SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
11 febbraio 2021 ( *1 )
«Rinvio pregiudiziale – Articolo 45 TFUE – Libera circolazione dei lavoratori – Articolo 49 TFUE – Libertà di stabilimento – Articolo 56 TFUE – Libera prestazione dei servizi – Esercizio di attività portuali – Lavoratori portuali – Accesso alla professione e assunzione – Modalità di riconoscimento dei lavoratori portuali – Lavoratori portuali che non fanno parte del contingente di lavoratori previsto dalla normativa nazionale – Limitazione della durata del contratto di lavoro – Mobilità dei lavoratori portuali tra diverse zone portuali – Lavoratori che svolgono un lavoro logistico – Certificato di sicurezza – Motivi imperativi di interesse generale – Sicurezza nelle zone portuali – Tutela dei lavoratori – Proporzionalità»
Nelle cause riunite C‑407/19 e C‑471/19,
aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Raad van State (Consiglio di Stato, Belgio) (C‑407/19) e dal Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale, Belgio) (C‑471/19), con decisioni del 16 maggio e del 6 giugno 2019, pervenute in cancelleria, rispettivamente, il 24 maggio e il 20 giugno 2019, nei procedimenti
Katoen Natie Bulk Terminals NV,
General Services Antwerp NV
contro
Belgische Staat (C‑407/19),
e
Middlegate Europe NV
contro
Ministerraad (C‑471/19),
con l’intervento di:
Katoen Natie Bulk Terminals NV,
General Services Antwerp NV,
Koninklijk Verbond der Beheerders van Goederenstromen (KVBG) CVBA,
MVH Logistics en Stuwadoring BV,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta da M. Vilaras (relatore), presidente di sezione, N. Piçarra, D. Šváby, S. Rodin e K. Jürimäe, giudici,
avvocato generale: M. Campos Sánchez-Bordona
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– |
per la General Services Antwerp NV, la Katoen Natie Bulk Terminals NV e la Middlegate Europe NV, da M. Lebbe ed E. Simons, advocaten; |
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per il governo belga, da L. Van den Broeck, M. Jacobs e C. Pochet, in qualità di agenti, assistite da P. Wytinck, D. D’Hooghe e T. Ruys, advocaten; |
– |
per la Commissione europea, da A. Nijenhuis, S.L. Kalėda e B.‑R. Killmann, in qualità di agenti, |
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 settembre 2020,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 |
Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione, nella causa C‑407/19, degli articoli 34, 35, 45, 49, 56, 101, 102 e 106, paragrafo 1, TFUE e, nella causa C‑471/19, degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE, degli articoli 15 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), nonché del principio di uguaglianza. |
2 |
Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie tra – nella causa C‑407/19 – da un lato, la Katoen Natie Bulk Terminals NV e la General Services Antwerp NV e, dall’altro, il Belgische Staat (Stato belga) e – nella causa C‑471/19 – la Middlegate Europe NV e il Ministerraad (Consiglio dei Ministri, Belgio) in merito alla validità di talune disposizioni del diritto belga relative all’organizzazione del lavoro portuale e, in particolare, alla loro conformità al diritto dell’Unione. |
Diritto belga
Legge sui contratti di lavoro
3 |
Nel diritto belga, il regime ordinario applicabile ai contratti di lavoro, in particolare degli operai, è stabilito dal wet betreffende de arbeidsovereenkomsten (legge sui contratti di lavoro), del 3 luglio 1978 (Belgisch Staatsblad, 22 agosto 1978, pag. 9277). |
Legge sul lavoro portuale
4 |
L’articolo 1 del wet betreffende de havenarbeid (legge sul lavoro portuale), dell’8 giugno 1972 (Belgisch Staatsblad, 10 agosto 1972, pag. 8826), nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: la «legge sul lavoro portuale»), prevede quanto segue: «Non è consentita l’effettuazione di lavori portuali nelle zone portuali da parte di lavoratori diversi dai lavoratori portuali riconosciuti». |
5 |
L’articolo 2 di tale legge così dispone: «La delimitazione delle zone portuali e del lavoro portuale quale stabilita dal Re (...) disciplina l’applicazione della presente legge». |
6 |
L’articolo 3 di detta legge è formulato come segue: «Il Re determina le condizioni e le procedure per il riconoscimento dei lavoratori portuali, previo parere della commissione paritetica competente per la zona portuale interessata. (...)». |
7 |
Ai sensi dell’articolo 3 bis della medesima legge: «Previo parere della commissione paritetica competente per la zona portuale interessata, il Re può imporre ai datori di lavoro che si avvalgono di lavoratori portuali in tale zona di aderire a un’organizzazione di datori di lavoro riconosciuta dal Re, la quale, in qualità di mandatario, adempia tutti gli obblighi che derivano per i datori di lavoro, ai sensi della normativa sul lavoro individuale e collettivo nonché della legislazione sociale, dall’impiego di lavoratori portuali. Ai fini del riconoscimento, l’organizzazione di datori di lavoro di cui al comma precedente deve essere costituita dalla maggioranza dei datori di lavoro interessati». |
Regio decreto del 1973
8 |
L’articolo 1 del koninklijk besluit tot oprichting en tot vaststelling van de benaming en van de bevoegdheid van het Paritair Comité van het havenbedrijf (regio decreto recante istituzione e fissazione della denominazione e delle competenze della Commissione paritetica dei porti), del 12 gennaio 1973 (Belgisch Staatsblad, 23 gennaio 1973, pag. 877), nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: il «regio decreto del 1973»), così dispone: «È istituita una commissione paritetica, denominata “Commissione paritetica dei porti” (competente per i lavoratori in generale e i loro datori di lavoro), per: tutti i lavoratori e i loro datori di lavoro che, nelle zone portuali: A. svolgono come attività principale o secondaria lavoro portuale, ossia qualsiasi manipolazione di merci trasportate da imbarcazioni marittime o imbarcazioni di navigazione fluviale, da vagoni ferroviari o da autocarri, nonché i servizi accessori attinenti a dette merci, indipendentemente dal fatto che tali attività vengano svolte sulle banchine, sulle vie di navigazione, sui moli o negli stabilimenti destinati all’importazione, all’esportazione e al transito delle merci, nonché tutte le manipolazioni di merci trasportate da imbarcazioni marittime o da imbarcazioni di navigazione fluviale dirette o provenienti dalle banchine di stabilimenti industriali. Si intende per:
(...)». |
Regio decreto del 2004
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Prima della sua modifica da parte del koninklijk besluit tot wijziging van het koninklijk besluit van 5 juli 2004 betreffende de erkenning van havenarbeiders in de havengebieden die onder het toepassingsgebied vallen van de wet van 8 juni 1972 betreffende de havenarbeid (regio decreto recante modifica del regio decreto del 5 luglio 2004 sul riconoscimento dei lavoratori portuali nelle zone portuali rientranti nell’ambito di applicazione della legge dell’8 giugno 1972 sul lavoro portuale), del 10 luglio 2016 (Belgisch Staatsblad, 13 luglio 2016, pag. 43879; in prosieguo: il «regio decreto del 2016»), l’articolo 2 del koninklijk besluit betreffende de erkenning van havenarbeiders in de havengebieden die onder het toepassingsgebied vallen van de wet van 8 juni 1972 betreffende de havenarbeid (regio decreto sul riconoscimento dei lavoratori portuali nelle zone portuali rientranti nell’ambito di applicazione della legge dell’8 giugno 1972 sul lavoro portuale), del 5 luglio 2004 (Belgisch Staatsblad, 4 agosto 2004, pag. 58908), prevedeva quanto segue: «Dopo il loro riconoscimento, i lavoratori portuali sono ripartiti o nel “contingente generale” o nel “contingente logistico”. I lavoratori portuali del contingente generale sono riconosciuti per svolgere qualsiasi lavoro portuale ai sensi dell’articolo 1 del [regio decreto del 1973]. I lavoratori portuali del contingente logistico sono riconosciuti per svolgere il lavoro portuale ai sensi dell’articolo 1 del [regio decreto del 1973], in luoghi nei quali le merci, in preparazione della loro successiva distribuzione o spedizione, sono sottoposte a trasformazione che genera indirettamente un valore aggiunto identificabile». |
10 |
Il regio decreto sul riconoscimento dei lavoratori portuali nelle zone portuali rientranti nell’ambito di applicazione della legge dell’8 giugno 1972 sul lavoro portuale, come modificato dal regio decreto del 2016 (in prosieguo: il «regio decreto del 2004»), ha sostituito, in particolare, alla nozione di «contingente» quella di «pool». L’articolo 1 del regio decreto del 2004 prevede quanto segue: «§ 1. In ciascuna zona portuale i lavoratori portuali sono riconosciuti dalla commissione paritetica, in prosieguo denominata “Commissione amministrativa”, istituita in seno alla sottocommissione paritetica competente per la zona portuale interessata. Tale Commissione amministrativa è composta da:
Le disposizioni del regio decreto del 6 novembre 1969 che definiscono le modalità generali di funzionamento delle commissioni e delle sottocommissioni paritetiche nonché le norme particolari previste all’articolo 10 del presente regio decreto si applicano al funzionamento della Commissione amministrativa. § 2. La domanda di riconoscimento è presentata per iscritto alla sottocommissione paritetica competente mediante un modello messo a disposizione a tal fine. La domanda indica se essa sia presentata per un impiego nel pool o al di fuori di esso. § 3. In deroga al § 1, primo comma, per i lavoratori che svolgono un lavoro ai sensi dell’articolo 1 del [regio decreto del 1973], in luoghi nei quali le merci, in preparazione della loro successiva distribuzione o spedizione, sono sottoposte a trasformazione che genera indirettamente un valore aggiunto identificabile, e dispongano di un certificato di sicurezza denominato “lavoratori logistici”, tale certificato di sicurezza equivale al riconoscimento ai sensi della [legge sul lavoro portuale]. Il datore di lavoro che ha stipulato un contratto di lavoro con un lavoratore richiede il certificato di sicurezza per le attività di cui al comma precedente e il rilascio è effettuato su presentazione della carta di identità e del contratto di lavoro. Le modalità di tale procedura sono stabilite mediante contratto collettivo di lavoro. |
11 |
A norma dell’articolo 2 di detto regio decreto: «§ 1. In seguito al riconoscimento, i lavoratori portuali di cui all’articolo 1, § 1, primo comma, sono inseriti o meno nel pool dei lavoratori portuali. Per il riconoscimento ai fini della loro presa in considerazione nel pool si tiene conto del fabbisogno di manodopera. § 2. I lavoratori portuali inseriti nel pool sono riconosciuti per una durata determinata o indeterminata. Le modalità relative alla durata del riconoscimento sono stabilite mediante contratto collettivo. § 3. I lavoratori portuali non inseriti nel pool sono assunti mediante contratto di lavoro ai sensi della legge (...) sui contratti di lavoro. La durata del riconoscimento è limitata alla durata di detto contratto di lavoro». |
12 |
L’articolo 4 di detto regio decreto così recita: «§ 1. Ai fini del riconoscimento come lavoratore portuale di cui all’articolo 1, § 1, primo comma, si applicano i seguenti requisiti: (...)
(...)
§ 2. Il riconoscimento del lavoratore portuale è valido in ogni zona portuale, come delimitata dal Re ai sensi degli articoli 35 e 37 della legge del 5 dicembre 1968 sui contratti collettivi e le commissioni paritetiche. Le condizioni e le modalità secondo le quali un lavoratore portuale può lavorare in una zona portuale diversa da quella in cui è riconosciuto sono stabilite mediante contratto collettivo. L’organizzazione di datori di lavoro indicata come mandatario ai sensi dell’articolo 3 bis della [legge sul lavoro portuale] continua ad essere mandatario nel caso in cui il lavoratore portuale lavori al di fuori della zona portuale nella quale è stato riconosciuto. § 3. I lavoratori portuali che possano dimostrare di soddisfare in un altro Stato membro dell’Unione europea condizioni equivalenti in materia di lavoro portuale cessano di essere soggetti, ai fini dell’applicazione del presente regio decreto, a dette condizioni. § 4. Le domande di riconoscimento e di rinnovo sono presentate alla Commissione amministrativa e trattate da quest’ultima». |
13 |
L’articolo 13/1 dello stesso regio decreto stabilisce quanto segue: «1o [Per il periodo precedente al 30 giugno 2017] il contratto di lavoro di cui all’articolo 2, § 3, secondo comma, deve essere stipulato a tempo indeterminato; 2° [per il periodo compreso tra il 1o luglio 2017 e il 30 giugno 2018] il contratto di lavoro di cui all’articolo 2, § 3, secondo comma, deve essere stipulato per una durata minima di due anni; 3° [per il periodo compreso tra il 1o luglio 2018 e il 30 giugno 2019] il contratto di lavoro di cui all’articolo 2, § 3, secondo comma, deve essere stipulato per una durata minima di un anno; 4° [per il periodo compreso tra il 1o luglio 2019 e il 30 giugno 2020] il contratto di lavoro di cui all’articolo 2, § 3, secondo comma, deve essere stipulato per una durata minima di sei mesi». |
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Ai sensi dell’articolo 15/1 del regio decreto del 2004: «Ai fini dell’applicazione del presente regio decreto: 1o i lavoratori portuali riconosciuti ai sensi dell’ex articolo 2, secondo comma, sono riconosciuti di diritto come lavoratori portuali inseriti nel pool, conformemente all’articolo 2, § 1, fatta salva l’applicazione degli articoli da 5 a 9 del presente regio decreto; 2° i lavoratori portuali riconosciuti ai sensi dell’ex articolo 2, terzo comma, sono equiparati di pieno diritto ai lavoratori logistici di cui all’articolo 1, § 3, fatta salva l’applicazione degli articoli da 5 a 9 del presente regio decreto». |
Le controversie nei procedimenti principali, le questioni pregiudiziali e il procedimento dinanzi alla Corte
Causa C‑407/19
15 |
La Katoen Natie Bulk Terminals e la General Services Antwerp sono due società con sede in Belgio, il cui oggetto sociale comprende operazioni portuali in tale paese e all’estero. |
16 |
Il 5 settembre 2016 tali due società hanno proposto dinanzi al giudice del rinvio nella causa C‑407/19, il Raad van State (Consiglio di Stato, Belgio), un ricorso di annullamento del regio decreto del 2016. |
17 |
Tale regio decreto era stato adottato a seguito della lettera di diffida inviata al Regno del Belgio dalla Commissione europea il 28 marzo 2014, secondo la quale la normativa di tale Stato relativa al lavoro portuale violava l’articolo 49 TFUE. La Commissione ha indicato sostanzialmente che la normativa belga sull’impiego di lavoratori portuali dissuadeva le imprese straniere dall’aprire stabilimenti in Belgio, in quanto esse non potevano scegliere liberamente i membri del loro personale, ma erano tenute a ricorrere ai lavoratori portuali riconosciuti, anche per compiti logistici, lavoratori che inoltre potevano essere impiegati unicamente in una zona geografica limitata. A seguito dell’adozione del regio decreto del 2016, la Commissione ha deciso, il 17 maggio 2017, di archiviare la procedura di infrazione. |
18 |
Il Raad van State (Consiglio di Stato) precisa, in via preliminare, che il regio decreto del 2016, che è una norma sostanziale di cui è richiesto l’annullamento erga omnes nell’ambito del contenzioso oggettivo dinanzi ad esso pendente, si applica indistintamente alle imprese, ai datori di lavoro e ai lavoratori, a prescindere dalla loro cittadinanza, che svolgano o facciano svolgere un lavoro portuale nelle zone portuali belghe, o che siano stabiliti nelle zone portuali o intendano stabilirvisi. |
19 |
Tale giudice richiama altresì l’attenzione sul fatto che il regio decreto del 2004 disciplina il lavoro portuale nelle zone portuali (marittime) situate in Belgio, tra cui i porti di Anversa (Belgio) e di Zeebrugge (Belgio), che sono porti di mare destinati al trasporto internazionale, ossia un ambiente estremamente concorrenziale. Occorrerebbe quindi tener presente l’interesse nettamente transfrontaliero delle zone portuali marittime, in considerazione segnatamente delle attività di importazione e di esportazione ivi sviluppate, dei numerosi operatori internazionali che vi operano, provenienti in particolare dagli altri Stati membri, delle attività commerciali che vi si svolgono nel settore degli scambi commerciali internazionali e della forza attrattiva del luogo di esecuzione in una zona che potrebbe essere interessante per gli operatori e i lavoratori stranieri, eventualmente di Stati membri vicini, ai quali tali operatori vorrebbero ricorrere per realizzare le loro attività di impresa. Alla luce di tali elementi, detto giudice ritiene che la controversia di cui è investito non riguardi una situazione puramente interna, ai sensi della giurisprudenza della Corte. |
20 |
Per quanto concerne la libera circolazione dei lavoratori, garantita dall’articolo 45 TFUE, il Raad van State (Consiglio di Stato) osserva che la Katoen Natie Bulk Terminals e la General Services Antwerp sono società logistiche belghe che esercitano le loro attività in zone portuali belghe e che, per realizzare il loro oggetto sociale, intendono poter impiegare lavoratori portuali diversi dai lavoratori portuali riconosciuti, indipendentemente dalla loro cittadinanza. Nella loro qualità di datori di lavoro che intendono assumere, nello Stato membro in cui sono stabilite, lavoratori cittadini di un altro Stato membro, tali società potrebbero quindi invocare la libera circolazione dei lavoratori, sancita all’articolo 45 TFUE. Qualora risultasse che le condizioni contenute nel regio decreto del 2004 complicherebbero, per i cittadini di altri Stati membri, lo svolgimento del lavoro portuale nel territorio belga e comporterebbero un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, anche i datori di lavoro come dette società dovrebbero potersi opporre a una simile normativa. Ciò dimostrerebbe altresì che la controversia pendente dinanzi a tale giudice non può essere ridotta a una situazione puramente interna. |
21 |
Quanto al merito della controversia, il Raad van State (Consiglio di Stato) precisa che la Katoen Natie Bulk Terminals e la General Services Antwerp contestano, in sostanza, sette misure contenute nel regio decreto del 2004 che sono state istituite o modificate dal regio decreto del 2016. |
22 |
Tale giudice muove dalla premessa secondo cui l’insieme di tali misure costituisce un ostacolo alle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE, potendo complicare o rendere meno attraente per i lavoratori, tra cui quelli provenienti da un altro Stato membro, lo svolgimento di un lavoro portuale in una zona portuale belga, nonché l’assunzione di simili lavoratori da parte dei datori di lavoro. |
23 |
Per quanto riguarda un’eventuale giustificazione di tali ostacoli alla luce di motivi imperativi di interesse generale, detto giudice osserva che la Katoen Natie Bulk Terminals e la General Services Antwerp contestano che le suddette misure siano «idonee» nella loro generalità a conseguire l’obiettivo perseguito, che sarebbe quello di garantire la sicurezza nelle zone portuali e, pertanto, la sicurezza nonché la tutela nel diritto del lavoro dei lavoratori portuali. Esse contesterebbero altresì che queste stesse misure siano proporzionate e non vadano al di là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo senza essere discriminatorie. |
24 |
Per quanto concerne, in primo luogo, il riconoscimento obbligatorio di tutti i lavoratori portuali, che non sono incaricati di svolgere compiti logistici, da parte della commissione amministrativa di cui all’articolo 1, paragrafo 1, del regio decreto del 2004, composta da organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori (in prosieguo: la «commissione amministrativa»), la mancanza di garanzie procedurali sufficienti al riguardo e la necessità di tener conto del fabbisogno di manodopera al fine di essere presi in considerazione nel pool, il Raad van State (Consiglio di Stato) constata che, nel diritto belga, una decisione positiva o negativa della commissione amministrativa sulla concessione di un riconoscimento come lavoratore portuale può essere contestata direttamente mediante un ricorso giurisdizionale. |
25 |
In secondo luogo, per quanto riguarda la verifica delle condizioni di riconoscimento relative all’idoneità medica e al superamento dei test psicotecnici, il Raad van State (Consiglio di Stato) si chiede, in particolare, se il requisito supplementare, stabilito all’articolo 4, paragrafo 1, 8°, del regio decreto del 2004, che esige che il lavoratore disponga inoltre di un contratto di lavoro, sia adeguato al fine di raggiungere l’obiettivo perseguito, che è quello di garantire la sicurezza nelle zone portuali. |
26 |
Per quanto concerne, in terzo luogo, la durata del riconoscimento dei lavoratori non inseriti nel pool, nonché del regime transitorio istituito dal regio decreto del 2004, il Raad van State (Consiglio di Stato) osserva che il lavoratore, ogni volta che ottiene un contratto di lavoro, deve seguire la procedura di riconoscimento, indipendentemente dal motivo della cessazione del suo contratto di lavoro precedente. |
27 |
Il Raad van State (Consiglio di Stato) rileva, in quarto luogo, che, per effetto del regime transitorio previsto dal regio decreto del 2004, un contratto di lavoro concluso prima del 30 giugno 2017 doveva essere concluso a tempo indeterminato. Poi, successivamente, un contratto concluso a partire dal 1o luglio 2017 doveva essere concluso per una durata di almeno due anni, a partire dal 1o luglio 2018 per una durata di almeno un anno e a partire dal 1o luglio 2019 per una durata di almeno sei mesi. Solo a partire dal 1o luglio 2020 la durata del contratto di lavoro avrebbe potuto essere liberamente determinata. Pertanto, lo status del lavoratore portuale soggetto, conformemente all’articolo 2, paragrafo 3, del regio decreto del 2004, al regime ordinario previsto dalla legge sui contratti di lavoro sarebbe nettamente meno attraente di quello del lavoratore portuale inserito nel pool, il che potrebbe costituire una restrizione ingiustificata alla libera circolazione. |
28 |
Per quanto riguarda, in quinto luogo, il riconoscimento automatico di tutti i lavoratori portuali impiegati come lavoratori portuali «inseriti nel pool», il Raad van State (Consiglio di Stato) osserva che, secondo la Katoen Natie Bulk Terminals e la General Services Antwerp, tale misura priverebbe i datori di lavoro del diritto di avvalersi di una manodopera di qualità concludendo direttamente con i lavoratori portuali un contratto vincolante che garantisca loro un impiego sicuro secondo le norme del diritto ordinario del lavoro, in quanto tali lavoratori rimarrebbero inseriti «automaticamente» nel pool. Si porrebbe la questione di stabilire se una simile misura debba essere considerata adeguata e proporzionata alla luce dell’obiettivo perseguito e, pertanto, conforme alla libertà di stabilimento nonché alla libera circolazione dei lavoratori. |
29 |
In sesto luogo, per quanto riguarda l’obbligo di fissare mediante un contratto collettivo di lavoro (in prosieguo: un «CCL») le condizioni e le modalità di impiego dei lavoratori al fine di svolgere un lavoro in una zona portuale diversa da quella in cui questi ultimi hanno ottenuto il riconoscimento, il Raad van State (Consiglio di Stato) si chiede se una misura del genere sia ragionevole e proporzionata o se, come sostengono la Katoen Natie Bulk Terminals e la General Services Antwerp, non si possa ragionevolmente sostenere che la mobilità dei lavoratori tra differenti zone portuali debba essere limitata o soggetta a requisiti supplementari in nome della sicurezza nelle zone portuali. |
30 |
Infine, in settimo luogo, per quanto concerne l’obbligo, per i lavoratori che svolgono un lavoro logistico, quale definito all’articolo 1, paragrafo 3, del regio decreto del 2004 (in prosieguo: i «lavoratori logistici»), di disporre di un «certificato di sicurezza», il Raad van State (Consiglio di Stato) ritiene che una simile misura miri a garantire la sicurezza in generale e, pertanto, anche quella dei lavoratori interessati. Si porrebbe tuttavia la questione di stabilire se una misura del genere, interpretata nel senso che detto certificato di sicurezza deve essere richiesto ogni volta che sia concluso un nuovo contratto di lavoro, non rappresenti un onere amministrativo rilevante e sproporzionato, tenuto conto della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei lavoratori. |
31 |
È in tale contesto che il Raad van State (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
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Causa C‑471/19
32 |
La Middlegate Europe è un’impresa di trasporti con sede a Zeebrugge che opera in tutta Europa. Nell’ambito del trasporto internazionale su strada, i suoi dipendenti preparano, tra l’altro, il carico di semirimorchi sulla banchina del porto di Zeebrugge, con l’ausilio di un «tugmaster» (trattore rimorchiatore), ai fini della loro spedizione verso il Regno Unito e l’Irlanda. |
33 |
Il 12 gennaio 2011 un lavoratore che, nell’ambito di un trasporto internazionale su strada da Virton (Belgio) a Bury (Regno Unito), preparava simili carichi è stato sottoposto a un controllo di polizia. A seguito di tale controllo, i servizi di polizia hanno redatto un verbale a carico della Middlegate Europe per violazione dell’articolo 1 della legge sul lavoro portuale, vale a dire per lo svolgimento di un lavoro portuale ad opera di un lavoratore portuale non riconosciuto. |
34 |
Con decisione del 17 gennaio 2013 alla Middlegate Europe è stata inflitta una sanzione amministrativa di EUR 100. Tale società ha proposto ricorso avverso detta decisione dinanzi all’arbeidsrechtbank Gent, afdeling Brugge (Tribunale del lavoro di Gand, sezione di Bruges, Belgio). Con sentenza del 17 dicembre 2014 tale giudice ha respinto il ricorso in quanto infondato. Con sentenza del 3 novembre 2016 l’arbeidshof te Gent (Corte del lavoro di Gand, Belgio) ha respinto in quanto infondato l’appello interposto contro la decisione di primo grado. |
35 |
La Middlegate Europe ha quindi impugnato tale sentenza dinanzi allo Hof van Cassatie (Corte di cassazione, Belgio). Nell’ambito di tale procedimento, essa ha fatto valere che gli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale erano in contrasto con gli articoli 10, 11 e 23 della Costituzione belga, in quanto violavano la libertà di commercio e d’industria delle imprese. Su richiesta della Middlegate Europe, lo Hof van Cassatie (Corte di cassazione) ha deciso di sottoporre due questioni pregiudiziali al giudice del rinvio nella causa C‑471/19, il Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale, Belgio). |
36 |
Tale giudice rileva che la libertà di commercio e d’industria, quale sancita dalla Costituzione belga, è strettamente connessa alla libertà professionale, al diritto di lavorare e alla libertà d’impresa, garantiti dagli articoli 15 e 16 della Carta e a diverse libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE, quali la libera prestazione dei servizi (articolo 56 TFUE) e la libertà di stabilimento (articolo 49 TFUE). |
37 |
In primo luogo, la Corte Costituzionale ritiene che l’obbligo – imposto in forza della legge sul lavoro portuale alle imprese che, in una zona portuale, intendano svolgere un lavoro portuale, comprese le attività estranee al carico e allo scarico di navi – di ricorrere soltanto a lavoratori portuali riconosciuti e di aderire obbligatoriamente a tal fine a un’organizzazione rappresentativa dei datori di lavoro riconosciuta, sembri restringere, nei confronti di tali imprese, la libera scelta del personale e la libertà di negoziare le condizioni di lavoro. |
38 |
Pertanto, tale giudice considera che gli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale comportano una restrizione alla libertà di stabilimento, ai sensi dell’articolo 49 TFUE. Alla luce della giurisprudenza della Corte, in particolare della sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna (C‑576/13, non pubblicata, EU:C:2014:2430), esso si chiede se tale restrizione sia o meno giustificata, tenuto conto delle caratteristiche e delle circostanze specifiche della normativa nazionale in materia di lavoro portuale. |
39 |
Esso osserva, al riguardo, che l’obiettivo del legislatore belga, al momento dell’adozione della legge sul lavoro portuale, era quello di tutelare la professione di lavoratore portuale vietando ai lavoratori non riconosciuti di svolgere un lavoro portuale. Infatti, conferendo una base legale allo status di «lavoratore portuale riconosciuto» – che sarebbe strettamente connesso al carattere specifico, difficile e pericoloso del lavoro portuale – tale legislatore avrebbe cercato di riservare le attività di movimentazione delle merci nei porti, la cui tecnicità evolverebbe rapidamente, esclusivamente a lavoratori che abbiano seguito una solida formazione professionale, destinata a valutare tanto le loro qualifiche professionali quanto le loro capacità fisiche e intellettive. Istituendo tale status e il relativo monopolio di lavoro, detto legislatore avrebbe altresì inteso rispondere alla finalità di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di evitare incidenti sul lavoro, da un lato, e alla necessità di avere ogni giorno lavoratori specializzati che si tengono a disposizione di un porto che riunisca produttività, servizio e competitività, dall’altro. Imponendo l’adesione del datore di lavoro a un’unica organizzazione di datori di lavoro riconosciuta per ogni zona portuale, che intervenga in qualità di segretariato sociale di inquadramento, il legislatore belga avrebbe cercato inoltre di garantire la parità di trattamento in materia di diritti sociali tra tutti i lavoratori portuali rispetto a tutti gli obblighi di diritto sociale derivanti dallo status di lavoratore portuale riconosciuto. |
40 |
In secondo luogo, il Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale) richiama l’attenzione sul fatto che, in attesa dell’intervento del legislatore belga, la pura e semplice constatazione dell’incostituzionalità degli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale potrebbe comportare che migliaia di lavoratori portuali si trovino inaspettatamente, per un certo lasso di tempo, in una situazione di grande incertezza per quanto riguarda il loro status giuridico sul mercato del lavoro, il che potrebbe avere conseguenze sociali e finanziarie nefaste per i lavoratori portuali. Anche i pubblici poteri, nelle stesse circostanze, potrebbero trovarsi di fronte a gravi conseguenze. |
41 |
Al fine di evitare, se del caso, l’incertezza giuridica e il malcontento sociale e di consentire al legislatore belga di adeguare l’organizzazione del lavoro portuale nelle zone portuali agli obblighi derivanti dalla Costituzione belga, letta in combinato disposto con la libertà di commercio e d’industria garantite dagli articoli 15 e 16 della Carta e con l’articolo 49 TFUE, il Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale) rileva che, in forza del diritto belga, esso potrebbe mantenere temporaneamente gli effetti degli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale. |
42 |
In tali circostanze, il Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
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43 |
Con decisione del presidente della Corte del 19 luglio 2020 le cause C‑407/19 e C‑471/19 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento nonché della sentenza. |
Sulla domanda di riapertura della fase orale del procedimento
44 |
Con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 27 ottobre 2020, la Katoen Natie Bulk Terminals, la General Services Antwerp e la Middlegate Europe hanno chiesto che fosse disposta la riapertura della fase orale del procedimento, ai sensi dell’articolo 83 del regolamento di procedura della Corte. |
45 |
A sostegno della loro domanda, esse hanno fatto sostanzialmente valere, da un lato, che da taluni documenti divenuti accessibili dopo la lettura delle conclusioni dell’avvocato generale risulta che il governo belga nonché le organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori del settore portuale si sarebbero messi d’accordo e avrebbero deciso di attenersi alla normativa di cui ai procedimenti principali, quand’anche la Corte seguisse le proposte dell’avvocato generale. Dall’altro lato, esse intenderebbero richiamare l’attenzione della Corte su recenti decisioni in materia di lavoro portuale pronunciate da alcuni giudici di Stati membri. |
46 |
Ai sensi dell’articolo 83 del suo regolamento di procedura, la Corte, in qualsiasi momento, sentito l’avvocato generale, può disporre la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta o quando, dopo la chiusura di tale fase, una parte ha prodotto un fatto nuovo, tale da influenzare in modo decisivo la decisione della Corte, oppure quando la causa deve essere decisa in base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti o gli interessati menzionati all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. |
47 |
Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie. La posizione che il governo belga nonché le organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori nel settore portuale intenderebbero adottare nell’ipotesi in cui la Corte seguisse le proposte formulate dall’avvocato generale nelle sue conclusioni è irrilevante ai fini della risposta da dare alle questioni dei giudici del rinvio nelle presenti cause. Parimenti, nemmeno le recenti pronunce giurisdizionali, indicate dalla Katoen Natie Bulk Terminals, dalla General Services Antwerp e dalla Middlegate Europe nella loro domanda di riapertura della fase orale del procedimento, presentano una simile rilevanza. Si tratta, da un lato, di una decisione dell’autorità spagnola garante della concorrenza adottata in seguito alla pronuncia della sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna (C‑576/13, non pubblicata, EU:C:2014:2430) e, dall’altro, di una sentenza di un giudice dei Paesi Bassi, che non ha alcun nesso con la normativa di cui al procedimento principale. |
48 |
Inoltre, nei limiti in cui, nella loro domanda di riapertura della fase orale del procedimento, la Katoen Natie Bulk Terminals, la General Services Antwerp e la Middlegate Europe esprimono il loro disaccordo con alcune valutazioni contenute nelle conclusioni dell’avvocato generale, occorre ricordare, da un lato, che lo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e suo il regolamento di procedura non prevedono la possibilità per le parti interessate di presentare osservazioni in risposta alle conclusioni presentate dall’avvocato generale (sentenza del 4 settembre 2014, Vnuk, C‑162/13, EU:C:2014:2146, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). |
49 |
Dall’altro lato, ai sensi dell’articolo 252, secondo comma, TFUE, l’avvocato generale ha il compito di presentare pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate riguardo alle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, richiedono il suo intervento. Al riguardo, la Corte non è vincolata né dalle conclusioni dell’avvocato generale, né dalla motivazione in base alla quale egli vi perviene. Di conseguenza, il disaccordo di una parte interessata con le conclusioni dell’avvocato generale, quali che siano le questioni da esso ivi esaminate, non può costituire, di per sé, un motivo che giustifichi la riapertura della fase orale (sentenza del 4 settembre 2014, Vnuk, C‑162/13, EU:C:2014:2146, punto 31 e giurisprudenza ivi citata). |
50 |
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la Corte ritiene che non occorra disporre la riapertura della fase orale del procedimento. |
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla competenza della Corte
51 |
Si deve constatare che, sia nella causa C‑407/19 sia nella causa C‑471/19, gli elementi della controversia si collocano in un solo Stato membro. |
52 |
In proposito, da un lato, spetta al giudice del rinvio indicare alla Corte sotto quale profilo, nonostante il suo carattere puramente interno, la controversia dinanzi ad esso pendente presenti con le disposizioni del diritto dell’Unione relative alle libertà fondamentali un elemento di collegamento che renda l’interpretazione richiesta in via pregiudiziale necessaria alla soluzione della controversia principale (sentenza del 15 novembre 2016, Ullens de Schooten, C‑268/15, EU:C:2016:874, punto 55). Orbene, come emerge dai punti da 18 a 20 della presente sentenza, nella causa C‑407/19 il Raad van State (Consiglio di Stato) ha avuto cura di spiegare come la rilevanza internazionale delle zone portuali situate in Belgio consenta di ritenere che le situazioni interessate dalla normativa nazionale applicabile presentino un simile elemento di collegamento con il diritto dell’Unione. Tali considerazioni appaiono pienamente applicabili alla controversia di cui è adito il Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale) nella causa C‑471/19. |
53 |
Dall’altro lato, quando il giudice del rinvio si rivolge alla Corte nell’ambito di un procedimento di annullamento di disposizioni applicabili non solo nei confronti dei cittadini nazionali, ma anche dei cittadini degli altri Stati membri, la decisione che tale giudice adotterà a seguito della sua sentenza pronunciata in via pregiudiziale produrrà effetti anche nei confronti di questi ultimi cittadini, il che giustifica che la Corte risponda alle questioni sottopostele in relazione alle disposizioni del Trattato relative alle libertà fondamentali nonostante il fatto che tutti gli elementi della controversia di cui al procedimento principale siano confinati all’interno di un solo Stato membro (sentenza del 15 novembre 2016, Ullens de Schooten, C‑268/15, EU:C:2016:874, punto 51 e giurisprudenza ivi citata). Tale considerazione vale anche nell’ipotesi in cui la Corte sia adita nell’ambito di un procedimento vertente sulla conformità di simili disposizioni nazionali al diritto dell’Unione. Orbene, le disposizioni nazionali di cui ai procedimenti principali sono indistintamente applicabili sia ai cittadini belgi sia ai cittadini degli altri Stati membri. |
54 |
Ne consegue che la Corte è competente a statuire sull’insieme delle questioni pregiudiziali. |
Sulle questioni pregiudiziali sollevate nella causa C‑471/19
Sulla prima questione
55 |
Con la sua prima questione nella causa C‑471/19 il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE, gli articoli 15 e 16 della Carta, nonché il principio della parità di trattamento debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che obbliga persone o imprese che intendano esercitare attività portuali in una zona portuale, comprese attività estranee al carico e allo scarico di navi in senso stretto, a ricorrere unicamente a lavoratori portuali riconosciuti come tali conformemente alle condizioni e alle modalità stabilite in applicazione di tale normativa. |
56 |
Occorre anzitutto rilevare che, per quanto riguarda la compatibilità con gli articoli 15 e 16 della Carta di una normativa nazionale in forza della quale le imprese che intendono fornire servizi portuali devono ricorrere obbligatoriamente a lavoratori portuali riconosciuti, un esame della restrizione determinata da una normativa nazionale ai sensi degli articoli 49 e 56 TFUE comprende anche le eventuali restrizioni all’esercizio dei diritti e delle libertà previsti agli articoli da 15 a 17 della Carta, di modo che non è necessario esaminare separatamente un’eventuale incompatibilità con la libertà di impresa (v., in tal senso, sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet, C‑322/16, EU:C:2017:985, punto 50 e giurisprudenza ivi citata). |
57 |
Dal momento che il giudice del rinvio nella causa C‑471/19 ha menzionato, nella sua prima questione, il principio della parità di trattamento, occorre rilevare che una normativa nazionale, come quella considerata da tale questione, si applica in modo identico agli operatori sia residenti sia non residenti che, pertanto, sono trattati su un piano di parità. |
58 |
Tuttavia, risulta dalla giurisprudenza costante della Corte che gli articoli 49 e 56 TFUE ostano a ogni misura nazionale che, anche applicabile senza discriminazione relativa alla nazionalità, sia in grado di vietare, di ostacolare o di rendere meno attraente l’esercizio, da parte di cittadini dell’Unione europea, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi garantite da dette disposizioni del Trattato (sentenza del 10 luglio 2014, Consorzio Stabile Libor Lavori Pubblici, C‑358/12, EU:C:2014:2063, punto 28 e giurisprudenza ivi citata). |
59 |
Orbene, si deve constatare, al pari del giudice del rinvio nella causa C‑471/19 nonché dell’avvocato generale ai paragrafi 52 e 53 delle sue conclusioni, che una normativa di uno Stato membro che obbliga le imprese provenienti da altri Stati membri che intendano stabilirsi in tale Stato membro per esercitarvi attività portuali – o che, senza stabilirvisi, vi intendano fornire servizi portuali – a ricorrere soltanto a lavoratori portuali riconosciuti come tali conformemente a detta normativa impedisce a tali imprese di ricorrere al proprio personale o di assumere altri lavoratori non riconosciuti e, pertanto, può ostacolare o rendere meno attraente lo stabilimento delle medesime nello Stato membro di cui trattasi o la loro prestazione di servizi in detto Stato membro. |
60 |
Tale normativa costituisce quindi una restrizione alle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE (v., per analogia, sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C‑576/13, non pubblicata, EU:C:2014:2430, punti 37 e 38). |
61 |
Restrizioni del genere possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che siano idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per conseguirlo, vale a dire se non esistano misure meno restrittive che consentano di conseguirlo in modo altrettanto efficace (v., in tal senso, sentenze dell’11 dicembre 2007, International Transport Workers Federation e Finnish Seamen’s Union, C‑438/05, EU:C:2007:772, punto 75, del 10 luglio 2014, Consorzio Stabile Libor Lavori Pubblici, C‑358/12, EU:C:2014:2063, punto 31, e dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C‑576/13, non pubblicata, EU:C:2014:2430, punti 47 e 53). |
62 |
Dalle indicazioni del giudice del rinvio nella causa C‑471/19, riassunte al punto 39 della presente sentenza, che si sovrappongono alle spiegazioni fornite dal governo belga nelle sue osservazioni scritte, risulta che le disposizioni della legge sul lavoro portuale di cui al procedimento principale mirano, in sostanza, a garantire la sicurezza nelle zone portuali e a prevenire gli infortuni sul lavoro, ad assicurare la disponibilità di manodopera specializzata tenuto conto della fluttuazione della domanda di lavoro in tali zone, nonché a garantire la parità di trattamento in materia di diritti sociali tra tutti i lavoratori portuali. |
63 |
In primo luogo, per quanto riguarda l’obiettivo di garantire la parità di trattamento in materia di diritti sociali tra tutti i lavoratori portuali, occorre ricordare che la tutela dei lavoratori costituisce un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare una restrizione alle libertà di circolazione (v., in particolare, sentenze dell’11 dicembre 2007, International Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union, C‑438/05, EU:C:2007:772, punto 77, e dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C‑576/13, non pubblicata, EU:C:2014:2430, punto 50). |
64 |
Tuttavia, un simile obiettivo non può essere raggiunto mediante una normativa nazionale che obbliga persone o imprese che intendano esercitare attività portuali in una zona portuale a ricorrere unicamente a lavoratori portuali riconosciuti, poiché il mero fatto che un lavoratore portuale sia riconosciuto in quanto tale non implica che egli godrà necessariamente degli stessi diritti sociali di tutti gli altri lavoratori portuali riconosciuti. Infatti, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che detto obiettivo potrebbe essere conseguito obbligando i datori di lavoro dei lavoratori portuali ad aderire a un’unica organizzazione. Orbene, un obbligo del genere può essere imposto in applicazione dell’articolo 3 bis della legge sul lavoro portuale, che non è contemplato dalla presente questione. |
65 |
In secondo luogo, per quanto concerne l’obiettivo di garantire la disponibilità di manodopera specializzata – supponendo che possa essere considerato un motivo imperativo di interesse generale, ai sensi della giurisprudenza citata al punto 61 della presente sentenza, come sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 68 delle sue conclusioni – un sistema rigido, che prevede la costituzione di un contingente limitato di lavoratori portuali riconosciuti al quale ogni impresa che intenda esercitare attività portuali deve obbligatoriamente ricorrere, eccede quanto è necessario per raggiungere l’obiettivo di garantire la disponibilità di manodopera specializzata. |
66 |
In terzo luogo, per quanto riguarda l’obiettivo più specifico di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli infortuni sul lavoro, come emerge dal punto 63 della presente sentenza, la tutela dei lavoratori figura tra i motivi imperativi di interesse generale che possono giustificare una restrizione alle libertà di circolazione. |
67 |
Lo stesso vale per l’obiettivo più specifico di garantire la sicurezza nelle zone portuali (v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C‑576/13, non pubblicata, EU:C:2014:2430, punti da 49 a 52). |
68 |
Al proposito, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 70 e 71 delle sue conclusioni, poiché gli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale si limitano a istituire un regime di riconoscimento dei lavoratori portuali, le cui condizioni e modalità concrete di attuazione devono essere fissate mediante atti adottati in forza dell’articolo 3 di tale legge, non si può ritenere che tali disposizioni, considerate isolatamente, siano di per sé inidonee o sproporzionate per raggiungere l’obiettivo di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli infortuni sul lavoro. |
69 |
Infatti, il carattere necessario e proporzionato di un simile regime e, di conseguenza, la sua compatibilità con gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere valutati in modo globale, tenendo conto di tutte le condizioni previste per il riconoscimento dei lavoratori portuali nonché delle modalità di attuazione di un simile regime. |
70 |
Una normativa nazionale secondo cui le imprese che intendano fornire servizi portuali devono obbligatoriamente avvalersi di lavoratori portuali riconosciuti può essere considerata proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito solo se il riconoscimento dei lavoratori portuali è fondato su criteri oggettivi, non discriminatori e predeterminati, in modo da fissare limiti all’esercizio del potere discrezionale dell’autorità responsabile del loro riconoscimento e da garantire che quest’ultimo non sia utilizzato in modo arbitrario (v., per analogia, sentenza del 17 luglio 2008, Commissione/Francia, C‑389/05, EU:C:2008:411, punto 94 e giurisprudenza ivi citata). |
71 |
Inoltre, dal momento che l’obiettivo di una simile normativa è di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli infortuni sul lavoro, le condizioni di riconoscimento dei lavoratori portuali devono logicamente vertere esclusivamente sulla questione di stabilire se questi ultimi dispongano delle qualità e delle competenze necessarie per assicurare l’esecuzione in piena sicurezza dei compiti loro incombenti. |
72 |
A tal fine, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 76 delle sue conclusioni, si può eventualmente prevedere che, per essere riconosciuti, i lavoratori portuali debbano possedere una sufficiente formazione professionale. |
73 |
Tuttavia, un requisito secondo cui una simile formazione deve essere impartita o attestata da un solo determinato organismo nello Stato membro in questione, senza tener conto dell’eventuale riconoscimento degli interessati come lavoratori portuali in un altro Stato membro dell’Unione o della formazione che questi ultimi abbiano seguito in un altro Stato membro dell’Unione e delle competenze professionali che vi abbiano acquisito, sarebbe sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito (v., in tal senso, sentenza del 5 febbraio 2015, Commissione/Belgio, C‑317/14, EU:C:2015:63, punti da 27 a 29). |
74 |
Inoltre, come sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 88 delle sue conclusioni, la limitazione del numero dei lavoratori portuali che possono essere oggetto di riconoscimento – e pertanto la costituzione di un contingente ristretto di simili lavoratori, ai quali ogni impresa che intenda esercitare attività portuali deve obbligatoriamente ricorrere – ammesso che sia idonea a garantire la sicurezza nelle zone portuali, è certamente sproporzionata rispetto alla realizzazione di un simile obiettivo. |
75 |
Infatti, tale obiettivo può essere anche raggiunto prevedendo che qualsiasi lavoratore in grado di dimostrare di possedere le competenze professionali richieste e, se del caso, di aver seguito una formazione adeguata possa essere riconosciuto come lavoratore portuale. |
76 |
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla prima questione nella causa C‑471/19 dichiarando che gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che obbliga persone o imprese che intendano esercitare attività portuali in una zona portuale, comprese attività estranee al carico e allo scarico di navi in senso stretto, a ricorrere esclusivamente a lavoratori portuali riconosciuti come tali conformemente alle condizioni e alle modalità fissate in applicazione di tale normativa, purché dette condizioni e modalità, da un lato, si basino su criteri oggettivi, non discriminatori, predeterminati e che consentano ai lavoratori portuali di altri Stati membri di dimostrare di soddisfare, nel loro Stato di origine, requisiti equivalenti a quelli applicati ai lavoratori portuali nazionali e, dall’altro, non stabiliscano un contingente limitato di lavoratori che possono essere oggetto di un simile riconoscimento. |
Sulla seconda questione nella causa C‑471/19
77 |
La seconda questione nella causa C‑471/19 riguarda l’ipotesi in cui dalla risposta alla prima questione risultasse che gli articoli 49 e 56 TFUE ostano a una normativa nazionale come gli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale. Il giudice del rinvio in tale causa chiede sostanzialmente se, in un’ipotesi del genere, esso possa mantenere provvisoriamente gli effetti di tali articoli, al fine di evitare un’incertezza giuridica e un malcontento sociale all’interno dello Stato membro interessato. |
78 |
Orbene, dalla risposta alla prima questione emerge che disposizioni nazionali quali gli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale non sono di per sé incompatibili con le libertà sancite agli articoli 49 e 56 TFUE, ma che la valutazione della compatibilità con tali libertà del regime istituito in applicazione di simili disposizioni richiede un approccio globale, prendendo in considerazione l’insieme delle condizioni e delle modalità di attuazione di un simile regime. |
79 |
In tali circostanze, non occorre rispondere alla seconda questione sollevata nella causa C‑471/19. |
Sulle questioni pregiudiziali sollevate nella causa C‑407/19
Osservazioni preliminari
80 |
Le questioni pregiudiziali nella causa C‑407/19 sono dirette a consentire al giudice del rinvio in tale causa di valutare la compatibilità con il diritto dell’Unione di varie disposizioni del regio decreto del 2004, che stabilisce le modalità di attuazione delle disposizioni della legge sul lavoro portuale. Detto giudice fa riferimento, in tale contesto, alle diverse libertà di circolazione garantite dal Trattato. |
81 |
Al riguardo, in primo luogo, dalla risposta fornita alla prima questione nella causa C‑471/19 risulta che una simile normativa rientra nell’ambito della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi garantite, rispettivamente, agli articoli 49 e 56 TFUE. |
82 |
In secondo luogo, occorre precisare che una simile normativa rientra parimenti nell’ambito di applicazione dell’articolo 45 TFUE. Infatti il beneficio di tale disposizione può essere invocato non solo dai lavoratori stessi, ma anche dai loro datori di lavoro. Per essere efficace e utile, il diritto dei lavoratori di essere assunti e impiegati senza discriminazioni deve necessariamente essere affiancato dal diritto dei datori di lavoro di assumerli nel rispetto delle norme in materia di libera circolazione dei lavoratori (sentenza del 16 aprile 2013, Las, C‑202/11, EU:C:2013:239, punto 18). L’insieme delle disposizioni del Trattato FUE relative alla libera circolazione delle persone mira quindi ad agevolare, per i cittadini degli Stati membri, l’esercizio di attività lavorative di qualsiasi tipo nel territorio dell’Unione e osta ai provvedimenti che possano svantaggiare tali cittadini quando intendano svolgere un’attività economica nel territorio di un altro Stato membro. Tali disposizioni, e in particolare l’articolo 45 TFUE, ostano pertanto a qualsiasi provvedimento che, seppure applicabile senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, sia idoneo a ostacolare o a rendere meno attraente l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato (sentenza del 16 aprile 2013, Las, C‑202/11, EU:C:2013:239, punti 19 e 20 e giurisprudenza ivi citata). |
83 |
In terzo luogo, sebbene il giudice del rinvio nella causa C‑407/19 abbia altresì menzionato, nel testo delle sue questioni, gli articoli 34 e 35 TFUE, relativi alla libera circolazione delle merci, occorre tuttavia constatare che esso non ha fornito alcuna indicazione circa l’effetto concreto su tale libertà di una normativa nazionale come quella oggetto di dette questioni. |
84 |
In ogni caso, occorre ricordare che, qualora un provvedimento nazionale incida sia sulla libera prestazione dei servizi sia sulla libera circolazione delle merci, la Corte procede al suo esame, in linea di principio, solamente con riguardo a una di tali due libertà fondamentali qualora risulti che, nelle circostanze del caso di specie, una delle due sia del tutto secondaria rispetto all’altra e possa essere a questa ricollegata (sentenza del 14 ottobre 2004, Omega, C‑36/02, EU:C:2004:614, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). |
85 |
Lo stesso deve valere per una misura che incide sia sulla libertà di stabilimento, o sulla libera circolazione dei lavoratori, sia sulla libera circolazione delle merci. |
86 |
Orbene, supponendo che una normativa nazionale come quella di cui al punto 80 della presente sentenza sia idonea a limitare anche la libera circolazione delle merci, poiché i lavoratori portuali effettuano anche prestazioni relative al trasporto delle merci che transitano per i porti, è evidente che una simile restrizione sarebbe del tutto secondaria rispetto alle restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori e dei servizi, nonché alla libertà di stabilimento. |
87 |
In quarto luogo – sebbene il giudice del rinvio nella causa C‑407/19 richiami, nel testo delle questioni che ha sottoposto alla Corte, gli articoli 101, 102 e 106 TFUE – esso non ha nemmeno fornito spiegazioni sufficienti per consentire a quest’ultima di valutare se tali disposizioni debbano essere interpretate nel senso che esse ostano a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale. |
88 |
Peraltro, come ricordato dall’avvocato generale al paragrafo 38 delle sue conclusioni, la Corte ha già statuito che una normativa come quella di cui al procedimento principale – che obbliga i privati a ricorrere, per l’esecuzione di lavori portuali, esclusivamente a lavoratori portuali riconosciuti – non rientra nell’ambito di applicazione degli articoli 101 e 102, nonché dell’articolo 106, paragrafo 1, TFUE, in quanto non si può ritenere che, ancorché considerati collettivamente, i lavoratori portuali siano «imprese» ai sensi di tali disposizioni (v., in tal senso, sentenza del 16 settembre 1999, Becu e a., C‑22/98, EU:C:1999:419, punti 27, 30 e 31). |
89 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre esaminare le questioni pregiudiziali nella causa C‑407/19 solo alla luce degli articoli 45, 49 e 56 TFUE. |
90 |
A tale proposito, dai punti 59 e 60 della presente sentenza risulta che una normativa di uno Stato membro che, al pari degli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale, obbliga le imprese non residenti – che intendano stabilirsi in tale Stato membro per esercitarvi attività portuali o che, senza stabilirvisi, vi intendano fornire servizi portuali – a ricorrere soltanto a lavoratori portuali riconosciuti conformemente a tale normativa costituisce una restrizione alle libertà garantite dagli articoli 49 e 56 TFUE. |
91 |
Del pari, una simile normativa nazionale può avere un effetto dissuasivo nei confronti dei lavoratori e dei datori di lavoro provenienti da altri Stati membri e costituisce, di conseguenza, una restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, sancita all’articolo 45 TFUE (v., per analogia, sentenza del 16 aprile 2013, Las, C‑202/11, EU:C:2013:239, punto 22). |
92 |
Risulta inoltre, rispettivamente dai punti 61 e 63 della presente sentenza, che simili restrizioni possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale e che l’obiettivo di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli infortuni sul lavoro, invocato dal governo belga nelle sue osservazioni scritte, può costituire un simile motivo, tale da giustificare dette restrizioni, purché queste ultime siano necessarie e proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito. |
93 |
Occorre pertanto procedere, con riferimento a ciascuna delle misure oggetto delle questioni pregiudiziali nella causa C‑407/19, all’esame del loro carattere necessario e proporzionato rispetto all’obiettivo menzionato nel punto precedente. |
Sulla prima questione, sulla seconda questione, lettera d), nonché sulla terza e sulla quarta questione
94 |
Con la sua prima questione, con la sua seconda questione, lettera d), nonché con le sue questioni terza e quarta, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio nella causa C‑407/19 chiede sostanzialmente se gli articoli 45, 49 e 56 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale:
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95 |
Per quanto concerne, in primo luogo, la composizione della commissione amministrativa, occorre rilevare che, nei limiti in cui, come risulta dal punto 92 della presente sentenza, il requisito del riconoscimento dei lavoratori portuali mira a garantire la sicurezza nelle zone portuali e a prevenire gli infortuni sul lavoro, una normativa in forza della quale tale riconoscimento è concesso da un organo amministrativo paritariamente composto da membri designati dalle organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori non risulta necessaria e appropriata per conseguire tale obiettivo. |
96 |
Non è infatti garantito che i membri di tale organo, designati da dette organizzazioni, dispongano delle conoscenze necessarie per determinare se un lavoratore portuale soddisfi i criteri di riconoscimento, relativi alla sua idoneità allo svolgimento in piena sicurezza dei compiti ad esso incombenti. |
97 |
Inoltre, come osservato dall’avvocato generale ai paragrafi da 126 a 128 delle sue conclusioni, se i membri dell’organo competente per il riconoscimento dei lavoratori portuali sono designati da operatori già presenti sul mercato, in particolare da un’organizzazione che rappresenta i lavoratori portuali già riconosciuti che rischiano di entrare in concorrenza per i posti di lavoro disponibili con i lavoratori che chiedono il loro riconoscimento, è lecito dubitare dell’imparzialità di tali membri e che possano pertanto pronunciarsi sulle domande di riconoscimento in modo obiettivo, trasparente e non discriminatorio (v., per analogia, sentenze del 15 gennaio 2002, Commissione/Italia, C‑439/99, EU:C:2002:14, punto 39; del 1o luglio 2008, MOTOE, C‑49/07, EU:C:2008:376, punto 51, nonché del 26 settembre 2013, Ottica New Line, C‑539/11, EU:C:2013:591, punti 53 e 54). |
98 |
In secondo luogo, nemmeno il fatto che non sia fissato un termine ragionevole entro il quale l’organo incaricato del riconoscimento dei lavoratori portuali deve emettere la propria decisione risulta necessario e appropriato per conseguire l’obiettivo di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli incidenti sul lavoro. |
99 |
Al contrario, l’assenza di un simile termine è tale da aumentare il rischio di rifiuto arbitrario di riconoscimento di un lavoratore portuale dotato delle qualità richieste, al solo scopo di restringere la concorrenza sul mercato del lavoro in questione. |
100 |
In terzo luogo, per quanto riguarda il fatto che, secondo le indicazioni del giudice del rinvio nella causa C‑407/19, è previsto soltanto un ricorso giurisdizionale avverso le decisioni della commissione incaricata del riconoscimento dei lavoratori portuali, occorre rilevare che, per essere giudicata proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, una misura che implichi la restrizione di una libertà fondamentale deve poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo, garantito dall’articolo 47 della Carta (v., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2019, PI, C‑230/18, EU:C:2019:383, punti da 78 a 81). |
101 |
Spetta al giudice del rinvio nella causa C‑407/19 verificare, se del caso, che il ricorso giurisdizionale previsto contro le decisioni della commissione amministrativa soddisfi i requisiti di un simile controllo. |
102 |
Per contro, il fatto che non sia previsto alcun ricorso dinanzi a un organo amministrativo contro le decisioni relative al riconoscimento dei lavoratori portuali non è tale da mettere in dubbio il carattere necessario e proporzionato di una misura nazionale che rende obbligatorio un simile riconoscimento. |
103 |
In quarto luogo, per quanto riguarda l’inserimento – o meno – dei lavoratori portuali riconosciuti in un contingente di lavoratori su decisione della commissione amministrativa, occorre rilevare che dalle indicazioni del giudice del rinvio nella causa C‑407/19 risulta che il pool previsto dal regio decreto del 2004 non costituisce un contingente rigido, come quello di cui al punto 74 della presente sentenza, dal momento che, come risulta dall’articolo 2, paragrafo 3, di tale regio decreto, i lavoratori portuali non inseriti in tale pool possono essere assunti come lavoratori portuali sulla base di un contratto di lavoro. |
104 |
Risulta tuttavia da quest’ultima disposizione, nonché dalle indicazioni del giudice del rinvio, che il riconoscimento dei lavoratori non inseriti nel pool è limitato alla durata del loro contratto di lavoro, mentre, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, del regio decreto del 2004, i lavoratori portuali inseriti nel pool possono essere riconosciuti a tempo indeterminato. |
105 |
Peraltro, in forza della disposizione transitoria di cui all’articolo 13/1 del regio decreto del 2004, la possibilità di beneficiare di un riconoscimento senza essere inseriti nel pool è stata inizialmente limitata ai soli lavoratori portuali con un contratto a tempo indeterminato ed è stata progressivamente estesa ai lavoratori portuali con un contratto di lavoro a tempo determinato sempre più breve. Solo a partire dal 1o luglio 2020 tutti i lavoratori portuali con un contratto di lavoro possono essere riconosciuti come tali, indipendentemente dalla durata del loro contratto di lavoro. |
106 |
A tale riguardo, occorre rilevare che, certamente, una normativa nazionale in forza della quale il riconoscimento dei lavoratori portuali deve essere oggetto di un rinnovo a intervalli ragionevoli non è incompatibile con l’obiettivo di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli infortuni sul lavoro, in quanto il requisito del rinnovo periodico del riconoscimento consente di garantire che i lavoratori portuali continuino ad essere in possesso delle capacità necessarie per svolgere in piena sicurezza i compiti loro incombenti. |
107 |
Tuttavia, una normativa in base alla quale solo una parte dei lavoratori portuali può beneficiare di un riconoscimento a tempo indeterminato, mentre il riconoscimento di alcuni altri lavoratori portuali scade automaticamente al termine del loro contratto di lavoro, anche se questo è stato solo di brevissima durata, cosicché questi ultimi lavoratori devono sottoporsi a una nuova procedura di riconoscimento ogni volta che concludono un nuovo contratto di lavoro, non appare appropriata e necessaria per raggiungere l’obiettivo menzionato al punto precedente. |
108 |
Infatti non vi sono motivi idonei a giustificare tale diverso trattamento delle due categorie di lavoratori portuali, che si trovano in situazioni del tutto simili, dal punto di vista della sicurezza sul loro luogo di lavoro. |
109 |
Ciò vale a maggior ragione in quanto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 157 delle sue conclusioni, gli incarichi di breve durata sono predominanti nel lavoro portuale. |
110 |
Infatti, durante il periodo transitorio menzionato al punto 105 della presente sentenza, solo i lavoratori portuali inseriti nel pool avranno la possibilità di concludere contratti di lavoro di breve durata, il che conduce, in pratica, a una situazione in cui tale pool è costituito da un numero limitato di lavoratori portuali ai quali si deve obbligatoriamente ricorrere. Orbene, è già stato rilevato al punto 74 della presente sentenza che la costituzione di un simile contingente costituisce una misura sproporzionata rispetto all’obiettivo di garantire la sicurezza nelle zone portuali e non può essere giustificata alla luce di tale obiettivo. |
111 |
Peraltro, anche dopo la fine del periodo transitorio, il fatto che i lavoratori portuali non inseriti nel pool debbano essere oggetto di un nuovo riconoscimento ogni volta che concludono un nuovo contratto di lavoro – anche qualora siano già stati poco tempo prima, in occasione della conclusione di un precedente contratto di lavoro di breve durata, oggetto di un riconoscimento – costituisce una restrizione alle libertà sancite agli articoli 45, 49 e 56 TFUE che non può essere giustificata alla luce dell’obiettivo menzionato al punto precedente. |
112 |
Non si può infatti ragionevolmente ritenere che simili lavoratori possano aver perso, poco tempo dopo il loro riconoscimento come lavoratori portuali, le capacità e le qualità che poco prima lo avevano giustificato. |
113 |
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione, alla seconda questione, lettera d), nonché alla terza e alla quarta questione nella causa C‑407/19 dichiarando che gli articoli 45, 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale:
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Sulla seconda questione, lettere da a) a c)
114 |
Con la seconda questione, lettere da a) a c), il giudice del rinvio nella causa C‑407/19 chiede sostanzialmente se gli articoli 45, 49 e 56 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale ai sensi della quale un lavoratore, a meno che non possa dimostrare di soddisfare in un altro Stato membro condizioni equivalenti, per essere riconosciuto come lavoratore portuale deve:
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115 |
Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 140 delle sue conclusioni, i requisiti di idoneità medica, di superamento di un test psicologico e di formazione professionale previa sono, in linea di principio, altrettante condizioni idonee a garantire la sicurezza nelle zone portuali e proporzionate rispetto a un simile obiettivo. |
116 |
Infatti, come ha fatto valere il governo belga nelle sue osservazioni scritte, tali requisiti offrono garanzie ragionevoli che il lavoro portuale verrà svolto in modo che sia il più sicuro possibile, da lavoratori che presentano il discernimento sufficiente e che dispongono di una formazione nonché di una motivazione adeguate al fine di ridurre il numero di infortuni sul lavoro e altri rischi per la pubblica sicurezza connessi alla manipolazione di merci. |
117 |
Il fatto che l’idoneità medica dei candidati al riconoscimento come lavoratori portuali sia controllata dal servizio per la prevenzione e la protezione sul lavoro al quale è iscritta l’organizzazione dei datori di lavoro della zona portuale interessata e che sia questa stessa organizzazione a designare l’organo incaricato di effettuare i test psicotecnici che tali candidati devono superare per essere riconosciuti non è, di per sé, tale da mettere in dubbio il carattere idoneo e proporzionato di detti requisiti. |
118 |
Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 141 delle sue conclusioni, simili esami medici, test o prove, per essere ritenuti necessari e proporzionati all’obiettivo perseguito devono essere effettuati in condizioni di trasparenza, obiettività e imparzialità. |
119 |
Spetta pertanto al giudice del rinvio nella causa C‑407/19 verificare se il ruolo svolto dall’organizzazione di datori di lavoro – e, se del caso, ai sindacati dei lavoratori portuali riconosciuti – nella designazione degli organi incaricati di effettuare simili esami, test o prove sia tale, nelle particolari circostanze della controversia principale, da rimettere in discussione il carattere trasparente, obiettivo e imparziale di tali esami, test o prove. |
120 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione, lettere da a) a c), dichiarando che gli articoli 45, 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale ai sensi della quale un lavoratore, a meno che non possa dimostrare di soddisfare in un altro Stato membro condizioni equivalenti, per essere riconosciuto come lavoratore portuale deve:
nei limiti in cui l’incarico affidato all’organizzazione di datori di lavoro – e, se del caso, ai sindacati dei lavoratori portuali riconosciuti – nella designazione degli organi incaricati di effettuare simili esami, test o prove non sia tale da rimettere in discussione il carattere trasparente, obiettivo e imparziale dei medesimi. |
Sulla quinta questione
121 |
Con la sua quinta questione il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se gli articoli 45, 49 e 56 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della quale i lavoratori portuali, riconosciuti come tali conformemente al regime legale loro applicabile prima dell’entrata in vigore di tale normativa, conservano, in applicazione di quest’ultima, la qualità di lavoratori portuali riconosciuti e sono inseriti nel contingente di lavoratori portuali previsto dalla suddetta normativa. |
122 |
Dal momento che, come risulta dal punto 62 della presente sentenza, l’obiettivo di un regime di riconoscimento dei lavoratori portuali, quale descritto dal giudice del rinvio nella causa C‑407/19, è di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli infortuni sul lavoro, una normativa nazionale in forza della quale i lavoratori portuali riconosciuti come tali in vigenza di un regime analogo anteriore conservano il loro riconoscimento in vigenza del nuovo regime non risulta inidonea a conseguire l’obiettivo perseguito né sproporzionata rispetto ad esso. |
123 |
Infatti si può ragionevolmente presumere che i lavoratori portuali già riconosciuti sotto il regime precedente possiedano già le capacità e le qualità necessarie per garantire la sicurezza nelle zone portuali. |
124 |
Dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio nella causa C‑407/19 risulta che la sua quinta questione è motivata dall’argomento dedotto dinanzi ad esso dalle ricorrenti nel procedimento principale in tale causa, secondo cui una misura come quella di cui al punto 121 della presente sentenza è tale da privare un datore di lavoro della possibilità di assumere in modo diretto, vale a dire al di fuori del pool, lavoratori portuali già riconosciuti, in quanto questi ultimi sarebbero restii a lasciare tale pool al fine di concludere un simile contratto di lavoro, dato che, così facendo, perderebbero il loro riconoscimento. |
125 |
Orbene, una simile argomentazione critica non il mantenimento, sotto il nuovo regime legale, del riconoscimento ottenuto da un lavoratore portuale in base al regime legale precedente, bensì il fatto che tale mantenimento non ha luogo se il lavoratore interessato lascia il pool al fine di concludere un contratto di lavoro direttamente con un datore di lavoro. |
126 |
A tale riguardo, e come risulta dal punto 113 della presente sentenza, gli articoli 45, 49 e 56 TFUE ostano a una normativa nazionale in forza della quale un lavoratore portuale riconosciuto, ma non inserito nel contingente di lavoratori da essa previsto, deve essere oggetto di una nuova procedura di riconoscimento per ogni nuovo contratto di lavoro da esso concluso. |
127 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla quinta questione nella causa C‑407/19 dichiarando che gli articoli 45, 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale in forza della quale i lavoratori portuali, riconosciuti come tali conformemente al regime legale loro applicabile prima dell’entrata in vigore di tale normativa, conservano, in applicazione di quest’ultima, la qualità di lavoratori portuali riconosciuti e sono inseriti nel contingente di lavoratori portuali previsto dalla suddetta normativa. |
Sulla sesta questione
128 |
Con la sua sesta questione il giudice del rinvio nella causa C‑407/19 chiede sostanzialmente se gli articoli 45, 49 e 56 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede che il trasferimento di un lavoratore portuale nel contingente di lavoratori di una zona portuale diversa da quella in cui ha ottenuto il suo riconoscimento sia soggetto a condizioni e modalità stabilite da un CCL. |
129 |
Si deve anzitutto rilevare che il fatto che simili condizioni e modalità sono stabilite da un CCL non fa sì che esse siano sottratte all’ambito di applicazione dei suddetti articoli (v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2007, International Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union, C‑438/05, EU:C:2007:772, punti 33 e 34). |
130 |
A tale riguardo, occorre rilevare che una normativa nazionale che subordini a talune condizioni, a prescindere dal fatto che esse siano stabilite dalla legge o da un CCL, la possibilità per un lavoratore portuale riconosciuto di lavorare in una zona portuale diversa da quella in cui ha ottenuto il suo riconoscimento costituisce una restrizione sia alla libera circolazione dei lavoratori sia alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. |
131 |
Infatti, una simile normativa restringe sia la libertà di un lavoratore portuale di svolgere incarichi in più zone portuali diverse sia la possibilità, per un’impresa che si stabilisce in una zona portuale determinata o che intende fornirvi servizi, di ricorrere ai servizi di un lavoratore portuale di sua scelta, che ha ottenuto il riconoscimento in una zona portuale diversa. |
132 |
Tuttavia, il governo belga, nelle sue osservazioni scritte, ha fatto valere che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, del regio decreto del 2004, il riconoscimento di un lavoratore portuale è valido in ogni zona portuale, salvo che quest’ultimo faccia parte del pool di una determinata zona portuale. In quest’ultimo caso, il passaggio da una zona portuale a un’altra dipenderà dall’esistenza di un fabbisogno di manodopera e dal fatto che la riserva di assunzioni sia aperta. Tale disposizione escluderebbe quindi unicamente la possibilità che un lavoratore portuale che fa parte del pool sia attivo contemporaneamente al di fuori del medesimo, a prescindere dal fatto che ciò avvenga nella stessa zona portuale o in un’altra. La possibilità di lavorare in un’altra zona portuale resterebbe tuttavia offerta a qualsiasi lavoratore portuale riconosciuto che non faccia parte del pool. |
133 |
A tale riguardo occorre, da un lato, precisare che una simile normativa può costituire una restrizione alle libertà garantite dagli articoli 45, 49 e 56 TFUE anche qualora riguardi solo un numero limitato di lavoratori. |
134 |
Dall’altro, alla luce delle indicazioni di cui al punto 132 della presente sentenza, si deve rilevare che, nei limiti in cui un pool di lavoratori portuali, ai sensi della normativa nazionale di cui al procedimento principale, mira a soddisfare in modo puntuale il fabbisogno di manodopera specializzata in ogni zona portuale dello Stato membro interessato, il fatto che il trasferimento di un lavoratore portuale tra i pool di due zone diverse è, in tali circostanze, subordinato a condizioni e modalità destinate a garantire che ogni pool disponga di manodopera in numero sufficiente, si può giustificare tenuto conto dell’obiettivo legittimo di garantire la sicurezza in ogni zona portuale. Infatti, una misura che preveda simili condizioni potrebbe, in particolare, consentire di assicurare che vi sia in permanenza un numero minimo di lavoratori qualificati in grado di garantire il funzionamento del porto in piena sicurezza. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se una simile misura sia necessaria e proporzionata rispetto a tale obiettivo. |
135 |
Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, occorre rispondere alla sesta questione nella causa C‑407/19 dichiarando che gli articoli 45, 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede che il trasferimento di un lavoratore portuale nel contingente di lavoratori di una zona portuale diversa da quella in cui ha ottenuto il suo riconoscimento sia soggetto a condizioni e modalità stabilite da un CCL, purché queste ultime risultino necessarie e proporzionate tenuto conto dell’obiettivo di garantire la sicurezza in ogni zona portuale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. |
Sulla settima questione
136 |
Con la sua settima questione il giudice del rinvio nella causa C‑407/19 chiede sostanzialmente se gli articoli 45, 49 e 56 TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede che i lavoratori logistici devono possedere un «certificato di sicurezza», emesso su presentazione della loro carta d’identità e del loro contratto di lavoro e le cui modalità di emissione, nonché la procedura da seguire per il suo ottenimento, sono stabilite da un CCL. |
137 |
Con tale questione il giudice del rinvio cerca di determinare la conformità agli articoli 45, 49 e 56 TFUE di una normativa nazionale che si limita a prevedere che il «certificato di sicurezza» di cui devono essere titolari i lavoratori logistici impiegati in una zona portuale è loro rilasciato su presentazione della loro carta d’identità e del loro contratto di lavoro, mentre le altre modalità di emissione di tale certificato nonché la procedura da seguire per ottenere tale documento devono essere stabilite da un CCL. |
138 |
Al riguardo occorre rilevare che, come risulta dal punto 129 della presente sentenza, sebbene gli articoli 45, 49 e 56 TFUE non ostino, in linea di principio, a che le condizioni di lavoro in uno Stato membro siano stabilite da CCL, tuttavia le condizioni così stabilite non sono sottratte all’ambito di applicazione di tali articoli. |
139 |
Orbene, la valutazione della proporzionalità e della necessità delle restrizioni alle libertà sancite dai suddetti articoli, che risultano dal requisito secondo cui ogni lavoratore logistico attivo in una zona portuale deve possedere un «certificato di sicurezza», deve necessariamente tener conto delle modalità concrete di rilascio di tale certificato, nonché della procedura da seguire a tal fine, stabilite da un CCL. |
140 |
Nell’ambito di tale valutazione occorre verificare che le condizioni di rilascio di un simile certificato vertano esclusivamente sulla questione di stabilire se il lavoratore logistico interessato presenti le qualità e le capacità necessarie per garantire la sicurezza nelle zone portuali e che la procedura prevista per l’ottenimento di tale certificato non imponga oneri amministrativi irragionevoli e sproporzionati. |
141 |
In particolare, il requisito secondo cui l’emissione del «certificato di sicurezza» richiede la presentazione del contratto di lavoro dell’interessato potrebbe avere la conseguenza di obbligare il datore di lavoro o il lavoratore interessato a chiedere l’emissione di un nuovo certificato ogni volta che sia stato concluso un nuovo contratto di lavoro. Dal momento che, come risulta dal punto 109 della presente sentenza, gli incarichi di breve durata sono predominanti nel settore del lavoro portuale, un simile requisito potrebbe risultare eccessivo e sproporzionato. Come sostenuto dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, sarebbe sufficiente prevedere il rinnovo periodico di un simile certificato, prevedendo al contempo che quest’ultimo resti valido dopo la risoluzione di un contratto di lavoro di breve durata. |
142 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla settima questione nella causa C‑407/19 dichiarando che gli articoli 45, 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che prevede che i lavoratori logistici devono possedere un «certificato di sicurezza», emesso su presentazione della loro carta d’identità e del loro contratto di lavoro e le cui modalità di emissione, nonché la procedura da seguire per il suo ottenimento, siano stabilite da un CCL, purché le condizioni per il rilascio di un simile certificato siano necessarie e proporzionate rispetto all’obiettivo di garantire la sicurezza nelle zone portuali e la procedura prevista per il suo ottenimento non imponga oneri amministrativi irragionevoli a sproporzionati. |
Sulle spese
143 |
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. |
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara: |
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Firme |
( *1 ) Lingua processuale: il neerlandese.