Causa C-208/03 P

Jean-Marie Le Pen

contro

Parlamento europeo

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Elezioni dei membri del Parlamento europeo — Mancanza di una procedura elettorale uniforme — Applicazione del diritto nazionale — Decadenza del mandato di membro del Parlamento europeo a seguito di condanna penale — Atto mediante il quale il Parlamento europeo “prende atto” della decadenza — Ricorso di annullamento — Atto non impugnabile — Irricevibilità»

Conclusioni dell’avvocato generale F. G. Jacobs, presentate il 27 gennaio 2005 

Sentenza della Corte (Seconda Sezione) 7 luglio 2005. 

Massime della sentenza

1.     Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado — Motivi — Semplice ripetizione dei motivi e degli argomenti presentati dinanzi al Tribunale — Irricevibilità — Contestazione dell’interpretazione o dell’applicazione del diritto comunitario effettuata dal Tribunale — Ricevibilità

[Art. 225 CE; Statuto della Corte di giustizia, art. 58, primo comma; regolamento di procedura della Corte, art. 112, n. 1, lett. c)]

2.     Ricorso di annullamento — Atti impugnabili — Nozione — Atti che producono effetti giuridici vincolanti — Dichiarazione del presidente del Parlamento europeo che prende atto della vacanza di un seggio a seguito dell’applicazione di disposizioni nazionali da parte delle autorità nazionali — Esclusione

(Art. 230 CE; atto relativo all’elezione dei rappresentanti nell’Assemblea a suffragio universale diretto, art. 12, n. 2)

1.     Ai sensi degli artt. 225 CE, 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia e 112, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della stessa, il ricorso avverso una sentenza del Tribunale deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda. Non è conforme a tali precetti il ricorso che, senza neppure contenere un argomento specificamente diretto a individuare l’errore di diritto che vizierebbe la sentenza impugnata, si limiti a ripetere o a riprodurre testualmente i motivi e gli argomenti già presentati dinanzi al Tribunale. Ove invece un ricorrente contesti l’interpretazione o l’applicazione del diritto comunitario effettuata dal Tribunale, i punti di diritto esaminati in primo grado possono essere di nuovo discussi nel corso di un’impugnazione. Infatti, se un ricorrente non potesse basare in tal modo la sua impugnazione su motivi e argomenti già utilizzati dinanzi al Tribunale, il procedimento d’impugnazione sarebbe parzialmente privato di significato.

(v. punti 39-40)

2.     Per stabilire se un atto possa essere oggetto di un ricorso d’annullamento ai sensi dell’art. 230 CE, occorre tener conto della sua stessa sostanza e dell’intenzione del suo autore, giacché la forma in cui si adotta un atto o una decisione è, in linea di massima, irrilevante. Non si può quindi escludere che una comunicazione scritta o addirittura una semplice dichiarazione orale sia sottoposta al controllo della Corte ai sensi dell’art. 230 CE.

Nondimeno, la valutazione di una dichiarazione fatta dal presidente del Parlamento in seduta plenaria riguardo alla vacanza del seggio di un membro non può essere effettuata senza tener conto delle norme e delle procedure relative all’elezione dei membri del Parlamento. Poiché all’epoca dei fatti della controversia non era stata adottata alcuna procedura elettorale uniforme per l’elezione dei membri di tale istituzione, la procedura restava disciplinata dalle disposizioni nazionali vigenti in ogni Stato membro, conformemente all’art. 7, n. 2, dell’atto del 1976, relativo all’elezione dei rappresentanti nell’Assemblea a suffragio universale diretto. Dal momento che, in virtù delle disposizioni della legislazione di uno Stato membro, l’ineleggibilità comporta la decadenza del mandato di membro del Parlamento, quest’ultimo non aveva altra scelta se non prendere immediatamente atto dell’accertamento, effettuato dalle autorità nazionali, della vacanza del seggio, constatazione che verteva su una situazione giuridica preesistente e risultava esclusivamente da una decisione di tali autorità.

Risulta, infatti, dal tenore letterale stesso dell’art. 12, n. 2, dell’atto del 1976, ai sensi del quale incombe al Parlamento di «prendere atto» di una vacanza di seggio derivante dall’applicazione delle disposizioni nazionali vigenti in uno Stato membro, che il Parlamento non dispone di alcun potere discrezionale in materia. In quest’ipotesi particolare, il ruolo del Parlamento non consiste nell’accertare la vacanza del seggio, bensì nel prendere semplicemente atto della vacanza del seggio già accertata dalle autorità nazionali, mentre, nelle altre ipotesi relative, in particolare, alle dimissioni o al decesso di uno dei suoi membri, detta istituzione ha un ruolo più attivo, dal momento che accerta essa stessa la vacanza del seggio e ne informa lo Stato membro interessato. Inoltre, non spetta neppure al Parlamento, bensì ai giudici nazionali competenti o, eventualmente, alla Corte europea per i diritti dell’uomo, verificare il rispetto della procedura prevista dalla pertinente normativa nazionale o dei diritti fondamentali dell’interessato.

(v. punti 46-50, 56)




SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

7 luglio 2005(*)

«Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado – Elezioni dei membri del Parlamento europeo – Mancanza di una procedura elettorale uniforme – Applicazione del diritto nazionale – Decadenza del mandato di membro del Parlamento europeo a seguito di condanna penale – Atto mediante il quale il Parlamento europeo “prende atto” della decadenza – Ricorso di annullamento – Atto non impugnabile – Irricevibilità»

Nel procedimento C-208/03 P,

avente ad oggetto il ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado, ai sensi dell’art. 56 dello Statuto della Corte di giustizia, presentato il 10 maggio 2003,

Jean-Marie Le Pen, residente in Saint-Cloud (Francia), rappresentato dal sig. F. Wagner, avocat,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

Parlamento europeo, rappresentato dai sigg. H. Krück e C. Karamarcos, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuto in primo grado,

Repubblica francese, rappresentata dai sigg. R. Abraham e G. de Bergues, nonché dalla sig.ra L. Bernheim, in qualità di agenti,

interveniente in primo grado,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. C.W.A. Timmermans (relatore), presidente di sezione, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. J. Makarczyk, P. Kūris e G. Arestis, giudici,

avvocato generale: sig. F.G. Jacobs

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 27 gennaio 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1       Con il ricorso in oggetto, il sig. Le Pen chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità europee 10 aprile 2003, causa T-353/00, Le Pen/Parlamento (Racc. pag. II-1729; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con cui questo ha dichiarato irricevibile il ricorso da lui presentato per ottenere l’annullamento della decisione emanata sotto forma di dichiarazione della Presidente del Parlamento europeo 23 ottobre 2000, relativa alla decadenza del suo mandato di membro del Parlamento (in prosieguo: l’«atto controverso»).

2       Con atto separato, registrato presso la cancelleria della Corte il 10 giugno 2003, il sig. Le Pen, in forza degli artt. 242 CE e 243 CE, ha presentato una domanda di sospensione dell’esecuzione dell’atto controverso, domanda respinta con ordinanza del presidente della Corte 31 luglio 2003, causa C‑208/03 P‑R, Le Pen/Parlamento (Racc. pag. I‑7939).

 Contesto normativo

 Il diritto comunitario

 Il Trattato CE

3       L’art. 190, n. 4, CE prevede che il Parlamento europeo elabori un progetto volto a permettere l’elezione dei propri membri a suffragio universale diretto secondo una procedura uniforme in tutti gli Stati membri o secondo principi comuni a questi ultimi e che il Consiglio dell’Unione europea, con deliberazione unanime, previo parere conforme del Parlamento, che si pronuncia alla maggioranza dei membri che lo compongono, stabilisca le disposizioni di cui raccomanderà l’adozione da parte degli Stati membri, conformemente alle loro rispettive norme costituzionali.

 L’Atto del 1976

4       Il 20 settembre 1976 il Consiglio ha adottato la decisione 76/787/CECA, CEE, Euratom, concernente l’atto relativo all’elezione dei rappresentanti nell’Assemblea a suffragio universale diretto (GU L 278, pag. 1), atto che figura nell’allegato alla suddetta decisione (in prosieguo, nella sua versione originale: l’«atto del 1976»).

5       In forza dell’art. 3, n. 1, dell’atto del 1976, i membri del Parlamento «sono eletti per un periodo di cinque anni».

6       L’art. 6 dell’atto del 1976 elenca, al n. 1, le cariche incompatibili con lo status di membro del Parlamento e dispone, al n. 2, che «[o]gni Stato membro può (…) fissare le incompatibilità applicabili sul piano nazionale, alle condizioni di cui all’articolo 7, paragrafo 2». Ai sensi del n. 3 dello stesso articolo, i membri del Parlamento ai quali, nel corso del mandato, sono applicabili le disposizioni dei citati nn. 1 e 2 «sono sostituiti conformemente all’articolo 12».

7       L’art. 7, n. 1, dell’atto del 1976 precisa che l’elaborazione del progetto di procedura elettorale uniforme rientra nella competenza del Parlamento, ma, fino alla data dei fatti della controversia, non era stata adottata alcuna procedura di questo genere.

8       Ai termini dell’art. 7, n. 2, dell’atto del 1976:

«Fino all’entrata in vigore di una procedura elettorale uniforme, e con riserva delle altre disposizioni del presente atto, la procedura elettorale è disciplinata in ciascuno Stato membro dalle disposizioni nazionali».

9       L’art. 11 dell’atto del 1976 ha il seguente tenore:

«Fino all’entrata in vigore della procedura uniforme prevista all’articolo 7, paragrafo 1, [il Parlamento] verifica i poteri dei rappresentanti. A tal fine, ess[o] prende atto dei risultati proclamati ufficialmente dagli Stati membri e decide sulle contestazioni che potrebbero essere eventualmente presentate in base alle disposizioni del presente atto, fatta eccezione delle disposizioni nazionali cui tale atto rinvia».

10     L’art. 12 dell’atto del 1976 così dispone:

«1. Fino all’entrata in vigore della procedura uniforme prevista all’articolo 7, paragrafo 1, e con riserva delle altre disposizioni del presente atto, ciascuno Stato membro stabilisce le opportune procedure per coprire i seggi, resisi vacanti durante il periodo quinquennale di cui all’articolo 3, per la restante durata di detto periodo.

2.      Quando la vacanza risulta dall’applicazione delle disposizioni nazionali in vigore in uno Stato membro, quest’ultimo ne informa [il Parlamento] che ne prende atto.

In tutti gli altri casi, [il Parlamento] costata la vacanza e ne informa lo Stato membro».

 Il regolamento del Parlamento

11     L’art. 7 del regolamento del Parlamento, intitolato «Verifica dei poteri», nella versione vigente all’epoca dei fatti della controversia (GU 1999, L 202, pag. 1), stabiliva quanto segue:

«1.      Il Parlamento, sulla base di una relazione della sua commissione competente, procede immediatamente alla verifica dei poteri e decide in merito alla validità del mandato di ciascuno dei membri neoeletti nonché in merito a eventuali contestazioni presentate in base alle disposizioni dell’[atto del 1976], eccettuate quelle fondate sulle leggi elettorali nazionali.

(…)

4.      La commissione competente vigila a che qualsiasi informazione suscettibile di interessare l’esercizio del mandato di un deputato al Parlamento europeo o la graduatoria dei sostituti sia comunicata immediatamente al Parlamento dalle autorità degli Stati membri o dell’Unione, con l’indicazione della data di decorrenza qualora si tratti di una nomina.

Nel caso in cui le autorità competenti degli Stati membri avviino una procedura suscettibile di portare a una dichiarazione di decadenza del mandato di un deputato, il Presidente chiede loro di essere regolarmente informato sullo stato della procedura. Egli deferisce tale questione alla commissione competente, su proposta della quale il Parlamento può pronunciarsi».

5.      Finché i poteri di un deputato non siano stati verificati o non si sia deciso in merito a una contestazione, il deputato siede con pieni diritti nel Parlamento e nei suoi organi.

(…)».

12     L’art. 8 dello stesso regolamento, relativo alla «[d]urata del mandato», disponeva, peraltro:

«1.      L’inizio e il termine del mandato sono determinati a norma dell’[atto del 1976]. Il mandato cessa inoltre per morte o per dimissioni.

(…)

6.      Va considerata come data di cessazione del mandato e di inizio di una vacanza:

–       in caso di dimissioni: la data in cui il Parlamento ha constatato la vacanza, in base al verbale delle dimissioni;

–       in caso di nomina a funzioni incompatibili con il mandato di deputato al Parlamento europeo ai sensi della legge elettorale nazionale o ai sensi dell’articolo 6 dell’[atto del 1976]: la data comunicata dalle autorità competenti degli Stati membri o dell’Unione».

(…)

8.      Ogni contestazione relativa alla validità del mandato di un deputato i cui poteri sono stati verificati è rinviata alla commissione competente, che deve immediatamente riferire in merito al Parlamento, al più tardi all’inizio della tornata successiva.

9.      Nel caso in cui l’accettazione del mandato o la rinuncia allo stesso appaiano inficiate da inesattezze materiali o da vizi di consenso, il Parlamento si riserva di dichiarare non valido il mandato esaminato ovvero di rifiutare la constatazione della vacanza».

 Il diritto nazionale

13     L’art. 5 della legge francese 7 luglio 1977, n. 77-729, relativa all’elezione dei rappresentanti all’Assemblea delle Comunità europee (JORF 8 luglio 1977, pag. 3579), nella versione applicabile alla controversia (in prosieguo: la «legge del 1977»), prevede quanto segue:

«All’elezione dei [membri del Parlamento europeo] si applicano gli articoli da LO 127 a LO 130-1 del codice elettorale. (...)

L’ineleggibilità, qualora si verifichi nel corso del mandato, pone fine al medesimo. L’accertamento dell’ineleggibilità è effettuato mediante decreto».

14     L’art. 25 della legge del 1977 così dispone:

«L’elezione dei [membri del Parlamento europeo] può essere contestata, entro i dieci giorni successivi alla proclamazione dei risultati dello scrutinio e per tutto ciò che attiene all’applicazione della presente legge, da ogni elettore dinanzi al Conseil d’État in sede contenziosa. La decisione è pronunciata in assemblea plenaria.

Il ricorso non ha effetto sospensivo».

 Fatti all’origine della controversia e procedimento dinanzi al Tribunale

15     Come risulta dal fascicolo trasmesso alla Corte, la controversia che ha dato luogo al ricorso dinanzi al Tribunale scaturisce dalla condanna penale del ricorrente ad opera dei giudici francesi e dalle conseguenze che, in diritto francese, si ricollegano a tale condanna per quanto riguarda l’esercizio di mandati elettivi, in particolare quello di rappresentante al Parlamento europeo.

16     Eletto membro del Parlamento il 13 giugno 1999, con sentenza del tribunal correctionnel de Versailles (Francia) 2 aprile 1998 l’on. Le Pen era stato precedentemente dichiarato colpevole dei reati di percosse e ingiuria commessi in pubblico, successivamente, in appello, era stato dichiarato colpevole del reato di percosse a danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, in circostanze in cui lo status della vittima era evidente o noto all’autore. Per tale reato, previsto e sanzionato dall’art. 222-13, primo comma, n. 4, del codice penale francese, il ricorrente era stato condannato con sentenza della Cour d’appel de Versailles 17 novembre 1998 a tre mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena e ad un’ammenda di FRF 5 000. A titolo di pena complementare veniva disposta l’interdizione dai diritti di cui all’art. 131-26, n. 2, dello stesso codice, limitata all’eleggibilità, per la durata di un anno.

17     Dal momento che l’impugnazione proposta dal ricorrente contro la suddetta sentenza veniva respinta con sentenza della Cour de cassation (Francia) 23 novembre 1999, il Primo Ministro, ai termini dell’art. 5, secondo comma, della legge del 1977, dichiarava con decreto 31 marzo 2000 che «l’ineleggibilità dell’on. Le Pen [poneva] fine al suo mandato di rappresentante presso il Parlamento europeo». Il suddetto decreto veniva notificato al ricorrente con lettera del segretario generale del Ministero degli Affari esteri del 5 aprile 2000 e alla Presidente del Parlamento europeo, la quale, durante la seduta plenaria del 3 maggio 2000, ne informava i membri di quest’ultimo e annunciava la sua intenzione di deferire la questione della decadenza del mandato dell’on. Le Pen alla commissione giuridica e per il mercato interno (in prosieguo: la «commissione giuridica»), conformemente all’art. 7, n. 4, secondo comma, del regolamento del Parlamento.

18     La commissione giuridica procedeva alla verifica dei poteri del ricorrente in occasione delle riunioni svoltesi il 4, 15 e 16 maggio 2000 a porte chiuse. Al termine dell’ultima riunione, la Presidente della commissione inviava alla Presidente del Parlamento una lettera redatta nei termini seguenti:

«Signora Presidente,

nel corso della riunione del 16 maggio 2000, la [commissione giuridica] ha ripreso l’esame della situazione dell’on. Jean-Marie Le Pen. La commissione è consapevole che il decreto del Primo Ministro della Repubblica francese, che è stato notificato all’on. Le Pen in data 5 aprile 2000 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica francese in data 22 aprile 2000, è divenuto esecutivo. Tuttavia, la commissione ha evidenziato che, come del resto menzionato nella lettera di notifica inviata all’interessato, costui medesimo ha la facoltà di presentare presso il Conseil d’État un ricorso che può essere accompagnato da una domanda di sospensione dell’effetto esecutivo del decreto.

Tenuto conto della decisione presa il giorno precedente di non raccomandare fin d’ora che il Parlamento prenda formalmente atto del decreto che interessa l’on. Le Pen, la commissione ha esaminato le varie possibilità per dar seguito alla questione. A sostegno di tale decisione, come precedente da seguire, è stato evocato il caso dell’on. Tapie, il che comporta che il Parlamento europeo prenderà formalmente atto del decreto di cessazione di mandato soltanto al momento della decorrenza prevista per il ricorso presso il Conseil d’État, oppure, eventualmente, in seguito a una decisione di quest’ultimo».

19     In occasione della seduta plenaria del 18 maggio 2000, la Presidente del Parlamento, dopo aver dato lettura della lettera, dichiarava subito che era sua intenzione «seguire il parere della commissione giuridica».

20     Con lettera del 9 giugno 2000, inviata ai sigg. Védrine e Moscovici, rispettivamente Ministro degli Affari esteri e Ministro delegato, incaricato degli Affari europei, la Presidente del Parlamento li informava del fatto che, «in considerazione del carattere irreversibile della decadenza dal mandato (…) il Parlamento europeo [avrebbe preso] formalmente atto del decreto [31 marzo 2000] solo dopo la decorrenza dei termini stabiliti per presentare ricorso dinanzi al Conseil d’État, oppure, eventualmente, dopo la decisione di quest’ultimo».

21     La posizione del Parlamento veniva vivacemente contestata dalle autorità francesi, secondo cui il Parlamento, agendo in tal modo, violava i termini dell’art. 12, n. 2, dell’atto del 1976 e il motivo dedotto non giustificava in alcun modo una simile violazione; tale contestazione, tuttavia, non sortiva alcun effetto.

22     Con lettera del 16 giugno 2000 la Presidente del Parlamento confermava, infatti, che questo «[avrebbe preso] atto della decadenza dell’on. Le Pen dal mandato solo una volta che [il decreto 31 marzo 2000 fosse divenuto definitivo]», cosa non ancora avvenuta, giacché il 5 giugno 2000 il ricorrente aveva presentato un ricorso di annullamento dinanzi al Conseil d’État. La Presidente giustificava la sua posizione richiamandosi, a titolo di precedente, al caso dell’on. Tapie e al principio della certezza del diritto.

23     Il ricorso dell’on. Le Pen veniva respinto con decisione del Conseil d’État 6 ottobre 2000. Conseguentemente, il 12 ottobre 2000 i sigg. Védrine e Moscovici trasmettevano alla Presidente del Parlamento una lettera in cui, pur sottolineando che il governo francese aveva sempre «fermamente contestato» la posizione del Parlamento di attendere che il detto organo giurisizionale si pronunciasse sul ricorso del ricorrente contro il decreto 31 marzo 2000, posizione che il governo considerava contraria «alla lettera e allo spirito dell’atto del 1976», invitavano il Parlamento europeo ad agire «in conformità al diritto comunitario» e a prendere atto entro il più breve tempo possibile, per voce della sua Presidente, della decadenza dal mandato dell’on. Le Pen. 

24     Con lettera del 20 ottobre 2000 la Presidente del Parlamento informava il ricorrente di aver ricevuto, il giorno precedente, dalle autorità francesi la comunicazione ufficiale della suddetta sentenza del Conseil d’État e che, conformemente al regolamento del Parlamento e all’atto del 1976, «[essa] avrebbe preso atto del decreto [31 marzo 2000] in occasione della ripresa della seduta plenaria, il 23 ottobre» seguente.

25     Con lettera del 23 ottobre 2000 l’on. Le Pen comunicava alla Presidente del Parlamento di contestare la validità della detta decisione del Conseil d’État in quanto, contrariamente al disposto dell’art. 25 della legge del 1977, non era stata adottata dal plenum di tale organo giurisdizionale e di aver proposto domanda di grazia al Presidente della Repubblica francese nonché un ricorso dinanzi alla Corte europea per i diritti dell’uomo diretto ad ottenere la sospensione dell’esecuzione della decadenza del mandato. Conseguentemente, l’on. Le Pen chiedeva che venisse convocata una nuova riunione della commissione giuridica e che venisse disposta la sua audizione prima che il decreto 31 marzo 2000 fosse avallato dal Parlamento.

26     La Presidente del Parlamento non dava seguito a tale domanda. Come risulta dal verbale dei dibattiti della seduta plenaria del 23 ottobre 2000, al punto dell’ordine del giorno «Comunicazioni della Presidente» la Presidente del Parlamento annunciava quanto segue:

«Devo comunicarvi di aver ricevuto, giovedì 19 ottobre 2000, la notifica ufficiale delle autorità competenti della Repubblica francese di una sentenza del Conseil d’État in data 6 ottobre 2000 che respinge il ricorso presentato dall’on. Jean‑Marie Le Pen contro il decreto del Primo Ministro francese del 31 marzo 2000, volto a porre fine al suo mandato di deputato al Parlamento europeo.

Vi informo inoltre di avere successivamente ricevuto copia della domanda di grazia presentata al Presidente della Repubblica Jacques Chirac dagli onn. Charles de Gaulle, Carl Lang, Jean-Claude Martinez e Bruno Gollnisch a favore dell’on. Le Pen».

27     Dopo tale dichiarazione, la Presidente dava la parola alla Presidente della commissione giuridica, che dichiarava a sua volta quanto segue:

«Signora Presidente, a seguito delle deliberazioni del 15 e 16 maggio scorsi, la [commissione giuridica] ha raccomandato la sospensione dell’annuncio in Plenaria della constatazione del Parlamento concernente la decadenza dell’on. Jean-Marie Le Pen dal mandato. Lo ribadisco, la commissione giuridica ha raccomandato la sospensione di tale annuncio sino allo scadere dei termini a disposizione dell’on. Le Pen per la presentazione di un ricorso dinanzi al [Conseil d’État] francese o per la deliberazione di questo organo. Cito qui testualmente la lettera del 17 maggio che Lei stessa, signora Presidente, ha letto dinanzi al Parlamento.

Il [Conseil d’État] – come Lei ha detto – ha respinto il ricorso e detta reiezione ci è stata comunicata nelle forme dovute. Di conseguenza non sussiste più alcuna ragione di rinviare tale annuncio al Parlamento, atto dovuto ai sensi del diritto primario, segnatamente dell’art. 12, n. 2 [dell’atto del 1976].

La richiesta di grazia da Lei menzionata, signora Presidente, non modifica la situazione, dato che non si tratta di un ricorso giurisdizionale. Come il suo stesso nome sta ad indicare, si tratta di un atto del Capo dello Stato privo di effetti sul decreto del governo francese che, conformemente alla raccomandazione della commissione giuridica, deve essere annunciato in Plenaria».

28     A seguito di tale intervento, la Presidente del Parlamento prendeva la parola e dichiarava:

«Di conseguenza, conformemente all’articolo 12, paragrafo 2, [dell’atto del 1976], il Parlamento europeo prende atto della notifica del governo francese che constata la decadenza del mandato dell’on. Jean-Marie Le Pen».

29     La Presidente invitava, quindi, il ricorrente a lasciare l’aula e sospendeva la seduta per facilitarne l’uscita.

30     Con lettera del 27 ottobre 2000 la Presidente del Parlamento informava il Ministro degli Affari esteri francese che il Parlamento aveva «preso atto» della decadenza del mandato dell’on. Le Pen e chiedeva al medesimo di comunicare, ai sensi dell’art. 12, n. 1, dell’atto del 1976, il nome della persona chiamata a occupare il seggio divenuto così vacante.

31     Con lettera del 13 novembre 2000 il Ministro rispondeva che «l’on. Marie-France Stirbois [sarebbe dovuta] succedere all’on. Le Pen a nome della lista del Fronte nazionale per le elezioni europee».

32     È in tali circostanze che, con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 21 novembre 2000, il sig. Le Pen proponeva un ricorso di annullamento dell’atto controverso. Con separato atto, depositato in pari data presso la stessa cancelleria, il ricorrente proponeva domanda diretta ad ottenere la sospensione dell’esecuzione dello stesso atto.

33     Con ordinanza 26 gennaio 2001, causa T-353/00 R, Le Pen/Parlamento (Racc. pag. II-125), il presidente del Tribunale accoglieva quest’ultima domanda, disponendo la sospensione dell’esecuzione della «decisione emanata sotto forma di dichiarazione della Presidente del Parlamento europeo in data 23 ottobre 2000, nella parte in cui costituisce una decisione del Parlamento europeo con cui il medesimo ha preso atto della decadenza del mandato di membro del Parlamento europeo del ricorrente». Conseguentemente, il sig. Le Pen è stato reintegrato nel proprio status di membro del Parlamento e nel suo seggio all’emiciclo, abbandonato il 23 ottobre 2000.

34     Tuttavia, con la sentenza impugnata, il Tribunale dichiarava il ricorso del sig. Le Pen irricevibile e lo condannava a sopportare le proprie spese nonché quelle sostenute dal Parlamento sia nella causa principale sia nel procedimento sommario.

 Sentenza impugnata

35     Per pervenire a tale conclusione, sostenuta sia dal Parlamento sia dalla Repubblica francese, ammessa ad intervenire a sostegno delle conclusioni della detta istituzione, il Tribunale si è basato, sostanzialmente, sul fatto che l’atto impugnato, a causa della sua natura particolare, non può formare oggetto di ricorso di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE. A questo proposito, il Tribunale ha dichiarato più precisamente quanto segue:

«77      Si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, possono costituire oggetto di azione di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE solamente i provvedimenti destinati a produrre effetti giuridici vincolanti idonei a incidere sugli interessi di chi li impugna, modificando in misura rilevante la situazione giuridica del medesimo (sentenza della Corte 11 novembre 1981, causa 60/81, IBM/Commissione, Racc. pag. 2639, punto 9, e sentenza del Tribunale 4 marzo 1999, causa T-87/96, Assicurazioni Generali e Unicredito/Commissione, Racc. pag. II-203, punto 37). In tal senso, possono essere impugnate con un ricorso d’annullamento tutte le disposizioni adottate dalle istituzioni, indipendentemente dalla loro natura e forma, che mirino a produrre effetti giuridici (sentenza della Corte 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 263, punto 42).

78      Nella specie, l’atto [controverso] è costituito dalla dichiarazione effettuata dalla Presidente del Parlamento nella seduta plenaria del 23 ottobre 2000, secondo la quale “(...) conformemente all’articolo 12, paragrafo 2, dell’[atto del 1976] il Parlamento (...) prende atto della notifica del governo francese constatando la decadenza del mandato [del ricorrente]”.

79      Occorre quindi esaminare se tale dichiarazione abbia prodotto effetti giuridici obbligatori idonei ad incidere sugli interessi del ricorrente, modificando in misura rilevante la situazione giuridica del medesimo.

80      Occorre rammentare, a tale riguardo, il contesto giuridico nel quale tale dichiarazione si colloca.

81      È pacifico che, all’epoca dei fatti, non era stata emanata alcuna procedura elettorale uniforme per l’elezione dei membri del Parlamento europeo.

82      Pertanto, ai sensi dell’art. 7, n. 2, dell’atto del 1976, la procedura elettorale relativa a tale elezione restava disciplinata, in ogni singolo Stato membro, dalla rispettiva legge nazionale.

83      In tal senso, emerge segnatamente dal tenore dell’art. 12, n. 2, primo comma, dell’atto del 1976 che “dall’applicazione delle disposizioni nazionali in vigore in uno Stato membro” può derivare la vacanza del seggio di un membro del Parlamento europeo.

84      La [Repubblica francese] ha dato attuazione all’atto del 1976 mediante l’emanazione, in particolare, della legge del 1977. L’art. 2 di tale legge prevede che l’elezione dei membri del Parlamento europeo è disciplinata dal “titolo I del libro I del codice elettorale e dalle disposizioni dei capitoli seguenti”. L’art. 5 della legge medesima, collocata nel capitolo III, intitolato “Requisiti di eleggibilità e di ineleggibilità, incompatibilità”, dispone in particolare che “all’elezione dei [membri del Parlamento europeo] si applicano gli artt. da LO 127 a LO 130-1 del codice elettorale”, che “[l]’ineleggibilità, qualora si verifichi nel corso del mandato, pone fine al medesimo” e che “l’accertamento dell’ineleggibilità è effettuato mediante decreto”.

85      L’art. 12, n. 2, dell’atto del 1976 distingue due ipotesi per quanto attiene alla vacanza di seggio dei membri del Parlamento europeo.

86      La prima ipotesi è contemplata dal primo comma della detta disposizione e riguarda i casi in cui la vacanza risulti “dall’applicazione delle disposizioni nazionali”. La seconda ipotesi, di cui al successivo secondo comma, riguarda “tutti gli altri casi”.

87      Si deve rilevare, a tale riguardo, che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la prima ipotesi non si limita affatto ai casi d’incompatibilità previsti dall’art. 6 dell’atto del 1976, bensì include parimenti i casi di ineleggibilità. Certamente, l’art. 6, n. 3, dell’atto del 1976 afferma che i membri del Parlamento europeo ai quali sono applicabili “i paragrafi 1 e 2” sono sostituiti “conformemente all’articolo 12”, ma da tale rinvio non si può dedurre che quest’ultimo articolo riguardi unicamente i casi d’incompatibilità contemplati dall’art. 6, nn. 1 e 2. Si deve necessariamente rilevare, peraltro, che il detto art. 12 non fa alcun riferimento alla nozione di “incompatibilità”, bensì utilizza la nozione ben più ampia di “vacanza [del seggio]”.

88      Nella prima ipotesi prevista dall’art. 12, n. 2, dell’atto del 1976, il ruolo del Parlamento si limita a “prendere atto” della vacanza del seggio dell’interessato. Nella seconda ipotesi, che ricomprende, ad esempio, l’ipotesi di dimissioni di uno dei suoi membri, il Parlamento “constata la vacanza e ne informa lo Stato membro”.

89      Nella specie, atteso che l’atto [controverso] è stato emanato in applicazione dell’art. 12, n. 2, secondo comma, dell’atto del 1976, occorre determinare la portata dell’operazione consistente nel “prendere atto” di cui alla menzionata disposizione.

90      Si deve sottolineare, a tale riguardo, che l’operazione consistente nel “prendere atto” si ricollega non alla decadenza del mandato dell’interessato, bensì al semplice fatto che il seggio è divenuto vacante a seguito dell’applicazione di disposizioni nazionali. In altri termini, il ruolo del Parlamento non consiste affatto nel “dare attuazione” alla decadenza del mandato, come sostiene il ricorrente, bensì si limita a prendere atto dell’accertamento, già operato dalle autorità nazionali, della vacanza del seggio, vale a dire di una situazione giuridica preesistente e risultante esclusivamente da una decisione di tali autorità.

91      Il potere di verifica di cui il Parlamento dispone in tale contesto è particolarmente ristretto. Esso si riduce, sostanzialmente, a un controllo dell’esattezza materiale della vacanza del seggio dell’interessato. Non spetta, in particolare, al Parlamento, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, verificare il rispetto della procedura prevista dalla pertinente normativa nazionale o dei diritti fondamentali dell’interessato. Tale potere spetta, infatti, esclusivamente ai giudici nazionali competenti o, eventualmente, alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Si deve d’altronde rammentare al riguardo che, nella specie, il ricorrente ha fatto valere i propri diritti sia dinanzi al Conseil d’État francese, sia dinanzi alla Corte europea per i diritti dell’uomo. Si deve parimenti sottolineare che il Parlamento stesso non ha mai preteso, né nelle proprie memorie né all’udienza, di disporre di un potere di verifica così ampio come sostenuto dal ricorrente.

92      Va aggiunto che, ove il potere di verifica del Parlamento nell’ambito dell’art. 12, n. 2, primo comma, dell’atto del 1976 venisse inteso in senso così ampio, ciò implicherebbe la possibilità per l’istituzione medesima di rimettere in discussione la regolarità stessa della decadenza pronunciata dalle autorità nazionali, rifiutandosi di prendere atto della vacanza di un seggio qualora ritenesse di essere in presenza di un’irregolarità. Orbene, solamente l’art. 8, n. 9, del regolamento prevede la possibilità, per il Parlamento, di negare la vacanza di un seggio, vale a dire unicamente nell’ipotesi in cui l’istituzione sia chiamata a “constatare” la vacanza e sussistano “inesattezze materiali” o “vizi del consenso”. Sarebbe paradossale che il Parlamento disponesse di un margine di discrezionalità più ampio quando si tratti di prendere semplicemente atto della vacanza di un seggio accertata dalle autorità nazionali rispetto all’ipotesi in cui il Parlamento stesso accerti la vacanza di un seggio.

93      Tale conclusione non si pone minimamente in contrasto con il tenore dell’art. 7, n. 4, secondo comma, del regolamento [del Parlamento]. Come correttamente sottolineato dal Parlamento e dalla Repubblica francese, tale disposizione si applica “a monte della decadenza” e, quindi, della vacanza del seggio. Essa prevede, infatti, il deferimento della questione, da parte del [P]residente del Parlamento, alla commissione competente “nel caso in cui le autorità competenti degli Stati membri avviino una procedura suscettibile di portare a una dichiarazione di decadenza del mandato di un [membro del Parlamento europeo]”. Una volta concluso tale procedimento e accertata, da parte delle autorità competenti, la vacanza del seggio dell’interessato, al Parlamento non compete altro che prendere atto della vacanza medesima, ai sensi del disposto dell’art. 12, n. 2, primo comma, dell’atto del 1976. In ogni caso, conformemente al principio della gerarchia delle norme, una disposizione del regolamento non può derogare alle disposizioni dell’atto del 1976, conferendo al Parlamento poteri più ampi di quelli attribuitigli da quest’ultimo.

94      Tale conclusione non può essere nemmeno rimessa in discussione dal fatto che, sino al 23 ottobre 2000, il ricorrente ha continuato ad occupare il seggio nel Parlamento nonché a beneficiare delle indennità a carico di quest’ultimo e che, sino al 24 ottobre 2000, le autorità francesi gli hanno corrisposto la retribuzione. È infatti pacifico, inter partes, che il decreto 31 marzo 2000 era esecutivo. La circostanza che il Parlamento non abbia preso atto di tale decreto sin dalla sua notifica da parte delle autorità francesi, ma l’abbia fatto successivamente e il fatto che ne siano derivate talune conseguenze pratiche per il ricorrente non possono incidere sugli effetti giuridici (…) che, ai sensi dell’art. 12, n. 2, dell’atto del 1976, si ricollegano a tale notificazione.

95      Quanto agli argomenti del ricorrente secondo cui, da un lato, l’art. 5 della legge del 1977 pregiudicherebbe l’indipendenza del Parlamento e costituirebbe un’inammissibile ingerenza nel suo funzionamento e, dall’altro, esisterebbe un principio generale in base al quale “la decadenza dev’essere pronunciata dall’assemblea parlamentare interessata”, entrambi risultano infondati. Infatti, come già rilevato supra al punto 83, dall’art. 12, n. 2, primo comma, dell’atto del 1976 emerge espressamente che un seggio di membro del Parlamento europeo può divenire vacante a seguito dell’“applicazione delle disposizioni nazionali in vigore in uno Stato membro”. Non essendo stata adottata, all’epoca dei fatti, alcuna procedura elettorale uniforme, tale disposizione e, conseguentemente, la legge del 1977 erano pienamente applicabili. Quale che sia l’evoluzione dei poteri del Parlamento, nuovi poteri non possono implicare l’inapplicabilità di disposizioni del diritto primario, tra cui l’atto del 1976, in assenza di abrogazione espressa operata da una norma di pari rango.

96      Per gli stessi motivi, l’argomento del ricorrente relativo al primato del diritto comunitario è privo di qualsiasi pertinenza. Non esiste, infatti, nella specie, alcuna contraddizione né conflitto tra il diritto nazionale e il diritto comunitario.

97      Da tutte le suesposte considerazioni emerge che il provvedimento che, nella specie, ha prodotto effetti giuridici obbligatori idonei ad arrecare pregiudizio agli interessi del ricorrente è il decreto 31 marzo 2000. L’atto [controverso] non era quindi destinato a produrre effetti giuridici propri, distinti da quelli di tale decreto.

98      Si deve quindi concludere che l’atto [controverso] non può costituire oggetto di ricorso di annullamento ai sensi dell’art. 230 CE. Il presente ricorso dev’essere pertanto dichiarato irricevibile, senza necessità di esaminare gli altri motivi ed argomenti relativi alla ricevibilità».

 Ricorso contro la pronuncia del Tribunale di primo grado

36     Mediante il ricorso in oggetto il sig. Le Pen chiede in sostanza di annullare la sentenza impugnata per il fatto che questa ha dichiarato irricevibile il ricorso di primo grado, di dichiarare quest’ultimo ricevibile e fondato nonché di annullare l’atto controverso ovvero, in alternativa, di rinviare la causa al Tribunale perché decida nel merito, di riconoscergli la somma di EUR 7 622,45 a titolo di spese irripetibili e di condannare il Parlamento europeo a tutte le spese del giudizio.

37     Il Parlamento chiede, in via principale, il rigetto dell’impugnazione in quanto parzialmente irricevibile e parzialmente infondata nonché la condanna del ricorrente alle spese dei due gradi di giudizio, comprese quelle relative ai procedimenti sommari, e, in via subordinata, il rinvio della causa al Tribunale.

38     Alla stregua del Parlamento, la Repubblica francese chiede il rigetto dell’impugnazione e la condanna del ricorrente alle spese.

 Sulla ricevibilità dell’impugnazione

39     Poiché il Parlamento e il governo francese fanno valere, nelle loro rispettive memorie, che buona parte dell’impugnazione è irricevibile in quanto il ricorrente si limita a riprodurre i motivi da lui dedotti dinanzi al Tribunale senza individuare precisamente i passaggi contestati della sentenza impugnata e senza specificare gli argomenti giuridici a sostegno della sua domanda di annullamento, occorre ricordare che, ai sensi degli artt. 225 CE, 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia e 112, n. 1, lett. c), del regolamento di procedura della stessa, il ricorso avverso una sentenza del Tribunale deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda. Non è conforme a tali precetti il ricorso che, senza neppure contenere un argomento specificamente diretto ad individuare l’errore di diritto che vizierebbe la sentenza impugnata, si limiti a ripetere o a riprodurre testualmente i motivi e gli argomenti già presentati dinanzi al Tribunale (sentenze 4 luglio 2000, causa C-352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag. I-5291, punti 34 e 35, e 30 settembre 2003, causa C-76/01 P, Eurocoton e a./Consiglio, Racc. pag. I-10091, punti 46 e 47).

40     Ove invece un ricorrente contesti l’interpretazione o l’applicazione del diritto comunitario effettuata dal Tribunale, i punti di diritto esaminati in primo grado possono essere di nuovo discussi nel corso di un’impugnazione. Infatti, se un ricorrente non potesse basare in tal modo la sua impugnazione su motivi e argomenti già utilizzati dinanzi al Tribunale, il procedimento d’impugnazione sarebbe parzialmente privato di significato (v., in particolare, sentenza 6 marzo 2003, causa C‑41/00 P, Interporc/Commissione, Racc. pag. I-2125, punto 17, e ordinanza 11 novembre 2003, causa C-488/01 P, Martinez/Parlamento, Racc. pag. I‑13355, punto 39).

41     Orbene, il presente ricorso, considerato complessivamente, mira appunto a mettere in discussione la valutazione effettuata dal Tribunale su varie questioni di diritto che gli erano state sottoposte, in particolare sull’esatta portata dell’atto del 1976 e dei termini «ne prende atto» di cui all’art. 12, n. 2, primo comma.

42     La presente impugnazione è pertanto ricevibile.

 Sulla fondatezza dell’impugnazione

43     Mediante l’impugnazione, il ricorrente contesta essenzialmente l’interpretazione dell’art. 12, n. 2, dell’atto del 1976 adottata dal Tribunale e, più precisamente, la conclusione da questo tratta al punto 97 della sentenza impugnata, ai sensi del quale l’atto controverso non era destinato a produrre effetti giuridici propri, distinti da quelli del decreto 31 marzo 2000. Secondo il ricorrente, tale conclusione, oltre a contraddire i punti 90 e 91 della stessa sentenza, ai cui sensi il Parlamento disporrebbe «tuttavia» di un potere limitato di verifica in un contesto ove spetta ad esso prendere atto dell’accertamento, già operato dalle autorità nazionali, della vacanza di un seggio, distorcerebbe altresì la portata stessa dell’art. 12 dell’atto del 1976.

44     A questo proposito, rammentando la giurisprudenza della Corte secondo cui si deve attribuire maggior importanza alla sostanza piuttosto che alla forma di un atto e occorre prendere in considerazione l’intenzione espressa dell’autore, il ricorrente sostiene, nel caso di specie, che l’atto che ha modificato la sua situazione giuridica privandolo del suo mandato elettivo è proprio l’atto controverso e non già il decreto 31 marzo 2000. Tale interpretazione sarebbe del resto confermata sia dal tenore letterale stesso dell’art. 12, n. 2, primo comma, dell’atto del 1976 – che dichiarerebbe l’obbligo del Parlamento di «prendere atto» di una vacanza di seggio derivante dall’applicazione di norme nazionali – sia dall’atteggiamento della commissione giuridica e della Presidente del Parlamento, nonché dal fatto che egli stesso abbia continuato a sedere in Parlamento fino al 23 ottobre 2000 e a beneficiare, fino a quella data, delle indennità a carico di tale istituzione e del trattamento versato dalle autorità francesi.

45     Prima di esaminare la portata dell’art. 12, n. 2, dell’atto del 1976, si deve respingere innanzi tutto l’argomento del ricorrente relativo ad una contraddizione tra i motivi della sentenza impugnata, in particolare tra i punti 91 e 97. Infatti, come rilevato dal governo francese nelle osservazioni scritte, a parte che il termine «tuttavia» non vi compare affatto, il citato punto 91, estrapolato dal suo contesto e citato solo parzialmente dal ricorrente, porta necessariamente alla conclusione di cui al punto 97 della sentenza impugnata. È proprio perché ha constatato, al punto 91, che il potere di verifica del Parlamento è particolarmente ristretto e si riduce, sostanzialmente, a un controllo dell’esattezza materiale della vacanza del seggio – senza che possa verificare, in particolare, il rispetto della procedura prevista dal diritto nazionale applicabile o dei diritti fondamentali dell’interessato – che il Tribunale ha potuto concludere, al punto 97 della stessa sentenza, che l’atto controverso non produceva effetti giuridici propri, distinti da quelli del decreto 31 marzo 2000.

46     Per quanto riguarda l’argomento essenziale del ricorrente, relativo alla distorsione della portata dell’art. 12, n. 2, dell’atto del 1976 e all’erronea valutazione da parte del Tribunale della vera natura giuridica dell’atto controverso che sarebbe l’unico a modificare la sua situazione giuridica, si deve ammettere la fondatezza della tesi secondo cui, per stabilire se un atto possa formare oggetto di un ricorso ai sensi dell’art. 230 CE, occorre tener conto della sua stessa sostanza e dell’intenzione del suo autore. Infatti, secondo una giurisprudenza costante, la forma in cui si adotta un atto o una decisione è, in linea di massima, irrilevante ai fini della possibilità di impugnarli con un’azione di annullamento (v., in particolare, citate sentenze Commissione/Consiglio, punto 42, e IBM/Commissione, punto 9).

47     Benché, in quest’ottica, non si possa quindi escludere che una comunicazione scritta o addirittura una semplice dichiarazione orale sia sottoposta al controllo della Corte ai sensi dell’art. 230 CE, tale possibilità non può spingersi, tuttavia, fino alla violazione delle norme e delle procedure relative all’elezione dei membri del Parlamento.

48     Ebbene, sotto questo profilo, come giustamente rilevato dal Tribunale ai punti 81 e 82 della sentenza impugnata, all’epoca dei fatti della controversia non era stata adottata alcuna procedura elettorale uniforme per l’elezione dei membri del Parlamento europeo, cosicché la procedura restava disciplinata dalle disposizioni nazionali vigenti in ogni Stato membro, conformemente all’art. 7, n. 2, dell’atto del 1976.

49     Conseguentemente, dal momento che, in virtù dell’art. 5 della legge del 1977, l’ineleggibilità comporta la decadenza, accertata mediante decreto, del mandato di membro del Parlamento, quest’ultimo non aveva altra scelta se non prendere immediatamente atto dell’accertamento, già effettuato dalle autorità nazionali, della vacanza del seggio del ricorrente e tale constatazione verteva, come giustamente rilevato dal Tribunale al punto 90 della sentenza impugnata, su una situazione giuridica preesistente e risultante esclusivamente da una decisione di tali autorità. Nessuno degli argomenti dedotti dal ricorrente nell’ambito della presente impugnazione è tale da rimettere in discussione quest’ultima conclusione.

50     Infatti, per quanto riguarda anzitutto l’argomento del ricorrente relativo al tenore letterale stesso dell’art. 12, n. 2, dell’atto del 1976, che dichiarerebbe l’obbligo, a carico del Parlamento, di «prendere atto» di una vacanza di seggio derivante dall’applicazione delle disposizioni nazionali vigenti in uno Stato membro, quella norma, lungi dal confortare la tesi del ricorrente, mette anzi chiaramente in rilievo la totale mancanza di potere discrezionale del Parlamento in materia. Infatti, in quest’ipotesi particolare, il ruolo del Parlamento non consiste nell’accertare la vacanza del seggio, bensì, come giustamente rilevato dal Tribunale al punto 88 della sentenza impugnata, nel prendere semplicemente atto della vacanza del seggio già accertata dalle autorità nazionali, mentre, nelle altre ipotesi relative, in particolare, alle dimissioni o al decesso di uno dei suoi membri, detta istituzione ha un ruolo più attivo, dal momento che accerta essa stessa la vacanza del seggio e ne informa lo Stato membro interessato.

51     Quest’interpretazione è confortata altresì dal testo di altre disposizioni dell’atto del 1976, come l’art. 11, e dall’art. 7, n. 1, del regolamento del Parlamento. Questi due articoli, che vertono sulla verifica dei poteri dei membri del Parlamento, gli conferiscono infatti il potere di decidere in merito alla validità del mandato di ciascuno dei membri neoeletti nonché in merito ad eventuali contestazioni presentate in base alle disposizioni dell’atto del 1976, «fatta eccezione delle disposizioni nazionali cui tale atto rinvia» (art. 11 dell’atto del 1976) ed «eccettuate quelle fondate sulle leggi elettorali nazionali» (art. 7, n. 1, del detto regolamento). Queste precisazioni, che sono state riprese, senza modifiche, all’attuale art. 12 dell’atto del 1976, come modificato dalla decisione del Consiglio 25 giugno 2002 e 23 settembre 2002, 2002/772/CE, Euratom (GU L 283, pag. 1), nonché all’art. 3, n. 1, del regolamento del Parlamento attualmente in vigore (GU 2005, L 44, pag. 1), ben corroborano quindi, allo stato attuale del diritto comunitario, la totale mancanza di competenza del Parlamento in materia di vacanza di seggio derivante dall’applicazione di disposizioni nazionali.

52     Invano il ricorrente, per contestare tale interpretazione, invoca poi l’importanza dell’intenzione dell’autore dell’atto controverso al momento dell’adozione e sostiene, più in particolare, che la commissione giuridica e la Presidente del Parlamento avrebbero «costantemente dato per scontato» il principio secondo cui il solo fatto di prendere atto della decadenza del mandato del ricorrente modificava lo status di quest’ultimo. Infatti, a parte che un simile argomento riguarda una valutazione di fatto che, in linea di principio, sfugge al controllo della Corte nell’ambito di un ricorso contro una pronuncia del Tribunale, risulta, comunque, da diversi documenti allegati all’atto introduttivo che la detta commissione e la Presidente del Parlamento si ritenevano vincolate dall’accertamento della decadenza effettuato dalle autorità francesi.

53     È il caso, in particolare, del verbale della riunione straordinaria della commissione giuridica del 15 maggio 2000, da cui emerge che la Presidente di questa era intervenuta per precisare, all’attenzione dei membri della commissione, che la decisione del Parlamento doveva limitarsi «alla formalità di prenderne o non prenderne atto», nonché della lettera indirizzata, due giorni più tardi, alla Presidente del Parlamento, in cui la Presidente della detta commissione sottolineava chiaramente il carattere «esecutivo» del decreto 31 marzo 2000. Questi elementi di fatto, ai quali si deve aggiungere la lettera inviata il 9 giugno 2000 dalla Presidente del Parlamento alle autorità francesi, in cui essa rileva il carattere «irreversibile» della decadenza del mandato derivante dal detto decreto, sono stati entrambi presi in considerazione nella sentenza impugnata, rispettivamente ai punti 23, 24 e 29. Ebbene, nessuna delle constatazioni effettuate dal Tribunale in tali punti è stata rimessa in discussione nell’ambito della presente impugnazione.

54     Per quanto riguarda infine il fatto, citato dal ricorrente, che egli abbia potuto continuare a sedere in Parlamento fino al 23 ottobre 2000 e a beneficiare, fino a quella data, sia delle indennità a carico di tale istituzione sia del trattamento versato dalle autorità francesi – il che dimostrerebbe, secondo lui, che solamente l’atto controverso era in grado di modificare la sua situazione giuridica e, pertanto, di formare oggetto di un ricorso ai sensi dell’art. 230 CE –, si deve osservare che, come rilevato giustamente dal Tribunale, si tratta di conseguenze pratiche conseguenti al ritardo con cui il Parlamento ha preso atto della notifica del decreto 31 marzo 2000 effettuata dalle autorità francesi. È infatti solo questo decreto ad aver modificato la situazione giuridica del ricorrente accertando la decadenza del suo mandato.

55     Il ricorrente deduce due argomenti complementari a sostegno della sua tesi secondo cui l’atto controverso possiederebbe un carattere impugnabile. Il primo è relativo al fatto che il Tribunale, al punto 91 della sentenza impugnata, ha esplicitamente rilevato che il ricorrente ha fatto valere i propri diritti sia dinanzi al Conseil d’État francese sia dinanzi alla Corte europea per i diritti dell’uomo, il che dimostrerebbe l’esistenza di un atto impugnabile, dal momento che in tal modo il Parlamento avrebbe effettuato una valutazione di elementi di fatto e di diritto. Il secondo argomento considera non pertinente la teoria dell’atto confermativo, che sarebbe sottesa al punto 97 della detta sentenza, in quanto i ricorsi menzionati al punto 91 costituirebbero precisamente elementi di diritto nuovi intervenuti tra la data di adozione del decreto 31 marzo 2000 e quella in cui il Parlamento ha preso atto della decadenza del mandato del ricorrente.

56     A questo proposito è sufficiente constatare che l’argomento secondo cui il Parlamento avrebbe effettuato una valutazione di elementi di fatto e di diritto si fonda su una lettura manifestamente erronea della sentenza impugnata poiché, come già rilevato al punto 45 della presente sentenza, il Tribunale ha appunto dichiarato, al punto 91 della sentenza impugnata, che non spettava al Parlamento, bensì ai giudici nazionali competenti o, eventualmente, alla Corte europea per i diritti dell’uomo verificare il rispetto della procedura prevista dalla pertinente normativa nazionale o dei diritti fondamentali dell’interessato. Lungi dal costituire una conferma dell’esistenza di un qualsivoglia potere di valutazione di cui disporrebbe il Parlamento, la menzione delle azioni promosse dal ricorrente dinanzi al Conseil d’État francese e alla Corte europea per i diritti dell’uomo costituisce dunque una prova supplementare della mancanza di un simile potere del Parlamento e del fatto che il ricorrente, contrariamente a quanto afferma, ha effettivamente potuto far valere i suoi diritti in sede giudiziaria.

57     L’affermazione del ricorrente secondo cui il Tribunale, al punto 97 della sentenza impugnata, avrebbe proceduto ad un’applicazione implicita della teoria dell’atto confermativo non poggia su alcun fondamento. Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle sue conclusioni, oltre al fatto che nel punto 97 della sentenza non vi sono elementi da cui si possa dedurre che il Tribunale abbia inteso riferirsi a tale teoria, il complesso dei motivi della sentenza impugnata dimostra al contrario che il decreto 31 marzo 2000 e l’atto controverso sono distinti per natura e per oggetto.

58     Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, si deve pertanto concludere che il Tribunale non è incorso in un errore di diritto dichiarando irricevibile il ricorso del sig. Le Pen.

59     Conseguentemente, il presente ricorso dev’essere respinto, senza che occorra esaminare gli altri motivi dedotti dal ricorrente, attinenti sia all’illegittimità esterna sia all’illegittimità interna dell’atto controverso.

 Sulle spese

60     Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, che si applica al procedimento d’impugnazione ai sensi del successivo art. 118, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Parlamento ha chiesto la condanna alle spese del ricorrente, che è rimasto soccombente, questo dev’essere condannato alle spese del presente grado di giudizio, comprese quelle relative al procedimento sommario di cui al punto 2 della presente sentenza. In virtù del n. 4, primo comma, dello stesso articolo, la Repubblica francese, che è intervenuta nella causa, sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso contro la pronuncia del Tribunale di primo grado è respinto.

2)      Il sig. Le Pen è condannato alle spese del presente grado di giudizio, comprese quelle relative al procedimento sommario.

3)      La Repubblica francese sopporterà le proprie spese.

Firme


* Lingua processuale: il francese.