SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

17 novembre 2022 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica di immigrazione – Direttiva 2003/86/CE – Articolo 2, lettera f) – Articolo 10, paragrafo 3, lettera a) – Nozione di “minore non accompagnato” – Diritto al ricongiungimento familiare – Rifugiato minorenne coniugato al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro – Matrimonio di minorenne non riconosciuto in tale Stato membro – Coabitazione con il coniuge residente legalmente in tale Stato membro»

Nella causa C‑230/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio), con decisione del 6 aprile 2021, pervenuta in cancelleria il 9 aprile 2021, nel procedimento

X, che agisce in nome proprio e nella sua capacità giuridica di rappresentante dei figli minorenni Y e Z,

contro

Belgische Staat,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da K. Jürimäe, presidente di sezione, M. Safjan, N. Piçarra, N. Jääskinen (relatore) e M. Gavalec, giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: M. Ferreira, amministratrice principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 31 marzo 2022,

considerate le osservazioni presentate:

per X, che agisce in nome proprio e nella sua capacità giuridica di rappresentante dei figli minorenni Y e Z, da J. Schellemans, K. Verhaegen e K. Verstrepen, advocaten;

per il governo belga, da M. Jacobs, C. Pochet e M. Van Regemorter, in qualità di agenti, assistite da D. Matray, S. Matray, avocats, e da S. Van Rompaey, advocaat;

per la Commissione europea, da C. Cattabriga e S. Noë, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 giugno 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 2, lettera f), e dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra X, che agisce in nome proprio e in qualità di legale rappresentante dei figli minorenni Y e Z, e il Belgische Staat (Stato belga), in merito al rigetto della domanda di visto di X, ai fini del ricongiungimento familiare con la figlia, nonché al rigetto delle sue domande di visto umanitario per Y e Z.

Contesto normativo

Direttiva 2003/86

3

I considerando 2 e 8 della direttiva 2003/86 enunciano quanto segue:

«(2)

Le misure in materia di ricongiungimento familiare dovrebbero essere adottate in conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare che è consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale. La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed i principi riconosciuti in particolare nell’articolo 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

(...)

(8)

La situazione dei rifugiati richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. In considerazione di ciò, occorre prevedere condizioni più favorevoli per l’esercizio del loro diritto al ricongiungimento familiare».

4

L’articolo 1 di tale direttiva è così formulato:

«Lo scopo della presente direttiva è quello di fissare le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri».

5

L’articolo 2, lettera f), di detta direttiva definisce nei seguenti termini il «minore non accompagnato»:

«il cittadino di paesi terzi o l’apolide d’età inferiore ai diciotto anni che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, fino a quando non sia effettivamente affidato ad un tale adulto, o il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri».

6

L’articolo 4, paragrafi 1, 2 e 5, di detta direttiva enuncia quanto segue:

«1.   In virtù della presente direttiva e subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV e all’articolo 16, gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

a)

il coniuge del soggiornante;

b)

i figli minorenni del soggiornante e del coniuge, compresi i figli adottati secondo una decisione presa dall’autorità competente dello Stato membro interessato o una decisione automaticamente applicabile in virtù di obblighi internazionali contratti dallo Stato membro o che deve essere riconosciuta conformemente a degli obblighi internazionali;

c)

i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento dei figli affidati ad entrambi i genitori, a condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il suo consenso;

d)

i figli minorenni, compresi quelli adottati, del coniuge, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento dei figli affidati ad entrambi i genitori, a condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il suo consenso.

I figli minorenni di cui al presente articolo devono avere un’età inferiore a quella in cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato e non devono essere coniugati.

In deroga alla disposizione che precede, qualora un minore abbia superato i dodici anni e giunga in uno Stato membro indipendentemente dal resto della sua famiglia, quest’ultimo, prima di autorizzarne l’ingresso ed il soggiorno ai sensi della presente direttiva, può esaminare se siano soddisfatte le condizioni per la sua integrazione richieste dalla sua legislazione in vigore al momento dell’attuazione della presente direttiva.

2.   In virtù della presente direttiva e fatto salvo il rispetto delle condizioni stabilite al capo IV, gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, autorizzare l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

a)

gli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante o del suo coniuge, quando sono a carico di questi ultimi e non dispongono di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine;

(...).

5.   Per assicurare una migliore integrazione ed evitare i matrimoni forzati gli Stati membri possono imporre un limite minimo di età per il soggiornante e il coniuge, che può essere al massimo pari a ventuno anni, perché il ricongiungimento familiare possa aver luogo».

7

L’articolo 5, paragrafo 5, della direttiva 2003/86 così prevede:

«Nell’esame della domanda, gli Stati membri tengono nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori».

8

L’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, dispone quanto segue:

«Se il rifugiato è un minore non accompagnato, gli Stati membri:

a)

autorizzano l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare degli ascendenti diretti di primo grado, senza applicare le condizioni previste all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a)».

Regolamento Dublino III

9

L’articolo 2, lettera g), del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31, e rettifica GU 2022, L 283, pag. 15; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»), contiene la seguente definizione:

«Ai fini del presente regolamento si intende per:

(...)

g)

“familiari”: i seguenti soggetti appartenenti alla famiglia del richiedente, purché essa sia già costituita nel paese di origine, che si trovano nel territorio degli Stati membri:

(...)

se il beneficiario di protezione internazionale è minore e non coniugato, il padre, la madre o un altro adulto responsabile per il beneficiario in base alla legge o alla prassi dello Stato membro in cui si trova il beneficiario».

10

L’articolo 8, paragrafo 1, di tale regolamento enuncia quanto segue:

«Se il richiedente è un minore non accompagnato, è competente lo Stato membro nel quale si trova legalmente un familiare o un fratello del minore non accompagnato, purché ciò sia nell’interesse superiore del minore. Se il richiedente è un minore coniugato il cui coniuge non è legalmente presente nel territorio degli Stati membri, lo Stato membro competente è lo Stato membro in cui si trova legalmente il padre, la madre o un altro adulto responsabile per il minore, per legge o per prassi di detto Stato membro, o un fratello se legalmente presente».

11

L’articolo 9 di detto regolamento così dispone:

«Se un familiare del richiedente, a prescindere dal fatto che la famiglia fosse già costituita nel paese di origine, è stato autorizzato a soggiornare in qualità di beneficiario di protezione internazionale in uno Stato membro, tale Stato membro è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale, purché gli interessati abbiano espresso tale desiderio per iscritto».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

12

X, che dichiara di essere di origine palestinese, ha una figlia nata il 2 febbraio 2001. L’8 dicembre 2016 tale figlia, all’epoca quindicenne, ha sposato Y.B. in Libano.

13

Il 28 agosto 2017 la figlia di X è giunta in Belgio per raggiungere Y.B., che disponeva di un titolo di soggiorno valido in tale Stato membro.

14

Il 29 agosto 2017 il servizio delle tutele del FOD Justitie (servizio pubblico federale di giustizia, Belgio) ha ritenuto che la figlia di X fosse una minore straniera non accompagnata e le ha assegnato una tutrice.

15

Il 20 settembre 2017 la figlia di X ha presentato alle autorità belghe una domanda di protezione internazionale.

16

Lo stesso giorno, il Dienst Vreemdelingenzaken (Ufficio per gli stranieri, Belgio) ha rifiutato di riconoscere l’atto di matrimonio della figlia di X, con la motivazione che si trattava di un matrimonio di minorenne, incompatibile con l’ordine pubblico, in forza degli articoli del codice di diritto internazionale privato belga pertinenti.

17

Il 26 settembre 2018 la figlia di X è stata riconosciuta come rifugiata.

18

Il 18 dicembre 2018 X ha presentato presso l’ambasciata del Belgio in Libano, da un lato, una domanda di visto ai fini del ricongiungimento familiare con sua figlia e, dall’altro, domande di visti umanitari per i propri figli minorenni, Y e Z.

19

Con tre decisioni del 21 giugno 2019 il delegato del minister van Sociale Zaken en Volksgezondheid, en van Asiel en Migratie (ministro degli Affari sociali, della Sanità pubblica, dell’Asilo e della Migrazione, Belgio) (in prosieguo: il «ministro») ha respinto le domande di visto presentate da X il 18 dicembre 2018. Tali decisioni sono state annullate dal giudice del rinvio in una sentenza del 7 novembre 2019.

20

A seguito di tale annullamento, il 17 marzo 2020 il ministro ha adottato tre nuove decisioni per rifiutare i suddetti visti. In tali decisioni, quest’ultimo ha considerato sostanzialmente che, alla luce della normativa belga sugli stranieri, di cui alcune disposizioni traspongono la direttiva 2003/86, la famiglia nucleare è costituita dai coniugi e dai figli minorenni non coniugati. Di conseguenza, la figlia di X, dopo un matrimonio valido nel paese in cui è stato contratto, non apparterrebbe più alla famiglia nucleare dei suoi genitori.

21

Il 10 agosto 2020 X ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio avverso dette decisioni.

22

A sostegno del suo ricorso, X sostiene che né la normativa belga sugli stranieri né la direttiva 2003/86 richiedono che un rifugiato sia non coniugato per poter beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare con i suoi genitori. Inoltre, poiché l’atto di matrimonio di sua figlia non è stato riconosciuto in Belgio, esso non produrrebbe alcun effetto giuridico in tale Stato membro. Essa sostiene che sua figlia deve soddisfare solo due condizioni per beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare con i genitori e che queste ultime sono soddisfatte dal momento che sua figlia è, da un lato, minorenne e, dall’altro, non accompagnata, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2003/86.

23

Il giudice del rinvio considera che la situazione della figlia di X sembra rientrare nella nozione di «minore non accompagnato», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), della direttiva 2003/86. Al riguardo, tale giudice rileva che detta direttiva non contiene alcuna indicazione relativa alla situazione matrimoniale del minore non accompagnato. Tuttavia, il suddetto giudice osserva che occorre tenere conto anche dell’articolo 9 del regolamento Dublino III, il quale richiede che il rifugiato minorenne sia non coniugato affinché lo Stato membro in cui risiede sia competente per l’esame della domanda di protezione internazionale dei suoi genitori.

24

In tali circostanze, il Raad voor Vreemdelingenbetwistingen (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il diritto dell’Unione, e segnatamente l’articolo 2, lettera f), in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della [direttiva 2003/86], debba essere interpretato nel senso che un rifugiato “minore non accompagnato”, che soggiorna in uno Stato membro, deve essere non coniugato secondo la sua legge nazionale per avere diritto al ricongiungimento familiare con ascendenti diretti di primo grado.

2)

In caso affermativo, se un rifugiato minorenne, il cui matrimonio contratto all’estero non viene riconosciuto per motivi di ordine pubblico, possa essere considerato un “minore non accompagnato”, ai sensi degli articoli 2, lettera f), e 10, paragrafo 3, della [direttiva 2003/86]».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

25

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), di tale direttiva, debba essere interpretato nel senso che, per acquisire lo status di soggiornante ai fini del ricongiungimento familiare con i suoi ascendenti diretti di primo grado, un rifugiato minore non accompagnato residente in uno Stato membro deve essere non coniugato.

26

Occorre anzitutto ricordare che da una costante giurisprudenza della Corte risulta che, ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto del tenore della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenze del 17 novembre 1983, Merck, 292/82, EU:C:1983:335, punto 12, e del 20 giugno 2022, London Steam-Ship Owners’ Mutual Insurance Association, C‑700/20, EU:C:2022:488, punto 55).

27

In primo luogo, dalla formulazione dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 risulta che, se il rifugiato è un minore non accompagnato, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), di tale direttiva, gli Stati membri «autorizzano l’ingresso e il soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare degli ascendenti diretti di primo grado, senza applicare le condizioni previste all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a)».

28

Pertanto, l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 impone agli Stati membri l’obbligo positivo preciso di autorizzare, nell’ipotesi stabilita da tale disposizione, il ricongiungimento familiare degli ascendenti diretti di primo grado del soggiornante. Il diritto al ricongiungimento familiare così riconosciuto ai rifugiati minori non accompagnati non è soggetto né a un margine di discrezionalità da parte degli Stati membri né alle condizioni previste all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva (v., in tal senso, sentenza del 12 aprile 2018, A e S, C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 34).

29

L’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 non prevede in modo specifico che il rifugiato minorenne debba essere non coniugato affinché siano consentiti l’ingresso e il soggiorno dei suoi ascendenti diretti di primo grado, ai fini del ricongiungimento familiare.

30

Inoltre, ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2003/86, il minore non accompagnato è definito come «il cittadino di paesi terzi o l’apolide d’età inferiore ai diciotto anni che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla legge o agli usi, fino a quando non sia effettivamente affidato ad un tale adulto, o il minore che viene abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri».

31

La Corte ha già statuito che tale definizione prevede due condizioni, ossia che l’interessato sia «minore» e che sia «non accompagnato» (sentenza del 12 aprile 2018, A e S, C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 37).

32

Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 28 delle sue conclusioni, tale definizione non si riferisce affatto allo stato civile del minore e non richiede che il minore sia non coniugato per poter essere considerato un minore non accompagnato.

33

Per quanto riguarda, in secondo luogo, il contesto in cui si inserisce l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86, occorre sottolineare che tale direttiva contiene disposizioni che riguardano espressamente situazioni in cui è preso in considerazione lo stato matrimoniale del minore.

34

In particolare, l’articolo 4, paragrafo 1, di detta direttiva, che determina i familiari del soggiornante che possono beneficiare del ricongiungimento familiare, prevede che «[i] figli minorenni di cui al presente articolo (...) non devono essere coniugati». Pertanto, ai sensi di tale disposizione, i figli minorenni del genitore soggiornante possono entrare e soggiornare nell’Unione europea sulla base del ricongiungimento familiare solo a condizione che non siano coniugati.

35

Il fatto che il legislatore dell’Unione abbia previsto una simile condizione per quanto riguarda lo stato civile dei figli minorenni di un genitore soggiornante, ma non per il soggiornante rifugiato minore non accompagnato, sembra testimoniare la sua volontà di non limitare il beneficio dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 ai soli rifugiati minori non accompagnati non coniugati.

36

Inoltre, contrariamente a quanto sostiene il governo belga, tale interpretazione del contesto in cui si inserisce l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), di tale direttiva, non crea alcuna disparità di trattamento tra la situazione di un minore coniugato che chiede il ricongiungimento familiare con il suo ascendente soggiornante, di cui all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2003/86, e quella di un soggiornante rifugiato minore non accompagnato coniugato il cui ascendente diretto di primo grado chiede di beneficiare del ricongiungimento familiare, di cui all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, dal momento che queste due situazioni non sono comparabili.

37

Infatti, un rifugiato minore non accompagnato che soggiorna da solo nel territorio di uno Stato diverso dal suo Stato di origine si trova in una posizione di particolare vulnerabilità che giustifica che sia favorito il ricongiungimento familiare con i suoi ascendenti diretti di primo grado che si trovano al di fuori dell’Unione. Tale differenza di situazione giustifica che il diritto al suo ricongiungimento familiare sia soggetto non alle condizioni previste all’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, bensì a quelle previste al suo articolo 10, paragrafo 3, lettera a), il quale mira specificamente a garantire una protezione rafforzata ai rifugiati aventi la qualità di minori non accompagnati (v., in tal senso, sentenza del 12 aprile 2018, A e S, C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 44).

38

Tale protezione è tanto più necessaria dal momento che gli Stati membri possono, conformemente all’articolo 4, paragrafo 5, di tale direttiva, imporre, nell’ambito del ricongiungimento familiare dei coniugi, una condizione di età minima al soggiornante e al suo coniuge prima che il secondo possa raggiungere il primo. In una simile ipotesi, un’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), di detta direttiva che rifiutasse il ricongiungimento con gli ascendenti diretti di primo grado qualora il rifugiato minore non accompagnato soggiornante sia coniugato, collocherebbe tale minore in una situazione di particolare vulnerabilità poiché esso si troverebbe privato, in assenza del suo coniuge e dei suoi ascendenti, di qualsiasi rete familiare nello Stato membro in cui si trova.

39

Il governo belga fa valere che l’articolo 9 e l’articolo 2, lettera g), ultimo trattino, del regolamento Dublino III richiedono che il rifugiato minorenne non sia coniugato e che la famiglia esistesse già nel paese di origine affinché lo Stato membro in cui tale rifugiato risiede sia competente per il trattamento della domanda di protezione internazionale della madre o del padre. Tuttavia, tale regolamento riguarda non le condizioni alle quali è subordinato il diritto al ricongiungimento familiare dei rifugiati minori non accompagnati, bensì la determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri. Detto regolamento non è quindi pertinente ai fini della controversia principale.

40

In terzo luogo, per quanto concerne la finalità della direttiva 2003/86, occorre ricordare che, a termini del suo articolo 1, è quella di fissare le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri.

41

A tale riguardo, dal considerando 8 di tale direttiva risulta che essa prevede per i rifugiati condizioni più favorevoli per l’esercizio di tale diritto al ricongiungimento familiare, giacché la loro situazione richiede un’attenzione particolare, in considerazione delle ragioni che hanno costretto queste persone a fuggire dal loro paese e che impediscono loro di vivere là una normale vita familiare. Conformemente a tale obiettivo, detta direttiva mira a facilitare il ricongiungimento familiare di un rifugiato minore non accompagnato con i suoi ascendenti diretti di primo grado.

42

Infatti, in forza dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2003/86, la possibilità di un simile ricongiungimento è, di norma, lasciata alla discrezionalità di ciascuno Stato membro e sottoposta in particolare alla condizione che gli ascendenti diretti di primo grado siano a carico del soggiornante e che non dispongano di un adeguato sostegno familiare nel paese d’origine. Per contro, come ricordato al punto 28 della presente sentenza, l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva deroga a detto principio.

43

Inoltre, come ricordato al punto 37 della presente sentenza, non solo la direttiva 2003/86 persegue, in generale, l’obiettivo di favorire il ricongiungimento familiare e di concedere una protezione ai cittadini di paesi terzi, in particolare ai minori, ma l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della medesima mira nello specifico a garantire una protezione rafforzata a favore dei rifugiati che hanno lo status di minori non accompagnati (sentenza del 12 aprile 2018, A e S, C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

44

Tenuto conto di tale contesto, un’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 che restringa il beneficio del diritto al ricongiungimento familiare con i loro ascendenti diretti di primo grado ai soli rifugiati minori non accompagnati che non sono coniugati sarebbe in contrasto con tale obiettivo di protezione particolare.

45

Infatti, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 46 delle sue conclusioni, una simile interpretazione avrebbe come conseguenza che un minore non accompagnato coniugato il cui coniuge risiedesse nel territorio dell’Unione non potrebbe beneficiare della protezione rafforzata conferitagli dalla direttiva 2003/86, ancorché la particolare vulnerabilità dei minori non sia attenuata a causa del matrimonio. Al contrario, il fatto di essere coniugati può indicare, per quanto riguarda in particolare le ragazze minorenni, un’esposizione alla grave forma di violenza costituita dai matrimoni di minorenni e dai matrimoni forzati.

46

Inoltre, occorre sottolineare che lo stato civile di un rifugiato minore non accompagnato può spesso essere difficile da stabilire, in particolare nel caso dei rifugiati originari di paesi che non sono in grado di rilasciare documenti ufficiali affidabili. Pertanto, l’interpretazione secondo cui l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 non limita il beneficio del ricongiungimento familiare con gli ascendenti diretti di primo grado ai soli rifugiati minori non accompagnati che non sono coniugati è altresì conforme ai principi di parità di trattamento e di certezza del diritto, in quanto garantisce che il diritto al ricongiungimento familiare non dipenda dalle capacità amministrative del paese di origine della persona interessata.

47

Infine, le disposizioni di tale direttiva devono essere interpretate e applicate alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), come risulta del resto dai termini del considerando 2 e dell’articolo 5, paragrafo 5, della suddetta direttiva, che impongono agli Stati membri di esaminare le domande di ricongiungimento nell’interesse dei minori coinvolti e nell’ottica di favorire la vita familiare [sentenza del 16 luglio 2020, État belge (Ricongiungimento familiare – Figlio minorenne), C‑133/19, C‑136/19 e C‑137/19, EU:C:2020:577, punto 35 e giurisprudenza ivi citata].

48

A tale riguardo, occorre rilevare, anzitutto, che l’articolo 7 della Carta riconosce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Tale disposizione della Carta deve poi essere letta in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito all’articolo 24, paragrafo 2, della medesima, in quanto tale disposizione si applica anche a decisioni che non hanno necessariamente come destinatario il minore, ma che comportano conseguenze importanti per quest’ultimo [v., in tal senso, sentenza dell’11 marzo 2021, État belge (Rimpatrio del genitore di un minore), C‑112/20, EU:C:2021:197, punto 36]. Occorre infine tener conto della necessità per il minore, espressa all’articolo 24, paragrafo 3, della Carta, di intrattenere regolarmente relazioni personali con i due genitori [v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, État belge (Ricongiungimento familiare – Figlio minorenne), C‑133/19, C‑136/19 e C‑137/19, EU:C:2020:577, punto 34 e giurisprudenza ivi citata].

49

Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che un rifugiato minore non accompagnato residente in uno Stato membro non deve essere non coniugato per acquisire lo status di soggiornante ai fini del ricongiungimento familiare con i suoi ascendenti diretti di primo grado.

Sulla seconda questione

50

Tenuto conto della risposta fornita alla prima questione, non occorre rispondere alla seconda questione.

Sulle spese

51

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

 

L’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera f), di tale direttiva,

 

deve essere interpretato nel senso che:

 

un rifugiato minore non accompagnato residente in uno Stato membro non deve essere non coniugato per acquisire lo status di soggiornante ai fini del ricongiungimento familiare con i suoi ascendenti diretti di primo grado.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il neerlandese.