SENTENZA DELLA CORTE (Nona Sezione)
2 febbraio 2023 ( *1 )
«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Articolo 5 – Obbligo di redazione chiara e comprensibile delle clausole contrattuali – Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori – Articolo 3 – Ambito di applicazione – Articolo 7 – Omissione ingannevole – Articolo 13 – Sanzioni – Contratti di assicurazione sulla vita a capitale variabile collegati a fondi di investimento, detti “unit‑linked” – Informazioni sulla natura e sulla struttura del prodotto assicurativo, nonché sui rischi connessi a tale prodotto – Contratti tipo ingannevoli – Soggetto responsabile – Conseguenze giuridiche»
Nella causa C‑208/21,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sąd Rejonowy dla Warszawy-Woli w Warszawie (Tribunale circondariale di Varsavia – Wola, Varsavia, Polonia), con decisione del 1o giugno 2020, pervenuta in cancelleria il 23 marzo 2021, nel procedimento
K.D.
contro
Towarzystwo Ubezpieczeń Ż S.A.,
LA CORTE (Nona Sezione),
composta da L.S. Rossi (relatrice), presidente di sezione, J.-C. Bonichot e S. Rodin, giudici,
avvocato generale: N. Emiliou
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– |
per la Towarzystwo Ubezpieczeń Ż S.A., da A. Ciechowicz‑Jaworska e B. Ślażyński, radcy prawni; |
– |
per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente; |
– |
per il governo ceco, da S. Šindelková, M. Smolek e J. Vláčil, in qualità di agenti; |
– |
per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. Santini, avvocato dello Stato; |
– |
per la Commissione europea, da S.L. Kalėda e N. Ruiz García, in qualità di agenti, |
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 |
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 5 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29), nonché dell’articolo 2, lettera d), e dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU 2005, L 149, pag. 22). |
2 |
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra K.D. e la Towarzystwo Ubezpieczeń Ż S.A. (in prosieguo: la «TUŻ»), in relazione al rimborso di premi assicurativi versati sulla base di un contratto collettivo di assicurazione sulla vita a capitale variabile collegato a un fondo di investimento (in prosieguo: il «contratto collettivo unit‑linked») al quale K.D. ha aderito. |
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Direttiva 93/13
3 |
L’articolo 5 della direttiva 93/13 così dispone: «Nel caso di contratti di cui tutte le clausole o talune clausole siano proposte al consumatore per iscritto, tali clausole devono essere sempre redatte in modo chiaro e comprensibile. (...)». |
Direttiva 2002/83/CE
4 |
L’articolo 36 della direttiva 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 novembre 2002, relativa all’assicurazione sulla vita (GU 2002, L 345, pag. 1), abrogata e sostituita, a decorrere dal 1o gennaio 2016, dalla direttiva 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2009, in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (solvibilità II) (GU 2009, L 335, pag. 1), come modificata dalla direttiva 2013/58/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013 (GU 2013, L 341, pag. 1), al suo paragrafo 1, così disponeva: «Prima della conclusione del contratto d’assicurazione, al contraente devono essere comunicate le informazioni di cui all’allegato III, punto A». |
Direttiva 2005/29
5 |
I considerando 7 e 9 della direttiva 2005/29 sono così formulati:
(...)
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6 |
Ai sensi dell’articolo 2 di tale direttiva: «Ai fini della presente direttiva, si intende per: (...)
(...)». |
7 |
L’articolo 3 di detta direttiva dispone, ai paragrafi 1 e 2, quanto segue: «1. La presente direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto. 2. La presente direttiva non pregiudica l’applicazione del diritto contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia di un contratto». |
8 |
L’articolo 5 della stessa direttiva prevede quanto segue: «1. Le pratiche commerciali sleali sono vietate. (...) 4. In particolare, sono sleali le pratiche commerciali:
(...)». |
9 |
Ai sensi dell’articolo 7, della direttiva 2005/29: «1. È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induca o sia idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. 2. Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al paragrafo 1, tenendo conto degli aspetti di cui a detto paragrafo, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa, qualora non risultino già evidenti dal contesto e quando, [nell’]uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. (...) 5. Sono considerati rilevanti gli obblighi di informazione, previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o il marketing, di cui l’allegato II fornisce un elenco non completo». |
10 |
L’articolo 11 di tale direttiva, al suo paragrafo 1, primo comma, dispone quanto segue: «Gli Stati membri assicurano che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere le pratiche commerciali sleali al fine di garantire l’osservanza delle disposizioni della presente direttiva nell’interesse dei consumatori». |
11 |
L’articolo 13 di detta direttiva è formulato come segue: «Gli Stati membri determinano le norme in materia di sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni nazionali adottate conformemente alla presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per garantirne l’attuazione. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive». |
12 |
Secondo l’allegato II alla medesima direttiva, tra le informazioni considerate rilevanti, ai sensi dell’articolo 7 della stessa, rientrano quelle previste all’articolo 36, paragrafo 1, della direttiva 2002/83. |
13 |
La direttiva 2005/29 è stata modificata dalla direttiva (UE) 2019/2161 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 novembre 2019 (GU 2019, L 328, pag. 7). Quest’ultima direttiva, il cui termine di trasposizione scadeva il 28 novembre 2021, conformemente al suo articolo 7, paragrafo 1, ha inserito un articolo 11 bis nella direttiva 2005/29, che è così formulato: «1. I consumatori lesi da pratiche commerciali sleali devono avere accesso a rimedi proporzionati ed effettivi, compresi il risarcimento del danno subito dal consumatore e, se pertinente, la riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto. Gli Stati membri possono stabilire le condizioni per l’applicazione e gli effetti di tali rimedi. Gli Stati membri possono tener conto, se del caso, della gravità e della natura della pratica commerciale sleale, del danno subito dal consumatore e di altre circostanze pertinenti. 2. Detti rimedi non pregiudicano l’applicazione di altri rimedi a disposizione dei consumatori a norma del diritto dell’Unione o del diritto nazionale». |
Diritto polacco
14 |
La direttiva 2005/29 è stata trasposta nel diritto polacco dall’ustawa o przeciwdziałaniu nieuczciwym praktykom rynkowym (legge in materia di lotta contro le pratiche commerciali sleali), del 23 agosto 2007 (Dz. U. n. 171, posizione 1206). L’articolo 12, paragrafo 1, di tale legge, nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, così dispone: «In caso di pratica commerciale sleale, il consumatore il cui interesse sia stato minacciato o violato può chiedere: (...) 4) il risarcimento dei danni causati sulla base dei principi generali, in particolare richiedendo la risoluzione del contratto con obbligo di mutuo rimborso delle prestazioni e di rimborso, da parte del professionista, delle spese connesse all’acquisto del prodotto; (...)». |
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
15 |
Con dichiarazione avente effetto dal 10 gennaio 2012, K.D. ha aderito, in qualità di assicurato e per un periodo di quindici anni, al contratto collettivo unit‑linked concluso tra la TUŻ, un’impresa di assicurazione, e la Y, una banca che ha agito in qualità di contraente dell’assicurazione. |
16 |
L’oggetto di tale contratto era di raccogliere e investire premi assicurativi versati mensilmente dagli assicurati, mediante un fondo di investimento il cui capitale era costituito a partire da tali premi. Dopo essere stato convertito in quote del fondo di investimento, l’importo corrispondente a detti premi era investito in certificati emessi da un’impresa di investimento (in prosieguo: le «attività di contropartita del contratto collettivo unit-linked»), il cui valore era calcolato sulla base di un indice. |
17 |
A titolo di controprestazione, la TUŻ si impegnava a versare prestazioni in caso di decesso o di sopravvivenza dell’assicurato, al termine del periodo di assicurazione. L’importo di tali prestazioni non doveva essere inferiore al valore nominale dei premi versati dall’assicurato, maggiorato di ogni variazione positiva del valore delle quote del fondo di investimento. Per contro, in caso di risoluzione del contratto di assicurazione prima del termine del suo periodo di validità, la TUŻ si impegnava a rimborsare all’assicurato un importo pari al valore attualizzato delle quote di quest’ultimo nel fondo di investimento, previa detrazione di una commissione di liquidazione. |
18 |
Il contratto collettivo unit‑linked era disciplinato da condizioni generali di assicurazione, da una tabella delle spese e dei valori massimi dei premi e da un regolamento del fondo di investimento, che costituiscono clausole contrattuali tipo redatte dalla TUŻ. Tali documenti non precisavano le norme disciplinanti la conversione dei premi mensili in quote del fondo di investimento e la valutazione di tali quote, la valutazione dell’attivo netto dell’intero fondo e la valutazione dei certificati in cui erano state investite le disponibilità di detto fondo, né il metodo di calcolo del valore dell’indice sul quale si basava il pagamento di tali certificati. Il regolamento del fondo di investimento precisava tuttavia che l’investimento era esposto in particolare al rischio di credito dell’emittente di detti certificati nonché al rischio di perdita di una parte dei premi versati, in caso di risoluzione anticipata di detto contratto. |
19 |
La commercializzazione del contratto collettivo unit‑linked presso i consumatori veniva effettuata e gestita dalla banca Y, che percepiva una commissione da parte della TUŻ per il suo intervento. Pur non avendo partecipato alla concezione del prodotto assicurativo, che è stato interamente progettato dalla TUŻ, la Y ha formato i suoi dipendenti incaricati di proporre tale prodotto e ha elaborato materiale formativo a tal fine, validato dalla TUŻ. |
20 |
Nel caso di specie, l’adesione di K.D. al contratto collettivo unit‑linked è stata effettuata tramite un dipendente della Y che, secondo K.D., le ha presentato il prodotto assicurativo di cui trattasi come un prodotto di investimento che avrebbe offerto un capitale garantito al termine della durata di validità di tale contratto. L’offerta di adesione era fondata sulle condizioni generali di assicurazione e sul regolamento del fondo di investimento redatti dalla TUŻ, che sono stati consegnati a K.D. dal dipendente della Y. |
21 |
Dopo aver preso conoscenza del fatto che il valore delle sue quote nel fondo di investimento era nettamente inferiore all’importo dei premi assicurativi che aveva versato, K.D., con lettera del 4 aprile 2017, ha risolto il suo contratto di assicurazione e ha chiesto alla TUŻ di rimborsarle integralmente tali premi assicurativi. Con lettera del 25 aprile 2017, la TUŻ ha respinto tale richiesta. |
22 |
Con un’azione proposta il 10 gennaio 2018 dinanzi al Sąd Rejonowy dla Warszawy-Woli w Warszawie (Tribunale circondariale di Varsavia – Wola, Varsavia, Polonia), giudice del rinvio, K.D. ha chiesto che la TUŻ sia condannata a versarle un importo corrispondente, in sostanza, alla differenza tra il valore di riscatto del contratto di assicurazione alla data di risoluzione di quest’ultimo, pari, previa deduzione delle spese di liquidazione, a circa un terzo dei premi assicurativi che K.D. aveva versato, e la totalità di tali premi. |
23 |
A sostegno di tale azione, K.D. deduce diversi motivi, vertenti in particolare sulla nullità della sua dichiarazione di adesione al contratto collettivo unit‑linked nonché sull’attuazione di una pratica commerciale sleale da parte della TUŻ, consistente nella vendita di prodotti non adeguati alle esigenze del consumatore e nella fornitura di informazioni ingannevoli a quest’ultimo al momento dell’adesione a tale contratto. A sostegno di tali motivi, K.D. fa valere, in sostanza, che le clausole contrattuali tipo di detto contratto contengono disposizioni oscure, imprecise e quindi ingannevoli, che non consentivano al consumatore di determinare la natura e la struttura del prodotto assicurativo proposto nonché i rischi che vi erano connessi. |
24 |
La TUŻ sostiene che le pratiche asseritamente sleali dedotte da K.D. riguarderebbero il processo di vendita del prodotto assicurativo, che sarebbe stato svolto dalla Y, nell’ambito della sua attività economica, per proprio conto e in nome proprio. Inoltre, la TUŻ afferma di aver adempiuto gli obblighi di informazione ad essa incombenti, dal momento che tutte le informazioni relative a detto prodotto assicurativo figuravano nei documenti ricevuti da K.D. in occasione della sua adesione al contratto collettivo unit‑linked. |
25 |
È in tale contesto che il giudice del rinvio si interroga sull’interpretazione di diverse disposizioni della direttiva 2005/29 e della direttiva 93/13 al fine di risolvere la controversia dinanzi ad esso pendente. Esso rileva, in primo luogo, che, secondo un’interpretazione letterale dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, letto alla luce del considerando 7 di quest’ultima, la nozione di «pratica commerciale sleale», ai sensi di tale direttiva, riguarderebbe unicamente le circostanze relative alla conclusione dell’accordo e alla presentazione del prodotto al consumatore, e non la fase anteriore relativa alla concezione di tale prodotto e alla definizione del contenuto del contratto tipo di assicurazione. |
26 |
Secondo il giudice del rinvio, occorre tuttavia tener conto delle specificità di un rapporto giuridico trilaterale, come quello di cui trattasi nel procedimento principale. In un rapporto del genere, l’offerta del prodotto assicurativo concepito dall’impresa di assicurazione e distribuito dal contraente dell’assicurazione sarebbe fondata su un contratto tipo di assicurazione stabilito da tale impresa di assicurazione, il quale determinerebbe la portata dei rispettivi obblighi di quest’ultima e del consumatore. |
27 |
Pertanto, qualora un siffatto contratto tipo non sia redatto in modo comprensibile, in quanto non consente al consumatore medio di determinare le caratteristiche essenziali del prodotto assicurativo proposto, la nozione di «pratica commerciale sleale» potrebbe anche essere interpretata nel senso che essa riguarda il comportamento di un professionista che, pur non essendo coinvolto nella commercializzazione di tale prodotto, abbia redatto un contratto tipo di assicurazione ingannevole che serve da base ad un’offerta commerciale preparata e proposta ai consumatori da un altro professionista. |
28 |
In secondo luogo, se così fosse, si porrebbe altresì la questione se il professionista responsabile di tale pratica commerciale sleale sia colui che ha elaborato il contratto tipo di assicurazione ingannevole o colui che ha presentato il prodotto fondato su tale contratto tipo al consumatore, e che è direttamente responsabile della sua commercializzazione, o se occorra considerare entrambi i professionisti responsabili di una siffatta pratica. |
29 |
A tale riguardo, il giudice del rinvio osserva che, dato che il contraente dell’assicurazione è incaricato di proporre l’adesione al contratto collettivo unit‑linked e riceve a tale titolo una commissione dall’impresa di assicurazione, e che la nozione di «professionista», ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2005/29, designa anche qualsiasi persona che agisca in nome e per conto di un professionista, entrambi gli operatori potrebbero essere considerati responsabili. |
30 |
In terzo luogo, il giudice del rinvio nutre dubbi riguardo alla compatibilità dell’articolo 12, paragrafo 1, punto 4, della legge in materia di lotta contro le pratiche commerciali sleali con la direttiva 2005/29. Tale disposizione, come interpretata dai giudici polacchi, consentirebbe infatti di chiedere l’annullamento di un contratto concluso a causa di una pratica commerciale sleale. |
31 |
Orbene, dall’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2005/29, risulterebbe che la constatazione del carattere sleale di una pratica commerciale non incide direttamente sulla validità del contratto. Inoltre, dall’articolo 13 di tale direttiva risulterebbe che le sanzioni previste dagli Stati membri per violazioni delle disposizioni di diritto nazionale che recepiscono la medesima direttiva dovrebbero essere effettive, proporzionate e dissuasive. Tali sanzioni dovrebbero pertanto essere fissate tenendo conto della norma di delimitazione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, di detta direttiva. |
32 |
Secondo il giudice del rinvio, la direttiva 2005/29 non può servire da fondamento per l’accertamento dell’invalidità di un contratto. Ne conseguirebbe che una disposizione di diritto nazionale che traspone tale direttiva e che prevede l’annullamento di un contratto concluso a causa di una pratica commerciale sleale costituirebbe una sanzione sproporzionata. Solo con la direttiva 2019/2161 il legislatore dell’Unione avrebbe previsto, in via eccezionale, la possibilità di chiedere la risoluzione di un contratto così concluso, inserendo un nuovo articolo 11 bis nella direttiva 2005/29, successivamente all’entrata in vigore dell’articolo 12, paragrafo 1, punto 4, della legge in materia di lotta contro le pratiche commerciali sleali. |
33 |
In quarto luogo, nell’ipotesi in cui la direttiva 2005/29 osti a che una pratica commerciale sleale sia sanzionata con l’annullamento di detto contratto, come previsto dal diritto polacco, il giudice del rinvio si chiede se l’articolo 5 della direttiva 93/13 costituisca una base giuridica adeguata per chiedere un siffatto annullamento. |
34 |
A tale riguardo, il giudice del rinvio ritiene che l’utilizzazione di un contratto tipo di assicurazione incomprensibile e oscuro, non consentendo al consumatore di comprendere le caratteristiche essenziali del prodotto commercializzato né la ripartizione e la portata del rischio di investimento che egli sopporta, violi l’obbligo di redazione chiara e comprensibile delle clausole contrattuali enunciato all’articolo 5 della direttiva 93/13. Tale constatazione potrebbe consentire ai giudici nazionali, a determinate condizioni, di invalidare talune clausole di un siffatto contratto tipo a causa del loro carattere abusivo, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva. |
35 |
In tale contesto, il Sąd Rejonowy dla Warszawy-Woli w Warszawie (Tribunale circondariale di Varsavia – Wola, Varsavia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
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Procedimento dinanzi alla Corte
36 |
Con decisione del presidente della Corte del 28 dicembre 2021, il procedimento nella presente causa è stato sospeso, in applicazione dell’articolo 55, paragrafo 1, lettera b), del regolamento di procedura della Corte, fino alla pronuncia della sentenza nelle cause riunite C‑143/20 e C‑213/20, A e a. (Contratti di assicurazione «unit‑linked»). |
37 |
Con decisione del presidente della Corte del 25 febbraio 2022, la sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked) (C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118), è stata notificata al giudice del rinvio affinché esso precisasse se intendeva mantenere la sua domanda di pronuncia pregiudiziale. |
38 |
Con messaggio di posta elettronica del 6 maggio 2022, tale giudice ha informato la Corte che intendeva mantenere tale domanda. Di conseguenza, è stata decisa la prosecuzione del procedimento nella presente causa. |
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
39 |
La TUŻ nutre dubbi in merito alla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale, facendo valere che una risposta alle questioni sollevate non sarebbe necessaria per risolvere la controversia di cui al procedimento principale. Infatti, da un lato, la TUŻ avrebbe riconosciuto e versato, il25 novembre 2020, sul conto di K.D., l’importo del credito reclamato da quest’ultima, cosicché la controversia principale sarebbe divenuta priva di oggetto. Dall’altro lato, la giurisprudenza della Corte e dei giudici nazionali fornirebbe già una risposta a dette questioni. |
40 |
Per quanto riguarda, da un lato, la circostanza che la giurisprudenza della Corte avrebbe già fornito una risposta agli interrogativi del giudice del rinvio, è sufficiente ricordare che, anche in presenza di una giurisprudenza che risolva il punto di diritto considerato, i giudici nazionali mantengono la completa libertà di adire la Corte qualora lo ritengano opportuno, senza che il fatto che le disposizioni di cui si chiede l’interpretazione siano già state interpretate dalla Corte abbia l’effetto di impedire una nuova pronuncia da parte della stessa e di comportare l’irricevibilità delle questioni sollevate (sentenza del 6 novembre 2018, Bauer e Willmeroth, C‑569/16 e C‑570/16, EU:C:2018:871, punti 21 e 22). |
41 |
Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’esistenza di una controversia nel procedimento principale, è certamente vero che, come risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 267 TFUE, la pronuncia pregiudiziale richiesta deve essere necessaria per consentire al giudice del rinvio di emanare la sua sentenza nella causa di cui è investito. Pertanto, il procedimento pregiudiziale presuppone, in particolare, che dinanzi ai giudici nazionali sia effettivamente pendente una controversia nell’ambito della quale ad essi è richiesta una pronuncia che possa tener conto della sentenza pregiudiziale [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, TGSS (Disoccupazione dei collaboratori domestici), C‑389/20, EU:C:2022:120, punto 25 e giurisprudenza ivi citata]. |
42 |
Tuttavia, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumere la responsabilità della futura decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze del procedimento principale, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché le questioni sollevate riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire [sentenza del 24 febbraio 2022, TGSS (Disoccupazione dei collaboratori domestici), C‑389/20, EU:C:2022:120, punto 23 e giurisprudenza ivi citata]. |
43 |
Ne deriva che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione godono di una presunzione di rilevanza. Il diniego della Corte di statuire su una questione pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile solo quando appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia di cui al procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte [sentenza del 24 febbraio 2022, TGSS (Disoccupazione dei collaboratori domestici), C‑389/20, EU:C:2022:120, punto 24 e giurisprudenza ivi citata]. |
44 |
Nel caso di specie, interrogato al riguardo dalla Corte, il giudice del rinvio ha precisato che il procedimento principale era tuttora pendente, che la domanda della ricorrente non era stata ritirata e che esso riteneva che non si dovesse dichiarare estinto tale procedimento, in quanto il riconoscimento del credito da parte della TUŻ mirava a provocare la chiusura del procedimento dinanzi ad esso pendente e ad impedire alla Corte di pronunciarsi. |
45 |
Orbene, la Corte ha già dichiarato che l’affermazione, da parte del giudice del rinvio, che il procedimento principale è tuttora pendente vincola la Corte e, in linea di principio, non può essere rimessa in discussione dalle parti del procedimento principale (v., in tal senso, sentenze del 27 febbraio 2014, Pohotovosť, C‑470/12, EU:C:2014:101, punto 30, e del 18 novembre 2020, DelayFix, C‑519/19, EU:C:2020:933, punto 33). |
46 |
Inoltre, poiché non emerge né dal fascicolo di cui dispone la Corte né dalla risposta del giudice del rinvio sul mantenimento della sua domanda di pronuncia pregiudiziale che la ricorrente nel procedimento principale abbia rinunciato al suo ricorso o che le sue pretese siano state integralmente soddisfatte, rendendo la controversia priva di oggetto, non appare in modo manifesto che il problema descritto nella domanda di pronuncia pregiudiziale sia divenuto ipotetico, cosicché una risposta alle questioni sollevate appare ancora necessaria per risolvere tale controversia (v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2022, Caisse régionale de Crédit mutuel de Loire-Atlantique et du Centre Ouest, C‑600/21, EU:C:2022:970, punto 25). |
47 |
In tali circostanze, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve essere dichiarata ricevibile. |
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla prima e seconda questione
48 |
Secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. Inoltre, la Corte può essere condotta a prendere in considerazione norme del diritto dell’Unione alle quali il giudice nazionale non ha fatto riferimento nella formulazione delle sue questioni (sentenza del 15 luglio 2021, Ministrstvo za obrambo, C‑742/19, EU:C:2021:597, punto 31). |
49 |
Occorre altresì ricordare che la Corte ha ripetutamente dichiarato che la ratio del rinvio pregiudiziale non consiste nell’esprimere pareri a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche, bensì nella necessità di dirimere concretamente una controversia (sentenza del 15 giugno 2021, Facebook Ireland e a., C‑645/19, EU:C:2021:483, punto 116 e giurisprudenza ivi citata). |
50 |
Nel caso di specie, risulta dall’esposizione dei fatti di cui al punto 23 della presente sentenza che la controversia principale verte segnatamente sull’esistenza di un’asserita pratica commerciale sleale, consistente nel fatto che un’impresa di assicurazione avrebbe redatto un contratto collettivo tipo unit‑linked in modo oscuro e impreciso, cosicché il consumatore che ha aderito a tale contratto collettivo, su proposta di una seconda impresa, contraente di detto contratto collettivo, non sarebbe in grado di comprendere la natura e la struttura del prodotto assicurativo proposto nonché i rischi che vi sono connessi. |
51 |
In tali circostanze, con la sua prima e seconda questione, che occorre esaminare congiuntamente, detto giudice chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2005/29 debba essere interpretato nel senso che costituisce una «pratica commerciale sleale», ai sensi di tale disposizione, la redazione, da parte di un’impresa di assicurazione, di un contratto collettivo tipo unit‑linked che non consente al consumatore che aderisce a tale contratto collettivo su proposta di una seconda impresa, contraente dell’assicurazione, di comprendere la natura e la struttura del prodotto assicurativo proposto nonché i rischi che vi sono connessi. In caso affermativo, detto giudice chiede, inoltre, se debbano essere ritenute responsabili di tale pratica commerciale sleale l’impresa di assicurazione, l’impresa contraente dell’assicurazione o entrambi tali professionisti congiuntamente. |
52 |
Conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, quest’ultima si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, come stabilite all’articolo 5 di tale direttiva, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto. Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, di detta direttiva, sono sleali le pratiche commerciali ingannevoli, ai sensi dei suoi articoli 6 e 7, o aggressive, ai sensi dei suoi articoli 8 e 9. |
53 |
Per quanto attiene, in primo luogo, alla possibilità di qualificare la redazione, da parte di un’impresa di assicurazione, di un contratto collettivo tipo unit‑linked come una «pratica commerciale» ai sensi della direttiva 2005/29, occorre anzitutto ricordare che la nozione di «pratiche commerciali» è definita, all’articolo 2, lettera d), di tale direttiva, in modo particolarmente ampio, dovendo tali pratiche, da un lato, avere carattere commerciale, vale a dire provenire da professionisti, e, dall’altro, essere direttamente connesse alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori. A tale riguardo, la Corte ha chiarito, da un lato, che i termini «direttamente connessa alla vendita di un prodotto» comprendono, in particolare, qualsiasi misura adottata in relazione alla conclusione di un contratto, laddove la nozione di «prodotto» ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di detta direttiva si riferisce peraltro a qualsiasi bene o servizio. Dall’altro lato, risulta dall’articolo 2, lettera b), della medesima direttiva che la nozione di «professionista» comprende «qualsiasi persona fisica o giuridica» che eserciti un’attività remunerata, purché la pratica commerciale si iscriva nell’ambito delle attività che essa svolge a titolo professionale, anche nel caso in cui tale pratica sia attuata da un’altra impresa, che agisca in nome e/o per conto di detta persona [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punto 129 nonché giurisprudenza ivi citata]. |
54 |
Per quanto riguarda poi l’applicabilità di una siffatta nozione ai comportamenti di un’impresa di assicurazione connessi all’adesione di consumatori ad un contratto collettivo unit‑linked, la Corte ha già statuito, anzitutto, che la dichiarazione con cui un consumatore aderisce ad un siffatto contratto collettivo concluso tra un’impresa di assicurazione e un’impresa contraente dell’assicurazione dà origine a un contratto di assicurazione individuale tra tale impresa di assicurazione e detto consumatore. Proponendo a tale consumatore di aderire a detto contratto collettivo, l’impresa contraente dell’assicurazione esercita, a sua volta, dietro corrispettivo, un’attività di intermediazione assicurativa ai sensi della direttiva 2002/92/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 dicembre 2002, sull’intermediazione assicurativa (GU 2003, L 9, pag. 3) [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio, A e a. (Contratti di assicurazione «unit‑linked»), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punti 81, 87 e 88]. |
55 |
Ciò implica, inoltre, che il consumatore che intende aderire a un tale contratto collettivo unit‑linked riceva le informazioni che l’articolo 36, paragrafo 1, della direttiva 2002/83 impone di comunicare al contraente prima della conclusione del contratto di assicurazione (in prosieguo: le «informazioni contrattuali») [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio, A e a. (Contratti di assicurazione «unit‑linked»), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punto 82]. |
56 |
A tale riguardo la Corte ha considerato che, poiché, nel caso di un contratto collettivo unit‑linked, il prodotto assicurativo contiene un elemento di investimento, che è indissolubilmente connesso al prodotto in questione, dette informazioni contrattuali devono comprendere, in particolare, indicazioni sulle caratteristiche essenziali delle attività di contropartita del contratto collettivo unit‑linked. Tali indicazioni devono includere una descrizione chiara, precisa e comprensibile della natura economica e giuridica di tali attività di contropartita, compresi i principi generali che regolano il loro rendimento, nonché informazioni chiare, precise e comprensibili sui rischi strutturali connessi a dette attività di contropartita, vale a dire i rischi che sono inerenti alla loro natura e che possono incidere direttamente sui diritti e sugli obblighi derivanti dal rapporto assicurativo, quali i rischi correlati alla perdita di valore delle quote del fondo di investimento al quale è collegato detto contratto o il rischio di credito dell’emittente degli strumenti finanziari che compongono le attività di contropartita medesime. Per contro, tali indicazioni non devono necessariamente includere una descrizione dettagliata ed esaustiva della natura e della portata di tutti i rischi di investimento connessi alle attività di contropartita del contratto collettivo unit‑linked, come quelli derivanti dalle caratteristiche specifiche dei vari strumenti finanziari che le compongono o dalle modalità tecniche di calcolo del valore dell’indice su cui si fonda il pagamento di detti strumenti finanziari, né le stesse informazioni che l’emittente di detti strumenti finanziari è tenuto, quale prestatore di servizi di investimento, a comunicare ai suoi clienti [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punti 97 nonché da 102 a 105]. |
57 |
Infine, spetta all’impresa di assicurazione comunicare le informazioni contrattuali all’impresa contraente dell’assicurazione, formulandole in modo chiaro, preciso e comprensibile per i consumatori, in vista della loro successiva trasmissione a questi ultimi nel corso del procedimento di adesione al contratto collettivo unit‑linked. Tale impresa contraente dell’assicurazione, agendo in qualità di intermediario assicurativo, deve, dal canto suo, trasmettere dette informazioni contrattuali ad ogni consumatore prima dell’adesione di quest’ultimo a tale contratto, accompagnate da ogni altra precisazione che risulti necessaria alla luce delle richieste e delle esigenze di tale consumatore. Tali precisazioni devono essere modulate in funzione della complessità di detto contratto e devono essere formulate in modo chiaro, preciso e comprensibile per detto consumatore [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punti da 89 a 91]. |
58 |
La Corte ha inoltre precisato che la comunicazione delle informazioni contrattuali al consumatore che intende aderire a un contratto collettivo unit‑linked può avvenire mediante un contratto tipo redatto dall’impresa di assicurazione, purché esso sia consegnato a tale consumatore dall’impresa contraente dell’assicurazione prima della sua adesione, in tempo utile per consentirgli di effettuare, con cognizione di causa, una scelta consapevole del prodotto assicurativo più consono alle sue esigenze [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punto 118]. |
59 |
È sulla base delle considerazioni sintetizzate ai punti da 53 a 58 della presente sentenza che la Corte ha dichiarato, nella sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked) (C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punto 130), che la comunicazione delle informazioni contrattuali prima dell’adesione di un consumatore a un contratto collettivo unit‑linked, da un lato, proviene dall’impresa di assicurazione e dall’impresa contraente dell’assicurazione che agisce in qualità di intermediario assicurativo e si inserisce nell’ambito delle attività che tali imprese svolgono a titolo professionale, e, dall’altro, è direttamente connessa alla conclusione, da parte di detto consumatore, di un contratto di assicurazione ai sensi della direttiva 2002/83, cosicché tale comunicazione costituisce una «pratica commerciale», ai sensi della direttiva 2005/29. |
60 |
Nella misura in cui, come nel caso di specie, detta comunicazione assume la forma di un contratto tipo, che funge da base per l’offerta di adesione al contratto collettivo unit‑linked proposta dall’impresa contraente dell’assicurazione, la redazione di tale contratto tipo da parte dell’impresa di assicurazione rientra parimenti nella nozione di «pratica commerciale», ai sensi della direttiva 2005/29. |
61 |
Per quanto riguarda, in secondo luogo, il carattere sleale di una pratica commerciale consistente nella redazione, da parte di un’impresa di assicurazione, di un contratto collettivo tipo unit‑linked in modo oscuro e impreciso, che non consenta al consumatore che vi aderisce, su proposta di un’impresa contraente di tale contratto collettivo, di comprendere la natura e la struttura del prodotto assicurativo proposto nonché i rischi che vi sono connessi, occorre ricordare che risulta dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2005/29 che una pratica commerciale è considerata ingannevole e costituisce, quindi, una pratica commerciale sleale, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, della medesima se, valutata nella fattispecie concreta e tenuto conto di tutte le caratteristiche e delle circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, sono soddisfatte due condizioni. Da un lato, tale pratica deve omettere informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione commerciale consapevole. D’altro lato, detta pratica commerciale deve indurre o essere idonea ad indurre il consumatore medio ad adottare una decisione commerciale che non avrebbe preso altrimenti [sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punto 131]. |
62 |
Inoltre, conformemente all’articolo 7, paragrafo 2, di detta direttiva, purché sia soddisfatta la seconda condizione menzionata al punto precedente, una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo tali informazioni rilevanti [sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punto 132]. |
63 |
A tale riguardo, la Corte, da un lato, ha constatato che le informazioni contrattuali di cui al punto 56 della presente sentenza costituiscono informazioni rilevanti ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2005/29 [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punto 133]. |
64 |
Dall’altro lato, in considerazione dell’importanza fondamentale che riveste la comunicazione delle informazioni contrattuali di cui al citato punto 56 per consentire al consumatore che intenda aderire a un contratto collettivo unit‑linked di effettuare, con cognizione di causa, una scelta consapevole del prodotto assicurativo più consono alle sue esigenze, la Corte ha giudicato che l’omessa comunicazione di tali informazioni, il loro occultamento o la loro comunicazione in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo appaiono idonei ad indurre il consumatore ad adottare una decisione di natura commerciale che non avrebbe preso altrimenti [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punto 134]. |
65 |
La Corte ne ha dedotto che l’omessa comunicazione di dette informazioni contrattuali al consumatore che intenda aderire a un contratto collettivo unit‑linked può costituire una pratica commerciale sleale, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 4, della direttiva 2005/29 e, più in particolare, essere qualificata come omissione ingannevole ai sensi dell’articolo 7 di tale direttiva [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punto 135]. |
66 |
Pertanto, qualora, da un lato, le informazioni contrattuali siano comunicate al consumatore che intende aderire a tale contratto mediante un contratto tipo redatto dall’impresa di assicurazione e, dall’altro, tale contratto tipo ometta, occulti o comunichi in modo oscuro, incomprensibile o ambiguo le informazioni contrattuali di cui al punto 56 della presente sentenza, così da non consentire a tale consumatore di comprendere la natura e la struttura del prodotto assicurativo proposto nonché i rischi che vi sono connessi, e di effettuare in tal modo, con cognizione di causa, una scelta consapevole del prodotto assicurativo più consono alle sue esigenze, tale pratica commerciale può essere qualificata come omissione ingannevole, ai sensi dell’articolo 7 della direttiva 2005/29, e costituisce, pertanto, in forza dell’articolo 5, paragrafo 4, di tale direttiva, una pratica commerciale sleale. |
67 |
Da quanto precede risulta quindi che, fatte salve le verifiche che spettano ai giudici nazionali riguardo al fatto che le condizioni enunciate al punto precedente siano soddisfatte, la redazione, da parte di un’impresa di assicurazione, di un contratto collettivo tipo unit‑linked che non consenta al consumatore di comprendere la natura e la struttura del prodotto assicurativo proposto nonché i rischi che vi sono connessi può costituire una «pratica commerciale sleale», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2005/29. |
68 |
Per quanto riguarda, in terzo e ultimo luogo, l’attribuzione della responsabilità di una siffatta pratica commerciale sleale all’impresa di assicurazione, all’impresa contraente dell’assicurazione o a entrambi tali professionisti, la Corte ha già dichiarato che, alla luce della nozione di «professionista», di cui all’articolo 2, lettera b), della direttiva 2005/29, ricordata al punto 53 della presente sentenza, tale direttiva può trovare applicazione in una fattispecie in cui le pratiche commerciali di un operatore siano attuate da un’altra impresa, che agisce in nome e/o per conto di tale operatore, sicché le disposizioni di detta direttiva potrebbero, in talune situazioni, essere opponibili sia a detto operatore sia a detta impresa, quando l’uno e l’altra rispondano alla definizione di «professionista» (sentenza del 17 ottobre 2013, RLvS, C‑391/12, EU:C:2013:669, punto 38). |
69 |
Nel caso di specie, risulta in particolare dalle considerazioni esposte ai punti 54, 57 e 59 della presente sentenza che, da un lato, nel contesto del processo di adesione dei consumatori a un contratto collettivo unit‑linked, sia l’impresa di assicurazione che l’impresa contraente dell’assicurazione rispondono alla definizione di professionista ai sensi della direttiva 2005/29. Dall’altro lato, tali professionisti sono entrambi individualmente responsabili della corretta esecuzione dell’obbligo di informazione precontrattuale di cui all’articolo 36, paragrafo 1, della direttiva 2002/83 a favore del consumatore che aderisce a tale contratto collettivo unit‑linked, per la parte di tale obbligo che spetta loro adempiere. |
70 |
Pertanto, quando la pratica commerciale sleale consiste nel fatto che l’impresa di assicurazione abbia redatto in modo ingannevole il contratto collettivo tipo unit‑linked, trasmesso al consumatore in tempo utile prima dell’adesione di quest’ultimo a tale contratto collettivo, detta impresa deve, in linea di principio, essere considerata responsabile di una siffatta pratica. |
71 |
Ciò non pregiudica l’eventuale responsabilità dell’impresa contraente dell’assicurazione per altre pratiche commerciali sleali direttamente connesse al processo di adesione del consumatore al contratto collettivo unit‑linked, come quelle che possono consistere nel fatto di aver omesso di fornire un supplemento di informazioni specifiche ai sensi del punto 57 della presente sentenza, concernenti in particolare gli aspetti finanziari dell’investimento nel prodotto assicurativo e i rischi che vi sono connessi, che tale impresa, nella sua qualità di intermediario assicurativo, ai sensi della direttiva 2002/92, è tenuta a trasmettere al consumatore, o nel fatto di non aver rispettato il termine di trasmissione del contratto collettivo tipo unit‑linked al consumatore, ai sensi del punto 58 della presente sentenza. |
72 |
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima e alla seconda questione dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2005/29 deve essere interpretato nel senso che può costituire una «pratica commerciale sleale», ai sensi di tale disposizione, la redazione, da parte di un’impresa di assicurazione, di un contratto collettivo tipo unit‑linked che non consente al consumatore che aderisce a tale contratto collettivo su proposta di una seconda impresa, contraente dell’assicurazione, di comprendere la natura e la struttura del prodotto assicurativo proposto nonché i rischi che vi sono connessi, e che tale impresa di assicurazione deve essere ritenuta responsabile di detta pratica commerciale sleale. |
Sulla terza questione
73 |
Dalla decisione di rinvio, come sintetizzata ai punti da 30 a 32 della presente sentenza, risulta che, con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, alla luce dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2005/29, da cui risulterebbe che la constatazione del carattere sleale di una pratica commerciale non incide direttamente sulla validità del contratto, un’interpretazione del diritto polacco che conferisce al consumatore il diritto di chiedere l’annullamento di un contratto concluso a causa di una pratica commerciale sleale possa essere considerata una misura sanzionatoria proporzionata, ai sensi dell’articolo 13 di tale direttiva. |
74 |
Conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 48 della presente sentenza, occorre considerare che, con tale questione, detto giudice chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2005/29, in combinato disposto con l’articolo 13 della medesima, debba essere interpretato nel senso che esso osta a un’interpretazione del diritto nazionale che conferisce al consumatore, che ha stipulato un contratto a causa di una pratica commerciale sleale di un professionista, il diritto di chiedere l’annullamento di tale contratto. |
75 |
Al fine di rispondere a detta questione occorre determinare, in un primo tempo, se l’articolo 3, paragrafo 2, di tale direttiva osti a che gli Stati membri conferiscano ai consumatori un siffatto diritto quale sanzione dell’esistenza di una pratica commerciale sleale e successivamente, in caso contrario, determinare se l’annullamento del contratto possa essere considerato una sanzione effettiva, proporzionata e dissuasiva, ai sensi dell’articolo 13 di detta direttiva. |
76 |
Per quanto riguarda, in primo luogo, l’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, della medesima direttiva, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto del tenore letterale della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte [sentenza del 26 aprile 2022, Landespolizeidirektion Steiermark (Durata massima del controllo di frontiera alle frontiere interne), C‑368/20 e C‑369/20, EU:C:2022:298, punto 56]. |
77 |
Quanto innanzitutto al tenore letterale di tale disposizione, dalla sua stessa formulazione emerge che, in assenza di armonizzazione a livello dell’Unione europea degli aspetti generali del diritto dei contratti, la validità dei contratti è disciplinata dal diritto nazionale (v., in tal senso, sentenza del 3 febbraio 2021, Stichting Waternet, C‑922/19, EU:C:2021:91, punti 42 e 45). |
78 |
Per quanto attiene poi al contesto in cui si inserisce detta disposizione, da un lato, il considerando 9 della direttiva 2005/29 enuncia chiaramente che quest’ultima non pregiudica non solo le norme nazionali relative al diritto dei contratti, ma anche i ricorsi individuali proposti da soggetti lesi da una pratica commerciale sleale. |
79 |
Dall’altro lato, la Corte ha dichiarato che tale direttiva si limita a prevedere, al suo articolo 5, paragrafo 1, che le pratiche commerciali sleali «sono vietate» e che pertanto essa lascia alla discrezionalità degli Stati membri la scelta delle misure nazionali destinate a combattere tali pratiche ai sensi degli articoli 11 e 13 della direttiva medesima, purché esse siano adeguate ed efficaci e le sanzioni così previste siano effettive, proporzionate e dissuasive (sentenza del 19 settembre 2018, Bankia, C‑109/17, EU:C:2018:735, punto 31 e giurisprudenza avi citata). |
80 |
La Corte ha precisato che, sebbene l’articolo 11 della medesima direttiva si limiti ad imporre agli Stati membri di garantire che esistano mezzi adeguati ed efficaci per combattere dette pratiche, tali mezzi possono tuttavia consistere in un’azione giudiziaria contro tali pratiche finalizzata a farle cessare (v., in tal senso, sentenza del 19 settembre 2018, Bankia, C‑109/17, EU:C:2018:735, punto 42). |
81 |
Infine, quanto alla finalità della direttiva 2005/29, questa mira al conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori e, a tal fine, a garantire che le pratiche sleali siano efficacemente combattute nell’interesse di questi ultimi (v., in tal senso, sentenza del 16 aprile 2015, UPC Magyarország, C‑388/13, EU:C:2015:225, punti 32 e 51). |
82 |
Risulta pertanto da un’interpretazione letterale, sistematica e teleologica dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2005/29 che tale disposizione non osta a che gli Stati membri conferiscano al consumatore che abbia concluso un contratto a causa di una pratica commerciale sleale il diritto di chiedere l’annullamento di tale contratto, purché tale sanzione sia effettiva, proporzionata e dissuasiva, ai sensi dell’articolo 13 di tale direttiva. |
83 |
Tale interpretazione non è inficiata dalla circostanza che la direttiva 2019/2161 ha inserito un nuovo articolo 11 bis nella direttiva 2005/29, il quale dispone, al suo paragrafo 1, che «i consumatori lesi da pratiche commerciali sleali devono avere accesso a rimedi proporzionati ed effettivi, compresi il risarcimento del danno subito dal consumatore e, se pertinente, (...) la risoluzione del contratto», precisando al contempo, al suo paragrafo 2, che ciò «non pregiudic[a] l’applicazione di altri rimedi a disposizione dei consumatori a norma del (…) diritto nazionale». |
84 |
Infatti, oltre al fatto che il termine di trasposizione della direttiva 2019/2161 è scaduto il 28 novembre 2021, cosicché tale articolo 11 bis è irrilevante ai fini dell’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 2, e dell’articolo 13 della direttiva 2005/29 nella presente causa, il suo inserimento nella direttiva 2005/29 si limita, in ogni caso, a confermare che gli Stati membri potevano e possono tuttora prevedere altri mezzi di ricorso a favore dei consumatori lesi da pratiche commerciali sleali, tra cui quelli che prevedono il diritto del consumatore di chiedere l’annullamento di un contratto concluso a causa di una siffatta pratica. |
85 |
Per quanto riguarda, in secondo luogo, il carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo, ai sensi dell’articolo 13 di tale direttiva, di una sanzione consistente nell’annullamento del contratto, la Corte ha sottolineato, da un lato, che spetta unicamente ai giudici nazionali valutare, prendendo in considerazione tutte le circostanze che caratterizzano le cause di cui sono investiti, se il regime sanzionatorio nei confronti dei professionisti che ricorrono a pratiche commerciali sleali, previsto dagli Stati membri conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 79 della presente sentenza, sia conforme alle prescrizioni di tale direttiva e, più specificamente, al principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenza del 16 aprile 2015, UPC Magyarország, C‑388/13, EU:C:2015:225, punti 58 e 59, nonché, per analogia, sentenza del 5 marzo 2020, OPR-Finance, C‑679/18, EU:C:2020:167, punto 27). |
86 |
Dall’altro lato, al fine di fornire precisazioni dirette a guidare i giudici nazionali nell’esercizio di una siffatta valutazione, la Corte ha giudicato che la sanzione della nullità del contratto soddisfa, in linea di principio, ai requisiti di effettività, proporzionalità e capacità dissuasiva previsti da una disposizione analoga all’articolo 13 della direttiva 2005/29 (v., in tal senso, sentenza del 5 marzo 2020, OPR-Finance, C‑679/18, EU:C:2020:167, punti 25, 26, 29 e 30 nonché giurisprudenza ivi citata). |
87 |
In tale contesto, occorre altresì ricordare che la Corte ha dichiarato, per quanto riguarda le pratiche commerciali relative all’adesione dei consumatori a contratti collettivi unit‑linked, come quelle di cui trattasi nel procedimento principale, che, sebbene la direttiva 2002/83 non imponga di considerare che l’inesatto adempimento dell’obbligo di informazione precontrattuale previsto al suo articolo 36, paragrafo 1, determini la nullità o l’invalidità di un contratto collettivo unit‑linked o della dichiarazione di adesione a quest’ultimo, i giudici nazionali sono nondimeno tenuti a valutare se, vista l’importanza fondamentale che le informazioni contrattuali di cui al punto 56 della presente sentenza rivestono nella formazione della volontà del consumatore di aderirvi, l’inesatto adempimento di detto obbligo di informazione può viziare il consenso di quest’ultimo a essere vincolato dal citato contratto [v., in tal senso, sentenza del 24 febbraio 2022, A e a. (Contratti di assicurazione unit‑linked), C‑143/20 e C‑213/20, EU:C:2022:118, punti 125 e 126]. |
88 |
In tali circostanze, il diritto del consumatore di chiedere l’annullamento di un contratto concluso a causa di una pratica commerciale sleale, consistente nella redazione di un contratto collettivo tipo unit‑linked che non consente a tale consumatore di comprendere la natura e la struttura del prodotto assicurativo e dei rischi che vi sono connessi, pare costituire una sanzione effettiva, proporzionata e dissuasiva ai sensi dell’articolo 13 della direttiva 2005/29, circostanza che spetta in ogni caso al giudice del rinvio verificare, alla luce di tutte le circostanze rilevanti del caso di specie. |
89 |
Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2005/29, in combinato disposto con l’articolo 13 della medesima, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a un’interpretazione del diritto nazionale che conferisce al consumatore che ha stipulato un contratto a causa di una pratica commerciale sleale di un professionista il diritto di chiedere l’annullamento di tale contratto. |
Sulla quarta questione
90 |
La quarta questione viene sollevata solo nell’ipotesi di una risposta in senso affermativo alla terza questione. Alla luce della risposta fornita alla terza questione, non occorre quindi rispondervi. |
Sulle spese
91 |
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. |
Per questi motivi, la Corte (Nona Sezione) dichiara: |
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Firme |
( *1 ) Lingua processuale: il polacco.