SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

19 marzo 2019 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 33, paragrafo 2, lettera a) – Rigetto da parte delle autorità di uno Stato membro di una domanda di asilo in quanto inammissibile per la precedente concessione di una protezione sussidiaria in un altro Stato membro – Articolo 52 – Ambito di applicazione ratione temporis di tale direttiva – Articoli 4 e 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Carenze sistemiche nella procedura di asilo in tale altro Stato membro – Rigetto sistematico delle domande d’asilo – Rischio effettivo e acclarato di subire un trattamento inumano o degradante – Condizioni di vita dei beneficiari di una protezione sussidiaria in quest’ultimo Stato»

Nelle cause riunite C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17

aventi ad oggetto domande di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, presentate dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania), con decisioni del 23 marzo 2017, pervenute in cancelleria il 23 maggio 2017 (C‑297/17) e il 30 maggio 2017 (C‑318/17 e C‑319/17), nonché con decisione del 1o giugno 2017, pervenuta in cancelleria il 20 luglio 2017 (C‑438/17), nei procedimenti

Bashar Ibrahim (C‑297/17),

Mahmud Ibrahim,

Fadwa Ibrahim,

Bushra Ibrahim,

Mohammad Ibrahim,

Ahmad Ibrahim (C‑318/17),

Nisreen Sharqawi,

Yazan Fattayrji,

Hosam Fattayrji (C‑319/17)

contro

Bundesrepublik Deutschland,

e

Bundesrepublik Deutschland

contro

Taus Magamadov (C‑438/17),

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, A. Prechal, M. Vilaras, E. Regan, F. Biltgen, K. Jürimäe e C. Lycourgos, presidenti di sezione, A. Rosas, E. Juhász, M. Ilešič (relatore), J. Malenovský, L. Bay Larsen e D. Šváby giudici,

avvocato generale: M. Wathelet

cancelliere: M. Aleksejev, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’8 maggio 2018,

considerate le osservazioni presentate:

per Bashar Ibrahim, Mahmud Ibrahim, Fadwa Ibrahim, Bushra Ibrahim e i figli minori Mohammad Ibrahim e Ahmad Ibrahim, e per Nisreen Sharqawi e i suoi figli minori Yazan Fattayrji e Hosam Fattayrji, da D. Kösterke-Zerbe, Rechtsanwältin;

per T. Magamadov, da I. Stern, Rechtsanwältin;

per il governo tedesco, da T. Henze e R. Kanitz, in qualità di agenti;

per il governo francese, da D. Colas, E. de Moustier e E. Armoët, in qualità di agenti;

per il governo ungherese, da Z. Fehér e G. Koós, e da M.M. Tátrai, in qualità di agenti;

per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

per la Commissione europea, da M. Condou-Durande e C. Ladenburger, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 luglio 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), e dell’articolo 52, primo comma, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60; in prosieguo: la «direttiva procedure»), e degli articoli 4 e 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2

Tali domande sono state presentate nell’ambito di quattro controversie che vedono opposti, da un lato, il sig. Bashar Ibrahim (causa C‑297/17), il sig. Mahmud Ibrahim, la sig.ra Fadwa Ibrahim, il sig. Bushra Ibrahim, i figli minori Mohammad e Ahmad Ibrahim (causa C‑318/17), e la sig.ra Nisreen Sharqawi e i suoi figli minori Yazan e Hosam Fattayrji (causa C‑319/17) e, dall’altro, la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania), nonché quest’ultima al sig. Taus Magamadov (causa C‑438/17), riguardo alle decisioni adottate dal Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati, Germania; in prosieguo: l’«Ufficio») che negano loro il riconoscimento del diritto di asilo.

Contesto normativo

Diritto internazionale

3

Sotto il titolo «Proibizione della tortura», l’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»), così dispone:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

Diritto dell’Unione

La Carta

4

Ai sensi dell’articolo 1 della Carta, rubricato «Dignità umana»:

«La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».

5

L’articolo 4 della Carta, rubricato «Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti», enuncia quanto segue:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

6

L’articolo 18 della Carta, rubricato «Diritto di asilo», così recita:

«Il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione [relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 (Recueil des traités des Nations Unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 [1954])] e dal protocollo del 31 gennaio 1967, [relativo] allo status dei rifugiati, e a norma del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in appresso denominati “i trattati”)».

7

L’articolo 47 della Carta, intitolato «Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale», stabilisce, al primo paragrafo, quanto segue:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo».

8

L’articolo 51 della Carta, rubricato «Ambito di applicazione», al suo paragrafo 1, così dispone:

«Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati».

9

L’articolo 52 della Carta, rubricato «Portata e interpretazione dei diritti e dei principi», al suo paragrafo 3, enuncia quanto segue:

«Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla [CEDU], il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa».

La direttiva sulla qualifica

10

La direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9); in prosieguo: la «direttiva sulla qualifica») al suo articolo 2 dispone quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)

“protezione internazionale”, lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria (..);

(…)

d)

“rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;

e)

“status di rifugiato”: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato;

f)

“persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria”: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15, e al quale non si applica l’articolo 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese;

g)

“status di protezione sussidiaria” il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale persona avente titolo alla protezione sussidiaria;

h)

“domanda di protezione internazionale” una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione della presente direttiva e che possa essere richiesto con domanda separata;

(…)».

11

Il Capo II della direttiva sulla qualifica stabilisce le condizioni per la valutazione delle domande di protezione internazionale.

12

A tale Capo II appartiene l’articolo 4 della direttiva sulla qualifica, rubricato «Esame dei fatti e delle circostanze», il cui paragrafo 3 dispone quanto segue:

«L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a)

di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e regolamentari del paese d’origine e le relative modalità di applicazione;

b)

delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi;

c)

della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave;

(…)».

13

Il Capo III della direttiva sulla qualifica fissa le condizioni per essere considerato rifugiato. Gli articoli 9 e 10 della direttiva succitata, intitolati rispettivamente «Atti di persecuzione» e «Motivi di persecuzione», stabiliscono gli elementi che devono essere presi in considerazione per valutare se il richiedente ha già subìto o rischia di subire persecuzioni.

14

Nel capo IV della direttiva sulla qualifica, intitolato «Status di rifugiato», l’articolo 13 di quest’ultima, a sua volta rubricato «Riconoscimento dello status di rifugiato», è formulato come segue:

«Gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III».

15

I Capi V e VI della direttiva sulla qualifica definiscono, rispettivamente, i requisiti per la protezione sussidiaria e lo status conferito da tale protezione.

16

Il Capo VII della direttiva sulla qualifica, che contiene gli articoli da 20 a 35 della stessa, definisce il contenuto della protezione internazionale.

I regolamenti Dublino II e Dublino III

17

Il regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»), ha abrogato e sostituito il regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 50, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento Dublino II»).

18

Mentre il regolamento Dublino II stabiliva, conformemente al suo articolo 1, in combinato disposto con l’articolo 2, punto c), solo i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo ai sensi della convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»), il regolamento Dublino III, come risulta dal suo articolo 1, persegue l’obiettivo di stabilire tali criteri e meccanismi per quanto riguarda le domande di protezione internazionale che, ai sensi della definizione dell’articolo 2, lettera b), del regolamento Dublino III, che si riferisce a quella di cui all’articolo 2, lettera h), della direttiva sulla qualifica, sono quelli di ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria.

19

L’articolo 18, paragrafo 1, lettera d), del regolamento Dublino III prevede che lo Stato membro competente in forza di tale regolamento è tenuto a riprendere in carico un cittadino di un paese terzo o un apolide del quale è stata respinta la domanda e che ha presentato domanda in un altro Stato membro oppure si trova nel territorio di un altro Stato membro senza un titolo di soggiorno.

20

L’articolo 49 del regolamento Dublino III, intitolato «Entrata in vigore e applicazione», prevede quanto segue:

«Il presente regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Il presente regolamento si applica alle domande di protezione internazionale presentate a partire dal primo giorno del sesto mese successivo alla sua entrata in vigore e, da tale data, si applica ad ogni richiesta di presa in carico o di ripresa in carico di richiedenti indipendentemente dalla data di presentazione della domanda. Per le domande presentate prima di tale data, lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale è individuato conformemente ai criteri enunciati nel regolamento [Dublino II].

(…)».

La direttiva 2005/85 e la direttiva procedure

21

La direttiva procedure ha operato una rifusione della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13).

22

Ai termini del suo articolo 1, la direttiva 2005/85 ha l’obiettivo di stabilire norme minime per le procedure applicate ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. L’articolo 2, lettera b) di tale direttiva definiva la nozione di «domanda di asilo» come la domanda presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide che si può equiparare a una domanda di protezione internazionale ad uno Stato membro ai sensi della convenzione di Ginevra.

23

L’articolo 25 della direttiva 2005/85 disponeva quanto segue:

«1.   Oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento [Dublino II], gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di rifugiato (…) qualora la domanda di asilo sia giudicata irricevibile a norma del presente articolo.

2.   Gli Stati membri possono giudicare una domanda di asilo irricevibile a norma del presente articolo se:

a)

un altro Stato membro ha concesso lo status di rifugiato;

(…)».

24

Ai sensi del suo articolo 1, obiettivo della direttiva procedure è stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale a norma della direttiva qualifiche.

25

L’articolo 2, lettera b), della direttiva procedure definisce la nozione di «domanda di protezione internazionale» come una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione della direttiva qualifiche e che possa essere richiesto con domanda separata.

26

L’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva procedure, così recita:

«Nell’esaminare una domanda di protezione internazionale, l’autorità accertante determina anzitutto se al richiedente sia attribuibile la qualifica di rifugiato e, in caso contrario, se l’interessato sia ammissibile alla protezione sussidiaria».

27

L’articolo 33 della direttiva procedure, intitolato «Domande inammissibili», così dispone:

«1.   Oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento [Dublino III], gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [sulla qualifica], qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma del presente articolo.

2.   Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se:

a)

un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale;

(…)

d)

la domanda è una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva [sulla qualifica] (…)».

(…)».

28

L’articolo 40 della direttiva procedure, rubricato «Domande reiterate», ai paragrafi da 2 a 4 così dispone:

«2.   Per decidere dell’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), una domanda di protezione internazionale reiterata è anzitutto sottoposta a esame preliminare per accertare se siano emersi o siano stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi rilevanti per l’esame dell’eventuale qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [sulla qualifica].

3.   Se l’esame preliminare di cui al paragrafo 2 [...] permette di concludere che sono emersi o sono stati addotti dal richiedente elementi o risultanze nuovi che aumentano in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva [sulla qualifica], la domanda è sottoposta a ulteriore esame a norma del capo II. Gli Stati membri possono prevedere che una domanda reiterata sia sottoposta a ulteriore esame anche per altre ragioni.

4.   Gli Stati membri possono stabilire che la domanda sia sottoposta a ulteriore esame solo se il richiedente, senza alcuna colpa, non è riuscito a far valere, nel procedimento precedente, la situazione esposta nei paragrafi 2 e 3 del presente articolo, in particolare esercitando il suo diritto a un ricorso effettivo a norma dell’articolo 46».

29

L’articolo 51, paragrafo 1, della direttiva procedure così recita:

«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli articoli da 1 a 30, all’articolo 31, paragrafi 1, 2 e da 6 a 9, agli articoli da 32 a 46, agli articoli 49 e 50 e all’allegato I entro il 20 luglio 2015. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni».

30

Ai sensi del successivo articolo 52, primo comma, della direttiva procedure:

«Gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1, alle domande di protezione internazionale presentate e alle procedure di revoca della protezione internazionale avviate dopo il 20 luglio 2015 o ad una data precedente. Alle domande presentate prima del 20 luglio 2015 e alle procedure di revoca dello status di rifugiato avviate prima di tale data si applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate ai sensi della direttiva [2005/85]».

31

L’articolo 53, primo comma, della direttiva procedure dispone che la direttiva 2005/85 sia abrogata per gli Stati membri vincolati dalla direttiva procedure con effetto dal 21 luglio 2015, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi al termine di recepimento della direttiva nel diritto interno di cui all’allegato II, parte B.

32

L’articolo 54, primo comma, della direttiva procedure sancisce che quest’ultima «entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea», avvenuta il 29 giugno 2013.

Normativa tedesca

33

L’articolo 29 dell’Asylgesetz (legge relativa al diritto di asilo; in prosieguo: l’«AsylG»), come modificato, con effetto a partire dal 6 agosto 2016, ad opera dall’Integrationsgesetz (legge sull’integrazione) del 31 luglio 2016 (BGBl. 2016 I, pag. 1939; in prosieguo: l’«Integrationsgesetz»), è intitolato «Domande inammissibili» e dispone quanto segue:

«(1)   Una domanda di asilo è inammissibile quando:

1.

un altro Stato è competente per l’esame della domanda di asilo

a)

ai sensi del regolamento [Dublino III], o

b)

ai sensi di altre norme dell’Unione europea o di un accordo internazionale

(…).

2.

un altro Stato membro dell’Unione europea ha già concesso allo straniero la protezione internazionale di cui all’articolo 1, paragrafo 1, punto 2,

(…)».

34

L’articolo 77, paragrafo 1, dell’AsylG prevede quanto segue:

«Nelle controversie disciplinate dalla presente legge, il tribunale si basa sulla situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell’ultima udienza; se la decisione non è preceduta da un’udienza, il momento rilevante è quello della pronuncia della decisione (…)».

Procedimenti principali e questioni pregiudiziali

Le cause riunite C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17

35

I ricorrenti nel procedimento principale sono richiedenti asilo palestinesi apolidi che hanno risieduto in Siria.

36

Il sig. Bashar Ibrahim, ricorrente nel procedimento principale nella causa C‑297/17, è figlio del sig. Mahmud Ibrahim e della sig.ra Ibrahim e fratello degli altri tre figli di questi ultimi i quali, alla stessa stregua dei genitori, sono ricorrenti nel procedimento principale nella causa C‑318/17. La sig.ra Nisreen Sharqawi e i suoi figli minorenni sono i ricorrenti nel procedimento principale nella causa C‑319/17.

37

Gli interessati hanno lasciato la Siria nel corso del 2012 per recarsi in Bulgaria dove, con decisioni del 26 febbraio e del 7 maggio 2013, è stata loro concessa una protezione sussidiaria. Nel novembre del 2013 essi hanno proseguito il proprio viaggio attraverso la Romania, l’Ungheria e l’Austria per arrivare in Germania dove, il 29 novembre 2013, hanno presentato nuove domande di asilo.

38

Il 22 gennaio 2014 l’Ufficio ha trasmesso all’amministrazione bulgara competente per i rifugiati richieste di ripresa in carico degli interessati. Tale amministrazione le ha respinte con lettere del 28 gennaio e del 10 febbraio 2014 per il motivo che la protezione sussidiaria già concessa ai ricorrenti nei procedimenti principali in Bulgaria rende inapplicabile nel caso di specie il regime di ripresa in carico di cui al regolamento Dublino III. Inoltre, l’autorità bulgara competente sarebbe la polizia locale di frontiera.

39

Con decisioni del 27 febbraio e del 19 marzo 2014, l’Ufficio ha negato agli interessati il riconoscimento del diritto di asilo, senza procedere a un esame nel merito delle loro domande, per il motivo che erano arrivati da un paese terzo sicuro e ha disposto il loro accompagnamento alla frontiera bulgara.

40

Con sentenze emesse rispettivamente il 20 maggio e il 22 luglio 2014, il Verwaltungsgericht Trier (Tribunale amministrativo di Trier, Germania) ha respinto i ricorsi proposti avverso tali decisioni.

41

Con sentenze del 18 febbraio 2016, l’Oberverwaltungsgericht Rheinland‑Pfalz (Tribunale amministrativo superiore del Land Renania-Palatinato, Germania) ha annullato gli ordini di accompagnamento degli interessati alla frontiera bulgara, ma ha respinto le domande quanto al resto. Secondo tale giudice, il diritto all’asilo in Germania è stato correttamente negato ai ricorrenti, dal momento che questi ultimi sono ivi arrivati provenendo da un paese terzo sicuro, ossia l’Austria. I detti ordini di accompagnamento alla frontiera bulgara sarebbero tuttavia illegittimi in quanto non sarebbe stato dimostrato che la Repubblica di Bulgaria sia ancora disposta a riprendere in carico i ricorrenti.

42

I ricorrenti nel procedimento principale hanno proposto dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) un’impugnazione avverso tali decisioni di parziale rigetto delle loro domande. Essi sostengono, in particolare, che a norma dell’articolo 49, secondo comma, seconda frase, del regolamento Dublino III la loro situazione rientra ancora nel regolamento Dublino II e che quest’ultimo resta applicabile, anche dopo la concessione di una protezione sussidiaria. Orbene, in forza delle disposizioni del regolamento Dublino II, la competenza iniziale della Repubblica di Bulgaria sarebbe stata trasferita alla Repubblica federale di Germania nel corso del procedimento da esso previsto.

43

La Repubblica federale di Germania ritiene che le domande di asilo di cui al procedimento principale siano ormai inammissibili ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG, il cui contenuto corrisponde a quello dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure.

44

Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) dichiara che l’Ufficio non poteva rifiutarsi di esaminare le domande d’asilo che gli sono state sottoposte adducendo che i ricorrenti provenivano da un paese terzo sicuro. In effetti, dato che il diritto nazionale deve essere interpretato conformemente al diritto dell’Unione, un paese terzo sicuro potrebbe unicamente essere uno Stato che non è uno Stato membro dell’Unione. Occorrerebbe quindi determinare se le decisioni controverse possono essere considerate decisioni di rigetto fondate sull’inammissibilità delle domande d’asilo, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG.

45

In tali circostanze, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha deciso di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali in ciascuna delle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17:

«1)

Se la disposizione transitoria di cui all’articolo 52, primo comma, della direttiva [procedure] osti all’applicazione di una disciplina nazionale ai sensi della quale, in attuazione della più ampia facoltà rispetto alla disciplina precedente di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [procedure], una domanda di protezione internazionale è inammissibile qualora il richiedente benefici di protezione sussidiaria in un altro Stato membro, laddove, in assenza di una norma transitoria di diritto interno, la disciplina nazionale debba essere applicata anche alle domande presentate anteriormente al 20 luglio 2015.

Se la disposizione transitoria di cui all’articolo 52, primo comma, della direttiva [procedure] consenta agli Stati membri, in particolare, un’attuazione retroattiva della più ampia facoltà prevista dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [procedure], con conseguente pari inammissibilità delle domande di asilo presentate anteriormente alla trasposizione di detta facoltà nell’ordinamento nazionale ma non ancora decise in via definitiva al momento della trasposizione stessa.

2)

Se l’articolo 33 della direttiva [procedure] riconosca agli Stati membri il diritto di scegliere se respingere, in quanto inammissibile, una domanda di asilo o per difetto di competenza internazionale (regolamento Dublino) o in base all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [procedure].

3)

In caso di risposta affermativa alla seconda questione: se il diritto dell’Unione precluda ad uno Stato membro di respingere, in quanto inammissibile, una domanda di protezione internazionale qualora un altro Stato membro abbia concesso protezione [sussidiaria] in attuazione della facoltà prevista dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [procedure], nel caso in cui

a)

il richiedente intenda ottenere un’estensione del beneficio della protezione sussidiaria ottenuto in un altro Stato membro (riconoscimento dello status di rifugiato) e la procedura di asilo nell’altro Stato membro sia e continui ad essere pregiudicata da carenze sistemiche, ovvero

b)

il meccanismo della protezione internazionale, segnatamente le condizioni di vita dei beneficiari della protezione sussidiaria, nell’altro Stato membro che abbia già concesso protezione sussidiaria al richiedente

violi l’articolo 4 della [Carta] e l’articolo 3 della CEDU o

non soddisfi i requisiti degli articoli 20 e seguenti della direttiva [sulla qualifica], senza peraltro violare l’articolo 4 della [Carta] ovvero l’articolo 3 della CEDU.

4)

In caso di risposta positiva alla terza questione sub b): se ciò valga anche nel caso in cui ai beneficiari della protezione sussidiaria non siano prestati affatto mezzi di sussistenza oppure in una misura molto contenuta rispetto agli altri Stati membri, senza che questi siano peraltro trattati diversamente dagli stessi cittadini di detto Stato membro.

5)

In caso di risposta negativa alla seconda questione:

a)

se il regolamento Dublino III trovi applicazione in una procedura volta alla concessione della protezione internazionale nel caso in cui la domanda di asilo sia stata presentata anteriormente al 1o gennaio 2014, ma la richiesta di ripresa in carico sia stata presentata solo successivamente a tale data e il richiedente abbia già beneficiato in precedenza (nel febbraio del 2013) di protezione sussidiaria nello Stato membro richiesto.

b)

Se possa desumersi dalle norme Dublino un trasferimento di competenza – implicito – allo Stato membro che chieda la ripresa in carico di un richiedente nel caso in cui lo Stato membro richiesto competente abbia respinto la richiesta di ripresa in carico tempestivamente presentata in base alle disposizioni Dublino e abbia invece fatto rinvio ad un accordo intergovernativo di riammissione».

Nella causa C‑438/17

46

Il sig. Magamadov, richiedente asilo di nazionalità russa, che dichiara di essere ceceno, è giunto in Polonia nel corso del 2007, paese dove, in forza di una decisione del 13 ottobre 2008, ha ottenuto la protezione sussidiaria. Nel mese di giugno 2012, egli è entrato, accompagnato dalla propria coniuge e dal figlio, in Germania, dove ha presentato, il 19 giugno 2012, una domanda d’asilo.

47

Il 13 febbraio 2013 l’Ufficio ha trasmesso una richiesta di ripresa in carico dell’interessato e della sua famiglia alle autorità polacche, le quali, il 18 febbraio 2013, hanno dichiarato di essere disposte a riprenderlo in carico.

48

Con decisione del 13 marzo 2013, l’Ufficio ha ritenuto, senza un esame nel merito, che le domande di asilo del sig. Magamadov e della sua famiglia fossero inammissibili per il fatto che la Repubblica di Polonia era lo Stato membro competente per l’esame di tali domande e ha disposto il loro trasferimento in Polonia. Poiché il trasferimento non è avvenuto entro il termine assegnato a causa di problemi di salute incontrati dalla moglie del sig. Magamadov, l’Ufficio, con decisione del 24 settembre 2013, ha revocato la propria decisione del 13 marzo 2013, per il motivo che la Repubblica federale di Germania era divenuta lo Stato membro competente ad esaminare tali domande a causa della scadenza di detto termine. Con decisione del 23 giugno 2014, l’Ufficio ha rifiutato al sig. Magamadov il riconoscimento della protezione internazionale e del diritto di asilo, in quanto che egli era arrivato in Germania provenendo da un paese terzo sicuro, ossia la Polonia, e ha disposto il suo accompagnamento in tale paese.

49

Con sentenza del 19 maggio 2015, il Verwaltungsgericht Potsdam (Tribunale amministrativo di Potsdam, Germania) ha respinto il ricorso proposto avverso tale decisione.

50

Con sentenza del 21 aprile 2016, l’Oberverwaltungsgericht Berlin-Brandenburg (Tribunale amministrativo superiore del Land Berlino-Brandenburgo, Germania) ha annullato la decisione dell’Ufficio del 23 giugno 2014. Esso ha infatti considerato che la regola secondo la quale il diritto di asilo non dev’essere concesso a un cittadino straniero venuto da un paese sicuro non fosse applicabile nel procedimento principale, e ciò in ragione della deroga prevista all’articolo 26bis, paragrafo 1, terza frase, punto 2, dell’AsylG, secondo cui la regola del paese terzo sicuro non si applica allorché, come nel caso di specie, la Repubblica federale di Germania è divenuta lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione dell’interessato ai sensi del diritto dell’Unione. Poiché la domanda di asilo di cui trattasi nel procedimento principale è stata presentata prima del 20 luglio 2015, sarebbe applicabile al caso di specie la direttiva 2005/85. Orbene, tale direttiva non ammetterebbe il rigetto da parte di uno Stato membro di una domanda di asilo senza esame nel merito, se non quando un altro Stato membro abbia riconosciuto alla persona interessata lo status di rifugiato.

51

La Repubblica federale di Germania ha proposto un ricorso per cassazione (Revision) avverso tale sentenza dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania). Essa sostiene in particolare che la domanda di asilo di cui trattasi nel procedimento principale è attualmente inammissibile ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG, come modificato dall’Integrationsgesetz, poiché al sig. Magamadov è stata concessa una protezione internazionale in Polonia. L’interessato, da parte sua, afferma che la sua domanda di asilo presentata il 19 giugno 2012 non è inammissibile, in quanto la Repubblica di Polonia gli ha concesso non già lo status di rifugiato, bensì una mera protezione sussidiaria.

52

Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) dichiara che l’Ufficio non poteva rifiutarsi di esaminare la domanda d’asilo che gli era stata sottoposta adducendo che il ricorrente proveniva da un paese terzo sicuro. In effetti, dato che il diritto nazionale deve essere interpretato conformemente al diritto dell’Unione, un paese terzo sicuro potrebbe unicamente essere uno Stato che non è uno Stato membro dell’Unione. Occorrerebbe quindi determinare se la decisione controversa possa essere considerata una decisione di rigetto fondata sull’inammissibilità delle domande d’asilo, ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG.

53

Ciò premesso, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se la disposizione transitoria di cui all’articolo 52, primo comma, della direttiva [procedure] osti all’applicazione di una disciplina nazionale ai sensi della quale, in attuazione della più ampia facoltà rispetto alla disciplina precedente di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [procedure], una domanda di protezione internazionale è inammissibile qualora il richiedente benefici di protezione sussidiaria in un altro Stato membro, laddove, in assenza di una norma transitoria di diritto interno, la disciplina nazionale debba essere applicata anche alle domande presentate anteriormente al 20 luglio 2015. Se quanto sopra si applichi in ogni caso qualora, ai sensi dell’articolo 49 del regolamento [Dublino III], la domanda di asilo rientri ancora in toto nella sfera di applicazione del regolamento [Dublino II].

2)

Se la disposizione transitoria di cui all’articolo 52, primo comma, della direttiva [procedure] consenta agli Stati membri, in particolare, un’attuazione retroattiva della più ampia facoltà prevista dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [procedure], con conseguente pari inammissibilità delle domande di asilo presentate anteriormente all’entrata in vigore della direttiva [procedure] e alla trasposizione di detta facoltà nell’ordinamento nazionale ma non ancora decise in via definitiva al momento della trasposizione stessa».

Procedimento dinanzi alla Corte

54

Con decisione del presidente della Corte del 9 giugno 2017, le cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza, dato che le questioni pregiudiziali nell’ambito delle tre cause sono identiche. Inoltre, con decisione della Corte del 30 gennaio 2018, tali cause e la causa C‑438/17 sono state riunite ai fini della fase orale del procedimento, nonché della sentenza.

55

Nelle sue domande di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio ha chiesto l’applicazione del procedimento accelerato previsto dall’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte. Tali domande sono state respinte con ordinanze del presidente della Corte del 14 luglio 2017, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17, non pubblicata, EU:C:2017:561), e del 19 settembre 2017, Magamadov (C‑438/17, non pubblicata, EU:C:2017:723).

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione nelle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17 e sulle questioni nella causa C‑438/17

56

Con tali questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 52, primo comma, della direttiva procedure debba essere interpretato nel senso che consente ad uno Stato membro di prevedere l’immediata applicazione della disposizione del diritto nazionale che recepisce l’articolo 33, paragrafo 2), lettera a), di tale direttiva, a domande di asilo sulle quali non si è ancora statuito in via definitiva, introdotte prima del 20 luglio 2015 e anteriormente all’entrata in vigore di tale disposizione del diritto nazionale. Nel contesto della causa C‑438/17, tale giudice chiede, inoltre, se lo stesso valga anche quando la domanda d’asilo è stata presentata prima dell’entrata in vigore della direttiva procedure e essa ricada ancora in toto, a norma dell’articolo 49 del regolamento Dublino III, nell’ambito di applicazione del regolamento Dublino II.

57

In forza dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, gli Stati membri possono giudicare inammissibile una domanda di protezione internazionale qualora un altro Stato membro abbia concesso la protezione internazionale.

58

Prevedendo che uno Stato membro possa respingere tale domanda dichiarandola inammissibile anche in situazioni in cui il richiedente ha ottenuto solo una protezione sussidiaria in un altro Stato membro, tale disposizione estende la facoltà precedentemente prevista dall’articolo 25, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2005/85, che consentiva un siffatto rigetto unicamente quando il richiedente aveva ottenuto in un altro Stato membro lo status di rifugiato.

59

Dall’articolo 51, paragrafo 1, della direttiva procedure risulta che gli Stati membri erano tenuti a mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi, tra l’altro, all’articolo 33 di tale direttiva entro il 20 luglio 2015. Inoltre, a norma dell’articolo 53, primo comma, della direttiva procedure, la direttiva 2005/85 è stata abrogata con effetto dal 21 luglio 2015.

60

L’articolo 52, primo comma, della direttiva procedure contiene talune disposizioni transitorie.

61

Così, a norma dell’articolo 52, primo comma, prima frase, di tale direttiva, gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1, alle domande di protezione internazionale presentate e alle procedure di revoca della protezione internazionale avviate «dopo il 20 luglio 2015 o ad una data precedente».

62

Ai sensi dell’articolo 52, primo comma, seconda frase, della direttiva procedure, alle domande presentate «prima del 20 luglio 2015» nonché alle procedure di revoca dello status di rifugiato avviate prima di tale data si applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate ai sensi della direttiva 2005/85.

63

Dall’esame dei lavori preparatori della direttiva procedure, in particolare da un confronto tra la posizione (UE) n. 7/2013 del Consiglio in prima lettura in vista dell’adozione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, adottata il 6 giugno 2013 (GU 2013, C 179 E, pag. 27), e la proposta della Commissione di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale [COM(2009) 554 definitivo], si ricava che l’espressione «o ad una data precedente», che figura all’articolo 52, primo comma, prima frase, della direttiva procedure è stata aggiunta nel corso del processo legislativo (sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 71).

64

Di conseguenza, nonostante la tensione esistente tra la prima e la seconda frase dell’articolo 52, primo comma, della direttiva procedure, dai suddetti lavori preparatori emerge che il legislatore dell’Unione ha inteso consentire agli Stati membri che lo desiderassero di applicare le loro disposizioni di attuazione di tale direttiva, con effetto immediato, alle domande di protezione internazionale presentate prima del 20 luglio 2015 (sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 72).

65

Dai citati lavori preparatori non emerge peraltro alcun elemento che deponga nel senso che il legislatore dell’Unione abbia inteso limitare tale facoltà – che l’articolo 52, primo comma, della direttiva procedure conferisce agli Stati membri – solo alle disposizioni più favorevoli ai richiedenti protezione internazionale rispetto a quelle precedentemente adottate ai fini della trasposizione della direttiva 2005/85.

66

Resta il fatto che, sebbene l’articolo 52, primo comma, della direttiva procedure abbia autorizzato gli Stati membri ad applicare le loro disposizioni che attuano tale direttiva alle domande di protezione internazionale presentate prima del 20 luglio 2015, esso non li ha tuttavia costretti a farlo. Atteso che tale disposizione offre, attraverso l’impiego dell’espressione «avviate dopo il 20 luglio 2015 o ad una data precedente», varie possibilità di applicazione ratione temporis, è opportuno, affinché i principi di certezza del diritto e di uguaglianza dinanzi alla legge siano rispettati nell’attuazione del diritto dell’Unione e i richiedenti protezione internazionale siano in tal modo tutelati contro l’arbitrarietà, che ogni Stato membro vincolato da tale direttiva tratti in modo prevedibile e uniforme le domande di protezione internazionale presentate nel corso di uno stesso periodo nel suo territorio (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 73).

67

Risulta dalle ordinanze di rinvio che la disposizione con cui è stato recepito nel diritto tedesco l’ulteriore motivo di inammissibilità ex articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, vale a dire l’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG, è entrata in vigore a decorrere dal 6 agosto 2016 e che, in assenza di disposizioni transitorie nazionali, il giudice del rinvio deve, a norma dell’articolo 77, paragrafo 1, prima frase, dell’AsylG, basare la propria decisione nei procedimenti principali sulla situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell’ultima udienza dinanzi a tale giudice o, in assenza di udienza, alla data della sua decisione e, di riflesso, sull’articolo 29 dell’AsylG come vigente in tale data, a meno che l’articolo 52, primo comma, della direttiva procedure non osti all’immediata applicazione di tale versione a domande che sono state introdotte prima della sua entrata in vigore, ma sulle quali non vi sia ancora stata una pronuncia definitiva.

68

A tale riguardo, si deve rilevare, in primo luogo, che una disposizione nazionale come l’articolo 77, paragrafo 1, prima frase, dell’AsylG garantisce che le domande di protezione internazionale introdotte durante uno stesso periodo nel territorio tedesco e in merito alle quali non fosse ancora intervenuta una pronuncia definitiva al momento dell’entrata in vigore dell’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG, siano esaminate in una forma prevedibile ed uniforme.

69

In secondo luogo, come risulta dalle considerazioni esposte ai punti 64 e 65 della presente sentenza, l’articolo 52, primo comma, della direttiva procedure non osta a che una disposizione nazionale che traspone il motivo di inammissibilità aggiuntivo previsto dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva sia, in forza del diritto nazionale, applicabile ratione temporis a domande d’asilo che siano state presentate prima del 20 luglio 2015 e anteriormente all’entrata in vigore di tale norma di recepimento, ma sulle quali non ci si è ancora pronunciati in via definitiva.

70

In terzo luogo, per quanto l’articolo 52, primo comma, della direttiva procedure non osti neppure, in linea di principio, a un’applicazione immediata delle disposizioni della direttiva a domande introdotte anteriormente alla sua entrata in vigore, si constata tuttavia che un’applicazione immediata del motivo di inammissibilità aggiuntivo di cui all’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), di detta direttiva trova i propri limiti in una situazione come quella di cui trattasi nella causa C‑438/17, in cui tanto la domanda d’asilo presentata in Germania quanto la richiesta di ripresa in carico sono state presentate prima del 1o gennaio 2014, sicché tale domanda, a norma dell’articolo 49 del regolamento Dublino III, rientra ancora in toto nell’ambito di applicazione del regolamento Dublino II.

71

In effetti la direttiva procedure, che è stata adottata in pari data del regolamento Dublino III, prevede, alla stessa stregua di quest’ultimo, un’estensione del suo campo di applicazione alle domande di protezione internazionale rispetto alla direttiva 2005/85 che l’ha preceduta e che disciplinava solo la procedura di asilo. È quindi in questo quadro normativo più ampio che è stato introdotto il motivo d’irricevibilità aggiuntivo previsto dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, che consente agli Stati membri di respingere una domanda di asilo in quanto inammissibile anche quando il richiedente asilo ha ottenuto da un altro Stato membro non già un diritto di asilo, bensì meramente una protezione sussidiaria.

72

Peraltro, mentre l’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 si riferisce al regolamento Dublino II, l’articolo 33, paragrafo 1, della direttiva procedure rinvia al regolamento Dublino III.

73

Dall’impianto sistematico del regolamento Dublino III e da quello della direttiva procedure, nonché dalla formulazione dell’articolo 33, paragrafo 1, di quest’ultima, si desume quindi che il motivo di inammissibilità aggiuntivo previsto dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva citata non è destinato ad applicarsi ad una domanda di asilo che rientri ancora in toto nell’ambito di applicazione del regolamento Dublino II.

74

Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione sollevata nelle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17 e alle questioni poste nella causa C‑438/17, dichiarando che l’articolo 52, primo comma, della direttiva procedure deve essere interpretato nel senso che consente ad uno Stato membro di prevedere un’immediata applicazione della disposizione nazionale che traspone il paragrafo 2, lettera a), dell’articolo 33, di tale direttiva a domande d’asilo non ancora decise in via definitiva, introdotte prima del 20 luglio 2015 e anteriormente all’entrata in vigore di tale disposizione nazionale. Tale articolo 52, primo comma, letto alla luce, in particolare, del citato articolo 33, osta invece a una siffatta applicazione immediata in una situazione in cui tanto la domanda di asilo quanto la domanda di ripresa in carico sono state presentate prima dell’entrata in vigore della direttiva procedure e, conformemente all’articolo 49 del regolamento Dublino III, rientrano ancora in toto nel campo di applicazione del regolamento Dublino II.

Sulla seconda questione nelle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17

75

Dalla decisione di rinvio emerge che, con la presente questione, il giudice nazionale chiede se l’articolo 33 della direttiva procedure debba essere interpretato nel senso che consente agli Stati membri di respingere una domanda di asilo in quanto inammissibile ai sensi del paragrafo 2, lettera a), dello stesso articolo 33, senza che questi ultimi debbano in via prioritaria avvalersi della procedura di presa in carico o di ripresa in carico prevista dai regolamenti Dublino II o Dublino III.

76

In applicazione dell’articolo 33, paragrafo 1, della direttiva procedure, oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata ai sensi del regolamento Dublino III, gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva sulla qualifica, qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma dell’articolo 33 di tale direttiva. Il paragrafo 2 di tale articolo 33 elenca esaustivamente le situazioni in cui gli Stati membri possono considerare una domanda di protezione internazionale inammissibile.

77

Dal disposto dell’articolo 33, paragrafo 1, della direttiva procedure, e segnatamente dall’utilizzo dei termini «[o]ltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento [Dublino III]», nonché dalla finalità di economia procedurale perseguita da tale disposizione, emerge che, nelle situazioni elencate all’articolo 33, paragrafo 2, di tale direttiva, essa consente agli Stati membri di respingere una domanda di protezione internazionale come inammissibile senza che questi ultimi debbano in via prioritaria avvalersi delle procedure di presa o ripresa in carico previste dal regolamento Dublino III.

78

Inoltre, per quanto attiene a domande di protezione internazionale come quelle oggetto delle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17, che rientrano parzialmente nel regolamento Dublino III, uno Stato membro non può legittimamente chiedere a un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico, nelle procedure definite da tale regolamento, un cittadino di un paese terzo che ha presentato una domanda di protezione internazionale nel primo di tali Stati membri dopo aver ottenuto il beneficio della protezione sussidiaria nel secondo di questi.

79

In effetti, in tale situazione, il legislatore dell’Unione ha considerato che il rigetto di una siffatta domanda di protezione internazionale doveva essere garantito da una decisione di inammissibilità, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, anziché mediante una decisione di trasferimento e di non esame, ai sensi dell’articolo 26 del regolamento Dublino III (v. ordinanza del 5 aprile 2017, Ahmed, C‑36/17, EU:C:2017:273, punti 3941).

80

Ciò premesso, occorre rispondere alla seconda questione nelle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17 dichiarando che, in una situazione come quella al centro di tali cause, l’articolo 33 della direttiva procedure deve essere interpretato nel senso che consente agli Stati membri di respingere una domanda d’asilo come inammissibile ai sensi del paragrafo 2, lettera a), del citato articolo 33, senza che questi ultimi debbano o possano avvalersi in via prioritaria delle procedure di presa o ripresa in carico previste dal regolamento Dublino III.

Sulle questioni terza e quarta nelle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17

81

Con tali questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, da un lato, se l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure debba essere interpretato nel senso che osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di respingere in quanto inammissibile una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato perché al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro la protezione sussidiaria, quando le condizioni di vita dei beneficiari di una protezione sussidiaria in tale altro Stato membro o sono contrarie all’articolo 4 della Carta, o non soddisfano le disposizioni del Capo VII della direttiva sulla qualifica senza tuttavia spingersi fino a violare tale articolo 4. Esso chiede se, all’occorrenza, lo stesso valga anche quando a detti beneficiari, nel citato altro Stato membro, non siano accordate prestazioni di sussistenza, oppure essi siano destinatari di siffatte prestazioni in una misura molto inferiore rispetto ad altri Stati membri, pur senza essere trattati diversamente, sotto questo profilo, dagli stessi cittadini di detto Stato membro.

82

Dall’altro lato, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure debba essere interpretato nel senso che osta a che uno Stato eserciti la medesima facoltà, quando la procedura d’asilo nell’altro Stato membro era e sia tuttora pregiudicata da carenze sistemiche.

83

Per quanto riguarda, in primo luogo, la circostanza di cui al punto 81 della presente sentenza, occorre ricordare che il diritto dell’Unione poggia sulla premessa fondamentale secondo cui ciascuno Stato membro condivide con tutti gli altri Stati membri, e riconosce che questi condividono con esso, una serie di valori comuni sui quali l’Unione si fonda, così come precisato all’articolo 2 TUE. Tale premessa implica e giustifica l’esistenza della fiducia reciproca tra gli Stati membri nel riconoscimento di tali valori e, dunque, nel rispetto del diritto dell’Unione che li attua nonché nel fatto che i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali sono in grado di fornire una tutela equivalente ed effettiva dei diritti fondamentali, riconosciuti dalla Carta, segnatamente agli articoli 1 e 4 di quest’ultima, che sanciscono uno dei valori fondamentali dell’Unione e dei suoi Stati membri (sentenza in data odierna, Jawo, C‑163/17, punto 80 e la giurisprudenza ivi citata).

84

Il principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri riveste un’importanza fondamentale nel diritto dell’Unione, dato che consente la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne. Più specificamente, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno di tali Stati, segnatamente per quanto riguarda lo spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, di ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo (sentenza in data odierna, Jawo, C‑163/17, punto 81 e la giurisprudenza ivi citata).

85

Conformemente al principio di reciproca fiducia, si deve presumere che il trattamento riservato ai beneficiari di protezione internazionale in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione di Ginevra e dalla CEDU (sentenza in data odierna, Jawo, C‑163/17, punto 82 e la giurisprudenza ivi citata). Lo stesso vale, segnatamente, laddove si applichi l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, che, nel quadro della procedura comune di asilo istituita da tale direttiva, costituisce un’espressione del principio della fiducia reciproca.

86

Tuttavia, non si può escludere che tale sistema incontri, nella pratica, gravi difficoltà di funzionamento in un determinato Stato membro, cosicché sussiste un rischio serio che taluni richiedenti protezione internazionale siano, in caso di trasferimento verso detto Stato membro, trattati in modo incompatibile con i loro diritti fondamentali (sentenza in data odierna, Jawo, C‑163/17, punto 83 e la giurisprudenza ivi citata).

87

In tale contesto è importante rilevare che, considerato il carattere generale e assoluto del divieto imposto dall’articolo 4 della Carta, che è strettamente legato al rispetto della dignità umana e che proibisce, senza alcuna possibilità di deroga, i trattamenti inumani o degradanti sotto qualsiasi forma, ai fini dell’applicazione del summenzionato articolo 4 è irrilevante che il momento in cui l’interessato sarebbe esposto a un grave rischio di subire un trattamento siffatto sia quello del suo trasferimento, oppure durante la procedura di asilo, ovvero all’esito di quest’ultima (v., per analogia, sentenza in data odierna, Jawo, C‑163/17, punto 88).

88

Così, quando il giudice investito di un ricorso avverso una decisione che respinge una nuova domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile dispone di elementi prodotti dal richiedente per dimostrare l’esistenza di un tale rischio nello Stato membro che ha già riconosciuto la protezione sussidiaria, il suddetto giudice è tenuto a valutare, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone (v., per analogia, sentenza in data odierna, Jawo, C‑163/17, punto 90 e giurisprudenza citata).

89

In proposito, si deve evidenziare che, per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 4 della Carta, che corrisponde all’articolo 3 della CEDU e il cui significato e la cui portata sono quindi, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, i medesimi di quelli conferiti dalla suddetta convenzione, le carenze menzionate al punto precedente della presente sentenza devono raggiungere una soglia particolarmente elevata di gravità, la quale dipende dall’insieme delle circostanze del caso di specie (sentenza in data odierna, Jawo, C‑163/17, punto 91 e giurisprudenza ivi citata).

90

Tale soglia particolarmente elevata di gravità sarebbe raggiunta quando l’indifferenza delle autorità di uno Stato membro comporta che una persona completamente dipendente dall’assistenza pubblica si verrebbe a trovare, a prescindere dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale che non le consentirebbe di far fronte ai suoi bisogni più elementari quali, segnatamente, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudicherebbe la sua salute fisica o psichica o che la porrebbe in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana (sentenza in data odierna, Jawo, C‑163/17, punto 92 e giurisprudenza ivi citata).

91

Detta soglia non può quindi comprendere situazioni che, quantunque caratterizzate da un elevato grado di precarietà o da un forte degrado delle condizioni di vita dell’interessato, non implichino una estrema deprivazione materiale che ponga detto soggetto in una situazione di una gravità tale da poter essere assimilata a un trattamento inumano o degradante (sentenza in data odierna, Jawo, C‑163/17, punto 93).

92

Alla luce degli interrogativi sollevati dal giudice del rinvio rispetto a questo punto, occorre precisare che, considerata l’importanza rivestita dal principio della fiducia reciproca per il sistema europeo comune d’asilo, violazioni delle disposizioni del capo VII della direttiva sulla qualifica che non producono quale conseguenza una lesione dell’articolo 4 della Carta non impediscono agli Stati membri di esercitare la facoltà offerta dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure.

93

Per quanto riguarda la circostanza, anch’essa menzionata dal giudice del rinvio, che i beneficiari di protezione sussidiaria non ricevano, nello Stato membro che ha concesso tale protezione al richiedente, nessuna prestazione di sussistenza, o siano destinatari di una siffatta prestazione in misura molto inferiore rispetto agli altri Stati membri, senza tuttavia essere trattati diversamente dai cittadini di tale Stato membro, essa può indurre a dichiarare che tale richiedente sarebbe ivi esposto a un rischio effettivo di subire un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta solo se detta circostanza comporta la conseguenza che quest’ultimo si troverebbe, in considerazione della sua particolare vulnerabilità, a prescindere dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale, corrispondente ai criteri menzionati ai punti da 89 a 91 della presente sentenza.

94

In ogni caso, la mera circostanza che la protezione sociale e/o le condizioni di vita siano più favorevoli nello Stato membro presso il quale è stata presentata la nuova domanda di protezione internazionale rispetto allo Stato che ha già concesso la protezione sussidiaria non è idonea a suffragare la conclusione secondo cui l’interessato verrebbe esposto, in caso di trasferimento in quest’ultimo Stato membro, a un rischio effettivo di subire un trattamento contrario all’articolo 4 della Carta (v., per analogia, sentenza odierna, Jawo, C‑163/17, punto 97).

95

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’ipotesi di cui al punto 82 della presente sentenza, risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale che le carenze nella procedura di asilo richiamate dal giudice del rinvio consistono, secondo quest’ultimo, nel fatto che lo Stato membro che ha concesso la protezione sussidiaria prevedibilmente rifiuti, ledendo inoltre la direttiva qualifiche, di riconoscere ai richiedenti protezione internazionale lo status di rifugiato e che, in violazione dell’articolo 40, paragrafo 3, della direttiva procedure, esso non esamini neppure domande reiterate nonostante elementi o risultanze nuovi che aumentano in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere attribuito tale status.

96

Il giudice del rinvio chiede, in proposito, se il combinato disposto dell’articolo 18 della Carta e dell’articolo 78 TFUE, in una situazione del genere, obblighi uno Stato membro a esaminare la nuova domanda di protezione internazionale nonostante una regola interna che attua l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure.

97

Occorre ricordare che tanto la direttiva sulla qualifica quanto la direttiva procedure sono state adottate sul fondamento dell’articolo 78 TFUE e con la finalità di realizzare l’obiettivo da esso enunciato, nonché di garantire l’osservanza dell’articolo 18 della Carta.

98

In forza della direttiva sulla qualifiche, e segnatamente del suo articolo 13, gli Stati membri sono tenuti a riconoscere lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato, in conformità dei capi II e III di tale direttiva. Per chiarire se ricorre tale ipotesi essi devono, a norma dell’articolo 4, paragrafo 3, di detta direttiva, esaminare ciascuna domanda di protezione internazionale su base individuale. Pertanto, essi possono riconoscergli lo status conferito dalla protezione sussidiaria invece dello status di rifugiato solo quando, a seguito di una valutazione individuale siffatta, gli Stati membri accertano che il richiedente di tale protezione soddisfa non già le condizioni di cui a tale Capo III, bensì quelle previste al Capo V della medesima direttiva.

99

Ebbene, se la procedura d’asilo in uno Stato membro conducesse a rifiutare sistematicamente, senza un esame effettivo, il riconoscimento dello status di rifugiato a richiedenti di protezione internazionale che presentano i requisiti previsti ai capi II e III della direttiva sulla qualifica, il trattamento dei richiedenti asilo in tale Stato membro non potrebbe essere considerato conforme agli obblighi che discendono dall’articolo 18 della Carta.

100

Ciò premesso, gli altri Stati membri possono respingere come inammissibile la nuova domanda che l’interessato gli ha presentato, in applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure, considerato congiuntamente al principio di fiducia reciproca. In un caso del genere, incombe allo Stato membro che ha concesso la protezione sussidiaria riprendere la procedura intesa all’ottenimento dello status di rifugiato.

101

Risulta da tutte le considerazioni che precedono che occorre rispondere alle questioni terza e quarta nelle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17 nei seguenti termini:

L’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di respingere come inammissibile una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato perché al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro la protezione sussidiaria, quando le prevedibili condizioni di vita in cui si troverebbe detto richiedente quale beneficiario di una protezione sussidiaria in tale altro Stato membro non lo esporrebbero ad un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, nell’accezione dell’articolo 4 della Carta. La circostanza che i beneficiari di tale protezione sussidiaria non ricevano, in detto Stato membro, nessuna prestazione di sussistenza, o siano destinatari di una siffatta prestazione in misura molto inferiore rispetto agli altri Stati membri, pur senza essere trattati diversamente dai cittadini di tale Stato membro, può indurre a dichiarare che tale richiedente sarebbe ivi esposto a un siffatto rischio solo se detta circostanza comporta la conseguenza che quest’ultimo si troverebbe, in considerazione della sua particolare vulnerabilità, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.

L’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva procedure deve essere interpretato nel senso che non osta a che uno Stato membro eserciti tale medesima facoltà, quando la procedura d’asilo nell’altro Stato membro che ha concesso al richiedente una protezione sussidiaria conduca a rifiutare sistematicamente, senza un esame effettivo, il riconoscimento dello status di rifugiato a richiedenti protezione internazionale che presentano i requisiti previsti ai capi II e III della direttiva sulla qualifica.

Sulla quinta questione nelle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17

102

Tenuto conto della risposta data in particolare alla seconda questione nelle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17, non occorre più risolvere la quinta questione sollevata in tali cause.

Sulle spese

103

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 52, primo comma, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, deve essere interpretato nel senso che consente ad uno Stato membro di prevedere un’immediata applicazione della disposizione nazionale che traspone il paragrafo 2, lettera a), dell’articolo 33 di tale direttiva a domande d’asilo non ancora decise in via definitiva, introdotte prima del 20 luglio 2015 e anteriormente all’entrata in vigore di tale disposizione nazionale. Tale articolo 52, primo comma, letto alla luce, in particolare, del citato articolo 33, osta invece a una siffatta applicazione immediata in una situazione in cui tanto la domanda di asilo quanto la domanda di ripresa in carico sono state presentate prima dell’entrata in vigore della direttiva 2013/32 e, conformemente all’articolo 49 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, rientrano ancora in toto nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo.

 

2)

In una situazione come quella oggetto delle cause C‑297/17, C‑318/17 e C‑319/17, l’articolo 33 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che consente agli Stati membri di respingere una domanda d’asilo come inammissibile ai sensi del paragrafo 2, lettera a), del citato articolo 33, senza che questi ultimi debbano o possano avvalersi in via prioritaria delle procedure di presa o ripresa in carico previste dal regolamento n. 604/2013.

 

3)

L’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di respingere come inammissibile una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato perché al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro la protezione sussidiaria, quando le prevedibili condizioni di vita in cui si troverebbe sottoposto detto richiedente quale beneficiario di una protezione sussidiaria in tale altro Stato membro non lo esporrebbero ad un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, nell’accezione dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. La circostanza che i beneficiari di tale protezione sussidiaria non ricevano, in detto Stato membro, nessuna prestazione di sussistenza, o siano destinatari di una siffatto prestazione in misura molto inferiore rispetto agli altri Stati membri, pur senza essere trattati diversamente dai cittadini di tale Stato membro, può indurre a dichiarare che tale richiedente sarebbe ivi esposto a un siffatto rischio solo se detta circostanza comporta la conseguenza che quest’ultimo si troverebbe, in considerazione della sua particolare vulnerabilità, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale.

L’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che non osta a che uno Stato membro eserciti tale medesima facoltà, quando la procedura d’asilo nell’altro Stato membro che ha concesso al richiedente una protezione sussidiaria conduca a rifiutare sistematicamente, senza un esame effettivo, il riconoscimento dello status di rifugiato a richiedenti protezione internazionale che presentano i requisiti previsti ai capi II e III della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.