61993C0412

Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 24 novembre 1994. - SOCIETE D'IMPORTATION EDOUARD LECLERC-SIPLEC CONTRO TF1 PUBLICITE SA E M6 PUBLICITE SA. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: TRIBUNAL DE COMMERCE DE PARIS - FRANCIA. - PUBBLICITA TELEVISIVA - LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI E DEI SERVIZI. - CAUSA C-412/93.

raccolta della giurisprudenza 1995 pagina I-00179


Conclusioni dell avvocato generale


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1. La Leclerc-Siplec distribuisce benzina ed altri carburanti nelle stazioni di servizio francesi. A quel che sembra tali stazioni di servizio fanno parte di supermercati gestiti dallo stesso gruppo con la ragione sociale E. Leclerc. La Leclerc-Siplec ha chiesto alle società francesi di pubblicità televisiva TF1 Publicité e M6 Publicité di diffondere attraverso la televisione un messaggio pubblicitario a favore delle sue stazioni di servizio. La TF1 Publicité e la M6 Publicité respingevano tale richiesta per il motivo che una norma di diritto francese ° nella fattispecie l' art. 8 del decreto del 27 marzo 1992, n. 92/280 ° vieta al settore distributivo di diffondere per televisione messaggi pubblicitari. Tale norma vieta anche la pubblicità televisiva a favore delle bevande alcoliche con gradazione alcolica superiore a 1,2 gradi, dell' editoria letteraria, del cinema, della stampa. Appare evidente che uno degli scopi principali del divieto è quello di proteggere i quotidiani regionali francesi obbligando i settori interessati a diffondere messaggi pubblicitari tramite i quotidiani regionali invece che attraverso la televisione.

2. La Leclerc-Siplec ha citato la TF1 Publicité e la M6 Publicité dinanzi al Tribunal de commerce di Parigi. Essa lo ha invitato a sottoporre in via pregiudiziale alla Corte di giustizia la questione se una norma di diritto nazionale che esclude il settore della distribuzione della pubblicità televisiva sia compatibile con talune norme del Trattato e con le disposizioni della direttiva del Consiglio nota come "televisione senza frontiere" (direttiva 89/557/CEE) (1). Le convenute erano d' accordo quanto al rinvio della causa alla Corte di giustizia, ma la TF1 Publicité ha chiesto di ampliare la portata della questione al fine di accertare se "interi settori dell' attività economica" (cioè non soltanto il settore della distribuzione) possano essere esclusi dalla pubblicità televisiva.

3. Si può rilevare che la Leclerc-Siplec ha pure sostenuto, dinanzi al giudice nazionale, che il divieto controverso era contrario all' art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell' uomo che tutela la libertà di espressione.

4. Con sentenza 27 settembre 1993, il Tribunal de commerce ha sottoposto alla Corte di giustizia la seguente questione:

"Se gli artt. 30, 85, 86, 5 e 3, lett. f), del Trattato CEE nonché la direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a che uno Stato membro, in via legislativa o di regolamento, escluda dall' accesso della pubblicità televisiva settori dell' attività economica, tra cui in particolare quello della distribuzione, e più in generale se l' art. 8 del decreto 27 marzo 1992 possa ritenersi compatibile con le suddette norme".

Ricevibilità

5. La Commissione asserisce che il rinvio potrebbe essere irricevibile in quanto le parti convergono sul risultato da conseguire, cioè un rinvio alla Corte di giustizia che permetta di dichiarare che il decreto controverso è contrario al diritto comunitario. Non sussiste quindi alcun conflitto tra le parti e la Corte è chiamata ad emettere un parere consultivo su questioni giuridiche di carattere generale. La Commissione cita le cause Foglia/Novello II (2), Meilicke (3), Lourenço Dias (4) e Telemarsicabruzzo (5).

6. Emerge chiaramente dalle sentenze citate dalla Commissione che la Corte non è competente per emettere pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche. Risulta con altrettanta chiarezza dalle sentenze Foglia/Novello (I e II) che la Corte rifiuterà in determinate circostanze di prendere in considerazione una domanda di pronuncia pregiudiziale per il motivo che l' art. 177 del Trattato viene utilizzato come uno "schema processuale" (6) o un "espediente artificioso" (7) ad opera di parti che sono totalmente d' accordo tra loro e hanno fabbricato un procedimento artificiale inteso ad ottenere una pronuncia pregiudiziale dichiarante l' incompatibilità della normativa nazionale col diritto comunitario.

7. Nella causa Foglia/Novello I un giudice italiano aveva sottoposto alla Corte un certo numero di questioni dirette essenzialmente ad accertare se la normativa francese sulla tassazione dei liquori fosse contraria agli artt. 92 e 95 del Trattato. La Corte di giustizia ha dichiarato che non era competente a pronunciarsi sulle questioni proposte dal giudice nazionale per il fatto che non sussisteva alcuna reale controversia tra le parti, che il procedimento tra le parti era artificiale e che con una pronuncia pregiudiziale in siffatte circostanze "si arrecherebbe pregiudizio al sistema dell' insieme dei rimedi giurisdizionali di cui dispongono i singoli per tutelarsi contro l' applicazione di leggi fiscali contrarie alle norme del Trattato" (8).

8. Un' evidente analogia sussiste tra questa causa ed il caso ora pendente dinanzi alla Corte. Nel presente caso le parti risolvono in modo identico le questioni di diritto sollevate ed il litigio da esse creato mira unicamente ad ottenere una pronuncia pregiudiziale che dichiari talune norme di diritto nazionale contrarie al diritto comunitario. Vi è però anche un' importante differenza fra le due cause. Nella causa Foglia/Novello le parti contestavano la compatibilità col diritto comunitario di una normativa francese dinanzi ad un giudice italiano. Nel presente caso le parti contestano la validità di una normativa francese dinanzi ad un giudice francese.

9. E' di tutta evidenza essenziale che i singoli i cui diritti siano pregiudicati dagli atti normativi o amministrativi di uno Stato membro devono poter impugnare quegli atti in procedimenti giudiziari invocando, se necessario, il diritto comunitario, ivi compresa la possibilità di un rinvio ex art. 177 del Trattato; è altresì importante che lo Stato membro interessato abbia la possibilità di difendere gli atti in parola. E' quindi auspicabile che tali impugnazioni siano proposte nello Stato membro di cui si contestano la legislazione o la prassi amministrativa. Se i procedimenti si svolgessero in un altro paese, lo Stato membro in questione potrebbe addirittura ignorare la loro esistenza ed in ogni caso potrebbe avere difficoltà nell' organizzare la propria difesa. Il fatto che la normativa di uno Stato membro fosse stata impugnata dinanzi ai giudici di un altro Stato membro sembra aver influenzato la decisione della Corte di dichiarare irricevibile (9) la domanda di pronuncia pregiudiziale nella causa Foglia/Novello, benché in altre cause lo stesso motivo (10) non abbia indotto la Corte a rigettare il rinvio pregiudiziale.

10. Non credo che la sentenza Foglia/Novello abbia stabilito come regola generale che un rinvio pregiudiziale è irricevibile semplicemente perché le parti concordano sulla necessità del rinvio, sulle questioni da sottoporre alla Corte e sulle relative soluzioni. Se in base al diritto processuale di uno Stato membro è consentito sollevare una questione dinanzi ai giudici anche se le parti non sostengono tesi contrastanti l' una con l' altra, non sarebbe opportuno che la Corte di giustizia interferisse con l' autonomia processuale di quello Stato membro decidendo che un simile procedimento non può sfociare in un rinvio alla Corte ex art. 177 del Trattato. Il governo francese, che ha presentato osservazioni scritte nella presente causa ed era rappresentato all' udienza, non ha sollevato eccezioni quanto alla procedura e non ha sostenuto che gli fosse stato impedito di difendere il decreto contestato per effetto del modo in cui era stata condotta la causa.

11. Ritengo pertanto che la domanda di pronuncia pregiudiziale non dovrebbe essere dichiarata irricevibile.

La portata della questione sottoposta alla Corte

12. La questione sottoposta alla Corte dal giudice francese mette in luce tre motivi per i quali il decreto contestato può essere incompatibile col diritto comunitario. In primo luogo, esso può costituire una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazioni contraria all' art. 30 del Trattato; in secondo luogo, può essere contrario alle regole di concorrenza dettate dagli artt. 85 e 86 del Trattato, in combinato disposto con l' art. 5; in terzo luogo, può essere incompatibile col tenore della direttiva 89/552.

13. Il giudice a quo non ha sollevato la questione della compatibilità della normativa controversa con l' art. 52 del Trattato, che esige l' abolizione di restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, né con l' art. 59 del Trattato, che esige l' abolizione di restrizioni alla libera di prestazione dei servizi all' interno della Comunità. Il medesimo giudice non solleva direttamente neppure la questione della libertà di espressione commerciale ai sensi dell' art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell' uomo. Emerge tuttavia con chiarezza dall' ordinanza di rinvio che la Leclerc-Siplec ha invocato tale disposizione dinanzi al giudice nazionale. Si può anche rilevare che l' ottavo 'considerando' del preambolo alla direttiva 89/552 afferma che la libertà di prestazione dei servizi nel settore della diffusione televisiva è una manifestazione specifica del principio della libertà di espressione stabilito nell' art. 10 della Convenzione.

14. Considerando il tenore della questione sottoposta alla Corte, non mi occuperò dell' art. 59 del Trattato, che certamente è applicabile alle restrizioni alla pubblicità televisiva (11), né della questione della libertà di espressione commerciale ai sensi dell' art. 10 della Convenzione. Su quest' ultimo punto rileverò soltanto che, qualora si dovesse dichiarare che le restrizioni in parola rientrano nell' ambito del diritto comunitario, la Corte sarebbe competente per esaminare la loro compatibilità con la Convenzione (12).

15. Ritengo pertanto che occorra concentrarsi sulle tre questioni direttamente sollevate dal giudice nazionale quali vengono esposte nel paragrafo 12 qui sopra.

16. La questione formulata dal giudice nazionale solleva il problema della compatibilità col diritto comunitario di un divieto di pubblicità televisiva, per quanto riguarda non solo il settore della distribuzione, ma anche gli altri settori di attività economica esclusi dalla normativa in parola . La Commissione sostiene che la questione sollevata dal giudice francese è del tutto ipotetica circa il divieto di pubblicità televisiva in questi altri settori di attività economica. Essa suggerisce che, se la Corte ammette il rinvio, quest' ultima dovrebbe limitarsi a considerare la validità della normativa contestata soltanto nella misura in cui sia in gioco il divieto di pubblicità televisiva nel settore della distribuzione.

17. Vi sono buone ragioni per condividere l' opinione della Commissione e propongo pertanto di concentrare l' attenzione sul settore della distribuzione, limitandomi a qualche commento generale sugli altri settori.

18. In prosieguo esaminerò successivamente la libera circolazione delle merci, l' interpretazione della direttiva 89/552 e le regole di concorrenza del Trattato. E' tuttavia opportuno soffermarsi dapprima, brevemente, sulla rilevanza del fenomeno pubblicitario, in modo da poter valutare correttamente l' importanza delle restrizioni alla pubblicità.

Il ruolo della pubblicità

19. In un' economia di mercato sviluppata, fondata sulla libera concorrenza, il ruolo della pubblicità è fondamentale. La pubblicità è lo strumento con cui fabbricanti e distributori di merci nonché i prestatori di servizi cercano di persuadere i consumatori ad acquistare i loro beni o servizi. Come ha dichiarato in un' importante sentenza la Corte Suprema degli Stati Uniti, "fintantoché manterremo un' economia in cui prevale la libera impresa, la ripartizione delle nostre risorse si farà in larga misura mediante numerose decisioni economiche private. L' interesse pubblico esige che tali decisioni siano nel complesso sagge e ben documentate. E' indispensabile a tale scopo la libera circolazione dell' informazione commerciale" (13).

20. La pubblicità svolge un ruolo particolarmente importante nel lancio di nuovi prodotti. Grazie alla pubblicità i consumatori possono essere indotti ad abbandonare le loro marche abituali e a provare i prodotti di un altro fabbricante. Senza la pubblicità i consumatori tenderebbero ad acquistare sempre le merci che conoscono già e sarebbe difficile per i produttori persuadere i rivenditori al dettaglio a rifornirsi di marche sconosciute che non potrebbero essere reclamizzate. Senza la pubblicità, sarebbe molto più facile per i fabbricanti la cui impresa sia già avviata conservare la propria quota di mercato perché eventuali nuovi concorrenti troverebbero difficile far breccia sul mercato. In breve, la pubblicità immette nell' economia una maggiore fluidità e mobilità e stimola la concorrenza. Il divieto della pubblicità tende a cristallizzare i modelli esistenti di consumo, ad ingessare i mercati e a conservare lo status quo.

21. Tali conclusioni hanno importanti implicazioni per le libertà fondamentali istituite dal diritto comunitario. E' probabile che su mercati che, malgrado il processo di integrazione economica avviato dal Trattato, sono tuttora in larga misura divisi e segmentatati lungo le linee delle frontiere nazionali le marche affermate appartengano in modo prevalente a fabbricanti nazionali. Senza la pubblicità sarebbe estremamente difficile per un fabbricante stabilito in un altro Stato membro riuscire ad entrare nel mercato di un altro Stato membro dove i suoi prodotti non fossero già venduti e dove quindi non fosse affatto conosciuto tra i consumatori. Pertanto, misure che vietano o limitano severamente la pubblicità tendono a sfavorire i fabbricanti in altri Stati membri. Misure siffatte impediscono la compenetrazione dei mercati e sono contrarie allo stesso concetto di un mercato unico. La Corte dovrebbe pertanto essere estremamente vigile nel valutare la compatibilità col diritto comunitario di restrizioni alla pubblicità.

22. Riconoscendo che la libertà di fare pubblicità è un corollario essenziale delle libertà fondamentali istituite dal Trattato, non si nega certamente agli Stati membri il potere di disciplinare e di limitare la pubblicità. Al contrario l' art. 36, integrato dalla giurisprudenza sulle "esigenze imperative", prevede un vasto campo d' azione per gli Stati membri al fine di assoggettare la pubblicità a restrizioni ragionevoli. Queste ultime possono basarsi tra l' altro sulla tutela della salute e della moralità pubblica, sulla tutela dei consumatori e sulla lealtà nei negozi commerciali nonché sulla protezione dell' ambiente. Non sussiste quindi alcun motivo di temere che, riconoscendo un principio generale di libertà di espressione pubblicitaria, la Corte possa impedire agli Stati membri di reprimere i più gravi eccessi dell' industria pubblicitaria.

La libera circolazione delle merci

a) La giurisprudenza sull' art. 30 prima della sentenza Keck e Mithouard

23. L' art. 30 del Trattato vieta ° con riserva di talune eccezioni dettate nell' art. 36 ° le restrizioni quantitative nel commercio tra Stati membri e le misure di effetto equivalente. La nozione di misure di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa è stata interpretata dalla Corte in senso ampio. Nella causa Dassonville (14) la Corte ha dichiarato che "ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari va considerata come una misura d' effetto equivalente a restrizioni quantitative".

24. Fino alla sentenza Keck e Mithouard (15), che esaminerò più avanti, la costante giurisprudenza della Corte aveva stabilito il principio che una misura non esula dal campo di applicazione dell' art. 30 soltanto perché essa si applica indistintamente alle merci nazionali e alle merci importate. Nella sentenza Rewe-Zentral (16) (comunemente conosciuta come la sentenza "Cassis de Dijon"), la Corte ha dichiarato che, qualora un prodotto sia stato legalmente messo in commercio in uno Stato membro, non se ne può impedire la vendita per il motivo che esso non è conforme alla normativa di tale Stato, a meno che tale limitazione possa ammettersi come necessaria per rispondere ad esigenze imperative attinenti, in particolare, alla difesa dei consumatori ed alla lealtà nei negozi commerciali.

25. Si deve riconoscere l' estrema importanza del principio annunciato nella sentenza "Cassis de Dijon": se si permettesse ad uno Stato membro di vietare l' importazione e la vendita di prodotti legalmente fabbricati in un altro Stato membro solo perché non sono stati fabbricati in conformità alle norme vigenti nello Stato di importazione, non esisterebbe nulla di simile al mercato comune, almeno sino a quando non venisse armonizzato il complesso delle varie normative che regolano aspetti quali la composizione, l' imballaggio e l' etichettatura delle merci.

26. Il problema si fa più complesso quando la normativa nazionale, invece del semplice divieto di vendere determinate merci legalmente messe in commercio in un altro Stato membro, limita i casi in cui determinate merci ° o invero tutte le merci ° possono venire commercializzate. Tale normativa viene talvolta definita come l' insieme delle norme che prevedono quando, dove, come, da chi e a quale prezzo le merci possono essere vendute (17). Tale tipo di normativa di solito non ha una tendenza così scontata, come nel caso della normativa in causa nella giurisprudenza "Cassis de Dijon", ad interferire nella libera circolazione. Ma sarebbe sbagliato dire che una normativa siffatta non ha alcuna ripercussione sul commercio tra gli Stati membri. L' incidenza può essere persino molto rilevante. Per esempio, la normativa in forza della quale i prodotti parafarmaceutici possono essere venduti solo in farmacia può, riducendo fortemente i punti di vendita, limitare sostanzialmente l' accesso sul mercato di merci provenienti da altri Stati membri. Ciò è vero anche per quella normativa secondo cui le bevande alcoliche possono essere vendute soltanto in negozi autorizzati per il consumo fuori del locale.

27. In un certo numero di cause decise negli anni '80 ed agli inizi degli anni '90 la Corte ha affrontato i problemi posti da quelle misure nazionali che limitano le circostanze in cui le merci possono essere poste in vendita. L' approccio della Corte non è sempre stato coerente e due tendenze contraddittorie sono emerse nella giurisprudenza. In taluni casi la Corte ha interpretato restrittivamente il campo di applicazione dell' art. 30: per esempio essa ha dichiarato nella causa Oebel (18) che le correnti di scambio tra Stati membri non erano limitate, nel senso di tale disposizione, da una normativa che vietava la consegna di prodotti della panetteria ai dettaglianti in una data fascia oraria, poiché erano permesse le consegne ai grossisti. Nella causa Blesgen (19) la Corte ha dichiarato che il divieto di vendita degli alcolici ad alta gradazione nei bar e nei ristoranti non era idoneo ad impedire il commercio tra Stati membri e nella causa Quietlynn e Richards (20) essa è pervenuta ad un' analoga conclusione circa una normativa che proibiva la vendita di materiale pornografico ad di fuori dei "sex shops" autorizzati.

28. Più sovente, la Corte ha interpretato estensivamente il campo di applicazione dell' art. 30 con riguardo a misure di disciplina della messa in commercio. Nella prima delle cause in cui s' è manifestata questa tendenza giurisprudenziale, la causa Oosthoek (21), si trattava di una normativa olandese che vietava di offrire o dare in regalo prodotti nell' ambito di un' attività commerciale. Una società che vendeva enciclopedie in Olanda ed in Belgio era stata citata in giudizio per aver offerto regali come un dizionario o un atlante agli acquirenti della sua enciclopedia. La Corte ha dichiarato che:

"Una normativa che limiti o vieti determinate forme di pubblicità e determinati mezzi di promozione delle vendite può essere idonea, pur non condizionando direttamente le importazioni, a restringere il volume delle stesse incidendo sulle possibilità di distribuzione dei prodotti importati. Non si può escludere che il fatto che l' operatore interessato sia costretto ad adottare diversi sistemi di pubblicità o di promozione delle vendite a seconda degli Stati membri in cui si svolge la sua attività, ovvero a rinunziare ad un sistema da lui ritenuto particolarmente efficace, può costituire un ostacolo per le importazioni, anche qualora detta normativa si applichi indistintamente ai prodotti nazionali ed a quelli importati".

Come nella giurisprudenza "Cassis de Dijon", la Corte ha poi cercato di stabilire se l' ostacolo alle importazioni fosse giustificato al fine di soddisfare esigenze imperative relative alla tutela dei consumatori o alla lealtà nei negozi commerciali. Essa ha concluso che la normativa del tipo in questione era giustificata per tali motivi.

29. Un approccio analogo è stato seguito nella causa Buet e EBS (22), in cui la Corte doveva esaminare una normativa francese che proibiva la vendita porta a porta di materiale didattico. Il signor Buet era perseguito per essersi servito di quel metodo di vendita allo scopo di mettere in commercio un corso di lingua pubblicato in Belgio. La Corte ha dichiarato che tale normativa poteva essere di ostacolo alle importazioni, ma era giustificata al fine di soddisfare esigenze imperative relative alla tutela dei consumatori.

30. Un' interpretazione non meno estensiva del divieto di cui all' art. 30 è stata adottata in varie cause relative alla normativa pubblicitaria. Per esempio, nella causa Aragonesa de Publicidad Exterior e Publivía (23), la normativa controversa proibiva la pubblicità di bevande con gradazione alcolica superiore a 23 gradi sui mezzi di informazione, nelle vie cittadine e lungo le autostrade, nei cinema e sui mezzi di trasporto pubblico. Pur ritenendo la normativa non discriminatoria, la Corte ha dichiarato che essa poteva costituire un ostacolo alle importazioni e poteva considerarsi in via di principio una misura di effetto equivalente nel senso dell' art. 30.

31. Le cause GB-INNO-BM (24), SARPP (25) e Yves Rocher (26) concernevano tutte normative disciplinanti il contenuto di materiale pubblicitario. Nella causa GB-INNO-BM un gestore di supermercati in Belgio distribuiva opuscoli pubblicitari sia in Belgio sia in Lussemburgo. I manifestini erano conformi alle norme belghe ma non alla normativa lussemburghese. La Corte ha ritenuto che il fatto di imporre al gestore belga di supermercati di adattare la sua pubblicità alla normativa lussemburghese costituiva una misura di effetto equivalente. La Corte ha rigettato espressamente l' argomento secondo cui gli artt. 30-36 non riguardavano le norme in materia di pubblicità. In tal modo essa ribadiva la constatazione formulata per la prima volta nella causa Oosthoek: una normativa che limiti la pubblicità può restringere il volume degli scambi tra gli Stati membri in quanto pregiudica le opportunità di mercato per i prodotti importati (27). Nella causa SARPP si trattava di procedimenti avviati contro un certo numero di società che importavano o commercializzavano in Francia edulcoranti artificiali. Il diritto francese applicabile vietava qualsiasi menzione dello zucchero o delle sue caratteristiche fisiche, chimiche o nutrizionali, nella pubblicità a favore di tali edulcoranti. La Corte ha dichiarato che un ostacolo alle importazioni può derivare dal fatto che un fabbricante sia costretto a modificare la forma o il contenuto di una campagna pubblicitaria, ovvero a rinunciare ad un sistema di pubblicità da lui considerato particolarmente efficace (28). Nella causa Yves Rocher si procedeva contro una ditta francese per aver distribuito in Germania cataloghi e opuscoli non conformi alla normativa tedesca che vietava raffronti di prezzi tali da colpire l' attenzione. Tale normativa venne definita dalla Corte come una misura di effetto equivalente.

32. Nelle cause GB-INNO-BM, SARPP e Yves Rocher la Corte ha preso le mosse dal principio che l' ostacolo agli scambi tra gli Stati membri era dovuto a disparità nel diritto nazionale. Essa ha fatto quindi ricorso ad un principio simile a quello formulato nella giurisprudenza "Cassis de Dijon", cioè che un commerciante il quale presenta materiale pubblicitario nell' osservanza della normativa di uno Stato membro deve poterlo utilizzare in altri Stati membri, a meno che le esigenze imperative relative alla tutela del consumatore ed alla lealtà nei negozi commerciali non dettino altrimenti. Se i commercianti dovessero modificare i loro opuscoli pubblicitari in conformità alla normativa di ogni Stato membro, essi incontrerebbero lo stesso tipo di ostacolo supplementare che viene imposto allorché le merci stesse devono essere modificate.

33. Un approccio diverso (o una serie di approcci diversi) è stato seguito in un certo numero di cause (29) relative a limitazioni dell' apertura domenicale dei negozi. La posizione della Corte è stata riassunta nella sentenza B & Q, in cui essa ha confermato che norme limitanti l' apertura domenicale dei negozi perseguivano un obiettivo che era giustificato ai sensi del diritto comunitario e che normative siffatte non sono vietate dall' art. 30 laddove gli effetti restrittivi sugli scambi comunitari che potevano risultarne non eccedessero il contesto degli effetti caratteristici di una normativa commerciale. La Corte ha dichiarato che gli effetti restrittivi sugli scambi di norme nazionali che vietano l' apertura domenicale dei negozi non erano eccessivi rispetto allo scopo perseguito. Nel pervenire a tale conclusione la Corte si è così espressa:

"Nel vagliare la proporzionalità di una disciplina nazionale che persegue uno scopo legittimo sotto il profilo del diritto comunitario occorre contemperare l' interesse nazionale all' attuazione di tale scopo con l' interesse comunitario alla libera circolazione delle merci. Al riguardo, per accertare che gli effetti restrittivi della disciplina in questione sugli scambi intracomunitari non eccedano la misura di quanto è necessario per raggiungere lo scopo prefisso, occorre esaminare se tali effetti siano diretti, indiretti o meramente ipotetici e se essi non ostacolino lo smercio dei prodotti importati più di quello dei prodotti nazionali" (30).

b) Le sentenze Keck e Mithouard nonché Huenermund e a.

34. La sentenza Keck e Mithouard (31) dello scorso anno ha rappresentato un tentativo da parte della Corte di mettere parzialmente un termine alla confusione originata dalle contraddizioni della precedente giurisprudenza. Come risulta dalla stessa sentenza, la Corte mirava a scoraggiare ciò che essa riteneva come un eccessivo ricorso all' art. 30. La Corte, dopo aver riaffermato la giurisprudenza "Cassis de Dijon" quanto alle misure con cui si stabiliscono le condizioni che devono soddisfare i prodotti in questione (condizioni come la denominazione, la forma, la dimensione, il peso, la composizione, la presentazione, l' etichettatura, il confezionamento), ha dichiarato che esula dal campo di applicazione dell' art. 30 una normativa la quale vieti la rivendita di prodotti in perdita da parte di commercianti al minuto osservando che:

"(...) contrariamente a quanto sino ad ora statuito, non può costituire ostacolo diretto o indiretto, in atto o in potenza, agli scambi commerciali tra gli Stati membri ai sensi della giurisprudenza Dassonville, l' assoggettamento di prodotti provenienti da altri Stati membri a disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita, sempreché tali disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale e sempreché incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri" (32).

La giurisprudenza Keck e Mithouard è stata applicata poi in diverse sentenze di cui l' unica che va presa in esame nel caso di specie è la sentenza Huenermund e a. (33). L' effetto della giurisprudenza Keck e Mithouard permane incerto: forse la migliore interpretazione è nel senso che sono escluse dal campo di applicazione dell' art. 30 soltanto le misure a carattere totalmente generale che non ostano alle importazioni, operano nel punto di vendita e hanno sugli scambi il solo effetto di ridurre la quantità globale delle merci vendute, colpendo quindi allo stesso modo i prodotti nazionali e quelli importati.

35. Nella causa Huenermund e a. la Corte ha applicato la giurisprudenza Keck e Mithouard ad una restrizione in materia di pubblicità. La causa riguardava norme deontologiche emanate dall' ordine professionale dei farmacisti del Baden-Wuerttenberg. Secondo tali norme (34) i farmacisti non erano autorizzati a fare alcuna pubblicità nei cinema, alla radio o in televisione. Essi potevano effettuare inserzioni pubblicitarie sui quotidiani e sulle riviste, ma tali inserzioni potevano contenere soltanto il nome, l' indirizzo e il numero di telefono della farmacia nonché il nome del proprietario. Siffatta normativa era manifestamente intesa ad impedire un' eccessiva concorrenza tra i farmacisti. La signora Huenermund ed altri dodici farmacisti desideravano lanciare tramite la pubblicità prodotti parafarmaceutici che erano autorizzati a vendere nelle loro farmacie. Essi chiedevano al giudice amministrativo competente di dichiarare che la suddetta normativa, che impediva loro di far pubblicità ai prodotti parafarmaceutici eccetto che all' interno delle loro farmacie, era illegittima, perché contraria, in particolare, all' art. 30 del Trattato. La causa veniva rinviata in via pregiudiziale alla Corte di giustizia.

36. La Corte ha citato il punto 16 della sentenza Keck e Mithouard e ha poi dichiarato (35) che le condizioni previste da quest' ultima per escludere una misura dal campo di applicazione dell' art. 30 sono soddisfatte quanto all' applicazione di norme deontologiche imposte da un ordine professionale, che vieta ai farmacisti di fare pubblicità, all' esterno delle loro farmacie, ai prodotti parafarmaceutici che gli stessi sono autorizzati a porre in vendita. La Corte ha osservato che tale normativa si applicava, senza distinzione alcuna in base alla provenienza delle merci controverse, a tutti i farmacisti del settore rientrante nella competenza dell' ordine professionale e non incideva sullo smercio dei prodotti provenienti da altri Stati membri in modo diverso dai prodotti nazionali.

c) Applicazione delle sentenze Keck e Mithouard nonché Huenermund e a. al divieto controverso

37. Se non fosse stato per la giurisprudenza Huenermund, forse non sarebbe apparso chiaro che la frase "disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita" della sentenza Keck e Mithouard includeva le norme sulla pubblicità. Per le ragioni esposte più sopra, restrizioni alla pubblicità possono costituire una minaccia particolarmente seria per l' integrazione dei mercati. E' possibile che nella causa Huenermund e a. la Corte sia stata influenzata dalla rilevanza assai scarsa delle restrizioni litigiose e non abbia contemplato l' applicabilità dello stesso criterio a restrizioni più serie. Se il criterio formulato nella sentenza Keck e Mithouard dovesse essere applicato alle norme francesi controverse nel caso di specie, occorrerà considerare se queste ultime "valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale e (...) incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri". Ritengo che questo sia il caso. In primo luogo, proprio come nella causa Keck e Mithouard il divieto di rivendita in perdita si applicava a tutti i commercianti che rivendevano prodotti nello Stato in cui si trovavano, così anche nel presente caso il divieto di pubblicità televisiva è una misura generale applicabile all' insieme del settore della distribuzione. In secondo luogo, salvo che in taluni casi specifici ° non in questione nel presente caso ° come quello di merci vendute con la tecnica dello smercio televisivo diretto (v. più avanti, paragrafo 54), è probabile che il divieto abbia il medesimo impatto sulle merci nazionali ed importate. Come verrà rilevato più avanti, qualsiasi diminuzione delle vendite nel settore della distribuzione per effetto del divieto interesserebbe allo stesso modo le merci nazionali ed importate. Concludo quindi che, se deve applicarsi il criterio dettato nella sentenza Keck e Mithouard, il divieto esula in via di principio dal campo di applicazione dell' art. 30.

d) Un approccio alternativo

38. Tuttavia preferisco seguire un diverso approccio, anche se nel caso di specie esso può condurre alla stessa conclusione. A mio parere il ragionamento della Corte ° non però il risultato ° nella sentenza Keck e Mithouard è insoddisfacente per due ragioni. In primo luogo, è improprio operare rigide distinzioni tra differenti categorie di norme e applicare criteri diversi a seconda della categoria di appartenenza di ciascuna norma. La severità delle restrizioni imposte da disposizioni diverse è meramente una questione di grado. Misure riguardanti modalità di vendita possono causare ostacoli estremamente seri alle importazioni. Per esempio, una disposizione che permettesse la vendita di certi prodotti soltanto in pochi negozi di piccole dimensioni in uno Stato membro sarebbe perlomeno altrettanto restrittiva del divieto assoluto di importazione e commercializzazione. Tale aspetto è assai bene illustrato dalle restrizioni in materia di pubblicità: il tipo di restrizione controversa nella causa Huenermund e a. può aver esercitato un modesto impatto sul commercio tra Stati membri, ma è difficile sostenere che, ad esempio, un divieto assoluto di far pubblicità ad uno specifico prodotto legalmente smerciabile possa esulare dall' art. 30. Come spiegherò più avanti, sarebbe più appropriato valutare le restrizioni rispetto ad un unico criterio formulato alla luce dell' obiettivo di cui all' art. 30.

39. In secondo luogo, l' esclusione dal campo di applicazione dell' art. 30 di misure che "incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri" equivale ad introdurre, circa le restrizioni alle modalità di vendita, un criterio di discriminazione. Tuttavia tale criterio sembra inappropriato. La preoccupazione fondamentale delle disposizioni del Trattato sulla libera circolazione delle merci è quella di evitare ostacoli ingiustificati al commercio tra Stati membri. Se esiste un ostacolo agli scambi fra Stati, esso non può cessare di esistere semplicemente perché un ostacolo identico colpisce il commercio nazionale. Mi è difficile accettare l' asserzione che uno Stato membro possa arbitrariamente limitare lo smercio dei prodotti provenienti da un altro Stato membro, purché imponga la stessa limitazione arbitraria allo smercio di prodotti nazionali. Se uno Stato membro alza una sostanziale barriera all' ingresso nel mercato di determinati prodotti, prevedendo, ad esempio, che essi possano vendersi solo in pochi esercizi commerciali, ed un fabbricante di quei prodotti in un altro Stato soffre una perdita economica per effetto di tale limitazione, egli trarrà poco sollievo dal fatto di sapere che i suoi concorrenti siti nello Stato membro autore della restrizione in parola subiscono un' analoga perdita .

40. Allo stesso modo, nell' ottica dell' intento del Trattato di istituire un mercato unico, il criterio della discriminazione non è di aiuto: da tale punto di vista, il fatto che uno Stato membro imponga restrizioni analoghe allo smercio di prodotti nazionali è semplicemente irrilevante. Non si attenua affatto l' effetto negativo sul mercato comunitario e neppure l' effetto negativo sulle economie degli altri Stati membri nonché sull' economia comunitaria. L' applicazione del criterio di discriminazione condurrebbe invero alla segmentazione del mercato comunitario, dal momento che gli operatori economici dovrebbero accettare qualsiasi restrizione alle modalità di vendita eventualmente vigente in qualunque Stato membro nonché adattare di conseguenza le rispettive modalità in ogni Stato. Le restrizioni al commercio non dovrebbero valutarsi in rapporto alla situazione locale esistente in ogni Stato membro, ma rispetto all' obiettivo dell' accesso all' intero mercato comunitario. Il criterio della discriminazione è pertanto incompatibile per principio con gli obiettivi del Trattato.

41. Trattasi allora di sapere quale criterio vada applicato per determinare se una misura rientri nel campo di applicazione dell' art. 30. Vi è un principio direttivo che sembra fornire un criterio appropriato: secondo tale principio tutte le imprese impegnate in un' attività economica legale in uno Stato membro dovrebbero accedere senza restrizioni all' intero mercato comunitario, a meno che non sussista una valida ragione per negare loro il pieno accesso ad una parte di tale mercato. Malgrado occasionali contraddizioni nella motivazione di talune sentenze, questo sembra essere il principio alla base dell' approccio della Corte dalla sentenza Dassonville, passando attraverso la giurisprudenza "Cassis de Dijon", sino alla sentenza Keck e Mithouard. Praticamente tutte le sentenze sono conformi, quanto alla conseguenza che ne deriva, al principio in parola, anche se talune sembrano fondate su una motivazione diversa.

42. Se il principio implica che tutte le imprese dovrebbero accedere senza limitazioni all' intero mercato comunitario, allora il criterio appropriato è, a mio parere, quello di sapere se vige una sostanziale restrizione a tale accesso. Ciò equivarrebbe beninteso ad introdurre un criterio de minimis nell' art. 30. Una volta riconosciuta la necessità di limitare la portata dell' art. 30 al fine di impedire un' eccessiva interferenza nei poteri regolamentari degli Stati membri, un criterio fondato sull' entità dell' ostacolo al commercio tra Stati membri che causa una misura di limitazione dell' accesso al mercato sembra essere la soluzione più ovvia. In verità può forse sorprendere che, alla luce dell' obiettivo dichiarato di impedire l' eccessivo ricorso dell' art. 30, la Corte non abbia optato per tale soluzione nella sentenza Keck e Mithouard. Forse la ragione è data dal fatto che la Corte temeva che un criterio de minimis, qualora applicato a tutte le misure interessanti gli scambi di merci, avrebbe potuto indurre i giudici nazionali, responsabili in primo luogo per l' applicazione dell' art. 30, ad escludere troppe misure dal campo d' applicazione del divieto stabilito da tale disposizione. Occorre quindi essere prudenti e se si dovesse adottare un criterio de minimis sarà necessario definire con precisione le circostanze in cui esso dovrà essere applicato.

43. E' ovvio che non sarebbe appropriato applicare un criterio de minimis alle misure che discriminano apertamente le merci provenienti da altri Stati membri. Tali misure sono vietate dall' art. 30 (a meno che non risultino giustificate ai sensi dell' art. 36), anche se il loro impatto sugli scambi commerciali all' interno della Comunità è esiguo: le misure apertamente discriminatorie sono vietate in quanto tali.

44. Solo riguardo a misure applicabili senza distinzione a merci nazionali ed a merci provenienti da altri Stati membri occorrerebbe esigere la condizione che la restrizione, attuale o potenziale, all' accesso al mercato debba essere sostanziale. L' impatto sull' accesso al mercato di misure applicabili indistintamente può variare in modo rilevante a seconda della natura della misura di cui si tratta. Se tale misura vieta la vendita di merci legalmente poste in vendita in un altro Stato membro (come nella giurisprudenza "Cassis de Dijon"), è possibile supporre che essa abbia un forte impatto sull' accesso al mercato, dal momento che alle merci è precluso totalmente l' accesso oppure questo può aver luogo soltanto dopo che le merci stesse abbiano subito determinate modifiche; la necessità di modificare i prodotti è di per se stessa un ostacolo sostanziale per l' accesso al mercato.

45. D' altro canto, qualora una misura applicabile senza distinzione limiti solo determinate modalità di vendita, stabilendo quando, dove, come, da chi ed a quale prezzo le merci possono essere vendute, il suo impatto dipenderà da un certo numero di fattori, ad esempio se tale misura si applichi a talune merci (come nella causa Blesgen, Buet e EBS o Quietlynn e Richards) o alla maggior parte di esse (come nella causa Torfaen) o a tutte le merci (come nella causa Keck e Mithouard), nonché dalla possibilità di ricorrere ad altre modalità di vendita e dall' effetto della misura, diretto o indiretto, immediato o lontano, ovvero puramente ipotetico (36) ed aleatorio (37). Pertanto l' entità dell' ostacolo, relativo all' accesso al mercato, può variare enormemente: essa può spaziare da un' incidenza insignificante ad un risultato che corrisponde praticamente ad un divieto. E' chiaro che questo è il caso in cui il criterio de minimis può svolgere un' utile funzione. La distinzione ammessa nella sentenza Keck e Mithouard tra un divieto del tipo in discussione nella giurisprudenza "Cassis de Dijon" ed una mera restrizione a talune modalità di vendita è quindi preziosa: il primo crea inevitabilmente un ostacolo sostanziale al commercio tra Stati membri, mentre la seconda può dar luogo ad un siffatto ostacolo. Ma non è sostenibile che il secondo tipo di misura non possa pregiudicare, in assenza di discriminazione, il commercio in modo contrario all' art. 30. Si dovrebbe quindi dichiarare che tali misure, a meno che non siano apertamente discriminatorie, non sono automaticamente comprese nell' art. 30, come lo sono invece quelle del tipo in discussione nella sentenza "Cassis de Dijon", ma possono rientrarvi se è sostanziale la restrizione che, a causa di dette misure, si ripercuote sull' accesso al mercato.

46. Si può obiettare che l' orientamento qui sopra sostenuto è contrario a varie sentenze in cui la Corte ha respinto expressis verbis l' idea che una misura vada esclusa dal campo di applicazione dell' art. 30 perché il suo impatto sulle importazioni è minimo. Tuttavia, nella maggior parte di quei casi, la misura controversa era manifestamente discriminatoria, come nelle cause Prantl (38), Commissione/Francia (39) e Commissione/Italia (40); inoltre, in quest' ultimo caso, si era comunque dichiarato sostanziale l' effetto della misura (41). Vero è che nelle sentenze Van de Haar e Kaveka de Meern (42), la Corte ha respinto un criterio de minimis riguardo ad una misura applicabile senza distinzione (segnatamente una normativa in materia di prezzi); tuttavia, essa l' ha fatto meramente in astratto dichiarando, nella medesima sentenza, che una normativa in materia di fissazione dei prezzi è contraria all' art. 30 solo se i prezzi vengono stabiliti ad un livello tale da impedire alle merci importate di essere smerciate con profitto o da eliminare il vantaggio concorrenziale goduto dal fabbricante dei prodotti importati. In pratica, ciò equivale quasi ad affermare che l' art. 30 entra in gioco solo qualora sussista un ostacolo sostanziale per accedere al mercato.

47. Va infine rilevato che diverso è l' orientamento della Corte nell' ipotesi del divieto di tasse aventi effetto equivalente ai dazi doganali ai sensi degli artt. 12 e 16 del Trattato. La Corte ha dichiarato a giusto titolo che il divieto si applica a tutte le tasse, pur se minime (43). La portata del divieto in parola è però ben più specifica di quella dell' art. 30; inoltre le tasse in questione, per quanto siano modeste, comportano necessariamente un impedimento al flusso delle merci a causa del fatto che queste attraversano una frontiera, proprio mentre tali disposizioni del Trattato sono intese all' eliminazione delle frontiere in parola (44). Tale ragionamento non si applica con la stessa forza al divieto di misure aventi effetto equivalente ai sensi dell' art. 30.

48. La conclusione della stessa sentenza Keck e Mithouard è compatibile con l' approccio esposto più sopra. E' improbabile che una normativa facente divieto a tutti i commercianti al minuto di qualsiasi merce di rivendere merci in perdita abbia un impatto significativo sullo smercio dei prodotti importati. Essa non ha alcun effetto rilevante sul volume globale delle importazioni e non impedisce ad un commerciante in un altro Stato membro il pieno accesso al mercato. Questo varrà di norma anche per quelle disposizioni che limitano l' orario di apertura dei negozi, sempreché le stesse siano generalmente applicate e non riducano in modo arbitrario le possibilità di smercio per una gamma definita di prodotti. Una siffatta normativa può condurre ad una leggera riduzione del totale delle vendite, incluse le merci di importazione, ma è poco probabile che essa restringa sostanzialmente l' accesso al mercato di prodotti di un particolare commerciante, poiché il suo impatto si distribuirà sull' intera gamma dei prodotti.

49. Concludo pertanto nel senso che l' art. 30 dovrebbe essere applicato alle misure non discriminatorie idonee a limitare sostanzialmente l' accesso al mercato (45).

50. Come si deve applicare tale criterio alle restrizioni che colpiscono la pubblicità? Come ho già suggerito, data l' importanza della libertà di espressione pubblicitaria, un divieto assoluto di fare la pubblicità di un prodotto che può essere legalmente venduto nello Stato membro ove il divieto è imposto ed in altri Stati membri non può esulare dal campo di applicazione dell' art. 30. Un divieto siffatto avrebbe come conseguenza che i fabbricanti di altri Stati membri si troverebbero praticamente nell' impossibilità di penetrare nel mercato soggetto al divieto se i loro prodotti non fossero già noti ai consumatori in quel paese. Una misura che pone in essere un tale ostacolo all' ingresso delle merci equivale senz' altro, infatti, ad una restrizione quantitativa agli scambi fra Stati membri. Anche se si applicasse il criterio della discriminazione formulato nella sentenza Keck e Mithouard, si perverrebbe alla medesima conclusione: un divieto di fare pubblicità, lungi dall' essere neutro quanto ai suoi effetti, ha tendenza a colpire soprattutto le merci importate.

51. La misura direttamente in causa nel caso di specie è il divieto di fare pubblicità televisiva al settore della distribuzione imposto dalla normativa francese. Ma l' ostacolo alle importazioni che può rappresentare anche un divieto parziale di fare pubblicità a specifici prodotti può venir illustrato con l' esempio di un altro divieto tratto dalla stessa normativa. In Francia è contrario alla legge fare pubblicità televisiva a bevande con gradazione alcolica superiore a 1,2 gradi. Una misura siffatta può rivelarsi giustificata ai sensi dell' art. 36 del Trattato, ma non è possibile sostenere che la stessa esuli dal campo di applicazione dell' art. 30. Qualora un birraio tedesco che non ha mai venduto le proprie birre in Francia decidesse di metter piede sul mercato francese, difficilmente riuscirebbe a penetrarvi in modo significativo se non potesse fare pubblicità ai propri prodotti. La televisione è considerata come uno strumento particolarmente efficace di pubblicità, specialmente per quanto riguarda il consumo di massa. Se il birraio tedesco non può fare pubblicità televisiva, troverà più difficile penetrare nel mercato francese, che continuerebbe ad essere dominato dalle marche nazionali solidamente impiantate.

52. Non occorre però che la Corte si pronunci su tale divieto. Non è neppure necessario esaminare se esso determini un impatto sostanziale sull' accesso al mercato per quanto riguarda le altre categorie di prodotti escluse dalla pubblicità televisiva, cioè l' editoria letteraria, i giornali e le riviste. Nel presente caso la questione è diretta ad accertare se un divieto parziale di pubblicità in un dato settore dell' economia, nella fattispecie un divieto di pubblicità televisiva per il settore della distribuzione, esuli dal campo di applicazione dell' art. 30. Penso che la soluzione alla questione dipenderà dagli effetti del divieto parziale. Se esso crea un ostacolo sostanziale all' ingresso delle merci fabbricate in un altro Stato membro, allora è incompatibile con l' art. 30, a meno che non sia giustificato per ragioni ammesse dal diritto comunitario. Se d' altro canto un parziale divieto di pubblicità non ha un' incidenza sostanziale sugli scambi intracomunitari e non costituisce un ostacolo alla penetrazione sul mercato dei prodotti importati, niente impedisce di escluderlo dal campo di applicazione dell' art. 30.

53. Gli effetti del divieto di pubblicità televisiva nel settore della distribuzione sembrano più marginali di quelli del divieto relativo alla pubblicità di bevande alcoliche. Come ho sottolineato, esso si applica a tutti i prodotti e non presta quindi il fianco all' obiezione che si prendono di mira abitualmente determinate categorie di prodotti. Se si impedisce a taluni negozi di fare pubblicità alla televisione, l' impatto sul commercio si realizzerà prevalentemente ° ma non esclusivamente ° all' interno dello Stato membro in questione. Possono contemplarsi vari possibili effetti: per esempio, vi può essere un trasferimento di entrate pubblicitarie da imprese che gestiscono stazioni televisive ad imprese che mettono a disposizione alternative pubblicitarie, ivi compresi i proprietari di giornali (sia nazionali sia regionali); i più grossi commercianti al dettaglio, in particolare i proprietari di catene di supermercati, i quali sono in pratica, verosimilmente, i maggiori utilizzatori della pubblicità televisiva, possono trovare che il loro vantaggio concorrenziale rispetto ai piccoli commercianti risulta minore di quello che sarebbe stato altrimenti; ed il volume complessivo delle vendite di merci in generale, incluse le importazioni, può leggermente diminuire se ai distributori non è consentito di promuovere le vendite grazie alla pubblicità televisiva. Tuttavia nessuno di questi effetti si traduce in un impatto sostanziale sul commercio tra Stati membri idoneo a mettere in gioco l' art. 30.

54. Tuttavia, benché gli effetti di una restrizione applicabile esclusivamente al settore della distribuzione si producano generalmente all' interno dello Stato membro interessato, si possono immaginare situazioni in cui può sorgere un vero e proprio ostacolo alle importazioni. Un esempio è dato dal metodo di smercio diretto attraverso la televisione che è divenuto sempre più comune in Europa negli ultimi anni. Un distributore pubblicizza determinati prodotti alla televisione e diffonde quindi i numeri di telefono cui si possono ordinare i prodotti nei vari paesi ove viene ricevuto il canale televisivo. Se un sistema siffatto fosse vietato in Francia, sarebbe difficile considerare irrilevante l' ostacolo al commercio che ne deriverebbe. Tale tipo di ostacolo è inoltre contrario al concetto stesso di mercato unico, in quanto esso impedisce ai distributori di sviluppare una strategia globale di mercato. In un caso simile un distributore stabilito in uno Stato membro potrebbe, richiamandosi al Trattato, intentare un' azione sulla base dell' art. 30 o dell' art. 59. Ancora, si può ipotizzare che un' impresa di un altro Stato membro cerchi di impiantare una catena di supermercati in Francia; in tal caso, il divieto di pubblicità televisiva nel settore della distribuzione potrebbe essere impugnato ai sensi dell' art. 52 del Trattato.

55. Nella fattispecie non viene sollevato nessuno di questi problemi. Come ho sottolineato, gli effetti di una restrizione applicabile al settore della distribuzione, come quelli di cui si discute in questa sede, sono innanzi tutto interni. La restrizione colpisce una sola forma di pubblicità, anche se la più efficace trattandosi di prodotti di largo consumo, e la pubblicità dei prodotti in quanto tali è pregiudicata solo indirettamente. Come nel caso della normativa che limita l' orario di apertura dei negozi, menzionata più sopra (46), la misura può tradursi in una leggera riduzione del volume totale delle vendite di merci, incluse le importazioni. Ma non si può affermare che la stessa abbia un impatto sostanziale sull' accesso al mercato. Pertanto essa esula a mio parere dalla sfera di applicazione dell' art. 30.

e) La questione della giustificazione

56. Poiché si è giunti alla conclusione che la misura in parola non rientra nell' art. 30, vuoi sulla base del criterio formulato nella sentenza Keck e Mithouard, vuoi sul fondamento dell' approccio alternativo da me suggerito, potrebbe non rivelarsi necessario l' esame della giustificazione di detta misura; ma vi procederò ugualmente per il caso in cui la Corte accolga un' opinione diversa circa l' art. 30 e la questione sia affrontata sul presupposto, contrario alla mia tesi, che si applichi l' art. 30. Dal momento che la misura si applica senza distinzione ai prodotti nazionali e a quelli importati, se ne può ricercare la giustificazione non soltanto nell' art. 36 del Trattato, ma anche nell' elenco di esigenze imperative ammesse dalla Corte nella giurisprudenza "Cassis de Dijon".

57. Perché la misura sia giustificata occorre provare: a) che persegue un obiettivo legittimo, b) che costituisce un mezzo idoneo al perseguimento di tale obiettivo e c) che l' obiettivo non potrebbe essere efficacemente conseguito con mezzi alternativi meno pregiudizievoli per il commercio tra Stati membri.

58. Secondo il governo francese, il decreto impugnato, almeno per quanto riguarda il settore della distribuzione, intende tutelare la stampa quotidiana regionale e garantire il pluralismo dei "media", sul presupposto che gli inserzionisti ai quali viene impedito di utilizzare il mezzo televisivo faranno pubblicità sui quotidiani regionali, invece che alla televisione. Non è del tutto evidente se questo sia pure il motivo (o uno dei motivi) del divieto di pubblicità televisiva per le bevande alcoliche, l' editoria letteraria, la stampa ed il cinema. Sembra probabile che lo scopo principale del divieto di pubblicizzare le bevande alcoliche sia la tutela della salute mediante misure atte a scoraggiare il consumo eccessivo di alcol. Si può anche immaginare che le restrizioni relative alla pubblicità di libri, riviste, giornali ed opere cinematografiche siano motivate dall' idea sottostante che una concorrenza vigorosa non è auspicabile nel campo culturale.

59. Emerge chiaramente dalle sentenze Commissione/Francia e Aragonesa de Publicidad Exterior e Publivía (47) che le restrizioni alla pubblicità di bevande alcoliche possono giustificarsi per motivi di tutela della salute, a condizione di non essere discriminatorie o sproporzionate. La valutazione della proporzionalità del divieto di pubblicità televisiva a favore di bevande alcoliche richiederebbe un esame dettagliato degli effetti di tale divieto, per quanto riguarda al tempo stesso il commercio e la salute, nonché un esame delle alternative disponibili. Tali questioni non sono state discusse a fondo dinanzi alla Corte nel presente caso, senza dubbio perché quest' ultimo non riguarda direttamente la pubblicità di bevande alcoliche e non sarebbe quindi opportuno pronunciarsi in modo definitivo sul problema se il divieto della pubblicità sia giustificato per le bevande alcoliche. Noterò soltanto che il livello di 1,2 gradi sembra anormalmente basso e idoneo ad impedire addirittura la pubblicità di birre a basso contenuto alcolico, che non si comprende facilmente per quale ragione la pubblicità di bevande alcoliche alla televisione sia più nociva alla salute pubblica di quella sui giornali, sulle riviste e nei cinema e che è sostenibile che restrizioni più contenute (ad esempio, disposizioni sul contenuto degli annunci pubblicitari, come quelle formulate nell' art. 15 della direttiva 89/552) tutelerebbero la salute con pari efficacia.

60. Circa il punto se le altre restrizioni imposte dal decreto impugnato siano giustificabili per il motivo che le stesse servono a salvaguardare la stampa regionale quotidiana ed a mantenere il pluralismo dei mezzi di informazione, ci si domanda innanzi tutto se obiettivi siffatti siano idonei in via di principio a giustificare una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alla libera circolazione delle merci. La salvaguardia della stampa ed il mantenimento del pluralismo dei mezzi di informazione non figurano di certo nell' art. 36 del Trattato e finora non sono state riconosciute quali esigenze imperative ai sensi della giurisprudenza "Cassis de Dijon". La Corte ha però ammesso che la salvaguardia del pluralismo dei mezzi di informazione poteva giustificare restrizioni alla libertà di prestazione dei servizi nel settore audiovisivo (48). Potrei quindi ammettere che talune restrizioni alla libera circolazione delle merci possono giustificarsi allo scopo di salvaguardare i quotidiani regionali.

61. Non occorre tuttavia attardarsi su tale questione perché in ogni caso è difficile comprendere come le misure contestate possano soddisfare le esigenze di proporzionalità. In primo luogo, può mettersi in dubbio il fatto che tali misure costituiscano un efficace mezzo di salvaguardia dei quotidiani regionali, poiché niente assicura che coloro ai quali si vieta la pubblicità televisiva ne faranno per contro sui quotidiani regionali; in assenza di un obbligo di indirizzare una parte del proprio budget pubblicitario ai quotidiani regionali, essi possono scegliere forme alternative di pubblicità, come stazioni-radio commerciali, cinema, manifesti o quotidiani nazionali. In secondo luogo, esistono di certo altri mezzi per salvaguardare la stampa quotidiana regionale che potrebbero risultare altrettanto efficaci, pur essendo meno nocivi al commercio tra Stati membri. Una misura siffatta è richiamata espressamente nell' art. 19 della direttiva 89/552, secondo cui ad uno Stato membro è consentito limitare il tempo totale di trasmissione che le emittenti soggette alla sua giurisdizione possono dedicare alla pubblicità; l' effetto di tale misura potrebbe consistere in un aumento di prezzo del tempo di trasmissione disponibile e rendere più concorrenziale quanto al prezzo la pubblicità sui giornali, inclusi i quotidiani. In alternativa, si potrebbe imporre agli enti governativi ed alle industrie di proprietà dello Stato di fare pubblicità sui quotidiani regionali oppure il governo potrebbe aiutare i giornali con vantaggi fiscali o addirittura sovvenzioni dirette, a condizione di rispettare le disposizioni del Trattato sugli aiuti di Stato.

62. Anche se la misura impugnata fosse un efficace strumento per aiutare i quotidiani regionali, resterebbe ancora l' obiezione che non si è avanzata una valida ragione per imporre l' onere di sostenere i quotidiani regionali ai distributori, agli editori di pubblicazioni letterarie, ai proprietari di cinema ed ai produttori di film. La scelta di questi settori dell' economia come strumento per garantire il pluralismo nella stampa sembra arbitraria. A mio parere sarebbe difficile sostenere che una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazioni è giustificata quando essa si applica in modo arbitrario. Ne consegue che, se ritenessi che la restrizione alla pubblicità rientra nell' art. 30, non la considererei idonea ad essere giustificata.

La direttiva del Consiglio 89/552/CEE

63. L' obiettivo fondamentale della direttiva 89/552, che è stata adottata in base agli artt. 57, n. 2, e 66 del Trattato, consiste nel facilitare la libera diffusione delle trasmissioni televisive all' interno della Comunità. Il preambolo dichiara che le attività televisive costituiscono un servizio ai sensi del Trattato, che quest' ultimo prevede la libera circolazione di tutti i servizi normalmente forniti a pagamento, senza esclusioni connesse al loro contenuto culturale o di altra natura e senza restrizioni per i cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità diverso da quello cui il servizio è destinato e che questo diritto riconosciuto alla diffusione di servizi di televisione rappresenta una specifica manifestazione della libertà di espressione sancita dall' art. 10, paragrafo 1, della Convenzione sulla salvaguardia dei diritti dell' uomo e delle libertà fondamentali (v. il sesto, il settimo e l' ottavo 'considerando)' . La direttiva persegue il suo scopo di facilitare la libera diffusione delle trasmissioni televisive dettando le disposizioni minime che devono essere osservate dalle emittenti soggette alla giurisdizione di uno Stato membro. Le trasmissioni che si conformano a tali disposizioni minime possono essere diffuse negli altri Stati membri. L' art. 2, n. 2, della direttiva prevede che, in linea di principio, gli Stati membri assicurino la libertà di ricezione e non ostacolino la ritrasmissione sul proprio territorio di trasmissioni televisive provenienti da altri Stati membri per ragioni attinenti ai settori coordinati dalla presente direttiva. La sola eccezione a tale principio è stabilita dal medesimo art. 2, n. 2, nei limiti in cui esso consente agli Stati membri, con l' osservanza di severe condizioni, di sospendere le trasmissioni che violino "in misura manifesta, seria e grave" l' art. 22 della direttiva. Quest' ultimo impone agli Stati membri di garantire che le loro trasmissioni non contengano programmi in grado di nuocere gravemente allo sviluppo fisico, mentale o morale dei minorenni, in particolare programmi che contengano scene pornografiche o di violenza gratuita.

64. Il capitolo IV (artt. 10-21) della direttiva è intitolato "Pubblicità televisiva e sponsorizzazione". L' art. 10 stabilisce il principio di base che la pubblicità dev' essere distinta dal resto del programma. L' art. 11 formula disposizioni particolareggiate rivolte ad attuare tale separazione. L' art. 13 vieta la pubblicità televisiva delle sigarette e degli altri prodotti del tabacco. L' art. 14 vieta la pubblicità televisiva dei medicinali e delle cure mediche disponibili unicamente con ricetta medica nello Stato membro alla cui giurisdizione è soggetta l' emittente televisiva. L' art. 15 limita la pubblicità televisiva delle bevande alcoliche. L' art. 18 limita il tempo di trasmissione che può essere destinato alla pubblicità. Esso recita come segue:

"1. Il tempo di trasmissione dedicato alla pubblicità non deve superare il 15% del tempo di trasmissione quotidiano. Tuttavia questa percentuale può essere portata al 20% se comprende forme di pubblicità come le offerte fatte direttamente al pubblico ai fini della vendita, dell' acquisto o del noleggio di prodotti, oppure della fornitura di servizi, purché l' insieme degli spot pubblicitari non superi il 15%.

2. Il tempo di trasmissione dedicato agli spot pubblicitari entro un determinato periodo di un' ora non deve superare il 20%.

3. Fatto salvo il paragrafo 1, le forme di pubblicità come le offerte fatte direttamente al pubblico ai fini della vendita, dell' acquisto o del noleggio di prodotti, oppure della fornitura di servizi non devono superare un' ora al giorno".

65. L' art. 19 è formulato nei seguenti termini:

"Gli Stati membri possono prevedere che il tempo e le modalità di trasmissione televisiva per quanto riguarda le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione siano fissati più rigorosamente di quanto previsto dall' articolo 18, in modo da conciliare l' esigenza di pubblicità televisiva con gli interessi del pubblico, tenuto conto in particolare:

a) della funzione di informazione, di educazione, di cultura e di svago della televisione;

b) della salvaguardia del pluralismo dell' informazione e dei media".

L' art. 20 prevede:

"Fatto salvo l' art. 3, gli Stati membri hanno la facoltà, nel rispetto del diritto comunitario, di prevedere condizioni diverse da quelle stabilite all' articolo 11, paragrafi da 2 a 5, e all' articolo 18, per quanto riguarda le trasmissioni destinate unicamente al territorio nazionale e che non possono essere captate, direttamente o indirettamente, in uno o più altri Stati membri".

L' art. 3, n. 1, contiene una deroga più generale. Secondo tale articolo, "per ciò che si riferisce alle emittenti televisive assoggettate alla loro competenza, gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere norme più rigorose o più particolareggiate nei settori inclusi nella presente direttiva" (49).

66. La direttiva vieta espressamente la pubblicità soltanto per due categorie di prodotti o servizi: cioè, sigarette ed altri prodotti del tabacco (art. 13) nonché medicinali e cure mediche disponibili unicamente con ricetta (art. 14). Nel caso di specie sorge la questione se la direttiva permetta agli Stati membri di proibire la pubblicità televisiva, per quanto riguarda le emittenti che rientrano nella rispettiva giurisdizione, per altre categorie di prodotti o settori di attività economica, come quello della distribuzione. Su tale aspetto, la direttiva è piuttosto ambigua: essa non afferma chiaramente che altri prodotti o servizi possano o non possano venire esclusi dalla pubblicità televisiva.

67. La direttiva contiene quattro disposizioni che autorizzano gli Stati membri ad assoggettare le emittenti televisive rientranti nella loro giurisdizione a condizioni molto più rigorose di quelle poste nella direttiva: gli artt. 3, n. 1, 19 e 20, già citati, nonché l' art. 8, che autorizza gli Stati membri a prevedere norme più dettagliate o più rigorose "per obiettivi di politica linguistica". Quest' ultima disposizione è qui palesemente irrilevante. E' necessario pertanto esaminare gli artt. 3, n. 1, 19 e 20 al fine di determinare se essi autorizzano gli Stati membri a vietare la pubblicità televisiva, quanto alle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione, per qualsiasi prodotto, servizio o settore di attività economica diversi da quelli che la direttiva stessa esclude espressamente dalla pubblicità televisiva.

68. L' art. 19 permette agli Stati membri "di prevedere che il tempo e le modalità di trasmissione televisiva per quanto riguarda le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione siano fissati più rigorosamente di quanto previsto all' articolo 18". Ne consegue che l' art. 19 deroga unicamente all' art. 18, che a sua volta riguarda non i tipi di prodotto o di servizio che possono venire pubblicizzati, bensì il tempo quotidiano di trasmissione che può essere dedicato alla pubblicità. Il medesimo argomento si applica all' art. 20 che ammette deroghe soltanto agli artt. 11, nn. 2-5, e 18. L' art. 11 prevede norme particolareggiate per garantire una netta distinzione tra pubblicità e programmi e vieta l' inserzione della pubblicità in taluni tipi di programmi. Esso non prende in considerazione i tipi di prodotti o servizi che possono essere pubblicizzati. E' del pari evidente che l' art. 20 non può applicarsi, date le circostanze del presente caso, poiché esso autorizza deroghe agli artt. 11, nn 2-5, e 18 soltanto "per quanto riguarda le trasmissioni destinate unicamente al territorio nazionale e che non possono essere captate, direttamente o indirettamente, in uno o più Stati membri". E' sufficiente rilevare in proposito che tanto la TF1 quanto la M6 possono essere captate in altri Stati membri, almeno nelle zone frontaliere.

69. Rimane da stabilire se, come sostengono il governo francese e la Commissione, l' art. 3, n. 1, della direttiva consente agli Stati membri di imporre il tipo di restrizione controverso nel caso di specie. La precisa portata dell' art. 3, n. 1, è ambigua. Tale accordo include apparentemente una deroga molto ampia rispetto alle disposizioni ordinarie della direttiva, poiché autorizza gli Stati membri a stabilire norme più dettagliate o più rigorose nei settori contemplati dalla direttiva per quanto attiene alle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione. La difficoltà è imputabile all' assenza di qualsiasi chiara indicazione, nei termini o nell' economia della direttiva, circa il nesso fra tale ampia deroga e le deroghe di portata più restrittiva di cui agli artt. 19 e 20 (ed anche all' art. 8). Se si interpretasse l' art. 3, n. 1, nel senso che esso autorizza gli Stati membri ad imporre qualsivoglia restrizione alle emittenti soggette alla rispettiva giurisdizione, diverrebbero ridondanti le deroghe formulate più restrittivamente negli artt. 19 e 20. D' altro canto, se si accogliesse l' opinione che gli Stati membri non possono imporre alle emittenti soggette alla loro giurisdizione disposizioni più severe di quelle della direttiva, fatte salve le circostanze definite negli artt. 8, 19 e 20, l' art. 3, n. 1, sarebbe di per se stesso privo di ogni effetto utile. E' possibile che la spiegazione di tale apparente contraddizione nell' economia della direttiva risieda nella sua tormentata genesi legislativa (50).

70. E' deplorevole che la normativa comunitaria sia talmente ambigua su un aspetto così importante. Tuttavia una cosa è certa: se non vi fosse la direttiva sulla televisione senza frontiere, gli Stati membri sarebbero liberi di limitare la pubblicità diffusa dalle emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione, a condizione di non violare in tal modo il Trattato o qualsiasi altra disposizione di diritto comunitario. Non penso che la direttiva possa venire interpretata correttamente nel senso che essa priva gli Stati membri di tale potere, a meno che questi non fossero palesemente l' obiettivo e il risultato da essa perseguiti. Non esiste alcuna indicazione chiara che tale fosse l' intenzione degli autori della direttiva. Al contrario, l' economia generale della direttiva consiste nel garantire la libera diffusione delle trasmissioni televisive dettando disposizioni minime e lasciando agli Stati membri la facoltà di disciplinare in modo più rigoroso le emittenti televisive soggette alla loro giurisdizione. Siffatto obiettivo non è messo in pericolo se gli Stati membri vietano alle emittenti soggette alla loro giurisdizione di fare pubblicità a determinati beni e servizi diversi da quelli menzionati negli artt. 13 e 14. Conlcudo che una normativa del tipo controverso non è contraria alla direttiva.

Le regole di concorrenza del Trattato

71. Mi occuperò più brevemente dell' argomento secondo cui la normativa controversa è incompatibile con gli artt. 85 e 86 del Trattato.

72. Il nocciolo dell' argomento consiste nel dire che i concorrenti della Leclerc-Siplec hanno concluso un accordo relativo alla composizione di un carburante senza piombo non corrispondente ad alcuna norma europea e che gli stessi hanno deciso concordemente di smerciare quel prodotto tramite un sistema di distribuzione selettivo secondo cui il dettagliante è tenuto ad indicare il nome del produttore sulla pompa. Orbene, si afferma che l' accordo tra i concorrenti della Leclerc-Siplec è un accordo vietato dall' art. 85 del Trattato e che tali imprese cercano di ottenere abusivamente una posizione dominante contraria all' art. 86 del Trattato. Secondo la Leclerc-Siplec, l' accordo è stato reso possibile o quantomeno facilitato dalle disposizioni del decreto contestato perché il divieto di pubblicità televisiva impedisce ai distributori di carburante, come la Leclerc-Siplec, di promuovere il loro carburante senza piombo e fare quindi concorrenza alle parti di tale accordo.

73. E' evidente che siffatto argomento va disatteso. Come ammette la Leclerc-Siplec, gli artt. 85 e 86 trattano non delle misure adottate dallo Stato, ma del comportamento delle imprese. E' vero che la Corte ha dichiarato ripetutamente ° per esempio nelle cause Meng (51) e Ohra Schadeverzekeringen (52)° che, per effetto del combinato disposto degli artt. 5, 85 e 86 del Trattato, gli Stati membri non devono adottare o mantenere in vigore provvedimenti idonei a rendere praticamente inefficaci le regole di concorrenza applicabili alle imprese. Ciò accade quando uno Stato membro imponga alle imprese ovvero agevoli la conclusione di accordi contrari all' art. 85 o rafforzi gli effetti di siffatti accordi o infine tolga alla propria normativa il suo carattere pubblico, delegando ad operatori privati la responsabilità di adottare decisioni di intervento in materia economica.

74. E' chiaro che il decreto impugnato non obbliga né incoraggia i concorrenti della Leclerc-Siplec a concludere l' accordo invocato. Non può neppure sostenersi, alla luce della giurisprudenza Meng, che il decreto abbia rafforzato un accordo anticoncorrenziale. E' stato dichiarato in tale causa che la normativa applicabile ad uno specifico settore assicurativo non poteva considerarsi come un raffronto degli effetti di un accordo preesistente, a meno che essa non si limitasse a riprodurre i termini di un accordo concluso tra le imprese in tale settore. E' del pari evidente che il decreto contestato non delega alcuna responsabilità in materia di disciplina della pubblicità televisiva ad operatori privati.

Conclusione

75. Sono quindi del parere che la questione sottoposta alla Corte dal Tribunal de commerce di Parigi vada risolta come segue:

"1) Una misura adottata da uno Stato membro che impedisca ad distributori stabiliti in quello Stato membro di fare pubblicità televisiva non costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa alle importazioni ai sensi dell' art. 30 del Trattato CEE.

2) Tale misura non è contraria alla direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l' esercizio delle attività televisive.

3) Tale misura non è contraria agli artt. 85 e 86 del Trattato CEE, letti congiuntamente con l' art. 5 del Trattato".

(*) Lingua originale: l' inglese.

(1) ° Direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989, 89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l' esercizio delle attività televisive (GU L 298, pag. 23).

(2) ° Sentenza 16 dicembre 1981, causa 244/80 (Racc. pag. 3045); v. anche sentenza Foglia I dell' 11 marzo 1980, causa 104/79 (Racc. pag. 745).

(3) ° Sentenza 16 luglio 1992, causa C-83/91 (Racc. pag. I-4871).

(4) ° Sentenza 16 luglio 1992, causa C-343/90 (Racc. pag. I-4673).

(5) ° Sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite C-320/90, C-321/90 e C-322/90 (Racc. pag. I-393).

(6) ° Foglia/Novello II, citata alla nota 2, punto 18.

(7) ° Foglia/Novello I, citata alla nota 2, punto 10.

(8) ° Foglia/Novello I, citata alla nota 2, punto 11.

(9) ° V. punti 28-30 della sentenza alla causa Foglia/Novello II, citata alla nota 2.

(10) ° V., per esempio, sentenza 23 novembre 1989, causa 150/88, Parfuemerie-Fabrik 4711 (Racc. pag. 3891, punti 11 e 12).

(11) ° V. sentenze 18 marzo 1980, causa 52/79, Procureur du Roi (Racc. pag. 833), 26 aprile 1988, causa 352/85, Bond van Adverteerders (Racc. pag. 2085), e 25 luglio 1991, causa C-288/89, Collectieve Antennevoorziening Gouda (Racc. pag. I-4007).

(12) ° Sentenza 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT (Racc. pag. I-2925, punto 42).

(13) ° Virginia State Board of Pharmacy/Virginia Citizens Consumer Council 425 US 748, 48 L Ed 2d (1976).

(14) ° Sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74 (Racc. pag. 837).

(15) ° Sentenza 24 novembre 1993, cause riunite C-267/91 e C-268/91 (Racc. pag. I-6097).

(16) ° Sentenza 20 febbraio 1979, causa 120/78 (Racc. pag. 649).

(17) ° V. White: In search of the limits to Article 30 of the EEC Treaty , Common Market Law Review 1989, pag. 235.

(18) ° Sentenza 14 luglio 1981, causa 155/80 (Racc. pag. 1993).

(19) ° Sentenza 31 marzo 1982, causa 75/81 (Racc. pag. 1211).

(20) ° Sentenza 11 luglio 1990, causa C-23/89 (Racc. pag. I-3059).

(21) ° Sentenza 15 dicembre 1982, causa 286/81 (Racc. pag. 4575).

(22) ° Sentenza 16 maggio 1989, causa 382/87 (Racc. pag. 1235).

(23) ° Sentenza 25 luglio 1991, cause riunite C-1/90 e C-176/90 (Racc. pag. I-4151); v. anche sentenza 10 luglio 1980, causa C-152/78, Commissione/Francia (Racc. pag. 2299, punto 11).

(24) ° Sentenza 7 marzo 1990, causa C-362/88 (Racc. pag. I-667).

(25) ° Sentenza 12 dicembre 1990, causa C-241/89 (Racc. pag. I-4695).

(26) ° Sentenza 18 maggio 1993, causa C-126/91 (Racc. pag. I-2361).

(27) ° Punto 7 della sentenza GB-INNO-BM.

(28) ° Punto 29 della sentenza.

(29) ° Sentenze 23 novembre 1989, causa C-145/88, Torfaen Borough Council (Racc. pag. 3851), 28 febbraio 1991, causa C-312/89, Conforama e a. (Racc. pag. I-997), e 16 dicembre 1992, causa C-169/91, B & Q (Racc. pag. I-6635).

(30) ° Punto 15 della sentenza B & Q, citata alla nota 29.

(31) ° Cause riunite C-267/91 e C-268/91, già citate alla nota 15 più sopra.

(32) ° Punto 16 della sentenza.

(33) ° Sentenza 15 dicembre 1993, causa C-292/92 (Racc. pag. I-6787); v. anche sentenze 2 febbraio 1994, C-315/92, Verband Sozialer Wettbewerb (Racc. pag. I-317), e 2 giugno 1994, cause riunite C-401/92 e C-402/92, Tankstation 't Heukske e Boermans (Racc. pag. I-2199), e cause riunite C-69/93 e C-258/93, Punto Casa e PVV (Racc. pag. I-2355).

(34) ° V. la relazione d' udienza, pag. I-6790.

(35) ° Punto 22.

(36) ° Come nel punto 15 della sentenza B & Q (citata più sopra al paragrafo 33).

(37) ° Come nella sentenza 7 marzo 1990, causa C-69/88, Krantz (Racc. pag. I-583, punto 11).

(38) ° Sentenza 13 marzo 1984, causa 16/83 (Racc. pag. 1299).

(39) ° Sentenza 14 marzo 1985, causa 269/83 (Racc. pag. 837).

(40) ° Sentenza 5 giugno 1986, causa 103/84 (Racc. pag. 1759).

(41) ° Punto 18 della sentenza.

(42) ° Sentenza 5 aprile 1984, cause riunite 177/82 e 178/82 (Racc. pag. 1797, punto 13).

(43) ° V., ad esempio, sentenza 1 luglio 1969, causa 24/68, Commissione/Italia (Racc. pag. 193, punto 9).

(44) ° Ibidem.

(45) ° V. anche Roth: Comment on Keck and Huenermund , Common Market Law Review 1994, pag. 845, in particolare pag. 853.

(46) ° V. supra, paragrafo 48.

(47) ° Entrambe citate alla nota 23.

(48) ° V., di recente, sentenza 5 ottobre 1994, causa C-23/93, TV 10 (Racc. pag. I-4795, punti 18 e 19); v. anche art. 19 della direttiva televisione senza frontiere citato più avanti al paragrafo 64.

(49) ° Nota riferentesi solo alla versione inglese delle conclusioni (Ndt).

(50) ° V., in proposito, Delwit e Gobin: Étude du cheminement de la directive télévision sans frontières: synthèses des prises de positions des institutions communautaires , L' espace audiovisuel européen, a cura di Vandersanden, Bruxelles, 1991, pagg. 55-74.

(51) ° Sentenza 17 novembre 1993, causa C-2/91 (Racc. pag. I-5751, punto 14).

(52) ° Sentenza 17 novembre 1993, causa C-245/91 (Racc. pag. I-5851, punto 10).