Sentenza della Corte del 14 dicembre 1995. - Ursula Megner e Hildegard Scheffel contro Innungskrankenkasse Vorderpfalz, già Innungskrankenkasse Rheinhessen-Pfalz. - Domanda di pronuncia pregiudiziale: Sozialgericht Speyer - Germania. - Parità di trattamento tra uomini e donne in materia previdenziale - Art. 4, n. 1, della direttiva 79/7/CEE - Lavori minori e di breve durata - Esclusione dall'assicurazione obbligatoria vecchiaia, dall'assicurazione malattia e dall'obbligo contributivo relativo all'assicurazione contro la disoccupazione. - Causa C-444/93.
raccolta della giurisprudenza 1995 pagina I-04741
Massima
Parti
Motivazione della sentenza
Decisione relativa alle spese
Dispositivo
++++
1. Politica sociale ° Parità di trattamento tra uomini e donne in materia previdenziale ° Ambito di applicazione ratione personae della direttiva 79/7 ° Popolazione attiva ai sensi dell' art. 2 della direttiva ° Persone che occupano un impiego caratterizzato da un limitato orario e da una ridotta retribuzione ° Inclusione
(Direttiva del Consiglio 79/7/CEE, art. 2)
2. Politica sociale ° Parità di trattamento tra uomini e donne in materia previdenziale ° Direttiva 79/7 ° Normativa nazionale che esclude dal regime legale di assicurazione vecchiaia e malattia e dall' obbligo contributivo relativo all' assicurazione contro la disoccupazione gli impieghi minori e quelli di breve durata ° Normativa che interessa principalmente le donne ° Giustificazione oggettiva ° Ammissibilità
(Direttiva del Consiglio 79/7, art. 4, n. 1)
1. La direttiva 79/7, relativa alla graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, va interpretata nel senso che le persone che occupano impieghi definiti minori, perché con orario normale inferiore alle quindici ore settimanali e con retribuzione non superiore a un settimo della retribuzione mensile media, o impieghi di breve durata, che per loro natura, o in base a previa pattuizione contrattuale, sono abitualmente limitati a un orario normale inferiore a diciotto ore settimanali, fanno parte della popolazione attiva ai sensi dell' art. 2 della direttiva e rientrano quindi nel suo ambito di applicazione.
Il fatto che una persona tragga dalla propria attività professionale solo un reddito limitato, che non le consente di provvedere alle proprie necessità, non può infatti, per il diritto comunitario, privare l' interessato della qualifica di lavoratore, né escluderlo dalla popolazione attiva.
2. L' art. 4, n. 1, della direttiva 79/7, relativa alla graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, dev' essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, che escluda dai regimi legali di assicurazione malattia e vecchiaia le attività lavorative subordinate prestate per un orario settimanale normale inferiore alle quindici ore e per una retribuzione non superiore al settimo della base mensile di riferimento, come pure una normativa nazionale, che escluda le attività lavorative subordinate che per loro natura, o in base a previa pattuizione contrattuale, sono abitualmente limitate a un orario normale inferiore a diciotto ore settimanali dall' obbligo contributivo relativo al regime legale dell' assicurazione contro la disoccupazione, non costituiscono una discriminazione basata sul sesso, anche se interessano un numero notevolmente maggiore di donne che di uomini, allorché il legislatore nazionale ha potuto ragionevolmente ritenerle necessarie al raggiungimento di un obiettivo di politica sociale estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso.
Ciò si verifica quando l' esclusione di tali impieghi dall' assicurazione obbligatoria risponda a un principio strutturale di un regime previdenziale contributivo, sia l' unico modo di far fronte a una domanda sociale per tali impieghi e sia intesa a evitare un aumento del lavoro irregolare e dei comportamenti elusivi della legislazione previdenziale.
Nel procedimento C-444/93,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell' art. 177 del Trattato CE, dal Sozialgericht di Spira (Repubblica federale di Germania) nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Ursula Megner,
Hildegard Scheffel
e
Innungskrankenkasse Rheinhessen-Pfalz, già
Innungskrankenkasse Vorderpfalz,
sostenuta da
Landesversicherungsanstalt Rheinland-Pfalz,
Bundesanstalt fuer Arbeit,
Firma G.F. Hehl & Co.,
intervenienti,
domanda vertente sull' interpretazione dell' art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24),
LA CORTE,
composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, C.N. Kakouris (relatore), D.A.O. Edward e G. Hirsch, presidenti di sezione, F.A. Schockweiler, J.C. Moitinho de Almeida, P.J.G. Kapteyn, J.L. Murray, P. Jann, H. Ragnemalm e L. Sévon, giudici,
avvocato generale: P. Léger
cancelliere: signora D. Louterman-Hubeau, amministratore principale
viste le osservazioni scritte presentate:
° per le signore Megner e Scheffel, dal signor Gert Siller, agente del Deutscher Gewerkschaftsbund;
° per l' Innungskrankenkasse Vorderpfalz, dal signor Ralf Imhoff, "Justitiar" dell' Innungskrankenkasse-Bundesverband;
° per la Landesversicherungsanstalt Rheinland-Pfalz, dal signor Lother Florian, direttore;
° per la Firma G.F. Hehl & Co., dall' avv. Volker Daum, del foro di Mannheim;
° per il governo tedesco, dai signori Ernst Roeder, Ministerialrat presso il ministero federale dell' Economia, e Bernd Kloke, Regierungsrat presso lo stesso ministero, in qualità di agenti;
° per il governo belga, dal signor Patrick Duray, consigliere aggiunto presso il servizio giuridico del ministero degli Affari esteri, in qualità di agente;
° per il governo francese, dalla signora Catherine de Salins, vicedirettore presso la direzione degli affari giuridici del ministero degli Affari esteri, e dal signor Claude Chavance, addetto principale dell' amministrazione centrale presso lo stesso ministero, in qualità di agenti;
° per il governo irlandese, dal signor Michael A. Buckley, Chief State Solicitor, in qualità di agente;
° per il governo del Regno Unito, dalla signorina S. Lucinda Hudson, Assistant Treasury Solicitor, in qualità di agente, e dal signor Nicholas Paines, barrister;
° per la Commissione delle Comunità europee, dalla signora Marie Wolfcarius, membro del servizio giuridico, e dal signor Horstpeter Kreppel, funzionario tedesco distaccato presso detto servizio, in qualità di agenti,
vista la relazione d' udienza,
sentite le osservazioni orali delle signore Megner e Scheffel, rappresentate dal signor Gert Siller, dell' Innungskrankenkasse Vorderpfalz, rappresentata dal signor Ralf Imhoff, della Firma G.F. Hehl & Co., rappresentata dall' avv. Ralph Landsittel, del foro di Mannheim, del governo tedesco, rappresentato dal signor Ernst Roeder, del governo francese, rappresentato dal signor Claude Chavance, del governo irlandese, rappresentato dal signor Donal O' Donnell, barrister-at-law, del governo del Regno Unito, rappresentato dal signor Nicholas Paines, e della Commissione, rappresentata dalla signora Marie Wolfcarius e dal signor Horstpeter Kreppel, all' udienza dell' 8 marzo 1995,
sentite le conclusioni dell' avvocato generale, presentate all' udienza del 31 maggio 1995,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con ordinanza 26 ottobre 1993, pervenuta in cancelleria il 18 novembre successivo, il Sozialgericht di Spira ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell' art. 177 del Trattato CE, una questione pregiudiziale circa l' interpretazione dell' art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (GU 1979, L 6, pag. 24; in prosieguo: la "direttiva").
2 Tale questione è stata sollevata nell' ambito di una controversia tra le signore Megner e Scheffel, da una parte, e l' Innungskrankenkasse Vorderpfalz, dall' altra.
3 Le signore Megner e Scheffel sono dipendenti, in qualità di addette alle pulizie, della G. F. Hehl & Co., impresa di pulizie di edifici. Il loro normale orario di lavoro è al massimo di due ore per giorno lavorativo, in ragione di cinque giorni alla settimana. La loro retribuzione dipende dall' accordo collettivo del settore delle pulizie di edifici e non supera, al mese, il settimo della base mensile di riferimento.
4 Le ricorrenti nella causa principale hanno chiesto alla Innungskrankenkasse Vorderpfalz di riconoscere il loro obbligo di iscriversi al regime obbligatorio di assicurazione malattia e vecchiaia, nonché di versare i contributi del regime obbligatorio di assicurazione contro la disoccupazione.
5 Con lettera 6 marzo 1992 la Innungskrankenkasse Vorderpfalz ha respinto la loro richiesta con la motivazione che esse svolgono attività minori o di breve durata che, per la legge tedesca, sono esenti dall' obbligo di iscrizione e contribuzione a tali assicurazioni obbligatorie.
6 Infatti, l' art. 8, n. 1, punto 1, del libro IV del Sozialgesetzbuch (codice previdenziale; in prosieguo: il "SGB") dispone che un' occupazione
"(...) è considerata minore quando:
viene regolarmente esercitata per un orario settimanale inferiore alle 15 ore e di norma il salario mensile non supera;
(...)
b) (...) il settimo della retribuzione mensile (art. 18) (...)".
7 L' importo di riferimento di cui alla lett. b), supra, viene determinato annualmente. Per il 1993 esso era pari a 530 DM per i Laender originari e a 390 per i nuovi.
8 Ai sensi dell' art. 7 del libro V del SGB, i lavori minori sono esenti dall' assicurazione obbligatoria contro le malattie. Ai sensi dell' art. 5, n. 2, punto 1, del libro VI del SGB tali lavori non sono soggetti nemmeno all' assicurazione obbligatoria contro la vecchiaia.
9 Secondo le norme dell' assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, il diritto a un sussidio o a un' assistenza di disoccupazione compete solo a chi lo ha precedentemente acquisito mediante l' esercizio di un' attività soggetta all' obbligo di contribuzione o il compimento di un periodo assimilato [artt. 100, 134, 104 e 168 dell' Arbeitsfoerderungsgesetz (legge sulla promozione del lavoro), in prosieguo: la "AFG"].
10 Ai sensi dell' art. 169 bis, nn. 1 e 2, dell' AFG, i lavoratori che esercitano un' attività di breve durata o un lavoro minore sono esentati dall' obbligo contributivo.
11 L' art. 102, n. 1, dell' AFG definisce l' "attività di breve durata" come:
"(...) un' attività abitualmente limitata per natura a diciotto ore settimanali o assoggettata previamente a una tale limitazione in forza di un contratto di lavoro (...)".
12 Le signore Megner e Scheffel hanno pertanto proposto ricorso dinanzi al Sozialgericht di Spira, affermando che le norme nazionali sull' esenzione dall' obbligo di iscrizione o di contribuzione a queste assicurazioni obbligatorie costituiscono una discriminazione indiretta contro le donne e sono perciò incompatibili con l' art. 4, n. 1, della direttiva, che dispone:
"Il principio della parità di trattamento implica l' assenza di qualsiasi discriminazione direttamente o indirettamente fondata sul sesso, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia, specificamente per quanto riguarda:
° il campo di applicazione dei regimi e le condizioni di ammissione ad essi;
° l' obbligo di versare i contributi (...)".
13 Ritenendo la soluzione della controversia dipendente dall' interpretazione della direttiva, il Sozialgericht di Spira ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
"Se l' art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (79/7/CEE; GU L 6 del 10 gennaio 1979, pag. 24), vada interpretato nel senso che una disciplina legislativa nazionale, la quale dispensi dall' obbligo assicurativo prescritto in forza dei regimi legali di assicurazione per malattia e vecchiaia (art. 7 del Sozialgesetzbuch, libro V ° SGB V °; art 5, n. 2, punto 1, del Sozialgesetzbuch, libro VI ° SGB VI °; art. 8, n. 1, punto 1, del SGB IV) le attività lavorative di regola prestate per un orario settimanale inferiore alle 15 ore ed una retribuzione ordinaria inferiore ad un settimo della base mensile di riferimento [art. 18 del Sozialgesetzbuch (codice previdenziale), libro quarto ° SGB IV], come pure una disciplina nazionale, che dispensi le occupazioni che per loro natura, o in base a previa pattuizione contrattuale, sono limitate alla prestazione di non più di 18 ore settimanali dall' obbligo contributivo dell' assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione (art. 169 bis, n. 1, e art. 102, n. 1, dell' Arbeitsfoerderungsgesetz ° AFG), integrino una discriminazione fondata sul sesso, qualora le suddette discipline interessino un numero notevolmente maggiore di donne che non di uomini e qualora tale circostanza non sia giustificata alla stregua di elementi oggettivi estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso".
14 Prima di affrontare l' interpretazione dell' art. 4, n. 1, della direttiva, occorre appurare se le persone che esercitano attività come quelle di cui alla questione pregiudiziale rientrino nella sua sfera di applicazione.
La sfera di applicazione ratione personae della direttiva
15 Ai sensi del suo art. 2, la direttiva "si applica alla popolazione attiva ° compresi i lavoratori indipendenti, i lavoratori la cui attività si trova interrotta per malattia, infortunio o disoccupazione involontaria e le persone in cerca di lavoro °, nonché ai lavoratori pensionati o invalidi".
16 Risulta da tale norma che la nozione di popolazione attiva è molto ampia, in quanto include qualsiasi lavoratore, compreso chi è solo in cerca di lavoro. Peraltro, secondo la giurisprudenza della Corte, la direttiva non si applica a persone che non sono mai state disponibili sul mercato del lavoro o che hanno cessato di esserlo per ragioni diverse dal verificarsi di uno dei rischi contemplati dalla direttiva (v. sentenza 27 giugno 1989, cause riunite 48/88, 106/88 e 107/88, Achteberg-te Riele e a., Racc. pag. 1963, punto 11).
17 Il governo tedesco e la G.F. Hehl & Co. fanno presente che le persone che svolgono un lavoro minore non appartengono alla popolazione attiva ai sensi dell' art. 2 della direttiva, in particolare perché il limitato reddito che ricavano da tale attività non consente loro di provvedere alle proprie necessità.
18 Tale tesi non può essere accolta. Il fatto che il reddito del lavoratore non sia sufficiente per soddisfare tutte le sue necessità non può privare l' interessato della qualifica di persona attiva. Dalla giurisprudenza della Corte risulta infatti che un' attività dipendente che produca un reddito inferiore al minimo vitale (v. sentenza 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035, punti 15 e 16) o la cui durata normale non superi le diciotto ore settimanali (v. sentenza 13 dicembre 1989, causa C-102/88, Ruzius-Wilbrink, Racc. pag. 4311, punti 7 e 17) o le dodici ore settimanali (v. sentenza 3 giugno 1986, causa 139/85, Kempf, Racc. pag. 1741, punti 2 e 16) o anche le dieci ore settimanali (v. sentenza 13 luglio 1989, causa 171/88, Rinner-Kuehn, Racc. pag. 2743, punto 16) non impedisce di qualificare chi la svolge come lavoratore ai sensi degli artt. 48 (sentenze Levin e Kempf, citate) o 119 (sentenza Rinner-Kuehn, citata) del Trattato CEE o ai sensi della direttiva 79/7 (sentenza Ruzius-Wilbrink, citata).
19 Il governo tedesco fa ancora presente che la soluzione del presente caso dovrebbe essere diversa, perché non si tratta qui della nozione di lavoratore ai sensi dell' art. 48 del Trattato, come si verificava in particolare nella citata causa Levin, ma della nozione di lavoratore ai sensi del diritto previdenziale. La definizione del concetto di lavoratore in quest' ultimo campo apparterrebbe infatti alla competenza degli Stati membri.
20 Al riguardo occorre ricordare che la Corte, già nella sentenza 19 marzo 1964, Unger (causa 75/63, Racc. pag. 349, punto 1 del dispositivo), dichiarò che la nozione di "lavoratore subordinato o assimilato" contenuta nel regolamento del Consiglio 25 settembre 1958, n. 3, relativo alla sicurezza sociale dei lavoratori migranti (GU 1958, n. 30, pag. 561), ha contenuto comunitario, alla stessa stregua del termine "lavoratore" di cui agli artt. 48-51. Pertanto, il fatto che le citate sentenze Levin, Kempf e Rinner-Kuehn non riguardino il diritto previdenziale e l' interpretazione dell' art. 2 della direttiva 79/7 non può inficiare la conclusione cui la Corte è pervenuta sopra, nel punto 18, in quanto tali sentenze precisano la nozione di lavoratore ai fini del principio della parità di trattamento.
21 Ne discende che le persone che esercitano un' attività minore come quelle di cui alla questione pregiudiziale fanno parte della popolazione attiva ai sensi dell' art. 2 della direttiva e perciò rientrano nella sua sfera di applicazione ratione personae.
L' interpretazione dell' art. 4, n. 1, della direttiva
22 Con la sua questione, il giudice nazionale chiede sostanzialmente se l' art. 4, n. 1, della direttiva vada interpretato nel senso che una normativa nazionale, la quale escluda dall' obbligo di iscrizione ai regimi legali di assicurazione per malattia e vecchiaia le attività lavorative subordinate prestate per un orario settimanale normale inferiore alle quindici ore e per una retribuzione non superiore al settimo della base mensile di riferimento, come pure una normativa nazionale, la quale escluda le attività dipendenti che per loro natura, o in base a previa pattuizione contrattuale, sono abitualmente limitate a un orario normale inferiore a diciotto ore settimanali dall' obbligo contributivo relativo all' assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, costituiscano una discriminazione basata sul sesso, qualora interessino un numero notevolmente maggiore di donne che di uomini e qualora tale circostanza non sia giustificata da elementi oggettivi estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso.
23 E' pacifico che le normative nazionali di cui trattasi nella causa principale non operano una discriminazione diretta, in quanto non escludono in base al sesso dalle assicurazioni obbligatorie in questione le persone che svolgono un lavoro minore. Occorre quindi accertare se tali normative possano costituire una discriminazione indiretta.
24 Occorre ricordare che per giurisprudenza costante l' art. 4, n. 1, della direttiva osta all' applicazione di un provvedimento nazionale che, benché formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di donne che di uomini, a meno che non sia giustificato da fattori obiettivi ed estranei a qualsiasi discriminazione basata sul sesso. Ciò avviene quando i mezzi prescelti rispondano ad uno scopo legittimo della politica sociale dello Stato membro cui appartiene la normativa di cui trattasi, siano idonei a raggiungere lo scopo da questa perseguito e siano necessari a tale fine (v. sentenza 24 febbraio 1994, causa C-343/92, Roks e a., Racc. pag. I-571, punti 33 e 34).
25 Nel caso di specie, il governo tedesco sostiene, tra l' altro, che sostanzialmente l' esclusione dai regimi previdenziali obbligatori delle persone che svolgono attività minori risponde a un principio strutturale del sistema previdenziale tedesco.
26 A sostegno delle tesi del governo tedesco, i governi del Regno Unito e irlandese hanno sottolineato in particolare che un regime contributivo come quello in esame è caratterizzato dalla necessità di mantenere il pareggio tra i contributi versati dagli iscritti e dai datori di lavoro, da un lato, e le prestazioni versate in caso di sopravvenienza di uno dei rischi coperti dal regime, dall' altro. La struttura di tale regime non potrebbe essere conservata quale è oggi se le norme in esame dovessero venire soppresse. Da ciò deriverebbero gravi inconvenienti, in particolare nel regime dell' assicurazione obbligatoria vecchiaia. Ne deriverebbe per tale regime l' impossibilità di continuare a funzionare su base esclusivamente contributiva.
27 Il governo tedesco spiega peraltro che esiste una domanda sociale di lavori minori, che, nell' ambito della propria politica sociale, esso ritiene necessario soddisfare incoraggiando l' esistenza e l' offerta di tali lavori e che il solo modo per farlo all' interno della struttura del sistema previdenziale tedesco è quello di escludere i lavori minori dall' assicurazione obbligatoria.
28 Inoltre, secondo il governo tedesco, i posti di lavoro perduti non sarebbero sostituiti da posti di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale soggetti all' assicurazione obbligatoria. Vi sarebbe invece, data la domanda sociale di lavori minori, un aumento di lavoro illegale (lavoro nero) e una recrudescenza di tentativi di elusione (ad esempio falsi lavoratori autonomi).
29 Occorre sottolineare che la politica sociale, allo stato attuale del diritto comunitario, rientra nella competenza degli Stati membri (v. sentenza 7 maggio 1991, causa C-229/89, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-2205, punto 22). Compete pertanto a questi scegliere i provvedimenti atti a realizzare l' obiettivo della loro politica sociale e occupazionale. Nell' esercizio di tale competenza, gli Stati membri dispongono di un' ampia discrezionalità.
30 Va rilevato che l' obiettivo di politica sociale e occupazionale fatto presente dal governo tedesco è oggettivamente estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso e che il legislatore nazionale, nell' esercizio della propria competenza, poteva ragionevolmente ritenere la normativa di cui trattasi necessaria al raggiungimento di tale obiettivo.
31 Tale normativa non può quindi essere considerata una discriminazione indiretta ai sensi dell' art. 4, n. 1, della direttiva.
32 Tenuto conto di quanto precede, occorre dichiarare che l' art. 4, n. 1, della direttiva dev' essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, la quale escluda dall' obbligo di iscrizione ai regimi legali di assicurazione malattia e vecchiaia le attività lavorative subordinate prestate per un orario settimanale normale inferiore alle quindici ore e per una retribuzione non superiore al settimo della base mensile di riferimento, come pure una normativa nazionale, la quale escluda le attività lavorative subordinate che per loro natura, o in base a previa pattuizione contrattuale, sono abitualmente limitate a un orario normale inferiore a diciotto ore settimanali dall' obbligo contributivo relativo all' assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, non costituiscono una discriminazione basata sul sesso, anche se interessano un numero notevolmente maggiore di donne che di uomini, allorché il legislatore nazionale ha potuto ragionevolmente ritenerle necessarie al raggiungimento di un obiettivo di politica sociale estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso.
Sulle spese
33 Le spese sostenute dai governi tedesco, belga, francese, irlandese e del Regno Unito nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti della causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE,
pronunciandosi sulla questione sottopostale dal Sozialgericht di Spira con ordinanza 26 ottobre 1993, dichiara:
L' art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, dev' essere interpretato nel senso che una normativa nazionale, la quale escluda dall' obbligo di iscrizione ai regimi legali di assicurazione malattia e vecchiaia le attività lavorative subordinate prestate per un orario settimanale normale inferiore alle quindici ore e per una retribuzione non superiore al settimo della base mensile di riferimento, come pure una normativa nazionale, la quale escluda le attività lavorative subordinate che per loro natura, o in base a previa pattuizione contrattuale, sono abitualmente limitate a un orario normale inferiore a diciotto ore settimanali dall' obbligo contributivo relativo all' assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione, non costituiscono una discriminazione basata sul sesso, anche se interessano un numero notevolmente maggiore di donne che di uomini, allorché il legislatore nazionale ha potuto ragionevolmente ritenerle necessarie al raggiungimento di un obiettivo di politica sociale estraneo a qualsiasi discriminazione basata sul sesso.