ORDINANZA DELLA CORTE (Prima Sezione)
12 maggio 2016 ( *1 )
«Rinvio pregiudiziale — Regolamento di procedura della Corte — Articolo 53, paragrafo 2 — Libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi — Situazione puramente interna — Incompetenza manifesta della Corte»
Nelle cause riunite da C‑692/15 a C‑694/15,
aventi ad oggetto talune domande di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, proposte dal Consiglio di Stato (Italia), con ordinanze del 12 novembre 2015, pervenute in cancelleria il 21 dicembre 2015, nei procedimenti
Security Service Srl (C‑692/15),
Il Camaleonte Srl (C‑693/15),
Vigilanza Privata Turris Srl (C‑694/15)
contro
Ministero dell’Interno (C‑692/15 e C‑693/15),
Questura di Napoli,
Questura di Roma (C‑692/15),
LA CORTE (Prima Sezione),
composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, J.‑C. Bonichot, C.G. Fernlund, S. Rodin (relatore) ed E. Regan, giudici,
avvocato generale: J. Kokott
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la decisione adottata, sentito l’avvocato generale, di statuire mediante ordinanza motivata, conformemente all’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte,
ha emesso la seguente
Ordinanza
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Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione degli articoli 49 TFUE e 56 TFUE. |
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Queste domande sono state presentate nell’ambito di tre controversie che oppongono le società Security Service Srl (causa C‑692/15), Il Camaleonte Srl (causa C‑693/15) e Vigilanza Privata Turris Srl (causa C‑694/15) (in prosieguo, congiuntamente: le «società di vigilanza»), da un lato, al Ministero dell’Interno (cause C‑692/15 e C‑693/15), alla Questura di Napoli (Italia) e alla Questura di Roma (Italia) (causa C‑692/15), dall’altro, in merito alla legalità dei requisiti relativi alla prestazione di determinati servizi di vigilanza. |
Contesto normativo
Diritto italiano
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L’articolo 2 del regio decreto legge n. 1952/1935 (convertito in legge n. 508/1936) impone a chiunque intenda organizzare un servizio di vigilanza privato di sottoporre il regolamento di detto servizio all’approvazione della questura della provincia sul cui territorio tale persona intende offrire siffatti servizi. |
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L’articolo 3 del regio decreto n. 1952/1935 precisa quanto segue: «È data facoltà al questore di modificare le norme di servizio proposte in esecuzione dell’articolo precedente e di aggiungervi tutti quegli obblighi che ritenesse opportuno nel pubblico interesse». |
5 |
Il regolamento recante la disciplina delle caratteristiche minime del progetto organizzativo e dei requisiti minimi di qualità degli istituti e dei servizi di vigilanza, emanato con il decreto ministeriale n. 269, del 1o dicembre 2010, stabilisce, secondo il giudice del rinvio, le caratteristiche e i requisiti «minimi» che una società di vigilanza deve soddisfare per essere autorizzata a svolgere la sua attività. Il questore conserva la facoltà di dettare disposizioni speciali per circostanze o ambiti territoriali specifici. |
Procedimenti principali
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Allo scopo di operare nella provincia di Napoli, le società di vigilanza hanno chiesto ciascuna alla questura di Napoli di approvare il loro «regolamento tecnico dei servizi». Con decreti datati, rispettivamente, 10 febbraio, 4 settembre e 7 luglio 2014, la questura di Napoli ha approvato detti regolamenti a condizione, segnatamente, che questi ultimi prevedano che tali società impieghino almeno due agenti per ogni operazione riguardante il servizio di vigilanza saltuaria in zona, il servizio di intervento su allarmi e il trasporto valori per importi fino a EUR 100000 (in prosieguo: le «disposizioni in questione»). |
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La Security Service ha impugnato la decisione della questura di Napoli che la concerne dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Italia). Le società Il Camaleonte e Vigilanza Privata Turris hanno parimenti proposto un siffatto ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Italia). |
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Questi tre ricorsi sono stati respinti dai giudici aditi. |
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Le società di vigilanza hanno interposto appello avverso tale decisione di rigetto dinanzi al giudice del rinvio sostenendo, in particolare, che le disposizioni in questione erano in contrasto, da un lato, con la normativa nazionale pertinente che fissa i requisiti minimi di organizzazione e di servizio di tali imprese e, dall’altro, con i principi fondamentali del diritto dell’Unione europea in materia di libertà di stabilimento nonché di libera prestazione dei servizi, quali interpretati dalla sentenza della Corte del 13 dicembre 2007, Commissione/Italia (C‑465/05, EU:C:2007:781). |
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Il giudice del rinvio ritiene che le disposizioni in questione non siano viziate da illegittimità nei riguardi del diritto nazionale. |
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Per quanto concerne il diritto dell’Unione, il giudice del rinvio non è certo che le soluzioni accolte nella sentenza del 13 dicembre 2007, Commissione/Italia (C‑465/05, EU:C:2007:781) siano applicabili per valutare la compatibilità delle disposizioni in questione con gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE. |
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Secondo detto giudice, le disposizioni in questione riguardano tutti i servizi di vigilanza privata sul territorio delle province di Napoli e di Caserta (Italia) e, di conseguenza, non hanno effetti discriminatori contrari a principi quali la libera concorrenza, il diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi. |
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Peraltro, l’aggravamento dei costi di esercizio provocato dalle disposizioni in questione non sembrerebbe insostenibile per le società di vigilanza e le misure adottate dalla questura di Napoli, benché discrezionali, non sarebbero nemmeno sproporzionate rispetto ai bisogni oggettivi delle province di Napoli e di Caserta. Inoltre, l’azione delle società di vigilanza contribuirebbe a completare quella delle forze di pubblica sicurezza per la prevenzione delle violazioni e la lotta contro la criminalità. Di conseguenza, l’organizzazione delle attività di queste società secondo determinati criteri di efficienza e di efficacia non risponderebbe solo agli interessi dei clienti di queste imprese, ma anche all’interesse della collettività e dei pubblici poteri. |
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Pur ritenendo che i ricorsi di cui è investito possano essere respinti, il giudice del rinvio giudica soddisfatti i presupposti per investire la Corte di una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE. |
Sulla competenza della Corte a trattare domande di pronuncia pregiudiziale
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Conformemente all’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando la Corte è manifestamente incompetente a conoscere di una causa o quando una domanda o un atto introduttivo è manifestamente irricevibile, la Corte, sentito l’avvocato generale, può statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata, senza proseguire il procedimento. |
16 |
Occorre applicare la suddetta disposizione nelle presenti cause riunite. |
17 |
Secondo una costante giurisprudenza della Corte, il procedimento ex articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione necessari per risolvere la controversia che essi sono chiamati a dirimere (v., segnatamente, sentenza del 27 novembre 2012, Pringle, C‑370/12, EU:C:2012:756, punto 83 e giurisprudenza ivi citata). |
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I requisiti concernenti il contenuto di una domanda di pronuncia pregiudiziale figurano espressamente nell’articolo 94 del regolamento di procedura, del quale si ritiene che il giudice del rinvio, nell’ambito della cooperazione instaurata dall’articolo 267 TFUE, abbia conoscenza e che è tenuto a rispettare scrupolosamente (v., in tal senso, ordinanza del 3 luglio 2014, Talasca,C‑19/14, EU:C:2014:2049, punto 21). |
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La Corte ha più volte osservato che l’esigenza di giungere ad un’interpretazione del diritto dell’Unione che sia utile per il giudice nazionale impone che quest’ultimo definisca il contesto di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate, o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (v., segnatamente, ordinanza del 18 aprile 2013, Adiamix, C‑368/12, non pubblicata, EU:C:2013:257, punto 20 e giurisprudenza ivi citata). |
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Il giudice nazionale deve indicare parimenti le ragioni precise che l’hanno indotto a interrogarsi sull’interpretazione di determinate disposizioni del diritto dell’Unione e a reputare necessario sottoporre talune questioni pregiudiziali alla Corte. La Corte ha già dichiarato indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sui motivi della scelta delle norme del diritto dell’Unione di cui chiede l’interpretazione e sul nesso intercorrente tra le disposizioni medesime e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui è investito (v., segnatamente, ordinanza del 4 giugno 2015, Argenta Spaarbank, C‑578/14, non pubblicata, EU:C:2015:372, punto 15 e giurisprudenza ivi citata). |
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È importante sottolineare che le notizie che vengono fornite e le questioni che vengono sottoposte con le decisioni di rinvio devono consentire alla Corte non solo di fornire soluzioni utili, ma anche di offrire ai governi degli Stati membri nonché alle altre parti interessate al procedimento la possibilità di presentare osservazioni a norma dell’articolo 23 dello statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea. Spetta a quest’ultima vigilare affinché tale possibilità sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma di tale articolo, agli interessati vengono notificati solo i provvedimenti di rinvio corredati di una traduzione nella lingua ufficiale di ciascuno Stato membro, ad esclusione del fascicolo nazionale eventualmente trasmesso alla Corte dal giudice del rinvio (sentenza dell’11 giugno 2015, Base Company e Mobistar, C‑1/14, EU:C:2015:378, punto 48 e giurisprudenza ivi citata). |
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In base a una giurisprudenza consolidata della Corte, il diniego di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile, in particolare, solo qualora risulti manifestamente che la disposizione del diritto dell’Unione sottoposta all’interpretazione della Corte non può essere applicata (sentenza del 17 settembre 2015, van der Lans, C‑257/14, EU:C:2015:618, punto 20 e giurisprudenza ivi citata). |
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A questo proposito, quanto al fatto che le domande di pronuncia pregiudiziale riguarderebbero la compatibilità delle disposizioni in questione con le disposizioni del trattato FUE in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, occorre rilevare che queste ultime non sono applicabili a un’ipotesi in cui tutti gli elementi si trovano confinati all’interno di un solo Stato membro (v., in tal senso, ordinanza del 3 luglio 2014, Tudoran, C‑92/14, EU:C:2014:2051, punto 37 e giurisprudenza ivi citata). |
24 |
Ebbene, è giocoforza constatare che dalle domande di pronuncia pregiudiziale non si evince assolutamente che le società di vigilanza abbiano sede in paesi diversi dall’Italia o che sussistano altri elementi collegati alle attività di queste ultime che non siano confinati all’interno di quest’unico Stato membro. |
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Pertanto, le domande di pronuncia pregiudiziale non forniscono elementi concreti che consentano di stabilire che gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE possono trovare applicazione nelle circostanze dei procedimenti principali. |
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Occorre nondimeno ricordare che, in determinate condizioni, il carattere puramente interno della situazione in oggetto non osta a che la Corte risponda a una questione posta ai sensi dell’articolo 267 TFUE. |
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Tale può essere il caso, segnatamente, nell’ipotesi in cui il diritto nazionale imponga al giudice del rinvio di far godere un cittadino dello Stato membro, al quale appartiene detto organo giurisdizionale, degli stessi diritti che un cittadino di un altro Stato membro ricaverebbe dal diritto dell’Unione nella medesima situazione, oppure se la domanda di pronuncia pregiudiziale verte su disposizioni del diritto dell’Unione alle quali il diritto nazionale di uno Stato membro fa rinvio per determinare le norme applicabili a una situazione puramente interna a detto Stato (ordinanza del 3 luglio 2014, Tudoran, C‑92/14, EU:C:2014:2051, punto 39 e giurisprudenza ivi citata). |
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Tuttavia, benché la Corte, in simili circostanze, possa procedere all’interpretazione richiesta, non le spetta di assumere una tale iniziativa se dalla domanda di pronuncia pregiudiziale non si evince che il giudice del rinvio si trovi effettivamente confrontato a un obbligo siffatto (v. ordinanza del 30 gennaio 2014, C., C‑122/13, EU:C:2014:59, punto 15). |
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Nell’ordinanza di rinvio, non si menziona nessun elemento che consenta di concludere che l’ordinamento italiano imponga al giudice del rinvio di far godere le società di vigilanza con sede in Italia degli stessi diritti che una società con sede in un altro Stato membro ricaverebbe dal diritto dell’Unione nella medesima situazione, oppure che il diritto italiano faccia rinvio al diritto dell’Unione per determinare le norme applicabili a una situazione puramente interna a detto Stato. |
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Occorre tuttavia rilevare che il giudice del rinvio conserva la facoltà di proporre una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale quando esso sarà in grado di fornire alla Corte l’insieme degli elementi che consentano a quest’ultima di statuire (v., in tal senso, ordinanze del 14 marzo 2013, EBS Le Relais Nord-Pas-de-Calais, C‑240/12, non pubblicata, EU:C:2013:173, punto 22; del 18 aprile 2013, Adiamix, C‑368/12, non pubblicata, EU:C:2013:257, punto 35, nonché del 5 novembre 2014, Hunland-Trade, C‑356/14, non pubblicata, EU:C:2014:2340, punto 24). |
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In tale contesto, sulla base dell’articolo 53, paragrafo 2, del regolamento di procedura, va constatato che la Corte è manifestamente incompetente a rispondere alle questioni proposte dal Consiglio di Stato (Italia). |
Sulle spese
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Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. |
Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) così provvede: |
La Corte di giustizia dell’Unione europea è manifestamente incompetente a rispondere alle questioni proposte dal Consiglio di Stato (Italia) con ordinanze del 12 novembre 2015. |
Firme |
( *1 ) Lingua processuale: l’italiano.