Parti
Motivazione della sentenza
Dispositivo

Parti

Nel procedimento C‑278/05,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito), con decisione 22 giugno 2005, pervenuta in cancelleria il 6 luglio 2005, nella causa

Carol Marilyn Robins e altri

contro

Secretary of State for Work and Pensions,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dal sig. J. Klučka, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. J. Makarczyk e L. Bay Larsen (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.ra J. Kokott

cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 1° giugno 2006,

considerate le osservazioni presentate:

– per la sig.ra Robins e altri, dai sigg. I. Walker, solicitor, D. Anderson, QC, e P. Newman, barrister;

– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra C. White, in qualità di agente, assistita dai sigg. D. Pannick e D. Wyatt, QC, nonché dal sig. R. Hitchcock e dalla sig.ra K. Smith, barristers;

– per l’Irlanda, dal sig. D.J. O’Hagan, in qualità di agente, assistito dal sig. P. McGarry, BL;

– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra H.G. Sevenster, in qualità di agente;

– per la Commissione delle Comunità europee, dai sigg. G. Rozet e J. Enegren, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 luglio 2006,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza

1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’art. 8 della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU L 283, pag. 23; in prosieguo: la «direttiva»).

2. Tale domanda è stata sollevata nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Robins e 835 altri iscritti a due regimi pensionistici privati professionali (in prosieguo, collettivamente: i «ricorrenti nel procedimento principale»), da un lato, e il Secretary of State for Work and Pensions, competente per il Regno Unito per le questioni di lavoro e previdenziali, dall’altro, in merito alla riduzione dei diritti alle prestazioni di vecchiaia dei detti ricorrenti a seguito dell’insolvenza del loro datore di lavoro.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3. L’art. 1, n. 1, della direttiva dispone quanto segue:

«La presente direttiva si applica ai diritti dei lavoratori subordinati derivanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro ed esistenti nei confronti dei datori di lavoro che si trovano in stato di insolvenza ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1».

4. L’art. 2 della direttiva enuncia:

«1. Ai sensi della presente direttiva, un datore di lavoro si considera in stato di insolvenza:

a) quando è stata chiesta l’apertura di un procedimento, previsto dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative dello Stato membro interessato, che riguarda il patrimonio del datore di lavoro ed è volto a soddisfare collettivamente i creditori di quest’ultimo e che permette di prendere in considerazione i diritti di cui all’articolo 1, paragrafo 1, e

b) quando l’autorità competente in virtù di dette disposizioni legislative, regolamentari e amministrative:

– ha deciso l’apertura del procedimento,

– o ha constatato la chiusura definitiva dell’impresa o dello stabilimento del datore di lavoro, e l’insufficienza dell’attivo disponibile per giustificare l’apertura del procedimento.

2. La presente direttiva non pregiudica il diritto nazionale per quanto riguarda la definizione dei termini «lavoratore subordinato», «datore di lavoro», «retribuzione», «diritto maturato» e «diritto in corso di maturazione».

5. Conformemente all’art. 3 della direttiva, gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché gli organismi di garanzia assicurino, fatto salvo l’art. 4, il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori subordinati risultanti da contratti di lavoro o da rapporti di lavoro e relativi alla retribuzione del periodo situato prima di una data determinata. Tale data è scelta dagli Stati membri fra quelle previste al n. 2 dello stesso art. 3.

6. Ai sensi dell’art. 4, nn. 1 e 2, della direttiva, gli Stati membri hanno la facoltà di limitare l’obbligo di pagamento degli organismi di garanzia di cui all’art. 3 al pagamento dei diritti non pagati relativi alla retribuzione, secondo i casi, di tre mesi, di diciotto mesi o di otto settimane.

7. Ai termini dell’art. 7, «[g]li Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che il mancato pagamento ai loro organismi assicurativi di contributi obbligatori dovuti dal datore di lavoro prima dell’insorgere dell’insolvenza a titolo dei regimi legali nazionali di sicurezza sociale non leda i diritti alle prestazioni dei lavoratori subordinati nei confronti di questi organismi assicurativi nella misura in cui i contributi salariali siano stati trattenuti sui salari versati».

8. Ai termini dell’art. 8, «[g]li Stati membri si assicurano che vengano adottate le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori subordinati e quelli delle persone che hanno già lasciato l’impresa o lo stabilimento del datore di lavoro alla data dell’insorgere della insolvenza di quest’ultimo, per quanto riguarda i diritti maturati o i diritti in corso di maturazione, in materia di prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, previste dai regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, diversi dai regimi legali nazionali di sicurezza sociale».

9. L’art. 9 enuncia che la direttiva fa salva la facoltà degli Stati membri di applicare e di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli per i lavoratori subordinati.

La normativa nazionale

La garanzia dei contributi ai regimi pensionistici

10. Ai sensi dell’Employment Rights Act 1996 e del Pension Schemes Act 1993 (in prosieguo: il «PSA 1993»), il Redundancy Payments Directorate, per conto del Secretary of State for Trade and Industry, effettua pagamenti tramite il National Insurance Fund (in prosieguo: il «NIF») per assicurare i diritti degli ex dipendenti in caso di insolvenza del datore di lavoro. Esso diviene quindi creditore nella procedura di insolvenza in luogo e per conto dei lavoratori subordinati.

11. L’art. 124 del PSA 1993 permette di versare ad un regime previdenziale i «contributi dovuti», finanziandoli attraverso il NIF, in caso di loro omissione da parte del datore di lavoro insolvente.

12. Per «contributi dovuti» l’art. 124, n. 2, del PSA 1993 intende i contributi

– dovuti da un datore di lavoro per conto proprio o

– per conto di un dipendente, a condizione che il datore di lavoro abbia effettivamente trattenuto sulla retribuzione una somma uguale a tale importo, in quanto contributo del dipendente.

13. L’importo dei contributi dovuti dal datore di lavoro per conto proprio è definito dall’art. 124, n. 3, del PSA 1993 come il meno elevato degli importi seguenti:

– la somma che, alla data in cui il datore di lavoro è divenuto insolvente, era dovuta nei dodici mesi precedenti;

– qualora le prestazioni del regime siano calcolate con riferimento alla retribuzione dell’iscritto, la somma certificata da un attuario come necessaria per adempiere gli impegni sorti al momento della liquidazione a vantaggio dei dipendenti della società o per loro conto; e

– il 10% dell’importo complessivo delle retribuzioni pagate o dovute ai dipendenti nel corso dei dodici mesi precedenti la data dell’insolvenza.

14. L’importo dovuto a titolo di contributi non pagati per conto di un dipendente è definito all’art. 124, n. 5, del PSA 1993 come corrispondente alle somme trattenute sulla retribuzione nel corso dei dodici mesi precedenti la data dell’insolvenza.

15. L’art. 177, n. 2, lett. b), del PSA 1993 prevede che i pagamenti effettuati dal Secretary of State siano finanziati tramite il NIF e l’art. 127 disciplina la surrogazione.

Il Pensions Compensation Board e il Fraud Compensation Scheme

16. Gli artt. 81‑86 del Pensions Act 1995, come modificato dal Welfare Reform and Pensions Act 1999 (in prosieguo: il «PA 1995»), prevedevano un indennizzo a titolo delle prestazioni previdenziali da parte del Pensions Compensation Board in caso di insolvenza del datore di lavoro e di disavanzo delle risorse finanziarie del regime causato da un reato implicante la disonestà («dishonesty»), compreso l’intento di frodare («defraud»).

17. Dal mese di settembre 2005 questo regime indennitario del Pensions Compensation Board è sostituito, tra l’altro in caso di insufficienza fraudolenta degli attivi, dal Fraud Compensation Scheme, in applicazione degli artt. 182‑189 del Pensions Act 2004 (in prosieguo: il «PA 2004»).

Il riscatto dei diritti nel regime pensionistico generale

18. Ai sensi dell’art. 55 del PSA 1993, come modificato dall’art. 141 del PA 1995 nonché dalle Occupational Pension Schemes (Contracting‑out) (Amount Required for Restoring State Scheme Rights and Miscellaneous Amendment) Regulations 1998 (SI 1998/1397), gli iscritti a regimi che soddisfano determinate condizioni possono ripristinare in tutto o in parte i loro diritti nel regime pensionistico generale se la liquidazione del regime cui sono affiliati non è iniziata prima del 6 aprile 1997 e se il detto regime non dispone di fondi sufficienti.

Un trust indipendente per le risorse finanziarie del regime

19. L’art. 592 dell’Income and Corporation Taxes Act 1998 permetteva ai datori di lavoro e ai lavoratori di beneficiare di riduzioni di imposta sulle somme pagate ai regimi pensionistici quando le risorse finanziarie di questi ultimi erano detenute da un trust indipendente ed erano perciò sottratte alla disponibilità degli altri creditori in caso di insolvenza. I regimi previdenziali complementari ottemperavano, di norma, a tale obbligo a motivo delle riduzioni di imposta concesse.

20. Dal 6 aprile 2006 non occorre più che le risorse finanziarie dei regimi pensionistici siano detenute da un trust indipendente per beneficiare delle riduzioni d’imposta. Nondimeno, in applicazione dell’art. 252, n. 2, del PA 2004, entrato in vigore il 23 settembre 2005, i detti regimi devono essere organizzati in forma di trust indipendente perché gli amministratori possano accettare pagamenti a titolo di finanziamento del regime.

Il «Minimum Funding Requirement» (MFR) e i crediti nei confronti del datore di lavoro

21. In forza dell’art. 56 del PA 1995, i regimi pensionistici professionali (ovvero aziendali), ad eccezione di pochi, devono assicurarsi che il valore delle proprie risorse finanziarie non sia inferiore agli impegni assunti come valutati sulla base del «Minimum Funding Requirement».

22. L’art. 75 del PA 1995 e le Occupational Pension Schemes (Deficiency on Winding Up etc.) Regulations 1996 (SI 1996/3128), come modificate dalle Occupational Pension Schemes (Minimum Funding Requirement and Miscellaneous Amendments) Regulations 2002 (SI 2002/380) (in prosieguo, collettivamente: i «regolamenti sull’insufficienza degli attivi»), dispongono che, se un regime pensionistico professionale a contribuzioni definite cui si applica l’art. 75 è liquidato, o il datore di lavoro diventa insolvente nel senso di cui al detto articolo, e, alla data rilevante, le sue risorse finanziarie non coprono gli impegni, l’importo costituito dalla differenza sarà considerato un debito del datore di lavoro verso gli amministratori del regime. Ciò permette a questi ultimi di avviare un’azione di recupero del debito.

23. Il 6 aprile 2005 l’art. 75 del PA 1995 è stato modificato dall’art. 271 del PA 2004 e i regolamenti sull’insufficienza degli attivi sono stati sostituiti dalle Occupational Pension Schemes (Employer Debt) Regulations 2005 ( SI 2005/678), modificate dalle Occupational Pension Schemes (Employer Debt etc.) (Amendment) Regulations 2005 (SI 2005/2224). Il merito della vecchia normativa è rimasto, tuttavia, immutato.

24. Taluni contributi dovuti dai datori di lavoro ad un regime pensionistico professionale o ad un regime legale costituiscono, poi, crediti privilegiati di cui alla classe IV dell’allegato 6 dell’Insolvency Act 1986; sono tali, in particolare:

– i contributi dei lavoratori ad un regime pensionistico professionale che sono stati trattenuti sul salario nel corso dei quattro mesi precedenti la data dell’insolvenza, ma che non sono ancora stati versati dal datore di lavoro al regime, e

– i contributi dovuti dal datore di lavoro ad un regime pensionistico professionale nell’ambito del «contracting out» [esclusione volontaria del regime obbligatorio di previdenza complementare basato sulla retribuzione (SERPS, State Earnings Pension Scheme) a favore di un regime professionale] nel corso dei dodici mesi precedenti la data dell’insolvenza, ove rientrino nell’ambito di applicazione delle disposizioni relative alla pensione minima garantita (art. 8, n. 2, del PSA 1993) o ai diritti protetti (art. 10 del PSA 1993) in tale regime.

Procedimento principale

25. I ricorrenti nel procedimento principale sono ex dipendenti della società ASW Limited, sottoposta a liquidazione giudiziale con ordinanza 24 aprile 2003.

26. Essi erano iscritti a due regimi pensionistici finanziati da tale società, ovvero l’«ASW Pension Plan» e l’«ASW Sheerness Steel Group Pension Fund» (in prosieguo: i «regimi pensionistici»).

27. Entrambi tali regimi erano organizzati con le seguenti caratteristiche, comuni a tutti i regimi pensionistici privati basati sull’ultima retribuzione:

– le prestazioni, dette prestazioni «basate sull’ultima retribuzione», vengono calcolate in funzione di un coefficiente di crescita dei diritti a pensione, della retribuzione finale e della durata del servizio presso l’impresa di ciascun iscritto;

– gli iscritti contribuiscono con una percentuale della propria retribuzione, mentre il datore di lavoro è tenuto a contribuire nella misura necessaria ad assicurare il pagamento delle prestazioni, per la qual cosa regimi pensionistici di questo tipo vengono denominati «regimi di equilibrio dei costi»;

– la società datore di lavoro che finanzia tali regimi è legittimata ad annunciare la sospensione delle contribuzioni e la messa in liquidazione dei regimi;

– dal momento dell’apertura della liquidazione dei regimi pensionistici trovano applicazione le disposizioni dell’art. 75 del PA 1995, che parla di un obbligo di legge della società nei confronti dei detti regimi.

28. I regimi pensionistici venivano soppressi nel luglio 2002 e versano ora in liquidazione. I loro amministratori sono ormai obbligati ad utilizzarne gli attivi per assicurare le prestazioni agli iscritti secondo l’ordine di priorità stabilito dalle norme in materia di previdenza, come modificate dalla legge: prima le prestazioni agli iscritti che al momento della messa in liquidazione già percepivano prestazioni pensionistiche, poi, sempre che residuino risorse, le prestazioni ai lavoratori che a quello stesso momento non ricevevano ancora alcuna pensione.

29. Secondo i più recenti calcoli dei loro attuari, le risorse finanziarie dei regimi pensionistici non saranno sufficienti a soddisfare tutti i diritti degli iscritti e, di conseguenza, le prestazioni dei lavoratori non pensionati saranno ridotte.

30. Ritenendo che la normativa in vigore nel Regno Unito non assicurasse loro il livello di tutela prescritto all’art. 8 della direttiva, i ricorrenti nel procedimento principale hanno intentato contro il governo del Regno Unito, nella persona del Secretary of State for Work and Pensions, un’azione di risarcimento danni.

31. Investita della controversia, la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se l’art. 8 della [direttiva] debba essere interpretato nel senso che esso obbliga gli Stati membri ad assicurare con tutti i mezzi necessari di finanziare integralmente essi medesimi i diritti acquisiti dai lavoratori subordinati a titolo di regimi di previdenza complementare, professionali o interprofessionali, basati sull’ultima retribuzione, qualora il datore di lavoro privato diventi insolvente e le risorse finanziarie di tali regimi siano insufficienti a finanziare le dette prestazioni.

2) In caso di soluzione negativa della questione sub 1), se i requisiti di cui all’art. 8 siano adeguatamente attuati da una legislazione come quella prima descritta, in vigore nel Regno Unito.

3) Nel caso in cui le disposizioni legislative del Regno Unito non siano conformi all’art. 8, quale criterio debba applicare il giudice nazionale per stabilire se la violazione del diritto comunitario sia sufficientemente qualificata da far sorgere un obbligo di risarcimento. In particolare, se il mero inadempimento basti a integrare una violazione sufficientemente caratterizzata o se debba esserci stato anche un grave e manifesto eccesso di potere legislativo da parte dello Stato membro oppure ancora se debbano essere applicati altri criteri e, se sì, quali».

Sulla prima questione

32. Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 8 della direttiva debba essere interpretato nel senso che, in caso di insolvenza del datore di lavoro e di insufficienza delle risorse dei regimi pensionistici complementari, professionali o interprofessionali, il finanziamento dei diritti alle prestazioni di vecchiaia maturati debba essere assicurato dagli Stati membri medesimi ed essere integrale.

Osservazioni presentate alla Corte

33. I ricorrenti nel procedimento principale sostengono che la struttura della direttiva e la lettera del suo art. 8 pongono agli Stati membri un obbligo di risultato. Se necessario, i diritti maturati dovranno perciò essere integralmente finanziati da questi ultimi.

34. Secondo il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, l’Irlanda, il Regno dei Paesi Bassi e la Commissione delle Comunità europee, l’art. 8 della direttiva non obbliga gli Stati membri a garantire la totalità dei diritti maturati dai lavoratori. Lascerebbe, invece, agli Stati membri un certo potere discrezionale.

Risposta della Corte

35. Si deve constatare che, a rigor di termini, l’art. 8 della direttiva, enunciando, in via generale, che gli Stati membri «si assicurano che vengano adottate le misure necessarie», non impone ai detti Stati di finanziare essi medesimi i diritti alle prestazioni che la direttiva vuol vedere tutelati.

36. I termini adoperati lasciano agli Stati membri un certo potere discrezionale nella scelta del meccanismo da adottare ai fini di tale tutela.

37. Così, uno Stato membro può prevedere, per esempio, anziché un finanziamento da parte delle autorità pubbliche, un obbligo di assicurazione a carico dei datori di lavoro oppure l’istituzione di un organismo di garanzia di cui determinerà le modalità di finanziamento.

38. Quanto al livello di tutela richiesto dalla direttiva, si deve ricordare che, ai sensi del primo ‘considerando’ di quest’ultima, le misure necessarie per tutelare i lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro devono essere adottate «tenendo conto della necessità di un equilibrato sviluppo economico e sociale nella Comunità».

39. La direttiva tende, così, a conciliare gli interessi dei lavoratori subordinati con le necessità di uno sviluppo economico e sociale equilibrato.

40. Essa mira ad assicurare ai lavoratori subordinati un minimo comunitario di tutela in caso di insolvenza del datore di lavoro (sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C‑6/90 e C‑9/90, Francovich e a., Racc. pag. I‑5357, punto 3), fatte salve, conformemente al suo art. 9, le norme più favorevoli che gli Stati membri possano applicare o introdurre.

41. Il livello di tutela richiesto dalla direttiva per ciascuna delle garanzie specifiche che essa istituisce deve essere determinato con riferimento ai termini utilizzati nella disposizione corrispondente, interpretati, all’occorrenza, alla luce delle dette considerazioni.

42. Per quanto riguarda la garanzia dei diritti alle prestazioni di vecchiaia a titolo dei regimi di previdenza complementare, l’art. 8 della direttiva non può essere interpretato nel senso di esigere una garanzia integrale degli stessi.

43. Certo, al pari dell’art. 7, relativo ai regimi legali nazionali di sicurezza sociale, e a differenza degli artt. 3 e 4 della direttiva, relativi ai crediti insoluti dei lavoratori, il detto art. 8 non prevede espressamente che gli Stati membri possano limitare il livello di tutela.

44. Tuttavia, l’assenza di indicazioni esplicite in tal senso non significa di per sé, indipendentemente dal tenore della disposizione considerata, che il legislatore comunitario intendeva obbligare a garantire la totalità dei diritti a prestazione.

45. A tale riguardo si deve constatare che, limitandosi a prescrivere in termini generali l’adozione delle misure necessarie per «tutelare gli interessi» delle persone coinvolte, l’art. 8 della direttiva conferisce agli Stati membri, ai fini della determinazione del livello di tutela, un ampio potere discrezionale che esclude un obbligo di garanzia integrale.

46. La prima questione va dunque risolta dichiarando che l’art. 8 della direttiva deve essere interpretato nel senso che, in caso di insolvenza del datore di lavoro e di insufficienza delle risorse dei regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, il finanziamento dei diritti alle prestazioni di vecchiaia maturati non deve essere obbligatoriamente assicurato dagli Stati membri medesimi, né essere integrale.

Sulla seconda questione

47. Con la seconda questione pregiudiziale il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’art. 8 della direttiva osti a un sistema di tutela come quello oggetto del procedimento principale.

Osservazioni presentate alla Corte

48. I ricorrenti nel procedimento principale fanno valere che, ad applicare il sistema nazionale in causa, i diritti a prestazione possono subire riduzioni fino all’80%. Un sistema siffatto priverebbe l’art. 8 della direttiva di ogni significato pratico. Le disposizioni adottate non permetterebbero un’attuazione adeguata della direttiva.

49. Il Regno Unito ritiene che i diversi elementi del sistema oggetto del procedimento principale, descritti ai punti 10-24 della presente sentenza, siano sufficienti ad assicurare il livello minimo di tutela richiesto dall’art. 8 della direttiva.

50. Aggiunge che dal 1° settembre 2005 è attivo un regime di assistenza finanziaria, il Financial Assistance Scheme (in prosieguo: il «FAS»), istituito in applicazione dell’art. 286 del PA 2004 e delle Financial Assistance Scheme Regulations 2005 (SI 2005/1986). Esso presterebbe assistenza a taluni iscritti a regimi pensionistici in caso di insolvenza del datore di lavoro. Sarebbe applicabile ai regimi pensionistici professionali messi in liquidazione tra il 1° gennaio 1997 e il 5 aprile 2005 ed integrerebbe le prestazioni di vecchiaia fino a circa l’80% dell’importo previsto.

51. Anche per l’Irlanda e il Regno dei Paesi Bassi disposizioni come quelle adottate dal Regno Unito costituiscono un’attuazione adeguata della direttiva.

52. La Commissione ritiene che, nei confronti dei ricorrenti nel procedimento principale, il sistema esistente non abbia impedito riduzioni sostanziali dei diritti. Una situazione, questa, che sarebbe difficilmente conciliabile con l’obiettivo perseguito dall’art. 8 della direttiva.

53. Sarebbe difficile stabilire con precisione il livello di tutela che tale disposizione impone. Nondimeno la tutela di cui beneficiano i ricorrenti nel procedimento principale non sarebbe sufficiente.

Risposta della Corte

54. Da informazioni incontestate del fascicolo risulta che due dei ricorrenti nel procedimento principale percepiranno, rispettivamente, solo il 20 e il 49% delle prestazioni cui avevano diritto.

55. In mancanza di un obbligo di garanzia integrale dei diritti a prestazione, si deve ricercare il livello minimo di tutela prescritto dalla direttiva.

56. È evidente che, a differenza degli artt. 3 e 4 della direttiva, i cui termini permettono, nonostante il potere discrezionale lasciato agli Stati membri, di determinare la garanzia minima richiesta relativamente ai diritti non pagati dei lavoratori (v. sentenza Francovich e a., cit., punti 18‑20), né l’art. 8, né altre disposizioni della direttiva contengono elementi che permettano di stabilire con precisione il livello minimo di tutela dei diritti a prestazione a titolo di regimi di previdenza complementari.

57. Pure, per come il legislatore comunitario ha espresso la sua volontà, si deve rilevare che disposizioni nazionali suscettibili di condurre in talune situazioni a una garanzia delle prestazioni limitata al 20 o al 49% dei diritti che un lavoratore subordinato poteva far valere, vale a dire a meno della metà degli stessi, non possono essere considerate rispondenti alla nozione di «tutela» accolta all’art. 8 della direttiva.

58. Si osservi al riguardo che nel 2004, secondo dati non contestati comunicati dal Regno Unito alla Commissione:

– circa 65 000 iscritti a regimi pensionistici hanno subito perdite superiori al 20% delle prestazioni attese;

– circa 35 000 di loro, vale a dire quasi il 54%, hanno subito perdite superiori al 50% delle dette prestazioni.

59. Si deve perciò concludere che un sistema come quello messo in atto dal legislatore del Regno Unito non assicura la tutela prescritta dalla direttiva e non realizza una trasposizione corretta del suo art. 8.

60. Non inficia questa conclusione il fatto che dal 1° settembre 2005 sia attivo un regime come il FAS, per quanto questo sia applicabile alle procedure di liquidazione aperte tra il 1° gennaio 1997 e il 5 aprile 2005.

61. Infatti, come risulta da informazioni non contestate del fascicolo, il FAS:

– non si applica agli iscritti cui mancavano più di tre anni al collocamento in pensione alla data del 14 maggio 2004,

– giova soltanto a 11 000 circa degli 85 000 non pensionati iscritti ai regimi in parola, vale a dire a meno del 13% del totale.

62. La seconda questione va perciò risolta nel senso che l’art. 8 della direttiva osta a un sistema di tutela come quello oggetto del procedimento principale.

Sulla terza questione

63. Con la terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, in caso di non corretta attuazione dell’art. 8 della direttiva, la responsabilità dello Stato membro interessato sorga per il solo fatto dell’infrazione al diritto comunitario o se, piuttosto, sia subordinata alla constatazione di una violazione grave e manifesta, da parte dello stesso, dei limiti posti al suo potere discrezionale.

Osservazioni presentate alla Corte

64. I ricorrenti nel procedimento principale fanno valere che, per considerare sufficientemente qualificata una violazione del diritto comunitario, è decisiva la violazione manifesta e grave, da parte di uno Stato membro, dei limiti posti al suo potere discrezionale, nel senso della sentenza 5 marzo 1996, cause riunite C‑46/93 e C‑48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame (Racc. pag. I‑1029, punto 55), solo se tale Stato membro disponeva di un potere discrezionale ampio.

65. Essi sostengono che, nel caso di specie, l’art. 8 della direttiva chiaramente imponeva allo Stato membro un obbligo di risultato. Il Regno Unito non avrebbe dunque avuto un ampio margine di discrezionalità.

66. Propongono di applicare il principio, enunciato dalle sentenze 23 maggio 1996, causa C‑5/94, Hedley Lomas (Racc. pag. I‑2553, punto 28), 8 ottobre 1996, cause riunite C‑178/94, C‑179/94 e da C‑188/94 a C‑190/94, Dillenkofer e a. (Racc. pag. I‑4845, punto 25), e 18 gennaio 2001, causa C‑150/99, Stockholm Lindöpark (Racc. pag. I‑493, punto 40), secondo il quale, se lo Stato membro interessato non si trova di fronte a scelte normative e dispone di un potere discrezionale considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, può bastare la semplice trasgressione del diritto comunitario per integrare una violazione sufficientemente qualificata.

67. Considerano, dunque, la non corretta attuazione dell’art. 8 della direttiva una violazione sufficientemente qualificata per fondare la responsabilità dello Stato membro.

68. Il Regno Unito, l’Irlanda e la Commissione affermano che la responsabilità dello Stato membro è subordinata alla condizione, posta dalla sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., di una violazione grave e manifesta, da parte del detto Stato membro, dei limiti al suo potere discrezionale. Condizione che non sarebbe soddisfatta nel caso di specie.

Risposta della Corte

69. Secondo una giurisprudenza costante (v., in particolare, citate sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, punto 51, e Hedley Lomas, punto 25; sentenze 4 luglio 2000, causa C‑424/97, Haim, Racc. pag. I‑5123, punto 36, e 4 dicembre 2003, causa C‑63/01, Evans, Racc. pag. I‑14447, punto 83), la responsabilità di uno Stato membro per i danni arrecati ai singoli da una violazione del diritto comunitario presuppone:

– che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli,

– che si tratti di violazione sufficientemente qualificata e

– che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi.

70. Quanto alla condizione di una violazione sufficientemente qualificata del diritto comunitario, essa implica una violazione grave e manifesta da parte dello Stato membro dei limiti posti al suo potere discrezionale. Al riguardo, fra gli elementi da prendere in considerazione, vanno sottolineati il grado di chiarezza e di precisione della norma violata e l’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali (sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punti 55 e 56).

71. Tuttavia, se lo Stato membro di cui trattasi non si trova di fronte a scelte normative e dispone di un potere discrezionale considerevolmente ridotto, se non addirittura inesistente, la semplice trasgressione del diritto comunitario può essere sufficiente per integrare una violazione sufficientemente qualificata (v. sentenza Hedley Lomas, cit., punto 28).

72. Così, il potere discrezionale dello Stato membro costituisce un criterio importante per stabilire l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata del diritto comunitario.

73. Tale potere discrezionale dipende in larga parte dal grado di chiarezza e di precisione della norma violata.

74. Per quanto riguarda l’art. 8 della direttiva, dall’esame della prima questione risulta che esso, data la generalità dei suoi termini, conferisce agli Stati membri un ampio potere discrezionale al momento di determinare il livello di tutela dei diritti a prestazione.

75. Ne consegue che la responsabilità di uno Stato membro per non corretta attuazione di tale disposizione è subordinata alla constatazione di una violazione grave e manifesta, da parte dello stesso, dei limiti posti al suo potere discrezionale.

76. Per accertare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento danni deve tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano la controversia sottoposta al suo sindacato (sentenza 30 settembre 2003, causa C‑224/01, Köbler, Racc. pag. I‑10239, punto 54).

77. Fra tali elementi compaiono, in particolare, oltre al grado di chiarezza e di precisione della norma violata e all’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali, il carattere intenzionale o involontario della trasgressione commessa o del danno causato, la scusabilità o l’inescusabilità di un eventuale errore di diritto e la circostanza che i comportamenti adottati da un’istituzione comunitaria possano aver contribuito all’omissione, all’adozione o al mantenimento in vigore di provvedimenti o di prassi nazionali contrari al diritto comunitario (v. citate sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, punto 56, e Köbler, punto 55).

78. Nel caso di specie il giudice del rinvio dovrà tener conto del grado di chiarezza e di precisione dell’art. 8 della direttiva riguardo al livello di tutela richiesto.

79. A tale proposito si deve sottolineare che né le parti del procedimento principale, né gli Stati membri che hanno presentato osservazioni, né la Commissione sono stati in grado di indicare con precisione il livello minimo di tutela richiesto, a loro avviso, dalla direttiva, per l’ipotesi in cui sia dichiarato che quest’ultima non impone una garanzia integrale.

80. Inoltre, com’è stato constatato al punto 56 della presente sentenza, né l’art. 8, né altra disposizione della direttiva contengono elementi che permettano di stabilire con precisione il livello minimo di tutela richiesto per i diritti alle prestazioni.

81. Il giudice del rinvio potrà prendere in considerazione anche la relazione definitiva della Commissione 15 giugno 1995, COM(95) 164 def. (non pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee ), sul recepimento della direttiva [80/987] da parte degli Stati membri, la quale è stata invocata nelle osservazioni presentate alla Corte e in cui la Commissione aveva così concluso (pag. 52): «Le varie misure [adottate dal Regno Unito] sembrano rispondere ai requisiti posti all’art. 8 [della direttiva]». Infatti, come ha osservato l’avvocato generale al paragrafo 98 delle conclusioni, una formulazione siffatta ha potuto, nonostante la sua prudenza, confortare le Stato membro interessato nella sua posizione rispetto all’attuazione della direttiva.

82. La terza questione deve essere perciò risolta nel senso che, in caso di attuazione non corretta dell’art. 8 della direttiva, la responsabilità dello Stato membro interessato è subordinata alla constatazione di una violazione grave e manifesta, da parte dello stesso, dei limiti posti al suo potere discrezionale.

Sulla richiesta di limitare nel tempo gli effetti della presente sentenza

83. Il Regno Unito e l’Irlanda hanno chiesto che, qualora la Corte adotti un’interpretazione della direttiva favorevole ai ricorrenti nel procedimento principale, vengano limitati nel tempo gli effetti della sentenza ai soli procedimenti instaurati prima della data della sua pronuncia.

84. Tenuto conto delle risposte offerte alle tre questioni sollevate, non vi è luogo ad accogliere tale domanda.

Sulle spese

85. Nei confronti delle parti nel procedimento principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Dispositivo

Per questi motivi la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1) L’art. 8 della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, deve essere interpretato nel senso che, in caso di insolvenza del datore di lavoro e di insufficienza delle risorse dei regimi complementari di previdenza, professionali o interprofessionali, il finanziamento dei diritti alle prestazioni di vecchiaia maturati non deve essere obbligatoriamente assicurato dagli Stati membri medesimi, né essere integrale.

2) L’art. 8 della direttiva 80/987 osta a un sistema di tutela come quello oggetto del procedimento principale.

3) In caso di attuazione non corretta dell’art. 8 della direttiva 80/987, la responsabilità dello Stato membro interessato è subordinata alla constatazione di una violazione grave e manifesta, da parte dello stesso, dei limiti posti al suo potere discrezionale.