenda in modo proporzionato rispetto agli elementi presi in considerazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione e che essa deve applicare al riguardo tali elementi in maniera coerente e obiettivamente giustificata.
(v. punti 226-228)
10. Il punto 3, primo trattino, degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo 2, del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del trattato CECA dispone che venga accordata una riduzione dell’importo dell’ammenda per circostanze attenuanti se, ad esempio, l’impresa interessata ha avuto un «ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione».
Tra gli elementi atti a dimostrare il ruolo passivo di un’impresa nell’ambito di un’intesa, possono essere presi in considerazione il carattere ben più sporadico della sua partecipazione alle riunioni rispetto a quella degli altri membri dell’intesa come pure il fatto di essere giunta tardi sul mercato oggetto dell’infrazione, indipendentemente dalla durata della sua partecipazione a quest’ultima, oppure ancora l’esistenza di dichiarazioni esplicite in tal senso provenienti da rappresentanti di imprese terze che hanno partecipato all’infrazione. Peraltro, il «ruolo esclusivamente passivo» di un membro di un’intesa implica che quest’ultimo tenga un «profilo basso», ossia non partecipi attivamente all’elaborazione dell’accordo o degli accordi anticoncorrenziali.
Non è quindi sufficiente che, per alcuni periodi dell’intesa, o rispetto a certi accordi dell’intesa, l’impresa di cui trattasi abbia tenuto un «profilo basso». A tal proposito, è incompatibile con un ruolo passivo di emulatore che tenga un profilo basso il fatto di convocare riunioni, proporre un ordine del giorno, distribuire documenti preparatori in vista delle riunioni. Tali iniziative rivelano un atteggiamento favorevole e attivo dell’impresa interessata concernente l’elaborazione, la continuazione e il controllo dell’intesa.
Il secondo trattino di questo stesso punto 3 prevede una riduzione dell’importo dell’ammenda per circostanze attenuanti in caso di non applicazione di fatto degli accordi. A tal fine occorre verificare se le circostanze addotte dall’impresa siano tali da dimostrare che, durante il periodo in cui ha aderito agli accordi illeciti, essa si sia effettivamente sottratta alla loro applicazione tenendo sul mercato un comportamento concorrenziale.
Tuttavia, la circostanza che un’impresa, di cui sia dimostrata la partecipazione ad una concertazione in materia di prezzi con i suoi concorrenti, non abbia adeguato il proprio comportamento sul mercato a quello concordato con i suoi concorrenti non costituisce necessariamente un elemento da prendere in considerazione alla stregua di una circostanza attenuante in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda da infliggere. Infatti, un’impresa che persegua, nonostante la concertazione con i suoi concorrenti, una politica più o meno indipendente sul mercato può semplicemente cercare di avvalersi dell’intesa a proprio vantaggio.
(v. punti 251-252, 254-255, 257, 267-269)
11. Il principio del ne bis in idem vieta di sanzionare una stessa persona più di una volta per uno stesso comportamento illecito al fine di tutelare un medesimo interesse giuridico. L’applicazione di questo principio è soggetta a tre condizioni cumulative, cioè l’identità dei fatti, l’identità del contravventore e l’identità dell’interesse giuridico protetto.
Così, un’impresa può validamente costituire oggetto di due procedimenti paralleli per uno stesso comportamento illecito e pertanto di una doppia sanzione, l’una da parte dell’autorità competente dello Stato membro considerato, l’altra comunitaria, nella misura in cui i detti procedimenti perseguano fini distinti e non vi sia identità tra le norme violate.
Da ciò consegue che il principio del ne bis in idem non può, a maggior ragione, trovare applicazione in un caso in cui i procedimenti promossi e le sanzioni inflitte dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità di Stati terzi, dall’altro, non perseguono, con tutta evidenza, gli stessi obiettivi. Infatti, se nel primo caso si tratta di preservare una concorrenza non falsata nel territorio dell’Unione europea o nello Spazio economico europeo, la protezione che nel secondo caso si intende perseguire riguarda il mercato di uno Stato terzo. Fa difetto in tal caso la condizione dell’identità dell’interesse giuridico protetto, necessaria affinché possa essere applicato il principio del ne bis in idem.
(v. punti 285-287)
12. La possibilità di un cumulo di sanzioni, l’una comunitaria, l’altra nazionale, a seguito di due procedimenti paralleli che perseguono fini diversi e la cui ammissibilità deriva dal particolare sistema di ripartizione delle competenze fra la Comunità e gli Stati membri in materia di intese, è soggetta ad un’esigenza di equità. Tale esigenza di equità implica che, nel commisurare l’importo delle ammende ai sensi dell’art 15 del regolamento n. 17, la Commissione deve tener conto delle sanzioni che sono state già irrogate all’impresa per lo stesso fatto, qualora si tratti di sanzioni inflitte per violazione del diritto delle intese di uno Stato membro e, di conseguenza, per fatti avvenuti nel territorio comunitario.
Tuttavia, l’obbligo di prendere in considerazione l’esigenza di equità risulta, da un lato, dalla stretta interdipendenza dei mercati nazionali degli Stati membri e del mercato comune e, dall’altro, dal sistema specifico di ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri in materia di intese su un medesimo territorio.
(v. punti 290-291)
13. Il potere della Commissione di infliggere ammende a imprese che, intenzionalmente o per negligenza, si rendono responsabili di una infrazione all’art. 81, n. 1, CE o all’art. 82 CE costituisce uno degli strumenti di cui la Commissione dispone per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario. Questo compito comprende anche il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in fatto di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese.
Da ciò consegue che alla Commissione è lecito decidere il livello dell’importo delle ammende al fine di rafforzarne l’effetto dissuasivo allorché infrazioni di un certo tipo sono ancora relativamente frequenti, benché la loro illegittimità sia stata dimostrata sin dagli inizi della politica comunitaria della concorrenza, dati i vantaggi che determinate imprese possono trarne.
L’obiettivo di dissuasione perseguito dalla Commissione si riferisce al comportamento delle imprese in seno alla Comunità o allo Spazio economico europeo (SEE). Di conseguenza, il carattere dissuasivo di un’ammenda inflitta a un’impresa a causa della violazione da parte sua delle regole comunitarie di concorrenza non può essere determinato né in funzione della sola situazione particolare di tale impresa né in funzione del rispetto da parte sua delle regole di concorrenza fissate in Stati terzi al di fuori del SEE.
(v. punti 297-298, 300)
14. Qualora la Commissione intenda basarsi su un brano di una risposta ad una comunicazione degli addebiti o su di un documento allegato a tale risposta per dimostrare l’esistenza di un’infrazione in un procedimento avente ad oggetto l’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, le altre parti coinvolte in detto procedimento devono essere messe in condizione di pronunciarsi riguardo a tale elemento di prova. Alla luce di quanto precede, il brano di cui trattasi di una risposta alla comunicazione degli addebiti o il documento allegato a tale risposta costituiscono in effetti un elemento a carico nei confronti delle diverse parti che avrebbero partecipato all’infrazione.
All’impresa interessata spetta dimostrare che il risultato al quale è pervenuta la Commissione nella sua decisione sarebbe stato diverso se dai mezzi di prova a carico avesse dovuto essere eliminato un documento non comunicato sul quale la Commissione si è basata per incriminare tale impresa.
Per quanto riguarda la mancata comunicazione di un documento a discarico, l’impresa interessata deve solo provare che la sua mancata divulgazione ha potuto influenzare, a scapito di quest’ultima, lo svolgimento del procedimento e il contenuto della decisione della Commissione. È sufficiente che l’impresa dimostri che avrebbe potuto utilizzare il suddetto documento a discarico per la sua difesa, nel senso che, se avesse potuto avvalersene durante il procedimento amministrativo, essa avrebbe potuto far valere elementi che non concordavano con le deduzioni formulate in quella fase dalla Commissione e avrebbe potuto quindi influenzare, in qualsiasi maniera, le valutazioni svolte da quest’ultima nella decisione, almeno per quanto riguarda la gravità e la durata del comportamento contestatole e, di conseguenza, l’entità dell’ammenda. A tale riguardo la possibilità che un documento non divulgato abbia potuto influire sullo svolgimento del procedimento e sul contenuto della decisione della Commissione può essere accertata solo dopo un esame provvisorio di taluni mezzi di prova che faccia emergere che i documenti non divulgati potevano avere, alla luce di tali mezzi di prova, un’importanza che non avrebbe dovuto essere trascurata.
(v. punti 343-344, 351)
15. Qualora dall’esame dei motivi sollevati da un’impresa avverso la legittimità di una decisione della Commissione che le ha inflitto un’ammenda per violazione delle regole comunitarie di concorrenza non sia emerso alcun profilo di illegittimità, non occorre che il Tribunale si avvalga della propria competenza anche di merito per ridurre l’importo di tale ammenda.
(v. punto 386)
SENTENZA DEL TRIBUNALE (Terza Sezione)
27 settembre 2006 (*)
«Concorrenza – Intese – Acido citrico – Art. 81 CE – Ammenda – Art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 – Imputabilità del comportamento ad una controllata – Principio di legalità delle pene – Orientamenti per il calcolo dell’importo delle ammende – Principio di proporzionalità – Principio del ne bis in idem – Diritto di accesso al fascicolo»
Nella causa T‑43/02,
Jungbunzlauer AG, con sede in Basilea (Svizzera), rappresentata dagli avv.ti R. Bechtold, U. Soltész e M. Karl,
ricorrente,
contro
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. P. Oliver, in qualità di agente, assistito dall’avv. H. Freund,
convenuta,
sostenuta da
Consiglio dell’Unione europea, rappresentato dalla sig.ra E. Karlsson e dal sig. S. Marquardt, in qualità di agenti,
interveniente,
avente ad oggetto, in via principale, la domanda di annullamento della decisione della Commissione 5 dicembre 2001, 2002/742/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/E‑1/36.604 – Acido citrico) (GU 2002, L 239, pag. 18), e, in subordine, la domanda di riduzione dell’ammenda inflitta da tale decisione alla ricorrente,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),
composto dal sig. J. Azizi, presidente, dai sigg. M. Jaeger e F. Dehousse, giudici,
cancelliere: sig.ra D. Christensen, amministratore
vista la fase scritta del procedimento ed in seguito all’udienza del 9 giugno 2004,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Fatti all’origine della controversia
1 La ricorrente, la Jungbunzlauer AG (in prosieguo: la «Jungbunzlauer» o la «ricorrente») è stata creata nel 1993 quale controllata, detenuta al 100% dalla Jungbunzlauer Holding AG, holding di testa detenuta dalla holding Montana AG (in prosieguo anche: il «gruppo Jungbunzlauer»). Negli Stati Uniti il gruppo è presente tramite la Jungbunzlauer International AG, una controllata del gruppo Jungbunzlauer. La sede sociale del gruppo si trova nei locali della Jungbunzlauer a Basilea (Svizzera). Prima del 1993 il gruppo era diretto dalla Jungbunzlauer GmbH, la cui sede sociale si trovava a Vienna (Austria).
2 Il gruppo Jungbunzlauer produce e commercializza ingredienti utilizzati nel settore dei prodotti alimentari e delle bevande, dei prodotti farmaceutici e dei cosmetici, nonché per varie altre applicazioni industriali. Esso è, segnatamente, uno dei primi produttori mondiali di acido citrico.
3 L’acido citrico è l’agente acidificante e conservante maggiormente utilizzato nel mondo. Ne esistono vari tipi che servono a diverse applicazioni, in particolare nei prodotti alimentari e nelle bevande, nei detergenti e nei detersivi per uso domestico, nei prodotti farmaceutici e cosmetici nonché in diversi processi industriali.
4 Nel 1995 le vendite totali di acido citrico a livello mondiale ammontavano a circa EUR 894,72 milioni e quelle realizzate nello Spazio economico europeo (SEE) a circa EUR 323,69 milioni. Nel 1996 circa il 60% del mercato mondiale dell’acido citrico era nelle mani dei cinque destinatari della decisione oggetto del presente ricorso, cioè, oltre alla Jungbunzlauer, la F. Hoffmann-La Roche AG (in prosieguo: la «HLR»), l’Archer Daniels Midland Co. (in prosieguo: l’«ADM»), la Haarmann & Reimer Corp. (in prosieguo: la «H&R»), società appartenente al gruppo Bayer AG (in prosieguo: la «Bayer»), e la Cerestar Bioproducts BV (in prosieguo: la «Cerestar»), insieme denominate «le parti interessate».
5 Nell’agosto 1995 il Ministero della Giustizia americano informava la Commissione del fatto che erano in corso indagini aventi ad oggetto il mercato dell’acido citrico. Nell’ottobre 1996 e nel giugno 1998 le parti interessate, ivi compresa la Jungbunzlauer International AG, ammettevano di aver partecipato a un’intesa. A seguito di accordi conclusi con il Ministero della Giustizia americano, a tali imprese venivano inflitte ammende dalle autorità americane. Inoltre a taluni degli accusati venivano inflitte ammende a titolo personale. Si effettuavano peraltro indagini anche in Canada, dove venivano inflitte ammende a talune di queste stesse imprese, tra cui la Jungbunzlauer International AG.
6 Il 6 agosto 1997 la Commissione, a norma dell’art. 11 del regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione degli articoli [81] e [82] del trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204), indirizzava richieste di informazioni ai quattro principali produttori di acido citrico della Comunità, tra cui la Jungbunzlauer GmbH. Inoltre nel gennaio 1998 la Commissione indirizzava richieste di informazioni ai principali acquirenti di acido citrico della Comunità e, nel giugno e nel luglio 1998, rivolgeva nuovamente richieste di informazioni ai principali produttori di acido citrico della Comunità.
7 Facendo seguito alla prima richiesta di informazioni rivoltale nel luglio 1998, la Cerestar prendeva contatto con la Commissione e dichiarava, nel corso di un incontro tenutosi il 29 ottobre 1998, che aveva l’intenzione di cooperare con la Commissione sulla base della comunicazione della Commissione 18 luglio 1996 sulla non imposizione o sulla riduzione delle ammende nei casi di intesa tra imprese (GU C 207, pag. 4; in prosieguo: la «comunicazione sulla cooperazione»). In questa stessa occasione, la Cerestar forniva un resoconto orale delle attività risultanti dall’intesa cui aveva partecipato. Il 25 marzo 1999 essa inviava alla Commissione una dichiarazione scritta confermando quanto dichiarato nel corso di tale riunione.
8 Con lettera 28 luglio 1998 la Commissione rivolgeva alla Jungbunzlauer GmbH una nuova richiesta di informazioni alla quale questa rispondeva con lettera 28 settembre 1998.
9 Nel corso di una riunione svoltasi l’11 dicembre 1998 l’ADM dichiarava di voler cooperare con la Commissione e faceva un resoconto orale delle attività anticoncorrenziali cui aveva partecipato. Con lettera 15 gennaio 1999 l’ADM confermava le sue dichiarazioni orali.
10 Il 3 marzo 1999 dalla Commissione sono state inviate richieste di informazioni supplementari alla HLR, alla Jungbunzlauer e alla Cerestar.
11 Rispettivamente il 28 aprile, 21 maggio e 28 luglio 1999 la Bayer, a nome della H&R, la ricorrente e la HLR fornivano dichiarazioni a norma della comunicazione sulla cooperazione.
12 Il 28 marzo 2000, sulla base delle informazioni trasmessele, la Commissione indirizzava una comunicazione degli addebiti alla ricorrente e alle altre parti interessate per violazione dell’art. 81, n. 1, CE e dell’art. 53, n. 1, dell’accordo SEE. La ricorrente e le altre parti interessate trasmettevano osservazioni scritte in risposta agli addebiti mossi dalla Commissione. Nessuna di queste parti ha chiesto di essere sentita né ha sostanzialmente contestato la materialità dei fatti esposti nella comunicazione degli addebiti.
13 In una lettera indirizzata alla Commissione l’11 aprile 2001, la Jungbunzlauer GmbH ha formulato taluni rilievi quanto al procedimento in corso.
14 Il 27 luglio 2001 la Commissione ha indirizzato richieste supplementari di informazioni alla ricorrente e alle altre parti interessate. A suo nome e a nome della Jungbunzlauer GmbH, la ricorrente ha risposto con lettera 3 agosto 2001.
15 Il 5 dicembre 2001 la Commissione ha adottato la decisione 2002/742/CE relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (COMP/E‑1/36.604 – Acido citrico) (in prosieguo: la «Decisione»). La Decisione è stata notificata alla ricorrente il 18 dicembre 2001.
16 La Decisione comprende, in particolare, le seguenti disposizioni:
«Articolo 1
[ADM], [Cerestar], [H&R], [HLR] e [la ricorrente] hanno violato l’art. 81, paragrafo 1, del Trattato e l’art. 53, paragrafo 1, dell’accordo SEE partecipando a un accordo continuato e/o a una pratica concordata nel settore dell’acido citrico.
La durata dell’infrazione è stata la seguente:
– nel caso dell’[ADM], della [H&R], della [HLR] e della [ricorrente]: dal marzo 1991 al maggio 1995;
– nel caso della [Cerestar]: dal marzo 1992 al maggio 1995.
(…)
Articolo 3
Le seguenti ammende sono inflitte alle imprese di cui all’art. 1 per l’infrazione constatata in tale articolo:
a) [ADM]: un’ammenda di EUR 39,69 milioni,
b) [Cerestar]: un’ammenda di EUR 170 000,
c) [HLR]: un’ammenda di EUR 63,5 milioni,
d) [H&R]: un’ammenda di EUR 14,22 milioni,
e) [la ricorrente]: un’ammenda di EUR 17,64 milioni».
17 Ai punti 80‑84 della motivazione della Decisione, la Commissione ha rilevato che l’intesa verteva sull’assegnazione di precise quote di vendita ad ogni membro e sull’osservanza di tali quote, sulla fissazione di prezzi‑obiettivo e/o prezzi minimi, sull’eliminazione degli sconti e sullo scambio di informazioni specifiche relative ai clienti.
18 Ai punti 185‑188 della Decisione la Commissione ha considerato che, riguardo al gruppo Jungbunzlauer, l’infrazione doveva essere imputata alla Jungbunzlauer.
19 Ai fini del calcolo dell’importo delle ammende, la Commissione ha applicato, nella Decisione, la metodologia esposta negli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 15, paragrafo. 2 del regolamento n. 17 e dell’articolo 65, paragrafo 5, del Trattato CECA (GU 1998, C 9, pag. 3; in prosieguo: gli «orientamenti») nonché nella comunicazione sulla cooperazione.
20 In primo luogo, la Commissione ha fissato l’importo di base dell’ammenda in funzione della gravità e della durata dell’infrazione.
21 In tale contesto, per quanto riguarda la gravità dell’infrazione, la Commissione ha considerato anzitutto che le parti interessate avevano commesso un’infrazione molto grave, dati la sua natura, il suo impatto concreto sul mercato dell’acido citrico nel SEE e l’estensione del mercato geografico rilevante (punto 230 della Decisione).
22 La Commissione ha poi ritenuto che si dovesse tener conto dell’effettiva capacità economica di arrecare pregiudizio alla concorrenza e fissare l’ammenda ad un livello che garantisse un sufficiente effetto dissuasivo. Di conseguenza, basandosi sul fatturato mondiale realizzato dalle parti interessate dalla vendita dell’acido citrico nel corso dell’ultimo anno del periodo di infrazione, cioè il 1995, la Commissione le ha divise in tre categorie, e cioè, in una prima categoria, la H&R, con una quota di mercato mondiale del 22%, in una seconda categoria, l’ADM e la Jungbunzlauer, con quote di mercato del [riservato]% (1), nonché la HLR con una quota di mercato del 9% e, in una terza categoria, la Cerestar con una quota di mercato mondiale del 2,5%. Su tale base la Commissione ha fissato importi iniziali a EUR 35 milioni, per l’impresa appartenente alla prima categoria, a EUR 21 milioni, per quelle appartenenti alla seconda categoria, e a EUR 3,5 milioni, per quella classificata nella terza categoria (punto 239 della Decisione).
23 Inoltre, al fine di assicurare all’ammenda un effetto sufficientemente dissuasivo, la Commissione ha proceduto a un adeguamento di tale importo iniziale. Di conseguenza, tenendo conto delle dimensioni e delle risorse complessive delle parti interessate, espresse attraverso l’importo totale del loro fatturato mondiale, la Commissione ha applicato un coefficiente moltiplicatore 2 agli importi iniziali fissati per l’ADM e la HLR e 2,5 all’importo iniziale fissato per la H&R (punti 50 e 246 della Decisione).
24 Per quanto riguarda la durata dell’infrazione commessa da ciascuna impresa, l’importo iniziale così fissato è stato maggiorato del 10% all’anno, ovvero del 40% per l’ADM, la H&R, la HLR e la Jungbunzlauer e del 30% per la Cerestar (punti 249 e 250 della Decisione).
25 La Commissione ha così fissato l’importo di base delle ammende a EUR 29,4 milioni per quanto riguarda la Jungbunzlauer. Per quanto riguarda l’ADM, la Cerestar, la HLR e la H&R, gli importi di base sono stati fissati rispettivamente a EUR 58,8, 4,55, 58,8 e 122,5 milioni (punto 254 della Decisione).
26 In secondo luogo, sulla base di circostanze aggravanti, gli importi di base delle ammende inflitte all’ADM e alla HLR sono stati maggiorati del 35% per il motivo che tali imprese avevano svolto un ruolo leader nell’ambito dell’intesa (punto 273 della Decisione).
27 In terzo luogo, la Commissione ha esaminato e respinto gli argomenti di talune imprese circa il beneficio delle circostanze attenuanti (punti 274‑291 della Decisione).
28 In quarto luogo, in applicazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione ha adattato gli importi così calcolati per la Cerestar e la H&R affinché non eccedessero il limite del 10% del fatturato totale delle parti interessate (punto 293 della Decisione).
29 In quinto luogo, in applicazione del punto B della comunicazione sulla cooperazione, la Commissione ha concesso alla Cerestar una «riduzione molto importante» (cioè il 90%) dell’importo dell’ammenda che le sarebbe stata inflitta in assenza di cooperazione. In applicazione del punto D di tale comunicazione, la Commissione ha concesso all’ADM una «riduzione significativa» dell’importo dell’ammenda (cioè del 50%), alla Jungbunzlauer (del 40%), alla H&R (del 30%), e alla HLR (del 20%) (punto 326 della Decisione).
Procedimento e conclusioni delle parti
30 Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 25 febbraio 2002, la Jungbunzlauer ha proposto il presente ricorso.
31 Con ordinanza 18 giugno 2002 il presidente del Tribunale ha ammesso il Consiglio ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.
32 Su relazione del giudice relatore il Tribunale (Terza Sezione) ha deciso di passare alla fase orale e, nell’ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall’art. 64 del regolamento di procedura del Tribunale, ha posto per iscritto quesiti alle parti, cui queste hanno risposto entro i termini impartiti.
33 Le difese svolte dalle parti e le risposte ai quesiti loro rivolti dal Tribunale sono state sentite nel corso dell’udienza del 24 maggio 2004.
34 La Jungbunzlauer chiede che il Tribunale voglia:
– annullare la Decisione;
– in subordine, ridurre l’importo dell’ammenda inflittale;
– condannare la Commissione alle spese.
35 La Commissione e il Consiglio, parte interveniente, concludono che il Tribunale voglia:
– respingere il ricorso;
– condannare la Jungbunzlauer alle spese.
In diritto
36 La ricorrente solleva, in primo luogo, un’eccezione di illegalità sostenendo che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 viola il principio di legalità nel senso che tale disposizione non prestabilisce in maniera sufficiente la prassi decisionale della Commissione (in prosieguo: il «principio di legalità»). In secondo luogo, la ricorrente fa valere che la Decisione è inficiata da errori per quanto concerne il destinatario della Decisione, la valutazione della gravità dell’infrazione, il riconoscimento di circostanze attenuanti, l’omessa presa in considerazione delle ammende inflitte in altri Stati, l’osservanza del tetto delle ammende di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e il diritto di accesso al fascicolo. Infine la ricorrente asserisce che la durata del procedimento amministrativo dovrebbe ripercuotersi sull’importo dell’ammenda.
I – Sulla violazione del principio di legalità
A – Sull’eccezione d’illegalità sollevata riguardo all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17
1. Argomenti delle parti
37 La Jungbunzlauer solleva un’eccezione d’illegalità, ai sensi dell’art. 241 CE, e fa valere che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, disposizione che autorizza la Commissione a infliggere ammende in caso di infrazione al diritto comunitario della concorrenza, viola il principio di legalità, corollario del principio di certezza del diritto che costituisce un principio generale del diritto comunitario, nel senso che tale disposizione non prestabilisce in modo sufficiente la prassi decisionale della Commissione.
38 Anzitutto la Jungbunzlauer fa valere che il principio di legalità è stato consacrato dall’art. 7, n. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), che prevede quanto segue:
«Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso».
39 La Jungbunzlauer invoca l’art. 6, n. 2, UE, a norma del quale «[l’]Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla [CEDU] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario».
40 Inoltre la Jungbunzlauer sottolinea che, secondo la costante giurisprudenza della Corte e del Tribunale, qualsiasi disposizione comunitaria che preveda sanzioni, di carattere penale o meno (sentenze della Corte 25 settembre 1984, causa 117/83, Könecke, Racc. pag. 3291, punto 11, e 18 novembre 1987, causa 137/85, Maizena, Racc. pag. 4587, punto 15), deve rispettare il principio di legalità quale corollario del principio di certezza del diritto (sentenze della Corte 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder, Racc. pag. 419, punto 7; 13 febbraio 1996, causa C‑143/93, Van Es Douane Agenten, Racc. pag. I‑431, punto 27, e 12 dicembre 1996, cause riunite C‑74/95 e C‑129/95, Procedimenti penali a carico di X, Racc. pag. I‑6609, punto 25; sentenza del Tribunale 20 febbraio 2001, causa T‑112/98, Mannesmannröhren-Werke/Commissione, Racc. pag. II‑729, punti 59 e segg.).
41 Infine la Jungbunzlauer rileva che il principio di cui trattasi è pure inserito negli artt. 41 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 (GU 2000, C 364, pag. 1; in prosieguo: la «Carta dei diritti fondamentali») e fa parte integrante della tradizione costituzionale comune degli Stati membri.
42 La Jungbunzlauer fa valere che, in virtù del principio di legalità, corollario del principio di certezza del diritto, la legislazione comunitaria dev’essere chiara e la sua applicazione prevedibile per gli amministrati (sentenze della Corte 12 novembre 1981, cause riunite 212/80‑217/80, Salumi, Racc. pag. 2735, punto 10; 22 febbraio 1984, causa 70/83, Kloppenburg, Racc. pag. 1075, punto 11; Könecke, punto 40 supra, punto 11, e Maizena, punto 40 supra, punto 15) e che, quando si tratti di una normativa idonea a comportare conseguenze finanziarie, la certezza e la prevedibilità costituiscono un imperativo che si impone con particolare rigore (sentenza della Corte 13 marzo 1990, causa C‑30/89, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑691, punto 23, e la giurisprudenza ivi citata). Ciò è tanto più vero allorché si tratta di una norma del Consiglio che autorizza la Commissione ad agire, la quale, per essere valida, dev’essere sufficientemente precisa, nel senso che il Consiglio indica chiaramente i limiti dei poteri attribuiti alla Commissione (sentenza della Corte 5 luglio 1988, causa 291/86, Central‑Import Münster, Racc. pag. 3679, punto 13).
43 La Jungbunzlauer fa valere che il principio di legalità riveste un’importanza essenziale per le disposizioni che prevedono sanzioni (sentenze della Corte 10 luglio 1980, causa 32/79, Commissione/Regno Unito, Racc. pag. 2403, punto 46; Kloppenburg, punto 42 supra, punto 11; Maizena, punto 40 supra, punto 15, e 14 luglio 1994, causa C‑352/92, Milchwerke Köln, Racc. pag. I‑3385, punti 22 e 23). Tali disposizioni, sottolinea la Jungbunzlauer, devono definire in maniera prevedibile non soltanto il comportamento sanzionato, ma anche le conseguenze giuridiche che ne derivano per il singolo (sentenza Procedimenti penali a carico di X, punto 40 supra, punto 25).
44 La Jungbunzlauer considera che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 prevede la possibilità di pronunciare una sanzione penale o quasi penale.
45 La Jungbunzlauer cita in proposito, anzitutto, alcune dichiarazioni del sig. Monti, all’epoca membro della Commissione incaricato della politica della concorrenza, il tenore letterale degli orientamenti nonché i termini impiegati dalla Commissione nel suo controricorso. In effetti si tratterebbe di «sanzioni» e di «punizioni» per le infrazioni agli artt. 81 CE e 82 CE che dovrebbero essere sufficientemente elevate per avere un «carattere dissuasivo».
46 Inoltre la Jungbunzlauer ricorda come la Corte abbia già riconosciuto che le sanzioni previste dall’art. 15 del regolamento n. 17 non hanno il carattere di penalità di mora, ma lo scopo di reprimere comportamenti illeciti, come pure di prevenire il loro ripetersi (sentenza della Corte 15 luglio 1970, causa 41/69, Chemiefarma/Commissione, Racc. pag. 661, punti 172 e 173), il che, secondo la Jungbunzlauer, corrisponde all’interpretazione estensiva data alla nozione di accusa penale dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. La Jungbunzlauer rileva anche che, nella sentenza 20 marzo 2002, causa T‑15/99, Brugg Rohrsysteme/Commissione (Racc. pag. II‑1613, punti 109 e 122), il Tribunale ha esaminato la validità dell’ammenda inflitta, ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, alla luce dell’art. 7 della CEDU.
47 La Jungbunzlauer considera che l’espressione utilizzata all’art. 15, n. 4, del regolamento n. 17, secondo cui le decisioni che infliggono ammende «non hanno un carattere penale», non può modificare tale valutazione, dato che, conformemente alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, non è di per sé determinante la designazione di un atto giuridico, bensì il suo contenuto effettivo.
48 Conseguentemente, secondo la Jungbunzlauer, il procedimento che conduce all’imposizione di un’ammenda ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 deve soddisfare tutte le esigenze minime sotto il profilo dei diritti fondamentali derivanti non soltanto dalla CEDU, quali interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ma anche dalla Carta dei diritti fondamentali, la quale conferma segnatamente i diritti risultanti da tale giurisprudenza.
49 La Jungbunzlauer fa valere in tale contesto come dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo emerga che sia il delitto sia la pena inflitta in caso di infrazione devono essere «previsti dalla legge», il che implica che gli amministrati devono essere in grado di prevedere, nei ragionevoli limiti in cui lo consentono le circostanze della fattispecie, le conseguenze che possono risultare da un atto determinato. La Corte europea dei diritti dell’uomo avrebbe aggiunto che una legge che conferisce un potere discrezionale non confligge di per sé con tale esigenza, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un potere siffatto vengano definite con sufficiente chiarezza, in considerazione del legittimo scopo perseguito, per fornire all’individuo un’adeguata tutela contro l’arbitrio.
50 Dato quanto precede la Jungbunzlauer considera che il principio di legalità è violato allorché una disposizione che prevede la pronuncia di un’ammenda non limita sufficientemente le possibili conseguenze giuridiche di una decisione emessa in materia, ma rimette all’autorità competente, per effetto della formulazione imprecisa del testo di cui trattasi, ampie possibilità circa l’applicazione al caso di specie. In tal caso le conseguenze giuridiche non sono, in effetti, stabilite in anticipo dal legislatore, contrariamente a quanto esige il principio di legalità, ma ordinate dall’amministrazione. Se, ammette la Jungbunzlauer, l’esistenza di un margine di potere discrezionale in capo all’amministrazione non è in sé costitutiva di un atto illegittimo in virtù del principio di legalità, ciò non toglierebbe che un margine siffatto non dev’essere illimitato.
51 La Jungbunzlauer ritiene che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non soddisfi i requisiti minimi summenzionati.
52 La Jungbunzlauer ricorda che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 autorizza la Commissione a infliggere, in caso di infrazione alle regole di concorrenza del Trattato, un’ammenda il cui ammontare minimo è di EUR 1 000 e il cui ammontare massimo dev’essere stabilito singolarmente per ciascuna impresa in funzione del fatturato. Essa aggiunge che, per quanto concerne l’ammontare effettivo dell’ammenda, l’art. 15, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 17 precisa semplicemente che, «per determinare l’ammontare dell’ammenda occorre tener conto, oltre che della gravità dell’infrazione, anche della durata».
53 La Jungbunzlauer considera che, per effetto di tale disposizione, la Commissione dispone di un margine di potere discrezionale quasi illimitato per quanto riguarda la fissazione dell’ammontare dell’ammenda.
54 In primo luogo, la Jungbunzlauer invoca il fatto che, poiché ormai, contrariamente alla situazione esistente all’epoca dell’adozione del regolamento n. 17, i fatturati di gruppi mondiali possono ammontare, in parte, a parecchie centinaia di miliardi di euro, il limite massimo può facilmente raggiungere parecchie diecine di miliardi di euro. Essa rileva, a mò di esempio, che, se il gruppo petrolifero ExxonMobil – il cui fatturato di gruppo ammonta a EUR 248 miliardi – partecipasse ad un’intesa, la Commissione potrebbe infliggergli un’ammenda il cui importo si collocherebbe tra EUR 1 000 ed EUR 24,8 miliardi, somma corrispondente al prodotto nazionale lordo del Lussemburgo. La Jungbunzlauer considera che, se, per una data infrazione, la legge mette a disposizione dell’autorità una forcella di ammende che varia da EUR 1 000 a EUR 24,8 miliardi – o anche un’esenzione totale in virtù della comunicazione sulla cooperazione –, non è più la legge che determina in anticipo l’ammenda, ma esclusivamente l’autorità. Una siffatta disposizione aprirebbe in definitiva la porta alla fissazione arbitraria dell’ammontare dell’ammenda.
55 In secondo luogo, per quanto concerne gli orientamenti, la Jungbunzlauer considera che essi non costituiscono una «legge» ai sensi della CEDU. Essa sottolinea che siffatti orientamenti vincolano unicamente la Commissione stessa, ma non le autorità giudiziarie (sentenza del Tribunale 16 luglio 1998, causa T‑81/97, Regione Toscana/Commissione, Racc. pag. II‑2889, punto 49, e conclusioni dell’avvocato generale Alber nella causa definita con sentenza della Corte 22 marzo 2001, causa C‑17/99, Francia/Commissione, Racc. pagg. I‑2481, I‑2484, punto 23) che sono competenti ad esercitare un controllo di merito sulle decisioni della Commissione. Orbene, secondo la ricorrente, poiché proprio le suddette autorità sono competenti per fissare, in maniera definitiva, l’importo delle ammende e non sono vincolate dagli orientamenti, questi ultimi non hanno alcuna incidenza sulla valutazione del carattere sufficiente della legalità di una norma penale ai sensi dell’art. 7 della CEDU. Inoltre essa rileva che il Tribunale ha recentemente affermato che il contesto giuridico applicabile alle ammende era definito unicamente dal regolamento n. 17 (sentenza Brugg Rohrsysteme/Commissione, punto 46 supra, punto 123).
56 In terzo luogo, la Jungbunzlauer contesta la fondatezza dell’argomento della Commissione secondo cui un grado più elevato di prevedibilità e di affidabilità del calcolo dell’importo delle ammende sarebbe inconciliabile con il principio in base al quale l’ammenda deve, da un lato, tener conto delle particolarità del caso e, dall’altro, avere un effetto dissuasivo sufficiente a garantire il rispetto delle regole di concorrenza da parte delle imprese. In effetti, secondo la Jungbunzlauer, al contrario, la conoscenza o il fatto di poter avere conoscenza delle possibili conseguenze di un atto illecito permette di garantire più efficacemente l’effetto dissuasivo auspicato dalla Commissione. Soprattutto per tale motivo le leggi penali degli Stati membri sarebbero costituite da una serie di elementi di infrazione diversi aventi ciascuno conseguenze differenziate sotto il profilo della sanzione. Sul fondamento di tali norme e della loro interpretazione ad opera della giurisprudenza nazionale, il soggetto chiamato a rispondere dinanzi al giudice sarebbe in grado di prevedere in maniera sufficientemente precisa le conseguenze penali dei suoi atti. Il contesto sanzionatorio quasi illimitato dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non avrebbe appunto tale effetto dissuasivo dato che non fornirebbe la minima indicazione sul tenore concreto dell’infrazione che potrebbe implicare a priori l’esaurimento completo della gamma di sanzioni disponibili.
57 La Jungbunzlauer aggiunge che la circostanza che gli orientamenti non circoscrivano in maniera sufficiente il calcolo delle ammende è illustrata dal fatto che, per le infrazioni cosiddette «molto gravi», la Commissione «può» scegliere quale importo di base qualsiasi importo superiore ad EUR 20 milioni. Tuttavia gli orientamenti non permetterebbero affatto di conoscere i presupposti che inducono la Commissione a prendere in considerazione un importo di base di EUR 20, 50 o 100 milioni o addirittura un importo ancora superiore.
58 In quarto luogo, la Jungbunzlauer considera che non può neppure essere accolto l’argomento del Consiglio secondo il quale le ammende fissate dalla Commissione sono all’occorrenza controllate dal giudice comunitario cui è conferita una competenza anche di merito. In effetti, secondo la Jungbunzlauer, il Consiglio pone in non cale il fatto che le esigenze di sufficiente chiarezza delle disposizioni giuridiche perseguono proprio la finalità di permettere al giudice comunitario di controllare la legittimità delle decisioni adottate sul fondamento di tali disposizioni. La tesi difesa dal Consiglio finirebbe con il delegare ai giudici comunitari la funzione di legislatore comunitario.
59 In quinto luogo, la Jungbunzlauer invoca il fatto che, a livello nazionale, non esiste un comparabile conferimento di poteri ad un’autorità che permetta a quest’ultima di infliggere ammende in maniera quasi illimitata. Quanto al raffronto con il diritto svedese, invocato dal Consiglio, la Jungbunzlauer considera che, in tale Stato membro, il diritto è stato elaborato sul modello del diritto comunitario e non apporta niente di utile al dibattito. Per quanto riguarda il diritto tedesco, del pari invocato dal Consiglio, la Jungbunzlauer fa valere che le disposizioni tedesche relative alla fissazione di ammende che colpiscono infrazioni al diritto della concorrenza costituiscono un sistema differenziato che non è comparabile con il conferimento globale di poteri di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. In effetti tali disposizioni prevederebbero un limite superiore che può andare sino ad EUR 500 000 e, oltre, sino al triplo del profitto ottenuto per effetto dell’infrazione, il che in pratica condurrebbe ad un livello di ammende inferiore a quello risultante dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Inoltre la Jungbunzlauer rileva che tale livello di ammende è ancora modificato in funzione della maniera in cui viene commessa l’infrazione. Solo in caso di atto commesso deliberatamente, sarebbe applicabile tutta la gamma delle ammende previste, mentre, in presenza di un’infrazione commessa per negligenza, si potrebbe fissare solo la metà dell’importo massimo previsto. In un ambito così definito l’ammenda verrebbe calcolata secondo criteri determinati in maniera rigorosa, relativi ad esempio all’importanza dell’infrazione, alla gravità dell’addebito, alle circostanze particolari concernenti la persona e la situazione economica dell’autore dell’infrazione. La Jungbunzlauer ammette che neppure una siffatta normativa permetterebbe di determinare in anticipo, con precisione contabile, l’importo delle ammende. Tuttavia tale precisione andrebbe ben oltre il grado di delimitazione di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. La Jungbunzlauer deduce che sia stata principalmente l’idea che un approccio unicamente basato sul fatturato non tenesse sufficientemente conto dell’ampiezza e dell’importanza dell’infrazione a condurre il legislatore, nel 1999, a rinunciare ad una modifica in tal senso del contesto normativo.
60 In sesto luogo, la Jungbunzlauer considera che la fondatezza della sua tesi è illustrata dalla prassi decisionale della Commissione in materia di ammende. In effetti la prassi della Commissione non sarebbe contraddistinta unicamente dalle enormi differenze negli importi in valore assoluto delle ammende, ma anche, e soprattutto, dal drastico aumento dell’importo delle stesse a partire dal 2001. La Jungbunzlauer rileva in particolare come, dalla media delle ammende inflitte alle imprese tra il 1994 e il 2000, comparata all’ammenda record di EUR 462 milioni inflitta nel corso del 2001 nell’ambito della decisione della Commissione 21 novembre 2001, 2003/2/CE, relativa ad un procedimento di applicazione dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/E‑1/37.512 – Vitamine) (GU 2003, L 6, pag. 1), risulti quasi un rapporto di uno a quindici. Anche la seconda ammenda più elevata inflitta ad un’impresa nel 2001, cioè un’ammenda di EUR 184,27 milioni, inflitta nell’ambito della decisione della Commissione 20 dicembre 2001, 2004/337/CE, relativa ad un procedimento di applicazione dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/E‑1/36.212 – Carta autocopiante) (GU 2004, L 115, pag. 1), rappresenterebbe pur sempre quasi sei volte il suddetto valore medio. La Jungbunzlauer considera che il fatto che tutte queste decisioni siano – come del resto la prassi anteriore, del tutto diversa, della Commissione – fondate sull’unico contesto normativo delle ammende, cioè l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, dimostrerebbe che tale disposizione non ha in realtà alcun effetto di delimitazione della prassi della Commissione. Un’evoluzione siffatta costituirebbe in effetti non un aumento del livello delle ammende, ma piuttosto una moltiplicazione di quest’ultimo.
61 In settimo luogo, la Jungbunzlauer rileva come, in un articolo pubblicato nel 1993, un dipendente della Commissione avrebbe ammesso che il procedimento idoneo a concludersi con un’ammenda ai sensi del regolamento n. 17 «[sembra] essere lontano da ciò che si qualifica abitualmente come procedimento regolare (due process)».
62 In subordine, la Jungbunzlauer considera che, anche supponendo che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 sia compatibile con il principio di legalità, la Commissione dovrebbe perlomeno interpretare tale disposizione in maniera restrittiva e compensare l’insufficiente grado di prevedibilità della stessa con un sistema di ammende coerente e trasparente che permetta di garantire alle imprese interessate l’indispensabile livello di certezza del diritto. Un’interpretazione siffatta dovrebbe, ad avviso della Jungbunzlauer, tradursi nel fatto che la Commissione dovrebbe essere disposta a garantire un minimo di trasparenza e di prevedibilità per quanto concerne la fissazione dell’ammenda. L’ampio potere, conferito dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, dovrebbe, a suo parere, acquisire un minimo di concretizzazione per effetto della prassi decisionale della Commissione, escludendo quindi decisioni a sorpresa, come si sarebbe verificato nel caso di specie.
63 La Commissione e il Consiglio sono del parere che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non violi il principio di legalità.
64 La Commissione pone specialmente in rilievo che le decisioni da essa emesse in materia di ammende sono soggette al controllo anche di merito del giudice comunitario. Inoltre essa sottolinea che i criteri previsti all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 sono stati precisati, da una parte, dalla giurisprudenza e, dall’altra, dagli orientamenti. A suo avviso, se si dovessero definire in maniera più precisa i criteri, essa non sarebbe in grado, da un lato, di tener conto delle particolarità di ogni caso di specie e, dall’altro, di garantire un effetto dissuasivo alle ammende.
65 La Commissione sottolinea anche che, conformemente all’art. 15, n. 4, del regolamento n. 17, le regole di concorrenza non hanno un carattere penale. Essa ritiene inoltre che la ricorrente invochi a torto la violazione dell’art. 7, n. 1, della CEDU e degli artt. 41 e 49 della carta dei diritti fondamentali.
66 La Commissione ricorda anche che ha il potere di aumentare il livello delle ammende e che gli orientamenti non influiscono sul contesto normativo applicabile alla fissazione delle ammende.
67 Infine, per quanto concerne il confronto con il diritto tedesco, la Commissione prospetta l’esempio di una norma penale per illustrare il fatto che il diritto di tale paese prevede anch’esso un potere discrezionale molto ampio nel cui ambito va fissata la sanzione individuale e concreta.
68 Il Consiglio ritiene che le citate disposizioni della CEDU e della carta dei diritti fondamentali non siano applicabili all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Peraltro, a suo parere, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 è una norma perfettamente chiara e non ambigua.
2. Giudizio del Tribunale
69 L’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, come modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 1216/1999 (GU L 148, pag. 5), prevede:
«La Commissione può, mediante decisione, infliggere alle imprese ed alle associazioni di imprese ammende che variano da un minimo di [EUR 1 000] ad un massimo di [EUR 1 milione], con facoltà di aumentare quest’ultimo importo fino al 10 per cento del volume d’affari realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione, quando intenzionalmente o per negligenza:
a) commettano una infrazione alle disposizioni dell’articolo [81], paragrafo 1, [CE] o dell’articolo [82 CE], o
b) non osservino un onere imposto in virtù dell’articolo 8, paragrafo 1.
Per determinare l’ammontare dell’ammenda, occorre tener conto oltre che della gravità dell’infrazione, anche della sua durata».
70 Occorre esaminare se, come fa valere la ricorrente, l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 violi il principio di legalità non prestabilendo in maniera sufficiente la prassi decisionale della Commissione.
71 Va in proposito ricordato come risulti dalla giurisprudenza della Corte che il principio di legalità è un corollario del principio di certezza del diritto, il quale costituisce un principio generale del diritto comunitario, che esige segnatamente che qualsiasi normativa comunitaria, in particolare quando impone o consente di imporre sanzioni, sia chiara e precisa, affinché le persone interessate possano conoscere senza ambiguità i diritti e gli obblighi che ne derivano e regolarsi di conseguenza (v., in tal senso, sentenze della Corte 9 luglio 1981, causa 169/80, Gondrand, Racc. pag. 1931, punto 17; Maizena, punto 40 supra, punto 15; Van Es Douane Agenten, punto 40 supra, punto 27, e Procedimenti penali a carico di X, punto 40 supra, punto 25).
72 Risulta parimenti dalla giurisprudenza che tale principio si impone sia alle norme di carattere penale sia agli strumenti amministrativi specifici che impongono o consentono di imporre sanzioni amministrative (v. sentenza Maizena, punto 40, supra, punti 14 e 15, e la giurisprudenza ivi citata) e che esso è applicabile non solo alle norme che stabiliscono gli elementi costitutivi di un’infrazione, ma anche a quelle che definiscono le conseguenze derivanti da un’infrazione alle prime (v., in tal senso, sentenza Procedimenti penali a carico di X, punto 40 supra, punti 12 e 15).
73 Va inoltre ricordato che il principio di legalità fa parte dei principi generali di diritto comunitario che si trovano alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e che è stato sancito da diversi trattati internazionali, in particolare dall’art. 7 della CEDU, e ciò, tra l’altro, per quanto concerne le infrazioni e le sanzioni penali (v., in tal senso, sentenza Procedimenti penali a carico di X, punto 40 supra, punto 25).
74 In base ad una giurisprudenza costante i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali il giudice comunitario garantisce l’osservanza (parere della Corte 28 marzo 1996, 2/94, Racc. pag. I‑1759, punto 33, e sentenza della Corte 29 maggio 1997, causa C‑299/95, Kremzow, Racc. pag. I‑2629, punto 14). A tal fine la Corte e il Tribunale si ispirano alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e alle indicazioni fornite dai trattati internazionali relativi alla tutela dei diritti dell’uomo cui gli Stati membri hanno cooperato e aderito. La CEDU riveste, a questo proposito, un significato particolare (sentenze della Corte 15 maggio 1986, causa 222/84, Johnston, Racc. pag. 1651, punto 18, e Kremzow, citata supra, punto 14). Peraltro, ai sensi dell’art. 6, n. 2, UE «l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla [CEDU] e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario» (sentenza della Corte 22 ottobre 2002, causa C‑94/00, Roquette Frères, Racc. pag. I‑9011, punti 23 e 24, e sentenza Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, punto 40 supra, punto 60).
75 Al riguardo, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 7, n. 1, della CEDU:
«Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso».
76 Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte eur. D.U.»), da tale disposizione risulta che la legge deve definire chiaramente le infrazioni e le pene che le reprimono. Tale presupposto viene soddisfatto quando il soggetto di diritto può conoscere, a partire dal tenore della disposizione rilevante e, se occorre, con l’ausilio dell’interpretazione datane dai tribunali, quali atti ed omissioni fanno sorgere la sua responsabilità penale (v. Corte eur. D.U., sentenza Coëme c. Belgio 22 giugno 2000, Recueil des arrêts et décisions, 2000‑II, pag. 1, punto 145).
77 Riferendosi all’art. 15, n. 4, del regolamento n. 17, ai sensi del quale le decisioni prese dalla Commissione a norma, segnatamente, del n. 2 di questa disposizione non hanno un carattere penale, la Commissione e il Consiglio hanno formulato dubbi sul punto se il Tribunale possa ispirarsi all’art. 7, n. 1, della CEDU e alla giurisprudenza della Corte eur. D.U. relativa a tale articolo al fine di esaminare la legalità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.
78 Il Tribunale sottolinea preliminarmente al riguardo che non è competente a valutare la legalità dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, alla luce dell’art. 7, n. 1, della CEDU, poiché le disposizioni della CEDU non rientrano in quanto tali nel diritto comunitario (v., in tal senso, sentenza Mannesmannröhren‑Werke/Commissione, punto 40 supra, punto 59). Tuttavia, come indicato al punto 74 supra, i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali il giudice comunitario garantisce l’osservanza tenendo conto in particolare della CEDU in quanto fonte di ispirazione.
79 In secondo luogo, senza che il Tribunale debba pronunciarsi sulla questione se, a causa, segnatamente, della natura e del grado di severità delle ammende inflitte dalla Commissione ai sensi dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, l’art. 7, n. 1, della CEDU possa essere applicabile a siffatte sanzioni amministrative e possa quindi servire quale fonte di ispirazione per il Tribunale (v., al riguardo, sentenza della Corte 28 giugno 2005, cause riunite C‑189/02 P, C‑202/02 P, C‑205/02 P, C‑208/02 P e C‑213/02 P, Dansk Rørindustri e a./Commissione, Racc. pag. I‑5425, punti 215‑223), è sufficiente constatare come l’art. 7, n. 1, della CEDU non esiga una precisione dei termini delle disposizioni a norma delle quali queste sanzioni vengono inflitte tale da rendere prevedibili con assoluta certezza le conseguenze potenzialmente risultanti da un’infrazione alle disposizioni stesse.
80 Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte eur. D.U., l’esistenza di termini vaghi nella disposizione non comporta necessariamente una violazione dell’art. 7 della CEDU. Così, la Corte eur. D.U. ha riconosciuto che la nozione di diritto utilizzata all’art. 7 della CEDU corrisponde a quella di legge figurante in altri articoli della CEDU (v. Corte eur. D.U., sentenza Baskaya e Okçuoglu c. Turchia 8 luglio 1999, Recueil des arrêts et décisions, 1999‑IV, pag. 308, punto 36, e sentenza Dansk Rørindustri e a./Commissione, punto 79 supra, punto 216). Inoltre la Corte eur. D.U. ha riconosciuto che numerose leggi non hanno una precisione assoluta e che molte di esse, a causa della necessità di evitare una rigidità eccessiva e di adattarsi ai mutamenti di situazione, si servono necessariamente di formule più o meno indeterminate e che l’interpretazione e l’applicazione di queste ultime dipendono dalla pratica (v. Corte eur. D.U., sentenza Kokkinakis c. Grecia 25 maggio 1993, serie A n. 260‑A, punti 40 e 52). Tuttavia la Corte eur. D.U. ha anche precisato che qualsiasi legge presuppone condizioni qualitative fra cui, tra l’altro, quelle di accessibilità e prevedibilità (sentenza Baskaya e Okçuoglu c. Turchia, cit. supra, punto 36). Il fatto che una legge conferisca un potere discrezionale non è però di per sé incompatibile con l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un potere siffatto vengano definite con sufficiente chiarezza, in considerazione del legittimo obiettivo in gioco, per fornire all’individuo una protezione adeguata contro l’arbitrio (v. Corte eur. D.U., sentenza Margareta e Roger Andersson c. Svezia 25 febbraio 1992, serie A n. 226‑A, paragrafo 75). Infine la Corte eur. D.U. precisa che, oltre al testo stesso della legge, nel valutare il carattere definito o meno delle nozioni utilizzate essa tiene conto della giurisprudenza consolidata e pubblicata (v. Corte eur. D.U., sentenze G. c. Francia 27 settembre 1995, serie A n. 325‑B, paragrafo 25, e E.K. c. Turchia 7 febbraio 2002, punto 51).
81 Quanto alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, nessun elemento permette al Tribunale di dare al principio generale di diritto comunitario costituito dal principio di legalità una interpretazione diversa da quella risultante dall’elaborazione di cui supra. Anzitutto, per la parte in cui la ricorrente invoca i termini della disposizione del diritto tedesco ai sensi della quale gli organi tedeschi competenti infliggono ammende per l’infrazione alle regole della concorrenza, occorre osservare che una tradizione costituzionale comune agli Stati membri non può essere inferita dalla situazione giuridica di un solo Stato membro. Inoltre, come la ricorrente ha ammesso durante l’udienza, il diritto rilevante di numerosi altri Stati membri conosce, al fine di irrogare sanzioni amministrative quali quelle inflitte per la violazione delle regole nazionali della concorrenza, un livello di predeterminazione comparabile a quello di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, cioè criteri simili o identici a quelli previsti da tale disposizione.
82 Occorre quindi valutare proprio alla luce delle considerazioni di principio suenunciate se l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 rispetti il principio di legalità.
83 Va ricordato al riguardo che le sanzioni di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, in caso di violazione degli artt. 81 CE e 82 CE, costituiscono uno strumento chiave di cui dispone la Commissione per vigilare sull’istituzione, in seno alla Comunità, di un «regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno» [art. 3, n. 1, lett. g), CE]. Tale regime permette alla Comunità di adempiere il suo compito che consiste nel promuovere in tutta la Comunità, mediante l’instaurazione di un mercato comune, segnatamente uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche ed un alto grado di competitività (art. 2 CE). Tale regime è inoltre necessario per l’adozione in seno alla Comunità di una politica economica condotta conformemente al rispetto del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza (art. 4, nn. 1 e 2, CE). L’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 permette quindi l’istituzione di un regime che adempie i compiti fondamentali della Comunità.
84 Va inoltre precisato che, al fine di evitare un’eccessiva rigidità normativa e di permettere un adattamento alle circostanze della regola di diritto, va permesso un certo grado di imprevedibilità circa la sanzione che può essere irrogata per un’infrazione. Un’ammenda comprendente una variazione sufficientemente circoscritta tra l’ammenda minima e quella massima che può essere inflitta per un’infrazione può dunque contribuire all’efficacia della sanzione stessa, sotto il profilo sia della sua applicazione sia del suo potere di dissuasione.
85 Nel caso di specie l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 prevede quale sanzione, per un’impresa che ha violato l’art. 81, n. 1, CE e l’art. 82 CE, l’imposizione di un’ammenda il cui livello si colloca tra EUR 1 000 e il 10% del fatturato realizzato nel corso del precedente esercizio di bilancio dell’impresa in questione. Va quindi constatato che, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Commissione non dispone di un potere discrezionale illimitato per fissare ammende in caso di infrazione alle regole della concorrenza.
86 Il Tribunale ritiene peraltro che il Consiglio, prevedendo, in caso di infrazione alle regole della concorrenza, ammende comprese tra EUR 1 000 e il 10% del fatturato dell’impresa interessata, non abbia lasciato alla Commissione un margine di manovra eccessivo. In particolare il Tribunale ritiene che il tetto del 10% del fatturato dell’impresa interessata sia ragionevole, in considerazione degli interessi difesi dalla Commissione in occasione di tali tipi di infrazione. Occorre del pari sottolineare che, contrariamente a quanto indica la ricorrente, la valutazione del carattere ragionevole delle ammende che possono essere irrogate sul fondamento dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 non dev’essere condotta in termini assoluti, ma in termini relativi, cioè in rapporto al fatturato del contravventore.
87 Inoltre il Tribunale sottolinea che, per fissare l’importo delle ammende a norma dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione è tenuta a rispettare i principi generali di diritto, specialmente i principi di parità di trattamento e di proporzionalità, quali riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte e del Tribunale. Una ben consolidata giurisprudenza della Corte e del Tribunale ha chiarito anche i criteri e il metodo di calcolo che la Commissione deve applicare nell’ambito della fissazione dell’importo delle ammende (v., segnatamente, punti 213 e segg. infra). Del resto la stessa ricorrente si riferisce a tale giurisprudenza a sostegno dei suoi motivi e dei suoi argomenti (v., segnatamente, punto 199 infra).
88 Peraltro, sulla base dei criteri accolti all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 e precisati nella giurisprudenza della Corte e del Tribunale, la Commissione medesima ha elaborato una prassi decisionale nota al pubblico e accessibile. Anche se, certamente, la precedente prassi decisionale della Commissione non vincola di per sé la Commissione quando fissa l’importo di un’ammenda (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑23/99, LR AF 1998/Commissione, Racc. pag. II‑1705, punto 234, e 30 settembre 2003, causa T‑203/01, Michelin/Commissione, Racc. pag. II‑4071, punto 254), ciò non toglie che, a norma del principio della parità di trattamento, che costituisce un principio generale del diritto alla cui osservanza è tenuta la Commissione, quest’ultima non può trattare situazioni analoghe in maniera differenziata o situazioni diverse in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenze della Corte 13 dicembre 1984, causa 106/83, Sermide, Racc. pag. 4209, punto 28, e del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑311/94, BPB de Eendracht/Commissione, Racc. pag. II‑1129, punto 309).
89 Occorre inoltre tener conto del fatto che, per scrupolo di trasparenza e al fine di accrescere la certezza del diritto per le imprese interessate, la Commissione ha pubblicato orientamenti in cui enuncia il metodo di calcolo che essa stessa si impone in ogni fattispecie.
90 Basandosi sull’insieme di tali elementi, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, un operatore avveduto, avvalendosi se necessario dell’assistenza legale, può, a sufficienza di diritto, prevedere il metodo e l’ordine di grandezza delle ammende che possono essergli inflitte per un dato comportamento. Il fatto, non contestato dalla Commissione e dal Consiglio, che le imprese non siano in grado di conoscere con precisione, in anticipo, il livello delle ammende che la Commissione deciderà di infliggere in ogni caso di specie non è tale da provare che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 viola il principio di legalità.
91 Anche se è vero che le imprese non sono in grado di conoscere in anticipo il livello preciso delle ammende che la Commissione deciderà di infliggere in ogni caso di specie, ciò non toglie che, conformemente all’art. 253 CE, la Commissione è tenuta a fornire, nella decisione che infligge un’ammenda, una motivazione, in particolare quanto al livello dell’ammenda inflitta e al metodo scelto a tale riguardo. Questa motivazione deve rivelare, in modo chiaro e inequivocabile, il ragionamento della Commissione in modo da consentire agli interessati di conoscere le giustificazioni del provvedimento adottato al fine di valutare l’opportunità di adire il giudice comunitario e, eventualmente, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo controllo.
92 Dal complesso di tali considerazioni risulta che l’eccezione di illegalità sollevata rispetto all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 dev’essere respinta.
B – Sull’interpretazione conforme dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17
93 La ricorrente fa valere che, anche supponendo che l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 sia compatibile con il principio di legalità, corollario del principio di certezza del diritto, la Commissione dovrebbe almeno interpretare questa disposizione in maniera restrittiva e compensare il grado di prevedibilità insufficiente di tale disposizione con un sistema di ammende coerente e trasparente che permetta di assicurare alle imprese interessate il livello indispensabile di certezza del diritto.
94 La Commissione ricorda che è stato proprio per garantire un grado di trasparenza sufficiente, che essa ha adottato gli orientamenti e che, a partire dall’adozione di questi ultimi, viene ad essere limitata la sua libertà di scegliere l’importo delle ammende.
95 Il Tribunale constata che, nell’ambito di tale seconda parte del presente motivo, sollevata in via subordinata in rapporto alla prima, la ricorrente non avanza alcun addebito concreto avverso la Decisione, ma formula postulati generali nel senso che la Commissione deve, in maniera generale, modificare la sua politica in materia di ammende riducendo l’importo di queste ultime o precisando i termini degli orientamenti.
96 Pertanto tale parte del motivo va dichiarata irricevibile.
II – Sul destinatario della decisione
97 La ricorrente solleva motivi fondati, in primo luogo, sulla violazione dell’obbligo di motivazione e, in secondo luogo, su errori quanto al destinatario della Decisione.
A – Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
98 La Jungbunzlauer considera che la Decisione non contiene alcuna motivazione che fornisca le ragioni per cui doveva esserle imputata la responsabilità del comportamento anticoncorrenziale della Jungbunzlauer GmbH nel corso del periodo precedente al 1993.
99 La Commissione non ha sollevato argomenti specifici in proposito.
100 Il Tribunale ricorda che secondo la costante giurisprudenza la motivazione prescritta dall’art. 253 CE deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’autorità comunitaria da cui l’atto controverso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo. Il requisito della motivazione dev’essere valutato in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo interessate direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto si deve valutare se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti dell’art. 253 CE alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (sentenze della Corte 2 aprile 1998, causa C‑367/95 P, Commissione/Sytraval e Brink’s France, Racc. pag. I‑1719, punto 63, e 30 settembre 2003, causa C‑301/96, Germania/Commissione, Racc. pag. I‑9919, punto 87).
101 Nel caso di specie la Commissione ha fatto valere le ragioni seguenti per giustificare la sua decisione di imputare l’infrazione alla Jungbunzlauer non soltanto per il periodo successivo all’agosto 1993, ma anche per il periodo che va dall’inizio dell’infrazione, nel marzo 1991, sino al luglio 1993.
102 Ai punti 30 e 33 della Decisione la Commissione ha rilevato che la ricorrente, la società Jungbunzlauer, era la società di gestione che, a partire dalla ristrutturazione del gruppo nel 1993, dirigeva le attività del gruppo Jungbunzlauer alla testa della quale si trovava una società holding, cioè la Jungbunzlauer Holding AG. La Commissione ha notato che, dal 1993, la ricorrente, la Jungbunzlauer, dirigeva quindi anche le attività del gruppo sul mercato dell’acido citrico, prodotto in seno al gruppo dalla Jungbunzlauer GmbH, controllata al 100% dalla Jungbunzlauer Holding AG. La Commissione ha aggiunto che, prima della ristrutturazione del gruppo nel 1993, il gruppo era diretto dalla Jungbunzlauer GmbH. La distribuzione di acido citrico era realizzata, sino al 1993, dalla Jungbunzlauer GmbH e, dopo tale data, da un’altra controllata della Jungbunzlauer Holding AG, cioè la Jungbunzlauer International AG.
103 Al punto 70 della Decisione, la Commissione ha notato che, in occasione delle riunioni dell’intesa, il gruppo Jungbunzlauer era rappresentato dal presidente‑direttore generale del gruppo e dal direttore della Jungbunzlauer GmbH.
104 Al punto 186 della Decisione, la Commissione ha rilevato come la Jungbunzlauer e la Jungbunzlauer GmbH avessero insieme dichiarato nella loro risposta alla comunicazione degli addebiti che proprio la Jungbunzlauer GmbH doveva considerarsi quale destinataria della Decisione. In proposito la Commissione ha fornito il seguente ragionamento:
«(187) (…) In primo luogo, fino alla seconda metà del 1993, Jungbunzlauer [GmbH] non era solo una controllata incaricata della produzione e della distribuzione di acido citrico, ma era anche il soggetto giuridico responsabile della gestione di tutto il gruppo Jungbunzlauer. Nel 1993 questa responsabilità è passata a Jungbunzlauer AG, che può essere considerata come il successore di Jungbunzlauer [GmbH] nell’amministrazione del gruppo Jungbunzlauer. Da tale data, Jungbunzlauer [GmbH] è diventata una controllata al 100% in seno al gruppo, che non decideva in modo autonomo del suo comportamento sul mercato, ma applicava in sostanza le direttive emanate da Jungbunzlauer AG, la società responsabile della gestione del gruppo.
(188) Per una certa parte del periodo considerato nella presente decisione, Jungbunzlauer AG ha partecipato direttamente alle riunioni del cartello, in particolare nella persona del suo [presidente‑direttore generale]. Va pertanto concluso che in ogni momento del periodo considerato nella presente decisione il soggetto giuridico responsabile della gestione di tutto il gruppo Jungbunzlauer era attivamente e direttamente implicato nel cartello. Poiché il soggetto giuridico in questione è attualmente Jungbunzlauer AG, tale impresa deve essere fra i destinatari della presente decisione».
105 Tali indicazioni, benché succinte, individuano gli elementi essenziali presi in considerazione dalla Commissione per giustificare l’imputazione dell’infrazione alla Jungbunzlauer per il periodo precedente al 1993. La Commissione ha in effetti indicato che, a causa della successione nei compiti di direzione per le attività del gruppo, segnatamente sul mercato dell’acido citrico, dalla Jungbunzlauer GmbH alla Jungbunzlauer, essa considerava che quest’ultima fosse responsabile dell’infrazione per il periodo precedente alla ristrutturazione del gruppo nel 1993.
106 Di conseguenza il motivo relativo ad una violazione dell’obbligo di motivazione deve essere respinto.
B – Sul motivo relativo ad errori quanto al destinatario della Decisione
1. Argomenti delle parti
107 La Jungbunzlauer ritiene di essere a torto il destinatario della Decisione. Essa fa valere nel ricorso che la Decisione avrebbe dovuto essere indirizzata alla Jungbunzlauer GmbH. Essa rileva che proprio tale società, in seno al gruppo, fabbricava e distribuiva l’acido citrico e inoltre, sino al 1993, era incaricata della direzione di tutto il gruppo. Quanto al periodo successivo alla propria creazione nel 1993 quale società di gestione, essa sottolinea nella replica che, anche dopo tale data la «direzione effettiva» del gruppo è stata esercitata dalla Jungbunzlauer Holding AG.
108 Da un lato, riguardo al periodo successivo al 1993, la Jungbunzlauer ricorda, in primo luogo, che, a partire dal 1993, sia la Jungbunzlauer GmbH sia essa stessa erano controllate al 100% dalla Jungbunzlauer Holding AG, di modo che essa stessa non era la società madre della Jungbunzlauer GmbH, ma soltanto la sua società sorella.
109 Conseguentemente, secondo la Jungbunzlauer, la Commissione non può fondatamente invocare le sentenze della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG/Commissione (Racc. pag. 3151; in prosieguo: la «sentenza AEG», punto 50), e 16 novembre 2000, causa C‑286/98 P, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione (Racc. pag. I‑9925; in prosieguo: la «sentenza Stora», punto 28), concernenti l’imputazione del comportamento di una controllata alla sua società madre. Orbene, tale rapporto tra società madre e controllata sarebbe qualitativamente diverso da quello che sarebbe esistito tra essa stessa e la Jungbunzlauer GmbH, in quanto la Jungbunzlauer Holding AG, quale società madre comune, aveva la possibilità di ritirare in qualsiasi momento ad una delle sue controllate il diritto di controllare una delle sue società sorelle.
110 La Jungbunzlauer aggiunge che si è limitata a fornire alle altre società del gruppo servizi di gestione e di consulenza concernenti questioni di politica di impresa, di organizzazione e di investimento finanziario. La Jungbunzlauer avrebbe esercitato le sue attività su richiesta della Jungbunzlauer Holding AG che avrebbe controllato il gruppo e sarebbe stata l’unica titolare del diritto di dare istruzioni alle società del gruppo. La Jungbunzlauer non avrebbe disposto in proprio di un diritto siffatto nei confronti delle diverse imprese del gruppo e tale diritto non le sarebbe stato conferito nemmeno in quanto «Treuhänder» (mandatario) della Jungbunzlauer Holding AG. Le sue proprie attività si sarebbero limitate, al contrario, a mettere a disposizione delle altre società del gruppo i servizi delle persone da essa occupate. Tali persone, qualora, in un caso particolare, avessero trasmesso istruzioni alle società del gruppo (ad esempio alla Jungbunzlauer GmbH), non l’avrebbero fatto a nome proprio, ma in quanto rappresentanti della Jungbunzlauer Holding AG.
111 La Jungbunzlauer ne ha inferito che la «direzione effettiva» degli affari della Jungbunzlauer Holding AG e di tutto il gruppo facesse esclusivamente capo a quest’ultima. Ciò sarebbe corroborato dal diritto societario austriaco applicabile alla Jungbunzlauer GmbH. In effetti, una società costituita sotto forma di una GmbH sarebbe diretta dai suoi organi, cioè dal comitato di gestione e dal consiglio di sorveglianza, mentre la sua politica commerciale sarebbe, in definitiva, determinata dall’assemblea dei soci nel cui seno, nel caso di specie, la Jungbunzlauer Holding AG deteneva quale unico socio tutti i diritti di voto.
112 In secondo luogo, la Jungbunzlauer sostiene che, anche dopo la sua creazione nel 1993, i principali partecipanti alle discussioni, ad eccezione del dirigente della Jungbunzlauer, entrato in servizio nel corso dell’estate 1993, avevano da molto tempo svolto funzioni dirigenziali in seno alla Jungbunzlauer GmbH. Peraltro, dopo la creazione della Jungbunzlauer nel 1993, tali persone avrebbero continuato a svolgere le loro funzioni presso la Jungbunzlauer GmbH. La maggior parte delle attività farebbe quindi capo alla Jungbunzlauer GmbH. L’affermazione della Commissione secondo cui talune delle persone in questione avrebbero svolto funzioni in seno al gruppo non sarebbe pertinente in tale contesto. Secondo la Jungbunzlauer la Commissione avrebbe dovuto quanto meno indicare le diverse società del gruppo che occupavano queste persone e di cui figurava un elenco nella risposta alla comunicazione degli addebiti. La Jungbunzlauer sostiene, a mo’ d’esempio, che è errato affermare che i sigg. H. e R. sono stati dipendenti suoi o della Jungbunzlauer Holding AG.
113 In terzo luogo, la Jungbunzlauer ritiene che, alla luce dello svolgimento del procedimento amministrativo, fosse artificioso imputarle l’intesa. Essa rileva in effetti che la Commissione ha indirizzato le sue richieste di informazioni il 6 agosto 1997, il 28 luglio 1998 e il 3 marzo 1999 alla Jungbunzlauer GmbH e che anche la cooperazione che ha avuto luogo nell’ambito della comunicazione sulla cooperazione andava attribuita a quest’ultima.
114 D’altra parte, per quanto riguarda il periodo anteriore al 1993, la Jungbunzlauer fa valere, in primo luogo, che sino al 1993 il gruppo era diretto dalla Jungbunzlauer GmbH e che, prima di tale data, la Jungbunzlauer non era neppure operativa. Pertanto, a suo parere, per quanto riguarda il periodo anteriore al 1993, non può in alcun caso esserle imputata la responsabilità del comportamento anticoncorrenziale.
115 In secondo luogo, la Jungbunzlauer considera che le sentenze invocate dalla Commissione a sostegno della sua tesi di un trasferimento ad essa della responsabilità per l’infrazione della Jungbunzlauer GmbH non sono pertinenti. Essa sottolinea che la causa all’origine della sentenza della Corte 16 dicembre 1975, cause riunite 40/73‑48/73, 50/73, 54/73‑56/73, 111/73, 113/73 e 114/73, Suiker Unie e a./Commissione (Racc. pag. 1663, punti 84‑87) concerneva una successione di diritto e che quella all’origine della sentenza del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑134/94, NMH Stahlwerke/Commissione (Racc. pag. II‑239, punti 35‑38) era relativa alla ripresa di una società in fallimento.
116 In terzo luogo, la Jungbunzlauer ritiene che non potesse essere considerata come il «successore economico» della Jungbunzlauer GmbH e che non potesse esserle imputato il comportamento di quest’ultima prima del 1993. Ciò sarebbe dimostrato dalla circostanza che il suo ruolo specifico in seno al gruppo era limitato alla prestazione di servizi per altre società del medesimo (v. punto 110, supra). Essa sostiene parimenti che, anche dopo il 1993, la Jungbunzlauer GmbH ha continuato le sue attività consistenti nella produzione e nella commercializzazione di acido citrico. Orbene, se, a questo proposito, la Jungbunzlauer GmbH ricorreva talvolta ad altre società del gruppo come essa stessa, queste ultime avevano solo uno status di agente. La politica in materia di quantità e di prezzi era stata sempre imposta dalla Jungbunzlauer GmbH.
117 In quarto luogo, sarebbe inesatto che i sigg. B. e H. abbiano amministrato la Jungbunzlauer o agito in suo nome. Comunque, per quanto concerne il sig. H., la Jungbunzlauer rileva che egli non era alle dipendenze sue, ma di altre società del gruppo.
118 In quinto luogo, la Jungbunzlauer sottolinea che disponeva solo di mezzi finanziari limitati.
119 La Commissione sottolinea di essersi basata su informazioni fornite dalla Jungbunzlauer GmbH e dalla stessa Jungbunzlauer nel corso del procedimento amministrativo.
120 Per quanto concerne il periodo successivo al 1993, la Commissione considera come da tali informazioni risulti che, sino al 1993, la Jungbunzlauer GmbH era incaricata della gestione del gruppo e che, nel 1993, la Jungbunzlauer ha ripreso tale funzione, talché sussisteva una successione economica fra tali società nelle attività relative all’intesa. Il fatto che la ricorrente fosse soltanto la società sorella della Jungbunzlauer GmbH non infirmerebbe tale conclusione. In effetti la Commissione sottolinea come la Corte inferisca in maniera costante dalla detenzione del capitale che la società madre è in grado di influire in maniera determinante sulla politica economica della sua controllata, a meno che tale fatto non venga contestato. Non sarebbe, pertanto, la detenzione del capitale in quanto tale ad essere decisiva, ma la possibilità che quest’ultima conferisce alla società madre di esercitare un’influenza determinante sulla politica economica della controllata. Orbene, secondo la Commissione, la società madre può trasferire ad un’altra società del gruppo la possibilità di influire sul comportamento di una delle sue controllate. Ciò si sarebbe verificato nella fattispecie.
121 Per quanto concerne il periodo anteriore al 1993, la Commissione ritiene che, a motivo della summenzionata successione economica nei compiti connessi alla gestione delle attività del gruppo Jungbunzlauer sul mercato dell’acido citrico, l’infrazione commessa dalla Jungbunzlauer GmbH prima della ristrutturazione avvenuta nel 1993 dovesse essere imputata alla Jungbunzlauer. Il fatto che quest’ultima società non fosse esistita prima del 1993 e che la Jungbunzlauer GmbH abbia continuato ad esistere dopo tale data sarebbe irrilevante, come risulterebbe dalla giurisprudenza della Corte e del Tribunale.
2. Giudizio del Tribunale
122 Risulta dalla giurisprudenza che l’art. 81, n. 1, CE, vietando alle imprese, in particolare, di stipulare accordi o di partecipare a pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio fra Stati membri e che abbiano lo scopo o l’effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato comune, si rivolge ad entità economiche costituite da un insieme di elementi materiali ed umani che può concorrere a che sia commessa un’infrazione prevista da tale disposizione (sentenza del Tribunale 17 dicembre 1991, causa T‑6/89, Enichem Anic/Commissione, Racc. pag. II‑1623, punto 235).
123 Nel caso di specie la ricorrente non contesta l’esistenza di un’infrazione all’art. 81, n. 1, CE. Essa sostiene invece che la Commissione non poteva imputarle la responsabilità di tale infrazione.
124 Occorre anzitutto ricordare in proposito che, sino al 1993, il gruppo Jungbunzlauer era diretto dalla Jungbunzlauer GmbH che peraltro produceva anch’essa acido citrico, ma che, a partire dalla ristrutturazione del gruppo nel 1993, la Jungbunzlauer, quale società di gestione, dirigeva tutte le attività del suddetto gruppo, ivi comprese quelle relative al mercato dell’acido citrico e che, a capo del gruppo medesimo, si trovava una società holding, cioè la Jungbunzlauer Holding AG (v. punto 102 supra).
125 Per quanto concerne il periodo successivo alla ristrutturazione del gruppo Jungbunzlauer nel 1993, va osservato che la Jungbunzlauer, controllata al 100% della Jungbunzlauer Holding AG, era una società sorella della Jungbunzlauer GmbH e non la società madre di quest’ultima. In tale contesto la ricorrente fa valere fondatamente che il caso di specie era diverso da quelli all’origine di una giurisprudenza della Corte e del Tribunale (v. segnatamente sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑354/94, Stora Kopparbergs Bergslags/Commissione, Racc. pag. II‑2111, punto 80, confermata, su impugnazione, dalla sentenza Stora, punto 109 supra, punti 27‑29, nonché sentenza AEG, punto 109 supra, punto 50, e sentenza del Tribunale 1° aprile 1993, causa T‑65/89, BPB Industries e British Gypsum/Commissione, Racc. pag. II‑389, punto 149), in base alla quale, in sostanza, la Commissione ha il diritto di presumere che una controllata al 100% applichi essenzialmente le istruzioni impartitele dalla sua società madre senza dover verificare se quest’ultima abbia effettivamente esercitato tale potere.
126 Orbene, come emerge dalla motivazione della Decisione e contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Commissione non si è basata su una presunzione siffatta, ma ha invece esaminato, sulla base delle risposte fornite dalla Jungbunzlauer e dalla Jungbunzlauer GmbH nel corso del procedimento amministrativo, se, nonostante la struttura del gruppo Jungbunzlauer, esaminata supra, l’infrazione dovesse imputarsi alla Jungbunzlauer.
127 Occorre rilevare al riguardo che, dando seguito, segnatamente, ad una richiesta di informazioni rivolta il 3 marzo 1999 dalla Commissione alla Jungbunzlauer GmbH, quest’ultima ha descritto con lettera 21 maggio 1999, nell’ambito della sua cooperazione con la Commissione, la struttura del gruppo Jungbunzlauer ed ha dichiarato in particolare che la «direzione del gruppo [era] assicurata dalla Jungbunzlauer AG (…) che, quale società di gestione, dirige[va] le imprese detenute dalla Jungbunzlauer Holding AG».
128 Inoltre la Commissione ha indirizzato, il 29 marzo 2000, una comunicazione degli addebiti alla Jungbunzlauer. Nella risposta a tale comunicazione degli addebiti fornita dalla Jungbunzlauer il 22 giugno 2000, «a nome della Jungbunzlauer GmbH», la Jungbunzlauer ha ritenuto di non poter essere il destinatario di qualsiasi atto relativo a tale procedimento. Essa ha descritto in proposito la struttura organizzativa del gruppo allegando in particolare uno schema. La ricorrente ha indicato che la Jungbunzlauer era soltanto la società di gestione che dirigeva le società detenute dal gruppo a capo del quale si trovava la Jungbunzlauer Holding AG. Viceversa, la Jungbunzlauer ha precisato come ad essere «operativa» sul mercato dell’acido citrico fosse proprio la Jungbunzlauer GmbH, salvo per quanto concerneva la distribuzione di tale prodotto che, a partire dal 1993, era affidata, per conto della Jungbunzlauer GmbH, ad un’altra controllata della Jungbunzlauer Holding AG, cioè la Jungbunzlauer International AG. La Jungbunzlauer ha peraltro precisato che «[s]ino al secondo semestre del 1993 l’attività di direzione nel suo complesso era affidata alla Jungbunzlauer [GmbH]» e che «[d]al 1993 la Jungbunzlauer AG (…) esiste quale società di gestione».
129 Sulla base delle dichiarazioni comuni della Jungbunzlauer e della Jungbunzlauer GmbH, menzionate al punto 187 della Decisione, la Commissione poteva fondatamente ritenere che, a partire dalla ristrutturazione del gruppo Jungbunzlauer nel 1993, le attività della Jungbunzlauer GmbH si limitavano alla mera produzione di acido citrico, mentre la direzione delle attività del gruppo, ivi compreso quanto concerne tale prodotto, era affidata alla Jungbunzlauer per cui la Jungbunzlauer GmbH non determinava autonomamente il suo comportamento su tale mercato, bensì applicava, essenzialmente, le istruzioni impartite dalla Jungbunzlauer. In effetti la Commissione poteva validamente dedurne che la società madre comune alla Jungbunzlauer GmbH e alla Jungbunzlauer aveva deciso di affidare a quest’ultima il compito di condurre l’insieme delle attività del gruppo e di conseguenza anche quelle connesse al comportamento del gruppo sul mercato costituente l’oggetto dell’intesa, cioè quello dell’acido citrico.
130 Pertanto la Commissione non ha commesso errori concludendo che, per quanto riguarda il periodo successivo alla ristrutturazione del gruppo Jungbunzlauer nel 1993, l’infrazione dovesse essere imputata alla Jungbunzlauer.
131 Per quanto concerne il periodo anteriore alla ristrutturazione del gruppo Jungbunzlauer nel 1993, va constatato, come ha fatto la Commissione al punto 187 della Decisione, che, sino al 1993, la Jungbunzlauer GmbH era responsabile non soltanto delle attività del gruppo sul mercato dell’acido citrico, ma anche della direzione dell’insieme delle attività del gruppo. Quest’ultimo compito, consistente nel condurre le attività del gruppo, ivi comprese quelle relative al mercato dell’acido citrico, era stato però trasferito nel 1993 alla Jungbunzlauer che era quindi divenuta il successore economico della Jungbunzlauer GmbH quanto alla gestione delle attività del gruppo.
132 Orbene, il fatto che una società continui ad esistere ancora come ente giuridico non esclude che, alla luce del diritto comunitario della concorrenza, possa esserci cessione di una parte delle attività di questa società ad un’altra, la quale diviene responsabile degli atti commessi dalla prima (v., in tal senso, sentenza della Corte 7 gennaio 2004, cause riunite C‑204/00 P, C‑205/00 P, C‑211/00 P, C‑213/00 P, C‑217/00 P e C‑219/00 P, Aalborg Portland e a./Commissione, Racc. pag. I‑123, punti 356‑359).
133 La Commissione non ha quindi commesso errori neppure considerando che, quanto al periodo anteriore alla ristrutturazione del gruppo Jungbunzlauer nel 1993, l’infrazione dovesse essere imputata alla Jungbunzlauer.
134 Va di conseguenza respinto il motivo fondato su errori circa il destinatario della Decisione.
III – Sulla gravità dell’infrazione
135 La ricorrente considera, da una parte, che la Commissione non ha correttamente valutato il concreto impatto dell’intesa sul mercato dell’acido citrico e non ha fornito una motivazione sufficiente al riguardo. D’altra parte, la ricorrente ritiene che la Commissione non abbia sufficientemente tenuto conto della potenza economica relativamente limitata della ricorrente in rapporto alle altre imprese interessate.
A – Quanto all’esistenza di un impatto concreto dell’intesa sul mercato
1. Introduzione
136 Occorre anzitutto ricordare che la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie e il suo contesto, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (ordinanza della Corte 25 marzo 1996, causa C‑137/95 P, SPO e a./Commissione, Racc. pag. I‑1611, punto 54; sentenza della Corte 17 luglio 1997, causa C‑219/95 P, Ferriere Nord/Commissione, Racc. pag. I‑4411, punto 33, e sentenza del Tribunale 20 marzo 2002, causa T‑9/99, HFB e a./Commissione, Racc. pag. II‑1487, punto 443). In tale contesto l’impatto concreto dell’intesa sul mercato rilevante può essere preso in considerazione come uno dei criteri pertinenti.
137 Nei suoi orientamenti (punto 1 A, primo comma), la Commissione ha indicato che, per valutare la gravità di un’infrazione, prendeva in considerazione, oltre alla natura dell’infrazione e all’estensione del mercato geografico rilevante, «l’impatto concreto [dell’infrazione] sul mercato quando sia misurabile».
138 Nel caso di specie emerge dai punti 210‑230 della Decisione che la Commissione ha effettivamente fissato l’importo dell’ammenda, determinato in rapporto alla gravità dell’infrazione, tenendo conto dei tre criteri in parola. In particolare essa ha considerato a tale riguardo che l’intesa aveva avuto un «effetto reale» sul mercato dell’acido citrico (punto 230 della Decisione).
139 Orbene a tale riguardo, secondo la Jungbunzlauer, la Commissione non ha valutato correttamente l’impatto concreto dell’intesa sul mercato dell’acido citrico e non ha fornito una motivazione sufficiente in proposito.
2. Sull’esistenza di errori di valutazione
140 Secondo la Jungbunzlauer la Commissione ha commesso numerosi errori di valutazione che influiscono sul calcolo dell’importo delle ammende.
a) Sul fatto che la Commissione avrebbe scelto un approccio errato per dimostrare che l’intesa aveva avuto un impatto concreto sul mercato
Argomenti delle parti
141 La Jungbunzlauer addebita alla Commissione di aver omesso di provare l’impatto concreto dell’intesa sul mercato e di aver invertito l’onere della prova a carico delle imprese interessate. Orbene, spetta alla Commissione fornire tale prova qualora scelga di tenerne conto per la fissazione delle ammende (sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑308/94, Cascades/Commissione, Racc. pag. II‑925, punti 180 e segg., e 15 marzo 2000, cause riunite T‑25/95, T‑26/95, da T‑30/95 a T‑32/95, da T‑34/95 a T‑39/95, da T‑42/95 a T‑46/95, T‑48/95, da T‑50/95 a T‑65/95, da T‑68/95 a T‑71/95, T‑87/95, T‑88/95, T‑103/95 e T‑104/95, Cimenteries CBR e a./Commissione, Racc. pag. II‑491, punto 4863).
142 Le esigenze in materia di prova non potrebbero, in tale contesto, essere meno severe che per altre constatazioni fattuali: il dubbio tornerebbe a vantaggio delle imprese interessate («in dubio pro reo»). Di conseguenza la Jungbunzlauer considera che, se le circostanze accertate dalla Commissione possono avere una spiegazione convincente diversa da quella accolta dalla Commissione, non sono stati assolti gli oneri incombenti a quest’ultima in materia di produzione della prova (sentenza Suiker Unie e a./Commissione, punto 115 supra; sentenze della Corte 14 febbraio 1978, causa 27/76, United Brands/Commissione, Racc. pag. 207, punto 267, e 28 marzo 1984, cause riunite C‑29/83 e C‑30/83, CRAM/Commissione, Racc. pag. 1679, punto 20).
143 La Jungbunzlauer fa valere come risulti dai punti 211, 213, 216, 218 e 226 della Decisione che la Commissione, invece di fornire la prova dell’esistenza degli effetti dell’intesa sul mercato, ha inferito dall’esistenza dell’intesa il dato reale degli effetti di quest’ultima sul mercato. Orbene, un ragionamento siffatto costituirebbe un circolo vizioso, perché, se fosse esatto, qualsiasi intesa avrebbe necessariamente effetti sul mercato e sarebbe inutile l’esame della Commissione. Ebbene, emergerebbe dalla stessa prassi della Commissione che vi sono intese non aventi alcun effetto sul mercato, come avrebbero confermato gli orientamenti (punto 3) e la giurisprudenza del Tribunale (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 141 supra, punti 4863 e segg.).
144 La Commissione non contesta il fatto che i criteri dell’attuazione e dell’impatto concreto di un’intesa sul mercato rilevante non possono essere confusi e che spetta ad essa fornire prove al riguardo. Tuttavia, a suo parere, essa non ha invertito nel caso di specie l’onere della prova, ma ha fornito una dimostrazione sufficiente in proposito.
Giudizio del Tribunale
145 Dati gli addebiti formulati dalla Jungbunzlauer circa l’approccio stesso scelto dalla Commissione per dimostrare che l’intesa ha avuto un impatto concreto sul mercato dell’acido citrico, occorre riassumere l’esame effettuato dalla Commissione, quale emerge dai punti 210‑228 della Decisione, prima di pronunciarsi sulla fondatezza degli argomenti invocati dalla Jungbunzlauer.
– Sunto dell’analisi effettuata dalla Commissione
146 Anzitutto la Commissione ha osservato che «[l]’infrazione è stata commessa da imprese che durante il periodo rilevante rappresentavano più del 60% del mercato mondiale e circa il 70% del mercato europeo dell’acido citrico» (punto 210 della Decisione).
147 In seguito, la Commissione ha affermato che, «[d]ato che queste intese sono state attuate, esse hanno avuto un impatto effettivo sul mercato» (punto 210 della Decisione). Al punto 212 della Decisione, riferendosi alla parte di quest’ultima relativa alla descrizione dei fatti, la Commissione ha reiterato l’argomento secondo cui gli accordi dell’intesa erano stati «scrupolosamente attuati» ed ha aggiunto che «uno dei partecipanti ha dichiarato di essere “sorpreso dal livello di formalità e di organizzazione praticato dai partecipanti per questa intesa”». Parimenti, al punto 216 della Decisione, essa ha notato che, «[a]lla luce di quanto sopra esposto, e degli sforzi attuati da ciascun partecipante per la complessa organizzazione del cartello, l’efficacia della sua realizzazione non può essere messa in discussione».
148 La Commissione ha inoltre ritenuto che non occorresse «quantificare in dettaglio in quale misura i prezzi differivano da quelli che avrebbero potuto essere applicati in assenza di tali accordi» (punto 211 della Decisione). In effetti la Commissione ha sostenuto che «ciò non può essere sempre calcolato in maniera affidabile, poiché una serie di fattori esterni possono avere simultaneamente inciso sull’andamento dei prezzi del prodotto, rendendo così estremamente difficile trarre conclusioni sulla relativa importanza di tutti i possibili fattori causali» (ibidem). Ciò nondimeno, al punto 213 della Decisione, essa ha descritto l’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico dal marzo 1991 al 1995 notando in sostanza che, tra il marzo del 1991 e la metà del 1993, i prezzi dell’acido citrico erano aumentati del 40% e che, dopo tale data, essi erano stati sostanzialmente mantenuti a tale livello. Parimenti, ai punti 214 e 215 della Decisione, essa ha ricordato che i membri dell’intesa avevano fissato quote di vendita e avevano concepito e applicato meccanismi d’informazione, sorveglianza e compensazione per garantire l’applicazione delle quote.
149 Infine, ai punti 217‑228 della Decisione, la Commissione ha riassunto, esaminato e respinto gli argomenti invocati dalle parti interessate nel corso del procedimento amministrativo, tra cui quelli presentati dalla Jungbunzlauer. Al punto 226 della Decisione la Commissione ha ritenuto però, nei seguenti termini, che gli argomenti avanzati dalle parti interessate non potessero essere accolti:
«Le spiegazioni fornite da ADM, [H&R] e Jungbunzlauer riguardo agli aumenti dei prezzi del 1991‑1992 possono avere una certa fondatezza, ma non dimostrano in maniera convincente che l’attuazione dell’accordo di cartello può non avere avuto alcun ruolo nella fluttuazione di prezzo. Se è vero che i fenomeni descritti possono verificarsi in assenza di un cartello, essi possono perfettamente rientrare anche in una situazione di esistenza di un’intesa. Il fatto che i prezzi dell’acido citrico siano aumentati del 40% in 14 mesi non può essere spiegato solo in termini di una reazione competitiva, ma deve essere interpretato alla luce del fatto che i partecipanti avevano concordato aumenti coordinati dei prezzi e ripartizioni delle quote di mercato, così come un sistema di rendiconto e di controllo. Tutto ciò avrebbe contribuito al successo degli aumenti dei prezzi».
150 Parimenti, al punto 228 della Decisione, la Commissione ha risposto nel modo seguente ad argomenti avanzati dalla Jungbunzlauer:
«Il fatto, sottolineato da Jungbunzlauer, che la “quota di mercato” complessiva del cartello sia diminuita col tempo dal 70% circa iniziale al 52% nel 1994 illustra certo le difficoltà incontrate dai partecipanti al cartello nel mantenere i prezzi sopra un livello concorrenziale. Ciò tuttavia non dimostra che la pratica illecita non aveva alcun effetto sul mercato. Al contrario, il forte aumento delle importazioni dalla Cina dal 1992 in poi indica che i membri del cartello non si stavano adattando come avrebbero normalmente dovuto alla pressione sui prezzi esercitata da tali importazioni».
– Giudizio
151 Si deve innanzitutto ricordare che, secondo la formulazione del punto 1 A, primo comma, degli orientamenti, nel calcolo dell’ammenda in funzione della gravità dell’infrazione la Commissione tiene conto, in particolare, dell’«impatto concreto [dell’infrazione] sul mercato quando sia misurabile».
152 Si deve a questo proposito analizzare l’esatto significato dei termini «quando l’impatto concreto sia misurabile». In particolare si tratta di stabilire se, secondo l’accezione di tali termini, la Commissione possa tenere conto dell’impatto concreto di un’infrazione nell’ambito del suo calcolo delle ammende soltanto se e nella misura in cui sia in grado di quantificare tale impatto.
153 Come giustamente affermato dalla Commissione, l’esame dell’impatto di un’intesa sul mercato implica necessariamente il ricorso a ipotesi. In questo contesto la Commissione deve, in particolare, esaminare quale sarebbe stato il prezzo del prodotto in esame in assenza di intesa. Orbene, nel procedere all’esame delle cause dell’effettiva evoluzione dei prezzi, è azzardato speculare sul rispettivo ruolo di ciascuna di queste ultime. Si deve tener conto della circostanza obiettiva che, in ragione dell’intesa sui prezzi, le parti hanno appunto rinunciato alla loro libertà di farsi concorrenza sui prezzi. Pertanto la valutazione dell’influenza derivante da fattori diversi della suddetta volontaria astensione dei partecipanti all’intesa è necessariamente fondata su ragionevoli probabilità, non quantificabili con esattezza.
154 Quindi, a meno che non si voglia togliere al criterio del punto 1 A, primo comma, degli orientamenti, il suo effetto utile, non può rimproverarsi alla Commissione di essersi fondata sull’impatto concreto di un’intesa sul mercato avente oggetto anticoncorrenziale, quale un’intesa sui prezzi o sulle quote, senza quantificare tale impatto o fornire in proposito una valutazione in cifre.
155 Di conseguenza, l’impatto concreto di un’intesa sul mercato deve considerarsi sufficientemente dimostrato se la Commissione è in grado di fornire indizi concreti e credibili che indicano, con ragionevole probabilità, che l’intesa ha avuto un impatto sul mercato.
156 Nel caso di specie, risulta dal sunto dell’analisi effettuata dalla Commissione (v. punti 146‑150, supra) che quest’ultima si è basata su due indizi per concludere nel senso dell’esistenza di un «effetto reale» dell’intesa sul mercato. In effetti, da una parte, essa ha invocato il fatto che i membri dell’intesa hanno minuziosamente realizzato gli accordi oggetto della medesima (v., segnatamente, punti 210, 212, 214 e 215, menzionati ai punti 147 e 148 supra) e che, durante il periodo considerato, tali membri rappresentavano più del 60% del mercato mondiale e il 70% del mercato europeo dell’acido citrico (punto 210 della Decisione, citato al punto 146 supra). D’altra parte, essa ha ritenuto che i dati forniti dalle parti interessate nel corso del procedimento amministrativo dimostrassero una certa concordanza tra i prezzi fissati dall’intesa e quelli realmente praticati sul mercato dai membri dell’intesa (punto 213 della Decisione, citato al punto 148 supra).
157 Anche se è vero che i termini utilizzati ai punti 210 e 216 della Decisione (v. punto 147 supra) potrebbero, in quanto tali, essere intesi nel senso di suggerire che la Commissione si è fondata su un rapporto di causa effetto tra l’attuazione dell’intesa e il suo impatto concreto sul mercato, ciò non toglie che una lettura complessiva dell’analisi della Commissione dimostra che, contrariamente a quanto afferma la Jungbunzlauer, la Commissione non si è limitata ad inferire dall’attuazione dell’intesa l’esistenza di effetti reali di quest’ultima sul mercato.
158 Oltre all’esistenza di un’attuazione «minuziosa» degli accordi oggetto dell’intesa, la Commissione si è basata sull’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico durante il periodo interessato dall’intesa. In effetti, al punto 213 della Decisione, essa ha descritto i prezzi dell’acido citrico tra il 1991 e il 1995 quali erano stati convenuti tra i membri dell’intesa, annunciati ai clienti e, in ampia misura, applicati dalle parti interessate. Sarà esaminato in prosieguo se, come sostiene la Jungbunzlauer, la Commissione ha commesso errori manifesti nella valutazione degli elementi di fatto su cui ha fondato le sue conclusioni.
159 In tale contesto non si può rimproverare alla Commissione di considerare che la circostanza secondo cui i membri dell’intesa rappresentavano una parte molto importante del mercato dell’acido citrico (60% del mercato mondiale e 70% del mercato europeo) costituiva un fattore importante di cui doveva tener conto per esaminare l’impatto concreto dell’intesa sul mercato. Non si può negare in effetti che la probabilità dell’efficacia di un’intesa relativa alla fissazione dei prezzi e delle quote di vendita aumenta con l’importanza delle quote di mercato che si ripartiscono i membri di tale intesa. Se è vero che da sola tale circostanza non prova l’esistenza di un impatto concreto sul mercato rilevante, ciò non toglie che, nella Decisione, la Commissione non ha affatto provato un siffatto rapporto di causa effetto, ma si è limitata a tenerne conto come di un elemento tra gli altri.
160 Quanto alle varie sentenze della Corte e del Tribunale citate dalla Jungbunzlauer, va rilevato, in primo luogo, che le sentenze della Corte citate al punto 142 supra riguardano l’onere della prova da parte della Commissione e concludono per l’esistenza di una pratica concordata rientrante nell’art. 81 CE e non vertono, come nel caso di specie, sull’effetto di un’infrazione sul mercato, dato che l’infrazione perseguiva incontestabilmente un obiettivo anticoncorrenziale.
161 In secondo luogo, quanto al fatto che la ricorrente si avvale del ragionamento di cui al punto 4863 della sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 141 supra, occorre constatare come il Tribunale vi abbia in sostanza dichiarato che, quando, nel valutare la gravità dell’infrazione per il calcolo delle ammende, la Commissione si basa sugli effetti dell’infrazione, deve «[pervenire] a provarli o a fornire valide ragioni per tenerne conto». Di conseguenza, contrariamente alla lettura di tale sentenza da parte della Jungbunzlauer, il Tribunale ha chiaramente indicato che l’onere della prova dell’esistenza di effetti di un’infrazione sul mercato rilevante che incombe alla Commissione quando ne tiene conto nell’ambito del calcolo dell’ammenda in rapporto alla gravità dell’infrazione è meno pesante di quello su essa gravante quando deve dimostrare l’esistenza in quanto tale di un’infrazione nel caso di un’intesa. In effetti, per tener conto dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato è sufficiente, secondo tale sentenza, che la Commissione fornisca «valide ragioni per tenerne conto».
162 In terzo luogo, quanto alla sentenza Cascades/Commissione, punto 141 supra, è vero che, in tale causa, il Tribunale ha esaminato se la Commissione avesse provato l’esistenza di effetti dell’infrazione sul mercato rilevante. Tuttavia emerge dai punti 181‑185 della suddetta sentenza che la Commissione si era basata nel caso di specie su una relazione per dimostrare l’esistenza di effetti, relazione che, secondo gli accertamenti condotti dal Tribunale, sosteneva solo parzialmente le conclusioni che ne aveva desunto la Commissione.
163 Deriva da tutto quanto precede che la Commissione non ha adottato un approccio manifestamente erroneo per valutare l’impatto concreto dell’intesa sul mercato dell’acido citrico.
b) Per quanto concerne la valutazione dell’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico
Argomenti delle parti
164 Da una parte, la Jungbunzlauer contesta che la Commissione abbia fornito con la sua valutazione dell’evoluzione del prezzo dell’acido citrico tra il 1991 e il 1993, ripresa ai punti 213 e 214 della Decisione, la prova dell’impatto concreto dell’intesa sul mercato.
165 In effetti, anche se la Jungbunzlauer non contesta il fatto che, in maniera generale, accordi sui prezzi hanno ripercussioni allorché i prezzi effettivi evolvono alla stregua dei prezzi convenuti, ciò non toglierebbe che proprio un siffatto allineamento non sia stato dimostrato dalla Commissione nel caso di specie. La Jungbunzlauer fa osservare che, contrariamente a quanto verificatosi nella causa all’origine della sentenza Cascades/Commissione (punto 141 supra, punti 180 e segg.), nella presente causa essa ha sempre negato che venissero pretesi dai clienti i prezzi convenuti nel corso delle riunioni dell’intesa. Essa sostiene di aver chiarito questo aspetto nei dettagli relativamente all’intero periodo compreso tra il 1991 e il 1995 sia nella risposta alla comunicazione degli addebiti sia nel ricorso.
166 D’altra parte, la Jungbunzlauer sostiene che la Commissione non ha debitamente tenuto conto delle diverse circostanze da essa invocate nel corso del procedimento amministrativo per contestare l’impatto dell’intesa sul mercato.
167 In primo luogo, la Jungbunzlauer addebita alla Commissione di aver tenuto conto dell’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico, constatata nel corso del 1991 e del 1992 (punto 213 della Decisione), e di aver respinto il suo argomento fondato sul fatto che tale evoluzione dei prezzi non avrebbe avuto la sua origine nell’intesa (punti 224‑226 della Decisione). Secondo la Jungbunzlauer, la Commissione, se avesse esaminato, come avrebbe dovuto, le condizioni economiche caratterizzanti il periodo in questione, avrebbe constatato che non era possibile dimostrare con sufficiente certezza che all’origine di tale evoluzione dei prezzi vi era l’intesa.
168 La Jungbunzlauer adduce di aver già sostenuto, al punto III 1, lett. a), della sua risposta alla comunicazione degli addebiti, che responsabile dell’aumento dei prezzi nel 1991 e nel 1992 era principalmente la spiccata espansione della domanda risultante dallo sviluppo del mercato dell’acido citrico o del citrato di sodio (per cui l’acido citrico serve come prodotto di base), quale agente utilizzato nell’industria dei detersivi. Essa indica che, alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90, l’industria dei detersivi ha iniziato, per ragioni connesse alla protezione dell’ambiente e alla politica del mercato, a sostituire l’utilizzazione dei fosfati con i prodotti a base di acido citrico, più vantaggioso sul piano ecologico, il che ha implicato il raddoppio dei tassi di crescita dell’acido citrico e dei citrati. Inoltre, come essa sostiene, si prevedeva una domanda ancora in crescita per gli anni successivi. Essa ne deduce che l’effettivo aumento della domanda e quello del consumo previsto per gli anni ‘90 hanno consentito ai produttori di acido citrico di esigere prezzi più elevati.
169 La Jungbunzlauer ricorda di aver presentato, a sostegno di tale argomento, studi interni nonché un articolo tratto dalla stampa specializzata da cui risultava, in primo luogo, che l’utilizzazione di citrati di sodio nel settore dei detersivi in Europa era, nel 1990, 22 volte più elevato rispetto al 1989, in secondo luogo, che si potevano realisticamente prevedere vendite relative ad un volume di 44 000 tonnellate per il 1993 (il che corrispondeva ad un aumento del 100% tra il 1990 e il 1993) e, in terzo luogo, che a tale evoluzione si aggiungeva ancora un significativo aumento previsto nel settore dei detersivi per stoviglie relativo ad un volume di 22 000 tonnellate per il 1993.
170 Essa aggiunge che, nel 1991 e nel 1992, la crescente domanda di acido citrico non ha potuto essere soddisfatta grazie alle capacità di produzione esistenti. Il gruppo Jungbunzlauer e altri produttori avrebbero effettuato acquisti supplementari in Indonesia e in Cina al fine di coprire il fabbisogno. Ciò dimostrerebbe che esisteva una considerevole domanda eccedentaria, che era all’origine dell’aumento dei prezzi nel 1991 e nel 1992.
171 La Jungbunzlauer invoca ancora il fatto che, al punto III 1, lett. b), della sua risposta alla comunicazione degli addebiti, essa ha già esposto che l’aumento dei prezzi constatato dalla Commissione nel 1991 e nel 1992 doveva peraltro essere relativizzato data la circostanza che, negli anni 1986‑1990, i prezzi del mercato erano diminuiti di circa il 45%. Essa ne deduce che l’aumento dei prezzi rilevato nel 1991 e nel 1992 costituiva, in ultima analisi, una correzione dei prezzi provocata dalle forze del mercato.
172 In secondo luogo, la Jungbunzlauer considera che a torto, al punto 227 della Decisione, la Commissione ha respinto i suoi argomenti fondati sulle risposte degli acquirenti di acido citrico alle richieste di informazioni loro rivolte dalla Commissione il 20 gennaio 1998. In effetti, a suo avviso, tali risposte, di cui riproduce estratti nel ricorso e nella replica, confermano che l’intesa non ha avuto effetti negativi per gli acquirenti. Invece la Commissione non produrrebbe risposte degli acquirenti che provino il contrario.
173 A torto, ritiene la Jungbunzlauer, la Commissione ha cercato al punto 227 della Decisione di minimizzare l’importanza di tali risposte invocando il fatto che la questione all’origine di tali risposte sull’«intensità della concorrenza sul mercato (...) era (...) formulata in termini generali» e che doveva «essere vista nel contesto di un’inchiesta preliminare sulle principali caratteristiche del mercato dell’acido citrico». Anzi, la questione sollevata sarebbe stata centrata sul seguente quesito: «Sussiste un’intensa concorrenza a livello dei prezzi sul mercato dell’acido citrico? Vogliate dare una risposta dettagliata a tale questione». Secondo la Jungbunzlauer le risposte date dai clienti hanno fornito un’immagine del tutto chiara a tale proposito, aspetto che la Commissione avrebbe puramente e semplicemente ignorato. La Commissione non potrebbe formulare una richiesta di informazioni e indirizzarla, con spese rilevanti, a numerose imprese per dichiararla in seguito inappropriata, apparentemente perché non avrebbe prodotto il risultato auspicato. Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, risulterebbe in maniera chiara, dal contesto dei quesiti posti che essi si riferivano tutti al periodo successivo al 1990.
174 Parimenti, secondo la Jungbunzlauer, al punto 227 della Decisione, la Commissione ha a torto invocato avverso tali risposte il fatto che, «dato l’alto livello di sofisticatezza che caratterizzava gli accordi illeciti, non è certo possibile aspettarsi che i clienti possano confermare l’assenza di concorrenza sul mercato in questione». Anzi, la Jungbunzlauer è del parere che non sia credibile che i menzionati acquirenti non abbiano notato modifiche insolite della struttura dei prezzi. Ciò sarebbe tanto più vero in quanto la richiesta di informazioni è stata rivolta ai clienti nell’ambito di un’inchiesta avviata sulla base del diritto delle intese e in quanto il procedimento relativo all’acido citrico era già stato chiuso negli Stati Uniti. Il nesso tra aumenti di prezzo e accordi restrittivi della concorrenza avrebbe, pertanto, dovuto essere evidente – quasi tutti i clienti menzionati sarebbero, peraltro, grandi imprese perfettamente in grado di stabilire un nesso siffatto. Il fatto che nessuna delle imprese interrogate abbia tratto tale conclusione porrebbe senz’altro in rilievo che gli accordi non hanno avuto ripercussioni sul mercato.
175 In terzo luogo, la Jungbunzlauer rileva come dal punto 225 della Decisione emerga che essa aveva già sostenuto, nel corso del procedimento amministrativo che, a suo parere, «il fatto che la quota complessiva di mercato mondiale delle parti [interessate] sia scesa dall’originario 70% al 52% nel 1994 dimostrerebbe che il cartello non era più tale da influenzare la formazione dei prezzi». Secondo la ricorrente, la Commissione ha omesso di affrontare tale circostanza. Ne risulta, a suo parere, che i partecipanti all’intesa non disponevano più assolutamente del potere sul mercato che sarebbe stato necessario per imporre i prezzi auspicati e che l’intesa ha costantemente perso di importanza e certamente, dal 1993, non era più idonea ad influire sulla formazione dei prezzi a livello mondiale. Ciò sarebbe chiaramente confermato dalla risposta della società Procter & Gamble alle richieste di informazioni indirizzate a quest’ultima dalla Commissione il 20 gennaio 1998.
176 La Commissione respinge l’argomento della Jungbunzlauer e fa valere che essa ha sufficientemente dimostrato l’esistenza di un impatto concreto sul mercato.
Giudizio del Tribunale
177 Secondo la giurisprudenza consolidata, per sindacare la valutazione espressa dalla Commissione sull’impatto concreto dell’intesa sul mercato, occorre esaminare soprattutto la valutazione da essa stessa fornita circa gli effetti prodotti dall’intesa sui prezzi (v. sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑224/00, Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, Racc. pag. II‑2597, e, in tal senso, sentenza Cascades/Commissione, punto 141 supra, punto 173, e sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑347/94, Mayr‑Melnhof/Commissione, Racc. pag. II‑1751, punto 225).
178 La giurisprudenza ricorda inoltre che, nel determinare la gravità di un’infrazione, si deve prendere in considerazione, in particolare, il contesto normativo ed economico del comportamento criticato (sentenze Suiker Unie e a./Commissione, punto 115 supra, punto 612, e Ferriere Nord/Commissione, punto 136 supra, punto 38) e che, per valutare l’impatto concreto di un’infrazione sul mercato, la Commissione deve riferirsi al gioco della concorrenza che si sarebbe normalmente avuto in assenza dell’infrazione (v., in tal senso, sentenze Suiker Unie e a./Commissione, punto 115 supra, punti 619 e 620; Mayr-Melnhof/Commissione, punto 177 supra, punto 235, e sentenza del Tribunale 11 marzo 1999, causa T‑141/94, Thyssen Stahl/Commissione, Racc. pag. II‑347, punto 645).
179 Da un lato ne risulta che, nel caso di intese sui prezzi, occorre constatare – con un ragionevole grado di probabilità (v. punto 155 supra) – che gli accordi hanno effettivamente consentito alle parti in questione di raggiungere un livello di prezzi superiore a quello che sarebbe esistito in mancanza di intesa. Dall’altro, ne deriva che, nell’ambito della sua valutazione, la Commissione deve prendere in considerazione tutte le condizioni oggettive del mercato rilevante, considerato il contesto economico ed eventualmente normativo vigente. Dalle sentenze del Tribunale nella causa relativa al cartello del cartone (v., segnatamente, sentenza Mayr-Melnhof/Commissione, punto 177 supra, punti 234 e 235) risulta che occorre, se del caso, tener conto dell’esistenza di «fattori economici oggettivi» i quali facciano risultare che, nell’ambito del «libero gioco della concorrenza», il livello dei prezzi non avrebbe registrato un’evoluzione identica a quella del livello dei prezzi praticati (v. anche sentenze Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 177 supra, punti 151 e 152, e Cascades/Commissione, punto 141 supra, punti 183 e 184).
180 Nel caso di specie, al punto 213 della Decisione, la Commissione ha descritto come segue l’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico, quali convenuti e applicati dai membri dell’intesa:
«Dal marzo 1991 a metà 1993, i prezzi concordati dai partecipanti sono stati annunciati ai clienti e ampiamente praticati, in particolare durante i primi anni del cartello. L’incremento a [(DEM) marchi tedeschi] 2,25 al kg (...) nell’aprile 1991, deciso alla riunione del marzo 1991, è stato introdotto con facilità. Esso è stato seguito dalla decisione, presa per telefono nel mese di luglio, di aumentare il prezzo a DEM 2,70 al kg (...) in agosto. Anche quest’aumento è stato messo in atto con successo. Un incremento finale a DEM 2,80 al kg (...) è stato concordato alla riunione del maggio 1992 ed è stato attuato nel giugno 1992. Dopo questa data non è stato più attuato alcun aumento, e il cartello si è concentrato sulla necessità di mantenere i prezzi stabiliti».
181 La Jungbunzlauer non contesta gli accertamenti fattuali della Commissione quanto all’evoluzione dei prezzi convenuti e alla fissazione delle quote di vendita, ma si limita in sostanza ad invocare il fatto che, in realtà, tali prezzi non sono stati richiesti ai clienti.
182 Va constatato in proposito che la ricorrente, nella lettera 29 aprile 1999, che fornisce alla Commissione le informazioni richieste sul fondamento dell’art. 11 del regolamento n. 17, ha descritto i prezzi fissati nell’ambito dell’intesa. Inoltre, nell’allegato della sua risposta alla comunicazione degli addebiti, la ricorrente ha sottoposto alla Commissione grafici relativi all’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico nel corso degli anni 1991‑1995.
183 Orbene, risulta segnatamente dai suddetti grafici che la Jungbunzlauer ha, di sua propria iniziativa, comprovato e segnalato alla Commissione che i prezzi effettivamente richiesti ai clienti seguivano in maniera parallela l’evoluzione dei prezzi quali erano stati fissati dai membri dell’intesa, anche se si collocavano generalmente al di sotto del livello dei prezzi convenuti. Risulta in particolare da tali grafici che, quando nel marzo e nel luglio 1991 i membri dell’intesa hanno deciso di aumentare il prezzo dell’acido citrico utilizzato nel settore dell’alimentazione da DEM 2,25 al chilo a circa DEM 2,7 al chilo, i prezzi effettivamente richiesti ai clienti, che si collocavano nell’aprile 1991 tra DEM 1,9 e 2,1 al chilo, erano saliti sino ad una forbice tra DEM 2,7 e 2,75 al chilo. Risulta parimenti da tali grafici che, quando, dopo tale aumento dei prezzi, i membri dell’intesa convennero di mantenere i prezzi tra DEM 2,7 e 2,8 al chilo, i prezzi realmente richiesti ai clienti si sono collocati tra DEM 2,6 e 2,75 al chilo. Da tali grafici emerge anche che i prezzi realmente richiesti ai clienti hanno largamente seguito le decisioni dei membri dell’intesa, adottate nel 1994, di ridurre i prezzi dell’acido citrico a DEM 2,65 al chilo, anche se ad un livello più basso per collocarsi tra DEM 2,45 e 2,6 al chilo.
184 Ne consegue che, contrariamente a quanto sostiene la Jungbunzlauer, risulta chiaramente dalle informazioni da essa fornite alla Commissione nel corso del procedimento amministrativo che sussisteva un parallelismo permanente tra i prezzi fissati dai membri dell’intesa e quelli realmente praticati.
185 Orbene, in una situazione siffatta, la Commissione poteva invocare a buon diritto, al punto 219 della Decisione, la sentenza Cascades/Commissione, punto 141 supra (punto 179), e considerare che sussisteva un rapporto diretto tra l’evoluzione dei prezzi annunciati e quella dei prezzi praticati per concludere che, sulla base di tali elementi, era sufficientemente dimostrato che l’intesa aveva avuto sul mercato un impatto concreto che era, ai sensi degli orientamenti, «misurabile» tramite raffronto tra il prezzo ipotetico che sarebbe stato praticato in assenza d’intesa e il prezzo applicato nel caso di specie in seguito alla costituzione dell’intesa.
186 L’obiezione sollevata dalla Jungbunzlauer secondo cui i prezzi sarebbero aumentati anche in assenza d’intesa non può influire su tale conclusione. In effetti, anche se è vero che un’ipotesi siffatta non è esclusa, ciò non toglie che la Commissione poteva fondatamente ritenere, al punto 226 della Decisione, che l’aumento dei prezzi non poteva spiegarsi esclusivamente con una reazione meramente concorrenziale del mercato, ma doveva interpretarsi alla luce dell’intesa che ha permesso ai suoi membri di coordinare l’evoluzione dei prezzi. Non si può quindi sostenere che il livello dei prezzi in mancanza d’intesa si sarebbe evoluto in maniera identica a quello dei prezzi praticati in seguito all’intesa. Ciò è confermato dalla dichiarazione della stessa Jungbunzlauer nella lettera 21 maggio 1999. Anche se non può escludersi che motivi diversi dalla ricerca dell’efficacia dell’intesa abbiano incitato i suoi membri a stabilire meccanismi di concertazione, di informazione e di sorveglianza, ciò non toglie che, tenuto conto segnatamente delle spese di amministrazione e dei rischi che un’intesa siffatta fosse scoperta, la spiegazione fornita dalla Commissione, cioè l’ottimizzazione dell’efficacia dell’intesa, costituisce la spiegazione più plausibile (v. punto 154 supra).
187 Parimenti, contrariamente a quanto sostiene la Jungbunzlauer, la Commissione poteva a buon diritto, al punto 227 della Decisione, respingere come non concludenti le risposte fornite dagli acquirenti di acido citrico alla sua richiesta di informazioni 20 gennaio 1998.
188 In effetti, da una parte, con il quesito n. 4 di tale richiesta di informazioni, la Commissione cercava di sapere se gli acquirenti avessero constatato sensibili aumenti di prezzo dell’acido citrico tra il 1990 e la data di invio di tale richiesta nel 1998. Nella loro risposta, mentre taluni acquirenti hanno indicato che avevano constatato aumenti di prezzo nel corso di certi periodi precisi corrispondenti agli aumenti convenuti nell’ambito dell’intesa, altri si riferivano unicamente a periodi successivi alla fine dell’intesa nel 1995 o indicavano di aver constatato una diminuzione dei prezzi. D’altra parte gli altri quesiti, come formulati dalla Commissione nella lettera 20 gennaio 1998, vertevano non sul periodo interessato dall’intesa, ma sulla situazione del mercato al momento dell’invio di tale lettera. Proprio per tale motivo le risposte degli acquirenti non erano concludenti riguardo all’impatto concreto dell’intesa sul mercato.
189 Infine, neppure la circostanza, invocata dalla Jungbunzlauer, che, nel 1994, la quota totale del mercato mondiale detenuta dalle interessate sarebbe scesa dal 70% nella fase iniziale dell’intesa al 52% permette di infirmare l’esistenza di un effetto reale dell’intesa sul mercato rilevante. In effetti, da una parte, come fondatamente fa valere la Commissione, essa ha concluso nel senso dell’esistenza di un siffatto effetto sul mercato, essenzialmente proprio a causa dell’aumento dei prezzi dell’acido citrico tra il 1991 e il 1993. D’altro canto, per quanto riguarda il periodo dal 1993 al 1995, l’effetto constatato dalla Commissione era sostanzialmente una stabilizzazione del prezzo ad un livello più elevato di quello esistente prima dell’aumento, nel 1991. Orbene, la circostanza che i membri dell’intesa rappresentassero ormai soltanto il 52% del mercato non significa che essi non fossero in grado, quanto meno, di favorire tale tendenza di stabilizzazione del prezzo.
190 Alla luce di tutto quanto precede, la Commissione non ha commesso errori manifesti di valutazione circa l’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico.
3. Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
191 La Jungbunzlauer fa valere che la Decisione è inficiata dalla violazione dell’obbligo di motivazione. A suo parere la Commissione non ha indicato in che modo gli accordi avessero avuto effetti sul mercato, ma si è limitata a respingere le prove contrarie fornite dalla Jungbunzlauer nel corso del procedimento amministrativo dichiarandole insufficienti senza apportare la minima giustificazione. In particolare la Jungbunzlauer addebita alla Commissione di non aver preso posizione sulle risposte fornite dalle diverse imprese alle sue richieste di informazioni, mentre la ricorrente ha espressamente affrontato tale aspetto nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti.
192 La Commissione ritiene di aver sufficientemente motivato al riguardo la Decisione.
193 Il Tribunale osserva che, ai punti 92‑111 della Decisione, la Commissione ha descritto in maniera precisa gli accordi quali erano stati attuati dai membri dell’intesa, ivi compresi, in particolare, gli accordi sui prezzi (punti 95 e 96 della Decisione). Inoltre, nella parte relativa alla valutazione giuridica dei fatti, la Commissione ha esaminato tali dati. Per concludere nel senso dell’esistenza di un impatto reale dell’intesa sul mercato, la Commissione si è basata sul fatto che gli accordi erano stati scrupolosamente applicati (punto 212), che il prezzo dell’acido citrico quale annunciato agli acquirenti era stato applicato dai membri dell’intesa (punto 213), che i membri dell’intesa avevano fissato quote di vendita il cui rispetto era stato costantemente sorvegliato nonché un sistema di compensazione (punti 214 e 215). Infine, la Commissione ha esaminato gli argomenti delle parti interessate, tra cui la ricorrente, ed ha fornito una motivazione succinta, ma sufficiente a tale riguardo (v. segnatamente punti 226‑228 della Decisione).
194 Ne consegue che la Commissione ha chiarito in che modo, a suo avviso, l’intesa aveva avuto un impatto concreto sul mercato dell’acido citrico.
195 La Decisione è di conseguenza sufficientemente motivata su tale punto.
B – Sull’adattamento dell’importo dell’ammenda in rapporto alla dimensione relativa delle imprese interessate
1. Argomenti delle parti
196 La Jungbunzlauer fa valere che, procedendo, nell’ambito del calcolo delle ammende in rapporto alla gravità dell’infrazione, ad un adattamento dell’importo delle stesse sulla base della dimensione e delle risorse globali delle imprese interessate, la Commissione non ha adeguatamente tenuto conto della potenza economica molto limitata della Jungbunzlauer rispetto alle altre imprese interessate, e, così facendo, ha violato i principi di proporzionalità e di parità di trattamento, il «principio di valutazione individuale delle ammende» nonché i propri orientamenti.
197 La Jungbunzlauer indica come dai punti 240‑246 della Decisione emerga che, allo scopo di tener conto della dimensione e delle risorse globali delle imprese interessate, la Commissione ha messo a confronto i fatturati mondiali delle imprese interessate, cioè dei gruppi cui queste ultime appartenevano, quali risultano dalla tabella 3 ripresa al punto 50 della Decisione. Su tale base la Jungbunzlauer ricorda che, al fine di garantire un livello delle ammende sufficientemente dissuasivo, la Commissione ha maggiorato del 100% l’importo di partenza delle ammende dell’ADM e della HLR e del 150% quello della H&R.
198 La Jungbunzlauer fa valere che, applicando tale metodo di adattamento degli importi dell’ammenda, la Commissione perviene ad un risultato assurdo in quanto essa manifestamente infligge ammende più severe a imprese nettamente più piccole, come la Jungbunzlauer, e attribuisce alle ammende inflitte alle grandi imprese un effetto dissuasivo molto meno importante.
199 La Jungbunzlauer ammette che il calcolo delle ammende può comportare la presa in considerazione di numerosi fattori e che la Commissione dispone nell’ambito di tale calcolo di un margine molto ampio di valutazione. Tuttavia, riferendosi alle sentenze della Corte 12 novembre 1985, causa 183/83, Krupp/Commissione, Racc. pag. 3609, punto 37; 7 giugno 1983, cause riunite 100/80‑103/80, Musique diffusion française e a./Commissione, Racc. pag. 1825, punto 121, e alla sentenza del Tribunale 14 luglio 1994, causa T‑77/92, Parker Pen/Commissione, Racc. pag. II‑549, punto 94, essa fa valere che in tale contesto occorre attribuire un ruolo essenziale alla potenza economica dell’impresa interessata.
200 Per quanto concerne, in particolare, la sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 199 supra, la Jungbunzlauer ritiene che, in tale causa, si trattava del caso di una grande impresa che aveva partecipato ad accordi concernenti un prodotto che rappresentava solo una piccola parte del suo fatturato globale. Secondo la Jungbunzlauer la Corte ha chiaramente affermato in tale causa, seguendo la posizione difesa dalla Commissione, che le dimensioni e la potenza economica dell’impresa dovevano riflettersi in maniera adeguata nell’ammenda inflitta (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 199 supra, punto 121). Infatti, secondo la Jungbunzlauer, la Corte voleva proprio evitare che un grande gruppo potesse pagare un’ammenda che, paragonata alla sua potenza economica, fosse relativamente ridotta e ciò per il solo fatto dell’importanza ridotta del prodotto in questione rispetto al fatturato globale.
201 Orbene, secondo la Jungbunzlauer, è proprio quanto avvenuto nella presente causa, come risulta da numerosi raffronti.
202 La Jungbunzlauer sottolinea che, nel caso di specie, l’importo di base calcolato in rapporto alla gravità dell’infrazione, se lo si confronta con la capacità economica di tutte le imprese destinatarie della Decisione, incide sul gruppo Jungbunzlauer molto più duramente che su tutte le altre parti interessate.
203 Al riguardo, basandosi sui dati risultanti dai punti 239 e 246 della Decisione, la Jungbunzlauer presenta il seguente prospetto:
Impresa |
Fatturato globale |
Importo di base (importo |
Importo di base in % del |
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Jungbunzlauer |
314 |
21 |
6,69 |
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
HLR |
18 403 |
42 |
0,23 |
||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
ADM |
|
13 936 |
42 |
0,30 |
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
H & R/Bayer AG |
|
30 971 |
87,5 |
0,29 |
|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Cerestar/ Cerestar AG |
|
1 693 |
3,5 |
0,20 |
204 Ne risulta, secondo la Jungbunzlauer, che, benché il fatturato della HLR sia 58,6 volte più elevato di quello del gruppo Jungbunzlauer e che l’ADM realizzi un fatturato 44,38 volte più elevato rispetto al suddetto gruppo, l’ammenda inflitta a queste due imprese è stata solo raddoppiata in questa fase specifica del calcolo delle ammende. Parimenti, nonostante il fatto che il fatturato del gruppo Bayer, cui apparteneva la H&R e che è stato adottato dalla Commissione come base per l’adattamento delle ammende (punti 243 e 244), sia 99,8 volte più elevato di quello del gruppo Jungbunzlauer, l’ammenda per la H&R è stata solo moltiplicata per 2,5, il che sarebbe tanto più stupefacente in quanto il gruppo Bayer disponeva di gran lunga della quota più importante di mercato rispetto a tutte le parti interessate.
205 Orbene, secondo la Jungbunzlauer, un siffatto trattamento disuguale non può giustificarsi, dato che tutte le imprese destinatarie della Decisione, a prescindere dalle loro dimensioni, erano reciprocamente comparabili sotto ogni aspetto per quanto concerne, segnatamente, il loro contributo all’infrazione e la loro posizione sul mercato.
206 Sarebbe inoltre a torto che la Commissione ha respinto l’argomento della Jungbunzlauer invocando l’importanza della sua quota di mercato dell’acido citrico. In effetti, da un lato, essa ricorda che il gruppo Jungbunzlauer disponeva di una quota pari a [riservato]% del mercato dell’acido citrico, ma che le è stata inflitta un’ammenda 23 volte più elevata di quella inflitta alla H&G, che tuttavia disponeva di una più importante quota di mercato (22%). Essa fa valere d’altro lato che l’importanza della quota di mercato delle diverse imprese era già stata presa in considerazione dalla Commissione nell’ambito di una precedente fase del calcolo dell’importo dell’ammenda, cioè in occasione della classificazione delle imprese in tre categorie (punti 233‑239 della Decisione).
207 Un trattamento sproporzionato delle imprese più piccole risulterebbe anche da un raffronto tra gli importi di base calcolati in rapporto alla gravità dell’infrazione su cui si è fondata la Commissione per quanto concerne, da una parte, la Jungbunzlauer nella Decisione e, dall’altra, altre parti in cause analoghe all’origine di decisioni contemporanee a quella impugnata nel caso di specie. La Jungbunzlauer si riferisce in proposito alle decisioni adottate dalla Commissione nelle cosiddette cause «Gluconato di sodio» [decisione della Commissione 2 ottobre 2001, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP/E‑1/36.756 – Gluconato di sodio; in prosieguo: la «decisione Gluconato di sodio»)], «Aminoacidi» [decisione della Commissione 7 giugno 2000, 2001/418/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/36.545/F3 – Aminoacidi; GU L 152, pag. 24; in prosieguo: la «decisione Aminoacidi»)] e «Vitamine» [decisione della Commissione 21 novembre 2001, 2003/2/CE, relativa ad un procedimento a norma dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso COMP/E‑1/37.512 – Vitamine; GU 2003, L 6, pag. 1; in prosieguo: la «decisione Vitamine»)]. In effetti, in tali cause, gli importi di base su cui si è fondata la Commissione per varie imprese interessate rappresentavano, in percentuale dei fatturati globali realizzati da queste ultime, nel caso Gluconato di sodio, tra lo 0,04 e lo 0,58%, nel caso Aminoacidi, tra lo 0,24 e l’1,59% e, nel caso Vitamine, tra lo 0,7 e il 2,0%, mentre la medesima percentuale sarebbe nel caso dell’interessata, per quanto riguarda la fattispecie, del 6,69%.
208 La Jungbunzlauer raffronta anche gli importi delle ammende presi in considerazione nella Decisione prima della riduzione per cooperazione (punti 293 e 326 della Decisione) decisa nei suoi confronti con quelli inflitti dalla Decisione alla HLR e all’ADM in percentuale dei fatturati globali di tali imprese. A tale riguardo, rileva la Jungbunzlauer, raffrontato alla potenza delle rispettive imprese espressa in fatturato globale (punto 203 supra), l’importo dell’ammenda inflittale prima della riduzione per cooperazione (cioè EUR 29,4 milioni, ovvero il 9,36% del suo fatturato globale) rappresenta in percentuale 21,8 volte quello dell’ammenda inflitta alla HLR (cioè EUR 79,38 milioni, ovvero lo 0,43% del fatturato globale della HLR) e 16,4 volte quello dell’ammenda inflitta all’ADM (cioè EUR 79,38 milioni ovvero lo 0,57% del fatturato globale dell’ADM).
209 La Jungbunzlauer considera che il carattere sproporzionato dell’importo dell’ammenda inflittale nel caso di specie è ancora più flagrante allorché si raffronta l’importo definitivo delle ammende stabilito nella Decisione che la riguarda con quelli inflitti alla HLR e all’ADM in percentuale del fatturato globale di tali imprese. In effetti, rileva la Jungbunzlauer, raffrontato alla potenza delle rispettive imprese espressa in fatturato globale (punto 203 supra), l’importo definitivo dell’ammenda inflittale (EUR 17,64 milioni) rappresenta 16 volte quello dell’ammenda inflitta alla HLR (EUR 63,5 milioni) e 20 volte quello dell’ammenda inflitta all’ADM (EUR 39,69 milioni).
210 Inoltre la Jungbunzlauer raffronta anche gli importi definitivi delle ammende stabiliti nella Decisione che la riguarda con quelli inflitti nelle decisioni «Gluconato di sodio», «Aminoacidi» e «Vitamine» nonché nel caso Sun-Air/SAS e Maersk Air [decisione della Commissione 18 luglio 2001, 2001/726/CE, relativa a un procedimento di applicazione dell’articolo 81 del trattato CE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (caso COMP.D.2 37.444 – SAS/Maersk Air e caso COMP.D.2 37.386 – Sun-Air/SAS e Maersk Air; GU L 265, pag. 15)]. Secondo la Jungbunzlauer, ne risulta che l’importo definitivo dell’ammenda inflitta a queste altre imprese, raffrontato alla potenza delle rispettive imprese espressa in fatturato globale, rappresentava soltanto tra lo 0,06 e il 2,61% del loro fatturato globale.
211 Considerato tutto quanto precede, la Jungbunzlauer è del parere che la Commissione avrebbe dovuto, nella parte del suo calcolo dell’importo delle ammende destinata a garantire un carattere sufficientemente dissuasivo a queste ultime, correggere al ribasso l’importo di base da prendere in considerazione nei confronti del gruppo Jungbunzlauer.
212 La Commissione respinge l’argomento della ricorrente.
2. Giudizio del Tribunale
a) Introduzione
213 Secondo una giurisprudenza consolidata la gravità delle infrazioni va accertata in funzione di un gran numero di elementi quali, segnatamente, le circostanze proprie al caso di specie e il suo contesto, e ciò senza che sia stato redatto un elenco vincolante o esaustivo di criteri da tenere obbligatoriamente in considerazione (ordinanza SPO e a./Commissione, punto 136 supra, punto 54; sentenze Ferriere Nord/Commissione, punto 136 supra, punto 33, e HFB e a./Commissione, punto 136 supra, punto 443).
214 Parimenti, secondo la costante giurisprudenza, tra gli elementi di valutazione della gravità dell’infrazione possono rientrare, a seconda dei casi, il volume e il valore delle merci oggetto dell’infrazione nonché le dimensioni e la potenza economica dell’impresa e, quindi, l’influenza che questa ha potuto esercitare sul mercato. Ne consegue, da un lato, che è possibile, al fine di determinare l’importo dell’ammenda, tener conto tanto del fatturato complessivo dell’impresa, che costituisce un’indicazione, anche se approssimativa e imperfetta, delle dimensioni di questa e della sua potenza economica, quanto della parte di tale fatturato derivante dalla vendita delle merci coinvolte nell’infrazione e che può quindi fornire un’indicazione dell’entità della medesima. Dall’altro, ne consegue che non si deve attribuire ad alcuno di questi due dati un peso eccessivo rispetto agli altri criteri di valutazione, di modo che la determinazione dell’ammenda adeguata non può essere il risultato di un semplice calcolo basato sul fatturato complessivo (v., in tal senso, sentenze Musique diffusion française e a./Commissione, punto 199 supra, punti 120 e 121; Parker Pen/Commissione, punto 199 supra, punto 94; sentenze del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑327/04, SCA Holding/Commissione, Racc. pag. II‑1373, punto 176; Archer Daniels Midland e Archer Daniels Midland Ingredients/Commissione, punto 177 supra, punto 187, e HFB e a./Commissione, punto 136 supra, punto 444).
215 Nel caso di specie la Commissione ha tenuto conto sia del fatturato relativo alla vendita dei prodotti in questione sia del fatturato globale delle imprese interessate. In effetti, dopo aver constatato che l’infrazione doveva considerarsi come «molto grave» ai sensi del punto 1 A, secondo comma, degli orientamenti (punto 230 della Decisione), proprio in rapporto a tali due criteri essa ha ponderato l’importo delle ammende in seno a tale categoria di infrazioni molto gravi per le quali gli orientamenti prevedono importi «applicabili» di oltre EUR 20 milioni.
216 Dai punti 233, 234 e 240 della Decisione emerge che la Commissione si è basata in proposito sul punto 1 A, quarto e sesto comma, degli orientamenti. In sostanza, in tali punti degli orientamenti, la Commissione ha indicato che, segnatamente quando si tratta di infrazioni che coinvolgono più imprese e quando esiste una disparità considerevole nelle dimensioni delle imprese parti di un’infrazione, essa avrebbe proceduto ad un trattamento differenziato delle imprese interessate per tener conto della loro effettiva capacità economica di arrecare un danno consistente alla concorrenza e per fissare l’importo dell’ammenda ad un livello tale da garantirne un carattere sufficientemente dissuasivo.
217 Così, da una parte, fondandosi sul fatturato delle parti interessate relativo alla vendita dei prodotti in questione, la Commissione le ha classificate in tre categorie. L’obiettivo di tale modulazione era, come indicato dalla Commissione al punto 234 della Decisione, quello di tener conto dell’effetto reale del comportamento di ciascuna delle parti interessate sulla concorrenza. Con ciò la Commissione perseguiva parimenti uno scopo di dissuasione in quanto poneva in risalto il fatto che avrebbe penalizzato maggiormente le imprese che avevano partecipato ad un cartello su un mercato su cui esse avevano un peso rilevante.
218 In tale contesto la ricorrente, detenendo una quota media sul mercato mondiale dell’acido citrico, è stata classificata dalla Commissione nella seconda categoria di imprese per le quali essa ha fissato un importo di base di EUR 21 milioni.
219 D’altra parte, basandosi sul fatturato globale delle parti interessate, essa ha ritenuto appropriato adattare per tre di esse l’importo di base delle ammende per il motivo che le loro dimensioni e le loro risorse globali erano tali che, senza un aumento di tali importi, l’ammenda non avrebbe avuto alcun effetto dissuasivo, rappresentando una frazione troppo esigua del fatturato globale delle parti interessate.
220 Solo su tale fase precisa del calcolo dell’ammenda, descritta al punto precedente, verte la critica formulata dalla ricorrente. Essa rileva in sostanza che, limitandosi a moltiplicare per un coefficiente di 2, o di 2,5, l’importo di base dell’ammenda per i membri dell’intesa costituenti o facenti parte di grandi gruppi multinazionali, ma omettendo di diminuire al contempo l’importo di base dell’ammenda per imprese nettamente più piccole, la Commissione ha commesso una discriminazione verso queste ultime in rapporto alle prime. Senza venire contraddetta su tale punto, la ricorrente deduce a tale riguardo dalla motivazione della Decisione che l’importo di base dell’ammenda inflittale in rapporto alla gravità dell’infrazione rappresenta il 6,69% del proprio fatturato globale, mentre l’importo fissato per i grandi gruppi multinazionali (cioè, nel caso di specie, la HLR, l’ADM e la Bayer cui appartiene la H&R) corrisponde ad una forcella tra lo 0,23 e lo 0,30% del rispettivo fatturato globale, anche dopo l’applicazione del coefficiente moltiplicatore destinato a tener conto delle dimensioni e delle risorse globali di queste ultime imprese.
221 Sotto tale profilo la ricorrente invoca tre motivi, fondati sulla violazione, in primo luogo, del «principio di valutazione individuale delle ammende» e degli orientamenti, in secondo luogo, del principio di proporzionalità e, in terzo luogo, del principio della parità di trattamento.
b) Sugli addebiti fondati sulla violazione del «principio di valutazione individuale delle ammende» e degli orientamenti
222 La ricorrente sostiene essenzialmente, nella parte in cui fa valere la violazione di un «principio di valutazione individuale delle ammende» e degli orientamenti, che la Commissione aveva l’obbligo di fissare le ammende sulla base della percentuale del fatturato globale di ciascuna impresa interessata.
223 Orbene, va ricordato come il Tribunale abbia già dichiarato a più riprese che, sulla base dei principi enunciati dalla costante giurisprudenza, è in effetti consentito alla Commissione, conformemente ai suoi orientamenti, non fissare le ammende in funzione del fatturato realizzato da ciascuna delle imprese interessate sul mercato rilevante, ma applicare, quale punto di partenza del suo calcolo per tutte le imprese interessate, un importo assoluto fisso in funzione della natura stessa dell’infrazione commessa, importo successivamente modulato per ognuna delle imprese interessate in funzione di numerosi elementi (v., in tal senso, sentenza della Corte 8 novembre 1983, cause riunite 96/82‑102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, IAZ e a./Commissione, Racc. pag. 3369, punti 51‑53; sentenze del Tribunale LR AF 1998/Commissione, punto 88 supra, punto 281, e 19 marzo 2003, causa T‑213/00, CMA CGM e a./Commissione, Racc. pag. II‑913, punti 384, 385, 416 e 437).
224 La ricorrente non contesta che, nel caso di specie, la Commissione ha applicato tale metodo, quale previsto dagli orientamenti.
225 Conseguentemente la ricorrente non può avvalersi di una violazione degli orientamenti. Quanto alla violazione dell’asserito «principio di valutazione individuale delle ammende», è sufficiente osservare che la ricorrente non ha precisamente definito tale principio e che il medesimo non è stato espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza. Pertanto l’invocazione di tale principio da parte della ricorrente non può, di per sé, rimettere in questione la validità della Decisione. Vanno quindi respinti gli argomenti della ricorrente circa la violazione sia degli orientamenti sia di un asserito «principio di valutazione individuale delle ammende».
c) Sulla violazione del principio di proporzionalità
226 Il principio di proporzionalità esige che gli atti delle istituzioni comunitarie non vadano oltre quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefisso (sentenze del Tribunale 19 giugno 1997, causa T‑260/94, Air Inter/Commissione, Racc. pag. II‑997, punto 144 e la giurisprudenza ivi citata, e 23 ottobre 2003, causa T‑65/98, Van den Bergh Foods/Commissione, Racc. pag. II‑4653, punto 201).
227 Nel contesto del calcolo delle ammende, risulta dalla costante giurisprudenza che occorre determinare la gravità delle infrazioni in rapporto a numerosi elementi e che non è necessario attribuire ad alcuno di tali elementi un’importanza sproporzionata rispetto agli altri elementi di valutazione (v. punti 213 e 214 supra).
228 Il principio di proporzionalità implica in tale contesto che la Commissione deve fissare l’ammenda in modo proporzionato rispetto agli elementi presi in considerazione ai fini della valutazione della gravità dell’infrazione e che essa deve applicare al riguardo tali elementi in maniera coerente e obiettivamente giustificata (v., in tal senso, sentenze del Tribunale 12 luglio 2001, cause riunite T‑202/98, T‑204/98 e T‑207/98, Tate & Lyle e a./Commissione, Racc. pag. II‑2035, punto 106; CMA CGM e a./Commissione, punto 223 supra, punti 416‑418, e 30 settembre 2003, cause riunite T‑191/98, da T‑212/98 a T‑214/98, Atlantic Container Line e a./Commissione, Racc. pag. II‑3275, punto 1541).
229 Nel caso di specie, dopo aver stabilito che l’infrazione costituiva, per sua stessa natura, un’infrazione molto grave passibile di un’ammenda superiore ad EUR 20 milioni, la Commissione ha proceduto alla ponderazione dell’importo di base dell’ammenda. A tal fine essa ha tenuto conto, in conformità della giurisprudenza citata al punto 214 supra, da un lato, del volume e del valore dei prodotti oggetto dell’infrazione per ogni impresa in parola fornendo un’indicazione dell’ampiezza dell’infrazione commessa da tali imprese sul mercato dei prodotti in questione e, dall’altro, delle dimensioni e della potenza economica di ognuna delle imprese considerate. Anche se la Commissione ha tenuto conto di tali due criteri nell’ambito della medesima operazione di calcolo, trattasi di due criteri distinti. Va quindi esaminato separatamente se la Commissione abbia attribuito un’importanza sproporzionata ad uno dei due criteri in parola.
230 In primo luogo, fissando l’importo di base ad un livello più elevato per le imprese con una quota di mercato relativamente più importante delle altre sul mercato in questione, essa ha tenuto conto dell’influenza effettiva che l’impresa esercitava su tale mercato e, pertanto, della specifica responsabilità dell’impresa per il mantenimento della libera concorrenza quale elemento soggettivo della gravità del comportamento delle imprese interessate. In effetti, tale elemento è l’espressione del livello di responsabilità più elevato delle imprese con una quota di mercato relativamente più importante delle altre sul mercato in questione per i danni causati alla concorrenza e, in definitiva, ai consumatori attraverso la conclusione di un’intesa segreta.
231 Nel caso di specie, classificando la ricorrente nella seconda categoria delle imprese interessate e fissando per tale impresa, come punto di partenza, lo stesso importo di quello preso in considerazione per altre due imprese aventi su tale mercato una quota equivalente a quella della ricorrente, la Commissione non ha determinato in maniera sproporzionata tale importo, date la gravità dell’infrazione commessa dalla ricorrente e la necessità di garantire un effetto dissuasivo all’ammenda alla luce di tale gravità. Tale valutazione non è rimessa in questione dal fatto che, in termini di dimensione globale, queste altre imprese erano più importanti della ricorrente. In effetti l’incidenza della condotta della ricorrente sul mercato in questione giustifica la valutazione operata dalla Commissione in tale fase del calcolo dell’ammenda.
232 In secondo luogo, applicando un coefficiente moltiplicatore all’ADM, alla HLR e alla H&R, la Commissione ha debitamente valutato le dimensioni e le risorse globali delle imprese interessate ed ha quindi perseguito l’obiettivo di garantire un effetto dissuasivo alle ammende.
233 La Jungbunzlauer non può validamente sostenere che, in base al principio di proporzionalità, la Commissione avrebbe dovuto, nell’ambito di tale stessa operazione, ridurre l’importo dell’ammenda inflittale in quanto, raffrontando tale importo con il suo fatturato globale, esso andava oltre quanto era opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefisso, cioè garantire un livello dissuasivo all’ammenda.
234 In effetti, come indicato al punto 231 supra, nel fissare l’importo dell’ammenda, la Commissione non ha preso in considerazione un importo sproporzionato, tenuto conto dell’ampiezza dell’infrazione commessa dalla ricorrente sul mercato dei prodotti in questione. Tale valutazione non è rimessa in discussione dal fatto che tale ammenda rappresenta, nel caso di specie, il 6,69% del fatturato di un’impresa interessata.
235 Va pertanto respinto il motivo fondato sulla violazione del principio di proporzionalità.
d) Sulla violazione del principio della parità di trattamento
236 Il principio della parità di trattamento osta a che situazioni analoghe siano trattate in maniera differenziata e a che situazioni diverse siano trattate in maniera analoga, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v. sentenze del Tribunale BPB de Eendracht/Commissione, punto 88 supra, punto 309, e la giurisprudenza ivi citata, e 13 gennaio 2004, causa T‑67/01, JCB Service/Commissione, Racc. pag. II‑49, punto 187).
237 Nel caso di specie la Commissione non contesta il fatto che la ricorrente si sia trovata in una situazione comparabile a quella delle altre imprese cui la Commissione ha imputato la responsabilità dell’infrazione, giacché l’obiettivo di dissuasione vale sia per la ricorrente sia per le altre imprese interessate. Parimenti la Commissione non contesta il fatto che, per quanto riguarda il rapporto tra l’importo dell’ammenda e il fatturato delle parti interessate, elemento di cui la Commissione ha tenuto conto per fissare l’importo dell’ammenda alle stesse in rapporto alla gravità dell’infrazione, l’importo di base dell’ammenda quale fissato per la ricorrente in rapporto alla gravità dell’infrazione rappresenta il 6,69% del suo fatturato globale, quando invece tale importo fissato per i grandi gruppi multinazionali (cioè, nel caso di specie, la HLR, l’ADM e la Bayer cui appartiene la H&R) è compreso tra lo 0,23 e lo 0,30% del loro rispettivo fatturato globale, anche dopo l’applicazione del coefficiente moltiplicatore destinato a tener conto delle dimensioni e delle risorse globali di queste imprese.
238 Tuttavia, da una parte, salvo fissare l’ammenda ad un livello proporzionale al fatturato delle imprese interessate, un certo trattamento differenziato tra le imprese interessate è inerente all’applicazione del metodo scelto dagli orientamenti al fine di conseguire l’obiettivo di dissuasione, metodo considerato legittimo dal giudice comunitario (sentenza LR AF 1998/Commissione, punto 88 supra, punto 222).
239 D’altra parte, poiché la valutazione condotta dalla Commissione del carattere proporzionato dell’importo di base dell’ammenda non è stata ritenuta erronea (v. punti 226‑235 supra), l’argomento della ricorrente equivale in realtà ad un invito al Tribunale a verificare la legittimità degli importi delle ammende fissati per le grandi imprese con cui la ricorrente raffronta l’ammenda inflittale. Orbene la ricorrente non può avvalersi di un diritto ad agire al riguardo. In effetti, il rispetto del principio della parità di trattamento deve conciliarsi con il rispetto del principio secondo cui nessuno può invocare a suo profitto un atto illegittimo commesso a favore di altri (v. sentenza HFB e a./Commissione, punto 136 supra, punto 515, e la giurisprudenza ivi citata).
240 Va pertanto respinto il motivo fondato sulla violazione del principio della parità di trattamento.
IV – Sulle circostanze attenuanti
241 La Jungbunzlauer solleva motivi fondati sulla violazione, in primo luogo, degli orientamenti e, in secondo luogo, dell’obbligo di motivazione.
A – Sulla violazione degli orientamenti
242 La Jungbunzlauer fa valere che, conformemente al punto 3, primo e secondo trattino, degli orientamenti, la Commissione avrebbe dovuto accordarle il beneficio delle circostanze attenuanti sul fondamento, da un lato, del ruolo esclusivamente emulativo della Jungbunzlauer GmbH nel commettere l’infrazione e, dall’altro, della non applicazione di fatto dell’intesa da parte della Jungbunzlauer GmbH.
1. Sul ruolo esclusivamente emulativo della Jungbunzlauer GmbH nel commettere l’infrazione
a) Argomenti delle parti
243 La Jungbunzlauer considera che, conformemente al punto 3, primo trattino, degli orientamenti, la Commissione avrebbe dovuto accordarle il beneficio di circostanze attenuanti a motivo del ruolo esclusivamente emulativo della Jungbunzlauer GmbH nel commettere l’infrazione. La Jungbunzlauer considera che il beneficio del ruolo emulativo, nozione non definita negli orientamenti, non può essere escluso per la sola ragione che un’impresa rispetta, almeno parzialmente, le regole dell’intesa. A suo avviso ciò che caratterizza il ruolo emulativo consiste nel fatto che, data la pressione considerevole esercitata dagli altri membri dell’intesa, il soggetto che riveste tale ruolo partecipa, nella misura più ridotta possibile, all’attuazione degli accordi assumendo talune funzioni in seno all’intesa e partecipando alle trattative. Qualsiasi altra interpretazione avrebbe per effetto che il soggetto avente un ruolo emulativo rischierebbe di farsi irrogare sanzioni nell’ambito dell’intesa e di essere oggetto di misure di rappresaglia da parte delle altre imprese.
244 La Jungbunzlauer fa valere che, all’inizio dell’intesa, la Jungbunzlauer GmbH non era stata in grado di sottrarsi agli accordi ed è stata più o meno forzata ad aderirvi nel 1991. Come piccolo venditore specializzato di acido citrico, l’impresa avrebbe corso il rischio di farsi escludere dal mercato da concorrenti più importanti, finanziariamente molto più potenti (con fatturati sino a 58,6 volte quello del gruppo Jungbunzlauer) e aventi, al contrario di essa, una base produttiva molto ampia. Inoltre la Jungbunzlauer sostiene che, tra il 1991 e il 1995, il gruppo Jungbunzlauer si è trovato in una situazione economica molto difficile che ha avuto per effetto che la Jungbunzlauer GmbH non sarebbe stata in grado di conservare la sua indipendenza se non avesse aderito all’intesa all’inizio del 1991. A ciò si è aggiunto il fatto, sottolinea la Jungbunzlauer, che il 40% del costo totale della produzione di acido citrico risulta dal costo delle materie prime, segnatamente del glucosio. Orbene, quest’ultimo sarebbe stato in parte prodotto da altri membri dell’intesa, cosicché questi ultimi sarebbero stati in grado di influire considerevolmente sui costi di produzione dei prodotti a base di acido citrico della Jungbunzlauer GmbH, la quale all’epoca non avrebbe disposto in pratica di approvvigionamenti alternativi.
245 La Jungbunzlauer critica dunque la posizione della Commissione che, a suo avviso, si è limitata ai punti 282 e 284 della Decisione a respingere sommariamente tali argomenti facendo valere che, a decorrere dal 1994, la Jungbunzlauer aveva ripreso la responsabilità della raccolta dei dati di vendita e che il suo presidente‑direttore generale aveva presieduto le riunioni dell’intesa. Ciò sarebbe stato sufficiente, secondo la Commissione, a dimostrare che l’implicazione della Jungbunzlauer «nel cartello era attiva ed è andata ben oltre quanto essa riconosca» (punto 284 della Decisione).
246 La Jungbunzlauer considera che la Commissione ha esagerato l’importanza della funzione di presidente delle riunioni dell’intesa. In effetti, come avrebbe indicato la Commissione al punto 120 della Decisione, tale ruolo era connesso alla presidenza dell’Associazione europea dei produttori di acido citrico, e il rappresentante della Jungbunzlauer aveva ripreso tale funzione solo perché ciò sarebbe stato previsto dalle regole dell’intesa in virtù di un sistema di rotazione. Secondo la Jungbunzlauer, tale funzione si riassumeva principalmente nel garantire il buon funzionamento della raccolta di dati e costituiva un compito «ingrato», comprendente soprattutto aspetti amministrativi. Tale funzione non sarebbe in alcun caso abbinata alla possibilità di un’influenza accresciuta in seno all’intesa. Inoltre, riferendosi agli argomenti invocati al punto 244 supra, la ricorrente ritiene di non essere stata in grado di rifiutare tale funzione. Inoltre tale ruolo di presidente, come inteso dalla Commissione, sarebbe in contraddizione con il fatto che la Jungbunzlauer GmbH era stata in permanenza criticata per non aver pienamente rispettato gli accordi convenuti. Infine la Jungbunzlauer considera che, nell’ambito dei rapporti economici di forza descritti al punto 244 supra, sembra poco realistico il fatto che un’impresa familiare di media importanza come il gruppo Jungbunzlauer abbia potuto imporre una qualche misura agli altri membri dell’intesa.
247 La Jungbunzlauer ritiene che la ripresa della funzione di presidente delle riunioni dell’intesa potrebbe, al massimo, provare che la Jungbunzlauer ha svolto un ruolo importante in seno all’intesa solo dal 1994, cioè per quanto concerne l’ultimo anno del periodo preso in considerazione dalla Commissione. Viceversa tale circostanza non potrebbe in alcun modo essere idonea a controbattere gli argomenti invocati ai punti 243 e 244 supra. La ripresa di una funzione siffatta circa tre anni più tardi non escluderebbe in modo assoluto che nel 1991 la Jungbunzlauer GmbH sia stata costretta ad associarsi all’intesa.
248 Parimenti a torto, secondo la Jungbunzlauer, la Commissione fa valere il fatto che essa fosse regolarmente presente alle riunioni dell’intesa nella persona dei suoi dirigenti. Essa fa valere in effetti che, da una parte, ciò non si sarebbe verificato per quanto riguarda i sigg. R. e H. e, dall’altra, un’impresa relativamente piccola come la Jungbunzlauer è contraddistinta da una gerarchia «poco delineata». Quanto alla circostanza che la Commissione rileva, al punto 122 della Decisione e nel controricorso, che la Jungbunzlauer aveva un ruolo di «portavoce» nell’ambito di un’azione dell’intesa contro i produttori cinesi, la Jungbunzlauer fa valere che si trattava solo della preparazione di una denuncia antidumping presso la Commissione, il che costituisce un mezzo legittimo di difendersi contro distorsioni di concorrenza provocate da importazioni inferiori al costo di produzione e non una violazione dell’art. 81 CE.
249 Infine la Jungbunzlauer addebita alla Commissione di aver fatto proprio l’argomento di due membri dell’intesa nel corso del procedimento amministrativo, cioè la H&R e la HLR, riassunto ai punti 279‑281 della Decisione. Essa fa valere al riguardo, in primo luogo, che le affermazioni di queste due imprese sono inesatte, in secondo luogo, che esse non hanno valore probante, poiché trattasi di dichiarazioni di co‑incriminati che cercano naturalmente di rigettare su altre imprese il contributo principale all’infrazione, e, in terzo luogo, che la Commissione non ha menzionato tali affermazioni nella comunicazione degli addebiti per cui, richiamandoli nella Decisione, quest’ultima ha violato i suoi diritti della difesa (v., per quanto concerne questo terzo elemento, punto 336 infra).
250 La Commissione respinge l’argomento della ricorrente.
b) Giudizio del Tribunale
251 Al punto 3, primo trattino, degli orientamenti, si precisa che viene accordata una riduzione dell’importo dell’ammenda per circostanze attenuanti se, ad esempio, l’impresa interessata ha avuto un «ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione».
252 A tale proposito emerge dalla giurisprudenza (sentenza del Tribunale 29 aprile 2004, cause riunite T‑236/01, T‑239/01, da T‑244/01 a T‑246/01, T‑251/01 e T‑252/01, Tokai Carbon e a./Commissione, Racc. pag. II‑1181, punto 331) che, tra gli elementi atti a dimostrare il ruolo passivo di un’impresa nell’ambito di un’intesa, possono essere presi in considerazione il carattere ben più sporadico della sua partecipazione alle riunioni rispetto a quella degli altri membri dell’intesa (sentenza BPB de Eendracht/Commissione, punto 88 supra, punto 343) come pure il fatto di essere giunta tardi sul mercato oggetto dell’infrazione, indipendentemente dalla durata della sua partecipazione a quest’ultima (v., in tal senso, sentenza della Corte 10 dicembre 1985, cause riunite 240/82‑242/82, 261/82, 262/82, 268/82 e 269/82, Stichting Sigarettenindustrie e a./Commissione, Racc. pag. 3831, punto 100), oppure ancora l’esistenza di dichiarazioni esplicite in tal senso provenienti da rappresentanti di imprese terze che hanno partecipato all’infrazione (sentenza del Tribunale 14 maggio 1998, causa T‑317/94, Weig/Commissione, Racc. pag. II‑1235, punto 264). Il Tribunale ha peraltro dichiarato in particolare che il «ruolo esclusivamente passivo» di un membro di un’intesa implica che quest’ultimo tenga un «profilo basso», ossia non partecipi attivamente all’elaborazione dell’accordo o degli accordi anticoncorrenziali (sentenza del Tribunale 9 luglio 2003, causa T‑220/00, Cheil Jedang/Commissione,Racc. pag. II‑2473, punto 167).
253 Nella Decisione la Commissione, pur non definendo la Jungbunzlauer come promotore, contesta il fatto che quest’ultima abbia svolto un ruolo passivo o emulativo, data la circostanza che, a decorrere dal 1994, la Jungbunzlauer aveva ripreso la responsabilità della raccolta dei dati sulle vendite e che il suo presidente‑direttore generale aveva presieduto alle riunioni dell’intesa (punto 284 della Decisione).
254 Nel caso di specie la ricorrente non può, in primo luogo, sostenere validamente di essere stata costretta a partecipare all’intesa al fine di esigere il beneficio delle circostanze attenuanti In effetti, anche supponendo dimostrato che gli altri membri dell’intesa abbiano esercitato pressioni economiche sulla Jungbunzlauer GmbH affinché quest’ultima sottoscrivesse gli accordi dell’intesa, ciò non toglie che, in seguito all’adesione alla medesima, essa si è conformata alle decisioni dei membri dell’intesa senza adottare un ruolo esclusivamente passivo o emulativo nella realizzazione dell’infrazione. Tuttavia la Commissione sottolinea nei suoi orientamenti che soltanto un ruolo «esclusivamente» passivo o emulatore può dar luogo ad una riduzione dell’importo dell’ammenda. Non è quindi sufficiente che, durante taluni periodi dell’intesa o rispetto a taluni accordi della medesima, l’impresa interessata abbia adottato un «profilo basso».
255 In secondo luogo, tale conclusione è confermata dal fatto che la Jungbunzlauer ha regolarmente partecipato alle riunioni dell’intesa.
256 In terzo luogo, la ricorrente non può invocare validamente le difficoltà economiche da essa incontrate nel corso del periodo coperto dall’intesa. In effetti, proprio a causa delle difficoltà incontrate da tutti gli operatori sul mercato dell’acido citrico alla fine degli anni ’80, taluni di loro, inclusa la ricorrente, hanno deciso di tenere una condotta anticoncorrenziale. Ebbene, i cartelli come quelli del caso di specie sorgono, in generale, nel momento in cui un settore attraversa un periodo di difficoltà (v., in tal senso, sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 252 supra, punto 345).
257 In quarto luogo, a torto la ricorrente ritiene che il ruolo di presidente delle riunioni dell’intesa implicasse unicamente compiti amministrativi e non le conferisse un’accresciuta influenza in seno all’intesa. È infatti pacifico che convocare riunioni, proporre un ordine del giorno, distribuire documenti preparatori in vista delle riunioni è incompatibile con un ruolo passivo di emulatore che tenga un profilo basso. Tali iniziative rivelano un atteggiamento favorevole e attivo della ricorrente concernente l’elaborazione, la continuazione e il controllo dell’intesa. Parimenti a torto la ricorrente minimizza il fatto che il presidente‑direttore generale della Jungbunzlauer ha partecipato esso stesso alle riunioni dell’intesa, data l’assenza, in seno a tale impresa, di una struttura gerarchica equivalente a quella degli altri membri dell’intesa. In effetti, anche supponendo provati tali elementi, essi potrebbero al massimo essere invocati per dimostrare che la ricorrente non aveva un ruolo di promotore in seno all’intesa, ma non sono idonei a provare che il ruolo della ricorrente fosse «esclusivamente passivo o emulativo». È tuttavia pacifico che la Commissione non ha ritenuto che la ricorrente fosse uno dei promotori dell’intesa.
258 Conseguentemente la Commissione non ha violato i suoi orientamenti rifiutando di concedere alla ricorrente il beneficio di circostanze attenuanti a motivo del ruolo esclusivamente passivo o emulativo che avrebbe svolto la Jungbunzlauer GmbH nella realizzazione dell’infrazione.
2. Sulla non applicazione di fatto dell’intesa da parte della Jungbunzlauer GmbH
a) Argomenti delle parti
259 La Jungbunzlauer considera che la Commissione avrebbe dovuto accordarle, conformemente al punto 3, secondo trattino, degli orientamenti, il beneficio di circostanze attenuanti a causa della non applicazione di fatto dell’intesa da parte della Jungbunzlauer GmbH. La Jungbunzlauer fa valere che, benché i rappresentanti della Jungbunzlauer GmbH abbiano regolarmente assistito alle riunioni, la Jungbunzlauer GmbH ha condotto una politica commerciale autonoma orientata sulla concorrenza. Inoltre, più di qualsiasi altra impresa partecipante all’intesa, la Jungbunzlauer GmbH si sarebbe sottratta, in maniera conseguente e per un periodo relativamente lungo, al tentativo degli altri membri dell’intesa di «disciplinare» la sua politica in materia di condizioni di vendita e di prezzi.
260 In primo luogo, la Jungbunzlauer fa valere che, come emerge dal punto 72 della Decisione, la condotta della Jungbunzlauer GmbH sul mercato, sino al 1990, è stata all’origine della diminuzione dei prezzi dell’acido citrico in Europa, il che, in fin dei conti, ha provocato la costituzione dell’intesa. Infatti essa rileva che, tra il 1970 e il 1990, la Jungbunzlauer GmbH ha moltiplicato per 30 le sue vendite di acido citrico, mentre, per lo stesso periodo, il volume del mercato sarebbe aumentato di appena il 96%. Tali guadagni di quote di mercato sarebbero stati effettuati a detrimento dei grandi venditori di acido citrico stabiliti sul mercato. L’intesa si è quindi rivelata un mezzo, segnatamente, per assoggettarla ad una disciplina comune, come risulterebbe dalla descrizione della prima riunione dell’intesa a Basilea, il 6 marzo 1991, figurante nella sua risposta alla comunicazione degli addebiti. Lo svolgimento di questa prima riunione proverebbe che gli accordi erano, sin dall’inizio, contrari agli interessi economici della Jungbunzlauer GmbH.
261 In secondo luogo, la Jungbunzlauer fa valere che, per tutto il periodo dell’intesa, la Jungbunzlauer GmbH ne ha considerevolmente perturbato il lavoro e ridotto gli effetti sul mercato. Così, benché abbia partecipato alla maggior parte delle riunioni dell’intesa, la Jungbunzlauer GmbH sarebbe stata percepita dagli altri membri della stessa come un «guastafeste».
262 La Jungbunzlauer indica che, durante la prima fase dell’intesa, che è durata dal marzo 1991 alla prima metà del 1993 (punto 90 della Decisione), la Jungbunzlauer GmbH ha tentato principalmente di limitare l’efficacia dell’intesa. La sua principale preoccupazione era di evitare l’istituzione di un meccanismo di compensazione diretto a sanzionare violazioni di quote. Ciò sarebbe dimostrato dalla condotta dei rappresentanti della Jungbunzlauer GmbH nel corso della riunione svoltasi a Gerusalemme nel maggio 1992, come essa aveva già descritto nella lettera del 29 aprile 1999, nella sua dichiarazione del 21 maggio 1999 rilasciata sulla base della comunicazione sulla cooperazione e nella risposta alla comunicazione degli addebiti.
263 Per quanto riguarda la seconda fase dell’intesa, che è durata dalla seconda metà del 1993 al maggio 1995 (punto 91 della Decisione), la Jungbunzlauer fa valere che le parti interessate hanno avuto difficoltà sempre maggiori a far rispettare i prezzi convenuti. Essa sostiene che, oltre alle importazioni provenienti dalla Cina, proprio la Jungbunzlauer GmbH, in conseguenza del suo tentativo di abbandonare l’intesa, era la principale responsabile di tale situazione.
264 In effetti, secondo la Jungbunzlauer, come emerge dal punto 117 della Decisione, sin dall’inizio del 1993, disaccordi crescenti sono comparsi tra i membri dell’intesa e la Jungbunzlauer GmbH è stata identificata come la principale responsabile poiché non rispettava più gli accordi e rifiutava, stando agli altri membri dell’intesa, di sottomettersi alla disciplina. Ciò sarebbe confermato anche dal verbale di audizione dell’FBI concernente la riunione di Chicago del marzo 1993. Parimenti essa fa valere che, come aveva già dichiarato alla Commissione nella lettera del 29 aprile 1999, nella dichiarazione del 21 maggio 1999 sulla base della comunicazione sulla cooperazione e nella risposta alla comunicazione degli addebiti, e come risulterebbe anche dalle dichiarazioni di altri membri dell’intesa e dal verbale dell’FBI, allegati alla risposta alla comunicazione degli addebiti, nel corso delle varie riunioni dell’intesa svoltesi tra il 1993 e il 1995, la Jungbunzlauer GmbH è stata criticata dagli altri membri dell’intesa per essersi opposta a misure anticoncorrenziali e per non aver applicato taluni degli accordi convenuti. Infine, all’inizio del 1995, si sarebbe addirittura prospettata l’esclusione della Jungbunzlauer GmbH dall’intesa e, dato che non si era potuto trovare alcuna soluzione, le attività dell’intesa hanno avuto termine nel corso di una riunione il 22 maggio 1995.
265 In terzo luogo, la Jungbunzlauer considera che la mancata applicazione effettiva degli accordi da parte della Jungbunzlauer GmbH si manifesta anche in rapporto ai prezzi praticati da tale società. Essa si riferisce in effetti a quattro grafici trasmessi alla Commissione nell’ambito della sua risposta alla comunicazione degli addebiti, in cui essa aveva confrontato i prezzi‑obiettivo dell’intesa con quelli effettivamente applicati dalla Jungbunzlauer GmbH sul mercato. Ne risulta a suo parere che le offerte della Jungbunzlauer GmbH si collocavano, come regola generale, al di sotto dei prezzi‑obiettivo e che quest’ultima ha di conseguenza «violato», in ampia misura, i prezzi fissati dall’intesa e non solo in modo sporadico. Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, la Jungbunzlauer ritiene che tali grafici non facciano risultare un parallelismo tra i prezzi‑obiettivo e quelli effettivamente praticati dalla Jungbunzlauer GmbH.
266 La Commissione respinge l’argomento invocato dalla ricorrente.
b) Giudizio del Tribunale
267 Al punto 3, secondo trattino, degli orientamenti, è precisato che una riduzione dell’importo dell’ammenda per circostanze attenuanti è accordata, ad esempio, in caso di non applicazione di fatto degli accordi.
268 A tal fine occorre verificare se le circostanze addotte dalla ricorrente siano tali da dimostrare che, durante il periodo in cui ha aderito agli accordi illeciti, essa si sia effettivamente sottratta alla loro applicazione tenendo sul mercato un comportamento concorrenziale (v., in tal senso, sentenze Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 141 supra, punti 4872‑4874, e Cheil Jedang/Commissione, punto 252 supra, punto 192).
269 È giurisprudenza consolidata che la circostanza che un’impresa, di cui sia dimostrata la partecipazione ad una concertazione in materia di prezzi con i suoi concorrenti, non abbia adeguato il proprio comportamento sul mercato a quello concordato con i suoi concorrenti non costituisce necessariamente un elemento da prendere in considerazione alla stregua di una circostanza attenuante in sede di determinazione dell’importo dell’ammenda da infliggere. Infatti un’impresa che persegua, nonostante la concertazione con i suoi concorrenti, una politica più o meno indipendente sul mercato può semplicemente cercare di avvalersi dell’intesa a proprio vantaggio (sentenze Cascades/Commissione, punto 141 supra, punto 230, e Cheil Jedang/Commissione, punto 252 supra, punto 190).
270 Comunque, nel caso di specie, si è già dichiarato ai punti 183 e 184 supra che sussisteva effettivamente un certo parallelismo tra i prezzi fissati dall’intesa e quelli praticati dalla ricorrente, anche se questi ultimi erano in generale inferiori ai primi. In una situazione siffatta la ricorrente non può validamente far valere a discarico che l’intesa sarebbe stata contraria ai suoi interessi economici, che essa ha perturbato il lavoro dell’intesa e ridotto l’efficacia di quest’ultima e che ha, di norma, fatturato prezzi che si collocavano al di sotto dei prezzi concordati.
271 Di conseguenza la Commissione non ha violato i suoi orientamenti rifiutando di concedere alla ricorrente il beneficio di circostanze attenuanti in ragione della non applicazione di fatto dell’intesa da parte della Jungbunzlauer GmbH.
B – Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
272 La Jungbunzlauer considera in sostanza che la Decisione non è sufficientemente motivata per quanto riguarda sia la non applicazione di fatto degli accordi sia il suo ruolo emulativo in seno all’intesa, dato che la Commissione ha omesso di prendere posizione sui diversi argomenti da essa invocati nel corso del procedimento amministrativo.
273 La Commissione conclude per il rigetto del motivo.
274 Il Tribunale ricorda la giurisprudenza citata al punto 100 supra e constata che, al punto 284 della Decisione, la Commissione ha considerato che «[i]l semplice fatto che dal 1994 in poi l’impresa abbia assunto la responsabilità della raccolta dei dati sulle vendite e che il suo [presidente-direttore generale] abbia presieduto le riunioni del cartello basta[va] a dimostrare che la sua implicazione nel cartello era attiva ed è andata ben oltre quanto essa riconosca».
275 Peraltro, ai punti 218 e 219 della Decisione, la Commissione ha valutato e rigettato l’affermazione della ricorrente secondo cui quest’ultima non avrebbe svolto un ruolo attivo in seno all’intesa e non ne avrebbe attuato le decisioni.
276 Inoltre, per quanto concerne l’omessa attuazione degli accordi, la Commissione si è riferita, nel punto 285 della Decisione, al suo esame figurante ai punti 212‑218 della medesima dove ha dettagliatamente esposto la realizzazione degli accordi dell’intesa ad opera delle parti interessate circa i prezzi dell’acido citrico, le quote e i meccanismi di compensazione.
277 Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Decisione è sufficientemente motivata in proposito.
V – Sull’omessa presa in considerazione delle ammende inflitte in altri Stati
A – Argomenti delle parti
278 La Jungbunzlauer considera che, rifiutando di tener conto delle ammende già inflitte nell’ambito di procedimenti condotti negli Stati Uniti e in Canada per infrazione alle regole di concorrenza di tali paesi e di ridurre l’ammenda inflitta nella Decisione in rapporto a tale circostanza, la Commissione ha ecceduto i limiti del suo potere discrezionale.
279 La Jungbunzlauer rileva che, nell’ambito del procedimento condotto negli Stati Uniti, il gruppo Jungbunzlauer ha concluso nel 1997 una transazione giudiziaria (Plea Agreement) con le autorità della concorrenza di tale paese in cui si è impegnata a pagare un’ammenda pari a USD (dollari degli Stati Uniti) 11 milioni. Ebbene, secondo i termini di tale transazione, l’impegno verterebbe non soltanto sulla parte degli accordi concernente il mercato degli Stati Uniti, ma anche sulle parti degli accordi che si consideravano attuate nei paesi terzi. In effetti, ai punti 2 e 4, lett. b), di tale transazione, le autorità americane hanno tenuto conto, nel calcolo dell’ammenda, del fatto che si trattava di un’intesa a livello mondiale («negli Stati Uniti e altrove»). La Jungbunzlauer aggiunge che, in tale contesto, le autorità americane hanno, per la prima volta, inflitto un’ammenda molto più elevata riferendosi, segnatamente, al carattere internazionale degli accordi. Pertanto il procedimento avviato negli Stati Uniti verterebbe anche su tutti gli accordi e su tutti gli atti delle imprese interessate in vista dell’attuazione di questi ultimi nei limiti in cui riguardavano il mercato europeo. Le operazioni descritte nella comunicazione degli addebiti e le loro ripercussioni sul mercato europeo sarebbero quindi già state sanzionate da un’ammenda.
280 Parimenti la Jungbunzlauer invoca il fatto che le autorità del Canada competenti in materia di concorrenza hanno anch’esse avviato un procedimento che può condurre all’irrogazione di un’ammenda a norma del diritto delle intese sulla base degli stessi accordi. In una transazione giudiziaria (Plea Agreement) del 1998 il gruppo Jungbunzlauer avrebbe accettato di pagare un’ammenda di dollari canadesi (CAD) 2 milioni (pari a EUR 1,2 milioni) onde mettere fine al procedimento aperto dalle autorità canadesi sul fondamento degli accordi medesimi.
281 In tale contesto la Jungbunzlauer ammette anzitutto che il principio ne bis in idem non è applicabile in quanto tale nella fattispecie dato che si tratta di rapporti tra disposizioni penali comunitarie e nazionali. Tuttavia, secondo la Jungbunzlauer, a norma del principio generale di equità, riconosciuto in quanto tale dal diritto comunitario (sentenze della Corte 13 febbraio 1969, causa 14/68, Wilhelm e a., Racc. pag. 1, punto 11, e del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑149/89, Sotralentz/Commissione, Racc. pag. II‑1127, punto 29), la Commissione avrebbe dovuto tener conto nella fattispecie dell’idea sottostante al principio ne bis in idem. La Jungbunzlauer sottolinea che, nel caso di specie, si tratta di un mercato mondiale su cui gli accordi dell’intesa hanno avuto ripercussioni internazionali e che le autorità degli Stati Uniti e del Canada hanno inflitto ammende per i medesimi fatti accertati dalla Commissione. Quindi, a suo parere, una sanzione irrogata dalle autorità di uno Stato terzo deve influire sul calcolo dell’ammenda della Commissione, quanto meno allorché quest’ultima e le autorità dello Stato terzo in questione debbano conoscere dei medesimi fatti. Nella dottrina tale concezione sarebbe condivisa da numerosi autori, ivi compresi taluni ex dipendenti della Commissione. Inoltre, secondo la Jungbunzlauer, nella sentenza 14 dicembre 1972, causa 7/72, Boehringer/Commissione (Racc. pag. 1281, punto 3), la Corte ha preso in considerazione la possibilità di tener conto di ammende inflitte in Stati terzi quando i fatti addebitati sono identici. In tale sentenza, la Corte avrebbe ritenuto che non occorreva tener conto, all’atto dell’irrogazione delle ammende, di quelle già inflitte all’estero per il solo ed unico motivo che i fatti non erano identici. Ciò dimostrerebbe che una presa in considerazione siffatta è necessaria quando i fatti sono identici.
282 In secondo luogo, la Jungbunzlauer fa valere che molti degli obiettivi perseguiti attraverso l’irrogazione di un’ammenda, tra cui, segnatamente, la dissuasione e la soppressione dell’arricchimento, erano già stati conseguiti per effetto delle sanzioni inflitte nei paesi terzi. A tale proposito la Jungbunzlauer insiste specialmente sul fatto che, nell’ambito dei procedimenti repressivi sia negli Stati Uniti sia in Canada, essa è stata autorizzata, a causa dei mezzi limitati a sua disposizione, ad assolvere il pagamento dell’ammenda con versamenti scaglionati su più anni. Il gruppo Jungbunzlauer avrebbe quindi già subito la pesante incidenza sulla sua capacità economica dalle considerevoli ammende inflittegli negli Stati Uniti e in Canada. Pertanto, la presa in considerazione delle ammende già inflitte sarebbe necessaria anche sotto il profilo degli obiettivi perseguiti dall’irrogazione di un’ammenda.
283 Infine, secondo la Jungbunzlauer, la Commissione obietta a torto che le autorità degli Stati Uniti e del Canada non hanno competenza a infliggere ammende per restrizioni della concorrenza sul territorio della Comunità in quanto dal testo della transazione conclusa con le autorità americane emerge che queste ultime non si sono limitate alle ripercussioni sul mercato di tale paese.
284 La Commissione conclude per il rigetto del motivo.
B – Giudizio del Tribunale
285 Occorre ricordare che il principio ne bis in idem vieta di sanzionare lo stesso soggetto più di una volta per un medesimo comportamento illecito, al fine di tutelare lo stesso bene giuridico. L’applicazione di tale principio è soggetta ad una triplice condizione, cioè l’identità dei fatti, l’identità del contravventore e l’identità dell’interesse giuridico tutelato (v., in tal senso, sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 132 supra, punto 338).
286 Nella giurisprudenza comunitaria è stato così ammesso che un’impresa può validamente essere oggetto di due procedimenti paralleli per uno stesso comportamento illegittimo e quindi di due sanzioni distinte, l’una da parte dell’autorità competente dello Stato membro in questione, l’altra comunitaria, in quanto i suddetti procedimenti perseguono finalità distinte e non vi è identità tra le norme violate (sentenza Wilhelm e a., punto 281 supra, punto 11; sentenze del Tribunale 6 aprile 1995, causa T‑141/89, Tréfileurope/Commissione, Racc. pag. II‑791, punto 191, e Sotralentz, punto 281 supra, punto 29).
287 Ne consegue che il principio ne bis in idem a fortiori non è applicabile in un caso come quello di specie in cui i procedimenti promossi e le sanzioni irrogate dalla Commissione, da un lato, e dalle autorità americane e canadesi, dall’altro, non perseguono ovviamente i medesimi obiettivi. In effetti, se nel primo caso si tratta di preservare una concorrenza non falsata nel territorio dell’Unione europea o nel SEE, la tutela ricercata nel secondo caso concerne il mercato americano o canadese (v., in tal senso, sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 252 supra, punto 134 e la giurisprudenza ivi citata). Fa quindi difetto il presupposto dell’identità di interesse giuridico protetto, necessario affinché divenga applicabile il principio ne bis in idem.
288 Il Tribunale ritiene pertanto che il principio ne bis in idem non è applicabile nella fattispecie. Ciò corrisponde alla valutazione della Jungbunzlauer di cui al punto 281 supra.
289 La Jungbunzlauer ritiene però che, nonostante la mancata applicazione del principio ne bis in idem, la Commissione dovesse tener conto, nel commisurare l’ammenda, delle ammende inflitte dalle autorità americane e canadesi che hanno avuto conoscenza dei medesimi fatti. Secondo la Jungbunzlauer un’esigenza siffatta deriverebbe sia dal principio di equità, sia dalla realizzazione degli obiettivi perseguiti da un’ammenda costituiti dalla dissuasione e dall’eliminazione dell’arricchimento.
290 Quanto al principio di equità, il Tribunale ricorda che la possibilità di un cumulo di sanzioni, l’una comunitaria, l’altra nazionale, a seguito di due procedimenti paralleli che perseguono fini diversi e la cui ammissibilità deriva dal particolare sistema di ripartizione delle competenze fra la Comunità e gli Stati membri in materia di intese, è soggetta ad un’esigenza di equità. Tale esigenza di equità implica che, nel commisurare l’ammenda, la Commissione deve tener conto delle sanzioni che sono state già irrogate all’impresa per lo stesso fatto, qualora si tratti di sanzioni inflitte per violazione del diritto delle intese di uno Stato membro e, di conseguenza, per fatti avvenuti nel territorio comunitario (sentenze Wilhelm e a., punto 281 supra, punto 11; Tréfileurope/Commissione, punto 286 supra, punto 191, e Sotralentz, punto 281 supra, punto 29).
291 Tuttavia l’obbligo, secondo tale giurisprudenza, di prendere in considerazione l’esigenza di equità risulta, da un lato, dalla stretta interdipendenza dei mercati nazionali degli Stati membri e del mercato comune e, dall’altro, dal sistema specifico di ripartizione delle competenze tra la Comunità e gli Stati membri in materia di intese su un medesimo territorio.
292 Tuttavia, nel caso di specie, tali elementi sono assenti e non può quindi, su tale base, addebitarsi alla Commissione di aver posto in non cale tale obbligo.
293 Una conclusione siffatta non può essere rimessa in questione dalla sentenza Boehringer/Commissione, punto 281 supra, invocata dalla Jungbunzlauer. In effetti, in tale causa, la Corte non ha affermato che la Commissione doveva tener conto di una sanzione irrogata dalle autorità di uno Stato terzo nell’ipotesi in cui i fatti addebitati contro un’impresa dalla Commissione e dalle suddette autorità fossero identici, ma si è limitata a indicare che tale questione avrebbe dovuto essere risolta quando si fosse presentata (sentenza Boehringer/Commissione, punto 281 supra, punto 3).
294 Nel caso di specie, quand’anche occorresse considerare che il principio di equità impone alla Commissione di tener conto delle sanzioni inflitte dalle autorità degli Stati terzi allorché i fatti addebitati a un’impresa dalla Commissione sono identici a quelli addebitati da un’autorità di uno Stato terzo nei confronti di questa stessa impresa, va constatato che la Jungbunzlauer non perviene a dimostrare che le autorità americane e canadesi si sono riferite ad atti compiuti in conseguenza o ad effetti dell’intesa diversi da quelli concernenti il loro rispettivo territorio.
295 In effetti il semplice riferimento, nella transazione conclusa con le autorità americane, al fatto che l’intesa si riferisse «agli Stati Uniti ed altrove» non dimostra che, nel calcolare l’ammenda, le autorità americane abbiano tenuto conto degli atti compiuti in conseguenza o degli effetti dell’intesa diversi da quelli concernenti il territorio americano, in particolare nel SEE (v., in tal senso, sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 252 supra, punto 143). Un’applicazione siffatta sarebbe peraltro idonea a sconfinare nella competenza territoriale della Commissione.
296 Parimenti, per quanto concerne la transazione conclusa con le autorità canadesi, la Jungbunzlauer non perviene a fornire la prova del fatto che, nel fissare l’importo dell’ammenda, tali autorità si siano riferite ad atti compiuti in conseguenza o ad effetti dell’intesa diversi da quelli concernenti il territorio canadese, in particolare nel SEE.
297 Quanto all’effetto dissuasivo delle ammende già inflitte e dell’eliminazione dell’arricchimento a causa di queste ultime, il Tribunale ricorda che il potere della Commissione di infliggere ammende alle imprese che, intenzionalmente o per negligenza, commettono infrazioni alle disposizioni dell’art. 81, n. 1, CE o dell’art. 82 CE costituisce uno dei mezzi di cui dispone la Commissione per poter svolgere il compito di sorveglianza assegnatole dal diritto comunitario. Questo compito implica il dovere di seguire una politica generale mirante ad applicare, in materia di concorrenza, i principi fissati dal Trattato e ad orientare in questo senso il comportamento delle imprese (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 199 supra, punto 105).
298 Ne consegue che la Commissione ha il potere di determinare l’importo delle ammende al fine di rafforzare il loro effetto dissuasivo qualora infrazioni di un determinato tipo siano ancora relativamente frequenti, benché la loro illegittimità sia stata stabilita sin dagli inizi della politica comunitaria della concorrenza, dati i vantaggi che determinate imprese possono trarne (sentenza Musique diffusion française e a./Commissione, punto 199 supra, punto 108).
299 La Jungbunzlauer non può validamente addurre che l’eliminazione dell’arricchimento dell’impresa a causa delle ammende già inflitte giustifichi necessariamente la riduzione dell’ammenda inflitta a livello comunitario, dato che alla Commissione interessa garantire l’effetto dissuasivo delle ammende inflitte.
300 Peraltro la Jungbunzlauer non può sostenere validamente che nessuna dissuasione si imponeva nei suoi confronti per il fatto di essere già stata condannata per gli stessi fatti da giudici di Stati terzi. Infatti lo scopo dissuasivo perseguito dalla Commissione si riferisce alla condotta delle imprese all’interno della Comunità o del SEE. Ne consegue che il carattere dissuasivo di un’ammenda inflitta alla Jungbunzlauer a causa di una violazione della normativa comunitaria sulla concorrenza non può essere determinato né in funzione soltanto della situazione particolare della Jungbunzlauer, né in funzione dell’osservanza da parte di quest’ultima delle norme in materia di concorrenza stabilite negli Stati terzi fuori del SEE (v., in tal senso, sentenza Tokai Carbon e a./Commissione, punto 252, punti 146 e 147).
301 Va quindi respinto il motivo fondato sull’omessa presa in considerazione delle ammende irrogate in altri Stati.
VI – Sul limite massimo dell’importo delle ammende previsto all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17
A – Introduzione
302 La Jungbunzlauer rileva che, al punto 293 della Decisione, la Commissione ha ridotto l’importo delle ammende per la Cerestar e la H&R al fine di rispettare il limite massimo dell’importo delle ammende di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. La Jungbunzlauer ritiene che, in tale contesto, la Commissione abbia commesso errori di valutazione nonché violazioni del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di motivazione.
303 La Jungbunzlauer articola i suoi presenti motivi in tre parti, fondate sulla circostanza che, nel suo calcolo relativo al limite dell’importo delle ammende di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione, in primo luogo, ha rifiutato di tener conto delle ammende inflitte nell’ambito della causa detta «Gluconato di sodio», in secondo luogo, ha preso in considerazione il fatturato della Jungbunzlauer Holding AG e, in terzo luogo, non ha tenuto conto delle ammende inflitte in altri Stati.
B – Sul rifiuto di tener conto delle ammende inflitte nell’ambito della causa detta «Gluconato di sodio»
1. Argomenti delle parti
304 La Jungbunzlauer considera che la Commissione ha violato l’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 per il motivo che non ha tenuto conto, per il rispetto del limite massimo dell’importo delle ammende previsto dalla suddetta disposizione, dell’ammenda già inflittale circa due mesi prima dell’adozione della Decisione nell’ambito della causa detta «Gluconato di sodio». Essa obietta il fatto che, se la Commissione avesse sommato queste due ammende, l’applicazione del limite massimo dell’importo delle ammende di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 avrebbe comportato una riduzione dell’ammenda inflitta.
305 Secondo la Jungbunzlauer la Commissione ha disgiunto artificiosamente queste due cause. In effetti, secondo la Jungbunzlauer, l’acido citrico e il gluconato di sodio costituiscono prodotti apparentati e appartengono alla medesima famiglia di prodotti, dato che la materia prima è la stessa per entrambi, che i processi di produzione sono ampiamente identici, che i due prodotti sono in gran parte venduti attraverso gli stessi canali di distribuzione e che si ritrovano i medesimi acquirenti sia per l’acido citrico, sia per il gluconato di sodio.
306 La circostanza che esista una differenza tra le rispettive cerchie delle parti al procedimento nelle due cause non sarebbe convincente poiché la connessione di due situazioni di fatto non può dipendere dalla decisione singola di un’impresa di produrre o meno un determinato prodotto. Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, un raffronto tra i periodi di infrazione nelle due cause militerebbe a favore dell’adozione di un’unica decisione per tali due cause. La Jungbunzlauer aggiunge che le autorità competenti degli Stati Uniti e del Canada, dal canto loro, hanno riunito tali cause nell’ambito di un unico procedimento e hanno inflitto un’unica ammenda per le infrazioni relative ai due prodotti. Infine la Jungbunzlauer considera che la decisione «Vitamine», nel cui ambito la Commissione ha esaminato congiuntamente otto intese in un’unica decisione, dimostra che un raggruppamento procedurale di addebiti autonomi rientranti nel diritto delle intese corrisponde ad una prassi corrente.
307 La Commissione respinge l’argomento della ricorrente.
2. Giudizio del Tribunale
308 A norma dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, la Commissione può infliggere alle imprese e associazioni di imprese ammende che possono essere aumentate sino al 10% del fatturato realizzato durante l’esercizio sociale precedente da ciascuna delle imprese che hanno partecipato all’infrazione.
309 Nella specie la ricorrente addebita alla Commissione di aver artificiosamente disgiunto il caso di specie da quello all’origine della decisione «Gluconato di sodio».
310 Orbene, risulta da numerosi punti della Decisione di cui trattasi e di quella «Gluconato di sodio» che, nel 2001, la Commissione ha inflitto alla ricorrente due ammende, dato che quest’ultima aveva violato le regole di concorrenza partecipando a due intese vertenti su prodotti diversi che, benché vicini per talune delle loro applicazioni, costituivano due distinti mercati rilevanti. Infatti, come emerge dai punti 34‑39 della decisione «Gluconato di sodio», l’acido citrico non è un prodotto di sostituzione generale, ma solo un parziale sostituto del gluconato di sodio, a seconda del settore di applicazione. Il Tribunale ritiene che tale valutazione della Commissione non sia erronea e che, pertanto, in una situazione siffatta, sia stato per ragioni obiettive – e non artificiose, come afferma la ricorrente – che la Commissione ha avviato due distinti procedimenti, ha constatato due distinte infrazioni e ha inflitto, in maniera autonoma, due distinte ammende relative alle due infrazioni in parola.
311 Sotto tale profilo, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, la Commissione non ha agito diversamente rispetto alla causa «Vitamine». In effetti, anche se, in quest’ultima causa, la Commissione aveva riunito i procedimenti relativi alle intese sul mercato delle vitamine e aveva adottato una decisione unica, ciò non toglie che essa aveva accertato infrazioni distinte per ognuna delle vitamine interessate e sanzionato le imprese in questione con l’irrogazione di otto ammende autonome.
312 Va peraltro constatato che, tra i cinque produttori di acido citrico destinatari della Decisione, solo due hanno partecipato all’intesa nel settore del gluconato di sodio, cioè la ricorrente e l’ADM. Inoltre l’intesa nel settore del gluconato di sodio è esistita dal 1987 al giugno 1995, mentre quella relativa al settore dell’acido citrico è durata solo dal marzo 1991 sino al maggio/giugno 1995 e i membri delle due intese non avevano né un progetto né un obiettivo comune vertente sull’eliminazione coordinata e globale della concorrenza sui due mercati rilevanti.
313 Infine la circostanza, rilevata dalla ricorrente, che le autorità per la concorrenza degli Stati Uniti e del Canada hanno riunito i casi relativi all’acido citrico, da un lato, e al gluconato di sodio, dall’altro, è irrilevante al fine di valutare la legittimità dell’iniziativa adottata dalla Commissione circa il limite di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.
314 Di conseguenza va respinta la prima parte di tale motivo, fondata sul rifiuto di tener conto delle ammende inflitte nella decisione «Gluconato di sodio» per quanto riguarda il limite di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.
C – Sulla presa in considerazione del fatturato della Jungbunzlauer Holding AG
1. Introduzione
315 Per quanto riguarda la presa in considerazione del fatturato della Jungbunzlauer Holding AG, la ricorrente invoca motivi fondati, in primo luogo, sulla violazione del principio della parità di trattamento, in secondo luogo, sulla violazione dell’obbligo di motivazione e, in terzo luogo, su un errore di valutazione.
2. Sulla violazione del principio della parità di trattamento
Argomenti delle parti
316 La Jungbunzlauer fa valere che la Commissione ha violato il principio della parità di trattamento in quanto ha tenuto conto, per il rispetto del limite massimo dell’importo delle ammende di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, del fatturato del gruppo Jungbunzlauer mentre, per quanto riguarda altre due destinatarie della Decisione, cioè la H&R e la Cerestar, non ha preso in considerazione i fatturati realizzati dalle società madri di queste ultime né le partecipazioni da esse detenute.
317 La Jungbunzlauer sottolinea di non contestare la fondatezza del calcolo applicato dalla Commissione nel caso della H&R e della Cerestar, anche se a suo avviso, agendo in tal modo, la Commissione ha disatteso il suo metodo di calcolo sino ad allora applicato. Infatti, riferendosi alle decisioni «Gluconato di sodio» e «Vitamine», la Jungbunzlauer considera che la precedente prassi decisionale della Commissione è consistita nell’integrare nel calcolo del limite dell’ammenda in rapporto al fatturato globale delle imprese interessate, di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, il fatturato realizzato dal gruppo, cioè dalla o dalle società madri e dalle controllate detenute da questa o da queste ultime. La Jungbunzlauer fa valere che la Commissione avrebbe dovuto accordarle il medesimo trattamento più favorevole.
318 Per quanto riguarda il trattamento riservato alla H&R, la Jungbunzlauer osserva come dai punti 292 e 293 della Decisione emerga che la Commissione si è unicamente fondata sul fatturato realizzato dalle partecipazioni della H&R e che, in seguito a tale scelta, essa ha ridotto l’ammenda da EUR 122,5 a EUR 20,31 milioni. Ebbene, secondo la Jungbunzlauer, se la Commissione avesse applicato la sua prassi anteriore, non sarebbe stato necessario procedere a tale riduzione. La Jungbunzlauer inferisce in effetti dai punti 25 e seguenti, 50, 183 e 243 della Decisione che, nel 2000, la H&R apparteneva al gruppo Bayer, il quale nel corso di tale anno, aveva realizzato un fatturato di EUR 30 971 milioni.
319 Quanto al trattamento riservato alla Cerestar, la Jungbunzlauer osserva che, senza fornire specifiche ragioni, la Commissione ha ridotto l’ammenda da EUR 4,55 a EUR 1,75 milioni. La Jungbunzlauer dichiara di supporre, a questo riguardo, che la Commissione si sia fondata sul fatturato realizzato dalla Cerestar, indicato al punto 21 della Decisione. Ebbene, secondo la Jungbunzlauer, nel 2000 la Cerestar apparteneva al gruppo Eridania‑Béghin‑Say che, durante lo stesso anno, aveva realizzato un fatturato di EUR 98 053 milioni (punto 19).
320 Viceversa, ricorda la Jungbunzlauer, per quanto la riguarda, la Commissione si è riferita al fatturato realizzato dal gruppo Jungbunzlauer (punti 50, 185 e 293 della Decisione). Tuttavia, secondo la Jungbunzlauer, se la Commissione le avesse applicato lo stesso metodo di calcolo che alla H&R e alla Cerestar, avrebbe dovuto prendere in considerazione solo il fatturato della Jungbunzlauer che, in quanto società di gestione, aveva realizzato solo un fatturato poco importante (circa EUR 3,5 milioni). Ciò avrebbe quindi condotto, in applicazione del limite massimo del 10%, a una considerevole riduzione dell’ammenda (circa EUR 0,35 milioni). La Jungbunzlauer aggiunge che, se la Commissione si fosse riferita al fatturato della Jungbunzlauer GmbH – nel 2000 la Jungbunzlauer GmbH la quale, a suo parere, avrebbe dovuto essere la destinataria della Decisione, ha realizzato un fatturato di soli EUR 197,3 milioni – l’importo definitivo sarebbe passato da EUR 29,4 a EUR 19,73 milioni.
321 La Commissione respinge l’argomento della Jungbunzlauer.
Giudizio del Tribunale
322 Si deve ricordare che il principio della parità di trattamento osta a che situazioni analoghe siano trattate in maniera differenziata o a che situazioni diverse siano trattate in maniera identica, a meno che un tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (v. sentenza BPB de Eendracht/Commissione, punto 88 supra, punto 309, e la giurisprudenza ivi citata).
323 Nel caso di specie risulta, dai punti 30, 34 e 187 della Decisione, senza che ciò sia stato contestato dalla Jungbunzlauer, che l’infrazione è stata commessa dalle imprese che, consecutivamente, sono state incaricate della gestione dell’intero gruppo, cioè la Jungbunzlauer GmbH e, dopo la ristrutturazione del medesimo, la Jungbunzlauer. I quadri direttivi del gruppo Jungbunzlauer hanno preso parte alle riunioni dell’intesa e prendevano le decisioni relative alla partecipazione del gruppo all’intesa e alla sua condotta in seno a quest’ultima.
324 Invece la Jungbunzlauer non si sforza neppure di dimostrare che la situazione delle altre due società, cioè la H&R e la Cerestar, era comparabile alla propria situazione. Essa non è quindi pervenuta a dimostrare che nella presente fattispecie la situazione in cui versavano queste altre due imprese era comparabile alla sua.
325 Il motivo fondato sulla violazione del principio della parità di trattamento va quindi respinto.
3. Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
326 La Jungbunzlauer addebita alla Commissione di non aver fornito elementi sufficienti circa le ragioni per cui non ha ridotto l’importo della sua ammenda in applicazione del massimale di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Infatti, a suo avviso, la Commissione avrebbe fornito solo nell’ambito del controricorso un chiarimento circa la diversità di trattamento tra la Jungbunzlauer e la H&R e la Cerestar.
327 La Commissione conclude per il rigetto di tale motivo.
328 Il Tribunale osserva che, ai punti 30‑34, 187 e 188, la Commissione ha fornito le ragioni per cui aveva imputato l’infrazione alla Jungbunzlauer quale impresa di gestione del gruppo. Una lettura complessiva dei punti della Decisione permette quindi senza difficoltà di comprendere le ragioni per cui la Commissione, contrariamente a quanto ha fatto nel caso della H&R e della Cerestar, non ha ridotto l’importo dell’ammenda in applicazione del massimale di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17. Essa non era quindi affatto obbligata ad esporre di nuovo tali ragioni nella parte della Decisione relativa al massimale in questione.
329 Conseguentemente anche il motivo fondato sulla violazione dell’obbligo di motivazione va respinto.
4. Sull’esistenza di un errore di valutazione fondato sul fatto che la Commissione ha rifiutato di tener conto delle ammende inflitte in altri Stati
330 La Jungbunzlauer fa valere che, per calcolare il massimale delle ammende a norma dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17, l’importo delle ammende che sono state inflitte al gruppo Jungbunzlauer negli Stati Uniti e in Canada (EUR 10,9 milioni) dev’essere addizionato a quello inflitto dalla Commissione (EUR 29,4 milioni, prima dell’applicazione della comunicazione sulla cooperazione). Si otterrebbe quindi un importo totale di EUR 40,3 milioni, che supererebbe ampiamente il limite in questione.
331 La Commissione respinge tale argomento.
332 Il Tribunale considera che dall’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 emerge che il massimale delle ammende ivi stabilito è applicabile unicamente alle ammende inflitte dalla Commissione per infrazioni commesse contro le regole comunitarie della concorrenza. Tale interpretazione dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17 è peraltro coerente con quanto dichiarato ai punti 285‑301 supra, cioè che la Commissione non ha violato il principio ne bis in idem infliggendo alla Jungbunzlauer un’ammenda senza tener conto dell’ammenda già pagata da quest’ultima nell’ambito dei procedimenti condotti in paesi terzi.
333 A torto, quindi, la Jungbunzlauer addebita alla Commissione di non aver preso in considerazione ammende inflitte alla Jungbunzlauer negli Stati Uniti e in Canada per il calcolo del massimale delle ammende di cui all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17.
334 Vanno conseguentemente respinti tale parte del motivo nonché il motivo nel suo complesso.
VII – Sulla violazione del diritto di accesso al fascicolo
A – Argomenti delle parti
335 La Jungbunzlauer ritiene che la Commissione abbia violato il suo diritto di accesso al fascicolo nella sua totalità in quanto quest’ultima ha fondato la Decisione su taluni documenti in merito ai quali essa non è stata sentita. In conseguenza di tali vizi procedurali, secondo la Jungbunzlauer, occorre annullare la Decisione e, in ogni caso, la parte della medesima in cui la Commissione si riferisce a documenti cui la ricorrente non ha avuto accesso.
336 Secondo la Jungbunzlauer, la Commissione, per consentire alle imprese interessate di difendersi utilmente dalle accuse contro di esse formulate nella comunicazione degli addebiti, ha l’obbligo di rendere accessibile il fascicolo dell’istruttoria nella sua totalità (sentenza della Corte 8 luglio 1999, causa C-51/92 P, Hercules Chemicals/Commissione, Racc. pag. I‑4235, punto 54, e sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 141 supra, punto 144). Il diritto di accesso al fascicolo sussisterebbe anche con riferimento alle risposte delle altre imprese destinatarie della comunicazione degli addebiti (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 141 supra, punti 384 e segg.). Il diritto di accesso al fascicolo nella sua totalità riguarderebbe non soltanto tutti i documenti a carico, ma anche gli elementi a discarico. Se, secondo la Jungbunzlauer, non si può escludere che la difesa delle imprese interessate sia stata inficiata dal fatto di aver avuto un accesso incompleto ai documenti del fascicolo dell’istruttoria, la Decisione va annullata (sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 141 supra, punti 156 e segg.). Riferendosi alle conclusioni dell’avvocato generale Léger presentate nella causa definita con sentenza della Corte 6 aprile 1995, causa C‑310/93 P, BPB Industries e British Gypsum/Commissione (Racc. pag. I‑865, in particolare pag. I‑987, paragrafi 119 e 120), nonché all’ordinanza del presidente del Tribunale 4 aprile 2002, causa T‑198/01 R, Technische Glaswerke Illmenau/Commissione (Racc. pag. II‑2153, punti 85 e segg.), la Jungbunzlauer ritiene che non si debbano porre requisiti elevati per quanto concerne la prova che il carattere incompleto dell’accesso al fascicolo ha limitato le possibilità di difesa dell’impresa.
337 Nel caso di specie la Jungbunzlauer addebita alla Commissione di non averle comunicato le risposte della Cerestar, della H&R, della HLR e dell’ADM alla comunicazione degli addebiti. Essa rileva che, nelle note a piè di pagina 113 (punto 217), 118 (punto 220) e 119 (punto 223) della Decisione, la Commissione ha citato estratti dei suddetti documenti vertenti, in particolare, sull’effettiva attuazione degli accordi.
338 Orbene, in primo luogo, tali documenti avrebbero potuto risultarle utili ai fini della sua difesa dato che essi corroboravano le sue affermazioni.
339 In secondo luogo, la Jungbunzlauer fa valere che, ai punti 279 e 281 della Decisione, la Commissione ha utilizzato a suo carico talune parti delle risposte della H&R e della HLR alla comunicazione degli addebiti concernenti il ruolo di emulatore da parte della Jungbunzlauer GmbH.
340 La Jungbunzlauer aggiunge che, nel corso del procedimento amministrativo, la Commissione ha chiesto alle parti di trasmetterle versioni non confidenziali delle loro risposte alla comunicazione degli addebiti. Pertanto la Commissione avrebbe potuto, senza costi amministrativi supplementari, consentire alle parti interessate l’accesso a tali documenti.
341 La Commissione conclude per il rigetto del motivo.
B – Giudizio del Tribunale
1. Introduzione
342 La ricorrente addebita alla Commissione di non aver avuto accesso alle risposte di altre parti interessate alla comunicazione degli addebiti, mentre la Commissione avrebbe utilizzato nella Decisione, da un lato, talune informazioni contenute in tali risposte come elementi a carico nei confronti della ricorrente e, dall’altro, talune altre informazioni come elementi a suo discarico.
2. Quanto agli elementi a carico
343 Qualora la Commissione intenda basarsi su un brano di una risposta ad una comunicazione degli addebiti o su di un documento allegato a tale risposta per dimostrare l’esistenza di un’infrazione in un procedimento avente ad oggetto l’applicazione dell’art. 81, n. 1, CE, le altre parti coinvolte in detto procedimento devono essere messe in condizioni di pronunciarsi riguardo a tale elemento di prova. Alla luce di quanto precede, il brano di cui trattasi di una risposta alla comunicazione degli addebiti o il documento allegato a tale risposta costituiscono in effetti un elemento a carico nei confronti delle diverse parti che avrebbero partecipato all’infrazione (v. sentenza Cimenteries CBR e a./Commissione, punto 141 supra, punto 386, e la giurisprudenza ivi citata).
344 All’impresa interessata spetta dimostrare che il risultato al quale è pervenuta la Commissione nella sua decisione sarebbe stato diverso se dai mezzi di prova a carico avesse dovuto essere eliminato un documento non comunicato sul quale la Commissione si è basata per incriminare tale impresa (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 132 supra, punti 71‑73).
345 Nel caso di specie la ricorrente fa valere che, ai punti 279 e 281 della Decisione, la Commissione ha utilizzato talune parti delle risposte della H&R e della HLR alla comunicazione degli addebiti concernenti il ruolo della Jungbunzlauer GmbH in seno all’intesa nei confronti della ricorrente.
346 Va constatato in proposito che, dopo aver riassunto gli argomenti della ricorrente relativi alle circostanze attenuanti che essa si riteneva in diritto di far valere a proposito del suo ruolo esclusivamente passivo o emulativo (punti 275‑278 della Decisione) e prima di fornire una risposta a tali argomenti (punti 282 e 284 della Decisione), la Commissione ha riassunto talune dichiarazioni rilasciate dalla H&R e dalla HLR nella loro rispettiva risposta alla comunicazione degli addebiti (punti 279‑281). In tali dichiarazioni le suddette parti hanno in sostanza contestato il fatto che la ricorrente abbia svolto un ruolo esclusivamente passivo o emulativo in seno all’intesa.
347 Tuttavia, senza che occorra esaminare se i princìpi enunciati ai punti 343 e 344 supra siano applicabili all’esame relativo non solo all’esistenza di un’intesa e alla partecipazione a quest’ultima, ma anche alla fissazione dell’importo delle ammende, va osservato che, per respingere gli argomenti della ricorrente circa il beneficio delle circostanze attenuanti a causa del suo ruolo esclusivamente passivo o emulativo, la Commissione ha potuto a buon diritto basarsi esclusivamente su informazioni che tale parte le aveva essa stessa sottoposto nel corso del procedimento amministrativo.
348 Infatti al punto 284 della Decisione, la Commissione ha preso in considerazione a sostegno della sua conclusione unicamente il fatto che, «dal 1994 in poi, l’impresa [aveva] assunto la responsabilità della raccolta dei dati sulle vendite e che il suo [presidente‑direttore generale aveva] presieduto le riunioni del cartello [il che] basta[va] a dimostrare che la sua implicazione nel cartello era attiva ed [era] andata ben oltre quanto essa riconosca» (punto 284 della Decisione). Orbene, la ricorrente aveva essa stessa fornito tali informazioni alla Commissione sia nella sua lettera del 29 aprile 1999 sia in quella del 21 maggio 1999.
349 Pertanto il risultato al quale la Commissione è pervenuta nella sua Decisione non sarebbe stato diverso se le risposte della H&R e della HLR alla comunicazione degli addebiti avessero dovuto essere eliminate dal fascicolo.
350 Tale parte del motivo va di conseguenza respinto.
3. Quanto agli elementi a discarico
351 Per quanto riguarda la mancata comunicazione di un documento a discarico, l’impresa interessata deve solo provare che la sua mancata divulgazione ha potuto influenzare, a scapito di quest’ultima, lo svolgimento del procedimento e il contenuto della decisione della Commissione. È sufficiente che l’impresa dimostri che avrebbe potuto utilizzare il suddetto documento a discarico per la sua difesa, nel senso che, se avesse potuto avvalersene durante il procedimento amministrativo, essa avrebbe potuto far valere elementi che non concordavano con le deduzioni formulate in quella fase dalla Commissione e avrebbe potuto quindi influenzare, in qualsiasi maniera, le valutazioni svolte da quest’ultima nella decisione, almeno per quanto riguarda la gravità e la durata del comportamento contestatole e, di conseguenza, l’entità dell’ammenda. A tale riguardo la possibilità che un documento non divulgato abbia potuto influire sullo svolgimento del procedimento e sul contenuto della decisione della Commissione può essere accertata solo dopo un esame provvisorio di taluni mezzi di prova che faccia emergere che i documenti non divulgati potevano avere, alla luce di tali mezzi di prova, un’importanza che non avrebbe dovuto essere trascurata (sentenza Aalborg Portland e a./Commissione, punto 132 supra, punti 74‑76).
352 La ricorrente fa valere, in primo luogo, che, nella nota a piè di pagina 113 (punto 217) della Decisione, la Commissione si è riferita alla parte della risposta alla comunicazione degli addebiti della Cerestar in cui, riguardo all’effettiva attuazione dell’intesa, quest’ultima aveva dichiarato di aver rifiutato di aderire a taluni accordi di fissazione dei prezzi e, a decorrere dal gennaio 1992, di aver sempre praticato prezzi inferiori a quelli di altri produttori. Secondo la ricorrente tali dichiarazioni della Cerestar avrebbero potuto risultarle utili ai fini della sua difesa dato che corroboravano il suo stesso argomento circa il mancato impatto concreto dell’intesa sul mercato.
353 Orbene, il mero fatto che la Cerestar abbia avanzato in sostanza gli stessi argomenti della ricorrente circa l’asserita inosservanza delle regole convenute non può costituire un elemento a discarico.
354 In primo luogo, va infatti constatato che, al punto 218 della Decisione, la Commissione ha respinto l’argomento presentato dalla Cerestar e dalla ricorrente basandosi in particolare su una dichiarazione dell’ADM, allegata alla comunicazione degli addebiti. Secondo tale dichiarazione dell’ADM, la ricorrente aveva svolto un ruolo attivo nell’intesa e aveva cercato di ottenere una certa stabilità sul mercato. Inoltre, al punto 219 della Decisione, la Commissione ha invocato la giurisprudenza del Tribunale secondo cui un’impresa che persegue, malgrado la concertazione con i suoi concorrenti, una politica più o meno indipendente sul mercato può semplicemente tentare di utilizzare l’intesa a suo vantaggio. Ebbene, un mero richiamo della giurisprudenza non può costituire un elemento a discarico, poiché quest’ultima è comunque pubblica e accessibile a prescindere dai documenti di un particolare fascicolo amministrativo.
355 In secondo luogo, il mero fatto che l’ADM e la Cerestar abbiano addotto gli stessi argomenti della ricorrente e che una di esse abbia impiegato più risorse per la sua difesa non è sufficiente per considerare tali argomenti come «elementi a discarico».
356 Ne consegue che, anche se la ricorrente avesse potuto avvalersi della parte di cui trattasi della risposta alla comunicazione degli addebiti della Cerestar in occasione del procedimento amministrativo, le valutazioni della Commissione non avrebbero potuto risultarne influenzate.
357 In secondo luogo, la ricorrente fa valere la circostanza che, nelle note a piè di pagina 118 (punto 220) e 119 (punto 223) della Decisione, la Commissione si è riferita, da un lato, alla risposta alla comunicazione degli addebiti della H&R e, dall’altro, ad una relazione di esperti fornita dall’ADM. I due documenti in parola avrebbero potuto anch’essi, ad avviso della ricorrente, permetterle di approfondire il suo stesso argomento circa il mancato impatto concreto dell’intesa.
358 Tuttavia, come già dichiarato supra, la Commissione si è basata su numerosi elementi, tra cui determinate prove documentali, e poteva fondatamente ritenere, al punto 226 della Decisione, che gli argomenti presentati in tali documenti, pur avendo un certo valore, non dimostrassero l’assenza di impatto dell’intesa sul mercato.
359 Pertanto, anche se la ricorrente avesse potuto avvalersi di tali documenti in occasione del procedimento amministrativo, le valutazioni condotte dalla Commissione non avrebbero potuto risultarne influenzate.
360 Alla luce di tutto quanto precede, il motivo fondato sulla violazione del diritto di accesso al fascicolo va respinto.
VIII – Sull’incidenza della durata del procedimento amministrativo rispetto all’entità dell’ammenda
A – Introduzione
361 La Jungbunzlauer rileva che la Decisione è stata adottata solo circa sei anni e mezzo dopo la fine dell’infrazione. In particolare, il tempo trascorso tra la fine dell’infrazione e l’avvio formale del procedimento, il 28 marzo 2000, sarebbe stato molto lungo. A suo parere tale circostanza ha doppiamente influenzato la fissazione dell’importo dell’ammenda.
B – Sul fatto che la Commissione abbia preso in considerazione il fatturato realizzato dalle imprese interessate nel 2000
1. Argomenti delle parti
362 Riferendosi alla tabella inserita nel punto 50 della Decisione, la Jungbunzlauer fa osservare che, al fine di tener conto, nell’ambito del calcolo dell’importo dell’ammenda, della dimensione delle imprese interessate e dei gruppi in cui queste ultime sono state suddivise, la Commissione non ha tenuto conto dell’importo dei fatturati relativi al periodo durante il quale esisteva l’intesa (1991‑1995) ma si è basata al riguardo sul fatturato del 2000. La Jungbunzlauer sottolinea tuttavia che, dalla fine dell’infrazione nel 1995, il suo fatturato è aumentato considerevolmente: nel 1995, il gruppo Jungbunzlauer avrebbe realizzato solo il 76,3% del suo fatturato attuale e, dal 1999 al 2000, il fatturato del gruppo sarebbe aumentato del 13,5%.
363 La Jungbunzlauer sostiene che, nei suoi orientamenti, la Commissione ha indicato che avrebbe tenuto conto dell’«effettiva capacità economica [de]gli autori dell’infrazione di arrecare un danno consistente agli altri operatori» (punto 1 A, quarto comma). Sotto tale profilo la Commissione potrebbe unicamente fondarsi sulla dimensione delle imprese interessate al momento dell’infrazione dato che tale informazione sarebbe l’unica a permettere di rispondere a tale questione e che l’importanza del fatturato realizzato da queste ultime a notevole distanza di tempo non avrebbe alcun valore.
364 Inoltre il metodo di calcolo scelto dalla Commissione avrebbe per effetto di favorire ingiustamente le imprese che hanno tratto vantaggio dall’intesa e che, dopo la fine della stessa, hanno dovuto far fronte ad una diminuzione considerevole del loro fatturato. Viceversa, le imprese che, come la Jungbunzlauer, hanno realizzato un aumento del loro fatturato dopo la fine dell’intesa si troverebbero ingiustamente svantaggiate, il che sarebbe un risultato assurdo.
365 A torto, secondo la Jungbunzlauer, la Commissione ribatte a tale argomento che, se essa le avesse inflitto un’ammenda in un periodo precedente, la Jungbunzlauer sarebbe stata colpita ancor più duramente dall’ammenda stessa. Infatti, se la Commissione avesse adottato la sua Decisione in un periodo precedente al 2001, l’ammenda sarebbe stata considerevolmente meno elevata.
366 La Commissione respinge l’argomento della ricorrente.
2. Giudizio del Tribunale
367 Occorre ricordare che l’applicazione del coefficiente moltiplicatore è diretta a garantire un effetto dissuasivo dell’ammenda. Tale effetto permette di prendere in considerazione la dimensione e le risorse globali delle imprese interessate nel momento in cui l’ammenda è inflitta.
368 Anche supponendo che, come sostiene la ricorrente, il fatturato globale delle parti interessate abbia conosciuto un’evoluzione tra la fine dell’intesa e il 2000, ciò non toglie che la Commissione, applicando alle ammende, come calcolate per l’ADM, la HLR e la H&R, un coefficiente moltiplicatore rispettivamente di 2 e 2,5, ha tenuto conto non già di un calcolo molto preciso fondato sui fatturati, ma ha affermato che sussisteva, relativamente a questi ultimi, una differenza di ordine di grandezza. Ebbene, la ricorrente non sostiene nemmeno che questa differenza essenziale di ordine di grandezza sia cambiata tra il 1995 e il 2000.
369 Pertanto, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, basandosi sul fatturato realizzato dalle imprese interessate nel 2000 al fine di modulare l’importo delle ammende, la Commissione non ha violato né gli orientamenti né il principio della parità di trattamento.
370 Vanno quindi respinti i motivi invocati dalla ricorrente.
C – Sul fatto che la Commissione abbia inasprito la sua politica in materia di ammende
1. Argomenti delle parti
371 La Jungbunzlauer fa valere che la Commissione, adottando la Decisione e più in generale nel 2001, ha inasprito notevolmente la sua politica in materia di ammende. Ebbene, secondo la Jungbunzlauer, a causa della durata anormalmente lunga del procedimento nel caso di specie, le è stata inflitta un’ammenda corrispondente alla nuova, più severa, prassi della Commissione. Invece, se il procedimento fosse stato chiuso prima, essa avrebbe fruito della precedente prassi decisionale, molto più vantaggiosa per le imprese interessate.
372 La Jungbunzlauer ritiene che la durata anormalmente lunga del procedimento sia confermata da un raffronto con le decisioni «Aminoacidi» e «Vitamine». In effetti, secondo la Jungbunzlauer, questi altri due casi sono stati trattati molto più rapidamente del presente: nel caso «Aminoacidi», l’intesa ha avuto fine nella metà del 1995 e la decisione è stata adottata appena cinque anni più tardi; nel caso «Vitamine», l’intesa ha avuto fine nella primavera 1999 e la decisione è stata già adottata due anni e nove mesi più tardi. Nel presente caso, invece, la Decisione sarebbe stata adottata solo sei anni e mezzo dopo la cessazione definitiva degli accordi. Ciò sarebbe tanto più stupefacente dato che, in confronto con questi altri casi, quello di specie sarebbe stato molto meno complicato, da un punto di vista sia sostanziale sia procedurale.
373 La Jungbunzlauer ritiene che, del tutto realisticamente, il procedimento del caso di specie avrebbe dovuto concludersi in due o tre anni. Essa considera inoltre che se il procedimento fosse stato chiuso prima, da una parte, i criteri presi in considerazione sarebbero stati molto meno severi di quelli che sono stati applicati nell’adottare la Decisione e, dall’altra, la Decisione avrebbe potuto essere adottata persino prima della pubblicazione degli orientamenti per cui sarebbe stato applicabile il vecchio metodo di calcolo.
374 Secondo la Jungbunzlauer la diversa durata dell’esame di questi casi può essere spiegata solo grazie all’attribuzione a questi ultimi di un diverso livello di priorità. La Jungbunzlauer non contesta il fatto che la Commissione possa assegnarsi determinate priorità in funzione dell’importanza attribuita ai casi in questione dal punto di vista della politica della concorrenza. Ciò non dovrebbe però condurre a che ad un’impresa, interessata da un caso meno prioritario, venga inflitta un’ammenda più elevata di altre imprese coinvolte in casi prioritari. Inoltre tale metodo di procedere sarebbe controproducente rispetto all’obiettivo di dissuasione delle ammende.
375 La Commissione respinge l’argomento della ricorrente.
2. Giudizio del Tribunale
376 La ricorrente ritiene, in sostanza, che, se il procedimento istruttorio da parte della Commissione fosse stato chiuso prima, essa avrebbe fruito di una precedente prassi decisionale e di criteri molto meno severi per determinare l’importo dell’ammenda. Essa precisa che la Decisione avrebbe persino potuto essere adottata prima della pubblicazione degli orientamenti per cui essa avrebbe potuto fruire del vecchio metodo di calcolo delle ammende.
377 Il Tribunale rammenta in proposito che il fatto che la Commissione abbia inflitto, in passato, ammende di una determinata entità per taluni tipi di infrazioni non può privarla della possibilità di elevare questo livello nei limiti indicati dal regolamento n. 17, se ciò è necessario per assicurare l’attuazione della politica comunitaria della concorrenza. L’efficace applicazione delle norme comunitarie della concorrenza implica, al contrario, che la Commissione possa sempre adeguare il livello delle ammende alle esigenze di questa politica (v. sentenza LR AF 1998/Commissione, punto 88 supra, punto 237, e la giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza la ricorrente non può chiedere di fruire di una precedente prassi decisionale per il solo motivo che anche la decisione ad essa relativa avrebbe dovuto essere adottata in precedenza.
378 Peraltro, e comunque, il Tribunale constata che la prassi decisionale della Commissione per la determinazione dell’importo dell’ammenda nella Decisione deriva dall’applicazione dei criteri definiti negli orientamenti.
379 Il Tribunale ricorda inoltre che, nell’agosto 1995, la Commissione è stata informata dal Ministero della Giustizia americano del fatto che quest’ultimo conduceva un’inchiesta concernente il mercato dell’acido citrico. Nell’aprile 1997, la Commissione è stata informata dal Ministero della Giustizia americano del fatto che la ricorrente aveva partecipato ad un’inchiesta negli Stati Uniti. Infine, nell’agosto 1997, la Commissione ha inviato richieste di informazioni ai quattro più importanti produttori di acido citrico della Comunità, tra cui la Jungbunzlauer.
380 Dati tali elementi il Tribunale rileva che la mera comunicazione di informazioni alla Commissione da parte delle autorità della concorrenza di paesi terzi non può implicare l’obbligo per quest’ultima di avviare un procedimento di istruzione. In effetti, la missione generale di vigilanza in materia di concorrenza affidata alla Commissione a norma dell’art. 85 CE non implica l’obbligo da parte della Commissione di avviare procedimenti diretti all’accertamento di eventuali violazioni di diritto comunitario (sentenze della Corte 15 ottobre 2002, cause riunite C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, C‑250/99 P, C‑252/99 P, e C‑254/99 P, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, Racc. pag. I‑8375, punti 447 e 448, e del Tribunale 18 settembre 1992, causa T‑24/90, Automec/Commissione, Racc. pag. II‑2223, punto 74). Ne discende che la Commissione non può essere tenuta ad avviare un procedimento di istruzione sulla base di informazioni fornite dal Ministero della Giustizia americano.
381 Comunque, anche se la Commissione non può essere obbligata ad avviare un procedimento in seguito ad informazioni comunicate da autorità della concorrenza di paesi terzi, può tuttavia avviare di sua iniziativa un procedimento siffatto in seguito a tali informazioni. Così, nel caso di specie, la Commissione ha avviato un procedimento poco tempo dopo la comunicazione dell’informazione secondo cui la ricorrente aveva partecipato ad un’intesa negli Stati Uniti. Pertanto il Tribunale ritiene che, nel caso di specie, non si possa contestare alla Commissione di non aver iniziato a istruire il caso prima dell’agosto 1997.
382 Il Tribunale rileva poi come la ricorrente valuti un’istruzione da parte della Commissione della durata di due‑tre anni per il presente caso come del tutto realistica.
383 Ne consegue che, anche se dovesse ammettersi che, nella fattispecie, l’istruzione del caso da parte della Commissione non avrebbe dovuto durare più di tre anni, come sostiene la ricorrente, gli orientamenti pubblicati il 14 gennaio 1998 sarebbero stati con ogni probabilità presi in considerazione dalla Commissione ai fini del calcolo dell’importo dell’ammenda della ricorrente.
384 Il Tribunale ritiene quindi che la ricorrente non abbia dimostrato che, in assenza dell’asserito ritardo nell’esame del presente caso da parte della Commissione, essa avrebbe beneficiato dei criteri di determinazione dell’importo dell’ammenda, e pertanto di una prassi decisionale, anteriori a quelli contenuti negli orientamenti.
385 Va quindi respinto l’argomento della ricorrente fondato sul fatto che le sono stati applicati principi nonché una prassi più severi ai fini della determinazione dell’importo dell’ammenda, a causa di un asserito ritardo nell’esame del caso ad opera della Commissione.
386 Poiché nessuno dei motivi sollevati avverso la Decisione è stato accolto, non va ridotto l’importo dell’ammenda nell’esercizio della competenza anche di merito attribuita al Tribunale. Pertanto il ricorso va respinto nel suo complesso.
Sulle spese
387 Ai sensi dell’art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda Poiché la ricorrente è rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alle conclusioni della convenuta e dell’interveniente.
388 Ai sensi dell’art. 87, n. 4, primo comma, dello stesso regolamento, le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese. Pertanto il Consiglio in quanto parte interveniente sopporterà le proprie spese.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Terza Sezione)
dichiara e statuisce:
1) Il ricorso è respinto.
2) La Jungbunzlauer AG sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Commissione.
3) Il Consiglio sopporterà le proprie spese.
Azizi |
Jaeger |
Dehousse |
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 27 settembre 2006.
Il cancelliere |
Il presidente |
E. Coulon |
J. Azizi |
Indice
Fatti all’origine della controversia
Procedimento e conclusioni delle parti
In diritto
I – Sulla violazione del principio di legalità
A – Sull’eccezione d’illegalità sollevata riguardo all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
B – Sull’interpretazione conforme dell’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17
II – Sul destinatario della decisione
A – Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
B – Sul motivo relativo ad errori quanto al destinatario della Decisione
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
III – Sulla gravità dell’infrazione
A – Quanto all’esistenza di un impatto concreto dell’intesa sul mercato
1. Introduzione
2. Sull’esistenza di errori di valutazione
a) Sul fatto che la Commissione avrebbe scelto un approccio errato per dimostrare che l’intesa aveva avuto un impatto concreto sul mercato
Argomenti delle parti
Giudizio del Tribunale
– Sunto dell’analisi effettuata dalla Commissione
– Giudizio
b) Per quanto concerne la valutazione dell’evoluzione dei prezzi dell’acido citrico
Argomenti delle parti
Giudizio del Tribunale
3. Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
B – Sull’adattamento dell’importo dell’ammenda in rapporto alla dimensione relativa delle imprese interessate
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
a) Introduzione
b) Sugli addebiti fondati sulla violazione del «principio di valutazione individuale delle ammende» e degli orientamenti
c) Sulla violazione del principio di proporzionalità
d) Sulla violazione del principio della parità di trattamento
IV – Sulle circostanze attenuanti
A – Sulla violazione degli orientamenti
1. Sul ruolo esclusivamente emulativo della Jungbunzlauer GmbH nel commettere l’infrazione
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio del Tribunale
2. Sulla non applicazione di fatto dell’intesa da parte della Jungbunzlauer GmbH
a) Argomenti delle parti
b) Giudizio del Tribunale
B – Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
V – Sull’omessa presa in considerazione delle ammende inflitte in altri Stati
A – Argomenti delle parti
B – Giudizio del Tribunale
VI – Sul limite massimo dell’importo delle ammende previsto all’art. 15, n. 2, del regolamento n. 17
A – Introduzione
B – Sul rifiuto di tener conto delle ammende inflitte nell’ambito della causa detta «Gluconato di sodio»
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
C – Sulla presa in considerazione del fatturato della Jungbunzlauer Holding AG
1. Introduzione
2. Sulla violazione del principio della parità di trattamento
Argomenti delle parti
Giudizio del Tribunale
3. Sulla violazione dell’obbligo di motivazione
4. Sull’esistenza di un errore di valutazione fondato sul fatto che la Commissione ha rifiutato di tener conto delle ammende inflitte in altri Stati
VII – Sulla violazione del diritto di accesso al fascicolo
A – Argomenti delle parti
B – Giudizio del Tribunale
1. Introduzione
2. Quanto agli elementi a carico
3. Quanto agli elementi a discarico
VIII – Sull’incidenza della durata del procedimento amministrativo rispetto all’entità dell’ammenda
A – Introduzione
B – Sul fatto che la Commissione abbia preso in considerazione il fatturato realizzato dalle imprese interessate nel 2000
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
C – Sul fatto che la Commissione abbia inasprito la sua politica in materia di ammende
1. Argomenti delle parti
2. Giudizio del Tribunale
Sulle spese
* Lingua processuale: il tedesco.
1– Dato riservato non riportato.