SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

8 marzo 2022 ( *1 )

Indice

 

I. Contesto normativo

 

A. Diritto in materia di risorse proprie

 

1. Decisioni relative al sistema delle risorse proprie

 

2. Regolamenti relativi alle modalità e alla procedura di messa a disposizione delle risorse proprie

 

3. Regolamento n. 608/2014

 

4. Regolamento n. 1553/89

 

B. Diritto doganale

 

1. Codice doganale comunitario

 

2. Codice doganale dell’Unione

 

3. Regolamento di applicazione

 

4. Regolamento di esecuzione

 

C. Normativa in materia di IVA

 

II. Fatti e procedimento precontenzioso

 

A. Fatti

 

B. Procedimento precontenzioso

 

III. Procedimento dinanzi alla Corte

 

IV. Sul ricorso

 

A. Sulla ricevibilità

 

1. Sulla violazione dei diritti della difesa del Regno Unito nel corso del procedimento precontenzioso e nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Valutazione della Corte

 

2. Sull’insufficienza della base fattuale e giuridica della censura relativa alla violazione del diritto dell’Unione in materia di IVA, in particolare per quanto riguarda il regime doganale 42

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Valutazione della Corte

 

3. Sulla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto, di estoppel e di leale cooperazione

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Valutazione della Corte

 

4. Sull’incompetenza della Corte, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, a conoscere di una domanda della Commissione diretta ad ingiungere ad uno Stato membro di mettere a disposizione un importo di risorse proprie determinato

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Valutazione della Corte

 

5. Sul carattere prematuro e sull’irricevibilità del ricorso per quanto riguarda il periodo che va dal 1o maggio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso a causa dell’emissione dei pareri C 18 Breach vertenti su tale periodo

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Valutazione della Corte

 

B. Nel merito

 

1. Sull’inadempimento degli obblighi in materia di protezione degli interessi finanziari dell’Unione e di lotta contro la frode, nonché degli obblighi risultanti dal diritto doganale dell’Unione

 

a) Sulla violazione dell’articolo 310, paragrafo 6, TFUE e dell’articolo 325 TFUE

 

1) Sugli obblighi imposti agli Stati membri in forza dell’articolo 325 TFUE

 

2) Sulla violazione degli obblighi imposti all’articolo 325 TFUE

 

i) Osservazioni preliminari

 

ii) Richiamo delle caratteristiche essenziali della frode da sottovalutazione in questione

 

iii) Sulla conoscenza da parte del Regno Unito, sin dall’inizio del periodo di infrazione, delle caratteristiche essenziali della frode da sottovalutazione in questione e delle misure efficaci per combatterla

 

iv) Sulla non conformità all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE del sistema di controlli doganali applicato dal Regno Unito nel corso del periodo di infrazione per combattere la frode da sottovalutazione in questione

 

b) Sulla violazione degli obblighi imposti dalla normativa doganale dell’Unione

 

1) Osservazioni preliminari

 

2) Sulla violazione degli obblighi imposti all’articolo 13 del codice doganale comunitario e all’articolo 46 del codice doganale dell’Unione

 

i) Argomenti delle parti

 

ii) Valutazione della Corte

 

3) Sulla violazione degli obblighi imposti all’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione e all’articolo 244 del regolamento di esecuzione

 

4) Sulla violazione degli obblighi imposti all’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e all’articolo 105, paragrafo 3, del codice doganale dell’Unione

 

2. Sull’inadempimento degli obblighi imposti dal diritto dell’Unione in materia di messa a disposizione delle risorse proprie tradizionali costituite dai dazi doganali

 

a) Sulla censura relativa alla violazione da parte del Regno Unito del suo obbligo di principio di messa a disposizione di risorse proprie tradizionali

 

1) Sul principio della responsabilità del Regno Unito per l’assenza di constatazione di perdite di risorse proprie tradizionali dell’Unione

 

2) Sulla responsabilità del Regno Unito per le perdite di risorse proprie dell’Unione accertate negli avvisi C 18 Snake

 

b) Sulla censura relativa alla violazione da parte del Regno Unito del suo obbligo di mettere a disposizione importi determinati di risorse proprie tradizionali

 

1) Sull’argomento del Regno Unito secondo cui la Corte deve anzitutto esaminare la sua stima delle perdite di risorse proprie tradizionali

 

2) Sulla stima da parte della Commissione degli importi di perdite di risorse proprie tradizionali secondo il metodo OLAF-JRC

 

3) Sulla stima da parte del Regno Unito degli importi di perdite di risorse proprie tradizionali secondo il metodo dell’HMRC

 

4) Sull’argomento a carattere generale diretto contro il metodo OLAF-JRC

 

5) Sulla stima dell’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali per il periodo che va dal novembre del 2011 al novembre del 2014

 

6) Sulla stima dell’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali per il periodo che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso

 

i) Sulla critica diretta avverso il metodo OLAF-JRC relativa al fatto che quest’ultimo porterebbe a sovrastimare il volume delle importazioni che devono essere considerate sottovalutate

 

ii) Sulla critica diretta avverso il metodo OLAF-JRC relativa al fatto che esso porterebbe a sovrastimare il valore delle importazioni che devono essere considerate sottovalutate

 

7) Sull’impatto degli avvisi C 18 Breach sulla stima degli importi delle perdite di risorse proprie che la Commissione reclama per il periodo che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso

 

8) Sul tasso di cambio che deve essere applicato per calcolare l’importo delle perdite di risorse proprie

 

9) Conclusione

 

3. Sull’inadempimento degli obblighi in forza della normativa sull’IVA e degli obblighi di mettere a disposizione le risorse proprie corrispondenti

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Valutazione della Corte

 

4. Sull’inadempimento dell’obbligo di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE

 

a) Argomenti delle parti

 

b) Valutazione della Corte

 

Sulle spese

«Inadempimento di uno Stato – Articolo 4, paragrafo 3, TUE – Articolo 310, paragrafo 6, e articolo 325 TFUE – Risorse proprie – Dazi doganali – Imposta sul valore aggiunto (IVA) – Tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea – Lotta contro le frodi – Principio di effettività – Obbligo per gli Stati membri di mettere a disposizione della Commissione europea risorse proprie – Responsabilità finanziaria degli Stati membri in caso di perdite di risorse proprie – Importazioni di prodotti tessili e di calzature provenienti dalla Cina – Frode ampia e sistematica – Criminalità organizzata – Importatori inadempienti – Valore in dogana – Sottovalutazione – Base imponibile dell’IVA – Assenza di controlli doganali sistematici basati su un’analisi dei rischi ed effettuati prima dello svincolo delle merci di cui trattasi – Assenza di costituzione sistematica di garanzie – Metodo utilizzato per stimare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali relative alle importazioni che presentano un rischio elevato di sottovalutazione – Metodo statistico basato su prezzi medi stabiliti a livello dell’Unione – Ammissibilità»

Nella causa C‑213/19,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 7 marzo 2019,

Commissione europea, rappresentata da L. Flynn e F. Clotuche-Duvieusart, in qualità di agenti,

ricorrente,

contro

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente da F. Shibli, S. Brandon, Z. Lavery e S. McCrory, poi da F. Shibli e S. McCrory, in qualità di agenti, assistiti da J. Eadie e I. Rogers, QC, nonché da S. Pritchard, T. Sebastian e R. Hill, barristers,

convenuto,

sostenuto da:

Regno del Belgio, rappresentato da J.-C. Halleux, P. Cottin e S. Baeyens, in qualità di agenti;

Repubblica di Estonia, rappresentata da N. Grünberg, in qualità di agente;

Repubblica ellenica, rappresentata da M. Tassopoulou, in qualità di agente;

Repubblica di Lettonia, rappresentata inizialmente da K. Pommere, V. Soņeca e I. Kucina, poi da Pommere, in qualità di agenti;

Repubblica portoghese, rappresentata da P. Barros da Costa, S. Jaulino, L. Inez Fernandes e P. Rocha, in qualità di agenti;

Repubblica slovacca, rappresentata da B. Ricziová, in qualità di agente,

intervenienti,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal (relatrice), I. Jarukaitis, N. Jääskinen, I. Ziemele e J. Passer, presidenti di sezione, J.-C. Bonichot, T. von Danwitz, M. Safjan, A. Kumin e N. Wahl, giudici,

avvocato generale: P. Pikamäe,

cancelliere: A. Gaudissart, cancelliere aggiunto,

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 dicembre 2020,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 settembre 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di constatare che:

non avendo preso in considerazione gli importi corretti dei dazi doganali e non avendo messo a disposizione di tale istituzione gli importi corretti delle risorse proprie tradizionali e delle risorse proprie provenienti dall’imposta sul valore aggiunto (IVA) relative a talune importazioni di prodotti tessili e calzature provenienti dalla Cina (in prosieguo: le «importazioni interessate»), il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è venuto meno agli obblighi a esso incombenti in forza degli articoli 2 e 8 della decisione 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea (GU 2014, L 168, pag. 105), degli articoli 2 e 8 della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU 2007, L 163, pag. 17), degli articoli 2, 6, 9, 10, 12 e 13 del regolamento (UE, Euratom) n. 609/2014 del Consiglio, del 26 maggio 2014, concernente le modalità e la procedura di messa a disposizione delle risorse proprie tradizionali e delle risorse proprie basate sull’IVA e sull’RNL, nonché le misure per far fronte al fabbisogno di tesoreria (GU 2014, L 168, pag. 39), come modificato dal regolamento (UE, Euratom) 2016/804 del Consiglio del 17 maggio 2016 (GU 2016, L 132, pag. 85) (in prosieguo: il «regolamento n. 609/2014»), degli articoli 2, 6, 9, 10, 11 e 17 del regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000 del Consiglio, del 22 maggio 2000, recante applicazione della decisione 94/728/CE, Euratom relativa al sistema delle risorse proprie della Comunità (GU 2000, L 130, pag. 1), dell’articolo 2 del regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89 del Consiglio, del 29 maggio 1989, concernente il regime uniforme definitivo di riscossione delle risorse proprie provenienti dell’imposta sul valore aggiunto (GU 1989, L 155, pag. 9), nonché dell’articolo 105, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1; in prosieguo: il «codice doganale dell’Unione»), e dell’articolo 220, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 648/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 aprile 2005 (GU 2005, L 117, pag. 13) (in prosieguo: il «codice doganale comunitario»),

in conseguenza della violazione degli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dell’articolo 325 e dell’articolo 310, paragrafo 6, TFUE, degli articoli 3 e 46 del codice doganale dell’Unione, dell’articolo 13 del codice doganale comunitario, dell’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento n. 2913/92 (GU 1993, L 253, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 3254/1994 della Commissione, del 19 dicembre 1994 (GU 1994, L 346, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento di applicazione»), dell’articolo 244 del regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447 della Commissione del 24 novembre 2015 recante modalità di applicazione di talune disposizioni del regolamento n. 952/2013 (GU 2015, L 343, pag. 558; in prosieguo: il «regolamento di esecuzione»), dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere b) e d), degli articoli 83 e da 85 a 87, nonché dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1, e rettifica in GU 2007, L 335, pag. 60), come modificata dalla direttiva 2009/69/CE del Consiglio, del 25 giugno 2009 (GU 2009, L 175, pag. 12) (in prosieguo: la «direttiva 2006/112»),

fermo restando che le perdite di risorse proprie tradizionali corrispondenti che devono essere messe a disposizione della Commissione, diminuite delle spese di riscossione, sono pari a:

EUR 496025324,30 nel 2017 (fino all’11 ottobre 2017 incluso);

EUR 646809443,80 nel 2016;

EUR 535290329,16 nel 2015;

EUR 480098912,45 nel 2014;

EUR 325230822,55 nel 2013;

EUR 173404943,81 nel 2012;

EUR 22777312,79 nel 2011;

non comunicandole tutte le informazioni necessarie al fine di stabilire l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali e non fornendo, come richiesto, il contenuto del parere del servizio giuridico dell’Her Majesty’s Revenue & Customs (amministrazione tributaria e doganale del Regno Unito; in prosieguo: l’«HMRC») o i motivi delle decisioni di annullamento delle obbligazioni doganali accertate, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi a esso incombenti ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE e dell’articolo 2, paragrafo 2 e paragrafo 3, lettera d), del regolamento (UE, Euratom) n. 608/2014 del Consiglio, del 26 maggio 2014, che stabilisce misure di esecuzione del sistema delle risorse proprie dell’Unione europea (GU 2014, L 168, pag. 29).

I. Contesto normativo

A. Diritto in materia di risorse proprie

1.   Decisioni relative al sistema delle risorse proprie

2

Per quanto riguarda il periodo che va dal novembre del 2011 all’11 ottobre 2017 incluso (in prosieguo: il «periodo di infrazione»), per il quale, nell’ambito del presente procedimento, la Commissione addebita al Regno Unito diverse violazioni del diritto dell’Unione, due decisioni relative al sistema delle risorse proprie dell’Unione erano applicabili in via successiva, ossia la decisione 2007/436 e, a decorrere dal 1o gennaio 2014, la decisione 2014/335.

3

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), della decisione 2014/335, il cui tenore letterale è sostanzialmente identico a quello dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), della decisione 2007/436, costituiscono risorse proprie iscritte nel bilancio dell’Unione le entrate provenienti, rispettivamente, «dalle risorse proprie tradizionali costituite da (...) dazi della tariffa doganale comune e altri dazi fissati o da fissare da parte delle istituzioni dell’Unione sugli scambi con i paesi terzi» e «dall’applicazione di un’aliquota uniforme, valida per tutti gli Stati membri, agli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo le regole dell’Unione».

4

L’articolo 8, paragrafo 1, di tali decisioni prevede, al suo primo comma, che i dazi della tariffa doganale comune, in quanto risorse proprie dell’Unione, sono riscossi dagli Stati membri conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali, eventualmente adattate alle esigenze della normativa dell’Unione 8, e, al suo terzo comma, che gli Stati membri mettono a disposizione della Commissione le risorse di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettere a), b) e c), di dette decisioni.

2.   Regolamenti relativi alle modalità e alla procedura di messa a disposizione delle risorse proprie

5

Per quanto riguarda il periodo di infrazione, due regolamenti relativi alla messa a disposizione delle risorse proprie dell’Unione sono stati applicabili in via successiva, ossia il regolamento n. 1150/2000 e, a decorrere dal 1o gennaio 2014, il regolamento n. 609/2014.

6

L’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 609/2014, il cui contenuto è identico, in sostanza, a quello dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000, così recita:

«Ai fini dell’applicazione del presente regolamento, un diritto dell’Unione sulle risorse proprie tradizionali di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione [2014/335] è accertato non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo».

7

L’articolo 6, paragrafo 1, e paragrafo 3, commi primo e secondo, del regolamento n. 609/2014, il cui contenuto è identico, in sostanza, a quello dell’articolo 6, paragrafo 1, e paragrafo 3, lettere a) e b), del regolamento n. 1150/2000, dispone quanto segue:

«1.   Presso il Tesoro di ogni Stato membro o l’organismo designato da quest’ultimo viene tenuta una contabilità delle risorse proprie, ripartita secondo la natura delle risorse.

(...)

3.   Con riserva del secondo comma del presente paragrafo, i diritti accertati conformemente all’articolo 2 sono riportati nella contabilità [comunemente indicata come “contabilità A”] al più tardi il primo giorno feriale dopo il diciannovesimo giorno del secondo mese successivo a quello nel corso del quale ha avuto luogo l’accertamento.

I diritti accertati e non riportati nella contabilità di cui al primo comma, poiché non sono stati ancora riscossi e non è stata fornita alcuna garanzia, sono iscritti in una contabilità separata [comunemente indicata come “contabilità B”] entro il termine previsto al primo comma. Gli Stati membri possono procedere nello stesso modo allorché i diritti accertati e coperti da garanzie formano oggetto di contestazione e possono subire variazioni in seguito alle controversie sorte.

(...)».

8

Nella sua versione iniziale, l’articolo 9, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 609/2014, il cui contenuto era in sostanza identico a quello dell’articolo 9, paragrafo 1, primo comma, del regolamento n. 1150/2000, disponeva quanto segue:

«Secondo le modalità definite dall’articolo 10, le risorse proprie vengono accreditate da ogni Stato membro sul conto aperto a tale scopo a nome della Commissione presso il Tesoro o l’organismo da esso designato».

9

Dal 1o ottobre 2016, tale disposizione così recita:

«Secondo le modalità definite dagli articoli 10, 10 bis e 10 ter, le risorse proprie vengono accreditate da ogni Stato membro sul conto aperto a tale scopo a nome della Commissione presso il Tesoro o la banca centrale nazionale. Fatta salva l’applicazione degli interessi negativi di cui al terzo comma, possono essere operati addebiti su tale conto soltanto dietro istruzione della Commissione».

10

Nella sua versione iniziale, l’articolo 12, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 609/2014, il cui contenuto era identico, in sostanza, a quello dell’articolo 11, paragrafi 1 e 3, del regolamento n. 1150/2000, così recitava:

«1.   Ogni ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all’articolo 9, paragrafo 1, dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di interessi di mora.

(...)

3.   Per gli Stati membri che non partecipano all’Unione economica e monetaria, il tasso è pari al tasso applicato il primo giorno del mese in questione dalle rispettive banche centrali alle loro operazioni principali di rifinanziamento, maggiorato di due punti percentuali o, per gli Stati membri per i quali il tasso della banca centrale non è disponibile, il tasso più equivalente applicato il primo giorno del mese in questione sui mercati monetari dei singoli Stati membri, maggiorato di due punti percentuali.

Tale tasso è aumentato di 0,25 punti per ogni mese di ritardo. Il tasso maggiorato si applica all’intero periodo di mora».

11

A decorrere dal 1o ottobre 2016, l’articolo 12, paragrafo 5, del regolamento n. 609/2014, il quale sostituisce l’articolo 12, paragrafo 3, dello stesso, dispone quanto segue:

«Per gli Stati membri che non partecipano all’Unione economica e monetaria il tasso di interesse è pari al tasso del primo giorno del mese in questione applicato dalle banche centrali alle loro operazioni principali di rifinanziamento o allo zero per cento, a seconda del tasso più elevato, maggiorato di 2,5 punti percentuali. Per gli Stati membri per i quali il tasso della banca centrale non è disponibile, il tasso di interesse è pari al tasso più equivalente applicato il primo giorno del mese in questione sui mercati monetari dei singoli Stati membri o allo zero per cento, a seconda del tasso più elevato, maggiorato di 2,5 punti percentuali.

Tale tasso è aumentato di 0,25 punti percentuali per ogni mese di ritardo.

La maggiorazione totale a norma del primo e secondo comma non supera 16 punti percentuali. Il tasso maggiorato si applica all’intero periodo di mora».

12

L’articolo 13 del regolamento n. 609/2014, intitolato «Importi irrecuperabili», il cui contenuto è identico, in sostanza, a quello dell’articolo 17 del regolamento n. 1150/2000, prevede quanto segue:

«1.   Gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste dal presente regolamento.

2.   Gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati a norma dell’articolo 2 che risultano irrecuperabili per uno dei seguenti motivi:

a)

per cause di forza maggiore;

b)

per altri motivi che non sono loro imputabili.

Gli importi di diritti accertati sono dichiarati irrecuperabili con decisione dell’autorità amministrativa competente che constata l’impossibilità del recupero.

Gli importi di diritti accertati sono considerati irrecuperabili al più tardi dopo un periodo di cinque anni dalla data alla quale l’importo è stato accertato a norma dell’articolo 2 oppure, in caso di ricorso amministrativo o giudiziario, dalla pronuncia dalla notifica o dalla pubblicazione della decisione definitiva.

(...)

3.   Nei tre mesi che seguono la decisione amministrativa di cui al paragrafo 2 del presente articolo o secondo la scadenza di cui allo stesso paragrafo, gli Stati membri trasmettono alla Commissione una comunicazione contenente gli elementi d’informazione che riguardano i casi d’applicazione del paragrafo 2 del presente articolo, sempre che l’importo dei diritti accertati in causa superi 50000 EUR.

Tale comunicazione contiene tutte le informazioni atte a permettere un esame approfondito dei motivi, di cui al paragrafo 2, lettere a) e b), del presente articolo, che hanno impedito allo Stato membro interessato di mettere a disposizione gli importi in causa e le misure adottate da quest’ultimo per garantire il recupero nel caso o nei casi in questione.

Tale comunicazione è effettuata su un modello stabilito dalla Commissione. A tal fine la Commissione adotta atti di esecuzione conformemente alla procedura consultiva di cui all’articolo 16, paragrafo 2.

4.   La Commissione comunica entro sei mesi, a decorrere dalla ricezione della comunicazione di cui al paragrafo 3, le sue osservazioni allo Stato membro interessato.

Quando la Commissione ritiene necessario chiedere informazioni complementari, il termine di sei mesi inizia a decorrere dalla ricezione delle informazioni complementari richieste».

3.   Regolamento n. 608/2014

13

Per quanto riguarda il periodo di infrazione iniziato il 1o gennaio 2014, l’articolo 2 del regolamento n. 608/2014, intitolato «Misure di controllo e di supervisione», dispone quanto segue:

«(...)

2.   Gli Stati membri prendono tutte le misure necessarie affinché siano messe a disposizione della Commissione le risorse proprie di cui all’articolo 2, paragrafo 1, della decisione [2014/335].

3.   Ove le misure di controllo e di supervisione riguardino le risorse proprie tradizionali di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a) della decisione [2014/335]:

a)

gli Stati membri effettuano i controlli e le indagini riguardanti l’accertamento e la messa a disposizione di dette risorse proprie;

(...)

c)

gli Stati membri associano la Commissione, se questa lo chiede, ai controlli che essi effettuano. Ove la Commissione sia associata a un controllo, essa ha accesso, nella misura necessaria ai fini dell’applicazione del presente regolamento, ai documenti giustificativi riguardanti l’accertamento e la messa a disposizione delle risorse proprie e ad ogni altro documento correlato ai documenti suddetti;

d)

la Commissione può effettuare essa stessa controlli in loco. Gli agenti delegati dalla Commissione a effettuare tali controlli hanno accesso ai documenti come stabilito per i controlli di cui alla lettera c). Gli Stati membri agevolano tali controlli;

(...)».

4.   Regolamento n. 1553/89

14

L’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1553/89 prevede quanto segue:

«La base delle risorse IVA è determinata prendendo in considerazione le operazioni imponibili di cui all’articolo 2 della [sesta] direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – [S]istema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme [(GU L 145, pag. 1)] (...)».

15

L’articolo 3, primo comma, di tale regolamento, così recita:

«Per un dato anno civile e fatti salvi gli articoli 5 e 6, la base delle risorse IVA è calcolata dividendo il totale delle entrate nette di IVA incassate dallo Stato membro nel corso di detto anno per l’aliquota secondo la quale l’IVA è riscossa durante il medesimo anno».

B. Diritto doganale

1.   Codice doganale comunitario

16

Il codice doganale comunitario è applicabile alle importazioni interessate che sono state effettuate nel corso della parte del periodo di infrazione anteriore al 1o maggio 2016.

17

L’articolo 13 di tale codice disponeva quanto segue:

«1.   L’autorità doganale può, alle condizioni stabilite dalle disposizioni in vigore, effettuare tutti i controlli ritenuti necessari per garantire la corretta applicazione della legislazione doganale e di altre legislazioni che disciplinano l’entrata, l’uscita, il transito, il trasferimento e l’utilizzazione finale di merci in circolazione tra la Comunità [europea] e i paesi terzi e la presenza di merci non aventi posizione comunitaria. Controlli doganali ai fini della corretta applicazione della legislazione comunitaria possono essere effettuati in un paese terzo qualora un accordo internazionale lo preveda.

2.   I controlli doganali, diversi dai controlli a campione, si fondano sull’analisi dei rischi, utilizzando procedimenti informatici, al fine di identificare e quantificare i rischi e di sviluppare le misure necessarie per effettuare una valutazione degli stessi, sulla base di criteri elaborati a livello nazionale, comunitario e, se disponibili, internazionale.

Si ricorre alla procedura del comitato per definire un quadro comune in materia di gestione dei rischi e per stabilire criteri comuni e settori di controllo prioritari.

Gli Stati membri, in cooperazione con la Commissione, instaurano un sistema elettronico per l’attuazione della gestione dei rischi.

3.   Se espletati da autorità diverse dalle autorità doganali, i controlli sono effettuati in stretto coordinamento con queste ultime, se possibile nel medesimo luogo e nel medesimo momento.

(...)».

18

Il titolo II di detto codice conteneva un capitolo 3 intitolato «Valore in dogana delle merci», composto dagli articoli da 28 a 36 del medesimo.

19

L’articolo 29 dello stesso codice prevedeva quanto segue:

«1.   Il valore in dogana delle merci importate è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando siano vendute per l’esportazione a destinazione del territorio doganale della Comunità, previa eventuale rettifica effettuata conformemente agli articoli 32 e 33 (...)

(...)

2.   

a)

Per stabilire se il valore di transazione sia accettabile ai fini dell’applicazione del paragrafo 1, il fatto che il compratore e il venditore siano legati non costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare inaccettabile detto valore. Se necessario, le circostanze proprie della vendita sono esaminate e il valore di transazione ammesso, purché tali legami non abbiano influito sul prezzo. (...)

(...)

3.   

a)

Il prezzo effettivamente pagato o da pagare è il pagamento totale effettuato o da effettuare da parte del compratore al venditore, o a beneficio di quest’ultimo, per le merci importate e comprende la totalità dei pagamenti eseguiti o da eseguire, come condizione della vendita delle merci importate, dal compratore al venditore, o dal compratore a una terza persona, per soddisfare un obbligo del venditore. (...)

(...)».

20

L’articolo 30 del codice doganale comunitario prevedeva quanto segue:

«1.   Quando il valore in dogana non può essere determinato ai sensi dell’articolo 29 si ha riguardo, nell’ordine, alle lettere a), b), c) e d) del paragrafo 2 fino alla prima di queste lettere che consenta di determinarlo (...)

2.   I valori in dogana determinati ai sensi del presente articolo sono i seguenti:

a)

valore di transazione di merci identiche, vendute per l’esportazione a destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare;

b)

valore di transazione di merci similari, vendute per l’esportazione a destinazione della Comunità ed esportate nello stesso momento o pressappoco nello stesso momento delle merci da valutare;

c)

valore fondato sul prezzo unitario corrispondente alle vendite nella Comunità delle merci importate o di merci identiche o similari importate nel quantitativo complessivo maggiore, effettuate a persone non legate ai venditori;

d)

valore calcolato (...)

(...)».

21

L’articolo 31 di tale codice così recitava:

«1.   Se il valore in dogana delle merci non può essere determinato ai sensi degli articoli 29 e 30, esso viene stabilito, sulla base dei dati disponibili nella Comunità, ricorrendo a mezzi ragionevoli compatibili con i principi e con le disposizioni generali:

dell’accordo relativo all’attuazione dell’articolo VII dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 [(GU 1994, L 336, pag. 103), figurante all’allegato 1 A dell’Accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (GU 1994, L 336, pag. 3)],

dell’articolo VII dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio del 1994 e

delle disposizioni del presente capitolo.

2.   Il valore in dogana ai sensi del paragrafo 1 non si basa:

a)

sul prezzo di vendita, nella Comunità, di merci prodotte nella Comunità,

b)

sul sistema che prevede l’accettazione, ai fini doganali, del più elevato dei due valori possibili,

c)

sul prezzo di merci sul mercato interno del paese di esportazione,

d)

sul costo di produzione, diverso dai valori calcolati che sono stati determinati per merci identiche o similari conformemente all’articolo 30, paragrafo 2, lettera d),

e)

su prezzi per l’esportazione a destinazione di un paese non compreso nel territorio doganale della Comunità,

f)

su valori in dogana minimi, oppure

g)

su valori arbitrari o fittizi».

22

L’articolo 68 di detto codice disponeva quanto segue:

«Per controllare le dichiarazioni da essa accettate, l’autorità doganale può procedere:

a)

ad una verifica documentale riguardante, nella fattispecie, la dichiarazione e i documenti ad essa allegati. L’autorità doganale può chiedere al dichiarante di presentarle altri documenti per controllare l’esattezza delle indicazioni figuranti nella dichiarazione,

b)

alla visita delle merci e, ove occorra, ad un prelievo di campioni per analisi o per un controllo approfondito».

23

L’articolo 71 dello stesso codice così recitava:

«1.   I risultati della verifica della dichiarazione servono di base per l’applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale al quale le merci sono vincolate.

2.   Quando non si proceda alle verifica della dichiarazione, l’applicazione delle disposizioni di cui al paragrafo 1 viene effettuata in base alle indicazioni figuranti nella dichiarazione».

24

L’articolo 217, paragrafo 1, del codice doganale comunitario prevedeva quanto segue:

«Ogni importo di dazi all’importazione o di dazi all’esportazione risultante da un’obbligazione doganale (…) deve essere calcolato dall’autorità doganale non appena disponga degli elementi necessari e da questa iscritto nei registri contabili o in qualsiasi altro supporto che ne faccia le veci (contabilizzazione)».

25

L’articolo 218, paragrafo 1, primo comma, di tale codice, così disponeva:

«Quando un’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione della dichiarazione di una merce per un regime doganale diverso dall’ammissione temporanea in esonero parziale dai dazi all’importazione o da qualsiasi altro atto che abbia gli stessi effetti giuridici di tale accettazione, la contabilizzazione dell’importo corrispondente a questa obbligazione deve intervenire non appena esso sia stato calcolato e, al più tardi, due giorni dopo lo svincolo della merce».

26

L’articolo 220, paragrafo 1, di detto codice disponeva quanto segue:

«Quando l’importo dei dazi risultante da un’obbligazione doganale non sia stato contabilizzato ai sensi degli articoli 218 e 219 o sia stato contabilizzato ad un livello inferiore all’importo legalmente dovuto, la contabilizzazione dei dazi da riscuotere o che rimangono da riscuotere deve avvenire entro due giorni dalla data in cui l’autorità doganale si è resa conto della situazione in atto ed è in grado di calcolare l’importo legalmente dovuto e di determinarne il debitore (contabilizzazione a posteriori). Questo termine può essere prorogato conformemente all’articolo 219».

27

L’articolo 221 dello stesso codice enunciava quanto segue:

«1.   L’importo dei dazi deve essere comunicato al debitore secondo modalità appropriate, non appena sia stato contabilizzato.

(...)

3.   La comunicazione al debitore non può più essere effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale. Detto termine è sospeso a partire dal momento in cui è presentato un ricorso a norma dell’articolo 243 e per la durata del relativo procedimento.

4.   Qualora l’obbligazione doganale sorga a seguito di un atto che era nel momento in cui è stato commesso perseguibile penalmente, la comunicazione al debitore può essere effettuata, alle condizioni previste dalle disposizioni vigenti, dopo la scadenza del termine di cui al paragrafo 3».

2.   Codice doganale dell’Unione

28

Il codice doganale dell’Unione è applicabile alle importazioni interessate che sono state effettuate nel corso della parte del periodo di infrazione iniziato il 1o maggio 2016.

29

L’articolo 3 di tale codice dispone quanto segue:

«Le autorità doganali hanno la responsabilità primaria della supervisione degli scambi internazionali dell’Unione in modo da contribuire al commercio leale e libero, all’attuazione degli aspetti esterni del mercato interno, della politica commerciale comune e delle altre politiche dell’Unione comuni riguardanti il commercio e alla sicurezza dell’intera catena logistica. Le autorità doganali mettono in atto misure intese in particolare ai seguenti obiettivi:

a)

tutelare gli interessi finanziari dell’Unione e dei suoi Stati membri;

b)

tutelare l’Unione dal commercio sleale e illegale sostenendo nel contempo le attività commerciali legittime;

c)

garantire la sicurezza dell’Unione e dei suoi residenti nonché la tutela dell’ambiente, ove necessario in stretta cooperazione con altre autorità, e

d)

mantenere un equilibrio adeguato fra i controlli doganali e l’agevolazione degli scambi legittimi».

30

L’articolo 46 di detto codice, intitolato «Gestione del rischio e controlli doganali», così recita:

«1.   Le autorità doganali possono effettuare qualsiasi controllo doganale che ritengono necessario.

Tali controlli doganali possono consistere, in particolare, nella visita delle merci, nel prelievo di campioni, nella verifica dell’accuratezza e della completezza delle informazioni fornite in dichiarazioni o notifiche e dell’esistenza, dell’autenticità, dell’accuratezza e della validità di documenti, nell’esame della contabilità degli operatori economici e di altre scritture, nel controllo dei mezzi di trasporto, nonché nel controllo del bagaglio e di altre merci che le persone portano con sé o su di sé e nello svolgimento di indagini ufficiali e altri atti simili.

2.   I controlli doganali diversi dai controlli casuali si basano principalmente sull’analisi dei rischi effettuata mediante procedimenti informatici al fine di identificare e valutare i rischi e di mettere a punto le contromisure necessarie, sulla base di criteri elaborati a livello nazionale, unionale e, se del caso, internazionale.

3.   I controlli doganali sono effettuati nell’ambito di un quadro comune in materia di gestione del rischio, basato sullo scambio di informazioni attinenti ai rischi e dei risultati dell’analisi dei rischi tra le amministrazioni doganali, che stabilisce criteri e norme comuni per la valutazione del rischio, misure di controllo e settori di controllo prioritari.

I controlli basati su tali informazioni e criteri sono effettuati senza pregiudizio degli altri controlli effettuati conformemente al paragrafo 1 o alle altre disposizioni in vigore.

4.   Le autorità doganali applicano una gestione del rischio intesa a differenziare i livelli di rischio connessi alle merci oggetto di controllo o di vigilanza doganale e a stabilire se sia necessario sottoporre tali merci a controlli doganali specifici e, in caso affermativo, in quale luogo.

La gestione del rischio comprende attività quali raccolta di dati e informazioni, analisi e valutazione dei rischi, prescrizione e adozione di misure e regolare monitoraggio ed esame di tale processo e dei suoi risultati, sulla base di fonti e strategie internazionali, unionali e nazionali;

5.   Le autorità doganali si scambiano informazioni attinenti ai rischi e gli esiti delle analisi dei rischi se:

a)

l’autorità doganale giudica che i rischi siano significativi e che richiedano un controllo doganale e i risultati del controllo indicano che l’evento che determina il rischio si è verificato; oppure;

b)

i risultati del controllo non indicano che l’evento che determina il rischio si è verificato, ma le autorità doganali ritengono che la minaccia costituisca un rischio elevato altrove nell’Unione.

6.   Per stabilire i criteri e le norme comuni di rischio, le misure di controllo e i settori di controllo prioritari di cui al paragrafo 3 si tiene conto di tutti i fattori seguenti:

a)

la proporzionalità rispetto al rischio;

b)

l’urgenza della necessaria applicazione dei controlli;

c)

la probabile incidenza sul flusso di scambi, sui singoli Stati membri e sulle risorse destinate ai controlli.

7.   I criteri e le norme comuni di rischio di cui al paragrafo 3 comprendono tutti gli elementi seguenti:

a)

una descrizione dei rischi;

b)

i fattori o gli indicatori di rischio da utilizzare per scegliere le merci o gli operatori economici da sottoporre a controllo doganale;

c)

la natura dei controlli doganali che devono essere effettuati dalle autorità doganali;

d)

la durata dell’applicazione dei controlli doganali di cui alla lettera c).

8.   I settori di controllo prioritari comprendono regimi doganali particolari, tipi di merci, percorsi delle merci, modi di trasporto o operatori economici che sono oggetto di livelli accresciuti di analisi del rischio e di controlli doganali per un determinato periodo, fatti salvi gli altri controlli abitualmente eseguiti dalle autorità doganali».

31

L’articolo 53 dello stesso codice, intitolato «Conversione valutaria», dispone quanto segue al suo paragrafo 1:

«Le autorità competenti pubblicano e/o rendono disponibile su Internet il tasso di cambio applicabile quando la conversione valutaria è necessaria per una delle seguenti ragioni:

(...)

b)

in quanto il valore dell’euro è richiesto nelle valute nazionali al fine di determinare la classificazione tariffaria delle merci e l’importo del dazio all’importazione e all’esportazione, comprese le soglie di valore nella tariffa doganale comune».

32

Gli articoli 70 e 74 del codice doganale dell’Unione prevedono le norme relative al valore in dogana delle merci, il cui contenuto è identico, in sostanza a quello delle norme previste agli articoli da 29 a 31 del codice doganale comunitario.

33

L’articolo 103 di detto codice, intitolato «Prescrizione dell’obbligazione doganale», ai suoi paragrafi 1 e 2 così dispone:

«1.   Nessuna obbligazione doganale può essere notificata al debitore dopo la scadenza di un termine di tre anni dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale.

2.   Quando l’obbligazione doganale sorge in seguito a un atto che nel momento in cui è stato commesso era perseguibile penalmente, il termine di tre anni di cui al paragrafo 1 è esteso a minimo cinque anni e massimo dieci anni conformemente al diritto nazionale».

34

L’articolo 105 dello stesso codice, intitolato «Termine per la contabilizzazione», al paragrafo 3 enuncia quanto segue:

«Quando l’obbligazione doganale sorge in circostanze diverse da quelle di cui al paragrafo 1, l’importo dei dazi all’importazione o all’esportazione dovuti è contabilizzato entro quattordici giorni dalla data in cui le autorità doganali sono in grado di determinare l’importo dei dazi all’importazione o all’esportazione in questione e di prendere una decisione».

35

L’articolo 191 di tale codice, intitolato «Risultati della verifica», così dispone:

«1.   I risultati della verifica della dichiarazione in dogana sono utilizzati per l’applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale al quale le merci sono vincolate.

2.   Quando non si procede alla verifica della dichiarazione in dogana, il paragrafo 1 si applica in base alle indicazioni figuranti in tale dichiarazione.

3.   I risultati della verifica effettuata dalle autorità doganali hanno la stessa forza probante in tutto il territorio doganale dell’Unione».

3.   Regolamento di applicazione

36

Il regolamento di applicazione è applicabile alle importazioni interessate che sono state effettuate nel corso della parte del periodo di infrazione anteriore al 1o maggio 2016.

37

L’articolo 181 bis di tale regolamento di applicazione così recita:

«1.   Le autorità doganali non sono tenute a determinare il valore in dogana delle merci importate in base al metodo del valore di transazione se, in esito alla procedura di cui al paragrafo 2, hanno fondati dubbi che il valore dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare ai sensi dell’articolo 29 del codice doganale [comunitario].

2.   Le autorità doganali, in presenza dei dubbi di cui al paragrafo 1, possono richiedere che siano fornite delle informazioni complementari tenuto conto di quanto stabilito all’articolo 178, paragrafo 4. Se tali dubbi dovessero persistere, le autorità doganali, prima di adottare una decisione definitiva, sono tenute ad informare la persona interessata, per iscritto a sua richiesta, dei motivi sui quali questi dubbi sono fondati, concedendole una ragionevole possibilità di rispondere adeguatamente. La decisione definitiva con la relativa motivazione è comunicata alla persona interessata per iscritto».

38

L’articolo 248, paragrafo 1, di detto regolamento di applicazione dispone quanto segue:

«La concessione dello svincolo dà luogo alla contabilizzazione dei dazi all’importazione determinati sulla base degli elementi della dichiarazione. Quando l’autorità doganale ritenga che i controlli intrapresi possono condurre alla determinazione di un importo di dazi superiore a quello risultante dagli elementi della dichiarazione, essa esige anche la costituzione di una garanzia sufficiente a coprire la differenza tra l’importo risultante dagli elementi della dichiarazione e quello di cui le merci possono in definitiva essere passibili. Tuttavia, il dichiarante ha la facoltà, invece di costituire una garanzia, di richiedere la contabilizzazione immediata dell’importo dei dazi cui possono in definitiva essere soggette le merci».

4.   Regolamento di esecuzione

39

Il regolamento di esecuzione è applicabile alle importazioni interessate che sono state effettuate nel corso della parte del periodo di infrazione iniziata il 1o maggio 2016.

40

L’articolo 48 di tale regolamento di esecuzione, intitolato «Disposizioni relative al tasso di cambio dei contingenti tariffari», prevede quanto segue al suo paragrafo 1:

«Il valore dell’euro, ove richiesto in applicazione dell’articolo 53, paragrafo 1, lettera b), del codice [doganale dell’Unione], è fissato una volta al mese.

Il tasso di cambio da utilizzare è l’ultimo tasso di cambio fissato dalla Banca centrale europea [(BCE)] prima del penultimo giorno del mese e si applica per tutto il mese successivo.

Tuttavia, se il tasso applicabile all’inizio del mese differisce di oltre il 5% dal tasso fissato dalla [BCE] prima del 15 dello stesso mese, quest’ultimo tasso si applica a decorrere dal 15 e fino alla fine del mese in questione».

41

L’articolo 140 di detto regolamento di esecuzione, intitolato «Mancata accettazione dei valori di transazione dichiarati», dispone quanto segue:

«1.   Nei casi in cui le autorità doganali abbiano fondati dubbi sul fatto che il valore di transazione dichiarato rappresenti l’importo totale pagato o da pagare di cui all’articolo 70, paragrafo 1, del codice [doganale dell’Unione], esse possono chiedere al dichiarante di fornire informazioni supplementari.

2.   Se i dubbi non sono dissipati, le autorità doganali possono decidere che il valore delle merci non può essere determinato a norma dell’articolo 70, paragrafo 1, del codice [doganale dell’Unione]».

42

L’articolo 144 dello stesso regolamento di esecuzione, intitolato «Valore determinato sulla base dei dati disponibili (metodo “fall‑back”)», così recita:

«1.   Per determinare il valore in dogana ai sensi dell’articolo 74, paragrafo 3, del codice [doganale dell’Unione], può essere utilizzata una ragionevole flessibilità nell’applicazione dei metodi previsti agli articoli 70 e 74, paragrafo 2, del codice [doganale dell’Unione]. Il valore così determinato si basa, nella maggior misura possibile, su valori in dogana determinati in precedenza.

2.   Quando il valore in dogana non può essere determinato a norma del paragrafo 1, vengono utilizzati altri metodi appropriati. In tal caso, il valore in dogana non viene determinato sulla base di uno dei seguenti elementi:

a)

il prezzo di vendita, all’interno del territorio doganale dell’Unione, di merci prodotte nel territorio doganale dell’Unione;

b)

un sistema in base al quale il più elevato dei due valori possibili è utilizzato per la determinazione del valore in dogana;

c)

il prezzo di merci sul mercato interno del paese di esportazione;

d)

il costo di produzione, diverso dai valori calcolati che sono stati determinati per merci identiche o similari a norma dell’articolo 74, paragrafo 2, lettera d), del codice;

e)

i prezzi all’esportazione verso un paese terzo;

f)

i valori in dogana minimi;

g)

valori arbitrari o fittizi».

43

L’articolo 244 del regolamento di esecuzione, intitolato «Costituzione di una garanzia», articolo volto ad attuare l’articolo 191 del codice doganale dell’Unione, prevede quanto segue:

«Qualora le autorità doganali ritengano che la verifica della dichiarazione in dogana possa comportare l’esigibilità di un importo di dazi all’importazione o all’esportazione o di altri oneri più elevato rispetto a quello risultante dagli elementi della dichiarazione, lo svincolo delle merci è subordinato alla costituzione di una garanzia sufficiente a coprire la differenza tra l’importo risultante dagli elementi della dichiarazione e quello di cui le merci possono in definitiva essere passibili.

Tuttavia, il dichiarante ha la facoltà, invece di costituire una garanzia, di richiedere la notifica immediata del debito doganale a cui possono in definitiva essere soggette le merci».

C. Normativa in materia di IVA

44

L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 prevede quanto segue:

«Sono soggette all’IVA le operazioni seguenti:

(...)

b)

gli acquisti intracomunitari di beni effettuati a titolo oneroso nel territorio di uno Stato membro:

i)

da un soggetto passivo che agisce in quanto tale o da un ente non soggetto passivo, quando il venditore è un soggetto passivo che agisce in quanto tale (...);

(...)

(...)

d)

le importazioni di beni».

45

L’articolo 83 di tale direttiva così recita:

«Per gli acquisti intracomunitari di beni la base imponibile è costituita dagli stessi elementi stabiliti per determinare, conformemente al capo 2, la base imponibile della cessione degli stessi beni nel territorio dello Stato membro. In particolare, per le operazioni assimilate agli acquisti intracomunitari di beni di cui agli articoli 21 e 22, la base imponibile è costituita dal prezzo di acquisto dei beni o di beni simili, o, in mancanza del prezzo di acquisto, dal prezzo di costo, determinati nel momento in cui si effettuano tali operazioni».

46

L’articolo 85 di detta direttiva dispone quanto segue:

«Per le importazioni di beni, la base imponibile è costituita dal valore definito come valore in dogana dalle disposizioni comunitarie in vigore».

47

L’articolo 86, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 così recita:

«Devono essere compresi nella base imponibile, ove non vi siano già compresi, gli elementi seguenti:

a)

le imposte, i dazi, i prelievi e le altre tasse dovuti fuori dello Stato membro d’importazione, nonché quelli dovuti per l’importazione, ad eccezione dell’IVA da riscuotere;

b)

le spese accessorie quali le spese di commissione, di imballaggio, di trasporto e di assicurazione, che sopravvengono fino al primo luogo di destinazione dei beni nel territorio dello Stato membro d’importazione, nonché quelle risultanti dal trasporto verso un altro luogo di destinazione situato nella Comunità, qualora quest’ultimo sia noto nel momento in cui si verifica il fatto generatore dell’imposta».

48

L’articolo 87 di tale direttiva prevede quanto segue:

«Non sono compresi nella base imponibile gli elementi seguenti:

a)

gli sconti sul prezzo per pagamento anticipato;

b)

i ribassi e le riduzioni di prezzo concessi all’acquirente ed acquisiti nel momento in cui si effettua l’importazione».

49

L’articolo 138 di detta direttiva così recita:

«1.   Gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati, fuori del loro rispettivo territorio ma nella Comunità, dal venditore, dall’acquirente o per loro conto, effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo, o di un ente non soggetto passivo, che agisce in quanto tale in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di partenza della spedizione o del trasporto dei beni.

2.   Oltre alle cessioni di cui al paragrafo 1, gli Stati membri esentano le operazioni seguenti:

(...)

c)

le cessioni di beni consistenti in trasferimenti a destinazione di un altro Stato membro, che beneficerebbero delle esenzioni di cui al paragrafo 1 e alle lettere a) e b) se fossero effettuate nei confronti di un altro soggetto passivo».

50

L’articolo 143 della stessa direttiva stabilisce quanto segue:

«1.   Gli Stati membri esentano le operazioni seguenti:

(...)

d)

le importazioni di beni spediti o trasportati a partire da un territorio terzo o da un paese terzo in uno Stato membro diverso da quello d’arrivo della spedizione o del trasporto, se la cessione dei beni, effettuata dall’importatore designato o riconosciuto come debitore dell’imposta in virtù dell’articolo 201, è esente conformemente all’articolo 138;

2.   L’esenzione prevista al paragrafo 1, lettera d), si applica nei casi in cui le importazioni di beni siano seguite da cessioni di beni esenti a norma dell’articolo 138, paragrafo 1, e paragrafo 2, lettera c), solo se al momento dell’importazione l’importatore ha fornito alle autorità competenti dello Stato membro di importazione almeno le seguenti informazioni:

a)

il numero di identificazione IVA che gli è stato attribuito nello Stato membro di importazione o il numero di identificazione IVA attribuito al suo rappresentante fiscale debitore dell’imposta nello Stato membro di importazione;

b)

il numero di identificazione IVA dell’acquirente cui i beni sono ceduti a norma dell’articolo 138, paragrafo 1, attribuitogli in un altro Stato membro o il numero di identificazione IVA che gli è stato attribuito nello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto quando i beni sono soggetti a un trasferimento a norma dell’articolo 138, paragrafo 2, lettera c);

c)

la prova che i beni importati sono destinati ad essere spediti o trasportati a partire dallo Stato membro di importazione verso un altro Stato membro.

Gli Stati membri possono tuttavia prevedere che la prova di cui alla lettera c) sia comunicata alle autorità competenti solo su richiesta».

II. Fatti e procedimento precontenzioso

A. Fatti

51

A decorrere dal 1o gennaio 2005, l’Unione europea ha abolito tutti i contingenti applicabili alle importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento originari di paesi membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), compresa la Cina.

52

Il 20 aprile 2007, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha inviato agli Stati membri il messaggio di assistenza reciproca 2007/015 al fine di informare questi ultimi del rischio, segnatamente, di sottovalutazione estrema di importazioni di prodotti tessili e di calzature provenienti dalla Cina, che, nella maggior parte dei casi, erano realizzat da società cosiddette «società di comodo» («shell companies»), registrate al solo scopo di dare un’apparenza di legalità ad un’operazione fraudolenta, le quali, se controllate, spesso non risultavano avere sede all’indirizzo comunicato alle autorità doganali. L’OLAF precisava che, nella maggior parte dei casi esaminati, i valori dichiarati erano ben al di sotto di 0,50 dollari degli Stati Uniti (USD) per chilogrammo (kg) e persino inferiori a 0,10 USD per chilogrammo. Alla luce di tale meccanismo di frode (in prosieguo: la «frode da sottovalutazione in questione»), l’OLAF ha invitato tutti gli Stati membri a sorvegliare le loro importazioni di prodotti tessili e di calzature provenienti, in particolare, dalla Cina, per individuare eventuali indizi di importazioni sottovalutate, a procedere a controlli doganali adeguati nel corso dello sdoganamento di tali importazioni, al fine di verificare i valori in dogana dichiarati ed assicurare che essi riflettano i valori di mercato reali, nonché ad adottare le misure di salvaguardia adeguate in caso di sospetto di prezzi fatturati artificiosamente bassi.

53

A tali fini, l’OLAF, sulla base di studi scientifici intrapresi dal Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione, ha messo a punto uno strumento di valutazione dei rischi basato su dati a livello dell’Unione (in prosieguo: il «metodo OLAF-JRC»).

54

Tale metodo consiste, anzitutto, nel calcolare un «prezzo medio rettificato» («cleaned average price» o «CAP») (in prosieguo: il «PMR»), parimenti chiamato il «prezzo equo» («fair price» o «fair value»), per qualsiasi codice di prodotto ad otto cifre della nomenclatura combinata figurante all’allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio, del 23 luglio 1987, relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune (GU 1987, L 256, pag. 1), come modificato dal regolamento di esecuzione (UE) 2016/1821 della Commissione, del 6 ottobre 2016 (GU 2016, L 294, pag. 1) (in prosieguo: la «NC»), e rientranti nei capitoli da 61 a 64 di tale nomenclatura (in prosieguo: i «prodotti considerati»).

55

I PMR sono calcolati sulla base dei prezzi mensili all’importazione dei prodotti considerati, provenienti dalla Cina, estratti dalla Comext, la banca dati di riferimento per le statistiche dettagliate del commercio internazionale dei beni gestita da Eurostat, per un periodo di 48 mesi. Tali prezzi esprimono un valore per chilogrammo per ciascuno dei 495 codici di prodotto a otto cifre della NC di cui trattasi, precisando il paese d’origine e il paese di destinazione nell’Unione.

56

Viene poi calcolata una media per tutta l’Unione in base alla media aritmetica, ossia una media non ponderata, dei PMR di tutti gli Stati membri. Per il calcolo di tale media aritmetica, i valori estremi («outliers»), vale a dire i valori anormalmente elevati o bassi, sono esclusi, ragion per cui il prezzo medio è denominato «rettificato» o «pulito» («cleaned»).

57

Infine, viene calcolato un valore corrispondente al 50% dei PMR, che costituisce il «prezzo minimo accettabile» («lowest acceptable price» o «LAP») (in prosieguo: il «PMA»). Il PMA, anch’esso espresso in prezzo al chilogrammo, viene utilizzato come profilo o soglia di rischio che consente alle autorità doganali degli Stati membri di individuare i valori particolarmente bassi dichiarati all’importazione e, di conseguenza, le importazioni che presentano un rischio rilevante di sottovalutazione.

58

Il messaggio di assistenza reciproca 2009/001, inviato dall’OLAF il 23 gennaio 2009, si riferiva all’operazione «Argus», un’operazione della durata di sei mesi nell’ambito della quale l’OLAF aveva proceduto a sorvegliare il traffico dei prodotti considerati provenienti da diversi paesi terzi, principalmente dai paesi asiatici, e a trasmettere ogni mese agli Stati membri un elenco delle importazioni del mese precedente identificate come a rischio in termini di valore in dogana. Con tale messaggio di assistenza reciproca, l’OLAF chiedeva agli Stati membri di comunicargli, entro quattro settimane, la creazione di profili di rischio, di individuare le importazioni che presentavano un rischio rilevante di sottovalutazione e di effettuare verifiche prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi in base alle sue comunicazioni.

59

Nel corso del 2011, in occasione dell’operazione di controllo prioritario (priority control action) denominata «Discount» (in prosieguo: la «PCA Discount»), coordinata dalla Direzione generale della fiscalità e dell’unione doganale della Commissione e alla quale hanno partecipato tutti gli Stati membri, sono stati applicati i PMA calcolati secondo il metodo OLAF-JRC, quale profilo di rischio, secondo le raccomandazioni figuranti negli orientamenti elaborati ai fini di tale operazione, allo scopo di individuare e controllare le importazioni dei prodotti considerati provenienti dalla Cina aventi un valore in dogana stranamente basso al punto tale da renderle sospette. Il Regno Unito ha partecipato a detta operazione, senza tuttavia applicare un siffatto profilo di rischio.

60

Nel corso del 2014, l’OLAF ha coordinato l’operazione doganale congiunta denominata «Snake» (in prosieguo: l’«ODC Snake»), la cui fase operativa si è svolta tra il 17 febbraio e il 17 marzo di tale anno e alla quale hanno partecipato tutti gli Stati membri nonché le autorità doganali cinesi. Il coinvolgimento di queste ultime mirava ad ottenere dichiarazioni all’esportazione che consentissero di verificare il valore in dogana dichiarato all’importazione nell’Unione dei prodotti considerati. Nella relazione finale dell’ODC Snake, gli Stati membri erano invitati a proseguire nell’uso dei profili di rischio basati sui PMA come applicati nel corso di tale operazione.

61

Al termine dei controlli effettuati dalle autorità del Regno Unito nell’ambito di detta operazione in base a tali profili di rischio, queste ultime hanno accertato che dovevano essere applicati dazi doganali supplementari in relazione a 24 operatori relativamente alle loro importazioni realizzate nel corso di un periodo di tre anni compreso tra il novembre del 2011 e il novembre del 2014.

62

Tra il novembre del 2014 e il febbraio del 2015, le autorità del Regno Unito hanno comunicato agli operatori interessati gli avvisi di pagamento corrispondenti mediante l’emissione di 24 ordini di riscossione a posteriori, denominati «avvisi C 18» (in prosieguo: gli «avvisi C 18 Snake»). Tuttavia, nel corso del periodo che va dal giugno al novembre del 2015, tali autorità hanno annullato detti avvisi.

63

Il 16 gennaio 2015, l’OLAF ha avviato un’indagine avente come obiettivo specifico taluni Stati membri, tra cui il Regno Unito, e riguardante un periodo iniziato nel 2013.

64

Un’operazione denominata «Badminton» è inoltre stata condotta dall’HMRC e dalla polizia di frontiera del Regno Unito tra il 2013 e il 2016. Tale operazione, che riguardava principalmente un’evasione dell’IVA, è stata all’origine di un’indagine penale concernente quattro principali importatori di prodotti tessili provenienti dalla Cina nell’ambito del regime doganale recante il codice 42 nell’elenco dei regimi doganali dell’Unione, in applicazione del quale i dazi doganali sono pagati all’atto dell’importazione e l’IVA deve essere pagata successivamente nello Stato membro di destinazione (in prosieguo: il «regime doganale 42»).

65

Tra il febbraio del 2015 e il luglio del 2016, il Regno Unito ha partecipato a diverse riunioni organizzate dall’OLAF, dedicate alla frode da sottovalutazione in questione.

66

Il 19 e il 20 febbraio 2015, l’OLAF ha organizzato una prima riunione bilaterale con l’HMRC per discutere del seguito dell’ODC Snake e dell’utilizzo dei PMR quali indicatori di rischio di una sottovalutazione doganale.

67

In occasione di questa prima riunione, l’OLAF ha rilevato che il volume delle importazioni che potevano essere fraudolentemente sottovalutate non era diminuito e che dalle statistiche risultava che il Regno Unito attirava più traffico fraudolento dei prodotti considerati a causa delle misure adottate da altri Stati membri contro la frode da sottovalutazione in questione. Dal canto suo, l’HMRC ha dichiarato che intendeva inviare ordini di riscossione dell’IVA e di dazi doganali evasi alle imprese che erano state censite nell’ambito dell’ODC Snake nonché a seguito di proprie analisi, per un importo totale superiore a 800 milioni di sterline (GBP) (circa EUR 939760000).

68

In occasione della riunione ad hoc del 25 e del 26 febbraio 2015 sulla frode da sottovalutazione in questione, riunione organizzata dall’OLAF e alla quale hanno partecipato le autorità degli Stati membri, il Regno Unito ha ribadito la sua intenzione di procedere a tale riscossione. Nel corso di tale riunione l’OLAF, spiegando al contempo che l’utilizzo delle medie nazionali nei profili di rischio impediva l’individuazione dei casi evidenti di sottovalutazione, ha «fortemente raccomandato», in particolare, che gli Stati membri utilizzassero profili di rischio adeguati per individuare importazioni potenzialmente sottovalutate, che questi ultimi richiedessero la costituzione di garanzie per le importazioni individuate come sospette al riguardo e che svolgessero indagini al fine di accertare i valori in dogana reali delle merci di cui trattasi. L’OLAF ha parimenti sottolineato che se effettivamente il PMA è un indicatore di rischio importante, dovevano essere applicate le norme di diritto dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana. Esso ha inoltre descritto le potenziali perdite di risorse proprie tradizionali dell’Unione risultanti dalle importazioni che potevano essere sottovalutate, in particolare dalle importazioni interessate. Per quanto riguarda il Regno Unito, esso ha indicato, per il periodo compreso tra il maggio del 2013 e il marzo del 2015, perdite potenziali di risorse proprie tradizionali per un importo totale pari a EUR 589676121 su un quantitativo di circa un miliardo e mezzo di chilogrammi di prodotti considerati.

69

Il 16 giugno 2015, l’OLAF ha trasmesso il messaggio di assistenza reciproca 2015/013 con il quale ha chiesto agli Stati membri di adottare tutte le misure precauzionali necessarie per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione di fronte alla frode da sottovalutazione in questione. In tale messaggio, l’OLAF ha reiterato le conclusioni della riunione ad hoc del 25 e del 26 febbraio 2015.

70

Nel maggio del 2015, le autorità del Regno Unito hanno lanciato l’operazione denominata «Breach», prima operazione attuata nel territorio di tale Stato diretta specificamente a combattere la frode da sottovalutazione in questione (in prosieguo: l’«operazione Breach»).

71

Secondo il Regno Unito, uno degli scopi di tale operazione, tutt’ora in corso, era quello di determinare, a seguito dell’annullamento dei 24 avvisi C 18 Snake, il valore in dogana delle importazioni sottovalutate individuate nel corso dell’ODC Snake e di reclamare i corrispondenti importi evasi delle risorse proprie tradizionali.

72

Detta operazione implicherebbe, in particolare, controlli preventivi e visite a posteriori concernenti tali importazioni sospette, analisi documentali, audit e ispezioni, l’esame del carattere commerciale delle vendite di prodotti considerati e quello dei legami tra l’importatore, gli spedizionieri doganali e altre imprese, nonché attività di sensibilizzazione rivolte agli importatori, destinate a individuare le attività fraudolente. Sarebbe stata altresì effettuata una trentina di ispezioni preliminari in relazione a tredici spedizioni che sarebbero state oggetto di controlli fisici con prelievo di campioni. Nell’ambito della medesima operazione, sarebbero stati emessi diversi ordini di riscossione a posteriori di dazi doganali (in prosieguo: gli «avvisi C 18 Breach»).

73

Il 28 luglio 2015, l’OLAF ha organizzato una seconda riunione bilaterale con l’HMRC, in occasione della quale quest’ultimo ha dichiarato, in particolare, che avrebbe continuato a portare avanti la procedura di riscossione di dazi doganali per un importo superiore a GBP 800 milioni, eventualmente per via giudiziaria, e che aveva costituito un gruppo d’azione multidisciplinare nell’ambito dell’operazione Breach con lo scopo di esaminare la situazione degli importatori coinvolti nel traffico fraudolento. Tuttavia, secondo l’HMRC, l’utilizzo di indicatori di rischio derivati dai PMR sarebbe «controproducente e sproporzionato» tenuto conto del volume delle importazioni interessate. L’OLAF ha indicato che l’attuazione di tali indicatori in taluni Stati membri aveva avuto come risultato che il volume del traffico fraudolento era diminuito considerevolmente, pur spostandosi verso altri Stati membri, in particolare il Regno Unito.

74

Il 3 febbraio 2016, l’OLAF ha organizzato una terza riunione bilaterale con l’HMRC. Quest’ultimo ha dichiarato che il Regno Unito aveva controllato le sedici imprese individuate nell’ambito dell’ODC Snake. L’OLAF ha nuovamente raccomandato che l’HMRC ricorresse agli indicatori di rischio a livello dell’Unione costituiti dai PMA. Esso ha sottolineato l’elevata percentuale delle importazioni interessate che erano considerate sottovalutate e all’origine di perdite rilevanti di dazi doganali.

75

Il 22 e il 23 marzo 2016, l’OLAF ha organizzato una quarta riunione bilaterale con l’HMRC. Esso ha ribadito l’utilità di attuare gli indicatori di rischio a livello dell’Unione quale misura preventiva all’importazione e ha proposto mezzi pratici per la loro graduale attuazione da parte delle autorità del Regno Unito. L’OLAF ha nuovamente fatto il punto della situazione, da cui è emerso che le perdite di risorse proprie tradizionali nel Regno Unito si intensificavano, principalmente a causa del ricorso abusivo al regime doganale 42.

76

In occasione di una riunione tenutasi nel luglio del 2016, l’OLAF ha presentato una relazione che mostrava un aumento delle perdite di risorse proprie tradizionali nel Regno Unito.

77

Nel corso di una riunione tenutasi il 18 e il 19 settembre successivi, le autorità francesi hanno presentato i risultati dell’operazione denominata «Octopus», un’operazione condotta da tali autorità con la partecipazione di dieci altri Stati membri, tra cui il Regno Unito, e il sostegno dell’OLAF.

78

Dalla relazione finale su tale operazione risulta che alcune reti criminali organizzate erano all’origine della frode da sottovalutazione in questione. Il destinatario dichiarato nelle dichiarazioni in dogana interessate era quasi sempre un’impresa cosiddetta «fenice». La stragrande maggioranza delle merci trasportate, controllate a Calais (Francia) in base a criteri predefiniti, presentavano valori in dogana sottovalutati, dichiarati in modo fraudolento nel Regno Unito nell’ambito del regime doganale 42.

79

Nell’ottobre del 2016, le autorità del Regno Unito hanno svolto un’operazione sperimentale, denominata «Samurai», che riguardava le importazioni effettuate da due operatori che avevano cessato le loro attività immediatamente dopo che l’HMRC aveva contestato le loro dichiarazioni in dogana.

80

Il 1o marzo 2017, l’OLAF ha chiuso la sua indagine relativa alla commissione nel Regno Unito della frode da sottovalutazione in questione e ha presentato la sua relazione (in prosieguo: la «relazione OLAF»), dalla quale risulta che, in tale paese, alcuni importatori hanno evaso importi elevati di dazi doganali presentando all’importazione false fatture, fatture fittizie e dichiarazioni in dogana errate.

81

In tale relazione, l’OLAF ha rilevato un significativo aumento della portata della frode da sottovalutazione in questione nel Regno Unito nel corso del periodo tra il 2013 e il 2016. Tale aumento significativo coincideva con l’attuazione, da parte di altri Stati membri, di profili di rischio basati sullo strumento di valutazione dei rischi fondato sui PMA, come raccomandato dall’OLAF.

82

Secondo detta relazione, nel corso di detto periodo, le importazioni fraudolente nel Regno Unito sono aumentate in modo significativo, a causa dell’inadeguatezza dei controlli effettuati dalle autorità doganali di tale Stato. Nella stessa relazione, l’OLAF ha rilevato che, nel corso del 2016, più del 50% dei prodotti considerati importati nel Regno Unito provenienti dalla Cina è stato dichiarato al di sotto dei PMA e che circa l’80% delle perdite complessive di risorse proprie tradizionali dell’Unione era imputabile all’attuazione nel Regno Unito della frode da sottovalutazione in questione.

83

In questa stessa relazione, l’OLAF ha precisato inoltre che erano all’origine di tale frode reti criminali organizzate operanti in tutta l’Unione. La maggior parte delle importazioni interessate nel Regno Unito, la stragrande maggioranza delle quali veniva effettuata ricorrendo in maniera abusiva al regime doganale 42, riguardava prodotti destinati al commercio illecito e clandestino nel territorio di altri Stati membri. Pertanto, l’OLAF ha ritenuto, nella sua relazione, che l’evasione dell’IVA fosse anch’essa sostanziale nel territorio degli Stati membri di destinazione finale delle merci di cui trattasi, in particolare in Germania, in Spagna, in Francia e in Italia.

84

Dalla relazione dell’OLAF risulta che, nel 2016, l’87% delle importazioni dei prodotti considerati di scarso valore a destinazione del Regno Unito sono state effettuate nell’ambito del regime doganale 42, mentre, nel corso di tale anno, siffatto regime è stato utilizzato solo per il 15% delle importazioni dei prodotti considerati provenienti dalla Cina registrati nel territorio della totalità degli Stati membri. Secondo l’OLAF, una siffatta disparità confermava lo spostamento verso il Regno Unito di operazioni fraudolente riguardanti altri Stati membri.

85

Sempre secondo tale relazione, il Regno Unito non ha applicato profili di rischio basati sui PMA, contrariamente alle raccomandazioni dell’OLAF, e non ha effettuato adeguati controlli doganali all’importazione, se non nel corso di un periodo di un mese, in occasione dell’ODC Snake, ossia nel corso del periodo che va dal 17 febbraio al 17 marzo 2014.

86

Di conseguenza, secondo detta relazione, il Regno Unito ha immesso in libera pratica, senza procedere a controlli doganali adeguati, i prodotti considerati provenienti dalla Cina che erano stati oggetto della frode da sottovalutazione in questione, cosicché una parte sostanziale dei dazi doganali dovuti non è stata riscossa né messa a disposizione della Commissione.

87

Nella sua relazione, l’OLAF ha calcolato gli importi delle perdite di risorse proprie tradizionali che ne sarebbero derivate per il periodo compreso tra il 2013 e 2016. Esso ha fissato in EUR 1987429507,96 l’importo totale di tali perdite e ha ripartito tale importo come segue:

EUR 325230822,55 per quanto riguarda il 2013;

EUR 480098912,45 per quanto riguarda il 2014;

EUR 535290329,16 per quanto riguarda il 2015;

EUR 646809443,80 per quanto riguarda il 2016.

88

Gli importi di dette perdite sono stati calcolati determinando, per ciascun codice di prodotto considerato della NC, la quantità in chilogrammi delle merci oggetto delle importazioni interessate, considerate sottovalutate, ossia le merci dichiarate come aventi un valore inferiore al PMA di cui trattasi, e applicando poi l’aliquota del dazio doganale in vigore al risultato della differenza fra il valore così dichiarato e il PMR del codice di prodotto di cui trattasi.

89

Infine, nella sua relazione, l’OLAF ha raccomandato all’HMRC di adottare tutte le misure adeguate al fine di riscuotere i dazi doganali evasi a concorrenza di un importo di EUR 1987429507,96 e di applicare indicatori di rischio di una sottovalutazione doganale.

90

Nell’ambito dell’attuazione del regolamento n. 608/2014, alcuni agenti della Commissione hanno effettuato, tra il novembre del 2016 e l’ottobre del 2018, cinque ispezioni nel Regno Unito vertenti, segnatamente, sulla frode da sottovalutazione in questione.

91

In occasione della missione ispettiva 16‑11‑1, avvenuta tra il 14 e il 18 novembre 2016, la Commissione, dopo aver constatato che gli importi dei dazi doganali che erano stati annullati nella contabilità separata prevista all’articolo 6, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 609/2014, correntemente designata come «contabilità B» (in prosieguo: la «contabilità B») corrispondevano alle obbligazioni supplementari inizialmente reclamate mediante l’emissione dei 24 avvisi C 18 Snake successivamente annullati, ha invitato le autorità del Regno Unito a determinare i valori in dogana corrispondenti a tutte le dichiarazioni doganali in questione, a ricalcolare i dazi aggiuntivi dovuti su tali valori, a inserire le obbligazioni corrispondenti nella contabilità B e a recuperare gli importi considerati nel più breve tempo possibile. Essa ha altresì chiesto a tali autorità di fornirle il parere dell’ufficio legale dell’HMRC che, secondo tali autorità, aveva motivato l’annullamento di tali pareri.

92

La Commissione ha parimenti chiesto a dette autorità se esse applicassero lo strumento dei PMA messo a punto dall’OLAF al fine di individuare le importazioni che presentavano un rischio rilevante di sottovalutazione, se effettuassero controlli fisici al momento dello sdoganamento delle merci di cui trattasi e se chiedessero sistematicamente la costituzione di una garanzia a copertura dei dazi eventualmente dovuti conformemente all’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione.

93

Nel corso della missione ispettiva 17‑11‑1, effettuata tra l’8 e il 12 maggio 2017, la Commissione ha selezionato dodici dichiarazioni doganali presentate nel corso del primo trimestre 2017 e contenenti valori particolarmente bassi, ai fini di una verifica in loco. L’esame di tali dichiarazioni ha confermato che le dodici partite corrispondenti erano state immesse in libera pratica nell’Unione senza controllo e senza costituzione di garanzia. Le autorità del Regno Unito hanno ammesso di non aver adottato le misure richieste dall’OLAF a seguito dell’ODC Snake nel 2014 e successivamente nella relazione redatta al termine della missione ispettiva 16‑11‑1. Esse hanno spiegato che ciò era dovuto principalmente al parere del loro ufficio legale secondo cui non era disponibile alcun metodo di valutazione accettabile. Tuttavia, le importazioni interessate sarebbero oggetto di un esame da parte del gruppo d’azione istituito nell’ambito dell’operazione Breach. La Commissione ha nuovamente chiesto a tali autorità di fornirle una copia del parere dell’ufficio legale dell’HMRC che, a detta di queste ultime, aveva motivato l’annullamento dei pareri C 18 Snake.

94

Nel corso della missione ispettiva 17‑11‑2, svoltasi tra il 13 e il 17 novembre 2017, cinque dichiarazioni doganali con valori particolarmente bassi e riguardanti importatori già individuati nell’ambito dell’ODC Snake come potenziali frodatori sono state esaminate sulla base di uno degli avvisi C 18 Snake, per un’obbligazione doganale pari ad un importo totale di GBP 62003024,23 (circa EUR 72834954). Tuttavia, in assenza di dettagli sui calcoli di tale obbligazione, è risultato impossibile istituire un nesso fra quest’ultima e le dichiarazioni in dogana interessate, il che, secondo l’HMRC, giustificava la cancellazione di detta obbligazione. Inoltre, gli agenti della Commissione avevano nuovamente chiesto che le autorità del Regno Unito le fornissero una copia del parere dell’ufficio legale dell’HMRC che motivava l’annullamento di tali pareri; esse non hanno accolto tale richiesta, con la motivazione che tale documento era riservato e soggetto alla protezione delle comunicazioni tra un avvocato e il suo cliente.

95

Nel corso di tale missione, le autorità del Regno Unito hanno informato gli agenti della Commissione del lancio da parte dell’HMRC, il 12 ottobre 2017, dell’operazione denominata «Swift Arrow».

96

È stato spiegato che i profili di rischio utilizzati nell’ambito di tale operazione erano basati non già sulle soglie stabilite in applicazione del metodo OLAF-JRC, bensì su soglie o profili di rischio nazionali fissati dall’HMRC sulla base delle sole importazioni nel Regno Unito, e che tali soglie o profili erano applicati soltanto a taluni operatori previamente individuati come dediti ad un commercio illecito e clandestino. I container individuati da dette soglie o da detti profili di rischio erano oggetto di controlli fisici da parte delle autorità del Regno Unito al momento dello sdoganamento delle merci di cui trattasi. Se tali autorità ritenevano che il valore dichiarato di tali merci non fosse giustificato, esse esigevano la costituzione di una garanzia prima dello svincolo di tali merci.

97

Nel corso della missione ispettiva 18‑11‑1, svoltasi tra il 16 e il 20 aprile 2018, sono state esaminate 25 dichiarazioni doganali relative al periodo compreso tra il 12 ottobre 2017, data di inizio dell’operazione «Swift Arrow», e il 31 dicembre 2017. È stato constatato che solo sette di tali dichiarazioni doganali che presentavano un valore estremamente basso erano state individuate dalle stesse soglie o dagli stessi profili di rischio e che gli altri 18 container erano stati immessi in libera pratica senza che fosse contestato il valore in dogana interessato. Le autorità del Regno Unito hanno dichiarato che, a partire dal lancio dell’operazione Swift Arrow, le soglie o i profili di rischio dell’HMRC erano stati adeguati al fine di includere un numero maggiore di operatori, di codici della NC e di punti di entrata, cosicché, se le importazioni interessate avessero avuto luogo nell’aprile 2018, tali soglie o profili avrebbero consentito di individuare undici dichiarazioni supplementari.

98

Inoltre, stando a tali autorità, diversi operatori selezionati hanno interrotto le loro importazioni non appena erano stati inclusi in dette soglie o in detti profili di rischio, erano stati sottoposti a controlli doganali prima dello svincolo delle merci di cui trattasi e avevano dovuto costituire garanzie prima della concessione di tale svincolo.

99

Dette autorità si sono tuttavia rifiutate di comunicare alla Commissione i dettagli del metodo di calcolo utilizzato dall’HMRC per determinare le garanzie richieste nell’ambito dell’operazione Swift Arrow e per redigere gli ordini di riscossione a posteriori in tale contesto.

100

Nel maggio del 2018, otto avvisi C 18 Breach sono stati emessi ed iscritti nella contabilità B per quanto riguarda importazioni effettuate a partire dal 1o maggio 2015 e considerate sottovalutate, per un importo totale di GBP 25 milioni (circa EUR 30 milioni).

101

Nel corso della missione ispettiva 18‑11‑2, svoltasi tra l’8 e il 12 ottobre 2018, le autorità del Regno Unito hanno ribadito il rifiuto già opposto in occasione della missione ispettiva 18-11-1. Per contro, esse hanno confermato di aver constatato, nell’aprile del 2018, dazi aggiuntivi per sette operatori, di cui numerosi erano già stati individuati in occasione dell’ODC Snake, per un importo totale di GBP 19434197,73 (circa EUR 22829352).

B. Procedimento precontenzioso

102

Con lettere del 24 marzo 2017 e del 28 luglio 2017, la Commissione si è informata presso il Regno Unito del seguito riservato da quest’ultimo alla relazione dell’OLAF. Essa ha dichiarato di non avere ricevuto informazioni supplementari concrete da parte di tale Stato e che nulla induceva a ritenere che quest’ultimo avesse adottato le misure adeguate per prevenire la frode da sottovalutazione in questione. In mancanza di informazioni contrarie, la Commissione ha dichiarato di essere obbligata a chiedere a detto Stato di mettere a disposizione un importo di risorse proprie tradizionali corrispondente alle perdite stabilite dall’OLAF, previa deduzione delle spese di riscossione.

103

In una delle tre lettere del 28 luglio 2017, la Commissione ha altresì chiesto di essere informata del seguito riservato dalle autorità del Regno Unito alla relazione della missione ispettiva 16‑11‑1, reiterando al riguardo la sua richiesta di poter disporre del parere dell’ufficio legale dell’HMRC che aveva condotto all’annullamento dei 24 avvisi C 18 Snake nonché dell’elenco dei documenti relativi a ciascuna delle 24 pratiche, compresi i dettagli dei calcoli effettuati per accertare le obbligazioni doganali corrispondenti.

104

Con le lettere dell’8 agosto 2017 e del 12 ottobre 2017, il Regno Unito ha risposto a tali lettere della Commissione.

105

Per quanto riguarda, anzitutto, la relazione dell’OLAF, il Regno Unito ha rilevato che erano stati adottati provvedimenti per combattere la frode da sottovalutazione in questione, come il lancio dell’operazione Breach. Il diritto dell’Unione non imporrebbe un modello particolare di controllo, cosicché spetterebbe a ciascuno Stato membro stabilire il modo migliore per far applicare tale diritto. Misure di controllo doganale precedenti allo svincolo delle merci di cui trattasi, come la costituzione di garanzie, non sarebbero inoltre per loro natura più efficaci rispetto a misure a posteriori, come quelle applicate dal Regno Unito. Il metodo OLAF-JRC, in quanto basato, segnatamente, sull’applicazione di dati stabiliti a livello dell’Unione, non sarebbe, secondo il Regno Unito, né affidabile né adeguato. Tale metodo sarebbe pertanto censurabile e costituirebbe la ragione per cui il Regno Unito ha sviluppato il proprio metodo, il quale non presenterebbe le carenze di quello raccomandato dall’OLAF.

106

Inoltre, quanto al seguito che era stato riservato alla relazione della missione ispettiva 16‑11‑1, il Regno Unito ha dichiarato che i 24 avvisi C 18 Snake erano stati annullati e gli importi corrispondenti cancellati dalla contabilità B a causa dell’impossibilità di provare l’importo dei valori reali delle merci importate, ma che un gruppo di esperti avrebbe posto rimedio a tale impossibilità nell’ambito dell’operazione Breach.

107

Infine, il Regno Unito ha ribadito la sua posizione secondo la quale è impossibile accogliere la richiesta di comunicazione del contenuto del parere dell’ufficio legale dell’HMRC che aveva condotto all’annullamento dei 24 avvisi C 18 Snake, invocando motivi di riservatezza e di tutela del segreto professionale tra un avvocato e il suo cliente.

108

Il 9 marzo 2018, la Commissione ha inviato al Regno Unito una lettera di diffida.

109

Il Regno Unito ha risposto alla Commissione con la lettera del 22 giugno 2018. In allegato a tale lettera, siffatto Stato membro chiedeva che gli fosse trasmessa una versione completa della relazione dell’OLAF, in quanto disponeva solo di una versione incompleta di tale relazione, e che la Commissione gli fornisse risposte ai suoi quesiti dettagliati sul metodo utilizzato per calcolare gli importi richiesti di risorse proprie tradizionali.

110

Il 24 settembre 2018, la Commissione ha inviato al Regno Unito un parere motivato (in prosieguo: il «parere motivato») nel quale essa ha risposto in particolare alle richieste formulate da tale Stato membro in allegato alla sua lettera del 22 giugno 2018. Nel parere motivato, a quest’ultimo è stato impartito un termine per la risposta di due mesi.

111

Il 19 dicembre 2018, la Commissione, non avendo ricevuto dal Regno Unito alcuna risposta al parere motivato entro tale termine, ha deciso di proporre un ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte, dopo aver informato tale Stato membro, il 18 dicembre 2018, della sua intenzione di adottare una siffatta decisione il giorno successivo.

112

Su richiesta delle autorità del Regno Unito e a seguito di diversi scambi informali fra tali autorità e i servizi della Commissione, il 9 gennaio 2019 si è tenuta una riunione tecnica tra dette autorità e tali servizi. Nel corso di tale riunione tecnica, una società di consulenza ha presentato le conclusioni di una relazione commissionatale dal Regno Unito.

113

L’11 febbraio 2019, il Regno Unito ha trasmesso alla Commissione la sua risposta al parere motivato, contenente in allegato tale relazione.

114

Il 7 marzo 2019, dopo aver esaminato tale risposta, la Commissione ha proposto il presente ricorso per inadempimento.

III. Procedimento dinanzi alla Corte

115

Con la decisione del presidente della Corte del 26 settembre 2019, il Regno del Belgio, la Repubblica di Estonia, la Repubblica ellenica, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica portoghese e la Repubblica slovacca (in prosieguo, congiuntamente: gli «intervenienti») sono stati ammessi ad intervenire a sostegno delle conclusioni del Regno Unito.

116

Con la lettera dell’11 aprile 2019, il Regno Unito ha chiesto alla Corte di ingiungere alla Commissione di rispondere ai quesiti posti nella sua richiesta di informazioni detta «ridefinita» figurante nella sua lettera del 22 marzo precedente, la quale ampliava quelli contenuti nella richiesta di informazioni rivolta a tale istituzione con la lettera del 22 giugno 2018.

117

Con la lettera del 6 giugno 2020, il Regno Unito ha presentato una domanda di mezzi istruttori o di organizzazione del procedimento, volta a chiedere alla Corte di ingiungere alla Commissione di rispondere a una serie di quesiti, alcuni dei quali erano già stati posti nelle summenzionate richieste di informazioni figuranti nelle lettere del 22 giugno 2018 e del 22 marzo 2019.

118

Nell’ambito dell’istruzione della causa, la Corte ha preso in considerazione tali richieste del Regno Unito ai fini della formulazione dei quesiti a risposta scritta da essa rivolti alla Commissione e a tale Stato con la lettera del 14 ottobre 2020. Inoltre, su richiesta della Corte, le risposte a tali quesiti sono state successivamente oggetto di un dibattito contraddittorio in udienza.

IV. Sul ricorso

119

In via preliminare, occorre ricordare che, con la decisione (UE) 2020/135, del 30 gennaio 2020, relativa alla conclusione dell’accordo sul recesso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord dall’Unione europea e dalla Comunità europea dell’energia atomica (GU 2020, L 29, pag. 1), il Consiglio dell’Unione europea ha approvato, a nome dell’Unione e della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA), siffatto accordo, il quale è allegato a tale decisione (GU 2020, L 29, pag. 7; in prosieguo: l’«accordo di recesso»).

120

Dall’articolo 86 di detto accordo risulta che la Corte resta segnatamente competente per tutti i ricorsi proposti contro il Regno Unito prima della fine del periodo di transizione, ai sensi dell’articolo 2, lettera e), dello stesso accordo, in combinato disposto con l’articolo 126 del medesimo, ossia prima del 1o gennaio 2021 (in prosieguo: il «periodo di transizione»). Poiché il presente ricorso per inadempimento è stato proposto il 7 marzo 2019, la Corte resta pertanto competente a conoscerlo.

121

Può aggiungersi che, nel caso dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto dell’Unione in materia di risorse proprie dell’Unione relative ad esercizi finanziari fino al 2020, dagli articoli 136 e 160 dell’accordo di recesso risulta che la Corte resta competente, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, dopo il 31 dicembre 2020, e, di conseguenza, anche al di là del periodo di quattro anni successivo alla fine del periodo di transizione di cui all’articolo 87, paragrafo 1, del medesimo che è previsto per la proposizione di un nuovo ricorso ai sensi dell’articolo 258 TFUE vertente su un inadempimento che ha avuto luogo prima della fine del periodo di transizione.

A. Sulla ricevibilità

122

Occorre esaminare, in primo luogo, gli argomenti invocati dal Regno Unito per contestare in tutto o in parte la ricevibilità del presente ricorso per inadempimento.

1.   Sulla violazione dei diritti della difesa del Regno Unito nel corso del procedimento precontenzioso e nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte

a)   Argomenti delle parti

123

Il Regno Unito sostiene che il presente ricorso per inadempimento è irricevibile, dal momento che i suoi diritti della difesa non sarebbero stati rispettati né nel corso del procedimento precontenzioso né nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte.

124

In primo luogo, i diritti della difesa del Regno Unito sarebbero stati violati in quanto la Commissione non avrebbe dato seguito né alla sua richiesta di informazioni figurante nella lettera del 22 giugno 2018 né alla sua richiesta di informazioni cosiddetta «ridefinita» figurante nella lettera del 22 marzo 2019, sebbene si trattasse di informazioni di cui il Regno Unito aveva bisogno per poter comprendere l’inadempimento addebitatogli ed essere in grado di difendersi.

125

Pertanto, non avendo ottenuto una risposta a tali richieste di informazioni, il Regno Unito non sarebbe stato in possesso delle informazioni necessarie per poter ricostruire l’importo di risorse proprie tradizionali rivendicato dalla Commissione. Inoltre, anche dopo le spiegazioni fornite dalla Commissione nella replica per quanto attiene al calcolo di tale importo, sussisterebbero incertezze, in particolare per quanto riguarda il metodo utilizzato per rettificare i prezzi medi o la questione se i dati non aggregati di cui dispone tale Stato corrispondano ai dati aggregati giornalieri utilizzati da tale istituzione nell’ambito di detto calcolo. In ogni caso, anche ammesso che tali spiegazioni contengano una parte delle informazioni richieste, esse sarebbero state comunicate tardivamente e, pertanto, in violazione tanto dei diritti della difesa di detto Stato quanto dell’obbligo di leale cooperazione incombente a detta istituzione.

126

Il Regno Unito sostiene che i suoi diritti della difesa sono stati parimenti violati in quanto la Commissione si è rifiutata di rispondere alle richieste di informazioni figuranti nelle lettere del 22 giugno 2018 e del 22 marzo 2019, dirette ad ottenere da tale istituzione informazioni relative alle misure adottate dagli altri Stati membri al fine di combattere la frode da sottovalutazione in questione.

127

Orbene, tali informazioni sarebbero state necessarie al Regno Unito per potersi difendere dalle affermazioni della Commissione secondo cui in altri Stati membri erano state adottate misure adeguate, le quali avevano prodotto risultati nella lotta contro tale frode. Esse sarebbero state altresì pertinenti per stabilire se le misure adottate dal Regno Unito rientrassero nel suo potere discrezionale e costituissero pertanto un approccio ragionevole per combattere detta frode, da un lato, e per formulare argomenti sul nesso di causalità esistente tra il comportamento addebitato al Regno Unito e le perdite di risorse proprie tradizionali addotte dalla Commissione, dall’altro.

128

In secondo luogo, il Regno Unito sostiene che i suoi diritti della difesa sono stati violati nella misura in cui la Commissione avrebbe compromesso la sua capacità di accedere a tutti i dati necessari alla sua difesa, in quanto le dichiarazioni in dogana antecedenti al 2014, conservate per soli quattro anni, sono state distrutte. L’accesso a tali dati sarebbe stato necessario in quanto la Commissione ha esteso il periodo di infrazione al di là di quello indicato nella relazione dell’OLAF facendolo decorrere dal 2011. Si tratterebbe di un cambiamento di posizione della Commissione e di un ampliamento della causa che avrebbero violato i diritti della difesa del Regno Unito.

129

In terzo luogo, il Regno Unito fa valere che la Commissione non ha rispettato i suoi diritti della difesa in quanto non ha prodotto prove relative alla natura delle merci di cui trattasi e allo Stato membro di destinazione di tali merci.

130

La Commissione contesta gli argomenti del Regno Unito.

b)   Valutazione della Corte

131

Da una giurisprudenza costante della Corte risulta che il procedimento precontenzioso ha lo scopo di offrire allo Stato membro interessato l’opportunità, da un lato, di conformarsi agli obblighi che gli derivano dal diritto dell’Unione e, dall’altro, di sviluppare un’utile difesa contro gli addebiti formulati dalla Commissione. La regolarità di tale procedimento costituisce una garanzia essenziale prevista dal Trattato FUE, non soltanto a tutela dei diritti dello Stato membro di cui trattasi, ma anche per garantire che l’eventuale procedimento contenzioso verta su una controversia chiaramente definita [sentenza del 19 settembre 2017, Commissione/Irlanda (Tassa di immatricolazione),C‑552/15, EU:C:2017:698, punti 2829 e la giurisprudenza ivi citata].

132

Inoltre, da una giurisprudenza costante relativa all’articolo 120, lettera c), del regolamento di procedura della Corte risulta che ogni atto introduttivo di ricorso deve indicare in modo chiaro e preciso l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo sindacato. Ne deriva che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali tale ricorso si basa devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso e che le conclusioni di quest’ultimo devono essere formulate in modo inequivoco allo scopo di evitare che la Corte statuisca ultra petita ovvero ometta di pronunciarsi su una censura (sentenza del 31 ottobre 2019, Commissione/Paesi Bassi, C‑395/17, EU:C:2019:918, punto 52 e la giurisprudenza ivi citata).

133

La Corte ha altresì dichiarato, in relazione a un ricorso proposto ai sensi dell’articolo 258 TFUE, che in esso le censure devono essere esposte in modo coerente e preciso, così da consentire allo Stato membro e alla Corte di comprendere esattamente la portata della violazione del diritto dell’Unione contestata, presupposto necessario affinché il suddetto Stato possa far valere utilmente i suoi motivi di difesa e affinché la Corte possa verificare l’esistenza dell’inadempimento addotto (sentenza del 31 ottobre 2019, Commissione/Paesi Bassi, C‑395/17, EU:C:2019:918, punto 53 e la giurisprudenza ivi citata).

134

Nella specie, per quanto riguarda, in primo luogo, il rifiuto della Commissione di fornire al Regno Unito talune informazioni che quest’ultimo le aveva chiesto con le lettere del 22 giugno 2018 e del 22 marzo 2019 sebbene esse fossero essenziali alla sua difesa, occorre constatare, anzitutto, che, ai punti da 301 a 326 del parere motivato, la Commissione ha risposto in maniera adeguata all’addebito, formulato nella lettera del 22 giugno 2018, secondo il quale la copia dell’allegato 2 della relazione dell’OLAF, come acclusa alla lettera di diffida, non era completa, in quanto diverse pagine di tale allegato 2 mancavano.

135

La Commissione ha spiegato, in sostanza, a tali punti del parere motivato che detto allegato 2 era stato sostituito dall’allegato 7 di tale relazione, il quale era a disposizione delle autorità del Regno Unito e conteneva due documenti tecnici nei quali erano illustrate informazioni dettagliate relative al metodo OLAF/JRC, metodo che la Commissione ha parimenti utilizzato per calcolare gli importi delle perdite di risorse proprie tradizionali per il periodo di infrazione delle quali essa ha chiesto la messa a sua disposizione nel parere motivato, nonché nel ricorso.

136

In tali circostanze, il fatto che la copia dell’allegato 2 della relazione dell’OLAF, come acclusa alla lettera di diffida, non fosse completa, non ha compromesso la possibilità per il Regno Unito di far valere utilmente i suoi mezzi di difesa nei confronti delle censure formulate dalla Commissione.

137

Inoltre, secondo il Regno Unito, i suoi diritti della difesa sono stati violati in quanto la Commissione si è rifiutata di fornirgli, in risposta alla sua richiesta di informazioni cosiddetta «ridefinita» figurante nella lettera del 22 marzo 2019, talune informazioni relative ai dettagli del calcolo del PMR e dell’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali reclamato nel parere motivato nonché nel ricorso, sebbene esse fossero essenziali per la sua difesa. A tal riguardo, occorre constatare che, come parimenti rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 126 delle sue conclusioni, la Commissione ha dimostrato, ai punti da 132 a 141 della replica, che tanto i dati utilizzati quanto il metodo applicato per effettuare tale calcolo sono sempre stati noti al Regno Unito e che quest’ultimo è pertanto sempre stato in possesso, sia nel corso del procedimento precontenzioso sia nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, di tutti gli elementi necessari che gli consentivano di ricostruire tale importo e, pertanto, di contestarlo.

138

Inoltre, anche se il Regno Unito sostiene che permangono incertezze per quanto riguarda taluni aspetti di detto calcolo, è giocoforza constatare che, tanto nel corso del procedimento precontenzioso quanto nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, tale Stato ha colto l’occasione di criticare in dettaglio quest’ultimo nonché i dati e il metodo OLAF-JRC all’origine di tale calcolo. Le risposte fornite da tale Stato ai quesiti posti dalla Corte, segnatamente quelle relative all’impatto di taluni adeguamenti del calcolo del PMR sugli importi delle perdite di risorse proprie tradizionali, confermano peraltro che esso ha avuto in ogni momento un accesso integrale a tutte le banche dati e ai documenti tecnici utilizzati dalla Commissione per effettuare tale calcolo.

139

Ne consegue parimenti che, contrariamente a quanto sostenuto dal Regno Unito, le informazioni fornite dalla Commissione nella replica non costituiscono affatto informazioni nuove, cosicché a tale istituzione non può essere addebitato di avere posto rimedio tardivamente ad una mancanza di informazioni pregiudizievole per i diritti della difesa di tale Stato.

140

Si deve concludere che, per quanto riguarda i dati utilizzati e il metodo applicato dalla Commissione per calcolare il PMR e l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali chiesto da tale istituzione al Regno Unito, quest’ultimo ha avuto a disposizione, sia nel corso del procedimento precontenzioso sia nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, tutti gli elementi di fatto necessari che gli consentivano di difendersi utilmente nei confronti delle censure formulate dalla Commissione.

141

Infine, per quanto riguarda il rifiuto della Commissione di fornire al Regno Unito, in risposta alle lettere del 22 giugno 2018 e del 22 marzo 2019, informazioni relative alle misure adottate dagli altri Stati membri per combattere la frode da sottovalutazione in questione, è sufficiente ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, uno Stato membro non può giustificare l’inadempimento degli obblighi che gli incombono in forza dei Trattati adducendo il fatto che anche altri Stati membri verrebbero meno ai loro obblighi. Infatti, nell’ordinamento giuridico dell’Unione istituito dal Trattato FUE, l’attuazione del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri non può essere soggetta a una condizione di reciprocità. Gli articoli 258 TFUE e 259 TFUE prevedono i mezzi di ricorso idonei per fronteggiare i casi in cui gli Stati membri non rispettano gli obblighi loro incombenti in forza del Trattato FUE (sentenza dell’11 luglio 2018, Commissione/Belgio, C‑356/15, EU:C:2018:555, punto 106 e la giurisprudenza ivi citata).

142

A tal riguardo, anche ammesso che, come sostenuto dal Regno Unito, altri Stati membri abbiano avuto a disposizione, durante il periodo di infrazione, un sistema di controlli doganali inteso a combattere la frode da sottovalutazione in questione simile sotto certi aspetti a quello che il Regno Unito applicava all’epoca, una siffatta circostanza è di per sé irrilevante al fine di stabilire se il sistema di tale Stato fosse conforme alle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di tutela degli interessi finanziari dell’Unione contro una siffatta frode come l’articolo 325 TFUE.

143

Inoltre, è giocoforza constatare che, come attestano, segnatamente, i diversi documenti prodotti dal Regno Unito in allegato alla sua lettera del 6 giugno 2020, con la quale tale Stato chiedeva alla Corte di adottare talune misure istruttorie o di organizzazione del procedimento, detto Stato era a conoscenza delle diverse misure adottate, nel corso di tutto o di una parte del periodo di infrazione, da diversi altri Stati membri per combattere la frode da sottovalutazione in questione, segnatamente quelle adottate in Francia, nonché della valutazione da parte della Commissione di tali misure, segnatamente per quanto riguarda la loro conformità al diritto dell’Unione, e che esso ha peraltro utilizzato tali informazioni nelle sue memorie a fini di difesa. Inoltre, la Corte ha posto taluni quesiti a risposta scritta alla Commissione a tale riguardo. Le risposte a tali quesiti hanno poi confermato le informazioni dettagliate di cui il Regno Unito già disponeva.

144

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento del Regno Unito secondo cui i suoi diritti della difesa sono stati violati in quanto la Commissione ha compromesso la sua capacità di accedere a tutti i dati necessari alla sua difesa, dal momento che le dichiarazioni in dogana anteriori al 2014 erano state distrutte, essendo state conservate soltanto per un periodo di quattro anni, neanch’essa può essere accolta.

145

Infatti, come rilevato anche dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 130 delle sue conclusioni, dal fascicolo sottoposto alla Corte emerge che, per quanto riguarda la parte del periodo di infrazione anteriore al 2014 coperta dal presente ricorso, infrazione che, come viene rilevato al punto 455 della presente sentenza, riguarda unicamente le obbligazioni doganali accertate negli ordini di riscossione a posteriori figuranti negli avvisi C 18 Snake, il Regno Unito ha prodotto, in allegato alla controreplica, una tabella di detti avvisi da esso emessi con riferimento alle importazioni effettuate nel corso di tale parte del periodo di infrazione, e copie di tali avvisi e tabulati illustrano in dettaglio i calcoli che lo stesso ha utilizzato. Orbene, tali tabulati fanno riferimento alle dichiarazioni in dogana concernenti siffatte importazioni. Inoltre, il Regno Unito non nega di disporre di tali dichiarazioni in dogana nella misura in cui esse sono state oggetto di ordini di riscossione a posteriori contestati nell’ambito di procedimenti amministrativi di riesame.

146

Per quanto riguarda, in terzo luogo, la censura del Regno Unito secondo la quale la Commissione non ha rispettato i suoi diritti della difesa per non avere prodotto prove relative alla natura delle merci di cui trattasi e allo Stato membro di destinazione di tali merci, una siffatta censura riguarda non la ricevibilità del presente ricorso per inadempimento bensì la fondatezza di quest’ultimo, poiché esso verte sulla questione se la Commissione, alla quale incombe l’onere di provare gli inadempimenti addotti, abbia sufficientemente dimostrato che i motivi dedotti in materia di stima dell’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali e di violazione delle disposizioni relative alle risorse proprie provenienti dall’IVA sono fondati, alla luce segnatamente della natura e della destinazione di dette merci.

147

Alla luce delle considerazioni che precedono, l’eccezione di irricevibilità relativa alla violazione dei diritti della difesa del Regno Unito nel corso del procedimento precontenzioso e nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte deve essere respinta.

2.   Sull’insufficienza della base fattuale e giuridica della censura relativa alla violazione del diritto dell’Unione in materia di IVA, in particolare per quanto riguarda il regime doganale 42

a)   Argomenti delle parti

148

Il Regno Unito sostiene che la Commissione non ha rispettato i suoi diritti della difesa né nel corso del procedimento precontenzioso né nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, in quanto essa ha omesso di fornirgli nel parere motivato e nel ricorso informazioni sufficienti relative alla base fattuale e giuridica dell’addotta violazione del diritto dell’Unione in materia di IVA, nonché del diritto dell’Unione in materia di risorse proprie provenienti dall’IVA. Tale omissione non avrebbe consentito al Regno Unito di comprendere, in particolare, la censura secondo la quale esso dovrebbe essere considerato responsabile della mancata riscossione integrale dell’IVA dovuta in un altro Stato membro per prodotti importati nel suo territorio nell’ambito del regime doganale 42 e, pertanto, dell’assenza di messa a disposizione di tale istituzione di risorse proprie provenienti da tale imposta. In mancanza di tali informazioni, il Regno Unito non avrebbe potuto difendersi utilmente nei confronti di tale censura.

149

La Commissione non avrebbe in particolare fatto valere alcun elemento a dimostrazione del fatto che, poiché il Regno Unito non avrebbe adottato le misure idonee a combattere la frode da sottovalutazione in questione, tale Stato avrebbe compromesso la riscossione dell’IVA da parte di altri Stati membri ovvero avrebbe impedito a questi ultimi di riscuotere tale imposta e di mettere a disposizione della Commissione le risorse proprie corrispondenti.

150

In tal senso, non verrebbe reclamato alcun importo a titolo di perdite di risorse proprie provenienti dall’IVA risultanti dalla mancata riscossione dell’IVA e non sarebbe stata fornita alcuna informazione in relazione agli operatori interessati, agli Stati membri di destinazione delle merci di cui trattasi, alla regolamentazione da parte di questi ultimi di tali operatori prima e dopo l’invio di siffatte merci o alle misure adottate o meno da tali Stati membri di destinazione per riscuotere l’IVA presso detti operatori.

151

La Commissione contesta l’argomento del Regno Unito.

b)   Valutazione della Corte

152

È sufficiente rilevare che l’argomento invocato dal Regno Unito verte sulla questione se la censura relativa alla violazione della direttiva 2006/112 e delle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di messa a disposizione delle risorse proprie provenienti dall’IVA, di cui ai primi due commi del primo capo di conclusioni del ricorso, si fondi su una base giuridica e se la sussistenza dei fatti giuridicamente rilevanti sia stata sufficientemente dimostrata dalla Commissione nell’ambito del presente procedimento. Orbene, un siffatto argomento riguarda la fondatezza di tale censura e non la sua ricevibilità.

153

Di conseguenza, l’eccezione di irricevibilità relativa all’insufficienza di base fattuale e giuridica della censura relativa alla violazione del diritto dell’Unione in materia di IVA, in particolare per quanto riguarda il regime doganale 42, deve essere respinta.

3.   Sulla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto, di estoppel e di leale cooperazione

a)   Argomenti delle parti

154

Il Regno Unito sostiene che la Commissione ha violato i principi di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto, di estoppel e di leale cooperazione in quanto ha rivisto talune rassicurazioni da essa fornite a tale Stato al momento della proposizione del presente ricorso per inadempimento, nella misura in cui tale ricorso copre il periodo anteriore alla fine del febbraio del 2015, cosicché, in tale misura, detto ricorso dovrebbe essere respinto.

155

Il Regno Unito invoca a tal riguardo talune dichiarazioni di agenti della Commissione o dell’OLAF effettuate in occasione di riunioni svoltesi nel 2014 e nel 2015 con la sua autorità amministrativa, in particolare con l’HMRC, in relazione alle misure adottate da tale Stato per combattere la frode da sottovalutazione in questione.

156

Da tali dichiarazioni si evincerebbe che, fino alla fine del febbraio del 2015, detto Stato membro poteva legittimamente credere che la Commissione e l’OLAF ritenessero che il suo sistema di controlli doganali, caratterizzato dal fatto di essere imperniato su misure a posteriori, come ordini di riscossione, e non su misure come l’applicazione di soglie di rischio prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi o la costituzione di garanzie, fosse conforme al diritto dell’Unione e che esso, pertanto, non sarebbe stato oggetto di un procedimento per inadempimento a causa di tale sistema.

157

Il Regno Unito si riferisce, in particolare, a tre rassicurazioni date da agenti dell’OLAF o della Commissione nel corso del periodo di infrazione, le quali, a suo avviso, potevano fondare un siffatto legittimo affidamento.

158

Per quanto riguarda, in primo luogo, la dichiarazione che, stando ad un resoconto degli agenti del Regno Unito, è stata effettuata da un agente dell’OLAF in occasione di una riunione tenutasi il 13 giugno 2014, secondo la quale quest’ultimo si diceva «soddisfatto dei progressi realizzati dal Regno Unito, nonché delle misure già adottate a tale data e di quelle previste», tale dichiarazione rappresenterebbe una rassicurazione inequivocabile del fatto che l’OLAF non riteneva che il Regno Unito fosse inadempiente quanto agli obblighi di tutela degli interessi finanziari dell’Unione e di lotta contro la frode ad esso incombenti.

159

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la dichiarazione, effettuata nell’ottobre del 2014 da un agente della Commissione, con la quale si informava il Regno Unito che la sua partecipazione alla PCA Discount era «soddisfacente» e che le azioni necessarie per la realizzazione di tale operazione «[erano] state attuate in tempo utile e in modo effettivo», tale dichiarazione costituirebbe una rassicurazione chiara e inequivocabile del fatto che il Regno Unito non è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione per quanto riguarda la sua partecipazione a detta operazione.

160

Per quanto riguarda, in terzo luogo, la dichiarazione, effettuata da un agente dell’OLAF in occasione della prima riunione bilaterale dell’OLAF con l’HMRC, tenutasi il 19 e il 20 febbraio 2015, secondo la quale, stando al verbale di tale riunione redatto dagli agenti del Regno Unito, «fino a quel momento» tale Stato membro aveva «fatto ciò che occorreva fare», tale dichiarazione costituirebbe una rassicurazione per quanto riguarda tutte le misure adottate «fino ad allora» da detto Stato membro e non solo per quanto riguarda la questione dell’emissione degli avvisi C 18 Snake.

161

La Commissione contesta gli argomenti del Regno Unito.

b)   Valutazione della Corte

162

In primo luogo, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, l’obiettivo perseguito dalla procedura di cui all’articolo 258 TFUE consiste nell’accertamento oggettivo dell’inosservanza, da parte di uno Stato membro, degli obblighi che gli sono imposti dal Trattato FUE o da un atto di diritto derivato e che una procedura del genere consente anche di stabilire se uno Stato membro abbia violato il diritto dell’Unione in un caso particolare (sentenza del 27 marzo 2019, Commissione/Germania, C‑620/16, EU:C:2019:256, punto 40 e la giurisprudenza ivi citata).

163

La Corte ha parimenti dichiarato che i principi di tutela del legittimo affidamento e di leale cooperazione non possono essere fatti valere da uno Stato membro per ostacolare l’accertamento oggettivo del mancato rispetto da parte sua degli obblighi impostigli dal Trattato FUE, poiché l’ammissione di tale giustificazione contrasterebbe con l’obiettivo perseguito dal procedimento di cui all’articolo 258 TFUE relativo ad un siffatto accertamento oggettivo (v., in tal senso, sentenza del 6 maggio 2010, Commissione/Polonia, C‑311/09, non pubblicata, EU:C:2010:257, punto 18 e la giurisprudenza ivi citata).

164

Ammettere una simile giustificazione sarebbe parimenti contrario non solo al requisito imposto all’Unione di rispettare la parità degli Stati membri dinanzi ai Trattati, previsto all’articolo 4, paragrafo 2, TUE, ma anche al principio, sancito da una giurisprudenza costante della Corte, secondo il quale la Commissione è munita del potere discrezionale di valutare l’opportunità di agire contro uno Stato membro, determinare le disposizioni che esso avrebbe violato e scegliere il momento in cui essa inizierà il procedimento di inadempimento nei suoi confronti, laddove le considerazioni che determinano tale scelta non possono influenzare la ricevibilità dell’azione [sentenza del 19 settembre 2017, Commissione/Irlanda (Tassa di immatricolazione),C‑552/15, EU:C:2017:698, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata].

165

In secondo luogo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, al di fuori dei casi in cui tali competenze le sono espressamente attribuite, la Commissione non ha il potere di dare garanzie quanto alla compatibilità di un determinato comportamento con il diritto dell’Unione e che, in ogni caso, non dispone del potere di autorizzare comportamenti contrari al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2000, Commissione/Germania, C‑348/97, EU:C:2000:317, punto 45 e la giurisprudenza ivi citata).

166

Orbene, è giocoforza constatare che, anche ammesso che gli agenti dell’OLAF e della Commissione abbiano inteso, con le dichiarazioni che il Regno Unito invoca e che sono menzionate ai punti da 158 a 160 della presente sentenza, dare garanzie concernenti la compatibilità con il diritto dell’Unione del sistema di tale Stato inteso a combattere la frode da sottovalutazione in questione, la Commissione non disponeva, all’epoca in cui tali dichiarazioni sono state effettuate, di alcuna competenza a fornire siffatte garanzie, cosicché tali agenti non erano in alcun caso autorizzati a dare rassicurazioni in tal senso che detto Stato potrebbe adesso far valere per contestare la ricevibilità del presente ricorso per inadempimento.

167

In terzo luogo, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, il diritto di avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento presuppone che le autorità competenti dell’Unione abbiano fornito all’interessato assicurazioni precise, incondizionate e concordanti, provenienti da fonti autorizzate ed affidabili. Infatti, tale diritto spetta a qualsiasi soggetto nel quale un’istituzione, un organo o un organismo dell’Unione, fornendogli precise assicurazioni, abbia fatto nascere fondate aspettative. Per contro, nessuno può invocare una violazione di tale principio in assenza di tali assicurazioni (v., in tal senso, sentenze del 19 luglio 2016, Kotnik e a., C‑526/14, EU:C:2016:570, punto 62, nonché del 16 luglio 2020, ADR Center/Commissione, C‑584/17 P, EU:C:2020:576, punto 75 e la giurisprudenza ivi citata).

168

Orbene, alla luce della giurisprudenza richiamata ai punti da 162 a 164 della presente sentenza, anche ammesso che le dichiarazioni invocate dal Regno Unito abbiano potuto fondare un legittimo affidamento di quest’ultimo per quanto riguarda la compatibilità con il diritto dell’Unione del suo sistema di controlli doganali inteso a combattere la frode da sottovalutazione in questione, come applicato prima del 1o marzo 2015, tali dichiarazioni non possono in alcun caso essere invocate per impedire che la Commissione introduca un ricorso per inadempimento, poiché tale istituzione dispone di un potere discrezionale per valutare l’opportunità di agire contro uno Stato membro. Tali dichiarazioni non possono neanche ostare all’accertamento oggettivo, da parte della Corte, del mancato rispetto, da parte di tale Stato membro, degli obblighi impostigli dal Trattato FUE, in conformità all’obiettivo perseguito dal procedimento previsto all’articolo 258 TFUE.

169

L’efficacia del procedimento per inadempimento rischierebbe inoltre di essere gravemente compromessa se ad uno Stato membro fosse consentito di invocare un legittimo affidamento nella legittimità della sua azione, sorto da alcune dichiarazioni emesse da agenti della Commissione, per sottrarsi ad un siffatto procedimento. Infatti, come osservato giustamente dalla Commissione, gli Stati membri, in un sistema nel quale sono responsabili della corretta attuazione della normativa doganale dell’Unione nel loro territorio, non possono sottrarsi alla responsabilità di una violazione del diritto dell’Unione che potrebbero avere commesso per il solo motivo che l’OLAF o la Commissione non avrebbero contestato loro una siffatta violazione in un determinato momento.

170

Infine, come rilevato anche dall’avvocato generale al paragrafo 151 delle sue conclusioni, mentre il Regno Unito invoca, oltre ad una violazione del principio della tutela del legittimo affidamento, una violazione dei principi di certezza del diritto, di estoppel e di leale cooperazione, tale Stato non espone alcun argomento specifico relativo a questi ultimi principi, cosicché l’argomento fatto valere dal Regno Unito al riguardo deve essere respinto.

171

Alla luce delle considerazioni che precedono, l’eccezione di irricevibilità relativa alla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento, di certezza del diritto, di estoppel e di leale cooperazione deve essere respinta.

4.   Sull’incompetenza della Corte, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, a conoscere di una domanda della Commissione diretta ad ingiungere ad uno Stato membro di mettere a disposizione un importo di risorse proprie determinato

a)   Argomenti delle parti

172

Il Regno Unito eccepisce l’irricevibilità del terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, con il quale la Commissione chiede di «mettere a disposizione del bilancio dell’Unione» importi determinati di risorse proprie tradizionali per ciascuno dei sette anni del periodo di infrazione, ossia circa EUR 2,7 miliardi in totale, dal momento che, in primo luogo, secondo le sentenze del 14 aprile 2005, Commissione/Germania (C‑104/02, EU:C:2005:219, punti da 48 a 51), e del 5 ottobre 2006, Commissione/Germania (C‑105/02, EU:C:2006:637, punti da 43 a 45), nell’ambito di un ricorso per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, la Corte non può ingiungere ad uno Stato membro di accreditare sul conto aperto a tale scopo a nome della Commissione importi determinati di risorse proprie che non siano versati a causa di inadempimenti contestati a tale Stato membro.

173

Il Regno Unito confuta l’argomento della Commissione secondo cui essa avrebbe accuratamente «strutturato» le conclusioni del ricorso in modo da evitare l’errore commesso nelle cause sfociate nelle sentenze citate al punto precedente e sanzionato dalla Corte in tali sentenze tramite il rigetto delle conclusioni di cui trattasi in quanto irricevibili. Si tratterebbe di un «artificio» destinato ad aggirare l’incompetenza della Corte, in quanto la Commissione mirerebbe in realtà ad ottenere lo stesso risultato perseguito in tali cause.

174

Inoltre, il modo di procedere della Commissione priverebbe il Regno Unito della possibilità offertagli dall’articolo 260 TFUE di porre rimedio a qualsiasi violazione constatata in forza dell’articolo 258 TFUE, e non rispetterebbe quindi le rispettive competenze di tale istituzione, della Corte e degli Stati membri in forza dei Trattati.

175

La causa in esame si distinguerebbe inoltre da quella sfociata nella sentenza del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca (C‑392/02, EU:C:2005:683). Se è vero che la Corte ha accolto, con tale sentenza, un ricorso diretto a far constatare che lo Stato membro interessato era venuto meno agli obblighi ad esso incombenti rifiutandosi di mettere a disposizione risorse proprie per un importo determinato, sarebbe necessario rilevare che, nella causa sfociata in detta sentenza, come risulta dal punto 56 di quest’ultima, né l’esistenza di un’obbligazione doganale né l’importo delle perdite di risorse proprie erano oggetto di contestazione.

176

Sarebbe parimenti pertinente, in tale contesto, la sentenza del 31 ottobre 2019, Commissione/Regno Unito (C‑391/17, EU:C:2019:919), dal momento che i punti 118 e 119 di tale sentenza suggerirebbero che, se la Commissione presenta una domanda diretta a determinare una perdita di risorse proprie quantificata in modo specifico, tale istituzione deve provare ciascun elemento della sua domanda per ciascuna importazione all’origine di una siffatta perdita, nonché il nesso di causalità esistente fra ciascuno di tali elementi e tale perdita.

177

In secondo luogo, il Regno Unito sostiene che il presente ricorso è in realtà inteso ad ottenere il risarcimento di un danno subito ed è, pertanto, irricevibile nella misura in cui la Commissione chiede alla Corte di statuire su taluni importi specifici che il Regno Unito avrebbe dovuto mettere a disposizione della Commissione. Anche ammesso che la Corte dichiari che un siffatto ricorso è ricevibile, tale Stato ritiene che incomba alla Commissione provare che tutte le condizioni per il sorgere della responsabilità di tale Stato sono soddisfatte, ossia un atto illegittimo, un danno specifico quantificato e un nesso di causalità diretto fra tale atto e tale pregiudizio.

178

In subordine, il Regno Unito sostiene che il ricorso è irricevibile in quanto la Commissione confonde le tre fasi che devono essere seguite al fine di determinare l’importo delle perdite di risorse proprie. Infatti, in un primo momento, la Commissione sarebbe stata tenuta a fornire la prova dell’inadempimento da parte del Regno Unito degli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione, di un nesso di causalità fra tale inadempimento e l’importo determinato da essa rivendicato, nonché della ricevibilità della sua domanda di messa a disposizione di un importo determinato. In un secondo momento, se la Commissione fosse in grado di fornire queste tre prove, la Corte dovrebbe anzitutto esaminare la valutazione da parte del Regno Unito delle risorse proprie supplementari dovute. Solo qualora tale valutazione venisse respinta in quanto manifestamente irragionevole la Corte potrebbe esaminare, in un terzo momento, la stima delle perdite invocata dalla Commissione.

179

La Commissione contesta gli argomenti del Regno Unito.

b)   Valutazione della Corte

180

Per quanto riguarda, in primo luogo, l’argomento ricavato dal Regno Unito dalle sentenze del 14 aprile 2005, Commissione/Germania (C‑104/02, EU:C:2005:219), e del 5 ottobre 2006, Commissione/Germania (C‑105/02, EU:C:2006:637), occorre ricordare che, in un ricorso per inadempimento, la Commissione non può chiedere alla Corte altro che l’accertamento dell’esistenza dell’inadempimento dedotto allo scopo di farlo cessare. Pertanto, la Commissione non può, ad esempio, chiedere alla Corte, nell’ambito di un siffatto ricorso, di ingiungere a uno Stato membro di adottare un particolare comportamento al fine di conformarsi al diritto dell’Unione [sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata].

181

In tal senso, la Corte ha respinto in quanto irricevibili ricorsi proposti ai sensi dell’articolo 258 TFUE con i quali la Commissione le chiedeva di ingiungere ad uno Stato membro di procedere a determinati pagamenti qualora fosse accertato che tale Stato membro era venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione, essenzialmente in quanto con tali ricorsi si chiedeva alla Corte non di constatare che detto Stato membro era venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione, bensì di ingiungere allo stesso Stato membro di adottare determinati provvedimenti al fine di conformarsi al diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 14 aprile 2005, Commissione/Germania, C‑104/02, EU:C:2005:219, punti da 48 a 51, e del 5 ottobre 2006, Commissione/Germania, C‑105/02, EU:C:2006:637, punti da 4345 e la giurisprudenza ivi citata).

182

Orbene, nella specie, pur se il terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso contiene l’espressione «[l]e perdite di risorse proprie tradizionali corrispondenti da mettere a disposizione del bilancio dell’Unione», esso non può essere considerato come una domanda con cui si chiede alla Corte di ingiungere al Regno Unito di versare gli importi di tali risorse specificati a tale terzo comma. Al contrario, quest’ultimo costituisce una domanda diretta all’accertamento, da parte della Corte, di un inadempimento di obblighi incombenti a tale Stato.

183

Infatti, tale richiesta pecuniaria deve essere intesa non in maniera isolata, bensì alla luce della richiesta più generica e non quantificata figurante al primo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, che invita la Corte a constatare che, «non avendo messo a disposizione l’importo corretto delle risorse proprie tradizionali (…) relative [alle importazioni interessate]», il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza di talune disposizioni del diritto dell’Unione in materia di risorse proprie.

184

Ne consegue che il terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso contiene una domanda diretta ad ottenere dalla Corte la constatazione che il Regno Unito, non avendo messo a disposizione determinati importi di risorse proprie tradizionali per ciascun anno incluso nel periodo di infrazione, non ha rispettato gli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione.

185

Orbene, la ricevibilità di una siffatta domanda è pacifica, come risulta dalla giurisprudenza della Corte nel settore delle risorse proprie, la quale aveva anch’essa oggetto domande di questo tipo [v., segnatamente, sentenze del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca, C‑392/02, EU:C:2005:683, punti da 30 a 34; del 3 aprile 2014, Commissione/Regno Unito, C‑60/13, non pubblicata, EU:C:2014:219, punti da 37 a 62, e dell’11 luglio 2019, Commissione/Italia (Risorse proprie – Riscossione di un’obbligazione doganale), C‑304/18, non pubblicata, EU:C:2019:601, punti da 48 a 77].

186

Contrariamente a quanto sostenuto dal Regno Unito, tale giurisprudenza non può essere intesa nel senso che una siffatta domanda, nella misura in cui implica l’accertamento di un inadempimento consistente nella mancata messa a disposizione di un importo determinato di risorse proprie, sarebbe ricevibile solo qualora tale importo non sia contestato dallo Stato membro interessato.

187

Infatti, la Corte ha accolto una domanda della Commissione diretta all’accertamento di una violazione del diritto dell’Unione, con la motivazione che non era stato messo a disposizione un importo determinato di risorse proprie, sebbene lo Stato membro interessato contestasse l’esistenza stessa di un diritto dell’Unione su tale importo [v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2019, Commissione/Italia (Risorse proprie – Riscossione di un’obbligazione doganale), C‑304/18, non pubblicata, EU:C:2019:601, punti da 48 a 77].

188

Più fondamentalmente, dalla giurisprudenza risulta che la facoltà della Commissione di sottoporre alla valutazione della Corte, nell’ambito di un ricorso per inadempimento, una controversia che la veda contrapposta a uno Stato membro in merito all’obbligo di quest’ultimo di mettere un determinato importo di risorse proprie dell’Unione a disposizione di tale istituzione è inerente al sistema di dette risorse proprie, come esso è attualmente concepito nel diritto dell’Unione (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 68).

189

Il contenzioso in materia di risorse proprie trova infatti la sua fonte appunto nel fatto che lo Stato membro interessato contesta di dover mettere a disposizione gli importi chiesti dalla Commissione. Nell’ambito di un ricorso per inadempimento relativo a risorse proprie, è pertanto del tutto naturale che siano in gioco obblighi pecuniari e il diritto dell’Unione non osta a che l’inottemperanza a tali obblighi venga fatta valere nell’ambito dell’inadempimento addotto. Nel contesto di un siffatto procedimento, incombe alla Commissione dimostrare in maniera sufficiente, nell’ambito di un dibattito in contraddittorio nel quale lo Stato membro può far valere i suoi motivi, l’esattezza degli importi di risorse proprie che essa stima essere dovuti.

190

Inoltre, contrariamente a quanto fatto valere dal Regno Unito, la facoltà per la Commissione di chiedere alla Corte l’accertamento che sia dovuto un importo determinato di risorse proprie tradizionali non può essere esclusa con la motivazione che un siffatto modus operandi priverebbe tale Stato della possibilità offertagli all’articolo 260 TFUE di porre rimedio a qualsivoglia violazione constatata in forza dell’articolo 258 TFUE e non rispetterebbe pertanto le rispettive competenze di tale istituzione, della Corte e degli Stati membri ai sensi dei Trattati.

191

Infatti, se effettivamente la Commissione è legittimata ad astenersi dal formulare una siffatta richiesta pecuniaria, limitandosi a chiedere che la Corti accerti, in via generale, l’inadempimento consistente nel non avere prelevato risorse proprie, senza determinare l’importo di queste ultime, come fatto, segnatamente, nella causa sfociata nella sentenza del 31 ottobre 2019, Commissione/Regno Unito (C‑391/17, EU:C:2019:919), nulla osta a che tale istituzione chieda nelle sue conclusioni del ricorso l’accertamento di una violazione del diritto dell’Unione relativa alla mancata messa a disposizione di un importo determinato di risorse proprie, nella misura in cui detta istituzione ritenga che tale importo sia dovuto e sia in grado di dimostrarne l’esattezza.

192

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento del Regno Unito secondo il quale il presente ricorso è in realtà inteso ad ottenere il risarcimento di un danno subito ed è, pertanto, irricevibile, nella misura in cui la Commissione chiede alla Corte di statuire su taluni importi specifici che il Regno Unito avrebbe dovuto mettere a disposizione della Commissione, da quanto suesposto discende che, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, la ricevibilità di una domanda come quella figurante al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso non può essere contestata.

193

A tal riguardo, occorre parimenti ricordare che la Corte ha dichiarato che un ricorso con il quale la Commissione contesta ad uno Stato membro di non aver messo a disposizione un determinato importo di risorse proprie oltre ai relativi interessi di mora, in violazione del diritto dell’Unione non costituisce un ricorso per il risarcimento del danno non previsto dai Trattati, dal momento che, con un siffatto ricorso, tale istituzione chiede alla Corte di rilevare che lo Stato membro interessato è venuto meno ad un obbligo ad esso incombente in forza del diritto dell’Unione, e non di condannare tale Stato membro al risarcimento del danno (sentenza del 15 novembre 2005, Commissione/Danimarca, C‑392/02, EU:C:2005:683, punti da 31 a 34).

194

Pertanto, è effettivamente nell’ambito di un procedimento per inadempimento, e non di un procedimento diretto ad ottenere il risarcimento del danno, che la domanda in questione si inserisce, anche se quest’ultima riveste natura pecuniaria.

195

Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dal Regno Unito, mentre la Commissione è tenuta a dimostrare l’inadempimento che tale domanda è intesa a far accertare, tale istituzione non deve dimostrare l’esistenza di un danno né quella di un nesso di causalità fra tale inadempimento e tale danno.

196

Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’argomento del Regno Unito invocato in subordine e secondo il quale il ricorso sarebbe irricevibile in quanto la Commissione confonde le tre fasi che, come è stato illustrato al punto 178 della presente sentenza, dovrebbero essere seguite al fine di determinare l’importo delle perdite di risorse proprie, è sufficiente constatare che tale argomento concerne la fondatezza del presente ricorso e, in particolare, la fondatezza della prima e della seconda censura sollevate dalla Commissione, e non la sua ricevibilità.

197

Alla luce delle considerazioni che precedono, l’eccezione di irricevibilità fondata dal Regno Unito sull’incompetenza della Corte deve essere respinta.

5.   Sul carattere prematuro e sull’irricevibilità del ricorso per quanto riguarda il periodo che va dal 1o maggio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso a causa dell’emissione dei pareri C 18 Breach vertenti su tale periodo

a)   Argomenti delle parti

198

Il Regno Unito sostiene che, per quanto riguarda la parte del periodo di infrazione che va dal 1o maggio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso, la domanda di messa a disposizione di risorse proprie tradizionali figurante al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso è «prematura e irricevibile» e, in subordine, che tale domanda deve essere respinta in quanto la Commissione non sarebbe stata in grado di dimostrare la sua allegazione relativa all’esistenza di perdite di risorse proprie alla data di scadenza del termine per conformarsi al parere motivato.

199

Infatti, sebbene la Commissione fosse a conoscenza, fin dal maggio del 2018, degli otto avvisi C 18 Breach emessi e iscritti nella contabilità B nel corso di tale mese e aventi ad oggetto importazioni considerate sottovalutate ed effettuate a partire dal 1o maggio 2015, per un importo di circa GBP 25 milioni, essa non avrebbe contestato tali avvisi né nel parere motivato né nel ricorso e non avrebbe neppure detratto tale importo dalle perdite di risorse proprie tradizionali di cui al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso.

200

In tal senso, la Commissione non avrebbe tenuto conto degli importi che avrebbero potuto essere riscossi a seguito dell’emissione degli avvisi C 18 Breach né del fatto che il Regno Unito potrebbe vedersi esonerato dal suo obbligo di recupero ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 609/2014 se i diritti accertati e ripresi nella contabilità B risultassero alla fine irrecuperabili.

201

La Commissione contesta l’argomento del Regno Unito.

b)   Valutazione della Corte

202

L’argomento del Regno Unito secondo il quale, per quanto riguarda la parte del periodo di infrazione che va dal 1o maggio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso, la domanda di messa a disposizione di risorse proprie tradizionali figurante al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso è «prematura e irricevibile» dal momento che essa non prende in considerazione gli otto pareri C 18 Breach emessi nel maggio del 2018 e riguardanti importazioni sottovalutate effettuate nel corso di tale parte del periodo di infrazione, non può essere accolta.

203

Infatti, come ricordato al punto 164 della presente sentenza, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che la Commissione dispone di un potere discrezionale per decidere sull’opportunità di agire contro uno Stato membro, per determinare le disposizioni che esso avrebbe violato e per scegliere il momento in cui avviare il procedimento per inadempimento contro di esso, mentre le considerazioni che determinano tale scelta non possono avere alcuna incidenza sulla ricevibilità dell’azione [sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 75 e la giurisprudenza ivi citata].

204

Nella misura in cui, con tale argomento, il Regno Unito contesta la domanda di messa a disposizione di risorse proprie tradizionali figurante al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso per quanto riguarda la parte del periodo di infrazione che va dal 1o maggio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso, con la motivazione che la Commissione non sarebbe stata in grado di dimostrare la sua allegazione relativa all’esistenza delle perdite di risorse proprie alla data di scadenza del termine per conformarsi al parere motivato, detto argomento è diretto a contestare non la ricevibilità del ricorso, bensì la sua fondatezza.

205

Di conseguenza, l’eccezione di irricevibilità relativa al carattere prematuro e all’irricevibilità del ricorso per quanto riguarda il periodo che va dal 1o maggio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso a causa dell’emissione degli avvisi C 18 Breach riguardanti tale periodo e, pertanto, tutte le eccezioni di irricevibilità sollevate dal Regno Unito devono essere respinte.

B. Nel merito

1.   Sull’inadempimento degli obblighi in materia di protezione degli interessi finanziari dell’Unione e di lotta contro la frode, nonché degli obblighi risultanti dal diritto doganale dell’Unione

206

Con il primo motivo, il quale verte sulle censure figuranti al secondo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, ad eccezione di quella relativa alla violazione della normativa dell’Unione in materia di IVA, in particolare di talune disposizioni della direttiva 2006/112, la Commissione fa valere che, durante il periodo di infrazione, nonostante gli avvertimenti e le ripetute richieste della Commissione e dell’OLAF riguardanti il rischio di frode da sottovalutazione che le importazioni interessate presentavano, il Regno Unito non ha adottato misure fondate sul rischio volte a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione. L’omessa adozione di tali misure costituirebbe un inadempimento sia degli obblighi generali incombenti agli Stati membri in materia di tutela degli interessi finanziari dell’Unione e di lotta contro la frode, ai sensi dell’articolo 310, paragrafo 6, TFUE e dell’articolo 325 TFUE, sia degli obblighi specifici imposti agli Stati membri in forza della normativa doganale dell’Unione, anzitutto, di adottare misure volte a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione in forza dell’articolo 3 del codice doganale dell’Unione, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, poi, di effettuare controlli doganali sulla base di un’analisi dei rischi in applicazione dell’articolo 13 del codice doganale comunitario e dell’articolo 46 del codice doganale dell’Unione e, infine, di esigere la costituzione di garanzie ai sensi dell’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione e dell’articolo 244 del regolamento di esecuzione.

207

Inoltre, nella misura in cui essa verte su un’addotta violazione del diritto doganale dell’Unione, occorre parimenti esaminare, nell’ambito del primo motivo, la censura di cui al primo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, secondo la quale, durante il periodo di infrazione, il Regno Unito è incorso in una violazione continuata dell’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e dell’articolo 105, paragrafo 3, del codice doganale dell’Unione, non avendo tale Stato «contabilizzato», ai sensi dell’articolo 217, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e dell’articolo 104 del codice doganale dell’Unione, le obbligazioni doganali ancora da riscuotere per quanto riguarda le importazioni di cui trattasi, non appena le sue autorità doganali si sono accorte dalla situazione che ha portato alla constatazione di tali obbligazioni.

a)   Sulla violazione dell’articolo 310, paragrafo 6, TFUE e dell’articolo 325 TFUE

1) Sugli obblighi imposti agli Stati membri in forza dell’articolo 325 TFUE

208

Per quanto riguarda, in primo luogo, l’inadempimento contestato al Regno Unito di non avere rispettato gli obblighi ad esso incombenti in materia di protezione degli interessi finanziari dell’Unione e di lotta contro la frode in forza dell’articolo 310, paragrafo 6, TFUE e dell’articolo 325 TFUE, occorre indicare, in via preliminare, che esso deve essere esaminato alla luce del solo articolo 325 TFUE, dal momento che, come parimenti osservato dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 170 delle sue conclusioni, l’articolo 310, paragrafo 6, TFUE effettua un semplice rinvio all’articolo 325 TFUE e non impone obblighi diversi da quelli previsti da quest’ultimo. Infatti, l’articolo 310, paragrafo 6, TFUE si limita a prevedere che «[l]’Unione e gli Stati membri, conformemente all’articolo 325 [TFUE], combattono la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione».

209

L’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, obbliga gli Stati membri a lottare contro la frode e le altre attività illegali lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure dissuasive ed effettive (sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 50 e la giurisprudenza ivi citata).

210

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della decisione 2014/335, il cui contenuto è in sostanza identico a quello dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436, le risorse proprie dell’Unione includono segnatamente i dazi della tariffa doganale comune. Di conseguenza, esiste un nesso diretto tra la riscossione delle entrate provenienti da tali dazi e la messa a disposizione delle corrispondenti risorse. Ogni lacuna nella riscossione di tali entrate determina potenzialmente una riduzione di tali risorse (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 51 e la giurisprudenza ivi citata).

211

Pertanto, al fine di salvaguardare la tutela degli interessi finanziari dell’Unione in conformità all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, spetta agli Stati membri adottare le misure necessarie per garantire la riscossione effettiva e integrale dei dazi doganali, il che richiede che i controlli doganali possano essere correttamente effettuati (sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 52).

212

Dagli obblighi imposti loro all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, discende pertanto che gli Stati membri devono, a tal fine, prevedere l’applicazione non solo di sanzioni adeguate, ma anche di misure di controllo doganale efficaci e dissuasive al fine di combattere in maniera adeguata le violazioni della normativa doganale dell’Unione nella misura in cui esse siano idonee ad ostacolare la riscossione effettiva ed integrale delle risorse proprie tradizionali costituite dai dazi doganali e, pertanto, rischino di ledere gli interessi finanziari dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 53).

213

È vero che, in conformità all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, al fine di garantire la riscossione effettiva ed integrale delle entrate assegnate alle risorse proprie dell’Unione e, segnatamente, quelle costituite dai dazi della tariffa doganale comune, gli Stati membri dispongono di una certa discrezionalità e libertà di scelta in relazione, segnatamente, al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione. Tuttavia, tale discrezionalità o tale libertà di scelta è limitata, oltre che dai principi di proporzionalità e di equivalenza, dal principio di effettività, il quale impone che le misure adottate siano efficaci e dissuasive, fatto salvo, tuttavia, il necessario rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e dei principi generali del diritto dell’Unione (v., in tal senso, segnatamente, sentenze del 7 aprile 2016, Degano Trasporti, C‑546/14, EU:C:2016:206, punti 2021; del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B., C‑42/17, EU:C:2017:936, punti da 33 a 36, e del 17 gennaio 2019, Dzivev e a., C‑310/16, EU:C:2019:30, punti 27, 3034 e la giurisprudenza ivi citata).

214

A tal riguardo, occorre sottolineare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE pone a carico degli Stati membri obblighi di risultato precisi, che non sono accompagnati da alcuna condizione quanto all’applicazione delle norme che esso enuncia (sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 64 e la giurisprudenza ivi citata).

215

Alla luce delle considerazioni che precedono e contrariamente a quanto sostenuto dal Regno Unito, dalla giurisprudenza della Corte non risulta pertanto che gli Stati membri disporrebbero, in forza dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, di un ampio potere discrezionale nella scelta delle misure prese per combattere una frode idonea a ledere gli interessi finanziari dell’Unione, cosicché solo le misure manifestamente inadeguate con riferimento all’insieme delle circostanze del caso di specie potrebbero essere sanzionate in forza di tale disposizione.

216

Tale giurisprudenza, contrariamente a quanto fatto valere dal Regno Unito, non può neanche fondare la tesi secondo la quale l’obbligo di garantire una riscossione effettiva e integrale delle risorse proprie non richiede di compiere sforzi intensi per controllare e riscuotere le imposte che contribuiscono a formare tali risorse, ma semplicemente sforzi ragionevoli, né quella secondo la quale gli Stati membri sono unicamente tenuti a dar prova di diligenza nella riscossione di dette risorse. Al contrario, stando ai termini stessi di tale giurisprudenza, l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE impone «obblighi di risultato precisi» a carico degli Stati membri e non solo obblighi di mezzo.

217

Contrariamente a quanto sostenuto dal Regno Unito, dalla giurisprudenza della Corte non risulta neanche che ad uno Stato membro possa essere addebitato un inadempimento degli obblighi imposti all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE solo in situazioni in cui la Commissione dimostri che la misura nazionale in questione implica l’esistenza di un «rischio manifesto e grave di impunità» o che essa si risolve nella «mancanza di sanzioni» (conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa M.A.S. e M.B., C‑42/17, EU:C:2017:564, paragrafo 83), o ancora qualora si sia in presenza di una «negligenza» o di un comportamento «arbitrario» dello Stato membro interessato (sentenze del 16 maggio 1991, Commissione/Paesi Bassi, C‑96/89, EU:C:1991:213, punto 37; del 15 giugno 2000, Commissione/Germania, C‑348/97, EU:C:2000:317, punto 64, e del 18 ottobre 2007, Commissione/Danimarca, C‑19/05, EU:C:2007:606, punti 1835).

218

Infatti, pur se nella sua giurisprudenza, la Corte, in simili situazioni effettivamente particolari, ha concluso nel senso di una violazione del diritto dell’Unione e, segnatamente, dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, da tale giurisprudenza non discende affatto che l’ambito di applicazione di tale disposizione sia limitato a situazioni del genere, a maggior ragione in quanto le cause che hanno dato luogo a tale giurisprudenza riguardavano sanzioni e procedimenti relativi a tali sanzioni e, di conseguenza, misure fondamentalmente diverse da quelle di controllo doganale di cui al presente procedimento.

219

Da una giurisprudenza costante della Corte relativa ai requisiti imposti dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE si evince inoltre, per quanto riguarda le sanzioni intese a reprimere le violazioni della normativa doganale dell’Unione, che benché gli Stati membri dispongano al riguardo di libertà di scelta delle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione di entrambe, essi devono tuttavia assicurarsi che i casi di frode grave o di altre gravi attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione in materia doganale siano passibili di sanzioni penali dotate di un carattere effettivo e dissuasivo (sentenza del 5 giugno 2018, Kolev e a., C‑612/15, EU:C:2018:392, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata).

220

Ne consegue che la natura delle misure di controllo doganale che devono essere prese dagli Stati membri per conformarsi ai requisiti imposti loro dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE in materia di lotta contro la frode e di altre attività illegali che possono ledere gli interessi finanziari dell’Unione non può essere determinata in maniera astratta e statica poiché essa dipende dalle caratteristiche di tale frode o di queste altre attività illegali, le quali possono mutare nel tempo.

2) Sulla violazione degli obblighi imposti all’articolo 325 TFUE

i) Osservazioni preliminari

221

Prima di esaminare la violazione dell’articolo 325 TFUE contestata specificamente al Regno Unito dalla Commissione, occorre rammentare che, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, spetta alla Commissione, la quale ha l’onere di dimostrare l’esistenza dell’inadempimento contestato, fornire alla Corte gli elementi necessari alla verifica, da parte di quest’ultima, dell’esistenza di detto inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione [sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 124 e la giurisprudenza ivi citata].

222

Ne consegue che, nella specie, incombe alla Commissione dimostrare in maniera sufficiente che le misure che il Regno Unito ha adottato, nel corso del periodo di infrazione, per combattere la frode da sottovalutazione in questione non garantivano una riscossione effettiva ed integrale delle entrate assegnate alle risorse proprie dell’Unione costituite dai dazi della tariffa doganale comune, in violazione del principio di effettività sancito all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE.

223

A tal riguardo, la Commissione sostiene, essenzialmente, che, alla luce delle caratteristiche della frode da sottovalutazione in questione, note al Regno Unito nel corso dell’intero periodo di infrazione, le sole misure di controllo doganale che consentono di lottare contro tale frode e di proteggere debitamente gli interessi finanziari dell’Unione in conformità al principio di effettività sancito all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE erano quelle che essa aveva raccomandato con l’OLAF, sempre nel corso dell’intero periodo di infrazione, ossia, in sostanza, un sistema di controlli doganali applicato prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi e fondato su un’analisi dei rischi.

224

La Commissione fa valere che, dal momento che il Regno Unito ha imperniato il suo strumento di lotta contro la frode da sottovalutazione in questione su misure doganali applicate dopo lo sdoganamento delle merci di cui trattasi, come ordini di riscossione a posteriori di dazi doganali, esso non ha adottato le misure imposte dal principio di effettività sancito all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE.

ii) Richiamo delle caratteristiche essenziali della frode da sottovalutazione in questione

225

Prima di esaminare tale censura, occorre richiamare le caratteristiche essenziali della frode da sottovalutazione in questione quali risultano, segnatamente, dalla relazione dell’OLAF e che sono del resto pacifiche fra le parti.

226

Si trattava di una frode relativamente poco sofisticata, la quale implicava valori in dogana dichiarati a livelli estremamente bassi da parte di imprese cosiddette «fenice» o «di comodo», ossia imprese costituite al solo scopo di perpetrare la frode, dotate di risorse estremamente ridotte, e che erano messe in liquidazione o scomparivano non appena l’esattezza dei valori dichiarati veniva messa in dubbio dalle autorità doganali, rendendo quindi poco probabile o, addirittura, praticamente impossibile nella stragrande maggioranza dei casi qualsiasi riscossione a posteriori di dazi doganali.

227

Detta frode era organizzata da gruppi criminali che operavano in rete e utilizzavano tali imprese per metterla in atto. Si trattava di una frode mobile e assai reattiva, nel senso che tale commercio illecito e clandestino veniva spostato rapidamente verso un altro punto di ingresso del territorio doganale dell’Unione, non appena venivano annunciati controlli doganali o venivano intercettati segnali in tal senso da siffatti gruppi.

228

La stessa frode implicava volumi assai elevati di prodotti, il che la rendeva più o meno proficua, anche per dette imprese, a seconda del livello dei dazi evasi. Essa veniva attuata su larga scala e riguardava tutta l’Unione, benché non tutti gli Stati membri fossero stati interessati nella stessa misura, dal momento che aveva la tendenza a spostarsi verso gli Stati membri caratterizzati da sistemi di controlli doganali meno restrittivi, cosicché questi ultimi potevano essere considerati gli anelli più deboli della catena rappresentata dal territorio doganale dell’Unione al riguardo. Nella prassi, i prodotti interessati dalla frode da sottovalutazione in questione, nella stragrande maggioranza dei casi, venivano importati nel Regno Unito nell’ambito del regime doganale 42, il quale implicava che tali prodotti fossero, fin dall’inizio, destinati ad altri Stati membri, come la Repubblica francese o la Repubblica italiana, e che l’IVA dovesse essere pagata in questi altri Stati membri, il che, di norma, tuttavia non avveniva, poiché le merci di cui trattasi erano tipicamente destinate ad un commercio illecito e clandestino nel territorio di detti altri Stati membri.

iii) Sulla conoscenza da parte del Regno Unito, sin dall’inizio del periodo di infrazione, delle caratteristiche essenziali della frode da sottovalutazione in questione e delle misure efficaci per combatterla

229

Pur se, come rilevato anche dall’avvocato generale al paragrafo 185 delle sue conclusioni, il Regno Unito ha ammesso, a più riprese e sia nel corso del procedimento precontenzioso sia nell’ambito del procedimento dinanzi alla Corte, che nel suo territorio aveva avuto luogo una frode da sottovalutazione durante il periodo di infrazione, aggiungendo al contempo di esserne la vittima, tale Stato sostiene di avere preso le misure che ci si poteva ragionevolmente attendere dal medesimo per lottare contro la stessa, alla luce delle conoscenze limitate che detto Stato aveva, all’epoca in cui tali misure erano state adottate, sia della natura e della portata di tale frode sia delle misure efficaci per combatterla.

230

Il Regno Unito sostiene che solo alla fine del 2014, a seguito dell’ODC Snake, l’OLAF e taluni Stati membri interessati hanno iniziato ad intuire le attività fraudolente cui si trovavano di fronte, e che solo a seguito del messaggio di assistenza reciproca 2015/013 tale Stato ha acquisito conoscenze sufficienti in ordine alla frode da sottovalutazione in questione e alle misure specifiche necessarie per combatterla.

231

Orbene, dal fascicolo sottoposto alla Corte emerge che tutti gli Stati membri, compreso, all’epoca, il Regno Unito, avevano, quantomeno sin dall’inizio del periodo di infrazione, una conoscenza sufficiente delle caratteristiche essenziali della frode da sottovalutazione in questione e delle contromisure necessarie per combatterla in maniera efficace che l’OLAF e la Commissione raccomandavano loro di adottare.

232

Infatti, nel messaggio di assistenza reciproca 2007/015, l’OLAF aveva informato tutti questi Stati membri del rischio, segnatamente, di sottovalutazione estrema delle importazioni dei prodotti considerati provenienti dalla Cina nel territorio dell’Unione, nella maggior parte dei casi, da parte di imprese cosiddette «di comodo», la cui sede sociale risultava spesso inesistente all’indirizzo indicato sulle dichiarazioni in dogana, nonché del rischio di spostamento di tale frode verso altri porti dell’Unione.

233

Alla luce di tali caratteristiche essenziali della frode da sottovalutazione in questione, l’OLAF invitava tutti detti Stati membri ad analizzare le importazioni dei prodotti considerati provenienti, in particolare, dalla Cina, al fine di individuare eventuali indizi di importazioni sottovalutate, a procedere a controlli doganali adeguati nel corso dello sdoganamento delle merci di cui trattasi al fine di verificare i valori dichiarati di tali merci ed assicurare che essi riflettessero i valori di mercato reali delle stesse, nonché ad adottare le misure di salvaguardia adeguate in caso di sospetto di prezzi fatturati artificialmente bassi.

234

Inoltre, con il messaggio di assistenza reciproca 2009/001, l’OLAF ha informato tutti gli stessi Stati membri che le sue analisi relative al periodo compreso tra il gennaio e il giugno del 2009 avevano confermato l’esistenza di importazioni dei prodotti considerati provenienti dalla Cina in tutta l’Unione a valori dichiarati estremamente bassi. A fronte di tale constatazione di una «frode da sottovalutazione seria» e facendo riferimento alle raccomandazioni che esso aveva già formulato nel messaggio di assistenza reciproca 2007/015, l’OLAF chiedeva che gli Stati membri l’informassero, entro quattro settimane, in merito alla creazione di «filtri di rischio (adeguati)». Esso chiedeva inoltre a tutti gli Stati membri di «adottare misure adeguate per combattere contro il fenomeno endemico della sottovalutazione» nonché di «individuare le spedizioni ad altro rischio» e raccomandava di «verificare l’esistenza degli importatori».

235

Inoltre, gli orientamenti della PCA Discount contenevano la descrizione di un metodo concreto, fondato sui «giusti prezzi» del metodo OLAF-JRC e applicabile prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi, fermo restando che gli Stati membri venivano incoraggiati ad attuare tale metodo per combattere la frode da sottovalutazione in questione, segnatamente nell’ambito di tale operazione doganale. La costituzione di garanzie faceva parte delle misure che l’OLAF e la Commissione raccomandavano di adottare.

236

In occasione di una riunione del comitato del codice doganale della Commissione del 9 marzo 2012, alla quale ha partecipato un rappresentante del Regno Unito, un rappresentante di tale istituzione ha spiegato che la PCA Discount aveva dato luogo essenzialmente a verifiche in occasione dello sdoganamento delle merci di cui trattasi al fine di garantire l’efficacia dell’operazione, nella misura in cui essa era intesa a combattere un commercio illecito e clandestino che coinvolgeva operatori «scomparsi» («missing traders»).

237

Occorre parimenti ricordare che, fra il febbraio del 2015 e il luglio del 2016, il Regno Unito ha partecipato a diverse riunioni organizzate dall’OLAF, dedicate alla frode da sottovalutazione in questione, nel corso delle quali l’OLAF ha reiterato e aggiornato le informazioni già fornite in relazione alla portata e alla natura di tale frode, con particolare riferimento al fatto che tale commercio illecito era in crescita nel Regno Unito, nonché sulle contromisure da prendere per combattere detta frode in maniera efficace. Nel corso di tali riunioni, l’OLAF ha continuato a raccomandare fortemente al Regno Unito di predisporre soglie di rischio dirette ad individuare spedizioni che potevano essere sottovalutate e di sottoporre tali spedizioni a rischio a misure di controllo doganale prima dell’immissione in libera pratica delle merci di cui trattasi, come controlli fisici, il prelievo di campioni e la costituzione di garanzie, al fine di assicurare che i dazi doganali fossero effettivamente riscossi sulla base del valore reale di tali merci.

238

Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica portoghese, dal messaggio di assistenza reciproca 2015/013 non risulta che gli Stati membri siano effettivamente venuti a conoscenza della frode da sottovalutazione in questione solo a seguito dell’ODC Snake. Inoltre e in ogni caso, tale messaggio di assistenza reciproca rimandava espressamente ai messaggi di assistenza reciproca 2007/015 e 2009/001 nonché, di conseguenza, alle informazioni fornite dall’OLAF in questi ultimi messaggi e riassunte ai punti 232 e 234 della presente sentenza.

239

Contrariamente a quanto fatto valere dalla Repubblica portoghese, neanche dal messaggio di assistenza reciproca 2015/013 né dal punto 83 della relazione speciale n. 24/2015 della Corte dei conti europea, intitolata «Lotta alle frodi nel campo dell’IVA intracomunitaria: sono necessari ulteriori interventi»», risulta che le autorità doganali del Regno Unito ignoravano l’esistenza di una prassi generalizzata di false dichiarazioni in dogana anteriore all’ODC Snake.

240

Infatti, da detto messaggio di assistenza reciproca e dal punto 83 di detta relazione speciale risulta che l’ODC Snake aveva consentito di constatare che, nel caso del regime doganale con il codice 40 nell’elenco dei regimi doganali dell’Unione, il quale prevede l’immissione in consumo con contemporanea immissione in libera pratica di merci non oggetto di una cessione esente da IVA (in prosieguo: il «regime doganale 40»), il rischio di sottovalutazione era valutato a circa il 20% delle importazioni interessate e che, nel caso del regime doganale 42, tale rischio era valutato al 40% di tali importazioni.

241

Orbene, una siffatta indicazione non può essere intesa nel senso che la problematica della frode da sottovalutazione in questione era un problema di cui gli Stati membri erano venuti a conoscenza soltanto a seguito dell’ODC Snake.

242

Pertanto, la Commissione ha sufficientemente dimostrato che, sin dall’inizio del periodo di infrazione, il Regno Unito aveva una conoscenza sufficiente delle caratteristiche essenziali sia della frode da sottovalutazione in questione, riassunte ai punti da 226 a 228 della presente sentenza, sia delle misure che l’OLAF e la Commissione gli raccomandavano di prendere per combattere efficacemente tale frode, ossia, essenzialmente, misure di controllo doganale applicate prima dello sdoganamento di spedizioni individuate come idonee ad essere sottovalutate sulla base di uno strumento di analisi dei rischi come quello delle soglie di rischio costituito dai PMA fissati in applicazione del metodo OLAF-JRC.

243

Una siffatta conclusione non può essere rimessa in discussione dal fatto che, nel corso del periodo di infrazione, la conoscenza da parte del Regno Unito della portata e della natura di detta frode, nonché degli strumenti per combattere efficacemente quest’ultima è ulteriormente migliorata, alla luce, segnatamente, dello sviluppo delle importazioni fraudolente a prezzi estremamente bassi sul suo territorio e delle conseguenti potenziali perdite di risorse proprie tradizionali o di taluni aspetti dell’applicazione del metodo OLAF-JRC quale strumento di analisi dei rischi.

iv) Sulla non conformità all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE del sistema di controlli doganali applicato dal Regno Unito nel corso del periodo di infrazione per combattere la frode da sottovalutazione in questione

244

Come è indicato al punto 224 della presente sentenza, la Commissione sostiene che il sistema di controlli doganali applicato dal Regno Unito nel corso del periodo di infrazione per combattere la frode da sottovalutazione in questione non era conforme al principio di effettività sancito all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, dal momento che quest’ultimo era essenzialmente limitato a misure di controllo doganale applicate a posteriori, ossia dopo lo sdoganamento delle merci di cui trattasi e, in particolare, a riscossioni di dazi a posteriori.

245

La Commissione fa valere, come è stato rilevato al punto 223 della presente sentenza, che solo un sistema di controlli doganali essenzialmente della stessa natura di quello raccomandato dall’OLAF, ossia che comportasse soglie di rischio fissate ad un livello quantomeno equivalente ai PMA e applicate ex ante nonché la costituzione di garanzie, era idoneo a consentire di combattere in maniera efficace la frode da sottovalutazione in questione, alla luce delle caratteristiche essenziali di quest’ultima, richiamate ai punti da 226 a 228 della presente sentenza, ossia una frode su larga scala, mobile, reattiva ai controlli e commessa da imprese cosiddette «fenice». Secondo la Commissione, i controlli effettuati prima dello svincolo delle merci di cui trattasi non facevano parte del sistema di controlli doganali applicato dal Regno Unito fino all’ottobre del 2017.

246

La Commissione sostiene che le misure applicate a posteriori dal Regno Unito erano votate al fallimento e manifestamente inadeguate per combattere detta frode, dal momento che, come noto a tale Stato, quest’ultima era stata commessa da imprese cosiddette «fenice», il che rendeva improbabile ovvero praticamente impossibile nella stragrande maggioranza dei casi qualsiasi riscossione a posteriori di dazi doganali.

247

A tal riguardo, è pacifico che, prima del lancio dell’operazione Swift Arrow, le autorità doganali del Regno Unito hanno applicato misure di controllo doganale ex ante soltanto in via del tutto eccezionale e hanno imperniato la loro azione su riscossioni a posteriori di dazi. In tal senso, controlli fisici delle merci di cui trattasi e il prelievo di campioni sulla base dei profili di rischio del metodo OLAF-JRC sono stati effettuati soltanto nel corso del periodo operativo dell’ODC Snake, ossia un periodo di un mese, compreso tra il 17 febbraio e il 17 marzo 2014, nell’ambito dell’operazione Samurai, la quale ha riguardato unicamente due operatori, nonché nell’ambito dell’operazione Breach, per tredici spedizioni. Dalla risposta del Regno Unito ad un quesito posto dalla Corte emerge che, pur se erano state richieste garanzie nel corso del periodo operativo dell’ODC Snake, l’importo totale delle stesse rappresentava soltanto lo 0,4144% dell’importo totale dei dazi doganali supplementari reclamati negli avvisi C 18 Snake; tali garanzie erano state peraltro successivamente eliminate dopo l’annullamento di tali avvisi, cosicché esse non hanno dato luogo ad una riscossione di dazi.

248

Il Regno Unito sostiene di avere adottato una propria strategia fondata su un’analisi dei rischi, consistente essenzialmente nell’applicazione di un profilo di rischio diretto ad individuare, e poi controllare a posteriori, tramite, se del caso, l’emissione di ordini di riscossione di dazi, un gruppo delimitato di operatori che importano regolarmente merci a prezzi estremamente bassi, qualificati come «importatori ad alto rischio», il che sarebbe legittimo in considerazione dell’ampio margine di manovra di cui tale Stato disponeva e alla luce del fatto che il metodo OLAF-JRC non era vincolante. Esso fa parimenti valere che pur se, ad esempio, nell’ambito della PCA Discount, le sue autorità doganali non hanno applicato le soglie di rischio del metodo OLAF-JRC ex ante, bensì soltanto a posteriori, l’OLAF non glielo ha contestato. Al contrario, al medesimo sarebbero state fornite diverse rassicurazioni da parte di agenti dell’OLAF in merito alla compatibilità con il diritto dell’Unione del suo sistema di controlli doganali.

249

A tal riguardo, come è stato ricordato al punto 169 della presente sentenza, occorre in primo luogo sottolineare che, in un sistema in cui gli Stati membri sono responsabili della corretta attuazione della normativa doganale dell’Unione nel loro territorio, tali Stati non possono sottrarsi alla responsabilità di una violazione del diritto dell’Unione che essi potrebbero avere commesso invocando il fatto che l’OLAF o la Commissione non l’hanno loro contestata in un determinato momento.

250

In secondo luogo, ai punti da 162 a 169 della presente sentenza, la Corte ha respinto l’argomento invocato dal Regno Unito e relativo al fatto che tale Stato poteva fare legittimo affidamento su talune dichiarazioni degli agenti dell’OLAF secondo le quali il suo sistema di controlli doganali era compatibile con il diritto dell’Unione.

251

Terzo, come è stato ricordato al punto 220 della presente sentenza, dalla giurisprudenza della Corte risulta che la natura delle misure di controllo doganale che devono essere prese dagli Stati membri per conformarsi ai requisiti imposti loro dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE in materia di lotta contro la frode e di altre attività illegali che possono ledere gli interessi finanziari dell’Unione e, in particolare, l’obbligo di garantire la riscossione effettiva ed integrale delle risorse proprie dell’Unione costituite dai dazi doganali nel rispetto necessario dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta e dei principi generali dell’Unione, non può essere determinata in maniera astratta e statica poiché dipende dalle caratteristiche di tale frode o di queste altre attività illegali, le quali possono peraltro mutare nel tempo.

252

Orbene, come sottolineato dalla Commissione, da un lato, quando, eccezionalmente, le autorità doganali del Regno Unito hanno effettuato controlli ex ante, essi si sono rivelati immediatamente efficaci e dissuasivi. In tal senso, ad esempio, è pacifico che, una volta annunciati controlli fisici, taluni container venivano sviati dal porto di Felixstowe (Regno Unito) verso porti di altri Stati membri e che i due operatori oggetto dei controlli ex ante effettuati nell’ambito dell’operazione Samurai hanno immediatamente cessato le loro attività dopo che l’HMRC ha contestato le loro dichiarazioni in dogana.

253

Dall’altro, nel corso dell’intero periodo di infrazione, il sistema di controlli doganali applicato dal Regno Unito, nella misura in cui era imperniato su misure a posteriori come riscossioni di dazi, si è rivelato inefficace per combattere la frode da sottovalutazione in questione, dal momento che quest’ultima era essenzialmente caratterizzata dal fatto di essere commessa da imprese cosiddette «fenice», presso le quali una riscossione di dazi era esclusa nella stragrande maggioranza dei casi.

254

In tale contesto, si deve richiamare una riunione, tenutasi il 13 giugno 2014, in merito al seguito dell’ODC Snake, in occasione della quale le autorità doganali del Regno Unito hanno indicato, stando al verbale di tale riunione redatto da un agente di tale Stato, che pur se, nei casi in cui non erano state avviate azioni penali, tali autorità intendevano attuare procedimenti di riscossione a posteriori a fini di «dissuasione finanziaria», esse ritenevano «sulla base dell’esperienza del passato e di quanto già osservato in questo tipo di frode» che fosse «improbabile che un’obbligazione [venisse] riscossa».

255

Inoltre, occorre rilevare che, per quanto riguarda sia le obbligazioni doganali reclamate negli avvisi C 18 Snake sia quelle reclamate negli avvisi C 18 Breach, il Regno Unito sostiene di essere dispensato dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione le risorse proprie tradizionali corrispondenti a tali obbligazioni, adducendo che l’impossibilità di riscuoterle non sarebbe imputabile a tale Stato dal momento che i loro debitori sono imprese «fenice». Orbene, una siffatta affermazione, anche ammesso che sia fondata, dimostrerebbe che il sistema di controlli doganali attuato dal Regno Unito non consentiva una riscossione effettiva ed integrale delle entrate assegnate alle risorse proprie dell’Unione.

256

Inoltre, la Commissione fa valere, senza essere contraddetta sul punto, che alcuni degli operatori interessati dai controlli effettuati nell’ambito dell’operazione Breach erano già colpiti da un ordine di riscossione figurante in uno degli avvisi C 18 Snake, il che confermerebbe che il sistema di controlli doganali attuato nel Regno Unito non era, all’epoca, sufficientemente dissuasivo.

257

Pertanto, anche se, come risulta dalla giurisprudenza richiamata al punto 213 della presente sentenza, l’articolo 325, paragrafo 1, TFUE riserva agli Stati membri una certa discrezionalità e libertà di scelta quanto alle misure di controllo doganale che devono essere adottate al fine, segnatamente, di garantire la riscossione effettiva ed integrale delle risorse proprie dell’Unione costituite dai dazi della tariffa doganale comune, è giocoforza constatare che, nella specie, alla luce delle peculiarità della frode da sottovalutazione in questione e, in particolare, del fatto che tale frode era mobile, estremamente reattiva ai controlli ed attuata essenzialmente da imprese inadempienti o insolventi presso le quali qualsiasi riscossione a posteriori dei dazi era, nella stragrande maggioranza dei casi, esclusa a priori, peculiarità di cui le autorità doganali del Regno Unito erano peraltro venute a conoscenza in tempo utile a causa della loro esperienza, il sistema di controlli doganali attuato da tale Stato nel corso del periodo di infrazione per combattere detta frode, nella misura in cui era, salve talune rare eccezioni, limitato ad azioni di riscossione di dazi a posteriori, non rispettava, quantomeno non manifestamente, il principio di effettività sancito all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE.

258

Alla luce delle considerazioni che precedono, il primo motivo deve essere accolto, nella parte in cui è relativo alla violazione dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE.

b)   Sulla violazione degli obblighi imposti dalla normativa doganale dell’Unione

259

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’inadempimento contestato al Regno Unito consistente nell’inottemperanza agli obblighi ad esso incombenti in forza della normativa doganale dell’Unione, la Commissione addebita a tale Stato di avere omesso, in primo luogo, di adottare misure a tutela degli interessi finanziari dell’Unione in violazione dell’articolo 3 del codice doganale dell’Unione, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE; in secondo luogo, di effettuare controlli doganali sulla base di un’analisi dei rischi in violazione dell’articolo 13 del codice doganale comunitario e dell’articolo 46 del codice doganale dell’Unione; in terzo luogo, di esigere la costituzione di garanzie in violazione dell’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione e dell’articolo 244 del regolamento di esecuzione, nonché, in quarto luogo, di non avere contabilizzato, in violazione dell’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e dell’articolo 105, paragrafo 3, del codice doganale dell’Unione, le obbligazioni doganali ancora da riscuotere non appena le autorità doganali di detto Stato si sono accorte dalla situazione che ha portato alla constatazione di tali obbligazioni.

1) Osservazioni preliminari

260

In via preliminare, occorre constatare che la censura relativa all’articolo 3 del codice doganale dell’Unione, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, non riveste portata autonoma rispetto a quella relativa alla violazione dell’articolo 325 TFUE esaminata ai punti da 208 a 258 della presente sentenza. Infatti, tale censura non viene sviluppata dalla Commissione sulla base di un argomento specifico relativo alle disposizioni sulle quali essa è fondata.

261

Inoltre, come rilevato anche dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 173 delle sue conclusioni, per quanto riguarda gli obblighi incombenti agli Stati membri al fine di combattere contro la frode o le altre attività illegali che possono ledere gli interessi finanziari dell’Unione, l’articolo 325, paragrafo 3, TFUE costituisce una manifestazione specifica del principio generale di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE. Ne discende che non occorre effettuare un esame distinto di detta censura (v., in tal senso, sentenza del 30 maggio 2006, Commissione/Irlanda, C‑459/03, EU:C:2006:345, punti da 169171).

262

Ciò premesso, occorre verificare se, come sostenuto dalla Commissione, il Regno Unito abbia violato, nell’ambito della sua azione intesa a lottare contro la frode da sottovalutazione in questione nel corso del periodo di infrazione, da un lato, l’articolo 13 del codice doganale comunitario e l’articolo 46 del codice doganale dell’Unione, nella misura in cui tale Stato non ha effettuato, prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi, controlli doganali fondati su un’analisi dei rischi, come quella del metodo OLAF-JRC, i quali consentono di individuare le importazioni che possono essere sottovalutate e che devono, pertanto, essere oggetto di verifiche per quanto riguarda l’esattezza del valore in dogana dichiarato e, dall’altro, l’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione e l’articolo 244 del regolamento di esecuzione, nella misura in cui detto Stato non ha richiesto la costituzione di garanzie per le importazioni così individuate come potenzialmente sottovalutate.

263

A tal riguardo, la Commissione desume dalla sentenza del 16 giugno 2016, EURO 2004. Hungary (C‑291/15, EU:C:2016:455), che, qualora delle merci vengano dichiarate a valori in dogana estremamente bassi e, in particolare, a valori inferiori al prezzo medio statistico di più del 50%, è lecito nutrire seri dubbi quanto alla validità delle dichiarazioni in dogana di cui trattasi, cosicché tali merci non possono essere immesse in libera circolazione senza controllo preventivo dei valori così dichiarati. Essa richiama altresì la sentenza del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo (C‑23/10, EU:C:2011:160), per fondare il principio secondo il quale, quando le autorità doganali dispongono di indicazioni concrete circa l’inesattezza di dichiarazioni in dogana, il che potrebbe dare luogo alla riscossione di dazi doganali inferiori a quelli effettivamente dovuti, tali autorità sono tenute a procedere alla verifica di tali dichiarazioni e ad effettuare i controlli richiesti.

264

Il Regno Unito, sostenuto dagli Stati membri intervenienti, fa valere che dalla giurisprudenza invocata dalla Commissione risulta che le autorità doganali degli Stati membri sono tenute a procedere a controlli doganali solo se dispongono di indicazioni concrete relative all’inesattezza degli elementi figuranti in una dichiarazione in dogana. Per contro, qualora tali autorità nutrano soltanto dei dubbi in ordine all’esattezza di tali elementi, fondati, ad esempio, sulla constatazione di una differenza superiore al 50% fra il prezzo dichiarato e il valore medio statistico, dette autorità avrebbero unicamente la possibilità di procedere a siffatti controlli, senza tuttavia esservi tenute.

265

Orbene, nella specie, alla luce delle informazioni a loro disposizione, le stesse autorità non avrebbero avuto indicazioni concrete di una sottovalutazione delle importazioni interessate, ma, tutt’al più, avrebbero nutrito dubbi fondati in ordine all’esattezza dei valori in dogana dichiarati, ai sensi della giurisprudenza, cosicché esse sarebbero state legittimate ad effettuare controlli doganali, ma non vi sarebbero state tenute. Analogamente, la constatazione che il valore in dogana dichiarato era inferiore di più del 50% al valore medio statistico e, pertanto, inferiore alla soglia del PMA del metodo OLAF-JRC non costituirebbe un’indicazione concreta di sottovalutazione di tale valore in dogana, ma, tutt’al più, una ragione per nutrire dubbi fondati circa l’esattezza del medesimo e, pertanto, non avrebbe obbligato le autorità del Regno Unito a verificare l’esattezza di detto valore in dogana.

266

A tal riguardo, è sufficiente, in tale fase, indicare che, da un lato, la frode da sottovalutazione in questione costituiva una frode su larga scala, che implicava importazioni su un periodo relativamente lungo in tutta l’Unione e, in particolare, nel Regno Unito, di volumi elevati di merci a valori dichiarati estremamente bassi e, pertanto, a prima vista sospetti, da parte di imprese cosiddette «inadempienti», la quale esponeva in maniera evidente l’Unione a considerevoli rischi per i suoi interessi finanziari a causa di conseguenti perdite di risorse proprie tradizionali in ampia misura irrecuperabili. In tale contesto, la conoscenza da parte delle autorità doganali del Regno Unito, a seguito, segnatamente, di informazioni comunicate dall’OLAF e dalla Commissione, della portata e delle peculiarità di tale frode, nonché dei rischi finanziari significativi che essa faceva correre all’Unione, dimostrava che tali autorità disponevano di indicazioni sufficientemente concrete in merito all’inesattezza degli elementi figuranti in un numero significativo di dichiarazioni in dogana relative al valore dei prodotti considerati provenienti dalla Cina, che le obbligavano pertanto ad adottare misure di controllo doganale adeguate per verificare tale valore in maniera sistematica in relazione alle importazioni interessate al fine di assicurare, in fine, il pagamento integrale ed effettivo dei dazi doganali dovuti.

267

Dall’altro, in un siffatto contesto di frode, l’informazione risultante per le autorità doganali degli Stati membri dall’individuazione di importazioni a prezzi estremamente bassi tramite un profilo di rischio come quello dei PMA del metodo OLAF-JRC come idonee ad essere sottovalutate poteva fornire indicazioni concrete a tali autorità dell’inesattezza degli enunciati figuranti nelle dichiarazioni in dogana per i prodotti coperti da tale profilo di rischio, che pertanto, dovevano formare l’oggetto di controlli doganali prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi.

268

Alla luce di tali considerazioni preliminari, occorre pertanto esaminare le censure di cui al punto 259 della presente sentenza, ad eccezione di quella relativa alla violazione dell’articolo 3 del codice doganale dell’Unione, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

2) Sulla violazione degli obblighi imposti all’articolo 13 del codice doganale comunitario e all’articolo 46 del codice doganale dell’Unione

i) Argomenti delle parti

269

Per quanto riguarda l’inadempimento addebitato al Regno Unito, relativo alla violazione dell’articolo 13 del codice doganale comunitario e dell’articolo 46 del codice doganale dell’Unione, la Commissione ritiene che, nell’ambito della sua azione diretta a lottare contro la frode da sottovalutazione in questione durante il periodo di infrazione, tale Stato non abbia effettuato controlli doganali prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi, fondati su un’analisi dei rischi come quella del metodo OLAF-JRC, che consentissero di individuare le importazioni idonee ad essere sottovalutate e da sottoporre, pertanto, a verifiche relative all’esattezza del valore in dogana dichiarato.

270

A tal riguardo, dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che la Commissione non addebita al Regno Unito la mancata applicazione del metodo OLAF-JRC, bensì piuttosto gli contesta di non avere adottato le misure elementari raccomandate dall’OLAF, ossia, segnatamente, controlli fondati su profili di rischio applicati ex ante. La Commissione ammette che tale metodo non era giuridicamente vincolante per gli Stati membri e, anche se essa ritiene che fosse preferibile applicare profili o soglie di rischio elaborati a livello dell’Unione, come i PMA, fissati in applicazione di detto metodo, essa sostiene, senza peraltro essere contraddetta sul punto dal Regno Unito, di avere sempre accettato che gli Stati membri applichino i propri profili o le proprie soglie di rischio sempreché essi siano comparabili a o più rigorosi dei PMA.

271

Il Regno Unito sostiene di avere fondato i controlli doganali effettuati nel corso del periodo di infrazione per combattere la frode da sottovalutazione in questione su un’analisi dei rischi. Tale analisi muoverebbe essenzialmente dall’applicazione di un profilo di rischio diretto ad individuare, e poi a controllare, un gruppo ristretto di operatori che importano regolarmente i prodotti considerati a prezzi estremamente bassi, qualificati come «importatori ad alto rischio» e darebbe luogo, se del caso, all’emissione di ordini di riscossione di dazi a posteriori come gli avvisi C 18. Così, nell’ambito dell’operazione Breach, lanciata nel maggio del 2015 e tuttora in corso, 239 «importatori ad alto rischio» sarebbero stati individuati ai fini dell’applicazione di tale profilo di rischio. Si tratterebbe di una «strategia legittima e ragionevole» dal momento che la prassi avrebbe dimostrato che la grande maggioranza delle importazioni interessate proverrebbe da 129 operatori soltanto su un totale di 20000 operatori che importano i prodotti considerati dalla Cina.

ii) Valutazione della Corte

272

L’articolo 13, paragrafo 2, del codice doganale comunitario, applicabile alla parte del periodo di infrazione che termina il 30 aprile 2016, prevedeva, al suo primo comma, che i controlli doganali, diversi dai controlli a campione, si fondano sull’«analisi dei rischi, utilizzando procedimenti informatici», al fine di identificare e quantificare i rischi e di sviluppare le misure necessarie per effettuare una valutazione degli stessi, sulla base di criteri elaborati a livello nazionale, dell’Unione e, se disponibili, internazionale, e, al suo secondo comma, che si ricorre alla «procedura del comitato» per definire un «quadro comune in materia di gestione dei rischi» e per stabilire «criteri comuni» e «settori di controllo prioritari».

273

Tali obblighi sono stati ripresi, con una formulazione modificata, all’articolo 46, paragrafi 2 e 3, del codice doganale dell’Unione, applicabile alla parte del periodo di infrazione iniziato il 1o maggio 2016.

274

L’articolo 46, paragrafo 2, del codice doganale dell’Unione prevede che i controlli doganali diversi dai controlli casuali «si basano principalmente sull’analisi dei rischi effettuata mediante procedimenti informatici» e sono intesi ad identificare e valutare i rischi e a mettere a punto le contromisure necessarie, sulla base di criteri elaborati a livello nazionale, dell’Unione e, se del caso, internazionale. L’articolo 46, paragrafo 3, di tale codice dispone che i controlli doganali sono effettuati nell’ambito di un «quadro comune in materia di gestione del rischio», basato sullo scambio di informazioni attinenti ai rischi e dei risultati dell’analisi dei rischi tra le amministrazioni doganali, che stabilisce «criteri e norme comuni per la valutazione del rischio, misure di controllo e settori di controllo prioritari».

275

L’articolo 46, paragrafo 4, di detto codice obbliga inoltre le autorità doganali degli Stati membri ad applicare una «gestione del rischio».

276

L’articolo 46, paragrafi 6 e 7, dello stesso codice elenca i fattori di cui occorre tenere conto per stabilire, segnatamente, i «criteri e le norme comuni di rischio», e gli elementi che tali criteri e tali norme devono comprendere.

277

È pacifico che, nel corso del periodo di infrazione, la Commissione non ha stabilito criteri o norme comuni in materia di rischi sotto forma di un atto vincolante che si imponesse agli Stati membri, anche se essa ha adottato, il 21 agosto 2014, tramite una comunicazione, una strategia e un piano di azione sulla gestione dei rischi in materia doganale [comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale relativa alla strategia dell’UE per la gestione dei rischi doganali: affrontare i rischi, rafforzare la sicurezza della catena di approvvigionamento e agevolare gli scambi, (COM/2014/527 final)]. Come osservato dalla Repubblica portoghese in udienza e confermato dai punti 13 e 15 della relazione speciale n. 04/2021 della Corte dei conti, intitolata «Controlli doganali: l’insufficiente armonizzazione nuoce agli interessi finanziari dell’UE», la Commissione ha adottato, il 31 maggio 2018, una prima decisione vincolante che stabilisce criteri e norme comuni in materia di rischi finanziari sotto forma di un documento «restreint UE/EU restricted», la quale è stata integrata, nel dicembre del 2019, da un «documento di orientamento» non vincolante.

278

Si può ritenere che il metodo OLAF-JRC, come è stato raccomandato dall’OLAF e dalla Commissione agli Stati membri ed illustrato, segnatamente, negli orientamenti della PCA Discount ai fini di un’applicazione nell’ambito di tale operazione, nella misura in cui contiene, in particolare, una descrizione dei rischi e dei fattori o indicatori di rischio da utilizzare per scegliere le merci da sottoporre a controllo doganale e specifica la natura dei controlli doganali che devono essere effettuati dalle autorità doganali, applichi criteri comuni non vincolanti in materia di rischi che si inseriscono nel quadro comune di gestione dei rischi.

279

Occorre sottolineare che, dal momento che i controlli doganali sono intesi, in fine, a prevenire e a combattere le frodi al regime doganale dell’Unione, qualsiasi misura comune non vincolante che potrebbe essere adottata o raccomandata in relazione ai criteri di analisi e di gestione dei rischi, di cui all’articolo 13, paragrafo 2, primo e secondo comma, del codice doganale comunitario e all’articolo 46, paragrafi 2 e 3, del codice doganale dell’Unione, si inserisce necessariamente nella lotta alla frode di cui all’articolo 325 TFUE. Orbene, dall’articolo 325, paragrafi 1 e 3, TFUE risulta che la lotta contro la frode implica una stretta cooperazione fra gli Stati membri e l’Unione, da un lato, e fra gli Stati membri stessi, dall’altro.

280

A tal riguardo, il quadro comune di gestione dei rischi nel quale i controlli doganali vengono effettuati, nella misura in cui è basato, in conformità all’articolo 46, paragrafo 3, del codice doganale dell’Unione, oltre che su criteri e norme comuni in materia di rischi, sullo scambio di informazioni attinenti ai rischi e dei risultati dell’analisi dei rischi tra le amministrazioni doganali nonché su misure di controlli doganali e settori di controllo prioritari, è una manifestazione specifica dell’articolo 325, paragrafo 3, TFUE, il quale enuncia che gli Stati membri coordinano l’azione diretta a tutelare gli interessi finanziari dell’Unione contro la frode organizzando, assieme alla Commissione, una stretta e regolare cooperazione tra le autorità competenti.

281

Di conseguenza, qualora vengano raccomandati siffatti criteri comuni non vincolanti di analisi e di gestione dei rischi, gli Stati membri, pur non essendo formalmente vincolati, in linea di principio, da tali criteri, sono tenuti, in forza di tale obbligo di cooperazione, a tenere debitamente conto dei medesimi ovvero di seguirli nel caso in cui essi non abbiano sviluppato criteri nazionali di efficacia perlomeno pari a quelli raccomandati dall’Unione.

282

Ne consegue che, in conformità agli obblighi ad esso incombenti in forza delle disposizioni di cui all’articolo 13 del codice doganale comunitario e dell’articolo 46 del codice doganale dell’Unione, in combinato disposto con l’articolo 325 TFUE, il Regno Unito doveva, quantomeno, nell’ambito della definizione, durante il periodo di infrazione, del suo sistema di analisi e di gestione dei rischi, tenere debitamente conto, alla luce del modus operandi e delle caratteristiche specifiche della frode da sottovalutazione in questione noti a tale Stato, dei profili di rischio nonché dei tipi di controlli doganali che l’OLAF e la Commissione gli raccomandavano di applicare per combattere tale frode, e ciò nonostante il carattere non vincolante dei criteri applicati in materia di rischi.

283

Orbene, è giocoforza constatare che, malgrado le rinnovate raccomandazioni dell’OLAF e della Commissione, il Regno Unito, salvo che nel periodo operativo dell’ODC Snake, ossia il periodo compreso tra il 17 febbraio e il 17 marzo 2014, non ha effettuato controlli doganali prima dello svincolo delle merci di cui trattasi sulla base di profili di rischio come le soglie di rischio del metodo OLAF-JRC o di altri profili di rischio che presentano un grado di efficacia comparabile.

284

Ciò premesso, come risulta dal punto 281 della presente sentenza, il Regno Unito, in una situazione caratterizzata dall’assenza di misure vincolanti dell’Unione, non era tenuto a seguire siffatte raccomandazioni sempreché i criteri di analisi e di gestione dei rischi da esso adottati fossero quantomeno comparabili, in termini di efficacia, a quelli raccomandati dall’Unione, se non più efficaci.

285

Orbene, in occasione di una riunione tenutasi il 28 luglio 2015, le autorità doganali del Regno Unito hanno indicato all’OLAF che l’utilizzo di indicatori di rischio basati su prezzi medi sarebbe controproducente e sproporzionato tenuto conto del volume delle importazioni nel territorio di tale Stato membro.

286

Il Regno Unito sostiene, segnatamente, in risposta a taluni quesiti posti dalla Corte, che, poiché riteneva che i profili di rischio del metodo OLAF-JRC non fossero sufficientemente precisi, in particolare in quanto davano luogo a falsi positivi in relazione ad importazioni legittime effettuate a prezzi estremamente bassi per grandi catene di distribuzione ben note, esso ha preferito sviluppare propri profili di rischio nazionali più efficaci. Il fatto che questi ultimi siano divenuti finalmente operativi soltanto a partire dal 12 ottobre 2017, ossia alla data del lancio dell’operazione Swift Arrow, si spiegherebbe con la complessità di tale esercizio e dei mezzi importanti che devono essere ad esso dedicati.

287

Tale argomento deve essere respinto.

288

Occorre sottolineare, infatti, da un lato, la gravità e la portata della frode da sottovalutazione in questione, nonché i considerevoli rischi finanziari che essa implicava manifestamente per l’Unione, del resto noti al Regno Unito, il quale era stato ripetutamente avvertito al riguardo dall’OLAF e dalla Commissione, e, dall’altro, il fatto che il Regno Unito era tenuto, quantomeno, a prendere debitamente in considerazione, nell’elaborazione del suo sistema di analisi e di gestione dei rischi, i criteri in materia di rischi che l’OLAF e la Commissione gli avevano a più riprese raccomandato di applicare, in particolare soglie di rischio come i PMA del metodo OLAF-JRC applicati prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi.

289

In siffatte circostanze, il Regno Unito, in attesa della conclusione dei suoi lavori intesi ad attuare proprie soglie di rischio considerate più efficaci, non poteva rifiutarsi di applicare qualsiasi profilo di rischio che consentisse di individuare, prima dello sdoganamento di tali merci, importazioni a prezzi estremamente bassi che presentavano un rischio rilevante di sottovalutazione ai fini dell’applicazione di controlli doganali prima dell’immissione in libera pratica di dette merci.

290

A tal riguardo, occorre ricordare, da un lato, che la Commissione non addebita al Regno Unito di non avere applicato correttamente i profili di rischio del metodo OLAF-JRC, ma piuttosto di non avere applicato, nell’ambito del suo sistema di analisi e di gestione dei rischi, prima del lancio dell’operazione Swift Arrow, nessun profilo di rischio prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi, sebbene tale metodo avrebbe consentito di individuare le importazioni che potevano essere sottovalutate al fine di indirizzare i controlli doganali prima dello svincolo di tali merci.

291

Dall’altro, dall’analisi dell’articolo 325 TFUE effettuata ai punti da 208 a 220 della presente sentenza si evince che, alla luce delle caratteristiche della frode da sottovalutazione in questione, le contromisure in grado di consentire di combattere quest’ultima in maniera efficace e dissuasiva non potevano limitarsi a riscossioni a posteriori di dazi, dal momento che esse erano di norma destinate all’insuccesso, trattandosi di imprese inadempienti, ma dovevano includere controlli doganali prima dell’immissione in libera pratica delle merci dichiarate a prezzi estremamente bassi.

292

Orbene, in conformità all’articolo 13 del codice doganale comunitario e all’articolo 46 del codice doganale dell’Unione, in combinato disposto con l’articolo 325 TFUE, il Regno Unito era tenuto ad effettuare, al fine di assicurare una lotta efficace e dissuasiva contro la frode, la selezione delle dichiarazioni in dogana che dovevano formare l’oggetto di siffatti controlli ex ante sulla base di un’analisi dei rischi effettuata mediante procedimenti informatici di trattamento dei dati, cosa che esso ha omesso di fare nel corso di tutto il periodo di infrazione, salvo che per quanto riguarda il periodo operativo dell’ODC Snake, compreso tra il 17 febbraio e il 17 marzo 2014.

293

Dal momento che la Commissione fonda la sua censura su questa sola omissione, non occorre esaminare le diverse censure dirette avverso il metodo OLAF-JRC, utilizzato quale strumento di analisi dei rischi, nella misura in cui esso prescriverebbe soglie di rischio arbitrarie ovvero eccessivamente inclusive alla luce del numero elevato di falsi positivi cui esso darebbe luogo e che riguarderebbero importazioni a basso prezzo, ma legittime, effettuate da grandi catene di vendita al dettaglio.

294

Ad ogni buon conto, può indicarsi che, dal momento che dagli studi allegati alla relazione dell’OLAF emerge che i PMA, utilizzati come soglie di rischio nell’ambito del metodo OLAF-JRC, sono stati fissati a partire da PMR sulla base di ricerche scientifiche effettuate dallo JRC che implicavano l’analisi di istogrammi e la distribuzione, in termini di prezzo, di diversi tipi di importazioni, essi risultavano essere non arbitrari, bensì fondati su criteri oggettivi e neutri.

295

Inoltre, dal momento che le soglie di rischio del metodo OLAF-JRC costituite dai PMA sono fondate su prezzi medi statistici, ossia i PMR, e sono intese unicamente ad individuare le importazioni che presentano un rischio rilevante di sottovalutazione affinché vengano verificati i valori in dogana dichiarati per quanto riguarda tali importazioni e non a stabilire se dette importazioni siano effettivamente sottovalutate, esse implicano, per la loro stessa natura, una certa percentuale di falsi positivi.

296

Di conseguenza, contrariamente a quanto sostenuto dal Regno Unito, l’attendibilità dei PMA in quanto profilo di rischio non può essere messa in discussione a causa del mero fatto, ammesso che sia accertato, che l’11,2%, in volume, delle importazioni legittime effettuate da talune grandi catene di distribuzione ben note verrebbero dichiarate a valori inferiori a tali prezzi. Una siffatta percentuale di casi positivi risulta infatti essere ragionevole alla luce dell’apporto utile dei PMA nell’individuazione delle frodi da sottovalutazione in questione.

297

Infine, come rilevato parimenti dall’avvocato generale al paragrafo 209 delle sue conclusioni, la Commissione ha indicato, in risposta a taluni quesiti scritti posti dalla Corte e senza essere contraddetta dal Regno Unito sul punto, da un lato, che i PMA erano stati introdotti, e poi applicati, in quanto profili di rischio nell’ambito della PCA Discount nel 2011 e, successivamente, nell’ambito dell’ODC Snake nel 2014 dopo un dibattito approfondito tra gli Stati membri e in maniera consensuale tra questi ultimi, nonché, dall’altro, che la determinazione dei PMA al livello del 50% dei PMR non era stata contestata, in quanto tale, da nessuno Stato membro nel corso del periodo di infrazione.

298

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre accogliere il primo motivo, nella parte in cui è relativo alla violazione, da parte del Regno Unito, dell’articolo 13 del codice doganale comunitario e dell’articolo 46 del codice doganale dell’Unione, nella misura in cui, nell’ambito della sua azione diretta a combattere la frode da sottovalutazione in questione durante il periodo di infrazione, tale Stato non ha effettuato controlli doganali fondati su un’analisi del rischio prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi.

3) Sulla violazione degli obblighi imposti all’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione e all’articolo 244 del regolamento di esecuzione

299

Come è stato rilevato al punto 259 della presente sentenza, la Commissione addebita al Regno Unito di essere venuto meno agli obblighi di cui all’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione e all’articolo 244 del regolamento di esecuzione, fermo restando che tali disposizioni obbligano le autorità doganali ad esigere la costituzione di una garanzia sufficiente allorché ritengano che la verifica della dichiarazione in dogana possa dare luogo ad un importo più elevato di dazi rispetto a quello risultante dagli elementi della dichiarazione in dogana.

300

A tal riguardo, se è vero, come sostenuto dal Regno Unito, che l’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione e l’articolo 244 del regolamento di esecuzione, a causa dell’impiego del verbo «ritenere», lasciano un certo potere discrezionale alle autorità doganali degli Stati membri allorché esse decidono se sia necessario esigere la costituzione di garanzie, tale potere discrezionale è limitato, come parimenti rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 218 delle sue conclusioni, dal principio di effettività, sancito all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, ai sensi del quale deve essere assicurata una protezione efficace degli interessi finanziari dell’Unione contro la frode o le altre attività illegali che possono ledere tali interessi.

301

Come è stato sottolineato ai punti 220 e 251 della presente sentenza, la portata del principio di effettività, nella misura in cui quest’ultimo si applica all’obbligo specifico incombente agli Stati membri in forza dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE di garantire la riscossione effettiva e integrale delle risorse proprie dell’Unione costituite dai dazi doganali, non può essere determinata in maniera astratta e statica poiché essa dipende dalle caratteristiche della frode o dell’attività illegale interessate, le quali possono peraltro mutare nel tempo.

302

Nella specie, occorre ricordare che la frode da sottovalutazione in questione era caratterizzata da importazioni, a prezzi estremamente ridotti, di volumi assai elevati dei prodotti considerati provenienti dalla Cina da parte di imprese cosiddette «fenice», create specificamente per attuare tale frode, le quali avevano unicamente un patrimonio minimo e sparivano oppure erano oggetto di liquidazione non appena l’esattezza dei valori in dogana da esse dichiarati veniva sottoposta a controllo, il che rendeva a priori illusorio, nella stragrande maggioranza dei casi, qualsivoglia riscossione a posteriori dei dazi.

303

In un siffatto contesto di frode, una protezione efficace degli interessi finanziari dell’Unione contro le perdite significative di risorse proprie tradizionali che potevano risultare dalla mancata riscossione di considerevoli importi di dazi doganali relativi a tali importazioni massicce e manifestamente sottovalutate in maniera fraudolenta esigeva, oltre alla predisposizione di un profilo di rischio che consentisse di individuare in maniera automatizzata le importazioni che presentavano un rischio rilevante di sottovalutazione e che dovevano pertanto formare l’oggetto di verifiche con riferimento all’esattezza dei valori in dogana dichiarati, una domanda sistematica di costituzione di garanzie per quanto attiene a dette importazioni.

304

Orbene, come è stato constatato al punto 247 della presente sentenza, è pacifico che, nel corso del periodo di infrazione, il Regno Unito ha preteso la costituzione di garanzie soltanto in via del tutto eccezionale nel corso del periodo operativo dell’ODC Snake, per un importo totale che rappresentava unicamente lo 0,4144% dell’importo totale dei dazi doganali supplementari richiesti negli avvisi C 18 Snake, fermo restando che tali garanzie erano peraltro state rimborsate dopo l’annullamento degli avvisi cui esse si riferivano.

305

Il Regno Unito contesta l’esistenza di tale inadempimento, facendo valere, in primo luogo, che poiché le sue autorità doganali non disponevano di dati che consentissero di calcolare l’importo delle garanzie sulla base di un valore sostitutivo attendibile, queste ultime potevano essere contestate con successo nell’ambito di ricorsi amministrativi e giurisdizionali qualora venissero calcolate sulla base di PMR.

306

Tale argomento deve essere respinto.

307

Infatti, come rilevato anche dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 224 delle sue conclusioni, dal momento che il Regno Unito era responsabile della determinazione corretta dei valori in dogana dichiarati al momento dell’importazione nel suo territorio applicando controlli doganali che, alla luce delle peculiarità della frode da sottovalutazione in questione, dovevano includere verifiche prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi, incombeva alle autorità doganali del Regno Unito chiedere agli operatori interessati di fornire informazioni relative alla qualità di tali merci e prelevare campioni nell’ambito di verifiche fisiche, il che avrebbe consentito a tali autorità di disporre dei dati necessari per determinare un valore sostitutivo che poteva essere utilizzato per calcolare l’importo corretto delle garanzie.

308

In tale contesto, se, nell’ambito dell’ODC Snake, l’OLAF ha tentato di supportare l’azione degli Stati membri sollecitando presso le autorità cinesi la fornitura di prezzi all’esportazione che potevano essere utilizzati per determinare i valori sostitutivi delle merci le cui importazioni erano state sottovalutate, la circostanza che, in definitiva, relativamente pochi di tali prezzi all’esportazione siano stati forniti da tali autorità e che l’impiego, nell’ambito di procedimenti giurisdizionali, dei prezzi forniti era inoltre soggetto a rigorose limitazioni, non può rimettere in discussione il fatto che incombesse al Regno Unito, e non all’OLAF o alla Commissione, organizzare il suo sistema di lotta contro la frode da sottovalutazione in questione in modo tale da poter disporre di dati sufficienti relativi al valore delle merci di cui trattasi, come dati relativi alla qualità o al livello di finitura delle stesse.

309

In secondo luogo, il Regno Unito contesta l’inadempimento relativo alla violazione dell’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione e dell’articolo 244 del regolamento di esecuzione, adducendo che l’obbligo di costituire in maniera sistematica una garanzia arrecherebbe un pregiudizio non giustificato al diritto di proprietà degli importatori interessati e sarebbe contrario, di conseguenza, all’articolo 17 della Carta e all’articolo 1 del protocollo addizionale n. 1 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Parigi il 20 marzo 1952.

310

A tal riguardo, come è stato ricordato ai punti 220 e 251 della presente sentenza, dalla giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 325, paragrafo 1, TFUE risulta che l’obbligo di garantire la riscossione effettiva e integrale delle risorse proprie dell’Unione costituite dai dazi doganali si impone nel rispetto necessario dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta e dei principi generali del diritto dell’Unione.

311

Nella specie, la Commissione addebita al Regno Unito di non avere chiesto in maniera sistematica la costituzione di garanzie prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi per le sole importazioni il cui valore dichiarato era inferiore ad una soglia di rischio e che presentavano, di conseguenza, un rischio rilevante di sottovalutazione.

312

Inoltre, occorre constatare, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 222 delle sue conclusioni, che il Regno Unito non spiega i motivi esatti per i quali un siffatto obbligo di costituire sistematicamente garanzie per importazioni individuate da un profilo di rischio come presentanti un rischio rilevante di sottovalutazione costituirebbe una violazione del diritto di proprietà degli operatori interessati.

313

Inoltre, pur se l’obbligo di costituire sistematicamente garanzie per siffatte importazioni può comportare una limitazione del diritto fondamentale di proprietà, una siffatta limitazione risulta giustificata alla luce delle condizioni poste all’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

314

Infatti, ai sensi di tale disposizione, tale limitazione è prevista dalla legge e rispetta il contenuto essenziale del diritto di proprietà, nonché il principio di proporzionalità laddove detta limitazione sia necessaria e risponda effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione.

315

A tal riguardo, anzitutto, l’obbligo di costituire sistematicamente una garanzia per importazioni che presentano un rischio rilevante di sottovalutazione risponde effettivamente alla finalità di interesse generale, riconosciuta all’articolo 325 TFUE, che vengano tutelati gli interessi finanziari dell’Unione e, in particolare, che le autorità doganali degli Stati membri prendano a tal fine le misure di controllo doganale adeguate per garantire la riscossione effettiva e integrale delle risorse proprie tradizionali costituite dai dazi doganali.

316

Alla luce del fatto, poi, che una garanzia viene liberata non appena l’importatore interessato versa i dazi effettivamente dovuti o venga constatato, a seguito di verifica, che quest’ultimo ha dichiarato correttamente il valore in dogana delle merci di cui trattasi, l’obbligo di costituire, anche sistematicamente, una siffatta garanzia, ha un carattere rigorosamente temporaneo e rispetta il contenuto essenziale del diritto di proprietà nonché il principio di proporzionalità.

317

Infine, il carattere proporzionato di un siffatto obbligo consegue anche dal fatto che la Commissione addebita specificamente al Regno Unito di non avere imposto tale obbligo per le sole importazioni che presentano un rischio rilevante di sottovalutazione e che vengono individuate prima dello svincolo di tali merci con l’ausilio di un profilo di rischio automatizzato.

318

Infatti, nel caso di siffatte importazioni, le autorità doganali, in conformità all’articolo 181 bis del regolamento di applicazione e all’articolo 140 del regolamento di esecuzione, devono nutrire dubbi quanto al valore in dogana dichiarato, nella misura in cui esse non possano essere persuase del fatto che quest’ultimo rappresenti l’importo totale pagato o da pagare e sono pertanto tenute a ritenere che la verifica delle dichiarazioni in dogana possa comportare l’esigibilità di un importo di dazi più elevato rispetto a quello risultante dagli elementi di tali dichiarazioni in dogana, ai sensi dell’articolo 248 del regolamento di applicazione e dell’articolo 244 del regolamento di esecuzione.

319

Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve concludere che il Regno Unito, nella misura in cui ha limitato, essenzialmente, nel corso del periodo di infrazione, il suo sistema di controlli doganali diretto a combattere la frode da sottovalutazione in questione a misure applicate dopo lo sdoganamento delle merci di cui trattasi, come ordini di riscossione di dazi a posteriori, e ha omesso di integrare in maniera sistematica in tale sistema misure applicabili prima di tale sdoganamento, in particolare controlli doganali delle importazioni individuate come presentanti un rischio rilevante di sottovalutazione tramite un profilo di rischio automatizzato nonché la costituzione sistematica di garanzie per tali importazioni, non ha ottemperato agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’articolo 13 del codice doganale comunitario, dell’articolo 46 del codice doganale dell’Unione, dell’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione e dell’articolo 244 del regolamento di esecuzione.

320

Tale conclusione si basa essenzialmente sulla constatazione del manifesto difetto di efficacia del sistema di controlli doganali applicato dal Regno Unito durante il periodo di infrazione per combattere la frode da sottovalutazione in questione dovuto al fatto che tale sistema, essendo imperniato su controlli applicati dopo lo sdoganamento delle merci di cui trattasi, non era adeguato alle caratteristiche di tale frode, anche se tale Stato aveva una conoscenza sufficiente di queste ultime fin dall’inizio di tale periodo.

321

Come parimenti rilevato dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 227 delle sue conclusioni, tale conclusione relativa al carattere, nella specie, manifestamente inadeguato e insufficiente dei controlli doganali effettuati dal Regno Unito nel corso del periodo di infrazione per combattere la frode da sottovalutazione in questione, non è rimessa in discussione dall’argomento, invocato da tale Stato, secondo il quale quest’ultimo ha partecipato ad operazioni di controllo doganale a livello dell’Unione, come la PCA Discount nel 2011, l’ODC Snake nel 2014 o l’operazione Octopus nel 2016 e ne ha condotte a sua volta, come le operazioni Breach o Samurai.

322

Infatti, incombe alle autorità doganali degli Stati membri vigilare sull’applicazione del diritto doganale dell’Unione, e, in particolare, effettuare controlli doganali adeguati al fine di tutelare, in modo efficace, gli interessi finanziari della stessa. Lo svolgimento di tale compito richiede, da parte di tali autorità, un lavoro continuo, coerente e sistematico che non può limitarsi ad una partecipazione puntuale a operazioni doganali, i cui effetti possono essere solo temporanei. Inoltre, è vero che le azioni di controllo doganale intraprese a livello dell’Unione sono intese a sostenere gli Stati membri, ma esse non possono sostituire l’azione di controllo e di protezione efficace degli interessi finanziari dell’Unione loro incombente.

323

A tal riguardo, è pacifico che l’operazione Breach, lanciata dalle autorità del Regno Unito nel maggio del 2015, è stata la prima azione di controlli doganali del Regno Unito specificamente intesa a combattere la frode da sottovalutazione in questione e che l’operazione Swift Arrow è stata la prima azione del Regno Unito ad integrare sistematicamente nel sistema di controlli doganali verifiche effettuate prima dello sdoganamento di importazioni individuate con l’ausilio di un profilo di rischio.

324

Come sostenuto dalla Commissione, il manifesto difetto di efficacia delle misure adottate dal Regno Unito durante il periodo di infrazione per combattere la frode da sottovalutazione in questione e, viceversa, l’efficacia e il carattere dissuasivo di un sistema che integra in maniera sistematica controlli doganali effettuati prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi e fondati su un profilo di rischio emergono parimenti dai dati statistici forniti dalla Commissione.

325

Infatti, tali dati statistici, figuranti segnatamente in allegato alle risposte di tale istituzione ai quesiti posti dalla Corte, confermano che, da un lato, durante il periodo di infrazione, il volume delle importazioni dichiarate in dogana nel Regno Unito a prezzi inferiori al PMA (ossia al 50% del PMR), in particolare, quelle dichiarate a prezzi inferiori al 10% del PMR, e, di conseguenza, a prezzi estremamente bassi, è aumentato considerevolmente di anno in anno mentre il volume delle importazioni effettuate a prezzi superiori al PMA è rimasto relativamente stabile.

326

In tal senso, il volume delle importazioni effettuate a prezzi inferiori al 10% del PMR è aumentato da 4189937 kg nel 2011 a 314088517 kg nel 2016. Per il periodo di infrazione, il volume delle importazioni effettuate a prezzi dichiarati inferiori al PMA costituiva il 41% del totale delle importazioni dei prodotti considerati provenienti dalla Cina. Per tale periodo, il 69,5% delle importazioni effettuate a prezzi dichiarati inferiori al PMA riguardava importazioni effettuate a prezzi dichiarati inferiori al 10% del PMR.

327

Inoltre, mentre, nel dicembre del 2012, il 51% delle importazioni effettuate a prezzi inferiori al PMA era dichiarato ad un prezzo inferiore al 10% del PMR, nel dicembre del 2016 tale percentuale è passata all’85%.

328

Dall’altro, dai dati statistici forniti dalla Commissione emerge incontestabilmente che, a partire dal lancio dell’operazione Swift Arrow, prima operazione delle autorità del Regno Unito che integra in maniera sistematica nel sistema dei controlli doganali verifiche effettuate prima dello sdoganamento di importazioni individuate come caratterizzate da un rischio rilevante di sottovalutazione tramite un profilo di rischio automatizzato, le importazioni effettuate a prezzi dichiarati inferiori al PMA sono immediatamente diminuite fino a scomparire nello spazio di qualche mese. Tali importazioni sottovalutate sono infatti diminuite del 90% in tre mesi soltanto.

4) Sulla violazione degli obblighi imposti all’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e all’articolo 105, paragrafo 3, del codice doganale dell’Unione

329

Come è stato rilevato al punto 207 della presente sentenza, occorre adesso esaminare la censura relativa ad una violazione continuata degli obblighi risultanti dall’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e dall’articolo 105, paragrafo 3, del codice doganale dell’Unione, nella misura in cui, in relazione alle importazioni interessate, il Regno Unito non ha contabilizzato le obbligazioni doganali ancora da riscuotere non appena le autorità doganali si sono accorte dalla situazione che ha portato alla constatazione di tali obbligazioni.

330

Il Regno Unito contesta tale censura, facendo valere, in sostanza, che esso doveva contabilizzare obbligazioni doganali supplementari solo se fosse stato tenuto a verificare le dichiarazioni in dogana interessate, poiché il calcolo di dazi supplementari dovuti per legge sarebbe possibile solo previa verifica di tali dichiarazioni in dogana. Orbene, il Regno Unito non sarebbe stato tenuto a verificare dette dichiarazioni in dogana il cui valore era inferiore alle soglie fissate dall’OLAF e, di fatto, non le avrebbe verificate. In ogni caso, tale obbligo di iscrivere dazi nella contabilità delle risorse proprie dell’Unione avrebbe richiesto che il Regno Unito disponesse degli importi esatti dovuti che lo stesso non avrebbe contabilizzato. Orbene, anche se il Regno Unito avesse effettuato delle verifiche, tale Stato non sarebbe stato in possesso di siffatte informazioni.

331

A tal riguardo, nei limiti in cui, con la sua censura relativa alla violazione dell’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e dell’articolo 105, paragrafo 3, del codice doganale dell’Unione, la Commissione addebita al Regno Unito, per quanto riguarda le importazioni interessate effettuate nel corso dell’intero periodo di infrazione, di non avere contabilizzato l’integralità dei dazi doganali dovuti nei termini previsti da tali disposizioni, dall’esame del primo motivo risulta che, in violazione dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE e del diritto doganale dell’Unione, le autorità doganali del Regno Unito non hanno adottato le misure di controllo doganale adeguate per verificare i valori in dogana dichiarati per quanto riguarda tali importazioni.

332

Ne consegue che, in relazione a dette importazioni, tali autorità doganali non hanno rispettato l’obbligo ad esse incombente di assicurare, tramite controlli doganali adeguati, che i valori doganali fossero determinati secondo le norme del diritto doganale dell’Unione.

333

Di conseguenza, calcolando, in relazione alle stesse importazioni, gli importi dei dazi doganali sulla base di valori non corretti, in quanto manifestamente troppo bassi, e contabilizzando poi tali importi di dazi, le autorità doganali del Regno Unito, in violazione dell’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale comunitario e dell’articolo 105, paragrafo 3, del codice doganale dell’Unione, non hanno contabilizzato in maniera effettiva la totalità dei dazi doganali dovuti nei termini previsti da tali disposizioni.

334

Non sono in particolare stati contabilizzati in tempo utile, in violazione di dette disposizioni, gli importi corrispondenti alla differenza esistente tra i dazi calcolati sulla base dei valori dichiarati in modo non corretto e i dazi che sarebbero stati accertati se essi fossero stati calcolati sulla base dei valori reali delle merci di cui trattasi in conformità alle norme del diritto dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana.

335

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre accogliere il primo motivo, nella parte in cui è relativo alla violazione da parte del Regno Unito degli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, dell’articolo 13 e dell’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale comunitario, dell’articolo 46 e dell’articolo 105, paragrafo 3, del codice doganale dell’Unione, nonché dell’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione e dell’articolo 244 del regolamento di esecuzione.

2.   Sull’inadempimento degli obblighi imposti dal diritto dell’Unione in materia di messa a disposizione delle risorse proprie tradizionali costituite dai dazi doganali

336

Con il secondo motivo, il quale verte su talune delle censure figuranti al primo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, nonché sulla censura unica figurante al terzo comma di questo primo capo di conclusioni, in primo luogo, la Commissione addebita al Regno Unito di avere violato la legislazione dell’Unione in materia di risorse proprie e, in particolare, gli articoli 2 e 8 delle decisioni 2007/436 e 2014/335, gli articoli 2, 6, 9, 10, 11 e 17 del regolamento n. 1150/2000 nonché le corrispondenti disposizioni di cui agli articoli 2, 6, 9, 10, 12 e 13 del regolamento n. 609/2014, dal momento che, nel caso delle importazioni interessate durante il periodo di infrazione, tale Stato non avrebbe messo a disposizione di tale istituzione le risorse proprie tradizionali dovute. In secondo luogo, la Commissione sostiene che, stando alla sua stima, le perdite di risorse proprie tradizionali, diminuite delle spese di riscossione, ma maggiorate degli interessi di mora, che, di conseguenza, devono essere messe a sua disposizione dal Regno Unito in conformità a tali disposizioni, corrispondono ai seguenti importi:

EUR 496025324,30 per quanto riguarda il 2017 (fino all’11 ottobre 2017 incluso);

EUR 646809443,80 per quanto riguarda il 2016;

EUR 535290329,16 per quanto riguarda il 2015;

EUR 480098912,45 per quanto riguarda il 2014;

EUR 325230822,55 per quanto riguarda il 2013;

EUR 173404943,81 per quanto riguarda il 2012;

EUR 22777312,79 per quanto riguarda il 2011.

a)   Sulla censura relativa alla violazione da parte del Regno Unito del suo obbligo di principio di messa a disposizione di risorse proprie tradizionali

337

In primo luogo, la Commissione sostiene, da un lato, che, poiché, come fatto valere nell’ambito del primo motivo, le autorità doganali del Regno Unito non hanno effettuato i controlli doganali adeguati, durante il periodo di infrazione, le merci oggetto delle importazioni interessate non sono state dichiarate correttamente per quanto riguarda il loro valore in dogana, il che avrebbe avuto come conseguenza che i dazi doganali dovuti per tali merci non sono stati calcolati correttamente e che gli importi di risorse proprie corrispondenti a tali dazi che avrebbero dovuto essere accertati non lo sono stati né sono stati messi a sua disposizione al momento in cui avrebbero dovuto esserlo.

338

Dall’altro, la Commissione addebita al Regno Unito che, nell’ambito dell’ODC Snake, le sue autorità doganali hanno annullato a partire dal giugno del 2015 le obbligazioni doganali che esse avevano accertato in precedenza in ordini di riscossione a posteriori emessi fra il novembre del 2014 e il febbraio del 2015, ossia gli avvisi C 18 Snake aventi ad oggetto le importazioni interessate effettuate fra il novembre del 2011 e il novembre del 2014, e che tale Stato, a causa di errori amministrativi imputabili alle sue autorità doganali, non ha pertanto messo a disposizione di tale istituzione le risorse proprie tradizionali che erano dovute, per quanto riguarda tali importazioni.

1) Sul principio della responsabilità del Regno Unito per l’assenza di constatazione di perdite di risorse proprie tradizionali dell’Unione

339

Al fine di valutare le diverse censure della Commissione e la linea argomentativa invocata dal Regno Unito per la sua difesa, occorre ricordare, anzitutto, le caratteristiche del sistema di risorse proprie dell’Unione, come sono state riassunte dalla Corte nella sua giurisprudenza.

340

Dall’articolo 8, paragrafo 1, delle decisioni 2007/436 e 2014/335 risulta che le risorse proprie dell’Unione di cui, rispettivamente, all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della decisione 2007/436 e all’articolo 2, paragrafo 1, della decisione 2014/335 sono riscosse dagli Stati membri e che questi ultimi hanno l’obbligo di metterle a disposizione della Commissione (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 56 e la giurisprudenza ivi citata).

341

A tal fine, gli Stati membri sono tenuti, in forza dell’articolo 2, paragrafo 1, dei regolamenti nn. 1150/2000 e 609/2014, ad accertare il diritto dell’Unione sulle risorse proprie non appena ricorrono le condizioni previste dalla normativa doganale «per quanto riguarda la registrazione dell’importo del diritto e la comunicazione del medesimo al soggetto passivo» e, pertanto, non appena le loro autorità sono in grado di calcolare l’importo dei dazi risultanti da un’obbligazione doganale e determinarne il soggetto passivo. Pertanto, gli Stati membri devono riportare i diritti accertati conformemente all’articolo 2 di tali regolamenti nella contabilità delle risorse proprie dell’Unione secondo le condizioni previste all’articolo 6 di suddetti regolamenti. A tal riguardo, occorre ricordare che, in forza dell’articolo 6, paragrafo 3, lettera b), del regolamento n. 1150/2000 e dell’articolo 6, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento n. 609/2014, un diritto accertato che non è stato ancora riscosso e per il quale non è stata fornita alcuna garanzia è iscritto nella contabilità B (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 57 e la giurisprudenza ivi citata).

342

Gli Stati membri devono poi mettere le risorse proprie dell’Unione a disposizione della Commissione secondo le condizioni stabilite, in maniera identica, agli articoli da 9 a 11 del regolamento n. 1150/2000 e agli articoli 9, 10 e 12 del regolamento n. 609/2014, accreditandole, nel rispetto dei termini previsti, sul conto aperto a tale scopo a nome di detta istituzione. Conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000 e all’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento n. 609/2014, ogni ritardo nell’iscrizione su tale conto dà luogo al pagamento, da parte dello Stato membro in questione, di interessi di mora (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 58).

343

Inoltre, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000 e dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 609/2014, gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 di tali regolamenti siano messi a disposizione della Commissione.

344

Peraltro, in forza dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1150/2000 e dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 609/2014, gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati soltanto se la riscossione non ha potuto essere effettuata per cause di forza maggiore ovvero quando risulti definitivamente impossibile procedere alla riscossione per altri motivi che non sono loro imputabili.

345

Da ciò si evince che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, la gestione del sistema delle risorse proprie dell’Unione è affidata agli Stati membri e ricade sotto la sola responsabilità di questi ultimi. Pertanto, gli obblighi di riscossione, di accertamento e di iscrizione sul conto di dette risorse proprie ai fini della loro messa a disposizione della Commissione incombono direttamente sugli Stati membri in forza della normativa dell’Unione in materia di risorse proprie e, nella specie, delle decisioni 2007/436 e 2014/335 nonché dei regolamenti nn. 1150/2000 e 609/2014 (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 62 e la giurisprudenza ivi citata).

346

Infine, poiché sussiste un nesso diretto tra la riscossione degli introiti provenienti dai dazi doganali e la messa a disposizione della Commissione delle risorse corrispondenti, incombe agli Stati membri, in conformità agli obblighi imposti loro ai sensi dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, proteggere gli interessi finanziari dell’Unione contro la frode o le altre attività illegali che ledono tali interessi, adottare le misure necessarie per garantire la riscossione effettiva e integrale di tali dazi e, pertanto, di tali risorse [v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2019, Commissione/Italia (Risorse proprie – Recupero di un’obbligazione doganale), C‑304/18, non pubblicata, EU:C:2019:601, punto 50 e la giurisprudenza ivi citata].

347

Alla luce di tali considerazioni relative alle caratteristiche del sistema delle risorse proprie dell’Unione, è giocoforza constatare, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 240 delle sue conclusioni, che, dal momento che, come viene constatato al termine dell’esame del primo motivo, le autorità doganali del Regno Unito non hanno adottato, durante il periodo di infrazione, in violazione dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE e del diritto doganale dell’Unione, misure idonee ad assicurare la fissazione al loro corretto livello dei valori in dogana delle importazioni interessate effettuate durante tale periodo, come controlli effettuati prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi, sulla base di un’analisi dei rischi, e l’obbligo di costituire garanzie per le importazioni individuate mediante un profilo di rischio come presentanti un rischio rilevante di sottovalutazione, tale Stato, in relazione a siffatte importazioni, ha calcolato le obbligazioni doganali sulla base di valori inesatti, in quanto, in generale, inferiori ai valori reali delle merci di cui trattasi. Pertanto, detto Stato non ha contabilizzato la totalità dei dazi doganali dovuti e, di conseguenza, non ha neanche constatato né messo a disposizione della Commissione, in violazione degli articoli 2 e 8 delle decisioni 2007/436 e 2014/335 nonché degli articoli 2, 6, 9, 10, 11 e 17 del regolamento n. 1150/2000 e delle corrispondenti disposizioni di cui agli articoli 2, 6, 9, 10, 12 e 13 del regolamento n. 609/2014, la totalità delle risorse proprie relative a dette importazioni al momento in cui esse avrebbero dovuto esserlo.

348

Il Regno Unito mette in discussione siffatta constatazione. Secondo tale Stato, nella misura in cui il presente ricorso mira ad ottenere che la Corte lo condanni a mettere a disposizione della Commissione taluni importi di risorse proprie, tale ricorso costituisce un ricorso per il risarcimento del danno fondato su una violazione dell’articolo 325 TFUE e del diritto doganale dell’Unione, dovuta al fatto che le sue autorità doganali avrebbero effettuato controlli inadeguati su importazioni sottovalutate in maniera fraudolenta.

349

Pertanto, in conformità ai principi che disciplinano tutti i ricorsi per il risarcimento del danno, la Commissione sarebbe tenuta a dimostrare che esiste un nesso di causalità diretto tra tali controlli e le perdite di risorse proprie che tale istituzione rivendicherebbe a titolo di risarcimento del danno.

350

Tuttavia, un siffatto nesso di causalità difetterebbe. A tal riguardo, il Regno Unito fa valere che, in conformità a tali principi, occorre chiedersi cosa sarebbe successo se le misure di controllo doganale raccomandate dall’OLAF e dalla Commissione fossero state adottate per combattere la frode da sottovalutazione in questione, ossia, essenzialmente, controlli effettuati prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi sulla base di un profilo di rischio.

351

Orbene, secondo il Regno Unito, se simili misure fossero state adottate, le importazioni interessate semplicemente non avrebbero avuto luogo, cosicché non sarebbe stata causata alcuna perdita per il bilancio dell’Unione. Infatti, gli operatori interessati non sarebbero disposti a pagare i dazi doganali dovuti per le importazioni interessate dal momento che, segnatamente, il loro profitto dipendeva dagli importi di dazi doganali evasi.

352

Pertanto, al Regno Unito non può essere addebitato di non avere messo a disposizione della Commissione le risorse proprie tradizionali dovute a titolo delle importazioni interessate, di cui tale Stato sarebbe stato peraltro esso stesso vittima. Di conseguenza, detto Stato non può essere considerato responsabile di alcuna perdita di tali risorse proprie.

353

Un siffatto argomento dev’e essere respinto.

354

Occorre ricordare, anzitutto, che, come è illustrato ai punti 180 e seguenti della presente sentenza, la Commissione, nell’ambito del presente procedimento, non mira ad ottenere dalla Corte la condanna di tale Stato al risarcimento del danno, cosicché il presente ricorso non costituisce un ricorso per il risarcimento del danno e nessun nesso di causalità diretto tra i controlli inadeguati delle autorità del Regno Unito e le perdite di risorse proprie deve essere accertato a causa del carattere risarcitorio che secondo tale Stato il presente procedimento rivestirebbe.

355

Analogamente, contrariamente a quanto sostenuto dal Regno Unito, la necessità per la Commissione di dimostrare un nesso di causalità diretto tra una violazione del diritto dell’Unione e le perdite di risorse proprie di cui uno Stato membro dovrebbe essere considerato responsabile non risulta neanche dalla sentenza del 31 ottobre 2019, Commissione/Regno Unito (C‑391/17, EU:C:2019:919).

356

È vero che, ai punti 121 e 122 di tale sentenza, la Corte ha utilizzato l’espressione «nesso di causalità» tra un’azione irregolare delle autorità doganali di Anguilla (territorio d’oltremare del Regno Unito) e le perdite di risorse proprie risultanti da una violazione della decisione 91/482/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1991, relativa all’associazione dei paesi e territori d’oltremare alla Comunità economica europea (GU 1991, L 263, pag. 1), per esaminare, e poi respingere, l’argomento invocato dal Regno Unito, relativo all’assenza di un siffatto nesso. Risulta cionondimeno dal punto 120 di detta sentenza che tale espressione fa riferimento alla questione se tale azione irregolare «abbia comportato, indubbiamente, una perdita di risorse proprie», questione alla quale la Corte ha risposto affermativamente a tale punto 120, sulla base del rilievo secondo cui detta azione irregolare aveva indotto le autorità italiane ad ammettere prodotti provenienti da Anguilla all’importazione nell’Unione in esenzione da dazi doganali e ad adottare decisioni di sgravio e di restituzione dei dazi doganali.

357

Orbene, nella specie, occorre rilevare che l’assenza di controlli adeguati effettuati dalle autorità doganali del Regno Unito dei valori in dogana dichiarati per le importazioni interessate durante il periodo di infrazione ha avuto come conseguenza che i corrispondenti dazi doganali sono stati calcolati e contabilizzati sulla base di valori sottovalutati e che, per questo motivo, i prodotti considerati sono stati ammessi all’importazione nell’Unione sebbene solo una parte dei dazi doganali dovuti fosse stata versata. Pertanto, tale assenza di controlli adeguati ha comportato, indubbiamente, perdite di risorse proprie dell’Unione.

358

Contrariamente a quanto sostenuto dal Regno Unito, la questione che deve essere sollevata al riguardo al fine di stabilire se perdite di risorse proprie dell’Unione siano state causate in ragione del carattere inadeguato del sistema di controlli doganali è non se le importazioni interessate avrebbero avuto luogo nel caso in cui i controlli doganali raccomandati dall’OLAF e dalla Commissione fossero stati effettuati, bensì unicamente quali sarebbero stati gli importi dei dazi doganali contabilizzati e di risorse proprie dell’Unione accertati dalle autorità doganali del Regno Unito se tali importazioni, le quali hanno pacificamente avuto effettivamente luogo in quantità elevate nel territorio di tale Stato, fossero state oggetto di verifiche adeguate al fine di garantire che i dazi doganali venissero calcolati sulla base non di valori in dogana manifestamente sottovalutati, bensì di valori in dogana stabiliti correttamente, in conformità alle norme del diritto doganale dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana.

359

A tal riguardo, dalla giurisprudenza richiamata al punto 346 della presente sentenza risulta che, poiché sussiste un nesso diretto tra la riscossione degli introiti provenienti dai dazi doganali e la messa a disposizione della Commissione delle risorse proprie tradizionali corrispondenti, incombe agli Stati membri, ai sensi dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, adottare le misure necessarie per garantire la riscossione effettiva e integrale di tali dazi e, pertanto, degli importi corrispondenti di tali risorse.

360

Orbene, nella specie, come è stato statuito al termine dell’esame del primo motivo, il Regno Unito non ha adottato, nel corso del periodo di infrazione, le misure necessarie a tal fine.

361

Pertanto, i dazi doganali riguardanti le merci oggetto delle importazioni interessate sono stati calcolati sulla base di valori da ritenere, legittimamente, in gran parte dichiarati in maniera fraudolenta, poiché essi erano ampiamente inferiori al loro valore reale e, di conseguenza, non sono stati determinati correttamente.

362

Il carattere inadeguato di tali controlli ha pertanto avuto la conseguenza che gli importi di dazi doganali e di risorse proprie effettivamente dovuti per le importazioni interessate non sono stati riscossi in maniera effettiva ed integrale né messi a disposizione della Commissione da parte del Regno Unito.

363

Infatti, poiché tali importi avrebbero potuto essere correttamente accertati sin dalla realizzazione delle operazioni di importazione e del loro conseguente sdoganamento se le autorità del Regno Unito avessero effettuato le necessarie verifiche, tale Stato deve essere posto, per il periodo di infrazione, in una situazione equivalente a quella in cui esso avesse constatato correttamente i dazi doganali corrispondenti e li avesse iscritti nella contabilità delle risorse proprie dell’Unione (v., per analogia, sentenza del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo, C‑23/10, non pubblicata, EU:C:2011:160, punto 63 e la giurisprudenza ivi citata).

364

Inoltre, come rilevato parimenti dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 265 delle sue conclusioni, se, a causa dei controlli inadeguati da esse effettuati, le autorità doganali del Regno Unito abbiano omesso, in violazione degli obblighi ad esse incombenti ai sensi dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE e del diritto doganale dell’Unione, di riscuotere, se del caso a causa di errori da esse commessi, l’integralità dei dazi doganali dovuti per le importazioni interessate, ciò non può rimettere in discussione l’obbligo del Regno Unito di mettere a disposizione della Commissione le risorse che sarebbero state accertate se tali dazi fossero stati contabilizzati correttamente.

365

Infine, dal momento che, nel corso di tutto il periodo di infrazione, quantità massicce di merci di cui trattasi sono state oggetto di importazioni sottovalutate nel Regno Unito, senza che l’esattezza dei valori dichiarati in conformità alle norme del diritto dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana fosse stata verificata prima della loro immissione in libera pratica, tale Stato ha creato una situazione irreversibile sfociata in perdite considerevoli di risorse proprie dell’Unione per le quali esso deve essere considerato responsabile.

366

A parte il fatto che una ricostruzione dei fatti come quella fatta valere dal Regno Unito implicherebbe un esercizio speculativo al quale non spetta alla Corte procedere al fine di accertare che incombe ad uno Stato membro compensare perdite di risorse proprie dell’Unione, tale ricostruzione non può in alcun caso mettere in dubbio la realtà e l’importanza delle perdite subite in relazione alle importazioni interessate.

2) Sulla responsabilità del Regno Unito per le perdite di risorse proprie dell’Unione accertate negli avvisi C 18 Snake

367

Occorre esaminare, poi, la censura della Commissione secondo la quale il Regno Unito, in violazione dell’articolo 13 del regolamento n. 609/2014, non ha messo a disposizione della medesima le risorse proprie tradizionali che erano dovute per quanto riguarda le importazioni interessate, effettuate tra il novembre del 2011 e il novembre del 2014, dal momento che le autorità doganali del Regno Unito, tra il giugno e il novembre del 2015, hanno annullato talune decisioni di riscossione a posteriori di dazi doganali supplementari adottate nell’ambito dell’ODC Snake, in particolare, 23 avvisi C 18 Snake, emessi tra il novembre del 2014 e il febbraio del 2015, al fine di riscuotere un importo totale di dazi doganali supplementari pari, in definitiva, secondo il Regno Unito, a GBP 192568694,30.

368

È pacifico, al riguardo, che i dazi doganali supplementari reclamati negli avvisi C 18 Snake sono stati contabilizzati e notificati ai loro debitori, che gli importi di risorse proprie corrispondenti a tali dazi sono stati iscritti nella contabilità B, in conformità all’articolo 6, paragrafo 3, dei regolamenti nn. 1150/2000 e 609/2014, poiché si trattava di dazi accertati, ma che non erano ancora stati riscossi e per i quali non era stata fornita alcuna garanzia, e che le autorità doganali del Regno Unito hanno successivamente annullato tali avvisi, nonché rimosso l’iscrizione di tali importi in siffatta contabilità.

369

Il Regno Unito sostiene che l’annullamento degli avvisi C 18 Snake era giustificato dal momento che era divenuto definitivamente impossibile procedere alla riscossione dei dazi interessati per ragioni che non potevano essergli imputate, cosicché, in conformità all’articolo 13, paragrafo 2, lettera b), del regolamento n. 609/2014, esso sarebbe stato dispensato dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati.

370

Secondo tale Stato, la riscossione dei dazi accertati da tali avvisi è divenuta definitivamente impossibile, da un lato, a causa del fatto, non imputabile al Regno Unito, che i debitori di tali dazi erano imprese cosiddette «fenice», ossia imprese inadempienti o insolventi, e, dall’altro, in quanto da decisioni adottate nell’ambito dell’esame dei ricorsi proposti avverso tali avvisi dinanzi ad un servizio indipendente dell’HMRC emergeva che i dazi doganali supplementari reclamati in detti avvisi erano stati calcolati sulla base dei PMR e, di conseguenza, secondo un «metodo inaccettabile e insufficientemente suffragato».

371

A tal riguardo, occorre ricordare, anzitutto, che, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 609/2014, gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 di tale regolamento siano messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste da tale regolamento.

372

Nella specie, come confermato dai dettagli dei calcoli dei dazi doganali supplementari reclamati negli avvisi C 18 Snake, prodotti dal Regno Unito in allegato alla controreplica, tali dazi supplementari sono stati calcolati erroneamente sulla base dei PMR.

373

Orbene, si tratta in tal caso di un errore amministrativo commesso dalle autorità doganali del Regno Unito, in quanto, come sottolineato a più riprese dall’OLAF nell’ambito delle riunioni con siffatte autorità doganali e come emergeva peraltro chiaramente dagli orientamenti della PCA Discount, i PMR potevano essere utilizzati soltanto come strumento di analisi dei rischi, ossia uno strumento che consente di individuare sulla base di profili di rischio le importazioni idonee ad essere sottovalutate in relazione alle quali erano necessarie verifiche, e non per determinare il loro valore in dogana.

374

Pertanto, al fine di adempiere agli obblighi che incombevano al medesimo ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 609/2014, il Regno Unito era tenuto, quale misura necessaria affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità all’articolo 2 di tale regolamento venissero messi a disposizione della Commissione, a rettificare tale errore amministrativo. In particolare, il Regno Unito doveva nuovamente determinare il valore in dogana applicando uno dei metodi previsti al riguardo dal diritto doganale dell’Unione e, segnatamente, tramite le norme sequenziali di cui alle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana, come quelle previste agli articoli da 70 a 74 del codice doganale dell’Unione.

375

A tal riguardo, la Corte ha dichiarato che i metodi di determinazione del valore in dogana previsti da tali articoli presentano un nesso di sussidiarietà, cosicché, quando un siffatto valore non può essere determinato applicando un dato articolo, si deve far riferimento all’articolo immediatamente successivo secondo l’ordine stabilito (v., in tal senso, sentenza del 16 giugno 2016, EURO 2004. Hungary, C‑291/15, EU:C:2016:455, punto 29).

376

Dal fascicolo sottoposto alla Corte, e in particolare dal verbale della riunione tenutasi il 20 febbraio 2015 tra l’OLAF e l’HMRC, emerge parimenti che le autorità doganali del Regno Unito si sono rapidamente rese conto dell’errore che esse avevano commesso, ma che le stesse hanno deciso di annullare gli avvisi di riscossione piuttosto che riemettere questi ultimi dopo averli rettificati applicando uno dei metodi di cui al punto precedente della presente sentenza per determinare correttamente il valore in dogana. Orbene, una siffatta decisione di non riemettere gli avvisi dopo averli rettificati costituisce parimenti un errore amministrativo.

377

In tale contesto, il Regno Unito non può invocare il fatto che, sebbene l’OLAF gli avesse promesso di fornirgli dati provenienti dalle autorità cinesi relativi ai prezzi all’esportazione, un numero estremamente esiguo di tali dati gli sarebbe stato alla fine fornito in una forma che ne consentiva l’utilizzo al fine di determinare il valore in dogana delle merci di cui trattasi in conformità alle norme sequenziali di cui alle disposizioni del diritto dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana. Analogamente, tale Stato non può invocare il fatto che esso non disponeva di dati relativi al valore di tali merci che gli consentissero di determinare il valore in dogana in conformità a tali norme.

378

Infatti, poiché l’applicazione del diritto doganale dell’Unione incombe agli Stati membri, i quali ne sono esclusivamente responsabili, il Regno Unito era tenuto ad applicare le misure adeguate, come controlli fisici, richieste di informazioni e di documenti o il prelievo di campioni, al fine di disporre di dati sufficienti che consentissero di assicurare che i valori in dogana interessati fossero accertati correttamente. Pertanto, tale Stato non può trarre vantaggio dalla propria inerzia per giustificare il fatto di non avere messo a disposizione della Commissione le risorse dovute.

379

Ne consegue che, nella misura in cui le autorità doganali del Regno Unito hanno deciso di annullare gli avvisi C 18 Snake piuttosto che riemettere questi ultimi dopo averli rettificati sostituendo i PMR con valori in dogana determinati in conformità ai metodi sequenziali del diritto doganale dell’Unione, tale Stato, in violazione dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 609/2014, non ha preso le misure necessarie affinché gli importi corrispondenti ai diritti accertati in conformità dell’articolo 2 di tale regolamento fossero messi a disposizione della Commissione alle condizioni previste da detto regolamento.

380

Inoltre, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 609/2014, gli Stati membri sono dispensati dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti ai diritti accertati solo se il recupero di questi ultimi non ha potuto essere effettuato per cause di forza maggiore o quando risulta che è definitivamente impossibile procedere a tale recupero per altri motivi che non sono loro imputabili.

381

A tal riguardo, uno Stato membro può avvalersi di una siffatta dispensa, per sua natura eccezionale, per un motivo che non sarebbe imputabile al medesimo, solo se lo stesso rispetta la procedura prevista all’articolo 13, paragrafi 3 e 4, del regolamento n. 609/2014.

382

Tale procedimento è avviato dalla comunicazione alla Commissione da parte dello Stato membro interessato, nei tre mesi successivi alla decisione dell’autorità amministrativa competente che dichiara irrecuperabili gli importi di diritti accertati, degli elementi d’informazione che riguardano i casi di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, di tale regolamento, sempre che l’importo dei diritti accertati superi EUR 50000. Tali elementi d’informazione devono contenere «tutte le informazioni atte a permettere un esame approfondito» dei motivi, di cui all’articolo 13, paragrafo 2, lettera a) e b), di detto regolamento, che hanno impedito allo Stato membro interessato di mettere a disposizione gli importi in causa e le misure adottate da tale Stato per garantire il recupero. La Commissione dispone poi, per comunicare le sue osservazioni allo Stato membro interessato, di un termine di sei mesi a decorrere dalla ricezione di tale comunicazione o a decorrere dalla ricezione delle informazioni supplementari che tale istituzione ritenga necessario chiedere.

383

Nella specie, è giocoforza constatare che il Regno Unito non ha rispettato tale procedura, la quale comporta un dialogo aperto con la Commissione ed è basata su una comunicazione univoca e circostanziata dei motivi invocati da tale Stato che avrebbero giustificato, dal suo punto di vista, che esso fosse dispensato dall’obbligo di mettere a disposizione risorse accertate negli avvisi C 18 Snake, in applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 609/2014.

384

Infatti, non risulta che le obbligazioni doganali accertate negli avvisi C 18 Snake siano state dichiarate irrecuperabili con una decisione dell’autorità amministrativa competente che constata l’impossibilità del recupero, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 609/2014. Non costituiscono infatti una siffatta decisione di inesigibilità le lettere con cui un’istanza dell’HMRC ha annullato tali avvisi nell’ambito di procedimenti di riesame amministrativi.

385

Inoltre, è pacifico che il Regno Unito ha parimenti omesso di comunicare alla Commissione, entro i tre mesi che seguono l’adozione di una simile decisione, «tutte le informazioni atte a permettere un esame approfondito» dei motivi di cui all’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 609/2014 che avrebbero impedito a tale Stato di mettere a disposizione gli importi accertati negli avvisi C 18 Snake, nonché le misure adottate da quest’ultimo per garantirne il recupero.

386

La Commissione non è stata pertanto neanche in grado di comunicare le sue osservazioni o, se del caso, di chiedere informazioni complementari entro il termine di sei mesi impartitole.

387

Occorre aggiungere che, nel merito, il Regno Unito invoca quali motivi per cui per il medesimo sarebbe stato definitivamente impossibile procedere alla riscossione dei dazi accertati negli avvisi C 18 Snake, da un lato, il fatto che i debitori di tali dazi erano imprese cosiddette «fenice», ossia inadempimenti o insolventi, e, dall’altro, il fatto che detti dazi erano stati calcolati sulla base dei PMR e che non esistevano altri metodi per determinare il valore delle merci di cui trattasi in assenza di dati che potevano essere utilizzati a tal fine, come i prezzi all’esportazione promessi, ma non forniti dall’OLAF.

388

Orbene, i motivi invocati dal Regno Unito non sono idonei a dispensarlo dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione risorse proprie derivate dai dazi doganali accertati negli avvisi C 18 Snake.

389

Infatti, se tali dazi si sono rivelati irrecuperabili presso imprese cosiddette «fenice» interessate, ciò è dovuto ad un duplice errore amministrativo commesso dalle autorità doganali del Regno Unito, dal momento che, non appena queste ultime si sono rese contro del loro errore consistente nell’avere calcolato i dazi sulla base dei PMR nonostante l’OLAF avesse chiaramente indicato che tali prezzi dovevano essere utilizzati soltanto nell’ambito dell’analisi dei rischi, esse hanno preferito annullare gli avvisi C 18 Snake piuttosto che riemetterli dopo averli rettificati in tempo utile fondandosi su uno dei metodi sequenziali del diritto dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana.

390

Inoltre, l’impossibilità di riscossione dei dazi doganali accertati negli avvisi C 18 Snake è dovuta in definitiva all’assenza di controlli fisici effettuati prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi, accompagnati dal prelievo di campioni e applicati in maniera sufficientemente sistematica. Infatti, l’assenza di siffatti controlli ha avuto come conseguenza che le autorità doganali del Regno Unito non disponevano, malgrado la responsabilità esclusiva ad esse incombente al riguardo, dei dati necessari, segnatamente dei dati relativi alla qualità di tali merci, che consentissero di stabilirne il valore in conformità alle disposizioni del diritto doganale dell’Unione.

391

Analogamente, se, di fatto, una riscossione a posteriori di dazi presso imprese cosiddette «fenice» si è rivelata impossibile, nella maggior parte dei casi, a causa dell’insolvenza di queste ultime, una situazione del genere avrebbe potuto e dovuto essere evitata se le autorità doganali del Regno Unito avessero preteso, in maniera sistematica, come ripetutamente raccomandato loro dall’OLAF e dalla Commissione, la costituzione di garanzie prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi.

392

Se, dopo aver annullato gli avvisi C 18 Snake, le autorità doganali del Regno Unito non hanno riemesso tali avvisi, adducendo di non disporre dei dati necessari per determinare il valore delle merci di cui trattasi sulla base delle norme del diritto dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana, una siffatta motivazione, in quanto riconducibile all’inosservanza, da parte del Regno Unito, della responsabilità esclusiva ad esso incombente di garantire che i valori in dogana fossero stati determinati correttamente sulla base di dati fisici e documentali sufficienti, non può in alcun caso giustificare il fatto che tale Stato venga dispensato dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione risorse relative a detti avvisi ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 609/2014.

393

In tale contesto, il Regno Unito non può sottrarsi alla responsabilità ad esso incombente di assicurare che i valori in dogana delle merci di cui trattasi fossero stati stabiliti correttamente sulla base di dati ottenuti a tal fine dalle sue autorità doganali, facendo valere che solo un numero estremamente basso di dati relativi ai prezzi all’esportazione provenienti dalle autorità cinesi, che l’OLAF gli aveva fornito nell’ambito dell’ODC Snake, era utilizzabile. Infatti, tali prezzi potevano costituire, tutt’al più, uno strumento complementare per determinare il corretto valore in dogana delle importazioni interessate sulla base di uno dei metodi prescritti dalle norme del diritto dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana. Tuttavia, essi non potevano in alcun caso sostituirsi ai dati relativi al valore di tali importazioni che incombeva alle autorità doganali del Regno Unito ottenere nell’ambito dell’applicazione di misure di controllo doganale poste in essere prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi.

394

Da ciò si deve concludere che, in conformità ad una costante giurisprudenza della Corte, dal momento che il Regno Unito, dopo aver accertato un diritto dell’Unione sulle risorse proprie, si è astenuto dal mettere il relativo importo a disposizione della Commissione, senza che ricorresse uno dei requisiti previsti dall’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 609/2014, tale Stato è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione e, segnatamente, a quelli di cui agli articoli 2 e 8 delle decisioni 2007/436 e 2014/335 (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 67 e la giurisprudenza ivi citata).

395

Di conseguenza, come osservato parimenti dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 250 delle sue conclusioni, si deve ritenere che, a causa dell’annullamento dei 23 avvisi C 18 Snake e della mancata messa a disposizione della Commissione delle corrispondenti risorse proprie tradizionali, in violazione dell’articolo 13 del regolamento n. 609/2014, tali risorse siano dovute dal Regno Unito per il periodo che va dal novembre del 2011 al novembre del 2014.

396

Infine, per quanto riguarda la violazione dell’articolo 12 del regolamento n. 609/2014 e della corrispondente disposizione di cui all’articolo 11 del regolamento n. 1150/2000, nella misura in cui il Regno Unito non avrebbe pagato gli interessi dovuti a causa del ritardo nelle iscrizioni sul conto di cui all’articolo 9, paragrafo 1, di tali regolamenti delle somme corrispondenti alle perdite di risorse proprie tradizionali che non sono state messe a disposizione della Commissione, occorre rilevare che la Commissione ha chiaramente indicato nel parere motivato (punti da 271 a 273 nonché dispositivo di tale parere) che, in conformità all’articolo 12 del regolamento n. 609/2014, erano dovuti interessi di mora, i quali verrebbero calcolati non appena messo a sua disposizione l’importo principale. Nelle conclusioni del parere motivato, viene parimenti menzionata una violazione di quest’ultima disposizione. Il Regno Unito sostiene, di conseguenza, erroneamente, che la domanda formulata dalla Commissione nel ricorso diretta ad ottenere il versamento di interessi di mora ai sensi dell’articolo 12 del regolamento n. 609/2014 è irricevibile in quanto non sarebbe stata formulata nel parere motivato.

397

Deve inoltre essere respinto l’argomento del Regno Unito secondo il quale sarebbe prematuro e inammissibile affermare che tale Stato non ha ottemperato ad un qualsivoglia obbligo di pagare interessi di mora nella misura in cui detto obbligo può nascere solo ad una data futura.

398

A tal riguardo, occorre ricordare che lo Stato membro che, non condividendo la posizione della Commissione in merito all’obbligo a carico dello stesso di mettere a disposizione di tale istituzione un importo di risorse proprie dell’Unione, si astenga dal mettere a disposizione detto importo, si espone ad interessi di mora in caso di accertamento, da parte della Corte, di un inadempimento dei suoi obblighi derivanti dalla normativa in materia di risorse proprie (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 69).

399

Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte, vi è un nesso indissolubile fra l’obbligo di accertare le risorse proprie dell’Unione, l’obbligo di accreditarle sul conto aperto a tal fine a nome della Commissione entro i termini stabiliti e quello di versare interessi di mora, fermo restando che questi ultimi sono esigibili qualunque sia la ragione per cui l’accreditamento su tale conto è stato effettuato con ritardo (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 59 e la giurisprudenza ivi citata).

400

In tal senso, l’obbligo di versare interessi di mora, in applicazione dell’articolo 11, paragrafo 1, del regolamento n. 1150/2000, è accessorio rispetto all’obbligo di mettere a disposizione della Commissione le risorse proprie dell’Unione nel rispetto delle condizioni fissate agli articoli da 9 a 11 di tale regolamento, in particolare dei termini fissati da quest’ultimo (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 70).

401

In tale contesto, occorre aggiungere che uno Stato membro può evitare le conseguenze finanziarie pregiudizievoli costituite dagli interessi di mora, il cui importo può essere elevato, mettendo a disposizione della Commissione l’importo richiesto dalla stessa, pur formulando riserve quanto alla fondatezza delle tesi di tale istituzione (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 72 e la giurisprudenza ivi citata).

402

Nella specie, il Regno Unito ha tuttavia scelto di non mettere a disposizione della Commissione, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, l’importo di risorse proprie richiesto in tale parere, neanche accompagnando, se del caso, tale messa a disposizione con riserve, ma si è limitato a contestare qualsivoglia obbligo di dover mettere un importo di risorse proprie a disposizione di tale istituzione, esponendo in tal modo tale Stato al pagamento di interessi di mora.

403

Ne consegue che, poiché è accertato che il Regno Unito è venuto meno al suo obbligo di mettere a disposizione della Commissione risorse proprie dell’Unione per quanto riguarda le importazioni interessate durante il periodo di infrazione, tale Stato, in violazione dell’articolo 12 del regolamento n. 609/2014 e della disposizione corrispondente di cui all’articolo 11 del regolamento n. 1150/2000, non ha neanche rispettato l’obbligo accessorio ad esso incombente di versare gli interessi di mora relativi a tali risorse, nel limite, se del caso, del massimale del 16% previsto all’articolo 12, paragrafo 5, terzo comma, del regolamento n. 609/2014.

404

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre accogliere il secondo motivo della Commissione nei limiti in cui riguarda la censura, figurante al primo comma del primo capo di conclusioni, secondo la quale l’inadempimento del Regno Unito consistente nel non avere adottato le misure di controllo doganale necessarie per combattere in maniera efficace la frode da sottovalutazione in questione, in violazione dell’articolo 325 TFUE e del diritto doganale dell’Unione, ha comportato perdite di dazi doganali e, pertanto, di risorse proprie tradizionali, cosicché il Regno Unito, omettendo di accertare e di mettere a disposizione di tale istituzione le risorse dovute a concorrenza dei dazi doganali che avrebbero dovuto essere contabilizzati se il valore in dogana delle importazioni interessate fosse stato determinato correttamente, è venuto meno agli obblighi incombenti al medesimo ai sensi del diritto dell’Unione in materia di risorse proprie dell’Unione, in particolare a quelli imposti dagli articoli 2 e 8 delle decisioni 2007/436 e 2014/335 nonché dagli articoli 2, 6, 9, 10, 11 e 17 del regolamento n. 1150/2000 e dalle corrispondenti disposizioni di cui agli articoli 2, 6, 9, 10, 12 e 13 del regolamento n. 609/2014.

b)   Sulla censura relativa alla violazione da parte del Regno Unito del suo obbligo di mettere a disposizione importi determinati di risorse proprie tradizionali

405

Occorre esaminare, in secondo luogo, il secondo motivo della Commissione nella parte in cui riguarda la censura, figurante al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, secondo la quale il Regno Unito, non avendo messo a disposizione di tale istituzione risorse proprie tradizionali a concorrenza di un importo determinato per ciascun anno rientrante nel periodo di infrazione, ossia un importo totale lordo, diminuito delle spese di riscossione, per tutto questo periodo, di EUR 2679637088,86, non ha ottemperato in maniera più specifica agli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione in materia di risorse proprie.

406

Al fine di determinare tali importi di perdite di risorse proprie tradizionali che, secondo la Commissione, il Regno Unito doveva metterle a disposizione, tale istituzione si è fondata, come fatto dall’OLAF nella sua relazione per calcolare gli importi delle perdite di risorse proprie tradizionali per gli anni dal 2013 al 2016, su una stima di natura statistica basandosi sul metodo OLAF-JRC il quale, inizialmente, era stato sviluppato e applicato a partire dalla PCA Discount quale strumento di analisi dei rischi inteso ad individuare le importazioni che potevano essere sottovalutate e che dovevano essere oggetto di verifiche prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi.

407

Il Regno Unito ritiene, fondandosi sul proprio metodo elaborato specificamente per calcolare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali (in prosieguo: il «metodo dell’HMRC»), di essere debitore di tali risorse per il periodo di infrazione solo per un importo totale massimo di GBP 123819268 (circa EUR 145450494).

408

Nella controreplica, il Regno Unito espone i dettagli del calcolo che consente di ottenere tale importo come segue. Per la prima parte del periodo di infrazione, ossia il periodo che va dal novembre del 2011 al novembre del 2014, dovrebbero essere considerate perdite di risorse proprie tradizionali il totale delle obbligazioni doganali reclamate nei 23 avvisi C 18 Snake, ossia un importo pari a GBP 192568694,30. Tale importo dovrebbe essere ridotto ad un importo di circa 25 milioni di GBP in applicazione del metodo dell’HMRC, dal momento che tali obbligazioni sarebbero state erroneamente calcolate secondo il metodo OLAF-JRC e, in particolare, sulla base dei PMR. A tale importo di circa 25 milioni di GBP dovrebbe poi essere aggiunto, per quanto riguarda la seconda parte del periodo di infrazione, ossia il periodo che va dal gennaio del 2015 all’11 ottobre 2017 incluso, una somma di GBP 143115553 (circa EUR 168117840) che rappresenterebbe l’importo delle perdite di risorse proprie calcolato secondo il metodo dell’HMRC. Infine, per quanto riguarda le importazioni interessate nel corso di questo secondo periodo, dovrebbero essere dedotti gli importi reclamati negli avvisi C 18 Breach già notificati a 34 operatori per un importo totale riveduto di GBP 44296285,04 (circa EUR 52034846).

409

Ne consegue che le stime estremamente differenti della Commissione e del Regno Unito per quanto riguarda l’entità delle perdite di risorse proprie tradizionali che i controlli inadeguati delle importazioni interessate hanno comportato risultano dai metodi fondamentalmente diversi utilizzati da tale istituzione e da tale Stato per calcolare siffatte perdite.

1) Sull’argomento del Regno Unito secondo cui la Corte deve anzitutto esaminare la sua stima delle perdite di risorse proprie tradizionali

410

Occorre affrontare, in via preliminare, l’argomento del Regno Unito secondo la quale la Corte dovrebbe esaminare, in un primo momento, il calcolo delle perdite di risorse proprie tradizionali come effettuato da tale Stato sulla base del metodo dell’HMRC. Solo nel caso in cui tale calcolo dovesse essere respinto in quanto manifestamente irragionevole la Corte potrebbe esaminare, in un secondo momento, la stima delle perdite effettuate dalla Commissione sulla base del metodo OLAF-JRC.

411

Tale argomento relativo alla prevalenza della stima delle perdite di risorse proprie secondo il metodo dell’HMRC è fondato sulla competenza esclusiva di cui gli Stati membri dispongono per determinare, nell’ambito dell’attuazione del diritto doganale dell’Unione, il valore in dogana che serve per calcolare i dazi doganali e per decidere, nell’ambito della gestione del sistema delle risorse proprie dell’Unione, in merito agli importi di risorse che devono essere messi a disposizione della Commissione.

412

Per quanto riguarda, in primo luogo, l’argomento del Regno Unito relativo alla ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri nel sistema doganale dell’Unione, occorre rilevare che è vero che, nell’ambito di tale sistema, come attualmente concepito nel diritto dell’Unione, rientra nella competenza e nella responsabilità esclusiva degli Stati membri assicurare che i valori dichiarati in dogana siano stabiliti nel rispetto delle norme del diritto dell’Unione relative alla determinazione del valore in dogana come quelle prescritte agli articoli da 29 a 31 del codice doganale comunitario o alle corrispondenti disposizioni di cui agli articoli da 70 a 74 del codice doganale dell’Unione e, in particolare, in conformità ad uno dei metodi sequenziali di determinazione del valore in dogana previsti a tali articoli o disposizioni.

413

Per quanto riguarda le importazioni interessate, incombeva di conseguenza alle autorità doganali del Regno Unito, come statuito nell’ambito dell’esame delle altre censure sollevate a sostegno del primo e del secondo motivo, prendere le misure adeguate, come controlli fisici o il prelievo di campioni, al fine di assicurare che i valori dichiarati in dogana fossero stabiliti correttamente, in conformità a tali norme del diritto doganale dell’Unione sulla base di dati fisici o documentali sufficienti relativi al valore delle merci di cui trattasi, segnatamente per quanto riguarda le loro qualità di finitura.

414

Orbene, come è rilevato nell’ambito dell’esame del primo motivo, le autorità doganali del Regno Unito, in violazione dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE e del diritto doganale dell’Unione, hanno omesso di prendere siffatte misure in maniera sufficientemente sistematica, cosicché i valori in dogana interessati non sono stati determinati correttamente e tali autorità non hanno neppure raccolto tali dati fisici o documentali relativi alla qualità dei prodotti considerati.

415

Di conseguenza, rilevanti volumi di merci oggetto di importazioni manifestamente sottovalutate sono stati immessi in libera pratica nel mercato interno a partire dal Regno Unito durante il periodo di infrazione in violazione delle norme del diritto doganale dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana.

416

Dal momento che le merci di cui trattasi non possono più essere richiamate a fini di controlli fisici e agli operatori interessati non sono stati chiesti dati sufficienti concernenti il loro valore reale e, pertanto, neppure forniti, non è più possibile, attualmente, determinare, per ciascuna dichiarazione in dogana in questione, il valore in dogana dei prodotti considerati provenienti dalla Cina sulla base di uno dei metodi prescritti agli articoli 70 e 74 del codice doganale dell’Unione come il metodo cosiddetto «fall-back» di cui all’articolo 74, paragrafo 3, di tale codice, consistente nel determinare il valore in dogana sulla base dei «dati disponibili» nel rispetto delle condizioni imposte all’articolo 144 del regolamento di esecuzione.

417

In tali circostanze, il Regno Unito, sostenuto dagli Stati membri intervenienti, non può addebitare alla Commissione di avere applicato, al fine di calcolare l’importo delle perdite di dazi doganali e, pertanto, di risorse proprie tradizionali causate dall’assenza di controlli adeguati delle importazioni interessate, il metodo OLAF-JRC, di natura essenzialmente statistica, il quale non è riconducibile ad uno dei metodi sequenziali prescritti agli articoli 70 e 74 del codice doganale dell’Unione per determinare, per ciascuna dichiarazione in dogana interessata, il valore in dogana delle merci di cui trattasi.

418

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’argomento del Regno Unito secondo cui la prevalenza della sua stima delle perdite di risorse proprie tradizionali secondo il metodo dell’HMRC si impone come corollario della competenza esclusiva degli Stati membri per decidere della messa a disposizione della Commissione di risorse proprie, è vero che, come dichiarato dalla Corte, allo stato attuale del diritto dell’Unione, la gestione del sistema delle risorse proprie dell’Unione è affidata agli Stati membri e ricade sotto la sola responsabilità di questi ultimi. Pertanto, gli obblighi di riscossione, di accertamento e di iscrizione sul conto di dette risorse proprie ai fini della loro messa a disposizione della Commissione incombe direttamente sugli Stati membri in forza della normativa dell’Unione in materia di risorse proprie, e, nella specie, delle decisioni 2007/436 e 2014/335 nonché dei regolamenti nn. 1150/2000 e 609/2014, senza che la Commissione sia investita di alcun potere decisionale che le consenta di ingiungere agli Stati membri di accertare e di mettere a sua disposizione gli importi delle risorse proprie dell’Unione (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 62 e la giurisprudenza ivi citata).

419

Nella specie, il Regno Unito ha scelto di non mettere a disposizione della Commissione alla scadenza del termine fissato nel parere motivato l’importo di risorse proprie reclamato in tale parere, neanche accompagnando, se del caso, tale messa a disposizione con riserve, limitandosi a contestare l’obbligo di iscrivere nella contabilità di tale istituzione un importo qualsiasi di risorse proprie.

420

In tali circostanze, nell’esercizio del potere discrezionale di cui essa è investita per decidere sull’opportunità di avviare il procedimento di cui all’articolo 258 TFUE, e, più in generale, nell’esercizio del suo compito di custode dei Trattati devolutole in forza dell’articolo 17, paragrafo 1, TUE, che le impone di vigilare sulla corretta esecuzione, da parte degli Stati membri, dei loro obblighi in materia di risorse proprie dell’Unione, la Commissione non può essere criticata per aver fatto uso della facoltà inerente al sistema di risorse proprie dell’Unione, come esso è attualmente concepito nel diritto dell’Unione, di sottoporre alla valutazione della Corte, nell’ambito di un ricorso di inadempimento, la presente controversia che la vede contrapposta al Regno Unito in merito all’obbligo di tale Stato di mettere un determinato importo di risorse proprie a disposizione della Commissione (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punti 65, 6668).

421

Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dal Regno Unito, poiché la controversia che lo vede opposto alla Commissione verte sull’importo delle risorse proprie da mettere a disposizione di tale istituzione, siffatta controversia rientra pienamente nella competenza della Corte in forza dell’articolo 258 TFUE.

422

Non si può dunque esigere che la Commissione proponga anzitutto un ricorso per inadempimento limitato alla questione di principio se lo Stato membro interessato sia venuto meno agli obblighi ad esso incombenti, in forza del diritto dell’Unione, di mettere a disposizione di tale istituzione risorse proprie, senza una loro quantificazione, prima di poter sottoporre, successivamente, alla Corte una controversia vertente sugli importi esatti di risorse dovute nell’ambito di un procedimento avviato ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, laddove la Commissione ritenga che lo Stato membro interessato abbia omesso di prendere le misure che l’esecuzione dalla sentenza della Corte, che ha accertato un siffatto inadempimento a causa della mancata messa a disposizione della Commissione di siffatti importi, comporta.

423

Ciò premesso, come viene ricordato al punto 221 della presente sentenza, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, spetta alla Commissione, la quale ha l’onere di dimostrare l’esistenza dell’inadempimento contestato, fornire alla Corte gli elementi necessari alla verifica, da parte di quest’ultima, dell’esistenza di detto inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione.

424

Nella specie, tali elementi devono riguardare, segnatamente, il metodo che la Commissione ha seguito per calcolare l’importo di risorse proprie da essa chieste al Regno Unito.

425

Di conseguenza, occorre esaminare la questione se la Commissione abbia dimostrato in maniera sufficiente, fondandosi sul metodo OLAF-JRC, l’esattezza degli importi determinati di perdite di risorse proprie tradizionali che essa sostiene debbano essere messe a sua disposizione, fermo restando che tale questione è peraltro stata oggetto di un dibattito contraddittorio fra le parti sia nel corso del procedimento precontenzioso sia dinanzi alla Corte.

2) Sulla stima da parte della Commissione degli importi di perdite di risorse proprie tradizionali secondo il metodo OLAF-JRC

426

Prima di esaminare detta questione, occorre rammentare brevemente le caratteristiche essenziali del metodo OLAF-JRC, come utilizzato dalla Commissione per calcolare gli importi di perdite di risorse proprie tradizionali che essa ha chiesto al Regno Unito di mettere a sua disposizione, in maniera identica, nel parere motivato e nel ricorso.

427

Come risulta dai punti da 53 a 57 della presente sentenza, il metodo OLAF-JRC è stato sviluppato quale strumento di analisi dei rischi utilizzabile dalle autorità doganali degli Stati membri per individuare le importazioni che presentano un rischio rilevante di sottovalutazione e che devono pertanto formare l’oggetto di controlli per quanto riguarda i valori in dogana dichiarati. Esso consiste nel calcolare per ciascuno dei 495 codici di prodotto a otto cifre della NC interessati rientranti nei capitoli da 61 a 64 di tale nomenclatura un PMR e un PMA, il quale viene fissato uniformemente al 50% del PMR. Tali prezzi sono ricavati dalla banca dati Comext a partire dai prezzi all’importazione dei prodotti considerati provenienti da dati forniti da tutti gli Stati membri e sono dunque stabiliti a livello dell’Unione. Il PMA costituisce il profilo o la soglia di rischio che serve ad individuare le importazioni che possono essere sottovalutate e che devono pertanto essere oggetto di controlli prima dello sdoganamento delle merci di cui trattasi in relazione ai valori in dogana dichiarati per le medesime.

428

Il metodo OLAF-JRC, come utilizzato dalla Commissione per determinare gli importi di perdite di risorse proprie che essa reclama dal Regno Unito, è un metodo di stima di tali perdite di natura essenzialmente statistica.

429

In un primo tempo, si procede al calcolo del volume delle importazioni che devono essere considerate sottovalutate sulla base di dati estrapolati dalla banca dati Surveillance 2 su un periodo di 48 mesi. A tal fine, vengono prese in considerazione, per ciascuno dei 495 codici di prodotto a otto cifre della NC interessati, le importazioni di ciascun codice di prodotto il cui valore aggregato giornaliero è inferiore al PMA per il codice di prodotto considerato.

430

In un secondo tempo, le perdite per le quantità considerate sottovalutate vengono calcolate in termini di dazi doganali supplementari dovuti in base alla differenza tra tale valore aggregato giornaliero e il PMR.

431

Ne consegue che, secondo il metodo OLAF-JRC, il volume delle importazioni sottostimate viene calcolato prendendo in considerazione le importazioni nel Regno Unito dei prodotti considerati provenienti dalla Cina il cui prezzo sia inferiore al PMA (ossia al 50% del PMR) mentre il valore delle importazioni sottovalutate così individuate viene calcolato applicando il PMR, fermo restando che questi due prezzi sono calcolati a livello dell’Unione e non a livello del solo Regno Unito.

3) Sulla stima da parte del Regno Unito degli importi di perdite di risorse proprie tradizionali secondo il metodo dell’HMRC

432

Il Regno Unito critica il metodo OLAF-JRC, sostenendo che quest’ultimo porta a sovrastimare, a causa delle sue debolezze e delle sue inesattezze, sia la quantità delle importazioni sottovalutate sia il valore attribuito loro.

433

Il proprio metodo, il metodo dell’HMRC, consiste nel calcolare, per ciascun codice di prodotto della NC a 10 cifre interessato, una «soglia di conformità» sulla base non di un prezzo medio stabilito a livello dell’Unione, bensì in funzione dei valori dichiarati al momento dell’importazione nel Regno Unito soltanto.

434

Come spiegato dal Regno Unito in risposta ai quesiti sottoposti dalla Corte, tale metodo consiste nell’individuare, sulla base di un’analisi di istogrammi relativi al periodo di infrazione, per ciascun codice di prodotto a dieci cifre della NC interessato, rientrante nei capitoli da 61 a 64 di tale nomenclatura, sia una «punta», che comprende un volume elevato di prezzi dichiarati comparativamente bassi, che si suppone siano quasi esclusivamente sottovalutati, e un punto situato al di fuori di tale punta in cui risultano volumi di importazioni più tipici e i prezzi dichiarati legittimi.

435

Per ciascun codice di prodotto interessato viene fissata una soglia di conformità a livello del prezzo corrispondente a tale punto, situato al di fuori di detta punta in cui risultano le importazioni legittime e che deve pertanto essere considerato un prezzo accettabile.

436

Sono pertanto considerati sottovalutate secondo tale metodo cosiddetto della «punta» le importazioni il cui valore dichiarato in dogana sia inferiore a tale soglia di conformità. Per tali importazioni, vengono calcolati dazi doganali supplementari, per ciascuna dichiarazione in dogana relativa ad un prodotto interessato, sulla base della differenza tra il valore dichiarato in dogana e detta soglia di conformità.

437

Pertanto, la stessa soglia di conformità, come utilizzata per calcolare gli importi di perdite di risorse tradizionali dell’Unione, è un valore di riferimento stabilito sulla base di dati statistici relativi alle importazioni dei prodotti considerati provenienti dalla Cina nel Regno Unito, il quale serve sia ad individuare le importazioni che possono essere considerate sottovalutate sia a determinare il valore che deve essere attribuito a tali importazioni ai fini del calcolo dei dazi doganali supplementari dovuti e, pertanto, delle perdite di risorse proprie tradizionali corrispondenti che devono essere ancora essere messe a disposizione della Commissione.

438

Dalla relazione di una società di consulenza allegata dal Regno Unito alla sua risposta al parere motivato e al controricorso emerge inoltre che la differenza sostanziale tra la stima delle perdite di tale Stato e quella della Commissione, fermo restando che la prima è inferiore del 10% della seconda, è dovuta per circa l’80% al fatto che, secondo il metodo dell’HMRC, le importazioni reputate essere sottostimate vengono «rivalutate» a livello di un prezzo soglia, ossia la soglia di conformità, il quale è un prezzo ricavato dai soli prezzi all’importazione nel Regno Unito mentre, secondo il metodo OLAF-JRC, il valore viene determinato non a livello di un prezzo soglia come il PMA, ossia il 50% del PMR, bensì a livello del «giusto prezzo», ossia il 100% del PMR, il quale è un prezzo ricavato dalla media aritmetica e pertanto non ponderata dei PMR di tutti gli Stati membri, compreso, all’epoca, quelli del Regno Unito.

4) Sull’argomento a carattere generale diretto contro il metodo OLAF-JRC

439

Prima di esaminare le diverse critiche specifiche formulate dal Regno Unito, sostenuto dagli Stati membri intervenienti, nei confronti delle caratteristiche essenziali del metodo OLAF-JRC, utilizzato come metodo per stimare gli importi delle perdite di risorse proprie, occorre esaminare l’argomento a carattere generale invocato da tale Stato avverso siffatto metodo.

440

Secondo tale argomento, dal momento che detto metodo è stato specificamente elaborato al fine di poter essere utilizzato dagli Stati membri come profilo di rischio che consente di individuare importazioni che presentano un rischio rilevante di sottovalutazione e che devono pertanto essere controllate, sarebbe inopportuno che lo stesso metodo venisse applicato al fine di calcolare gli importi delle perdite di risorse proprie corrispondenti ai dazi doganali che non sono stati riscossi nel Regno Unito in conseguenza del carattere inadeguato dei controlli effettuati dalle sue autorità doganali.

441

Si tratterebbe, infatti, di un metodo essenzialmente statistico per determinare il valore in dogana delle importazioni sottovalutate che non fa parte dei metodi sequenziali prescritti agli articoli 70 e 74 del codice doganale dell’Unione, come il metodo cosiddetto «fall-back» previsto all’articolo 74, paragrafo 3, di tale codice, consistente nel determinare il valore in dogana delle merci di cui trattasi sulla base dei «dati disponibili» nel rispetto delle condizioni imposte all’articolo 144 del regolamento di esecuzione.

442

A tal riguardo, anche se effettivamente il metodo OLAF-JRC è un metodo di stima degli importi delle perdite di risorse proprie essenzialmente statistico che non è diretto a determinare il valore in dogana delle merci di cui trattasi, in conformità agli articoli 70 e 74 del codice doganale dell’Unione, alla luce di ciascuna dichiarazione in dogana interessata, la Commissione non può essere criticata per avere utilizzato un siffatto metodo statistico al fine di calcolare gli importi delle perdite di risorse proprie nelle circostanze del caso di specie.

443

Infatti, è pacifico che le importazioni interessate hanno avuto luogo su larga scala e che le merci di cui trattasi sono state immesse in libera pratica, fermo restando che tali merci non possono più essere richiamate ai fini di verifiche per stabilire il loro valore reale. Inoltre, il Regno Unito, in violazione dell’articolo 325, paragrafo 1, TFUE e della normativa doganale dell’Unione, ha omesso di prendere le misure necessarie, come controlli fisici, richieste di informazioni o di documenti o, ancora, il prelievo di campioni. Pertanto, in assenza di dati sufficienti relativi alla qualità delle merci già immesse in libera pratica, non è più possibile, ormai, a causa di tali omissioni, determinare il valore di tali merci sulla base di uno dei metodi di valutazione previsti agli articoli 70 e 74 del codice doganale dell’Unione, cosicché solo un metodo statistico può essere utilizzato per stimare il valore di dette merci.

444

Inoltre, come rilevato anche dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 274 delle sue conclusioni, nelle circostanze particolari del caso di specie, nulla impediva, in linea di principio, all’OLAF e alla Commissione di utilizzare il metodo OLAF-JRC, anche se tale metodo era stato inizialmente concepito come strumento di analisi dei rischi per stimare gli importi delle perdite di risorse proprie causate dai controlli inadeguati delle autorità doganali del Regno Unito, dal momento che detto metodo comporta un prezzo soglia, ossia il PMA, il quale consente di determinare i volumi delle importazioni sottovalutate, e un prezzo di riferimento, ossia il PMR, che consente di attribuire un valore sostitutivo a tali importazioni ai fini del calcolo dei dazi doganali che rimanevano dovuti.

445

Peraltro, come parimenti osservato dall’avvocato generale, in sostanza, ai paragrafi da 276 a 278 delle sue conclusioni, nella sua giurisprudenza, la Corte ha ammesso che, in circostanze simili a quelle del caso di specie, la quantificazione delle perdite di risorse proprie può essere fondata su dati statistici piuttosto che su dati riferiti direttamente al valore delle merci di cui trattasi.

446

Infatti, in una situazione in cui, in assenza delle merci di cui trattasi, l’impossibilità di procedere a verifiche era la conseguenza ineluttabile di omessi controlli, da parte delle autorità doganali, diretti a verificare il valore reale di tali merci, sfociata nell’accettazione sistematica, da parte di tali autorità, dei valori dichiarati in dogana pur sapendo che, in media, tali valori erano sottovalutati, la Corte ha ritenuto che, in un caso del genere, non fosse inadeguato quantificare gli importi delle perdite di risorse proprie risultanti da una siffatta prassi sulla base di dati relativi alla differenza fra il peso medio standard dichiarato di merci della stessa natura importate in un periodo successivo e il loro peso medio accertato in occasione di controlli che, a causa della loro portata, potevano essere considerati pertinenti (v., in tal senso, sentenza del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo, C‑23/10, non pubblicata, EU:C:2011:160, punti 54, 63, 6566).

447

Nelle circostanze particolari del caso di specie, le perdite di risorse proprie risultano dalla prassi delle autorità doganali del Regno Unito consistita essenzialmente nell’accettazione sistematica, durante il periodo di infrazione, delle dichiarazioni in dogana dei prodotti interessati importati provenienti dalla Cina senza verificare i valori menzionati su tali dichiarazioni, sebbene tali autorità sapessero o dovessero ragionevolmente sapere che considerevoli volumi di tali prodotti venivano importati fraudolentemente a prezzi manifestamente sottovalutati. Di conseguenza, gli importi di tali perdite possono essere determinati sulla base di un metodo come il metodo OLAF-JRC, il quale è fondato su dati statistici, piuttosto che su un metodo inteso a determinare il valore in dogana delle merci di cui trattasi sulla base di prove dirette, in conformità agli articoli 70 e 74 del codice doganale dell’Unione. Infatti, quest’ultimo metodo non può più essere applicato in assenza di elementi di prove dirette relative a tale valore ottenuti da dette autorità in quantità sufficienti.

448

Inoltre, come rilevato parimenti dall’avvocato generale, in sostanza, alla nota 277 a piè di pagina, inserita al paragrafo 274 delle sue conclusioni, il metodo dell’HMRC, proposto dal Regno Unito per stimare gli importi delle perdite di risorse proprie, è anch’esso un metodo basato essenzialmente su dati statistici dal momento che le soglie di conformità sono derivate da valori statistici storici.

449

Occorre cionondimeno stabilire se, basandosi sul metodo OLAF-JRC per calcolare gli importi delle perdite di risorse proprie tradizionali che essa adduce, la Commissione abbia dimostrato a sufficienza l’esattezza dei sette importi reclamati per ciascuno degli anni che compongono il periodo di infrazione, in conformità all’onere della prova ad essa incombente, secondo la giurisprudenza costante della Corte richiamata al punto 423 della presente sentenza, in un procedimento per inadempimento.

450

In tale contesto e alla luce anche di quanto statuito ai punti da 423 a 425 della presente sentenza, spetta alla Corte verificare se, nei limiti in cui la Commissione ha invocato il metodo OLAF-JRC quale metodo di calcolo per determinare gli importi delle perdite di risorse proprie che non sarebbero state messe a sua disposizione in violazione del diritto dell’Unione, tale istituzione abbia fornito elementi sufficienti che dimostrino l’esattezza di tali importi e, pertanto, la fondatezza dell’inadempimento addotto, in conformità all’onere della prova ad essa incombente.

451

Come osservato parimenti dall’avvocato generale al paragrafo 281 delle sue conclusioni, la Corte è di conseguenza tenuta non già ad operare una scelta tra i diversi approcci metodologici proposti dalle parti, come sembra suggerire il Regno Unito nel suo controricorso, ma soltanto a valutare il metodo OLAF-JRC proposto dalla Commissione a sostegno del presente ricorso esaminando le diverse critiche mosse da tale Stato, sostenuto dagli Stati membri intervenienti, contro tale metodo.

452

Occorre precisare al riguardo che l’esame da parte della Corte, nell’ambito del presente procedimento per inadempimento, del metodo OLAF-JRC deve essenzialmente mirare, come parimenti osservato dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 286 delle sue conclusioni, a verificare che tale metodo fosse giustificato alla luce delle particolarità delle circostanze del caso di specie e che esso fosse sufficientemente preciso e attendibile nella misura in cui, segnatamente, era basato su criteri né arbitrari né di parte e poggiava su un’analisi obiettiva e coerente di tutti i dati pertinenti disponibili, in modo da non dare luogo ad una sovrastima manifesta dell’importo di tali perdite.

453

Pur se la verifica dell’esattezza dei diversi importi di perdite di risorse proprie tradizionali figurante al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso deve essere effettuata, in teoria, come è indicato al punto 449 della presente sentenza, in relazione a ciascuno dei sette anni menzionati a tale terzo comma, la Corte, per ragioni di economia processuale, procederà a tale esame in relazione a due periodi successivi inclusi nel periodo di infrazione, ossia quello che va dal novembre del 2011 al novembre 2014 e quello che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso.

5) Sulla stima dell’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali per il periodo che va dal novembre del 2011 al novembre del 2014

454

Per quanto riguarda, in primo luogo, il periodo che va dal novembre del 2011 al novembre del 2014, dagli importi figuranti al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso per gli anni dal 2011 al 2014 emerge che la Commissione addebita al Regno Unito, per tale periodo, l’omessa messa a disposizione di tale istituzione di un importo totale di risorse proprie tradizionali pari a EUR 1001511991,60.

455

Orbene, come parimenti rilevato dall’avvocato generale, in sostanza, ai paragrafi da 293 a 297 delle sue conclusioni, si evince in maniera univoca dai motivi del ricorso e dalla replica che, per detto periodo, a causa, segnatamente, delle norme in materia di riscossione dell’obbligazione doganale previste all’articolo 221, paragrafo 3, del codice doganale comunitario e all’articolo 103, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione, la Commissione ha inteso limitare la portata del ricorso alle obbligazioni doganali accertate negli ordini di riscossione a posteriori figuranti nei 23 avvisi C 18 Snake emessi tra il novembre del 2014 e il febbraio del 2015 e che, dopo la loro contabilizzazione e notifica agli operatori interessati, sono state cancellate tra il giugno e il novembre del 2015. Inoltre, tale intenzione della Commissione è confermata dalle censure formulate nella lettera di diffida e nel parere motivato.

456

Come è rilevato ai punti da 367 a 395 della presente sentenza, l’annullamento dei 23 avvisi C 18 Snake è dovuto ad errori amministrativi commessi dalle autorità doganali del Regno Unito, i quali non sono giustificabili alla luce dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 609/2014, cosicché tale Stato non era dispensato dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione le risorse relative a tali avvisi.

457

Nel controricorso, il Regno Unito ha indicato che gli importi reclamati negli avvisi C 18 Snake erano calcolati sulla base dei PMR del metodo OLAF-JRC. Nella replica, la Commissione obietta che, nel corso del procedimento precontenzioso, essa aveva indicato di avere compreso, senza essere corretta sul punto dal Regno Unito, che tali importi erano calcolati sulla base del PMA e, pertanto, secondo la Commissione, ad un livello manifestamente troppo basso ai fini della stima degli importi di perdite di risorse proprie, il che l’avrebbe portata ad applicare, nel ricorso, il suo metodo di stima di tali perdite, anche per il periodo compreso tra il novembre del 2011 e il novembre del 2014, per la totalità delle importazioni effettuate ad un prezzo dichiarato inferiore al PMA nel corso di tale periodo.

458

Orbene, dal fascicolo sottoposto alla Corte e, in particolare, dalla produzione, da parte del Regno Unito, in allegato alla replica, degli avvisi C 18 Snake e dai dettagli dei calcoli relativi a tali avvisi emerge chiaramente, da un lato, che le obbligazioni doganali supplementari reclamate in detti avvisi sono state effettivamente calcolate, seppur a seguito di errori amministrativi, sulla base dei PMR e non sulla base delle norme del diritto doganale dell’Unione in materia di determinazione del valore in dogana, e, dall’altro, che l’importo totale di tali obbligazioni era pari a GBP 192568694,30.

459

Ne consegue che esiste un’incoerenza fra le conclusioni del ricorso e i motivi del medesimo per quanto riguarda l’importo delle risorse proprie che la Commissione reclama nell’ambito del presente procedimento.

460

Infatti, ai sensi del terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, la Commissione chiede alla Corte di dichiarare che, per il periodo che va dal novembre del 2011 al novembre del 2014, il Regno Unito non ha rispettato gli obblighi ad esso incombenti in forza della normativa dell’Unione in materia di risorse proprie, dal momento che tale Stato non ha messo a disposizione della Commissione un importo totale di EUR 1001511991,60, importo calcolato sulla base del metodo OLAF-JRC e che prende in considerazione tutte le importazioni sottovalutate effettuate a prezzi inferiori al PMA durate tale periodo, incluse quelle, peraltro molto numerose, non coperte dagli avvisi C 18 Snake.

461

Per contro, risulta in maniera univoca dai motivi del ricorso e dalla replica, ed è confermato dalla lettera di diffida e dal parere motivato, che, per detto periodo, la Commissione ha inteso limitare la sua censura relativa all’assenza di messa a disposizione da parte del Regno Unito di risorse proprie dell’Unione alle risorse corrispondenti alle obbligazioni doganali accertate negli avvisi C 18 Snake, il che implica che essa reclama risorse solo in relazione alle importazioni sottovalutate effettuate a prezzi inferiori al PMA e menzionate in tali avvisi. Orbene, l’importo totale di tali obbligazioni doganali è pari, secondo il Regno Unito, supportato da prove, a GBP 192568694,30.

462

In tali circostanze, deve essere constatato che, poiché sussistono rilevanti incertezze per quanto riguarda l’esattezza degli importi di risorse proprie che la Commissione rivendica in conformità al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso per il periodo che va dal novembre del 2011 al novembre del 2014, tale istituzione non ha dimostrato in maniera sufficiente l’integralità dei medesimi.

463

Pertanto, per quanto riguarda il primo periodo, che va dal novembre del 2011 al novembre del 2014, il secondo motivo deve essere respinto nella parte in cui verte sulla censura di cui al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, secondo cui il Regno Unito, non avendo messo a disposizione della Commissione gli importi di risorse ivi elencati per un importo totale di EUR 1001511991,60, non ha rispettato il diritto dell’Unione.

6) Sulla stima dell’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali per il periodo che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso

464

Per quanto riguarda, in secondo luogo, il periodo che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso, è pacifico che la Commissione ha determinato gli importi delle risorse proprie tradizionali da essa reclamati in conformità al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, ossia un importo totale di EUR 1678125097, sulla base del metodo OLAF-JRC senza dedurre da tali importi quelli reclamati dalle autorità doganali del Regno Unito negli ordini di riscossione di dazi a posteriori figuranti negli avvisi C 18 Breach concernenti tale periodo.

465

Pertanto, occorre esaminare, anzitutto, i diversi argomenti invocati dal Regno Unito, sostenuto dagli Stati membri intervenienti, contro il metodo OLAF-JRC come utilizzato dalla Commissione per stimare l’importo delle perdite di risorse proprie che essa reclama per detto periodo e, quindi, l’impatto che potrebbe avere su tale stima la considerazione degli ordini di riscossione figuranti negli avvisi C 18 Breach che riguardano lo stesso periodo.

i) Sulla critica diretta avverso il metodo OLAF-JRC relativa al fatto che quest’ultimo porterebbe a sovrastimare il volume delle importazioni che devono essere considerate sottovalutate

466

Per quanto riguarda, anzitutto, le critiche dirette avverso il metodo OLAF-JRC, occorre esaminare, in primo luogo, la critica secondo cui tale metodo, utilizzando il PMA come criterio per calcolare il volume delle importazioni sottovalutate, sovrastima tale volume poiché si tratterebbe di un criterio arbitrario e impreciso la cui applicazione comporta l’inclusione di un volume non trascurabile di importazioni legittime a prezzi estremamente bassi.

467

Quanto alla critica generale secondo la quale il PMA costituirebbe un «criterio arbitrario», si deve ricordare che la fissazione del PMA ad un livello del 50% dei PMR è fondato su studi di istogrammi da parte del JRC intesi ad individuare, a partire da dati statistici, categorie di importazioni a prezzi estremamente bassi. Dal momento che esso si basa sull’analisi di statistiche relative ai prezzi all’importazione, un siffatto approccio è comparabile a quello seguito nell’ambito del metodo dell’HMRC per determinare la soglia di conformità.

468

Il Regno Unito critica il metodo utilizzato dalla Commissione per calcolare l’importo delle perdite di risorse proprie dal momento che, diversamente dal metodo dell’HMRC, esso utilizza dati aggregati giornalieri di importazioni nel Regno Unito e non dati a livello dell’articolo interessato, ossia per ciascuna dichiarazione in dogana, nonché codici di prodotto a otto cifre della NC e non codici di prodotto a dieci cifre di tale nomenclatura [codici della tariffa integrata dell’Unione europea (TARIC)].

469

La Commissione fa valere di avere proceduto in tal modo poiché disponeva unicamente di siffatti dati aggregati giornalieri e di dati a livello di codici di prodotto ad otto cifre. Essa fa parimenti valere che l’impiego di detti dati aggregati giornalieri ha avuto un effetto di sovracompensazione e che, di conseguenza, tale impiego tende a diminuire il volume di importazioni considerate sottovalutate ed è piuttosto favorevole al Regno Unito.

470

Essa sostiene che, se il metodo OLAF-JRC venisse ad esempio applicato ai dati relativi alle importazioni del Regno Unito a livello di ciascuna dichiarazione in dogana per il secondo e il terzo trimestre del 2017, le perdite stimate sarebbero superiori di circa il 40% rispetto alle stime ottenute utilizzando gli stessi dati aggregati giornalieri. Essa fa parimenti valere che, se venissero utilizzati dati a livello dei codici TARIC, questa maggiore granularità avrebbe come unica conseguenza quella di aumentare il numero di prodotti da 495 a 677, cosicché un impatto sui PMR non sarebbe dimostrato.

471

In risposta ad un quesito posto dalla Corte, il Regno Unito ha sostenuto di non poter calcolare l’impatto sulla stima dell’importo delle perdite di risorse proprie dell’utilizzo di codici di prodotto a dieci cifre della NC aventi una maggiore granularità, ma ha ammesso che un calcolo a livello dell’articolo interessato piuttosto che sulla base dei dati aggregati giornalieri di importazioni nel proprio territorio farebbe aumentare l’importo delle perdite che la Commissione adduce per il secondo periodo, che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso, da EUR 1678125097 a EUR 1725981951, il che conferma che, sul punto, il metodo OLAF-JRC è più favorevole al Regno Unito rispetto al proprio metodo.

472

Inoltre, in risposta ad un altro quesito della Corte, il Regno Unito ha sottolineato che era ormai chiaro, alla luce delle spiegazioni fornite nel frattempo dalla Commissione, che la sola ragione per cui esiste una disparità di trattamento talmente significativa fra la stima delle perdite da parte della Commissione e la propria stima risiede nel fatto che i PMR che tale istituzione ha utilizzato per «rivalutare» le importazioni considerate sottovalutate secondo il metodo OLAF-JRC sono molto più elevati dei prezzi corrispondenti alle soglie di conformità del metodo dell’HMRC che esso ritiene debba essere utilizzato per rivalutare tali importazioni.

473

Inoltre, rispondendo ad un altro quesito posto dalla Corte, il Regno Unito ha indicato che, se i prezzi corrispondenti alle soglie di conformità del proprio metodo di stima delle perdite venissero applicati per calcolare il volume delle importazioni sottovalutate piuttosto che il PMA, ciò avrebbe come conseguenza che l’importo delle perdite di risorse proprie reclamato dalla Commissione per il secondo periodo, che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso, diminuirebbe del 4,4 o del 4,7%.

474

Se, come parimenti rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 301 delle sue conclusioni, una siffatta differenza tra il metodo utilizzato dalla Commissione e quello utilizzato dal Regno Unito per stimare il volume delle importazioni sottovalutate sembra restare, in quanto tale, entro limiti ragionevoli, ciò non toglie che il PMA sembra portare a sovrastimare in una certa misura il volume delle importazioni che devono essere considerate sottovalutate.

475

A tal riguardo, occorre ricordare che tale prezzo è stato sviluppato inizialmente quale profilo di rischio, il che implica che esso possa generare un certo numero di falsi positivi costituiti, in particolare, da importazioni legittime di grandi catene di distribuzione, come sottolineato dal Regno Unito.

476

Come rilevato al punto 296 della presente sentenza, tale Stato fa valere che l’11,2%, in volume, delle importazioni legittime effettuate da talune grandi catene di distribuzione ben note sono state dichiarate a valori inferiori al PMA.

477

Se una siffatta percentuale di falsi positivi non è di per sé idonea a pregiudicare l’attendibilità del PMA utilizzato quale profilo di rischio, dal momento che essa deve essere considerata ragionevole in un siffatto contesto, la stessa deve essere presa in considerazione in sede di analisi e di calcolo dell’importo delle perdite di risorse proprie al fine di determinare con un grado ragionevole di precisione il volume delle importazioni che devono essere considerate sottovalutate e comportanti siffatte perdite.

478

Pertanto, l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali deve essere calcolato, nella specie, sulla base di ciò che il Regno Unito ha chiamato, in risposta ad un quesito posto dalla Corte, il «volume comune» delle importazioni reputate essere sottovalutate, vale a dire il volume delle importazioni che sono considerate sottovalutate indipendentemente dall’applicazione del metodo OLAF-JRC o del metodo dell’HMRC.

ii) Sulla critica diretta avverso il metodo OLAF-JRC relativa al fatto che esso porterebbe a sovrastimare il valore delle importazioni che devono essere considerate sottovalutate

479

Per quanto riguarda, in secondo luogo, le diverse critiche mosse nei confronti del metodo OLAF-JRC per il fatto che, quando quest’ultimo viene utilizzato come strumento per determinare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali, esso si fonda sui PMR in quanto valore di riferimento per stimare il valore delle importazioni sottovalutate, occorre esaminare, anzitutto, l’argomento secondo cui tale valore di riferimento avrebbe dovuto essere calcolato sulla base dei soli prezzi all’importazione nel Regno Unito e non sulla base della media aritmetica dei prezzi all’importazione di tutti gli Stati membri.

480

Nella specie, tale scelta metodologica della Commissione è giustificata a causa di una delle caratteristiche essenziali della frode da sottovalutazione in questione, ossia il fatto, di per sé non contestato dal Regno Unito, che la stragrande maggioranza delle importazioni interessate era effettuata nell’ambito del regime doganale 42 ed era pertanto necessariamente destinata ad altri Stati membri. Inoltre, le importazioni interessate effettuate nell’ambito del regime doganale 40 potevano anch’esse essere trasportate verso altri Stati membri una volta effettuato lo sdoganamento delle merci di cui trattasi nel Regno Unito.

481

A tal riguardo, dalla relazione dell’OLAF emerge, ad esempio, che, per l’anno 2016, l’87% delle importazioni nel Regno Unito di prodotti considerati di basso valore è stato effettuato nell’ambito del regime doganale 42.

482

Ne consegue che, come rilevato parimenti dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 304 delle sue conclusioni, la stragrande maggioranza delle importazioni interessate durante il periodo di infrazione era diretta verso il mercato dei prodotti considerati dell’Unione nel suo insieme.

483

Pertanto, la Commissione non può essere criticata per avere applicato, ai fini della stima del valore di tali importazioni nell’ambito della quantificazione delle perdite di risorse proprie, un valore di riferimento che riflette il livello dei prezzi all’importazione dei prodotti considerati dell’Unione nel loro insieme.

484

Infatti, occorre ricordare che un siffatto approccio risulta coerente con il modus operandi della frode da sottovalutazione in questione.

485

Inoltre, l’utilizzo dei prezzi medi all’importazione dell’insieme degli Stati membri, sotto forma di una media aritmetica di tali prezzi, è giustificato anche alla luce della necessità di ridurre l’effetto di distorsione sui prezzi di riferimento generato dal volume particolarmente rilevante di importazioni sottovalutate a prezzi estremamente bassi nel Regno Unito durante il periodo di infrazione.

486

A tal riguardo, occorre ricordare, da un lato, che il 78,1%, in valore, e il 69,8%, in volume, delle importazioni interessate durante il periodo di infrazione a prezzi inferiori al PMA, ossia al 50% del PMR, si collocavano in un intervallo compreso fra lo 0 e il 10% del PMR, e che le importazioni a prezzi estremamente bassi rientranti in tale intervallo sono aumentate gradualmente e considerevolmente nel corso del periodo di infrazione fino a divenire, con una quota di circa l’80%, ampiamente maggioritarie fra le importazioni sottovalutate. Dall’altro, mentre la frode da sottovalutazione in questione interessava inizialmente diversi Stati membri, essa riguardava, durante il periodo di infrazione, in prima linea e in maniera sempre più rilevante, il Regno Unito, come indicato peraltro dagli agenti della Commissione in occasione di diverse riunioni con le autorità doganali di tale Stato. Durante tali riunioni, l’esistenza delle perdite di risorse proprie crescenti corrispondenti è stata ripetutamente portata all’attenzione di tali autorità affinché queste ultime prendessero le misure adeguate per porvi fine.

487

Se lo scopo di ridurre l’effetto di distorsione sui prezzi di riferimento generato dal volume particolarmente rilevante di importazioni sottovalutate a prezzi estremamente bassi nel Regno Unito durante il periodo di infrazione poteva, teoricamente, essere conseguito applicando diversi metodi, il metodo scelto dalla Commissione risulta sufficientemente preciso e affidabile, dal momento che, segnatamente, tale metodo è basato su criteri che non sono né arbitrari né di parte e si fonda su un’analisi obiettiva e coerente di tutti i dati pertinenti disponibili, così da non dare luogo ad una sovrastima manifesta dell’importo delle perdite di risorse proprie.

488

In tale contesto, la Commissione, come da essa ammesso in risposta ad un quesito della Corte, avrebbe, ad esempio, parimenti potuto eliminare, ai fini del calcolo della media aritmetica dei prezzi degli Stati membri, la totalità delle importazioni effettuate a prezzi inferiori al PMA in tutti gli Stati membri. Tuttavia, un simile metodo avrebbe svantaggiato il Regno Unito in quanto avrebbe comportato un aumento considerevole dell’importo delle perdite di risorse proprie.

489

Occorre poi esaminare la critica secondo la quale l’impiego, nell’ambito dell’applicazione del metodo OLAF-JRC, dei PMR quale valore di riferimento porta a sovrastimare il livello delle perdite di risorse proprie e non è pertanto legittimo, dal momento che esso non tiene conto del fatto che i prodotti considerati oggetto della frode da sottovalutazione in questione avevano un valore e una qualità inferiori a quelli importati in maniera legittima dalla Cina a prezzi superiori al PMA ovvero alla soglia di conformità del metodo dell’HMRC.

490

Inoltre, le merci di cui trattasi sarebbero destinate, per loro natura, al segmento basso del mercato in quanto importate da organizzazioni criminali per essere oggetto di un commercio illecito e clandestino nel territorio di altri Stati membri.

491

Pertanto, alla luce di tale caratteristica essenziale del modus operandi della frode da sottovalutazione in questione, il valore di riferimento che deve essere utilizzato per determinare il valore delle importazioni considerate sottovalutate dovrebbe essere fissato a livello del PMA.

492

In tale contesto, la Commissione sostiene che il Regno Unito non detiene alcuna prova pertinente della ripartizione dei prezzi e della qualità delle importazioni interessate, dal momento che, prima del lancio dell’operazione Swift Arrow, tale Stato membro aveva scelto di non effettuare controlli fisici e di non prelevare campioni.

493

Il Regno Unito invoca la relazione di una società di consulenza che analizza un campione principale di 94 articoli di prodotti sottovalutati fra cui 70 articoli prelevati nell’ambito dell’operazione Swift Arrow, lanciata dopo il periodo di infrazione, e compara tale campione con un campione di controllo di articoli a prezzi estremamente bassi di un rivenditore legittimo e ben noto nel suo territorio di prodotti di valore molto basso, dalla quale risulterebbe che la stragrande maggioranza degli articoli di tale campione principale erano di bassa qualità e di qualità inferiore a quella degli articoli del campione di controllo. Ne discenderebbe che il valore corretto delle merci sottovalutate non può eccedere il prezzo più basso al quale tali rivenditori importano articoli equivalenti.

494

A tal riguardo, anche ammesso che, come sostenuto dal Regno Unito, tutti i campioni prelevati nell’ambito dell’operazione Swift Arrow e analizzati in tale relazione possano essere presi in considerazione nell’ambito del presente procedimento, anche se un buon numero degli stessi sembra riguardare importazioni effettuate dopo il periodo di infrazione, tale Stato non dimostra che i campioni in questione possono essere considerati rappresentativi dell’insieme dei grandi volumi delle merci di cui trattasi sottovalutate importate nel suo territorio nel corso di tutto siffatto periodo.

495

Pertanto, in assenza di dati sufficientemente rappresentativi relativi alla qualità delle merci oggetto delle importazioni interessate durante il periodo di infrazione, non avendo il Regno Unito effettuato controlli doganali adeguati, la Commissione era legittimata a presumere che le merci di cui trattasi fossero di media qualità e coprissero pertanto tutti i segmenti di mercato in percentuali simili a quelle delle merci che si riteneva non fossero state fraudolentemente sottovalutate.

496

Secondo il Regno Unito, il modus operandi della frode da sottovalutazione in questione, come descritto, ad esempio, nella relazione dell’OLAF e pacifico fra le parti, indica che le merci di cui trattasi sono, per lo più, piuttosto di bassa qualità e destinate al segmento di mercato di fascia bassa, poiché esse sono state importate e commercializzate da organizzazioni criminali ed erano destinate principalmente ad un commercio illecito e clandestino nel territorio di Stati membri diversi, all’epoca, dal Regno Unito, in particolare nell’ambito del regime doganale 42, senza pagamento dell’IVA. A tal riguardo, occorre indicare che il valore di riferimento utilizzato per valutare le importazioni interessate ai fini del calcolo dell’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali è un valore stimato che deve corrispondere approssimativamente al valore in dogana che sarebbe stato accertato dalle autorità doganali del Regno Unito se avessero applicato misure di controllo doganale adeguate sulla base di un profilo di rischio che consente di valutare la natura e la qualità delle merci di cui trattasi.

497

Infatti, il Regno Unito deve essere posto, per il periodo di infrazione, in una situazione equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se le sue autorità doganali avessero determinato correttamente i valori in dogana dopo aver applicato i controlli doganali adeguati e, pertanto, avessero constatato correttamente le risorse proprie costituite dai dazi doganali prima di iscriverli nella contabilità delle risorse proprie dell’Unione (v., per analogia, sentenza del 17 marzo 2011, Commissione/Portogallo, C‑23/10, non pubblicata, EU:C:2011:160, punto 63 e la giurisprudenza ivi citata).

498

Orbene, come rilevato parimenti dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 306 delle sue conclusioni, in conformità ai metodi sequenziali previsti dal diritto doganale dell’Unione, il valore in dogana è determinato dalla natura e dalla qualità delle merci di cui trattasi, come un segmento di mercato in uno Stato membro diverso da quello di importazione, e non dalla loro destinazione. Ai fini della determinazione del valore in dogana, la destinazione di tali merci è dunque di per sé irrilevante. Inoltre, al momento dello sdoganamento di dette merci, la loro destinazione particolare riveste, in assenza di prova diretta, un carattere ampiamente speculativo.

499

Pertanto, nella specie, al fine di determinare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali, la Commissione, correttamente, non ha operato alcuna distinzione in funzione della destinazione particolare dei prodotti considerati all’interno dell’Unione.

500

Di conseguenza, per quanto riguarda le importazioni interessate, tale istituzione poteva ragionevolmente applicare i PMR in quanto valore di riferimento.

501

Un siffatto approccio è giustificato alla luce delle peculiarità del caso di specie ed è sufficientemente preciso ed affidabile in quanto, segnatamente, esso è fondato su criteri che non sono né arbitrari né di parte e si basa su un’analisi obiettiva e coerente di tutti i dati pertinenti disponibili, così da non dare luogo ad una sovrastima manifesta dell’importo di tali perdite.

502

Ciò è confermato dal fatto che, come rilevato anche dall’avvocato generale, in sostanza, al paragrafo 307 delle sue conclusioni, i PMR sono calcolati sulla base dei valori in dogana effettivamente dichiarati e ripresi dagli Stati membri nella banca dati Surveillance 2 per tutte le importazioni interessate durante il periodo di infrazione, cosicché tali prezzi riflettono la natura e la qualità di tutti i prodotti considerati.

503

La precisione e l’affidabilità dell’approccio della Commissione consistente nell’utilizzare i PMR per stimare il valore delle importazioni interessate sono parimenti corroborate dal fatto, sottolineato da tale istituzione nelle sue risposte ai quesiti posti dalla Corte e non contestato dal Regno Unito, che detti prezzi tengono integralmente conto dei prezzi delle quantità considerevoli di importazioni sottovalutate nel Regno Unito, in modo da diminuire il «giusto prezzo» di tali importazioni e, pertanto, sottostimare l’importo delle perdite di risorse proprie.

504

In altri termini, dal momento che il PMR è una media dei prezzi dichiarati di tutti i prodotti considerati importati in tutti gli Stati membri, inclusi quelli, particolarmente numerosi, fraudolentemente sottovalutati e importati nel Regno Unito, tale prezzo medio viene diminuito da siffatte sottovalutazioni fraudolente, il che conferma la precisione e l’affidabilità dell’approccio della Commissione.

505

In conclusione, il metodo OLAF-JRC poteva essere applicato, in linea di principio, dalla Commissione per stimare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali per il secondo periodo, che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso, poiché tale metodo era giustificato alla luce delle peculiarità del caso di specie e risultava sufficientemente preciso e affidabile, dal momento che, segnatamente, esso è fondato su criteri che non sono né arbitrari né di parte, e si basa su un’analisi obiettiva e coerente di tutti i dati pertinenti disponibili, così da non dare luogo ad una sovrastima manifesta dell’importo di dette perdite.

506

Pertanto, per siffatto periodo, il volume delle importazioni interessate poteva essere determinato sulla base del PMA, fermo restando, tuttavia, che tale volume deve essere limitato al volume cosiddetto «comune», vale a dire il volume delle importazioni che sono considerate sottovalutate in applicazione sia del metodo OLAF-JRC sia del metodo dell’HMRC. Al fine di determinare il valore di tale volume comune delle importazioni considerate sottovalutate, la Commissione poteva fondarsi sui PMR.

7) Sull’impatto degli avvisi C 18 Breach sulla stima degli importi delle perdite di risorse proprie che la Commissione reclama per il periodo che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso

507

Si pone poi la questione dell’impatto che gli ordini di riscossione di dazi menzionati negli avvisi C 18 Breach potrebbero avere sulla stima degli importi delle perdite di risorse proprie che la Commissione reclama ai sensi del terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso per il periodo che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso, in applicazione del metodo OLAF-JRC.

508

A tal riguardo, il Regno Unito sostiene, nel controricorso, che, dal momento che la Commissione era a conoscenza dal maggio del 2018 di otto avvisi C 18 Breach, emessi ed iscritti nella contabilità B nel corso di tale mese e vertenti su importazioni considerate sottovalutate ed effettuate a partire del 1o maggio 2015, per un importo di circa 25 milioni di GBP, e non ha contestato tali avvisi né nel parere motivato né nel ricorso, tale istituzione avrebbe dovuto dedurre tale importo dagli importi di perdite di risorse proprie tradizionali di cui al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso per gli anni dal 2015 al 2017.

509

Nella controreplica, il Regno Unito fa valere che, secondo i dati aggiornati, dovrebbero essere dedotte dalle perdite di risorse proprie tradizionali gli importi reclamati negli avvisi C 18 Breach già notificati a 34 operatori per un importo totale di EUR 44296285,04.

510

In allegato alle sue risposte ai quesiti posti dalla Corte, il Regno Unito ha nuovamente aggiornato tale importo totale facendo figurare in documenti allegati la totalità degli avvisi C 18 Breach già notificati nonché i dettagli dei relativi calcoli. Secondo il tabulato riassuntivo figurante in tale allegato, si tratta, secondo gli ultimi dati disponibili, di 64 avvisi per un importo totale di dazi doganali supplementari reclamati pari a GBP 50559159,89 (circa EUR 59391845).

511

Da tali calcoli e dalle spiegazioni fornite dal Regno Unito in risposta a taluni quesiti posti dalla Corte si evince parimenti che tali dazi sono stati calcolati sulla base di prezzi minimi considerati legittimi e fissati secondo il metodo cosiddetto della «punta», vale a dire un metodo di natura essenzialmente statistica, comparabile a quello utilizzato nell’ambito del metodo dell’HMRC per determinare le soglie di conformità al fine di calcolare il livello delle perdite di risorse proprie tradizionali, fermo restando che la differenza essenziale fra tali metodi risiede nel fatto che il periodo di riferimento utilizzato è diverso.

512

Secondo il Regno Unito, la riscossione delle obbligazioni reclamate negli avvisi C 18 Breach resta possibile e, contrariamente agli avvisi C 18 Snake, essi non sono stati annullati.

513

Mentre la Commissione non contesta che gli avvisi C 18 Breach potrebbero riguardare importazioni sottovalutate effettuate durante il periodo di infrazione, essa sostiene che, dal momento che il Regno Unito si è sempre rifiutato di comunicarle i dettagli dei calcoli relativi a tali avvisi, ossia, segnatamente, le dichiarazioni in dogana interessate, i volumi in questione e i valori sostitutivi utilizzati, essa non era in grado di distinguere le importazioni interessate da tali avvisi dal volume totale delle importazioni per le quali essa aveva calcolato l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali sulla base dei dati aggregati giornalieri della banca dati Surveillance 2.

514

A tal riguardo, occorre ricordare che la Corte ha statuito in più occasioni che dal tenore letterale dell’articolo 258, secondo comma, TFUE risulta che, qualora uno Stato membro non si sia conformato al parere motivato nel termine ivi fissato, la Commissione può investire la Corte di un ricorso per inadempimento ai sensi di tale articolo e che, pertanto, l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in base alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza di tale termine [sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 54 e la giurisprudenza ivi citata].

515

Nella specie, il termine impartito al Regno Unito per conformarsi al parere motivato è scaduto il 24 novembre 2018.

516

La Commissione non contesta di essere stata a conoscenza, prima della comunicazione del parere motivato al Regno Unito, dell’esistenza di otto avvisi C 18 Breach, emessi nel maggio del 2018 e aventi ad oggetto importazioni dei prodotti considerati provenienti dalla Cina effettuate durante il periodo di infrazione, dal momento che le obbligazioni reclamate in tali avvisi erano state comunicate ai loro debitori ed erano state iscritte nella contabilità B nel maggio del 2018. È parimenti pacifico che tali obbligazioni restavano iscritte in tale contabilità alla scadenza del termine impartito nel parere motivato e al momento della proposizione del ricorso.

517

Orbene, è giocoforza constatare che, nell’ambito del ricorso, in particolare nell’ambito del calcolo degli importi delle perdite di risorse proprie tradizionali reclamati ai sensi del terzo comma del primo capo di conclusioni dello stesso per gli anni dal 2015 al 2017, la Commissione ha omesso di tenere conto delle obbligazioni reclamate negli avvisi C 18 Breach a lei note prima della scadenza del termine impartito nel parere motivato.

518

Inoltre, ad oggi, il Regno Unito non ha preso una decisione che constati l’impossibilità di riscuotere tali obbligazioni e non ha neanche avviato il procedimento previsto all’articolo 13, paragrafi 3 e 4, del regolamento n. 609/2014 per essere dispensato dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti a dette obbligazioni per uno dei motivi di cui all’articolo 13, paragrafo 2, di tale regolamento. Le stesse obbligazioni non sono state annullate e restano iscritte nella contabilità B. Non risulta neanche dal fascicolo sottoposto alla Corte e non è stato neppure sostenuto che si tratterebbe di crediti prescritti, ai sensi dell’articolo 103 del codice doganale dell’Unione.

519

Pertanto, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, non si poteva ancora ritenere che tali crediti costituissero perdite di risorse proprie dell’Unione.

520

Ciò non viene rimesso in discussione dall’argomento della Commissione secondo il quale sembra poco probabile che le obbligazioni reclamate negli avvisi C 18 Breach di cui trattasi o anche una parte di esse possano effettivamente essere riscosse dal momento che i loro debitori sono, perlopiù, imprese cosiddette «fenice», le quali sono insolventi e sono state messe in liquidazione a seguito della notifica di tali avvisi, come confermato peraltro dal Regno Unito, il quale ha già invocato tale circostanza quale ragione che giustificherebbe che tale Stato venga dispensato dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione le risorse corrispondenti ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 609/2014.

521

Di conseguenza, nel ricorso, la Commissione era tenuta a dedurre dalle risorse proprie tradizionali richieste a titolo del terzo comma del primo capo di conclusioni, per il periodo che va dal 1o gennaio 2015 all’11 ottobre 2017 incluso, le obbligazioni reclamate negli avvisi C 18 Breach aventi ad oggetto importazioni sottovalutate di prodotti considerati provenienti dalla Cina effettuate durante tale periodo che erano state iscritte nella contabilità B prima della scadenza del termine fissato nel parere motivato e che erano pertanto note a tale istituzione.

522

Dal momento che, nel ricorso, la Commissione ha omesso di effettuare una simile deduzione, la domanda di messa a disposizione degli importi di risorse proprie tradizionali figurante al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso per gli anni dal 2015 al 2017 non può essere accolta.

523

Di conseguenza, occorre respingere il secondo motivo nella parte in cui verte sulla domanda con cui la Commissione chiede che la Corte dichiari che il Regno Unito ha omesso, in violazione del diritto dell’Unione, di mettere a disposizione di tale istituzione gli importi di risorse proprie tradizionali figuranti al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso.

524

In tale contesto, come rilevato parimenti dall’avvocato generale al paragrafo 312 delle sue conclusioni, nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE, non spetta alla Corte sostituirsi alla Commissione, calcolando essa stessa gli importi esatti di risorse proprie tradizionali dovute dal Regno Unito.

525

Infatti, nel caso di un siffatto procedimento, la Corte può accogliere o respingere, in tutto o in parte, le domande figuranti nelle conclusioni del ricorso, ma non modificare la portata di tali domande.

526

Ciò premesso, occorre precisare che, nell’ambito del nuovo calcolo dell’importo delle risorse proprie tradizionali dovute dal Regno Unito che la Commissione sarà chiamata ad effettuare nel rispetto della presente sentenza, tale istituzione, come risulta dal punto 505 della presente sentenza, potrà applicare, per tutto o per una parte del periodo di infrazione, il metodo OLAF-JRC al fine di stimare tale importo. Tuttavia, come è stato illustrato ai punti da 475 a 478 della presente sentenza, essa dovrà in particolare adottare come base di calcolo il «volume comune» delle importazioni da considerare sottovalutate indipendentemente dall’applicazione del metodo OLAF-JRC o del metodo dell’HMRC. Inoltre, alla luce di quanto esposto ai punti da 517 a 519 della presente sentenza, la Commissione dovrà tenere conto, anzitutto, delle obbligazioni reclamate dal Regno Unito negli avvisi C 18 Breach, note alla Commissione prima della scadenza del termine impartito nel parere motivato, ossia il 24 novembre 2018, e che non potevano ancora essere ritenute, a tale data, costituenti perdite di risorse proprie dell’Unione. Essa dovrà poi parimenti tenere conto di eventuali altre obbligazioni reclamate da tale Stato in ordini di riscossione a posteriori aventi ad oggetto le importazioni interessate ed effettuate nel corso del periodo di infrazione, le quali, nemmeno, possono essere considerate perdite di risorse proprie dell’Unione al momento del nuovo calcolo delle stesse che la Commissione sarà chiamata ad effettuare nel rispetto della presente sentenza. Infine, dovranno essere prese in considerazione in occasione di questo nuovo calcolo le obbligazioni relative alle importazioni interessate effettuate nel corso del periodo di infrazione in merito alle quali il Regno Unito ha preso la decisione che constata l’impossibilità di riscuoterle e in relazione alle quali tale Stato è dispensato dall’obbligo di mettere a disposizione della Commissione gli importi corrispondenti, in forza dell’articolo 13, paragrafo 2, del regolamento n. 609/2014.

527

Occorre ricordare in tale contesto che l’obbligo di leale cooperazione con la Commissione come prescritto all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, implica che gli Stati membri sono tenuti ad agevolare tale istituzione nello svolgimento del suo compito, che consiste, ai sensi dell’articolo 17 TUE, nel vigilare, in quanto custode dei Trattati, sull’applicazione del diritto dell’Unione sotto il controllo della Corte. In particolare, dal momento che, al fine di vigilare sulla corretta esecuzione, da parte degli Stati membri, dei loro obblighi in materia di risorse proprie dell’Unione, la Commissione dipende ampiamente dagli elementi forniti dagli Stati membri, questi ultimi sono tenuti a mettere a disposizione della Commissione i documenti giustificativi e gli altri documenti utili, a condizioni ragionevoli, in modo che questa possa verificare se e, all’occorrenza, in quale misura determinati importi si riferiscano al bilancio dell’Unione quali risorse proprie (v., in tal senso, sentenze del 7 marzo 2002, Commissione/Italia, C‑10/00, EU:C:2002:146, punti 8891, e del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 65).

528

Occorre inoltre aggiungere che, tenuto conto anche delle disposizioni dell’accordo di recesso richiamate ai punti da 119 a 121 della presente sentenza, il risultato del nuovo calcolo di cui al punto 526 della presente sentenza potrebbe dare luogo ad un procedimento per inadempimento al termine del quale la Corte potrebbe essere chiamata a stabilire se il Regno Unito sia venuto meno ai suoi obblighi risultanti dal diritto dell’Unione per non avere messo a disposizione del bilancio di quest’ultima un importo di risorse proprie e i relativi interessi di mora corrispondenti a tutto o ad una parte dell’importo scaturito da detto calcolo e il cui pagamento viene richiesto dalla Commissione.

8) Sul tasso di cambio che deve essere applicato per calcolare l’importo delle perdite di risorse proprie

529

Per quanto riguarda, infine, il tasso di cambio che deve essere applicato per calcolare l’importo delle perdite di risorse proprie, il Regno Unito sostiene che, poiché esso contabilizza le risorse proprie dell’Unione in GBP, l’unico importo che può essergli richiesto è un importo, espresso in GBP, che sarebbe stato pagato al momento in cui le somme erano dovute alla Commissione. Sarebbe unicamente pertinente il tasso di cambio GBP-EUR applicabile alla data alla quale hanno avuto luogo le transazioni che costituiscono il credito di tale istituzione e non quello applicabile alla data alla quale il Regno Unito sarebbe considerato responsabile dalla Corte delle perdite di risorse proprie. Ne conseguirebbe che, nel ricorso, la Commissione non poteva reclamare un importo di risorse proprie espresso in EUR, ma avrebbe dovuto esprimerlo in GBP.

530

La Commissione sostiene che, poiché il suo calcolo dell’importo delle perdite di risorse proprie è fondato sui dati comunicati dagli Stati membri, e successivamente registrati nella banca dati Surveillance 2, gli importi così comunicati sono automaticamente convertiti in EUR utilizzando l’ultimo tasso di cambio fissato dalla BCE prima del penultimo giorno del mese interessato, in conformità all’articolo 53, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione e all’articolo 48, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione.

531

La Commissione è pertanto d’accordo con il Regno Unito nel ritenere che il tasso di cambio rilevante non sia quello applicabile alla data della presente sentenza, bensì quello in vigore al momento in cui sono state effettuate le diverse importazioni interessate, le quali hanno dato luogo, durante il periodo di infrazione, a perdite di risorse proprie.

532

Si deve concludere che la Commissione non può essere criticata per avere applicato, in linea con l’articolo 53, paragrafo 1, del codice doganale dell’Unione e con l’articolo 48, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione, il tasso di cambio applicabile al momento in cui le importazioni interessate hanno avuto luogo, in modo da convertire in EUR gli importi di dazi espressi in GBP. Infatti, così facendo, essa non ha sovrastimato gli importi reclamati nel ricorso a titolo delle perdite di risorse proprie tradizionali rispetto agli importi che sarebbero stati reclamati se fossero stati espressi in GBP. Pertanto, nulla ostava a che la Commissione esprimesse nel ricorso tali importi in EUR piuttosto che in GBP. Inoltre, allorché procederà al nuovo calcolo dell’importo delle risorse proprie tradizionali dovute dal Regno Unito, la Commissione sarà legittimata ad applicare tale metodo di conversione.

9) Conclusione

533

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre accogliere il secondo motivo nella parte in cui riguarda la domanda figurante al primo comma del primo capo di conclusioni del ricorso e, pertanto, dichiarare che, non avendo messo a disposizione l’importo corretto di risorse proprie tradizionali relative alle importazioni interessate, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza degli articoli 2 e 8 delle decisioni 2007/436 e 2014/335, degli articoli 2, 6, 9, 10, 11 e 17 del regolamento n. 1150/2000 nonché degli articoli 2, 6, 9, 10, 12 e 13 del regolamento n. 609/2014. Per contro, tale motivo deve essere respinto nella parte in cui riguarda la domanda figurante al terzo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, con cui si chiede alla Corte di dichiarare che gli importi delle perdite di risorse proprie tradizionali corrispondenti da mettere a disposizione della Commissione, diminuiti delle spese di riscossione, sono i seguenti:

EUR 496025324,30 nel 2017 (fino all’11 ottobre 2017 incluso);

EUR 646809443,80 nel 2016;

EUR 535290329,16 nel 2015;

EUR 480098912,45 nel 2014;

EUR 325230822,55 nel 2013;

EUR 173404943,81 nel 2012;

EUR 22777312,79 nel 2011.

3.   Sull’inadempimento degli obblighi in forza della normativa sull’IVA e degli obblighi di mettere a disposizione le risorse proprie corrispondenti

a)   Argomenti delle parti

534

Con il terzo motivo, il quale riguarda talune delle censure figuranti al primo e al secondo comma del primo capo di conclusioni del ricorso, la Commissione addebita al Regno Unito di non averle messo a disposizione l’importo corretto delle risorse proprie provenienti dall’IVA relativa alle importazioni interessate effettuate durante il periodo di infrazione, in violazione degli articoli 2 e 8 delle decisioni 2007/436 e 2014/335, degli articoli 2, 6, 9, 10, 11 e 17 del regolamento n. 1150/2000, degli articoli 2, 6, 9, 10, 12 e 13 del regolamento n. 609/2014 nonché dell’articolo 2 del regolamento n. 1553/89, in conseguenza del suo inadempimento degli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 325 TFUE, dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere b) e d), degli articoli 83 e da 85 a 87 nonché dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva 2006/112.

535

Per quanto riguarda, in primo luogo, i prodotti considerati che sono stati importati nel Regno Unito durante il periodo di infrazione nell’ambito del regime doganale 40, la Commissione ricorda che, in conformità all’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), e agli articoli da 85 a 87 della direttiva 2006/112, nell’ambito di tale regime, l’IVA viene riscossa dallo Stato membro d’importazione, e che la base imponibile di tale imposta comprende il valore in dogana, nonché i dazi doganali e le spese accessorie.

536

La Commissione sostiene che, dal momento che le autorità doganali del Regno Unito non hanno assicurato, in violazione dell’articolo 325 TFUE e della normativa doganale dell’Unione, che il valore in dogana delle importazioni interessate effettuate durante il periodo di infrazione era stato determinato correttamente, alla luce, essenzialmente, dell’omessa attuazione di misure di controllo doganale efficaci prima dello sdoganamento di tali prodotti, neanche la base imponibile dell’IVA è stata determinata correttamente da tali autorità.

537

Pertanto, non sarebbe stata riscossa la totalità dell’IVA dovuta, con la conseguenza che, in violazione degli articoli 2 e 8 delle decisioni 2007/436 e 2014/335, degli articoli 2, 6, 9, 10, 11 e 17 del regolamento n. 1150/2000, degli articoli 2, 6, 9, 10, 12 e 13 del regolamento n. 609/2014 nonché dell’articolo 2 del regolamento n. 1553/89, neanche gli importi corrispondenti sono stati presi in considerazione nella determinazione della base delle risorse proprie provenienti dall’IVA, e che non sarebbe stata messa a disposizione della Commissione l’integralità di tali risorse.

538

Per quanto riguarda, in secondo luogo, il regime doganale 42, la Commissione ricorda che, secondo la relazione dell’OLAF, nel 2016, l’87% delle merci di cui trattasi sono state importate nel Regno Unito nell’ambito di tale regime doganale, e che quest’ultimo è caratterizzato dal fatto che i dazi doganali sono dovuti nello Stato membro d’importazione mentre l’IVA deve essere versata nello Stato membro di destinazione.

539

La Commissione fa valere che, dal momento che, nel caso di tali importazioni, la base imponibile dell’IVA è costituita, in conformità all’articolo 83 della direttiva 2006/112, dal prezzo di acquisto dei beni o di beni simili, o, in mancanza del prezzo di acquisto, dal prezzo di costo, determinati al momento della cessione, la determinazione inesatta del valore in dogana delle merci di cui trattasi a causa dei controlli doganali inadeguati effettuati dalle autorità del Regno Unito ha avuto come conseguenza che il calcolo dell’IVA da riscuotere su tali merci da parte dello Stato membro di destinazione è stato parimenti erroneo, cosicché non è stata riscossa la totalità dell’IVA, e l’Unione è stata privata di una parte delle risorse proprie provenienti da tale imposta.

540

Secondo la Commissione, il Regno Unito, non avendo preso le misure adeguate per assicurare il recupero dell’IVA dovuta nell’ambito del regime doganale 42, ha compromesso la capacità delle autorità degli altri Stati membri di riscuotere tale imposta e ha impedito a queste ultime di mettere a disposizione della Commissione le risorse proprie corrispondenti provenienti da detta imposta.

541

Il Regno Unito sostiene che, dal momento che le risorse proprie provenienti dall’IVA sono calcolate, in conformità al regolamento n. 1553/89, sulla base delle entrate nette di tale imposta, l’importo dell’IVA al momento dell’importazione o dell’acquisto non dà luogo ad una modifica delle entrate nette di detta imposta poiché quest’ultima è recuperabile dal contribuente importatore o acquirente al momento della rivendita dei prodotti considerati.

542

Per quanto riguarda le importazioni interessate effettuate nell’ambito del regime doganale 42 durante il periodo di infrazione, non potrebbero essersi verificate perdite di IVA dal momento che, nello Stato membro di destinazione finale dei beni, il rivenditore dichiara all’amministrazione fiscale di tale Stato membro l’integralità del corrispettivo effettivamente versato dal consumatore finale.

543

Come confermerebbe la relazione dell’OLAF, la frode da sottovalutazione in questione è dovuta non al fatto che l’importo dell’IVA pagato e dedotto nello Stato membro in cui le merci di cui trattasi sono introdotte nell’ambito del regime doganale 42 è erroneo, bensì al fatto che tale imposta non viene versata nello Stato membro di destinazione di tali merci in quanto esse sono scomparse e sono oggetto di un commercio illecito e clandestino.

544

Inoltre, per quanto riguarda le importazioni interessate effettuate nell’ambito del regime doganale 42 nel corso del periodo di infrazione, il Regno Unito fa valere che non esiste alcuna base giuridica che consenta di considerare responsabile uno Stato membro per le perdite di risorse proprie provenienti dall’IVA che verrebbero subite in un altro Stato membro.

545

Ancora, il Regno Unito sostiene che l’affermazione della sua presunta responsabilità per perdite di risorse proprie provenienti dall’IVA non si fonda su alcuna base fattuale. Non sarebbe infatti fondata sotto il profilo fattuale l’affermazione della Commissione secondo la quale il Regno Unito avrebbe impedito ad altri Stati membri di riscuotere tale imposta. Infatti, oltre alle misure generali adottate dal Regno Unito per combattere contro la frode da sottovalutazione in questione, tale Stato avrebbe parimenti adottato misure specifiche di lotta contro il ricorso abusivo al regime doganale 42, da solo e in collaborazione con altri Stati membri. A tal riguardo, il Regno Unito sostiene di avere adottato, nell’ambito delle operazioni Badminton, Octopus, Samurai e Breach, misure dirette a prevenire la perdita, in altri Stati membri, di risorse proprie provenienti dall’IVA.

b)   Valutazione della Corte

546

Occorre esaminare, in primo luogo, l’affermazione della Commissione secondo la quale, a causa dei controlli doganali inefficaci nel Regno Unito, in violazione dell’articolo 325 TFUE e della normativa doganale dell’Unione, le autorità di tale Stato non hanno determinato correttamente la base imponibile ai fini dell’IVA delle importazioni interessate durante il periodo di infrazione, cosicché tale imposta non è stata riscossa integralmente in tale Stato.

547

A tal riguardo, per quanto attiene, anzitutto, alle importazioni interessate effettuate nell’ambito del regime doganale 40, secondo cui dovevano essere prelevati nel Regno Unito sia i dazi doganali sia l’IVA, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), nonché degli articoli da 85 a 87 della direttiva 2006/112, quando l’IVA è dovuta all’importazione, la base imponibile ai fini di tale imposta è definita come il valore in dogana, al quale devono essere aggiunti i dazi doganali e le altre tasse nonché le spese accessorie.

548

Ne consegue che un valore in dogana dichiarato ad un livello inferiore al suo valore reale implica necessariamente, qualora non venga contestato dalle autorità doganali e determinato al suo livello corretto, che neanche la base imponibile ai fini dell’IVA sia determinata correttamente, cosicché non può essere riscossa la totalità di tale imposta, in violazione delle disposizioni menzionate al punto precedente.

549

Pertanto, il carattere inadeguato dei controlli doganali effettuati dalle autorità doganali del Regno Unito ha dato luogo ad una determinazione non corretta tanto del valore in dogana delle merci di cui trattasi quanto della base imponibile delle importazioni interessate ai fini dell’IVA, di cui tale Stato deve essere considerato responsabile.

550

Di conseguenza, nel caso delle importazioni interessate effettuate durante il periodo di infrazione nell’ambito del regime doganale 40, deve essere constatata la violazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), e degli articoli da 85 a 87 della direttiva 2006/112, addotta dalla Commissione.

551

Per quanto riguarda, poi, le importazioni interessate effettuate durante il periodo di infrazione nell’ambito del regime doganale 42, il quale implica che, secondo il meccanismo di esenzione previsto all’articolo 138, paragrafo 1, e paragrafo 2, lettera c), e all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva 2006/112, solo i dazi doganali erano versati nel Regno Unito e che l’IVA doveva essere pagata nello Stato membro di destinazione delle merci di cui trattasi, si deve ricordare che la stragrande maggioranza dei prodotti considerati sono stati importati nell’ambito di tale regime, ossia l’87% del volume totale nel 2016 secondo la relazione dell’OLAF, e che una delle caratteristiche essenziali della frode da sottovalutazione in questione consisteva nel fatto che tali prodotti erano destinati, di norma, ad un commercio illecito e clandestino, cosicché non era fatturata alcuna IVA nello Stato membro di destinazione al consumatore finale e, pertanto, tale imposta è rimasta, in generale, insoluta.

552

Nell’ambito del regime doganale 42, la base imponibile ai fini dell’IVA non è fondata sul valore in dogana delle merci di cui trattasi, come avviene nel caso del regime doganale 40, ma, in conformità all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), all’articolo 83, all’articolo 138, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera c), e all’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva 2006/112, sul prezzo di acquisto di tali merci, come fatturato nello Stato membro di destinazione finale delle stesse.

553

Nella specie, incombeva pertanto alle autorità degli Stati membri di destinazione delle merci di cui trattasi, e non a quelle del Regno Unito, quale Stato membro di importazione, assicurare che la base imponibile ai fini dell’IVA fosse determinata correttamente affinché fosse versata la totalità dell’IVA dovuta sugli acquisti intracomunitari in questione.

554

Dal momento che, nell’ambito del regime doganale 42, non sussiste un nesso fra il valore in dogana delle merci di cui trattasi e la base imponibile delle importazioni interessate ai fini dell’IVA, l’eventuale responsabilità del Regno Unito, Stato membro di importazione, per la mancata riscossione effettiva ed integrale dei dazi doganali risultanti dal carattere inadeguato dei controlli effettuati dalle sue autorità doganali per quanto riguarda l’esattezza del valore in dogana dichiarato di tali merci non può essere estesa, in linea di principio, alla mancata riscossione effettiva ed integrale dell’IVA nel territorio di un altro Stato membro, ossia quello di destinazione.

555

La Commissione non ha inoltre addotto in maniera specifica né, pertanto, dimostrato, che le autorità doganali del Regno Unito non avevano controllato in maniera adeguata il rispetto degli obblighi di informazione ai quali l’applicazione dell’esenzione prevista all’articolo 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 è subordinata, ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 2, di quest’ultima.

556

Nell’ambito del regime doganale 42, un’eventuale insufficienza dei controlli intesi ad assicurare la corretta determinazione della base imponibile delle importazioni interessate ai fini dell’IVA, se fosse accertata, dovrebbe di conseguenza essere addebitata in prima linea alle autorità doganali dello Stato membro di destinazione finale di dette merci.

557

Deve essere parimenti respinto l’argomento della Commissione secondo la quale il Regno Unito, non avendo adottato le misure adeguate per assicurare il recupero dell’IVA dovuta nell’ambito del regime doganale 42 secondo il meccanismo di esenzione previsto all’articolo 143, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, ha impedito alle autorità degli altri Stati membri di determinare correttamente la base imponibile delle importazioni interessate ai fini dell’IVA e, pertanto, di percepire il pagamento della totalità di tale imposta.

558

Infatti, anche ammesso che, come sostenuto dalla Commissione, le diverse misure adottate dal Regno Unito nel corso delle operazioni Badminton, Octopus, Samurai e Breach per prevenire le perdite, in altri Stati membri, di risorse proprie provenienti dall’IVA, abbiano in definitiva avuto soltanto effetti limitati sulla prevenzione di tali perdite, non ne consegue, e neanche la Commissione in ogni caso lo dimostra, che tale Stato avrebbe impedito alle autorità degli Stati membri di destinazione di calcolare correttamente l’IVA dovuta e di riscuotere la totalità di tale imposta.

559

Se, come risulta segnatamente dalla relazione dell’OLAF, le organizzazioni criminali interessate si sono dedicate ad un utilizzo fraudolento del regime doganale 42 per evadere, su vasta scala, negli Stati membri di destinazione delle merci di cui trattasi, il pagamento dell’IVA, e ciò ha indubbiamente dato luogo a conseguenti perdite finanziarie sia per gli Stati membri sia per l’Unione stessa, il Regno Unito non può essere considerato l’unico responsabile per l’insufficienza dei controlli che hanno reso possibile una siffatta frode e le perdite di IVA che ne sono risultate.

560

Come rilevato parimenti dall’avvocato generale al paragrafo 351 delle sue conclusioni, una siffatta frode e le perdite finanziarie che ne risultano devono essere valutate nel contesto della problematica ben nota delle carenze dei controlli di tale regime doganale, come applicati dagli Stati membri, carenze che i frodatori hanno pienamente sfruttato e che la Corte dei conti ha denunciato a più riprese, segnatamente nella sua relazione speciale n. 24/2015.

561

Di conseguenza, per quanto riguarda le importazioni interessate effettuate nel corso del periodo di infrazione nell’ambito del regime doganale 42, l’affermazione della Commissione secondo la quale il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), dell’articolo 83, dell’articolo 138, paragrafo 1, e paragrafo 2, lettera c), nonché dell’articolo 143, paragrafo 1, lettera d), e paragrafo 2, della direttiva 2006/112, deve essere respinta.

562

In secondo luogo, occorre esaminare l’affermazione della Commissione secondo la quale, dal momento che, a causa delle carenze dei controlli doganali effettuati nel Regno Unito sulle importazioni interessate durante il periodo di infrazione, le autorità doganali di tale Stato non hanno determinato correttamente, per le merci di cui trattasi, la base imponibile di tali importazioni ai fini dell’IVA e non hanno pertanto riscosso la totalità dell’imposta dovuta, detto Stato non ha messo a disposizione di tale istituzione l’importo corretto delle risorse proprie derivanti dall’IVA in violazione degli articoli 2 e 8 delle decisioni 2007/436 e 2014/335, degli articoli 2, 6, 9, 10, 11 e 17 del regolamento n. 1150/2000, degli articoli 2, 6, 9, 10, 12 e 13 del regolamento n. 609/2014 nonché dell’articolo 2 del regolamento n. 1553/89.

563

Dal momento che tale censura è fondata sulla premessa secondo la quale il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti, in forza del diritto dell’Unione in materia di IVA, di determinare correttamente la base imponibile di dette importazioni ai fini di siffatta imposta e di riscuotere la totalità dell’IVA dovuta, essa deve essere esaminata soltanto per le importazioni interessate effettuate nell’ambito del regime doganale 40, dal momento che da quanto suesposto risulta che tale premessa ricorre soltanto per tali importazioni e non per quelle effettuate nell’ambito del regime doganale 42.

564

A tal riguardo, occorre ricordare, anzitutto, talune caratteristiche del sistema delle risorse proprie dell’Unione in relazione specificamente alle risorse provenienti dall’IVA.

565

In conformità all’articolo 2, paragrafo 1, delle decisioni 2007/436 e 2014/335, applicabili nella specie, le risorse proprie dell’Unione comprendono, oltre alle risorse proprie tradizionali, le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati, determinati secondo le regole dell’Unione.

566

Dall’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento n. 1553/89 risulta inoltre che la base delle risorse proprie provenienti dall’IVA è determinata prendendo in considerazione le operazioni imponibili di cui all’articolo 2 della direttiva 2006/112.

567

Fatti salvi diversi adattamenti previsti dalle disposizioni di tale regolamento, il suo articolo 3 prevede che la base delle risorse provenienti dall’IVA è calcolata dividendo il totale delle entrate nette di IVA incassate dallo Stato membro nel corso dell’anno per l’aliquota secondo la quale l’IVA è riscossa durante il medesimo anno. Qualora in uno stesso Stato membro siano applicate varie aliquote di IVA, ai fini di tale divisione viene utilizzata un’aliquota media ponderata dell’IVA (sentenza del 15 novembre 2011, Commissione/Germania, C‑539/09, EU:C:2011:733, punto 67).

568

Il sistema di risorse proprie dell’Unione è finalizzato, quanto alle risorse IVA, ad istituire un obbligo a carico degli Stati membri di mettere a disposizione della Commissione, come risorse proprie, una parte delle somme che essi riscuotono a titolo di tale imposta (v., in tal senso, sentenza del 15 novembre 2011, Commissione/Germania, C‑539/09, EU:C:2011:733, punto 71).

569

Pertanto, sussiste un nesso diretto tra, da un lato, la riscossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e, dall’altro, la messa a disposizione della Commissione delle corrispondenti risorse IVA, poiché qualsiasi lacuna nella riscossione di tale gettito determina potenzialmente una riduzione di tali risorse (sentenza del 15 novembre 2011, Commissione/Germania, C‑539/09, EU:C:2011:733, punto 72).

570

La Corte ha parimenti dichiarato che è compito degli Stati membri garantire una riscossione effettiva ed integrale delle risorse proprie dell’Unione, fra cui quelle provenienti dall’IVA, e che, a questo proposito, tali Stati membri sono tenuti a procedere al recupero delle somme corrispondenti alle risorse proprie che sono state sottratte al bilancio dell’Unione in conseguenza di frodi (v., in tal senso, sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B., C‑42/17, EU:C:2017:936, punto 32).

571

Nella specie, per quanto riguarda le importazioni interessate effettuate nell’ambito del regime doganale 40 durante il periodo di infrazione, è constatato al punto 550 della presente sentenza che, poiché le autorità doganali del Regno Unito hanno omesso di effettuare i controlli necessari per determinare il corretto valore in dogana dei prodotti considerati e, pertanto, non hanno assicurato un prelievo effettivo ed integrale dei dazi doganali dovuti, neanche la totalità dell’IVA relativa a tali importazioni è stata effettivamente riscossa, dal momento che la base imponibile di dette importazioni a titolo dell’IVA è stata determinata sulla base di valori in dogana inesatti, in quanto inferiori al valore reale dei prodotti considerati.

572

Tuttavia, come rilevato parimenti dall’avvocato generale al paragrafo 344 delle sue conclusioni, è giocoforza constatare che la Commissione non dimostra sufficientemente che una siffatta omissione delle autorità doganali del Regno Unito di assicurare la riscossione effettiva ed integrale dell’IVA in occasione delle stesse importazioni abbia effettivamente generato perdite di risorse proprie provenienti da tale imposta.

573

Infatti, come è stato rilevato al punto 567 della presente sentenza, l’articolo 3 del regolamento n. 1553/89 prevede che la base delle risorse provenienti dall’IVA sia ottenuta, in sostanza, dividendo il totale delle entrate nette di tale imposta incassate dallo Stato membro nel corso dell’anno per l’aliquota secondo la quale detta imposta è riscossa durante il medesimo anno.

574

Orbene, anche se, nel caso delle importazioni interessate effettuate nell’ambito del regime doganale 40, gli importatori non hanno versato la totalità dell’IVA dal momento che la base imponibile di tali importazioni ai fini dell’IVA era troppo bassa, ciò non ha avuto necessariamente come conseguenza un impatto sulle entrate nette dell’IVA.

575

Infatti, l’importatore come gli altri operatori che intervengono a valle nella vendita dei prodotti considerati, prima che questi ultimi vengano fatturati al consumatore finale, possono recuperare l’IVA che hanno versato. La questione se le entrate nette dell’IVA siano interessate dalla sottovalutazione che ha avuto luogo in occasione di dette importazioni dipende pertanto dal prezzo fatturato al consumatore finale.

576

Pertanto, la mera constatazione della sottovalutazione del valore in dogana dei prodotti considerati non comporta necessariamente una riduzione della base a partire dalla quale le risorse proprie provenienti dall’IVA vengono calcolate.

577

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre accogliere il terzo motivo, nella parte in cui verte su una violazione dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), nonché degli articoli da 85 a 87 della direttiva 2006/112, e respingerlo quanto al resto.

4.   Sull’inadempimento dell’obbligo di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE

a)   Argomenti delle parti

578

Con la censura sollevata nel secondo capo di conclusioni del ricorso, la Commissione fa valere che, non comunicandole tutte le informazioni necessarie al fine di stabilire l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali e non fornendo, come richiesto, il contenuto del parere dell’ufficio legale dell’HMRC o i motivi delle decisioni di annullamento delle obbligazioni doganali accertate, il Regno Unito è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE e dell’articolo 2, paragrafo 2, e paragrafo 3, lettera d), del regolamento n. 608/2014.

579

A tal riguardo, in primo luogo, la Commissione addebita al Regno Unito di essersi rifiutato di fornire una copia del parere dell’ufficio legale dell’HMRC o qualsiasi altra indicazione concernente il contenuto della valutazione giuridica che ha portato all’annullamento delle obbligazioni doganali accertate in occasione dell’ODC Snake, con la motivazione che una siffatta valutazione giuridica era riservata e rientrava nella tutela delle comunicazioni fra un avvocato e il suo cliente.

580

In secondo luogo, la Commissione sostiene che le autorità doganali del Regno Unito non hanno fornito le informazioni richieste dai suoi servizi per determinare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali dovute.

581

Il Regno Unito replica che, come avrebbe già indicato nel corso del procedimento precontenzioso, l’annullamento delle obbligazioni accertate negli avvisi C 18 Snake ha avuto luogo non a seguito di un qualsivoglia parere giuridico, che non esisterebbe, bensì sulla base di decisioni adottate dall’ufficio indipendente dell’HMRC competente in materia di esami e di ricorsi in materia doganale. Tale ufficio avrebbe annullato siffatti avvisi per i motivi indicati in tali decisioni, le quali sarebbero state comunicate alla Commissione.

582

Inoltre, a parte tale affermazione relativa alla mancata comunicazione alla Commissione di tale parere giuridico inesistente, tale istituzione non avrebbe potuto muovere, in generale, nessun altro addebito al Regno Unito per quanto riguarda il suo obbligo di leale cooperazione, adducendo che tale Stato non avrebbe comunicato a detta istituzione tutte le informazioni necessarie per determinare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali.

b)   Valutazione della Corte

583

In via preliminare, occorre osservare che sebbene, nel secondo capo di conclusioni del ricorso, la Commissione faccia valere, oltre ad una violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, una violazione dell’articolo 2, paragrafo 2, e paragrafo 3, lettera d), del regolamento n. 608/2014, tale istituzione non ha illustrato nella motivazione della stessa in che modo il Regno Unito avrebbe violato quest’ultima disposizione, cosicché la censura figurante in tale capo di conclusioni deve essere esaminata solo alla luce dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

584

Secondo una giurisprudenza costante della Corte, dal principio di leale cooperazione, sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, risulta che gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure atte a garantire la portata e l’efficacia del diritto dell’Unione (sentenza del 31 ottobre 2019, Commissione/Regno Unito, C‑391/17, EU:C:2019:919, punto 93 e la giurisprudenza ivi citata).

585

Inoltre, la Corte ha dichiarato che, conformemente al ruolo di custode dei Trattati assegnato alla Commissione in forza dell’articolo 17, paragrafo 1, TUE, spetta a tale istituzione vigilare sulla corretta esecuzione, da parte degli Stati membri, dei loro obblighi in materia di risorse proprie dell’Unione (sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 65) e che, a norma dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, gli Stati membri sono tenuti ad agevolare la Commissione nello svolgimento di tale compito di vigilanza (v., in tal senso, sentenza del 7 marzo 2002, Commissione/Italia, C‑10/00, EU:C:2002:146, punto 88).

586

Inoltre, qualora, come nel caso della sorveglianza da parte della Commissione della corretta esecuzione, da parte degli Stati membri, dei loro obblighi in materia di risorse proprie dell’Unione, tale istituzione dipenda ampiamente dagli elementi forniti dagli Stati membri, essi sono tenuti a mettere a disposizione di detta istituzione i documenti giustificativi e gli altri documenti utili, a condizioni ragionevoli, in modo che quest’ultima possa verificare se le risorse proprie dell’Unione siano state messe correttamente a disposizione nel rispetto di tali obblighi (v., in tal senso, sentenza del 7 marzo 2002, Commissione/Italia, C‑10/00, EU:C:2002:146, punti 8891).

587

Nella specie, la Commissione addebita al Regno Unito di essere venuto meno all’obbligo di leale cooperazione come prescritto all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dal momento che tale Stato non le avrebbe fornito tempestivamente, da un lato, tutti gli elementi di calcolo relativi alle obbligazioni reclamate negli avvisi C 18 Snake dei quali essa avrebbe chiesto a più riprese la comunicazione e che sarebbero necessari per calcolare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali e, dall’altro, il parere dell’ufficio legale dell’HMRC o i motivi delle decisioni di annullamento degli avvisi C 18 Snake.

588

A tal riguardo, è pacifico che, durante tutto il corso del procedimento precontenzioso, il Regno Unito si è rifiutato di fornire un documento, qualificato, a più riprese, dalle proprie autorità come «parere giuridico», adducendo che tale documento era protetto dal segreto professionale.

589

La Commissione spiega di avere chiesto la consegna di tale documento dal momento che essa aveva potuto comprendere che esso conteneva un’analisi giuridica delle ragioni che avevano indotto il Regno Unito ad annullare gli avvisi C 18 Snake.

590

Tuttavia, successivamente e, in particolare, nel corso della missione ispettiva 18‑11‑1 effettuata nell’aprile del 2018 così come nella sua risposta del 22 giugno 2018 alla lettera di diffida, il Regno Unito ha affermato che un siffatto «parere giuridico» non esisteva e che le ragioni che l’avevano indotto ad annullare gli avvisi C 18 Snake erano quelle menzionate nelle decisioni che hanno annullato questi ultimi, le quali sarebbero state adottate da un’istanza indipendente, ossia l’ufficio competente per gli esami e i ricorsi in materia doganale dell’HMRC, nell’ambito dei procedimenti relativi ai ricorsi diretti avverso tali avvisi. Secondo il Regno Unito, da tali decisioni emerge che detti avvisi sono stati annullati essenzialmente in quanto, in relazione alle importazioni interessate, nessun metodo di rivalutazione soddisfacente poteva essere suffragato.

591

La Commissione sostiene che le copie di 6 delle 24 decisioni di annullamento degli avvisi C 18 Snake, ottenute in occasione dell’ispezione 18‑11‑1, non le hanno consentito di comprendere le ragioni dell’annullamento di tali avvisi.

592

Nel controricorso, il Regno Unito ha aggiunto che esisteva un parere dell’ufficio legale dell’HMRC, ma che quest’ultimo verteva non sulle ragioni che l’avevano indotto ad annullare gli avvisi C 18 Snake, bensì unicamente sulle procedure di liquidazione avviate nei confronti di taluni operatori. Tale parere sarebbe tuttavia protetto dal segreto professionale.

593

Occorre parimenti rilevare che, in occasione del procedimento precontenzioso, le autorità doganali del Regno Unito hanno indicato che la validità degli avvisi C 18 Snake poteva essere messa in discussione dal momento che, in tali avvisi, il PMR era stato utilizzato per determinare il valore in dogana dei prodotti considerati e detti avvisi, nella forma in cui erano stati notificati alle imprese interessate, non consentivano di istituire un nesso diretto tra i dazi richiesti e le dichiarazioni in dogana individuali interessate.

594

Dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta parimenti che la Commissione ha chiesto a più riprese al Regno Unito di comunicarle i dettagli dei calcoli relativi alle obbligazioni reclamate negli avvisi C 18 Snake dal momento che tali dati erano necessari per verificare se tali obbligazioni riflettessero debitamente gli importi delle perdite di risorse proprie relative alle importazioni interessate da tali avvisi.

595

La Commissione spiega che, non disponendo di tali dati, essa aveva presunto, senza essere stata corretta sul punto dal Regno Unito nel corso del procedimento precontenzioso, che i dazi richiesti negli avvisi C 18 Snake erano stati calcolati sulla base del PMA ed erano pertanto stati determinati ad un livello manifestamente troppo basso. Ciò l’avrebbe indotta a rivendicare nel ricorso, per quanto riguarda il periodo che va dal novembre del 2011 al novembre del 2014, importi corrispondenti a perdite di risorse proprie tradizionali calcolati non a partire da tali avvisi, ma secondo il metodo OLAF-JRC, prendendo dunque in considerazione tutte le importazioni effettuate a prezzi inferiori al PMA e imputando ad esse un valore uguale al PMR.

596

Essa illustra che i dettagli dei calcoli delle obbligazioni reclamate negli avvisi C 18 Snake sono stati alla fine forniti dal Regno Unito in allegato alla controreplica, il che ha consentito di constatare che le importazioni interessate erano state rivalutate sulla base non del PMA, bensì del PMR, e di istituire un nesso diretto tra i dazi richiesti e le dichiarazioni in dogana individuali interessate.

597

Interpellato al riguardo dalla Corte, il Regno Unito ha spiegato che le sue autorità non si erano rifiutate di comunicare i dettagli di tali calcoli alla Commissione a seguito della visita ispettiva del novembre del 2017, bensì non avevano potuto accedervi in tale occasione. Tali calcoli sarebbero stati «riscoperti» poco prima del deposito del controricorso, nel giugno del 2019. Sarebbero stati successivamente necessari molto tempo e molte ricerche per analizzare e trattare le quantità estremamente elevate di informazioni così ottenute nel corso dell’esercizio di raccolta, cosicché il Regno Unito non avrebbe potuto fornirle prima del deposito della controreplica.

598

Alla luce dell’insieme di tali elementi di fatto e in considerazione dei principi sanciti dalla giurisprudenza richiamata ai punti da 584 a 586 della presente sentenza, si deve constatare che il Regno Unito è venuto meno all’obbligo di leale cooperazione come prescritto all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, dal momento che tale Stato ha omesso di fornire in tempo utile, da un lato, tutti gli elementi di calcolo relativi alle obbligazioni reclamate negli avvisi C 18 Snake che la Commissione gli ha chiesto a più riprese di comunicare e che erano necessari per calcolare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali e, dall’altro, i motivi delle decisioni di annullamento degli avvisi C 18 Snake che la Commissione gli aveva parimenti chiesto a più riprese di comunicare.

599

Per contro, non è necessario pronunciarsi sulla questione se il Regno Unito, rifiutandosi di fornire il parere giuridico dell’HMRC, abbia violato l’obbligo di leale cooperazione. Infatti, è sufficiente constatare che, tramite l’impiego della congiunzione coordinativa «o» nella seconda parte del secondo capo di conclusioni del ricorso, il Regno Unito, astenendosi dal fornire in tempo utile i motivi delle decisioni di annullamento degli avvisi C 18 Snake, è in ogni caso venuto meno a tale obbligo.

600

Pertanto, fatto salvo quanto rilevato al punto 599 della presente sentenza, la censura sollevata nel secondo capo di conclusioni del ricorso, nella parte in cui riguarda una violazione dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, deve essere accolta.

601

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre constatare quanto segue:

il Regno Unito, non avendo preso in considerazione gli importi corretti dei dazi doganali e non avendo messo a disposizione l’importo corretto delle risorse proprie tradizionali relative alle importazioni interessate, è venuto meno agli obblighi a esso incombenti in forza degli articoli 2 e 8 della decisione 2014/335, degli articoli 2 e 8 della decisione 2007/436, degli articoli 2, 6, 9, 10, 12 e 13 del regolamento n. 609/2014, degli articoli 2, 6, 9, 10, 11 e 17 del regolamento n. 1150/2000, nonché dell’articolo 105, paragrafo 3, del codice doganale dell’Unione e dell’articolo 220, paragrafo 1, del codice doganale comunitario, in conseguenza della violazione degli obblighi ad esso incombenti in virtù dell’articolo 325 TFUE, dell’articolo 46 del codice doganale dell’Unione, dell’articolo 13 del codice doganale comunitario, dell’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento di applicazione, dell’articolo 244 del regolamento di esecuzione, nonché dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), e degli articoli da 85 a 87 della direttiva 2006/112;

inoltre il Regno Unito, non comunicando tutte le informazioni necessarie alla Commissione per determinare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali e non fornendo, come richiesto, i motivi delle decisioni di annullamento delle obbligazioni doganali accertate, è venuto meno agli obblighi a esso incombenti in forza dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

602

Il ricorso è respinto quanto al resto.

Sulle spese

603

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 3, di tale regolamento, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, ciascuna parte sopporta le proprie spese, a meno che la Corte ritenga giustificato, alla luce delle circostanze del caso di specie, che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese della controparte.

604

Nel caso di specie, la Commissione ha chiesto la condanna del Regno Unito alle spese. Dato che quest’ultimo è rimasto sostanzialmente soccombente nelle sue conclusioni, occorre, alla luce delle circostanze del caso di specie, condannare il Regno Unito a sopportare, oltre alle proprie spese, i quattro quinti delle spese della Commissione. Quest’ultima sopporterà un quinto delle proprie spese.

605

Conformemente all’articolo 140, paragrafo 1, di detto regolamento di procedura, ai sensi del quale gli Stati membri intervenuti nella causa sopporteranno le proprie spese, il Regno del Belgio, la Repubblica di Estonia, la Repubblica ellenica, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica portoghese e la Repubblica slovacca sopporteranno le proprie spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, non avendo preso in considerazione gli importi corretti dei dazi doganali e non avendo messo a disposizione l’importo corretto delle risorse proprie tradizionali relative a talune importazioni di prodotti tessili e calzature provenienti dalla Cina, è venuto meno agli obblighi a esso incombenti in forza degli articoli 2 e 8 della decisione 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea, degli articoli 2 e 8 della decisione 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee, degli articoli 2, 6, 9, 10, 12 e 13 del regolamento (UE, Euratom) n. 609/2014 del Consiglio, del 26 maggio 2014, concernente le modalità e la procedura di messa a disposizione delle risorse proprie tradizionali e delle risorse proprie basate sull’IVA e sull’RNL, nonché le misure per far fronte al fabbisogno di tesoreria, come modificato dal regolamento (UE, Euratom) 2016/804 del Consiglio, del 17 maggio 2016, degli articoli 2, 6, 9, 10, 11 e 17 del regolamento (CE, Euratom) n. 1150/2000 del Consiglio, del 22 maggio 2000, recante applicazione della decisione 94/728/CE, Euratom, relativa al sistema delle risorse proprie della Comunità, nonché dell’articolo 105, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione, e dell’articolo 220, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) n. 648/2005 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 aprile 2005, in conseguenza della violazione degli obblighi ad esso incombenti in virtù dell’articolo 325 TFUE, dell’articolo 46 del regolamento n. 952/2013, dell’articolo 13 del regolamento n. 2913/92, come modificato dal regolamento n. 648/2005, dell’articolo 248, paragrafo 1, del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento n. 2913/92, come modificato dal regolamento (CE) n. 3254/1994 della Commissione, del 19 dicembre 1994, dell’articolo 244 del regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447 della Commissione, del 24 novembre 2015, recante modalità di applicazione di talune disposizioni del regolamento n. 952/2013, nonché dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera d), e degli articoli da 85 a 87 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2009/69/CE del Consiglio, del 25 giugno 2009;

inoltre il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, non comunicando tutte le informazioni necessarie alla Commissione europea per determinare l’importo delle perdite di risorse proprie tradizionali e non fornendo, come richiesto, i motivi delle decisioni di annullamento delle obbligazioni doganali accertate, è venuto meno agli obblighi a esso incombenti in forza dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE.

 

2)

Il ricorso è respinto quanto al resto.

 

3)

Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è condannato a sopportare i quattro quinti delle spese sostenute dalla Commissione europea e sopporterà le proprie spese.

 

4)

La Commissione europea sopporterà un quinto delle proprie spese.

 

5)

Il Regno del Belgio, la Repubblica di Estonia, la Repubblica ellenica, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica portoghese e la Repubblica slovacca sopporteranno le proprie spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.