CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PEDRO CRUZ VILLALÓN

presentate il 10 giugno 2010 1(1)

Causa C‑173/09

Georgi Ivanov Elchinov

contro

Natsionalna zdravnoosiguritelna kasa

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Administrativen sad Sofia grad (Bulgaria)]

«Obbligo di una giurisdizione inferiore di osservare le istruzioni interpretative impartite da un’istanza giurisdizionale superiore – Autonomia processuale – Autorità di cosa giudicata – Riesame della giurisprudenza Rheinmühlen I – Libera prestazione dei servizi – Art. 56 TFUE – Previdenza sociale – Art. 22 del regolamento n. 1408/71 – Prestazioni sanitarie che richiedono il ricovero ospedaliero – Compatibilità con il diritto dell’Unione di un regime di previa autorizzazione – Presunzione di un nesso tra l’impossibilità materiale di prestare un servizio contemplato dalla legislazione nazionale e il diniego di copertura dei costi della prestazione ricevuta in un altro Stato membro – Definizione di prestazione medica efficace – Normativa applicabile al rimborso della prestazione ricevuta in un altro Stato membro»





1.        Il presente procedimento solleva questioni importanti e delicate di diritto tanto processuale quanto sostanziale. Da un lato, l’Administrativen sad Sofia grad (Tribunale amministrativo di Sofia) chiede alla Corte di giustizia se il diritto dell’Unione osti a che un organo giurisdizionale di grado inferiore, quando gli viene rinviata una causa, dia esecuzione ad una sentenza della Suprema Corte nazionale, qualora nutra seri dubbi circa la conformità di tale sentenza con il diritto dell’Unione. D’altro lato, il giudice del rinvio pone una questione articolata circa la copertura delle spese sostenute in un centro medico di un altro Stato membro, in conseguenza dell’impossibilità materiale per il paziente di ricevere la prestazione in Bulgaria, dopo che sia stato appurato che esistono prestazioni alternative, benché meno efficaci e, al contempo, più radicali per la salute del paziente medesimo.

2.        Si osserva immediatamente che entrambe le questioni trovano una risposta nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Tuttavia, è altrettanto vero che gli ultimi anni sono stati testimoni di importanti cambiamenti, i quali spiegano come mai tali questioni vengano poste nuovamente. Il sopravvenire, in tempi relativamente recenti, di un’abbondante giurisprudenza vertente sul rapporto tra la giustizia dell’Unione e i giudici nazionali (per citare alcuni esempi, sentenze Köbler, Kühne & Heitz, Commissione/Italia (2)) può spiegare perché il Tribunale amministrativo di Sofia metta in questione la validità della dottrina contenuta nella sentenza della Corte di giustizia Rheinmühlen I (3), pronunciata nel 1974. Analogamente, l’adesione all’Unione di nuovi Stati con sistemi sanitari diversi, solleva dubbi, tanto dall’ottica dell’organizzazione quanto dalla prospettiva delle rispettive risorse finanziarie, circa l’applicabilità di una giurisprudenza, che esamineremo in seguito, elaborata e conseguentemente sviluppata in epoca anteriore all’allargamento.

3.        Tali cambiamenti del contesto giurisprudenziale e di fatto dell’Unione spiegano perché la Corte di giustizia ha deciso che la presente causa debba essere risolta dalla Grande Sezione.

I –    Ambito normativo

A –    Normativa dell’Unione

Art. 267 TFUE

«La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale:

a)       sull’interpretazione dei Trattati;

b)       sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione.

Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri, tale organo giurisdizionale può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.

Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, tale organo giurisdizionale è tenuto a rivolgersi alla Corte.

Quando una questione del genere è sollevata in un giudizio pendente davanti a un organo giurisdizionale nazionale e riguardante una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile».

Art. 56 TFUE

«Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione.

(…)».

4.        Il diritto derivato applicabile alla presente causa si riduce, sostanzialmente, all’art. 22 del regolamento (CEE) n. 1408/71 (4), che enuncia le norme relative all’assistenza sanitaria prestata in uno Stato membro diverso da quello di iscrizione:

«1. Il lavoratore subordinato o autonomo che soddisfa le condizioni richieste dalla legislazione dello Stato competente per aver diritto alle prestazioni, tenuto conto eventualmente di quanto disposto dall’articolo 18, e:

(…)

c)       che è autorizzato dall’istituzione competente a recarsi nel territorio di un altro Stato membro per ricevere le cure adeguate al suo stato;

ha diritto:

i)       alle prestazioni in natura erogate, per conto dell’istituzione competente, dall’istituzione del luogo di dimora o di residenza secondo le disposizioni della legislazione che essa applica, come se fosse ad essa iscritto; tuttavia, la durata dell’erogazione delle prestazioni è determinata dalla legislazione dello Stato competente;

ii)       alle prestazioni in denaro erogate dall’istituzione competente secondo le disposizioni della legislazione che essa applica. Tuttavia, previo accordo tra l’istituzione competente e l’istituzione del luogo di dimora o di residenza, le prestazioni possono essere erogate anche da quest’ultima istituzione per conto della prima, secondo le disposizioni della legislazione dello Stato competente.

1 bis. La commissione amministrativa elabora un elenco delle prestazioni in natura che, per essere corrisposte nel corso della dimora in un altro Stato membro, necessitano per motivi pratici dell’accordo preventivo tra la persona interessata e l’istituzione che presta le cure.

2. L’autorizzazione richiesta ai sensi del paragrafo 1, lettera b), non può essere rifiutata se non quando è accertato che lo spostamento dell’interessato è tale da compromettere il suo stato di salute o l’applicazione delle cure mediche.

L’autorizzazione richiesta a norma del paragrafo 1, lettera c), non può essere rifiutata quando le cure di cui trattasi figurano fra le prestazioni previste dalla legislazione dello Stato membro, nel cui territorio l’interessato risiede, se le cure stesse, tenuto conto dello stato di salute dello stesso nel periodo in questione e della probabile evoluzione della malattia, non possono essergli praticate entro il lasso di tempo normalmente necessario per ottenere il trattamento in questione nello Stato membro di residenza.

(…)».

B –    Normativa nazionale

5.        L’art. 224 della legge relativa al procedimento contenzioso amministrativo (in prosieguo: la «APK») disciplina gli effetti delle sentenze emesse dal Tribunale Supremo amministrativo della Bulgaria rispetto alle istanze di grado inferiore nei seguenti termini:

«Le istruzioni del Tribunale Supremo amministrativo relative all’interpretazione e all’applicazione del diritto sono vincolanti [per il giudice di grado inferiore] ai fini del riesame della causa».

6.        La legge sull’assicurazione malattia enuncia, all’art. 36, n. 1, il diritto di ogni persona soggetta ad assicurazione obbligatoria «all’ottenimento totale o parziale del valore delle spese per l’assistenza medica all’estero, solo se ha previamente ricevuto l’autorizzazione della Cassa Nazionale Malattia [in prosieguo: la “Cassa”]».

7.        La copertura minima dell’assicurazione obbligatoria è prevista dall’art. 45 della citata legge, a termini del quale:

«(1) La Cassa malattia nazionale paga per le prestazioni dei seguenti tipi di assistenza medica:

(…)

3.      assistenza medica ospedaliera all’interno o all’esterno degli ospedali per la diagnosi e la cura in caso di malattia;

(…)

5.      assistenza medica urgente;

(…)

(2)      (…) L’assistenza medica di cui al n. 1, ad eccezione di quanto disposto al punto 10, viene fissata come pacchetto di base delle prestazioni garantite sul bilancio della [Cassa]. Il pacchetto di base delle prestazioni viene stabilito mediante regolamento del Ministro della Salute».

8.        Il regolamento menzionato dalla legge è il n. 40 del 2004, che fissa il pacchetto di base delle prestazioni sanitarie garantite dal bilancio della Cassa, il cui articolo unico dispone che «il pacchetto di base per l’assistenza medica contiene prestazioni che sono stabilite, a seconda della natura e della portata, negli allegati 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10».

9.        L’allegato 5 del citato regolamento contiene un «elenco dei protocolli di cura clinici», in cui figurano le seguenti voci:

«133. Trattamento chirurgico del glaucoma

134.      Operazioni agli occhi con laser o criotecnica

135.      Operazioni dell’orbita oculare

136.      Altre operazioni del bulbo oculare

(…)

258.      Trattamento con radiazioni ad alta [tecnologia] di malattie oncologiche e non oncologiche».

II – Fatti

10.      Al sig. Georgi Ivanov Elchinov, residente in Bulgaria e assicurato presso la Cassa malattia nazionale di tale paese, è stato diagnosticato un tumore maligno all’occhio destro. Su indicazione del medico curante è stato prescritto al paziente un trattamento con applicazione di piastrine radioattive o con terapia protonica.

11.      Il 9 marzo 2007 il sig. Elchinov presentava alla Cassa, a norma dell’art. 22 del regolamento n. 1408/71, una domanda per il rilascio del modulo E 112 (documento che autorizza un trattamento medico all’estero), al fine di ricevere le cure prescritte in una clinica specializzata in malattie oftalmiche situata a Berlino, a carico dell’assicurazione malattia bulgara. La domanda era motivata dall’impossibilità di ricevere le cure prescritte nel paese di residenza, ove al paziente veniva offerto un trattamento alternativo, consistente nell’estrazione completa dell’occhio malato (enucleazione).

12.      Considerata la gravità del proprio stato di salute, e prima che la citata Cassa malattia rispondesse alla sua domanda di autorizzazione, il 15 marzo dello stesso anno il sig. Elchinov si recava urgentemente nella clinica tedesca, dove gli veniva prestato il trattamento prescritto. Qualche settimana più tardi, e dopo aver ricevuto un rapporto del Ministero della Sanità in cui si confermava che il trattamento prescritto non veniva prestato in Bulgaria, la Cassa decideva, in data 18 aprile 2007, di respingere la domanda del sig. Elchinov.

13.      Avverso tale decisione il sig. Elchinov ha proposto un ricorso contenzioso amministrativo dinanzi all’Administrativen sad Sofia grad che, il 13 agosto dello stesso anno, ha pronunciato una sentenza a favore del ricorrente, in cui ha annullato la decisione impugnata ed ha rinviato il caso alla Cassa, affinché procedesse al rilascio del citato modulo E 112; l’Administrativen sad Sofia grad ha altresì condannato la Cassa alle spese. Nella motivazione della sentenza detto organo giurisdizionale ha respinto l’interpretazione dell’art. 22 del regolamento n. 1408/71 esposta dalla Cassa e ha concluso che la prestazione prescritta è contemplata dalla normativa bulgara. Secondo l’Administrativen sad Sofia grad, il fatto che il trattamento fosse previsto dalla normativa nazionale, per quanto non potesse essere effettivamente prestato, era sufficiente ai fini dell’applicazione di tale disposizione, ragione per cui al paziente doveva essere concessa l’autorizzazione a curarsi all’estero.

14.      La sentenza di primo grado è stata impugnata dalla Cassa dinanzi al Varchoven administrativen Sad (Tribunale Supremo amministrativo). Il 4 aprile 2008 detto organo giurisdizionale, pronunciando una sentenza di accoglimento del ricorso, ha annullato la sentenza dell’Administrativen sad Sofia grad e ha rinviato la causa ad un’altra sezione dello stesso organo per una nuova decisione. L’alto giudice amministrativo ha considerato errata l’interpretazione del citato art. 22 del regolamento n. 1408/71 accolta dalla sentenza impugnata, dato che l’impossibilità di prestare il trattamento controverso in Bulgaria, benché tale trattamento sia previsto dalla normativa nazionale, fa presumere che lo stesso non sia compreso tra le prestazioni esigibili.

15.      Nell’ambito del «riesame» della fattispecie da parte dell’Administrativen sad Sofia grad, il sig. Elchinov ha chiesto di presentare una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.

III – Questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

16.      La domanda di pronuncia pregiudiziale dell’Administrativen sad Sofia grad è pervenuta presso la cancelleria della Corte di giustizia il 14 maggio 2009. Essa è costruita intorno alle seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 22, n. 2, secondo comma, del regolamento (…) n. 1408/71 (…) debba essere interpretato nel senso che, se la cura specifica, per la quale viene richiesto il rilascio del modello E 112, non può essere praticata in un’istituzione sanitaria bulgara, si deve ritenere che tale cura non venga finanziata a carico del bilancio della [NZOK] o del Ministero della Sanità e, al contrario, qualora tale cura venga finanziata a carico del bilancio della NZOK o del Ministero della Sanità, si deve ritenere che essa possa essere prestata in un’istituzione sanitaria bulgara.

2)      Se l’espressione “se le cure di cui trattasi non possono essere praticate nel territorio dello Stato membro in cui l’interessato risiede”, ricavabile dall’art. 22, n. 2, secondo comma, del regolamento (...) n. 1408/71, debba essere interpretata nel senso che in tale espressione rientrano i casi nei quali la cura che viene praticata nel territorio dello Stato membro dove l’assicurato abita è, in quanto tipo di trattamento, di gran lunga più inefficace e radicale della cura praticata in un altro Stato membro, ovvero che in tale espressione rientrano solo i casi nei quali l’interessato non possa essere curato tempestivamente.

3)      Se, alla luce del principio dell’autonomia processuale, il giudice nazionale debba osservare le istruzioni vincolanti impartitegli da un’istanza giudiziaria superiore nell’ambito della rimozione della sua decisione e del rinvio della causa per un nuovo esame, qualora sussistano motivi per ritenere che tali istruzioni siano in contrasto con il diritto comunitario.

4)      Qualora la cura di cui trattasi non possa essere praticata nel territorio dello Stato membro nel quale l’assicurato ha la sua residenza, se sia sufficiente, affinché tale Stato membro possa rilasciare un’autorizzazione per una cura in un altro Stato membro ai sensi dell’art. 22, n. 1, lett. c), del regolamento (…) n. 1408/71, che la cura di cui trattasi rientri come tipologia tra le prestazioni che sono previste nella normativa dello Stato membro dapprima menzionato anche qualora tale normativa non menzioni espressamente lo specifico metodo di cura.

5)      Se l’art. 49 CE e l’art. 22 del regolamento (…) n. 1408/71 ostino ad una normativa nazionale, come quella di cui all’art. 36, n. 1, della legge sull’assicurazione malattia, secondo cui gli assicurati obbligatori hanno diritto a ricevere totalmente o parzialmente il valore delle spese per l’assistenza medica all’estero, solo se hanno ottenuto all’uopo un’autorizzazione preventiva.

6)      Se il giudice nazionale debba fare obbligo all’organismo competente dello Stato nel quale l’interessato è assicurato di emettere il documento per cure all’estero (modello E 112) qualora il diniego del rilascio di un siffatto documento risulti illegittimo, nel caso in cui la domanda di rilascio del documento venga presentata prima che fosse praticata la cura all’estero e la cura sia terminata al momento della pronuncia della decisione giudiziaria.

7)      In caso di soluzione affermativa della questione di cui sopra, e qualora il giudice dovesse considerare illegale il diniego dell’autorizzazione per una cura all’estero, come debbano essere rimborsate le spese dell’assicurato per le sue cure:

a)       direttamente dallo Stato dove è assicurato, o dallo Stato nel quale il trattamento medico è stato praticato, previa esibizione dell’autorizzazione per cure all’estero;

b)       in quale misura, qualora l’ambito delle prestazioni, previsto nella normativa dello Stato membro di residenza, sia diverso dall’ambito delle prestazioni previste dalla normativa dello Stato membro dove la cura viene praticata, considerato l’art. 49 CE, che vieta le limitazioni alla libera prestazione dei servizi».

17.      Hanno presentato osservazioni, entro il termine stabilito dall’art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia, oltre al ricorrente nella causa principale, anche i governi della Bulgaria, della Repubblica ceca, della Spagna, della Finlandia, della Grecia e del Regno Unito, nonché la Commissione. Poiché nessuna delle parti nella causa principale, né gli Stati intervenienti o la Commissione, hanno chiesto l’apertura della fase orale, la causa era pronta per la redazione delle presenti conclusioni al termine della fase scritta.

IV – Sul carattere obbligatorio delle istruzioni impartite dal Tribunale Supremo amministrativo

18.      Come si è appena visto, la terza delle sette questioni formulate dal giudice del rinvio si distacca sostanzialmente dalle altre questioni, ponendo un quesito di carattere procedurale, diverso dagli argomenti di merito. Una soluzione eventualmente positiva di tale questione comporterebbe, per le ragioni che mi appresto ad esporre, l’irricevibilità delle restanti questioni pregiudiziali. Occorre pertanto cominciare dall’analisi di tale aspetto procedurale.

19.      La terza questione, in realtà, verte sulla compatibilità di una norma procedurale dell’ordinamento bulgaro con il diritto dell’Unione e con la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia. Nella fattispecie, si chiede se un organo giurisdizionale nazionale sia obbligato ad applicare una disposizione di diritto interno, come l’art. 224 APK, che gli impone di tenere conto delle istruzioni vincolanti impartitegli da un organo di istanza superiore a seguito dell’annullamento di una sentenza emanata da detto organo nazionale di grado inferiore, allorché tali istruzioni appaiono contrarie al diritto dell’Unione. In tal modo, ciò che chiede il giudice del rinvio, come si vedrà di seguito, è un esame della giurisprudenza pronunciata dalla Corte di giustizia nel 1974, nella causa Rheinmühlen I, e, nel caso specifico, l’applicazione di tale dottrina ad un sistema processuale come quello contenzioso amministrativo bulgaro. Invero, gli ultimi trentasei anni sono stati teatro di un’importante evoluzione riguardo all’applicazione del diritto dell’Unione da parte dei giudici nazionali, il che ci porta a chiedere, su invito del giudice a quo, in che modo la dottrina enunciata nella sentenza Rheinmühlen I debba essere interpretata al giorno d’oggi.

A –    La giurisprudenza Rheinmühlen I, il suo contesto e l’applicazione al caso presente

20.      Nella citata sentenza Rheinmühlen I, la Corte di giustizia ha dichiarato che «una norma di diritto interno che vincola i tribunali non di ultimo grado al rispetto di valutazioni giuridiche emananti da un giudice di grado superiore, non può privare detti giudici della facoltà di chiedere alla Corte di giustizia l’interpretazione pregiudiziale delle norme di diritto comunitario sulle quali vertono le valutazioni giuridiche di cui sopra» (5). Tale dichiarazione ha dato un contributo importante alla forza normativa del diritto dell’Unione che, da quel momento in poi, ha acquistato, attraverso questo canale, la possibilità di imporsi rispetto ad una sentenza emanata da un organo superiore la cui dottrina vincolava il giudice di istanza inferiore. Benché la dichiarazione in parola menzioni solamente la facoltà del giudice di proporre una questione pregiudiziale, va da sé che tale proposizione viene effettuata, eventualmente, allo scopo di disattendere le direttive impartite nella sentenza dell’organo giurisdizionale superiore. L’unica eccezione ammessa dalla Corte di giustizia riguardava l’ipotesi in cui l’organo di istanza inferiore avesse posto questioni «materialmente identiche ad altre questioni già deferite dal giudice di ultimo grado» (6).

21.      La sentenza Rheinmühlen I ha così introdotto una sorta di controllo decentralizzato della «comunitarietà» non già delle norme, bensì delle decisioni giurisdizionali. Difatti, i giudici di grado inferiore le cui decisioni fossero state annullate da un organo superiore potevano, facendo leva su tale dottrina e qualora la causa venisse loro rinviata, ignorare la dichiarazione di annullamento allorché questa, a loro giudizio, risultava contraria al diritto dell’Unione. Nell’ambito del conflitto tra l’autonomia processuale nazionale e l’opportunità, che in tal modo si riapriva, di affermare la prevalenza del diritto europeo, si doveva privilegiare quest’ultima (7).

22.      Un’applicazione automatica della dottrina Rheinmühlen I ci spingerebbe a rispondere negativamente a questa terza questione, per passare direttamente a risolvere quelle restanti. Tuttavia, si dà il caso che la sentenza Rheinmühlen I sia una decisione particolarmente legata alle circostanze processuali e storiche in cui si inserisce, che sono assai diverse rispetto a quelle che fanno da sfondo al caso in esame. Una lettura, per così dire, a senso unico, e incentrata unicamente sulla prevalenza del diritto comunitario, rischia di ignorare tale trasformazione dello scenario di fondo.

B –    I giudici nazionali di ultimo grado e la ridefinizione del loro ruolo nell’applicazione del diritto dell’Unione, nonché la responsabilità di detti organi nello svolgimento di tale compito

23.      L’evoluzione del diritto dell’Unione, accompagnato dall’attribuzione ai giudici nazionali della responsabilità dell’interpretazione e dell’applicazione di siffatto ordinamento, hanno trasformato le istanze supreme degli Stati membri negli organi chiave della cooperazione giudiziaria tra la Corte di giustizia e i suoi omologhi nazionali. Se a questo si somma che, dopo le successive modificazioni dei Trattati istitutivi, non esiste né si prevede l’introduzione di un ricorso diretto dinanzi alla Corte di giustizia avverso le decisioni dei giudici nazionali, è evidente che gli organi giurisdizionali superiori degli Stati membri sono gli attori principali della supervisione della corretta applicazione del diritto dell’Unione. Tale attribuzione di poteri ai giudici nazionali supremi si è realizzata in un contesto in cui si è parallelamente accresciuto il compito degli stessi organi di vigilare sulla corretta applicazione del diritto dell’Unione, così come di tutelare i diritti conferiti ai cittadini da tale ordinamento.

24.      È in tal senso che, a mio giudizio, deve essere interpretata la sentenza Köbler (8), che ha istituito la responsabilità patrimoniale degli Stati membri per atti degli organi giurisdizionali, anche in quegli Stati membri che non riconoscevano la possibilità di esperire tali vie risarcitorie dinanzi ai giudici nazionali (9). Parallelamente a siffatti sviluppi, la Corte di giustizia, su richiesta della Commissione, in occasione della causa Commissione/Italia, ha rotto la tradizionale resistenza di entrambe le parti ad avviare e motivare, rispettivamente, ricorsi per inadempimento contro gli Stati membri, basati sulle sentenze dei giudici nazionali (10). Tanto nella causa Köbler quanto nella causa Commissione/Italia la Corte di giustizia si è indirizzata agli organi giurisdizionali di ultimo grado, identificandoli come gli attori principali sui quali ricade la responsabilità di rispettare e far rispettare il diritto dell’Unione (11). Parimenti, risultano particolarmente rilevanti, ai fini dell’applicazione di tali rimedi, il fatto che detti organi abbiano proposto o meno una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, e i termini in cui sia stata eventualmente applicata la giurisprudenza CILFIT (12).

25.      Ciò posto, si deve inoltre osservare che gli Stati membri hanno predisposto garanzie che contribuiscono a far sì che i giudici di ultimo grado non rimangano indenni qualora pronuncino decisioni che non tengono conto dell’intervento della Corte di giustizia. Le giurisdizioni costituzionali di vari Stati membri hanno reindirizzato in tal senso, sebbene con diverse modulazioni, i ricorsi diretti per la protezione dei diritti fondamentali, inizialmente nella Repubblica federale di Germania (13), successivamente in Austria (14) e in Spagna (15), e più recentemente nella Repubblica ceca (16) e in Slovacchia (17). Così, in alcuni Stati membri la crescente responsabilità dei supremi organi giurisdizionali è soggetta ad un controllo da parte non solo della Corte di giustizia, ma anche delle Corti costituzionali nazionali che, in misura sempre maggiore, fanno proprio il diritto dell’Unione per incorporarlo nei rispettivi criteri di valutazione costituzionali.

26.      Come corollario, si deve anche segnalare un altro sviluppo della giurisprudenza che, a prima vista, non sembra seguire la linea tracciata finora, ma costituisce di per sé un risultato coerente con tale evoluzione. Nella sentenza Kühne & Heitz (18) la Corte di giustizia ha dichiarato che un atto amministrativo confermato da una sentenza di ultimo grado la cui interpretazione del diritto dell’Unione si riveli successivamente errata in conseguenza di una decisione della Corte di giustizia non deve, tuttavia, essere sottoposta a riesame. In tal modo si accorda una preferenza al principio dell’Unione della certezza del diritto, che tutela l’autorità della cosa giudicata della sentenza nazionale (19). Nello stesso senso, la sentenza pronunciata nella causa Kapferer ha rappresentato un passo in avanti, applicando tale impostazione ad una decisione giurisdizionale con autorità di cosa giudicata emanata da un’istanza inferiore (20). In quest’ultimo caso, la Corte di giustizia non avrebbe potuto esprimersi in termini più chiari quando ha dichiarato che «il diritto [dell’Unione] non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di accertare una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione» (21). Il tempo non ha fatto altro che confermare tale giurisprudenza, come è accaduto nelle sentenze i.21, Kempter e Fallimento Olimpiclub (22). Tale orientamento della dottrina sembra ammettere eccezioni solo allorquando la norma europea di cui si invochi il primato sia stata adottata in base ad una competenza esclusiva dell’Unione (23).

27.      In definitiva, tale giurisprudenza rivela come i principi dell’Unione della certezza del diritto e di autonomia istituzionale possano condizionare, a seconda del caso, l’operatività del primato del diritto dell’Unione. Sebbene tale valutazione possa sembrare in contraddizione con la dottrina elaborata in occasione di sentenze come le citate Köbler e Commissione/Italia, in realtà non è altro che il rovescio della medaglia. Man mano che i giudici di ultima istanza cominciano a rispondere direttamente delle loro decisioni che risultano contrarie al diritto dell’Unione, il sacrificio della certezza del diritto e dell’autonomia processuale dei giudici nazionali perde la priorità rispetto all’obiettivo di garantire l’effettività dell’ordinamento dell’Unione. In particolare, non appare altrettanto necessario conferire ad un giudice di grado inferiore la possibilità di derogare all’organizzazione gerarchica interna al fine di preservare l’effettività del diritto dell’Unione poiché, tra l’altro, il titolare dei diritti che gli sono conferiti da tale ordinamento può adesso esercitare un’azione per far valere la responsabilità per atto di un organo giurisdizionale (Köbler); e, se il diritto interno glielo permette, l’interessato avrà altresì la possibilità di avvalersi dell’annullamento d’ufficio dell’atto confermato dalla sentenza illegale (Kühne & Heitz). Perfino il procedimento per inadempimento può servire attualmente per tutelare la parte che sia stata vittima di un’interpretazione errata del diritto dell’Unione da parte di un tribunale superiore (Commissione/Italia), soprattutto nei casi in cui gli Stati membri ammettano il ricorso straordinario di revocazione per annullare sentenze definitive dichiarate illegali dalla Corte di giustizia nell’ambito di un ricorso per inadempimento (24).

28.      Dal momento in cui un supremo organo giurisdizionale nazionale deve rispondere al singolo attraverso i rimedi che sono imposti dal diritto dell’Unione, perde corrispondentemente importanza la circostanza che i giudici di istanza inferiore, che devono applicare la decisione del tribunale superiore, forse contraria al diritto dell’Unione, ma definitiva, conservino la facoltà di ignorare la detta decisione anche laddove il diritto interno non lo consenta. A mio giudizio, l’autonomia processuale degli Stati membri, in particolare, con riferimento ad aspetti tanto sensibili come quelli appena commentati, recupera la propria ragion d’essere quando l’effettività del diritto dell’Unione comincia manifestamente ad essere tutelata attraverso altri canali.

29.      Un’ultima considerazione merita, in tal senso, l’aumento del carico di lavoro cui è esposta la Corte di giustizia. L’elevato numero di questioni pregiudiziali che giungono alle porte di questa istituzione, nonché l’istituzione di procedimenti urgenti destinati a ricevere una risposta in termini più brevi, rendono probabilmente più impellente l’esigenza che la nostra giurisdizione condivida alcune funzioni con i giudici nazionali. L’istituzione di rimedi europei esperibili dinanzi ai giudici nazionali, come è accaduto nel caso della responsabilità patrimoniale degli Stati o in relazione ai principi di effettività e di equivalenza, è un’opzione che rafforza e incoraggia il lavoro collettivo tra la Corte di giustizia e i suoi omologhi nazionali. D’altra parte, l’aumento del numero degli Stati membri, unitamente al contatto sempre più frequente e diretto del cittadino con l’ordinamento europeo, rendono ogni volta meno realistica la pretesa che la Corte di giustizia affronti da sola il compito di interpretare in maniera autorizzata il diritto dell’Unione (25). In tal senso, la sentenza Rheinmühlen I, che è frutto del suo tempo e del relativo contesto, potrebbe, paradossalmente, avere l’effetto di ostacolare, piuttosto che di salvaguardare, l’effettività dell’ordinamento dell’Unione. Tanto più che, nelle circostanze del caso di specie, il sig. Elchinov potrà esperire altri mezzi di ricorso dinanzi ai propri giudici, mezzi che, peraltro, gli vengono offerti dal diritto dell’Unione.

30.      La presente causa mette in luce, in particolare, come una pretesa come quella del sig. Elchinov disponga attualmente di mezzi di ricorso effettivi ed alternativi a quelli derivanti dalla giurisprudenza Rheinmühlen I. Così, dopo che il Tribunale Supremo amministrativo abbia rinviato la causa all’Administrativen sad Sofia grad, e che quest’ultimo abbia pronunciato una sentenza di rigetto del ricorso, il sig. Elchinov avrebbe comunque la possibilità di esercitare un’azione di responsabilità nei confronti dello Stato membro interessato per violazione del diritto dell’Unione. Nel corso di tale procedimento il giudice nazionale competente potrà proporre una questione pregiudiziale affinché la Corte di giustizia dichiari se sia stato commesso un errore manifesto di diritto, ai sensi della sua giurisprudenza (26). Qualora la violazione venga confermata, l’organo remittente detterà la propria sentenza e risarcirà il ricorrente, in definitiva, in termini analoghi a quanto sarebbe accaduto applicando la giurisprudenza Rheinmühlen I. Infine, nel caso in cui gli organi giurisdizionali non valutino in maniera effettiva l’azione di risarcimento, si può dire che rimarrebbe pur sempre esperibile il rimedio sussidiario del ricorso per inadempimento, che il singolo potrebbe suggerire alla Commissione, inviandole una denuncia (27).

31.      Infine, al contrario di quanto accadeva negli anni settanta, oggi possiamo affermare che l’ordinamento dell’Unione ha raggiunto un grado di maturità tale che gli consente di assicurare la propria efficacia pratica dinanzi ai giudici nazionali incidendo sull’autonomia degli organi giurisdizionali interni in misura indubbiamente minore di quanto risulterebbe da un’applicazione della dottrina Rheinmühlen I. Sembra pertanto giunta l’ora di riconsiderare tale giurisprudenza.

32.      Tutto ciò premesso, riconosco che la proposta che formulo alla Corte di giustizia comporta alcuni costi. Privare i giudici nazionali dei poteri derivati dalla dottrina Rheinmühlen I può impedir loro di fornire al singolo una soluzione immediata, costringendolo quindi ad intraprendere un’azione risarcitoria lunga e costosa, che potrebbe avere un esito a lui sfavorevole. Tuttavia, tale inconveniente non sarà molto diverso dalle difficoltà cui andrà incontro chi sia parte in un ricorso esclusivamente interno o la persona nei confronti della quale un giudice di ultimo grado, applicando il diritto nazionale, abbia emanato una sentenza errata e pregiudizievole. In tali circostanze, anche il singolo che si trovi in una situazione non disciplinata dal diritto dell’Unione sarà obbligato ad esperire un’azione di accertamento della responsabilità, in termini identici a quelli in cui dovrebbe agire il sig. Elchinov, una volta giunto il momento di pretendere i diritti che gli sono conferiti dal diritto dell’Unione. Dato che la Corte di giustizia ha riconosciuto che le esigenze del primato del diritto comunitario possono occasionalmente soccombere dinanzi al principio della certezza del diritto, la soluzione che propongo mi sembra più coerente non solo con la giurisprudenza attuale ma anche, decisamente, con l’architettura giudiziaria interna di ciascuno Stato membro, la cui struttura ed equilibrio non dovrebbero essere alterati senza necessità.

33.      Si potrebbe parimenti obiettare che, secondo la nostra giurisprudenza, il primato ammette un’eccezione solo quando una sentenza nazionale definitiva acquista autorità di cosa giudicata, e che tale situazione si verificava in casi come Kühne & Heitz o Kapferer ma non in quello che ci occupa. Tuttavia, questo argomento ha un senso soltanto qualora si consideri l’autorità di cosa giudicata in termini prettamente formali, il che non è compatibile con l’approccio applicato dalla Corte di giustizia nella giurisprudenza più recente. Come si evince dalle sentenze poc’anzi citate, sia nei casi Kühne & Heitz, che nei casi Kapferer, Willy Kempter, i-21 Germany e Arcor e, più recentemente, Fallimento Olimpiclub, la Corte di giustizia valuta l’autorità di cosa giudicata di una decisione emanata da un giudice nazionale con riferimento alle circostanze specifiche dei singoli casi. Come ha osservato l’avvocato generale Mazák nelle sue conclusioni relative alla citata causa Fallimento Olimpiclub, tale giurisprudenza rispecchia il bilanciamento che occorre trovare, caso per caso, alla luce delle particolari circostanze di fatto e di diritto della controversia (28). Un’impostazione di tal genere, attenta alle peculiarità del contesto nazionale, è proprio quello che la dottrina Rheinmühlen I non consente di realizzare. Autorizzando il giudice di istanza inferiore a spingersi fino alla disapplicazione di una decisione emanata da un tribunale supremo che lo vincola direttamente, la dottrina Rheinmühlen I nega qualsiasi possibilità di prendere in considerazione fattori come la stabilità dei rapporti giuridici, il carattere definitivo delle sentenze, o la certezza del diritto (29). Pertanto, la valutazione della cosa giudicata secondo l’ordinamento nazionale, unitamente al rapporto tra quest’ultima e l’ordinamento dell’Unione, meritano un trattamento circostanziato che tenga, al contempo, conto dell’autonomia processuale di ciascuno Stato membro.

34.      Tornando alle circostanze della fattispecie, una sentenza del Tribunale Supremo amministrativo bulgaro non è appellabile, ma può disporre il rinvio della causa al giudice di grado inferiore affinché venga sottoposta ad un nuovo esame, in cui si potrà procedere unicamente a nuove valutazioni dei fatti. Orbene, non vi è alcun dubbio sul fatto che la sentenza di detto organo giurisdizionale superiore abbia posto fine alla controversia per quanto riguarda i punti di diritto, non esistendo alcun margine di discussione al riguardo, neppure attraverso la via di un ricorso straordinario dinanzi alla Corte costituzionale (30). Inoltre, come si evince da commenti autorizzati della dottrina in materia, la valutazione di diritto realizzata nella specie dal Tribunale Supremo amministrativo sarà vincolante in futuro nel caso in cui la sentenza di grado inferiore venga impugnata nuovamente dinanzi all’organo di istanza superiore (31). Pertanto, si può dire che, fin dal momento in cui il Supremo tribunale ha pronunciato la sentenza controversa nel 2008, quest’ultima possedeva materialmente, benché non formalmente, l’autorità di cosa giudicata. Il contenuto di tale sentenza era pertanto immodificabile, e il diritto processuale bulgaro conferisce alle valutazioni di diritto in oggetto tutta la stabilità che si attribuisce ad una sentenza definitiva. Infine, mi sembra di capire che basta che una decisione, come quella in esame, non sia impugnabile per motivi di diritto affinché essa acquisti una stabilità giuridica meritevole di una tutela particolare.

35.      Infine, si potrà forse obiettare che questa proposta non appare del tutto coerente con la soluzione adottata dalla Corte di giustizia nella causa Cartesio (32). Si deve segnalare, tuttavia, che quest’ultima decisione verteva su una problematica e su una fase processuale totalmente diverse da quella del caso di specie. Come è noto, la sentenza Cartesio ha smorzato i termini della sentenza Rheinmühlen II (33) nel punto relativo all’impugnabilità delle ordinanze di rinvio pregiudiziale (34). Si ricorda che quest’ultima decisione, adottata poche settimane dopo la sentenza Rheinmühlen I nell’ambito della stessa controversia dinanzi al giudice nazionale, ha dichiarato che l’art. 267 TFUE (all’epoca, art. 177 del Trattato CEE) non esclude che i provvedimenti di rinvio pregiudiziale emanati da un organo giurisdizionale di grado inferiore «siano soggetti ai normali mezzi d’impugnazione predisposti dal diritto interno». Per contro, e pur considerando autorevole la giurisprudenza Rheinmühlen, il verdetto della sentenza Cartesio ha sfumato tale risultato, dichiarando che la competenza ad adire la Corte ai sensi dell’art. 267 TFUE «sarebbe rimessa in discussione se, riformando la decisione che dispone il rinvio pregiudiziale, rendendola priva di effetti e ordinando al giudice che ha emanato tale decisione di riprendere la trattazione del procedimento sospeso, il giudice dell’appello potesse impedire al giudice del rinvio di esercitare la facoltà di adire la Corte conferitagli dal Trattato CE» (35). La sentenza prosegue tale ragionamento fino a concludere che incombe al giudice che dispone il rinvio pregiudiziale «trarre le conseguenze di una sentenza pronunciata in secondo grado contro la decisione che dispone il rinvio pregiudiziale e, in particolare, concludere che occorre mantenere immutata, modificare o revocare la sua domanda di pronuncia pregiudiziale» (36).

36.      Anzitutto, salta agli occhi il fatto che la problematica relativa all’impugnabilità dei provvedimenti di rinvio pregiudiziale, e le eventuali conseguenze di tale impugnabilità, interessa aspetti ben diversi da quelli sollevati nel procedimento che ci occupa. Il contesto di riferimento cambia sostanzialmente in ciascuno dei due casi, poiché la sentenza Cartesio si riferiva a quella che potremmo chiamare la fase ascendente di una lite, ossia, la fase di gestazione naturale, che si estende dal momento in cui la causa viene avviata dinanzi all’organo di primo grado fino a quando diventa definitiva con l’emanazione di una sentenza avverso la quale non è proponibile ricorso. Al contrario, il caso che ci occupa verte su ciò che potremmo chiamare la – eventuale – fase discendente di una controversia, cioè il momento finale della causa, dopo che sia stata pronunciata una sentenza definitiva che ha rinviato la causa al giudice di grado inferiore, al solo scopo che quest’ultimo dia esecuzione ad una decisione di diritto i cui termini non possono essere messi in questione.

37.      Infine, la conclusione che propongo non significa che la sentenza Rheinmühlen I debba perdere completamente la propria ragion d’essere. Al contrario, ritengo che tale giurisprudenza debba continuare ad essere seguita allorché, nell’ambito della fase ascendente di una lite, si producono interferenze per effetto delle quali si renda necessario che un giudice di grado inferiore disattenda le istruzioni che gli sono state impartite da un organo giurisdizionale superiore. Il caso paradigmatico si verifica quando viene impugnato un provvedimento di rinvio pregiudiziale, come accadeva nella causa all’origine della sentenza Cartesio. In tale circostanza, sarebbe giustificato mantenere in vigore la giurisprudenza Rheinmühlen I, e non è casuale che la sentenza Cartesio, al punto 94, citi e riproduca tale giurisprudenza. In tale ipotesi, nella fase ascendente del decorso di una lite cui si applichi il diritto dell’Unione, la dottrina Rheinmühlen I deve fungere da strumento nelle mani del giudice di istanza inferiore, che in tale momento riceve una tutela speciale dalla giurisprudenza della Corte di giustizia (37).

38.      Di conseguenza, e per i motivi che ho esposto nei precedenti paragrafi, invito la Corte di giustizia a dichiarare che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che non osta a che un giudice [nazionale], come, nella specie, l’Administrativen sad Sofia grad, sia obbligato dall’ordinamento interno, nell’ambito di un procedimento in cui ha già emanato una prima sentenza e dopo che gli sia stata rinviata la causa, ad applicare le istruzioni contenute nella sentenza di cassazione dettata da un organo giurisdizionale superiore nell’ambito dello stesso procedimento.

39.      Se la Corte di giustizia volesse accogliere la mia proposta, le restanti questioni pregiudiziali, relative al merito della causa, rimarrebbero prive di utilità, poiché tutte quante partono dal presupposto che il giudice del rinvio non debba necessariamente seguire la pronuncia del Tribunale Supremo amministrativo bulgaro. Infatti, la Corte di giustizia dovrebbe coerentemente, in tal caso, dichiarare l’irricevibilità delle dette questioni, in applicazione della propria giurisprudenza (38).

40.      Ciononostante, per il caso in cui la Corte di giustizia non condividesse questa proposta, occorre esaminare le altre sei questioni di merito, che, come ho anticipato, riguardano le prestazioni mediche transfrontaliere ricevute dal sig. Elchinov.

V –    Sul merito

41.      Al fine di fornire una risposta utile, è necessario riordinare ancora una volta le questioni proposte dall’Administrativen sad Sofia grad. In primo luogo, studieremo la compatibilità del sistema bulgaro di previa autorizzazione, come condizione preliminare per ricevere assistenza sanitaria all’estero, con i Trattati e con l’art. 22 del regolamento n. 1408/71. In secondo luogo, esaminerò la questione relativa all’adempimento dei requisiti imposti dal citato art. 22, concentrando l’attenzione sul grado di concretezza della legislazione bulgara nel prevedere la copertura della prestazione, sulle conseguenze dell’impossibilità materiale di fornire la stessa prestazione in Bulgaria, e sulla possibilità di offrire un trattamento alternativo, benché meno efficace e più radicale. In terzo luogo, prenderò in considerazione il regime di rimborso applicabile nel caso in cui il sig. Elchinov fosse in grado di soddisfare i requisiti per usufruire della copertura della prestazione ricevuta in Germania. Infine, mi pronuncerò sui poteri del giudice nazionale, al momento opportuno, di dichiarare che il ricorrente ha diritto al rimborso.

A –    Sull’autorizzazione previa come condizione preliminare per ricevere il rimborso delle spese dell’assistenza sanitaria prestata all’estero (quinta questione)

42.      Con la quinta questione, il giudice del rinvio esprime dubbi circa la compatibilità con il diritto dell’Unione di un regime di autorizzazione previa come condizione per ricevere una prestazione medica in un altro Stato membro. Dato che il sig. Elchinov ha ricevuto il trattamento in questione in Germania, dopo aver richiesto l’autorizzazione, ma prima che quest’ultima gli venisse concessa, ci si chiede se un regime come quello previsto dall’art. 36 della legge bulgara sull’assicurazione obbligatoria sia compatibile con l’art. 56 TFUE, nonché con il regolamento n. 1408/71.

43.      Gli Stati che hanno presentato osservazioni nel presente procedimento adottano una posizione parzialmente comune. Da un lato, tutti coincidono nell’affermare che la giurisprudenza della Corte di giustizia consente agli Stati di introdurre regimi di autorizzazione previa nel caso in cui una persona riceva un servizio medico che richiede il ricovero ospedaliero. Tuttavia, mentre la Spagna e la Bulgaria sostengono che il regime bulgaro, escludendo in maniera tassativa qualsiasi rimborso nel caso in cui non sia stata richiesta l’autorizzazione prescritta, non entra in conflitto con il diritto dell’Unione, tanto la Commissione quanto i governi della Repubblica ceca e della Polonia pervengono ad una conclusione opposta.

44.      La soluzione di tale questione si ricava direttamente dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

45.      Nelle sentenze Decker e Kohll (39) la Corte di giustizia ha dichiarato che una normativa nazionale che «subordina ad un’autorizzazione previa il rimborso delle spese sostenute in [un altro] Stato e nega tale rimborso agli assicurati che non siano muniti di questa autorizzazione» costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi in quanto «scoraggia gli assicurati dal rivolgersi ai prestatori di servizi medici stabiliti in un altro Stato membro» (40). Dopo aver svolto un esame delle giustificazioni, la Corte di giustizia ha ritenuto che un regime di autorizzazione previa non potesse essere giustificato né in base all’eccezione per motivi di sanità pubblica di cui agli art. 52 e 62 TFUE, né per motivi imperativi di interesse generale.

46.      Tale affermazione degna di nota, che confermava un’evoluzione già latente nelle due sentenze Pierik (41), implicava due importanti precisazioni. Da un lato, e seguendo le conclusioni dell’avvocato generale Tesauro (42), si confermava la possibilità di interpretare l’art. 22 del regolamento n. 1408/71 alla luce dei Trattati, ovvero di applicare questi ultimi qualora non fosse invocabile il citato regolamento (43). Dall’altro, come corollario del precedente argomento, si constatava che i servizi sanitari, sia pubblici che privati, costituivano attività economiche pienamente assoggettabili alle norme sulla libera circolazione (44).

47.      Ciononostante, si deve tenere presente che entrambe le summenzionate sentenze si riferivano a prestazioni che non implicavano ricovero ospedaliero, ma solo trattamenti ambulatoriali ed il relativo costo non era paragonabile alle spese derivanti dal ricovero in un centro ospedaliero. Ed è precisamente in funzione di quest’ultima considerazione che la Corte di giustizia ha stabilito, nelle sentenze Smits e Peerbooms e Müller-Fauré (45), pronunciate poco dopo le sentenze Decker e Kohll, che «rispetto alle prestazioni mediche fornite dai professionisti nei loro studi o presso il domicilio del paziente, le prestazioni mediche dispensate in un istituto ospedaliero rientrano in un ambito che presenta incontestabili particolarità» (46). La Corte ha poi precisato tali particolarità e ha fatto riferimento alla necessaria programmazione di cui tali istituti devono formare oggetto, e ai fini della quale si devono conoscere «il numero di infrastrutture ospedaliere, la loro ripartizione geografica, la loro organizzazione e le attrezzature di cui sono dotate, o ancora la natura dei servizi medici che sono in grado di fornire» (47). In seguito a tali considerazioni, la Corte di giustizia ha dichiarato che il diritto dell’Unione non osta «per principio» ad un sistema di previa autorizzazione, stabilito nei confronti di chi intenda ricevere una prestazione ospedaliera in un altro Stato membro (48).

48.      Alla stessa conclusione è pervenuta la Corte di giustizia nella sentenza Vanbraekel (49), aggiungendo un elemento importante alla precedente giurisprudenza: allorché un’autorizzazione viene respinta, tale diniego non impedisce al richiedente, una volta accertato che siffatto diniego era contrario all’art. 22 del regolamento n. 1408/71, di esigere il rimborso che gli è garantito da tale disposizione (50). In tali circostanze, il beneficiario potrà ottenere direttamente il rimborso dall’istituzione presso la quale è iscritto nel paese di residenza.

49.      Alla luce di quanto finora esposto, una disposizione come l’art. 36, n. 1, della legge bulgara sull’assicurazione malattia deve essere applicata tenendo conto dell’interpretazione che la Corte di giustizia ha dato degli artt. 56 TFUE e 22 del regolamento n. 1408/71. Ciò implica che il requisito della previa autorizzazione per ricevere un trattamento ospedaliero in un altro Stato membro non risulta «per principio», incompatibile con le norme dell’Unione. Orbene, come si evince dalle sentenza Smits e Peerbooms e Müller-Fauré, ciò non significa che la citata disposizione della legge bulgara sia esente da qualsiasi dubbio. Se l’ordinamento bulgaro introducesse un regime tanto rigido da rendere impossibile o meno attraente la libera prestazione dei servizi, la citata giurisprudenza ci obbligherebbe a formulare un giudizio negativo circa la compatibilità del detto regime con il diritto dell’Unione.

50.      Dal tenore della disposizione controversa, che lascia un certo margine di ambiguità, non sembra deducibile siffatta incompatibilità.

51.      Infatti, il citato art. 36, n. 1, garantisce il diritto di ogni persona soggetta ad assicurazione obbligatoria «all’ottenimento totale o parziale del valore delle spese per l’assistenza medica all’estero, solo se [ha] previamente ricevuto l’autorizzazione della [Cassa]». È vero che tale disposizione potrebbe essere interpretata, come osservano la Commissione ed il sig. Elchinov, come il divieto tassativo di procedere a qualsiasi rimborso, a priori o a posteriori, nel caso in cui non sia stata richiesta la necessaria autorizzazione. Tuttavia, la formulazione di detta disposizione si presta anche ad un’interpretazione più sfumata: la norma in questione potrebbe indicare che il rimborso è possibile solo nel caso in cui sia stata previamente ottenuta l’autorizzazione, essendo soddisfatte le condizioni di cui all’art. 22, n. 2, del regolamento n. 1408/71. In tal modo, qualora la disposizione in parola venga letta come una derivazione dell’art. 22 del citato regolamento, si dovrebbe altresì accogliere l’interpretazione secondo cui, una volta che il diniego dell’autorizzazione sia stato dichiarato infondato dalla stessa istituzione competente o mediante decisione giudiziaria, l’autorizzazione non è più necessaria.

52.      Come è noto, spetta unicamente al giudice del rinvio, e non alla Corte di giustizia, interpretare le disposizioni nazionali. Ma è pur sempre compito della nostra giurisdizione fornire all’organo remittente tutti gli elementi necessari per applicare l’ordinamento interno conformemente al diritto dell’Unione. Di conseguenza, ritengo che l’art. 56 TFUE e l’art. 22, del regolamento n. 1408/71 debbano essere interpretati nel senso che non ostano ad una disposizione come l’art. 36, n. 1, della legge bulgara sull’assicurazione malattia, nei limiti in cui quest’ultima instaura un regime di autorizzazione previa per l’ottenimento di prestazioni ospedaliere in un altro Stato membro, e sempreché, in ogni caso, la stessa legge non impedisca al richiedente di chiedere il rimborso a posteriori, nei casi in cui il diniego dell’autorizzazione in parola sia stato dichiarato infondato dalla stessa istituzione competente o mediante decisione giudiziaria.

B –    Sul soddisfacimento delle condizioni previste dall’art. 22, n. 2, del regolamento n. 1408/71

53.      Il giudice del rinvio ha formulato varie questioni riguardo alla corretta interpretazione dell’art. 22, n. 2, del regolamento n. 1408/71, in cui si stabiliscono le condizioni che devono essere previamente soddisfatte al fine di ottenere il diritto all’autorizzazione a ricevere un trattamento ospedaliero in un altro Stato membro. Anche in tale occasione la risposta ai suddetti diversi quesiti si ricava dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, in applicazione, esclusivamente, del regolamento in parola, e dovendo tenere conto del TFUE unicamente come criterio di interpretazione.

1.      Sull’inclusione del trattamento richiesto tra le prestazioni previste dalla legislazione dello Stato membro nel cui territorio risiede l’interessato (quarta questione)

54.      Il giudice nazionale nutre dubbi circa la portata dell’art. 22, n. 2, del regolamento n. 1408/71, laddove, al secondo comma, stabilisce che l’autorizzazione a ricevere il trattamento in un altro Stato membro «non può essere rifiutata quando le cure di cui trattasi figurano fra le prestazioni previste dalla legislazione dello Stato membro, nel cui territorio l’interessato risiede». Tali dubbi sono una conseguenza della scelta del legislatore bulgaro, il quale ha optato a favore di un elenco esaustivo dei trattamenti coperti dall’assicurazione cui è affiliato il sig. Elchinov, ma che definisce solo genericamente il trattamento che è stato prescritto a quest’ultimo.

55.      Ancora una volta, gli Stati membri assumono posizioni divergenti su questo punto, benché tutti concordino nel rivendicare la propria competenza per determinare le prestazioni specifiche accessibili ai contribuenti del sistema previdenziale. A partire da tale posizione comune, i governi della Repubblica ceca e della Finlandia evidenziano la necessità che un sistema di elencazione come quello adottato dalla Bulgaria non sia discriminatorio. Da parte sua, il Regno di Spagna ribadisce che le categorie devono essere sufficientemente specificate, evitando di creare incertezza giuridica. Il governo della Polonia difende un’interpretazione restrittiva del citato art. 22, n. 2, mentre il governo greco, del pari alla Commissione, opta per un’interpretazione più generosa di detta disposizione, e sostiene che le norme bulgare devono essere applicate in modo tale da non pregiudicare il destinatario del servizio.

56.      Nelle citate sentenze Smits e Peerbooms e Müller-Fauré, nonché nelle pronunce relative alle cause Inizan e Watts (51), è emersa chiaramente la preoccupazione della Corte di giustizia per il modo in cui alcuni Stati membri applicavano il regime di autorizzazione previa come condizione per ricevere cure in un altro Stato membro. In merito a tale punto le suddette decisioni hanno insistito sul fatto che un regime di previa autorizzazione amministrativa non può legittimare un comportamento discrezionale da parte delle autorità nazionali, tale da privare di efficacia le disposizioni dell’Unione. Muovendo da tale premessa, la Corte di giustizia ha dichiarato che un sistema di previa autorizzazione amministrativa come quello previsto per ricevere un trattamento ospedaliero in un altro Stato membro «deve comunque fondarsi su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo, in modo da circoscrivere l’esercizio del potere discrezionale delle autorità nazionali affinché esso non sia usato in modo arbitrario» (52).

57.      Nella causa Smits e Peerbooms, la disposizione olandese controversa non conteneva un elenco di prestazioni, ma una regola generale che prevedeva la copertura di trattamenti medici purché corrispondessero a quel che è «usuale negli ambiti professionali interessati». La Corte ha dichiarato che una disposizione talmente ambigua rischiava di privilegiare, di fatto, i prestatori di cure nazionali rispetto a quelli stabiliti in altri Stati membri (53). Allo stesso modo, la sentenza Watts ha segnalato la difficoltà di conciliare il diritto dell’Unione con un regime come quello britannico, che non specificava i criteri di rilascio dell’autorizzazione previa per ricevere un trattamento ospedaliero in un altro Stato membro (54).

58.      Diversamente da quanto accaduto nei casi appena ricordati, il sistema bulgaro ha optato per un sistema basato su un elenco esaustivo ed esclusivo dei trattamenti coperti dall’assicurazione obbligatoria. Pertanto, i dubbi dell’organo remittente non si riferiscono ad un sistema discrezionale, ma ad un regime che intende essere oggettivo, trasparente e non discriminatorio, e che, tuttavia, dà adito a dubbi interpretativi.

59.      Difatti, l’allegato 5 del regolamento n. 40, che ha dato attuazione alla citata legge, contiene l’«elenco dei protocolli di cura clinici» presi a carico dall’assicurazione obbligatoria, in cui figurano i «trattamenti chirurgici del glaucoma», le «operazioni agli occhi con laser o criotecnica», le «operazioni dell’orbita oculare», nonché il «trattamento con radiazioni ad alta tecnologia di malattie oncologiche e non oncologiche». Il giudice a quo ci chiede se, nell’ambito di tale insieme di trattamenti che riguardano la zona oculare, il trattamento radiologico di un tumore con particelle protoniche, seguito dalla rimozione del tumore stesso, sia una prestazione che rientra in uno dei casi sopra elencati nell’allegato 5.

60.      Come ha giustamente affermato la Commissione, un regime nazionale di elenchi chiusi che, nondimeno, in taluni casi, opta per una descrizione dei trattamenti in termini ampi, deve essere coerente e consentire un’interpretazione della definizione di tali trattamenti adeguata al suo tenore generale. In altri termini, anche se il regime bulgaro pretende definire in maniera esaustiva e molto specifica ciascuno dei trattamenti coperti dall’assicurazione obbligatoria, l’inclusione di una prestazione descritta genericamente come «trattamento con radiazioni ad alta tecnologia di malattie oncologiche e non oncologiche», di cui al punto 258 dell’allegato 5 del regolamento di attuazione, non può ammettere un’interpretazione che la renda priva di contenuto. Tale considerazione non significa che il citato punto 258 debba ricevere un’interpretazione ampia, come suggerisce il governo greco, ma, al contrario, ciò che rileva è che tale punto sia interpretato coerentemente con il fine ultimo tanto della normativa bulgara quanto del diritto dell’Unione. Per la parte che spetta alla Corte di giustizia con riferimento all’interpretazione di quest’ultimo, si evince che il citato punto 258, per risultare conforme ai principi di obiettività, trasparenza e non discriminazione, ripetutamente enunciati dalla nostra giurisprudenza, deve essere interpretato nei termini qui suggeriti.

61.      Analogamente, una lettura di tal genere deve basarsi su alcuni parametri tecnici che, per quanto non siano di carattere giuridico, devono includere la valutazione del diritto imposta dall’ordinamento dell’Unione. Come ha posto in evidenza la Commissione nelle proprie osservazioni, la sentenza Smits e Peerbooms ha precisato che, al momento di stabilire se un trattamento sia «sufficientemente comprovato e convalidato» nella prassi medica, le autorità nazionali devono prendere in considerazione tutti gli elementi pertinenti disponibili, tra i quali, in particolare, la dottrina e gli studi scientifici esistenti, nonché le opinioni autorizzate di specialisti (55).

62.      Nel caso presente non si deve verificare se si tratti di un trattamento «sufficientemente comprovato e convalidato», come richiedeva l’ordinamento olandese nella causa Smits e Peerbooms, ma piuttosto se ci si trovi di fronte ad un trattamento «di alta tecnologia». È chiaro che la definizione di tale espressione spetta unicamente al giudice del rinvio, il quale, tuttavia, in sede di valutazione, dovrà tenere conto dei criteri stabiliti dalla giurisprudenza. Così, nell’accertare se un trattamento sia o meno di alta tecnologia, la citata dottrina della Corte di giustizia deve indurre l’organo giurisdizionale nazionale a realizzare una valutazione prudente, poiché esisteranno tecniche di natura tale che, a causa dell’elevato grado di complessità, non sono usuali nella prassi medica. Una linea di demarcazione che indichi il limite tra un trattamento di «alta tecnologia» abituale e un altro trattamento che non lo è può essere tracciata utilizzando come criterio il carattere sperimentale dello stesso trattamento. In tal modo, qualora il trattamento prescritto richiedesse l’impiego di tecniche di «alta tecnologia», queste ultime rientrerebbero nell’ambito di applicazione dell’art. 22 del regolamento n. 1408/71, sempreché non abbiano carattere sperimentale. Nel definire tale caratteristica si dovrà tenere conto, in linea con la giurisprudenza Smits e Peerbooms, di tutti gli elementi rilevanti disponibili, comprese, in particolare, le pubblicazioni e gli studi scientifici esistenti, nonché le opinioni autorizzate degli specialisti.

63.      Sulla scorta di tali criteri ermeneutici, è compito del giudice del rinvio valutare l’esatta portata delle disposizioni contestate. Spetta altresì a detto giudice realizzare una valutazione di fatto circa il carattere sperimentale o meno del trattamento di alta tecnologia praticato nella specie. Tuttavia, tale valutazione deve essere compatibile con i criteri europei poc’anzi proposti; tale considerazione mi induce a proporre che l’art. 22, n. 2, del regolamento n. 1408/71 debba essere interpretato nel senso che non osta ad un regime come quello previsto dall’allegato 5 del regolamento n. 40 del 2004, in quanto quest’ultimo consente di conoscere, sulla base di criteri oggettivi non discriminatori e conoscibili in anticipo, i trattamenti menzionati nell’elenco stesso. Qualora il diritto nazionale operi con un sistema di elencazione, e un trattamento sia previsto in termini generici facendo riferimento a pratiche di «alta tecnologia», il giudice del rinvio dovrà valutare, al fine di non privare di contenuto il diritto conferito dall’art. 22 del regolamento n. 1408/71, se il trattamento ricevuto abbia o meno carattere sperimentale alla luce degli elementi rilevanti disponibili, tra i quali, in particolare, le pubblicazioni e gli studi scientifici esistenti, nonché le opinioni autorizzate degli specialisti.

2.      Sulla presunzione della non copertura qualora la prestazione non sia finanziata a carico del bilancio del sistema previdenziale (prima questione)

64.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede se risulti compatibile con il diritto dell’Unione una presunzione in base alla quale, nel caso in cui il trattamento non sia finanziato a carico del bilancio del sistema previdenziale, ma sia previsto da una normativa nazionale, si debba intendere che tale trattamento non è coperto dal sistema. La presente questione tocca un elemento importante anche al fine di sviluppare la giurisprudenza della Corte di giustizia, ossia l’insufficienza di mezzi per prestare cure mediche garantite e la sua conciliazione con la libera prestazione dei servizi.

65.      Ad eccezione della Bulgaria e del Regno Unito, tutti gli Stati che hanno svolto osservazioni nel presente procedimento, unitamente alla Commissione, concordano nel dichiarare che tale presunzione non trova fondamento nell’art. 22 del regolamento n. 1408/71. A loro parere una simile interpretazione avrebbe l’effetto di privare di contenuto il diritto di ogni paziente di ricevere un trattamento ospedaliero in un altro Stato membro, lasciando in balía delle singole autorità nazionali (e dei fondi disponibili) l’effettività del regolamento. Per contro, la Bulgaria e il Regno Unito sostengono che tale presunzione è coerente con la disponibilità di risorse di ciascuno Stato, elemento che beneficia o pregiudica senza distinzioni tutti i pazienti, a prescindere dal fatto che vogliano o meno esercitare la libertà di circolazione.

66.      Di tutte le questioni sollevate nel presente procedimento, questa è l’unica che non trova ancora una soluzione concreta nella giurisprudenza della Corte di giustizia. Tuttavia, la risposta che la stessa deve ricevere può essere ricavata tanto dalle sentenze già citate quanto dalla giurisprudenza in materia di libera circolazione dei servizi.

67.      Infatti, secondo una dottrina reiterata di questa Corte, l’art. 56 TFUE osta all’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile della prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro (56). Il regolamento n. 1408/71, che mira a rendere chiaramente operative le libertà di circolazione nell’ambito specifico della previdenza sociale, si propone lo stesso fine, e osta, per le medesime ragioni, a qualsiasi interpretazione dell’art. 22 tale da consentire che i prestatori di servizi di altri Stati membri si trovino in una situazione peggiore rispetto ai prestatori dello Stato di residenza (57). Muovendo da tale premessa, è necessario applicare con estrema cautela qualsiasi pratica o normativa nazionale che dia priorità, direttamente o indirettamente, ai prestatori di servizi interni rispetto a quelli di altri Stati membri. La presunzione sulla cui base il Tribunale Supremo amministrativo della Bulgaria ha applicato l’art. 22 del regolamento n. 1408/71 deve essere considerata con tutta evidenza una limitazione in tal senso.

68.      Orbene, a prescindere dal carattere restrittivo di tale interpretazione, è necessario soffermarsi a valutare se la presunzione controversa ammetta un margine supplementare che possa essere giustificato alla luce del citato regolamento. A tal fine, la Bulgaria si è limitata a ripetere che il trattamento prescritto non è contemplato dalla legislazione nazionale, senza pertanto mettere in discussione il potenziale pregiudizievole della presunzione. D’altra parte, il Regno Unito ha sostenuto che la terapia con protoni, essendo complessa e molto costosa, giustifica un’interpretazione come quella realizzata dal Tribunale Supremo amministrativo della Bulgaria. Questa lettura dà per scontato che l’integrità finanziaria dei sistemi previdenziali risulterebbe compromessa qualora i pazienti fossero autorizzati a recarsi in un altro Stato membro per ricevere trattamenti tanto evoluti quanto costosi.

69.      Tali argomenti non sono convincenti.

70.      In primo luogo, si deve segnalare che la presunzione controversa non trova una collocazione esplicita nell’art. 22 del regolamento n. 1408/71, né in altre disposizioni di questo testo normativo. Si tratta, quindi, di una deroga ad un diritto conferito dall’ordinamento dell’Unione in termini chiari e tassativi. Se a ciò si aggiunge che, come espongo al paragrafo 67 di queste conclusioni, la misura in oggetto avvantaggia i prestatori di servizi bulgari rispetto ai prestatori di altri Stati membri, occorre escludere a priori qualsiasi approccio che implichi una presunzione come quella di cui si discute.

71.      In secondo luogo, l’argomento in base al quale una presunzione di questo tipo non protegge l’integrità finanziaria della Cassa risulta ugualmente debole. Si deve tenere presente che, come sottolineano tutti gli Stati membri che hanno presentato osservazioni nel presente procedimento, essi stessi sono le autorità competenti a determinare i trattamenti la cui copertura comprenda l’autorizzazione a ricevere le cure in un altro Stato membro (58). Ciò significa che sono essi stessi i soggetti responsabili per definire in maniera oggettiva, trasparente e non discriminatoria l’insieme dei servizi a carico del sistema previdenziale nazionale. Qualora le risorse finanziarie disponibili di uno Stato membro non gli consentano di pagare un trattamento come la terapia protonica, esso ha la facoltà di non inserire tale trattamento nel catalogo dei servizi coperti dall’assicurazione. Nella specie, qualora l’organo giurisdizionale competente pervenisse alla conclusione che il trattamento prescritto è contemplato dalla legislazione bulgara (e le relazioni dei periti fornite nei procedimenti nazionali sembrano confermarlo) la prestazione di tale trattamento in un altro Stato membro sarebbe la conseguenza di una decisione adottata liberamente dalle autorità bulgare. In nessun caso si potrebbe ritenere che il diritto dell’Unione stia ampliando i trattamenti contemplati dal regime previdenziale nazionale.

72.      In terzo luogo, occorre aggiungere un argomento relativo all’efficacia. Un sistema come quello bulgaro, il cui catalogo delle prestazioni a carico della Cassa malattia pretende essere molto avanzato, per il solo fatto di essere integrato nell’Unione si giova della conoscenza e delle tecnologie degli altri Stati membri che dispongono dei mezzi tecnici ambiti dalla Bulgaria. Se uno Stato membro desidera essere all’avanguardia nelle prestazioni mediche (il che ovviamente richiede tempo), il diritto dell’Unione consente ai cittadini di tale Stato di recarsi in un altro Stato membro per ricevere quegli stessi trattamenti che lo Stato intende rendere disponibili internamente, sebbene per il momento non sia in grado di fornire. Inoltre, qualora lo Stato includa un determinato trattamento nella legislazione nazionale, pretendere di impedire ad una persona di ricevere tale trattamento in un altro Stato membro non soltanto sarebbe contrario alle norme che regolano il mercato interno, ma contribuirebbe alla frammentazione di un settore che richiede invece la collaborazione e la condivisione delle risorse, delle conoscenze e delle abilità professionali, come quello sanitario. Un approccio come quello difeso dal governo bulgaro indebolisce non solo l’efficacia del sistema sanitario nei confronti del cittadino all’interno dello Stato membro in questione, ma anche quella dell’intero settore sanitario europeo, il cui funzionamento congiunto potenzia, inoltre, l’effettività, la qualità e le conoscenze dei servizi sanitari di ciascuno Stato membro.

73.      Sulla scorta di tali considerazioni propongo alla Corte di giustizia di interpretare l’art. 22, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 1408/71 nel senso che osta ad una presunzione in base alla quale un trattamento che è previsto dalla normativa nazionale, ma che non viene finanziato a carico del bilancio del sistema previdenziale, si consideri non coperto dal sistema.

3.      Sulla possibilità di offrire una prestazione alternativa nel paese di residenza, benché meno efficace e più radicale (seconda questione)

74.      Con la seconda questione l’organo remittente solleva un dubbio interpretativo rispetto al secondo requisito contenuto nell’art. 22, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 1408/71. In base a tale disposizione, l’autorità competente sarà obbligata a rilasciare l’autorizzazione quando «tenuto conto dello stato di salute dell[‘interessato] nel periodo in questione e della probabile evoluzione della malattia, non possono essergli praticate entro il lasso di tempo normalmente necessario per ottenere il trattamento in questione nello Stato membro di residenza». Si chiede alla Corte di giustizia se tale disposizione consenta ad uno Stato membro di rifiutare l’autorizzazione laddove esistano trattamenti alternativi, ma meno efficaci e più radicali, nel suo territorio. In pratica, si deve analizzare se l’estrazione completa dell’occhio malato sia un trattamento equivalente ad una terapia protonica.

75.      Anche su questo punto gli Stati che hanno presentato osservazioni mantengono posizioni discordanti. Da un lato, la Repubblica ceca, la Polonia, la Finlandia, la Grecia, nonché la Commissione, auspicano un approccio flessibile, che prenda in considerazione, caso per caso, le circostanze di ciascun paziente, al momento di valutare se nello Stato di residenza esistono trattamenti alternativi, che possano essere praticati entro termini ragionevoli. D’altro lato, la Bulgaria, la Spagna e il Regno Unito adottano un’interpretazione restrittiva dell’art. 22 del regolamento n. 1408/71, e sostengono che il rilascio dell’autorizzazione è obbligatorio solo quando nessuno dei trattamenti disponibili, inclusi quelli alternativi, può essere praticato entro un termine opportuno nello Stato di residenza.

76.      Si deve anzitutto ricordare che la Corte di giustizia ha già avuto modo di pronunciarsi su tale questione nell’ambito della giurisprudenza Pierik, in cui ha dichiarato che «una volta che l’ente competente abbia riconosciuto che le cure di cui trattasi costituiscono un trattamento necessario ed efficace della malattia», si considera soddisfatto il citato requisito del regolamento n. 1408/71 (59). È pur vero che tale sentenza è stata successivamente rettificata dal legislatore comunitario, introducendo una dimensione temporale nell’art. 22, n. 2, secondo comma, del citato regolamento (60). Tuttavia, la giurisprudenza della Corte di giustizia, specialmente a partire dalle sentenze ripetutamente citate Smits e Peerbooms e Müller-Fauré, ha ridotto ancora una volta, come aveva fatto nella sentenza Pierik, la portata dell’elemento temporale.

77.      In tali decisioni, infatti, benché si trattasse di un caso cui si applicava direttamente l’art. 56 TFUE e non il regolamento n. 1408/71, la Corte ha dichiarato che un’autorità nazionale può negare l’autorizzazione a ricevere un trattamento in un altro Stato membro «solo quando un trattamento identico o che presenti lo stesso grado di efficacia per il paziente possa essere tempestivamente ottenuto ricorrendo ad un istituto con il quale la cassa malattia dell’assicurato ha concluso una convenzione» (61). Tale dottrina è stata confermata nelle cause Inizan (62) e Watts (63), cui era applicabile il regolamento n. 1408/71, dando luogo in tal modo ad una equiparazione giurisprudenziale tra l’interpretazione del Trattato e quella del diritto derivato. Da ciò discende che solo i trattamenti nazionali con un grado significativo di equivalenza potrebbero giustificare il diniego dell’autorizzazione a ricevere la prestazione in un altro Stato membro.

78.      Al fine di valutare detto livello di equivalenza, in tali sentenze la Corte di giustizia ha altresì fornito i criteri da tenere in considerazione. Così, al fine di valutare se un trattamento che presenti lo stesso grado di efficacia per il paziente possa essere ottenuto in tempo utile nello Stato membro di residenza, l’istituzione competente è tenuta a prendere in considerazione «l’insieme delle circostanze che caratterizzano ogni caso concreto, tenendo nel dovuto conto non solamente il quadro clinico del paziente nel momento in cui è richiesta l’autorizzazione, e, all’occorrenza, il grado del dolore o la natura dell’infermità di quest’ultimo, che potrebbero, ad esempio, rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di un’attività professionale, ma anche i suoi antecedenti» (64).

79.      Giunti a questo punto, spetta al giudice remittente applicare i suddetti criteri al caso di specie. Riassumendo quanto esposto in precedenza, il giudice dovrà, in primo luogo, valutare se il trattamento prescritto possa essere prestato entro un termine opportuno. Se ciò non fosse possibile, il giudice dovrà considerare se esistono trattamenti paralleli nello Stato medesimo, cosa che nel caso presente, e come si deduce dal fascicolo, si riduce ad un unico trattamento: l’estrazione completa dell’occhio malato. In tale momento, il giudice a quo deve valutare il carattere equivalente del trattamento alternativo alla luce dei criteri offerti dalle sentenze Smits e Peerbooms e seguenti, che abbiamo appena ricordato.

80.      Sulla scorta di tutte le precedenti considerazioni propongo alla Corte di giustizia di risolvere la seconda questione dichiarando che l’art. 22, n. 2, secondo comma, del regolamento n. 1408/71 deve essere interpretato nel senso che l’autorizzazione a ricevere un trattamento in un altro Stato membro può essere negata solo quando un trattamento identico, o che presenti lo stesso grado di efficacia per il paziente, possa essere tempestivamente ottenuto ricorrendo ad un istituto con il quale la cassa malattia dell’assicurato abbia concluso una convenzione.

C –    Sul rimborso delle spese dell’assicurato (settima questione)

81.      Con la settima questione il giudice del rinvio chiede come debbano essere rimborsate le spese dell’assicurato da parte dell’assicurazione malattia, nel caso in cui il diniego dell’autorizzazione venga giudicato illecito.

82.      In merito a questo punto, tanto il sig. Elchinov quanto gli Stati che hanno presentato osservazioni e la Commissione concordano nel difendere l’applicabilità della giurisprudenza contenuta nelle sentenze Vanbraekel, Inizan e Watts.

83.      Infatti, secondo la reiterata giurisprudenza della Corte di giustizia poc’anzi ricordata, qualora un’istituzione competente abbia negato una domanda di autorizzazione ai sensi dell’art. 22 del regolamento n. 1408/71 e successivamente tale diniego sia dichiarato infondato dalla stessa istituzione o mediante decisione giudiziaria, il beneficiario «ha diritto di ottenere direttamente a carico dell’istituzione competente il rimborso di un importo pari a quello che sarebbe stato normalmente preso a carico se l’autorizzazione fosse stata debitamente concessa fin dall’inizio» (65). Pertanto, il sig. Elchinov, nei termini che ho già indicato ai paragrafi 48‑52 delle presenti conclusioni, ha il diritto di chiedere il rimborso direttamente, senza dover richiedere un’autorizzazione, sempreché la legittimità delle sue pretese sia stata accertata da un’autorità nazionale.

84.      In ordine all’importo cui l’assicurato ha diritto, la Corte di giustizia ha altresí affermato in svariate occasioni che l’art. 22 del regolamento n. 1408/71 non è inteso a disciplinare le spese sostenute in occasione di cure fornite in un altro Stato membro (66). Ciononostante, la Corte di giustizia ha parimenti stabilito che l’importo del rimborso è una questione che rientra nell’ambito di applicazione dei Trattati, e, in particolare, dell’art. 56 TFUE. A tal fine, nella citata sentenza Vanbraekel, la Corte ha dichiarato che il fatto che un assicurato benefici di un livello di copertura meno vantaggioso quando riceve un trattamento ospedaliero erogato in un altro Stato membro rispetto a quello goduto quando si sottopone al medesimo trattamento nello Stato membro di iscrizione «è tale da scoraggiare, se non addirittura impedire, tale assicurato dal rivolgersi ai prestatori di servizi medici stabiliti in altri Stati membri e costituisce, sia per tale assicurato che per i prestatori, un ostacolo alla libera prestazione dei servizi» (67). Di conseguenza, lo Stato di residenza è tenuto, in forza dell’art. 56 TFUE, a rimborsare le spese sostenute per i servizi ospedalieri prestati in un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni ed alle tariffe vigenti (dello Stato di residenza o dello Stato di erogazione del trattamento) che risultino più vantaggiose per il beneficiario (68).

85.      Tale risultato è ben diverso da quello che si ottiene quando si riceve un servizio ospedaliero in un altro Stato membro al di fuori della procedura prevista dall’art. 22, n. 2, del regolamento n. 1408/71. In questi casi, gli assicurati hanno diritto solo alla copertura garantita dal regime di assicurazione malattia dello Stato membro di iscrizione (69). Tuttavia, non è questo il caso del sig. Elchinov, che si è avvalso della procedura di cui al citato art. 22 e che ha invocato tale disposizione nella controversia dinanzi ai giudici del suo paese.

86.      Propongo pertanto alla Corte di giustizia di risolvere la settima questione dichiarando che l’art. 22, n. 2, del regolamento n. 1408/71 non è inteso a disciplinare le spese sostenute in occasione di cure fornite in un altro Stato membro. Ciononostante, l’art. 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro, in circostanze come quelle della presente fattispecie, è tenuto a rimborsare le spese sostenute per i servizi ospedalieri prestati in un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni ed alle tariffe vigenti che risultino più vantaggiose per il beneficiario.

D –    Sui poteri del giudice nazionale di garantire i diritti conferiti dall’art. 22, n. 1, lett. c), del regolamento n. 1408/71 (sesta questione)

87.      In conclusione, il giudice del rinvio esprime dubbi circa la procedura da seguire una volta che sia stata dichiarata l’infondatezza del diniego di autorizzazione opposto al sig. Elchinov. Più precisamente, il giudice a quo chiede se, qualora decidesse a favore del ricorrente, possa obbligare l’amministrazione a rilasciare l’autorizzazione richiesta.

88.      In via preliminare, si deve ricordare ancora una volta che, nella sentenza Vanbraekel la Corte di giustizia ha dichiarato che un assicurato, il cui diritto di ottenere l’autorizzazione a posteriori sia stato riconosciuto, «ha diritto di ottenere direttamente a carico dell’istituzione competente il rimborso» che gli spetta (70). Vale a dire che l’art. 22 del regolamento n. 1408/71, interpretato alla luce dell’art. 56 TFUE, consente all’organo remittente di pretendere non solo il rilascio dell’autorizzazione ma anche di ordinare direttamente il pagamento dell’importo dovuto, al fine di ripristinare la situazione giuridica oggetto della lite.

89.      Ciononostante, come hanno osservato il governo greco e la Commissione, tale questione è di competenza del giudice nazionale e deve essere risolta applicando le modalità procedurali previste dalla legislazione interna (71). Nei limiti in cui la procedura per l’esecuzione della sentenza che eventualmente pronunci il giudice a quo risulti conforme ai principi dell’Unione di effettività e di equivalenza, è a tale procedura che dovrà attenersi detto organo giurisdizionale. Orbene, se tale organo, conformemente al diritto interno, ha il potere di esigere il rilascio di un’autorizzazione come quella controversa, sarebbe strano che non avesse anche il potere di esigere il pagamento del debito di cui deve farsi carico la Cassa. In tale caso, spetterebbe allo stesso organo giurisdizionale valutare, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, se siffatta disparità di trattamento risulti conforme al principio di effettività (72).

90.      Di conseguenza, propongo alla Corte di giustizia di risolvere, eventualmente, la sesta questione pregiudiziale dichiarando che spetta al giudice del rinvio, conformemente al principio di autonomia istituzionale tutelato dal diritto dell’Unione, determinare le modalità procedurali opportune, come sono previste dal diritto nazionale, che garantiscano l’esecuzione della sentenza di primo grado. A tal fine, l’organo remittente deve applicare il diritto nazionale in conformità ai principi dell’Unione di effettività e di equivalenza.

VI – Conclusione

91.      Alla luce delle precedenti considerazioni e rispettando l’ordine seguito nelle presenti conclusioni, propongo alla Corte di giustizia di risolvere le questioni sottoposte dall’Administrativen sad Sofia grad nel seguente modo:

«Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che non osta a che un giudice di grado inferiore, come, nella specie, l’Administrativen sad Sofia grad, sia obbligato dall’ordinamento interno, nell’ambito di un procedimento in cui abbia già pronunciato una prima sentenza e dopo che gli sia stata rinviata la causa, ad applicare le istruzioni contenute nella sentenza di cassazione dettata da un organo giurisdizionale superiore nell’ambito dello stesso procedimento».

92.      Per il caso in cui la Corte di giustizia non condivida la suddetta soluzione della terza questione pregiudiziale, propongo di risolvere le altre questioni dichiarando che:

«1)       L’art. 56 TFUE e l’art. 22 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità, devono essere interpretati nel senso che non ostano ad una disposizione come l’art. 36, n. 1, della legge bulgara sull’assicurazione malattia, nei limiti in cui quest’ultima instaura un regime di autorizzazione previa per usufruire di prestazioni ospedaliere in un altro Stato membro, e purché, in ogni caso, tale disposizione non impedisca al richiedente di pretendere il rimborso a posteriori, nei casi in cui il diniego della corrispondente autorizzazione sia stato dichiarato infondato dalla stessa istituzione competente o mediante decisione giudiziaria.

2)       L’art. 22, n. 2, del regolamento n. 1408/71 deve essere interpretato nel senso che

–      non osta ad un regime come quello previsto dall’allegato 5 del regolamento n. 40 del 2004, poiché quest’ultimo permette di conoscere, sulla base di criteri oggettivi, non discriminatori conoscibili in anticipo, i trattamenti menzionati nello stesso. Qualora il diritto nazionale operi con un sistema di elencazione, e un trattamento sia previsto in termini generici facendo riferimento a pratiche di «alta tecnologia», il giudice del rinvio dovrà valutare, al fine di non privare di contenuto il diritto conferito dall’art. 22 del regolamento n. 1408/71, se il trattamento ricevuto abbia o meno carattere sperimentale alla luce degli elementi rilevanti disponibili, tra i quali, in particolare, le pubblicazioni e gli studi scientifici esistenti, nonché le opinioni autorizzate degli specialisti;

–      osta ad una presunzione in base alla quale un trattamento che è previsto dalla normativa nazionale ma che non viene finanziato a carico del bilancio del sistema previdenziale si consideri non coperto dal sistema;

–      l’autorizzazione a ricevere un trattamento in un altro Stato membro può essere negata solo quando un trattamento identico o che presenti lo stesso grado di efficacia per il paziente possa essere tempestivamente ottenuto ricorrendo ad un istituto con il quale la cassa malattia dell’assicurato abbia concluso una convenzione.

3)       L’art. 22, n. 2, del regolamento n. 1408/71 non è inteso a disciplinare le spese sostenute in occasione di cure fornite in un altro Stato membro. Ciononostante, l’art. 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro, in circostanze come quelle della presente fattispecie, è tenuto a rimborsare le spese sostenute per i servizi ospedalieri prestati in un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni ed alle tariffe vigenti che risultino più vantaggiose per il beneficiario.

4)       Conformemente al principio di autonomia istituzionale tutelato dal diritto dell’Unione, spetta al giudice del rinvio determinare le modalità procedurali opportune, come sono previste dal diritto nazionale, che garantiscano l’esecuzione della sentenza di primo grado. A tal fine, l’organo remittente deve applicare il diritto nazionale in conformità ai principi dell’Unione di effettività e di equivalenza».


1 – Lingua originale: lo spagnolo.


2 – Sentenze 30 settembre 2003, causa C‑224/01, Köbler (Racc. pag. I‑10239); 13 gennaio 2004, causa C‑453/00, Kühne & Heitz (Racc. pag. I‑837), e 9 dicembre 2003, causa C‑129/00, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑14637).


3 – Sentenza 16 gennaio 1974, causa 166/73, Rheinmühlen-Düsseldorf (Racc. pag. 33).


4 – Regolamento del Consiglio 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità (GU L 149, pag. 2, più volte modificato).


5 – Sentenza Rheinmühlen I, cit. (punto 4).


6 – Ibidem.


7 – In tal senso si è interpretata detta sentenza fin dal momento in cui è stata pronunciata, come si evince dai commenti espressi all’epoca da Bebr, G., Europarecht, 1974, pag. 354; Winter, A., Common Market Law Review, 1974, pag. 210; Hartley, T., «Article 177 EEC: appeals against an order to refer», European Law Review, 1975, pag. 48.


8 – Sentenza Köbler, cit.


9 – In proposito, v. l’analisi comparata svolta dall’avvocato generale Léger nelle conclusioni relative alla causa Köbler, con riferimento alla responsabilità dello Stato per atti degli organi giurisdizionali nazionali (paragrafi 77‑86).


10 – Sentenza cit.


11 – Sentenza Köbler, cit. (punti 34 e 35); sentenza Commissione /Italia, cit. (punto 32).


12 – Sentenza 6 ottobre 1982, causa 283/81, CILFIT (Racc. pag. 3415). Sull’applicazione di tale giurisprudenza nel contesto della responsabilità patrimoniale e degli inadempimenti da parte degli organi giurisdizionali, v., rispettivamente, le sentenze Köbler, cit. (punto 35), e 12 novembre 2009, causa C‑154/08, Commissione/Spagna (Racc. pag. I‑187, punti 64 e 65).


13 – Sentenza della Corte costituzionale federale 22 ottobre 1986, BVerfGE 73, 339, confermata successivamente con sentenza 31 maggio 1990, BVerfGE 82, 159.


14 – Sentenza della Corte costituzionale 11 dicembre 1995, B 2300/95 WBl 1996, 24.


15 – Sentenza della Corte costituzionale 58/2004, confermata successivamente dalla sentenza 194/2006.


16 – Ordinanze della Corte costituzionale 30 giugno 2008, IV. ÚS 154/08 e 24 luglio 2008, III. ÚS 2738/07, poi confermate con sentenza 8 gennaio 2009, II. ÚS 1009/08.


17 – Sentenze della Corte costituzionale 29 maggio 2007, III. ÚS 151/07 e 3 luglio 2008, IV. ÚS 206/08.


18 – Sentenza cit.


19 – Ciononostante la Corte di giustizia ha stabilito che il diritto dell’Unione non osterebbe alla revoca dell’atto qualora risultino soddisfatte quattro condizioni: quando, a) l’organo competente disponga, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione; b) la decisione in questione sia divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza; c) tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima, risulti fondata su un’interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza che la Corte fosse adita a titolo pregiudiziale alle condizioni previste all’art. 234, n. 3, CE, e d) l’interessato si sia rivolto all’organo amministrativo immediatamente dopo essere venuto a conoscenza della detta giurisprudenza.


20 – Sentenza 16 marzo 2006, causa C‑234/04, Kapferer (Racc. pag. I‑2585).


21 – Ibidem, punto 21.


22 – Sentenze 19 settembre 2006, cause riunite C‑392/04 e C‑422/04, i-21 Germany e Arcor (Racc. pag. I‑8559); 12 febbraio 2008, causa C‑2/06, Willy Kempter (Racc. pag. I‑411), e 3 settembre 2009, causa C‑2/08, Fallimento Olimpiclub (Racc. pag. I‑7501).


23 – Sentenza 18 luglio 2007, causa C‑119/05, Lucchini (Racc. pag. I‑6199).


24 – V. Alemanno, A., «La responsabilità dello Stato nei confronti dei privati per le violazioni commesse dai giudici di ultima istanza», e Spitaler[i], F., «Il risarcimento dei danni causati da sentenze definitive», in L’incidenza del Diritto Comunitario e della CEDU sugli atti nazionali definitivi, Giuffrè, Milano, 2009, pagg. 65‑72.


25 – Su questa stessa linea, v. le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs presentate il 10 luglio 1997 nella causa C‑338/95, Wiener (Racc. pag. I‑6495, paragrafi 40 e segg.), nonché le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer del 30 giugno 2005 nella causa C‑461/03, Gaston-Schul Douane-expediteur (Racc. pag. I‑10513, paragrafi 80‑87).


26 – V., tra le altre, sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C‑6/90 e C‑9/90, Francovich e a. (Racc. pag. I‑5357, punto 35); 5 marzo 1996, cause riunite C‑46/93 e C‑48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame (Racc. pag. I-1029, punto 31); 26 marzo 1996, causa C‑392/93, British Telecommunications (Racc. pag. I‑1631, punto 38); 23 maggio 1996, causa C‑5/94, Hedley Lomas (Racc. pag. I‑2553, punto 24); 8 ottobre 1996, cause riunite C‑178/94, C‑179/94 e da C‑188/94 a C‑190/94, Dillenkofer e a. (Racc. pag. I‑4845, punto 20), e 2 aprile 1998, causa C‑127/95, Norbrook Laboratories (Racc. pag. I‑1531, punto 106).


27 V., a titolo di esempio ed in circostanze analoghe a quelle della vicenda del sig. Elchinov, la recente causa C‑211/08, Commissione/Spagna (in attesa di pronuncia), un procedimento per inadempimento sorto in conseguenza della denuncia di un cittadino francese, il sig. Chollet, residente in Spagna e assicurato presso il sistema di sicurezza sociale spagnolo. Dopo essere stato ricoverato in ospedale durante un periodo di dimora in Francia, l’istituzione competente spagnola aveva respinto la richiesta del sig. Chollet diretta al rimborso della percentuale delle spese corrisposte all’istituzione del luogo di dimora ai sensi della normativa francese (il cosiddetto «ticket modérateur»), dando così luogo alla denuncia dinanzi alla Commissione, successivamente all’origine del citato procedimento.


28 – Conclusioni presentate il 24 marzo 2009 (paragrafo 54).


29 – Lo stesso approccio, incentrato sulle caratteristiche di ciascun ordinamento, è stato applicato dalla Corte di giustizia nell’ambito della giurisprudenza relativa alla valutazione d’ufficio del diritto dell’Unione. Al riguardo, si operi un confronto tra le sentenze 14 dicembre 1995, cause riunite C‑ 430/93 e C‑431/93, Van Schijndel e van Veen (Racc. pag. I‑4705), e causa C‑312/93, Peterbroeck (Racc. pag. I‑4599), e 25 novembre 2008, causa C‑455/06, Heemskerk e Schaap (Racc. pag. I‑8763).


30 – La Corte costituzionale bulgara non si pronuncia sui ricorsi diretti proposti dai singoli e aventi ad oggetto la protezione dei diritti fondamentali (art. 149 della Costituzione bulgara).


31 – Пенчев, К., Тодоров, И, Ангелов, Г., и Йорданов, Б., Административнопроцесуален кодекс – Коментар, Първо издание, София 2006, чл. 224, ал. 2.


32 – Sentenza 16 dicembre 2008, causa C‑210/06, Cartesio (Racc. pag. I‑9641).


33 – Sentenza 12 febbraio 1974, causa 146/73, Rheinmühlen-Düsseldorf (Racc. pag. 139).


34 – Al riguardo, v. Alonso García, R., «Cuestión prejudicial comunitaria y autonomía procesal nacional: a propósito del asunto Cartesio», in Revista Española de Derecho Europeo, n. 30, 2009, pagg. 209-211, e Barbato, J.-C., «Le droit communautaire et les recours internes exercés contre les ordonnances de renvoi», in Revue Trimestrielle de Droit européen, n. 2, 2009, pagg. 280 e segg.


35 – Sentenza Cartesio, cit. (punto 95).


36 – Ibidem (punto 96).


37 – Diverso è il caso dell’applicazione della dottrina Rheinmühlen I quando viene avviato un nuovo procedimento che non riguarda l’autorità di cosa giudicata di una sentenza pronunciata da un organo superiore. Ciò è accaduto nella recente causa C‑378/08, ERG e a. (sentenza 9 marzo 2010, Racc. pag. I‑1919), in cui la Corte di giustizia ha invocato la suddetta sentenza, sebbene nell’ambito di un nuovo ricorso avviato dalle parti contro atti amministrativi diversi da quelli impugnati nel procedimento in causa che precedentemente aveva acquistato autorità di cosa giudicata.


38 – V., inter alia, sentenze 16 dicembre 1981, causa 244/80, Foglia (Racc. pag. 3045, punto 21); 3 febbraio 1983, causa C‑149/82, Robards (Racc. pag. 171, punto 19), e 16 luglio 1992, causa C‑83/91, Meilicke (Racc. pag. I‑4871, punto 25).


39 – Sentenze 28 aprile 1998, causa C‑120/95, Decker (Racc. pag. I‑1831), e 28 aprile 1998, causa C‑158/96, Kohll (Racc. pag. I‑1931).


40 – Sentenze Decker (punti 35 e 36) e Kohll (punti 34 e 35).


41 – Sentenze 16 marzo 1978, causa 117/77 (Racc. pag. 825), e 31 maggio 1979, causa 182/78 (Racc. pag. 1977).


42 – V. le conclusioni presentate congiuntamente il 16 settembre 1997 nelle citate cause Decker e Kohll (paragrafi 17‑24, nonché 32).


43 – Sentenze Decker (punti 22‑25) e Kohll (punti 20‑21).


44 – Sentenza Kohll (punti 31‑35). Precisazione già anticipata dalla Corte di giustizia nella sentenza 31 gennaio 1984, cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone (Racc. pag. 377), che tuttavia non è stata applicata al settore sanitario fino alla pronuncia della citata sentenza Kohll.


45 – Sentenze 12 luglio 2001, causa C‑157/99, Smits e Peerbooms (Racc. pag. I‑5473), e 13 maggio 2003, causa C‑385/99, Müller-Fauré e van Riet (Racc. pag. I‑4509).


46 – Sentenze Smits e Peerbooms (punto 76) e Müller-Fauré (punto 77).


47 – Ibidem.


48 – Sentenze Smits e Peerbooms (punto 82) e Müller-Fauré (punto 83).


49 – Sentenza 12 luglio 2001, causa C‑368/98 (Racc. pag. I‑5363).


50 – Sentenza Vanbraekel (punto 34). In questo stesso senso, v. inoltre la sentenza 18 marzo 2004, causa C‑8/02, Leichtle (Racc. pag. I‑2641, punto 55), nonché le conclusioni dell’avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer in tale causa (paragrafo 41).


51 – Sentenze 23 ottobre 2003, causa C‑56/01 (Racc. pag. I‑12403), e 16 maggio 2006, causa C‑372/04 (Racc. pag. I‑4325).


52 – Sentenze Smits e Peerbooms (punto 90); Müller-Fauré (punto 85); Inizan (punto 57), e Watts (punto 116).


53 – Sentenza Smits e Peerbooms, cit. (punto 96).


54 – Sentenza Watts, cit. (punto 118).


55 – Sentenza Smits e Peerbooms (punto 98).


56 – Sentenza 5 ottobre 1994, causa C‑381/93, Commissione/Francia (Racc. pag. I‑5145, punto 17), e sentenze Kohll, cit. (punto 33); Smits e Peerbooms , cit. (punto 61), e Watts, cit. (punto 94).


57 – V. il primo ed il secondo ‘considerando’ del regolamento n. 1408/71.


58 – V., tra le altre, sentenze Decker, cit. (punti 21‑24); Kohll, cit. (punti 17‑20); Smits e Peerbooms, cit. (punti 53‑58); Vanbraekel, cit. (punti 40‑44); Müller-Fauré, cit. (punti 38‑43); Inizan, cit. (punti 16‑18), e Watts cit. (punti 90‑ 92).


59 – Sentenze Pierik, cit. (punto 13).


60 – Regolamento (CEE) del Consiglio 17 settembre 1981, n. 2793, recante modifica del regolamento (CEE) n. 1408/71 relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati ed ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità e del regolamento (CEE) n. 574/72 che stabilisce le modalità d’applicazione del regolamento (CEE) n. 1408/71 (GU L 275, pag. 1).


61 – Sentenze Smits e Peerbooms, cit. (punto 103), e Müller-Fauré, cit. (punto 89).


62 – Sentenza cit. (punto 45).


63 – Sentenza cit. (punto 61).


64 – Sentenze Smits e Peerbooms, cit. (punto 104); Müller-Fauré, cit. (punto 90); Inizan, cit. (punto 46), e Watts, cit. (punto 62).


65 – Sentenza Vanbraekel, cit. (punto 34).


66 – Sentenza Vanbraekel, cit. (punto 36).


67 – Sentenza Vanbraekel, cit. (punto 45).


68 – Usando le parole della stessa Corte: «l’art. 22 (…) ha per oggetto di conferire un diritto alle prestazioni in natura erogate, per conto dell’istituzione competente, dall’istituzione del luogo di dimora, secondo le disposizioni della legislazione dello Stato membro in cui le prestazioni sono erogate, come se l’interessato appartenesse a quest’ultima istituzione. L’applicabilità dell’art. 22 (…) non esclude che l’interessato possa in via parallela disporre, ai sensi dell’art. 49 CE, del diritto di accedere a trattamenti sanitari in un altro Stato membro a condizioni di assunzione di oneri diverse da quelle previste nel detto art. 22» [sentenza Watts, cit. (punto 48)].


69 – Sentenza Müller-Fauré e van Riet, cit. (punto 106). In ordine alle differenze del regime di rimborso in funzione delle norme applicabili, v. le conclusioni dell’avvocato generale Tesauro nelle cause Decker e Kohll, cit. (paragrafi 26‑34).


70 – Sentenza Vanbraekel, cit. (punto 34).


71 – V., inter alia, sentenze 21 febbraio 1991, cause riunite C‑143/88 e C‑92/89, Zuckerfabrik Süderdithmarschen e Zuckerfabrik Soest (Racc. pag. I-415, punti 26 e 27); 9 novembre 1995, causa C‑465/93, Atlanta Fruchthandelsgesellschaft e a. (I) (Racc. pag. I-3761, punto 39); 6 dicembre 2005, cause riunite C‑453/03, C‑11/04, C‑12/04 e C‑194/04, ABNA e a. (Racc. pag. I-10423, punto 104); 16 maggio 2000, causa C‑78/98, Preston e a. (Racc. pag. I-3201, punto 31); 7 gennaio 2004, causa C‑201/02, Wells (Racc. pag. I-723, punto 67), e 13 marzo 2007, causa C‑432/05, Unibet (Racc. pag.  I-2271, punto 79).


72 – V., tra le altre, sentenze 12 novembre 1981, causa C‑543/79, Birke/Commissione e Consiglio (Racc. pag. 2669, punto 28) e causa 799/79, Bruckner/Commissione e Consiglio (Racc. pag. 2697, punto 19); Brasserie du pêcheur e Factortame, cit. (punto 66); 14 settembre 1999, causa C‑310/97 P, Commissione/AssiDomän Kraft Products e a. (Racc. pag. I‑5363, punto 59), e Köbler, cit. (punto 57).