Parti
Motivazione della sentenza
Dispositivo

Parti

Nella causa C‑272/13,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Commissione tributaria regionale per la Toscana (Italia), con decisione del 25 maggio 2012, pervenuta in cancelleria il 21 maggio 2013, nel procedimento

Equoland Soc. coop. arl

contro

Agenzia delle Dogane – Ufficio delle Dogane di Livorno ,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta da A. Borg Barthet, presidente di sezione, E. Levits e F. Biltgen (relatore), giudici,

avvocato generale: N. Jääskinen

cancelliere: L. Carrasco Marco, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 9 aprile 2014,

considerate le osservazioni presentate:

– per la Equoland Soc. coop. arl, da M. Turci, R. Vianello e D. D’Alauro, avvocati;

– per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. Albenzio, avvocato dello Stato;

– per il governo spagnolo, da J. García-Valdecasas Dorrego e L. Banciella Rodríguez-Miñón, in qualità di agenti;

– per la Commissione europea, da D. Recchia e C. Soulay, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Motivazione della sentenza

Sentenza

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 16 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006 (GU L 51, pag. 12; in prosieguo: la «sesta direttiva»), nonché degli articoli 154 e 157 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»).

2. Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Equoland Soc. coop. arl (in prosieguo: la «Equoland») e l’Agenzia delle Dogane – Ufficio delle Dogane di Livorno (in prosieguo: l’«Ufficio») in merito a una decisione di quest’ultima che faceva obbligo alla Equoland di pagare l’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») in relazione all’importazione su merci non introdotte fisicamente in un deposito fiscale, sebbene essa avesse già versato tale imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile («reverse charge»).

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

3. L’articolo 10, paragrafo 3, della sesta direttiva prevede quanto segue:

«Il fatto generatore si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata l’importazione del bene. Quando i beni sono assoggettati, al momento del loro ingresso nella Comunità, ad uno dei regimi di cui all’articolo 7, paragrafo 3, il fatto generatore si verifica e l’imposta diventa esigibile soltanto nel momento in cui i beni sono svincolati da tali regimi.

Tuttavia, quando i beni importati sono soggetti a dazi doganali, prelievi agricoli o a imposte di effetto equivalente istituiti nell’ambito di una politica comune, il fatto generatore si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui scattano il fatto generatore e l’esigibilità di questi dazi o prelievi comunitari.

Qualora i beni importati non siano assoggettati ad alcuno di tali dazi o prelievi comunitari, gli Stati membri applicano le disposizioni in vigore per i dazi doganali, per ciò che si riferisce al fatto generatore dell’imposta ed alla sua esigibilità».

4. L’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva, nella sua versione risultante dall’articolo 28 quater della medesima direttiva (in prosieguo: «l’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva»), così dispone:

«Fatte salve le altre disposizioni fiscali comunitarie, gli Stati membri, con riserva della consultazione di cui all’articolo 29, possono prendere misure particolari per esentare le operazioni seguenti o alcune di esse, a condizione che non mirino ad una utilizzazione e/o ad un consumo finale e che l’importo dell’[IVA], dovuto all’atto dello svincolo dai regimi o dell’uscita dalle situazioni di cui ai punti da A ad E, corrisponda all’importo dell’imposta che sarebbe stato dovuto se ognuna di tali operazioni fosse stata oggetto di imposta all’interno del paese.

A. le importazioni di beni destinati ad essere immessi in un regime di deposito diverso da quello doganale;

B. le cessioni di beni destinati ad essere:

a) portati in dogana e immessi, se del caso, in deposito provvisorio;

b) immessi in una zona franca o in un deposito franco;

c) immessi in un regime di deposito doganale o in un regime di perfezionamento attivo;

(...)

e) immessi, nel paese, in un regime di deposito diverso da quello doganale.

Ai fini del presente articolo si considerano depositi non doganali:

– per i prodotti soggetti ad accisa, i luoghi definiti come depositi fiscali ai sensi dell’articolo 4, lettera b), della direttiva 92/12/CEE [del Consiglio del 25 febbraio 1992 relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa (GU L 76, pag. 1)],

– per i beni non soggetti ad accisa, i luoghi definiti tali dagli Stati membri. Gli Stati membri non possono tuttavia istituire un regime di deposito non doganale quando tali beni sono destinati ad essere ceduti allo stadio del commercio al minuto.

(...)».

5. L’articolo 17 della sesta direttiva, nella sua versione risultante dall’articolo 28 septies della medesima, recita:

«1. Il diritto a [detrazione] nasce quando l’imposta deducibile diventa esigibile.

2. Nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a [detrarre] dall’imposta di cui è debitore:

(...)

b) l’[IVA] dovuta o assolta per i beni importati all’interno del paese;

(...)».

6. A norma dell’articolo 4, lettera b), della direttiva 92/12 viene considerato come deposito fiscale «il luogo in cui vengono fabbricate, trasformate, detenute, ricevute o spedite dal depositario autorizzato, nell’esercizio della sua professione, in regime di sospensione dei diritti di accisa, merci soggette ad accisa, a determinate condizioni fissate dalle autorità competenti dello Stato membro in cui è situato il deposito fiscale in questione».

Il diritto italiano

7. Il decreto legge del 30 agosto 1993, n. 331, recante «Armonizzazione delle disposizioni in materia di imposte sugli oli minerali, sull’alcole, sulle bevande alcoliche, sui tabacchi lavorati e in materia di IVA con quelle recate da direttive CEE e modificazioni conseguenti a detta armonizzazione, nonché disposizioni concernenti la disciplina dei Centri autorizzati di assistenza fiscale, le procedure dei rimborsi di imposta, l’esclusione dall’ILOR dei redditi di impresa fino all’ammontare corrispondente al contributo diretto lavorativo, l’istituzione per il 1993 di un’imposta erariale straordinaria su taluni beni ed altre disposizioni tributarie» (GURI n. 203, del 30 agosto 1993), al suo articolo 50 bis, comma 4, così dispone:

«Sono effettuate senza pagamento dell’[IVA] le seguenti operazioni:

(...)

b) le operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA previa prestazione di idonea garanzia commisurata all’imposta. La prestazione della garanzia non è dovuta per i soggetti certificati ai sensi dell’articolo 14-bis del regolamento (CEE) n. 2454/93 (...) e per quelli esonerati ai sensi dell’articolo 90 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43».

8. Il decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 471, riguardante la «Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge n. 662, del 23 dicembre 1996» (supplemento ordinario alla GURI n. 5 dell’8 gennaio 1998; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 471/97»), al suo articolo 13, prevede quanto segue:

«1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti riguardanti crediti assistiti integralmente da forme di garanzia reale o personale previste dalla legge o riconosciute dall’amministrazione finanziaria, effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al primo periodo, oltre a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. Identica sanzione si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

2. Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto.

3. Le sanzioni previste nel presente articolo non si applicano quando i versamenti sono stati tempestivamente eseguiti ad ufficio o concessionario diverso da quello competente».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

9. In base alla decisione di rinvio e alle osservazioni presentate dalla Equoland, dai governi italiano e spagnolo nonché dalla Commissione europea, i fatti del procedimento principale possono essere riassunti nel seguente modo.

10. Nel giugno 2006, la Equoland ha importato presso l’Ufficio una partita di merci proveniente da un paese terzo. Sulla dichiarazione doganale veniva indicato che tali merci erano destinate al deposito fiscale ai fini dell’IVA. Di conseguenza, alla data della suddetta operazione non è stato richiesto alcun versamento dell’IVA all’importazione.

11. Il giorno dopo l’importazione, il gestore del deposito cui erano destinate le merci ha iscritto queste ultime nel registro di magazzino. È tuttavia emerso che le merci non sono mai state introdotte fisicamente nel deposito, ma vi sono state introdotte soltanto virtualmente, vale a dire mediante la loro iscrizione nel suddetto registro. Le merci sono state quindi immediatamente estratte dal regime del deposito fiscale e l’IVA è stata assolta mediante il meccanismo dell’inversione contabile applicato dalla Equoland.

12. Ritenendo che non fossero stati rispettati i presupposti per la posticipazione del versamento dell’IVA all’importazione in quanto le merci non erano state fisicamente introdotte nel deposito fiscale, l’Ufficio ha considerato che la Equoland non aveva assolto l’imposta dovuta e ha richiesto, a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 471/97, il pagamento dell’IVA all’importazione, maggiorata di una sanzione pari al 30% del suo importo.

13. La Equoland ha impugnato tale decisione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Livorno deducendo che essa aveva regolarizzato la sua situazione riguardo all’IVA all’importazione mediante il meccanismo dell’inversione contabile, versando la suddetta IVA all’Agenzia delle Entrate anziché all’Ufficio. Di conseguenza, l’articolo 13 del decreto legislativo n. 471/97 non si applicherebbe a una fattispecie come quella ricorrente nel procedimento principale.

14. Poiché il suo ricorso è stato respinto, la Equoland ha interposto appello avverso la decisione di rigetto dinanzi alla Commissione tributaria regionale per la Toscana, ribadendo la propria posizione secondo cui l’accertamento in rettifica era fondato unicamente sulla circostanza che le merci importate non erano state «fisicamente» introdotte nel deposito fiscale, senza che vi fosse stata sottrazione dell’IVA poiché, al momento dell’immissione in consumo, si sarebbe provveduto ad un’autofatturazione dell’acquisto tramite importazione e al pagamento dell’IVA in tal modo regolarizzata. Peraltro, la Equoland sostiene che, in vari Stati membri, l’introduzione «virtuale» delle merci in un deposito fiscale è legale.

15. L’Ufficio deduce, anzitutto, che il presupposto per l’applicazione della disciplina relativa ai depositi in materia di IVA, che sospende l’obbligo di versare l’imposta al momento dell’importazione e consente di liquidarla soltanto al momento della dichiarazione periodica, è l’introduzione «fisica» dei beni importati in un siffatto deposito. Infatti, le disposizioni nazionali sarebbero chiare e richiederebbero l’introduzione «fisica» dei suddetti beni nel deposito in quanto il posticipato incasso dell’IVA sarebbe garantito unicamente dalla presenza di questi ultimi in un deposito fiscale regolarmente autorizzato.

16. Inoltre, il principio di neutralità dell’IVA, che riguarderebbe solamente gli effetti economici di tale imposta sui consumatori, non può essere invocato per non rispettare l’obbligo di versare l’IVA quando si verifica il fatto generatore dell’imposta. Orbene, nel caso di specie, quest’ultimo sarebbe dato dall’importazione del bene.

17. Infine, poiché l’IVA all’importazione è un’imposta connessa all’attraversamento della frontiera, essa dovrebbe essere calcolata e riscossa dall’amministrazione doganale, nella specie l’Ufficio, il che, del resto, consentirebbe un tempestivo versamento della quota parte spettante all’Unione Europea.

18. Il giudice del rinvio, investito della controversia, rileva che l’interpretazione proposta dall’Ufficio avrebbe come conseguenza di far pagare due volte l’IVA a causa dell’inosservanza di un obbligo che dovrebbe considerarsi puramente formale. Orbene, la violazione di un siffatto obbligo potrebbe essere autonomamente sanzionata nell’ipotesi in cui l’introduzione fisica delle merci nel deposito fiscale fosse ritenuta obbligatoria, ma essa non dovrebbe, in mancanza di un’operazione imponibile, dare luogo all’applicazione dell’IVA alle medesime.

19. Ciò premesso, la Commissione tributaria regionale per la Toscana ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Secondo l’art. 16 della [sesta direttiva] e gli artt. 154 e 157 della [direttiva IVA] la destinazione dei beni importati in un regime di deposito diverso da quello doganale, e cioè di deposito IVA, è sufficiente a consentire l’esenzione del pagamento dell’IVA all’importazione anche laddove l’introduzione avvenga solo cartolarmente e non fisicamente?

2) La [sesta direttiva] e la [direttiva IVA] ostano alla prassi con cui uno Stato membro riscuote l’IVA all’importazione nonostante questa – per errore o irregolarità – sia stata assolta in reverse charge mediante emissione di autofattura e contestuale registrazione nel registro delle vendite e degli acquisti?

3) Viola il principio di neutralità dell’IVA la pretesa dello Stato membro di esigere l’IVA assolta in reverse charge mediante emissione di autofattura e contestuale registrazione nel registro delle vendite e degli acquisti?».

Sulle questioni pregiudiziali

20. Come emerge dal fascicolo presentato alla Corte, l’importazione delle merci di cui trattasi nel procedimento principale ha avuto luogo nel giugno 2006, sicché la direttiva 2006/112, che è entrata in vigore solo il 1° gennaio 2007, non trova applicazione, ratione temporis, nel procedimento principale.

21. Di conseguenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale va intesa nel senso che riguarda unicamente l’interpretazione della sesta direttiva.

Sulla prima questione

22. Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che subordina la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini dell’IVA siano introdotte fisicamente in quest’ultimo.

23. A tal riguardo, va ricordato anzitutto che l’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva deve essere interpretato restrittivamente in quanto costituisce una disposizione derogatoria rispetto al principio, sancito dall’articolo 10, paragrafo 3, della medesima direttiva, secondo cui il fatto generatore si verifica e l’IVA all’importazione diventa esigibile nel momento in cui è effettuata l’importazione dei beni.

24. Il legislatore dell’Unione ha poi subordinato l’esercizio della facoltà concessa agli Stati membri dall’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva al ricorrere di due presupposti sostanziali, ossia, da un lato, che la merce, la cui importazione deve essere esentata, non sia destinata ad un’utilizzazione o ad un consumo finali e, dall’altro, che l’importo dell’IVA, dovuto all’atto dello svincolo dal regime cui tale merce era sottoposta, corrisponda all’importo dell’IVA che sarebbe stato dovuto se ognuna delle operazioni fosse stata oggetto di imposta all’interno del paese.

25. Infine, nell’esercizio della facoltà così riconosciuta agli Stati membri, questi ultimi possono adottare provvedimenti particolari per concedere il beneficio dell’esenzione prevista dall’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva.

26. Ciò premesso e in mancanza di altre indicazioni a tal riguardo nella sesta direttiva, in linea di principio spetta agli Stati membri determinare le formalità che il soggetto passivo deve adempiere al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA in base alla suddetta disposizione.

27. Occorre tuttavia aggiungere che, quando esercitano le competenze in tal modo riconosciute, gli Stati membri sono tenuti a rispettare il diritto dell’Unione nonché i suoi principi generali e, di conseguenza, il principio di proporzionalità (v. sentenza Rēdlihs, C‑263/11, EU:C:2012:497, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

28. Nel caso di specie, come emerge dalla decisione di rinvio, il legislatore italiano ha previsto che, al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, il soggetto passivo abbia l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale, poiché si presume che tale presenza fisica garantisca la successiva riscossione dell’imposta.

29. Orbene, è giocoforza constatare che un siffatto obbligo, nonostante il suo carattere formale, è atto a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonché evitare l’evasione di tale imposta e, in quanto tale, non eccede quanto necessario per conseguire i suddetti obiettivi.

30. Di conseguenza, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini dell’IVA siano fisicamente introdotte nel medesimo.

Sulla seconda e terza questione

31. Con la sua seconda e terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la sesta direttiva debba essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’IVA, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’IVA all’importazione sebbene sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.

32. A tal riguardo, va ricordato che qualora, per esercitare le competenze attribuite dall’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva, gli Stati membri adottino misure quali l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale, tali Stati rimangono anche competenti, in mancanza di una disciplina in materia di sanzioni, a scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate (v., in tal senso, sentenza Rēdlihs, EU:C:2012:497, punto 44).

33. È quindi legittimo per uno Stato membro, al fine di garantire l’esatta riscossione dell’IVA all’importazione e di evitare l’evasione, prevedere nella propria normativa nazionale sanzioni appropriate, volte a penalizzare il mancato rispetto dell’obbligo di introdurre fisicamente una merce importata nel deposito fiscale.

34. Siffatte sanzioni non devono tuttavia eccedere quanto necessario per conseguire tali obiettivi (v., in tal senso, sentenze Ecotrade, C‑95/07 e C‑96/07, EU:C:2008:267, punti da 65 a 67; EMS-Bulgaria Transport, C‑284/11, EU:C:2012:458, punto 67, e Rēdlihs, EU:C:2012:497, punto 47).

35. Al fine di valutare se una simile sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a penalizzare, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa.

36. Per quanto riguarda, in primo luogo, la natura e la gravità dell’infrazione, da un lato, occorre ricordare che l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale costituisce un requisito formale, come statuito al punto 29 della presente sentenza.

37. Va rilevato, d’altro lato, come sottolineato dal giudice del rinvio, che l’inosservanza di tale obbligo non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell’IVA all’importazione poiché questa è stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile applicato dal soggetto passivo.

38. Certamente, si potrebbe argomentare che, siccome la merce non è stata fisicamente introdotta nel deposito fiscale, l’IVA era dovuta al momento dell’importazione e, pertanto, il pagamento mediante il meccanismo dell’inversione contabile costituisce un pagamento tardivo di tale IVA.

39. Orbene, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che un versamento tardivo dell’IVA costituisce, in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato, solo una violazione formale che non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto passivo. Ad ogni modo, un siffatto versamento tardivo non può essere equiparato, di per sé, a una frode, la quale presuppone, da un lato, che l’operazione controversa, nonostante il rispetto delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la recepisce, abbia il risultato di procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sia contraria all’obiettivo perseguito da queste disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione controversa è il conseguimento di un vantaggio fiscale (v., in tal senso, sentenze Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 74 e 75, nonché EMS-Bulgaria Transport, EU:C:2012:458, punto 74).

40. Per quanto riguarda, in secondo luogo, le modalità di determinazione dell’importo della sanzione, va constatato, anzitutto, che la prescrizione secondo cui, oltre a una maggiorazione del 30%, il soggetto passivo deve versare nuovamente l’IVA all’importazione, senza che si tenga conto del pagamento già avvenuto, equivale sostanzialmente a privare tale soggetto passivo del suo diritto a detrazione. Infatti, assoggettare una sola e unica operazione a una doppia imposizione dell’IVA, concedendo al contempo una sola volta la detraibilità di tale imposta, fa permanere la rimanente IVA a carico del soggetto passivo.

41. A tal riguardo, e senza che sia necessario esaminare la compatibilità di tale parte della sanzione con il principio di proporzionalità, è sufficiente ricordare, da un lato, che la Corte ha ripetutamente dichiarato che in considerazione del ruolo preponderante che il diritto a detrazione occupa nel sistema comune dell’IVA, diretto a garantire la perfetta neutralità fiscale di tale imposta rispetto a tutte le attività economiche, poiché tale neutralità presuppone la facoltà per il soggetto passivo di detrarre l’IVA dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche, una sanzione consistente in un diniego del diritto a detrazione non è conforme alla sesta direttiva nel caso in cui non fossero accertati nessuna frode o danno per il bilancio dello Stato (v., in tal senso, sentenze Sosnowska, C‑25/07, EU:C:2008:395, punti 23 e 24, nonché EMS-Bulgaria Transport, EU:C:2012:458, punti 68 e 70).

42. D’altro lato, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano in udienza, il regime dell’inversione contabile previsto dalla sesta direttiva consente, in particolare, di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale constatate in taluni tipi di operazioni (v. sentenza Véleclair, C‑414/10, EU:C:2012:183, punto 34).

43. Nei limiti in cui, secondo il giudice del rinvio, nel procedimento principale non sussiste né evasione né tentativo di evasione, la parte della sanzione consistente nel richiedere un nuovo pagamento dell’IVA già assolta, senza che tale secondo pagamento conferisca un diritto a detrazione, non può considerarsi conforme al principio di neutralità dell’IVA.

44. Per quanto riguarda, poi, la parte della sanzione consistente in una maggiorazione dell’imposta secondo una percentuale forfettaria, è sufficiente ricordare che la Corte ha già dichiarato che una siffatta modalità di determinazione dell’importo della sanzione – senza che sussista una possibilità di gradazione del medesimo – può eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare l’evasione (v., in tal senso, sentenza Rēdlihs, EU:C:2012:497, punti 45 e da 50 a 52).

45. Nella fattispecie, in considerazione dell’entità della percentuale fissata per la maggiorazione prevista dalla normativa nazionale e dell’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie, non è escluso che tale modalità di determinazione dell’importo della sanzione, e dunque la parte corrispondente della medesima, possa rivelarsi sproporzionata (v. sentenza Rēdlihs, EU:C:2012:497, punto 52).

46. Infine, va aggiunto che, ai sensi della giurisprudenza della Corte, il versamento di interessi moratori può costituire una sanzione adeguata in caso di violazione di un obbligo formale, purché non ecceda quanto necessario al conseguimento degli obiettivi perseguiti, consistenti nel garantire l’esatta riscossione dell’IVA e nell’evitare l’evasione (v. sentenza EMS-Bulgaria Transport, EU:C:2012:458, punto 75).

47. Tuttavia, qualora l’importo globale degli interessi posti a carico del soggetto passivo dovesse corrispondere all’importo dell’imposta detraibile, privando quindi quest’ultimo del suo diritto a detrazione, una siffatta sanzione dovrebbe essere considerata sproporzionata.

48. Ad ogni modo, la valutazione finale del carattere proporzionato della sanzione di cui trattasi nel procedimento principale compete unicamente al giudice del rinvio.

49. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda e terza questione pregiudiziale dichiarando che la sesta direttiva deve essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’IVA, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’IVA all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.

Sulle spese

50. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Dispositivo

Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara:

1) L’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006, nella sua versione risultante dall’articolo 28 quater della sesta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini di tale imposta siano fisicamente introdotte nel medesimo.

2) La sesta direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva 2006/18, deve essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.


SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)

17 luglio 2014 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale — Imposta sul valore aggiunto — Sesta direttiva 77/388/CEE — Direttiva 2006/112/CE — Esenzione delle importazioni di beni destinati ad essere immessi in un regime di deposito diverso da quello doganale — Obbligo di introdurre fisicamente le merci nel deposito — Inosservanza — Obbligo di versare l’IVA nonostante il fatto che essa sia già stata assolta mediante il meccanismo dell’inversione contabile»

Nella causa C‑272/13,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Commissione tributaria regionale per la Toscana (Italia), con decisione del 25 maggio 2012, pervenuta in cancelleria il 21 maggio 2013, nel procedimento

Equoland Soc. coop. arl

contro

Agenzia delle Dogane – Ufficio delle Dogane di Livorno,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta da A. Borg Barthet, presidente di sezione, E. Levits e F. Biltgen (relatore), giudici,

avvocato generale: N. Jääskinen

cancelliere: L. Carrasco Marco, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 9 aprile 2014,

considerate le osservazioni presentate:

per la Equoland Soc. coop. arl, da M. Turci, R. Vianello e D. D’Alauro, avvocati;

per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. Albenzio, avvocato dello Stato;

per il governo spagnolo, da J. García-Valdecasas Dorrego e L. Banciella Rodríguez-Miñón, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da D. Recchia e C. Soulay, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 16 della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1), come modificata dalla direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006 (GU L 51, pag. 12; in prosieguo: la «sesta direttiva»), nonché degli articoli 154 e 157 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva IVA»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Equoland Soc. coop. arl (in prosieguo: la «Equoland») e l’Agenzia delle Dogane – Ufficio delle Dogane di Livorno (in prosieguo: l’«Ufficio») in merito a una decisione di quest’ultima che faceva obbligo alla Equoland di pagare l’imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l’«IVA») in relazione all’importazione su merci non introdotte fisicamente in un deposito fiscale, sebbene essa avesse già versato tale imposta mediante il meccanismo dell’inversione contabile («reverse charge»).

Contesto normativo

Il diritto dell’Unione

3

L’articolo 10, paragrafo 3, della sesta direttiva prevede quanto segue:

«Il fatto generatore si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui è effettuata l’importazione del bene. Quando i beni sono assoggettati, al momento del loro ingresso nella Comunità, ad uno dei regimi di cui all’articolo 7, paragrafo 3, il fatto generatore si verifica e l’imposta diventa esigibile soltanto nel momento in cui i beni sono svincolati da tali regimi.

Tuttavia, quando i beni importati sono soggetti a dazi doganali, prelievi agricoli o a imposte di effetto equivalente istituiti nell’ambito di una politica comune, il fatto generatore si verifica e l’imposta diventa esigibile nel momento in cui scattano il fatto generatore e l’esigibilità di questi dazi o prelievi comunitari.

Qualora i beni importati non siano assoggettati ad alcuno di tali dazi o prelievi comunitari, gli Stati membri applicano le disposizioni in vigore per i dazi doganali, per ciò che si riferisce al fatto generatore dell’imposta ed alla sua esigibilità».

4

L’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva, nella sua versione risultante dall’articolo 28 quater della medesima direttiva (in prosieguo: «l’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva»), così dispone:

«Fatte salve le altre disposizioni fiscali comunitarie, gli Stati membri, con riserva della consultazione di cui all’articolo 29, possono prendere misure particolari per esentare le operazioni seguenti o alcune di esse, a condizione che non mirino ad una utilizzazione e/o ad un consumo finale e che l’importo dell’[IVA], dovuto all’atto dello svincolo dai regimi o dell’uscita dalle situazioni di cui ai punti da A ad E, corrisponda all’importo dell’imposta che sarebbe stato dovuto se ognuna di tali operazioni fosse stata oggetto di imposta all’interno del paese.

A.

le importazioni di beni destinati ad essere immessi in un regime di deposito diverso da quello doganale;

B.

le cessioni di beni destinati ad essere:

a)

portati in dogana e immessi, se del caso, in deposito provvisorio;

b)

immessi in una zona franca o in un deposito franco;

c)

immessi in un regime di deposito doganale o in un regime di perfezionamento attivo;

(...)

e)

immessi, nel paese, in un regime di deposito diverso da quello doganale. Ai fini del presente articolo si considerano depositi non doganali:

per i prodotti soggetti ad accisa, i luoghi definiti come depositi fiscali ai sensi dell’articolo 4, lettera b), della direttiva 92/12/CEE [del Consiglio del 25 febbraio 1992 relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa (GU L 76, pag. 1)],

per i beni non soggetti ad accisa, i luoghi definiti tali dagli Stati membri. Gli Stati membri non possono tuttavia istituire un regime di deposito non doganale quando tali beni sono destinati ad essere ceduti allo stadio del commercio al minuto.

(...)».

5

L’articolo 17 della sesta direttiva, nella sua versione risultante dall’articolo 28 septies della medesima, recita:

«1.   Il diritto a [detrazione] nasce quando l’imposta deducibile diventa esigibile.

2.   Nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a [detrarre] dall’imposta di cui è debitore:

(...)

b)

l’[IVA] dovuta o assolta per i beni importati all’interno del paese;

(...)».

6

A norma dell’articolo 4, lettera b), della direttiva 92/12 viene considerato come deposito fiscale «il luogo in cui vengono fabbricate, trasformate, detenute, ricevute o spedite dal depositario autorizzato, nell’esercizio della sua professione, in regime di sospensione dei diritti di accisa, merci soggette ad accisa, a determinate condizioni fissate dalle autorità competenti dello Stato membro in cui è situato il deposito fiscale in questione».

Il diritto italiano

7

Il decreto legge del 30 agosto 1993, n. 331, recante «Armonizzazione delle disposizioni in materia di imposte sugli oli minerali, sull’alcole, sulle bevande alcoliche, sui tabacchi lavorati e in materia di IVA con quelle recate da direttive CEE e modificazioni conseguenti a detta armonizzazione, nonché disposizioni concernenti la disciplina dei Centri autorizzati di assistenza fiscale, le procedure dei rimborsi di imposta, l’esclusione dall’ILOR dei redditi di impresa fino all’ammontare corrispondente al contributo diretto lavorativo, l’istituzione per il 1993 di un’imposta erariale straordinaria su taluni beni ed altre disposizioni tributarie» (GURI n. 203, del 30 agosto 1993), al suo articolo 50 bis, comma 4, così dispone:

«Sono effettuate senza pagamento dell’[IVA] le seguenti operazioni:

(...)

b)

le operazioni di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito IVA previa prestazione di idonea garanzia commisurata all’imposta. La prestazione della garanzia non è dovuta per i soggetti certificati ai sensi dell’articolo 14-bis del regolamento (CEE) n. 2454/93 (...) e per quelli esonerati ai sensi dell’articolo 90 del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43».

8

Il decreto legislativo del 18 dicembre 1997, n. 471, riguardante la «Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge n. 662, del 23 dicembre 1996» (supplemento ordinario alla GURI n. 5 dell’8 gennaio 1998; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 471/97»), al suo articolo 13, prevede quanto segue:

«1.   Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti riguardanti crediti assistiti integralmente da forme di garanzia reale o personale previste dalla legge o riconosciute dall’amministrazione finanziaria, effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al primo periodo, oltre a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. Identica sanzione si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.

2.   Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto.

3.   Le sanzioni previste nel presente articolo non si applicano quando i versamenti sono stati tempestivamente eseguiti ad ufficio o concessionario diverso da quello competente».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

9

In base alla decisione di rinvio e alle osservazioni presentate dalla Equoland, dai governi italiano e spagnolo nonché dalla Commissione europea, i fatti del procedimento principale possono essere riassunti nel seguente modo.

10

Nel giugno 2006, la Equoland ha importato presso l’Ufficio una partita di merci proveniente da un paese terzo. Sulla dichiarazione doganale veniva indicato che tali merci erano destinate al deposito fiscale ai fini dell’IVA. Di conseguenza, alla data della suddetta operazione non è stato richiesto alcun versamento dell’IVA all’importazione.

11

Il giorno dopo l’importazione, il gestore del deposito cui erano destinate le merci ha iscritto queste ultime nel registro di magazzino. È tuttavia emerso che le merci non sono mai state introdotte fisicamente nel deposito, ma vi sono state introdotte soltanto virtualmente, vale a dire mediante la loro iscrizione nel suddetto registro. Le merci sono state quindi immediatamente estratte dal regime del deposito fiscale e l’IVA è stata assolta mediante il meccanismo dell’inversione contabile applicato dalla Equoland.

12

Ritenendo che non fossero stati rispettati i presupposti per la posticipazione del versamento dell’IVA all’importazione in quanto le merci non erano state fisicamente introdotte nel deposito fiscale, l’Ufficio ha considerato che la Equoland non aveva assolto l’imposta dovuta e ha richiesto, a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 471/97, il pagamento dell’IVA all’importazione, maggiorata di una sanzione pari al 30% del suo importo.

13

La Equoland ha impugnato tale decisione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Livorno deducendo che essa aveva regolarizzato la sua situazione riguardo all’IVA all’importazione mediante il meccanismo dell’inversione contabile, versando la suddetta IVA all’Agenzia delle Entrate anziché all’Ufficio. Di conseguenza, l’articolo 13 del decreto legislativo n. 471/97 non si applicherebbe a una fattispecie come quella ricorrente nel procedimento principale.

14

Poiché il suo ricorso è stato respinto, la Equoland ha interposto appello avverso la decisione di rigetto dinanzi alla Commissione tributaria regionale per la Toscana, ribadendo la propria posizione secondo cui l’accertamento in rettifica era fondato unicamente sulla circostanza che le merci importate non erano state «fisicamente» introdotte nel deposito fiscale, senza che vi fosse stata sottrazione dell’IVA poiché, al momento dell’immissione in consumo, si sarebbe provveduto ad un’autofatturazione dell’acquisto tramite importazione e al pagamento dell’IVA in tal modo regolarizzata. Peraltro, la Equoland sostiene che, in vari Stati membri, l’introduzione «virtuale» delle merci in un deposito fiscale è legale.

15

L’Ufficio deduce, anzitutto, che il presupposto per l’applicazione della disciplina relativa ai depositi in materia di IVA, che sospende l’obbligo di versare l’imposta al momento dell’importazione e consente di liquidarla soltanto al momento della dichiarazione periodica, è l’introduzione «fisica» dei beni importati in un siffatto deposito. Infatti, le disposizioni nazionali sarebbero chiare e richiederebbero l’introduzione «fisica» dei suddetti beni nel deposito in quanto il posticipato incasso dell’IVA sarebbe garantito unicamente dalla presenza di questi ultimi in un deposito fiscale regolarmente autorizzato.

16

Inoltre, il principio di neutralità dell’IVA, che riguarderebbe solamente gli effetti economici di tale imposta sui consumatori, non può essere invocato per non rispettare l’obbligo di versare l’IVA quando si verifica il fatto generatore dell’imposta. Orbene, nel caso di specie, quest’ultimo sarebbe dato dall’importazione del bene.

17

Infine, poiché l’IVA all’importazione è un’imposta connessa all’attraversamento della frontiera, essa dovrebbe essere calcolata e riscossa dall’amministrazione doganale, nella specie l’Ufficio, il che, del resto, consentirebbe un tempestivo versamento della quota parte spettante all’Unione Europea.

18

Il giudice del rinvio, investito della controversia, rileva che l’interpretazione proposta dall’Ufficio avrebbe come conseguenza di far pagare due volte l’IVA a causa dell’inosservanza di un obbligo che dovrebbe considerarsi puramente formale. Orbene, la violazione di un siffatto obbligo potrebbe essere autonomamente sanzionata nell’ipotesi in cui l’introduzione fisica delle merci nel deposito fiscale fosse ritenuta obbligatoria, ma essa non dovrebbe, in mancanza di un’operazione imponibile, dare luogo all’applicazione dell’IVA alle medesime.

19

Ciò premesso, la Commissione tributaria regionale per la Toscana ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Secondo l’art. 16 della [sesta direttiva] e gli artt. 154 e 157 della [direttiva IVA] la destinazione dei beni importati in un regime di deposito diverso da quello doganale, e cioè di deposito IVA, è sufficiente a consentire l’esenzione del pagamento dell’IVA all’importazione anche laddove l’introduzione avvenga solo cartolarmente e non fisicamente?

2)

La [sesta direttiva] e la [direttiva IVA] ostano alla prassi con cui uno Stato membro riscuote l’IVA all’importazione nonostante questa – per errore o irregolarità – sia stata assolta in reverse charge mediante emissione di autofattura e contestuale registrazione nel registro delle vendite e degli acquisti?

3)

Viola il principio di neutralità dell’IVA la pretesa dello Stato membro di esigere l’IVA assolta in reverse charge mediante emissione di autofattura e contestuale registrazione nel registro delle vendite e degli acquisti?».

Sulle questioni pregiudiziali

20

Come emerge dal fascicolo presentato alla Corte, l’importazione delle merci di cui trattasi nel procedimento principale ha avuto luogo nel giugno 2006, sicché la direttiva 2006/112, che è entrata in vigore solo il 1o gennaio 2007, non trova applicazione, ratione temporis, nel procedimento principale.

21

Di conseguenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale va intesa nel senso che riguarda unicamente l’interpretazione della sesta direttiva.

Sulla prima questione

22

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che subordina la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini dell’IVA siano introdotte fisicamente in quest’ultimo.

23

A tal riguardo, va ricordato anzitutto che l’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva deve essere interpretato restrittivamente in quanto costituisce una disposizione derogatoria rispetto al principio, sancito dall’articolo 10, paragrafo 3, della medesima direttiva, secondo cui il fatto generatore si verifica e l’IVA all’importazione diventa esigibile nel momento in cui è effettuata l’importazione dei beni.

24

Il legislatore dell’Unione ha poi subordinato l’esercizio della facoltà concessa agli Stati membri dall’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva al ricorrere di due presupposti sostanziali, ossia, da un lato, che la merce, la cui importazione deve essere esentata, non sia destinata ad un’utilizzazione o ad un consumo finali e, dall’altro, che l’importo dell’IVA, dovuto all’atto dello svincolo dal regime cui tale merce era sottoposta, corrisponda all’importo dell’IVA che sarebbe stato dovuto se ognuna delle operazioni fosse stata oggetto di imposta all’interno del paese.

25

Infine, nell’esercizio della facoltà così riconosciuta agli Stati membri, questi ultimi possono adottare provvedimenti particolari per concedere il beneficio dell’esenzione prevista dall’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva.

26

Ciò premesso e in mancanza di altre indicazioni a tal riguardo nella sesta direttiva, in linea di principio spetta agli Stati membri determinare le formalità che il soggetto passivo deve adempiere al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA in base alla suddetta disposizione.

27

Occorre tuttavia aggiungere che, quando esercitano le competenze in tal modo riconosciute, gli Stati membri sono tenuti a rispettare il diritto dell’Unione nonché i suoi principi generali e, di conseguenza, il principio di proporzionalità (v. sentenza Rēdlihs, C‑263/11, EU:C:2012:497, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

28

Nel caso di specie, come emerge dalla decisione di rinvio, il legislatore italiano ha previsto che, al fine di poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, il soggetto passivo abbia l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale, poiché si presume che tale presenza fisica garantisca la successiva riscossione dell’imposta.

29

Orbene, è giocoforza constatare che un siffatto obbligo, nonostante il suo carattere formale, è atto a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti, vale a dire garantire un’esatta riscossione dell’IVA nonché evitare l’evasione di tale imposta e, in quanto tale, non eccede quanto necessario per conseguire i suddetti obiettivi.

30

Di conseguenza, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’IVA all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini dell’IVA siano fisicamente introdotte nel medesimo.

Sulla seconda e terza questione

31

Con la sua seconda e terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la sesta direttiva debba essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’IVA, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’IVA all’importazione sebbene sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.

32

A tal riguardo, va ricordato che qualora, per esercitare le competenze attribuite dall’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva, gli Stati membri adottino misure quali l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale, tali Stati rimangono anche competenti, in mancanza di una disciplina in materia di sanzioni, a scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate (v., in tal senso, sentenza Rēdlihs, EU:C:2012:497, punto 44).

33

È quindi legittimo per uno Stato membro, al fine di garantire l’esatta riscossione dell’IVA all’importazione e di evitare l’evasione, prevedere nella propria normativa nazionale sanzioni appropriate, volte a penalizzare il mancato rispetto dell’obbligo di introdurre fisicamente una merce importata nel deposito fiscale.

34

Siffatte sanzioni non devono tuttavia eccedere quanto necessario per conseguire tali obiettivi (v., in tal senso, sentenze Ecotrade, C‑95/07 e C‑96/07, EU:C:2008:267, punti da 65 a 67; EMS-Bulgaria Transport, C‑284/11, EU:C:2012:458, punto 67, e Rēdlihs, EU:C:2012:497, punto 47).

35

Al fine di valutare se una simile sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a penalizzare, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa.

36

Per quanto riguarda, in primo luogo, la natura e la gravità dell’infrazione, da un lato, occorre ricordare che l’obbligo di introdurre fisicamente la merce importata nel deposito fiscale costituisce un requisito formale, come statuito al punto 29 della presente sentenza.

37

Va rilevato, d’altro lato, come sottolineato dal giudice del rinvio, che l’inosservanza di tale obbligo non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell’IVA all’importazione poiché questa è stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile applicato dal soggetto passivo.

38

Certamente, si potrebbe argomentare che, siccome la merce non è stata fisicamente introdotta nel deposito fiscale, l’IVA era dovuta al momento dell’importazione e, pertanto, il pagamento mediante il meccanismo dell’inversione contabile costituisce un pagamento tardivo di tale IVA.

39

Orbene, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che un versamento tardivo dell’IVA costituisce, in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato, solo una violazione formale che non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto passivo. Ad ogni modo, un siffatto versamento tardivo non può essere equiparato, di per sé, a una frode, la quale presuppone, da un lato, che l’operazione controversa, nonostante il rispetto delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la recepisce, abbia il risultato di procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sia contraria all’obiettivo perseguito da queste disposizioni e, dall’altro, che da un insieme di elementi oggettivi risulti che lo scopo essenziale dell’operazione controversa è il conseguimento di un vantaggio fiscale (v., in tal senso, sentenze Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 74 e 75, nonché EMS-Bulgaria Transport, EU:C:2012:458, punto 74).

40

Per quanto riguarda, in secondo luogo, le modalità di determinazione dell’importo della sanzione, va constatato, anzitutto, che la prescrizione secondo cui, oltre a una maggiorazione del 30%, il soggetto passivo deve versare nuovamente l’IVA all’importazione, senza che si tenga conto del pagamento già avvenuto, equivale sostanzialmente a privare tale soggetto passivo del suo diritto a detrazione. Infatti, assoggettare una sola e unica operazione a una doppia imposizione dell’IVA, concedendo al contempo una sola volta la detraibilità di tale imposta, fa permanere la rimanente IVA a carico del soggetto passivo.

41

A tal riguardo, e senza che sia necessario esaminare la compatibilità di tale parte della sanzione con il principio di proporzionalità, è sufficiente ricordare, da un lato, che la Corte ha ripetutamente dichiarato che in considerazione del ruolo preponderante che il diritto a detrazione occupa nel sistema comune dell’IVA, diretto a garantire la perfetta neutralità fiscale di tale imposta rispetto a tutte le attività economiche, poiché tale neutralità presuppone la facoltà per il soggetto passivo di detrarre l’IVA dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche, una sanzione consistente in un diniego del diritto a detrazione non è conforme alla sesta direttiva nel caso in cui non fossero accertati nessuna frode o danno per il bilancio dello Stato (v., in tal senso, sentenze Sosnowska, C‑25/07, EU:C:2008:395, punti 23 e 24, nonché EMS-Bulgaria Transport, EU:C:2012:458, punti 68 e 70).

42

D’altro lato, dalla giurisprudenza della Corte emerge che, contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano in udienza, il regime dell’inversione contabile previsto dalla sesta direttiva consente, in particolare, di contrastare l’evasione e l’elusione fiscale constatate in taluni tipi di operazioni (v. sentenza Véleclair, C‑414/10, EU:C:2012:183, punto 34).

43

Nei limiti in cui, secondo il giudice del rinvio, nel procedimento principale non sussiste né evasione né tentativo di evasione, la parte della sanzione consistente nel richiedere un nuovo pagamento dell’IVA già assolta, senza che tale secondo pagamento conferisca un diritto a detrazione, non può considerarsi conforme al principio di neutralità dell’IVA.

44

Per quanto riguarda, poi, la parte della sanzione consistente in una maggiorazione dell’imposta secondo una percentuale forfettaria, è sufficiente ricordare che la Corte ha già dichiarato che una siffatta modalità di determinazione dell’importo della sanzione – senza che sussista una possibilità di gradazione del medesimo – può eccedere quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’IVA ed evitare l’evasione (v., in tal senso, sentenza Rēdlihs, EU:C:2012:497, punti 45 e da 50 a 52).

45

Nella fattispecie, in considerazione dell’entità della percentuale fissata per la maggiorazione prevista dalla normativa nazionale e dell’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie, non è escluso che tale modalità di determinazione dell’importo della sanzione, e dunque la parte corrispondente della medesima, possa rivelarsi sproporzionata (v. sentenza Rēdlihs, EU:C:2012:497, punto 52).

46

Infine, va aggiunto che, ai sensi della giurisprudenza della Corte, il versamento di interessi moratori può costituire una sanzione adeguata in caso di violazione di un obbligo formale, purché non ecceda quanto necessario al conseguimento degli obiettivi perseguiti, consistenti nel garantire l’esatta riscossione dell’IVA e nell’evitare l’evasione (v. sentenza EMS-Bulgaria Transport, EU:C:2012:458, punto 75).

47

Tuttavia, qualora l’importo globale degli interessi posti a carico del soggetto passivo dovesse corrispondere all’importo dell’imposta detraibile, privando quindi quest’ultimo del suo diritto a detrazione, una siffatta sanzione dovrebbe essere considerata sproporzionata.

48

Ad ogni modo, la valutazione finale del carattere proporzionato della sanzione di cui trattasi nel procedimento principale compete unicamente al giudice del rinvio.

49

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda e terza questione pregiudiziale dichiarando che la sesta direttiva deve essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’IVA, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’IVA all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.

Sulle spese

50

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 16, paragrafo 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, come modificata dalla direttiva 2006/18/CE del Consiglio, del 14 febbraio 2006, nella sua versione risultante dall’articolo 28 quater della sesta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che subordini la concessione dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione, prevista da tale normativa, alla condizione che le merci importate e destinate a un deposito fiscale ai fini di tale imposta siano fisicamente introdotte nel medesimo.

 

2)

La sesta direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva 2006/18, deve essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’italiano.