SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)
21 dicembre 2021 ( *1 )
«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive – Articolo 1, paragrafo 2 – Clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative – Esclusione dalla sfera di applicazione di detta direttiva – Prestito rimborsabile in valuta estera – Clausola che riproduce una disposizione nazionale di natura suppletiva – Incidenza della mancata trasposizione di detto articolo 1, paragrafo 2 – Articolo 3, paragrafo 1, e articolo 4, paragrafo 1 – Controllo del carattere abusivo di una clausola – Articolo 8 – Adozione o mantenimento di disposizioni nazionali che garantiscono un livello di tutela più elevato del consumatore – Interazione tra queste diverse disposizioni della direttiva 93/13»
Nella causa C‑243/20,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Polymeles Protodikeio Athinon (Tribunale collegiale di primo grado di Atene, Grecia), con decisione del 5 maggio 2020, pervenuta in cancelleria il 5 giugno 2020, nel procedimento
DP,
SG
contro
Trapeza Peiraios AE,
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta da L. Bay Larsen, vicepresidente della Corte, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, N. Jääskinen (relatore) e M. Safjan, giudici,
avvocato generale: J. Kokott
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
considerate le osservazioni presentate:
– |
per DP e SG, da V. Kontogiannis, dikigoros; |
– |
per Trapeza Peiraios AE, da S. Spyropoulos, dikigoros; |
– |
per il governo ellenico, da V. Karra, S. Charitaki e A. Magrippi, in qualità di agenti; |
– |
per il governo ceco, da M. Smolek, J. Vláčil e S. Šindelková, in qualità di agenti; |
– |
per la Commissione europea, da N. Ruiz García e A. Katsimerou, in qualità di agenti, |
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 |
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 2, dell’articolo 3, paragrafo 1, dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 8 della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29). |
2 |
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra DP e SG da una parte, e Trapeza Peiraios AE dall’altra, in merito al presunto carattere abusivo delle clausole contenute nelle modifiche di un contratto di prestito stipulato in euro, con le quali il franco svizzero è stato sostituito all’euro. |
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 |
Il dodicesimo ed il tredicesimo considerando della direttiva 93/13 sono formulati come segue: «considerando tuttavia che per le legislazioni nazionali nella loro forma attuale è concepibile solo un’armonizzazione parziale; che, in particolare, sono oggetto della presente direttiva soltanto le clausole non negoziate individualmente; che pertanto occorre lasciare agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato, un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle della presente direttiva; considerando che si parte dal presupposto che le disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri che disciplinano, direttamente o indirettamente, le clausole di contratti con consumatori non contengono clausole abusive; che pertanto non si reputa necessario sottoporre alle disposizioni della presente direttiva le clausole che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative nonché principi o disposizioni di convenzioni internazionali di cui gli Stati membri o la Comunità sono parte; che a questo riguardo l’espressione «disposizioni legislative o regolamentari imperative» che figura all’articolo 1, paragrafo 2 comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo». |
4 |
L’articolo 1, paragrafo 2, della medesima direttiva prevede quanto segue: «Le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative e disposizioni o principi di convenzioni internazionali, in particolare nel settore dei trasporti, delle quali gli Stati membri o la Comunità sono parte, non sono soggette alle disposizioni della presente direttiva». |
5 |
La versione greca dell’articolo 1, paragrafo 2, di tale direttiva contiene un secondo comma che recita quanto segue: «L’espressione «disposizioni legislative o regolamentari imperative» che figura all’articolo 1, paragrafo 2 comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo». |
6 |
L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13 enuncia quanto segue: «Una clausola contrattuale, che non è stata oggetto di negoziato individuale, si considera abusiva se, malgrado il requisito della buona fede, determina, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto». |
7 |
L’articolo 4 della medesima direttiva stabilisce quanto segue: «1. Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende. 2. La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile». |
8 |
A termini dell’articolo 8 della direttiva in parola: «Gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore». |
Diritto greco
9 |
L’articolo 291 dell’Astikos Kodikas (codice civile) prevede quanto segue: «Nel caso di un debito pecuniario espresso in valuta estera e da pagare in Grecia, il debitore ha il diritto, se non diversamente concordato, di pagare in valuta nazionale al tasso di cambio della valuta estera in vigore nel luogo e nel momento del pagamento». |
10 |
L’articolo 2, paragrafo 6, della legge n. 2251/1994, del 16 novembre 1994, sulla tutela dei consumatori (FΕΚ Α’ 191), che ha trasposto la direttiva 93/13 nell’ordinamento giuridico greco, prevede, nella versione applicabile alla causa principale (in prosieguo: la «legge 2251/1994»): «Le condizioni generali di contratto che hanno l’effetto di disturbare significativamente l’equilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti contraenti a danno del consumatore sono vietate e nulle. Il carattere abusivo di una condizione generale incorporata in un contratto si valuta tenendo conto della natura dei beni o servizi che sono oggetto del contratto, dello scopo del contratto, di tutte le circostanze specifiche relative alla sua conclusione, nonché di tutte le altre clausole del contratto, o di un altro contratto da cui esso dipende». |
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
11 |
I ricorrenti nella causa principale sono due consumatori residenti in Grecia, dove percepiscono un reddito in euro. Il 3 settembre 2004 essi hanno concluso con Trapeza Peiraios, una banca stabilita in tale Stato membro, un contratto di mutuo immobiliare della durata di 30 anni. Tale contratto di finanziamento era espresso in euro e soggetto a un tasso variabile definito in relazione al tasso Euribor a 360 giorni. |
12 |
Il 26 marzo 2007 e il 25 giugno 2007, le parti hanno firmato due modifiche per convertire il contratto di prestito, originariamente stipulato in euro, in franchi svizzeri. Tali modifiche prevedono, da un lato, che il rimborso del saldo residuo avvenga in franchi svizzeri e, dall’altro, che gli interessi siano calcolati ad un tasso fisso per i primi tre anni e poi ad un tasso variabile basato sul tasso LIBOR in franchi svizzeri a 360 giorni. |
13 |
Dal fascicolo sottoposto alla Corte risulta che, secondo la clausola 4.5 di quest’ultima modifica, «[i]l rimborso del prestito da parte del debitore sarà effettuato nella stessa moneta o nel controvalore in euro dell’importo in franchi svizzeri, essendo tale controvalore calcolato il giorno del pagamento della rata mensile in base al tasso di cambio della moneta in questione quale risulta sul mercato interbancario dei cambi. Questo tasso sarà più alto del tasso effettivo al quale la Banca vende il franco svizzero, che è indicato nel Bollettino quotidiano della Banca». |
14 |
Secondo la clausola 8.1, paragrafo 3, della suddetta modifica, «in caso di risoluzione del contratto di prestito, oltre alle conseguenze altrimenti previste nel presente documento, la Banca si riserva il diritto (ma non l’obbligo) di convertire l’intero saldo in euro, al tasso effettivo di vendita del franco svizzero indicato nel Bollettino giornaliero dei tassi di cambio della Banca il giorno della conversione, e addebitare gli interessi sul saldo residuo al tasso base della Banca per i mutui immobiliari, il margine e il prelievo della legge 128/75, oltre 2,5 punti percentuali. Se è in vigore un tasso d’interesse più alto, sarà applicato». |
15 |
Il 17 settembre 2018 i ricorrenti nel procedimento principale hanno proposto un ricorso contro Trapeza Peiraios dinanzi al giudice del rinvio, il Polymeles Protodikeio Athinon (Tribunale collegiale di primo grado di Atene, Grecia), principalmente per ottenere, da un lato, l’annullamento di tali modifiche e, dall’altro, il ripristino della situazione precedente ad esse. A sostegno delle loro richieste, essi fanno valere, inter alia, che la clausola 4.5 e la clausola 8.1, paragrafo 3, sopra menzionate (in prosieguo: le «clausole controverse») sono abusive e quindi nulle ai sensi dell’articolo 2 della legge 2251/1994. A loro avviso, la banca li aveva indotti a modificare il contratto di prestito senza informarli del rischio di cambio, anche se non avevano le conoscenze necessarie per percepire questo rischio. |
16 |
Il giudice del rinvio osserva che le clausole controverse si basano, in sostanza, sul contenuto dell’articolo 291 del codice civile, che permette al mutuatario, salvo accordo contrario, di pagare, in Grecia, il suo debito espresso in una valuta straniera o in tale valuta o nella valuta nazionale al tasso di cambio di tale valuta in vigore nel luogo e nel momento del pagamento. |
17 |
Di conseguenza, questo giudice si chiede se può controllare il carattere abusivo delle clausole contestate, quando l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 esclude dal suo campo di applicazione «le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative». |
18 |
Inoltre, il giudice nazionale sottolinea che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, nella sua versione greca, esonera le clausole contrattuali che riproducono disposizioni legislative o regolamentari integrative dal controllo del carattere abusivo e non è stato esplicitamente ripreso nella legge 2251/1994, di attuazione della direttiva 93/13 nel diritto greco. |
19 |
A tale riguardo, il giudice del rinvio ricorda che esistono divergenze nella giurisprudenza greca quanto alla questione se, in assenza di una disposizione di diritto interno che riprenda espressamente l’esclusione contenuta nell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la normativa nazionale possa comunque essere interpretata come trasposizione di tale direttiva, cosicché sarebbe impossibile controllare il carattere abusivo di una clausola contrattuale che si limiti a riprodurre una disposizione legislativa di natura suppletiva come l’articolo 291 del codice civile. |
20 |
In tal senso, dalla decisione di rinvio risulta che, nella sentenza n. 4/2019, la Corte plenaria dell’Areios Pagos (Corte di cassazione, Grecia) ha statuito che, pur non essendo stata recepita nell’ordinamento greco da una disposizione specifica ed esplicita, l’esclusione prevista dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 è tuttavia inerente all’articolo 2, paragrafo 6, della legge 2251/1994, in virtù di un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione e all’obiettivo della direttiva stessa. Secondo questa sentenza, «quando la clausola controversa riflette una disposizione di diritto nazionale, imperativa o suppletiva, è per definizione inconcepibile che l’equilibrio tra le parti contraenti sia disturbato o che la clausola sia abusiva. Pertanto, una tale clausola non rientra ictu oculi nell’ambito della legge 2251/1994». La sentenza precisa che questo è il caso di una clausola in un contratto di mutuo che riflette il contenuto dell’articolo 291 del codice civile. |
21 |
La decisione di rinvio menziona che questa interpretazione non è stata tuttavia accettata all’unanimità. Secondo il parere di minoranza espresso dall’Areios Pagos (Corte di cassazione), l’esclusione prevista dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non può essere considerata contenuta nell’articolo 2, paragrafo 6, della legge 2251/1994, poiché le deroghe al controllo del carattere abusivo di una clausola devono essere interpretate in senso stretto. Detto parere di minoranza si basa sul fatto che questa direttiva, come dichiarato nel suo dodicesimo considerando e nel suo articolo 8, si limita a compiere un’armonizzazione parziale e minima, lasciando agli Stati membri il compito di offrire un livello di protezione più elevato ai consumatori. Sarebbe a tal fine che il legislatore greco avrebbe deliberatamente omesso, nel trasporre detta direttiva, l’esclusione prevista dal suo articolo 1, paragrafo 2. Una diversa interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 6, della legge 2251/1994 sarebbe in contrasto con l’intento del legislatore greco di concedere una protezione più intensa ai consumatori e costituirebbe una interpretazione contra legem inaccettabile. |
22 |
Il giudice del rinvio precisa che la maggioranza dei suoi membri concorda con quest’ultimo punto di vista e ritiene che i giudici greci possano controllare il carattere abusivo delle clausole di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, poiché il legislatore greco non ha recepito nel diritto interno la deroga prevista da tale disposizione. |
23 |
Ciò premesso, il Polymeles Protodikeio Athinon (Tribunale collegiale di primo grado di Atene) ha deciso di sospendere il procedimento e di proporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
|
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
24 |
Trapeza Peiraios sostiene che sia l’intera domanda di pronuncia pregiudiziale sia ciascuna delle questioni poste siano viziate da diversi motivi di irricevibilità. In sostanza, essa sostiene che, in primo luogo, tale domanda non ha alcun rapporto con l’oggetto del procedimento principale e chiede alla Corte di emettere un parere consultivo. In secondo luogo, l’Areios Pagos (Corte di cassazione) avrebbe già messo fine al dibattito giurisprudenziale interno cui si fa riferimento in detta domanda e la Corte non sarebbe competente a pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni di diritto nazionale che sarebbero state solo invocate dai ricorrenti nel procedimento principale. In terzo luogo, alcune delle domande poste dal giudice nazionale sarebbero imprecise o addirittura incomprensibili. |
25 |
A tal proposito si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni sottoposte alla Corte, le quali godono di una presunzione di rilevanza. Pertanto, quando la questione sollevata riguarda l’interpretazione o la validità di una norma di diritto dell’Unione, la Corte è, in linea di principio, obbligata a pronunciarsi, a meno che non sia evidente che l’interpretazione richiesta non ha alcun legame con la realtà o con l’oggetto della causa principale, se il problema è ipotetico o se la Corte non dispone degli elementi di fatto e di diritto necessari per dare una risposta utile a tale questione (sentenza del 2 settembre 2021, OTP Jelzálogbank e a., C‑932/19, EU:C:2021:673, punto 26 e giurisprudenza ivi citata). |
26 |
È parimenti pacifico che, nel contesto del procedimento previsto dall’articolo 267 TFUE, fondato su una netta separazione delle funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, il giudice nazionale è il solo competente a interpretare e applicare disposizioni di diritto nazionale, mentre la Corte può pronunciarsi unicamente sull’interpretazione o la validità di un testo dell’Unione, sulla base dei fatti che le vengono indicati dal giudice nazionale [v., in tal senso, sentenze del 29 aprile 2021, Bank BPH, C‑19/20, EU:C:2021:341, punto 37 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 10 giugno 2021, Ultimo Portfolio Investment (Luxembourg),C‑303/20, EU:C:2021:479, punto 25 e giurisprudenza ivi citata]. |
27 |
Nella specie, il giudice del rinvio si interroga sul senso e la portata di diverse disposizioni di diritto dell’Unione al fine di determinare se può procedere al controllo del carattere abusivo delle clausole controverse in applicazione della direttiva 93/13. Detto giudice, infatti, chiede alla Corte di interpretare l’articolo 1, paragrafo 2, l’articolo 3, paragrafo 1, l’articolo 4, paragrafo 1, e l’articolo 8 di detta direttiva, precisando che la legge 2251/1994, di cui si avvalgono, in particolare, i ricorrenti nel procedimento principale, è intesa a trasporre detta direttiva nel sistema giuridico greco. Inoltre, tale giudice ha esposto, con sufficiente chiarezza e precisione, le circostanze di fatto all’origine della controversia nel procedimento principale nonché il quadro giuridico in cui essa si colloca, da cui risulta che le questioni sollevate non sono né irrilevanti per l’oggetto di tale controversia né di natura ipotetica. |
28 |
Ne consegue che la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile. |
Nel merito
Sulla quarta questione pregiudiziale
29 |
Con la quarta questione, che è opportuno esaminare per prima, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che esclude dall’ambito di applicazione di tale direttiva una clausola inserita in un contratto concluso tra un professionista e un consumatore che riproduca una disposizione legislativa o regolamentare di natura suppletiva, vale a dire che si applica per difetto in assenza di un diverso accordo tra le parti, anche se tale clausola non è stata oggetto di negoziato individuale. |
30 |
A questo proposito, occorre ricordare che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 esclude dal suo campo di applicazione le clausole contrattuali che riproducono «disposizioni legislative o regolamentari imperative», espressione che, alla luce del tredicesimo considerando di tale direttiva comprende sia le disposizioni di diritto nazionale che si applicano tra le parti contraenti indipendentemente dalla loro scelta, sia quelle di natura suppletiva, cioè che si applicano in via residuale, in assenza di un diverso accordo tra le parti (sentenza del 2 settembre 2021, OTP Jelzálogbank e a., C‑932/19, EU:C:2021:673, punto 28 e giurisprudenza ivi citata). |
31 |
A tal riguardo, occorre sottolineare che la versione greca della direttiva 93/13 è l’unica in cui l’articolo 1, paragrafo 2, contiene un secondo comma, la cui formulazione corrisponde a quella del tredicesimo considerando di tale direttiva, secondo cui l’espressione «disposizioni legislative o regolamentari imperative» che figura in tale disposizione «comprende anche le regole che per legge si applicano tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo». |
32 |
Tuttavia, secondo costante giurisprudenza della Corte, la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può servire quale unico fondamento per l’interpretazione di tale disposizione, né si può attribuire a essa un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Le disposizioni del diritto dell’Unione devono infatti essere interpretate e applicate in modo uniforme, alla luce delle versioni vigenti in tutte le lingue dell’Unione. In caso di divergenza tra le diverse versioni linguistiche di un testo del diritto dell’Unione, la disposizione di cui trattasi deve essere interpretata in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte (sentenza del 9 luglio 2020, Banca Transilvania, EU:C:2020:532, C‑81/19, punto 33 e giurisprudenza ivi citata). |
33 |
Per quanto riguarda l’economia generale della direttiva 93/13, la Corte ha statuito che l’articolo 1, paragrafo 2, di tale direttiva deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale che non è stata oggetto di negoziato individuale, ma che riproduce una regola che per la legge nazionale si applica tra le parti contraenti allorché non è stato convenuto nessun altro accordo al riguardo, non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva (sentenza del 9 luglio 2020, Banca Transilvania, C‑81/19, EU:C:2020:532, punto 37). |
34 |
A tal riguardo, la Corte ha precisato che il fatto che una clausola contrattuale che riproduce una delle disposizioni di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non sia stata oggetto di negoziato individuale non incide sulla sua esclusione dall’ambito di applicazione della stessa direttiva. Infatti, conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13, l’assenza di negoziato individuale è una condizione relativa all’avvio del controllo del carattere abusivo di una clausola che non può intervenire nel caso in cui la clausola contrattuale non rientri nel suo ambito di applicazione (sentenza del 9 luglio 2020, Banca Transilvania, C‑81/19, EU:C:2020:532, punto 36). |
35 |
Per quanto riguarda la finalità della direttiva 93/13, la Corte ha ripetutamente affermato che l’esclusione dall’applicazione del regime di tale direttiva che deriva dal suo articolo 1, paragrafo 2, è giustificata dal fatto che è, in linea di principio, legittimo presumere che il legislatore nazionale abbia stabilito un equilibrio tra l’insieme dei diritti e degli obblighi delle parti di determinati contratti, equilibrio che il legislatore dell’Unione ha espressamente voluto preservare (sentenza del 10 giugno 2021, Prima banka Slovensko, C‑192/20, EU:C:2021:480, punto 32 e giurisprudenza ivi citata). Inoltre, la Corte ha precisato che la circostanza che sia stato stabilito un siffatto equilibrio costituisce non già una condizione per l’applicazione dell’esclusione di cui all’articolo 1, paragrafo 2, bensì la giustificazione di una simile esclusione (v., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2020, Banca Transilvania, C‑81/19, EU:C:2020:532, punto 27, nonché ordinanza del 14 ottobre 2021, NSV e NM, C‑87/21, non pubblicata, EU:C:2021:860, punto 31). |
36 |
Dalle considerazioni esposte ai punti da 33 a 35 risulta che i giudici nazionali non possono controllare, alla luce della direttiva 93/13, il carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto concluso tra un professionista e un consumatore, anche se tale clausola non è stata oggetto di un negoziato individuale, quando essa riproduce una disposizione legislativa o regolamentare «imperativa», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, di tale direttiva, ove tale nozione comprende non solo una disposizione che si applica tra le parti contraenti indipendentemente dalla loro scelta, ma anche una disposizione di natura suppletiva, vale a dire che si applica in via residuale, in assenza di un diverso accordo tra le parti, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 30 della presente sentenza. |
37 |
Spetta ai giudici nazionali aditi verificare se la clausola in questione rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 alla luce dei criteri definiti dalla Corte, vale a dire prendendo in considerazione la natura, la struttura generale e le clausole dei contratti di prestito in questione nonché il contesto giuridico e fattuale in cui tali elementi si inseriscono, tenendo conto del fatto che, alla luce dell’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito da tale direttiva, l’eccezione prevista all’articolo 1, paragrafo 2, della stessa deve essere interpretata in senso stretto (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2017, Andriciuc e a., C‑186/16, EU:C:2017:703, punti 30 e 31). |
38 |
Nella specie, il giudice nazionale ritiene che le clausole controverse, che non sembrano essere state oggetto di negoziato tra le parti del contratto di prestito in questione, riproducano il contenuto dell’articolo 291 del codice civile, che detto giudice qualifica come disposizione legislativa di natura suppletiva. |
39 |
Tuttavia, occorre ricordare che spetta a tale giudice esaminare, applicando i criteri enunciati al punto 37 della presente sentenza, se tutte le clausole impugnate dinanzi ad esso riproducano effettivamente disposizioni di diritto nazionale imperative ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, considerando che le clausole che non rientrano in tale classificazione non possono essere escluse dall’ambito di applicazione di tale direttiva su tale base. Il fatto che alcune clausole che riproducono tali disposizioni legislative non rientrino nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13 non significa che la validità di altre clausole, contenute nello stesso contratto e non coperte da disposizioni legislative, non possa essere valutata dal giudice nazionale alla luce di tale direttiva (sentenza del 20 settembre 2018, OTP Bank e OTP Faktoring, C‑51/17, EU:C:2018:750, punto 66). |
40 |
Alla luce di quanto precede, si deve rispondere alla quarta questione dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esclude dall’ambito di applicazione di tale direttiva una clausola inserita in un contratto concluso tra un professionista e un consumatore che riproduca una disposizione legislativa o regolamentare nazionale di natura suppletiva, cioè che si applica in via residuale, in assenza di un diverso accordo tra le parti, anche se tale clausola non è stata oggetto di negoziato individuale. |
Sulla seconda e terza questione pregiudiziale
41 |
Con la seconda e la terza questione, che devono essere esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che i giudici di uno Stato membro sono tenuti ad escludere dall’ambito di applicazione di tale direttiva i termini di cui al detto articolo 1, paragrafo 2, anche se tale disposizione non è stata formalmente recepita nell’ordinamento giuridico di tale Stato e, in tal caso, se tali giudici possono ritenere che l’articolo 1, paragrafo 2, sia stato incorporato indirettamente nel diritto nazionale mediante la trasposizione dell’articolo 3, paragrafo 1, e dell’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva. |
42 |
Tale questione si basa sulla premessa che, poiché l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non è stato espressamente incluso nella normativa greca che lo recepiva, l’Areios Pagos (Corte di cassazione) ha statuito, sulla base di un’interpretazione del diritto nazionale ritenuta conforme a tale direttiva, che l’esclusione dall’ambito di applicazione della direttiva prevista dall’articolo 1, paragrafo 2, è implicita in tale normativa, poiché tale esclusione è insita nell’articolo 2, paragrafo 6, della legge 2251/1994, che ha recepito l’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva. |
43 |
Anzitutto, per quanto riguarda le conseguenze dell’assenza di trasposizione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 nel diritto interno, occorre sottolineare che le disposizioni di tale direttiva si applicano unicamente a fattispecie che non sono escluse dal suo ambito di applicazione, segnatamente con riguardo all’esclusione che detto articolo 1, paragrafo 2, istituisce, alle condizioni che esso definisce (v., in tal senso, sentenze del 26 marzo 2020, Mikrokasa e Revenue Niestandaryzowany Sekurytyzacyjny Fundusz Inwestycyjny Zamknięty, C‑779/18, EU:C:2020:236, punto 50, nonché del 9 luglio 2020, Banca Transilvania, C‑81/19, EU:C:2020:532, punto 23 e giurisprudenza ivi citata). |
44 |
Si deve quindi osservare che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 esclude dal suo campo di applicazione le clausole ivi menzionate, in particolare quelle che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative. Di conseguenza, nonostante l’eventuale mancata trasposizione del summenzionato articolo 1, paragrafo 2, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, resta il fatto che il controllo, alla luce delle esigenze di tale direttiva, della conformità di tali clausole contrattuali, e indirettamente delle disposizioni nazionali imperative che esse riproducono, non è previsto dal diritto dell’Unione. |
45 |
Infatti, una tale mancanza di recepimento non può modificare il campo di applicazione della direttiva 93/13, che deve, in linea di principio, essere lo stesso in tutti gli Stati membri, fatti salvi gli adeguamenti autorizzati dal diritto dell’Unione. A quest’ultimo proposito, occorre ricordare che gli Stati membri conservano, in particolare, la possibilità di applicare le disposizioni di tale direttiva, come norme di diritto nazionale, a situazioni che non rientrano nel suo campo di applicazione, purché ciò sia compatibile con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva e con i trattati (v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Condominio di Milano, via Meda, C‑329/19, EU:C:2020:263, punti da 32 a 38). |
46 |
Infine, tenuto conto del contesto in cui si inserisce il procedimento principale, quale risulta dai punti da 18 a 22 e 42 della presente sentenza, occorre esaminare se, qualora l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non sia stato espressamente trasposto nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro mediante l’adozione di una disposizione giuridica espressa e specifica in tal senso i giudici di tale Stato possono, anzi devono, ritenere che tale disposizione sia stata implicitamente recepita con l’adozione di disposizioni nazionali che traspongono l’articolo 3, paragrafo 1, e l’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva. |
47 |
A tale riguardo, occorre ricordare che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 limita la portata del sistema di protezione contro le clausole abusive istituito da tale direttiva, mentre gli articoli 3 e 4 della stessa riguardano, rispettivamente, la nozione di clausole abusive e la portata della valutazione del carattere abusivo di tali clausole nell’ambito di tale direttiva. |
48 |
Peraltro, come la Corte ha già statuito, qualsiasi strumento di diritto dell’Unione è applicabile a una determinata situazione solo nella misura in cui essa rientra nell’ambito di applicazione di tale strumento (ordinanze del 14 aprile 2021, Credit Europe Ipotecar IFN e Credit Europe Bank, C‑364/19, EU:C:2021:306, punto 32 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 14 ottobre 2021, NSV e NM, C‑87/21, non pubblicata, EU:C:2021:860, punto 37). Inoltre, risulta chiaramente dalla struttura stessa della direttiva 93/13 che l’eventuale valutazione del carattere abusivo di una clausola con riguardo alle disposizioni della direttiva medesima, e segnatamente dei suoi articoli 3 e 4, impone di determinare previamente se la clausola in questione ricade nella sfera di applicazione di detta direttiva, in particolare con riguardo all’esclusione prevista dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva stessa (v., in tal senso, sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, C‑609/19, EU:C:2021:469, punti 23 e 26, nonché ordinanze del 14 aprile 2021, Credit Europe Ipotecar IFN e Credit Europe Bank, C‑364/19, EU:C:2021:306, punto 33, e del 14 ottobre 2021, NSV e NM, C‑87/21, non pubblicata, EU:C:2021:860, punto 38). |
49 |
Pertanto, quando l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, il cui oggetto è quello di definire l’ambito di applicazione di tale direttiva, non è stato formalmente recepito nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro mediante una disposizione giuridica espressa e specifica, i giudici di tale Stato non possono ritenere che tale disposizione sia stata indirettamente incorporata nell’ordinamento giuridico dello Stato membro mediante la trasposizione dell’articolo 3, paragrafo 1, e dell’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva, che non hanno lo stesso oggetto. |
50 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda e alla terza questione dichiarando che l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che le clausole di cui al detto articolo 1, paragrafo 2, sono escluse dall’ambito di applicazione di tale direttiva, ancorché tale disposizione non sia stata formalmente recepita nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro e, in tal caso, i giudici di tale Stato membro non possono ritenere che l’articolo 1, paragrafo 2, sia stato incorporato indirettamente nel diritto nazionale mediante la trasposizione dell’articolo 3, paragrafo 1, e dell’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva. |
Sulla prima questione pregiudiziale
51 |
Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 8 della direttiva 93/13 debba essere interpretato nel senso che non osta all’adozione o al mantenimento di disposizioni di diritto nazionale aventi l’effetto di applicare il sistema di tutela dei consumatori previsto da tale direttiva a clausole di cui al suo articolo 1, paragrafo 2. |
52 |
In via preliminare, occorre rilevare che il giudice del rinvio e i ricorrenti nella causa principale sembrano concordare sul fatto che la mancata trasposizione nell’ordinamento greco, con la legge 2251/1994, dell’esclusione prevista dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 persegue implicitamente, sulla base dell’articolo 8 di tale direttiva, l’obiettivo di aumentare il livello di protezione dei consumatori rispetto a quello garantito dalla direttiva stessa. Tuttavia, nelle loro osservazioni scritte, Trapeza Peiraios e il governo greco negano che il legislatore nazionale abbia avuto una tale intenzione. |
53 |
A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, spetta alla Corte prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze con i giudici nazionali, il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dal provvedimento di rinvio, di modo che l’esame di una domanda di pronuncia pregiudiziale non può essere effettuato alla luce dell’interpretazione del diritto nazionale invocata dal governo di uno Stato membro o da una parte della causa principale [v., in tal senso, sentenza del 15 aprile 2021, État belge (Elementi successivi alla decisione di trasferimento), C‑194/19, EU:C:2021:270, punto 26 e giurisprudenza ivi citata]. |
54 |
Chiarito questo punto, occorre ricordare che, secondo il considerando 12 della direttiva 93/13, quest’ultima procede solo ad un’armonizzazione parziale e minima delle legislazioni nazionali in materia di clausole abusive, lasciando agli Stati membri la possibilità di garantire, nel rispetto del trattato FUE, un più elevato livello di protezione per i consumatori mediante disposizioni nazionali più severe di quelle contenute in detta direttiva. Inoltre, ai sensi dell’articolo 8 di tale direttiva, gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla direttiva stessa, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore (v., in tal senso, sentenze del 2 aprile 2020, Condominio di Milano, via Meda, C‑329/19, EU:C:2020:263, punto 33, e del 3 settembre 2020, Profi Credit Polska, C‑84/19, C‑222/19 e C‑252/19, EU:C:2020:631, punto 84). |
55 |
Dalla formulazione dell’articolo 8 della direttiva 93/13 si evince che l’opzione di cui dispongono gli Stati membri in virtù di tale disposizione, al fine di aumentare il livello di protezione dei consumatori, è applicabile «nel settore disciplinato da [tale] direttiva», che copre le clausole suscettibili di essere abusive che figurano nei contratti conclusi tra un professionista e un consumatore. |
56 |
L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, letto alla luce del tredicesimo considerando della direttiva medesima, esclude dall’ambito di applicazione della stessa talune clausole di contratti conclusi con i consumatori, in particolare quelle che riproducono disposizioni legislative o regolamentari imperative. |
57 |
L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non pregiudica il diritto degli Stati membri, quale risulta dal dodicesimo considerando e dall’articolo 8 di tale direttiva, di garantire un livello di tutela dei consumatori più elevato mediante disposizioni nazionali più rigorose di quelle della direttiva stessa, nel rispetto del Trattato FUE. |
58 |
Inoltre, nella sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid (C‑484/08, EU:C:2010:309, punti da 30 a 35, 40 e 43), riguardante la relazione tra la facoltà di cui all’articolo 8 e l’eccezione al meccanismo di controllo sostanziale delle clausole abusive di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la Corte, dopo aver rilevato che le clausole di cui a detto articolo 4, paragrafo 2, rientrano nel settore disciplinato dalla direttiva 93/13 e che, di conseguenza, l’articolo 8 di tale direttiva si applica anche al summenzionato articolo 4, paragrafo 2, ha statuito che queste due disposizioni non ostano a una legislazione nazionale che consente il controllo giurisdizionale del carattere abusivo di tali clausole e che offre al consumatore un livello di protezione più elevato di quello stabilito da tale direttiva. |
59 |
La Corte ha quindi ricordato che le clausole di cui all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non sono oggetto di una valutazione quanto al loro eventuale carattere abusivo, ricadendo piuttosto nel settore disciplinato dalla direttiva ai sensi del suo articolo 8 (v., in tal senso, sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai, C‑26/13, EU:C:2014:282, punto 41), e che una disposizione di diritto nazionale che conferisce una portata più restrittiva all’eccezione prevista da detto articolo 4, paragrafo 2, contribuisce all’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla stessa direttiva (sentenza del 3 settembre 2020, Profi Credit Polska, C‑84/19, C‑222/19 e C‑252/19, EU:C:2020:631, punto 85). |
60 |
Tuttavia, c’è una differenza tra l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13, che esclude una prima categoria di clausole contrattuali dalla sfera di applicazione materiale della direttiva, e l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva medesima, che non definisce la sfera di applicazione della direttiva, ma esclude dalla valutazione del carattere abusivo una seconda categoria di clausole contrattuali che, di per sé, rientrano nella sfera di applicazione della direttiva (v., in tal senso, sentenza del 3 giugno 2010, Caja de Ahorros y Monte de Piedad de Madrid, C‑484/08, EU:C:2010:309, punto 32). |
61 |
Pertanto, è giocoforza constatare che le clausole di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 93/13 non rientrano nel settore disciplinato da tale direttiva e che, di conseguenza, l’articolo 8 di quest’ultima non si applica a detto articolo 1, paragrafo 2. |
62 |
Ciò premesso, occorre tuttavia rilevare, come sottolineato al punto 45 della presente sentenza, che gli Stati membri possono applicare le disposizioni di tale direttiva a situazioni che non rientrano nel suo ambito di applicazione, purché ciò sia compatibile con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva e con i trattati (v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Condominio di Milano, via Meda, C‑329/19, EU:C:2020:263, punto 37). |
63 |
Di conseguenza, si deve rispondere alla prima questione affermando che l’articolo 8 della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che non osta all’adozione o al mantenimento di disposizioni di diritto nazionale aventi l’effetto di applicare il sistema di tutela dei consumatori previsto da tale direttiva alle clausole di cui al suo articolo 1, paragrafo 2. |
Sulle spese
64 |
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. |
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara: |
|
|
|
Firme |
( *1 ) Lingua processuale: il greco.