SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

1o ottobre 2014 ( *1 )

«Impugnazione — Dumping — Regolamento di esecuzione (UE) n. 464/2011 — Importazione di polvere di zeolite A originaria della Bosnia‑Erzegovina — Regolamento (CE) n. 1225/2009 — Articolo 2 — Determinazione del valore normale — Nozione di “normali operazioni commerciali”»

Nella causa C‑393/13 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta l’11 luglio 2013,

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da J.‑P. Hix, in qualità di agente, assistito inizialmente da G.M. Berrisch, successivamente da D. Geradin, avocats,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

Alumina d.o.o., con sede in Zvornik (Bosnia‑Erzegovina), rappresentata da J.-F. Bellis e B. Servais, avocats,

ricorrente in primo grado,

Commissione europea,

interveniente in primo grado,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da R. Silva de Lapuerta, presidente di sezione, J.L. da Cruz Vilaça, G. Arestis (relatore), J.‑C. Bonichot e A. Arabadjiev, giudici,

avvocato generale: P. Mengozzi

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 17 luglio 2014,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, il Consiglio dell’Unione europea chiede alla Corte l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea Alumina/Consiglio (T‑304/11, EU:T:2013:224; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale il Tribunale ha annullato il regolamento di esecuzione (UE) n. 464/2011 del Consiglio, dell’11 maggio 2011, che istituisce un dazio antidumping definitivo e dispone la riscossione definitiva del dazio provvisorio istituito sulle importazioni di polvere di zeolite A originaria della Bosnia‑Erzegovina (GU L 125, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento controverso»), nella parte in cui esso riguarda l’Alumina d.o.o. (in prosieguo: l’ «Alumina»).

Contesto normativo

2

Il regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU L 343, pag. 51, e rettifica in GU 2010, L 7, pag. 22; in prosieguo: il «regolamento di base»), al suo articolo 2, paragrafi da 1 a 4 e 6, dispone quanto segue:

«1.   Il valore normale è di norma basato sui prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore.

Qualora l’esportatore nel paese esportatore non produca né venda il prodotto simile, il valore normale può tuttavia essere stabilito in bas[e] ai prezzi di altri venditori o produttori.

I prezzi praticati tra le parti apparentemente associate oppure vincolate da un accordo di compensazione possono essere considerati come propri di normali operazioni commerciali, e possono quindi essere utilizzati per stabilire il valore normale unicamente qualora sia dimostrato che tale rapporto non incide sui prezzi.

(…)

2.   Le vendite del prodotto simile destinato al consumo sul mercato interno sono di norma utilizzate per determinare il valore normale se il volume di tali vendite corrisponde ad almeno il 5% del volume delle vendite del prodotto alla Comunità. Può tuttavia essere utilizzato anche un volume di vendite inferiore, tra l’altro quando i prezzi applicati sono considerati rappresentativi per il mercato considerato.

3.   Quando, nel corso di normali operazioni commerciali, non vi sono vendite del prodotto simile, oppure se tali vendite riguardano quantitativi insufficienti oppure se, tal[i] vendite a causa di una particolare situazione di mercato, non permettono un valido confronto, il valore normale del prodotto è calcolato in base al costo di produzione nel paese d’origine, maggiorato di un congruo importo per le spese generali, amministrative e di vendita e per i profitti oppure in base ai prezzi all’esportazione, nel corso di normali operazioni commerciali, ad un paese terzo appropriato, purché tali prezzi siano rappresentativi.

(…)

4.   Le vendite del prodotto simile sul mercato interno del paese esportatore, oppure destinat[e] ad un paese terzo, che sono effettuate a prezzi inferiori ai costi di produzione unitari (fissi e variabili), con l’aggiunta delle spese generali, amministrative e di vendita, possono essere considerate come non eseguite nell’ambito di normali operazioni commerciali a causa del prezzo e quindi si può non tenerne conto ai fini della determinazione del valore normale, soltanto se tali vendite sono avvenute in un periodo di tempo prolungato, in quantitativi consistenti e a prezzi che non consentono di coprire tutti i costi entro un congruo termine.

(…)

6.   Gli importi relativi alle spese generali, amministrative e di vendita e ai profitti sono basati su dati effettivi attinenti alla produzione e alla vendita del prodotto simile, nel corso di normali operazioni commerciali, da parte dell’esportatore o del produttore soggetti all’inchiesta. Se non è possibile determinare tali importi in base ai dati suddetti, possono essere utilizzati i seguenti elementi:

a)

la media ponderata degli importi effettivi determinati per altri esportatori o produttori sottoposti all’inchiesta riguardo alla produzione e alla vendita del prodotto simile sul mercato interno del paese d’origine;

b)

gli importi effettivamente sostenuti dall’esportatore o dal produttore in questione sul mercato interno del paese d’origine, nel corso di normali operazioni commerciali, per la produzione e la vendita di prodotti appartenenti alla stessa categoria generale;

c)

qualunque altro metodo appropriato, a condizione che l’importo del profitto così determinato non superi quello normalmente realizzato da altri esportatori o produttori per la vendita, sul mercato interno del paese d’origine, dei prodotti appartenenti alla stessa categoria generale».

Fatti, procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

3

I fatti all’origine della controversia rilevanti ai fini della presente impugnazione sono esposti ai punti 1, 3, 5 e da 7 a 10 della sentenza impugnata nei seguenti termini:

«1

A seguito di una denuncia presentata il 4 gennaio 2010, la Commissione europea ha pubblicato, il 17 febbraio 2010, un avviso di apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni di polvere di zeolite A originaria della Bosnia‑Erzegovina (GU C 40, pag. 5).

(…)

3

In forza del regolamento (UE) n. 1036/2010 della Commissione, del 15 novembre 2010, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di polvere di zeolite A originaria della Bosnia‑Erzegovina (GU L 298, pag. 27; in prosieguo: il «regolamento provvisorio»), la Commissione ha introdotto un dazio antidumping provvisorio pari al 28,1% sulle importazioni di polvere di zeolite A, denominata anche polvere di zeolite NaA o ancora zeolite 4A, originaria della Bosnia‑Erzegovina. Secondo il considerando 11 del regolamento provvisorio, il periodo d’inchiesta ha riguardato il periodo compreso tra il 1o gennaio e il 31 dicembre 2009.

(…)

5

Nell’ambito del calcolo del valore normale, la Commissione ha fatto uso del metodo descritto nell’articolo 2, paragrafo 3, del [regolamento di base], dal momento che le vendite [dell’Alumina] sul mercato interno non erano rappresentative ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, del medesimo regolamento. Per il calcolo del valore normale, la Commissione ha utilizzato la media ponderata dei profitti realizzati sulle vendite del prodotto simile effettuate sul mercato interno dal gruppo al quale appartiene [l’Alumina] (considerando da 21 a 26 del regolamento provvisorio).

(…)

7

Con lettera del 1o dicembre 2010, [l’Alumina] ha presentato le proprie osservazioni, facendo valere una violazione dell’articolo 2, paragrafi 3 e 6, del regolamento di base, motivo attinente all’uso, per il calcolo del valore normale del margine di profitto realizzato dalle vendite al suo unico cliente sul mercato interno, caratterizzate da un ampio rischio di mancato pagamento o di pagamento tardivo e, di conseguenza, che non costituivano operazioni commerciali normali.

8

Con lettera del 16 marzo 2011, la Commissione ha trasmesso [all’Alumina], conformemente all’articolo 20 del regolamento di base, un documento informativo finale nonché una risposta di rigetto delle affermazioni riguardanti le vendite sul mercato nazionale di cui al punto precedente. Con lettera del 18 marzo 2011, [l’Alumina] ha, segnatamente, reiterato la sua posizione illustrata al punto precedente.

9

Un dazio definitivo pari al 28,1% applicabile al prezzo netto, franco frontiera dell’Unione europea, dazio non corrisposto, è stato applicato ai prodotti menzionati al punto 3 supra, in forza del [regolamento controverso].

10

In merito al calcolo del valore normale, il Consiglio (...) espone, nei considerando 19 e 20 del regolamento [controverso], che le vendite nazionali prese in considerazione sono state effettuate nel corso di normali operazioni commerciali e che le istituzioni potevano basarsi sui dati che ne conseguivano nonostante tali vendite non fossero rappresentative ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base. Poiché tutte le vendite di cui trattasi erano remunerative, il valore normale calcolato sarebbe stato identico a quello che si sarebbe ottenuto applicando l’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, del regolamento di base».

4

A sostegno del proprio ricorso dinanzi al Tribunale, l’Alumina ha sollevato due motivi vertenti sulla violazione, da un lato, dell’articolo 2, paragrafi 3 e 6, del regolamento di base e, dall’altro, della prima frase del paragrafo 6 del medesimo articolo. Con la seconda parte del suo secondo motivo, l’Alumina faceva valere, in sostanza, che il Consiglio era incorso in un errore di diritto nel considerare come eseguite nell’ambito di normali operazioni commerciali le vendite del prodotto di cui trattasi, realizzate da tale società al suo unico cliente nel mercato interno, mentre i prezzi erano maggiorati del 25% a titolo di premio per il rischio di pagamento tardivo o di mancato pagamento. In tali circostanze, il Tribunale ha accolto tale seconda parte del secondo motivo ritenendo che il prezzo di vendita all’unico cliente dell’Alumina nel mercato interno non riflettesse normali operazioni commerciali ai sensi dell’articolo 2 del regolamento di base e, di conseguenza, ha annullato il regolamento controverso nella parte in cui riguardava l’Alumina.

Conclusioni delle parti

5

Con la sua impugnazione, il Consiglio chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata;

respingere il ricorso proposto dall’Alumina dinanzi al Tribunale, e

condannare quest’ultima alle spese di entrambi i gradi del procedimento.

6

L’Alumina chiede che la Corte voglia:

in via principale, respingere l’impugnazione del Consiglio,

in via subordinata, statuire sul ricorso in primo grado e annullare il regolamento controverso, e

condannare il Consiglio alle spese.

Sull’impugnazione

7

A sostegno della sua impugnazione, il Consiglio deduce un motivo unico, diretto contro le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale ai punti da 36 a 41 della sentenza impugnata, relative alla nozione di vendite effettuate «nel corso di normali operazioni commerciali» ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, del regolamento di base.

Argomenti delle parti

8

In primo luogo, il Consiglio ritiene che la valutazione operata dal Tribunale ai punti da 36 a 41 della sentenza impugnata, relativa alla seconda parte del secondo motivo dedotto dall’Alumina nel suo ricorso, sia viziata da un errore di diritto, in quanto esso avrebbe erroneamente interpretato la nozione di vendite effettuate «nel corso di normali operazioni commerciali» ai sensi dell’articolo 2, paragrafi 1 e 6, del regolamento di base. Infatti, il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel ritenere che vendite che non siano state effettuate nel corso di normali operazioni commerciali in ragione del fatto che i prezzi comprendevano un premio destinato a coprire il rischio di mancato pagamento da parte dell’acquirente, premio non collegato al valore del prodotto, non debbano essere prese in considerazione ai fini del calcolo del valore normale. Un’interpretazione del genere della nozione di «vendite nel corso di normali operazioni commerciali» non sarebbe suffragata né dal regolamento di base né dall’accordo sull’attuazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio del 1994 (GATT), figurante all’allegato 1 A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato dalla decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986‑1994) (GU 1994, L 336, pag. 1), Inoltre, esso ritiene che il punto 17 della sentenza Minolta Camera/Consiglio (C‑178/87, EU:C:1992:112) citata dal Tribunale al punto 27 della sentenza impugnata, al quale fa riferimento il punto 38 della stessa, non conforti l’interpretazione effettuata dal Tribunale.

9

Il criterio del «prezzo che riflette il valore del prodotto» accolto dal Tribunale sarebbe, secondo il Consiglio, inadeguato per determinare se una vendita sia effettuata nel corso di normali operazioni commerciali. In primo luogo, un’interpretazione del genere obbligherebbe le istituzioni a indovinare sistematicamente i motivi del pagamento e dell’applicazione dei prezzi comunicati e a determinare il valore reale dei prodotti. In secondo luogo, tale interpretazione comporterebbe un considerevole rischio di abuso in quanto incoraggerebbe l’inclusione, nei contratti di vendita, di una clausola che prevede che i prezzi contengano un tale premio di rischio al fine di evitare che tali prezzi siano presi in considerazione per la determinazione del valore normale.

10

In particolare, riguardo al punto 38 della sentenza impugnata, il Consiglio ritiene che non sia pertinente il riferimento all’articolo 2, paragrafo 10, lettera k), del regolamento di base, relativo agli altri fattori che incidono sui prezzi. In ogni caso, gli adeguamenti previsti da tale articolo sarebbero destinati a eliminare talune differenze tra il valore normale e il prezzo all’esportazione e non soltanto a rettificare il valore normale costruito sul prezzo al quale il prodotto è venduto nel corso di normali operazioni commerciali nel mercato interno.

11

A tale proposito, il Consiglio ritiene che le vendite siano effettuate nel corso di normali operazioni commerciali anche qualora il venditore abbia maggiorato il suo prezzo di vendita per coprire il rischio di pagamento tardivo o di mancato pagamento. Se tale circostanza rischiasse di compromettere la comparabilità tra il valore normale e il prezzo all’esportazione, occorrerebbe procedere agli adeguamenti di cui all’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base nell’ambito del confronto tra il prezzo normale e il prezzo all’esportazione. Il Consiglio rammenta, in merito, che il suddetto paragrafo 10, lettera g), prevede esplicitamente adeguamenti per le differenze inerenti al costo dei crediti concessi per le vendite in esame.

12

In secondo luogo, il Consiglio ritiene che l’interpretazione della nozione di «vendite effettuate nel corso di normali operazioni commerciali» accolta dal Tribunale, che esclude da tale nozione le vendite i cui prezzi comprendono un premio destinato a coprire il rischio che l’acquirente non possa o non voglia pagare, sia contraria al principio di certezza del diritto in quanto le istituzioni sarebbero obbligate a indovinare sistematicamente i motivi del pagamento e dell’applicazione dei prezzi comunicati e a determinare il valore «reale» del prodotto, com’è stato rilevato al punto 9 della presente sentenza.

13

Infine, il Consiglio sostiene che il Tribunale non ha rispettato il suo obbligo di motivazione in quanto la sentenza impugnata non contiene spiegazioni che consentano di concludere che le vendite non sono effettuate nel corso di normali operazioni commerciali qualora il prezzo contenga un premio per il rischio di mancato pagamento.

14

L’Alumina ritiene, in via principale, che il motivo fatto valere dal Consiglio a sostegno della propria impugnazione sia irricevibile poiché verte, in realtà, sulla valutazione dei fatti operata dal Tribunale ai punti da 31 a 35 della sentenza impugnata. Essa contesta, in via subordinata, la fondatezza di tale motivo e chiede che esso venga respinto.

Giudizio della Corte

Sulla ricevibilità dell’impugnazione

15

L’Alumina fa valere che l’impugnazione è irricevibile per il fatto che il Consiglio mette in discussione le constatazioni di fatto operate dal Tribunale ai punti da 31 a 35 della sentenza impugnata per giungere alla conclusione che le vendite dei prodotti in esame non sono state realizzate nel corso di normali operazioni commerciali, senza indicare l’errore di diritto in cui quest’ultimo sarebbe incorso.

16

A tale riguardo si deve rammentare che dagli articoli 256 TFUE e 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea risulta che il Tribunale è il solo competente, da un lato, ad accertare i fatti e, dall’altro, a valutare tali fatti. Soltanto nel caso in cui l’inesattezza materiale dell’accertamento dei fatti operato dal Tribunale risulti dai documenti del fascicolo a questo presentati, oppure in caso di snaturamento degli elementi di prova assunti a fondamento di tali fatti, il suddetto accertamento e la valutazione di tali elementi di prova costituiscono questioni di diritto assoggettate al controllo della Corte nell’ambito del giudizio di impugnazione. Per contro, la Corte è competente ad esercitare, a norma dell’articolo 256 TFUE, un controllo sulla qualificazione giuridica di tali fatti e sulle conseguenze di diritto che il Tribunale ne ha tratto (v. sentenze Consiglio/Zhejiang Xinan Chemical Industrial Group, C‑337/09 P, EU:C:2012:471, punto 55, nonché Turbowest Handel e Makarov/Consiglio e Commissione, C‑419/08 P, EU:C:2010:147, punti 30 e 31).

17

Nel caso di specie, il Consiglio contesta al Tribunale di aver interpretato in modo errato la nozione di vendite effettuate «nel corso di normali operazioni commerciali» ai sensi dell’articolo 2, paragrafi 1 e 6, del regolamento di base. Muovendo da tale interpretazione, esso avrebbe erroneamente qualificato i fatti posti alla base del regolamento controverso per concludere che il vizio legato alla presa in considerazione del premio di rischio inficia la validità del calcolo del valore normale fissato ai fini della valutazione dell’esistenza o no di un dumping.

18

L’impugnazione verte, pertanto, non già sull’accertamento dei fatti in quanto tale o sulla valutazione degli elementi di prova da parte del Tribunale, bensì sull’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione e sulla sua applicazione ai fatti quali constatati dal Consiglio.

19

In tali circostanze, l’impugnazione deve essere dichiarata ricevibile.

Nel merito

20

Occorre ricordare che la determinazione del valore normale di un prodotto costituisce una delle tappe fondamentali che devono consentire di accertare l’esistenza di un eventuale dumping. L’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, del regolamento di base dispone, a tale riguardo, che «[i]l valore normale è di norma basato sui prezzi pagati o pagabili, nel corso di normali operazioni commerciali, da acquirenti indipendenti nel paese esportatore». A tale proposito occorre altresì constatare che, nell’ambito della determinazione del valore normale, tanto dalla formulazione quanto dall’economia di tale disposizione risulta che, in linea di principio, per stabilire il valore normale occorre prendere in considerazione in via prioritaria il prezzo realmente pagato o pagabile nel corso di normali operazioni commerciali. Infatti, in forza del paragrafo 3, primo comma, del medesimo articolo, è possibile discostarsi da tale principio solo se nessuna vendita di un prodotto simile è stata effettuata nel corso di normali operazioni commerciali, se tali vendite sono insufficienti o se vendite del genere non consentono un valido confronto (v. sentenza Goldstar/Consiglio, C‑105/90, EU:C:1992:69, punto 12).

21

Tali deroghe al metodo di calcolo del valore normale in funzione di prezzi effettivi hanno un carattere esaustivo e si riferiscono alle caratteristiche delle vendite e non al prezzo del prodotto (sentenza Ajinomoto e NutraSweet/Consiglio e Commissione, C‑76/98 P e C‑77/98 P, EU:C:2001:234, punto 40).

22

Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 38 delle sue conclusioni, né l’accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio del 1994 né il regolamento di base contengono una definizione della nozione di normali operazioni commerciali. È vero che l’articolo 2 del regolamento di base prevede esplicitamente due ipotesi di vendite che, a determinate condizioni, non possono costituire normali operazioni commerciali.

23

In primo luogo, l’articolo 2, paragrafo 1, terzo comma, del regolamento di base specifica che i prezzi praticati tra le parti apparentemente associate oppure vincolate da un accordo di compensazione possono essere considerati come propri di normali operazioni commerciali, e possono quindi essere utilizzati per stabilire il valore normale unicamente qualora sia dimostrato, in via eccezionale, che tale rapporto non incide sui prezzi (sentenza Petrotub e Republica/Consiglio, C‑76/00 P, EU:C:2003:4, punto 85).

24

In secondo luogo, in forza dell’articolo 2, paragrafo 4, primo comma, del regolamento di base, le vendite del prodotto simile sul mercato interno del paese esportatore oppure destinate ad un paese terzo che sono effettuate a prezzi inferiori ai costi di produzione unitari possono essere considerate come non eseguite nel corso di normali operazioni commerciali soltanto se è dimostrato che esse sono avvenute in un periodo di tempo prolungato, in quantitativi consistenti e a prezzi che non consentono di coprire tutti i costi entro un congruo termine.

25

Tuttavia, non per questo l’articolo 2 del regolamento di base fornisce un elenco esaustivo dei metodi che consentono di determinare se i prezzi fossero praticati nel corso di normali operazioni commerciali. A tale proposito, la Corte ha già precisato che la nozione di normali operazioni commerciali fa riferimento al carattere delle vendite di per sé considerate. Essa mira ad escludere, nella determinazione del valore normale, le situazioni in cui le vendite sul mercato interno non sono effettuate in condizioni commerciali normali, in particolare allorché il prodotto è venduto ad un prezzo inferiore al costo di produzione o quando la relativa operazione avviene tra parti associate, o vincolate fra loro da un accordo di compensazione (v. sentenze Goldstar/Consiglio, EU:C:1992:69, punto 13, nonché Ajinomoto e NutraSweet/Consiglio e Commissione, EU:C:2001:234, punto 38).

26

Al punto 36 della sentenza impugnata il Tribunale ha considerato che il premio per il mancato pagamento costituisce una compensazione del rischio che il fornitore assume vendendo prodotti a un cliente particolare. Tale premio non rappresenta quindi una parte del valore del prodotto venduto né è legato alle caratteristiche di quest’ultimo, ma dipende dall’identità del cliente e dalla valutazione che opera il suo fornitore sulla capacità finanziaria di tale cliente.

27

Il Tribunale ha inoltre constatato, al punto 38 della sentenza impugnata, che l’inclusione di un premio del genere nel calcolo del margine di profitto stabilito ai fini della costruzione del valore normale tiene conto di un elemento che non riflette una parte del valore del prodotto venduto, il quale aumenta in tal modo artificiosamente il risultato del calcolo del valore normale, sicché tale risultato non riflette più in modo quanto più fedele possibile il prezzo di vendita di un prodotto quale sarebbe se il prodotto di cui trattasi fosse stato venduto nel paese di origine nel corso di normali operazioni commerciali.

28

Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, la finalità della nozione di normale operazione commerciale è di assicurare che il valore normale del prodotto corrisponda il più possibile al prezzo normale del prodotto simile sul mercato interno dell’esportatore. Se una vendita è conclusa a termini e condizioni che non corrispondono alla prassi commerciale relativa alle vendite del prodotto simile nel suddetto mercato al momento rilevante per la determinazione dell’esistenza del dumping, essa non costituisce una base adeguata per determinare il valore normale del prodotto simile nel suddetto mercato.

29

Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto a giusto titolo che l’inclusione, ai fini della determinazione del valore normale ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento di base, di un premio come quello relativo al rischio di mancato pagamento equivalesse a inserire in tale determinazione un fattore non idoneo a stabilire il prezzo al quale il prodotto in esame sarebbe venduto sul mercato interno in condizioni normali. Un tale elemento, che si basa esclusivamente sulla capacità finanziaria di un particolare acquirente interno, in effetti rientra nel novero di quelli inerenti alle caratteristiche delle vendite di cui le istituzioni devono tenere conto per accertare che tali vendite erano effettuate nel corso di normali operazioni commerciali corrispondenti alle condizioni di vendita del prodotto simile nel mercato interno nel periodo rilevante per la determinazione dell’esistenza o no del dumping.

30

A tale proposito occorre rilevare che il prezzo di un prodotto è solo una delle condizioni di una transazione commerciale. La questione se un prezzo sia praticato nel corso di normali operazioni commerciali dipende altresì delle altre condizioni della transazione idonee a influire sui prezzi praticati, quali il volume della transazione, le obbligazioni supplementari assunte dalle parti della stessa o il termine di consegna. Nell’ambito di tale valutazione, che deve essere effettuata caso per caso, le istituzioni devono prendere in considerazione tutti i fattori rilevanti e tutte le circostanze particolari relativi alle vendite in esame.

31

Nella fattispecie, è vero che il Tribunale ha considerato, al punto 36 della sentenza impugnata, che l’inclusione del premio di rischio attinente al mancato pagamento non rappresentava una parte del valore del prodotto venduto né era legata alle caratteristiche di quest’ultimo, e, al punto 38 della medesima sentenza, ha affermato che il premio era un elemento che non riflette una parte del valore del prodotto venduto. Tuttavia, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 58 delle sue conclusioni, tali punti non esprimono affermazioni di principio da parte del Tribunale secondo le quali il carattere normale delle vendite dipenderebbe necessariamente dal fatto che il loro prezzo rifletta il valore del prodotto.

32

Si deve pertanto constatare che la conclusione del Tribunale, al punto 38 della sentenza impugnata, secondo la quale tale premio aumenta artificiosamente il risultato del calcolo del valore normale, è compatibile con la giurisprudenza esistente della Corte secondo la quale l’inclusione di tale premio di rischio sarebbe tale da incidere sul carattere normale delle vendite (v. sentenza Ajinomoto e NutraSweet/Consiglio e Commissione, EU:C:2001:234, punti 39 e 41). A tale proposito occorre rilevare che, in tale ambito, le istituzioni sono tenute a esaminare se tale condizione di vendita sarebbe stata applicata a tutti i clienti in maniera generale nel mercato del prodotto simile o se fosse specifica alla luce della situazione del cliente interessato.

33

Riguardo agli argomenti del Consiglio attinenti al riferimento all’articolo 2, paragrafo 10, lettera k), del regolamento di base, che il Tribunale effettua ai punti da 38 a 40 della sentenza impugnata, va constatato che essi sono inoperanti poiché il ragionamento decisivo del Tribunale al riguardo, sviluppato in particolare ai punti 36 e 37 della medesima sentenza, non è viziato da errore di diritto. Infatti, anche qualora fosse stabilito che tale riferimento è errato, tale circostanza non avrebbe alcuna incidenza sulla validità dell’interpretazione della nozione di vendite effettuate nel corso di normali operazioni commerciali adottata dal Tribunale nella sentenza impugnata e non potrebbe, pertanto, comportare l’annullamento della medesima.

34

Per quanto riguarda, infine, la parte del motivo vertente sulla violazione da parte del Tribunale dell’obbligo di motivazione, che del resto non è fondata su argomenti specifici, essa non può che essere respinta giacché la motivazione della sentenza impugnata fa apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dal Tribunale.

35

Da tutto quanto precede risulta che il motivo unico dedotto dal Consiglio a sostegno della sua impugnazione non può essere accolto e, di conseguenza, l’impugnazione dev’essere respinta.

Sulle spese

36

A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta, quest’ultima statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza del paragrafo 1 del medesimo articolo 184, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’Alumina ne ha fatto domanda, il Consiglio, rimasto soccombente nel suo motivo unico, dev’essere condannato alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’impugnazione è respinta.

 

2)

Il Consiglio dell’Unione europea è condannato alle spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il francese.