SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

25 giugno 2020 ( *1 )

«Impugnazione – Funzione pubblica – Parlamento europeo – Agente contrattuale – Articoli 12 bis e 24 dello statuto dei funzionari dell’Unione europea – Molestie psicologiche – Domanda di assistenza – Diritto di essere ascoltato – Rigetto della domanda di assistenza – Articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Portata del sindacato giurisdizionale»

Nella causa C‑570/18 P,

avente ad oggetto un’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 10 settembre 2018,

HF, rappresentata da A. Tymen, avocate,

ricorrente,

procedimento in cui l’altra parte è:

Parlamento europeo, rappresentato da E. Taneva e T. Lazian, in qualità di agenti,

convenuto in primo grado,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da A. Arabadjiev, presidente di sezione, T. von Danwitz e A. Kumin (relatore), giudici,

avvocato generale: H. Saugmandsgaard Øe

cancelliere: V. Giacobbo-Peyronnel, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 13 novembre 2019,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 29 gennaio 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, la ricorrente chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 29 giugno 2018, HF/Parlamento (T‑218/17; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2018:393), con la quale quest’ultimo ha respinto il suo ricorso inteso, da un lato, all’annullamento della decisione del Parlamento europeo del 3 giugno 2016, con la quale l’autorità abilitata a concludere i contratti di assunzione di tale istituzione ha respinto la sua domanda di assistenza presentata l’11 dicembre 2014 e, dall’altro, al risarcimento del danno che essa sostiene di aver subito a seguito degli illeciti commessi dal tale autorità nel trattare la suddetta domanda di assistenza.

2

Con la sua impugnazione incidentale, il Parlamento chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata, a causa degli errori di diritto commessi dal Tribunale ai punti 80, 81 e 123 di tale sentenza, di respingere il ricorso in primo grado e di condannare la ricorrente alle spese.

Contesto normativo

3

L’articolo 12 bis dello statuto dei funzionari dell’Unione europea, nella sua versione applicabile alla controversia (in prosieguo: lo «statuto»), dispone quanto segue:

«1.   Il funzionario deve astenersi da ogni forma di molestia psicologica o sessuale.

(...)

3.   Per “molestia psicologica” si intende ogni condotta inopportuna che si manifesti in maniera durevole, ripetitiva o sistematica attraverso comportamenti, parole, scritti, gesti e atti intenzionali che ledono la personalità, la dignità o l’integrità fisica o psichica di una persona».

4

L’articolo 24 di tale statuto così dispone:

«L’Unione assiste il funzionario, in particolare nei procedimenti a carico di autori di minacce, oltraggi, ingiurie, diffamazioni, attentati contro la persona e i beni di cui il funzionario o i suoi familiari siano oggetto, a motivo della sua qualità e delle sue funzioni.

Essa risarcisce solidalmente il funzionario dei danni subiti in conseguenza di tali fatti, sempreché egli, intenzionalmente o per negligenza grave, non li abbia causati e non ne abbia potuto ottenere il risarcimento dal responsabile».

5

Ai sensi dell’articolo 90 del suddetto statuto:

«1.   Qualsiasi persona cui si applica il presente statuto può presentare all’autorità che ha il potere di nomina una domanda che l’inviti a prendere a suo riguardo una decisione. L’autorità notifica la propria decisione debitamente motivata all’interessato nel termine di quattro mesi a decorrere dal giorno della presentazione della domanda. Alla scadenza di tale termine, la mancanza di risposta alla domanda va considerata come decisione implicita di rigetto, che può formare oggetto di reclamo ai sensi del paragrafo 2.

2.   Qualsiasi persona cui si applica il presente statuto può presentare all’autorità che ha il potere di nomina un reclamo avverso un atto che le arrechi pregiudizio, sia che l’autorità abbia preso una decisione, sia che essa non abbia preso una misura imposta dallo statuto. Il reclamo deve essere presentato entro un termine di tre mesi. (...)

(...)

L’autorità notifica la propria decisione debitamente motivata all’interessato nel termine di quattro mesi a decorrere dal giorno della presentazione del reclamo. Alla scadenza di tale termine, la mancanza di risposta va considerata come decisione implicita di rigetto, che può formare oggetto di ricorso ai sensi dell’articolo 91».

Fatti all’origine della controversia

6

I fatti all’origine della controversia sono esposti ai punti da 1 a 33 della sentenza impugnata e possono essere riassunti come segue.

7

Tra il 2005 e il 2015 la ricorrente, HF, ha lavorato a diverso titolo, vale a dire in qualità di agente ausiliario, di agente contrattuale o ancora di agente temporaneo, nell’ambito dell’unità Audiovisivi della direzione generale «Comunicazione» del Parlamento europeo.

8

Con lettera dell’11 dicembre 2014, indirizzata al segretario generale del Parlamento (in prosieguo: il «segretario generale») e, in copia, al presidente del comitato consultivo competente per le molestie sul lavoro e per la relativa prevenzione (in prosieguo: il «comitato consultivo») nonché al Presidente del Parlamento e al direttore generale della direzione generale (DG) «Personale» del segretariato generale del Parlamento (in prosieguo: il «direttore generale del personale»), la ricorrente ha presentato, in base all’articolo 90, paragrafo 1, dello statuto, una domanda di assistenza ai sensi dell’articolo 24 dello statuto (in prosieguo: la «domanda di assistenza»). Essa chiedeva, più precisamente, l’adozione di provvedimenti urgenti per essere immediatamente protetta dal suo asserito molestatore e l’avvio di un’indagine amministrativa da parte dell’autorità abilitata a concludere i contratti di assunzione del Parlamento (in prosieguo: l’«AACC») per accertare la reale sussistenza dei fatti.

9

A sostegno di tale domanda, la ricorrente sosteneva di essere vittima di molestie psicologiche, ai sensi dell’articolo 12 bis dello statuto, da parte del capo dell’unità Audiovisivi (in prosieguo: il «capo unità»). Tali molestie si sarebbero concretizzate in condotte, parole e scritti di quest’ultimo, in particolare in occasione di riunioni di servizio.

10

Con lettera del 4 febbraio 2015 il direttore generale del personale ha informato la ricorrente che era stato adottato a suo favore un provvedimento consistente nella sua riassegnazione all’unità Programma di visite al fine di allontanarla dal capo unità.

11

Con lettera dell’8 dicembre 2015, il direttore generale del personale ha informato la ricorrente della sua intenzione di considerare infondata la domanda di assistenza, in esito, segnatamente, all’audizione, da parte del comitato consultivo, del capo unità e di altri quattordici funzionari e agenti dell’unità Audiovisivi.

12

Con lettera del 17 dicembre 2015, la ricorrente ha sollecitato la comunicazione della relazione, a suo avviso, di «indagine», redatta dal comitato consultivo. Tale richiesta è stata reiterata con lettera del 5 febbraio 2016.

13

Con lettera del 9 febbraio 2016, il direttore generale del personale ha concesso alla ricorrente un termine, che scadeva il 1o aprile 2016, per depositare le sue osservazioni scritte circa l’intenzione del direttore generale medesimo di respingere la suddetta domanda di assistenza. Inoltre, le ha precisato che il comitato consultivo gli aveva inviato solo un parere in cui si concludeva nel senso dell’insussistenza di molestie psicologiche. Al riguardo, sarebbe stato normale che il comitato consultivo non gli avesse comunicato alcuna relazione, come previsto dall’articolo 14 delle norme interne in materia di molestie, perché tale relazione sarebbe redatta dal comitato consultivo solo nei casi in cui esso accerti l’esistenza di molestie psicologiche.

14

Il 1o aprile 2016 la ricorrente ha depositato le sue osservazioni scritte, nelle quali, ribadendo il fatto che i comportamenti del capo unità nei suoi confronti configuravano una «molestia psicologica» ai sensi dell’articolo 12 bis dello statuto, essa ha in particolare contestato l’affermazione del direttore generale del personale secondo cui il comitato consultivo non avrebbe redatto alcuna relazione, ai sensi dell’articolo 14 delle norme interne in materia di molestie, ma avrebbe soltanto emesso un parere. A tale riguardo, essa fa valere che il rifiuto, da parte del direttore generale del personale, di comunicarle integralmente le conclusioni del comitato consultivo violava i suoi diritti della difesa e privava di ogni effetto utile le osservazioni che essa presentava.

15

Con decisione del 3 giugno 2016, il direttore generale del personale, in qualità di AACC, ha respinto la domanda di assistenza (in prosieguo: la «decisione controversa»). In tale decisione, egli ha indicato, in particolare, che la ricorrente era stata informata, in modo esaustivo e dettagliato, dei motivi in base ai quali egli intendeva, in data 8 dicembre 2015, respingere la domanda di assistenza. Inoltre, secondo il direttore generale del personale, da un lato, la ricorrente non vantava alcun diritto soggettivo a che le fossero comunicati una relazione d’indagine, un parere o resoconti di audizione dei testimoni redatti dal comitato consultivo. Dall’altro, il direttore generale del personale ha mantenuto l’analisi da lui esposta nella lettera dell’8 dicembre 2015 e, pertanto, ha deciso di non riconoscere che la situazione descritta dalla ricorrente rientrasse nella nozione di «molestia psicologica» ai sensi dell’articolo 12 bis dello statuto.

16

Il 6 settembre 2016 la ricorrente, ai sensi dell’articolo 90, paragrafo 2, dello statuto, ha presentato un reclamo contro la decisione controversa. A sostegno di tale reclamo, essa faceva valere una violazione dei propri diritti della difesa, dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), del diritto di essere ascoltato e del principio del contraddittorio, nonché irregolarità nella procedura seguita dal comitato consultivo, errori manifesti di valutazione, una violazione degli articoli 12 bis e 24 dello statuto e la violazione dell’obbligo di assistenza e del dovere di sollecitudine.

17

Con decisione del 4 gennaio 2017 il segretario generale, nella sua qualità di AACC, ha respinto il suddetto reclamo.

18

Per quanto riguarda la censura della ricorrente relativa alla mancata comunicazione, da parte dell’AACC, della relazione del comitato consultivo e dei resoconti di audizione dei testimoni, il segretario generale ha in particolare ritenuto, alla luce della giurisprudenza risultante dalle sentenze dell’11 luglio 2013, Tzirani/Commissione (F‑46/11, EU:F:2013:115), e del 23 settembre 2015, Cerafogli/BCE (T‑114/13 P, EU:T:2015:678), che non esistesse alcun obbligo per l’AACC di trasmettere tali documenti alla ricorrente, segnatamente in quanto, nell’ambito del Parlamento, il comitato consultivo doveva operare nella più grande riservatezza e in quanto i suoi lavori erano segreti. Orbene, per garantire la libertà di parola di tutti gli intervenienti, in particolare dei testimoni, sarebbe stato impossibile per l’AACC trasmettere tali documenti alla ricorrente.

19

Per quanto riguarda l’esistenza, nel caso di specie, di un caso di «molestia psicologica», ai sensi dell’articolo 12 bis, paragrafo 3, dello statuto, il segretario generale ha ritenuto che «globalmente considerati, i fatti lamentati da[lla ricorrente] non sembrano configurare una condotta inopportuna da parte di un capo unità nei confronti di un subordinato».

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

20

Con atto depositato presso la cancelleria del Tribunale il 12 aprile 2017 la ricorrente ha proposto un ricorso inteso, da un lato, all’annullamento della decisione del Parlamento del 3 giugno 2016 con la quale l’AACC ha respinto la sua domanda di assistenza presentata l’11 dicembre 2014 e, dall’altro, al risarcimento del danno che essa ritiene di aver subito a causa degli illeciti commessi da tale autorità nel trattare detta domanda.

21

A sostegno della sua domanda di annullamento, la ricorrente ha fatto valere tre motivi vertenti, per quanto riguarda il primo, su una violazione dei diritti della difesa, dell’articolo 41 della Carta, del diritto di essere ascoltato e del principio del contraddittorio, per quanto riguarda il secondo, su errori procedurali e più precisamente sul fatto che la procedura seguita dal comitato consultivo sarebbe stata irregolare e parziale, nonché, per quanto riguarda il terzo, su errori manifesti di valutazione, su una violazione dell’obbligo di assistenza e del dovere di sollecitudine, nonché su una violazione degli articoli 12 bis e 24 dello statuto.

22

A sostegno della sua domanda di risarcimento danni, la ricorrente ha fatto valere di aver subito un danno morale a seguito degli illeciti commessi dall’AACC nel trattare la sua domanda di assistenza. Essa ha chiesto, per tali motivi, il riconoscimento di un importo di EUR 70000 a titolo di risarcimento. La ricorrente ha inoltre chiesto un importo supplementare di EUR 20000 a titolo di risarcimento del danno morale derivante dalle irregolarità che hanno inficiato il procedimento d’indagine, nella fattispecie per quanto riguarda i lavori del comitato consultivo. In tal senso, secondo la ricorrente, l’AACC avrebbe in particolare violato il principio del termine ragionevole nel trattare la sua domanda di assistenza.

23

Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il ricorso nel suo insieme in quanto infondato.

Conclusioni delle parti

Conclusioni formulate in sede di impugnazione

24

Con la sua impugnazione, la ricorrente chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata e, di conseguenza,

accordare alla ricorrente il beneficio delle sue conclusioni di primo grado;

annullare la decisione controversa;

condannare il Parlamento al risarcimento del suo danno morale valutato ex aequo et bono nella somma di EUR 90000, e

condannare il Parlamento alla totalità delle spese dei due gradi di giudizio.

25

Il Parlamento chiede che la Corte voglia:

dichiarare l’impugnazione infondata e

condannare la ricorrente alle spese.

Conclusioni dell’impugnazione incidentale

26

Con la sua impugnazione incidentale, il Parlamento chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata;

statuire nel merito al fine di respingere il ricorso, e

condannare la ricorrente alle spese.

27

La ricorrente chiede che la Corte voglia:

confermare la sentenza impugnata per quanto riguarda i principi stabiliti ai punti 80, 81 e 123 di tale sentenza;

annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto le domande della ricorrente e, di conseguenza,

accordare alla ricorrente il beneficio delle sue conclusioni di primo grado;

annullare la decisione controversa;

condannare il Parlamento al risarcimento del suo danno morale valutato ex aequo et bono nella somma di EUR 90000, e

condannare il Parlamento alla totalità delle spese dei due gradi di giudizio.

Sull’impugnazione incidentale

Argomenti delle parti

28

A sostegno della sua impugnazione incidentale, il Parlamento deduce due motivi vertenti, per quanto riguarda il primo, su un errore di diritto commesso dal Tribunale per aver affermato, al punto 81 della sentenza impugnata, che tale istituzione avrebbe dovuto trasmettere a HF il parere del comitato consultivo e, per quanto riguarda il secondo, su un errore di diritto, al punto 123 della sentenza impugnata, in quanto il Tribunale non si è limitato all’esame di un errore manifesto di valutazione.

29

La ricorrente contesta tale argomento.

Giudizio della Corte

30

Occorre anzitutto ricordare che spetta alla Corte sollevare d’ufficio qualsiasi questione relativa alla ricevibilità dell’impugnazione o dei motivi dell’impugnazione (v., in tal senso, sentenza del 28 febbraio 2008, Neirinck/Commissione, C‑17/07 P, EU:C:2008:134, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

31

Al riguardo occorre rilevare che, da un lato, in forza dell’articolo 56, primo e secondo comma, dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, può essere proposta impugnazione dinanzi alla Corte contro le decisioni del Tribunale che concludono il procedimento, da qualsiasi parte che sia rimasta parzialmente o totalmente soccombente nelle sue conclusioni.

32

Dall’altro, l’articolo 178, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte richiede che le conclusioni di un’impugnazione incidentale tendano all’annullamento, totale o parziale, della decisione del Tribunale.

33

Nel caso di specie, come sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 37 delle sue conclusioni, poiché il Tribunale ha respinto il ricorso della ricorrente e quindi la domanda di quest’ultima diretta all’annullamento della decisione controversa, il Parlamento non può essere considerato soccombente nelle sue conclusioni.

34

Dal momento che i due motivi dell’impugnazione incidentale in realtà mirano unicamente a ottenere una sostituzione di motivi per quanto riguarda l’analisi effettuata dal Tribunale ai punti 80, 81 e 123 della sentenza impugnata, essi non possono essere accolti (v., in tal senso, sentenza del 27 marzo 2019, Canadian Solar Emea e a./Consiglio, C‑236/17 P, EU:C:2019:258, punto 75 nonché giurisprudenza ivi citata).

35

Ne consegue che i due motivi dell’impugnazione incidentale devono essere respinti in quanto irricevibili.

36

Per quanto riguarda la domanda del Parlamento relativa all’onere delle spese, è sufficiente ricordare che, ai sensi dell’articolo 58 dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, l’impugnazione non può avere ad oggetto unicamente l’onere e l’importo delle spese. Orbene, poiché i due motivi dell’impugnazione incidentale sono irricevibili, tale domanda del Parlamento non può essere accolta.

37

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre respingere in toto l’impugnazione incidentale.

Sull’impugnazione principale

38

A sostegno della sua impugnazione, la ricorrente deduce tre motivi. Il primo verte su una violazione del diritto di essere ascoltato, sancito all’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta. Il secondo verte su una violazione dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta e dell’obbligo di motivazione che incombe al Tribunale, nonché su uno snaturamento del contenuto del fascicolo e dei suoi argomenti. Il terzo verte su una violazione dell’articolo 31, paragrafo 1, della Carta, dell’articolo 12 bis, paragrafi 1 e 3, dello statuto, nonché dell’articolo 24 di tale statuto.

Argomenti delle parti

39

Secondo la ricorrente, in primo luogo, il Tribunale ha violato l’articolo 12 bis, paragrafi 1 e 3, dello statuto nonché l’articolo 24 del medesimo tenendo conto, ai punti 84 e 85 della sentenza impugnata, solo di uno degli obiettivi della trattazione di una domanda di assistenza, vale a dire quello consistente nel riportare la serenità nell’ambito del servizio interessato, senza tener conto di un altro di tali obiettivi, il quale era stato tuttavia ricordato al punto 83 di tale sentenza, vale a dire l’attuazione concreta del divieto di molestie psicologiche.

40

In secondo luogo, la sentenza impugnata sarebbe viziata da un difetto di motivazione e da una contraddizione, in quanto il Tribunale avrebbe considerato che i resoconti di audizione dei testimoni non dovevano essere comunicati alla ricorrente al fine di tutelare l’anonimato di tali testimoni. Infatti, mentre il Tribunale avrebbe precisato, al punto 80 della sentenza impugnata, che il parere del comitato consultivo poteva essere redatto in forma non riservata che rispettasse l’anonimato concesso ai testimoni, il Tribunale non avrebbe preso posizione su tale questione per quanto riguarda i resoconti di audizione. Pertanto, il Tribunale, senza spiegazioni, non applicherebbe gli stessi criteri ai due documenti in questione per quanto concerne la loro comunicabilità. Il Tribunale si sarebbe altresì contraddetto in quanto non avrebbe tenuto conto della possibile anonimizzazione dei resoconti di audizione dei testimoni, sebbene lo stesso obiettivo di garanzia dell’anonimato dei testimoni si applichi sia alla comunicazione del parere del comitato consultivo sia a tali resoconti di audizione.

41

Secondo la ricorrente, poiché le illegittimità da essa fatte valere, ai punti da 83 a 85 della sentenza impugnata, hanno portato il Tribunale ad affermare che i resoconti di audizione dei testimoni non dovevano esserle comunicati prima che essa facesse valere le proprie osservazioni, il Tribunale ha con ciò violato l’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta nonché il diritto della ricorrente di essere ascoltata.

42

In terzo luogo, la ricorrente fa sostanzialmente valere che il Tribunale, al punto 89 della sentenza impugnata, ha ammesso implicitamente, ma necessariamente, che il suo diritto di essere ascoltata non era stato garantito, riconoscendo che, al fine di statuire sulla domanda di assistenza, l’AACC aveva bisogno dei resoconti di audizione per integrare il carattere succinto del parere del comitato consultivo.

43

In quarto luogo, la ricorrente ritiene sostanzialmente che, sebbene il Tribunale abbia ammesso, al punto 90 della sentenza impugnata, che essa aveva fornito nuovi argomenti fondati sui resoconti di audizione durante la fase contenziosa, i quali potevano comportare un risultato diverso quanto all’esito della domanda di assistenza, esso ha dichiarato che non sussisteva alcuna violazione del diritto di essere ascoltato. Secondo la ricorrente, tale valutazione del Tribunale si basa sull’erronea premessa secondo cui i resoconti di audizione non dovevano esserle comunicati.

44

Nella comparsa di risposta, il Parlamento ritiene sostanzialmente che il primo motivo debba essere respinto in quanto infondato.

45

Il Parlamento sostiene, in primo luogo, che, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera b), della Carta, la riservatezza è un limite legittimo al diritto di essere ascoltato.

46

A tale riguardo, il Parlamento precisa che è indispensabile assicurare la riservatezza delle testimonianze durante le indagini amministrative non solo contro il presunto molestatore, ma anche contro il denunciante, al fine di garantire ai testimoni di parlare liberamente. Infatti, da un lato, un’eventuale revoca di tale riservatezza, in particolare durante il procedimento contenzioso, potrebbe impedire lo svolgimento di indagini neutre e oggettive che beneficino senza riserve del contributo di persone chiamate a essere ascoltate, su base volontaria, come testimoni. Dall’altro, la riservatezza fornirebbe garanzie a tali testimoni, in quanto essi disporrebbero in tal modo dell’assicurazione di non dover far fronte a ritorsioni né a pressioni da parte delle persone coinvolte.

47

Il Parlamento aggiunge che, conformemente alle sue norme interne in materia, il presidente del comitato consultivo assicura ai testimoni che la loro deposizione resterà riservata.

48

In secondo luogo, il Parlamento rileva che l’obiettivo di riportare la serenità nell’ambito del servizio è complementare e indissociabile da quello consistente nel far cessare le molestie. Così, revocare la riservatezza potrebbe potenzialmente generare conflitti nel servizio ravvivando un’eventuale animosità al suo interno. Pertanto, la ricorrente non potrebbe sostenere che il Tribunale non ha preso in considerazione il secondo di tali obiettivi.

49

In terzo luogo, il Parlamento sottolinea che l’anonimizzazione di un’audizione, vale a dire la cancellazione del nome dei testimoni, non è sufficiente a garantire l’impossibilità di identificare la persona che fornisce la sua testimonianza, dato che il testimone può essere identificabile anche attraverso sovrapposizioni di informazioni e, in particolare, attraverso i fatti stessi che attesta.

50

In quarto luogo, il Parlamento sostiene che la ricorrente è stata completamente posta in condizione di esercitare il suo diritto di essere ascoltata, ai sensi dell’articolo 41 della Carta, il 1o aprile 2016, poiché aveva ricevuto, in tale data, comunicazione dei motivi sui quali l’amministrazione fondava la propria intenzione di respingere la sua domanda di assistenza. In tale contesto, il Parlamento ricorda che, secondo il giudice dell’Unione, in materia di assistenza per molestie psicologiche, l’autore della domanda di assistenza non beneficia di una tutela giuridica altrettanto ampia di quella accordata nell’ambito dei diritti della difesa, ma, al fine di rispettare il diritto a una buona amministrazione, beneficia del diritto di essere ascoltato, conformemente all’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta.

51

Pertanto, un’interpretazione corretta dell’articolo 41 della Carta implicherebbe che la ricorrente abbia il diritto di ricevere non tutti i documenti redatti nell’ambito della trattazione della sua domanda di assistenza, ma soltanto le ragioni sulle quali l’amministrazione fondava la sua intenzione di respingere tale domanda. Ne conseguirebbe che la ricorrente non potrebbe avere accesso ai resoconti di audizione a titolo dell’esercizio del suo diritto di essere ascoltata.

52

In quinto luogo, per quanto riguarda l’obiezione della ricorrente relativa al punto 90 della sentenza impugnata, il Parlamento la ritiene inconferente poiché, in ogni caso, la ricorrente non può avere accesso a testimonianze che sono, per loro natura, riservate. Anche supponendo che la ricorrente avesse un simile diritto, il Parlamento ritiene che quest’ultima non avesse dedotto alcun nuovo argomento che avrebbe potuto avere un impatto sulla decisione del direttore generale del personale del 3 giugno 2016, recante rigetto della domanda di assistenza.

Giudizio della Corte

53

Con il suo primo motivo, la ricorrente contesta sostanzialmente al Tribunale una violazione del diritto di essere ascoltato, quale garantito dall’articolo 41, paragrafo 2, lettera a), della Carta, in quanto esso ha considerato che il fatto di negarle l’accesso ai resoconti di audizione dei testimoni redatti dal comitato consultivo, prima dell’adozione della decisione controversa, non era contrario a tale disposizione.

54

In primo luogo, occorre rilevare che la ricorrente è stata certamente ascoltata dall’AACC sulla base della lettera dell’8 dicembre 2015 che espone i motivi per i quali il direttore generale del personale intendeva respingere la sua domanda di assistenza. Tuttavia la ricorrente non disponeva né del parere del comitato consultivo né dei resoconti delle audizioni tenute da tale comitato per formulare le sue osservazioni sui motivi fatti valere dall’AACC in detta lettera ai fini del rigetto della domanda di assistenza.

55

In secondo luogo, come ricordato dal Tribunale ai punti 73 e 74 della sentenza impugnata, la decisione controversa, dal momento che respinge la domanda di assistenza e pertanto conclude nel senso dell’assenza di molestie psicologiche, costituisce un provvedimento individuale adottato nei confronti della ricorrente che le arreca pregiudizio, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 2, della Carta.

56

In terzo luogo, occorre precisare che, nell’ambito di un procedimento come quello di cui trattasi, la presunta vittima di molestie può avvalersi del diritto di essere ascoltata, in base al principio di buona amministrazione. Infatti, l’articolo 41 della Carta, rubricato «Diritto ad una buona amministrazione», dispone, al suo paragrafo 1, che ogni persona ha diritto a che le questioni che la riguardano siano trattate in modo imparziale ed equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione.

57

Inoltre, il paragrafo 2 di tale articolo 41 prevede che il diritto a una buona amministrazione comprende, in particolare, il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le arrechi pregiudizio, il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale e commerciale, nonché l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni.

58

In particolare, il diritto di essere ascoltato garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, il proprio punto di vista durante il procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi (v. sentenza del 4 aprile 2019, OZ/BEI, C‑558/17 P, EU:C:2019:289, punto 53).

59

Spetta pertanto alla Corte verificare se il Tribunale abbia commesso un errore di diritto dichiarando, ai punti da 82 a 87 della sentenza impugnata, che il diritto di essere ascoltato non implicava l’obbligo di trasmettere alla ricorrente i resoconti di audizione dei testimoni prima dell’adozione della decisione controversa. A tale riguardo, il Tribunale ha considerato che, in linea di principio, al fine di garantire un’attuazione efficace del divieto di ogni forma di molestie psicologiche sul luogo di lavoro, l’amministrazione può prevedere la possibilità di garantire ai testimoni che accettino di fornire i loro racconti dei fatti controversi in un asserito caso di molestie che le loro testimonianze resteranno riservate nei confronti tanto del supposto molestatore quanto della presunta vittima.

60

La Corte ha già considerato che, nell’ambito di una controversia in materia di molestie che coinvolge funzionari europei, la persona che aveva presentato una denuncia per molestie presso la direzione del personale aveva il diritto, al fine di poter presentare utilmente le proprie osservazioni all’istituzione interessata prima che quest’ultima adottasse una decisione, di farsi comunicare, quanto meno, una sintesi delle dichiarazioni della persona accusata di molestie e dei vari testimoni ascoltati nel corso del procedimento d’indagine, ove la comunicazione di tale sintesi doveva essere effettuata, se del caso, nel rispetto del principio di riservatezza. La Corte ha indicato che ciò valeva nei limiti in cui tali dichiarazioni erano state utilizzate nella relazione trasmessa all’autorità che ha adottato la decisione di non dare seguito alla denuncia, e che comprendeva raccomandazioni sulle quali tale autorità aveva fondato la propria decisione (v., in tal senso, sentenza del 4 aprile 2019, OZ/BEI, C‑558/17 P, EU:C:2019:289, punto 57).

61

Nel caso di specie, dai punti 80 e 89 della sentenza impugnata risulta che, al fine di statuire sulla domanda di assistenza, l’AACC disponeva non solo del parere del comitato consultivo, ma anche dei resoconti di audizione dei testimoni, i quali fornivano una visione d’insieme e dettagliata della realtà dei fatti nonché della percezione di questi ultimi da parte dei diversi membri del personale dell’unità in questione.

62

Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 62 delle sue conclusioni, dal momento che i resoconti di audizione sono stati presi in considerazione dall’AACC ai fini dell’adozione della decisione controversa, era necessario che la ricorrente potesse esprimersi al loro riguardo. Pertanto, la ricorrente aveva il diritto, al fine di poter presentare utilmente le proprie osservazioni, di farsi comunicare, quanto meno, una sintesi sia del parere del comitato consultivo sia dei resoconti di audizione dei testimoni, in quanto l’AACC ha fondato la decisione controversa su tali documenti.

63

Tuttavia, la comunicazione dei suddetti documenti alla ricorrente doveva essere effettuata nel rispetto degli interessi legittimi di riservatezza che devono quindi essere ponderati con il diritto di essere ascoltato (v., in tal senso, sentenza del 4 aprile 2019, OZ/BEI, C‑558/17 P, EU:C:2019:289, punto 57).

64

Il Tribunale ha ritenuto, al punto 83 della sentenza impugnata, che l’amministrazione potesse prevedere la possibilità di garantire ai testimoni ascoltati nell’ambito di un’indagine che le loro testimonianze sarebbero rimaste riservate.

65

Orbene, tale libertà concessa all’amministrazione non è necessariamente incompatibile con il rispetto del diritto della persona che ha denunciato i fatti configuranti molestie.

66

Infatti, al fine di garantire la riservatezza delle testimonianze e gli obiettivi da essa tutelati, assicurandosi al contempo che la ricorrente sia ascoltata utilmente prima che venga adottata una decisione che le arreca pregiudizio, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 71 delle sue conclusioni, si può ricorrere a determinate tecniche quali l’anonimizzazione, la divulgazione della sostanza delle testimonianze sotto forma di sintesi o ancora la schermatura di talune parti del contenuto delle testimonianze (v., in tal senso, sentenza del 4 aprile 2019, OZ/BEI, C‑558/17 P, EU:C:2019:289, punto 59).

67

Orbene, il Tribunale ha considerato che l’AACC, rifiutando di trasmettere alla ricorrente i resoconti di audizione dei testimoni prima dell’adozione della decisione controversa, senza verificare se fosse possibile conciliare il rispetto degli interessi legittimi di riservatezza con il diritto della ricorrente di essere ascoltata, non aveva violato tale diritto.

68

Occorre inoltre sottolineare che tecniche come quelle di cui al punto 66 della presente sentenza sono state utilizzate proprio nel corso del procedimento dinanzi al Tribunale, che ha ordinato al Parlamento la produzione di una versione anonimizzata dei resoconti in questione, in parte schermata.

69

Pertanto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 76 delle sue conclusioni, il Tribunale ha commesso un errore di diritto astenendosi dal constatare che era contrario ai requisiti risultanti dall’articolo 41 della Carta il fatto che alla ricorrente non fosse stata comunicata, quanto meno, una sintesi anonimizzata delle dichiarazioni dei vari testimoni e che non avesse potuto essere ascoltata su queste ultime, cosicché essa non era stata messa in condizione di formulare utilmente osservazioni sul loro contenuto prima che il direttore generale del personale adottasse la decisione controversa, che la pregiudicava.

70

Da quanto precede risulta che occorre accogliere il primo motivo dell’impugnazione principale e, su tale base, annullare in toto la sentenza impugnata, senza che sia necessario esaminare gli altri argomenti dedotti dalla ricorrente nell’ambito di tale motivo né gli altri motivi dell’impugnazione principale.

Sul ricorso dinanzi al Tribunale

71

Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, seconda frase, dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quest’ultima, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta.

72

Orbene, si deve ricordare che da una giurisprudenza costante risulta che una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere ascoltato, giustifica l’annullamento di una decisione adottata al termine di un procedimento solo qualora, in assenza di tale irregolarità, detto procedimento potesse avere un esito diverso (sentenze del 10 settembre 2013, G. e R., C‑383/13 PPU, EU:C:2013:533, punto 38, nonché del 4 aprile 2019, OZ/BEI, C‑558/17 P, EU:C:2019:289, punto 76).

73

Nel caso di specie, come risulta dal punto 69 della presente sentenza, è in violazione dell’articolo 41 della Carta che alla ricorrente non era stata comunicata, quanto meno, una sintesi anonimizzata delle dichiarazioni dei diversi testimoni e che essa non aveva potuto essere ascoltata riguardo alle medesime, cosicché non era stata messa in condizione di formulare utilmente osservazioni sul loro contenuto prima che il direttore generale del personale adottasse la decisione controversa, che la pregiudicava. Orbene, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 121 a 123 delle sue conclusioni, tale mancata comunicazione costituisce un’irregolarità che ha inevitabilmente inciso tanto sul parere del comitato consultivo quanto sulla decisione controversa. Infatti, se alla ricorrente fosse stata concessa la possibilità di essere utilmente ascoltata, essa avrebbe potuto convincere il direttore generale del personale che era possibile un’altra valutazione dei fatti e dei diversi elementi del contesto, determinante per tale decisione, e che doveva essere loro applicata una diversa ponderazione.

74

Pertanto, non si può escludere che la decisione adottata dal direttore generale del personale sulla domanda di assistenza presentata dalla ricorrente sarebbe stata positiva.

75

La decisione controversa deve quindi essere annullata.

76

Per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno presentata dalla ricorrente, si deve rilevare che l’annullamento della decisione controversa costituisce un adeguato risarcimento di qualsiasi danno morale che la ricorrente possa aver subito nel caso di specie.

77

La domanda di risarcimento di tale danno morale è di conseguenza priva di oggetto e non vi è più luogo a statuire al riguardo (v., in tal senso, sentenza del 4 aprile 2019, OZ/BEI, C‑558/17 P, EU:C:2019:289, punto 81).

78

In tali circostanze, la domanda di risarcimento del danno presentata dalla ricorrente deve essere respinta.

Sulle spese

79

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è accolta e la controversia viene definitivamente decisa dalla Corte, quest’ultima statuisce sulle spese.

80

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, di tale regolamento, applicabile, in forza del suo successivo articolo 184, paragrafo 1, al procedimento di impugnazione, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

81

Poiché il Parlamento è risultato sostanzialmente soccombente nelle sue conclusioni, esso deve essere condannato a farsi carico, oltre che delle proprie spese, di quelle sostenute dalla ricorrente, riguardanti, conformemente alle conclusioni di quest’ultima, sia il giudizio di primo grado sia quello di impugnazione.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 29 giugno 2018, HF/Parlamento (T‑218/17, EU:T:2018:393), è annullata.

 

2)

La decisione del direttore generale del personale del Parlamento europeo, che agisce in qualità di autorità abilitata a concludere i contratti di assunzione di tale istituzione, del 3 giugno 2016, di respingere la domanda di assistenza, ai sensi dell’articolo 24 dello statuto dei funzionari dell’Unione europea, presentata da HF, è annullata.

 

3)

Il ricorso è respinto quanto al resto.

 

4)

Il Parlamento europeo è condannato a farsi carico, oltre che delle proprie spese, di quelle sostenute da HF relative sia al procedimento di primo grado sia a quello d’impugnazione.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il francese.