62001J0491

Sentenza della Corte del 10 dicembre 2002. - The Queen contro Secretary of State for Health, ex parte British American Tobacco (Investments) Ltd e Imperial Tobacco Ltd. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Administrative Court) - Regno Unito. - Direttiva 2001/37/CE - Lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco - Validità - Fondamento giuridico - Artt. 95 CE e 133 CE - Interpretazione - Applicabilità ai prodotti del tabacco confezionati nella Comunità e destinati all'esportazione verso paesi terzi. - Causa C-491/01.

raccolta della giurisprudenza 2002 pagina I-11453


Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo

Parti


Nel procedimento C-491/01,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Administrative Court) (Regno Unito), nella causa dinanzi ad essa pendente tra

The Queen

e

Secretary of State for Health,

ex parte:

British American Tobacco (Investments) Ltd

e

Imperial Tobacco Ltd,

con l'intervento di:

Japan Tobacco Inc.

e

JT International SA,

domanda vertente sulla validità e sull'interpretazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 giugno 2001, 2001/37/CE, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco (GU L 194, pag. 26),

LA CORTE,

composta dai sigg. G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, J.-P. Puissochet, M. Wathelet, R. Schintgen e C.W.A. Timmermans, presidenti di sezione, D.A.O. Edward, A. La Pergola (relatore), P. Jann e V. Skouris, dalle sig.re F. Macken e N. Colneric, dai sigg. S. von Bahr e J.N. Cunha Rodrigues, giudici,

avvocato generale: L.A. Geelhoed

cancelliere: sig.re L. Hewlett, amministratore principale, e M.-F. Contet, amministratore

viste le osservazioni scritte presentate:

- per la British American Tobacco (Investments) Ltd e la Imperial Tobacco Ltd, dai sigg. D. Wyatt e D. Anderson, QC, nonché dalla sig.ra J. Stratford, barrister, su incarico dello studio legale Lovells, solicitors;

- per la Japan Tobacco Inc. e la JT International SA, dal sig. O.W. Brouwer, advocaat, e dal sig. N.P. Lomas, solicitor, su incarico dello studio legale Freshfields Bruckhaus Deringer, solicitors;

- per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra P. Ormond, in qualità di agente, assistita dai sigg. N. Paine, QC, e T. Ward, barrister;

- per il governo belga, dalla sig.ra A. Snoecx, in qualità di agente, assistita dai sigg. E. Gillet e G. Vandersanden, avocats;

- per il governo tedesco, dal sig. W.-D. Plessing, in qualità di agente, assistito dal sig. J. Sedemund, Rechtsanwalt;

- per il governo ellenico, dai sigg. V. Kontolaimos e S. Charitakis, in qualità di agenti;

- per il governo francese, dal sig. G. de Bergues e dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, in qualità di agenti;

- per il governo italiano, dal sig. U. Leanza, in qualità di agente, assistito dal sig. O. Fiumara, avvocato dello Stato;

- per il governo lussemburghese, dal sig. J. Faltz, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Kinsch, avocat;

- per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra H.G. Sevenster, in qualità di agente;

- per il governo finlandese, dalla sig.ra E. Bygglin, in qualità di agente;

- per il governo svedese, dal sig. A. Kruse, in qualità di agente;

- per il Parlamento europeo, dai sigg. C. Pennera e M. Moore, in qualità di agenti;

- per il Consiglio dell'Unione europea, dalla sig.ra E. Karlsson e dal sig. J.-P. Hix, in qualità di agenti;

- per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra I. Martinez del Peral e dal sig. K. Fitch, in qualità di agenti,

vista la relazione d'udienza,

sentite le osservazioni orali della British American Tobacco (Investments) Ltd e dell'Imperial Tobacco Ltd, rappresentate dai sigg. D. Wyatt e D. Anderson, nonché dalla sig.ra J. Stratford, della Japan Tobacco Inc. e della JT International SA, rappresentate dai sigg. O.W. Brouwer e N.P. Lomas, del governo del Regno Unito, rappresentato dal sig. J.E. Collins, in qualità di agente, assistito dai sigg. N. Paine e T. Ward, del governo belga, rappresentato dal sig. G. Vandersanden, del governo tedesco, rappresentato dal sig. M. Lumma, in qualità di agente, assistito dal sig. J. Sedemund, del governo ellenico, rappresentato dai sigg. V. Kontolaimos e S. Charitakis, del governo francese, rappresentato dalla sig.ra R. Loosli-Surrans, del governo irlandese, rappresentato dal sig. J. Buttimore, BL, del governo italiano, rappresentato dal sig. O. Fiumara, del governo lussemburghese, rappresentato dal sig. N. Mackel, in qualità di agente, assistito dal sig. P. Kinsch, del governo dei Paesi Bassi, rappresentato dalla sig.ra J. van Bakel, in qualità di agente, del governo finlandese, rappresentato dalla sig.ra E. Bygglin, del Parlamento, rappresentato dai sigg. C. Pennera e M. Moore, del Consiglio, rappresentato dalla sig.ra E. Karlsson e dal sig. J.-P. Hix, e della Commissione, rappresentata dalla sig.ra I. Martinez del Peral e dal sig. K. Fitch, all'udienza del 2 luglio 2002,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 10 settembre 2002,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Motivazione della sentenza


1 Con ordinanza 6 dicembre 2001, pervenuta alla Corte il 19 dicembre seguente, la High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Administrative Court), ha proposto, ai sensi dell'art. 234 CE, due questioni pregiudiziali relative alla validità e all'interpretazione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 giugno 2001, 2001/37/CE, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco (GU L 194, pag. 26; in prosieguo: la «direttiva»).

2 Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un procedimento promosso il 3 settembre 2001 dalla British American Tobacco (Investments) Ltd e dalla Imperial Tabacco Ltd, al fine di essere autorizzate a proporre un ricorso vertente sul controllo della legittimità («judicial review») dell'«intenzione e/o obbligo» del governo del Regno Unito di trasporre la direttiva.

Contesto normativo

La direttiva 89/622/CEE

3 La direttiva del Consiglio 13 novembre 1989, 89/622/CEE, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri riguardanti l'etichettatura dei prodotti del tabacco nonché il divieto di taluni tabacchi per uso orale (GU L 359, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 15 maggio 1992, 92/41/CEE (GU L 158, pag. 30; in prosieguo: la «direttiva 89/622»), adottata sulla base dell'art. 100 A del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 95 CE), ha previsto, in particolare, un'avvertenza generale che deve figurare sulle confezioni di tutti i prodotti del tabacco, nonché avvertenze aggiuntive riservate esclusivamente alle sigarette, e, a partire dal 1992, ha esteso l'obbligo di apporre tali avvertenze aggiuntive agli altri prodotti del tabacco.

La direttiva 90/239/CEE

4 La direttiva del Consiglio 17 maggio 1990, 90/239/CEE, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri riguardanti il tenore massimo di catrame delle sigarette (GU L 137, pag. 36), adottata sulla base dell'art. 100 A del Trattato, ha fissato i limiti massimi del tenore di catrame delle sigarette commercializzate negli Stati membri a 15 mg per sigaretta a decorrere dal 31 dicembre 1992 e a 12 mg per sigaretta a decorrere dal 31 dicembre 1997.

La direttiva

5 La direttiva è stata adottata sulla base degli artt. 95 CE e 133 CE ed ha lo scopo di rifondere le direttive 89/622 e 90/239, riprendendone e completandone le disposizioni.

6 Ai sensi del secondo e terzo `considerando' della direttiva sussistono ancora differenze sostanziali tra le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco che ostacolano il funzionamento del mercato interno e dette barriere devono essere eliminate, ravvicinando le regolamentazioni applicabili in tale materia.

7 Secondo il quarto `considerando' della direttiva:

«A norma dell'articolo 95, paragrafo 3, del Trattato, occorre basarsi su un livello di protezione elevato in materia di salute, sicurezza, protezione ambientale e tutela dei consumatori, tenuto conto in particolare degli eventuali nuovi sviluppi fondati su riscontri scientifici. Considerati gli effetti particolarmente nocivi del tabacco, la protezione della salute dovrebbe beneficiare, in questo contesto, di un'attenzione prioritaria».

8 Il quinto `considerando' della direttiva precisa quanto segue:

«La direttiva 90/239/CEE fissa limiti massimi per il tenore di catrame delle sigarette commercializzate negli Stati membri con effetto a partire dal 31 dicembre 1992. La natura cancerogena del catrame rende necessaria un'ulteriore riduzione del tenore di catrame nelle sigarette».

9 Il settimo `considerando' della direttiva è formulato nei termini seguenti:

«Diversi Stati membri hanno indicato che, se non saranno adottate disposizioni a livello comunitario sul tenore massimo di monossido di carbonio delle sigarette, tali norme saranno adottate a livello nazionale. Le differenze nelle disposizioni relative al monossido di carbonio possono costituire ostacoli agli scambi e impedire il buon funzionamento del mercato interno. (...)».

10 Secondo il nono `considerando' della direttiva:

«Esistono differenze tra le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri sulla limitazione del tenore massimo in nicotina delle sigarette. Tali differenze possono ostacolare gli scambi e il funzionamento del mercato interno. (...)».

11 Ai sensi dell'undicesimo `considerando' della direttiva:

«La presente direttiva avrà ripercussioni anche sui prodotti del tabacco esportati dalla Comunità europea. Il regime di esportazione rientra nella politica commerciale comune. In virtù dell'articolo 152, paragrafo 1, del Trattato e alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, le disposizioni sanitarie devono essere parte integrante delle altre politiche della Comunità. Si dovrebbero adottare norme per assicurare che non siano pregiudicate le disposizioni del mercato interno».

12 Il diciannovesimo `considerando' della direttiva così recita:

«La presentazione delle etichette di precauzione e l'indicazione dei tenori continua a variare tra gli Stati membri. Di conseguenza i consumatori possono essere informati quanto ai rischi dei prodotti del tabacco meglio in uno Stato membro che in un altro. Tali disparità sono inaccettabili e possono ostacolare gli scambi e il funzionamento del mercato interno per quanto riguarda i prodotti del tabacco e pertanto dovrebbero essere eliminate. A tal fine occorre che la legislazione vigente sia rafforzata e chiarita, garantendo un alto livello di tutela della salute».

13 Secondo il ventisettesimo `considerando' della direttiva:

«L'uso sulle confezioni dei prodotti del tabacco di diciture quali `basso tenore di catrame', `ultra-light', `light', `mild', di nomi, immagini ed elementi figurativi o altri segni può trarre in inganno il consumatore dando la falsa impressione che i suddetti prodotti siano meno nocivi, e portare ad un aumento dei consumi. Le abitudini di fumo e la dipendenza, e non solo il contenuto di talune sostanze nel prodotto prima del consumo, determinano il livello delle sostanze inalate. Di tale fatto non si tiene conto nell'uso di tali termini e può minare il sistema di requisiti per l'etichettatura stabilito nella presente direttiva. Per assicurare il corretto funzionamento del mercato interno, e dato lo sviluppo delle norme internazionali proposte, il divieto di tale utilizzazione dovrebbe avvenire a livello comunitario concedendo tempo sufficiente per introdurre tale norma».

14 In forza dell'art. 1 della direttiva, intitolato «Oggetto»:

«La presente direttiva ha per oggetto il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri riguardanti il tenore massimo in catrame, nicotina e monossido di carbonio delle sigarette, le avvertenze relative alla pericolosità per la salute e altre indicazioni da far figurare sui pacchetti dei prodotti del tabacco, nonché talune misure relative agli ingredienti e alle qualificazioni dei prodotti del tabacco, prendendo come base un elevato livello di protezione della salute».

15 L'art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva prevede quanto segue:

«1. A decorrere dal 1_ gennaio 2004 il tenore in catrame, nicotina e monossido di carbonio delle sigarette immesse in libera pratica, commercializzate o prodotte negli Stati membri non può superare rispettivamente:

- 10 mg/sigaretta di catrame,

- 1 mg/sigaretta di nicotina,

- 10 mg/sigaretta di monossido di carbonio.

2. In deroga alla data indicata al paragrafo 1, per le sigarette fabbricate nella Comunità europea e destinate all'esportazione, gli Stati membri possono applicare i tenori massimi di cui al presente articolo a decorrere dal 1_ gennaio 2005, ma hanno l'obbligo in ogni caso di farlo entro e non oltre il 1_ gennaio 2007».

16 In forza dell'art. 4, n. 1, della direttiva il tenore in catrame, nicotina e monossido di carbonio delle sigarette è misurato sulla base delle norme ISO 4387 per il catrame, ISO 10315 per la nicotina e ISO 8454 per il monossido di carbonio. Il n. 3 della stessa disposizione autorizza gli Stati membri a esigere che i fabbricanti o gli importatori di tabacco procedano a qualsiasi altra prova imposta dalle autorità nazionali competenti, al fine di valutare il tenore di altre sostanze prodotte dai loro prodotti e di valutare gli effetti di tali altre sostanze sulla salute. Secondo il n. 4 della disposizione in esame, i risultati delle prove sono presentati alle autorità nazionali competenti, che ne assicurano la diffusione al fine di informare i consumatori e, ai sensi del n. 5, sono comunicati alla Commissione, che deve tenerne conto nella sua relazione di cui all'art. 11 della direttiva.

17 L'art. 5 della direttiva fissa requisiti in materia di etichettatura, che prevedono in particolare l'obbligo di indicare sulle confezioni dei prodotti, in modo da coprire certe percentuali della superficie di esse, il tenore in catrame, nicotina e monossido di carbonio delle sigarette, nonché avvertenze relative ai rischi per la salute connessi ai prodotti del tabacco, ad eccezione dei prodotti del tabacco per uso orale e altri prodotti del tabacco senza combustione. In particolare l'art. 5, n. 6, lett. e), della direttiva prevede che il testo delle avvertenze e delle indicazioni relative ai tenori deve essere stampato nella lingua ufficiale o nelle lingue ufficiali dello Stato membro in cui il prodotto viene immesso sul mercato.

18 In forza dell'art. 6 della direttiva gli Stati membri obbligano i fabbricanti e gli importatori di prodotti del tabacco a presentare un elenco di tutti gli ingredienti utilizzati nella fabbricazione di tali prodotti, suddivisi per marche e tipi. Gli Stati membri devono assicurare la divulgazione con ogni mezzo appropriato di tali informazioni per renderle note ai consumatori e devono comunicarle annualmente alla Commissione.

19 Ai sensi dell'art. 7 della direttiva, intitolato «Denominazioni del prodotto»:

«Con effetto a partire dal 30 settembre 2003 e fatto salvo l'articolo 5, paragrafo 1, le diciture, denominazioni, marchi, immagini e altri elementi figurativi o altri simboli che suggeriscono che un particolare prodotto del tabacco è meno nocivo di altri non sono usati sulle confezioni dei prodotti del tabacco».

20 In base all'art. 12 della direttiva, entro e non oltre il 31 dicembre 2004, la Commissione è invitata a presentare, sulla base delle informazioni previste all'art. 6, una proposta contenente un elenco comune degli ingredienti autorizzati per i prodotti del tabacco, tenendo conto in particolare della dipendenza che essi comportano.

21 In forza dell'art. 13 della direttiva:

«1. Gli Stati membri non possono, per considerazioni attinenti alla limitazione del tenore in catrame, nicotina o monossido di carbonio delle sigarette, alle avvertenze per la salute e ad altre indicazioni o ad altri requisiti prescritti dalla presente direttiva, vietare o limitare l'importazione, la vendita e il consumo di prodotti del tabacco conformi alla presente direttiva, salve le misure adottate ai fini della verifica degli elementi forniti nel contesto dell'articolo 4.

2. La presente direttiva fa salvo il diritto degli Stati membri di mantenere o adottare, nel rispetto del Trattato, disposizioni più restrittive per la lavorazione, l'importazione, la vendita e il consumo dei prodotti del tabacco che essi ritengano necessarie per garantire la protezione della salute pubblica, purché tali disposizioni non pregiudichino le norme stabilite dalla presente direttiva.

3. In particolare, gli Stati membri possono vietare, nelle more dell'adozione degli ingredienti di cui all'articolo 12, l'utilizzo di ingredienti che abbiano l'effetto di accrescere le proprietà tossicomanigene dei prodotti del tabacco».

22 Secondo l'art. 14, n. 1, primo comma, della direttiva, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative per conformarsi ad essa entro il 30 settembre 2002 e ne informano immediatamente la Commissione.

23 L'art. 15, primo comma, della direttiva abroga le direttive 89/622 e 90/239.

Causa principale e questioni pregiudiziali

24 Le ricorrenti nella causa principale sono fabbricanti di prodotti del tabacco nel Regno Unito. Esse hanno presentato al giudice del rinvio una domanda al fine di essere autorizzate a proporre un ricorso vertente sul controllo della legittimità («judicial review») dell'«intenzione e/o obbligo» del governo del Regno Unito di trasporre la direttiva, deducendo sette motivi di invalidità contro la medesima.

25 La High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Administrative Court), ha accordato tale autorizzazione ed ha deciso di sospendere il giudizio nonché di chiedere alla Corte una pronuncia pregiudiziale sulle seguenti questioni:

«1) Se la direttiva 2001/37/CE sia invalida in tutto o in parte in ragione:

a) dell'inadeguatezza dell'art. 95 CE e/o dell'art. 133 CE come fondamento normativo;

b) dell'uso dell'art. 95 CE e dell'art. 133 CE come duplice fondamento normativo;

c) della violazione del principio di proporzionalità;

d) della violazione dell'art. 295 CE, del diritto fondamentale alla proprietà e/o dell'art. 20 dell'accordo TRIPs;

e) della violazione dell'art. 253 CE e/o dell'obbligo di motivazione;

f) della violazione del principio di sussidiarietà;

g) di uno sviamento di potere.

2) Qualora dovesse risultare valida, se l'art. 7 della direttiva del Parlamento e del Consiglio 2001/37/CE si applichi solo ai prodotti del tabacco commercializzati entro la Comunità europea ovvero se esso si applichi anche ai prodotti del tabacco confezionati nell'ambito della Comunità per l'esportazione verso paesi terzi».

26 Con ordinanza 26 febbraio 2002, la High Court ha autorizzato la Japan Tobacco Inc. e la JT International SA (in prosieguo, congiuntamente: la «Japan Tobacco») ad intervenire nella causa principale, per permettere loro di presentare dinanzi alla Corte osservazioni scritte relative alla validità dell'art. 7 della direttiva.

27 La Japan Tobacco Inc. è proprietaria del marchio Mild Seven e la JT International SA è titolare della licenza esclusiva su tale marca di sigarette. Secondo la Japan Tobacco, l'art. 7 della direttiva, se interpretato come una disposizione che si applica ai marchi esistenti, è idoneo ad impedire il godimento o l'uso nella Comunità della proprietà intellettuale del marchio Mild Seven, circostanza quest'ultima che arrecherà un grave danno al valore a livello mondiale di tale marchio, quando la menzionata disposizione entrerà in vigore.

Sulla ricevibilità del rinvio pregiudiziale

Osservazioni presentate alla Corte

28 Il governo francese e la Commissione sostengono che la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile.

29 A loro parere, tale irricevibilità deriva dal fatto che, da un lato, la decisione di rinvio è stata adottata prima del 30 settembre 2002, data che costituisce il termine fissato per la trasposizione della direttiva e che, dall'altro, la legislazione nazionale che traspone tale direttiva nel Regno Unito non era ancora stata adottata al momento del rinvio pregiudiziale. Orbene, secondo il governo francese e la Commissione, in una simile situazione, la natura delle direttive e il sistema di controllo giurisdizionale della legittimità degli atti comunitari ostano a che la Corte possa validamente pronunciarsi su questioni riguardanti la validità e l'interpretazione di una direttiva.

30 A tale proposito il governo francese e la Commissione sostengono, da un lato, che la Corte ha dichiarato che una direttiva può essere fatta valere dai singoli dinanzi ai giudici nazionali solo dopo la scadenza del termine fissato per la sua trasposizione nell'ordinamento nazionale e che le sue disposizioni non possono quindi far sorgere prima di tale data, a favore dei singoli, diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare (sentenza 3 marzo 1994, causa C-316/93, Vaneetveld, Racc. pag. I-763, punti 16 e 19).

31 Essi affermano, d'altro lato, che permettere a un singolo di contestare la validità di una direttiva nell'ambito di una controversia dinanzi a un giudice nazionale prima della scadenza del termine fissato per la sua trasposizione e in mancanza di provvedimenti di recepimento adottati nell'ordinamento nazionale potrebbe costituire un modo per eludere le disposizioni dell'art. 230 CE, in violazione del sistema di mezzi di ricorso previsto dal Trattato.

Giudizio della Corte

32 In forza dell'art. 234 CE la Corte è competente a statuire, in via pregiudiziale, sulla validità e sull'interpretazione degli atti emanati dalle istituzioni comunitarie, indipendentemente dal fatto che essi abbiano o meno effetto diretto (v., in tal senso, sentenze 20 maggio 1976, causa 111/75, Mazzalai, Racc. pag. 657, punto 7, e 10 luglio 1997, causa C-373/95, Maso e a., Racc. pag. I-4051, punto 28).

33 Una direttiva il cui termine di trasposizione non sia ancora scaduto rientra dunque tra gli atti previsti all'art. 234 CE, e relativamente ad essa può essere validamente proposto alla Corte un rinvio pregiudiziale quando tale rinvio soddisfi le altre condizioni di ricevibilità stabilite dalla giurisprudenza della Corte.

34 A tale proposito occorre ricordare che, quando una questione concernente la validità di un atto adottato dalle istituzioni comunitarie è sollevata dinanzi ad un giudice nazionale, spetta a quest'ultimo decidere se una decisione su tale punto sia necessaria per pronunciare la sua sentenza e, pertanto, chiedere alla Corte di statuire su tale questione. Di conseguenza, qualora le questioni sollevate dal giudice nazionale riguardino la validità di una disposizione di diritto comunitario, in via di principio la Corte è tenuta a statuire (sentenza 11 novembre 1997, causa C-408/95, Eurotunnel e a., Racc. pag. I-6315, punto 19).

35 Tuttavia, la Corte ha affermato di non poter statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale qualora, segnatamente, appaia in modo manifesto che l'interpretazione di una norma comunitaria o il giudizio sulla sua validità chiesti da tale giudice non hanno alcuna relazione con l'effettività o con l'oggetto della causa principale o qualora il problema sia di natura ipotetica (v., in tal senso, in particolare, sentenza 13 giugno 2002, cause riunite C-430/99 e C-431/99, Sea-Land Service et Nedlloyd Lijnen, Racc. pag. I-5235, punto 46).

36 Per quanto riguarda, anzitutto, il carattere effettivo della causa principale, si deve osservare che dall'ordinanza di rinvio risulta che le ricorrenti nella causa principale, grazie all'autorizzazione che la High Court ha accordato loro, possono proporre un ricorso vertente sul controllo della legittimità dell'«intenzione e/o obbligo», da parte del governo del Regno Unito, di recepire la direttiva anche se, al momento in cui il ricorso è stato proposto, il termine previsto per il recepimento di quest'ultima non era ancora scaduto e tale governo non ha adottato alcun provvedimento nazionale di recepimento della direttiva in questione. D'altronde, esiste un disaccordo tra le ricorrenti e il Secretary of State for Health circa la fondatezza del citato ricorso.

37 Per quanto riguarda poi la pertinenza delle questioni proposte ai fini della soluzione della causa principale, si deve rilevare, in primo luogo, che l'eventuale invalidità della direttiva è certamente tale da influire su detta soluzione. Le ricorrenti nella causa principale sostengono infatti che la trasposizione di una direttiva da parte del governo del Regno Unito per mezzo di «regulations» adottate sulla base dell'art. 2, n. 2, dell'European Community Act 1972 è subordinata alla condizione che tale direttiva sia valida, per cui, ai sensi di tale legge, l'invalidità della direttiva impedirebbe di recepirla per mezzo di «regulations». In secondo luogo, occorre constatare che l'interpretazione delle disposizioni della direttiva può anch'essa influire sulla soluzione della causa principale.

38 Pertanto, non appare in modo manifesto che il giudizio sulla validità della direttiva o l'interpretazione di quest'ultima richieste dal giudice del rinvio non abbiano alcun rapporto con l'effettività o l'oggetto della causa principale o riguardino un problema di natura ipotetica.

39 Per quanto riguarda l'argomento secondo cui ammettere la ricevibilità del rinvio pregiudiziale per un giudizio di validità in una situazione come quella di cui alla causa principale potrebbe costituire un modo di eludere le disposizioni dell'art. 230 CE, si deve rilevare che, nel sistema completo di rimedi giurisdizionali e di procedimenti istituito dal Trattato CE al fine di garantire il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni, le persone fisiche o giuridiche che non possono, a causa dei requisiti di ricevibilità previsti al quarto comma di tale disposizione, impugnare direttamente atti comunitari di portata generale, hanno la possibilità, a seconda dei casi, di far valere l'invalidità di tali atti, vuoi in via incidentale in forza dell'art. 241 del Trattato, dinanzi al giudice comunitario, vuoi dinanzi ai giudici nazionali, e di indurre questi ultimi, che non sono competenti ad accertare essi stessi l'invalidità di tali atti, a rivolgersi al riguardo alla Corte in via pregiudiziale (sentenza 25 luglio 2002, causa C-50/00 P, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio, Racc. pag. I-6677, punto 40).

40 Occorre precisare che la possibilità per i singoli di invocare dinanzi ai giudici nazionali l'invalidità di un atto comunitario di portata generale non è subordinata alla condizione che tale atto sia già stato oggetto di misure di applicazione adottate in forza del diritto nazionale. A tale proposito è sufficiente che al giudice nazionale sia sottoposta una controversia effettiva in cui si pone, incidentalmente, la questione della validità di un simile atto. Orbene, tale condizione è senz'altro soddisfatta nella causa principale, come risulta dai punti 36 e 37 della presente sentenza.

41 Dal complesso delle considerazioni che precedono risulta che le questioni poste dal giudice del rinvio sono ricevibili.

Sulla prima questione

Sulla prima questione, lett. a)

42 Il giudice del rinvio, con la sua prima questione, lett. a), chiede se la direttiva sia in tutto o in parte invalida in ragione del fatto che gli artt. 95 CE e/o 133 CE non costituiscono un fondamento normativo appropriato.

Osservazioni presentate alla Corte

43 Le ricorrenti nella causa principale sostengono che, in forza dell'art. 152, n. 4, lett. c), CE, la Comunità non è competente ad armonizzare le legislazioni nazionali in materia di sanità pubblica in quanto tali e che essa è competente ad adottare una misura di armonizzazione sulla base dell'art. 95 CE solo a condizione che tale misura abbia effettivamente per oggetto il miglioramento delle condizioni di instaurazione e di funzionamento del mercato interno e contribuisca effettivamente all'eliminazione di ostacoli alla libera circolazione delle merci o alla libera prestazione dei servizi o ancora alla soppressione di distorsioni della concorrenza (v., in tal senso, sentenza 5 ottobre 2000, causa C-376/98, Germania/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-8419, in particolare punti 84 e 95; in prosieguo: la «sentenza sulla pubblicità a favore del tabacco»). Orbene, nel caso di specie la direttiva, contrariamente alle indicazioni contenute nei suoi `considerando', non avrebbe lo scopo di assicurare la libera circolazione dei prodotti del tabacco, ma in realtà sarebbe diretta a garantire la tutela della salute.

44 Le ricorrenti nella causa principale affermano inoltre che, poiché la direttiva 90/239 ha introdotto un regime completamente armonizzato applicabile al tenore di catrame delle sigarette, non è possibile emanare nuove regole per conseguire obiettivi inerenti alla realizzazione del mercato interno al fine di ridurre il tenore di catrame già specificato. Anche se si ammettesse che il legislatore comunitario ha il potere di legiferare nuovamente fondandosi su considerazioni sanitarie in un settore già armonizzato per ragioni relative al mercato interno, una tale normativa dovrebbe almeno basarsi su nuovi sviluppi fondati su riscontri scientifici.

45 Peraltro, secondo le ricorrenti nella causa principale, neppure l'art. 133 CE potrebbe costituire un fondamento normativo appropriato per la direttiva, in quanto le disposizioni dell'art. 3 di quest'ultima, fissando requisiti per la fabbricazione di sigarette nella Comunità, non hanno l'obiettivo di istituire una politica commerciale comune per quanto attiene al regime di esportazione di tali prodotti, giacché simili requisiti di fabbricazione non riguardano specificamente il commercio internazionale, ma incidono ugualmente sul commercio intracomunitario.

46 Secondo la Japan Tobacco, l'art. 7 della direttiva non potrebbe trovare un fondamento normativo negli artt. 95 CE o 133 CE, in particolare per il fatto che niente prova che, se non fosse stato adottato il detto art. 7, avrebbero potuti verificarsi ostacoli al commercio o distorsioni di concorrenza.

47 Il governo tedesco sottolinea che l'art. 3, n. 1, della direttiva stabilisce non solo un divieto di commercializzazione delle sigarette che non rispettano i tenori massimi fissati da tale disposizione, ma anche un divieto di fabbricazione. Il n. 2 di tale disposizione prevede un regime diverso a seconda che la fabbricazione avvenga a fini di commercializzazione all'interno della Comunità o di esportazione verso paesi terzi. Secondo il governo tedesco, il divieto di fabbricazione previsto dall'art. 3 della direttiva assume, nelle relazioni con questi ultimi, il carattere di un divieto all'esportazione.

48 Inoltre, secondo il governo tedesco, dall'ultima frase dell'undicesimo `considerando' della direttiva risulta che tale divieto di esportazione verso paesi terzi di sigarette non conformi ai requisiti della direttiva quanto al tenore di catrame, di nicotina e di monossido di carbonio è diretto ad evitare che tali prodotti possano essere commercializzati nella Comunità in seguito a reimportazioni illegali, fatto quest'ultimo che pregiudicherebbe le disposizioni in materia di mercato interno.

49 Orbene, secondo il menzionato governo, il divieto di esportazione di cui trattasi non potrebbe contribuire effettivamente al buon funzionamento del mercato interno, dal momento che, a quanto si sa, le sigarette importate illegalmente nella Comunità sono comunque fabbricate quasi esclusivamente in paesi terzi e non nella Comunità.

50 Il governo tedesco sostiene inoltre che l'importazione illegale di sigarette integra innanzi tutto una frode ai dazi doganali e alle tasse applicabili ai prodotti del tabacco e dovrebbe essere combattuta attraverso un controllo più efficace alle frontiere della Comunità.

51 Per quanto riguarda l'art. 133 CE, neanch'esso può, secondo il governo tedesco, costituire un fondamento normativo appropriato per il divieto di esportazione in questione, in quanto l'ambito di applicazione di tale disposizione è limitato alle misure che hanno come obiettivo principale quello di influire sul volume degli scambi o sui flussi commerciali con i paesi terzi, il che non accadrebbe nel caso di specie, poiché il divieto di esportazione ha come solo obiettivo le reimportazione illegali nella Comunità al fine di proteggere la salute dei cittadini comunitari.

52 Il governo ellenico sostiene che gli artt. 3 e 7 della direttiva, in quanto applicati ai prodotti fabbricati o confezionati all'interno della Comunità, ma destinati ad essere consumati al di fuori di quest'ultima, non hanno l'obiettivo di favorire la circolazione dei prodotti del tabacco nel mercato interno né di evitare l'elusione delle norme applicabili in materia nella Comunità e, pertanto, non possono basarsi sull'art. 95 CE.

53 Peraltro, secondo il governo ellenico, neppure l'art. 133 CE può fornire un fondamento normativo appropriato alle disposizioni in parola della direttiva, in quanto esse hanno un effetto sfavorevole sulle esportazioni di prodotti comunitari verso i paesi terzi.

54 Il governo lussemburghese sostiene, da un lato, che la direttiva, nei limiti in cui riguarda prodotti commercializzati sui mercati all'esterno della Comunità, non può fondarsi né sull'art. 95 CE né sull'art. 133 CE e, dall'altro, in termini più generali, che essa ha come unico vero obiettivo la tutela della salute, settore per cui l'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri è esclusa dall'art. 152 CE.

55 Il governo lussemburghese afferma in particolare che l'applicazione dell'art. 3 della direttiva ai prodotti del tabacco destinati ad essere esportati verso paesi terzi sottende l'idea che prodotti non conformi alle disposizioni della direttiva possano essere fraudolentemente reimportati nella Comunità. Orbene, secondo tale governo, questa è una semplice ipotesi contraddetta dai fatti. Infatti, la maggior parte delle sigarette importate illegalmente nella Comunità sarebbe fabbricata in paesi terzi. Peraltro, un provvedimento che non riguarda specificamente gli scambi internazionali e che concerne altrettanto, se non soprattutto, il commercio interno non potrebbe essere fondato sull'art. 133 CE.

56 I governi del Regno Unito, belga, francese, irlandese, italiano, dei Paesi Bassi e svedese, nonché il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, sostengono che gli artt. 95 CE e 133 CE costituiscono il fondamento normativo appropriato della direttiva. Per quanto riguarda il ricorso all'art. 95 CE, essi fanno valere in particolare che la direttiva ha effettivamente l'obiettivo di migliorare le condizioni di funzionamento del mercato interno nel settore dei prodotti del tabacco e che, in conformità all'art. 95, n. 3, CE, essa è diretta a conseguire, nell'ambito dell'armonizzazione che realizza, l'obiettivo di un elevato livello di tutela della salute. Per quanto riguarda il ricorso all'art. 133 CE come secondo fondamento normativo della direttiva, il Parlamento e il Consiglio considerano, in particolare, che esso sia giustificato dal fatto che l'art. 3 della direttiva, da cui risulta che non possono essere fabbricate nella Comunità per l'esportazione verso paesi terzi sigarette che non soddisfano i requisiti di tale disposizione, persegue contemporaneamente un obiettivo di protezione del mercato interno contro le reimportazioni nella Comunità di sigarette non conformi a tali requisiti e un obiettivo di regolamentazione delle esportazioni verso i detti paesi, che si ricollega all'attuazione della politica commerciale comune.

57 Il governo finlandese afferma che l'art. 95 CE costituisce il fondamento normativo appropriato della direttiva, mentre il ricorso all'art. 133 CE come secondo fondamento normativo di quest'ultima non è necessario. A tale riguardo sostiene che l'obiettivo essenziale della direttiva è quello di ravvicinare le normative nazionali per realizzare il mercato interno nel settore dei prodotti del tabacco. La tutela della salute e la regolamentazione degli scambi con i paesi terzi costituirebbero solo obiettivi secondari rispetto a tale obiettivo essenziale.

Giudizio della Corte

58 Nel caso di specie si deve accertare se l'art. 95 CE costituisca un fondamento normativo appropriato per la direttiva e, in caso affermativo, stabilire se il ricorso all'art. 133 CE come secondo fondamento normativo di quest'ultima sia, nella specie, necessario o possibile.

59 A tale proposito occorre preliminarmente richiamare la giurisprudenza relativa all'art. 100 A, n. 1, del Trattato CE (divenuto art. 95, n. 1, CE).

60 Si deve anzitutto constatare che, come risulta dai punti 83, 84 e 95 della sentenza sulla pubblicità a favore del tabacco, le misure previste da tale disposizione sono destinate a migliorare le condizioni di instaurazione e di funzionamento del mercato interno e devono effettivamente avere tale obiettivo, contribuendo all'eliminazione di ostacoli alla libera circolazione delle merci o alla libera prestazione di servizi, o ancora all'eliminazione di distorsioni della concorrenza.

61 Si deve inoltre ricordare anche che, come risulta da tale giurisprudenza, se il ricorso all'art. 95 CE come fondamento normativo è possibile al fine di prevenire l'insorgere di futuri ostacoli agli scambi dovuti allo sviluppo eterogeneo delle legislazioni nazionali, l'insorgere di tali ostacoli deve apparire probabile e la misura di cui trattasi deve avere ad oggetto la loro prevenzione (v., in tal senso, sentenza 13 luglio 1995, causa C-350/92, Spagna/Consiglio, Racc. pag. I-1985, punto 35, nonché le sentenze sulla pubblicità in favore del tabacco, punto 86, e 9 ottobre 2001, causa C-377/98, Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-7079, punto 15).

62 Infine, qualora le condizioni per far ricorso all'art. 95 CE come fondamento normativo siano soddisfatte, non può impedirsi al legislatore comunitario di basarsi su tale fondamento normativo per il fatto che la tutela della salute è determinante nelle scelte da operare (v., in tal senso, punto 88 della sentenza sulla pubblicità a favore del tabacco). Inoltre, l'art. 152, n. 1, primo comma, CE dispone che, nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività della Comunità, è garantito un livello elevato di protezione della salute umana e l'art. 95, n. 3, CE esige espressamente che, nell'attuazione dell'armonizzazione, sia garantito un livello elevato di protezione della salute delle persone.

63 Occorre verificare, alla luce di tali principi, se nel caso della direttiva siano soddisfatte le condizioni per far ricorso all'art. 95 CE come fondamento normativo.

64 In via preliminare, si devono esporre le seguenti considerazioni. Da un lato, come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 61 delle sue conclusioni, nella Comunità il mercato dei prodotti del tabacco, in particolare quello delle sigarette, è un mercato in cui gli scambi tra Stati membri rappresentano una parte relativamente importante. D'altro lato, le norme nazionali relative alle condizioni che i prodotti devono soddisfare, in particolare quelle riguardanti la denominazione, la composizione e l'etichettatura, sono per loro natura, in assenza di armonizzazione a livello comunitario, tali da costituire ostacoli alla libera circolazione delle merci (v., in tale senso, sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard, Racc. pag. I-6097, punto 15).

65 Orbene, si deve constatare che, nonostante i provvedimenti comunitari di armonizzazione già adottati, cioè la direttiva 89/622, per quel che riguarda l'etichettatura dei prodotti del tabacco, e la direttiva 90/239, per quel che riguarda il tenore massimo di catrame delle sigarette, differenze tra le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco, che determinavano ostacoli agli scambi, si erano già manifestate al momento dell'adozione della direttiva o si sarebbero presumibilmente manifestate di lì a poco.

66 Infatti, da un lato, talune disposizioni delle misure comunitarie di armonizzazione già adottate contenevano solo prescrizioni minime, lasciando agli Stati membri un certo potere discrezionale che permetteva loro di adattarle (v., a tale proposito, sentenze 22 giugno 1993, causa C-222/91, Philip Morris Belgium e a., Racc. pag. I-3469, punti 11 e 17, nonché causa C-11/92, Gallaher e a., Racc. pag. I-3545, punti 14 e 20). D'altro lato, le direttive 89/622 e 90/239 riguardavano solo taluni aspetti delle condizioni di lavorazione, di presentazione e di vendita dei prodotti del tabacco, rimanendo gli Stati membri liberi di adottare norme nazionali per gli aspetti non disciplinati da tali direttive.

67 In tale contesto, tenuto conto della crescente consapevolezza nel pubblico della nocività per la salute del consumo dei prodotti del tabacco, è verosimile che potessero sorgere ostacoli alla libera circolazione di tali prodotti a causa dell'adozione da parte degli Stati membri di nuove norme che rispecchiavano tale evoluzione, destinate a scoraggiare più efficacemente il consumo di tali prodotti, per mezzo di indicazioni o avvertenze apposte sulla loro confezione, o a ridurre gli effetti nocivi dei prodotti del tabacco attraverso l'introduzione di nuove norme relative alla loro composizione.

68 Tale analisi è corroborata dalle indicazioni che emergono dai `considerando' della direttiva e dalle osservazioni presentate in corso di causa.

69 In tal senso, dal settimo `considerando' della direttiva risulta che numerosi Stati membri progettavano di adottare disposizioni che fissavano il tenore massimo di monossido di carbonio delle sigarette se disposizioni del genere non fossero state adottate a livello comunitario.

70 Analogamente, risulta dal nono `considerando' della direttiva che erano apparse differenze nelle legislazioni degli Stati membri sulla limitazione del tenore massimo di nicotina delle sigarette. Le osservazioni presentate in corso di causa hanno rivelato che tre Stati membri avevano già introdotto simili limitazioni e che molti altri progettavano di fare altrettanto. Ammettendo che, in ragione dei livelli a cui tali limitazioni erano fissate e del legame biochimico esistente tra il catrame e la nicotina, esse non rappresentassero di fatto un ostacolo alla commercializzazione di sigarette conformi ai requisiti relativi al tenore massimo di catrame permesso dal diritto comunitario, resta comunque il fatto che la determinazione da parte di taluni Stati membri di tenori massimi specifici per la nicotina comportava il rischio che il loro ulteriore abbassamento determinasse la creazione di ostacoli agli scambi.

71 Peraltro, il tredicesimo `considerando' della direttiva menziona l'esistenza di negoziati volti ad elaborare una convenzione quadro dell'Organizzazione mondiale della sanità per la lotta al tabagismo comprendente la definizione di norme internazionali applicabili ai prodotti del tabacco.

72 Inoltre, il diciannovesimo e il ventiduesimo `considerando' della direttiva rilevano l'esistenza negli Stati membri di normative diverse per quanto riguarda, da un lato, la presentazione delle avvertenze e l'indicazione dei tenori di sostanze nocive e, dall'altro, gli ingredienti e additivi utilizzati nella fabbricazione dei prodotti del tabacco.

73 Infine, dalla fase scritta del procedimento risulta che uno Stato membro aveva adottato disposizioni che regolamentavano l'uso di taluni termini descrittivi menzionati al ventisettesimo `considerando' della direttiva e previsti dall'art. 7 della medesima.

74 Occorre aggiungere che, a differenza della direttiva in discussione nella causa che ha dato origine alla sentenza sulla pubblicità a favore del tabacco, la direttiva contiene, al suo art. 13, n. 1, una disposizione che assicura la libera circolazione dei prodotti conformi ai suoi requisiti. Tale disposizione, vietando agli Stati membri di opporsi, per motivi attinenti agli aspetti da essa armonizzati, all'importazione, alla vendita e al consumo dei prodotti del tabacco che siano conformi alla direttiva, attribuisce a quest'ultima piena efficacia per quanto riguarda il suo obiettivo di migliorare le condizioni di funzionamento del mercato interno.

75 Da quanto precede risulta che la direttiva ha effettivamente l'obiettivo di migliorare le condizioni di funzionamento del mercato interno e che, di conseguenza, essa poteva essere adottata sulla base dell'art. 95 CE, senza che a ciò osti il fatto che la tutela della salute è stata determinante nelle scelte sottese alle misure di armonizzazione previste dalla direttiva stessa.

76 Tale conclusione non è rimessa in discussione dall'argomento secondo il quale, poiché la direttiva 90/239 aveva introdotto un regime completamente armonizzato applicabile al tenore di catrame, il legislatore non poteva intervenire di nuovo sulla base dell'art. 95 CE per disciplinare tale aspetto o, comunque, poteva farlo solo basandosi su nuovi riscontri scientifici.

77 Infatti, dal momento che la questione della determinazione del tenore massimo di nicotina era stata disciplinata in modo esaustivo dal legislatore comunitario nella direttiva 90/239, gli Stati membri non erano più competenti ad adottare individualmente disposizioni relative a tale questione. Orbene, come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 124 delle sue conclusioni, in tale situazione il legislatore può assolvere correttamente il compito che gli è affidato di vigilare alla protezione degli interessi generali riconosciuti dal Trattato, come la salute, solo se è libero di adeguare la normativa comunitaria pertinente a qualsiasi modifica delle circostanze o a qualsiasi sviluppo delle conoscenze.

78 Ne consegue che, anche quando una disposizione comunitaria garantisce l'eliminazione di qualsiasi ostacolo agli scambi nel settore che armonizza, tale circostanza non può privare il legislatore comunitario della possibilità di adeguare tale disposizione in funzione di altre considerazioni.

79 Per quanto riguarda, in particolare, la tutela della salute, risulta dall'art. 95, n. 3, CE che il legislatore comunitario deve garantire un livello elevato di tutela nell'armonizzazione realizzata, tenuto conto in particolare degli eventuali nuovi sviluppi fondati su riscontri scientifici.

80 Del resto, l'evoluzione delle conoscenze scientifiche non è il solo motivo per cui il legislatore comunitario può decidere di adeguare la legislazione comunitaria dal momento che esso può, nell'esercizio del potere discrezionale di cui dispone in questo settore, tenere conto anche di altri fattori, come l'accresciuta importanza attribuita sul piano politico e sociale alla lotta contro il tabagismo.

81 La conclusione secondo la quale l'art. 95 CE costituisce un fondamento normativo appropriato per l'adozione della direttiva non viene rimessa in questione neppure dall'argomento secondo il quale il divieto di fabbricare nella Comunità, per l'esportazione verso paesi terzi, sigarette non conformi ai requisiti dell'art. 3, n. 1, della direttiva non contribuirebbe effettivamente al miglioramento delle condizioni di funzionamento del mercato interno.

82 Infatti, se è vero che il divieto di fabbricazione in parola non è una disposizione che ha direttamente lo scopo di migliorare le condizioni di funzionamento del mercato interno, ciò non toglie che un atto adottato sulla base dell'art. 95 CE può includere una simile disposizione, qualora essa sia diretta ad evitare l'elusione di determinati divieti aventi tale scopo sanciti per il mercato interno (v., in tal senso, sentenza sulla pubblicità in favore del tabacco, punto 100).

83 Occorre rilevare a tale riguardo che la Corte ha ammesso che rischi di reimportazioni illecite o di sviamenti di traffico, idonei a compromettere l'efficacia di una misura comunitaria adottata nel settore della politica agricola comune, giustificavano un divieto di esportazione verso paesi terzi (sentenza 5 maggio 1998, causa C-180/96, Regno Unito/Commissione, Racc. pag. I-2265, punti 62 e 109).

84 Nella fattispecie, dall'undicesimo `considerando' della direttiva, relativo all'incidenza di quest'ultima sui prodotti del tabacco esportati a partire dalla Comunità, risulta che le norme che essa detta a tale riguardo sono state adottate per assicurare che non siano pregiudicate le disposizioni del mercato interno.

85 Dalle osservazioni presentate in corso di causa risulta che il legislatore comunitario intendeva nel caso di specie evitare il pregiudizio alle disposizioni sul mercato interno nel settore dei prodotti del tabacco che potrebbe derivare da reimportazioni illecite nella Comunità o da sviamenti di traffico all'interno della stessa, riguardanti prodotti non conformi ai requisiti dell'art. 3, n. 1, della direttiva, per quel che riguarda i tenori massimi di certe sostanze applicabili alle sigarette.

86 Vero è che i dati forniti dalle parti nella causa principale, dagli Stati membri e dalle istituzioni che hanno presentato osservazioni nel corso del presente procedimento, menzionati al paragrafo 64 delle conclusioni dell'avvocato generale, non permettono di stimare con precisione l'entità del commercio illegale di sigarette prodotte nella Comunità e vendute illegalmente sul mercato di quest'ultima dopo essere state reimportate da paesi terzi o immesse direttamente su tale mercato, mentre erano destinate ad essere esportate verso paesi terzi. E' vero altresì, come sostiene il governo tedesco, che il commercio illegale di sigarette trae origine essenzialmente dai profitti derivanti dal fatto che tali merci sfuggono ai prelievi fiscali e doganali a cui sarebbero di norma assoggettate, non essendo decisiva, a tale riguardo, l'elusione delle disposizioni relative alla composizione delle sigarette.

87 Tuttavia è incontestabile che il mercato delle sigarette si presti particolarmente allo sviluppo di un commercio illegale e che, se fosse autorizzata la fabbricazione nella stessa Comunità di sigarette che non potrebbero essere messe in circolazione o commercializzate all'interno di essa, ciò comporterebbe un aumento dei rischi di frode.

88 Inoltre, il rischio che sia pregiudicata l'efficacia delle misure previste dalla direttiva deve essere valutato non solo rispetto alla situazione precedente all'adozione di quest'ultima, ma anche tenendo conto dei prevedibili effetti delle sue disposizioni sulla natura e diffusione del commercio illegale di sigarette.

89 A tal proposito, è ragionevole pensare che l'abbassamento del tenore massimo ammissibile di catrame per sigaretta e l'introduzione di tenori massimi di nicotina e di monossido di carbonio, privando i consumatori della possibilità di procurarsi legalmente i prodotti non conformi a tali tenori massimi che essi erano abituati a consumare prima dell'introduzione dei nuovi requisiti, siano tali da incitarli a procurarsi questi prodotti illegalmente.

90 Pertanto, il divieto di fabbricazione previsto all'art. 3, n. 1, della direttiva può essere considerato come una misura destinata ad evitare l'elusione dei divieti, contenuti anch'essi in tale disposizione, di mettere in libera pratica e di commercializzare negli Stati membri sigarette non conformi ai requisiti ivi indicati.

91 Da quanto precede risulta che la direttiva poteva essere adottata sul fondamento dell'art. 95 CE, anche nella parte in cui essa prevede il divieto di fabbricare nella Comunità, per l'esportazione verso paesi terzi, sigarette non conformi ai requisiti dell'art. 3, n. 1, della stessa.

92 Per quanto riguarda la questione se il ricorso all'art. 133 CE come secondo fondamento normativo della direttiva fosse necessario o possibile nel caso di specie, occorre precisare quanto segue.

93 In via preliminare, si deve rammentare che, secondo una giurisprudenza consolidata, nell'ambito del sistema di competenze della Comunità, la scelta del fondamento normativo di un atto deve basarsi su elementi oggettivi, che possono costituire oggetto di sindacato giurisdizionale. Tra detti elementi figurano, in particolare, lo scopo e il contenuto dell'atto (v., in particolare, sentenze 4 aprile 2000, causa C-269/97, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I-2257, punto 43, e 30 gennaio 2001, causa C-36/98, Spagna/Consiglio, Racc. pag. I-779, punto 58).

94 Se l'esame di un atto comunitario dimostra che esso persegue una duplice finalità o che possiede una duplice componente e se una di queste è identificabile come principale o preponderante, mentre l'altra è solo accessoria, l'atto dev'essere basato su un solo fondamento normativo, vale a dire quello richiesto dalla finalità o componente principale o preponderante (v., in particolare, sentenze 23 febbraio 1999, causa C-42/97, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I-869, punti 39 e 40, nonché 30 gennaio 2001, Spagna/Consiglio, cit., punto 59). In via eccezionale, se si accerta che l'atto persegue contemporaneamente diversi obiettivi, che sono connessi in maniera inscindibile, senza che uno sia subordinato e indiretto rispetto all'altro, un atto del genere potrà essere basato sui diversi fondamenti giuridici corrispondenti (parere 6 dicembre 2001, 2/00, Racc. pag. I-9713, punto 23).

95 Alla luce dei principi richiamati ai due punti precedenti e tenuto conto della conclusione cui si è giunti al punto 91 della presente sentenza, si deve constatare che la direttiva non poteva avere contemporaneamente come fondamento normativo gli artt. 95 CE e 133 CE.

96 Infatti, senza che occorra esaminare se nelle disposizioni riguardanti i prodotti del tabacco esportati verso paesi terzi la direttiva perseguisse anche un obiettivo riconducibile all'attuazione della politica commerciale comune prevista all'art. 133 CE, si deve rilevare che, comunque, tale obiettivo avrebbe, alla luce dello scopo e del contenuto complessivo della direttiva, solo un carattere accessorio rispetto all'obiettivo principale che essa persegue, e cioè quello di migliorare le condizioni di funzionamento del mercato interno.

97 Da quanto precede risulta che l'art. 95 CE costituisce l'unico fondamento normativo appropriato della direttiva e che a torto quest'ultima menziona anche l'art. 133 CE quale suo fondamento normativo.

98 Tuttavia, tale erroneo riferimento all'art. 133 CE come secondo fondamento normativo della direttiva non determina di per sé l'invalidità di quest'ultima. Un simile errore nel preambolo di un atto comunitario costituisce infatti un vizio puramente formale, salvo che ne risulti un'irregolarità nel procedimento di adozione di tale atto (v., in tal senso, sentenza 27 settembre 1988, causa 165/87, Racc. pag. 5545, punto 19), aspetto quest'ultimo che, nel caso della direttiva, rientra nella prima questione, lett. b), esaminata ai punti 100-111 della presente sentenza.

99 Dalle considerazioni che precedono in merito alla prima questione, lett. a), risulta che la direttiva non è invalida per mancanza di un fondamento normativo appropriato.

Sulla prima questione, lett. b)

100 Con la sua prima questione, lett. b), il giudice del rinvio chiede in sostanza se il ricorso all' art. 95 CE e all'art. 133 CE come duplice fondamento normativo abbia viziato d'irregolarità la procedura di adozione della direttiva a causa dell'applicazione di due procedure legislative incompatibili tra loro e se la direttiva sia invalida in ragione di tale fatto.

Osservazioni presentate alla Corte

101 Le ricorrenti nella causa principale sostengono che le procedure legislative che la Comunità deve seguire quando adotta un atto sulla base rispettivamente degli artt. 95 CE e 133 CE sono diverse e incompatibili tra loro, per cui il ricorso a tale duplice fondamento normativo non è consentito (v., in particolare, sentenza 11 giugno 1991, causa C-300/89, Commissione/Consiglio, detta «Biossido di titanio», Racc. pag. I-2867, punti 17-21). Infatti, l'art. 95 CE obbliga il Consiglio ad agire di comune accordo con il Parlamento secondo la procedura di codecisione prevista all'art. 251 CE, mentre l'art. 133 CE instaura una procedura in cui l'intervento del Parlamento non è previsto e in cui il Consiglio delibera a maggioranza qualificata. L'applicazione della procedura di codecisione per l'adozione di una misura riguardante la politica commerciale comune, quando l'art. 133 CE non prevede neppure la consultazione del Parlamento, sarebbe contraria alla ripartizione di competenze tra istituzioni voluta dal Trattato.

102 I governi del Regno Unito, francese, italiano, dei Paesi Bassi, finlandese e svedese, nonché il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, sostengono che gli artt. 95 CE e 133 CE non costituiscono due fondamenti giuridici incompatibili tra loro. Essi affermano in sostanza che, se i due citati articoli del Trattato comportano l'applicazione di procedure legislative diverse, queste ultime, a differenza delle procedure in discussione nella causa che ha dato origine alla citata sentenza Biossido di titanio, non sono incompatibili tra loro dal momento che possono essere cumulate senza che ne risulti alterata la portata dell'intervento del Parlamento nella procedura legislativa.

Giudizio della Corte

103 A titolo preliminare si deve ricordare che, come è stato rilevato al punto 97 della presente sentenza, l'art. 95 CE costituisce il solo fondamento normativo appropriato della decisione. Pertanto, per rispondere alla prima questione, lett. b), si deve stabilire se la procedura legislativa che è stata effettivamente seguita al momento dell'adozione della direttiva, sulla base degli artt. 95 CE e 133 CE, soddisfi i requisiti della procedura legislativa applicabile per l'adozione di un atto comunitario sul fondamento del solo art. 95 CE.

104 L'art. 95, n. 1, CE prevede che le misure disposte sul suo fondamento siano adottate conformemente alla procedura di codecisione di cui all'art. 251 CE e previa consultazione del Comitato economico e sociale.

105 Orbene, è pacifico che tale procedura è stata seguita nel caso di specie per l'adozione della direttiva.

106 D'altra parte, l'aggiunta dell'art. 133 CE all'art. 95 CE come secondo fondamento normativo della direttiva non ha leso la sostanza della procedura di codecisione seguita nel caso di specie.

107 Infatti, l'art. 133, n. 4, CE prevede che il Consiglio, nell'esercizio delle competenze conferitegli da tale disposizione, delibera a maggioranza qualificata.

108 Così, il fatto che sia stata seguita la procedura istituita per l'adozione di atti basati su questo secondo fondamento normativo non ha fatto sorgere l'obbligo per il Consiglio di pronunciarsi comunque all'unanimità, considerato che, nella procedura di codecisione prevista all'art. 251 CE, esso delibera in linea di principio a maggioranza qualificata, salvo quando abbia intenzione di accogliere gli emendamenti apportati alla sua posizione comune dal Parlamento e che siano stati oggetto di un parere negativo della Commissione, caso quest'ultimo in cui deve deliberare all'unanimità.

109 Pertanto, a differenza della situazione che ha dato origine alla citata sentenza Biossido di titanio, l'elemento essenziale della procedura legislativa, costituito dalla distinzione tra i casi in cui il Consiglio si pronuncia a maggioranza qualificata e quelli in cui delibera all'unanimità, non è affatto compromesso nel caso di specie dal contemporaneo riferimento ai due fondamenti giuridici menzionati dalla direttiva.

110 Per quanto riguarda l'argomento secondo il quale l'applicazione della procedura di codecisione in sede di adozione di una misura riguardante la politica commerciale comune sarebbe contraria alla ripartizione di competenze tra istituzioni voluta dal Trattato, esso è comunque privo di pertinenza nel caso di specie in quanto, come risulta dal punto 97 della presente sentenza, la direttiva non costituisce un atto che doveva essere adottato sul fondamento dell'art. 133 CE.

111 Dalle considerazioni che precedono in ordine alla prima questione, lett. b), risulta che il ricorso al duplice fondamento normativo degli artt. 95 CE e 133 CE non ha viziato d'irregolarità la procedura di adozione della direttiva e che quest'ultima non è invalida per tale motivo.

Sulla prima questione, lett. c)

112 Con la sua prima questione, lett. c), il giudice del rinvio chiede se la direttiva sia in tutto o in parte invalida in ragione della violazione del principio di proporzionalità.

Osservazioni presentate alla Corte

113 Le ricorrenti nella causa principale affermano che, anche se si ammettesse che la direttiva può avere effettivamente l'obiettivo di realizzare il mercato interno o di attuare una politica commerciale comune, i mezzi che impiega per realizzare tali obiettivi sono sproporzionati, il che vale segnatamente per i suoi artt. 5 e 7, come pure per la sua applicazione alle sigarette destinate all'esportazione verso paesi terzi.

114 Esse sostengono, in particolare, a proposito dell'art. 7 della direttiva, che il divieto dei termini descrittivi che si riferiscono a tenori inferiori di sostanze nocive non sarebbe coerente con l'obiettivo enunciato all'art. 3, n. 1, della direttiva, che è di ridurre ulteriormente il tenore di catrame per ragioni sanitarie. Esse affermano inoltre che il detto art. 7 arreca ai loro diritti un pregiudizio che va ben oltre quanto necessario per realizzare l'obiettivo legittimo che tale disposizione asserisce di perseguire. A tal proposito, la legislazione spagnola in materia, la quale prevede semplicemente disposizioni che regolamentano l'uso degli elementi descrittivi, costituirebbe un valido esempio di normativa che, pur tutelando la salute, arrecherebbe minor pregiudizio ai diritti dei fabbricanti di prodotti del tabacco.

115 Le ricorrenti nella causa principale affermano anche che il divieto di fabbricare per l'esportazione verso paesi terzi sigarette non conformi alle disposizioni dell'art. 3, n. 1, della direttiva non costituisce il metodo appropriato per evitare che siano aggirati i nuovi limiti stabiliti da tale disposizione, in particolare in considerazione del fatto che la stragrande maggioranza delle sigarette importate illegalmente nella Comunità sarebbe fabbricata al di fuori della Comunità stessa.

116 Secondo la Japan Tobacco, l'art. 7 della direttiva viola il principio di proporzionalità laddove venga applicato ai marchi esistenti. A tale proposito, si afferma che la disposizione in parola non costituirebbe il mezzo meno restrittivo per conseguire gli obiettivi della direttiva. Infatti, tale disposizione, letta alla luce del ventisettesimo `considerando' della direttiva, partirebbe dalla premessa secondo la quale i consumatori ignorano che i tenori di catrame e di nicotina che inalano possono essere influenzati dalle loro abitudini di fumo; pertanto, sarebbe stato sufficiente apporre sulla confezione un messaggio a tal proposito invece di vietare l'utilizzazione di termini descrittivi. D'altronde, una clausola relativa ai diritti acquisiti avrebbe potuto essere prevista dalla direttiva, per escludere l'applicazione del suo art. 7 ai marchi già depositati, come il marchio Mild Seven.

117 I governi tedesco, ellenico e lussemburghese affermano che il divieto di fabbricazione a fini di esportazione, previsto all'art. 3 della direttiva, nonché il divieto di impiegare taluni termini descrittivi, sancito dall'art. 7 di quest'ultima, violano il principio di proporzionalità in quanto sono inadeguati e arrecano un pregiudizio eccessivo agli interessi economici dei fabbricanti dei prodotti del tabacco. Per quanto riguarda il menzionato art. 3, sostengono in particolare che esso non permette di assicurare una tutela effettiva contro il rischio di importazioni illegali di sigarette nella Comunità, alla luce del volume trascurabile delle reimportazioni di sigarette in quest'ultima, e che un simile rischio avrebbe potuto piuttosto essere evitato con accresciuti controlli sulle importazioni. Quanto all'art. 7 della direttiva, i citati governi affermano che, contrariamente al divieto assoluto di utilizzazione di termini descrittivi previsto da tale disposizione, una regolamentazione dell'utilizzazione di questi ultimi, come quella esistente nella legislazione spagnola, fondata su una classificazione dei prodotti secondo il loro tenore di catrame e di nicotina, avrebbe permesso un'informazione obiettiva del consumatore senza incidere eccessivamente sugli interessi economici dei fabbricanti di prodotti del tabacco.

118 I governi belga, francese e svedese, nonché il Consiglio e la Commissione, sostengono che la direttiva è conforme al principio di proporzionalità in quanto le sue disposizioni non vanno oltre quanto necessario per assicurare il buon funzionamento del mercato interno nel settore di prodotti del tabacco e per garantire, contemporaneamente, un livello elevato di tutela della salute.

119 Per quanto riguarda, più specificamente, l'art. 7 della direttiva, il governo francese rileva che tale disposizione non vieta tutte le menzioni o presentazioni di sigarette che permettono di attirare o conquistare i fumatori, ma esclusivamente quelle che indicano che un particolare prodotto del tabacco è meno nocivo degli altri.

120 Secondo il governo svedese, poiché il consumo di prodotti del tabacco è associato a rischi seri per la salute, è di particolare importanza che i consumatori non siano tratti in inganno per quel che riguarda i rischi legati a tale consumo ed è difficile individuare un'alternativa al divieto previsto al detto art. 7 che garantisca lo stesso risultato di quest'ultimo, comportando però effetti meno lesivi per i titolari dei marchi.

121 La Commissione afferma che il detto art. 7 non è incompatibile con l'obiettivo enunciato all'art. 3, n. 1, della direttiva, che è di ridurre il tenore di catrame delle sigarette. Infatti, poiché i termini descrittivi non erano disciplinati a livello comunitario, essi potevano essere utilizzati dai fabbricanti di prodotti del tabacco per indicare altre caratteristiche di una sigaretta, come il gusto, che non sono in rapporto con il suo tenore di catrame, inducendo così in errore il consumatore. La Commissione aggiunge che, anche se le sigarette «leggere» contengono effettivamente un tenore inferiore di catrame, numerosi fumatori sono indotti in errore perché si dà loro la falsa impressione che si tratti di prodotti innocui, il che è falso, in particolare in quanto il fumo di sigaretta contiene anche altri prodotti dannosi che non sono disciplinati dalla direttiva.

Giudizio della Corte

122 In via preliminare occorre ricordare che il principio di proporzionalità, che è parte integrante dei principi generali del diritto comunitario, esige che gli strumenti predisposti da una norma comunitaria siano idonei a realizzare lo scopo perseguito e non vadano oltre quanto è necessario per raggiungerlo (v., in particolare, sentenze 18 novembre 1987, causa 137/85, Maizena, Racc. pag. 4587, punto 15; 7 dicembre 1993, causa C-339/92, ADM Ölmühlen, Racc. pag. I-6473, punto 15, e 11 luglio 2002, causa C-210/00, Käserei Champignon Hofmeister, Racc. pag. I-6453, punto 59).

123 Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale delle condizioni menzionate al punto precedente, occorre sottolineare che si deve riconoscere al legislatore comunitario un ampio potere discrezionale in un settore come quello del caso di specie, che richiede da parte sua scelte di natura politica, economica e sociale e rispetto al quale esso è chiamato ad effettuare valutazioni complesse. Di conseguenza, solo la manifesta inidoneità di una misura adottata in tale ambito, in relazione allo scopo che l'istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale misura (v., in tal senso, sentenze 12 novembre 1996, causa C-84/94, Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. I-5755, punto 58; 13 maggio 1997, causa C-233/94, Germania/Parlamento e Consiglio, Racc. pag. I-2405, punti 55 e 56, nonché 5 maggio 1998, causa C-157/96, National Farmers' Union e a., Racc. pag. I-2211, punto 61).

124 Per quanto riguarda la direttiva, dal suo primo, secondo e terzo `considerando' risulta che essa ha l'obiettivo, ravvicinando le norme applicabili in materia, di eliminare gli ostacoli risultanti dalle differenze che, malgrado le misure di armonizzazione già adottate, continuano ad esistere tra le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco e che ostacolano il funzionamento del mercato interno. Inoltre risulta dal suo quarto `considerando' che nella realizzazione di tale obiettivo la direttiva si basa su un livello di protezione elevato in materia di salute, in conformità all'art. 95, n. 3, del Trattato.

125 In corso di causa sono stati esposti diversi argomenti per contestare la conformità della direttiva al principio di proporzionalità, in particolare per quanto riguarda i suoi artt. 3, 5 e 7.

126 Si deve rilevare, in primo luogo, che il divieto, previsto dall'art. 3 della direttiva, di immettere in libera pratica e di commercializzare nella Comunità sigarette che non rispettano il tenore massimo di catrame, nicotina e monossido di carbonio, combinato con l'obbligo a carico degli Stati membri di autorizzare l'importazione, la vendita e il consumo di sigarette che rispettano tale tenore, conformemente all'art. 13, n. 1, della detta direttiva, è una misura idonea a realizzare l'obiettivo da essa perseguito e che, tenuto conto dell'obbligo imposto al legislatore comunitario di garantire un livello elevato di protezione in materia di salute, non va oltre quanto necessario per conseguire tale obiettivo.

127 Per quanto riguarda poi il divieto, anch'esso previsto dall'art. 3 della direttiva, di fabbricare sigarette che non rispettino il tenore massimo fissato da tale disposizione, esso ha l'obiettivo, come già rilevato al punto 85 della presente sentenza, di evitare il pregiudizio alle disposizioni sul mercato interno nel settore dei prodotti del tabacco che potrebbe derivare da reimportazioni illecite nella Comunità o da sviamenti di traffico all'interno della stessa, riguardanti prodotti non conformi ai requisiti del n. 1 della detta disposizione.

128 La proporzionalità di tale divieto di fabbricazione è stata messa in discussione, in quanto esso non rappresenterebbe una misura idonea a conseguire il suo obiettivo e andrebbe oltre quanto necessario per conseguirlo, in particolare dal momento che sarebbe stata sufficiente una misura alternativa, come l'inasprimento dei controlli sulle importazioni in provenienza da paesi terzi.

129 A tale proposito si deve indicare che, se il divieto in parola non permette di per sé di evitare lo sviluppo del commercio illegale di sigarette nella Comunità, tenuto conto in particolare del fatto che sigarette non rispondenti ai requisiti dell'art. 3, n. 1, della direttiva possono anche essere immesse illegalmente sul mercato comunitario dopo essere state fabbricate in paesi terzi, il legislatore comunitario non ha ecceduto i limiti del suo potere discrezionale quando ha ritenuto che un simile divieto costituisca comunque una misura idonea a contribuire efficacemente a limitare il rischio di aumento del commercio illegale di sigarette e a prevenire il danno che ne deriverebbe al mercato interno.

130 Inoltre, non è certo che un inasprimento dei controlli sarebbe sufficiente nel caso di specie a conseguire l'obiettivo perseguito dalla disposizione contestata. A tale proposito, si deve rilevare che il divieto di fabbricazione in esame è particolarmente adatto a prevenire alla fonte gli sviamenti di traffico riguardanti sigarette fabbricate all'interno della Comunità per essere esportate verso paesi terzi, sviamenti che costituiscono una forma di frode la quale, per definizione, non può essere combattuta altrettanto efficacemente da una misura alternativa come l'inasprimento dei controlli alle frontiere della Comunità.

131 Per quanto riguarda l'art. 5 della direttiva, l'obbligo di apporre sui pacchetti di sigarette indicazioni relative al tenore di catrame, di nicotina e di monossido di carbonio di queste ultime e quello di menzionare sulle confezioni dei prodotti del tabacco avvertenze relative ai rischi per la salute che tali prodotti comportano sono misure idonee a conseguire un elevato livello di tutela della salute nel momento in cui si eliminano gli ostacoli derivanti dalle legislazioni nazionali in materia di etichettatura. Tali obblighi costituiscono infatti un metodo riconosciuto di incitare i consumatori a ridurre il loro consumo di prodotti del tabacco o di orientarli verso quelli tra essi che presentano meno rischi per la salute.

132 Pertanto, imponendo, con l'art. 5 della direttiva, l'aumento della percentuale della superficie, su determinati lati delle confezioni unitarie dei prodotti del tabacco, che deve essere riservata a tali indicazioni e a tali avvertenze, in una proporzione che lascia sussistere uno spazio sufficiente affinché i fabbricanti di tali prodotti possano apporvi altri elementi, in particolare quelli relativi ai loro marchi, il legislatore non ha ecceduto i limiti del potere discrezionale che gli è attribuito in materia.

133 Per quanto riguarda le disposizioni dell'art. 7 della direttiva, occorre osservare quanto segue.

134 L'obiettivo di tale disposizione è chiarito al ventisettesimo `considerando' della direttiva, da cui risulta che il divieto di utilizzare sulle confezioni dei prodotti del tabacco taluni termini quali «a basso tenore di catrame», «light», «ultra-light», «mild», nonché talune denominazioni, immagini o taluni elementi figurativi o altri, è giustificato dal timore che tali diciture traggano in inganno il consumatore dando la falsa impressione che i suddetti prodotti siano meno nocivi, e portino ad un aumento dei consumi. Il detto `considerando' precisa a tale proposito che il livello delle sostanze nocive inalate dipende non solo dal contenuto di esse nel prodotto prima del consumo, ma anche dalle abitudini di fumo e dalla dipendenza, per cui un uso dei menzionati termini descrittivi che non tenga conto di tale fatto potrebbe minare il sistema di requisiti per l'etichettatura stabiliti dalla direttiva.

135 L'art. 7 della direttiva, letto alla luce del ventisettesimo `considerando' di quest'ultima, mira quindi a garantire che il consumatore sia informato in modo obiettivo della nocività dei prodotti del tabacco.

136 Un simile requisito di informazione è idoneo a conseguire un elevato livello di tutela in materia di salute al momento dell'armonizzazione delle disposizioni applicabili alla designazione dei prodotti del tabacco.

137 Orbene, il legislatore comunitario ha potuto ritenere, senza eccedere i limiti del suo potere discrezionale, che l'indicazione del tenore in catrame, in nicotina e in monossido di carbonio, conformemente all'art. 5, n. 1, della direttiva, garantisse in modo obiettivo l'informazione del consumatore per quanto riguarda la nocività dei prodotti del tabacco legata a tali sostanze, mentre l'uso di elementi descrittivi simili a quelli indicati all'art. 7 della direttiva non garantiva che il consumatore fosse informato in modo obiettivo.

138 Infatti, come ha rilevato l'avvocato generale ai paragrafi 241-248 delle sue conclusioni, tali elementi descrittivi possono indurre il consumatore in errore. In primo luogo, possono riferirsi, come il termine «mild», ad uno stimolo gustativo, che non ha nulla a che vedere con il tenore di sostanze nocive nel prodotto. In secondo luogo, termini quali «a basso tenore di catrame», «ultra-light», «light» non si riferiscono, in mancanza di regolamentazione dell'uso di tali termini, a livelli quantitativi precisi. In terzo luogo, anche se il prodotto in questione presenta un tenore inferiore di catrame, di nicotina e di monossido di carbonio rispetto ad altri prodotti, rimane pur vero che, da un lato, la quantità di tali sostanze effettivamente inalata dal consumatore dipende anche dal suo modo di fumare e che, dall'altro, tale prodotto può contenere altre sostanze nocive. In quarto luogo, l'uso di elementi descrittivi che suggeriscono che il consumo di un particolare prodotto del tabacco presenta un vantaggio per la salute rispetto ad altri prodotti del tabacco rischia di incoraggiare il tabagismo.

139 D'altronde, il legislatore comunitario ha potuto ritenere, senza eccedere i limiti del potere discrezionale che gli è attribuito in materia, che, per assicurare l'informazione obiettiva dei consumatori per quanto riguarda la nocività dei prodotti del tabacco, il divieto previsto all'art. 7 della direttiva fosse necessario e che, in particolare, non esistessero misure alternative che permettessero di conseguire tale obiettivo in modo altrettanto efficace, ma meno restrittivo per i diritti dei fabbricanti di prodotti del tabacco.

140 Infatti, non è certo che la semplice regolamentazione dell'uso degli elementi descrittivi previsti all'art. 7, nella forma suggerita dalle ricorrenti nella causa principale, nonché dai governi tedesco, ellenico e lussemburghese, o il fatto di indicare sulla confezione dei prodotti del tabacco, come propone la Japan Tobacco, che i quantitativi di sostanze nocive inalate dipendono anche dalle abitudini di fumo del fumatore avrebbero assicurato un'informazione obiettiva dei consumatori, tenuto conto del fatto che tali elementi descrittivi sono comunque, per loro natura, idonei a incoraggiare il tabagismo.

141 Dalle considerazioni che precedono in merito alla prima questione, lett. c), risulta che la direttiva non è invalida per violazione del principio di proporzionalità.

Sulla prima questione, lett. d)

142 Con la sua prima questione, lett. d), il giudice del rinvio chiede se la direttiva sia in tutto o in parte invalida in ragione della violazione dell'art. 295 CE, del diritto fondamentale di proprietà e/o dell'art. 20 dell'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (in prosieguo: l'«accordo ADPIC» - in inglese: il «TRIPs» -), che compare quale allegato I C dell'accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio (in prosieguo: l'«accordo OMC»), approvato a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, mediante la decisione del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/800/CE (GU L 336, pag. 1).

Osservazioni presentate alla Corte

143 Le ricorrenti nella causa principale sostengono che gli artt. 5 e 7 della direttiva violano l'art. 295 CE nonché il diritto fondamentale di proprietà e/o l'art. 20 dell'accordo ADPIC; quest'ultima disposizione prevede che l'uso di un marchio non deve essere ostacolato senza giusto motivo da obblighi speciali quali un uso che ne pregiudichi l'idoneità a contraddistinguere i prodotti e servizi di un'impresa da quelli di altre imprese. Esse fanno valere a tale proposito che la dimensione assai rilevante delle nuove avvertenze in materia di salute imposte dall'art. 5 della direttiva comporta un ostacolo consistente ai loro diritti di proprietà intellettuale. Infatti, tali avvertenze domineranno l'apparenza generale delle confezioni dei prodotti del tabacco e di conseguenza limiteranno, o addirittura impediranno, l'uso dei propri marchi da parte dei fabbricanti di tali prodotti. Esse affermano anche che il divieto assoluto di utilizzo dei termini descrittivi previsti all'art. 7 della direttiva le priverà di un certo numero dei loro marchi depositati, in quanto esse non saranno più autorizzate a usarli.

144 Secondo la Japan Tobacco, l'art. 7 della direttiva le vieta di esercitare i propri diritti di proprietà intellettuale, impedendole di utilizzare nella Comunità il suo marchio Mild Seven e privandola del vantaggio economico delle sue licenze esclusive su tale marchio. Un simile risultato comporterebbe in particolare una violazione del diritto di proprietà, che è riconosciuto come diritto fondamentale nell'ordinamento giuridico comunitario, tutelato dall'art. 1, primo comma, del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e riconosciuto anche dall'art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

145 I governi ellenico e lussemburghese sostengono che l'art. 7 della direttiva comporta una violazione dei diritti di proprietà intellettuale dei fabbricanti di prodotti del tabacco e compromette i risultati economici di questi ultimi in quanto, proibendo assolutamente di usare taluni termini descrittivi, ha l'effetto di vietare puramente e semplicemente taluni marchi regolarmente depositati da tali fabbricanti.

146 I governi del Regno Unito, belga, francese, dei Paesi Bassi e svedese, nonché il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, fanno innanzi tutto valere che le disposizioni della direttiva non incidono affatto sul regime della proprietà negli Stati membri ai sensi dell'art. 295 CE. Essi sostengono inoltre che il diritto fondamentale di proprietà non costituisce una prerogativa assoluta, ma che può essere limitato per motivi di interesse generale come la tutela della salute di cui è questione nella causa principale. Infine, a loro parere, l'accordo ADPIC non ha effetto diretto e, comunque, le disposizioni della direttiva non sono contrarie all'art. 20 di tale accordo, dal momento che essa non vieta a ogni fabbricante di sigarette di continuare a usare il suo marchio distinguendolo dagli altri per mezzo dei termini, simboli, colori e disegni che sono parti integranti di esso e che il fabbricante può raffigurare sulle superfici disponibili della confezione dei prodotti del tabacco.

Giudizio della Corte

147 Per quel che riguarda, anzitutto, la validità della direttiva rispetto all'art. 295 CE, occorre rammentare che, secondo tale disposizione, il Trattato «lascia del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri». Tale disposizione si limita a riconoscere agli Stati membri il potere di definire la disciplina del diritto di proprietà, ma non vieta qualsiasi intervento comunitario avente un'incidenza sull'esercizio di un diritto di proprietà (v., in tal senso, sentenza 13 luglio 1966, cause riunite 56/64 e 58/64, Consten e Grundig/Commissione, Racc. pag. 457, a pag. 523).

148 Orbene, si deve constatare che, nel caso di specie, la direttiva non pregiudica affatto la disciplina del diritto di proprietà negli Stati membri, ai sensi dell'art. 295 CE, e che quest'ultimo non è pertinente per quanto riguarda l'eventuale incidenza della direttiva sull'esercizio da parte dei fabbricanti di prodotti del tabacco del loro diritto di marchio su tali prodotti.

149 Per quanto riguarda inoltre la validità della direttiva riguardo al diritto di proprietà si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, tale diritto fa parte dei principi generali del diritto comunitario, ma non costituisce una prerogativa assoluta, in quanto va considerato alla luce della sua funzione sociale. Ne consegue che possono essere apportate restrizioni all'esercizio del diritto di proprietà, purché tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile che leda la sostanza stessa dei diritti così garantiti (v., in particolare, sentenze 11 luglio 1989, causa 265/87, Schräder, Racc. pag. 2237, punto 15; 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania/Consiglio, Racc.pag. I-4973, punto 78, e 29 aprile 1999, causa C-293/97, Standley e a., Racc. pag. I-2603, punto 54).

150 Orbene, come risulta dai punti 131 e 132 della presente sentenza, l'art. 5 della direttiva ha esclusivamente l'effetto di limitare il diritto dei fabbricanti di prodotti del tabacco di utilizzare lo spazio esistente su taluni lati dei pacchetti di sigarette o delle confezioni dei prodotti del tabacco per apporvi i loro marchi, senza ledere la sostanza del loro diritto di marchio, e ciò al fine di garantire un livello elevato di tutela della salute al momento della soppressione degli ostacoli derivanti dalle legislazioni nazionali in materia di etichettatura. L'art. 5 della direttiva costituisce, alla luce di tale esame, una limitazione proporzionata all'esercizio del diritto di proprietà, compatibile con la tutela riconosciuta a quest'ultimo dal diritto comunitario.

151 Per quanto riguarda l'art. 7 della direttiva, si deve ricordare che risulta dai punti 134-141 della presente sentenza che esso è volto a garantire, in modo conforme al principio di proporzionalità, un elevato livello di tutela in materia di salute in occasione dell'armonizzazione delle disposizioni applicabili alla designazione dei prodotti del tabacco.

152 Se è vero che tale articolo comporta il divieto, limitato alla confezione dei prodotti del tabacco, di utilizzare un marchio contenente uno degli elementi descrittivi ivi previsti, ciò non toglie che un fabbricante di prodotti del tabacco può continuare, malgrado la soppressione di tale elemento descrittivo sulla confezione, a contraddistinguere il suo prodotto per mezzo di altri segni distintivi. Inoltre, la direttiva prevede un termine sufficiente tra la sua adozione e l'attuazione del divieto previsto dal detto art. 7.

153 Tenuto conto di quanto precede, si deve ritenere che le limitazioni del diritto di marchio che possono derivare dall'art. 7 della direttiva rispondono effettivamente ad un obiettivo di interesse generale perseguito dalla Comunità e non costituiscono, rispetto all'obiettivo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile che leda la sostanza stessa di tale diritto.

154 Per quanto riguarda infine la validità della direttiva rispetto all'art. 20 dell'accordo ADPIC, occorre ricordare che da giurisprudenza consolidata risulta che la legittimità di un atto comunitario non può essere valutata alla luce di atti di diritto internazionale i quali, come l'accordo OMC e l'accordo ADPIC che ne fa parte, non figurano in linea di principio, tenuto conto della loro natura e della loro economia, tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie (sentenze 23 novembre 1999, causa C-149/96, Portogallo/Consiglio, Racc. pag. I-8395, punto 47; Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio, cit., punto 52; 22 novembre 2001, causa C-301/97, Paesi Bassi/Consiglio, Racc. pag. I-8853, punto 53, e 12 marzo 2002, cause riunite C-27/00 e C-122/00, Omega Air e a., Racc. pag. I-2569, punto 93).

155 Da questa giurisprudenza risulta inoltre che solo nel caso in cui la Comunità abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell'ambito dell'OMC, ovvero nel caso in cui l'atto comunitario rinvii espressamente a precise disposizioni degli accordi OMC, spetta alla Corte controllare la legittimità dell'atto comunitario controverso alla luce delle norme dell'OMC (citate sentenze Portogallo/Consiglio, punto 49; Paesi Bassi/Consiglio, punto 54, e Omega Air e a., punto 94).

156 Si deve constatare che tali condizioni non ricorrono nel caso della direttiva, per cui non occorre esaminare la validità di quest'ultima rispetto all'art. 20 dell'accordo ADPIC.

157 Dalle considerazioni che precedono in merito alla prima questione, lett. d), risulta che la direttiva non è invalida per violazione dell'art. 295 CE ovvero del diritto fondamentale di proprietà.

Sulla prima questione, lett. e)

158 Con la sua prima questione, lett. e), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva sia in tutto o in parte invalida in ragione della violazione dell'obbligo di motivazione previsto all'art. 253 CE.

Osservazioni presentate alla Corte

159 Le ricorrenti nella causa principale affermano in particolare che, anche se si ammettesse che il legislatore comunitario ha il potere di legiferare nuovamente per quanto riguarda il tenore in catrame e l'etichettatura sulla base dell'art. 95 CE, sebbene tali questioni siano state precedentemente oggetto di un'armonizzazione a livello comunitario, tale normativa dovrebbe almeno poggiare su «nuovi sviluppi fondati su riscontri scientifici», secondo quanto prevede l'art. 95, n. 3, CE. Pertanto, l'assenza nella direttiva di qualsiasi riferimento a riscontri scientifici riguardanti le nuove disposizioni relative al tenore in catrame e all'etichettatura che figurano agli artt. 3 e 5 di quest'ultima sarebbe in contrasto con l'art. 253 CE.

160 Secondo la Japan Tobacco, la direttiva non soddisfa i requisiti dell'art. 253 CE in quanto non chiarisce le ragioni di fatto e di diritto che hanno indotto il legislatore comunitario a decidere che il divieto di utilizzare taluni elementi descrittivi previsti all'art. 7 della direttiva era necessario.

161 Il governo tedesco sostiene che l'art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva è invalido in quanto prevede un divieto di fabbricazione di sigarette non conformi ai requisiti relativi ai tenori massimi di sostanze nocive e destinate a essere esportate verso paesi terzi, senza che siano indicate, nei `considerando' della detta direttiva, le ragioni per cui la tutela della salute nella Comunità sarebbe danneggiata in modo significativo da una reimportazione illegale di prodotti del tabacco fabbricati in quest'ultima.

162 Il governo ellenico afferma in particolare che il semplice riferimento, nell'undicesimo `considerando' della direttiva, alla necessità di adottare norme per evitare un pregiudizio alle disposizioni sul mercato interno non integra gli estremi della motivazione richiesta dall'art. 253 CE, in quanto il detto `considerando' non contiene una descrizione generale del pericolo attuale o futuro, assai probabile, a cui fa riferimento.

163 Il governo lussemburghese ritiene che la direttiva sia viziata da una carenza di motivazione segnatamente in quanto i suoi `considerando' si limitano a ripetere lo stesso riferimento al «buon funzionamento del mercato interno», senza peraltro precisare la ragione per cui esso sarebbe compromesso in mancanza di adozione della direttiva.

164 Secondo i governi del Regno Unito, belga, francese, italiano e dei Paesi Bassi, nonché secondo il Parlamento e il Consiglio, la direttiva comporta una motivazione sufficiente rispetto ai requisiti dell'art. 253 CE. A tale riguardo essi sostengono, in particolare, che il legislatore comunitario non è tenuto a motivare specificamente ogni scelta tecnica che effettua.

Giudizio della Corte

165 Occorre ricordare che, anche se la motivazione prescritta dall'art. 253 CE deve far apparire in maniera chiara e non equivoca l'iter logico seguito dall'istituzione da cui promana l'atto controverso, per consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e per permettere alla Corte di esercitare il proprio controllo, non si richiede tuttavia che la motivazione contenga tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti (v., in particolare, sentenza 29 febbraio 1996, causa C-122/94, Commissione/Consiglio, Racc. pag. I-881, punto 29).

166 L'adempimento dell'obbligo di motivazione va peraltro valutato con riferimento non solo al testo dell'atto criticato, ma anche al contesto di quest'ultimo e all'insieme delle norme giuridiche che disciplinano la materia. Di conseguenza, se l'atto contestato fa emergere, per l'essenziale, lo scopo perseguito dall'istituzione, è superfluo esigere una motivazione specifica per ciascuna delle scelte tecniche da essa operate (v., in particolare, sentenza 5 luglio 2001, causa C-100/99, Italia/Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-5217, punto 64).

167 Orbene, per quanto riguarda la direttiva, si deve constatare che i suoi `considerando' mostrano chiaramente che le misure che essa prevede sono dirette, ravvicinando le norme applicabili in materia, ad eliminare gli ostacoli risultanti dalle differenze che, malgrado le misure di armonizzazione già adottate, ancora esistono tra le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco e che ostacolano il funzionamento del mercato interno.

168 E' quanto avviene in primo luogo nel caso dei primi tre `considerando' della direttiva, che indicano chiaramente come essa abbia lo scopo di rifondere le direttive 89/622 e 90/239, riprendendo e completando le disposizioni di queste ultime per migliorare il funzionamento del mercato interno nel settore dei prodotti del tabacco.

169 E' quanto avviene, poi, nel caso del quinto, settimo, nono, undicesimo, quattordicesimo, diciannovesimo e ventunesimo `considerando' della direttiva, che specificano i principali aspetti per cui il rafforzamento delle misure di armonizzazione esistenti o l'introduzione di nuove misure di armonizzazione sono giudicati necessari dal legislatore comunitario, per quanto riguarda, rispettivamente, i limiti massimi del tenore in catrame, in monossido di carbonio e in nicotina autorizzati nelle sigarette, l'incidenza della direttiva sui prodotti del tabacco esportati a partire dalla Comunità, le norme che consentono di misurare il tenore in catrame, in nicotina e in monossido di carbonio delle sigarette, la presentazione delle avvertenze relative alla salute e l'indicazione dei tenori summenzionati sulle confezioni dei prodotti del tabacco, nonché il divieto di uso di taluni elementi descrittivi sulla confezione dei prodotti del tabacco.

170 L'argomento secondo il quale la direttiva avrebbe dovuto fare riferimento a riscontri scientifici per giustificare le nuove disposizioni che contiene rispetto alle misure comunitarie adottate anteriormente non può essere accolto. Infatti, dal punto 80 della presente sentenza risulta che l'art. 95 CE non richiede che sia invocata l'evoluzione delle conoscenze scientifiche affinché il legislatore comunitario possa adottare misure fondate su tale disposizione.

171 Quanto all'argomento secondo cui la direttiva non è correttamente motivata nella parte in cui prevede un divieto di fabbricazione delle sigarette destinate ad essere esportate verso paesi terzi, esso va parimenti disatteso, dal momento che costituisce una motivazione sufficiente a tale proposito l'indicazione che compare all'undicesimo `considerando' della direttiva, secondo cui, per quanto riguarda tali prodotti, si dovrebbero adottare norme per assicurare che le disposizioni relative al mercato interno non siano pregiudicate.

172 Dalle considerazioni che precedono in merito alla prima questione, lett. e), risulta che la direttiva non è invalida per violazione dell'obbligo di motivazione previsto all'art. 253 CE.

Sulla prima questione, lett. f)

173 Con la sua prima questione, lett. f), il giudice del rinvio chiede se la direttiva sia in tutto o in parte invalida in ragione della violazione del principio di sussidiarietà.

Osservazioni presentate alla Corte

174 Le ricorrenti nella causa principale affermano che il principio di sussidiarietà si applica alle misure che riguardano il mercato interno come quelle contenute nella direttiva e che, quando quest'ultima è stata adottata, il legislatore comunitario ha completamente omesso di considerare tale principio o, comunque, ha omesso di prenderlo in considerazione in modo corretto. Infatti, se lo avesse fatto, sarebbe dovuto giungere alla conclusione che l'adozione della direttiva non era necessaria, dato che erano già state adottate norme armonizzate con le direttive 89/622 e 90/239 al fine di eliminare gli ostacoli agli scambi dei prodotti del tabacco. D'altra parte, non sarebbe stata fornita alcuna prova dell'impossibilità per gli Stati membri di adottare le misure di tutela della salute che giudicavano necessarie.

175 Il governo belga e il Parlamento sostengono che il principio di sussidiarietà non si applica alla direttiva, in quanto tale principio è applicabile solo nei settori che non rientrano nella competenza esclusiva della Comunità, mentre la direttiva in esame, adottata in vista della realizzazione del mercato interno, rientrerebbe in tale competenza esclusiva. In ogni caso, anche ammettendo che tale principio si applicasse alla direttiva, esso sarebbe stato rispettato nella fattispecie, in quanto l'azione intrapresa non poteva essere realizzata in modo sufficiente a livello degli Stati membri.

176 I governi del Regno Unito, francese, dei Paesi Bassi e svedese, nonché il Consiglio e la Commissione, ritengono che il principio di sussidiarietà sia applicabile nella fattispecie e sia stato rispettato dalla direttiva. I governi del Regno Unito e francese, come pure la Commissione, sostengono in particolare che le considerazioni esposte ai punti 30-34 della citata sentenza Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio possono essere trasposte al caso di specie e portano alla conclusione che la direttiva è valida rispetto al principio di sussidiarietà. Secondo il governo dei Paesi Bassi e la Commissione, quando sono soddisfatte le condizioni per il ricorso all'art. 95 CE, sono parimenti soddisfatte quelle per un'azione comunitaria conforme all'art. 5, secondo comma, CE, essendo assolutamente certo che nessuno Stato membro è in grado, da solo, di adottare le misure necessarie ad impedire qualsiasi differenza tra le legislazioni degli Stati membri suscettibile di influire sugli scambi.

Giudizio della Corte

177 Il principio di sussidiarietà è enunciato all'art. 5, secondo comma, CE, ai sensi del quale, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, la Comunità interviene soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.

178 Il Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato al Trattato che istituisce la Comunità europea, precisa, al suo paragrafo 3, che il principio di sussidiarietà non rimette in questione le competenze conferite alla Comunità dal Trattato, come interpretato dalla Corte.

179 In via preliminare si deve sottolineare che il principio di sussidiarietà si applica quando il legislatore comunitario ricorre all'art. 95 CE, in quanto tale disposizione non gli attribuisce una competenza esclusiva a regolamentare le attività economiche nel mercato interno, ma solo una competenza per migliorare le condizioni di realizzazione e di funzionamento di quest'ultimo, attraverso l'eliminazione di ostacoli alla libera circolazione delle merci e alla libera prestazione di servizi nonché l'eliminazione di distorsioni della concorrenza (v., in tal senso, sentenza sulla pubblicità a favore del tabacco, punti 83 e 95).

180 Per quanto riguarda la questione se la direttiva sia stata adottata in conformità al principio di sussidiarietà, occorre esaminare in primo luogo se l'obiettivo dell'azione progettata potesse essere meglio realizzato a livello comunitario.

181 A tale riguardo si deve ricordare che la Corte ha dichiarato, al punto 124 della presente sentenza, che la direttiva ha l'obiettivo di eliminare gli ostacoli risultanti dalle differenze che ancora sussistono tra le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, presentazione e vendita dei prodotti del tabacco, assicurando nel contempo un livello di protezione elevato in materia di tutela della salute.

182 Un simile obiettivo non può essere realizzato in modo soddisfacente mediante un'azione intrapresa a livello dei singoli Stati membri e presuppone un'azione a livello comunitario, come è dimostrato dall'evoluzione eterogenea delle legislazioni nazionali nel caso di specie (v. punto 61 della presente sentenza).

183 Ne consegue che, nel caso della direttiva, l'obiettivo dell'azione progettata poteva essere realizzato meglio a livello comunitario.

184 Occorre rilevare, in secondo luogo, che l'intensità dell'azione intrapresa dalla Comunità nel caso di specie ha parimenti rispettato i dettami del principio di sussidiarietà in quanto essa, come risulta dai punti 122-141 della presente sentenza, non ha oltrepassato la misura necessaria per realizzare l'obiettivo cui tale azione è diretta.

185 Dalle considerazioni che precedono in merito alla prima questione, lett. e), risulta che la direttiva non è invalida per violazione del principio di sussidiarietà.

Sulla prima questione, lett. g)

186 Con la sua prima questione, lett. g), il giudice del rinvio chiede se la direttiva sia in tutto o in parte invalida in ragione di uno sviamento di potere.

Osservazioni presentate alla Corte

187 Le ricorrenti nella causa principale e il governo ellenico sostengono che la direttiva integra gli estremi di uno sviamento di potere, in quanto il suo unico obiettivo è la tutela della salute e non lo sviluppo del mercato interno e neppure lo sviluppo della politica commerciale comune. Essi sostengono in particolare che il divieto che colpisce la fabbricazione di sigarette destinate all'esportazione è stato introdotto al solo scopo di tutelare la salute dei residenti in paesi terzi.

188 Secondo i governi del Regno Unito, belga, francese, dei Paesi Bassi e svedese, nonché secondo il Parlamento e il Consiglio, l'argomento vertente su uno sviamento di potere si fonda sull'affermazione erronea secondo la quale la direttiva è un provvedimento di tutela della salute dissimulato.

Giudizio della Corte

189 Come la Corte ha ripetutamente affermato, un atto è viziato da sviamento di potere solo se, in base ad indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottato allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista per far fronte alle circostanze del caso di specie (v. sentenze 13 novembre 1990, causa C-331/88, Fedesa e a., Racc. pag. I-4023, punto 24; 13 luglio 1995, causa C-156/93, Parlamento/Commissione, Racc. pag. I-2019, punto 31; 14 maggio 1998, causa C-48/96 P, Windpark Groothusen/Commissione, Racc. pag. I-2873, punto 52, e 22 novembre 2001, causa C-110/97, Paesi Bassi/Consiglio, Racc. pag. I-8763, punto 137).

190 Per quanto riguarda in particolare l'esclusione espressa di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri dirette a proteggere e a migliorare la salute umana, enunciata all'art. 129, n. 4, primo trattino, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 152, n. 4, primo comma, CE), la Corte ha dichiarato che non può farsi ricorso ad altri articoli di quest'ultimo come fondamento normativo al fine di eludere tale esclusione (sentenza sulla pubblicità a favore del tabacco, punto 79). La Corte ha tuttavia precisato che, qualora le condizioni per far ricorso agli artt. 100 A, 57, n. 2, del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 47, n. 2, CE) e 66 del Trattato CE (divenuto art. 55 CE) come fondamento normativo siano soddisfatte, non può impedirsi al legislatore comunitario di basarsi su tale fondamento normativo per il fatto che la tutela della salute è determinante nelle scelte da operare (sentenza sulla pubblicità a favore del tabacco, punto 88).

191 Orbene, da un lato, come è stato dichiarato al punto 91 della presente sentenza, le condizioni per far ricorso all'art. 95 CE erano, nel caso della direttiva, soddisfatte e, dall'altro, non è stato affatto dimostrato che essa sia stata adottata allo scopo esclusivo, o quanto meno determinante, di raggiungere un fine diverso da quello di migliorare le condizioni di funzionamento del mercato interno nel settore dei prodotti del tabacco.

192 Dalle considerazioni che precedono in merito alla prima questione, lett. g), risulta che la direttiva non è invalida per sviamento di potere.

Sulla risposta alla prima questione, considerata nel suo complesso

193 Si deve risolvere la prima questione, considerata nel suo complesso, nel senso che l'esame di essa non ha rivelato alcun elemento idoneo a inficiare la validità della direttiva.

Sulla seconda questione

194 Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede se l'art. 7 della direttiva debba essere interpretato nel senso che si applica solo ai prodotti del tabacco commercializzati entro la Comunità ovvero anche ai prodotti del tabacco confezionati in quest'ultima per l'esportazione verso paesi terzi.

Osservazioni presentate alla Corte

195 Secondo le ricorrenti nella causa principale, i governi ellenico, irlandese, lussemburghese, dei Paesi Bassi e svedese, nonché secondo il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, si deve interpretare l'art. 7 della direttiva nel senso che esso non si applica ai prodotti del tabacco confezionati nella Comunità e destinati all'esportazione verso paesi terzi, ma solamente ai prodotti del tabacco commercializzati all'interno di quest'ultima.

196 Innanzi tutto essi affermano a tale proposito che la volontà del legislatore comunitario di applicare il divieto contenuto nell'art. 7 della direttiva anche ai prodotti destinati ad essere esportati verso i paesi terzi non risulta né dalla lettera di tale disposizione né dai `considerando' della detta direttiva, in particolare dal suo ventisettesimo `considerando'.

197 Essi sostengono inoltre che, in considerazione degli effetti sfavorevoli del divieto previsto da tale disposizione per i fabbricanti di prodotti del tabacco, quest'ultimo dovrebbe essere interpretato restrittivamente per quanto riguarda il suo ambito di applicazione.

198 Essi ritengono infine che, come risulta dal ventisettesimo `considerando' della direttiva, l'obiettivo dell'art. 7 sia di evitare che i requisiti in materia di etichettatura, definiti dall'art. 5 della medesima direttiva, siano svuotati del loro contenuto. Le due disposizioni devono dunque essere intese come aventi lo stesso ambito di applicazione. Orbene, l'art. 5, n. 1, della direttiva istituisce un regime linguistico specificamente mirato ai fini della stessa, in funzione delle lingue ufficiali degli Stati membri e quindi si applica solo ai prodotti del tabacco commercializzati nella Comunità.

199 Secondo i governi del Regno Unito, belga, francese, italiano e finlandese, l'art. 7 della direttiva deve essere interpretato nel senso che esso si applica anche ai prodotti del tabacco confezionati nella Comunità e destinati a essere esportati verso paesi terzi.

200 A tale riguardo essi sostengono innanzi tutto che, allorché l'art. 7 della direttiva prevede che taluni elementi descrittivi non possono essere utilizzati «sulla confezione dei prodotti del tabacco», la portata del divieto non è limitata con riguardo al successivo luogo di consumo di tali prodotti.

201 Essi sostengono inoltre che l'art. 152, n. 1, CE richiede che nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche e attività della Comunità sia garantito un livello elevato di tutela della salute umana. Tale obbligo varrebbe anche per la politica commerciale comune, il che suggerisce altresì che, se il legislatore comunitario avesse voluto escludere le esportazioni verso i paesi terzi dall'ambito di applicazione dell'art. 7, lo avrebbe indicato espressamente.

202 Essi affermano infine che gli elementi descrittivi da apporre sulle confezioni di prodotti del tabacco devono essere gli stessi a prescindere dalla destinazione di tali prodotti, tenuto conto dei rischi di reintroduzione nella Comunità dei prodotti destinati ad essere esportati verso paesi terzi.

Giudizio della Corte

203 Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, ai fini dell'interpretazione di una norma di diritto comunitario, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v. sentenze 14 ottobre 1999, causa C-223/98, Adidas, Racc. pag. I-7081, punto 23; 18 maggio 2000, causa C-301/98, KVS International, Racc. pag. I-3583, punto 21; 19 settembre 2000, causa C-156/98, Germania/Commissione, Racc. pag. I-6857, punto 50, e 14 giugno 2001, causa C-191/99, Racc. pag. I-4447, punto 30).

204 A tal proposito, occorre constatare che la lettera dell'art. 7 della direttiva non consente di per sé di accertare se il divieto ivi stabilito si applichi solo ai prodotti del tabacco commercializzati nella Comunità o se esso riguardi anche i prodotti del tabacco confezionati nella Comunità e destinati ad essere esportati verso paesi terzi.

205 L'art. 7 della direttiva si distingue su questo punto dall'art. 3 di quest'ultima, da cui risulta chiaramente che le disposizioni ivi previste in materia di tenori massimi di sostanze nocive delle sigarette si applicano anche a quelle che sono fabbricate nella Comunità ed esportate a partire da essa. A differenza dell'art. 7 della direttiva, l'art. 3, n. 2, della medesima prevede segnatamente un termine supplementare per l'attuazione delle disposizioni del suo n. 1 per quanto riguarda le sigarette destinate ad essere esportate verso paesi terzi.

206 Al fine di interpretare l'art. 7 della direttiva sotto il profilo del suo ambito di applicazione, si deve quindi tener conto del contesto costituito dalle altre disposizioni della direttiva.

207 A tale proposito, dal ventisettesimo `considerando' della direttiva risulta che l'art. 7 è diretto in particolare a impedire che siano minati i requisiti per l'etichettatura definiti all'art. 5 della direttiva stessa.

208 Nel sistema della direttiva, gli artt. 5 e 7 costituiscono infatti due disposizioni complementari, poiché l'art. 5, n. 1, prevede l'indicazione sui pacchetti di sigarette di tenori di sostanze nocive, assicurando in tal modo l'informazione obiettiva del consumatore per quanto riguarda la nocività dei prodotti del tabacco legata a tali sostanze, mentre l'art. 7 vieta l'uso di elementi descrittivi atti ad indurre il consumatore in errore su questo punto.

209 Orbene, dall'art. 5 della direttiva risulta che esso determina requisiti per l'etichettatura dei prodotti del tabacco solo per quelli tra essi che sono destinati ad essere commercializzati nella Comunità.

210 Una simile interpretazione discende in particolare dal fatto che l'art. 5, n. 6, lett. e), della direttiva dispone che il testo delle avvertenze e delle indicazioni relative ai tenori prescritti da tale articolo «è stampato nella lingua ufficiale o nelle lingue ufficiali dello Stato membro in cui il prodotto viene immesso sul mercato».

211 Per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dalla direttiva, occorre rammentare che il suo obiettivo principale è di migliorare il funzionamento del mercato interno nel settore dei prodotti del tabacco, garantendo un livello elevato di tutela della salute.

212 Pertanto, si deve ritenere che le disposizioni della direttiva riguardino in linea di principio esclusivamente i prodotti del tabacco destinati ad essere commercializzati nel mercato interno.

213 Vero è che, a proposito dell'art. 3 della direttiva, la Corte ha riconosciuto, ai punti 82-91 della presente sentenza, che il rischio di pregiudizio al mercato interno può giustificare l'adozione, sul fondamento dell'art. 95 CE, di una disposizione che riguarda prodotti esportati verso paesi terzi, in quanto misura destinata ad evitare l'elusione delle disposizioni emanate per il mercato interno.

214 Tuttavia, l'applicazione dell'art. 3 della direttiva ai prodotti del tabacco destinati all'esportazione verso paesi terzi è stata in questo caso espressamente prevista dal legislatore comunitario, in relazione alla valutazione da esso compiuta dei rischi di elusione delle disposizioni della direttiva relative al tenore massimo di sostanze nocive delle sigarette, connessi alle eventuali reimportazioni illecite nella Comunità o agli eventuali sviamenti di traffico all'interno di quest'ultima.

215 Per quanto riguarda il disposto dell'art. 7 della direttiva, esso attiene invece, come quello dell'art. 5 della stessa, alla presentazione dei prodotti del tabacco e non alla loro composizione. Orbene, i rischi di pregiudizio al mercato interno derivanti dalla commercializzazione illecita, da un lato, di sigarette non rispondenti ai requisiti della direttiva per quanto riguarda il tenore massimo di sostanze nocive e, dall'altro, di prodotti del tabacco non conformi ai requisiti di quest'ultima relativi all'etichettatura e alle indicazioni da apporre sulla confezione di tali prodotti non hanno necessariamente la stessa entità o la stessa natura e non implicano obbligatoriamente l'adozione delle stesse misure.

216 Pertanto, in assenza di qualsiasi indicazione della direttiva in tal senso, non v'è ragione di presumere che il legislatore comunitario abbia inteso completare il divieto di commercializzazione nella Comunità dei prodotti del tabacco non rispondenti ai requisiti dell'art. 7 della direttiva stessa con un divieto analogo riguardante i prodotti del tabacco confezionati nella Comunità e destinati ad essere commercializzati in paesi terzi.

217 Tenuto conto del complesso delle considerazioni che precedono, si deve risolvere la seconda questione dichiarando che l'art. 7 della direttiva deve essere interpretato nel senso che esso si applica esclusivamente ai prodotti del tabacco commercializzati nella Comunità.

Decisione relativa alle spese


Sulle spese

218 Le spese sostenute dai governi del Regno Unito, belga, tedesco, ellenico, francese, irlandese, italiano, lussemburghese, dei Paesi Bassi, finlandese e svedese, nonché dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Dispositivo


Per questi motivi,

LA CORTE,

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division (Administrative Court), con ordinanza 6 dicembre 2001, dichiara:

1) Dall'esame della prima questione non è emerso alcun elemento idoneo a inficiare la validità della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 giugno 2001, 2001/37/CE, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco.

2) L'art. 7 della direttiva 2001/37 dev'essere interpretato nel senso che esso si applica esclusivamente ai prodotti del tabacco commercializzati nella Comunità europea.