PARERE 2/92 DELLA CORTE

24 marzo 1995

La Corte di giustizia è stata adita dal Regno del Belgio con una domanda di parere depositata nella cancelleria della Corte il 4 settembre 1992, ai sensi dell'art. 228, n. 1, secondo comma, del Trattato CEE (sostanzialmente riprodotto nell'art. 228, n. 6, del Trattado CE), il quale recita :

«Il Consiglio, la Commissione o uno Stato membro possono domandare preventivamente il parere della Corte di giustizia circa la compatibilità dell'accordo previsto con le disposizioni del presente trattado. Quando la Corte di giustizia abbia espresso parere negativo, l'accordo può entrare in vigore soltanto alle condizioni stabilite, a seconda dei casi, dall'articolo 236».

I — Illustrazione della domanda di parere

Con la detta domanda il governo belga, rappresentato dal signor J. Devadder, direttore di amministrazione presso il ministero degli Affari esteri, del Commercio con l'estero e della Cooperazione allo sviluppo, in qualità di agente, assistito dal signor J. V. Louis, consigliere di direzione, capo del servizio giuridico della Banque nationale de Belgique, ha chiesto il parere della Corte sulla competenza della Comunità o di una delle sue istituzioni a partecipare alla terza decisione modificata del Consiglio dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici relativa al trattamento nazionale (in prosieguo, rispettivamente: la «terza decisione» e l'«OCSE»).

In particolare, la Corte è invitata a pronunciarsi sui seguenti quesiti:

«—

Se sia giustificato far ricorso alla doppia base giuridica (artt. 57 e 113) proposta dalla Commissione per la decisione del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità alla terza decisione.

In caso di soluzione negativa del primo quesito, quale sia la corretta base giuridica.

Se la competenza della Comunità a partecipare alla terza decisione escluda quella degli Stati membri, oppure se sia giustificata una partecipazione mista».

La terza decisione rientra nell'ambito delle attività dell'OCSE dirette a facilitare gli investimenti internazionali e in particolare a garantire il trattamento nazionale alle imprese controllate da cittadini di un paese membro dell'OCSE quando operano nel territorio di un altro paese membro dell'OCSE. Essa è stata emanata dal Consiglio dell'OCSE nel dicembre 1991. Il suo testo è allegato alla domanda di parere.

II — Procedimento

Ai sensi dell'art. 107, n. 1, del regolamento di procedura della Corte, la domanda di parere è stata notificata al Consiglio ed agli Stati membri. Hanno presentato osservazioni scritte il governo ellenico, rappresentato dai signori N. Mavrikas e V. Kontolaimos, consiglieri giuridici aggiunti presso l'Avvocatura dello Stato, il governo spagnolo, rappresentato dal signor A. Navarro González, direttore della direzione generale Coordinamento giuridico e istituzionale comunitario, e dalla signora R. Silva de Lapuerta, abogado del Estado, del servizio del contenzioso comunitario, il governo francese, rappresentato dal signor J.-P. Puissochet, direttore della direzione Affari giuridici del ministero degli Affari esteri, e dalla signora C. de Salins, vicedirettore presso la direzione Affari giuridici dello stesso ministero, il governo olandese, rappresentato dal signor A. Bos, consigliere giuridico presso il ministero degli Affari esteri, il governo del Regno Unito, rappresentato dalla signorina S. Cochrane, del Treasury Solicitor's Department, assistita dall'avvocato D. Wyatt, barrister, il Consiglio, rappresentato dai signori J.-C. Piris, giureconsulto, e R. Torrent, membro del servizio giuridico, e la Commissione, rappresentata dai signori J.-L. Dewost, direttore generale del servizio giuridico, e J. Sack, consigliere giuridico.

Su sua domanda, il Parlamento, rappresentato dai signori J. Campinos, giureconsulto, J. Schoo e J. Pantalis, membri del servizio giuridico, è stato ammesso a presentare osservazioni.

Il governo belga, rappresentato dai signori J. Devadder e J.V. Louis, il governo danese, rappresentato dal signor P. Biering, consigliere giuridico presso il ministero degli Affari esteri, il governo tedesco, rappresentato dal signor E. Röder, Ministerialrat presso il ministero federale dell'Economia, il governo ellenico, rappresentato dal signor V. Kontolaimos e dal signor P. Stangos, docente universitario, il governo spagnolo, il governo francese, rappresentato dalle signore E. Belliard, vicedirettore presso la direzione Affari giuridici del ministero degli Affari esteri, e C. de Salins, nonché dal signor H. Renié, segretario aggiunto principale presso lo stesso ministero, in qualità di agenti, il governo olandese, rappresentato dal signor A. Bos, il governo portoghese, rappresentato dal signor L. Fernandes, direttore della direzione Affari giuridici presso la direzione generale Affari comunitari, e dalla signora L. Duarte, consigliere presso la detta direzione, il governo del Regno Unito, rappresentato dal signor J. E. Collins, del Treasury Solicitor's Department, assistito dall'avvocato Wyatt, il Consiglio, rappresentato dai signori J. C. Piris e R. Torrent, la Commissione, rap-presentata, dai signori J.-L. Dewost e J. Sack, nonché dai signori P. J. Kuyper e T. Christoforou, membri del servizio giuridico, e il Parlamento, rappresentato dai signori G. Garzon Clariana, giureconsulto, e J. Schoo, hanno presentato osservazioni orali all'udienza comune al presente procedimento e al procedimento consultivo 1/94, tenutasi l'11 ottobre 1994.

Gli avvocati generali sono stati sentiti dalla Corte in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 108, n. 2, del regolamento di procedura, il 2 dicembre 1994.

III — Analisi della decisione

1. Antecedenti

L'OCSE è succeduta all'Organizzazione europea di cooperazione economica (in prosieguo: l'«OECE»). Ai sensi dell'art. 231 del Trattato CEE, la Comunità doveva attuare con l'OECE una stretta collaborazione. Essa ha quindi partecipato alla creazione dell'OCSE nel 1960. In base al Protocollo aggiuntivo n. 1, di cui all'art. 13 della Convenzione istitutiva dell'OCSE, la rappresentanza delle Comunità in tale organizzazione è disciplinata conformemente alle disposizioni dei trattati comunitari; le Commissioni della CEE e dell'Euratom, nonché l'Alta Autorità della CECA, partecipano ai lavori dell'OCSE. Pertanto, la Comunità, senza essere membro dell'OCSE, ha partecipato ai lavori di tale organizzazione sin dall'inizio.

Per quanto riguarda l'adozione di decisioni vincolanti nei confronti dei membri, nel 1988 il Consiglio e la Commissione, d'accordo con l'OCSE, istituivano un procedimento ad hoc. Veniva previsto che, quando l'atto da emanare avesse riguardato materie rientranti nella competenza della Comunità, lo Stato membro cui toccava esercitare la presidenza del Consiglio avrebbe formulato una dichiarazione in cui avrebbe attirato l'attenzione degli altri membri dell'OCSE su tale situazione e sulla necessità che la Comunità accettasse la decisione. La Commissione avrebbe fatto una dichiarazione complementare per accettare l'atto a nome della Comunità ed avvertire i membri dell'OCSE della necessità di portare a termine i prescritti procedimenti comunitari qualora ciò non fosse stato ancora fatto. Una volta che tali procedimenti si fossero conclusi, la Commissione ne avrebbe informato l'OCSE.

Le attività dell'OCSE riguardanti gli investimenti internazionali sono sfociate, da una parte, nell'emanazione, nel 1961, del Codice della liberalizzazione dei movimenti di capitali e del Codice di liberalizzazione delle operazioni invisibili correnti, entrambi i quali sono stati, in seguito, costantemente migliorati. Si tratta di atti di natura vincolante che concernono l'investimento straniero diretto iniziale, il diritto di stabilimento e le limitazioni imposte agli investitori non residenti. D'altra parte, le dette attività hanno portato all'adozione dello «strumento rafforzato relativo al trattamento nazionale» (in prosieguo: lo «strumento rafforzato»), che riguarda il trattamento da riservare alle imprese stabilite nel territorio nazionale e controllate da stranieri ed è composto di due parti, vale a dire la sezione modificata relativa al trattamento nazionale, figurante nella dichiarazione del 21 giugno 1976 sull'investimento internazionale e sulle imprese multinazionali (in prosieguo: la «dichiarazione modificata»), e le decisioni ad essa allegate, fra cui la terza decisione, sulla quale verte la domanda di parere in esame.

Con la dichiarazione modificata, che ha natura politica, i paesi membri dell'OCSE si impegnano ad accordare alle imprese già stabilite nel loro territorio e controllate da cittadini di un altro paese membro un trattamento non meno favorevole di quello di cui fruiscono nelle stesse circostanze le imprese nazionali, con riserva di talune eccezioni o deroghe. Le decisioni allegate alla dichiarazione modificata, fra le quali la terza decisione, sono vincolanti per i paesi membri che non si siano astenuti al momento della loro adozione.

La terza decisione abroga e sostituisce la seconda decisione modificata del Consiglio 17 maggio 1984, relativa al trattamento nazionale.

2. Contenuto de della decisione

L'art. 1 della terza decisione istituisce un procedimento di notifica all'OCSE, entro sessanta giorni dall'adozione, di tutti i provvedimenti che costituiscono eccezioni al trattamento nazionale, emanati dai membri, nonché di ogni altra misura avente ripercussioni sul trattamento nazionale. Una nota a pie di pagina precisa che si intendono per «membri» tutte le parti aderenti alla decisione.

Ai sensi dell'art. 2, l'OCSE esamina periodicamente, e in linea di massima almeno ogni tre anni, le eccezioni e le altre misure che le vengono notificate. Tale esame mira ad aiutare i membri a revocare le eccezioni e, di regola, si effettua paese per paese.

L'art. 3 autorizza qualsiasi membro a rivolgersi all'OCSE qualora ritenga che un altro membro abbia mantenuto in vigore, istituito o ripristinato misure contrastanti con i suoi impegni in materia di trattamento nazionale.

A norma degli artt. 4 e 5, il Comitato per l'investimento internazionale e per le imprese multinazionali studia tutte le questioni relative all'interpretazione o all'applicazione della terza decisione o degli altri atti del Consiglio dell'OCSE relativi al trattamento nazionale. Più specificamente, esso ha il compito di eseguire le procedure d'esame istituite dagli artt. 1, 2 e 3.

L'art. 6 prevede che la decisione sia riesaminata entro tre anni.

Ai sensi dell'art. 7, la decisione, nonché ogni successiva decisione di modifica, è aperta all'adesione della Comunità economica europea.

Infine, nell'allegato A della decisione sono elencate le eccezioni al trattamento nazionale notificate dai membri ai sensi dell'art. 1.

3. Procedimento di approvazione a nome detta Comunità

Su raccomandazione della Commissione, il Consiglio ha autorizzato quest'ultima, il 28 maggio 1990, a negoziare nell'ambito dell'OCSE la decisione relativa al trattamento nazionale.

Il 27 novembre 1991 la Commissione ha inviato al Consiglio una comunicazione relativa ai risultati delle trattative da essa svolte nell'ambito dell'OCSE sullo strumento concernente il trattamento nazionale, nonché una proposta di decisione basata sugli artt. 57 e 113 del Trattato CEE, relativa alla partecipazione della Comunità alla terza decisione. Il Consiglio era invitato:

i)

ad autorizzare la Commissione a dichiarare, a nome della Comunità, che la Comunità aderisce ai principi della dichiarazione 21 giugno 1976 dei governi degli Stati membri dell'OCSE sull'investimento internazionale e sulle imprese multinazionali;

ii)

a dichiarare, secondo il procedimento convenuto con l'OCSE, che la Comunità intende partecipare alla terza decisione modificata del Consiglio dell'OCSE previo espletamento delle procedure interne;

iii)

ad adottare (la proposta di decisione).

Al momento dell'adozione della terza decisione da parte del Consiglio dell'OCSE, il rappresentante del Regno dei Paesi Bassi, Stato membro che esercitava allora la presidenza del Consiglio delle Comunità, ha attirato l'attenzione sul fatto che, in quanto verte su materie rientranti nella competenza della Comunità, la decisione vincolerà gli Stati membri della Comunità dopo l'adesione di questa. Il rappresentante della Commissione ha dichiarato che la Comunità intendeva aderire alla terza decisione dopo l'espletamento delle procedure comunitarie necessarie e, per le materie di competenza comunitaria, essa si associava alla sezione della dichiarazione modificata relativa al trattamento nazionale.

Il 13 gennaio 1992 il Consiglio ha consultato il Parlamento europeo nell'ambito del procedimento di cooperazione, conformemente agli artt. 57 e 113 del Trattato. Il 13 novembre 1992 il Parlamento europeo ha adottato, nella fase di prima lettura del procedimento di cooperazione, una risoluzione legislativa con la quale esprimeva un parere favorevole e proponeva di aggiungere un ‘considerando’.

IV — Riassunto delle osservazioni scritte presentate dai governi e dalle istituzioni

1. Sull'ammissibilità di taluni documenti e di talune informazioni

Il Consiglio sostiene che la domanda di parere utilizza, senza l'autorizzazione del Consiglio, documenti interni di questo ed informazioni riservate sulle discussioni svoltesi nell'ambito dei suoi gruppi di lavoro. Ciò costituirebbe violazione dell'art. 18 del regolamento interno del Consiglio. Pertanto, la Corte è invitata a non tener conto di tali elementi.

2. Sulla ricevibilità detta domanda di parere

Il governo belga., basandosi sui pareri 1/75, dell' 11 novembre 1975 («Norma sulle spese locali», Racc. pag. 1355), e 1/78, del 4 ottobre 1979 («Accordo internazionale sulla gomma naturale», Racc. pag. 2871), sostiene che il procedimento consultivo, di natura eccezionale, previsto dall'art. 228 del Trattato deve consentire alla Corte di risolvere tutte le questioni relative alla compatibilità sostanziale o formale dell'accordo previsto, allo scopo di evitare ogni successiva contestazione che potrebbe ledere la reputazione internazionale della Comunità. Infatti, l'annullamento o la declaratoria di invalidità della decisione recante stipulazione di un accordo internazionale potrebbero paralizzare l'applicazione di quest'ultimo nell'ordinamento giuridico comunitario, il che non mancherebbe di avere ripercussioni sul piano internazionale.

In particolare, le questioni relative alla base giuridica dell'atto di partecipazione della Comunità ad un accordo internazionale potrebbero incidere sulla ripartizione delle competenze fra la Comunità e gli Stati membri.

In ogni caso, dai citati pareri 1/75 e 1/78 emergerebbe che la Corte non intende seguire un'interpretazione restrittiva dell'oggetto della domanda ex art. 228 del Trattato.

Il governo ellenico formula talune riserve quanto alla competenza della Corte a pronunciarsi sulla base giuridica dell'atto recante stipulazione di un accordo internazionale da parte della Comunità.

Si dovrebbe distinguere fra la stipulazione dell'accordo a livello internazionale e il procedimento comunitario interno che sfocia nella decisione di stipulazione. L'esame della Corte circa la compatibilità con il Trattato dovrebbe riguardare solo il primo elemento, giacché il secondo rientrerebbe unicamente nella sfera d'azione interna della Comunità.

Il procedimento consultivo di cui all'art. 228 del Trattato avrebbe carattere eccezionale. Esso dovrebbe consentire di risolvere unicamente la questione della compatibilità delle disposizioni dell'accordo esaminato con il Trattato e non potrebbe essere esteso alla scelta della base giuridica da indicare nell'atto di stipulazione.

Nei citati pareri 1/75 e 1/78 la Corte non avrebbe affrontato direttamente questa problematica: essa avrebbe invece esaminato la questione della competenza rispettiva della Comunità e degli Stati membri a partecipare ad un accordo internazionale.

Secondo il governo spagnolo, dall'art. 228 del Trattato risulta che la competenza consultiva della Corte è limitata sotto un duplice aspetto. In primo luogo, la Corte potrebbe pronunciarsi solo sull'accordo internazionale previsto e non su altre disposizioni di diritto comunitario. In secondo luogo, il parere potrebbe trattare soltanto la questione della compatibilità dell'accordo con il Trattato, escluso ogni altro elemento.

L'atto interno che reca stipulazione di un accordo internazionale potrebbe essere impugnato con ricorso d'annullamento ai sensi dell'art. 173 del Trattato. Per contro, il procedimento consultivo di cui all'art. 228 del Trattato ha come oggetto esclusivo la previa verifica della compatibilità di un accordo da stipulare con il Trattato, per evitare che la Comunità possa sottoscrivere impegni internazionali contrari alle proprie norme costituzionali.

Inoltre, l'annullamento, da parte della Corte, dell'atto recante conclusione di un accordo internazionale a motivo dell'errata scelta della base giuridica non comporterebbe alcuno dei pericoli menzionati dalla Corte stessa nel citato parere 1/75, poiché l'impegno internazionale della Comunità non sarebbe messo in discussione. Spetterebbe al Consiglio, a norma dell'art. 176 del Trattato, emanare una nuova decisione fondata sulla base giuridica indicata nella sentenza.

L'art. 228, disponendo che, quando la Corte abbia espresso parere negativo, l'accordo può entrare in vigore soltanto alle condizioni stabilite dall'art. 236 del Trattato, implicherebbe che il parere della Corte può essere negativo o positivo quanto alla compatibilità dell'accordo con il Trattato e non deve in nessun caso vertere sulla base giuridica da adottare per la conclusione dell'accordo. Questa interpretazione sarebbe peraltro corroborata dalla lettura dell'art. 107 del regolamento di procedura.

Infine, l'analisi dei pareri finora emessi ai sensi dell'art. 228 del Trattato evidenzia che la Corte, pur rifacendosi ad una nozione ampia di accordo internazionale e pur estendendo il suo esame in materia di compatibilità a tutte le norme del Trattato ed a tutte le questioni che possano suscitare dubbi sulla vahdità dell'accordo con riguardo al Trattato, non ha mai inteso pronunciarsi su una norma di diritto interno comunitario o sul fondamento giuridico della decisione recante stipulazione dell'accordo.

I governi francese e olandese si rimettono al prudente apprezzamento della Corte quanto alla ricevibilltà della domanda di parere.

II governo britannico esprime dei dubbi circa la competenza della Corte a pronunciarsi sui quesiti diretti a determinare la base giuridica adeguata per la partecipazione della Comunità all'accordo. Ritiene peraltro che la competenza comunitaria non sia in discussione nella fattispecie e che la competenza parallela degli Stati membri possa essere agevolmente dimostrata prescindendo dalla questione della base giuridica.

I citati pareri 1/75 e 1/78 conterrebbero taluni elementi che possono deporre a favore della ricevibilità della domanda in esame. Tuttavia, in nessuno dei pareri finora emessi la Corte ha dovuto pronunciarsi sulla base adeguata per la conclusione di un accordo internazionale. Essa ha affrontato tale questione soltanto quando la sua soluzione era necessaria per fugare ogni incertezza quanto alla competenza della Comunità o degli Stati membri ad aderire all'accordo di cui tratta-vasi.

Il procedimento eccezionale previsto dall'art. 228 del Trattato avrebbe lo scopo di evitare che la Corte si trovi a dover annullare o giudicare invalido un accordo internazionale, o almeno l'atto comunitario relativo alla stipulazione o all'attuazione dell'accordo dopo la sua stipulazione. Orbene, delle incertezze circa la base giuridica adeguata per un simile atto comunitario non potrebbero dar luogo a tali difficoltà poiché non potrebbero generare conflitti insolubili fra le relazioni esterne della Comunità e l'ordinamento giuridico interno della stessa. Tanto risulterebbe segnatamente dalla sentenza 27 settembre 1988, causa 165/87 Commissione/Consiglio (Racc. pag. 5545), vertente sulla base giuridica adottata per la decisione del Consiglio concernente la stipulazione della Convenzione internazionale sul sistema armonizzato di designazione e di codificazione delle merci e del relativo protocollo di emendamento, come pure dalla sentenza 26 marzo 1987, causa 45/86, Commissione/Consiglio (Racc. pag. 1493), nella quale la Corte ha annullato due regolamenti del Consiglio recanti applicazione di preferenze doganali generalizzate per motivi attinenti alla mancanza di una corretta base giuridica e al difetto di motivazione, ma ha dichiarato definitivi, in forza dell'art. 174, secondo comma, del Trattato, gli effetti dei regolamenti annullati.

Infine, il governo britannico considera che, se la domanda è ricevibile in quanto è diretta ad eliminare un vero e proprio stato di incertezza circa la rispettiva competenza della Comunità e degli Stati membri a partecipare all'accordo di cui trattasi, ciò non dovrebbe incidere sulla ricevibilità dei quesiti relativi alla base giuridica.

Il Consiglio si pronuncia solo sulla ricevibilità della domanda di parere. Esso invita la Corte ad applicare per analogia gli artt. 91, 92 e 38 del regolamento di procedura e a dichiarare che la domanda è irricevibile. Un'applicazione ai procedimenti non contenziosi di tali disposizioni, che, con il loro tenore letterale, si riferiscono a procedimenti contenziosi, sarebbe necessaria per garantire loro un effetto utile e troverebbe un precedente nell'ordinanza 21 ottobre 1982 (causa 233/82, K./Germania e Parlamento europeo, Racc. pag. 3637). Nella fattispecie tale soluzione sarebbe doverosa poiché i quesiti posti alla Corte sarebbero privi di oggetto e perché la domanda di parere distorcerebbe lo scopo del procedimento istituito dall'art. 228 del Trattato.

Il Consiglio analizza l'oggetto della domanda e descrive il procedimento comunitario di adozione dell'atto recante partecipazione alla decisione. A suo avviso, il contenuto della domanda e i primi due quesiti sottoposti alla Corte vertono non già su problemi di competenza della Comunità o delle sue istituzioni, ma sul problema, del tutto diverso, della scelta della base giuridica dell'atto interno con cui la Comunità decida di assumere impegni sul piano internazionale. Il terzo quesito verterebbe, stando ai termini in cui è formulato, su problemi di competenza fra la Comunità e i suoi Stati membri, ma nel testo della domanda di parere nessun argomento giustificherebbe la proposizione di tale quesito.

Il Consiglio fa notare che la proposta presentata dalla Commissione non prevede una partecipazione congiunta della Comunità e degli Stati membri alla terza decisione e comporta anche un altro punto, vale a dire l'adesione della Comunità alla dichiarazione modificata dei governi degli Stati membri dell'OCSE, la quale verte su vari settori, uno soltanto dei quali sarebbe quello del trattamento nazionale.

Nel novembre 1991 il Consiglio ha acconsentito a che si dichiari nell'ambito dell'OCSE la volontà della Comunità di aderire allo strumento sul trattamento nazionale, ma questa decisione riguarderebbe solo la parte della dichiarazione modificata dedicata al trattamento nazionale. D'altra parte, le dichiarazioni dei rappresentanti del Regno dei Paesi Bassi e della Commissione all'OCSE non implicherebbero, in questa fase, alcun impegno giuridico e sarebbero tutt'al più equiparabili alla firma di un accordo internazionale con riserva di ratifica. Infine, il fatto che una dichiarazione dell'OCSE non sia giuridicamente vincolante non implicherebbe che l'adesione della Comunità alla stessa non necessiti di basi giuridiche o di una verifica delle competenze comunitarie. Pertanto, i procedimenti comunitari in corso dovrebbero consentire non solo di decidere circa gli impegni giuridici da contrarre sul piano internazionale, ma anche di precisare e di formalizzare gli impegni politici annunciati nell'ambito dell'OCSE.

Il Consiglio rileva del pari che la domanda di parere è stata formulata ancor prima che il Parlamento europeo si pronunciasse nella prima fase del procedimento di cooperazione e in un momento in cui le discussioni dirette all'adozione di una presa di posizione comune del Consiglio non si erano nemmeno iniziate provvisoriamente, in attesa del parere del Parlamento.

Dopo tali osservazioni preliminari, il Consiglio ricorda la distinzione fra l'accordo internazionale contenente impegni che la Comunità può o no assumere, da un lato, e la decisione interna recante conclusione dell'accordo, dall'altro. Solo il primo di questi atti disciplinerebbe le relazioni fra la Comunità e le altre parti contraenti e conterrebbe impegni internazionali che possono essere incompatibili con il Trattato. Per questo motivo, l'art. 228 del Trattato si riferirebbe unicamente all'accordo internazionale e non alla decisione di stipulazione, come emergerebbe chiaramente dalla sua lettera.

Il parere della Corte non potrebbe essere che negativo o positivo e, nel primo caso, l'accordo potrebbe entrare in vigore solo dopo nuove trattative dirette a renderlo compatibile con il Trattato, oppure dopo la modifica del Trattato. La scelta della base giuridica obbedirebbe ad una logica diversa e non avrebbe alcun rapporto con la revisione del Trattato poiché, quale che sia la base giuridica prescelta, la competenza della Comunità a concludere l'accordo sarebbe già stata riconosciuta. Pertanto, la compatibilità dell'accordo con il Trattato potrebbe essere sottoposta a sindacato sia mediante il ricorso d'annullamento ai sensi dell'art. 173 sia attraverso il procedimento consultivo previsto dall'art. 228 del Trattato, mentre la scelta della base giuridica della decisione interna recante stipulazione dell'accordo potrebbe costituire oggetto solo di un ricorso d'annullamento. Nel caso in cui la Corte accogliesse tale ricorso, le gravi difficoltà nelle relazioni internazionali, menzionate nel citato parere 1/75, non si porrebbero, giacché le istituzioni potrebbero e dovrebbero, a norma dell'art. 176 del Trattato, approvare nuovamente la decisione di stipulazione, fondandola sulla base giuridica considerata adeguata dalla Corte. Nel frattempo la Corte potrebbe applicare per analogia l'art. 174, secondo comma, del Trattato, che, secondo il suo tenore letterale, si riferisce solo ai regolamenti, per far salvi gli effetti della decisione annullata.

I richiami ai citati pareri 1/75 e 1/78 contenuti nella domanda di parere in esame non sarebbero pertinenti. Se in quei procedimenti la Corte ha esaminato il fondamento specifico delle competenze comunitarie ai sensi dei vari articoli del Trattato, essa lo ha fatto perché le erano state sottoposte questioni relative alla ripartizione tra competenze comunitarie e competenze nazionali. Siffatte questioni rientrerebbero senz'altro nell'oggetto del procedimento del parere e, secondo il Consiglio, possono essere risolte solo con l'analisi delle norme del Trattato che costituiscono il fondamento delle competenze comunitarie. Orbene, non sarebbe questo il caso della fattispecie.

Un problema di scelta della base giuridica per la stipulazione di un accordo si porrebbe soltanto quando l'azione della Comunità sul piano internazionale può avere contenuti diversi e comportare l'esercizio di diverse competenze comunitarie in funzione delle materie disciplinate dall'accordo. Tuttavia, a condizione che l'accordo sia compatibile con il Trattato, in un caso del genere la scelta della base giuridica spetterebbe al legislatore, con riserva di un controllo a posteriori da parte della Corte.

Nel caso della terza decisione, che riguarderebbe tutti i settori che interessano la posizione giuridica delle imprese, il legislatore dovrebbe effettuare varie scelte allo scopo di determinare la portata della partecipazione comunitaria. In particolare, si dovrebbe stabilire se la Comunità debba partecipare alla decisione globalmente considerata o a singoli punti di essa, se la partecipazione debba essere accompagnata da riserve, ed eventualmente quali debbano essere tali riserve, e se la partecipazione debba limitarsi ai soli settori in cui la Comunità ha già esercitato la propria competenza sul piano interno o estendersi ai settori rientranti nelle sue competenze virtuali e, in quest'ultimo caso, sarebbe necessario fissare i limiti fra impegni comunitari e impegni degli Stati membri. Tali difficoltà aumenterebbero ulteriormente se si prendesse in considerazione anche l'adesione della Comunità alla dichiarazione modificata, che, data la connessione con la terza decisione, dovrebbe anch'essa costituire oggetto di una presa di posizione del legislatore comunitario.

Il Consiglio ritiene che, in tutte le ipotesi che si possono prendere in considerazione, non si possa mettere in discussione la possibilità di una partecipazione congiunta della Comunità e degli Stati membri alla terza decisione, giacché il contenuto di questa, vale a dire il regime da applicare alle imprese, non rientrerebbe nella competenza esclusiva dell'una o degli altri. Né la proposta della Commissione né la domanda di parere del Regno del Belgio mettono in dubbio tale partecipazione congiunta.

In conclusione, i primi due quesiti posti dal Regno del Belgio sarebbero privi d'oggetto, poiché il legislatore comunitario non ha ancora definito lo scopo e il contenuto dell'azione comunitaria. Una pronuncia della Corte sulla base giuridica da adottare anticiperebbe tali scelte politiche. La risposta al terzo quesito dipenderebbe da quella da fornire ai primi due e, di conseguenza, anche tale quesito sarebbe irricevibile. Anche considerata isolatamente, la questione del carattere esclusivo o misto della partecipazione comunitaria sarebbe priva d'oggetto, poiché la competenza degli Stati membri non è mai stata messa in dubbio. Nemmeno la domanda di parere esprime perplessità circa tale questione. Di conseguenza, quest'ultima sarebbe stata sollevata al solo scopo di giustificare la domanda di parere con riguardo all'art. 228 del Trattato ed alla giurisprudenza della Corte, il che costituirebbe uno sviamento di procedura.

La Commissione sottolinea, in primo luogo, che la terza decisione, in quanto atto vincolante destinato a produrre effetti all'esterno dell'OCSE, costituisce certamente un accordo fra la Comunità e paesi terzi o un'organizzazione internazionale, senza che occorra determinare chi sia esattamente l'altra parte contraente.

Essa sostiene, in secondo luogo, che la scelta della base giuridica appropriata può, in sé e per sé, essere sottoposta al previo parere della Corte ai sensi dell'art. 228 del Trattato, come risulta dai citati pareri 1/75 e 1/78. Tale modo di procedere sarebbe doveroso, al fine di evitare le complicazioni che potrebbero scaturire a livello internazionale dall'annullamento dell'atto di stipulazione, da parte della Corte, a motivo della scelta errata della base giuridica, oppure dall'impossibilità di appianare i contrasti su tale scelta. Nel caso di specie la Comunità si sarebbe impegnata nei confronti dell'OCSE ad applicare la terza decisione, ma il conflitto sulla base giuridica le impedirebbe di adempiere tale impegno, dato che il Consiglio, mancando l'unanimità prescritta per una modifica della proposta della Commissione, non è in grado di emanare l'atto all'uopo necessario.

Infine, per quanto riguarda la domanda in esame, i quesiti relativi alla base giuridica sarebbero strettamente connessi al terzo quesito posto dal Belgio. In particolare, se la base giuridica da adottare comportasse una competenza esclusiva della Comunità, quest'ultima dovrebbe aderire alla decisione da sola, e non congiuntamente agli Stati membri. In base al citato parere 1/78, siffatto quesito sarebbe comunque ricevibile.

Il Parlamento europeo fa presente che la sua partecipazione a questo procedimento ha il solo scopo di tutelare le sue prerogative nel processo decisionale comunitario. Esso si rimette pertanto al prudente apprezzamento della Corte per quanto concerne la ricevibilità della domanda di parere.

3. Süüa base giuridica da adottare per la partecipazione della Comunità alla terza decisione

Il governo belga rileva che lo strumento rafforzato copre una vasta gamma di situazioni che rientrano nei settori più disparati, fra cui i trasporti, la pesca, il fisco, le forniture pubbliche. Per questo motivo la Commissione avrebbe scelto l'art. 57 del Trattato come base orizzontale posta a monte dei vari settori specifici interessati, nonché l'art. 113 del Trattato, richiamato anche a ragione degli stretti legami e delle reciproche influenze fra l'investimento straniero e gli scambi commerciali.

Secondo il governo belga, la giurisprudenza della Corte ha consentito di determinare i criteri da seguire per la scelta di una base giuridica corretta. In particolare, la Corte avrebbe affermato che il ricorso all'art. 235 è giustificato solo se nessun'altra disposizione del Trattato conferisce alle istituzioni la competenza necessaria per emanare un determinato atto (sentenze 26 marzo 1987, causa 45/86, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 1493; 30 maggio 1989, causa 242/87, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 1425, e 29 marzo 1990, causa C-62/88, Grecia/Consiglio, Racc. pag. I-1527). L'art. 235 non potrebbe essere considerato come una norma onnicomprensiva, che consenta di fare a meno di basi giuridiche multiple comportanti altre esigenze procedurali. Infatti, la Corte tiene conto del fatto che l'applicazione di norme di procedura diverse può incidere sul contenuto dell'atto (sentenze 26 marzo 1987, Commissione/Consiglio, già citata; 2 febbraio 1989, causa 275/87, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 259 — pubblicazione sommaria —, e 29 marzo 1990, Grecia/Consiglio, già citata).

Quanto all'art. 113 del Trattato, il governo belga ricorda anzitutto che, secondo il citato parere 1/75, la nozione di politica commerciale ha un contenuto invariato, sia nell'ambito della sfera d'azione internazionale di uno Stato sia nella sfera d'azione della Comunità. Questa nozione chiave escluderebbe di primo acchito ogni tentazione di interpretazione restrittiva. Inoltre, il ragionamento svolto dalla Corte nel del pari citato parere 1/78 per pervenire ad includere gli accordi sui prodotti base nel campo della politica commerciale comune potrebbe agevolmente essere trasposto al settore dei servizi, tenuto conto dell'importanza di questo settore negli scambi internazionali. Infine, per determinare il regime da applicare per la stipulazione di un accordo internazionale occorrerebbe considerare l'oggetto essenziale dell'accordo; pertanto, il fatto che questo possa riguardare settori specifici non deve portare alla scelta di regimi diversi da quello da applicare per l'accordo nel suo complesso.

Il governo ellenico osserva che le materie oggetto dello strumento rafforzato rientrano in diversi settori, come il fisco, l'occupazione, la tutela dell'ambiente, l'attività industriale, le forniture pubbliche o i trasporti. Di conseguenza, l'art. 57 del Trattato non potrebbe essere considerato come una base «orizzontale», che abbracci settori diversi e indipendenti, rientranti in taluni casi in specifiche disposizioni del Trattato o, in altri casi, esulanti da una politica comunitaria pienamente definita.

Per quanto concerne l'art. 113 del Trattato, sarebbe pacifico che l'enumerazione, nel n. 1 del detto articolo, di una serie di misure di politica commerciale ha valore indicativo e che le norme del Trattato relative alla politica commerciale devono essere interpretate in senso ampio, in modo da ricomprendervi misure legate indirettamente agli scambi commerciali (sentenza 12 luglio 1973, causa 8/73, Massey-Ferguson, Racc. pag. 897, pareri 1/75 e 1/78, citati). Non si potrebbe tuttavia sostenere che il trattamento nazionale nel campo degli investimenti si collochi nell'ambito di rapporti stretti e di un regime d'interazione con gli scambi commerciali. Infatti, gli investimenti che rientrano nel settore terziario della produzione non potrebbero essere ricompresi nella nozione di politica commerciale. Inoltre, taluni scambi di merci con paesi terzi non costituirebbero necessariamente l'effetto di un precedente investimento. Infine, la terza decisione concernerebbe un insieme estremamente specifico di obblighi, tanto che non sussisterebbe alcun nesso, nemmeno indiretto, con la politica commerciale comune.

Secondo il governo ellenico, si dovrebbe quindi adottare come base giuridica l'art. 235 del Trattato, senza che ciò contraddica la natura sussidiaria di tale norma. Infatti, la finalità della terza decisione è diversa dallo scopo perseguito da ciascuna delle basi giuridiche specifiche rinvenibili nel Trattato.

Il governo spagnolo non si pronuncia nel merito dei quesiti relativi alla base giuridica.

Il governo francese assume che lo strumento rafforzato non rientra nel campo della politica commerciale e quindi non ricade sotto il disposto dell'art. 113 del Trattato. La giurisprudenza della Corte non avrebbe sancito una definizione immutabile della nozione di politica commerciale comune, ma le ha attribuito un contenuto ampio ed evolutivo. Ciò rispecchierebbe il fatto che la sfera di applicazione delle trattative internazionali si è gradualmente ampliata sia in termini di settori che di strumenti, in funzione dei risultati delle trattative stesse. Come emergerebbe dal citato parere 1/78 e dalla sentenza 26 marzo 1987, Commissione/Consiglio, anch'essa citata, un provvedimento rientra nel campo della politica commerciale solo qualora, se adottato separatamente dai vari Stati membri, rischi di compromettere la possibilità, per la Comunità, di realizzare una politica commerciale comune e possa comportare direttamente sviamenti di correnti commerciali fra Stati membri negli scambi da e per paesi terzi.

Orbene, lo strumento rafforzato non avrebbe lo scopo di influenzare gli scambi transfrontalieri, ma quello di favorire l'esercizio di attività economiche in un paese da parte di cittadini di altri paesi. Anche se il trattamento nazionale fosse idoneo ad incidere indirettamente sulle correnti commerciali, tali misure non potrebbero essere considerate come strumenti di politica commerciale. Infatti, ciò diluirebbe tale nozione fino a ricomprendervi qualsiasi competenza, ad esempio in materia monetaria.

Inoltre, lo strumento rafforzato non verterebbe direttamente sull'investimento straniero, ma sulla discriminazione fra operatori economici stabiliti in un paese in base alla loro cittadinanza o all'origine dei capitali, il che esulerebbe dalla politica commerciale nazionale e, quindi, dalla politica commerciale comune.

La Commissione non avrebbe dimostrato che la parità di trattamento avrà conseguenze di rilievo nel settore degli scambi con i paesi terzi. Anzi, i provvedimenti comunitari sui quali può incidere lo strumento rafforzato sarebbero quelli aventi come base giuridica gli artt. 57 (accesso al credito locale), 84 (trasporti aerei), 98 (armonizzazione fiscale), 100 e 100 A (armonizzazione segnatamente in materia di appalti pubblici), e non misure emanate in base all'art. 113 del Trattato.

Siccome il trattamento nazionale non sarebbe atto ad incidere sugli scambi né a compromettere la possibilità, per la Comunità, di attuare una politica commerciale coerente, l'art. 113 del Trattato non costituirebbe una base giuridica adeguata.

Il governo francese ha quindi preso in considerazione la possibilità di scegliere una base giuridica unica, ossia l'art. 235 del Trattato. Esso non intende, con ciò, scostarsi dalla giurisprudenza della Corte che attribuisce alla norma suddetta un carattere del tutto sussidiario, ma, al contrario, applicare tale giurisprudenza poiché, se il ragionamento seguito dalla Corte nella sentenza 11 giugno 1991, «biossido di titanio», causa C-300/89, Commissione/Consiglio (Racc. pag. I-2867), dovesse applicarsi agli atti convenzionali, l'art. 235 risulterebbe la sola base giuridica appropriata.

Secondo la giurisprudenza «AETS» (sentenza 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 263) e il parere 1/76, del 26 aprile 1977 («Fondo europeo di immobilizzazione della navigazione interna», Racc. pag. 741), in mancanza di disposizioni espresse del Trattato, la competenza esterna della Comunità potrebbe essere desunta dai suoi poteri sul piano interno. La terza decisione inciderebbe su atti comunitari aventi basi diverse, ossia gli artt. 57, n. 2, 99, 100, 100 A e 130 S del Trattato.

Orbene, nessuna delle materie disciplinate potrebbe essere identificata come componente principale e preponderante rispetto alle altre. Inoltre, gli articoli del Trattato rispettivamente applicabili detterebbero norme diverse per quanto riguarda sia le modalità di voto nel Consiglio sia le modalità della partecipazione del Parlamento. Dalla citata sentenza «biossido di titanio» risulterebbe che il cumulo di tali basi giuridiche potrebbe svuotare della sua stessa sostanza il procedimento di cooperazione e che pertanto occorre scegliere, fra le basi giuridiche che possono essere prese in considerazione, quella più appropriata. Nella fattispecie, però, nessuna disposizione o gruppo di disposizioni consentirebbe di coprire efficacemente la sfera di applicazione delle altre. Tale situazione sarebbe assimilabile a quella in cui un'azione della Comunità risulti necessaria per realizzare, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi comunitari, ma il Trattato non abbia previsto i poteri all'uopo necessari.

Di conseguenza, la partecipazione della Comunità alla terza decisione potrebbe essere basata sul solo art. 235 del Trattato, onde poter superare empiricamente quello che avrebbe potuto apparire come una impasse giuridica.

Il governo francese esamina tuttavia criticamente la fondatezza di uno dei presupposti essenziali di questo ragionamento, vale a dire la trasposizione della giurisprudenza «biossido di titanio» alla stipulazione di accordi internazionali. Da un lato, la nuova redazione dell'art. 228 del Trattato CE, figurante nel Trattato sull'Unione europea, consentirebbe di distinguere chiaramente fra loro due categorie di accordi: quelli stipulati dopo il parere conforme del Parlamento europeo e quelli conclusi dopo la consultazione del Parlamento europeo.

D'altro canto, in taluni casi, come in quello di specie, la trasposizione della giurisprudenza «biossido di titanio» potrebbe cozzare contro l'impossibilità di rinvenire, fra le varie basi giuridiche, quella idonea (o quelle idonee) ad abbracciare l'intero accordo.

Il governo francese considera che il problema non sarebbe rimosso se si applicasse la giurisprudenza «AETS» in modo da fondare la competenza della Comunità non sugli articoli che costituiscono le basi giuridiche degli atti comunitari sui quali incide lo strumento rafforzato, ma sugli articoli che conferiscono alla Comunità-competenze nei confronti dei cittadini degli Stati membri in materia di trattamento nazionale. In tale ipotesi sarebbero da prendere in considerazione gli artt. 54, n. 2, e 57, n. 2, del Trattato, che però non varrebbero per tutte le misure interessate, segnatamente in materia fiscale. Occorrerebbe quindi rifarsi anche agli artt. 99 (per le imposte indirette) e 100 (per le imposte dirette) del Trattato. Siccome tali disposizioni prevederebbero l'applicazione del procedimento di cooperazione, nel caso dell'art. 54, n. 2, e dell'unanimità nel caso degli artt. 99 e 100, il loro cumulo sarebbe del pari in contrasto con la giurisprudenza «biossido di titanio».

In conclusione, il governo francese rileva che, se la giurisprudenza «biossido di titanio» fosse trasposta alla fattispecie, la partecipazione della Comunità alla terza decisione dovrebbe basarsi sull'art. 235 del Trattato. Nel caso contrario, la base giuridica pertinente sarebbe costituita dagli artt. 54, 99 e 100 del Trattato.

Secondo il governo olandese, la terza decisione, a motivo della sua indole procedurale e del carattere orizzontale del principio del trattamento nazionale, possiede gli elementi che la ricollegano a differenti politiche comunitarie. In particolare, si potrebbe pensare agli artt. 75 e 84 (trasporti), 92 e 93 (aiuti), 98 e 99 (imposte dirette e indirette) e 100 A (mercato interno, compresi gli appalti pubblici) del Trattato.

L'art. 57 del Trattato sarebbe meno pertinente, giacché le norme del Trattato in materia di stabilimento non riguarderebbero le imprese di paesi terzi, oggetto della terza decisione. Inoltre, la dichiarazione modificata escluderebbe dal campo di applicazione del principio del trattamento nazionale l'ammissione degli investimenti stranieri o le condizioni per lo stabilimento delle imprese.

Nemmeno l'art. 113 del Trattato potrebbe entrare in considerazione. La terza decisione potrebbe, sì, avere implicazioni per i rapporti commerciali della Comunità con paesi terzi, ma non mirerebbe espressamente a disciplinare tali rapporti. Inoltre, essa riguarderebbe non solo la circolazione delle merci, ma anche la prestazione di servizi.

Dato che i vari elementi di collegamento già menzionati, considerati assieme o isolatamente, non conferiscono alla Comunità la competenza necessaria a partecipare alla terza decisione, e dato che l'elemento relativo alla politica commerciale ha tutt'al più un carattere accessorio, il governo olandese conclude che solo l'art. 235 del Trattato potrebbe costituire la base giuridica della decisione da adottare.

Il governo britannico considera che la base giuridica appropriata per la partecipazione della Comunità alla terza decisione modificata si trova negli artt. 57, n. 2, 75 e 84, n. 2, del Trattato.

Gli artt. 52-57 del Trattato avrebbero, fra l'altro, lo scopo di garantire che le società cui si riferisce l'art. 58 del Trattato possano esercitare la loro attività nel territorio degli Stati membri senza discriminazioni basate sulla nazionalità. La parità di trattamento prevista da questi articoli avrebbe un'amplissima portata, come attesterebbero il Programma generale per la soppressione delle restrizioni alla libertà di stabilimento del 18 dicembre 1961 (GU n. 2 del 15 gennaio 1962, pag. 36) e la giurisprudenza della Corte (sentenze 18 giugno 1985, causa 197/84, Steinhauser, Racc. pag. 1819; 28 gennaio 1986, causa 270/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 273; 10 luglio 1986, causa 79/85, Segers, Racc. pag. 2375).

Solo il settore dei trasporti esulerebbe dalla sfera d'applicazione degli artt. 52 e seguenti, poiché il titolo «trasporti» costituirebbe una «lex specialis» in materia.

Di conseguenza, la competenza esterna a stipulare la terza decisione deriverebbe dalle basi giuridiche interne costituite dagli artt. 57, n. 2, 75 e 84, conformemente alla giurisprudenza «AETS», già citata.

Per contro, né l'art. 235 né l'art. 113 del Trattato costituirebbero basi giuridiche adeguate per la partecipazione alla terza decisione. L'art. 235 potrebbe essere escluso perché, anche se numerose, le materie oggetto della decisione sono tutte ricomprese negli artt. 52-58 del Trattato e non sarebbe necessario rifarsi ad altre norme del Trattato concernenti, ad esempio, le disposizioni fiscali o gli aiuti di Stato. Lo stesso ragionamento porterebbe ad escludere l'art. 113, nonostante i legami fra gli investimenti stranieri e il commercio o il fatto che taluni aspetti del trattamento nazionale (ad esempio, l'accesso alle quote d'importazione) concernano la politica commerciale.

Infine, la citata sentenza «AETS» confermerebbe che la competenza esterna della Comunità può derivare da norme interne del Trattato anche se l'accordo da concludere riguarda le attività di imprese di paesi terzi all'interno della Comunità.

La Commissione osserva, in via preliminare, che la base giuridica da adottare per la partecipazione della Comunità alla terza decisione è quella che avrebbe dovuto essere scelta per l'adozione dello strumento modificato nel suo insieme se esso avesse avuto la forma di un atto vincolante. Infatti, le questioni procedurali costituenti oggetto della terza decisione dovrebbero definirsi rispetto alla norma sostanziale che è alla base di tutte le disposizioni. Di conseguenza, occorrerebbe analizzare nel loro insieme gli impegni che scaturiscono, per la Comunità, dallo strumento modificato.

La Commissione illustra poi i tratti salienti dell'evoluzione dei negoziati commerciali internazionali. Tali negoziati si sarebbero concentrati, nel dopoguerra, su questioni inerenti all'accesso al mercato per le esportazioni di merci, come indicherebbero in particolare l'accordo base del GATT ed i risultati dei primi «rounds» di negoziati in tale ambito. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni Settanta talune questioni annesse e connesse avrebbero acquistato maggiore importanza, perché nel frattempo sarebbe stato riconosciuto il loro ruolo per gli scambi nell'ambito dei cosiddetti «terms of trade». Le condizioni e le potenzialità degli scambi non dipenderebbero soltanto dai classici strumenti tariffari e quantitativi concernenti le merci, ma anche dai servizi e dalle possibilità offerte per gli investimenti connessi agli scambi (trasporti, assicurazioni, banche, commercializzazione, marketing, pubblicità, servizio di assistenza alla clientela, trasferimento di capitali), che, anzi, comincerebbero ad occupare un posto preponderante in un periodo in cui gli sforzi di liberalizzazione ridurrebbero l'importanza degli strumenti tariffari e quantitativi tradizionali.

La prassi comunitaria confermerebbe che l'espressione «commercio internazionale» è ormai usata in senso lato, ricomprendendovi i servizi [v. art. 185 della 4a Convenzione ACP-CEE, stipulata con decisione del Consiglio e della Commissione 25 febbraio 1991, 91/400/CECA, CEE (GU L 229, pag. 1)]. Ciò rispecchierebbe la realtà della vita economica, che evidenzierebbe una crescente permeabilità fra cessioni di beni e prestazioni di servizi. In taluni casi, gli utilizzatori potrebbero accedere ad un apparecchio sia per il tramite di servizi che essi acquistano sia con l'acquisto dell'apparecchio stesso. In altri casi le cessioni di beni sarebbero accompagnate dall'acquisto di nuovi servizi connessi (consulting, assistenza alla clientela, manutenzione, software). Nel caso dell'informatica il software potrebbe essere fornito assieme all'apparecchio o come servizio (trasmissione via cavo o segnali di programmi). Per talune forme di acquisizione, come il leasing, l'elemento «bene» e l'elemento «servizi» sarebbero così intimamente connessi che sarebbe quasi impossibile distinguerli l'uno dall'altro.

Logicamente, il centro di gravità dei negoziati, nell'ambito del GATT, si sarebbe notevolmente spostato e nell'Uruguay Round le questioni annesse e connesse alle norme relative all'accesso al mercato avrebbero acquistato un'importanza preponderante. Un altro esempio sarebbe fornito dal Codice di comportamento per le conferenze marittime, redatto nell'ambito della Cnuces (Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e sullo sviluppo), che ripartisce il mercato di un servizio (il trasporto marittimo) in funzione degli scambi di beni. Data tale interconnessione, sarebbe diventato quasi impossibile negoziare un accordo commerciale per i soli scambi di merci. Occorrerebbe ogni volta tener conto delle reciproche concessioni nei due settori, merci e servizi, giacché i vantaggi in un settore potrebbero compensare i sacrifici accettati nell'altro.

In base a tali considerazioni la Commissione ritiene che il rifiuto di riconoscere, nel caso di specie, la pertinenza dell'art. 113 del Trattato come base giuridica sia dovuto ad una concezione superata della politica commerciale comune, che vorrebbe limitare questa norma agli strumenti che disciplinano direttamente le importazioni e le esportazioni.

Orbene, già nel citato parere 1/78 la Corte avrebbe confutato tale concezione limitata, basata sui dati ancora predominanti negli anni Cinquanta. Alla luce di quanto sopra, non sarebbe decisivo il fatto che lo strumento rafforzato abbia effetti abbastanza limitati sulle normative che disciplinano gli scambi di merci.

La Commissione esamina poi gli effetti della concessione del trattamento nazionale alle imprese stabilite nella Comunità, ma controllate da cittadini o da imprese di paesi terzi. Queste imprese potrebbero esercitare un'attività consistente nella produzione di merci o nella prestazione di servizi, o in entrambi, e potrebbero avere la forma di società autonoma, di filiale dotata di una propria personalità giuridica o di succursale. Per quanto riguarda le prime due categorie, il trattamento nazionale, da parte della Comunità, nei confronti delle imprese dei paesi membri dell'OCSE sarebbe già ampiamente realizzato attraverso l'art. 58 del Trattato.

Lo strumento rafforzato avrebbe certamente degli effetti sugli strumenti classici che disciplinano gli scambi di merci per quanto riguarda segnatamente l'accesso delle imprese dei paesi terzi alle licenze d'importazione o d'esportazione previste dalla normativa comunitaria come strumenti di politica commerciale. In quanto partecipano, a parità di condizioni, alle operazioni d'importazione e d'esportazione, tali imprese, dati i rapporti privilegiati che esse conserverebbero con i loro paesi d'origine, darebbero incremento al volume degli scambi con questi ultimi. Questo effetto sugli scambi sarebbe anzi l'obiettivo fondamentale della concessione del trattamento nazionale. Ciò considerato, l'art. 113 del Trattato costituirebbe sicuramente una base giuridica appropriata, se non addirittura necessaria, per l'atto proposto della Commissione, il quale sarebbe uno degli «strumenti più raffinati», per dirla con il citato parere 1/78, di cui la Comunità dovrebbe disporre per svolgere la sua politica commerciale.

Questo modo di vedere, peraltro, non sarebbe recente, poiché rispecchierebbe una prassi consolidata degli Stati consistente nel disciplinare negli accordi commerciali sia le questioni concernenti lo scambio di merci sia quelle relative ai servizi. Così si sarebbe comportata la Comunità già negli anni Settanta, nello stipulare numerosi accordi disciplinanti indistintamente i due settori.

Se quindi, secondo la Commissione, l'art. 113 del Trattato costituisce una base giuridica adeguata per l'adozione della decisione da essa proposta, sarebbe necessaria un'ulteriore analisi per accertare se tale norma costituisca addirittura l'unica base valida. La Commissione avrebbe inizialmente difeso questa tesi, ma poi avrebbe accettato la duplice base degli artt. 57 e 113 per mostrarsi conciliante nei confronti del Consiglio e per tener conto degli interessi del Parlamento europeo. Alla luce di quanto sopra, la Commissione, nonostante la sua proposta, presenta alla Corte in primo luogo gli argomenti che depongono a favore del ricorso esclusivo alla base giuridica dell'art. 113, il che corrisponderebbe alla sua intima convinzione.

Questa tesi implicherebbe che la politica commerciale comune abbracci non soltanto le questioni comunitarie concernenti gli scambi di merci e gli investimenti e servizi connessi, ma anche gli scambi di servizi in senso ampio. La fattispecie non obbligherebbe la Corte ad esaminare se tutte le forme di scambi di servizi rientrino nella sfera di applicazione dell'art. 113. Lo strumento rafforzato, che riguarderebbe solo le attività delle imprese già stabilite, si riferirebbe unicamente alle prestazioni di servizi da parte (o con l'assistenza) di un intermediario avente una sede nel paese interessato, escluse le prestazioni in cui tale intermediario sia assente e le prestazioni fornite ai clienti che si spostano in un altro paese per fruirvi di servizi. Tuttavia, sarebbe praticamente impossibile separare la categoria di servizi direttamente pertinente dall'insieme degli aspetti connessi agli scambi internazionali di servizi.

Di conseguenza, bisognerebbe determinare se la concezione dinamica della politica commerciale comune abbozzata dalla Corte nel citato parere 1/78 possa ricomprendere, in generale, tutto un settore di attività per il quale finora non sarebbe esistita una prassi consolidata. A questo proposito, si sarebbero manifestate in dottrina tre grandi correnti di opinione. Una prima tesi estrema, che sarebbe in progressivo abbandono, limiterebbe la portata dell'art. 113 agli scambi di merci e, tutt'al più, alle questioni annesse e connesse. Un'opinione intermedia consentirebbe di superare il ristretto ambito degli scambi di merci, ma si mostrerebbe selettiva quanto ai settori ricompresi nell'art. 113, fra cui in particolare i servizi. Secondo una terza tesi, l'art. 113 ricomprenderebbe tutte le relazioni economiche esterne della Comunità.

La prima tendenza sarebbe frutto di un modo di vedere puramente storico e sistematico. Nella struttura generale del Trattato la politica commerciale comune apparirebbe come l'aspetto dell'unione doganale rivolto all'esterno, il che sarebbe confermato a prima vista dalla lettura degli artt. 3, 9, 10 e 110 del Trattato. Questa tesi, però, cozzerebbe contro la considerazione che il Trattato non contiene alcuna definizione della politica commerciale, che le disposizioni relative all'unione doganale e alla politica commerciale comune figurano in parti del Trattato molto lontane fra loro e che il Trattato, stipulato a tempo indeterminato, persegue obiettivi che vanno molto al di là della realizzazione di una semplice unione doganale fra gli Stati membri. Tutto ciò avrebbe indotto la maggior parte degli autori a respingere la tesi minimalista a favore della concezione dinamica adottata dalla Corte.

Fra gli autori della seconda tendenza, alcuni farebbero una distinzione tra gli scambi di servizi, che rientrerebbero nella politica commerciale comune, e la libertà di stabilimento, che ne sarebbe esclusa. Tale distinzione sarebbe però artificiale: essa si risolverebbe nello smembrare ad arte il settore dei servizi in un momento in cui sul piano internazionale, e segnatamente nell'ambito del GATT, ci si starebbe orientando verso un approccio integrale; essa porterebbe inoltre a trattare situazioni uguali in modo discriminatorio. Nel caso di specie la Comunità potrebbe concedere, nell'ambito della politica commerciale, il trattamento nazionale agli operatori dei paesi terzi che esercitano la loro attività nella Comunità senza disporvi di una sede propria, ma non potrebbe accordarlo agli operatori che già dispongono di una sede nella Comunità. Tale risultato non potrebbe che lasciare perplessi.

Per contro, alcuni argomenti molto convincenti deporrebbero a favore dell'inclusione di ogni forma di prestazione di servizi nella politica commerciale comune. Da una parte, ciò sarebbe consono all'evoluzione della nozione di politica commerciale sul piano internazionale. Dall'altra, tale soluzione terrebbe conto del fatto che, sul piano interno, tutti gli aspetti concernenti gli scambi di servizi rientrano nella competenza comunitaria. La situazione sarebbe quindi analoga a quella dell'unione doganale, in cui la realizzazione del mercato comune per quanto riguarda la circolazione delle merci avrebbe richiesto subito un regime commerciale comune nei confronti dell'esterno.

La mancanza, nel Trattato, di una disciplina esterna integrale per gli scambi di servizi sarebbe dovuta al fatto che, all'epoca della redazione di esso, il settore aveva un'importanza relativamente secondaria, mentre oggi la situazione è cambiata. Ora che la necessità di tale disciplina esterna è maggiormente sentita, sarebbe del tutto inadeguato scegliere una base giuridica i cui meccanismi decisionali sarebbero notevolmente diversi da quelli che si applicano in fatto di merci, giacché una simile soluzione comprometterebbe la capacità della Comunità di agire rapidamente, efficacemente e coerentemente nei due settori. Di conseguenza, per entrambi i settori si dovrebbe scegliere la stessa base giuridica, ossia l'art. 113, tranne nei casi in cui il Trattato prevede una base molto specifica, come gli artt. 28 o 103, n. 4, per le merci e 59, n. 2, per i prestatori di servizi di paesi terzi già stabiliti nella Comunità.

In subordine la Commissione ritiene che, se la Corte non considerasse l'art. 113 come sola base giuridica per la partecipazione della Comunità alla terza decisione, l'aggiunta dell'art. 57 basterebbe a ricomprendere gli aspetti relativi alle norme riguardanti lo stabilimento e gli scambi di servizi non coperti dall'art. 113. Nella fattispecie l'applicazione simultanea dei criteri risultanti dalla giurisprudenza AETS e dal parere 1/76, già citati, consentirebbe di disciplinare, su una base unica del Trattato, tutti gli aspetti orizzontali e generali nei rapporti esterni concernenti la libertà di stabilimento e gli scambi di servizi.

La giurisprudenza «AETS» potrebbe essere applicata nel caso di specie anche se si riferisce ai settori delle politiche comuni. Infatti, per realizzare un determinato obiettivo sarebbe decisiva solo l'esistenza di competenze sul piano interno, come attesterebbe anche la prassi delle istituzioni. Il fatto che l'art. 57 preveda, in via di principio, solo l'adozione di norme da applicare all'interno della Comunità non sarebbe pertinente, poiché tale situazione sarebbe proprio quella in cui trova applicazione la giurisprudenza «AETS». Infine, se l'art. 58 del Trattato non estende alle succursali il trattamento comunitario concesso alle imprese di paesi terzi costituite in forma di società secondo le leggi di uno Stato membro, ciò non significherebbe che la concessione di tale trattamento mediante un atto basato sull'art. 57 sia vietata.

In ulteriore subordine la Commissione rileva che l'art. 100 A, n. 1, del Trattato potrebbe essere aggiunto all'art. 113 come base giuridica della decisione proposta. Secondo i principi della giurisprudenza «AETS», l'art. 100 A dovrebbe consentire di istituire anche verso l'esterno le varie discipline del mercato interno. Un'azione comunitaria coerente in materia di trattamento nazionale sarebbe indispensabile, nell'ambito del mercato interno, per evitare azioni isolate degli Stati membri che potrebbero falsare la concorrenza e provocare una gara al rialzo di promesse di condizioni favorevoli alle imprese dei paesi terzi per attirarne gli investimenti.

In ogni caso sarebbe escluso il ricorso all'art. 235 del Trattato. Secondo la giurisprudenza della Corte, questa norma potrebbe essere adottata come base giuridica soltanto qualora manchi ogni altra base specifica. La Corte avrebbe anzi precisato, nella citata sentenza 27 settembre 1988, Commissione/Consiglio, che il ricorso al detto articolo non è giustificato quando un atto debitamente basato su un'altra disposizione del Trattato può incidere su un altro atto basato sull'art. 235 del Trattato.

Il Parlamento europeo ricorda il punto di vista già espresso nel parere emesso in prima lettura nell'ambito del procedimento di cooperazione che avrebbe dovuto portare all'adozione della decisione proposta dalla Commissione. La duplice base giuridica costituita dagli artt. 57 e 113 del Trattato sarebbe necessaria perché l'attuazione della politica comunitaria in materia di accesso alle attività lavorative indipendenti e di esercizio delle stesse implicherebbe la stipulazione di accordi esterni che garantiscano l'equilibrato sviluppo di questa politica.

Gli artt. 52, seconda frase, e 57, n. 2, del Trattato attribuirebbero alla Comunità competenze espresse al fine di abolire gradualmente le restrizioni della libertà di stabilimento, fra l'altro, delle imprese dei paesi terzi contemplate dall'art. 58, conformemente alla giurisprudenza «AETS», integrata dalla sentenza 14 luglio 1976 (cause riunite 3/76, 4/76 e 6/76, Kramer e a., Racc. pag. 1279) e dal citato parere 1/76. Ciò implicherebbe che la Comunità è competente a contrarre gli impegni internazionali necessari per la realizzazione di tale obiettivo.

Si dovrebbe inoltre osservare che la partecipazione della Comunità alla terza decisione ha lo scopo di liberalizzare le politiche nei confronti degli investimenti diretti stranieri, in ispecie per quanto concerne l'entrata, lo stabilimento e il trattamento delle imprese controllate da stranieri, e che la libertà di stabilimento concessa a tali imprese contribuisce, fra l'altro, allo sviluppo degli scambi intracomunitari. Tutto questo porterebbe ad escludere che l'art. 113 del Trattato possa costituire la sola base giuridica per la partecipazione alla terza decisione. La sua integrazione con l'art. 57, n. 2, del Trattato sarebbe comunque necessaria e le norme del Trattato relative ai trasporti potrebbero eventualmente essere prese in considerazione per misure comunitarie costituenti deroghe al trattamento nazionale nel settore considerato.

Per di più, la dichiarazione modificata non vieterebbe agli Stati membri di adottare i provvedimenti che ritengano necessari per il mantenimento dell'ordine pubblico e per la tutela degli interessi essenziali della loro sicurezza. Siccome, in base al Trattato CEE, queste materie sarebbero di competenza degli Stati membri, questi ultimi potrebbero assumere impegni in proposito nell'ambito della terza decisione modificata, il che sarebbe incompatibile con la scelta dell'art. 113 come base giuridica della partecipazione comunitaria alla detta decisione.

Il Parlamento europeo sostiene del pari che un ricorso esclusivo all'art. 113, basato su un'interpretazione estensiva di questa norma, rischia di creare un grave pregiudizio per l'equilibrio istituzionale, soprattutto per quanto concerne l'intervento parlamentare nella stipulazione di accordi internazionali. L'esclusione della partecipazione del Parlamento andrebbe in senso contrario alla volontà di far progredire la Comunità in un senso sempre più democratico, manifestata nell'Atto unico, e contrasterebbe anche con l'orientamento seguito dalla Corte nella citata sentenza 11 giugno 1991, Commissione/Consiglio, «biossido di titanio».

Infine, il ricorso all'art. 235 del Trattato sarebbe da escludere, dato il carattere sussidiario di questa norma.

4. Sul carattere esclusivo o misto della partecipazione comunitaria alla terza decisione

Il governo belga osserva che gli Stati membri della Comunità sono anche membri dell'OCSE, mentre la Comunità non lo è. Infatti, la stretta collaborazione prevista fra la Comunità e l'OCSE dall'art. 231 del Trattato non sarebbe sfociata nell'adesione della Comunità a tale organizzazione. Il governo belga si chiede se questa circostanza giustifichi una partecipazione mista alla terza decisione.

Il governo ellenico rileva che la terza decisione produce i suoi effetti nell'ambito della dichiarazione modificata, alla quale non risulta che la Comunità abbia aderito. Inoltre, talune materie sulle quali vertono le disposizioni relative al trattamento nazionale non costituirebbero oggetto delle politiche comunitarie finora attuate, ma sarebbero di competenza nazionale. In tale situazione potrebbero essere introdotte eccezioni al principio del trattamento nazionale a livello comunitario e a livello nazionale. Di conseguenza, sarebbe giustificata una partecipazione mista.

Il governo spagnolo sostiene che nel corso delle trattative preliminari i dodici Stati membri e la Commissione sono stati concordi nel considerare che la partecipazione della Comunità alla terza decisione non crea problemi di compatibilità con il Trattato, che la Comunità dispone delle competenze sufficienti a tale scopo e che la sua partecipazione non esclude quella degli Stati membri.

La terza decisione, che tratterebbe del regime da applicare alle imprese, rientrerebbe nella competenza della Comunità o degli Stati membri a seconda che la materia da disciplinare sia comunitaria o nazionale. Pertanto, la competenza ad adottarla sarebbe ripartita fra la Comunità e gli Stati membri.

Il governo francese osserva che la competenza della Comunità a partecipare alla terza decisione sussiste per tre motivi. In primo luogo, gli artt. 54 e 57 del Trattato le conferirebbero elementi di competenza in materia di trattamento nazionale. In secondo luogo, la competenza della Comunità risulterebbe dal fatto che esisterebbero eccezioni comunitarie all'applicazione del trattamento nazionale, la cui notifica all'OCSE spetterebbe alla Comunità stessa. In terzo luogo, lo strumento rafforzato potrebbe incidere in futuro sulla possibilità della Comunità di istituire differenze di trattamento fra società controllate da stranieri e società controllate da cittadini comunitari.

Tuttavia, tale competenza comunitaria non escluderebbe quella degli Stati membri. Questi resterebbero competenti a determinare il trattamento da riservare alle succursali e alle filiali dirette di società stabilite in paesi terzi.

Inoltre, l'art. 52 del Trattato, riferendosi solo all'esercizio della libertà di stabilimento di cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità, non impedirebbe agli Stati membri di tenere fermi o di rinegoziare accordi con paesi terzi in materia di stabilimento.

Il governo francese ritiene pertanto che gli Stati membri e la Comunità debbano partecipare congiuntamente alla terza decisione.

Il governo olandese considera giustificata la partecipazione autonoma degli Stati membri alla terza decisione, date le loro competenze in materia.

Il governo britannico sostiene che la competenza degli Stati membri a partecipare alla terza decisione non può essere messa in dubbio, a prescindere dalla questione della base giuridica da adottare per la partecipazione della Comunità.

Il trattamento delle imprese che sono controllate da cittadini di paesi terzi e che esercitano le loro attività nel territorio degli Stati membri sarebbe disciplinato in parte da norme nazionali e in parte da norme comunitarie. Considerato che la terza decisione impone obblighi di notifica di tali misure, gli Stati membri sarebbero competenti alla stessa stregua della Comunità. Inoltre, i detti obblighi di notifica riguarderebbero anche le misure adottate per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità. Manifestamente, gli Stati membri sarebbero competenti in materia in quanto il Trattato, segnatamente negli artt. 55, 56, 66, 223 e 224, riconoscerebbe loro il diritto di adottare tali misure in mancanza di armonizzazione comunitaria.

Il Consiglio afferma che la possibilità di una partecipazione congiunta della Comunità e degli Stati membri allo strumento rafforzato non può essere messa in discussione e risulta dal contenuto dello strumento stesso. A seconda che il regime da applicare alle imprese rientri nelle competenze comunitarie o nelle competenze nazionali, degli impegni sul piano internazionale potrebbero essere sottoscritti rispettivamente dalla Comunità o dagli Stati membri.

Secondo la Commissione, se l'art. 113 del Trattato fosse la sola base giuridica per l'adozione dell'atto da essa proposto, la Comunità avrebbe competenza esclusiva a partecipare alla terza decisione. Tale conseguenza potrebbe generare incertezze poiché il trattamento nazionale non concernerebbe esclusivamente disposizioni comunitarie, ma anche disposizioni nazionali vertenti su numerose materie, alcune delle quali non saranno forse mai oggetto di armonizzazione.

Tuttavia, sarebbe generalmente ammesso che un accordo stipulato dalla Comunità può avere tali conseguenze per il diritto nazionale. Così, la concessione, da parte della Comunità, della clausola della nazione più favorita avrebbe avuto conseguenze sull'applicazione delle normative nazionali, in specie in materia doganale, prima dell'armonizzazione e dell'unificazione quasi totale di tale branca del diritto. Del pari, la stipulazione, da parte della Comunità, dell'accordo sugli ostacoli tecnici agli scambi (decisione del Consiglio 10 dicembre 1979, 80/271/CEE, relativa alla conclusione degli accordi multilaterali derivanti da negoziati commerciali degli anni 1973-1979; GU 1980, L 71, pag. 1) avrebbe riguardato settori oggetto di discipline nazionali non sempre armonizzate a livello comunitario.

In ogni caso, il fatto che gli Stati membri conservino competenze sul piano interno non potrebbe essere invocato per conferire loro necessariamente la competenza esterna, il che si risolverebbe nell'ammettere un ragionamento che la Commissione definisce «AETS alla rovescia».

Infine, qualora il ricorso all'art. 57 o all'art. 100 A accanto all'art. 113 fosse considerato necessario, il legislatore comunitario disporrebbe nella fattispecie di un ampio margine discrezionale, conformemente al citato parere 1/76, per assumere tutti gli impegni nell'ambito dell'OCSE o per lasciare un determinato spazio agli Stati membri relativamente a settori non disciplinati dalle norme comunitarie.

Il Parlamento europeo ritiene che gli Stati membri siano competenti a partecipare, accanto alla Comunità, alla terza decisione, ma tratta questo punto solo nelle osservazioni dedicate alla questione della base giuridica.


Presa di posizione della Corte

I

1

La domanda di parere proposta dal Regno del Belgio ai sensi dell'art. 228, n. 1, secondo comma, del Trattato CEE (sostanzialmente riprodotto nell'art. 228, n. 6, del Trattato CE) verte ad un tempo sulla base giuridica da adottare per la decisione del Consiglio concernente la partecipazione della Comunità alla terza decisione modificata del Consiglio dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici relativa al trattamento nazionale (in prosieguo, rispettivamente: la «terza decisione» e l'«OCSE») e sulla natura esclusiva o ripartita della competenza della Comunità a partecipare alla detta decisione.

2

Quest'ultima è stata emanata nell'ambito delle attività dell'OCSE riguardanti il trattamento da riservare alle imprese stabilite nel territorio di paesi membri della detta organizzazione e controllate da stranieri. Essa fa parte del cosiddetto «strumento rafforzato relativo al trattamento nazionale» che è composto, da un lato, della sezione modificata relativa al trattamento nazionale, figurante nella dichiarazione del 1976 sull'investimento internazionale e sulle imprese multinazionali (in prosieguo: la «dichiarazione modificata») e, dall'altro, delle decisioni ad essa allegate, fra cui, per l'appunto, la terza decisione.

3

Con la dichiarazione modificata, i paesi dell'OCSE e, nelle materie di sua competenza, la Comunità manifestano l'intenzione di accordare alle imprese operanti nel loro territorio e che appartengono a, o sono controllate direttamente o indirettamente da, cittadini di un altro paese membro un trattamento non meno favorevole di quello di cui fruiscono nelle stesse circostanze le imprese nazionali, con riserva di talune eccezioni o deroghe.

4

Con la terza decisione, le parti contraenti si impegnano segnatamente ad osservare una procedura di notifica e di esame, nell'ambito dell'OCSE, dei provvedimenti che costituiscono eccezioni al trattamento nazionale nonché di ogni altra misura che abbia ripercussioni sul trattamento nazionale.

5

Su raccomandazione della Commissione, il Consiglio ha autorizzato quest'ultima, il 28 maggio 1990, a negoziare nell'ambito dell'OCSE una decisione relativa al trattamento nazionale. Il 27 novembre 1991 la Commissione ha inviato al Consiglio una comunicazione relativa ai risultati dei detti negoziati e una proposta di decisione, basata sugli artt. 57 e 113 del Trattato, relativa alla partecipazione della Comunità alla terza decisione.

6

Nel dicembre 1991, al momento dell'adozione della terza decisione da parte del Consiglio dell'OCSE, il rappresentante del Regno dei Paesi Bassi, Stato membro che esercitava allora la presidenza del Consiglio delle Comunità, ha fatto notare che, in quanto verteva su materie rientranti nella competenza della Comunità, la detta decisione avrebbe vincolato gli Stati membri della Comunità stessa dopo la sua adesione. Nella medesima occasione il rappresentante della Commissione ha dichiarato che la Comunità intendeva aderire alla terza decisione dopo l'espletamento delle procedure comunitarie necessarie e che, per le materie di propria competenza, essa si associava alla sezione della dichiarazione modificata relativa al trattamento nazionale.

7

Il 4 settembre 1992 il Regno del Belgio ha proposto la sua domanda di parere. I suoi quesiti sono così formulati:

«—

Se sia giustificato far ricorso alla doppia base giuridica (artt. 57 e 113) proposta dalla Commissione per la decisione del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità alla terza decisione.

In caso di soluzione negativa del primo quesito, quale sia la corretta base giuridica.

Se la competenza della Comunità a partecipare alla terza decisione escluda quella degli Stati membri, oppure se sia giustificata una partecipazione mista».

II

8

Occorre rilevare, preliminarmente, che la dichiarazione modificata non è un atto giuridicamente vincolante. Per contro, la terza decisione, che costituisce oggetto della domanda di parere in esame, ha natura vincolante per i paesi membri del-l'OCSE e, dopo la sua adesione, per la Comunità. Pertanto, in questa fase essa dev'essere assimilata ad un accordo previsto fra la Comunità e paesi terzi. Infatti, nel parere 1/75 dell'I 1 novembre 1975 (Racc. pag. 1355, in particolare pag. 1359) la Corte ha considerato che, riferendosi ad un «accordo», l'art. 228, n. 1, secondo comma, del Trattato usa tale termine in senso generale, per designare ogni impegno a carattere vincolante assunto da soggetti di diritto internazionale. Giustamente, quindi, la domanda di parere in esame si riferisce solo alla terza decisione.

9

Il Consiglio ha tuttavia invitato la Corte ad applicare per analogia, in particolare, l'art. 91 del regolamento di procedura ed ha eccepito l'irricevibilità della domanda. Esso ha sostenuto segnatamente che i primi due quesiti sottoposti alla Corte vertono non già sulla compatibilità della terza decisione con il Trattato, né sulla competenza della Comunità e delle sue istituzioni al riguardo, ma sul problema, del tutto diverso ed estraneo alla sfera d'applicazione del procedimento consultivo previsto dall'art. 228 del Trattato, della scelta della base giuridica. Il terzo quesito verterebbe, è vero, stando ai termini in cui è formulato, su problemi di riparto di competenze fra la Comunità e gli Stati membri. Tuttavia, da un lato, la sua soluzione dipenderebbe da quella che occorre dare ai primi due quesiti; d'altro lato, anche considerata isolatamente, la questione se la competenza della Comunità sia esclusiva o ripartita sarebbe priva di oggetto, giacché la competenza degli Stati membri non sarebbe mai stata messa in dubbio. La sua inclusione avrebbe il solo scopo di giustificare la domanda di parere con riguardo all'art. 228 e costituirebbe quindi uno sviamento di procedura.

10

Molti dei governi che hanno presentato osservazioni hanno anch'essi espresso riserve sulla ricevibilità dei quesiti relativi alla scelta della base giuridica dell'atto recante conclusione di un accordo. I governi spagnolo e britannico hanno segnatamente sostenuto che la pertinenza della base giuridica di tale atto può esser contestata nell'ambito di un ricorso di annullamento ai sensi dell'art. 173 del Trattato, ma non può essere esaminata nel procedimento consultivo previo previsto dall'art. 228.

11

A questo proposto, si deve rilevare che l'art. 91 del regolamento di procedura non può trovare applicazione nell'ambito dell'esercizio della funzione consultiva attribuita alla Corte dall'art. 228 del Trattato. Esso mira infatti a consentire alla Corte di statuire su talune eccezioni e taluni incidenti prima che le parti inizino la discussione nel merito. Orbene, tale scopo manifestamente non sussiste nell'ambito del procedimento consultivo. Di conseguenza, il Consiglio non poteva richiamarsi all'art. 91 per eccepire l'irricevibilità della domanda di parere. Tuttavia, stanti le obiezioni sopra riferite, la Corte è tenuta ad esaminare la ricevibilità della detta domanda.

12

Va osservato in proposito che, come il governo belga ha confermato all'udienza, la domanda di parere verte sull'estensione, con riguardo alle norme del diritto comunitario, delle competenze della Comunità e degli Stati membri nella materia che costituisce oggetto degli atti dell'OCSE relativi al trattamento nazionale, di modo che la soluzione da dare al problema dipende dalla portata delle norme comunitarie atte ad attribuire alle istituzioni il potere di partecipare alla terza decisione.

13

Orbene, risulta da una giurisprudenza costante che la Corte può essere interpellata, ai sensi dell'art. 228 del Trattato, in particolare sulle questioni che, come nel caso di specie, riguardano la ripartizione delle competenze fra la Comunità e gli Stati membri (v., da ultimo, il parere 1/94 del 15 novembre 1994, Racc. pag. I-5267, punto 9, e la giurisprudenza ivi citata).

14

In risposta alle obiezioni dei governi spagnolo e britannico si deve inoltre ricordare che il fatto che talune questioni possano essere affrontate nell'ambito di procedimenti di altra natura, e in particolare in un ricorso di annullamento ex art. 173 del Trattato, non costituisce un valido argomento per escludere che esse possano essere previamente sottoposte alla Corte in via consultiva ai sensi dell'art. 228. Come la Corte ha rilevato nel citato parere 1/75, devono poter costituire oggetto del procedimento consultivo tutti i problemi che possono essere sottoposti a sindacato giurisdizionale, purché tali problemi diano adito ad incertezze sulla validità sostanziale o formale dell'accordo con riguardo al Trattato.

15

Alla luce di quanto precede, la Corte deve pronunciarsi sulla domanda di parere in oggetto.

III

16

Il Consiglio ha altresì sostenuto che la domanda di parere utilizza, senza la sua autorizzazione e in violazione dell'art. 18 del suo regolamento interno, taluni documenti interni e talune informazioni riservate riguardanti l'attività dei suoi vari organi. Esso ha invitato la Corte a non tenerne conto.

17

A questo proposito la Corte ritiene che i documenti e le informazioni di cui trattasi siano privi di pertinenza e quindi possano essere subito esclusi dal suo esame.

IV

18

Nella domanda di parere il governo belga ha affermato che la partecipazione della Comunità alla terza decisione rientra nella competenza esclusiva di cui essa gode in materia di politica commerciale in base all'art. 113 del Trattato. La Commissione, nonostante avesse proposto al Consiglio di adottare la decisione relativa alla partecipazione della Comunità alla terza decisione in base agli artt. 57 e 113 del Trattato, ha anch'essa difeso dinanzi alla Corte la tesi secondo cui l'art. 113 deve costituire la sola base giuridica per l'adozione dell'atto proposto e attribuisce alla Comunità competenza esclusiva in materia.

19

Gli Stati membri che hanno presentato osservazioni ed il Parlamento europeo hanno rilevato che l'art. 113 non può conferire alla Comunità alcuna competenza nella materia cui si riferisce la terza decisione.

20

Considerate queste tesi contrastanti, occorre pronunciarsi sulla portata dell'art. 113 del Trattato CE, che riproduce in sostanza il disposto dell'art. 113 del Trattato CEE, con riguardo alla materia che costituisce oggetto della terza decisione. Data la natura puramente procedurale di questa decisione, l'esame della Corte deve vertere sulla norma sostanziale cui essa si riferisce, vale a dire la norma del trattamento nazionale sancita dall'art. ILI della dichiarazione modificata.

21

La detta norma riguarda la situazione delle imprese, quale che sia il settore delle loro attività, che operano, segnatamente attraverso società controllate e succursali, nel territorio degli Stati membri della Comunità e che appartengono a, o sono controllate da, cittadini di altri paesi membri dell'OCSE.

22

Si deve rilevare che, ai sensi del suo art. II.4, la dichiarazione modificata non riguarda il diritto dei paesi membri dell'OCSE di disciplinare l'ammissione degli investimenti stranieri o le condizioni per lo stabilimento delle imprese straniere.

23

La relazione del Comitato per gli investimenti internazionali e per le imprese multinazionali [C/MIN/(91) 7/ANN2], che ha proceduto alla modifica della dichiarazione, menziona, nel paragrafo 10, cinque categorie di settori nei quali si applica la norma del trattamento nazionale, vale a dire le misure che riguardano 1) gli appalti pubblici, 2) gli aiuti e le sovvenzioni pubbliche, 3) l'accesso ai crediti locali, 4) gli obblighi fiscali e 5) il regime degli investimenti, esclusi gli investimenti diretti e gli investimenti effettuati da succursali dirette, cioè succursali di società non stabilite in un paese membro dell'OCSE.

24

Anche se da quanto precede risulta che la norma del trattamento nazionale concerne principalmente le condizioni della partecipazione delle imprese controllate da stranieri alla vita economica interna degli Stati membri nei quali esse operano, ciò non toglie che tale norma si applichi anche alle condizioni della loro partecipazione agli scambi fra gli Stati membri e paesi terzi, condizioni che costituiscono oggetto della politica commerciale comune della Comunità.

25

Quanto alla partecipazione delle imprese controllate da stranieri agli scambi intracomunitari, è sufficiente osservare che questi ultimi sono soggetti alle norme del mercato interno della Comunità e non rientrano nella politica commerciale comune di questa.

26

Pertanto, la norma del trattamento nazionale riguarda solo parzialmente gli scambi internazionali con paesi terzi: essa concerne il commercio interno altrettanto, se non più del commercio internazionale.

27

Inoltre, come la Corte ha rilevato nei punti 48-52 del citato parere 1/94, gli accordi internazionali in materia di trasporti rientrano nella politica comune dei trasporti e non nella politica commerciale comune. Anche in quanto riguarda le condizioni alle quali le imprese controllate da stranieri partecipano ai trasporti internazionali con paesi terzi, la norma del trattamento nazionale esula dalla sfera di applicazione dell'art. 113.

28

Ne consegue che l'art. 113 non attribuisce alla Comunità competenza esclusiva a partecipare alla terza decisione.

V

29

In subordine, la Commissione ha sostenuto che la partecipazione della Comunità alla terza decisione potrebbe essere basata, oltre che sull'art. 113, sull'art. 57 e, in ulteriore subordine, sull'art. 100 A. In entrambe le ipotesi occorrerebbe applicare i principi risultanti dalla giurisprudenza «AETR» (sentenza 31 marzo 1971, causa 22/70, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 263) e dal parere 1/76 del 26 aprile 1977 (Racc. pag. 741), secondo cui, in mancanza di disposizioni espresse del Trattato, la competenza esterna della Comunità potrebbe essere desunta dai suoi poteri di azione sul piano interno. Secondo la Commissione, se questa tesi fosse accolta, il legislatore comunitario disporrebbe nel caso di specie di un potere discrezionale per assumere tutti gli impegni nell'ambito dell'OCSE o lasciare, in certa misura, agli Stati membri un margine di autonomia in settori non disciplinati dalla normativa comunitaria.

30

Molti dei governi che hanno presentato osservazioni, nonché il Parlamento europeo, hanno rilevato che le materie oggetto della terza decisione ricadono sotto disposizioni del Trattato diverse dall'art. 113. Sono stati menzionati, in particolare, gli artt. 54, n. 2, 57, n. 2, 75, 84, 92, 93, 98, 99, 100 e 100 A. I governi ellenico, francese ed olandese hanno sostenuto, con argomenti diversi, che sarebbe anche necessario avvalersi dell'art. 235 del Trattato. I governi che hanno presentato osservazioni e il Parlamento europeo concordano nel ritenere che, comunque, la competenza a partecipare alla terza decisione è ripartita fra la Comunità e gli Stati membri.

31

A questo proposito, risulta dalla giurisprudenza della Corte, da ultimo ricordata nel citato parere 1/94 (punto 77), che la competenza esterna esclusiva della Comunità non discende ipso facto dal suo potere di emanare norme sul piano interno. Come è stato sottolineato nella citata sentenza «AETS» (punti 17 e 18), gli Stati membri, agiscano essi individualmente o collettivamente, perdono il potere di contrarre obbligazioni con paesi terzi solo gradualmente, a mano a mano che vengono istituite norme comuni sulle quali le dette obbligazioni possono incidere.

32

È vero che, come la Corte ha affermato nel citato parere 1/76, la competenza esterna basata sui poteri di azione interna della Comunità può essere esercitata senza previa emanazione di un atto legislativo interno, e diventare così esclusiva. Tuttavia, questa giurisprudenza si riferisce all'ipotesi in cui la stipulazione di un accordo internazionale sia necessaria per conseguire obiettivi del Trattato che non possono essere raggiunti con l'adozione di norme autonome (v. il citato parere 1/94, punto 85). Orbene, è pacifico che tale ipotesi non ricorre nel caso di specie.

33

Occorre pertanto accertare se il settore disciplinato dalla terza decisione costituisca già oggetto di atti legislativi interni contenenti disposizioni relative al trattamento da riservare alle imprese controllate da stranieri o che conferiscano alle istituzioni competenza a negoziare con i paesi terzi, oppure che armonizzino completamente il regime di accesso ad un'attività autonoma. Risulta infatti dalla giurisprudenza della Corte (v. segnatamente il parere 2/91 del 19 marzo 1993, Racc. pag. I-1061, e il citato parere 1/94) che in tali ipotesi la Comunità gode di competenza esclusiva a contrarre impegni internazionali.

34

Si deve rilevare che, anche se la Comunità ha emanato provvedimenti atti a creare una competenza esterna esclusiva ai sensi della giurisprudenza sopra citata, e rientranti in ispecie negli artt. 57, n. 2, 75, 84 e 100 A del Trattato CE, è pacifico che tali atti non si applicano a tutti i settori di attività cui si riferisce la terza decisione.

35

Ne deriva che la Comunità è competente a partecipare alla terza decisione, ma che tale competenza non investe tutte le materie contemplate dalla detta decisione.

36

Per quanto riguarda l'art. 235, che consente alla Comunità di ovviare all'insufficienza dei poteri conferitile, espressamente o implicitamente, per la realizzazione dei suoi obiettivi, esso non può creare, di per sé, una competenza esclusiva della Comunità sul piano internazionale. Infatti, una competenza interna, eccetto il caso in cui può essere esercitata utilmente solo contemporaneamente alla competenza esterna, può generare una competenza esterna esclusiva soltanto se viene esercitata, e lo stesso vale a fortiori per l'art. 235 (v. il citato parere 1/94, punto 89). Oltre a ciò, si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza (v., da ultimo, sentenza 11 giugno 1991, cause riunite C-51/89, C-90/89 e C-94/89, Regno Unito e a./Consiglio, Racc. pag. I-2757, punto 6), il ricorso dell'art. 235 è giustificato solo qualora nessun'altra norma del Trattato attribuisca alle istituzioni la competenza necessaria per l'emanazione di un determinato atto.

In conclusione,

LA CORTE, composta dai signori G. C. Rodríguez Iglesias, presidente, F. A. Schockweiler, P. J. G. Kapteyn e C. Gulmann, presidenti di sezione, G. F. Mancini (relatore), C. N. Kakouris, J. C. Moitinho de Almeida, J. L. Murray e D. A. O. Edward, giudici,

sentiti il primo avvocato generale, F. G. Jacobs, e gli avvocati generali C. O. Lenz, G. Tesauro, G. Cosmas, P. Léger e M. B. Elmer,

emette il seguente parere:

1)

La Comunità è competente a partecipare alla terza decisione modificata del-l'OCSE.

2)

La competenza a partecipare alla detta decisione è ripartita fra la Comunità e gli Stati membri.

Rodríguez Iglesias

Schockweiler

Kapteyn

Gulmann

Mancini

Kakouris

Moitinho de Almeida

Murray

Edward

Lussemburgo, 24 marzo 1995.

Il cancelliere

R. Grass

Il presidente

G. C. Rodríguez Iglesias