ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 353

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

62° anno
18 ottobre 2019


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

2019/C 353/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Blockchain e tecnologia di registro distribuito (Distributed Ledger Technology, DLT) in quanto infrastrutture ideali dell'economia sociale  (parere d'iniziativa)

1

 

PARERI

2019/C 353/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Incoraggiare un mercato unico favorevole all’imprenditorialità e all’innovazione — Promuovere nuovi modelli economici per affrontare le sfide sociali e le transizioni  (parere d’iniziativa)

6

2019/C 353/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo su I consumatori nell’economia circolare  (parere d’iniziativa)

11

2019/C 353/04

PARERE del Comitato economico e sociale europeo su La tassazione nell’economia digitalizzata  (Parere d’iniziativa)

17

2019/C 353/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Verso un’economia europea più resiliente e sostenibile  (parere d’iniziativa)

23

2019/C 353/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Una nuova visione per il completamento dell’Unione economica e monetaria  (parere d’iniziativa)

32

2019/C 353/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Il semestre europeo e la politica di coesione — Verso una nuova strategia europea post 2020  (parere d’iniziativa)

39

2019/C 353/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Il nuovo ruolo dei servizi pubblici per l’impiego nel quadro dell’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali  (parere d’iniziativa)

46

2019/C 353/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Insegnare l’Europa - sviluppare una serie di materiali per le scuole  (parere d’iniziativa)

52

2019/C 353/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Conciliare le politiche in materia di clima e di energia: la prospettiva del settore industriale  (parere d’iniziativa)

59

2019/C 353/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Promuovere filiere alimentari corte e alternative nell’Unione europea: il ruolo dell’agroecologia  (parere d’iniziativa)

65

2019/C 353/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo su La professione di agricoltore e le sfide in materia di redditività  (parere d’iniziativa)

72

2019/C 353/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Trasporti, energia e servizi d’interesse generale come motori della crescita sostenibile europea attraverso la rivoluzione digitale  (parere d’iniziativa)

79


 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

2019/C 353/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio - Verso un processo decisionale più efficiente e democratico nella politica fiscale dell’UE  COM(2019) 8 final

90

2019/C 353/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti - Quarta relazione sullo stato dell’Unione dell’energia  [COM(2019) 175 final]

96

2019/C 353/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti relativa all’attuazione del piano d’azione strategico sulle batterie: creare una catena del valore strategica delle batterie in Europa  [COM(2019) 176 final]

102


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Blockchain e tecnologia di registro distribuito (Distributed Ledger Technology, DLT) in quanto infrastrutture ideali dell'economia sociale»

(parere d'iniziativa)

(2019/C 353/01)

Relatore: Giuseppe GUERINI

Decisione dell'Assemblea plenaria

13.12.2018

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

179/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE supporta le attività proposte dalla Commissione europea per sviluppare un partenariato europeo per la blockchain, a partire dall'EU Blockchain Observatory and Forum.

1.2

Il CESE incoraggia le istituzioni a favorire il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nell'Osservatorio e nel partenariato europeo per la blockchain, poiché è evidente che uno sviluppo positivo della blockchain e delle nuove infrastrutture digitali non è soltanto questione di tecnologie informatiche, ma rappresenta un vero e proprio processo di innovazione sociale dirompente.

1.3

Il CESE ritiene che le organizzazioni dell'economia sociale possano contribuire a promuovere una maggiore e consapevole conoscenza delle potenzialità della blockchain, proprio in relazione alla convergenza di una base culturale e metodologica, centrata su forme di governance aperta e partecipata, con l'obiettivo di mantenere un alto livello di trasparenza e partecipazione di tutti i cittadini allo sviluppo che queste nuove tecnologie possono portare.

1.4

Le applicazioni operative delle tecnologie blockchain possono migliorare sensibilmente la performance delle organizzazioni dell'economia sociale, con beneficio per tali organizzazioni, per i loro soci e, soprattutto, per gli utenti finali.

1.5

I progetti imprenditoriali basati sulle tecnologie di «registro distribuito» (DTL) necessitano di solide strutture di governance, che forniscano chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità e sostengano la cooperazione tra i vari stakeholder.

1.6

Il CESE invita le autorità pubbliche a garantire che lo sviluppo della tecnologia blockchain avvenga nel rispetto delle regole sul trattamento dei dati personali e sulla cybersecurity, vigilando sui rischi di accaparramento o sfruttamento improprio dei dati di cittadini e imprese.

1.7

Rispetto ai profondi cambiamenti portati dalle nuove tecnologie, il CESE raccomanda che i cittadini e i lavoratori vengano adeguatamente tutelati, anche mediante un corretto coinvolgimento delle parti sociali, in particolare riguardo alle condizioni di svolgimento delle loro mansioni e in relazione alla predisposizione di adeguati piani formativi e di aggiornamento.

1.8

Il CESE ritiene che la necessità di un reale coinvolgimento delle organizzazioni dell'economia sociale e della società civile sia imprescindibile per assicurare che le grandi opportunità offerte dalle nuove tecnologie siano orientate ad assicurare benefici, accesso, trasparenza e partecipazione a tutti e non soltanto ad una nuova «élite dell'economia digitale».

2.   Contesto e oggetto dell'iniziativa

2.1

Questo parere d'iniziativa prende origine dalle conclusioni della presidenza del Lussemburgo, che contengono un invito ad esplorare il potenziale innovativo delle nuove tecnologie digitali nell'ambito dell'economia sociale.

2.2

Tra queste nuove tecnologie sta emergendo il dirompente potenziale innovativo delle diverse forme di «tecnologia di registro distribuito» (Distributed Ledger Technology, DLT), note come blockchain, che permetteranno lo sviluppo di applicazioni molto interessanti in diversi settori dell'attività economica e sociale.

2.3

Alcune caratteristiche di queste tecnologie fanno della blockchain una infrastruttura digitale, che potrebbe essere utilizzata con profitto dalle organizzazioni dell'economia sociale per migliorare il raggiungimento delle proprie finalità, incrementando la loro capacità di determinare impatti sociali positivi e promuovere l'innovazione sociale.

2.4

Il CESE incoraggia le istituzioni a favorire il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nell'Osservatorio europeo sulla blockchain, poiché uno sviluppo positivo della blockchain e delle nuove infrastrutture digitali non può dipendere soltanto da soluzioni informatiche e nemmeno dalla sola ingegneria, ma si perfeziona solo se sapremo fare di questi dispositivi un volano di innovazione sociale dirompente.

2.5

È utile ricordare che le tecnologie DLT garantiscono la fiducia tra partner orientati a collaborare e certificano prevalentemente le transazioni, non il contenuto o la qualità di quanto è inserito nelle catene di blocco. Quindi, per quanto alcune valutazioni ottimistiche di questa tecnologia la definiscano come un nuovo vettore di fiducia, occorre essere chiari nell'affermare che la tecnologia non può essere un sostituto della lealtà e della fiducia tra le parti.

3.   Una sintetica descrizione della blockchain e delle tecnologie di registro distribuito

3.1

La tecnologia blockchain è un protocollo informatico configurato negli anni '90. Tuttavia, il suo utilizzo su larga scala e il suo successo sono legati alla diffusione delle criptovalute, tra le quali la più conosciuta è il bitcoin. Sarebbe però un errore assimilare la blockchain solo alle criptomonete. Infatti, grazie alla combinazione con la crescente potenza di calcolo e analisi dei dati dei sistemi informatici, al potenziamento della connettività in Europa e alla continua evoluzione dei sistemi d'intelligenza artificiale, stanno crescendo in modo esponenziale i potenziali di utilizzo delle DLT per molteplici finalità.

3.2

La blockchain è allo stesso tempo un codice, cioè un protocollo di comunicazione, ed un registro pubblico nel quale vengono «annotate» con un elevato grado di trasparenza e in forma non modificabile tutte le transazioni effettuate fra i partecipanti della rete, secondo un ordine sequenziale.

3.3

Quest'ordine di registrazione è costituito da un insieme di «blocchi» (parti di codice) che sono tra loro concatenati tramite una funzione di crittografia che traccia e rende immodificabile ciascuna parte del blocco che forma la catena. Questi «blocchi concatenati» vengono contemporaneamente registrati su ciascuno dei dispostivi attraverso i quali i partecipanti alla blockchain si connettono. Ogni partecipante costituisce un «anello» della catena, che contribuisce a validare ed archiviare i dati che vengono scambiati.

3.4

In questo modo, le transazioni avvengono in forma orizzontale e risultano validate da una pluralità di partecipanti, rendendo impossibile ad un solo operatore la modifica o la distruzione delle registrazioni. Ciò dovrebbe rendere sicuro il trattamento dei dati e favorire il consolidarsi della fiducia reciproca tra i partecipanti alle blockchain che intervengono nel processo di validazione distribuito e decentralizzato. La blockchain è quindi un interessante strumento per una nuova declinazione del concetto di sicurezza delle operazioni di transazione digitale.

3.5

Per questo motivo, la tecnologia blockchain ha funzionato soprattutto come infrastruttura per le monete virtuali, ma per le stesse ragioni essa può assumere anche un valore sociale, culturale e politico ed economico. Tuttavia, qualsiasi altro utilizzo nei contesti economici fisici e non virtuali richiede vi sia consapevolezza che il DLT non assicura le qualità del contenuto a cui si riferisce. In altre parole, è possibile certificare che un determinato prodotto ha seguito una filiera tracciata in modo sicuro in un DLT, ma non è possibile dire che quel prodotto ha qualità intrinsecamente buone.

3.6

I diversi partecipanti ad una blockchain esercitano un controllo diretto su una parte dell'intera catena e in questo modo la blockchain diventa un sistema decentralizzato, difficile da «dominare» da parte di un solo attore. Questo aumenta la sicurezza rispetto ad attacchi o sabotaggi poiché se uno dei nodi della catena subisse un attacco o venisse danneggiato, gli altri nodi del «registro distribuito» continuerebbero a funzionare.

3.7

Le transazioni che si realizzano nel registro distribuito grazie alla blockchain sono tracciate e visibili a tutti i partecipanti, per cui le operazioni si svolgono in trasparenza, senza l'intervento di una «autorità centrale» o di una parte «terza» che svolga la funzione di interlocutore obbligato o intermediario. Tuttavia, l'evoluzione dei computer quantistici, così come la possibilità teorica di «controllare» un numero consistente di nodi della rete, non annulla totalmente i rischi di concentrazione o controllo dei DLT, né quelli di accaparramento e concentrazione dei dati.

3.8

Queste caratteristiche consentono alla tecnologia blockchain di sviluppare anche veri e propri contratti ad esecuzione automatica, detti «smart-contract», che permettono di personalizzare e dettagliare una transazione in modo rapido e orizzontale. In questo modo, informazioni di base certificate si trasformano in un diritto esigibile, che potrebbe incidere su molte consuetudini sociali, economiche e politiche.

3.9

Si pensi, per esempio, alla possibile evoluzione dell'amministrazione digitale in relazione alle elezioni e ai sistemi di voto, alle prestazioni di welfare e sanità e alla gestione degli appalti pubblici.

3.10

Le parole chiave della tecnologia blockchain: decentralizzazione, trasparenza, partecipazione tra pari, affidabilità e fiducia, trovano molte assonanze nelle principali forme organizzative attraverso cui operano le imprese e le organizzazioni dell'economia sociale. Ciò è vero, a maggior ragione, se le reti di DLT verranno sviluppate con un'alta capacità di interoperabilità, che consenta agli utilizzatori di sfruttare queste tecnologie in forma collaborativa a partire da dispositivi e strumenti diversi.

4.   Unione europea e blockchain

4.1

Il CESE condivide e sostiene le attività che la Commissione europea e molti degli Stati membri hanno avviato per sviluppare un partenariato europeo per la blockchain. È strategico che l'Europa non perda terreno nella competizione internazionale in corso rispetto allo sviluppo di tutte le tecnologie digitali, incoraggiando e promuovendo la collaborazione tra i diversi attori pubblici e privati per la creazione di un'infrastruttura europea per la blockchain.

4.2

Anche il Parlamento europeo si è espresso su questi temi con le risoluzioni 2017/2772 (RSP) e 2018/2085 (INI), chiedendo inoltre che la Commissione promuova una valutazione sull'impatto sociale delle DTL.

4.3

Altrettanto importante è stato l'avvio, dal 1o febbraio 2018, dell'Osservatorio europeo sulla blockchain (EU Blockchain Observatory and Forum), istituito dalla Commissione europea, che ha già pubblicato diversi report tematici (1).

4.4

Il CESE è convinto che, per consentire un corretto sviluppo dei benefici delle tecnologie blockchain, sia necessario promuovere anche un adeguato quadro di regole che incentivi e favorisca la collaborazione del settore pubblico e privato e della società civile organizzata, affinché si produca una positiva convergenza sociale, culturale e normativa, necessaria a creare tutte le opportunità per migliorare servizi e processi sia nel settore pubblico, sia in quello privato.

5.   La tecnologia blockchain e il registro distribuito decentralizzato possono essere infrastrutture appropriate per l'economia sociale?

5.1

Se la tecnologia blockchain è uno strumento utile per ridefinire la fiducia nel contesto di un'economia digitale globale, le organizzazioni dell'economia sociale, avvalendosi di queste tecnologie, possono contribuire a democratizzare l'economia favorendo la diffusione di un'economia sociale digitale.

5.2

Le crisi finanziarie hanno indebolito la fiducia dei cittadini verso le istituzioni finanziarie. La fiducia è diventata ormai una risorsa sociale scarsa e le preoccupazioni crescenti circa la sicurezza dei dati raccolti e custoditi da alcuni grandi operatori economici la rendono ancora più scarsa.

5.3

Le imprese dell'economia sociale, che hanno la caratteristica di essere molto diffuse, radicate in territori e comunità locali, possono svolgere un importante ruolo per sostenere la più ampia diffusione delle opportunità tra i cittadini europei. Per questo possono contribuire positivamente a promuovere una convergenza etica e valoriale tra economia sociale e innovazione tecnologica, orientandosi verso un modello di sviluppo che rifletta gli interessi condivisi.

5.4

Sono ampie le applicazioni operative concrete delle tecnologie blockchain che si possono immaginare nelle organizzazioni dell'economia sociale.

5.5

Per cominciare, una tecnologia che consente di aumentare il livello di trasparenza e di fiducia può essere facilmente utilizzata per rendere sicure e tracciabili le donazioni e raccolte di fondi, consentendo ad esempio ad un donatore che finanzia una ONG di seguire il flusso e la destinazione delle risorse che ha donato. Sotto diverso profilo, la stessa ONG potrebbe dotarsi di un dispositivo che consente di rendicontare dettagliatamente ogni flusso di spesa, garantendo che le risorse investite siano effettivamente impiegate per gli scopi prefissati.

5.6

Adottando la tecnologia blockchain, molte organizzazioni dell'economia sociale potrebbero sensibilmente migliorare e rendere sicure e tracciabili le operazioni di gestione della governance associativa (consultazione degli associati e operazioni di voto), agevolando la partecipazione e il coinvolgimento anche quando i soci sono dislocati in territori decentrati, oppure sono talmente numerosi da rendere difficili veri momenti di confronto assembleare tradizionale.

5.7

Molte attività di produzione culturale, dalla formazione alle arti, sono realizzate da organizzazioni dell'economia sociale. Associazioni e cooperative che si occupano di educazione e formazione, così come di spettacoli e di produzioni artistiche o intellettuali, potranno usare la tecnologia blockchain sia per autenticare le attività svolte a distanza, sia per personalizzarle secondo le esigenze degli utenti. Ma in particolare per rendere più chiari e certi i diritti di proprietà intellettuale e i diritti d'autore, incardinando degli «smart-contract» nel trasferimento di contenuti.

5.8

Nel settore della formazione e istruzione, la blockchain potrà usare, per la certificazione delle competenze, la messa in sicurezza di titoli di studio e diplomi in formato digitale oppure l'emissione di certificati digitali che aggiornano automaticamente il curriculum di lavoratori o studenti.

5.9

Molto rilevanti sono le applicazioni che si possono attendere nel settore della salute, della cura della persona e dell'assistenza sociale sia per l'archiviazione sicura di dati e informazioni, sia per l'accesso e l'identificazione delle persone assistite. In questi campi, sono moltissime le organizzazioni dell'economia sociale impegnate in un lavoro di vicinanza ai cittadini più bisognosi, anche in aree decentrate, dove la possibilità di installare sistemi di telemedicina e teleassistenza sicuri può incidere fortemente sulla qualità della vita delle persone.

5.10

Spesso queste tecnologie richiedono competenze e risorse che non sono nella disponibilità di tutte le persone. Lo sono ancora meno per le persone più fragili come anziani, poveri, persone con disabilità, minori e famiglie emarginate. Per queste fasce di popolazione, a cui tutti abbiamo il dovere di pensare, le organizzazioni dell'economia sociale possono costituire un canale di accesso fondamentale.

5.11

Molte cooperative attive nel settore agricolo stanno pensando alle nuove tecnologie per rendere tracciabili e identificabili in misura certa i loro prodotti, evitando frodi e contraffazioni che danneggiano produttori e consumatori. Ancora, la tecnologia blockchain potrebbe rendere più certi e trasparenti i rapporti fra una cooperativa agricola e i propri soci conferitori, favorendo anche la riduzione dei costi di servizi come quello di assicurazione dei rischi legati alle calamità naturali.

5.12

Com'è noto, le prime applicazioni della blockchain sono state adottate per sviluppare criptomonete e sistemi di pagamento peer to peer. Questo potrebbe essere utile nel settore dell'economia sociale per gestire sia operazioni di crowdfounding, ma anche sistemi di pagamento complementari utili per operazioni di micro credito rivolte a persone non bancabili, oppure ancora per la gestione di reti di micro-investimento etico a favore di circuiti di economia comunitaria.

5.13

Associazioni ambientaliste e imprese sociali sono inoltre protagoniste nel settore della riduzione degli sprechi, nella raccolta e nel trattamento differenziato dei rifiuti. Anche in questi contesti le potenzialità dei registri di distribuzione decentralizzati possono essere utilizzate per migliorare i servizi svolti a favore dei cittadini.

5.14

Le cooperative di produzione di energia rinnovabile, che in Europa sono già più di 1 500 e coinvolgono oltre 1 000 000 di cittadini attivi nella transizione energetica, potrebbero ottimizzare la loro rete distributiva e le loro transizioni usando la tecnologia blockchain.

5.15

La questione energetica è un aspetto molto importante per la blockchain poiché, attualmente, la registrazione contemporanea dei dati e delle catene di blocco effettuata su una pluralità di server e dispostivi decentrati comporta un dispendio energetico molto elevato, per cui serve ancora ottimizzare l'impiego dell'energia, per rendere più sostenibile l'utilizzo della tecnologia blockchain.

5.16

Stabilito che la tecnologia blockchain è in grado di portare importanti sviluppi positivi, è importante qui richiamare l'attenzione sull'impossibilità di modifica dei dati registrati mediante la blockchain e pertanto è necessario che le regolamentazioni pubbliche possano garantire che lo sviluppo di tale tecnologia avvenga nel rispetto delle regole che disciplinano il trattamento dei dati personali («GDPR») con particolare riferimento al cosiddetto «diritto all'oblio».

5.17

È importante che le regole vigenti su questi temi siano continuamente adattate, in via diretta o interpretativa, al rapidissimo cambiamento tecnologico in corso. Solo in questo modo si eviterà che gli sviluppi positivi attesi dalla tecnologia blockchain siano affiancati da altrettanti sviluppi avversi e implicazioni problematiche.

5.18

La tecnologia blockchain porterà effetti sensibili nel mercato del lavoro; diversi lavori scompariranno, altri lavori sono destinati a cambiare profondamente, mentre altre occupazioni ancora potranno nascere ed evolvere rispetto al loro assetto presente. Il CESE ritiene importante che i lavoratori siano adeguatamente tutelati, in particolare predisponendo adeguati piani formativi e strumenti di politiche attive del lavoro realizzati con il coinvolgimento delle parti sociali.

5.19

Le enormi potenzialità delle nuove tecnologie digitali e l'elevato costo degli investimenti necessari espongono anche la tecnologia blockchain al rischio di concentrazione dei dispositivi capaci di farla funzionare. Pertanto, a fianco del potenziale di democratizzazione della rete, non sono esclusi i rischi di accaparramento speculativo di dati e reti tecnologiche in mano ai pochi players o paesi in grado di effettuare grandi investimenti. Per questo è importante che vi siano interventi pubblici per sostenere uno sviluppo partecipato ed accessibile di queste tecnologie.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  «Blockchain Innovation in Europe» a luglio 2018, «Blockchain e General Data Protection Regulation (GDPR)» ad ottobre 2018, «Blockchain for Government and Public Services» a dicembre 2018, «Scalabilità, interoperabilità e sostenibilità delle blockchain» a marzo 2019, «Blockchain and Digital Identity» a maggio 2019.


PARERI

18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/6


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Incoraggiare un mercato unico favorevole all’imprenditorialità e all’innovazione — Promuovere nuovi modelli economici per affrontare le sfide sociali e le transizioni»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/02)

Relatore: Giuseppe GUERINI

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.1.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

04.7.2019

Adozione in sessione plenaria

1.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

185/0/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

È ormai riconosciuta la necessità di perseguire un’economia sociale di mercato che, applicando intelligentemente le nuove tecnologie, riesca a far fronte alle grandi problematiche che riguardano la sostenibilità, i cambiamenti climatici e la riduzione delle diseguaglianze.

1.2.

Il CESE ritiene che un contributo attivo e rilevante a questo proposito possa arrivare dal mondo dell’imprenditoria, oltre che dalle istituzioni pubbliche. In particolare da tutte quelle imprese dell’economia reale che creano valore e occupazione senza utilizzare in modo speculativo le leve della finanza.

1.3.

Considerata l’ampia pluralità dei modelli economici e delle forme di impresa presenti a livello europeo, è importante che le proposte legislative riguardanti le imprese, l’economia e il mercato interno non siano omologate, rifiutando l’approccio per cui one size fits all e valorizzando invece la «biodiversità d’impresa».

1.4.

È fondamentale che le istituzioni europee supportino lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e il corretto uso dei big data, sia creando regole adeguate a garantire uno sviluppo di tali tecnologie nel rispetto dei diritti del singolo, sia investendo in modo coordinato risorse pubbliche europee e statali per garantire la competitività dell’UE su scala globale. In particolare, i big data e il loro potenziale dovrebbero essere accessibili anche alle PMI.

1.5.

I cambiamenti che le nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale e i big data stanno determinando sui processi produttivi e sull’economia in generale muteranno in profondità anche il mercato del lavoro. È tuttavia importante che questi processi di cambiamento avvengano nell’ambito di un proficuo dialogo sociale e nel rispetto dei diritti e della qualità della vita dei lavoratori.

1.6.

Le misure per favorire l’accesso al credito delle PMI, come per esempio il piano Juncker, il programma COSME o, in chiave futura, il programma InvestEU, dovrebbero continuare a supportare le PMI e le imprese sociali che spesso faticano a crescere per problemi di liquidità e sotto-patrimonializzazione. Anche lo sviluppo di un mercato europeo del venture capital dovrebbe essere attivamente incoraggiato.

1.7.

La necessità di garantire coesione ed equità sociale ad una popolazione europea sempre più anziana e meno numerosa evidenzia il ruolo che le imprese sociali e a base mutualistica potranno assumere in futuro. Serve quindi lavorare di più per valorizzare il ruolo di tali imprese, che permettono alle persone di organizzarsi e collaborare per dare risposte a bisogni sociali in costante crescita.

1.8.

Il CESE ribadisce che serve riconoscere e sostenere il ruolo che le PMI, le imprese familiari e le imprese dell’economia sociale, le imprese artigiane, i piccoli commercianti e agricoltori svolgono per la promozione e diffusione di uno spirito imprenditoriale centrato sul ruolo delle persone e delle comunità locali, per la costruzione del modello europeo di un mercato unico inclusivo. Inoltre, queste imprese rendono possibile intraprendere un’attività economica e imprenditoriale ad un numero più ampio di persone, favorendo la democrazia economica.

2.   Contesto e oggetto dell’iniziativa

2.1.

Il presente parere d’iniziativa si propone di offrire un contributo alle istituzioni europee affinché, nell’ambito delle azioni per il rafforzamento del mercato unico, si favorisca la creazione di un contesto adatto allo sviluppo di una pluralità di forme di impresa, pronte a sostenere le sfide che la società si trova ad affrontare.

2.2.

È ormai riconosciuto come sia necessario perseguire un’economia sociale di mercato che, applicando intelligentemente le nuove tecnologie, riesca a far fronte alle grandi problematiche che riguardano la sostenibilità, il contenimento degli effetti dannosi dei cambiamenti climatici, la riduzione delle diseguaglianze, le tensioni demografiche, la forte pressione migratoria ai confini esterni dell’UE e la transizione energetica.

2.3.

Il CESE ritiene che un contributo importante possa arrivare proprio dal mondo dell’imprenditoria, oltre che naturalmente dalle istituzioni pubbliche. Le grandi trasformazioni richiamate al paragrafo precedente, infatti, possono essere affrontate anche mettendo in campo il potenziale innovativo proprio di ogni attività imprenditoriale. Tuttavia, alcuni modelli di sviluppo economico e alcune forme di impresa hanno dimostrato una maggiore propensione a farsi carico delle innovazioni sociali che appaiono sempre più indispensabili affinché un’economia più sostenibile ed inclusiva possa affermarsi.

2.4.

Il CESE ritiene che un mercato unico favorevole all’innovazione e alla nuova imprenditorialità possa trovare significative convergenze nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per il perseguimento degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile, poiché gli obiettivi di crescita e innovazione, indispensabili per assicurare il mantenimento del benessere nei paesi dell’Unione europea, devono essere non solo robusti, ma anche sostenibili.

2.5.

Nel corso degli ultimi anni il CESE ha adottato molti pareri specifici riferiti ai seguenti e fondamentali argomenti:

La ricerca di nuovi modelli economici (1);

Le diverse forme d’imprenditoria (2);

Le trasformazioni dell’era digitale (3).

2.6.

Il CESE ritiene vi siano diversi «ecosistemi» economici che meriterebbero attenzione da parte del legislatore europeo, per favorire la funzionalità del mercato interno. Il sistema economico dell’UE è differenziato e comprende imprese multinazionali, imprese nazionali e moltissime imprese localizzate. Spesso queste imprese si articolano in filiere distrettuali di produzione: aree metropolitane, con sistemi urbani ad alta densità, e aree rurali e periferiche, dove non è sempre agevole garantire il benessere e la coesione sociale, se non si sviluppano attenzioni dedicate proprio a rendere accessibile l’innovazione tecnologica anche nelle aree decentrate.

2.7.

In tutti questi contesti è necessario far convivere ed integrare le diverse forme d’impresa, ma ciascuno di questi ambiti merita attenzioni dedicate sotto il profilo dell’intervento legislativo e degli investimenti pubblici. Per questo è importante che le proposte legislative e di regolazione economica sulle imprese, l’economia e il mercato interno non siano totalmente omologate, rifiutando l’approccio «one size fits all».

3.   Verso una nuova economia europea tecnologica, sostenibile e inclusiva

3.1.

È necessario sviluppare nuovi paradigmi produttivi di beni e servizi grazie all’economia digitale e alle nuove tecnologie, che hanno il potenziale per cambiare le modalità con cui si sviluppano le attività delle imprese europee.

3.2.

A questo proposito, è fondamentale che le istituzioni europee supportino adeguatamente lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, sia creando regole adeguate a garantire uno sviluppo di tale tecnologia nel rispetto dei diritti del singolo, sia investendo in modo coordinato risorse pubbliche europee e statali per non perdere terreno rispetto a players come Stati Uniti e Cina.

3.3.

Anche l’utilizzo dei big data, la loro elaborazione e il loro stoccaggio saranno fondamentali per garantire competitività al mercato europeo, posto che la capacità di elaborazione di dati e la possibilità di funzionalizzare tali dati a strategie di sviluppo economico e servizi alla persona sono in crescita costante. Sarà tuttavia necessario fare in modo che il trattamento e lo sviluppo di tali dati avvengano nel rispetto dei diritti del singolo, delle libertà fondamentali e della nuova disciplina europea GDPR.

3.4.

La peculiarità del tessuto imprenditoriale ed economico europeo ha gli elementi per affrontare la trasformazione digitale, strutturandosi come un virtuoso ecosistema composto da una pluralità eterogenea di imprese internazionali e locali capaci di aspirazioni globali. Perché ciò avvenga vi è l’urgente necessità di un’Europa unita, connessa, coesa e competitiva. Un’esperienza positiva a questo proposito è quella dei Digital Innovation Hub che si stanno realizzando in molti sistemi economici locali.

3.5.

I grandi cambiamenti che le nuove tecnologie, l’intelligenza artificiale e i big data stanno determinando sui processi produttivi e sull’economia in generale muteranno in profondità anche il mercato del lavoro. Alcuni lavori scompariranno, altri nasceranno ed altri ancora subiranno profondi cambiamenti. È importante che questi processi di cambiamento avvengano nell’ambito di un proficuo dialogo sociale e nel rispetto dei diritti dei lavoratori, che dovranno essere supportati sotto il profilo delle tutele e della formazione continua.

3.6.

Un altro fattore fondamentale per la crescita riguarda le politiche fiscali. La Commissione europea, nel corso della presente legislatura, ha lavorato molto sui temi della fiscalità. Il CESE ritiene che l’effettività delle regole fiscali e un loro ragionevole livello di armonizzazione siano fondamentali per il rafforzamento del mercato interno. Le politiche fiscali promosse a livello europeo, inoltre, dovrebbero sostenere gli strumenti funzionali alla crescita d’impresa, come per esempio gli investimenti in R&S e l’accesso ai capitali in forma di equity.

3.7.

Ancora oggi le PMI europee e le imprese dell’economia sociale soffrono a causa di problemi strutturali e della mancanza di condizioni favorevoli al loro sviluppo, nonostante i molti sforzi fatti a loro supporto. Inoltre, le PMI operano spesso nella produzione di tecnologie medio-basse e in servizi a minore intensità di conoscenza e faticano ad affacciarsi al mercato transfrontaliero. Tali imprese devono essere ulteriormente supportate posto che, come ci ricorda la Commissione, rappresentano il 99 % delle imprese europee, oltre che il 67 % dell’occupazione (4). Per questo, seppure tenendo conto della necessità di rispettare i principi di libero mercato e concorrenza, queste imprese devono essere adeguatamente sostenute da politiche industriali e fiscali favorevoli alla creazione di valore condiviso, più che alla concentrazione di ricchezza.

3.8.

In quest’ottica, le misure di supporto all’accesso al credito delle PMI, come per esempio il piano Juncker con il suo sistema di garanzie pubbliche, il programma COSME o il programma InvestEU dovrebbero continuare a supportare le PMI e le imprese sociali. In questa prospettiva, la partecipazione dei privati in start-up e piccole e medie imprese dovrebbe essere supportata maggiormente, sviluppando un mercato europeo del venture capital e del capitale ad alto rischio che ancora oggi ha dimensioni completamente diverse dagli USA. L’adozione di politiche che favoriscano l’investimento di capitali privati nelle imprese europee dovrebbe inoltre essere accompagnata da azioni concrete per favorire l’acquisizione di talenti e competenze residenti fuori dall’UE.

3.9.

Secondo i dati della Banca mondiale, in media, l’Unione europea (5) si colloca al 53o posto nella classifica globale sulla facilità di iniziare un’attività imprenditoriale e al 29o posto nella classifica sulla facilità complessiva con cui si può condurre un’attività economica. Gli Stati Uniti risultano invece all’8o posto con riferimento alla facilità di condurre un’attività economica. A tale proposito, il CESE sottolinea l’importanza di supportare e incoraggiare le attività d’impresa tramite interventi di semplificazione amministrativa nel campo delle attività produttive di beni e servizi, carico burocratico sugli imprenditori europei.

3.10.

Il mercato dei contratti pubblici ammonta oggi a circa il 16 % del PIL europeo, per un valore pari a circa 1,9 trilioni di euro. Le nuove direttive del 2014 in materia di appalti pubblici (6) e concessioni (7) si proponevano di includere una maggiore considerazione degli aspetti sociali e ambientali nelle gare di appalto gestite dalle amministrazioni nazionali. Per stessa ammissione della Commissione, tale obiettivo è però ancora lontano dall’essere raggiunto. Il CESE raccomanda alla Commissione di rafforzare e rendere più effettiva la considerazione degli aspetti sociali e ambientali in un settore storicamente cruciale per il mercato unico.

3.11.

Le sfide crescenti poste a livello internazionale, da un lato, e la necessità di garantire coesione ed equità sociale, dall’altro, evidenziano il ruolo che le imprese sociali possono assumere nell’attuale contesto. Serve quindi lavorare di più per riconoscere l’esistenza e il ruolo delle imprese in cui si manifesta appieno la propensione delle persone ad organizzarsi autonomamente per dare risposte ai bisogni sociali.

3.12.

Nelle piccole imprese e nelle imprese sociali, l’impulso ad agire e la motivazione partono sempre dalla persona e non dal capitale, che si muove alla ricerca di «impieghi» che garantiscano rendimenti. Partendo dalle persone, tali imprese si radicano nelle comunità locali e con queste intrecciano legami duraturi nel tempo, contribuendo al benessere locale e alla coesione sociale. A tale riguardo, un esempio significativo è dato dai sistemi belga e svedese (8) dei voucher per le collaborazioni domestiche. Tali sistemi prevedono sconti fiscali specifici per gli utenti e favoriscono l’emersione del lavoro sommerso con beneficio per i prestatori di servizio che risultano più tutelati, da un lato, e per i bilanci statali, dall’altro.

3.13.

L’attaccamento alle comunità locali e al territorio diventa fattore competitivo perché alimenta motivazione e crea valori aggiunti sociali e relazionali. In questo modo, le imprese dell’economia sociale rendono possibile intraprendere un’attività imprenditoriale ad un numero più ampio di persone, contribuendo ad un modello di sviluppo inclusivo.

3.14.

Un altro beneficio fondamentale generato dalle imprese sociali è sicuramente il contributo alla democrazia economica, nella misura in cui le stesse garantiscono a milioni di persone la possibilità di intraprendere un’attività economica e di inventarsi autonomamente un lavoro sulla base delle proprie competenze, capacità e aspirazioni.

3.15.

Con questo obiettivo operano per esempio le cooperative, le imprese mutualistiche, le fondazioni partecipate dalle comunità locali e le imprese sociali. Il riconoscimento di tali imprese sta crescendo anche per effetto della «Social Business Initiative» varata dalla Commissione europea nel 2011, a cui forse potrebbe oggi seguire una più coraggiosa ed organica iniziativa.

3.16.

Una particolare menzione è necessaria con riferimento alle banche territoriali e locali, che costituiscono un’insostituibile occasione di accesso al credito per milioni di persone. Rispetto a tali banche, l’approccio della regolamentazione europea appare ancora troppo sfavorevole e non conforme al principio di proporzionalità, nella misura in cui assoggetta alle medesime regole tecniche sia le banche globali che quelle di esclusiva dimensione locale, seguendo l’approccio one size fits all.

4.   Le imprese europee nel macro scenario sociale e globale

4.1.

Occorre essere consapevoli che lo scenario globale muterà notevolmente nei prossimi anni, in particolare per quanto riguarda i numeri demografici, la capacità produttiva e il peso economico tra le nazioni e i continenti.

4.2.

In questo cambiamento l’Europa, con i suoi 500 milioni di abitanti, perderà centralità a fronte di una popolazione mondiale che passerà dai 7,6 miliardi attuali ai 9,8 miliardi nel 2050, con una crescita che si concentrerà in 9 paesi (India, Nigeria, Congo, Pakistan, Etiopia, Tanzania, Stati Uniti d’America, Uganda e Indonesia) (9).

4.3.

Allo stesso tempo, la percentuale di anziani crescerà ancora e il numero di persone che, nel 2050, avrà più di 80 anni triplicherà, passando dagli attuali 137 milioni ad oltre 425 milioni di individui, e si concentrerà in Europa, dove l’età media è già oggi attorno ai 40-45 anni, mentre nei «paesi emergenti» è di 25-30 anni.

4.4.

Il CESE ritiene che i grandi cambiamenti in corso rendano necessario un approccio olistico, che coordini le politiche economiche e regolatorie europee con le politiche di coesione sociale e tutela delle categorie più deboli, senza lasciare indietro gli anziani, le persone disabili o svantaggiate e i ceti più deboli.

4.5.

Oltre ai piani di sviluppo industriale e alle politiche economiche, la sfida per la costruzione di un mercato favorevole all’innovazione e all’imprenditorialità è costituita dalla valorizzazione dell’unica grande certezza su cui si può far affidamento in un mondo sempre più incerto: la persona umana.

4.6.

Dalla valorizzazione del capitale umano, tutto il sistema economico potrà trarre giovamento, confermando che il comportamento di persone ed imprese, in campo economico, non è finalizzato esclusivamente alla massimizzazione del profitto. In questo modo, si potrà consolidare l’idea che ciò che muove l’agire economico e il desiderio di intraprendere va molto oltre il semplice bisogno di accumulare capitali. Ciò non significa sminuire l’importanza del successo economico, ma significa misurarne diversamente il valore.

4.7.

Negli ultimi decenni, infatti, il successo delle imprese, in particolare le grandi imprese dell’economia digitale, è stato valutato e misurato prevalentemente in relazione alla possibilità di praticare un’estrazione di valore in ottica finanziaria più che su quella di creare valore e occupazione attraverso il lavoro.

4.8.

Infine, il CESE ritiene necessario investire nella formazione continua dei cittadini europei, affinché siano preparati ad affrontare i continui cambiamenti del presente momento storico. Diviene quindi fondamentale investire in programmi di formazione che supportino la propensione all’intraprendere e offrano fin dalla giovane età strumenti e competenze di auto-organizzazione, oltre che conoscenze capaci di incoraggiare lo spirito d’iniziativa, la creatività e il coraggio di rischiare. Allo stesso tempo, le politiche di formazione e supporto dovranno garantire che una popolazione europea sempre più anziana (con riferimento alla quale si parla oggi di «silver economy») e meno numerosa sullo scenario globale possa godere di una buona qualità della vita e portare attivamente il proprio contributo.

4.9.

Ogni persona va considerata un valore prioritario, come dimostrano le esperienze di successo realizzate da imprese sociali di inserimento lavorativo, che hanno costituito imprese solide e competitive, occupando lavoratori fragili o esclusi dal mercato del lavoro tradizionale.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 57; GU C 75 del 10.3.2017, pag. 33; GU C 75 del 10.3.2017, pag. 1 e GU C 303 del 19.8.2016, pag. 28.

(2)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 20; GU C 283 del 10.8.2018, pag. 1; GU C 13 del 15.1.2016, pag. 8; GU C 13 del 15.1.2016, pag. 152; GU C 458 del 19.12.2014, pag. 14 e GU C 345 del 13.10.2017, pag. 15.

(3)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 73; GU C 81 del 2.3.2018, pag. 102; GU C 62 del 15.2.2019, pag. 33; GU C 227 del 28.6.2018, pag. 70; GU C 75 del 10.3.2017, pag. 6 e GU C 62 del 15.2.2019, pag. 131.

(4)  https://ec.europa.eu/growth/smes/business-friendly-environment/performance-review_en

(5)  http://www.doingbusiness.org/content/dam/doingBusiness/media/Annual-Reports/English/DB2019-report_print-version.pdf

(6)  GU L 94 del 28.3.2014, pag. 65.

(7)  GU L 94 del 28.3.2014, pag. 1.

(8)  http://impact-phs.eu/national-practices/sweden-rot-rut-avdrag/

(9)  United Nations, World Population Prospects 2017 revision;

https://population.un.org/wpp/Publications/Files/WPP2017_KeyFindings.pdf


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «I consumatori nell’economia circolare»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/03)

Relatore: Carlos TRIAS PINTÓ

Decisione dell’assemblea plenaria

24.1.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

200/4/9

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE raccomanda un riorientamento strategico (su scala europea, nazionale e locale) che promuova con forza nuovi modelli di circolarità non solo rafforzando l’allineamento di tutti i soggetti, ma anche ponendo i consumatori al centro delle politiche pubbliche.

1.2.

Pertanto, il processo che condurrà a un’economia circolare e al ridimensionamento del consumo eccessivo raggiungerà l’intensità e l’efficacia necessarie solo se sarà rafforzato il ruolo dei consumatori nel superamento dell’attuale modello di produzione e consumo, poiché il più efficace strumento di cambiamento sono gli atti di consumo quotidiani.

1.3.

Occorre fare in modo che l’istruzione, la formazione e l’auto-apprendimento abbraccino tutto l’arco della vita, e fornire informazioni il più possibile obiettive circa le scelte di consumo, orientando i consumatori verso il comportamento circolare. In tale contesto il CESE mette in risalto il ruolo delle amministrazioni pubbliche locali e delle organizzazioni dei consumatori.

1.4.

La realizzazione degli interventi sarà misurata attraverso gli indicatori d’impatto che saranno predisposti sulla base dell’obiettivo di sviluppo sostenibile 12 (OSS 12) (1) delle Nazioni Unite e dei traguardi specifici a esso associati, che porteranno a ulteriori processi di normazione.

1.5.

In linea con il carattere trasversale del consumo consapevole, gli altri 16 OSS e i relativi traguardi integreranno le valutazioni d’impatto, mentre l’OSS 17 («Partnership») forgerà gli spazi di creazione condivisa e di responsabilità comune, agevolando sia l’effetto moltiplicatore che la necessaria modulabilità.

1.6.

Il calcolo, sul piano sociale e ambientale, dell’impronta dei prodotti nelle diverse catene del valore presenta grandi potenzialità in termini di offerta al consumatore di informazioni pertinenti per le decisioni di consumo, nel quadro della società digitale. Il CESE ribadisce la necessità di utilizzare indicatori d’impatto affidabili, comparabili e verificabili e, in particolare, sottolinea l’importanza di verificare quelli che si riferiscono ai materiali chimici, anche per quel che concerne la loro manipolazione.

1.7.

Gli interventi devono essere improntati a una filosofia vantaggiosa per tutte le parti in causa, evitando un approccio uniforme. Essi dovranno adattarsi alle caratteristiche specifiche dei diversi territori e settori di attività, facendo ricorso alle metodologie dal basso e coinvolgendo, caso per caso, tutti gli attori coinvolti. Queste iniziative devono essere profondamente radicate nello sviluppo delle economie locali e orchestrate sulla base dell’impulso istituzionale e del conferimento di responsabilità alle organizzazioni dei consumatori.

1.8.

Il ruolo guida svolto dall’Unione europea nei diversi modelli di economia circolare deve essere coniugato alla creazione di un contesto imprenditoriale che favorisca l’internazionalizzazione dei beni e servizi dell’economia circolare, facendo tesoro del feedback offerto dalle esperienze pionieristiche maturate in paesi come la Corea del Sud (2). Detti modelli dovranno poi essere corredati di orientamenti specifici su una transizione equa verso economie e società sostenibili dal punto di vista ambientale (3), che garantiscano inoltre la parità di condizioni rispetto ai prodotti opportunisti provenienti da paesi terzi.

1.9.

La pubblicità e le pratiche commerciali svolgono un ruolo di primo piano nelle decisioni di consumo. Le politiche di responsabilità sociale delle imprese devono necessariamente contribuire a superare le pratiche di «greenwashing» e «socialwashing» (ossia, un ecologismo e una responsabilità sociale di facciata). In tal senso, è indispensabile rafforzare l’attuale quadro istituzionale di sorveglianza e accreditamento delle diverse transizioni verso l’economia circolare.

1.10.

La fiscalità e gli appalti pubblici responsabili si presentano come strumenti efficaci per orientare il sistema di premi verso la produzione e il consumo responsabili, nel quadro di una graduale standardizzazione di prodotti e servizi. Per quanto concerne la fiscalità, gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione modalità efficaci per applicare un sistema di premi, progredendo verso una convergenza graduale della tassazione circolare che contribuisca al mercato unico europeo. Per quanto riguarda gli appalti pubblici, gli enti locali dovranno istituire piani di accompagnamento per i «fornitori sostenibili», così da facilitare l’adeguamento e la modulabilità della loro produzione, dato che spesso incorrono in perdite per soddisfare gli attuali requisiti in materia di appalti.

1.11.

Il Comitato incoraggia inoltre l’etichettatura volontaria, quale fase transitoria in vista di un’etichettatura obbligatoria, purché si basi su regimi volontari di eccellenza ambientale indipendenti e verificati. Il marchio di qualità ecologica dell’UE (4), se fosse promosso ed esteso a un numero maggiore di prodotti, diventerebbe un marchio emblematico per la scelta sostenibile in Europa.

1.12.

Il CESE sottolinea l’urgenza di migliorare la progettazione ecocompatibile, valutando sistematicamente i requisiti relativi al ciclo vita, alla riparabilità, ai componenti chimici ecc., rispettando al contempo i criteri sociali e promuovendo reti di consumo locali e pratiche che combinino consumo e produzione.

2.   Introduzione e contesto

2.1.

La crescita e la competitività sostenibili dovrebbero tener conto anche dei fattori qualitativi, che implicano il divieto di sfruttamento delle risorse umane e ambientali, condizioni di vita eque e rispettose delle risorse del pianeta e, in ultima istanza, un modello che preservi l’equilibrio tra la prosperità economica, le questioni ambientali e l’inclusione sociale (5).

2.2.

È necessario che l’economia circolare diventi un modello di comportamento umano che è compatibile con le regole proprie del funzionamento della natura e che tutela e rigenera il capitale naturale.

2.3.

Fino ad oggi sono stati pubblicati numerosi studi, proposte e pareri sul passaggio da un’economia lineare ad una circolare in cui si è posto l’accento sulla produzione e si è affrontato in misura limitata il ruolo del consumatore, che è un attore chiave per affrontare le sfide dell’economia circolare.

2.4.

Come punto di partenza, si sottolinea il netto scollamento tra le affermazioni dei consumatori, assai sensibili alle sfide sociali e ambientali (6), e i loro modelli di comportamento, su cui incide il fenomeno del «low cost» che spesso antepone il fattore del prezzo (la cui fissazione non internalizza gli effetti delle esternalità negative) alla qualità integrale del prodotto o del servizio.

2.5.

Le percentuali si riducono però quando si passa dalla sfera delle percezioni e delle aspettative a quella delle azioni e degli impegni. Diventa così palese la tensione tra accessibilità e sostenibilità, e le informazioni e la formazione assumono quindi un ruolo centrale nell’ottica di ottimizzare la partecipazione dei consumatori al processo.

2.6.

Nel quadro del pacchetto di misure sull’economia circolare sono stati inseriti alcuni riferimenti espliciti al comportamento dei consumatori, che hanno raccolto il sostegno del CESE (7).

2.7.

Nel suo parere dal titolo Piano d’azione dell’UE per l’economia circolare (8), il Comitato europeo delle regioni pone l’accento sul comportamento dei consumatori e sulle tendenze della società, sottolineando il ruolo preminente degli enti locali e regionali nel rafforzare le misure in materia di istruzione, formazione e qualificazione professionale che migliorino la comprensione del consumo sostenibile, la conservazione delle risorse e la prevenzione dei rifiuti, nonché la responsabilità dei produttori nelle fasi di progettazione e commercializzazione.

2.8.

Da ultimo, il CESE evidenzia che anche talune forme innovative di consumo possono sostenere lo sviluppo dell’economia circolare, come la condivisione di prodotti o infrastrutture (economia collaborativa), il consumo di servizi al posto di prodotti, l’utilizzo di piattaforme informatiche e digitali ecc.

3.   L’economia circolare nelle politiche dell’UE

3.1.

La vera sfida delle politiche dell’UE in materia di economia circolare, al di là degli aspetti normativi e produttivi, consiste nel mobilitare il capitale umano generato dal comportamento dei consumatori attraverso le loro abitudini e decisioni quotidiane. L’effetto moltiplicatore delle azioni individuali rimanda infatti alla necessità della piena partecipazione dei consumatori quale efficace leva del cambiamento.

3.2.

Nella comunicazione dal titolo «L’anello mancante — Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare» (9), si afferma che «[L]e scelte operate da milioni di consumatori possono influire in modo positivo o negativo sull’economia circolare».

3.3.

La Commissione sottolinea inoltre che «[D]i fronte ad una molteplicità di etichette e dichiarazioni ambientali, i consumatori dell’Unione spesso faticano a capire le differenze tra i vari prodotti e ad avere fiducia nelle informazioni disponibili. Leetichette verdiˮ non sempre soddisfano i requisiti giuridici di affidabilità, accuratezza e chiarezza».

3.4.

«Il prezzo», indica inoltre la Commissione, «è un fattore determinante nelle decisioni di acquisto, sia nella catena del valore sia per i consumatori finali. Gli Stati membri sono pertanto incoraggiati a fornire incentivi e avvalersi di strumenti economici, come la tassazione, per garantire che i prezzi dei prodotti rispecchino più fedelmente i costi a carico dell’ambiente. […] la garanzia presenta aspetti […] quali la durata legale e l’inversione dell’onere della prova che sono in grado di proteggere i consumatori da prodotti difettosi e contribuire alla durabilità e alla riparabilità dei prodotti».

3.5.

Anche la comunicazione, tuttavia, pur enumerando gran parte dei parametri chiave della sostenibilità, non tiene conto della molteplicità delle interazioni generate nelle diverse catene del valore, relegando il consumatore a un ruolo di attore secondario.

4.   Lo stato attuale delle politiche dell’UE

4.1.

L’Unione europea già dispone del quadro normativo per promuovere appalti pubblici responsabili (10), e le loro potenzialità (11) li rendono uno dei fattori trainanti dell’economia circolare. Eppure, sono molte le difficoltà di applicazione effettiva ed è quindi necessario chiarire ulteriormente quali prodotti e servizi sono considerati circolari.

4.2.

Sulla base di una terminologia dinamica, visto che si tratta di una transizione che deve fare tesoro del feedback offerto dalle buone pratiche delle diverse catene del valore, bisognerà studiare processi di standardizzazione su scala globale fondati su nuovi sistemi di misurazione. Un’economia multilaterale e globalizzata, infatti, richiede un linguaggio comune.

4.3.

Il piano d’azione della Commissione sugli investimenti sostenibili e il regolamento relativo alla nuova tassonomia delle attività sostenibili (12) spingeranno alla creazione di una nuova famiglia di indicatori d’impatto socioambientale pienamente in linea con gli orientamenti delle Nazioni Unite.

4.4.

Con il sostegno offerto dalle risorse della Commissione, ora consolidate e raggruppate nel programma InvestEU, si prevede un significativo riorientamento degli investimenti verso attività che contribuiscano a mitigare i cambiamenti climatici e a prevenire l’esaurimento delle risorse naturali. Rientrano in tali attività la ristrutturazione di edifici a uso abitativo e il ricorso alla geotermia (13), entrambe legate alle decisioni direttamente prese dai consumatori.

4.5.

Il «New Deal» per i consumatori, con le sue luci e le sue ombre, contribuirà a rafforzare la fiducia dei consumatori (14). Secondo il CESE (15), il miglioramento del quadro di riferimento per l’applicazione della legislazione in materia di consumo è essenziale per uno sviluppo equilibrato della circolarità.

4.6.

È opportuno ricordare l’iniziativa congiunta della Commissione e del CESE relativa al lancio della Piattaforma europea delle parti interessate per l'economia circolare (16), una «rete di reti» che offre un luogo d’incontro per far fronte a sfide specifiche e condividere le migliori pratiche e soluzioni. Un ruolo parimenti importante è quello svolto, tra gli altri, dal Forum del commercio al dettaglio sulla sostenibilità (attraverso il piano d’azione ambientale del commercio al dettaglio) (17) e dalla piattaforma dell’UE sulle perdite e gli sprechi alimentari (18).

5.   Impegni futuri della Commissione europea

5.1.

Nell’ambito delle sue attività relative alla progettazione ecocompatibile, la Commissione esaminerà in particolare alcuni obblighi proporzionati relativi alla durabilità, all’informazione circa l’uso condiviso e alle riparazioni, nonché alla disponibilità di pezzi di ricambio, e valuterà l’introduzione di informazioni sulla durabilità nell’etichettatura energetica.

5.2.

Nelle proposte di revisione della legislazione sui rifiuti, la Commissione contempla nuove norme intese a incoraggiare le attività di riutilizzo.

5.3.

La Commissione intende adoperarsi per migliorare l’applicazione delle garanzie sui beni materiali, esaminare le possibilità di miglioramento e affrontare il problema delle false etichette verdi.

5.4.

La Commissione, inoltre, metterà a punto un programma di test indipendenti nel quadro di Orizzonte Europa per continuare a lavorare sulle questioni relative all’obsolescenza prematura (19).

5.5.

La Commissione potenzierà il ricorso agli appalti pubblici verdi, insistendo sull’inclusione dell’economia circolare nei nuovi criteri o nei criteri rivisti.

6.   Stiamo realmente procedendo verso un’economia circolare?

6.1.

«La sostenibilità è un processo […] in cui i comportamenti, le azioni e le decisioni di governi, imprese, lavoratori, cittadini e consumatori sono determinati dalla realizzazione dei loro effetti economici, ambientali e sociali in modo responsabile» (20).

6.2.

Secondo il Comitato, le istituzioni dell’UE riconducono l’economia circolare principalmente ai risvolti ambientali e produttivi, con uno scarso accento sugli aspetti sociali e dei consumi. Ciò implica il rischio di un passaggio circolare a un’altra economia lineare.

6.3.

In un’ottica globale, il ruolo proattivo del consumatore deve andare oltre la mera partecipazione asimmetrica, che lo relega al ruolo di attore urbano del riciclaggio di rifiuti domestici, e deve dotare il cittadino degli strumenti per intervenire su tutta la circolarità del processo.

6.4.

La buona notizia è che esiste un apposito strumentario per l’economia circolare, che comprende i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e i relativi traguardi, associati ai protocolli vincolanti della COP 21 (21) per la mitigazione dei cambiamenti climatici: ciò costituisce un quadro universale dotato di immense potenzialità.

6.5.

Il CESE sottolinea che la transizione sarà tanto più efficiente e meglio adeguata all’OSS 12 (Produzione e consumo responsabili) quanto più definiti saranno gli spazi tra l’offerta e la domanda, ancorando l’economia circolare al territorio.

7.   Proposte del CESE per un maggior protagonismo dei consumatori nei modelli di economia circolare

7.1.

Ricerca e innovazione responsabile (RRI, Responsible Research and Innovation), nel quadro di Orizzonte Europa: si favorirà la partecipazione equilibrata di tutti gli attori, in particolare dei consumatori e/o dei loro rappresentanti.

7.2.

Progettazione ecocompatibile ed ecoinnovazione: in un’ottica di responsabilità ambientale condivisa, si rafforzerà la partecipazione attiva dei consumatori attraverso pratiche di creazione del valore aggiunto, che potrebbero essere oggetto di accreditamento mediante contrassegni della qualità regolamentati in modo ufficiale.

7.3.

Incentivazione della partecipazione dei consumatori alla pianificazione delle politiche di responsabilità sociale delle imprese, mediante la partecipazione a spazi di sperimentazione («sandbox») di prodotti o servizi pilota ai fini della loro validazione congiunta ex ante.

7.4.

Raccolta di buone pratiche circolari, anche dando voce ai consumatori. Diffusione massiccia di quelle con il più alto effetto moltiplicatore.

7.5.

Promozione dell’etichettatura facoltativa con informazioni relative alla riduzione delle emissioni, alla tutela della biodiversità, all’utilizzo efficiente delle risorse, oppure al non utilizzo di componenti con un impatto ambientale elevato, al fine di estenderne l’uso fino all’obbligatorietà. Introduzione di un’etichetta che contenga una stima della durata del prodotto, con la possibilità di ottenere pezzi di ricambio e opzioni di riparazione. Tenuto conto della pressione esercitata dai consumatori, si incentiverà l’estensione dei periodi di garanzia dei prodotti attraverso i riconoscimenti ufficiali, la fiscalità e gli appalti pubblici.

7.6.

Nel quadro del «New Deal» per i consumatori, introduzione di meccanismi di risarcimento per i consumatori che hanno acquistato beni e prodotti oggetto di pratiche di obsolescenza prematura.

7.7.

Sorveglianza sull’utilizzo di materiali di brevissima durata (come la plastica monouso) (22) e sugli imballaggi dei prodotti (23). Rafforzamento dei controlli sulle sostanze chimiche in una prospettiva integrale, prevenendo così pratiche di riciclaggio controproducenti.

7.8.

Informazioni al consumatore relative alle impronte ambientali: accessibili, leggibili e veritiere. Le pratiche scorrette consistenti in informazioni prive del necessario sostegno empirico saranno oggetto di sorveglianza ed eventualmente rese note al pubblico.

7.9.

Campagne di informazione per i consumatori, con particolare riferimento ai giovani, riguardanti i modelli economici di produzione e consumo sostenibili, includendo diverse strategie di «nudging» (la cosiddetta «spinta gentile») e tenendo conto di fattori culturali e specifici (24).

7.10.

Offerta didattica (continua, a cominciare dall’asilo nido) basata sull’integrazione trasversale della metodologia della vita utile del prodotto (fabbricazione per componenti, modularità, durabilità, riparabilità, riutilizzo ed efficienza energetica), con un’elevata componente pratica.

7.11.

Potenziamento dei bacini occupazionali legati alle attività di riutilizzo, riparazione e riciclaggio ad elevato valore aggiunto (riutilizzo creativo) nel quadro della strategia relativa a un mercato unico digitale (25).

7.12.

Garanzia da parte delle autorità competenti, ai rispettivi livelli, di infrastrutture e risorse sufficienti per la raccolta differenziata in tutti i settori in cui si generano rifiuti.

7.13.

Riconoscimenti a comuni, istituti d’istruzione, università e altri centri d’insegnamento che includono protocolli di partecipazione dei consumatori alle azioni dell’economia circolare mediante modelli dal basso («bottom-up»).

7.14.

Sviluppo e ampliamento di esperienze nel settore dei nuovi modelli economici, preferibilmente legati all’economia collaborativa e all’economia funzionale in distretti territoriali specifici, sulla falsariga delle denominazioni di origine protetta, con la denominazione «comuni circolari».

7.15.

Potenziamento del ruolo delle associazioni dei consumatori nell’economia circolare, mediante l’assistenza tecnica e risorse ad hoc.

7.16.

Pubblicazione e divulgazione delle migliori pratiche delle imprese nell’economia circolare, a partire dall’esame condotto dalle organizzazioni dei consumatori.

7.17.

Promozione delle reti di consumo locali, della pratica di produzione e consumo in proprio e del «fai da te».

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  https://www.aics.gov.it/home-ita/settori/obiettivi-di-sviluppo-sostenibile-sdgs/

(2)  Durante il forum della società civile che si è tenuto a Seoul nell’aprile del 2018 e che ha riguardato l’accordo commerciale tra UE e Corea del Sud, l’economia circolare ha rappresentato il principale asse tematico delle discussioni sulle convenzioni dell’OIL.

(3)  Linee guida dell’OIL per una transizione equa verso economie e società ecologicamente sostenibili per tutti.

(4)  Il comitato consultivo sull’etichettatura ecologica dell’UE, conformemente alla metodologia della vita utile del prodotto, sta integrando nuovi criteri e indicatori circolari relativi all’uso e alla disponibilità dei prodotti.

(5)  Cfr. il parere del CESE sul tema Ascoltare i cittadini d'Europa per un futuro sostenibile (Sibiu e oltre), GU C 228 del 5.7.2019, pag. 37.

(6)  Speciale Eurobarometro di settembre-ottobre 2017: la protezione ambientale è molto importante o abbastanza importante per il 94 % degli europei, tra le cui principali preoccupazioni figura il volume crescente di rifiuti. Inoltre, secondo l’87 % dei cittadini europei, la protezione dell’ambiente può svolgere un ruolo molto importante o abbastanza importante.

(7)  Cfr. GU C 230 del 14.7.2015, pag. 99; GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98; GU C 389 del 21.10.2016, pag. 80; GU C 345 del 13.10.2017, pag. 102; GU C 283 del 10.8.2018, pag. 61; e GU C 367 del 10.10.2018, pag. 97.

(8)  GU C 88 del 21.03.2017, pag. 83.

(9)  COM(2015) 614 final.

(10)  Cfr. le direttive 2014/23/UE/, 2014/24/UE e 2014/25/UE.

(11)  Gli appalti pubblici europei rappresentano il 15 % circa del PIL.

(12)  COM(2018) 353 final, approvato dai colegislatori nel marzo 2019.

(13)  A marzo 2019 i colegislatori hanno approvato la tassonomia delle attività sostenibili.

(14)  Al deludente accordo sui prodotti difettosi raggiunto in seno alla Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO) del Parlamento europeo (febbraio 2018) ne è seguito un altro positivo: una maggiore tutela negli acquisti online e l’intenzione di comminare sanzioni in caso di differenze di qualità degli alimenti (aprile 2018).

(15)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 66.

(16)  https://circulareconomy.europa.eu/platform/

(17)  http://ec.europa.eu/environment/industry/retail/about.htm

(18)  https://webgate.ec.europa.eu/flwp/

(19)  Il progetto H2020 «PROMPT» riguarda la verifica dell’obsolescenza prematura e avanzerà proposte su come allungare la durata di vita utile dei prodotti, riparazione inclusa. Il consorzio è composto da organizzazioni di consumatori (quali ANEC/BEUC/ICRT e Test Achats, UFC Que Choisir, OCU, Stiftung Warentest, Consumentenbond), da istituti di ricerca (TU Delft; Fraunhofer IZM) e da organizzazioni che operano nel settore delle riparazioni (RUSZ, Ifixit).

(20)  Parere del CESE sul tema Ascoltare i cittadini d’Europa per un futuro sostenibile (Sibiu e oltre) GU C 228 de 5.7.2019, pag. 37.

(21)  https://unfccc.int/es/node/512

(22)  GU C 62 del 15.2.2019, pag. 207.

(23)  Che spesso risulta eccessivo e inadeguato poiché condizionato da strategie di commercializzazione.

(24)  Ad esempio, nell’Europa meridionale portare a casa gli avanzi di un pasto consumato al ristorante («doggy bag») è una pratica mal vista.

(25)  Cfr. la relazione finale ICT for Work: Digital Skills in the Workplace («Le TIC per il lavoro: competenze digitali sul luogo di lavoro»).


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/17


PARERE del Comitato economico e sociale europeo su «La tassazione nell’economia digitalizzata»

(Parere d’iniziativa)

(2019/C 353/04)

Relatore: Krister ANDERSSON

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.2.2018

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

2.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

167/7/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che la digitalizzazione dell’economia costituisca una grande opportunità e che l’agenda digitale dell’UE rappresenti una politica fondamentale per l’Unione europea. Poiché la digitalizzazione rimane un importante motore della crescita economica globale, il CESE ritiene che le politiche in materia di tassazione dell’economia digitale debbano puntare non a ostacolare, bensì a promuovere la crescita economica, oltre che gli scambi e gli investimenti transfrontalieri.

1.2.

Il CESE sottolinea la necessità che i sistemi fiscali tengano nella debita considerazione i nuovi modelli di attività commerciale. I principi di un sistema fiscale equo (vale a dire, coerenza, prevedibilità e neutralità) sono più che mai pertinenti per le pubbliche autorità, per le imprese e per i consumatori.

1.3.

Il Comitato condivide pertanto l’ambizione della Commissione di continuare a impedire una pianificazione fiscale aggressiva da parte delle imprese e la mancanza di trasparenza da parte degli Stati membri al fine di garantire la parità di trattamento delle imprese e promuovere la competitività europea.

1.4.

Il CESE è fermamente convinto che, nel contesto della digitalizzazione dell’economia, ogni eventuale modifica delle norme sulla ripartizione dei diritti di tassazione tra i paesi debba essere coordinata a livello mondiale, in modo da cogliere meglio i benefici della globalizzazione, attraverso una governance e norme globali adeguate. Il CESE accoglie pertanto con favore la stretta cooperazione tra la Commissione, gli Stati membri e l’OCSE/il G20 per sostenere l’elaborazione di una soluzione internazionale, che limiterà il rischio della doppia imposizione a livello internazionale. Tuttavia, qualora non si riuscisse a concordare una soluzione a livello internazionale, l’UE deve prendere in considerazione il fatto di procedere autonomamente.

1.5.

Il CESE propone che gli Stati membri che istituiscono sistemi nazionali specifici ricerchino attentamente le soluzioni più efficienti per evitare ulteriori complicazioni e costi sia per le amministrazioni fiscali che per le imprese.

1.6.

Il CESE incoraggia la Commissione e gli Stati membri a valutare attentamente tutte le possibilità per eliminare l’eventuale inadeguata tassazione dei servizi digitali, indipendentemente dal luogo in cui l’impresa considerata ha la propria sede, per le vendite di prodotti e/o servizi forniti in uno Stato membro. I servizi forniti attraverso piattaforme utilizzate da consumatori europei dovrebbero essere pienamente integrati nel sistema dell’IVA, in quanto elemento essenziale per affrontare la questione fiscale. Tuttavia, occorre osservare che i clienti delle comunicazioni digitali, ad esempio Facebook o altri, hanno accesso a tali servizi senza alcun pagamento apparente, il che solleva interrogativi su come l’IVA potrebbe ragionevolmente essere applicata.

1.7.

Il criterio di ripartizione proposto per la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB), con i suoi tre fattori, potrebbe essere utilizzato e applicato, come punto di partenza, per la ripartizione dell’utile residuo, se questo è il metodo concordato in sede OCSE. Il CESE appoggia tale approccio.

1.8.

Il CESE ritiene, tuttavia, che le risorse spese per la R&S siano importanti per lo sviluppo dei beni immateriali e che il paese in cui tali attività sono svolte dovrebbe essere remunerato di conseguenza. Il CESE suggerisce pertanto di utilizzare, per ripartire l’utile residuo, una formula che utilizzi quattro fattori anziché i tre inclusi nella formula CCCTB. Il CESE, pur essendo pienamente consapevole della complessità del calcolo dei diritti di tassazione nelle situazioni internazionali, reputa necessaria una ripartizione accettabile ed equa di tali diritti tra i vari paesi.

1.9.

Nella misura in cui la riassegnazione dei diritti impositivi internazionali non può essere effettuata all’interno del quadro attuale relativo ai prezzi di trasferimento, il CESE è favorevole a che il diritto di tassare gli utili residui ricavati da beni immateriali di mercato sia attribuito utilizzando una formula basata su quattro fattori.

1.10.

Tenuto conto delle crescenti dimensioni dei mercati extraeuropei (in particolare in paesi come la Cina, l’India e il Brasile) la ripartizione dei diritti di tassazione in rapporto all’intera base imponibile dell’imposta sulle società, o persino all’intero utile residuo, porterebbe a consistenti perdite di gettito fiscale in molti Stati membri e potrebbe far sorgere delle difficoltà per il raggiungimento degli obiettivi sociali nei paesi europei.

1.11.

Il CESE ritiene necessario garantire un ragionevole equilibrio tra i paesi esportatori netti e i paesi importatori netti per quanto concerne tra la ripartizione delle imposte sugli utili d’impresa, in modo da non compromettere la possibilità per i paesi stessi di raggiungere i loro obiettivi sociali ed ambientali.

1.12.

Le modifiche concordate alle norme internazionali sulla ripartizione dei diritti di tassazione tra i diversi paesi dovrebbero essere vantaggiose per tutti gli Stati membri e per il mercato unico.

2.   Contesto di riferimento

2.1.

Gli attuali sistemi di imposizione fiscale sulle imprese a livello mondiale e il piano d’azione sull’erosione della base imponibile e sul trasferimento degli utili (BEPS) sono basati sulla valutazione dell’utile d’impresa nel luogo in cui le attività economiche generano questi utili e in cui viene creato valore. La digitalizzazione delle economie ha tuttavia sollevato la questione del luogo in cui vengono generati gli utili e delle modalità con cui essi vengono distribuiti. I servizi digitali, intesi in senso lato, possono essere forniti a distanza, senza necessità di una presenza fisica nel luogo in cui si utilizzano.

2.2.

Per effetto del piano BEPS, il sistema fiscale internazionale sta già attraversando una fase di profonda trasformazione, che ha portato a numerosi cambiamenti nella tassazione delle imprese (1). Il piano BEPS era stato avviato per contrastare le attività volte ad erodere la base imponibile e a trasferire gli utili, non per modificare le norme internazionali vigenti in materia di ripartizione tra gli Stati dei diritti di tassazione dei redditi transfrontalieri (2).

2.3.

L’azione 1 del piano BEPS riguardava le sfide dell’economia digitale (3). Poiché non è stato raggiunto un accordo su come tassare questi nuovi modelli di attività commerciale, nel 2018 è stata pubblicata una relazione interinale del Quadro inclusivo («Inclusive framework») OCSE/G20 sul piano BEPS (4). In questa relazione viene fissato l’orientamento concordato dal Quadro inclusivo per i lavori in materia di digitalizzazione e le norme fiscali internazionali fino al 2020. Essa descrive in che modo la digitalizzazione influisce anche su altri settori del sistema fiscale, in quanto fornisce alle autorità tributarie nuovi strumenti che permettono di migliorare i servizi rivolti ai contribuenti, aumentando così l’efficienza della riscossione fiscale e contribuendo a individuare l’evasione fiscale.

2.4.

Il 13 febbraio 2019 l’OCSE ha pubblicato un documento di consultazione pubblica intitolato Addressing the Tax Challenges of the Digitalisation of the Economy («Affrontare le sfide fiscali legate alla digitalizzazione dell’economia») (5), che presenta delle proposte di revisione delle regole sulla ripartizione degli utili e sul legame con una giurisdizione, oltre alla proposta per contrastare l’erosione della base imponibile a livello mondiale.

2.5.

La relazione finale del Quadro inclusivo («Inclusive framework»)/OCSE è attesa per il 2020. I ministri delle Finanze degli Stati Uniti e della Francia hanno tuttavia dichiarato di voler accelerare i negoziati in sede OCSE, allo scopo di trovare una soluzione già nel corso del 2019 (6). Gli Stati Uniti hanno presentato una proposta volta a permettere alle giurisdizioni competenti per un particolare mercato di tassare i proventi dei beni immateriali di marketing che sono utilizzati nella giurisdizione considerata, anche quando l’investimento per lo sviluppo di quei beni immateriali di marketing è realizzato in un altro paese. È stata inoltre presentata una proposta franco-tedesca su un’aliquota minima per l’imposta sulle società. Il presente parere del CESE potrebbe essere considerato un contributo al dibattito in corso.

2.6.

La Commissione europea ha già ha pubblicato nel 2014 una relazione sulla tassazione dell’economia digitale (7). Il gruppo di esperti ad alto livello sulla tassazione dell’economia digitale è giunto alla conclusione che la tecnologia digitale offre grandi opportunità per l’Europa, la quale può dare slancio alle prospettive in materia di crescita e occupazione se realizza il mercato unico digitale e fa leva sul potenziale digitale del mercato unico europeo. Il gruppo di esperti ha ampiamente discusso i principi ai quali dovrebbe ispirarsi la tassazione internazionale.

2.7.

Tali principi sono importanti anche per il presente parere. Il gruppo di esperti è giunto alla conclusione che un regime fiscale speciale per le imprese digitali non è opportuno: al contrario, andrebbero applicate o adattate le norme generali in modo che le imprese «digitali» siano trattate come le altre.

2.8.

Con la comunicazione dal titolo È giunto il momento di istituire norme fiscali moderne, eque ed efficaci per l’economia digitale, pubblicata il 21 marzo 2018, la Commissione ha presentato il suo pacchetto legislativo per una riforma armonizzata delle norme dell’UE in materia di imposta sulle società per le attività digitali. Il pacchetto conteneva due direttive del Consiglio, accompagnate da una raccomandazione non vincolante relativa all’imposizione fiscale sulle società che hanno una presenza digitale significativa.

2.9.

In rapporto alle proposte della Commissione in questo campo, nel luglio del 2018 il CESE ha pubblicato un parere sul tema Tassazione degli utili dell’economia digitale generati dalle multinazionali (8), in cui sono stati sottolineati gli effetti negativi delle imposte sul fatturato ed è stata evidenziata la necessità di un accordo a livello internazionale.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE ritiene che la digitalizzazione dell’economia costituisca una grande opportunità e che l’agenda digitale dell’UE rappresenti una politica fondamentale per l’Unione europea. Poiché la digitalizzazione rimane un importante motore della crescita economica globale, il CESE ritiene che le politiche in materia di tassazione dell’economia digitale debbano puntare non a ostacolare, bensì a promuovere la crescita economica, oltre che gli scambi e gli investimenti transfrontalieri.

3.2.

Internet permette alle imprese di espandere la loro attività sui mercati mondiali senza che sia necessaria una presenza fisica significativa, una caratteristica che aiuta in particolare le piccole imprese a esportare i loro prodotti e/o servizi a livelli mai registrati in precedenza. Inoltre, spesso la digitalizzazione va di pari passo con la crescente importanza degli attivi immateriali, come la proprietà intellettuale e i dati.

3.3.

Il CESE sottolinea la necessità che i sistemi fiscali tengano nella debita considerazione i nuovi modelli di attività commerciale. I principi di un sistema fiscale equo (vale a dire, coerenza, prevedibilità e neutralità) sono più che mai pertinenti per le pubbliche autorità, per le imprese e per i consumatori.

3.4.

Il CESE ritiene che sia estremamente importante garantire condizioni di parità nella tassazione degli utili delle imprese. Negli ultimi anni, in taluni Stati membri, singole imprese sono riuscite a servirsi di norme fiscali specifiche, riducendo quasi a zero la loro aliquota fiscale effettiva. La mancanza di trasparenza ha concorso a tale risultato. Alcuni casi hanno interessato multinazionali attive nel settore dei servizi digitali.

3.5.

Il Comitato condivide pertanto l’ambizione della Commissione di continuare a impedire la pianificazione fiscale aggressiva da parte delle imprese, sia «digitali» che «fisiche», e la mancanza di trasparenza da parte di alcuni Stati membri, al fine di garantire la parità di trattamento delle imprese e promuovere la competitività europea.

3.6.

Il CESE è fermamente convinto che ogni eventuale modifica delle norme sulla ripartizione dei diritti di tassazione tra i paesi debba essere effettuata a livello mondiale, per cogliere meglio i benefici della globalizzazione, attraverso una governance e norme globali adeguate. Il CESE accoglie pertanto con favore la stretta cooperazione tra la Commissione, gli Stati membri e l’OCSE/il G20 per sostenere l’elaborazione di una soluzione internazionale. Tuttavia, qualora non si riuscisse a concordare una soluzione a livello internazionale, l’UE deve prendere in considerazione il fatto di procedere autonomamente.

3.7.

Il CESE propone che gli Stati membri che istituiscono sistemi nazionali specifici ricerchino attentamente le soluzioni più efficienti per evitare ulteriori complicazioni e costi sia per le amministrazioni fiscali che per le imprese.

3.8.

Il CESE rileva che anche le tecnologie digitali hanno le potenzialità per rivoluzionare le procedure di conformità e indagine. Nella sua relazione del 2018 (9), l’OCSE dimostra come la digitalizzazione abbia già avuto un triplice effetto positivo sull’amministrazione tributaria: maggiore efficacia della riscossione fiscale, miglioramento del servizio al contribuente e riduzione degli oneri di conformità fiscale.

3.9.

Se una maggiore quantità di dati di terzi viene messa a disposizione delle autorità fiscali, è possibile automatizzare le dichiarazioni fiscali in maniera più estesa, con risparmio di tempo e denaro per tutte le parti coinvolte. Questi dati possono inoltre essere utilizzati per gestire le dichiarazioni lacunose, oppure per contrastare l’evasione e la frode fiscali. I software di registrazione dei dati adottati da diverse amministrazioni fiscali che memorizzano i dati di vendita al momento dell’operazione (dati che possono essere trasmessi direttamente alle autorità fiscali) hanno già permesso di aumentare il gettito dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) in misura significativa in alcuni paesi.

3.10.

Il CESE sottolinea la necessità che, nel valutare il livello effettivo di imposizione fiscale sul settore digitale, si tenga conto delle modifiche dei codici tributari previste in conseguenza della progressiva attuazione delle norme BEPS, dato che ciò potrebbe condurre di fatto a una più estesa imposizione sui redditi nell’UE.

4.   Una possibile via da seguire?

4.1.

Non tutti i paesi del mondo hanno introdotto un’imposta sul valore aggiunto, a differenza di quanto hanno fatto tutti gli Stati membri dell’UE. In linea di principio, tutti i beni e servizi di consumo dovrebbero essere assoggettati all’IVA, a meno che non siano esplicitamente esclusi dalla base imponibile. Il gettito dell’IVA rappresenta una risorsa propria del bilancio dell’UE e, secondo il CESE, è importante inserire i servizi digitali nella base imponibile.

4.2.

Il CESE incoraggia la Commissione e gli Stati membri a valutare attentamente tutte le possibilità per eliminare l’eventuale inadeguata tassazione dei servizi digitali, indipendentemente dal luogo in cui l’impresa considerata ha la propria sede, per le vendite di prodotti e/o servizi forniti in uno Stato membro. I servizi forniti attraverso piattaforme utilizzate da clienti europei dovrebbero essere pienamente integrati nel sistema dell’IVA. Tuttavia, occorre osservare che i clienti delle comunicazioni digitali, ad esempio Facebook o altri, hanno accesso a tali servizi senza alcun pagamento apparente, il che solleva interrogativi su come l’IVA potrebbe ragionevolmente essere applicata.

4.3.

Il CESE osserva che gli attuali sistemi di tassazione delle imprese a livello mondiale sono basati sulla valutazione degli utili delle imprese che sono attribuibili a ciascuna giurisdizione pertinente. La tassazione dovrebbe basarsi sul luogo in cui è creato il valore. Data la difficoltà di stabilire in che punto della catena del valore si realizzi l’utile, occorre individuare principi universali sui modi per valutare dove viene creato il valore. Tali norme sono state elaborate nell’ambito della vasta attività svolta dall’OCSE, che formula principi e definizioni in campo fiscale per la determinazione dei prezzi di beni e servizi (norme in materia di prezzi di trasferimento) per le imprese appartenenti a un gruppo societario.

4.4.

Il CESE ritiene che le norme fiscali internazionali debbano essere rivedute periodicamente in funzione dell’evoluzione dei modelli di attività commerciale. Le norme attuali sono state rivedute di recente in relazione al Piano sull’erosione della base imponibile e sul trasferimento degli utili (Base Erosion and Profit Shifting — BEPS) (10). Le nuove norme, comprese quelle definitorie, sono adesso in fase di attuazione e ci si aspetta che riducano in modo sostanziale le possibilità di pianificazione fiscale aggressiva ed erosione delle basi imponibili.

4.5.

In particolare, è possibile ricavare un utile residuo (o subire una perdita residua) se la commercializzazione di beni immateriali genera utili non ordinari. Ad esempio, l’utilizzo di elenchi di clienti o di dati raccolti può dare origine a un utile residuo. Il concetto non è affatto nuovo, e potrebbe essere utilizzato non solo per la suddivisione degli utili tra soggetti collegati, ma anche per ripartire i diritti di tassazione tra i paesi. Sarebbe tuttavia necessario un pensiero innovativo e andrebbe esplorata la possibilità di assegnare i diritti di tassazione coerentemente con la creazione di valore, anche qualora non esista fisicamente una stabile organizzazione nel paese considerato. Questo rientra nelle deliberazioni dell’OCSE.

4.6.

Il CESE rileva che la discussione sulla tassazione delle cosiddette imprese digitali non riguarda fondamentalmente l’operato delle imprese in rapporto all’erosione della base imponibile e al trasferimento degli utili, ma la ripartizione dei diritti di tassazione tra i paesi.

4.7.

L’utile residuo (o la perdita residua) potrebbe essere descritto/a come l’utile (o la perdita) che si registra dopo che ogni soggetto coinvolto è stato remunerato per il suo contributo ordinario secondo un metodo conforme al principio della libera concorrenza (11). Questa definizione implica una corretta valutazione di mercato dei rischi incontrati, del valore creato dai fattori di produzione e delle funzioni svolte.

4.8.

Le vendite non rappresenterebbero generalmente un fattore decisivo per l’attribuzione degli utili alle imprese coinvolte in un’operazione. Tuttavia, se vengono utilizzate le attuali norme internazionali (secondo cui gli utili sono assegnati a ogni impresa sulla base delle linee guida dell’OCSE sui prezzi di trasferimento), l’utile residuo potrebbe essere assegnato ai paesi in cui sono state realizzate alcune funzioni. Una di queste funzioni potrebbe essere la «vendita».

4.9.

Il criterio di ripartizione proposto per la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB), con i suoi tre fattori (12), potrebbe essere utilizzato e applicato per la ripartizione dell’utile residuo (13).

4.10.

Per altro verso, però, si può sostenere che le risorse spese per la R&S sono importanti per lo sviluppo dei beni immateriali e che il paese in cui tali attività sono svolte dovrebbe essere remunerato di conseguenza (14). A questo fine sarebbe necessaria una formula basata su quattro fattori, anziché sui tre previsti nella formula della CCCTB.

4.11.

Nella misura in cui la riassegnazione dei diritti impositivi internazionali non può essere effettuata all’interno del quadro attuale relativo ai prezzi di trasferimento, il CESE è favorevole a che il diritto di tassare gli utili residui ricavati da beni immateriali di mercato sia attribuito utilizzando una formula basata su quattro fattori.

4.12.

Se, per ipotesi, l’utile residuo fosse pari a 30 (su un utile totale per il gruppo pari a 100) e se la produzione fosse ripartita in parti uguali, in termini di creazione di valore, nei paesi A e B, questi paesi dovrebbero quindi riuscire a tassare 35 ciascuno (15). Poiché il prodotto viene venduto per un importo equivalente anche nel paese C, l’utile residuo sarebbe suddiviso tra A, B e C. Ai paesi A e B verrebbe assegnata una base imponibile supplementare pari a 13 3/4, mentre il paese C avrebbe il diritto di tassare 2 1/2 (16).

4.13.

Il CESE si rende pienamente conto della complessità del calcolo per la ripartizione dei diritti impositivi nelle situazioni internazionali, dato che esso implicherebbe l’accordo tra i paesi coinvolti riguardo al calcolo dell’entità dell’utile residuo e renderebbe necessario conoscere la dimensione di ciascuno dei quattro fattori inclusi nel criterio di ripartizione. L’impiego di una formula CCCTB modificata potrebbe essere considerato un passo avanti verso l’accettazione di questa base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società.

4.14.

La formula della CCCTB assegnerebbe i diritti di tassazione sulle imprese a paesi in cui non viene realizzata alcuna innovazione o produzione, non vengono assunti rischi o non viene svolta alcuna funzione. Pertanto il semplice fatto che un bene o un servizio sia venduto in un dato paese, senza che vi sia svolta alcuna altra attività, costituirebbe il presupposto d’imposta. Si tratta di un cambiamento rilevante rispetto alle norme esistenti. Tuttavia, se la formula della CCCTB è applicata soltanto all’utile residuo e non all’utile complessivo, il legittimo diritto dei paesi esportatori a mantenere parte della potestà impositiva verrebbe riconosciuto. Il valore creato dall’imprenditorialità e dall’innovazione può aver dato origine a sgravi fiscali nel paese interessato per i costi sostenuti in rapporto alla R&S e, quando l’impresa diventa redditizia, lo stesso paese riceverebbe il gettito fiscale.

4.15.

Si raccomanda che la nuova Commissione europea, se non si raggiunge un accordo in sede OCSE, presenti una nuova proposta per tassare queste società nell’UE, basandosi sui dati già in suo possesso come ad esempio i tempi pubblicitari complessivi durante il tempo di connessione dei clienti ecc.

4.16.

Tenuto conto delle crescenti dimensioni dei mercati extraeuropei (in particolare in paesi come la Cina, l’India e il Brasile) la ripartizione dei diritti di tassazione sull’intera base imponibile dell’imposta sulle società, o persino sull’intero utile residuo (17), porterebbe a consistenti perdite di gettito fiscale in molti Stati membri e potrebbe far sorgere difficoltà nel conseguimento degli obiettivi sociali di una serie di paesi europei.

4.17.

Secondo uno studio della società di consulenza Copenhagen Economics, i paesi che sono esportatori netti potrebbero perdere una parte considerevole del gettito fiscale proveniente dall’imposta sulle società se una parte dell’utile fosse tassato nel luogo di vendita dei beni o dei servizi (18). Una stima prudente indica che nel 2017, nei paesi nordici, il 18-21 % dell’attuale base imponibile dell’imposta sulle società era riconducibile a utili residui generati in altri paesi. Per la Germania la percentuale stimata è del 17 %. Se venisse introdotto il criterio dei beni immateriali di marketing, la maggior parte del gettito fiscale derivante dall’imposta sulle società andrebbe ad altri paesi.

4.18.

Il CESE ritiene necessario garantire un ragionevole equilibrio tra i paesi esportatori netti e i paesi importatori netti per quel che riguarda la ripartizione delle imposte sulle società.

4.19.

Le imprese europee, se fossero essenzialmente tassate nel luogo in cui vendono i loro prodotti, potrebbero anche strutturare le loro attività commerciali in modo da sostenere i costi nello stesso paese in cui avviene la vendita. Questo processo potrebbe portare a uno spostamento degli investimenti e dei posti di lavoro verso paesi di consumo di grandi dimensioni, come la Cina e l’India, provocando ulteriori perdite di gettito fiscale negli Stati membri. Occorre evitare un’evoluzione di questo tipo assicurando la competitività europea.

4.20.

Il CESE sottolinea la necessità di un accordo globale e di un’attuazione a livello mondiale per ogni nuovo sistema o nuova normativa sui metodi per ripartire i diritti di tassazione tra i paesi. L’assenza di queste condizioni porterebbe a una doppia imposizione e, quindi, a una riduzione degli investimenti e dei posti di lavoro.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  OCSE. Relazioni finali del piano BEPS - 2015.

(2)  La Commissione ha precisato che nell’UE l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili da parte delle imprese ammontano a 50-70 miliardi di EUR, pari a meno dello 0,4 % del PIL dell’UE. SWD(2018) 81 final.

(3)  OCSE. BEPS - Addressing the Tax Challenges of the Digital Economy, Action 1: 2014 Deliverable («Affrontare le sfide sul piano fiscale dell’economia digitale, azione 1 — obiettivo del 2014»).

(4)  OCSE. Tax Challenges Arising from Digitalisation («Le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione»), relazione interinale del 2018 — Quadro inclusivo sul BEPS, progetto BEPS OCSE/G20 (pubblicazione dell’OCSE del 16 marzo 2018); OCSE.

(5)  Documento di consultazione pubblica Addressing the Tax Challenges of the Digitalisation of the Economy («Affrontare le sfide fiscali legate alla digitalizzazione dell’economia»), OCSE.

(6)  «US and France accelerate plans to make global tech groups pay tax. Finance ministers agree on need for international minimum corporation tax level» («Gli Stati Uniti e la Francia accelerano i piani per tassare i gruppi tecnologici a livello mondiale. I ministri delle Finanze concordano sulla necessità di un livello minimo di imposizione internazionale per le società»), articolo pubblicato sul Financial Times in data 28 febbraio 2019.

(7)  Gruppo di esperti della Commissione sulla tassazione dell'economia digitale, 28/05/2014. Il gruppo era presieduto da Vítor Gaspar, ex ministro delle Finanze del Portogallo, ed era formato da sei esperti provenienti da tutta l’Europa, dotati di un bagaglio di conoscenze variegato e di competenze specialistiche pertinenti alla materia trattata.

(8)  Cfr. il parere del CESE sul tema Tassazione degli utili delle multinazionali nell’economia digitale, GU C 367 del 10.10.2018, pag. 73.

(9)  Le sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione - Relazione interinale 2018.

(10)  OCSE 2015.

(11)  Per la definizione del concetto, si rimanda alla pagina web della Commissione sui prezzi di trasferimento nel contesto dell'UE.

(12)  Direttiva del Consiglio relativa a una base imponibile comune per l’imposta sulle società (COM (2016) 0685 final - C8-0472/2016 - 2016/0337 (CNS)]. La scelta dei tre fattori deriva dalla necessità di considerare sia la produzione (lato dell’offerta, misurata dagli attivi e/o dal totale delle retribuzioni dei lavoratori) che la domanda (vendite nel luogo di destinazione) per descrivere l’attività economica in modo adeguato. I coefficienti di ponderazione sono i seguenti: un terzo per le vendite, un sesto per le retribuzioni, un sesto per il numero di lavoratori e un terzo per gli attivi. La somma dei coefficienti di ponderazione è 1, in modo che il 100 % della CCCTB sia ripartita tra gli Stati membri. Gli Stati membri possono quindi applicare le rispettive aliquote nazionali dell’imposta sulle società alla loro quota della base imponibile. SWD(2016) 341 final.

(13)  Si può osservare che le imprese con finalità sociali, come talune cooperative collegate alle comunità locali, distribuiscono il valore da esse creato in maniera più diretta e che pertanto tale criterio di ripartizione potrebbe non essere direttamente applicabile al loro caso.

(14)  Se i paesi che offrono buone infrastrutture e ampi incentivi per la R&S non dovessero ottenere una quota equa del gettito derivante dall’imposta sulle società, essi finirebbero per ridurre o addirittura eliminare del tutto i loro incentivi a creare un ambiente favorevole agli investimenti.

(15)  L’utile «normale» sarebbe 70.

(16)  Dopo una remunerazione basata sul prezzo applicato secondo il principio della libera concorrenza, l’utile rimanente è 30. Una volta aggiunto un fattore R&S («R») alla proposta relativa alla CCCTB, i fattori compresi nel criterio di ripartizione sarebbero capitale (K), lavoro (L), vendite (V) e, appunto, R, e tutti e quattro avrebbero lo stesso peso (ossia 1/4 ciascuno). Nel caso in cui i paesi interessati siano 3, le componenti da prendere in considerazione sarebbero 12. Per il paese C, tuttavia, verrebbe considerata soltanto una componente, cioè quella delle vendite. Gli 11 elementi restanti sarebbero egualmente suddivisi tra i paesi A e B, vale a dire 5 1/2 per ciascuno, risultando in una base imponibile di (5,5/12 * 30 =) 13 3/4, mentre per il paese C la base imponibile sarebbe di (1/12 * 30 =) 2 1/2. Per i paesi A e B, la base imponibile supplementare di 13 3/4 sarebbe composta da 3 3/4 rispettivamente per i fattori K, L ed R (per un totale rispettivo di 7 1/2 per K, L ed R) e da 2 1/2 ciascuno per il fattore V. La base imponibile complessiva imputata a V è anch’essa 7 1/2.

(17)  Se l’intera base imponibile fosse basata unicamente sulle vendite, al paese C dell’esempio di cui sopra verrebbe assegnata una base imponibile di 25. Se soltanto l’utile residuo venisse ripartito sulla base delle vendite, la base imponibile equivalente per il paese C sarebbe 7,5.

(18)  S. Næss-Schmidt, P. Sørensen, B. Barner Christiansen, V. Zurzolo, C. Zienau, J. J. Henriksen e J. Brown, Future Taxation of Company profits - What to do with Intangibles? («La futura tassazione dell’utile d’impresa: cosa fare con i beni immateriali?»), Copenhagen Economics, 19 febbraio 2019.


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Verso un’economia europea più resiliente e sostenibile»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/05)

Relatore: Javier DOZ ORRIT

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.1.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

2.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

169/4/6

Preambolo

Il presente parere sul tema Verso un’economia europea più resiliente e sostenibile, insieme con quello sul tema Una nuova visione per il completamento dell’Unione economica e monetaria, forma parte di un pacchetto di due pareri d’iniziativa del CESE, elaborati in parallelo. Il pacchetto è teso a fornire un contributo diretto all’agenda economica del nuovo Parlamento europeo e della nuova Commissione europea che si insedieranno nel 2019. È chiara la necessità di una nuova strategia economica europea: una narrazione positiva per il futuro sviluppo dell’economia dell’UE nel più ampio contesto mondiale, tale da contribuire ad aumentare la resilienza dell’UE agli shock economici e la sostenibilità - economica, sociale e ambientale - del suo modello economico, restituendo in tal modo fiducia, stabilità e prosperità condivisa a tutti gli europei. Muovendo dai progressi realizzati negli ultimi anni, questa strategia potrebbe gettare le basi per un’ulteriore integrazione economica, di bilancio, finanziaria, sociale e politica, necessaria per conseguire gli obiettivi dell’Unione economica e monetaria (UEM) dell’Europa.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’integrazione europea si trova oggi a un bivio: una lezione che si può trarre dalla recente e prolungata crisi economica e dalle profonde ferite sociali che ha lasciato in vari Stati membri è che l’assenza di convergenza economica e sociale tra gli Stati membri e le regioni rappresenta una minaccia per la sostenibilità politica del progetto europeo e per tutti i vantaggi che ha apportato ai cittadini europei.

1.2.

Visti i cambiamenti climatici di origine antropica e il superamento di numerosi limiti del pianeta, il nostro modello di produzione e consumo deve essere rivisto. Conformemente all’accordo di Parigi della COP 21 e agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, l’UE ha stabilito l’obiettivo di realizzare, entro il 2050, un’economia climaticamente neutra. Per gestirla servirà un quadro politico globale e coerente.

1.3.

Lo sviluppo della resilienza economica e del mercato del lavoro insieme alla sostenibilità economica, sociale, ambientale e istituzionale dovrebbe essere il principio guida delle politiche che favoriranno la convergenza verso l’alto e l’equità della transizione a un’economia climaticamente neutra (ossia, un’economia in cui vi sia un equilibrio tra le emissioni di gas a effetto serra e il loro assorbimento), gestendo allo stesso tempo le sfide poste dalla digitalizzazione e dai cambiamenti demografici.

1.4.

Per consentire politiche economiche che rafforzino la resilienza economica, sociale e del mercato del lavoro, lo slancio verso il rafforzamento dell’architettura istituzionale dell’UEM dovrebbe essere mantenuto e intensificato. La creazione di una capacità di bilancio a livello di zona euro, la riforma delle attuali norme di bilancio al fine di preservare gli investimenti pubblici durante i periodi di recessione, l’istituzione di un’attività sicura comune e il completamento delle unioni bancaria e dei mercati dei capitali dovrebbero proseguire, anche se in modo progressivo. Si dovrebbero promuovere, inoltre, misure finalizzate a evitare la concorrenza fiscale sleale tra gli Stati membri.

1.5.

Per ridurre le vulnerabilità sociali e aumentare in tal modo la resilienza si devono adottare misure europee e nazionali efficaci finalizzate a invertire la tendenza attuale a una crescente disuguaglianza in termini sia di opportunità che di risultati.

1.6.

Si deve sviluppare e applicare il concetto di transizione giusta quando si cerca di raggiungere l’obiettivo di un’economia dell’UE neutra dal punto di vista delle emissioni di carbonio entro il 2050. Ciò comprende la garanzia che gli effetti delle politiche climatiche siano condivisi equamente e una gestione lungimirante delle transizioni dei mercati del lavoro, con la piena partecipazione delle parti sociali. Un’economia sostenibile dovrebbe integrare tutte e tre le dimensioni della sostenibilità: economica, sociale e ambientale.

1.7.

Gli Stati membri dovrebbero adottare iniziative per attuare il pilastro europeo dei diritti sociali tramite interventi legislativi a livello nazionale e la garanzia di un idoneo finanziamento. L’UE dovrebbe contribuire a tale sforzo finanziario nell’ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027.

1.8.

Il rafforzamento della competitività dell’economia europea, ovvero la sua capacità di aumentare la produttività e il tenore di vita in modo sostenibile, diventando allo stesso tempo climaticamente neutra, non ultimo mediante la ricerca, lo sviluppo e maggiori e migliori competenze per la forza lavoro, dovrebbe proseguire di pari passo con tali iniziative.

1.9.

L’accordo sull’entità e la forma del prossimo QFP dovrebbe rispecchiare gli imperativi dello sviluppo della resilienza e di un’economia sostenibile.

1.10.

Considerata l’interconnessione tra i diversi aspetti di un’economia resiliente e sostenibile, la partecipazione di organizzazioni rappresentative delle parti sociali e della società civile alla definizione delle politiche e ai cicli di attuazione dovrebbe assumere una veste formale ed essere rafforzata, ove necessario, a livello nazionale ed europeo.

1.11.

Tramite il semestre europeo, il QFP 2021-2027 e altri strumenti legislativi e di governo, le istituzioni europee e gli Stati membri dovrebbero istituire un programma d’azione coerente atto a favorire e rafforzare i principali fattori di promozione della resilienza economica in tutta l’UE e la convergenza degli Stati membri in relazione a tali fattori.

2.   Un’economia europea più resiliente e sostenibile

2.1.

Lo sviluppo di una maggiore resilienza agli shock (economici) è un obiettivo che ha guadagnato consensi nei dibattiti sulla politica (economica) nell’UE e, in particolare, nella zona euro. Ciò è dipeso, tra l’altro, dalle perduranti ferite economiche, sociali e politiche che le recenti crisi economiche e finanziarie hanno lasciato in vari Stati membri dell’UE, dalla previsione degli effetti altamente negativi sulle economie e società europee che potrebbero essere provocati dalla quarta rivoluzione industriale, nonché dall’esigenza imperativa di affrontare i cambiamenti climatici e di rimanere entro i limiti imposti dalle risorse del nostro pianeta.

2.1.1.

La definizione di resilienza economica proposta dalla Commissione europea nel contesto dell’Unione economica e monetaria (UEM) è la capacità di un paese di far fronte a uno shock economico e di recuperare rapidamente la sua crescita (potenziale) dopo essere entrato in recessione (1).

2.1.2.

La relazione dei cinque presidenti e il Libro bianco della Commissione sull’approfondimento dell’UEM affermano che gli Stati membri della zona euro dovrebbero convergere verso strutture economiche e sociali più resilienti, per prevenire shock economici con effetti significativi e persistenti sul reddito e sui livelli occupazionali, in modo da ridurre le fluttuazioni economiche e, in particolare, le recessioni profonde e prolungate.

2.1.3.

Va sottolineato, tuttavia, che mentre la ripresa resiliente di un’economia significa evitare o affrontare efficacemente gli effetti negativi duraturi di uno shock, nell’ottica della natura sia ciclica che strutturale dei cambiamenti, le economie non sempre devono ritornare allo stato pre-crisi (o al precedente percorso di crescita). Ad esempio, l’avvento della quarta rivoluzione industriale e la transizione a un’economia climaticamente neutra dovrebbero condurre presumibilmente a modelli economici differenti. È importante che le istituzioni politiche e gli attori sociali siano pronti a reagire ai cambiamenti, prevedendone le conseguenze e indirizzando i processi di trasformazione.

2.1.4.

Le economie resilienti sotto il profilo economico possono avere caratteristiche diverse. Possono presentare una bassa vulnerabilità a determinati tipi di shock (ad esempio gli shock macroeconomici o finanziari). Quando gli shock le colpiscono, le economie resilienti sono in grado di attutirne l’impatto riducendo al minimo i loro effetti sulla produzione e i livelli occupazionali e/o riescono a recuperare rapidamente dalla crisi adattandosi. Per rafforzare la resilienza si possono utilizzare diversi tipi di interventi politici e diverse loro combinazioni, ovvero politiche di preparazione, prevenzione, protezione, promozione (del cambiamento) e trasformazione. L’esistenza di alti livelli di debito pubblico, calcolati in rapporto al PIL, può far insorgere delle difficoltà sul piano della resilienza. Infatti, da un lato, un forte indebitamento può generare vulnerabilità agli shock, e, dall’altro, esso potrebbe limitare la risposta degli Stati membri in caso di shock avversi.

2.1.5.

La resilienza economica si può ottenere con modalità che hanno effetti molto diversi sul benessere dei diversi gruppi sociali. Il benessere dei lavoratori dipende in larga misura dalla stabilità, sicurezza ed equa distribuzione del loro reddito e delle opportunità di occupazione. Andrebbero pertanto favorite le politiche che promuovono la resilienza sia economica che del mercato del lavoro, laddove la resilienza del mercato del lavoro è definita come la capacità di tale mercato di resistere a uno shock economico con perdite limitate in termini di benessere dei lavoratori. La quota crescente di occupazione precaria atipica nell’ambito della creazione complessiva di posti di lavoro è, tuttavia, un chiaro monito del fatto che la resilienza economica e quella del mercato del lavoro non necessariamente coincidono. La qualità dell’occupazione rappresenta un fattore di resilienza, in termini sia di vulnerabilità e resistenza che di recupero.

2.2.

La creazione di un’economia europea più sostenibile è un obiettivo politico dell’UE. Secondo la visione strategica a lungo termine, enunciata dalla Commissione Juncker, di «un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra» entro il 2050, basata, tra l’altro, sugli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (OSS), un’economia sostenibile dovrebbe integrare tutte e tre le dimensioni della sostenibilità economica, sociale e ambientale.

2.2.1.

La definizione generale di sostenibilità economica è la capacità di un’economia di sostenere indefinitamente un livello definito di produzione economica. Riguarda l’evitare vasti squilibri macroeconomici. Accorpando spesso i due concetti di economia sostenibile e sostenibilità economica, il processo di coordinamento della politica economica dell’UE, e più in particolare il semestre europeo, è sostanzialmente pensato per perseguire la seconda dimensione, non riuscendo a riflettere pienamente il concetto più ampio di economia sostenibile. Il documento di riflessione della Commissione «Verso un’Europa sostenibile entro il 2030», ad esempio, afferma che «è fondamentale avere bilanci sani ed economie moderne; i progressi compiuti nella realizzazione di politiche di bilancio sane e delle riforme strutturali hanno ridotto i livelli del debito e stimolato la creazione di posti di lavoro» (2).

2.2.2.

La crisi e la sua gestione politica hanno fatto segnare un netto passo indietro nella coesione sociale, con conseguenze politiche negative. La sostenibilità sociale è minacciata a causa delle crescenti disuguaglianze nelle opportunità e nei risultati osservabili in molti paesi europei e in altri paesi avanzati, oltre che a livello mondiale, con parti della società che sono «lasciate indietro». La crescente disuguaglianza significa anche maggiore vulnerabilità agli shock, il che ostacola il rafforzamento della resilienza. La disuguaglianza della ricchezza contrasta, inoltre, con la sostenibilità economica, in quanto riduce la produttività del reinvestimento della ricchezza e l’efficienza della società. Il fatto di non avere affrontato gli elementi propulsori di queste disuguaglianze è stato associato, in molti casi, alla reazione politica osservata in molti paesi contro i partiti politici tradizionali e il loro programma filoeuropeo.

2.2.3.

La sostenibilità sociale è destinata ad affrontare ulteriori pressioni a causa della quarta rivoluzione industriale e dei cambiamenti che essa comporta per il lavoro e il benessere in Europa e altrove.

2.2.4.

Con lo sconsiderato depauperamento delle risorse naturali e ambientali, l’attuale modello di produzione e consumo sta superando i limiti del pianeta per tutta una serie di aspetti (cambiamenti climatici, biodiversità, oceani, inquinamento ecc.) e pone una minaccia esistenziale per le generazioni future.

2.2.5.

Lo sviluppo sostenibile a livello sociale e ambientale comporterebbe pertanto il restare nello «spazio sicuro e giusto per l’umanità» (3) fornendo una base sociale corretta a tutti i membri della società e rimanendo, allo stesso tempo, entro i limiti del pianeta. Affinché ciò avvenga, occorre una revisione sostanziale dell’attuale modello di produzione e consumo («modello di crescita»), sulla base della «crescita sostenibile» (4). Tale visione getta le basi per una svolta strutturale dell’economia europea, che promuova la crescita e l’occupazione sostenibili.

2.2.6.

Alla luce di quanto esposto in precedenza e in linea, inoltre, con il parere del CESE NAT/542 (5), per essere sostenibile la crescita non dovrebbe essere basata soltanto sulla quantità, ma anche (e di fatto ancor più) sulla qualità, il che comporta una crescita i) basata su energie pulite e su un uso responsabile delle materie prime senza sfruttamento dell’ambiente e dei lavoratori, ii) basata su un flusso chiuso del ciclo del reddito tra famiglie, imprese, banche, governo e commercio che superi le attuali strozzature dovute alla frammentazione finanziaria e che operi in modo sociale ed ecologico, iii) che offra condizioni di vita eque soddisfacendo le esigenze di tutti entro i limiti delle risorse del pianeta, iv) che tenga conto anche del lavoro non retribuito dei prestatori di assistenza (soprattutto donne) e v) che provveda affinché la crescita economica sia misurata non soltanto sul flusso annuale, ma anche sulla base delle riserve di ricchezza e della loro distribuzione.

Tutti questi elementi sono pressoché inesistenti nel modello attuale.

2.3.

Un’economia sostenibile ha caratteristiche che promuovono la resilienza nella misura in cui la sostenibilità economica riduce i rischi associati agli squilibri macroeconomici e finanziari.

2.4.

È indubbio, tuttavia, che la transizione a un’economia sostenibile, che integri la sostenibilità economica, sociale e ambientale, richiederà cambiamenti di vasta portata che possono essere considerati uno shock intenso e duraturo, anche se previsto. Per essere resilienti rispetto a questa transizione, occorrono misure che facilitino e promuovano l’adattabilità delle economie, delle società e degli individui al nuovo modello. Da questo punto di vista, dare prova di resilienza faciliterà una transizione giusta verso l’economia sostenibile.

2.5.

Un concetto e un quadro politico integrati e globali per la sostenibilità dovranno anche tenere conto di altre due mega-tendenze che definiranno il futuro dell’economia e del mercato del lavoro europei: l’invecchiamento della società e il cambiamento demografico, nonché modelli di globalizzazione in evoluzione che, oltre alla riduzione del multilateralismo, includono anche un aumento dei flussi migratori.

2.6.

La performance dei paesi europei durante l’ultima crisi è stata molto differenziata, se la si considera dal punto di vista della resilienza. La crisi ha avuto un impatto economico e sociale diverso a seconda dello Stato membro considerato. Quasi tutti gli Stati membri hanno risentito di una forte contrazione del PIL, e in vari paesi la recessione ha causato pesanti perdite di posti di lavoro per periodi di lunghezza variabile. Per poter trarre dalla grande recessione gli opportuni insegnamenti che contribuiranno a rafforzare la resilienza e la sostenibilità dell’economia e delle società europee, è necessario analizzare i fattori strutturali della vulnerabilità e della capacità di recupero, assieme alle politiche che sono state applicate (estrema austerità dal 2010 e flessibilità selettiva a partire dal 2014). Tale analisi deve essere condotta utilizzando non solo le variabili economiche più importanti, ma anche gli indicatori sociali e ambientali.

3.   Le due grandi transizioni

3.1.    Verso un’economia verde e climaticamente neutra

3.1.1.

La transizione a un’economia verde e decarbonizzata in Europa è conforme a due quadri internazionali: gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite e l’accordo di Parigi della COP 21. Gli OSS rappresentano un’agenda globale completa. Gli Stati membri hanno iniziato a tradurre gli OSS internazionali in strategie e obiettivi nazionali di sostenibilità. In particolare, l’OSS 7 (assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni), l’OSS 12 (sul consumo e la produzione sostenibili) e l’OSS 13 (sull’azione per il clima) definiscono obiettivi strategici basati sul principio della responsabilità condivisa.

3.1.2.

I contributi determinati a livello nazionale (NDC) dei firmatari dell’accordo di Parigi stabiliscono gli obiettivi strategici a livello di paese. Il primo bilancio globale effettuato alla COP 24 di Katowice indica chiaramente che le ambizioni della politica per il clima devono essere ulteriormente accresciute.

3.1.3.

Nel novembre 2018 la Commissione europea ha varato la sua prima visione a lungo termine «Un pianeta pulito per tutti - Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra». Su tale base, l’UE adotterà e presenterà alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) i suoi impegni in materia di politica per il clima entro i primi mesi del 2020, come esige l’accordo di Parigi, e dovrebbe tenere conto di quanto segue.

3.1.4.

Per rendere più ecologiche le economie occorre un coerente mix specifico per paese di politiche macroeconomiche, industriali, settoriali e del lavoro. L’obiettivo è creare posti di lavoro dignitosi lungo l’intera catena di approvvigionamento, con opportunità di occupazione su vasta scala.

3.1.5.

Lo sviluppo sostenibile deve essere affrontato in tutti gli ambiti politici in modo coerente. Tale quadro politico richiede l’attuazione di intese istituzionali per garantire la partecipazione di tutte le parti interessate a tutti i livelli, basandosi in parte su una gamma equilibrata di forme di titolarità (pubblica, privata, comunitaria e cooperativa). È altresì necessario un coordinamento europeo delle politiche nazionali che garantisca alti livelli di convergenza tra gli Stati membri. Gli effetti sull’occupazione che derivano da un cambiamento del modello economico devono essere affrontati sulla base di una transizione giusta, resa tangibile attraverso un dialogo sociale e con la società civile che colleghi il livello nazionale e quello europeo.

3.2.    Verso un’economia digitale

3.2.1.

La digitalizzazione e l’automazione potrebbero avere effetti sia positivi che negativi sull’economia e sulla società. Da un lato dispongono di un grande potenziale per aumentare la produttività, in particolare nei settori dei servizi, dove di norma è bassa, e per decentrare le attività di innovazione verso ubicazioni più periferiche.

3.2.2.

Dall’altro lato hanno il potenziale di sostituire i lavoratori, in particolare in compiti di routine non cognitivi. Mentre le rivoluzioni tecnologiche del passato non hanno mai provocato una disoccupazione massiccia permanente, dato che i posti di lavoro persi venivano sostituiti da nuovi, è improbabile che senza sforzi di adeguamento la transizione avvenga senza soluzione di continuità o sia indolore.

3.2.3.

Le politiche pubbliche nel settore dell’istruzione possono riformare i sistemi di istruzione affinché permettano a diplomati e laureati di acquisire le competenze che rafforzano la loro immunità ai licenziamenti «tecnologici» e consentono loro di essere più adattabili durante la carriera lavorativa, per partecipare in modo proficuo al mercato del lavoro.

3.2.4.

Le politiche pubbliche possono anche guidare i progressi tecnologici in direzioni che ne riducano al minimo l’effetto negativo sull’occupazione.

4.   Alcuni elementi fondamentali di un modello economico resiliente e sostenibile e di una strategia politica per realizzarlo

4.1.

Per creare una resilienza economica che sia compatibile con la resilienza sociale e del mercato del lavoro occorrerà sviluppare una moltitudine di strumenti per la preparazione, la prevenzione, la protezione, la promozione (del cambiamento) e la trasformazione, da utilizzare di conseguenza in base all’intensità e alla durata delle sfide che le economie devono affrontare.

4.2.

Nel caso dell’UEM, si dovrebbe evitare l’accumulo dei rischi, che nell’ultima crisi si è dimostrato capace di creare notevoli perturbazioni. A tale scopo, la «procedura per gli squilibri macroeconomici» è stata un passo nella giusta direzione, sebbene presenti ancora numerose asimmetrie nel modo in cui affronta i vari squilibri (ad esempio i disavanzi delle partite correnti rispetto agli avanzi) e non preveda la formulazione di raccomandazioni vincolanti per l’adeguamento, in particolare per gli Stati membri con avanzi troppo elevati delle partite correnti. È pertanto necessario adattarla.

4.2.1.

Analogamente, si dovrebbero evitare forti divergenze nei tassi di inflazione e nei salari nominali. Un’utile regola empirica per il coordinamento in tutta la zona euro dovrebbe essere che i salari nominali dovrebbero crescere in linea con la somma tra il tasso di inflazione fissato come obiettivo dalla BCE e il tasso di crescita della produttività a livello settoriale. Le politiche industriali dovrebbero favorire una crescita addizionale della produttività negli Stati membri più poveri al fine di promuovere la convergenza. Tali sviluppi potrebbero anche livellare la divergenza nominale tra gli Stati membri della zona euro, aumentando in tal modo l’efficacia della politica monetaria.

4.3.

Una resilienza economica compatibile con la resilienza del lavoro richiederebbe, inoltre, che le politiche macroeconomiche, in particolare quelle di bilancio, abbiano un sufficiente margine di azione, al fine di contrastare l’impatto degli shock, in particolare le recessioni che colpiscono alcuni Stati membri e non altri, invece di far gravare sui mercati del lavoro tutti gli oneri dell’adeguamento agli shock. La creazione di una capacità di bilancio a livello di zona euro sarebbe il modo più efficace per raggiungere tale risultato, anche se concedere un più ampio margine di intervento alle politiche di bilancio per operare in tal senso potrebbe essere anch’essa una soluzione idonea. Le politiche di bilancio con una maggiore capacità di stabilizzare le economie nazionali al loro pieno livello occupazionale di attività faciliterebbero anche la creazione di ammortizzatori fiscali sostenibili.

4.4.

Il corretto funzionamento degli stabilizzatori automatici e i sistemi di protezione sociale sono fattori che rafforzano la resilienza economica. Affinché la loro azione sia compatibile con finanze pubbliche sostenibili, i sistemi fiscali degli Stati membri devono fornire risorse sufficienti. Una fiscalità sana rappresenta anch’essa un fattore fondamentale di resilienza.

4.5.

Un contesto imprenditoriale favorevole agli investimenti e all’innovazione, il corretto funzionamento dei mercati finanziari e un aumento della capacità di condividere i rischi finanziari sono fattori che rafforzano la resilienza dell’economia. In linea con il suo parere precedente su «Promuovere le imprese innovative e in forte espansione» (6), il CESE ritiene che si debbano promuovere politiche capaci di dare impulso a questi fattori. Per questo motivo ha sostenuto le iniziative della Commissione sull’Unione bancaria e l’Unione dei mercati dei capitali. Il CESE, tuttavia, si spinge oltre e ritiene che il concetto di sostenibilità debba essere tenuto in considerazione anche nel sistema finanziario, come indicato nel suo parere sul piano d’azione della Commissione per finanziare la crescita sostenibile (7).

4.6.

Le politiche che facilitano la transizione all’economia digitale e a un modello climaticamente neutro e sostenibile sotto il profilo ambientale dovrebbero anche garantire che tali transizioni siano giuste. Una transizione giusta non dovrebbe essere un «elemento aggiuntivo» delle politiche per il clima o la digitalizzazione, ma costituire parte integrante del quadro politico per lo sviluppo sostenibile. Le politiche per una transizione giusta dovrebbero essere incentrate sulla correzione degli effetti distributivi negativi (che sono degressivi) delle misure delle politiche per il clima (nella misura in cui esse si configurano come un onere relativo superiore per i gruppi a basso reddito), dovrebbero riguardare in particolare la gestione attiva delle transizioni dei mercati del lavoro e dovrebbero affrontare, inoltre, i problemi di sviluppo regionale (ad esempio le regioni economicamente vulnerabili che sono fortemente dipendenti da industrie ad alta intensità energetica).

4.6.1.

Una transizione giusta ha due dimensioni principali: in termini di «risultati» (il nuovo panorama occupazionale e sociale in un’economia decarbonizzata) e di «processo» (come raggiungere il risultato). Il «risultato» dovrebbe essere un lavoro dignitoso per tutti in una società inclusiva in cui la povertà sia stata eliminata. Il processo, ovvero come raggiungere il risultato, dovrebbe essere basato su una transizione «gestita», caratterizzata da un dialogo sociale significativo a tutti i livelli, per garantire che la condivisione degli oneri sia equa e che nessuno sia lasciato indietro.

4.7.

Al centro delle strategie per il rafforzamento della resilienza che conducono a una trasformazione giusta del nostro modello economico dinanzi alle sfide imminenti devono esservi strategie per gli investimenti, anche pubblici, nelle competenze e nei sistemi di istruzione, oppure per gli investimenti sociali più in generale, e nelle tecnologie che promuovono la sostenibilità ambientale.

4.7.1.

Per resistere agli effetti della digitalizzazione si dovranno sviluppare competenze e capacità che permettano agli individui di svolgere compiti cognitivi non di routine, nonché la capacità di rinnovare le competenze nel corso dell’intera esistenza. Visto che è stato dimostrato che le disuguaglianze esistenti (e crescenti) determinano in larga misura le prestazioni accademiche degli studenti, è importante attuare strategie di investimenti sociali per garantire che nessuno sia lasciato indietro.

4.7.2.

È necessario incrementare gli investimenti, sia pubblici che privati, in una futura economia climaticamente neutra per raggiungere gli obiettivi più ambiziosi dell’UE di riduzione delle emissioni per il 2030; inoltre, come riconosciuto dalla Commissione nella comunicazione (COM(2018) 773 final), servirà un cambiamento radicale per conseguire l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050, conformemente agli obiettivi di Parigi. Gli investimenti in energie rinnovabili da parte dell’UE-27 nel 2017 sono stati appena il 50 % del livello raggiunto nel 2011 e inferiori del 30 % rispetto al 2016 (8). La perdurante debolezza dell’attività di investimento nelle energie rinnovabili in Europa è in contrasto, inoltre, con l’alto livello di sovvenzioni per i combustibili fossili ancora esistenti nei diversi Stati membri. Il problema non è dato soltanto dal sottoinvestimento: anche l’assegnazione delle risorse esistenti è disfunzionale. Occorrono obiettivi politici chiari e un quadro politico più coerente per invertire queste tendenze negative. In ogni caso, la fine dell’era dei combustibili fossili in Europa deve essere accompagnata dagli investimenti necessari a garantire la tutela dei lavoratori, la creazione di nuovi posti di lavoro e il sostegno allo sviluppo locale. I processi di transizione devono essere negoziati con le parti sociali e le organizzazioni della società civile e collegati a politiche di trasparenza e di comunicazione efficace.

4.8.

Le attuali interpretazioni della competitività sono prevalentemente incentrate sui costi, in primis il costo del lavoro, ma anche quello dell’energia. Il mantenimento della competitività si concentra, in genere, sullo sviluppo dei costi unitari del lavoro. Gli elementi qualitativi della competitività dovrebbero acquisire importanza in termini sia di produttività del lavoro e delle risorse che di efficienza energetica, e dovrebbero essere presi in considerazione anche dai comitati nazionali per la produttività.

4.9.

Un obiettivo importante dovrebbe essere, pertanto, quello di integrare il meccanismo di governance macroeconomica europea attraverso l’adozione di un approccio globale e integrativo ad un concetto di «economia sostenibile» che includa indicatori sociali e ambientali nel semestre europeo e rafforzi in tal modo sia la resilienza che la sostenibilità.

5.   Strumenti di governance e politica economica, a livello di UE e di Stati membri, per avanzare verso un’economia più resiliente e sostenibile

5.1.

L’importanza degli investimenti, soprattutto pubblici, per la promozione dell’adattamento agli imminenti processi di transizione, e delle politiche di bilancio per favorire l’assorbimento degli shock, fa sì che sia cruciale creare spazio per politiche di bilancio intese a tale scopo a livello europeo e nazionale. L’UE dovrebbe fissarsi l’obiettivo di raggiungere, entro un breve lasso di tempo, il livello di investimenti conseguito prima della crisi. A tale scopo si dovrebbe colmare il divario di investimenti e aumentare, quindi, gli investimenti di 2-3 punti percentuali del PIL, ovvero circa 300 miliardi di EUR all’anno per l’UE-28 (9).

5.2.

Per rafforzare il lato delle entrate e garantire risorse di bilancio sufficienti nell’UE e negli Stati membri, occorre intensificare gli sforzi per contrastare la frode fiscale, l’elusione fiscale, il riciclaggio del denaro, i paradisi fiscali e la concorrenza fiscale sleale tra Stati membri. Fatto salvo il sostegno all’innovazione, gli Stati membri dovrebbero concordare un’azione coordinata a livello di UE al fine di sollecitare i giganti digitali a pagare la loro parte equa di imposte a ciascuno degli Stati membri in cui realizzano profitti.

5.3.

Il sistema di governance economica dell’UE, compresa l’architettura dell’UEM, deve essere migliorato, per evitare di frenare la crescita economica e gravare le politiche di bilancio nazionali di compiti che non possono e non dovrebbero gestire.

5.4.

La creazione di una capacità di bilancio sufficientemente ampia a livello di zona euro, al fine di consentire una stabilizzazione in caso di shock, sarebbe l’opzione preferibile anche se, per il momento, sembra essere in stallo.

5.5.

Anche preservare un margine di intervento a livello nazionale per proteggere gli investimenti pubblici, in particolare durante i periodi di recessione, dovrebbe essere un’opzione prioritaria. Fatto salvo il mantenimento della sostenibilità delle finanze pubbliche, le attuali norme di bilancio dell’UE potrebbero essere modificate o interpretate in modo da escludere gli investimenti pubblici, in particolare gli investimenti sociali e gli investimenti in progetti ambientali, dal calcolo dei disavanzi (10).

5.6.

L’Unione bancaria deve essere completata con l’istituzione di un sistema europeo di assicurazione dei depositi e di un sostegno comune di bilancio per il meccanismo di risoluzione unico. Il CESE ribadisce la propria preoccupazione riguardo agli ostacoli che vari governi stanno frapponendo al completamento di questi due progetti essenziali per la salvaguardia della stabilità finanziaria e, in ultima istanza, degli investimenti privati nella zona euro, e che sono strettamente collegati al rafforzamento della resilienza.

5.7.

Si dovrebbe istituire un’attività sicura comune, ridurre la frammentazione finanziaria promuovendo l’Unione dei mercati dei capitali, sostenere le potenzialità della politica monetaria e allentare il legame banca-emittente sovrano sostituendo i titoli di Stato presenti nei bilanci degli istituti bancari. La realizzazione di quest’ultimo punto getterebbe poi le basi per riforme finora politicamente difficili, ma necessarie, che consentiranno di approfondire in modo significativo l’UEM. I paesi che non appartengono alla zona euro potrebbero partecipare a un programma comune di attività sicure. Le autorità monetarie e i responsabili della politica economica europea dovrebbero tenere conto della situazione di tali paesi per garantire la resilienza dell’intero sistema finanziario europeo.

5.8.

Il semestre europeo dovrebbe comprendere lo sviluppo della resilienza in modo più incisivo e coerente, nell’ottica di una convergenza verso l’alto e della sostenibilità in tutte le fasi, dall’analisi annuale della crescita (che potrebbe diventare un’analisi annuale della crescita e della sostenibilità) ai programmi nazionali di riforma e alle raccomandazioni specifiche per paese.

5.9.

Numerosi fattori che influenzano la resilienza economica sono essenziali ai fini del funzionamento dell’UEM. Tramite il semestre europeo, il QFP 2021-2027 e altri strumenti legislativi e di governo, le istituzioni europee e gli Stati membri dovrebbero istituire un programma d’azione coerente atto a favorire e rafforzare i principali fattori di promozione della resilienza economica in tutta l’UE e la convergenza degli Stati membri in relazione a tali fattori.

5.10.

In conclusione, il CESE ritiene che i seguenti elementi dovrebbero essere inclusi in un programma d’azione quali fattori essenziali per la resilienza:

a)

rafforzare la stabilità finanziaria: aumentare la capacità finanziaria del meccanismo europeo di stabilità (MES), promuovere una politica fiscale europea che preveda l’armonizzazione fiscale, facilitare l’adeguatezza fiscale degli Stati membri e istituire meccanismi efficaci per combattere le frodi fiscali;

b)

completare l’Unione monetaria ampliando gli obiettivi della BCE, creando un Tesoro unico europeo con la capacità di emettere obbligazioni, migliorando la governance della zona euro e rendendola più democratica;

c)

aumentare la produttività delle economie europee concentrando l’attenzione su fattori essenziali come gli investimenti (pubblici e privati), la ricerca, lo sviluppo, l’istruzione e la formazione professionale, il miglioramento della gestione aziendale e la partecipazione dei lavoratori;

d)

mercati del lavoro e qualità dell’occupazione: rafforzare la contrattazione collettiva e il dialogo sociale, garantire che gli stabilizzatori automatici siano efficaci, nonché aumentare e migliorare le politiche attive in materia di occupazione. L’istituzione di un’assicurazione-disoccupazione europea (a integrazione di quelle nazionali) potrebbe essere uno strumento di resilienza economica paneuropea che rafforzerebbe anche la coesione politica dell’Unione. Il CESE chiede alle istituzioni europee di studiare la fattibilità del suo finanziamento nell’ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027;

e)

promuovere la coesione sociale e l’avanzamento verso una società più inclusiva tramite l’applicazione del pilastro europeo dei diritti sociali, con finanziamenti adeguati, e

f)

promuovere la creazione di contesti favorevoli agli investimenti in ambito imprenditoriale e migliorare il finanziamento delle imprese, completare con urgenza l’Unione dei mercati dei capitali e l’Unione bancaria, compreso un sistema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS).

5.11.

La BCE, insieme alla maggior parte delle altre principali banche centrali del mondo, dovrà probabilmente proseguire con le politiche monetarie «non convenzionali» fintanto che le aspettative in materia di inflazione si manterranno al di sotto dell’obiettivo. Essa dovrebbe valutare, inoltre, la possibilità di finanziare direttamente gli investimenti in progetti ecologici e di transizione digitale.

5.12.

Il prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) dovrebbe riflettere l’ambizione di sviluppare un’economia resiliente e sostenibile. La proposta della Commissione per il QFP 2021-2027 non fornirà risorse sufficienti a rafforzare i seguenti fattori di resilienza: investimenti e la nuova funzione di stabilizzazione degli investimenti; politiche di coesione che favoriscano la convergenza economica e sociale tra gli Stati membri; politiche per la coesione sociale interna iscritte nel pilastro europeo dei diritti sociali e le transizioni giuste invocate nel presente parere. Il CESE ribadisce la richiesta, contenuta nel suo parere sul quadro finanziario pluriennale dopo il 2020 (11), che i mezzi finanziari a disposizione del prossimo QFP raggiungano l’1,3 % del reddito nazionale lordo (RNL) dell’UE-27. La riduzione del finanziamento delle politiche di coesione del 10 % rispetto al QFP attuale, caldeggiata nella proposta avanzata dalla Commissione sul quadro finanziario pluriennale, appare ancora più inaccettabile data la necessità di rafforzare politiche essenziali per promuovere la resilienza e la sostenibilità.

5.12.1.

Dovrebbero essere disponibili risorse finanziarie specifiche atte a facilitare la transizione verso un’economia sostenibile (ad esempio un «fondo per una transizione giusta»), in linea con la proposta del Parlamento europeo del 2018 di creare tale fondo con uno stanziamento di 4,8 miliardi di EUR.

5.12.2.

La politica strutturale e di coesione dell’UE dovrebbe essere integrata nel paradigma dell’"economia sostenibile». Sebbene la mitigazione dei cambiamenti climatici (e l’adattamento ad essi) sia una priorità presente nei finanziamenti dei fondi strutturali e d’investimento europei (SIE), tale obiettivo è promosso principalmente tramite il sostegno alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica. Non è ancora integrato a livello generale, nel senso di sostenere la transizione verso un’economia climaticamente neutra, e non vi sono priorità specificamente rivolte alle transizioni giuste.

5.12.3.

Il CESE è preoccupato che i finanziamenti erogati dalla BEI e dal Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) per i progetti relativi all’energia generata da combustibili fossili siano superiori a quelli destinati alle fonti energetiche pulite. Sebbene i finanziamenti per l’infrastruttura del gas riguardino un’"energia ponte», è necessario applicare obiettivi di emissioni più rigorosi.

5.12.4.

Le politiche dell’UE e degli Stati membri in materia di sovvenzioni devono essere in linea con l’obiettivo di realizzare la neutralità climatica entro il 2050. Si dovrebbero eliminare al più presto tutte le sovvenzioni destinate ad attività economiche che interferiscono con il conseguimento di tale obiettivo o che danneggiano l’ambiente in altri modi.

5.13.

Visto il tipo di misure e la portata degli sforzi richiesti per gestire la realizzazione di un’economia più resiliente e sostenibile, sarà imprescindibile il coinvolgimento attivo delle parti sociali e di altre organizzazioni rappresentative della società civile nella definizione dei percorsi per una transizione giusta e dei percorsi verso la resilienza. Il rafforzamento della partecipazione dei lavoratori e della democrazia sul luogo di lavoro potrebbe contribuire a una maggiore adattabilità e resilienza a livello industriale. Si tratta di un fattore di resilienza che, a sua volta, rafforza altri fattori con i quali ha una correlazione positiva nel funzionamento delle imprese e dell’economia (ad esempio, la produttività, la capacità di innovazione, la qualità dell’occupazione ecc.). Anche le cooperative di lavoratori possono rappresentare un modello autorevole di democrazia all’interno di un’impresa, sulla base dell’interesse comune e della solidarietà e grazie al loro radicamento a livello locale.

5.13.1.

D’altro canto, la partecipazione dei lavoratori è essenziale per il successo delle transizioni verdi e digitali. Vanno utilizzati gli strumenti esistenti per la partecipazione dei lavoratori e la democrazia all’interno delle imprese. Le parti sociali e le istituzioni europee devono assicurare l’esistenza di tali strumenti in tutti gli Stati membri dell’UE e l’instaurazione di relazioni dotate di procedure di dialogo sociale che promuovano transizioni eque. Le linee guida 2015 dell’OIL per una transizione giusta (12) forniscono un insieme di strumenti pratici per i governi e le parti sociali nella gestione di questo processo di trasformazione.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Commissione europea, nota per l'Eurogruppo: resilienza economica nell'UEM, 13/9/2017.

(2)  Documento di riflessione "Verso un'Europa sostenibile entro il 2030" - Commissione europea (2019).

(3)  Raworth (2017).

(4)  GU C 228 del 5.7.2019, pag. 37.

(5)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 39.

(6)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 6.

(7)  GU C 62 del 15.2.2019, pag. 73.

(8)  Frankfurt School-UNEP-BNEF (2018).

(9)  How to close the European investment gap? (Come colmare il divario di investimenti in Europa?), Michael Dauderstädt, Friedrich Ebert Stiftung.

(10)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 28, e parere del CESE sul tema La politica economica della zona euro (2019), GU C 159 del 10.5.2019, pag. 49.

(11)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 106.

(12)  Guidelines for a just transition towards environmentally sustainable economies and societies for all (Linee guida per una transizione giusta verso economie e società ecologicamente sostenibili per tutti), Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/32


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Una nuova visione per il completamento dell’Unione economica e monetaria»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/06)

Relatrice: Judith VORBACH

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.1.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

2.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

159/2/9

Premessa

Il presente parere sul tema Una nuova visione per il completamento dell’Unione economica e monetaria, insieme con quello sul tema Verso un’economia europea più resiliente e sostenibile, forma parte di un pacchetto di due pareri d’iniziativa del CESE, elaborati in parallelo. Il pacchetto è teso a fornire un contributo diretto all’agenda economica del nuovo Parlamento europeo e della nuova Commissione europea che si insedieranno nel 2019. È chiara la necessità di una nuova strategia economica europea: una narrazione positiva per il futuro sviluppo dell’economia dell’UE nel più ampio contesto mondiale, tale da contribuire ad aumentare la resilienza dell’UE agli shock economici e la sostenibilità (economica, sociale e ambientale) del suo modello economico, restituendo in tal modo fiducia, stabilità e prosperità condivisa a tutti gli europei. Muovendo dai progressi realizzati negli ultimi anni, questa strategia potrebbe gettare le basi per un’ulteriore integrazione economica, di bilancio, finanziaria, sociale e politica, necessaria per conseguire gli obiettivi dell’Unione economica e monetaria (UEM) dell’Europa.

Già nel 2014 il CESE si era espresso in merito al completamento dell’UEM, articolando la sua analisi attorno a quattro pilastri: un pilastro monetario e finanziario, un pilastro economico, un pilastro sociale e un pilastro politico, per ciascuno dei quali il Comitato ha adottato un parere distinto. Questa struttura a quattro pilastri viene mantenuta anche nel presente parere, al fine di tracciare una panoramica dei progressi e delle insufficienze dell’UEM e di proporre quindi alla nuova Commissione e al Parlamento europeo un elenco di raccomandazioni per un’unione monetaria forte, inclusiva e resiliente. Nel complesso, il CESE invita le istituzioni europee e i governi nazionali ad adottare misure molto più ambiziose nel quadro della riforma dell’UEM, al fine di realizzare un’Unione più integrata, più democratica e più avanzata sul piano sociale.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Sebbene siano già stati compiuti importanti passi avanti verso il completamento dell’UEM, è ancora necessario rafforzare in misura significa ciascuno dei quattro pilastri che la compongono. In questo contesto bisogna fare attenzione a trovare il giusto equilibrio, perché trascurare uno o più pilastri può provocare pericolosi scompensi. È inoltre importante tenere sempre in considerazione le sfide poste dai cambiamenti climatici. Tra un pilastro e l’altro esistono inoltre delle interazioni: per esempio, una declinazione sociale del pilastro economico contribuisce anche a rafforzare quello sociale e viceversa. Alcune misure concrete possono essere attribuite all’uno o all’altro in modo variabile.

1.2.

Sebbene completare l’UEM sia l’imperativo del momento, disaccordi tra gli Stati membri sulla direzione da seguire stanno impedendo di compiere ulteriori progressi. Alle fosche prospettive economiche si aggiungono incertezze sul piano geopolitico e il previsto recesso del Regno Unito. Anche le divergenze tra gli Stati membri, la distribuzione iniqua del reddito e della ricchezza, la crisi climatica e la prevista evoluzione demografica rappresentano sfide di enorme portata.

1.3.

La resilienza alle crisi è una condizione indispensabile, ma non sufficiente per il completamento dell’UEM. È necessaria anche una visione positiva come quella che scaturisce dall’articolo 3 del trattato UE. Per quanto riguarda la situazione attuale, il CESE raccomanda le seguenti priorità: garantire una crescita sostenibile e inclusiva, ridurre le disuguaglianze, realizzare la convergenza verso l’alto, assicurare l’aumento della produttività e la competitività in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020, garantire condizioni favorevoli per le imprese e gli investimenti, assicurare posti di lavoro di qualità e retribuzioni adeguate, lottare contro la povertà e l’esclusione sociale, avere finanze pubbliche stabili e sostenibili, garantire la stabilità del settore finanziario, nonché assicurare il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) per il 2030 e la realizzazione degli impegni di Parigi sul clima.

1.4.

Nel dettaglio, le raccomandazioni del CESE in merito ai pilastri portanti dell’UEM sono le seguenti:

1.4.1.

Un pilastro monetario e finanziario stabile quale base dello sviluppo macroeconomico:

BCE: consolidamento del suo ruolo di stabilizzazione e mantenimento della sua autonomia;

misure risolute per completare l’Unione bancaria e l’Unione dei mercati dei capitali sulla base delle seguenti priorità: stabilizzazione per creare fiducia, regolamentazione efficace, equilibrio tra la condivisione e la riduzione dei rischi al fine di evitare un nuovo impatto sui bilanci pubblici in caso di crisi, considerazione delle conseguenze sociali della regolamentazione, inclusione degli obiettivi in materia di clima e protezione dei consumatori;

Unione bancaria: copertura del meccanismo di risoluzione unico e attuazione del sistema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS), rilancio del dibattito sulle riforme strutturali e sul sistema bancario ombra;

Unione dei mercati dei capitali: fissazione delle priorità, in particolare il miglioramento della supervisione, la creazione di un’agenzia di rating dell’UE, la creazione di attività sicure (safe asset) e misure di armonizzazione delle norme in materia di insolvenza;

rafforzamento del ruolo internazionale dell’euro sulla base di un’UEM stabile, economicamente forte e socialmente equilibrata.

1.4.2.

Un pilastro economico forte quale base della prosperità e del progresso sociale:

consolidamento del pilastro economico per favorire un giusto equilibrio intergovernativo e per promuovere la crescita, la produttività e la competitività;

equilibrio tra le misure sul versante dell’offerta e quelle sul versante della domanda, cosa che significa attualmente un miglioramento del lato della domanda, attraverso una maggiore inclusione del quadro di valutazione della situazione sociale nel semestre europeo, il rafforzamento dei sistemi di contrattazione collettiva e dell’autonomia delle parti sociali, la rapida istituzione dell’Autorità europea del lavoro e l’applicazione della regola d’oro in materia di investimenti in forme che non compromettano la stabilità finanziaria e di bilancio;

creazione di una capacità di bilancio della zona euro, finanziata da uno strumento comune di debito, e istituzione di un vincolo tra gli esborsi e il rafforzamento della struttura economica e sociale. Le proposte che sono attualmente sul tavolo rappresentano solo un primo passo;

misure volte a ridurre la concorrenza fiscale sleale e a prevenire l’evasione e l’elusione fiscali.

1.4.3.

Attuazione del pilastro sociale quale base del progresso sociale e della società:

norme sociali minime negli Stati membri per un elevato livello di protezione;

impegno a trovare un giusto equilibrio tra una base economica solida e una dimensione sociale forte;

allargamento del dibattito sull’istituzione di un ministro delle Finanze dell’UE per considerare la creazione di una figura omologa a livello UE per gli Affari sociali e il Lavoro.

1.4.4.

Un pilastro politico quale base della democrazia, della solidarietà e dell’unità:

rafforzamento della partecipazione del Parlamento europeo nonché delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile alla presa di decisioni fondamentali di politica sociale ed economica;

un’azione solidale e unitaria quale elemento basilare della prosperità e della pace all’interno dell’UE e dell’importanza politica ed economica dell’Unione nel contesto mondiale;

adesione in tempi rapidi alla zona euro per i paesi dell’UE che ancora non ne fanno parte.

2.   Completare l’UEM: risultati, sfide e obiettivi

2.1.

Nel processo di completamento dell’UEM sono state già fatte segnare tappe significative e oggi tale unione può vantare un sostanziale acquis comune. Nel 2015, nella relazione dei cinque presidenti sono stati presentati piani ambiziosi per l’approfondimento dell’UEM. Nel giugno 2019 la Commissione ha pubblicato un documento dal titolo Approfondimento dell’Unione economica e monetaria dell’Europa: un bilancio a quattro anni dalla relazione dei cinque presidenti (1), nel quale fa il punto sui progressi finora compiuti e chiede ulteriori misure da parte degli Stati membri. Il Comitato appoggia tale richiesta. Vi è una forte necessità di agire sul fronte del pilastro finanziario ed economico, ma anche di quello sociale e democratico. In particolare, il CESE richiama l’attenzione sulla necessità di trovare un equilibrio tra tutti i settori, tra i quali esistono molteplici interazioni.

2.2.

Sebbene tutti gli Stati membri condividano l’interesse a preservare l’euro, essi non sono concordi sulla direzione da seguire per un ulteriore approfondimento. Tali divergenze si manifestano nel conflitto tra la condivisione dei rischi, che comporta trasferimenti o responsabilità congiunta a livello transfrontaliero, e l’approccio basato sulla riduzione dei rischi, in base al quale la pressione all’adattamento è una responsabilità dei singoli Stati e la resilienza economica deve essere conseguita attraverso la trasformazione strutturale. Tuttavia, concentrarsi su tali divergenze non è sufficiente, considerando che anche a livello di partiti politici e di società civile sussistono prospettive discordanti. Per completare l’UEM è però necessario che al di là della diversità di interessi e di posizioni si riconosca che la solidarietà e la disponibilità al compromesso sono una base necessaria per costruire un futuro comune positivo in Europa.

2.3.

L’attuale contesto economico costituisce una sfida. Dopo la lunga fase di crisi, l’economia dell’UEM ha ripreso vigore a partire dal 2014, per poi rallentare però nuovamente nella seconda metà del 2018 in seguito a diversi fattori, quali l’indebolimento a livello mondiale del commercio e dello sviluppo economico, i conflitti commerciali irrisolti e anche elementi di incertezza interni come la prospettiva della Brexit. Nella zona euro, l’affievolimento del dinamismo economico è stato ancora più pronunciato a causa della dipendenza dalla domanda esterna e di fattori nazionali e settoriali. Si prevede che la crescita economica nell’UE, in generale, si manterrà ancora su livelli deboli (2). La crisi climatica, i cambiamenti tecnologici, il protezionismo e gli attacchi informatici, nonché le valute digitali e le criptovalute sono tra le sfide che ci aspettano. In una sua recente relazione, il Sistema europeo di analisi strategica e politica (ESPAS) giunge alla conclusione che l’aumento della temperatura globale, che sarebbe accompagnato tra l’altro da un calo significativo della produttività, è la questione politica più urgente del nostro tempo, con notevoli implicazioni economiche e finanziarie (3).

2.4.

Sebbene l’UE, nel complesso, sia relativamente prospera rispetto al resto del mondo grazie al suo prodotto interno lordo (aggregato o pro capite) comparativamente elevato e al rialzo dei tassi di occupazione negli ultimi anni, le disuguaglianze sociali tra le regioni e tra gli Stati membri e all’interno delle società pesano sulla coesione (4). Il 22 % dei cittadini dell’UE è a rischio di povertà e di esclusione sociale. In diversi paesi dell’Europa meridionale, nel 2019 i salari reali risultano in media più bassi di quelli del 2009, il che contribuisce ad accrescere le disparità effettive nei livelli di benessere socioeconomico (5). Inoltre, in molte parti il divario retributivo tra donne e uomini è ancora elevato e un’alta percentuale della popolazione in età attiva è colpita da povertà lavorativa o disoccupazione. Per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza netta delle famiglie, la BCE rileva che la zona euro fa registrare forti squilibri: per esempio, il 10 % più ricco possiede il 51,2 % del patrimonio netto (6). Questo crea un pericoloso terreno di coltura per le tensioni sociali e le spinte disgregative.

2.5.

Una migliore resistenza alle crisi, pur necessaria, non è sufficiente. Ciò che è indispensabile per il completamento dell’UEM è piuttosto una visione positiva, secondo lo spirito dell’articolo 3 del trattato nel quale vengono sostenute, in particolare, un’economia sociale di mercato competitiva, finalizzata alla piena occupazione e al progresso sociale, e la tutela dell’ambiente. Per quanto riguarda la situazione attuale, il CESE raccomanda le seguenti priorità: garantire una crescita sostenibile e inclusiva, ridurre le disuguaglianze, realizzare la convergenza verso l’alto, assicurare l’aumento della produttività e salvaguardare la competitività in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020 che comprendono anche obiettivi «oltre il PIL» (7), garantire condizioni favorevoli per le imprese e gli investimenti, assicurare posti di lavoro di qualità e retribuzioni adeguate, lottare contro la povertà e l’esclusione sociale, avere finanze pubbliche stabili e sostenibili, garantire la stabilità del settore finanziario, nonché assicurare il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) per il 2030 e la realizzazione degli impegni di Parigi sul clima. Al riguardo, il CESE rimanda anche al suo parere d’iniziativa sul tema Verso un’economia europea più resiliente e sostenibile.

3.   Il pilastro monetario e finanziario: base dello sviluppo economico

3.1.

Il CESE sottolinea l’importanza del ruolo stabilizzatore della BCE nelle situazioni di crisi. Per esempio, l’annuncio, da parte del presidente della Banca centrale, dell’acquisto, se necessario, di titoli di Stato (programma OMT) ha contribuito già di per sé a tranquillizzare i mercati. Il programma di allentamento quantitativo delle condizioni monetarie (quantitative easing), introdotto per raggiungere l’obiettivo in materia di inflazione e portato avanti dal 2015, ha prodotto un ulteriore calo dei tassi di interesse, agevolando l’accesso alla liquidità. Il fatto che le banche depositino attualmente fondi presso la BCE, anche se il rendimento è negativo, evidenzia la necessità di potenziare il pilastro economico dell’UEM. Il CESE propone inoltre di sanzionare il ruolo della BCE quale prestatore di ultima istanza. L’autonomia della BCE deve essere preservata.

3.2.

Secondo uno studio condotto dalla BCE (8), il settore finanziario dell’UEM svolge in modo soddisfacente la sua funzione di finanziamento delle PMI. Attualmente, i problemi principali che le PMI segnalano sono la reperibilità di manodopera qualificata e di personale dirigente esperto, nonché la difficoltà di trovare clienti, mentre la mancanza di accesso ai finanziamenti è vista come un problema minore. Questo problema è più sentito dalle imprese di alcuni Stati membri, ma anche su questo fronte si intravedono segnali di miglioramento. Lo studio si riferisce a un campione di 11 020 imprese della zona euro, il 91 % delle quali conta meno di 250 dipendenti. Il CESE sottolinea l’importanza di una base di finanziamento stabile anche per le grandi imprese.

3.3.

Il CESE esorta le istituzioni dell’UE a portare avanti con coerenza il completamento dell’Unione bancaria e dell’Unione dei mercati dei capitali, ponendo così le basi per il definitivo superamento della crisi finanziaria e per costruire un’UEM resiliente, in cui la fiducia sia pienamente ristabilita. Occorre trovare un equilibrio tra la condivisione e la riduzione dei rischi, in modo da evitare il più possibile l’impatto sui bilanci pubblici in caso di crisi, sia a livello nazionale che a livello di Unione. Nella regolamentazione dei mercati finanziari bisogna privilegiare l’efficacia rispetto alla complessità; occorre inoltre tenere conto dell’impatto sociale della regolamentazione e dare priorità alla protezione dei consumatori.

3.3.1.

In confronto agli Stati Uniti, nell’UE il finanziamento tramite prestiti bancari rappresenta una quota nettamente più elevata rispetto al finanziamento azionario. Il CESE è favorevole alla diversificazione delle fonti di finanziamento e quindi a una maggiore condivisione dei rischi, il che significa, nell’UE, attribuire maggior peso al finanziamento con capitale proprio.

3.4.

Il CESE prende atto dei progressi compiuti nel quadro dell’Unione bancaria e sottolinea il ruolo positivo della Commissione. Tuttavia, nonostante le dichiarazioni in senso contrario, gli Stati membri non sono ancora pervenuti a una decisione congiunta sull’applicazione del meccanismo europeo di stabilità come strumento di sostegno del meccanismo di risoluzione unico (Fondo di risoluzione unico). Gli Stati membri hanno inoltre ripetutamente respinto ulteriori misure dirette ad attuare il sistema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS), di cui invece vi è urgente bisogno.

3.4.1.

Il CESE ritiene che sia ormai improrogabile definire un calendario concreto per la realizzazione di tale sistema (9). Nel quadro dell’utilizzo del meccanismo europeo di stabilità come sostegno al Fondo di risoluzione unico, il CESE raccomanda di aumentare la dotazione di tale fondo, di ridurre i crediti deteriorati in modo socialmente sostenibile e di introdurre rigorosi requisiti minimi di fondi propri e passività ammissibili (MREL) (10). Inoltre, nel quadro dell’Unione bancaria dovrebbero essere perseguite in modo coerente anche misure contro il riciclaggio (11). Occorre riprendere il dibattito sulla riforma strutturale del settore bancario con l’obiettivo di ridurre i rischi a un livello accettabile. Il CESE auspica inoltre che si presti maggiore attenzione alla necessità di regolamentare il sistema bancario ombra.

3.4.2.

Il CESE rinnova la sua richiesta di far sì che il miglioramento e il consolidamento dei pilastri dell’Unione bancaria vadano di pari passo con l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e la realizzazione degli impegni di Parigi sul clima. Per quanto riguarda i requisiti patrimoniali, occorre prevedere un trattamento più favorevole per gli investimenti rispettosi dell’ambiente e per diversi prestiti a lungo termine non complessi e inclusivi, in particolare se connessi all’efficienza energetica, alle energie rinnovabili ecc.

3.5.

Il completamento dell’Unione dei mercati dei capitali contribuisce ad assorbire gli shock, a promuovere gli investimenti delle imprese e ad aumentare quindi la competitività (12). A differenza dell’Unione bancaria, che si basa su pilastri chiaramente definiti, l’Unione dei mercati dei capitali si articola in un numero considerevole di iniziative diverse, quali la direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID), la direttiva sui servizi di pagamento e il regolamento sul prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP). È difficile formulare una valutazione complessiva finale, ma il CESE raccomanda di attenersi ai seguenti principi: in primo luogo, occorre concentrarsi sui progetti chiave. La priorità dovrebbe essere data al miglioramento della vigilanza. La Commissione dovrebbe inoltre rilanciare il dibattito sull’istituzione di un’agenzia di rating dell’UE. Per quanto riguarda la creazione di attività sicure (safe asset), il CESE attende con interesse una proposta da parte della Commissione. In secondo luogo, si dovrebbe compiere uno sforzo per armonizzare le norme in materia di insolvenza e di fiscalità delle imprese. In quest’ottica, il CESE accoglie con favore le iniziative per giungere a una base imponibile comune per l’imposta sulle società e raccomanda l’adozione di misure adeguate per combattere la concorrenza fiscale sleale.

3.6.

Il CESE accoglie con favore l’iniziativa volta a rafforzare il ruolo internazionale dell’euro, che attualmente è la seconda valuta più importante dopo il dollaro statunitense. La Commissione europea raccomanda di completare l’UEM, l’Unione bancaria e l’Unione dei mercati dei capitali, nonché di adottare ulteriori iniziative nel settore finanziario, di ampliare l’uso dell’euro nel campo dell’energia, delle materie prime e dei trasporti, e di garantire che nelle questioni strategiche ed economiche l’UE parli con una sola voce. Il CESE ritiene tuttavia che tali misure non siano sufficientemente ambiziose. Per garantire un adeguato sviluppo e quindi per rafforzare il ruolo internazionale dell’euro sono essenziali anche la coesione sociale, un’economia forte, la convergenza economica verso l’alto e la promozione della competitività e dell’innovazione. Al riguardo, il CESE rimanda al suo parere sul tema Per un rafforzamento del ruolo internazionale dell’euro.

4.   Il pilastro economico: base della prosperità e del progresso sociale

4.1.

La politica monetaria della BCE è la stessa per tutti i paesi della zona euro, mentre può succedere che gli squilibri dei conti con l’estero si accentuino, che i paesi si trovino in cicli economici diversi e non presentino quindi lo stesso grado di resistenza agli shock. Allo stesso tempo, i paesi della zona euro non hanno ricorso agli strumenti della politica nazionale in materia monetaria e di cambi. È pertanto necessario rafforzare il pilastro economico in modo da promuovere gli investimenti nella crescita sostenibile, la domanda dei consumatori, la produttività e la competitività. Ciò richiede un equilibrio tra le misure sul versante dell’offerta e quelle sul versante della domanda. Per il 2019 e oltre la Commissione prevede effetti positivi sulla crescita derivanti dalla domanda di consumi privati e dagli investimenti (13). Il CESE raccomanda di rafforzare questi stimoli.

4.2.

Il semestre europeo svolge un ruolo importante per la convergenza macroeconomica. Il CESE accoglie con favore l’intenzione della Commissione di rafforzare l’inclusione del quadro di valutazione della situazione sociale previsto nel pilastro europeo dei diritti sociali. La sicurezza sociale aumenta la fiducia in un futuro finanziariamente sicuro e ha un effetto positivo sulla domanda aggregata. Il CESE raccomanda di utilizzare il semestre europeo anche per le proposte sull’applicazione di ulteriori criteri di resilienza al fine di eliminare le disuguaglianze sociali e affrontare i cambiamenti climatici.

4.3.

La disponibilità di un potere d’acquisto sufficiente si basa su posti di lavoro adeguatamente retribuiti. Tuttavia, a questo riguardo, il fatto che la crescita media dei salari reali sia inferiore a quella della produttività rappresenta un ostacolo (14). Il CESE raccomanda pertanto di rafforzare i sistemi di contrattazione collettiva e l’autonomia delle parti sociali. Per garantire una concorrenza leale è necessario che le norme minime vigenti siano applicate per tutti i lavoratori. Inoltre, si dovrebbe esaminare la possibilità di individuare gli strumenti disponibili e un quadro di riferimento al livello dell’UE per sostenere e orientare gli Stati membri nei loro sforzi volti a sviluppare sistemi di reddito minimo. La rapida istituzione della prevista Autorità europea del lavoro rappresenta un passo importante nella lotta contro la concorrenza sleale.

4.4.

Gli investimenti nell’edilizia sociale, nell’istruzione, nella ricerca, nella digitalizzazione, nella protezione del clima, nella mobilità sostenibile e nelle energie rinnovabili non costituiscono solo uno stimolo economico e un importante strumento di politica economica, ma garantiscono anche capacità produttive per il benessere e la competitività futuri (15). Sebbene il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) rappresenti un passo nella giusta direzione, la necessità di agire resta pressante. Si pensi, per esempio, che gli investimenti pubblici netti in percentuale del PIL nella zona euro sono rimasti fermi a zero. Un passo importante consiste nel miglioramento della governance della politica di bilancio.

4.5.

Il margine di manovra in questo senso esiste, senza che sia necessario modificare il diritto primario. Il TFUE definisce la stabilità dei prezzi come l’obiettivo principale della politica economica dell’UE. Questo obiettivo deve essere però raggiunto sulla base di una crescita economica equilibrata, di un’economia sociale di mercato competitiva, finalizzata alla piena occupazione e al progresso sociale, nonché di un elevato livello di protezione ambientale e di miglioramento della qualità dell’ambiente. L’impostazione di politica economica così espressa consente di tenere conto sia dei fattori che compongono l’offerta sia di quelli che compongono la domanda, in modo che il patto di stabilità sia anche un patto di crescita. Tuttavia, al fine di garantire la clausola di non responsabilità tra gli Stati membri, il quadro normativo è stato ulteriormente rafforzato con il patto di bilancio e i due pacchetti sulla governance economica (i cosiddetti «two-pack» e «six-pack»). In questo contesto, il CESE raccomanda di applicare la regola d’oro per gli investimenti pubblici in forme che non compromettano la stabilità finanziaria e di bilancio (16). Ciò contribuirebbe a garantire che in futuro gli investimenti pubblici rimangano al livello necessario, in linea con le norme in materia di disavanzo.

4.6.

Per completare l’UEM occorre mettere in campo una capacità di bilancio comune per la zona euro. Il CESE raccomanda un bilancio comune per la zona euro che possa essere finanziato da uno strumento comune di debito. Inoltre, si dovrebbe rilanciare il dibattito in merito alla possibilità di istituire un ministro europeo dell’Economia e delle finanze (17), chiamato a rispondere anche dinanzi al Parlamento europeo. Il CESE sottolinea che gli esborsi devono essere collegati al rafforzamento della struttura economica e sociale. In questo senso è necessario pervenire a una definizione del concetto di «riforme strutturali». Per le misure nell’ambito del quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027 (18) occorre chiarire la relazione con i fondi strutturali e di investimento.

4.6.1.

In relazione al QFP 2021-2027, la Commissione propone una funzione europea di stabilizzazione degli investimenti da attivare in caso di shock specifici per paese, tuttavia, i 30 miliardi di EUR previsti sono del tutto insufficienti per produrre un effetto stabilizzatore. Il CESE si rammarica inoltre che nel vertice euro del dicembre 2018 la componente della stabilizzazione non sia stata affrontata in questa forma e sia stato annunciato invece che saranno concordate le caratteristiche di uno strumento di bilancio per la convergenza e la competitività (19). Questo è quanto ha chiesto la Commissione in vista del vertice euro del giugno 2019, sottolineando la sua disponibilità a presentare una nuova proposta di regolamento (20). Il CESE vi intravede un possibile primo passo verso un bilancio della zona euro, ed esaminerà le implicazioni economiche e sociali di questo strumento previsto.

4.6.2.

Quale altra forma di capacità di bilancio dell’UEM, si è fatto riferimento al regime di (ri)assicurazione contro la disoccupazione, e il relativo finanziamento potrebbe essere garantito in via permanente secondo criteri ancora da stabilire. In caso di shock economico, tale regime consentirebbe di attenuare gli effetti negativi della crisi. È inoltre necessario rafforzare gli stabilizzatori automatici nazionali, quali i sistemi nazionali di assicurazione contro la disoccupazione. Il CESE ritiene che occorra approfondire ulteriormente l’idea di introdurre principi adeguati per tali sistemi. Ciò potrebbe portare porterebbe a un reale miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e rafforzerebbe altresì gli stabilizzatori automatici nazionali.

4.6.3.

È inoltre prevista una modifica del trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità, per la quale la Commissione sollecita i capi di Stato e di governo ad agire. In aggiunta al sostegno comune per il Fondo di risoluzione unico, saranno anche in tale cornice introdotti adeguamenti in materia di assistenza finanziaria precauzionale e sarà garantito un livello adeguato di condizionalità. Sono inoltre previste nuove modalità di cooperazione tra il meccanismo europeo di stabilità e la Commissione (21). Il CESE sconsiglia di rendere più rigorosa la condizionalità ex ante dell’assistenza finanziaria precauzionale, perché così facendo si pregiudicherebbe il carattere stabilizzatore di questo strumento.

4.7.

Nel completamento dell’UEM, anche la politica fiscale è un aspetto da non ignorare. In tutta l’UE, il danno causato dalla perdita di gettito fiscale potrebbe ammontare a 825 miliardi di EUR l’anno (22). Ad esempio, si calcola che l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (BEPS) da parte delle multinazionali nell’UE fossero dell’ordine di 50-70 miliardi di EUR, ovvero pari allo 0,3 % del PIL dell’UE, prima dell’adozione di misure antielusione globali (23). L’evasione fiscale rimane tuttavia un problema rilevante che deve essere affrontato. Allo stesso tempo, la pressione fiscale e i contributi previdenziali sul lavoro in Europa sono i più elevati del mondo. La lotta alla pianificazione fiscale aggressiva e all’evasione fiscale, nonché l’eliminazione di regimi speciali introdotti da governi e autorità tributarie (24) assimilabili a paradisi fiscali, potrebbero impedire le perdite di gettito e creare una base più ampia per gli investimenti pubblici volti a potenziare le infrastrutture sociali e mitigare i cambiamenti climatici, nonché per una stabilizzazione sostenibile dell’economia reale e del settore finanziario.

4.7.1.

Il CESE prende nota con grande interesse della comunicazione della Commissione in cui si discute di applicare anche in materia di politica fiscale la «clausola passerella» di cui all’articolo 48, paragrafo 7, del TUE. Ciò consentirebbe una riforma verso il voto a maggioranza qualificata. Inoltre, devono essere perseguite in modo coerente le iniziative volte a ridurre le frodi fiscali e a prevenire la concorrenza sleale nel settore della tassazione delle imprese. Al riguardo, il CESE rimanda al suo parere sul tema Minacce e ostacoli al mercato unico (25). Il CESE accoglie con favore la proposta secondo cui, nell’ambito del QFP, determinate imposte dovrebbero confluire direttamente nel bilancio dell’UE al fine di aumentare le risorse proprie.

5.   Il pilastro sociale: base del progresso sociale e della società

5.1.

Configurare in chiave sostenibile il pilastro monetario e finanziario e quello economico consolida anche le basi sociali dell’UEM. Nelle osservazioni finora formulate sono stati affrontati diversi elementi costitutivi che servono anche a rafforzare il pilastro sociale. Per esempio, con l’integrazione di un quadro di valutazione della situazione sociale nel semestre europeo, criteri quali la convergenza verso l’alto dei redditi minimi o dei salari minimi e la riduzione della disoccupazione (giovanile) dovrebbero essere ulteriormente rafforzati.

5.2.

Il CESE ritiene che un importante contributo alla convergenza sociale verso l’alto possa essere fornito dal miglioramento e dall’applicazione negli Stati membri di norme sociali minime sulla base di un quadro comune di riferimento a livello europeo con un elevato livello di protezione. Il CESE desidera sottolineare che tale convergenza sociale verso l’alto diretta a condizioni di vita e di lavoro migliori dovrebbe essere basata su una crescita sostenibile, su posti di lavoro di qualità e su un contesto imprenditoriale competitivo, e potrebbe essere migliorata trovando un giusto equilibrio tra una base economica solida e una forte dimensione sociale.

5.3.

Occorre trovare un equilibrio tra le questioni sociali e quelle finanziarie. Per esempio, il dibattito sull’istituzione di un ministro europeo dell’Economia e delle Finanze dovrebbe essere integrato da quello sull’istituzione di un commissario europeo per il Lavoro e gli Affari sociali dotato di tutte le risorse necessarie e responsabile, tra l’altro, del monitoraggio del pilastro europeo dei diritti sociali.

6.   Il pilastro politico: base della democrazia, della solidarietà e dell’unità

6.1.

Le disuguaglianze economiche crescenti, la perdita di prosperità e le prospettive negative per il futuro possono svolgere un ruolo importante nel modo in cui la società civile valuta l’UE. Il CESE ritiene pertanto che il rafforzamento degli altri tre pilastri, sulla base delle proposte sopra descritte, costituisca anche un presupposto importante e necessario per la stabilizzazione del pilastro politico. Ciò è essenziale per aumentare la fiducia dei cittadini nell’UE.

6.2.

Purtroppo il Parlamento europeo e le parti sociali non sono sufficientemente coinvolti nel semestre europeo, nelle procedure per i disavanzi eccessivi o nel quadro delle misure collegate al meccanismo europeo di stabilità. Anche questa mancanza di coinvolgimento si sta dimostrando un catalizzatore per le forze centrifughe, perché valutare se, per esempio, un paese stia violando i criteri sul disavanzo o quali riforme strutturali debbano essere attuate ha conseguenze sul piano della politica distributiva e sociale. Il CESE chiede con urgenza che il Parlamento europeo, ma anche i parlamenti nazionali, le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile siano pienamente coinvolti nelle principali decisioni di politica economica e sociale. Questo è l’unico modo per garantire che si tenga conto non solo degli interessi nazionali ma anche dei diversi punti di vista dei partiti politici e della società civile.

6.3.

Attualmente solo 19 dei 28 paesi dell’UE sono membri della zona euro. Per completare l’unione monetaria, tuttavia, sarà necessario che vi aderiscano anche gli Stati che ancora non vi fanno parte. Ciò dovrebbe avvenire il prima possibile e gli Stati stessi dovrebbero muoversi con decisione in questo senso. La maggior parte dei cittadini degli Stati membri dell’UE al di fuori della zona euro ritiene inoltre che la moneta unica sia una buona cosa per l’economia (26).

6.4.

Il CESE sottolinea che anche sul piano geopolitico è importante che gli Stati membri dell’UE procedano insieme e agiscano in modo unitario. La solidarietà, la capacità di compromesso e l’unione degli sforzi sono alla base della prosperità e della pace all’interno dell’UE, come anche dell’importanza internazionale e della competitività dell’Unione. Ciò vale soprattutto per la definizione della politica sociale ed economica. Il CESE esorta pertanto il Consiglio e la Commissione a presentare una tabella di marcia ambiziosa per l’approfondimento dell’Unione economica e monetaria. Questo servirà a creare sicurezza e fiducia e a gettare le basi di un futuro economico e sociale positivo per l’UE.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  https://webgate.ec.testa.eu/docfinder/extern/aHR0cHM6Ly8=/ZXVyLWxleC5ldXJvcGEuZXU=/legal-content/IT/TXT/HTML/\?uri=CELEX:52019DC0279&from=IT

(2)  https://ec.europa.eu/info/publications/european-economic-forecast-spring-2019_en

(3)  ESPAS, Global Trends to 2030 - Challenges and Choices for Europe (Tendenze globali all’orizzonte 2030: sfide e scelte per l’Europa), aprile 2019, https://espas.secure.europarl.europa.eu/orbis/node/1362

(4)  https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/file_import/european-semester_thematic-factsheet_addressing-inequalities_it.pdf

(5)  ETUC, Benchmarking Working Europe 2019 (Analisi comparativa del lavoro in Europa 2019).

(6)  Banca centrale europea, The Household Finance and Consumption Survey: results from the Second wave, No 18 / December 2016 (Indagine sulle finanze e sui consumi delle famiglie: risultati della seconda tornata di analisi), n. 18/dicembre 2016.

(7)  Cfr. il parere del CESE pubblicato sulla GU C 177 del 18.05.2016, pag. 35.

(8)  Banca centrale europea, Survey on the Access to Finance of Enterprises in the euro area, April to September 2018, November 2018 (Indagine sull’accesso delle imprese ai finanziamenti nella zona euro da aprile e settembre 2018), novembre 2018.

(9)  Cfr. il parere del CESE pubblicato sulla GU C 237 del 6.7.2018, pag. 46.

(10)  Term sheet on the European Stability Mechanism reform, 4.12.2018 (Lista di condizioni per la riforma del meccanismo europeo di stabilità).

(11)  Eurogroup report to Leaders on EMU deepening, 4.12.2018 (Relazione dell’Eurogruppo ai leader sull’approfondimento dell’UEM).

(12)  Capital Markets Union. (Unione dei mercati dei capitali). Commission contribution to the European Council CMU (21/22 March 2019) [Contributo della Commissione al Consiglio europeo - Unione dei mercati dei capitali (21 e 22 marzo 2019)].

(13)  https://ec.europa.eu/info/publications/european-economic-forecast-spring-2019_en

(14)  Commissione europea, Analisi annuale della crescita 2019.

(15)  IMF direct, 2014; OECD Economic Outlook (Prospettive economiche dell’OCSE), giugno 2016.

(16)  Truger, Achim (2018): Fiskalpolitik in der EWU. Reform des Stabilitäts-und Wachstumspakts nicht vergessen! (La politica di bilancio nell'UEM. La riforma del Patto di stabilità e di crescita non deve essere dimenticata!),in WISO direkt, Friedrich-Ebert-Stiftung, Bonn.

(17)  COM(2017) 823 final.

(18)  COM(2018) 321 final.

(19)  Dichiarazione del Vertice euro, 14.12.2018.

(20)  https://webgate.ec.testa.eu/docfinder/extern/aHR0cHM6Ly8=/ZXVyLWxleC5ldXJvcGEuZXU=/legal-content/IT/TXT/HTML/\?uri=CELEX:52019DC0279&from=IT

(21)  Term sheet on the European Stability Mechanism reform 4.12.2018 (Lista di condizioni per la riforma del meccanismo europeo di stabilità).

(22)  Relazione per il gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo elaborata da Richard Murphy http://www.taxresearch.org.uk/Documents/EUTaxGapJan19.pdf

(23)  Parere del CESE ECO/491 - Fiscalità - voto a maggioranza qualificata, non ancora pubblicato.

(24)  Decisione della Commissione SA.38375 (Lxb/Fiat Finance), SA.38374 (NL/Starbucks), SA 38373 (IRL/Apple), SA 38944 (Lxb/Amazon).

(25)  GU C 125/01 del 21.4.2017, pag. 8 (punto 3.6 La politica fiscale).

(26)  https://agenceurope.eu/en/bulletin/article/12271/23


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Il semestre europeo e la politica di coesione — Verso una nuova strategia europea post 2020»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/07)

Relatore: Etele BARÁTH

Correlatore: Petr ZAHRADNÍK

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Decisione dell’Assemblea plenaria

20.2.2019

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

2.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

154/1/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il nuovo periodo politico e finanziario che sta per iniziare nell’UE offre la possibilità di aumentare il senso di determinazione, migliorare i risultati e sfruttare al massimo le nuove opportunità. È necessaria una nuova strategia 2030 più vigorosa, ambiziosa e dinamica per un’Europa sostenibile, competitiva, protettiva ed equa.

1.1.1.

Uno dei principali insegnamenti, ma anche uno dei maggiori risultati ottenuti nella recente gestione delle politiche economiche dell’UE all’indomani della crisi consiste nell’introduzione e attuazione pratica del semestre europeo. Questa nuova forma di coordinamento delle politiche economiche comprende un monitoraggio e un’analisi approfonditi, una gestione pratica coordinata e una serie di restrizioni e sanzioni (1), strettamente legate alle prestazioni economiche degli Stati membri. I suoi risultati dovrebbero prendere la forma di una più rigorosa disciplina, una maggiore responsabilità e un’attenzione più acuta per le questioni strategiche fondamentali. In quanto tale, il semestre europeo potrebbe servire da piattaforma affidabile per i nuovi interventi della politica di coesione.

1.2.

Il processo del semestre è complementare al sistema di strumenti della politica di coesione che è in essere da decenni. I collegamenti tra il semestre europeo e la politica di coesione dell’UE (e forse la maggior parte dei programmi del quadro finanziario pluriennale — QFP) offrono potenzialità enormi da sfruttare per migliorare il coordinamento e la governance delle politiche economiche dell’UE. Si tratta di un’indicazione di una governance migliore e di un approccio basato sui risultati. La questione si inquadra in un contesto razionale e tecnocratico, oltre che politico (presa in considerazione delle elezioni europee, competenze a livello nazionale rispetto a quelle a livello UE, gestione di un approccio dal basso e di uno dall’alto per poi conseguire un equilibrio tra loro). Grazie alla sua funzione di coordinamento, il semestre riunisce l’attuazione degli obiettivi strategici di natura economica, sociale e ambientale, le priorità politiche e l’interazione tra compiti a breve e lungo termine.

1.3.

A causa della sua pratica in costante espansione e della sua filosofia fondata sull’autoregolamentazione, il semestre è di fatto l’unica struttura operativa dotata di un meccanismo polivalente in grado di misurare, attraverso le raccomandazioni specifiche per paese, l’interazione tra procedure molto diverse e di valutare l’applicazione di circa due terzi delle politiche europee. Il CESE crede nel semestre europeo e propone di applicare in maniera più equilibrata i sistemi di incentivi e di sanzioni (2) differenziate, basate su solide fondamenta e attentamente valutate, che coordinano l’attuazione degli obiettivi economici, sociali e ambientali, misurando ove possibile i progressi a breve termine nel perseguimento degli obiettivi a lungo termine.

1.4.

Il CESE riconosce con rammarico che, nonostante una procedura a più fasi ben definita (analisi annuali della crescita, raccomandazioni specifiche per paese, programmi nazionali di riforma, accordi di partenariato), i risultati raggiunti dagli accordi sono di livello molto diverso, in funzione delle condizioni di sviluppo macroeconomico di ciascun paese. L’attuazione delle politiche pluriennali è generalmente esigua (tra il 40 e il 50 %). Si osserva che tra gli impegni meno rispettati vi sono obiettivi di politica sociale, come i salari e la loro determinazione, l’assistenza sanitaria e a lungo termine, l’istruzione, la formazione, l’apprendimento permanente e l’occupazione di qualità (soprattutto per i giovani).

1.5.

Il CESE rileva che un processo del semestre rafforzato, senza perdere di vista i suoi obiettivi originari, dovrebbe rappresentare l’aspetto più importante del coordinamento delle politiche economiche. Ciò consentirebbe infatti di portare a termine i programmi di stabilità e convergenza e magari di fare del semestre l’elemento centrale di coordinamento di una procedura di investimento ben mirata, accelerando così l’attuazione delle riforme, misurando l’equilibrio tra le prestazioni economiche e la politica di coesione, e conseguendo obiettivi sociali. Tra le questioni fondamentali figurano l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, l’occupazione sostenibile, l’introduzione di norme sociali minime negli Stati membri, sulla base di un quadro comune europeo, istituite dal semestre europeo, nonché la definizione di obiettivi climatici più ambiziosi e una migliore protezione della biodiversità.

1.6.

Secondo il CESE, se l’Europa intende realizzare una crescita sostenibile, che sia praticabile sotto il profilo sociale e ambientale, essa dovrà valutare in maniera più approfondita le risorse locali e farne un uso efficiente. La nuova strategia Europa 2030 deve costruire un ponte praticabile tra gli obiettivi locali, regionali e nazionali e gli obiettivi di un’Europa meglio interconnessa.

1.7.

Il CESE ritiene che un maggiore coordinamento tra i fondi europei (Fondo di coesione, InvestEU ecc.) potrebbe contribuire ad attrarre più rapidamente la partecipazione e investimenti di soggetti privati. Per accrescere la produttività e gli investimenti privati, il contesto degli investimenti deve essere migliorato, tenendo ovviamente in considerazione gli strumenti di bilancio prevalenti nei rispettivi Stati membri. Nel migliore dei casi, un contesto degli investimenti più propizio potrebbe rafforzare la relazione tra la governance europea e i diversi tipi di titolarità.

1.8.

Il CESE propone che il sistema rinnovato della governance europea fondato sulla strategia Europa 2030 si concentri maggiormente sui risultati e stabilisca un insieme più ristretto di priorità, facilitando l’accesso alle procedure amministrative e affidandosi maggiormente alla comprensione della società civile e alla cooperazione con quest’ultima. Tutto ciò deve andare di pari passo con l’elaborazione di sistemi di monitoraggio e valutazione. Un modo importante di rafforzare la governance europea consiste in un potenziamento dell’amministrazione pubblica multilivello e in una maggiore apertura alla partecipazione.

1.9.

Il CESE deve trovare una nuova collocazione nella preparazione e nell’attuazione delle politiche e delle strategie europee, assumendo una nuova posizione più prominente nella governance europea, così da assicurarsi un ruolo speciale di Mediatore tra la percezione della realtà da parte della società civile e le sue intenzioni future. Il CESE cerca di conseguire una migliore comprensione attraverso il rafforzamento di un dialogo costante e strutturato con le parti sociali e la società civile.

1.10.

Il CESE deve acquisire maggiori conoscenze riguardo ai nuovi sistemi di informazione e farne un uso maggiore, ivi comprese le reti digitalizzate e sociali collegate alla società civile. Il CESE può conseguire tale obiettivo se è coinvolto nel processo del semestre ed acquisisce l’abilità di elaborare le informazioni che riceve.

1.11.

Il CESE sottolinea che uno degli ostacoli più significativi, attualmente, allo sviluppo europeo è lo scarso livello di comunicazione fattuale e continua tra i partner economici e le parti sociali, da un lato, e la governance europea, dall’altro. Anche in questo caso è necessario comprendere come si articola il sistema relazionale del CESE.

1.12.

Il CESE ritiene che, conducendo una valutazione continua dei complessi obiettivi, utilizzando gli accordi di partenariato globale, creando un forte sostegno civile e misurando il contesto globale dell’UE, il semestre si dimostrerà in grado di concentrarsi sulla riduzione del rischio di crisi in futuro e di creare un contesto socioeconomico sostenibile, significativo e reattivo.

2.   Osservazioni generali e specifiche

2.1.    L’Europa ha raggiunto un punto di svolta

2.1.1.

L’Europa ha raggiunto un nuovo punto di svolta. Dieci anni dopo la profonda crisi economica e nonostante la forte ripresa, l’Europa sta attraversando una fase di turbolenza politica e sociale, che vede il diffondersi di nuove incertezze a livello mondiale. Uno dei principali insegnamenti, ma anche uno dei maggiori risultati ottenuti nella recente gestione delle politiche economiche dell’UE all’indomani della crisi consiste nell’introduzione e attuazione pratica del semestre europeo. Questa nuova forma di coordinamento delle politiche economiche comprende un monitoraggio e un’analisi approfonditi, una gestione pratica coordinata e una serie di restrizioni e sanzioni, strettamente legate alle prestazioni economiche degli Stati membri. I suoi risultati dovrebbero prendere la forma di una più rigorosa disciplina, una maggiore responsabilità e un’attenzione più acuta per le questioni strategiche fondamentali. In quanto tale, il semestre europeo potrebbe servire da piattaforma affidabile per i nuovi interventi della politica di coesione.

2.1.2.

In questo periodo, caratterizzato dall’imminente avvio di un nuovo ciclo politico quinquennale di governance europea e di un nuovo periodo finanziario settennale di sviluppo europeo coordinato, nonché dal rapido avvicinarsi della conclusione della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, l’UE dovrà ripensare i propri sistemi di governance: questi devono basarsi su una nuova strategia globale di attuazione per i prossimi dieci anni, che serva da bussola per un futuro sostenibile.

2.1.3.

È ampiamente condivisa l’idea che una delle condizioni più importanti per attuare efficacemente una nuova «governance multilivello e multipartecipativa» sia il coinvolgimento senza ostacoli dei partner economici e delle parti sociali nel processo decisionale e di attuazione (3).

2.1.4.

Sulla base dell’insegnamento tratto dal valore aggiunto prodotto da un solido principio di partenariato all’interno della politica di coesione, il CESE ribadisce l’importanza della governance multilivello, che rafforza la partecipazione strutturale delle organizzazioni della società civile e di altre parti interessate al processo di programmazione, attuazione, valutazione e monitoraggio dell’utilizzo dei fondi. La stessa considerazione dovrebbe valere per la programmazione macroeconomica nell’insieme degli Stati membri.

2.1.5.

A tal fine, il CESE sottolinea la necessità di istituire un quadro comune europeo (simile all’accordo di partenariato nel quadro dei fondi strutturali dell’UE) che garantisca una partecipazione forte e significativa delle parti sociali e della società civile in generale, in tutte le fasi di elaborazione e attuazione del semestre europeo. Ciò comporterà una maggiore responsabilizzazione delle autorità nazionali e un utilizzo più efficace ed incisivo delle politiche e delle raccomandazioni.

2.1.6.

Il Rinascimento europeo deve essere fondato sullo stesso potere di continuità sotteso ai valori europei, quali libertà, sicurezza, giustizia, Stato di diritto e diritti umani, e su un processo rafforzato di rinnovamento continuo, conforme ai criteri dello sviluppo sostenibile.

2.2.    Il semestre e la sua complessità

2.2.1.

Negli ultimi dieci anni la Commissione si è impegnata enormemente, e apparentemente con successo, per istituire un sistema operativo multilivello per la governance economica: il semestre europeo. Esso comprende politiche e strategie diverse riguardanti questioni settoriali e orizzontali in tutti gli ambiti economici, sociali e ambientali. Con questo nuovo processo la Commissione ha superato il vecchio sistema del «metodo aperto di coordinamento».

2.2.2.

Il semestre è stato rafforzato e integrato, negli ultimi anni, con importanti elementi sociali e ambientali della strategia Europa 2020 che sono direttamente correlati alle raccomandazioni della politica di coesione (4). È possibile osservare uno stretto legame tra la governance economica, l’attuazione della politica di coesione e una nuova idea di sviluppo europeo: il piano di investimenti per l’Europa (5).

2.2.3.

In numerosi pareri il CESE ha difeso «le riforme strutturali che aumentano la produttività, [la crescita,] la qualità del lavoro, la sicurezza del posto di lavoro e la protezione sociale, favorendo nel contempo gli investimenti e rafforzando la contrattazione collettiva basata sull’autonomia delle parti sociali e sul dialogo sociale» (6). Il CESE «ritiene altresì che il collegamento del programma in esame con il semestre europeo potrebbe essere ancora più stretto e diretto di quanto previsto nella proposta di regolamento» (7).

2.3.    Un futuro europeo sostenibile

2.3.1.

All’inizio di quest’anno la Commissione ha pubblicato il proprio documento di riflessione su un futuro europeo sostenibile, che apre la strada a una strategia globale di attuazione fino al 2030. Il documento definisce il percorso da seguire per sviluppare ulteriormente la visione dell’UE sullo sviluppo sostenibile e l’attenzione per le politiche settoriali post 2020, predisponendo nel contempo l’attuazione a lungo termine degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS). Il CESE chiede obiettivi climatici più ambiziosi, integrati nel semestre europeo, dato che questo è relativamente poco sensibile ai pericoli posti dai cambiamenti climatici e ai progressi dell’UE verso il conseguimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi (8). Inoltre, in un mondo colpito dai cambiamenti climatici, in diverse occasioni il CESE ha formulato raccomandazioni volte a migliorare la protezione della biodiversità e delle risorse essenziali necessarie per la nostra esistenza (9).

2.3.2.

Il documento di riflessione propone i seguenti tre scenari per stimolare la discussione su come dare seguito agli OSS all’interno dell’UE:

una strategia generale dell’UE relativa allo sviluppo sostenibile che guidi le azioni dell’UE e degli Stati membri;

un’integrazione continua delle strategie da parte della Commissione in tutte le pertinenti politiche dell’UE, ma senza imporre misure agli Stati membri;

puntare di più sull’azione esterna, consolidando al contempo le attuali ambizioni in materia di sostenibilità a livello dell’UE.

2.3.3.

Un’integrazione intelligente dei primi due scenari nel semestre europeo dovrebbe svolgere un ruolo decisivo nell’esecuzione dei bilanci dell’UE e dei relativi quadri di finanziamento (come i fondi strutturali e di investimento dell’UE), sfruttando al massimo la flessibilità del nuovo QFP e garantendo una solida relazione tra la politica di coesione e altre politiche.

2.3.4.

Si potrebbe considerare la possibilità che il processo del semestre, integrato da un nuovo modello partecipativo, svolga un ruolo più efficace ed efficiente nello sviluppo dell’UE.

2.3.5.

Il piano di investimenti dell’UE, se adeguatamente finanziato, e la sua politica di coesione possono entrambi contribuire in questo senso, in coordinamento con le raccomandazioni specifiche per paese, purché vi sia un’adeguata flessibilità nell’ambito del patto di stabilità e crescita. Come il CESE ha già affermato in un precedente parere, ciò comporta anche la disponibilità continua, nel bilancio dell’UE, di finanziamenti adeguati per la politica di coesione (10).

2.4.    La politica di coesione e il semestre europeo

2.4.1.

L’insieme di proposte di regolamenti sul QFP 2021-2027 (il regolamento generale e le proposte di regolamenti settoriali) ha apportato alcuni elementi nuovi che potrebbero contribuire a migliorare il coordinamento e le prestazioni delle politiche economiche dell’UE, nonché l’efficienza degli interventi della politica di coesione (11). Uno degli elementi più importanti è la definizione di una relazione chiara tra la politica di coesione e il processo del semestre europeo, nonché delle diverse fasi previste (12).

2.4.2.

Le proposte di regolamenti, d’altro canto, restano alquanto aperte, lasciando spazio sufficiente all’invenzione e alla creatività per far fronte a tale questione in maniera pratica. Il presente parere potrebbe offrire alcuni spunti su come procedere in merito. Innanzitutto, la politica di coesione e il semestre europeo si potrebbero considerare interconnessi, dato che sono strettamente legati fra loro e presentano enormi potenzialità di miglioramento della situazione attuale.

2.4.3.

Gli investimenti e gli interventi della politica di coesione si sarebbero potuti concentrare prevalentemente sugli ambiti evidenziati dal processo del semestre europeo, in particolare laddove sono state individuate carenze di investimenti attraverso piattaforme statistiche come il quadro di valutazione della situazione sociale. È necessario adeguare le tempistiche per l’attuazione degli obiettivi politici (la politica di coesione ha generalmente un orizzonte settennale, mentre le raccomandazioni specifiche per paese hanno una durata più breve, solitamente pari a un anno/un anno e mezzo).

2.4.4.

Per quanto riguarda i singoli Stati membri, questi ambiti potrebbero essere individuati mediante il quadro di valutazione dei principali indicatori macroeconomici, di bilancio e strutturali, pubblicato ogni anno a novembre all’inizio del nuovo ciclo del semestre europeo, utilizzando in particolare la procedura dei programmi nazionali di riforma, successivamente convertiti nelle relazioni contenenti le raccomandazioni specifiche per paese.

2.4.5.

Anche la proposta riguardante il nuovo QFP 2021-2027 dovrà basarsi su una maggiore flessibilità e concentrazione tematica. Gli strumenti della politica di coesione potrebbero pertanto essere adattati in maniera flessibile alle reali necessità specifiche del singolo Stato membro.

2.4.6.

Le posizioni divergenti presenti nelle relazioni reciproche possono, tuttavia, indicare che le prestazioni del semestre europeo possono fungere da strumento per sollecitare buoni risultati o fornire un approccio chiaramente differenziato e proporzionato alle sanzioni (13) in caso di risultati scarsi (14). I paesi che conseguono buoni risultati nel semestre europeo, rispettando la disciplina macroeconomica e reagendo in modo responsabile alle raccomandazioni specifiche per paese, potrebbero essere incentivati con una sorta di bonus sotto forma di assegnazione di fondi supplementari a titolo della politica di coesione (FESR, FSE+ o FC), mentre la base finanziaria dei paesi che presentano risultati scarsi e che ignorano le raccomandazioni specifiche potrebbe essere ridotta in misura proporzionale (15).

2.4.7.

La proposta di un nuovo QFP 2021-2027 privilegia inoltre le sinergie tra diversi capitoli e programmi del QFP. Il semestre europeo individua le necessità di riforme più importanti dal punto di vista di ciascuno Stato membro. Una proposta presenta persino un nuovo programma di sostegno alle riforme. Sarebbe oltremodo necessario adottare (nella pratica) un sistema di gestione comune degli strumenti della politica di coesione e dei programmi di sostegno alle riforme (16), nella migliore delle ipotesi a livello di un determinato programma operativo della politica di coesione. In tal caso si potrebbero creare condizioni ottimali per le sinergie (17).

2.4.7.1.

Lo stesso vale per il programma InvestEU (anch’esso basato in parte sull’assegnazione volontaria di finanziamenti per la coesione a questo strumento finanziario centralizzato da parte degli Stati membri).

2.4.8.

Per il QFP 2021-2027 potrebbe presentarsi un ostacolo strategico, in quanto la strategia Europa 2020 non avrà un successore. C’è da chiedersi seriamente se il documento di riflessione sul futuro sostenibile dell’Europa abbia davvero l’ambizione di svolgere tale funzione. Di recente, esso ha svolto un ruolo importante nella definizione delle prossime priorità d’investimento della politica di coesione specifiche per paese (relazioni per paese, pubblicate nel febbraio 2019 (18)) e delle esigenze di investimento (previsioni di primavera del maggio 2019 (19)).

2.4.8.1.

Al momento, nel processo del semestre e in altri strumenti politici, gli obiettivi principali della strategia dell’UE includono i punti di misurazione principali dei progressi e fungono da punto di partenza per una nuova strategia per il 2030.

2.4.9.

Nel caso in cui la nuova strategia per il 2030 fosse elaborata tardivamente, per un periodo transitorio si potrebbe raccomandare di inserire una pratica per l’elaborazione di una strategia a medio (o lungo) termine tra le tappe del semestre europeo (ad esempio, la strategia 2021+ potrebbe essere pubblicata, a grandi linee, nel 2020, seguita ogni due o tre anni da relazioni sulle prestazioni effettive e i risultati ottenuti).

2.4.10.

Di conseguenza, il CESE sta prendendo in considerazione un nuovo approccio strategico che produrrebbe una politica di coesione fortemente incentrata su priorità effettive (basate sulle prestazioni e orientate ai risultati), tematicamente concentrate, ben equilibrate e integrate, credibili (basate sull’analisi), attuate in maniera professionale e attente alla questione della titolarità da parte di tutti i portatori di interessi pertinenti.

2.5.    Il ruolo del semestre nell’attuazione della coesione sociale

2.5.1.

Il rafforzamento della coesione sociale e il ripristino della fiducia dei cittadini europei sono due elementi che vanno di pari passo.

2.5.2.

Il pilastro europeo dei diritti sociali contribuisce in larga misura ad entrambi gli elementi fornendo, tra l’altro, sostegno e orientamenti agli Stati membri che stanno attuando riforme volte a creare posti di lavoro sostenibili e di qualità con un significativo valore aggiunto.

2.5.3.

A tale riguardo, il quadro di valutazione della situazione sociale e i relativi indicatori dovrebbero essere utilizzati come strumento principale, non solo per misurare i risultati di una regione o di uno Stato membro nei settori coperti dal pilastro europeo dei diritti sociali, ma anche per individuare eventuali carenze di investimenti e per orientare i finanziamenti FSE+ nel modo più efficiente possibile.

2.5.4.

Il riferimento statistico dovrebbe essere utilizzato per individuare le lacune in materia di investimenti in ciascuno Stato membro e per orientare gli investimenti e le raccomandazioni politiche laddove risultino più utili in termini di inclusione sociale.

2.5.5.

È opportuno prestare molta attenzione ai recenti lavori, alla disuguaglianza di genere (20), alla lotta contro la disoccupazione e, in particolare, ai giovani e alle persone più lontane dal mercato del lavoro, come le persone con disabilità e con esigenze specifiche. Particolare attenzione richiedono inoltre i soggetti dotati di conoscenze solo scarse o inesistenti in materia di informatica e tecnologie digitali.

2.5.6.

Il pilastro europeo dei diritti sociali dovrebbe essere utilizzato come strumento per misurare le raccomandazioni rivolte agli Stati membri. I 20 principi del pilastro dovrebbero servire da indicatori per valutare in che misura i paesi siano riusciti a integrare il loro impegno a favore del pilastro sociale nelle rispettive politiche economiche.

2.5.7.

Ci si potrebbe domandare come far intervenire il pilastro europeo dei diritti sociali durante l’attuazione del semestre europeo per consolidare e rafforzare, piuttosto che sovraccaricare, il processo.

2.5.8.

La stessa risposta positiva continua a riproporsi: occorre una strategia ben definita con collegamenti orizzontali e trasversali tra le suddette politiche. Questa nuova strategia europea globale per il futuro sostenibile dell’Europa potrebbe garantire l’attuazione attraverso il valido meccanismo di coordinamento del semestre.

2.6.    Dobbiamo garantire l’ordine nella diversità

2.6.1.

Allegata al regolamento sulle disposizioni comuni (21) vi è una raccolta completa delle diverse politiche europee che, in linea con i 17 OSS, evidenzia la pressoché totale impossibilità di garantirne il coordinamento. A ciò si aggiungono i 20 obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali. Per chiarire e semplificare la situazione, la politica regionale di sviluppo e di coesione per il periodo successivo al 2020 si è concentrata esclusivamente su cinque priorità di investimento:

un’Europa più intelligente grazie all’innovazione, alla digitalizzazione, alla trasformazione economica e al sostegno alle piccole e medie imprese;

un’Europa più verde, priva di emissioni di carbonio, che dia attuazione all’accordo di Parigi e investa nella transizione energetica, nelle energie rinnovabili e nella lotta ai cambiamenti climatici;

un’Europa più connessa, con reti di trasporto e digitali strategiche;

un’Europa più sociale, che realizzi il pilastro europeo dei diritti sociali e sostenga un’occupazione di qualità, l’istruzione, le competenze (secondo il CESE la formazione professionale e l’apprendimento permanente sono particolarmente importanti), l’inclusione sociale e un accesso equo all’assistenza sanitaria;

un’Europa più vicina ai suoi cittadini, che sostenga strategie di sviluppo locali e uno sviluppo urbano sostenibile (di cui il CESE metterebbe in risalto la dimensione periferica e rurale) in tutta l’UE.

2.6.2.

Per dimostrare la complessità del compito di elaborare una nuova strategia globale 2030 per l’Europa, il documento di riflessione ha definito i seguenti temi principali della visione dell’UE sullo sviluppo sostenibile:

sviluppo sostenibile per migliorare le condizioni di vita delle persone (il CESE sottolinea l’importanza, in questo caso, delle condizioni di lavoro): i vantaggi competitivi dell’Europa;

le sfide da fronteggiare a livello unionale e globale;

la transizione verso un’Europa sostenibile entro il 2030;

l’UE quale precursore dello sviluppo sostenibile a livello mondiale;

scenari per il futuro (22).

2.7.    La necessità di un nuovo coordinamento della governance

2.7.1.

Sfruttando la grande opportunità offerta dall’imminente insediamento di una nuova Commissione, la strategia globale post 2020, con il suo impulso nuovo e innovativo e la sua attenzione rivolta allo sviluppo sostenibile, rappresenterà di fatto uno strumento d’azione, che troverà la sua forza nel processo del semestre e in una nuova struttura di governance in seno alla Commissione.

2.7.2.

Alla luce dell’attuale deficit democratico e attuativo che si va via via manifestando nel caso di Europa 2030, un numero crescente di portatori di interesse ha manifestato la forte necessità di una democrazia più partecipativa, di migliori relazioni industriali (maggiore partecipazione dei lavoratori), di democrazia in tutti i settori dell’economia e di un’attuazione efficace degli obiettivi della strategia. Una strategia a lungo termine rinnovata potrebbe contribuire in modo significativo all’attuazione di una governance economica europea orientata a una maggiore competitività e a un più ampio sviluppo, purché opportunamente coordinata nel quadro del semestre.

2.7.3.

Tale obiettivo può essere raggiunto solo attraverso l’adozione di misure decisive e attentamente studiate per garantire il coinvolgimento attivo della società civile organizzata nel processo. Si potrebbero pertanto istituire all’interno della struttura del CESE un centro informazioni a sportello unico (23), una piattaforma per lo scambio di informazioni o una specie di centro di competenza virtuale e fisico, senza oneri amministrativi o finanziari supplementari, con la funzione precipua di occuparsi delle problematiche connesse all’attuazione della strategia UE 2030 (ad esempio la scarsa titolarità nazionale, i quadri istituzionali poco chiari e la subordinazione del pilastro sociale). Per garantire un coordinamento e una razionalizzazione efficaci, i compiti e le procedure correlate, come pure la gestione della cooperazione tra le agenzie, dovrebbero essere coordinati a livello paneuropeo e nazionale.

2.7.4.

Il modello dello sportello unico potrebbe essere opportunamente applicato in qualsiasi ambito in cui è garantito un punto di accesso unico come base per una piattaforma integrata per la condivisione delle informazioni e la consultazione, favorendo ulteriormente il processo decisionale e l’elaborazione delle politiche. In considerazione della natura consultiva dei compiti attribuiti al CESE, della sua rete consolidata di consigli economici e sociali nazionali, e delle relazioni interistituzionali, il modello a sportello unico potrebbe rappresentare uno strumento senza uguali per svolgere consultazioni e agevolare l’attuazione di Europa 2030. Potrebbe coinvolgere il più ampio ventaglio possibile di portatori di interessi della società civile nella raccolta e nella condivisione delle informazioni sul conseguimento delle priorità di Europa 2030 a livello regionale/nazionale e paneuropeo.

2.7.5.

Il centro informazioni a sportello unico del CESE potrebbe occuparsi delle questioni inerenti al deficit attuativo e democratico nel funzionamento dell’UE. L’istituzione del gruppo Semestre europeo in seno alla sezione ECO è stato un primo passo verso la realizzazione di un nuovo tipo di centro informazioni volto a garantire maggiore visibilità al CESE nel panorama istituzionale.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Regolamento recante disposizioni comuni 2021-2027 COM(2018) 375 final.

(2)  Accordi tra la Commissione europea e singoli paesi dell'UE. Questi accordi stabiliscono i piani delle autorità nazionali per l’utilizzo dei finanziamenti dei fondi strutturali e di investimento europei.

(3)  Parere del CESE sul tema Regolamento recante disposizioni comuni 2021-2027, GU C 62 del 15.2.2019, pag. 83, e parere del CESE sul tema Il futuro della politica di coesione nel periodo successivo al 2020, GU C 228 del 5.7.2019, pag. 50.

(4)  Semestre europeo 2019: comunicazione sulle relazioni per paese, COM(2019) 150 final.

(5)  Il piano di investimenti per l'Europa e il programma InvestEU (2021-2027).

(6)  Parere del CESE sul tema Il quadro finanziario pluriennale 2021-2027, GU C 440 del 6.12.2018, pag. 106.

(7)  Parere del CESE sul tema Programma di sostegno alle riforme, GU C 62 del 15.2.2019, pag. 121.

(8)  Parere del CESE sul tema Ascoltare i cittadini d’Europa per un futuro sostenibile (Sibiu e oltre), GU C 228 del 5.7.2019, pag. 37.

(9)  Parere del CESE sul tema Il futuro dell’UE: benefici per i cittadini e rispetto dei valori europei, GU C 228, del 5.7.2019, pag. 57.

(10)  Parere del CESE sul tema Il futuro della politica di coesione nel periodo successivo al 2020, GU C 228 del 5.7.2019, pag. 50.

(11)  Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, COM(2018) 321 final e Allegato del QFP 2021-2027.

(12)  Parere del CESE sul tema Il quadro finanziario pluriennale 2021-2027, GU C 440 del 6.12.2018, pag. 106.

(13)  Parere del CESE sul tema Ascoltare i cittadini d'Europa per un futuro sostenibile (Sibiu e oltre), GU C 228 del 5.7.2019, pag. 37, punto 11.4.

(14)  Regolamento recante disposizioni comuni 2021-2027, COM(2018) 375 final.

(15)  The legal nature of Country Specific Recommendations [La natura giuridica delle raccomandazioni specifiche per paese], Parlamento europeo, giugno 2017.

(16)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma di sostegno alle riforme, COM(2018) 391 final.

(17)  Parere del CESE sul tema Programma di sostegno alle riforme, GU C 62 del 15.2.2019, pag. 121.

(18)  Semestre europeo 2019: comunicazione sulle relazioni per paese, COM (2019) 150 final.

(19)  Previsioni economiche per l'Europa. Primavera 2019.

(20)  Pareri del CESE sul tema Parità di genere nei mercati del lavoro europei, GU C 110, del 22.3.2019, pag. 26, e Questioni della parità di genere, GU C 240, del 16.7.2019, pag. 3, punto 1.4.

(21)  Regolamento recante disposizioni comuni 2021-2027, COM(2018) 375 final.

(22)  Documento di riflessione — Verso un’Europa sostenibile entro il 2030, COM(2019) 22 final.

(23)  Parere del CESE sul tema I progressi compiuti nell’attuazione della strategia Europa 2020 e i modi di conseguirne gli obiettivi entro il 2020, GU C 251 del 31.7.2015, pag. 19.


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Il nuovo ruolo dei servizi pubblici per l’impiego nel quadro dell’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/08)

Relatrice: Vladimíra DRBALOVÁ

Decisione dell’assemblea plenaria

20.2.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

8.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

156/7/10

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE apprezza il contributo della rete dell’Unione di servizi pubblici per l’impiego alla modernizzazione e al rafforzamento dei servizi pubblici per l’impiego (SPI), e chiede una sinergia tra la sua strategia aggiornata per il periodo successivo al 2020 e i principi del pilastro europeo dei diritti sociali.

1.2.

Il CESE ha individuato alcuni settori in cui è necessario un impegno maggiore, basato sul partenariato con tutti i soggetti interessati, le parti sociali, le organizzazioni della società civile, le imprese e i servizi privati per l’impiego, al fine di compiere uno sforzo concertato per realizzare una migliore integrazione delle persone in cerca di lavoro nel mercato del lavoro.

1.3.

Un ruolo innovativo dei servizi pubblici per l’impiego nell’attuazione delle politiche nazionali in materia di occupazione e mercato del lavoro e nella garanzia di servizi più efficienti per le imprese dev’essere adeguatamente sostenuto a livello nazionale attraverso una capacità sufficiente, personale qualificato, attrezzature informatiche e tecniche pertinenti per la digitalizzazione della società, nonché sostegno finanziario.

1.4.

Il CESE chiede una cooperazione più sistematica e strutturale tra servizi pubblici per l’impiego e altri prestatori di servizi in campo sociale e occupazionale, per rimediare ai molteplici tipi di ostacoli che le persone in cerca di impiego affrontano per entrare nel mercato del lavoro (questioni sanitarie, alloggio, trasporti). La modernizzazione degli SPI è un processo complesso, e la mancanza di coordinamento, programmazione, pianificazione e ripartizione delle responsabilità a livello nazionale e/o regionale conduce alla frammentazione. La partecipazione attiva e regolare delle parti sociali all’attività degli SPI è fondamentale per mappare le opportunità di lavoro a livello locale e contribuire ad affrontare gli squilibri tra domanda e offerta sul mercato del lavoro.

1.5.

Il CESE chiede sinergie più strette tra i servizi degli SPI e i sistemi previdenziali e di infrastrutture sociali, al fine di rafforzare l’assistenza fornita ai disoccupati nella ricerca di un lavoro e di evitare che coloro che cercano un’occupazione siano penalizzati quando rientrano nel mercato del lavoro.

1.6.

Il CESE chiede un maggiore sostegno finanziario per gli Stati membri e auspica che il Fondo sociale europeo Plus (FSE+), introdotto di recente con il nuovo quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027, diventi un autentico strumento dell’UE per investire nelle persone e attuare il pilastro europeo dei diritti sociali.

1.7.

Il CESE ritiene che occorra compiere sforzi maggiori per monitorare, valutare e confrontare i servizi degli SPI, in modo da determinare la loro reale efficacia nell’aiutare le persone in cerca di lavoro a trovarne uno. L’adozione di norme e orientamenti comuni a livello europeo potrebbe contribuire all’efficacia degli SPI. Si dovrebbero utilizzare maggiormente fonti di dati come l’indagine sulle forze di lavoro, e agenzie come Eurofound possono contribuire a tale monitoraggio.

1.8.

Il CESE chiede che vengano rivedute le vigenti disposizioni sulla misurazione dei risultati dei programmi di lavoro degli SPI, per garantire che i servizi vadano a beneficio di tutte le categorie di persone, e specialmente di quelle che fanno fronte a molteplici problemi.

2.   Introduzione

2.1.

Il pilastro europeo dei diritti sociali (EPSR) è stato istituito il 17 novembre 2017 a Göteborg, durante il vertice sociale dell’UE, a seguito di una proclamazione interistituzionale da parte del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. Tale pilastro dovrebbe condurre a una maggiore considerazione degli aspetti occupazionali e sociali, contribuire a rendere il modello sociale europeo all’altezza delle sfide del XXI secolo e stimolare il processo di convergenza tra gli Stati membri.

2.2.

I 20 principi fondamentali del pilastro europeo dei diritti sociali sono strutturati in tre categorie principali: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque e protezione sociale e inclusione. La questione principale, in Europa, consiste nel loro esercizio e attuazione effettivi, alla luce dei rapidi mutamenti in atto nel contesto sociale, giuridico ed economico.

2.3.

Secondo l’analisi annuale della crescita 2019, l’economia europea sta entrando nel sesto anno di crescita costante. Questa notevole crescita economica è stata accompagnata da una ripresa degli investimenti, dall’aumento della domanda dei consumatori, da migliori finanze pubbliche e dalla costante creazione di posti di lavoro, anche se a ritmi diversi nei vari paesi. Tali sviluppi hanno contribuito a migliorare sostanzialmente i mercati del lavoro e le condizioni sociali. Il tasso di occupazione delle persone tra i 20 e i 64 anni è salito al 73,2 % nel secondo trimestre del 2018. Il tasso di disoccupazione è sceso al 6,8 %, e sono in calo anche i tassi di disoccupazione di lunga durata e giovanile. Tuttavia, a giudizio del Comitato, vi sono grandi differenze tra gli Stati membri, i quali non presentano tutti lo stesso livello di crescita economica e di aumento dell’occupazione. Occorre dedicare particolare attenzione al miglioramento della qualità dei posti di lavoro creati, tra l’altro per contrastare le disuguaglianze sociali.

2.4.

Sulla scia del miglioramento delle condizioni del mercato del lavoro, il numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale (113 milioni nel 2017) è sceso per la prima volta, in alcuni paesi, al di sotto dei livelli precedenti la crisi. Tuttavia, la povertà lavorativa continua ad essere elevata ed è in aumento in diversi Stati membri. Il rischio di povertà rimane una sfida, in particolare per i bambini, le persone con disabilità, le persone provenienti da un contesto migratorio e i disoccupati.

2.5.

Nella relazione comune sull’occupazione si afferma che le politiche attive del mercato del lavoro e i servizi pubblici per l’impiego sono essenziali per garantire mercati del lavoro efficienti e inclusivi. Le politiche attive del mercato del lavoro migliorano la corrispondenza tra domanda e offerta di lavoro e aumentano le probabilità di trovare un nuovo impiego per chi lo cerca.

3.   Servizi pubblici per l’impiego e futuro del lavoro

3.1.

I mercati del lavoro e le società sono in rapida evoluzione: nuove opportunità e nuove sfide emergono dalla globalizzazione, dalla rivoluzione digitale, dal mutamento dell’organizzazione del lavoro e dagli sviluppi socioculturali e demografici. Le sfide, come le persistenti diseguaglianze, la disoccupazione di lunga durata e giovanile o la solidarietà tra le generazioni, sono spesso simili negli Stati membri, anche se incidono in misura diversa. La rivoluzione tecnologica in corso si caratterizza in particolare per un ritmo di cambiamento più rapido.

3.2.

La forza lavoro non è mai stata così diversificata e istruita. La popolazione attiva del XXI secolo è molto diversa, e l’atteggiamento dei singoli nei confronti del lavoro sta cambiando. Se e quando i lavoratori ricercano più libertà sul lavoro e più libertà di scelta, e le modalità di ricerca di un impiego si traducono in un’individualizzazione delle condizioni di lavoro, occorrerebbe che le condizioni di lavoro venissero rese chiare mediante un dialogo sociale e un contratto collettivo. Le persone dovrebbero essere in grado di dispiegare le loro potenzialità utilizzando pienamente le loro qualificazioni, capacità e competenze, e di ottenere un posto di lavoro di qualità e produttivo, con un’adeguata protezione sociale.

3.3.

Un ruolo importante è svolto dalla rete dell’Unione di servizi pubblici per l’impiego, istituita il 17 giugno 2014 e che sarà operativa fino al 31 dicembre 2020. Nel 2018 è stata avviata una valutazione, per esaminare la pertinenza, l’efficienza, l’efficacia, la coerenza e il valore aggiunto UE della decisione di creare tale rete. Nel parere sugli SPI (1) il CESE ha accolto favorevolmente la proposta della Commissione di istituire una rete europea degli SPI.

3.4.

La Strategia per il 2020 e oltre della rete europea di SPI rispecchia i recenti sviluppi sui mercati del lavoro, comprese le economie emergenti delle piattaforme, le nuove forme di lavoro, le carenze di manodopera, la mobilità della forza lavoro, una base più eterogenea di clienti degli SPI e la necessità di utilizzare le nuove tecnologie digitali e attingere a fonti di dati più ricche.

3.5.

A livello nazionale sono state già adottate numerose misure positive in coordinamento con la rete europea degli SPI. Gli SPI nazionali hanno svolto, in alcuni paesi, un ruolo molto importante nell’attuazione della garanzia dell’UE per i giovani, aiutando i giovani, in particolare i NEET, ad entrare più rapidamente nel mercato del lavoro o a reinserirsi nel mondo dell’istruzione. Gli SPI nazionali hanno attuato anche delle misure tratte dall’iniziativa dell’UE incentrata su una migliore integrazione dei disoccupati di lunga durata attraverso una migliore registrazione e contratti di lavoro integrati. Inoltre, sin dal 2015 hanno messo all’ordine del giorno l’integrazione nel mercato del lavoro dei rifugiati e dei richiedenti asilo.

3.6.

Tuttavia, le esperienze del CESE mostrano che l’efficacia degli SPI e la loro capacità di adeguarsi al mutare delle circostanze, di affrontare nuove sfide nel mondo del lavoro e di integrare con successo le persone in questi mercati del lavoro transitori differiscono a seconda degli Stati membri. La loro capacità personale, tecnica e finanziaria è sottovalutata in molti casi, e in alcuni Stati membri.

3.7.

Occorrerebbe promuovere più efficacemente una speciale categoria professionale di consulenti del lavoro, e sviluppare una corretta integrazione delle banche dati per un’effettiva corrispondenza tra imprese e lavoratori. In alcuni paesi gli SPI sono integrati o sostituiti da agenzie per l’impiego private e dai consulenti del lavoro. La cooperazione con le imprese è essenziale, insieme alla partecipazione attiva delle parti sociali anche a livello locale, al fine mappare le opportunità di lavoro a livello nazionale e territoriale. Il tasso di successo dei servizi degli SPI dovrebbe essere misurato anche dal punto di vista dei datori di lavoro.

4.   I servizi pubblici per l’impiego dal punto di vista del pilastro europeo dei diritti sociali

4.1.

Dalla proclamazione del pilastro europeo dei diritti sociali, la rete nazionale e quella UE di servizi pubblici per l’impiego dovrebbero essere più innovative nel sostenere lo scopo del pilastro e nell’attuare i suoi principi fondamentali.

4.2.

Nel 2017 la rete europea degli SPI ha presentato un contributo ufficiale alla consultazione della Commissione europea sul pilastro europeo dei diritti sociali. Nel 2018 essa ha elaborato il proprio documento sul futuro del lavoro. Questa attività ha offerto alla rete l’opportunità di esaminare il modo in cui la strategia 2020 per gli SPI potrebbe essere adattata per garantire che continui ad essere efficace, in quanto gli SPI cercano di rispondere alle nuove sfide di un mercato del lavoro in rapida evoluzione e di diventare vere e proprie agenzie di orientamento professionale. Gli SPI stanno lavorando alla modernizzazione della propria organizzazione al fine di offrire ai clienti servizi contraddistinti da capacità, flessibilità e responsabilità (AAA nella sigla inglese), contribuendo a rendere il mercato del lavoro più sostenibile e inclusivo.

5.   Il nuovo ruolo degli SPI dal punto di vista del CESE

5.1.

Il CESE accoglie con favore le priorità del programma di lavoro della rete UE degli SPI per il 2019 e chiede una maggiore interazione tra i principi del pilastro europeo dei diritti sociali e gli strumenti della rete per l’analisi comparativa e l’apprendimento reciproco. Ciò può contribuire sia a una migliore integrazione dei servizi degli SPI, sia all’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali.

5.2.

Nel novembre 2018 l’Osservatorio del mercato del lavoro (OML) del CESE ha organizzato un convegno sui servizi pubblici per l’impiego nel contesto dell’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali. Gli esempi forniti hanno confermato la necessità di una complementarità tra i servizi per l’impiego pubblici e privati, e hanno evidenziato i vantaggi concreti di una buona cooperazione tra SPI e parti sociali. La proattività degli SPI, la creazione di uno sportello unico per le imprese, i corsi di formazione congiunti tra SPI e imprese sono risultati nel complesso fondamentali per offrire posti di lavoro sostenibili.

5.2.1.

Il CESE incoraggia la ricerca di una risposta migliore alle richieste e alle offerte di lavoro e maggiori incentivi sia per i datori di lavoro che per i lavoratori (ad esempio consentendo ai percettori di salario minimo di mantenere alcuni benefici sociali legati alla disoccupazione), e auspica un giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza occupazionale, da cui risultino contratti di lavoro più stabili. L’Europa è ancora lungi dallo sfruttare pienamente il potenziale della forza lavoro disponibile, e dovrebbe sostenere delle imprese sostenibili, tra l’altro mettendole in condizione di creare un numero maggiore di posti di lavoro di qualità e produttivi.

5.2.2.

In un precedente parere (2), il CESE osservava che l’accesso ai sistemi di protezione sociale è un elemento chiave per pervenire a società più giuste e costituisce una componente essenziale di una forza lavoro attiva, sana e produttiva. L’UE dovrebbe migliorare il modo in cui l’attuale metodo aperto di coordinamento aiuta gli Stati membri a valutare i progressi verso le riforme e a migliorare i risultati delle loro politiche per l’occupazione e dei sistemi nazionali di protezione e di previdenza sociale. Si dovrebbero garantire sinergie più strette tra i servizi degli SPI e i sistemi previdenziali e di infrastrutture sociali, al fine di rafforzare l’assistenza fornita ai disoccupati nella ricerca di un lavoro e di evitare che coloro che cercano un’occupazione siano penalizzati quando rientrano nel mercato del lavoro.

5.2.3.

Mobilità: per il CESE, la libera circolazione dei lavoratori basata sulla non discriminazione e sulla parità di trattamento e la rimozione dei rimanenti ostacoli alla mobilità continuano ad essere una delle priorità dell’Unione europea. Nel parere su EURES (3), il CESE chiede uno strumento concreto per far coincidere l’offerta e la domanda sul mercato del lavoro europeo in stretta collaborazione con i servizi pubblici nazionali per l’impiego. La mobilità dei lavoratori in tutta l’UE è connessa agli sforzi in atto per modernizzare il sistema di coordinamento della sicurezza sociale e renderlo più equo per tutti gli Stati membri. In particolare nel caso delle prestazioni di disoccupazione per i lavoratori transfrontalieri, occorre applicare il principio della lex loci laboris per determinare lo Stato membro competente, salvo diverso accordo tra gli Stati membri.

5.2.4.

Competenze adeguate al mercato del lavoro: la dimensione sociale dell’istruzione, quale prevista nel primo principio del pilastro europeo dei diritti sociali, sancisce che ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi. Inoltre, la crescente carenza di manodopera sul mercato del lavoro in Europa sta mettendo a repentaglio la crescita futura. Occorrerebbe promuovere una più stretta cooperazione tra gli SPI, le parti sociali, le imprese, i consigli regionali per l’occupazione e le competenze e altre strutture regionali pertinenti, per superare le disparità regionali e offrire un adeguato orientamento professionale, opportunità di riconversione e riqualificazione e trasformazione professionale a quanti cercano lavoro o rischiano di perderlo, con responsabilità condivise tra i vari soggetti. Anche l’attivazione dei lavoratori autonomi dovrebbe figurare tra queste misure.

5.2.5.

Cooperazione con le parti sociali: nell’elaborazione della politica sociale dell’UE occorre dare più spazio alle parti sociali, nel pieno rispetto della loro autonomia. Nel loro ruolo di attori principali del mercato del lavoro e in collaborazione con gli SPI nazionali, esse possono contribuire in modo significativo alla mappatura delle opportunità lavorative anche a livello locale, facilitando la transizione delle persone nel mercato del lavoro o al suo interno, sostenendo i disoccupati in cerca di un impiego e aiutando le imprese nella ricerca di risorse umane nonché aiutando i giovani e gli adulti a scegliere i percorsi di riqualificazione più adeguati (ADEM nel Lussemburgo).

5.2.6.

Società civile: il CESE rappresenta una gamma di organizzazioni della società civile e ha già formulato numerosi pareri su alcuni dei principi contemplati dal pilastro europeo dei diritti sociali. Il valore aggiunto delle organizzazioni della società civile è la loro vicinanza alla situazione sul campo e la loro dimestichezza con le esigenze di diversi gruppi (migranti, persone con disabilità, giovani, diritti delle donne): tali organizzazioni possono effettivamente contribuire a rendere più mirate le attività degli SPI (potrebbe rientrare in tale contesto, per esempio, il ruolo dei consulenti del lavoro in Italia).

5.2.7.

Cooperazione con i servizi per l’impiego privati: l’esperienza mostra che il coinvolgimento e l’integrazione su base paritaria dei servizi pubblici e privati possono rivelarsi efficaci nell’influire positivamente sulla realizzazione di un mercato del lavoro realmente inclusivo e sostenibile. Tale complementarità dev’essere sostenuta. Le previsioni e i pronostici sul mercato del lavoro sono sempre molto difficili. Le esigenze del mercato del lavoro cambiano molto rapidamente, ed è essenziale disporre di dati affidabili. Tuttavia, i mercati del lavoro inclusivi che auspichiamo richiedono l’inclusione di tutti.

6.   Lacune persistenti nell’assistenza mirata da parte degli SPI

6.1.

Il CESE apprezza il fatto che i principali gruppi di destinatari siano contemplati nei programmi di lavoro sia delle reti europee di SPI che degli SPI nazionali. Sottolinea, tuttavia, che vi sono ancora delle lacune e che gli SPI devono integrare maggiormente il principio della diversità e della non discriminazione nella loro attività quotidiana. Questo sforzo dev’essere proseguito o intensificato, in particolare per quanto riguarda le seguenti categorie:

6.1.1.

Giovani: il CESE accoglie con favore il raddoppio del sostegno finanziario per l’attuazione della garanzia per i giovani. Gli SPI dovrebbero investire in un approccio a lungo termine alla fornitura di servizi ai giovani in cerca di lavoro, compreso un uso migliore degli strumenti delle TIC e di Internet per rafforzare i servizi ai gruppi più vulnerabili di giovani Gli SPI dovrebbero potenziare l’assistenza individuale ai giovani, cooperare con le loro famiglie e informarli correttamente sulla situazione del mercato del lavoro.

6.1.2.

Adulti: l’invecchiamento della popolazione in Europa, la maggiore longevità nella società e la necessità di promuovere la cooperazione intergenerazionale, l’accelerazione dei cambiamenti nel mercato del lavoro, le forme emergenti di lavoro e la penetrazione delle tecnologie digitali in tutti gli aspetti della vita quotidiana hanno dato luogo a una domanda crescente di nuove competenze e di un livello più elevato di abilità, conoscenze e qualificazioni. Ciò rende ancora più urgente la necessità di migliorare le competenze o riqualificare tutti coloro che non dispongono di competenze di base o che non hanno ottenuto una qualifica, per garantirne l’occupabilità e la cittadinanza attiva.

6.1.3.

Donne: il CESE accoglie con favore la direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare (WLB) (4), che aiuta i genitori e i prestatori di assistenza, e in particolare le donne, a organizzare meglio il proprio lavoro e i compiti quotidiani. A questo dovrebbero essere aggiunti i necessari investimenti nelle infrastrutture sociali, ad esempio per l’assistenza ai bambini e agli anziani. Ciò comprende anche un’efficace assistenza da parte degli SPI nazionali per l’integrazione delle donne nel mercato del lavoro, nel rispetto dell’approccio WLB.

6.1.4.

Persone con disabilità: le persone con disabilità rappresentano circa un sesto della popolazione complessiva dell’UE in età lavorativa, ma il loro tasso di occupazione è relativamente basso. Questo è stato il messaggio principale dell’audizione organizzata dal CESE nel 2017. In particolare, le donne e le ragazze con disabilità (5) continuano a far fronte ad una discriminazione multipla e intersezionale, dovuta sia al loro genere che alla loro disabilità. Troppo spesso sono escluse, tra l’altro, da un’istruzione e una formazione inclusive, dall’occupazione, dall’accesso ai programmi di riduzione della povertà, da un alloggio adeguato e dalla partecipazione alla vita politica e pubblica. Esse hanno bisogno di un’assistenza specifica e di un approccio individuale da parte degli SPI.

6.1.5.

Migrazione: la migrazione legale può svolgere un ruolo importante per il buon funzionamento dei mercati del lavoro. Nel parere al riguardo (6) il CESE ha sottolineato l’importanza di una politica coerente in materia di migrazione e di un quadro normativo ben congegnato, affermando che, senza la migrazione, il modello economico e sociale europeo è in pericolo. Integrare i rifugiati che hanno il diritto di rimanere in Europa in attività di formazione, nell’occupazione e nella società in generale continuerà ad essere importante. In molti paesi gli SPI hanno già lanciato un gran numero di iniziative per contribuire a questo obiettivo.

6.1.6.

Minoranza Rom: il CESE è molto attivo sulle questioni legate alle condizioni di vita e di lavoro della comunità Rom, e presta particolare attenzione alla questione di una migliore integrazione (7). Il CESE ravvisa una sinergia tra l’attuazione del principio di parità di accesso del pilastro europeo dei diritti sociali e ulteriori iniziative per una più efficace integrazione dei Rom. L’assistenza alle donne Rom in particolare dovrebbe essere una priorità per gli SPI.

6.1.7.

La popolazione inattiva non è un gruppo di destinatari tradizionale per gli SPI, sebbene una quota significativa di tali persone intenda lavorare. La rete europea degli SPI ha pubblicato uno studio sul ruolo degli SPI nel raggiungere la popolazione inattiva, che offre una panoramica delle misure di sensibilizzazione rivolte alle persone inattive, con particolare riferimento al ruolo degli SPI. Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a ridefinire le politiche di riattivazione rivolte a questa parte della popolazione.

7.   Un supporto complesso per i servizi pubblici per l’impiego nazionali

7.1.

Gli orientamenti europei per l’occupazione 2019 (orientamento 7) incoraggiano gli Stati membri ad accrescere l’efficacia delle loro politiche attive del mercato del lavoro. Gli Stati membri dovrebbero ambire a servizi pubblici per l’impiego più efficaci, garantendo un’assistenza tempestiva e su misura per assistere le persone in cerca di lavoro, sostenendo la domanda del mercato del lavoro e attuando una gestione basata sui risultati.

7.2.

Per contribuire efficacemente all’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, gli SPI nazionali avranno bisogno di un maggiore sostegno e di condizioni adeguate:

7.2.1.

Risorse umane sufficienti. I servizi complessi degli SPI (ricerca e selezione del personale, ricollocamento, consulenza e assistenza nelle richieste di sostegno al reddito, tirocini) richiedono personale qualificato con competenze specifiche, che operi in condizioni sostenibili e collabori con consulenti del lavoro e agenzie per l’impiego private.

7.2.2.

Affrontare l’evoluzione tecnologica. La digitalizzazione dell’economia e della società crea nuovi strumenti che, se adeguatamente gestiti, possono aiutare gli SPI a svolgere il loro ruolo, compresa la formazione dei propri dipendenti e l’effettiva integrazione delle banche dati, per consentire a imprese e lavoratori di incontrarsi efficacemente e di partecipare a loro volta all’evoluzione delle competenze e dei compiti derivanti dalla nuova era digitale.

7.3.

Il 2 maggio 2018 la Commissione ha adottato una proposta che stabilisce il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027. La proposta riflette l’attuale contesto sociale ed economico e fornisce una risposta tangibile alla richiesta, proveniente dalla cittadinanza europea, di un’Europa più sociale e di maggiori investimenti nelle persone nell’UE. Il Fondo sociale europeo Plus (FSE+) è uno strumento chiave dell’UE per investire nelle persone e attuare il pilastro europeo dei diritti sociali. I servizi pubblici per l’impiego saranno finanziati attraverso la componente Occupazione e innovazione sociale (EaSI) del Fondo sociale europeo Plus (FSE+).

7.4.

Le nuove responsabilità degli SPI, in particolare nel quadro delle politiche attive per l’occupazione, devono trovare riscontro in capacità e in un sostegno finanziario adeguati.

7.5.

Il CESE chiede una cooperazione più sistematica e strutturale tra servizi pubblici per l’impiego e altri prestatori di servizi in campo sociale e occupazionale, per rimediare ai molteplici tipi di ostacoli che le persone in cerca di impiego affrontano per entrare nel mercato del lavoro (questioni sanitarie, alloggio, trasporti). La modernizzazione degli SPI è un processo complesso, e la mancanza di coordinamento, programmazione, pianificazione e ripartizione delle responsabilità a livello nazionale e/o regionale conduce alla frammentazione.

7.6.

Il CESE ritiene che occorra compiere sforzi maggiori per monitorare, valutare e confrontare i servizi degli SPI, in modo da determinare la loro reale efficacia nell’aiutare le persone in cerca di lavoro a trovarne uno. L’adozione di norme e orientamenti comuni a livello europeo potrebbe migliorare l’efficacia degli SPI e le sinergie tra i paesi. Si dovrebbero utilizzare maggiormente fonti di dati come l’indagine sulle forze di lavoro, e agenzie come Eurofound possono contribuire a tale monitoraggio.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 116.

(2)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 135.

(3)  GU C 424 del 26.11.2014, pag. 27.

(4)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 44.

(5)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 20.

(6)  GU C 110 del 22.3.2019, pag. 1.

(7)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 88.


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Insegnare l’Europa - sviluppare una serie di materiali per le scuole»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/09)

Relatore: Gerhard RIEMER

Decisione dell’Assemblea plenaria

20.2.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Sezione Occupazione, affari sociali, cittadinanza (SOC)

Adozione in sezione

8.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

191/4/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE interpreta la dichiarazione di Parigi del 2015 (1) e la raccomandazione del Consiglio (2) del 2018 come un chiaro mandato da parte degli Stati membri, sostenuto dalla risoluzione del PE del 2016 (3), ad ancorare fermamente l’insegnamento e l’apprendimento dell’Unione europea nell’agenda politica. Si tratta di un nuovo punto di partenza per la promozione di una dimensione europea dell’insegnamento e per fornire il necessario sostegno al personale docente.

1.2.

Il CESE ritiene che, in una certa misura, vi sia una carenza di informazioni nel settore dell’istruzione per quanto riguarda la comprensione generale del ruolo dell’UE e della sua influenza sulla vita quotidiana dei cittadini europei. Nonostante l’aumento dell’affluenza alle urne - dal 42,61 % (2014) al 50,95 % (2019) - i risultati delle recenti elezioni europee indicano che è ancora forte l’esigenza di coinvolgere i cittadini, fin dalla più giovane età, in attività di informazione e di educazione sul tema dell’Unione europea.

1.3.

Il CESE chiede che venga dato un nuovo impulso alle attività di educazione all’UE; intende cogliere l’opportunità fornita dal rinnovo del Parlamento europeo, della Commissione europea e, in particolare, dalla nomina di un nuovo commissario per l’istruzione, la cultura, la gioventù e lo sport; è convinto che una particolare attenzione all’educazione dei giovani all’UE debba essere considerata indispensabile per il progressivo sviluppo di un’autentica cittadinanza europea, che, a sua volta, è necessaria per costruire una solida Unione europea.

1.4.

Tramite due nuovi pareri, il CESE intende aumentare il più possibile l’attenzione per l’educazione all’Unione europea (SOC/612) (4) e l’insegnamento dell’Europa a scuola. È importante portare avanti una nuova riflessione su come promuovere un legame migliore tra i cittadini e l’UE ed una maggiore consapevolezza da parte dei primi nei confronti degli interventi, degli obiettivi e dei valori dell’Unione. Per conseguire tale traguardo è opportuno adoperarsi maggiormente al fine di informare meglio le persone sull’UE, in particolare nel primo ciclo di istruzione scolastica, nonché nella formazione professionale e nell’istruzione superiore e in un contesto di apprendimento permanente.

1.5.

A livello dell’UE e degli Stati membri sono state adottate numerose misure per migliorare la situazione, ed è disponibile un ampio ventaglio di materiali e di strumenti eccellenti, che potrebbero fornire ispirazione per lanciare nuove azioni, ma occorre migliorare la visibilità, l’accessibilità e, in generale, le informazioni sulle risorse disponibili. I risultati dello studio realizzato dalla Commissione nel 2013 (5) dimostrano che negli Stati membri esiste un’evidente volontà politica di migliorare la qualità di tali informazioni, ma che vi è ancora molta strada da fare.

1.6.

Il CESE ritiene che sia necessario intraprendere un nuovo studio, basato su una ricerca critica, sulla reale situazione negli Stati membri relativa all’educazione all’UE nelle scuole, alla formazione dei docenti e allo sviluppo professionale continuo. Risulterebbe utile un’analisi degli attuali interventi e programmi scolastici, specialmente quelli relativi all’istruzione primaria e secondaria, e degli sforzi intrapresi dalle organizzazioni della società civile e dalle parti sociali. Lo studio potrebbe essere basato sul documento Learning Europe at School («Apprendere l’Europa a scuola») del 2013.

1.7.

Inoltre, sarebbe estremamente utile e necessario disporre di un inventario dei materiali/delle risorse utilizzati per l’insegnamento e l’apprendimento derivanti da progetti finanziati dall’Unione in questo campo. Una piattaforma contenente tutti questi diversi strumenti, suddivisi per lingua, fascia di età e argomento (simile magari al sito Cosa fa per me l’Europa) potrebbe essere utilizzata per l’insegnamento e l’apprendimento a scuola.

1.8.

Il CESE ritiene che il concetto di programma di studio debba essere inteso in senso più ampio, in modo da includere anche il programma extracurricolare e riconoscere quindi il valore delle attività educative che favoriscono l’apprendimento al di là delle classi e delle materie specifiche, per presentare l’UE nella prospettiva giusta ai giovani e ai cittadini.

1.9.

Il CESE ritiene che dovrebbe essere sviluppato un piccolo kit di materiali (un «pacchetto»di base) per tutti gli istituti scolastici (docenti e discenti) che contribuirebbe a una migliore educazione di tutti i cittadini al tema dell’UE. I contenuti di tali materiali potrebbero assumere forme diverse e dovrebbero essere adeguati ai contesti nazionali e regionali, nonché alle persone con esigenze speciali.

1.10.

Al fine di promuovere un maggiore sostegno politico al miglioramento dell’educazione all’UE, si dovrebbe istituire un gruppo europeo di esperti di alto livello sul tema Insegnare l’Europa , rappresentato dagli Stati membri e composto da esperti di chiara fama. Tale gruppo potrebbe presentare proposte e raccomandazioni strategiche da discutere a livello di ministri dell’Istruzione, che potrebbero dare luogo a conclusioni del Consiglio.

1.11.

Gli insegnanti svolgono un ruolo importante come architetti del futuro. Devono quindi comprendere meglio l’UE e possedere le competenze necessarie per insegnare l’Europa ad allievi di qualsiasi età. Le conoscenze sull’UE sono però carenti e non tutti gli insegnanti hanno esperienza o si sentono abbastanza sicuri per insegnare questa materia in classe. Il CESE chiede pertanto di rivolgere l’attenzione alla formazione degli insegnanti a livello dell’UE e degli Stati membri, e di aiutare gli insegnanti a utilizzare i materiali esistenti e a sfruttare appieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali.

1.12.

Secondo la visione del CESE ogni giovane che termini il proprio ciclo di studi dovrebbe essere in possesso di conoscenze di base sull’UE, avere cioè completato una sorta di percorso di «alfabetizzazione sull’UE». Il CESE è consapevole che insegnare a circa 72 milioni di allievi della scuola primaria e secondaria dell’UE rappresenta una vera e propria sfida ma anche un’opportunità che vale assolutamente la pena di cogliere. In questo ambito si dovrebbe anche prevedere la possibilità per gli studenti di visitare le istituzioni europee, e tale opportunità andrebbe offerta anche agli insegnanti, in modo che acquisiscano un’esperienza diretta, discutano con le diverse organizzazioni e istituzioni (quali il CESE) e tornino poi a casa con una migliore comprensione dell’Europa, del suo ruolo e del modo in cui è organizzata.

2.   Cogliere l’opportunità: una nuova iniziativa al momento giusto

2.1.

Il CESE intende cogliere l’opportunità offerta dal rinnovo della Commissione e del Parlamento europeo e specialmente dalla nomina di un nuovo commissario per l’istruzione, la cultura, la gioventù e lo sport, per richiamare l’attenzione in particolare sull’insegnamento dell’Europa a scuola.

2.2.

Nei precedenti pareri, il CESE ha sottolineato l’importanza di insegnare la storia, i valori, la democrazia, le realizzazioni e la rilevanza dell’UE, quale strumento per rendere l’Unione più significativa per i suoi cittadini. Il sistema di istruzione formale influisce notevolmente sulla percezione del mondo da parte dei giovani e risulta pertanto fondamentale per lo sviluppo della loro comprensione dell’UE.

2.3.

Il presente parere costituisce il seguito del parere SOC/612 (6) e punta a sostenere, rafforzare e intensificare l’invito ad agire nell’ambito dell’educazione all’UE. In questa sede il CESE intende dare maggiore spazio all’Europa e all’educazione all’UE in generale, con particolare attenzione all’insegnamento dell’Europa a scuola.

2.4.

Il futuro dell’Europa e dell’UE verrà definito e realizzato dai nostri giovani, ossia da coloro che oggi siedono ancora sui banchi di scuola e che saranno influenzati dall’ambiente che li circonda, dalle famiglie e dagli amici. È importante quindi coinvolgerli direttamente nelle tematiche relative all’UE e garantire che le scuole forniscano informazioni e opportunità di discussioni critiche e costruttive sui temi inerenti all’UE.

2.5.

A livello di Stati membri, i cittadini hanno scarse informazioni sull’UE, su come funziona e sulle attività che svolge. Ciò vale anche per il ruolo delle istituzioni dell’UE e per l’impatto delle politiche dell’Unione sulla vita dei cittadini europei. L’educazione dei cittadini all’Europa potrebbe, a seconda dei casi, rientrare in un modulo o in una materia specifici o essere integrata in ambiti disciplinari differenti, nei diversi livelli di istruzione, lasciando la libertà di scelta alle autorità nazionali competenti in materia di istruzione e alle scuole.

2.6.

Il ruolo delle scuole e degli insegnanti e la misura e il modo in cui questi ultimi educano i propri studenti all’UE assumono pertanto un’importanza sempre maggiore, specialmente in considerazione del crescente euroscetticismo che si manifesta in alcuni Stati membri.

2.7.

La società tende ad avere sempre maggiori aspettative nei confronti dell’istruzione formale scolastica. Almeno a livello primario e secondario, questo tipo di istruzione dovrebbe mirare a fornire agli studenti le abilità e le competenze necessarie a pensare in modo critico, ad apprendere a interpretare e analizzare le informazioni e a costruirsi una propria opinione, piuttosto che costituire un processo di apprendimento fondato su nozioni. Inoltre dovrebbe puntare a favorire lo sviluppo di un’opinione informata sull’UE. Ma la scuola da sola non può fare tutto, di conseguenza il successo del progetto europeo dipenderà anche da un migliore coordinamento tra le varie strutture dell’istruzione formale, non formale e informale. Va inoltre aggiunto che quanto prima i giovani avranno la possibilità di familiarizzarsi con le tematiche europee, sviluppando quindi un «appetito per l’Europa», tanto più si sentiranno «europei».

2.8.

Allo stesso tempo, tutto questo risulta piuttosto impegnativo per gli insegnanti, che vedono aumentare le proprie responsabilità. È quindi importante dare loro un maggiore sostegno, mettendo a disposizione kit pratici per l’insegnamento dell’UE, contenenti un’ampia gamma di materiali pronti all’uso su diversi temi, adatti alle diverse età, disponibili in tutte le lingue dell’UE e adattati agli specifici contesti nazionali.

3.   La responsabilità dell’UE e degli Stati membri

3.1.

La responsabilità in materia di istruzione e formazione spetta senza alcun dubbio agli Stati membri, ma l’Unione europea, in virtù della sua funzione complementare, potrebbe assumere un ruolo più rilevante proponendo speciali misure e attività volte a migliorare la cultura generale sull’UE. Il CESE ritiene che questo sia il momento adatto per agire.

3.2.

Sulla base della dichiarazione di Parigi firmata dai leader dell’UE nel marzo 2015 (7), il CESE interpreta la raccomandazione del Consiglio del 2018 (8) come un chiaro mandato da parte degli Stati membri ad ancorare fermamente l’insegnamento e l’apprendimento dell’Europa nell’agenda politica. Si tratta di un nuovo punto di partenza per la promozione di una dimensione europea dell’insegnamento e per fornire il necessario sostegno al personale docente.

3.3.

Negli ultimi anni l’UE ha lavorato in maniera particolarmente intensa nel settore dell’istruzione e della formazione, e recentemente ha iniziato a occuparsi anche del tema Apprendere l’Europa a scuola.

3.3.1.

Nel 2011-2013 la Commissione ha attuato l’iniziativa Learning EU @ School (Apprendere l’UE a scuola) su richiesta del Parlamento europeo. A tale iniziativa ha fatto seguito nel 2016 la risoluzione del PE Apprendere l’UE a scuola (9), che ha sottolineato con enfasi l’importanza del tema e ha presentato all’UE e agli Stati membri delle raccomandazioni concrete che, a nostro avviso, meritano tuttora di essere appoggiate e dovrebbero fungere da base per nuove iniziative. Il CESE prende atto delle iniziative del PE e della Commissione, che sostiene, e si augura vivamente che la propria attuale iniziativa dia un nuovo e vigoroso slancio al cammino futuro.

3.3.2.

Il quadro di riferimento europeo delle competenze chiave per l’apprendimento permanente (10) è stato aggiornato nel 2018 e definisce le competenze indispensabili a livello personale per la realizzazione e lo sviluppo personale, l’occupazione, l’inclusione sociale e la cittadinanza attiva. La versione aggiornata del quadro di riferimento comprende anche una sezione dedicata alla competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali, che prevede lo sviluppo della conoscenza delle culture e delle espressioni locali, nazionali, regionali, europee e mondiali, comprese le loro lingue, il loro patrimonio espressivo e le loro tradizioni, e dei prodotti culturali, oltre alla comprensione di come tali forme di espressione possono influenzarsi a vicenda e avere effetti sulle idee dei singoli individui. Si potrebbe prendere spunto da tale sezione per aggiornare i programmi scolastici e i programmi di apprendimento non formale e informale al fine di educare all’UE.

3.3.3.

Il programma Erasmus, che ha riscosso un successo formidabile, dovrebbe continuare ad essere un’opportunità per conoscere l’UE. Negli ultimi 32 anni, più di 10 milioni di persone hanno beneficiato di questo programma (11). La Commissione ha proposto per il nuovo programma Erasmus 2021-2027 un raddoppiamento del bilancio, da quasi 15 miliardi a 30 miliardi, e la possibilità di sostenere attività per insegnare e spiegare l’UE. Ad esempio, dovrebbe esservi l’opportunità che le iniziative Jean Monnet sostengano azioni che esulano dall’istruzione superiore e interessano altri settori dell’istruzione e della formazione.

3.3.4.

Vi sono anche altri importanti programmi dell’UE, destinati ai giovani, che hanno riscosso successo. È il caso di DiscoverEU (12), che offre ai giovani la possibilità di viaggiare gratuitamente in treno in tutta Europa non solo per scoprire meravigliosi paesaggi e incontrare viaggiatori che condividono gli stessi interessi, ma anche per accrescere la propria indipendenza e fiducia, nonché per esplorare la propria identità europea. Un’altra iniziativa promossa dall’UE è il Corpo europeo di solidarietà (13), che offre ai giovani l’opportunità di svolgere in tutta Europa, nel proprio paese o all’estero, attività di volontariato o lavoro in progetti a beneficio delle comunità e delle persone.

3.4.

Gli Stati membri svolgono un ruolo centrale nell’istruzione. I risultati dello studio realizzato dalla Commissione nel 2013 (14) dimostrano che negli Stati membri esiste un’evidente volontà politica di migliorare la qualità di tali informazioni, ma che vi è ancora molta strada da fare. Lo studio individua le soluzioni adeguate per sviluppare la comprensione dell’Unione da parte degli studenti e presenta raccomandazioni alla Commissione e ai diversi soggetti interessati, segnatamente gli insegnanti. Alcuni Stati membri hanno integrato l’insegnamento dell’UE nei programmi scolastici e nei programmi di formazione degli insegnanti. Vi sono tuttavia scarsissimi elementi che provano che gli insegnamenti sull’Europa sono impartiti in modo progressivo, al fine di portare gli studenti a comprendere concetti complessi partendo dalle informazioni di base. Inoltre, il funzionamento delle istituzioni dell’UE e il processo decisionale, aspetti centrali della partecipazione civica, sono temi piuttosto trascurati, a differenza di altre nozioni più elementari. Per giunta, questo importante studio si fonda su dati che risalgono a più di dieci anni fa.

3.5.

In tutti gli Stati membri vengono svolte delle attività che vanno oltre i requisiti nazionali per l’apprendimento dell’Europa. Singole scuole, ONG, fondazioni o università, che collaborano con scuole e insegnanti, operano già attivamente al fine di migliorare il modo in cui l’Europa viene insegnata. In tutta l’UE vi sono organizzazioni competenti e impegnate che si occupano di questo tema sul campo. Molte di queste iniziative, ma non tutte, sono finanziate dall’Unione. L’esistenza di tali attività dimostra che è necessario sviluppare ulteriormente il sostegno all’apprendimento dell’Europa e che vi è una domanda in tal senso.

3.6.

Sono in corso numerose iniziative in materia di informazione e di programmi della società civile, comprese le iniziative delle parti sociali, ma lo studio della Commissione del 2013 (15) mostra che le informazioni e i programmi scolastici potrebbero essere strutturati meglio.

3.7.

Anche l’iniziativa YEYS, Your Europe, Your Say! (16) («La vostra Europa, la vostra opinione») promossa dal CESE costituisce un esempio di buona pratica che vale la pena menzionare.

4.   Proposte politiche e incentivi all’attuazione

4.1.

L’UE, e segnatamente la nuova Commissione e il nuovo commissario per l’istruzione, la cultura, la gioventù e lo sport, dovrebbero riflettere su come dare nuovo impulso, con l’aiuto degli Stati membri, alla promozione di un’intensa discussione generale sul ruolo dell’insegnamento dell’Europa nelle scuole.

4.2.

Andrebbe condotto un nuovo studio sulla reale situazione dell’insegnamento dell’UE nelle scuole nei diversi Stati membri, al fine di completare e aggiornare le attività esistenti e di fornire ulteriori elementi di prova e orientamenti strategici fondati su dati concreti. Tale indagine dovrebbe fungere da base per nuove iniziative finalizzate a raccogliere esempi, confrontare diversi casi di buone pratiche, discuterne e illustrare i relativi risultati.

4.3.

Oltre al nuovo studio, la Commissione dovrebbe presentare un inventario di tutti i materiali e di tutte le risorse di insegnamento e di apprendimento risultanti dai principali progetti finanziati dall’UE a partire dal 2010 su temi riguardanti l’insegnamento dell’UE a scuola (ad esempio progetti finanziati dalle iniziative Jean Monnet, con una descrizione sintetica per ognuno di essi).

4.4.

Il CESE chiede l’istituzione, a livello europeo, di un gruppo ad alto livello sul tema Insegnare l’Europa, composto da esperti degli Stati membri e incaricato di promuovere un ulteriore sostegno politico per migliorare l’educazione all’UE. Il gruppo potrebbe effettuare delle indagini, su base volontaria, per stabilire se esistono metodologie e strumenti comuni per trasmettere ai cittadini le nozioni e le informazioni di base sull’integrazione europea. Inoltre, potrebbe elaborare raccomandazioni da discutere a livello di ministri dell’Istruzione, che potrebbero dare luogo a conclusioni del Consiglio.

4.5.

Negli Stati membri dovrebbe inoltre essere introdotta una Giornata dell’UE nelle scuole (su base volontaria). Tale nuova iniziativa offrirebbe un’opportunità mirata di discutere in classe argomenti inerenti all’UE in modo intensivo, positivo e lungimirante in tutta Europa e di utilizzare e applicare i kit di materiali.

4.6.

Si dovrebbero accogliere con favore le iniziative e i programmi in materia di educazione all’Europa organizzati sia dalla società civile che dalle parti sociali. Tali soggetti dovrebbero essere coinvolti nelle discussioni, nell’attuazione, nella preparazione e/o nella selezione di pacchetti di buone pratiche per le discussioni tematiche a scuola, come pure nelle discussioni sull’importanza e sul futuro ruolo dell’UE (17). Sono attualmente in corso diversi programmi che potrebbero servire da esempio. Tuttavia, il loro impatto potrebbe essere decisamente più significativo se essi fossero integrati in maniera più ampia nei programmi e nelle attività scolastici.

5.   Sviluppare una serie di materiali per le scuole

5.1.

Molte risorse per l’insegnamento dell’Unione europea sono già disponibili presso diverse fonti. Vi è un’enorme quantità di materiali e kit di strumenti, soprattutto a livello di UE. Non è tuttavia sempre facile reperirli, specialmente se non se ne conosce l’esistenza. L’accento non dovrebbe pertanto essere posto sulla creazione di nuovi strumenti di insegnamento, bensì sull’adattamento, il miglioramento e la divulgazione di quelli già esistenti, come il Learning corner (angolo dell’apprendimento). Ciò potrebbe avvenire mediante la creazione di un’unica piattaforma on line in cui raccogliere gli strumenti di insegnamento provenienti da tutte le diverse fonti.

Su questa piattaforma gli insegnanti potrebbero scegliere i materiali in base al tema e all’età degli studenti, come avviene sul sitoCosa fa per me l'Europa (18), messo a punto dal PE prima delle elezioni europee del 2019.

5.2.

Oltre agli insegnanti, anche i genitori e altri adulti influenzano in modo significativo la percezione che i giovani hanno dell’UE. Il kit di strumenti per l’insegnamento dell’UE nell’istruzione formale dovrebbe pertanto essere accompagnato da opportunità di apprendimento permanente per gli adulti. Alla luce delle attuali problematiche legate alla disinformazione, sarebbe inoltre opportuno comunicare ai cittadini dove poter reperire informazioni affidabili sull’Unione.

5.3.

Lo sviluppo di un kit di strumenti è una responsabilità condivisa, che spetta principalmente agli Stati membri. Dovrebbero essere elaborati a livello dell’UE i temi relativi alle questioni europee e a livello nazionale quelli relativi alle questioni degli Stati membri. Libri, video, CD o app dovrebbero includere, oltre alla dimensione europea, anche riferimenti alla dimensione nazionale. La decisione su come e in che misura utilizzare i contenuti di apprendimento spetta agli Stati membri ed è di competenza degli insegnanti e delle rispettive scuole.

5.4.

È essenziale garantire un utilizzo migliore e più intensivo dei materiali esistenti, come quelli presenti sull’ottimo sito Learning corner (19) dell’UE, che si distingue per un’eccellente presentazione dei contenuti.

Il Learning corner affronta temi popolari tra gli studenti delle scuole primarie e secondarie, presentando materiali suddivisi per fasce di età, test sulle conoscenze e numerosi kit di strumenti specifici che spaziano dai libri interattivi, alle schede informative, ai giochi, fino ai kit didattici e ai video. Le fasce di età vanno da «fino a 9 anni»a «dai 15 anni in su». Gli studenti possono trovarvi giochi, concorsi e libri interattivi che li aiutano a scoprire l’UE in modo divertente. Anche gli insegnanti possono reperire materiale didattico per tutte le fasce di età, al fine di aiutare gli studenti ad apprendere di più sull’UE e sul suo funzionamento. Possono inoltre trovare spunti per le proprie lezioni e scoprire opportunità per allacciare contatti con altre scuole e altri insegnanti dell’Unione. Occorre però migliorare, con l’aiuto degli Stati membri, la comunicazione delle informazioni sulle modalità di utilizzo di tali materiali.

5.5.

L’offerta a livello UE in materia di kit di strumenti è vastissima, e il loro impiego dipende da molteplici fattori: il livello scolastico, l’argomento, il sistema di istruzione e le specificità nazionali in materia di politica dell’istruzione. Il CESE raccomanda tuttavia di mettere a punto per ogni scuola dell’UE un pacchetto di base (piccolo kit di strumenti), focalizzato esclusivamente sulle tematiche, da utilizzare per nuove e intense attività informative. Questo pacchetto dovrebbe essere messo a disposizione delle scuole interessate in collaborazione con i ministeri dell’Istruzione, unitamente ai materiali specifici dei rispettivi paesi, e in collaborazione con le istituzioni e le organizzazioni impegnate nell’UE, come le parti sociali.

Il pacchetto dovrebbe essere disponibile online, sul sito web della scuola e tramite i punti di contatto regionali e dell’UE, e includere ad esempio:

un set di materiali compatto e di facile lettura comprendente un opuscolo e una brochure per insegnanti e studenti (20);

un breve filmato o un video per ogni paese realizzato da cittadini del paese stesso;

una selezione di materiali offerti a livello di UE e finalizzati all’insegnamento dell’UE a scuola, che dovrebbe rivolgersi specificatamente ai vari livelli scolastici (scuola dell’infanzia, primaria, secondaria e terziaria) e presentare i principali link online, tra cui il Learning corner;

materiali degli Stati membri con esempi concreti di buone pratiche.

5.6.

Si dovrebbe puntare a fare in modo che ogni alunno e ogni studente che termina il proprio ciclo di studi sia in possesso di conoscenze di base sull’UE, ossia che abbia completato una sorta di percorso di «alfabetizzazione sull’UE». Il CESE è consapevole che entrare in contatto e insegnare a circa 72 milioni di studenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado nell’UE rappresenta una vera e propria sfida, che dovrebbe anche prevedere la possibilità per gli studenti di visitare le istituzioni europee e acquisire una visione d’insieme dell’UE e della sua storia (Casa della storia europea). Anche agli insegnanti andrebbe offerta l’opportunità di avere uno stretto contatto con le istituzioni europee, in modo da acquisire un’esperienza diretta, discutere con le diverse organizzazioni e istituzioni (quali il CESE) e tornare poi a casa con una migliore comprensione dell’Europa, del suo ruolo e di come è organizzata.

5.7.

Questa «alfabetizzazione sull’UE»dovrebbe avvenire con l’aiuto di uno dei kit di strumenti previsti per i vari livelli:

a livello della scuola primaria, gli alunni dovrebbero apprendere nozioni sulle culture e sulle tradizioni degli altri paesi dell’UE, ad esempio la lingua, il cibo, la musica, le vacanze, la geografia e l’abbigliamento e le danze tradizionali;

a livello di istruzione secondaria, gli studenti dovrebbero ricevere un’introduzione su un maggior numero di «fatti concreti»relativi all’UE e iniziare a sviluppare un senso di responsabilità civica. Il relativo kit di materiali dovrebbe comprendere temi quali: la storia dell’UE, le principali realizzazioni dell’Unione (ad esempio il suo contributo alla pace), le istituzioni dell’UE, le politiche e le elezioni dell’UE, l’alfabetizzazione mediatica, il pensiero critico in merito alle notizie e la cittadinanza attiva;

per l’istruzione terziaria, il kit di materiali dovrebbe fornire informazioni più approfondite sull’UE, riguardanti ad esempio: politiche, strutture politiche, economia, mercato del lavoro, temi di politica sociale, mobilità e diritti e partenariato sociale. Esso potrebbe contenere anche strumenti ideati per gruppi professionali specifici, quali giornalisti o politici locali/regionali.

5.8.

Il ruolo centrale degli insegnanti

5.8.1.

Gli insegnanti svolgono un ruolo molto importante come architetti del futuro. È fondamentale un programma specifico per gli insegnanti che tenga conto della situazione e delle esigenze particolari degli Stati membri. Attualmente, molti insegnanti hanno conoscenze carenti sull’UE e non si sentono abbastanza sicuri per insegnare questa materia in classe.

5.8.2.

Gli insegnanti devono comprendere meglio l’Europa per essere preparati a insegnarla agli alunni iniziando dalla più giovane età. La formazione degli insegnanti dovrebbe, tra l’altro, fare in modo che essi comprendano meglio il processo istituzionale di integrazione, affinché possano utilizzare il nuovo approccio didattico per rendere tale tema più chiaro agli studenti. I docenti dovranno inoltre tenere conto di nuovi concetti in materia di didattica.

5.8.3.

Il CESE accoglie con favore la piattaforma centralizzata Learning corner (21) (angolo di apprendimento), rinnovata e inaugurata di recente su EUROPA. Rivolto principalmente agli allievi della scuola primaria e secondaria e ai loro insegnanti e genitori, il Learning corner riunisce giochi, quiz, materiali di apprendimento e insegnamento messi a punto dalla Commissione europea e da altre istituzioni e incentrati sull’UE e sui suoi benefici per i cittadini europei. eTwinning è la più grande rete di insegnanti a livello mondiale: oltre 680 000 docenti sono iscritti a questa rete che permette loro di creare progetti comuni, migliorare le proprie competenze e quelle degli alunni, ed è fondamentale per la costruzione di un sentimento europeo di appartenenza. Gli insegnanti dovrebbero essere meglio informati su tale strumento.

5.8.4.

Il CESE ritiene che dovrebbe essere possibile utilizzare alcune istituzioni sostenute finanziariamente dall’UE, segnatamente l’Istituto universitario europeo e il Collegio d’Europa, per preparare sui temi europei tutti i formatori di insegnanti dell’UE. Inoltre gli studenti Erasmus+ (22) e gli accademici del progetto Jean Monnet dovrebbero svolgere nelle scuole l’importante ruolo di ambasciatori dell’UE.

5.8.5.

Il CESE ritiene inoltre importante l’istituzione, da parte della Commissione europea (CE), di un gruppo pilota (testing panel) di insegnanti, formato da un insegnante della scuola primaria e da un insegnante della scuola secondaria di ogni Stato membro, selezionati dalle rappresentanze della CE, e incaricato di fornire consulenza sui contenuti e sullo stile del materiale didattico realizzato dai servizi della CE. Questo lavoro potrebbe rivelarsi molto utile per garantire che gli strumenti offerti riflettano le attuali tendenze ed esigenze.

5.8.6.

Oltre all’insegnamento dell’Europa nella scuola, è importante che le informazioni siano accessibili anche al grande pubblico, ad esempio nelle biblioteche e in altri luoghi pubblici.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Dichiarazione di Parigi del 17.3.2015.

(2)  Raccomandazione del Consiglio (2018), ST/9010/2018/INIT.

(3)  Risoluzione del PE (2016) (2015/2138(INI)).

(4)  GU C 228 del 5.7.2019, pag.68.

(5)  Learning Europe at School («Apprendere l’Europa a scuola»), studio CE, 2013.

(6)  GU C 228 del 5.7.2019, pag.68.

(7)  Dichiarazione di Parigi del 17.3.2015.

(8)  Raccomandazione del Consiglio (2018), ST/9010/2018/INIT.

(9)  Risoluzione del PE (2016) (2015/2138(INI)).

(10)  Raccomandazione del Consiglio (2018) (2018/C 189/01).

(11)  CE, Investing in people («Investire nelle persone»), maggio 2018.

(12)  https://europa.eu/youth/discovereu_it

(13)  COM(2018) 440 final.

(14)  Learning Europe at School («Apprendere l’Europa a scuola»), studio CE, 2013.

(15)  Ibidem.

(16)  CESE, Your Europe, Your Say! («La vostra Europa, la vostra opinione!»).

(17)  The Future Evolution of Civil Society in EU by 2030 («La futura evoluzione della società civile nell’UE entro il 2030»).

(18)  https://what-europe-does-for-me.eu/it/home

(19)  Learning corner («L’angolo dell’apprendimento»).

(20)  L’Austria, ad esempio, ha pubblicato un piccolo e breve opuscolo in due versioni (insegnante e studente) con tutti i link europei e nazionali ai siti web e brevi descrizioni su vari argomenti.

(21)  Learning corner («L’angolo dell’apprendimento»).

(22)  GU C 228 del 5.7.2019, pag.68.


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/59


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Conciliare le politiche in materia di clima e di energia: la prospettiva del settore industriale»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/10)

Relatore: Aurel Laurențiu PLOSCEANU

Correlatore: Enrico GIBELLIERI

Decisione dell’Assemblea

24.1.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

3.6.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

148/3/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le industrie europee ad alta intensità di risorse e di energia rivestono un’importanza strategica per le catene del valore industriali dell’UE. La politica dell’UE in materia di mitigazione dei cambiamenti climatici impone a tali industrie di operare una profonda trasformazione e di effettuare massicci investimenti per conseguire la neutralità climatica entro il 2050.

1.2.

L’obiettivo dell’attuale sistema di scambio di quote di emissione (ETS) è incentivare tali investimenti fissando, per le emissioni di gas a effetto serra (GES), un prezzo rispondente a requisiti che, di fatto, sono tra loro contraddittori: da un lato, infatti, 1) il conseguimento degli obiettivi climatici fa sì che debbano essere praticati prezzi più elevati, mentre dall’altro 2) la competitività esterna della industrie europee ad alta intensità di risorse e di energia impone a tali industrie di allinearsi ai prezzi (bassi, quando non addirittura inesistenti) dei loro concorrenti esterni.

1.3.

Il CESE esprime preoccupazione per il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio o degli investimenti delle industrie in questione (ossia che la produzione o gli investimenti siano effettuati laddove il sistema ETS non si applica) e delle perdite di posti di lavoro che ciò comporterebbe, in un contesto, come quello attuale, contraddistinto da prezzi divergenti per le emissioni di GES sui mercati mondiali.

1.4.

In un precedente parere (1) il CESE ha invocato un sistema ETS a livello globale al fine di realizzare condizioni di parità nell’ambito della concorrenza internazionale tra industrie ad alta intensità di risorse e di energia. Tuttavia, tale auspicio è stato finora disatteso.

1.5.

Il CESE ritiene essenziale conciliare le politiche industriali ed energetiche con quelle in materia di clima al fine di mobilitare i massicci investimenti resi necessari dalla transizione delle industrie ad alta intensità di risorse e di energia verso un modello economico «a emissioni zero», una transizione che dovrebbe essere equa, con la partecipazione attiva delle parti sociali alla sua definizione e attuazione.

1.6.

Gli investimenti effettuati dall’UE e dagli Stati membri dovrebbero incidere sulle attività di ricerca, sviluppo e innovazione e sulla diffusione delle tecnologie a basse o nulle emissioni di carbonio destinate alle industrie ad alta intensità di risorse e di energia, nonché sulla produzione di energia elettrica supplementare di cui queste hanno bisogno e sull’istruzione e sulla formazione della loro forza lavoro. Nel prossimo quadro finanziario pluriennale (2021-2027) occorre quindi aumentare i finanziamenti previsti a tal fine dalla proposta della Commissione relativa al programma InvestEU e agli altri programmi di investimento ad esso collegati.

1.7.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) intende contribuire alla riflessione sulla strategia industriale a lungo termine, richiesta dal Consiglio europeo (2), esaminando la fattibilità tecnica e giuridica di una delle numerose opzioni strategiche attualmente contemplate nella sfera pubblica: l’applicazione di misure di aggiustamento alle frontiere per il prezzo interno delle emissioni di GES, sulla base del contenuto di emissioni di GES dei metalli, delle sostanze chimiche e degli altri materiali di base presenti nei prodotti industriali. Sottolinea di aver richiamato l’attenzione sulla necessità di studiare (ed eventualmente introdurre) un meccanismo di questo tipo già nel 2014, nel suo parere d’iniziativa sul tema Strumenti di mercato per un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio nell’UE (3), ma di non avere ricevuto una risposta adeguata da parte della Commissione o del Consiglio.

1.8.

Il CESE raccomanda alla Commissione di approfondire la riflessione su questa possibilità e su altre opzioni strategiche, come la riforma del sistema ETS, l’adeguamento del carbonio alla frontiera (4) o un’aliquota IVA adeguata all’intensità di carbonio (5), e di confrontarle in termini di:

impatto sulla rilocalizzazione del carbonio e degli investimenti, in un contesto futuro di prezzi più elevati e di una minore disponibilità di quote di emissioni nell’UE;

certezza del diritto in merito al rispetto delle norme dell’OMC;

accettabilità da parte dei partner commerciali;

fattibilità tecnica, in particolare per quanto riguarda l’esistenza di principi contabili e di misurazione accettati a livello mondiale e di banche dati affidabili e riconosciute.

1.9.

Il CESE raccomanda inoltre alla Commissione di avviare tempestivamente consultazioni con i principali partner commerciali dell’UE per sondare il loro punto di vista sulle opzioni prese in considerazione.

2.   Osservazioni generali

2.1.    Il dilemma della politica in materia di clima applicata alle industrie ad alta intensità di risorse e di energia

La politica in materia di clima deve affrontare una difficoltà intrinseca.

2.1.1.

Da un lato, infatti, lo scopo di tale politica consiste nel ridurre in misura ambiziosa le emissioni di GES (prodotte sia dalla combustione di combustibili fossili che dai processi industriali). L’obiettivo per l’Unione europea è conseguire la neutralità in termini di emissioni di carbonio entro il 2050, come incita a fare la Commissione nella sua comunicazione «Un pianeta pulito per tutti». Grazie a queste riduzioni, il riscaldamento globale dovrebbe rimanere ben al di sotto di 2 °C e, auspicabilmente, al di sotto di 1,5 °C, in modo da essere compatibile con un’agricoltura che sia in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare dell’umanità. In un’economia di mercato, uno strumento molto efficiente consiste nel fissare un prezzo per le emissioni di GES. Se si ricorre a questo strumento, allora gli operatori economici possono scegliere di investire in modo redditizio in apparecchiature o processi a ridotto rilascio di emissioni (tra cui la cattura e lo stoccaggio del carbonio) oppure di risparmiare riducendo il proprio consumo di materiali (ad esempio utilizzando prodotti a più lunga durata) od orientando i propri acquisti verso materiali (come quelli riciclati) che comportano minori emissioni di GES. Affinché tale strumento sia efficace, però, il prezzo delle emissioni di GES deve essere sufficientemente elevato e prevedibile da incentivare gli investimenti o un cambiamento di comportamento.

2.1.2.

D’altro canto, i costi dell’energia rappresentano una percentuale elevata dei costi complessivi delle industrie ad alta intensità di risorse e di energia: il 25 % per l’acciaio, il 22-29 % per l’alluminio (6) e il 25-32 % per il vetro (7).

2.1.3.

Se il costo dell’energia aumenta, a causa del fatto che il prezzo attribuito alle emissioni di GES nell’Unione europea è più elevato dei prezzi di tali emissioni nei paesi terzi e che investimenti tempestivi e su vasta scala nelle tecnologie a basse emissioni o a emissioni zero nelle industrie europee ad alta intensità di risorse e di energia e nelle corrispondenti capacità di produzione, trasporto e stoccaggio di energia elettrica necessarie per alimentarle (8) determinano costi di ammortamento elevati, risulta compromessa la competitività esterna delle industrie ad alta intensità di risorse e di energia con sede nell’UE. Infatti, malgrado i loro sforzi per conseguire l’efficienza energetica, queste industrie finiscono per produrre a prezzi più elevati rispetto ai loro concorrenti esterni. Su tali mercati, dove si trovano prodotti molto standardizzati, un prezzo superiore determina una perdita di quote di mercato e dei relativi posti di lavoro. Quando ciò accade, le emissioni di gas a effetto serra vengono semplicemente trasferite dai produttori dell’UE a quelli di paesi terzi (sovente meno efficienti sotto il profilo energetico), un trasferimento che, nella migliore delle ipotesi, non ha alcuna incidenza sulla quantità globale delle emissioni di GES. Tale fenomeno è noto come «rilocalizzazione delle emissioni di carbonio». In un contesto di competizione globale in cui il prezzo delle emissioni di GES è pari a zero, si rende necessario fissare il prezzo del carbonio al livello più basso possibile, se non addirittura a zero.

A questo fenomeno si accompagna quello della «rilocalizzazione degli investimenti». Infatti, anche se nell’UE il prezzo delle emissioni di GES rimane basso, l’incertezza riguardo al suo andamento ostacola già adesso gli investimenti nella manutenzione e riqualificazione dei siti delle industrie ad alta intensità di risorse e di energia, il che comporta un’altra perdita di competitività molto preoccupante per i produttori dell’UE. La rilocalizzazione degli investimenti per le industrie ad alta intensità di risorse e di energia dell’UE aumenterebbe enormemente se, oltre ad essere volatili, i prezzi delle emissioni di GES fossero anche elevati.

2.1.4.

Il tentativo dell’Unione europea di fissare un prezzo per le emissioni di gas a effetto serra si traduce attualmente nel sistema di scambio di quote di emissioni (ETS). Nella maggior parte dei casi, tale sistema si è rivelato inefficiente: da anni il prezzo delle emissioni di gas a effetto serra è estremamente basso (benché di recente sia aumentato), ma sufficientemente volatile da provocare la rilocalizzazione degli investimenti. Inoltre, si tratta di un sistema complesso e con un gran numero di deroghe. Un motivo strutturale di tale inefficacia e complessità può risiedere nel fatto che il sistema ETS non è stato in grado di risolvere la difficoltà intrinseca, illustrata in precedenza, di fissare un prezzo insieme non troppo alto e non troppo basso per le emissioni di GES.

Potrebbe quindi essere necessario risolvere questo dilemma e conciliare gli obiettivi strategici contrastanti di 1) mitigare i cambiamenti climatici e 2) mantenere la competitività esterna delle industrie ad alta intensità di risorse e di energia dell’UE, nonché perseguire tutti gli altri obiettivi strategici come quello di un commercio libero ed equo, nel quadro della strategia industriale a lungo termine richiesta dal Consiglio europeo.

2.2.    Una possibile soluzione: misure correttive alle frontiere

2.2.1.

L’opzione preferita dalle istituzioni dell’UE per risolvere tale dilemma sarebbe la definizione, a livello mondiale, di un prezzo unico e globale per le emissioni di gas a effetto serra (un auspicio, questo, che è tuttavia stato disatteso). I recenti sviluppi geopolitici, che vanno in direzione dell’unilateralismo, offrono poche speranze riguardo al fatto che un tale accordo a livello mondiale sia raggiunto in tempo.

Le disposizioni stabilite dalla Commissione europea (riciclaggio dei proventi del sistema di scambio delle emissioni a favore dell’industria, sostegno all’innovazione, quote di emissione gratuite, autorizzazione affinché gli Stati membri compensino i costi indiretti ecc.) potrebbero non fornire sufficienti garanzie contro la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio o degli investimenti, in un contesto di politiche climatiche asimmetriche e di crescenti ambizioni dell’UE in materia di clima. Per tale motivo numerose voci hanno chiesto di adottare, come possibile soluzione, delle misure alternative che concilino gli obiettivi della politica in materia di clima con la competitività esterna delle industrie ad alta intensità di risorse e di energia - una soluzione, questa, legata al concetto di misure di aggiustamento alle frontiere, come vengono definite dall’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). L’obiettivo del presente parere consiste nell’esplorare la fattibilità tecnica e giuridica di questa opzione alternativa avanzando una proposta concreta.

2.3.

I principi giuridici dell’OMC: le misure di aggiustamento alle frontiere per le imposte interne sui consumi non dovrebbero discriminare gli operatori economici esterni.

2.3.1.

Il principio relativo a tali misure è il seguente: quando una giurisdizione introduce un’imposta interna sui consumi, vi è il rischio che i produttori locali (soggetti a tale imposta) siano posti in una situazione di svantaggio concorrenziale rispetto ai loro concorrenti esterni (non soggetti all’imposta), sia sul mercato interno (dove la concorrenza ha luogo tra gli importatori e i produttori locali) sia sui mercati di esportazione. Alle autorità di tale giurisdizione è quindi consentito ripristinare una concorrenza leale 1) introducendo un’imposta sulle merci importate e 2) rimborsando l’imposta sulle merci esportate.

2.3.2.

A patto che soddisfacessero determinate condizioni, l’OMC ha accettato tali misure come pienamente legittime senza che venisse sollevata alcuna questione di protezionismo, a seguito di una revisione di tali aggiustamenti effettuata nel 1970 (9) (relazione del gruppo di lavoro sugli aggiustamenti commerciali alle frontiere). In base a tali condizioni, esse non devono discriminare gli operatori economici esterni (articoli II-2a, III-2 e VI-4 dell’accordo GATT (10)), il che significa, in questo caso, che per le merci importate si dovrebbe versare un’imposta inferiore o pari a quella pagata dai produttori locali e che il rimborso per le merci esportate non dovrebbe superare l’imposta già versata sul mercato locale.

2.4.    I meccanismi previsti: un sistema di contabilità trasparente per gli esportatori; il pagamento, da parte degli importatori, del solo contenuto dei materiali di base in termini di emissioni di GES

2.4.1.

I meccanismi previsti per adattare il concetto generale delle misure di aggiustamento alle frontiere al contesto delle emissioni di gas a effetto serra sono i seguenti:

per determinare l’importo da rimborsare agli esportatori, un sistema di contabilità trasparente tiene traccia delle emissioni di gas a effetto serra contenute in ciascun prodotto industriale e anticipa tale importo lungo la catena del valore, come voce aggiuntiva nelle fatture;

gli importatori pagano le emissioni di GES contenute nei materiali di base utilizzati per fabbricare il prodotto industriale, ma non quelle utilizzate per trasformarlo o dargli forma, o quelle per i relativi spostamenti logistici. Si tratta di un’approssimazione molto valida, poiché oltre il 90 % delle emissioni di gas a effetto serra di un prodotto industriale è contenuto nei materiali di base. Essa fornisce dati inconfutabili atti a consentire all’autorità doganale di determinare la base imponibile (la natura e il peso di ciascun materiale), e conferisce inoltre un lieve vantaggio agli importatori, i quali pertanto non possono sostenere di essere discriminati.

Questi meccanismi sono illustrati ed esaminati in maggiore dettaglio nelle sezioni che seguono.

2.5.    Per le merci esportate, il prezzo delle emissioni di GES viene rimborsato con una procedura contabile

2.5.1.

Il sistema si configurerebbe nel modo in appresso indicato. Qualora un’industria ad alta intensità di risorse e di energia abbia dovuto pagare per le sue emissioni di gas a effetto serra (sotto forma di quote ETS acquistate a un prezzo variabile per kg di CO2eq su un mercato o sotto forma di una tassa sul carbonio a prezzo fisso), essa dovrà tenere traccia di tale pagamento (e del volume sottostante delle emissioni di gas a effetto serra) nel suo sistema di contabilità e trasferirlo ai clienti nella sua fatturazione (comprendendovi anche un ammortamento del contenuto di emissioni di GES delle sue attrezzature). Questo consentirebbe di riutilizzare l’attuale, elaborato sistema di contabilizzazione delle emissioni di gas a effetto serra messo a punto nell’UE ai fini del calcolo delle quote gratuite per il sistema ETS, il che costituisce un evidente vantaggio. L’esperienza acquisita negli ultimi cinquant’anni in materia di IVA dovrebbe dimostrare la fattibilità tecnica di questo regime di trasferimento di costi.

2.5.2.

Resta da definire in quale fase della catena di approvvigionamento il pagamento dovrebbe essere incluso nelle fatture. Il trasferimento dei costi al consumatore finale determinerebbe le seguenti conseguenze:

avvicinerebbe il regime proposto al modello di un’imposta interna sui consumi, come ad esempio l’IVA o le accise, per il quale l’OMC ha esplicitamente accettato la legittimità delle misure di aggiustamento alle frontiere, e accrescerebbe pertanto la certezza del diritto;

eviterebbe di penalizzare le imprese intermedie;

incentiverebbe i consumatori ad adottare un comportamento più rispettoso del clima.

2.5.3.

Quando un’impresa esporta un prodotto includendovi le spese per le emissioni di GES, dovrebbe detrarre nel suo sistema di contabilità il contenuto del prodotto esportato in termini di emissioni di GES e farsi rimborsare tale contenuto dallo Stato (rivendendo le quote ETS corrispondenti sul mercato oppure recuperando quanto pagato per la tassa sul carbonio) per il volume delle emissioni di GES contenuto nel prodotto.

2.5.4.

Mantenendo il sistema attuale, che assegna le quote ETS a titolo gratuito ai produttori più efficienti dell’UE, questo rimborso sarebbe effettuato al costo medio di una quota ETS su scala dell’economia UE, in base al prezzo sul mercato a pronti e alla percentuale di quote di emissione gratuite rilasciate ai produttori dell’UE.

2.5.5.

Questo sistema di contabilità consentirebbe di dimostrare che all’esportatore viene rimborsato il costo esatto per tutte le emissioni di gas a effetto serra che erano state incluse nel prodotto lungo la catena di approvvigionamento. L’esportatore non riceverebbe alcun vantaggio indebito e il sistema sarebbe pertanto in linea con i requisiti dell’OMC. Dimostrare l’equità di tale soluzione caso per caso risulta più semplice quando il prezzo delle emissioni di GES è fisso (come in una tassa sul carbonio). Sui mercati ETS, invece, dove il prezzo delle emissioni di GES è variabile, essa risulta valida soltanto nella media tra gli speculatori fortunati e quelli sfortunati e tra i produttori europei ad alte e a basse prestazioni che ricevono assegnazioni diverse di diritti di emissione gratuiti.

2.6.    Per le merci importate, la misura correttiva può basarsi sul contenuto, in termini di emissioni di GES, dei metalli, delle sostanze chimiche o degli altri materiali di base che le compongono

2.6.1.

Il contenuto, in termini di emissioni di GES, di un prodotto industriale può essere rilevato essenzialmente nei materiali di tale prodotto.

Tale contenuto può essere suddiviso in tre componenti principali, ciascuna delle quali corrisponde a diverse categorie di operazioni che conferiscono valore aggiunto:

il contenuto di emissioni di GES dei metalli, delle sostanze chimiche e degli altri materiali di base che compongono il prodotto, in maniera diretta o indiretta (ad esempio acciaio, etilene, benzene, ammoniaca, acido cloridrico, vetro, legno ecc.);

il contenuto di emissioni di GES delle operazioni industriali di trasformazione e modulazione dei metalli, delle sostanze chimiche o degli altri materiali di base (ad esempio polimerizzazione, modellatura, lavorazione, taglio ecc.);

il contenuto di emissioni di GES delle operazioni di logistica all’interno del sito e tra siti diversi, ossia degli spostamenti effettuati tra le varie fasi che conferiscono valore aggiunto.

La maggior parte del contenuto di emissioni di GES di un prodotto industriale è peraltro costituita dal contenuto dei metalli, delle sostanze chimiche e degli altri materiali di base che lo compongono (in particolare quando non sono riciclati). L’esempio di un pezzo di acciaio lavorato a macchina, per cui l’energia utilizzata nel processo è pari a 2,8 kWh (11), mentre l’energia contenuta nel materiale (12) è pari a 117 kWh, ossia 40 volte superiore, illustra l’ordine di grandezza del peso relativo tra questi componenti. Nel caso di fertilizzanti, plastiche, elastomeri, solventi, lubrificanti e fibre tessili, una parte molto consistente del contenuto di emissioni di GES del prodotto finito è costituita dalle sostanze chimiche di base con cui sono stati prodotti, che possono essere dedotte dalla loro formula chimica. Ciò significa che il contenuto complessivo di emissioni di GES di un prodotto industriale può essere stimato sulla base del contenuto di emissioni di GES dei metalli, delle sostanze chimiche e degli altri materiali di base che compongono tale prodotto (13).

2.6.2.   Calcolo della misura correttiva applicabile alle merci importate

2.6.2.1.

Affinché le autorità doganali incaricate della gestione delle misure correttive alle frontiere operino in maniera efficiente e con la garanzia della certezza del diritto, sia per loro stesse sia per l’impresa importatrice che opera in buona fede, la base imponibile e l’aliquota fiscale devono essere stabilite lasciando un margine minimo all’interpretazione o per eventuali contenziosi.

L’aliquota fiscale, quando si tratta di fissare il prezzo delle emissioni di GES, si traduce nell’obbligo di acquistare quote ETS corrispondenti al volume delle emissioni di GES contenute nel prodotto importato, allo stesso prezzo per diritto di emissione ETS previsto per il rimborso degli esportatori (nel caso di un sistema basato sul mercato) oppure è costituita dall’aliquota della tassa sul carbonio (nel caso di un sistema ad aliquota fissa).

2.6.2.2.

La base imponibile deve essere verificabile mediante l’analisi del prodotto importato, che rappresenta la prova meno controvertibile. Nella fattispecie, la base imponibile ideale sarebbe il contenuto complessivo di emissioni di GES del prodotto importato.

La determinazione del contenuto complessivo di emissioni di GES di un prodotto industriale è resa difficile dalla complessità di tutte le operazioni che conferiscono valore aggiunto effettuate per tale prodotto lungo la catena del valore, molte delle quali non lasciano alcuna traccia nel prodotto stesso.

L’opzione proposta consiste nell’utilizzare l’approssimazione, semplice ma affidabile, delineata nei punti precedenti: il contenuto complessivo di emissioni di GES del prodotto importato è approssimato dal contenuto di emissioni di GES dei metalli, delle sostanze chimiche o degli altri materiali di base che lo compongono, limitandosi a considerare quelli che rappresentano, ad esempio, più dell’1 % della massa totale. La microelettronica, che, malgrado la massa esigua, genera elevate quantità di emissioni di GES, continuerebbe comunque ad essere inclusa in questo calcolo.

Il contenuto complessivo di emissioni di GES dei materiali presenti nel prodotto viene calcolato nel modo seguente: la massa di ciascun tipo di metallo, sostanza chimica o altro materiale di base presente nel prodotto in proporzione significativa è moltiplicata per l’intensità delle emissioni di GES di tale metallo, sostanza chimica o altro materiale di base (ossia le emissioni di GES contenute in ciascun chilogrammo di tale metallo, sostanza chimica o altro materiale di base).

L’intensità media delle emissioni di GES per singolo paese è già stata determinata per la maggior parte dei metalli, delle sostanze chimiche e degli altri materiali di base. Le relative cifre sono disponibili in una serie di banche dati messe a disposizione del pubblico (quelle elencate, ad esempio, nel protocollo sui gas a effetto serra (14)), basate, anche per la Cina, su metodologie consolidate di valutazione del ciclo di vita.

2.6.2.3.

Al fine di incoraggiare e ricompensare la riduzione dell’intensità delle emissioni di GES nei singoli impianti e la divulgazione di dati, si propone il seguente meccanismo, atto ad innescare un circolo virtuoso.

Se un produttore è in grado di dimostrare in modo affidabile l’intensità delle emissioni di GES effettivamente contenute nei suoi prodotti, questo valore si applica ai suoi prodotti importati nell’UE. Se, invece, non vengono forniti i dati attendibili richiesti, si utilizza l’intensità media delle emissioni di GES del paese di origine; tale media è calcolata sulla produzione rimanente e sulle emissioni residue di GES, previa deduzione di quelle generate dai produttori che hanno fornito dati affidabili.

In questo modo, i produttori più rispettosi del clima di un paese parteciperanno all’esercizio contabile per primi (per non essere penalizzati dall’applicazione della loro media nazionale). Di conseguenza, la media nazionale, una volta esclusi dal suo calcolo i produttori «virtuosi», peggiora con il tempo, incentivando altri produttori a fornire dati affidabili.

2.6.2.4.

L’UE potrebbe inoltre fornire alle imprese che si trovano all’estero assistenza tecnica per la creazione dei sistemi affidabili richiesti per la contabilizzazione delle emissioni di GES, continuando così a mantenere la sua posizione di apertura nei confronti dei partner commerciali.

2.6.2.5.

Al fine di impedire agli operatori poco scrupolosi di attribuire indebitamente la ridotta intensità delle emissioni di GES di un impianto alla produzione di un altro impianto, si potrebbe sviluppare e utilizzare un sistema di tracciabilità basato, per esempio, sulla tecnologia blockchain.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 71 del 24.2.2016, pag. 57, punto 1.9.

(2)  Conclusioni del Consiglio europeo del 22 marzo 2019 (EUCO 1/19).

(3)  GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1

(4)  Risoluzione del Parlamento europeo, del 16 dicembre 2015, sullo sviluppo di un’industria europea sostenibile dei metalli di base (2014/2211(INI)].

(5)  A. Gerbeti, CO2 nei beni e competitività industriale europea, Editoriale Delfino, 2014, e Idem, Una sinfonia per l’energia: CO2 nei beni, Editoriale Delfino, 2015.

(6)  A. Marcu e W. Stoefs, Study on composition and drivers of energy prices and costs in selected energy-intensive industries («Analisi della composizione e dei fattori determinanti dei prezzi dell’energia e dei suoi costi nelle industrie ad alta intensità energetica considerate»), CEPS, 2016, disponibile online all’indirizzo http://ec.europa.eu/DocsRoom/documents/20355

(7)  C. Egenhofer e L. Schrefler, Study on composition and drivers of energy prices and costs in energy-intensive industries. The case of the flat glass industry, CEPS, 2014, disponibile online all’indirizzo https://www.ceps.eu/system/files/Glass.pdf

(8)  Secondo lo studio di T. Wyns Industrial Value Chain: A Bridge towards a Carbon Neutral Europe («La catena del valore industriale: un ponte verso un’Europa a impatto neutro in termini di carbonio»), VUB-IES, 2018, disponibile online all’indirizzo https://www.ies.be/node/4758, che ha effettuato una mappatura di 11 industrie ad alta intensità di risorse e di energia europee, l’utilizzo su larga scala di strategie tecnologiche a basse emissioni di CO2 richiederebbe tra 2 980 TWh e 4 430 TWh di energia elettrica aggiuntiva all’anno.

(9)  GATT, Report by the Working Party on Border Trade Adjustments («Relazione del gruppo di lavoro sull’aggiustamento commerciale alle frontiere»), 1970, disponibile online all’indirizzo https://www.wto.org/gatt_docs/English/SULPDF/90840088.pdf; cfr. in particolare i paragrafi 4, 11 e 14.

(10)  Disponibile online all’indirizzo https://www.wto.org/english/res_e/booksp_e/analytic_index_e/gatt1994_e.htm

(11)  Y. Odaa et al., Energy Consumption Reduction by Machining Process Improvement («Riduzione del consumo energetico attraverso il miglioramento del processo di lavorazione»), 3rd CIRP Conference on Process Machine Interactions (3rd PMI), 2012, disponibile online all’indirizzo http://isiarticles.com/bundles/Article/pre/pdf/17172.pdf

(12)  Inventory of Carbon and Energy (IEC) («Inventario relativo al carbonio e all’energia»), disponibile online all’indirizzo http://www.circularecology.com/embodied-energy-and-carbon-footprint-database.html

(13)  In genere queste emissioni sono positive. Esse possono essere negative nel caso di materiali di origine biologica e coltivati in modo sostenibile (ad esempio il legno).

(14)  L’elenco completo delle banche dati contenenti le informazioni sulle emissioni di GES relative a vari materiali e processi è disponibile online all’indirizzo http://www.ghgprotocol.org/life-cycle-databases


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Promuovere filiere alimentari corte e alternative nell’Unione europea: il ruolo dell’agroecologia»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/11)

Relatrice: Geneviève SAVIGNY

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.1.2019

Base giuridica

Articolo 32 del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

28.6.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

135/7/21

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Nel presente parere il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea che le filiere corte e l’agroecologia aprono nuove prospettive per l’agricoltura europea. Da oltre mezzo secolo questi approcci innovativi, pur essendo in opposizione al processo di globalizzazione dei sistemi alimentari, si sono strutturati, sono stati oggetto di studio nell’ambito di numerosi programmi di ricerca sia nazionali che europei, hanno beneficiato del sostegno di fondi pubblici e privati nel loro sviluppo e convincono un numero sempre maggiore di nuovi agricoltori a entrare a far parte di questi sistemi. Agroecologia e filiere corte si sono così consolidate con la conferma della loro capacità e pertinenza nel fornire risposte alle sfide alimentari, e potrebbero costituire un pilastro portante di una politica a favore di sistemi alimentari sostenibili e della realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile nel prossimo decennio (entro il 2030).

1.2.

In tutta Europa prendono forma sistemi innovativi caratterizzati da una maggiore prossimità di consumatori e produttori, ad esempio la CSA (community supported agriculture = agricoltura sostenuta dalla comunità) e altri modelli di fornitura di «ceste di prodotti». Molti di questi produttori praticano l’agricoltura biologica o altri tipi di metodi rispettosi dell’ambiente non contraddistinti da un marchio specifico. Spesso si osserva anche un’implicazione degli enti locali e regionali, i quali introducono sistemi di governance alimentare locale che riuniscono i diversi attori e favoriscono l’uso di prodotti locali nella ristorazione collettiva. La vendita nella filiera corta rappresenta per le piccole strutture una reale opportunità di aumentare il valore aggiunto e la redditività delle aziende agricole. Questa rilocalizzazione crea occupazione e imprime un dinamismo a livello locale, con un forte impegno da parte degli agricoltori che la praticano. Per i consumatori la filiera corta è una fonte di prodotti freschi e di qualità, carica di storia e ricca di relazioni umane, e rappresenta anche un modo per interessarsi ed educarsi all’alimentazione e al valore dei prodotti.

1.3.

Questo modo di produzione/distribuzione non è adatto a tutte le aziende agricole, per motivi legati al tipo di produzione, all’ubicazione geografica o alla mancanza di una popolazione urbana capace di consumare, ad esempio, l’intera produzione di vino o di olio d’oliva di un’area fortemente agricola; e non può neppure far fronte all’esigenza di alimenti di produzione non locale. Nelle filiere più lunghe i sistemi di marchi europei di qualità (indicazione geografica protetta, denominazione di origine protetta, specialità tradizionale garantita) costituiscono una fonte di identificazione e di valorizzazione che agevola la scelta del consumatore.

1.4.

Fatte queste considerazioni, il CESE prende atto che l’agroecologia sta emergendo come un nuovo paradigma in campo alimentare e agricolo. Al tempo stesso scienza, tecnica e movimento sociale, l’agroecologia considera il sistema alimentare nella sua globalità e si prefigge di avvicinare maggiormente il produttore all’ambiente/contesto in cui opera, preservando, o persino ripristinando, la complessità e la ricchezza dell’agro-eco-socio-sistema. Promossa dalla FAO e argomento di numerose ricerche e convegni, in Europa l’agroecologia registra una forte espansione, anche a livello istituzionale, nel quadro di programmi nazionali di sviluppo agricolo.

1.5.

Il CESE ritiene che l’agroecologia rappresenti l’orizzonte verso il quale deve tendere il settore dell’agricoltura europea, settore che per sua stessa natura dipende dalla conservazione delle risorse naturali per il suo sviluppo. Ispirato da modelli già completi e riusciti come l’agricoltura biologica (fatta eccezione per alcune derive della produzione biologica «industriale»), la permacultura e altri sistemi contadini tradizionali, l’impegno attivo nella transizione verso la riduzione dei fattori di produzione, la rivitalizzazione dei terreni, la diversificazione delle colture e la tutela della biodiversità va incoraggiato e valorizzato.

1.6.

Il CESE auspica che il progetto agroecologico si diffonda nell’intera UE e sia basato su un piano d’azione strutturato da diverse leve a livello locale, regionale ed europeo. Il quadro del piano d’azione può essere fornito da una politica alimentare globale promossa dal CESE. Tra le misure importanti da attuare possiamo citare:

rendere accessibili il finanziamento per la fornitura delle attrezzature necessarie, individuali o collettive (secondo pilastro della PAC);

applicare la legislazione alimentare adattandola ai piccoli produttori con una certa flessibilità per le produzioni su piccola scala, come pure per i requisiti in materia di etichettatura ecc.;

istituire o rafforzare servizi di educazione e di consulenza adeguati per la trasformazione, la vendita diretta e l’agroecologia;

favorire la creazione di reti di scambi tra gli agricoltori;

orientare la ricerca verso l’agroecologia e le esigenze dei produttori nelle filiere corte;

nei territori: occorre introdurre regole di concorrenza adattate che agevolino la fornitura di prodotti alimentari nelle filiere corte e locali per la ristorazione collettiva.

2.   Introduzione

2.1.

In due pareri (1) il CESE ha posto l’accento sulla necessità di definire una politica alimentare globale dell’UE fondata su diversi pilastri, tra i quali anche lo sviluppo di filiere alimentari più corte.

2.2.

A livello locale e regionale si contano sempre più iniziative a favore di sistemi alimentari alternativi e di filiere alimentari corte. Una politica alimentare globale dovrebbe basarsi su una governance comune a tutti i livelli (locale, regionale, nazionale ed europeo), governance che dovrebbe anche incentivare e sviluppare. Un approccio di questo tipo consentirebbe di creare un quadro favorevole alla diffusione di tali iniziative, a prescindere dalla loro portata, ed è necessario per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile in Europa.

2.3.

In tale contesto, l’agroecologia appare come un nuovo paradigma in campo agricolo e alimentare che accompagna lo sviluppo di queste nuove pratiche di approvvigionamento e di produzione alimentari.

2.4.

Il presente parere si propone di esaminare la maggiore prossimità tra produttori e consumatori nell’ambito di filiere più corte e lo sviluppo dell’agroecologia, al fine di individuare le condizioni e gli strumenti capaci di guidare il sistema alimentare sulla strada della piena realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

3.   Lo sviluppo delle filiere corte

3.1.

La definizione di «filiera corta»di cui si avvale l’Unione europea nel quadro delle politiche di sviluppo rurale è la seguente [cfr. il regolamento (UE) n. 1305/2013]: «una filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici che si impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico locale e stretti rapporti socio-territoriali tra produttori, trasformatori e consumatori» (2).

3.2.

A partire dalla fine degli anni ‘90 del secolo scorso il settore della distribuzione dei prodotti alimentari ha conosciuto profondi rivolgimenti. Un’educazione alimentare migliore e le crisi sanitarie che si sono succedute, legate a pratiche agricole e agroindustriali inadeguate, hanno indotto un numero crescente di consumatori a basare le loro scelte su nuovi criteri di qualità comprendenti elementi relativi alla salute e allo sviluppo sostenibile (3). La deregolamentazione dei mercati agricoli, l’elevata volatilità dei prezzi, spesso in perdita (prezzi sottocosto), e i bassi redditi agricoli, da un lato, e dall’altro il fatto che i consumatori si preoccupano sempre di più di avere un’alimentazione sana e di qualità, inducono taluni agricoltori a modificare i loro modi di produzione e canali di commercializzazione. Si osservano processi di diversificazione lungo l’intera catena che va dalla produzione al consumo. Fanno la loro comparsa nuove produzioni agricole, i produttori devono darsi da fare per cercare nuovi mercati o inventare nuove modalità di vendita nelle filiere corte affinché l’investimento in risorse umane e finanziarie nella diversificazione porti i suoi frutti, e talune pratiche diventano gradualmente più sostenibili, sulla spinta di una maggiore prossimità tra produttori e consumatori. Nel 2015 il Servizio Ricerca del Parlamento europeo (EPRS) ha messo in evidenza che il 15 % degli agricoltori ha venduto la metà della propria produzione tramite filiere corte, e da un sondaggio Eurobarometro del 2016 è emerso che quattro cittadini europei su cinque ritengono importante «rafforzare il ruolo degli agricoltori nella filiera agroalimentare». Le filiere corte si stanno diffondendo in Europa, benché in maniera disomogenea da un paese all’altro.

3.3.

Esiste perciò un gran numero di forme di vendita diretta: oltre a quelle tradizionali di vendita all’interno o all’esterno delle aziende agricole, fioriscono anche altre iniziative. Uno degli ambiti d’innovazione più vivaci degli ultimi vent’anni è quello dei partenariati locali e solidali che riuniscono consumatori e produttori per consegne di «ceste di prodotti», provenienti per lo più da produzioni biologiche, su base contrattuale: questi partenariati sono stati costituiti in federazione e sviluppati dall’organizzazione internazionale Urgenci. Inoltre, in molti paesi sono stati adottati programmi collettivi volti ad incentivare questo settore tramite l’organizzazione di fiere o eventi locali, ad esempio la rete «Campagna amica»in Italia. Il settore delle cooperative offre un contributo di grande rilievo. Le filiere corte attirano i giovani e nuovi agricoltori che hanno appena avviato l’attività, spesso animati dall’entusiasmo.

3.4.

Nel parere sopramenzionato (4) si è sottolineato l’impatto «molto positivo»delle filiere alimentari corte, in particolare per quanto riguarda la freschezza e la qualità dei prodotti venduti sul piano organolettico e nutrizionale. Dopo che da oltre trent’anni si assiste allo sviluppo di un sistema alimentare «globalizzato», sembra ormai ampiamente riconosciuta e condivisa l’idea che collegamenti più ravvicinati tra produttori e consumatori, nonché i sistemi localizzati, apportino tutta una serie di effetti benefici. Le filiere corte migliorano il valore aggiunto e la redditività delle piccole aziende agricole, consentono la vendita di prodotti con un’identità, prodotti che «raccontano una storia»ai consumatori (disposti quindi a pagare un prezzo più alto) e creano attività e legami sociali nelle zone rurali. Il miglioramento della qualità delle produzioni alimentari e dei circuiti di commercializzazione rafforza la consapevolezza dei consumatori in merito al valore dei prodotti alimentari e agli sprechi, e contribuisce pertanto a ridurre l’impatto dell’alimentazione sui cambiamenti climatici.

3.4.1.

Questa modalità di commercializzazione genera esternalità positive per l’intera comunità interessata (creazione di posti di lavoro non delocalizzabili, conservazione del valore aggiunto nel territorio, attrattiva turistica o residenziale), e occorre tener conto di queste esternalità più ampie nel sostenere lo sviluppo di filiere corte e le dinamiche dei territori.

3.4.2.

Le iniziative relative alle filiere corte si moltiplicano e si basano su innovazioni sociali, organizzative e territoriali ancora in fase di consolidamento. Numerosi studi mettono l’accento sulla dimensione territoriale e l’identità collettiva in quanto fattori chiave della loro sostenibilità e continuità. La sfida consiste quindi nel mettere a disposizione i mezzi per creare sistemi alimentari territoriali basati su una governance locale e rappresentativa degli attori stessi (5).

3.5.

Internet si sta rivelando un nuovo campo di esplorazione e di innovazione per le filiere corte, e con la sua ampia diffusione da una decina di anni a questa parte il suo uso si è generalizzato anche nelle filiere corte alimentari. Dal momento che offre un mercato più vasto del tradizionale mercato dei produttori, Internet permette anche di migliorare e fluidificare gli scambi. Negli ultimi cinque anni è nato un gran numero di piattaforme per effettuare ordini d’acquisto online. Questi «hub alimentari»consentono di mettere direttamente in relazione produttori e consumatori, in particolare per i prodotti disponibili solamente a livello locale. Le piattaforme permettono sia ai produttori che ai consumatori di associarsi per effettuare acquisti/vendite di gruppo, semplificando così la logistica nel quadro di una filiera alimentare corta. Altre applicazioni della digitalizzazione sono utilizzate per la produzione e la trasformazione dei prodotti.

4.   L’agroecologia: un nuovo approccio all’agricoltura

4.1.

In occasione del secondo simposio internazionale sull’agroecologia, organizzato a Roma nel 2018, la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) ne ha proposto la definizione seguente: «L’agroecologia consiste nell’applicazione di concetti e princìpi ecologici per ottimizzare le interazioni tra i vegetali, gli animali, l’uomo e l’ambiente, senza trascurare gli aspetti sociali, di cui è opportuno tener conto se si vuole un sistema alimentare equo e sostenibile. Grazie alla creazione di sinergie, l’agroecologia può non soltanto contribuire alla produzione alimentare, alla sicurezza alimentare e alla nutrizione, ma può anche permettere il ripristino dei servizi ecosistemi e della biodioversità, che sono elementi essenziali per un’agricoltura sostenibile.» (6)

4.2.

L’agroecologia si è andata strutturando secondo tre dimensioni principali. La prima è il campo dell’agroecologia sviluppatasi a partire dagli anni Venti del XX secolo come corpus di discipline scientifiche (fisica, chimica, ecologia, assetto del territorio) che studiano l’agricoltura attraverso sistemi complessi di interazioni dell’agro-ecosistema. La seconda è l’agroecologia come insieme di pratiche agricole sostenibili che ottimizzano e stabilizzano i raccolti. Infine, la terza dimensione è quella dell’agroecologia come movimento sociale che punta alla sovranità alimentare e a ricercare nuovi ruoli multifunzionali per l’agricoltura (7). L’evoluzione dell’agroecologia ha anche comportato una migliore considerazione delle questioni alimentari, come dimostrano studi quali Redesigning the Food System for Sustainability («Riprogettare il sistema alimentare in funzione della sostenibilità») (Stuart Hill, 1985) o l’opera ormai diventata di consultazione Agroecology: The Ecology of Sustainable Food Systems («L’agroecologia: l’ecologia dei sistemi alimentari sostenibili») di Stephen (Steve) R. Gliessman (2006).

4.3.

La base concettuale comune dell’agroecologia è articolata in 10 principi, definiti e individuati dalla FAO, che «si prefiggono di aiutare i paesi a trasformare i loro sistemi alimentari e agricoli, a generalizzare le pratiche dell’agricoltura sostenibile, nonché a raggiungere l’obiettivo di abolizione della fame («fame zero») e numerosi altri obiettivi di sviluppo sostenibile:

diversità, sinergie, efficienza, resilienza, riciclaggio, co-creazione e condivisione delle conoscenze (descrizione delle caratteristiche comuni dei sistemi agroecologici, pratiche fondative e approcci innovativi);

valori umani e sociali, cultura e tradizioni alimentari (caratteristiche contestuali);

economia circolare e solidale, governance responsabile (contesto favorevole).

I 10 elementi su cui si basa l’agroecologia sono connessi e interdipendenti» (8).

4.4.

Tenendo conto di questi dieci principi, diversi modelli di agricoltura possono rientrare nella definizione di «agroecologia»: l’agricoltura biologica, che applica gli stessi principi in un quadro standardizzato (regolamento dell’UE relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici (9)), l’agricoltura biodinamica, l’agricoltura integrata, l’agrosilvicoltura, che abbina colture agricole e produzioni arboricole, o la permacultura condividono tutte un nucleo comune che consiste in un approccio complesso e sistemico all’agricoltura, dalla produzione fino al consumo degli alimenti. Si deve sottolineare il ruolo centrale che riveste, in questi modelli di agricoltura, la conservazione della qualità e del microbiota dei terreni.

L’agroecologia rappresenta un cambiamento di paradigma per l’agricoltura allo scopo di combattere i cambiamenti climatici, ripristinare gli ecosistemi viventi e proteggere l’acqua, il suolo e tutte le risorse da cui dipende la produzione agricola. È opportuno incoraggiare tutte le forme di impegno degli agricoltori volte a ripensare le loro pratiche e i loro rapporti con l’ecosistema al fine di ridurre le esternalità negative e di aumentare le esternalità positive. Occorre promuovere le misure (che si tratti della riduzione dei fattori di produzione chimici, di una maggiore diversificazione delle colture a rotazione, dell’agricoltura di conservazione o della salvaguardia della biodiversità) che sono altrettanti passi avanti lungo la strada di una transizione agroecologica di tutte le aziende agricole europee.

4.5.

Il movimento sociale sorto negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso a partire dall’America latina ad opera di organizzazioni come La Via Campesina ha dato il via allo sviluppo esponenziale su scala internazionale di questo approccio al sistema alimentare nelle sue tre dimensioni (scientifica, tecnica e sociale). Anche l’Europa partecipa a questo movimento. Nel settembre 2014 la FAO ha organizzato a Roma un primo convegno dal titolo L’agroecologia per la sicurezza alimentare e la nutrizione, al quale hanno fatto seguito diversi seminari regionali (tra cui quello per l’Europa, tenutosi a Budapest nel novembre 2016), e ha raccomandato di dare maggiore impulso all’agroecologia per conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile e quelli dell’accordo di Parigi. Alla fine del 2019 si svolgerà in Europa un prossimo evento sul tema. Il programma di ricerca europeo Orizzonte 2020 include numerose tematiche legate all’agroecologia, all’agricoltura biologica e alle filiere corte, e il PEI-Agri (partenariato europeo per l’innovazione in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura), che si è ugualmente occupato di questi argomenti per lo sviluppo agricolo, organizzerà in Francia il prossimo vertice dell’innovazione agricola (Agri Innovation Summit - AIS) sul tema dell’agroecologia nel giugno 2019.

4.6.

L’agroecologia si è andata gradualmente istituzionalizzando, in particolare in Francia (10). Introducendola nel proprio codice rurale e dotandosi di strumenti giuridici e finanziari, il paese ha fatto dell’agroecologia un pilastro del proprio sviluppo agricolo (11). Le risorse finanziarie e l’orientamento di tutta una serie di programmi francesi ad hoc hanno dato impulso e sostegno a un gran numero di progetti di raggruppamenti di agricoltori, indirizzando lo sviluppo e la produzione agricoli verso una maggiore sostenibilità (12).

4.6.1.

Tra i validi risultati ottenuti dall’agroecologia, messi in luce dalle ricerche accademiche e divulgati dagli enti di sviluppo, si possono citare:

per gli agricoltori: aumento della fertilità dei terreni, riduzione dei costi di produzione, maggiore autonomia decisionale, sviluppo della resilienza dei sistemi agricoli alle avversità climatiche e rivalutazione della professione di agricoltore;

per i consumatori: qualità sanitaria e nutrizionale degli alimenti e dell’acqua, conservazione della biodiversità e dei paesaggi, nonché garanzie in termini di pratiche agricole (allevamento o colture) (13).

4.6.2.

Questi risultati sono ulteriormente rafforzati dalla dimensione collettiva che presentano i progetti agroecologici, dall’implicazione degli agricoltori in quanto forza propositiva e innovativa nel contesto in cui operano, dalla loro volontà di fare meglio e dalla necessità di ridurre i loro costi di produzione. Le piattaforme Internet (14) possono consentire di mettere a frutto, come è necessario fare, gli studi tecnici e scientifici prodotti e le esperienze degli agricoltori che hanno realizzato questa transizione, senza trascurare l’impatto delle formazioni e dei tempi collettivi.

4.6.3.

Tra i compiti della formazione dispensata ai futuri agricoltori in seno agli istituti pubblici di insegnamento agrario figura anche quello di «contribuire allo sviluppo dell’agroecologia». I contenuti didattici dedicati a questa materia non fanno che aumentare di numero (15) e gli alunni si mostrano più propensi a promuovere la transizione e la produzione agroecologica nella loro futura vita professionale (16). Il programma francese sulla transizione agroecologica prevede di migliorare l’alimentazione degli studenti introducendo nel menù delle mense scolastiche degli istituti superiori di formazione agraria piatti preparati con prodotti locali, per sensibilizzare i ragazzi al tema dell’alimentazione.

4.6.4.

Per sostenere il processo di transizione nei territori, il governo francese ha creato i «progetti alimentari territoriali»(PAT), nel cui ambito dei collettivi formatisi liberamente elaborano le iniziative necessarie per migliorare il sistema alimentare locale. Nonostante le scarse risorse di cui dispongono, apparentemente questi programmi suscitano interesse e producono risultati incoraggianti.

4.7.    Le filiere corte e l’agroecologia: transizioni interconnesse

4.7.1.

L’agroecologia si contraddistingue in particolare per la diversità della complementarità delle produzioni nelle aziende agricole. Tanto per i prodotti degli allevamenti quanto per i prodotti delle colture agroecologiche, è importante creare e preservare nuovi sbocchi commerciali. Le filiere alimentari corte appaiono perciò come una risposta adeguata a questa sfida della transizione.

4.7.2.

Infine, è importante sottolineare che la combinazione di agroecologia e filiere corte, a livello europeo, nazionale e locale, contribuisce oggi a delineare i contorni di una governance alimentare territoriale con nuove modalità di coinvolgimento dei soggetti interessati. Processi di questo tipo, finalizzati a riallacciare i legami tra le città e le loro aree vicine di produzione di alimenti, sono già in atto in parecchie località, ad esempio Milano in Italia, Montpellier in Francia, Bruxelles, Gand e Liegi in Belgio o ancora Toronto in Canada.

5.   Sviluppo delle filiere corte e dell’agroecologia per realizzare sistemi alimentari sostenibili

5.1.    Contributo a un’alimentazione di qualità

5.1.1.

Nel 2012 un programma europeo di ricerca sulle filiere corte e i sistemi alimentari locali, sotto la direzione congiunta dell’università di Coventry e con la partecipazione delle direzioni generali AGRI (Agricoltura e sviluppo rurale) e SANTE (Salute e sicurezza alimentare) della Commissione europea, ha sottolineato gli aspetti di qualità, tracciabilità e trasparenza che dovrebbero essere centrali negli atti di compravendita. L’UE deve quindi dare a produttori e consumatori i mezzi per strutturare e stabilizzare questa triade di elementi, a prescindere dalla forma assunta dalla filiera corta. Si è constatato che la maggior parte dei prodotti venduti nelle filiere corte provengono dall’agricoltura biologica o (a seconda del paese) da metodi di produzione non certificati che non utilizzano fattori produttivi di sintesi. Questo punto sembra costituire la chiave per avvicinare agroecologia e filiere corte. I principi e il quadro di riferimento dell’agroecologia possono infatti creare un contesto di fiducia sufficientemente forte e stabile, senza iscriversi necessariamente in un sistema di agricoltura con prodotti provvisti di marchi o etichette, affinché i consumatori possano ritrovare «la qualità, la tracciabilità e la trasparenza»necessarie per lo sviluppo e la sostenibilità delle filiere corte. Lo svolgimento di visite periodiche presso le aziende agricole da parte di consumatori e di altri produttori appare come un metodo efficace di «garanzia partecipativa»inteso a rafforzare la trasparenza, lo sviluppo di indicatori contestualizzati e il monitoraggio delle pratiche agroecologiche (17).

5.1.2.

A livello individuale, gli studi più recenti dimostrano che le filiere corte migliorano in misura significativa la salute delle persone: da un lato, infatti, i cittadini fanno più attenzione a quello che mangiano e a come viene prodotto; dall’altro, questi dispositivi costituiscono luoghi di apprendimento sociale molto importanti, anche in termini di sane abitudini alimentari.

5.2.    Accessibilità e sicurezza alimentare

5.2.1.

Una serie di progetti europei di ricerca (18) (19) mette attualmente in evidenza la tendenza delle filiere corte a strutturarsi e organizzarsi per passare dallo status di mercato di nicchia a quello di abitudini radicate di consumo alimentare. Questa trasformazione è stata resa possibile, in particolare, dalla costituzione in rete su scala europea di numerosi attori, attraverso progetti sostenuti da diversi programmi di finanziamento dell’UE. La crescita del settore resta tuttavia ancora limitata, dato che le famiglie a basso reddito hanno difficoltà ad accedere a determinati prodotti. Sarebbe utile proseguire l’analisi svolta in precedenti pareri del CESE sulla questione delle leve su cui agire per rendere questi prodotti alimentari più accessibili. Vari progetti di ricerca incentrati su questo tema sono entrati nella fase finale di programmazione in Francia: RMT-Alimentation locale (Réseau Mixte Technologique = Rete tecnologica mista - Alimentazione locale) (20), il progetto Casdar (Compte d’affectation spécial Développement agricole et rural = linea di bilancio a destinazione specifica per lo Sviluppo agricolo e rurale) ACCESSIBLE (21) o i progetti alimentari territoriali (22).

5.2.2.

Tra gli strumenti disponibili, potranno essere dedicate all’agroecologia e alle filiere corte alcune risorse per la ricerca e l’innovazione offerte dal PEI-Agri e dalla DG Ricerca della Commissione nel quadro del futuro programma Orizzonte Europa. Nell’ambito della futura PAC, si dovrebbero attivare i programmi di inverdimento (ECO-schemes = regimi ecologici) al fine di promuovere l’adozione graduale di metodi agroecologici da parte degli agricoltori e di favorire l’evoluzione dei sistemi verso le filiere corte. Si potrebbe fare lo stesso con le misure del secondo pilastro, come le misure agroambientali e climatiche e le sovvenzioni per gli investimenti necessarie per attuare tali misure, nonché gli strumenti di trasformazione e di commercializzazione. Occorre sviluppare risorse di formazione e di consulenza adattate, oltre ad attività a livello locale a titolo dei programmi Leader. Il sostegno alle iniziative territoriali può altresì beneficiare dei fondi stanziati per la coesione.

5.2.3.

È necessario elaborare norme ad hoc per consentire anche alle filiere corte di partecipare ad appalti pubblici, una possibilità attualmente limitata dalle regole della concorrenza, e occorre inoltre disporre di norme adeguate per tali filiere corte. Il regolamento (CE) n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari (23) consente delle possibilità di un’applicazione flessibile del sistema HACCP (hazard analysis and critical control point = analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo) nel caso dei produttori di piccole quantità, possibilità cui si deve ricorrere in tutti i paesi dell’UE. Lo stesso vale per le norme di etichettatura dei prodotti. L’etichettatura con l’indicazione di origine degli alimenti trasformati (ad esempio nei ristoranti o nella ristorazione collettiva) può essere di aiuto: se l’origine di un prodotto alimentare è indicata in modo trasparente, è più probabile che il consumatore scelga un prodotto o un piatto fabbricato nel territorio in cui risiede o in aree vicine, anche se deve pagarlo un po’ di più. Una copertura 4G (telefonia e Internet) nelle zone rurali sono fattori importanti per agevolare l’accesso e i contatti con i consumatori grazie agli sviluppi tecnologici digitali.

5.2.4.

Spesso ci si chiede con una certa preoccupazione se l’agroecologia e le filiere di prossimità saranno in grado di nutrire il nostro pianeta e la sua popolazione, che nel 2050 dovrebbe arrivare a 10 miliardi di abitanti. Le conclusioni di studi realizzati da numerosi organismi di ricerca sono chiare al riguardo: a livello internazionale, tenendo conto dei vincoli di ordine economico, ambientale e sociale, lo sviluppo dell’agroecologia e la mobilitazione delle risorse sia interne che esterne all’agricoltura sono due fattori indispensabili e possibili. In Europa, studi recenti dell’IDDRI (Institut du Développement durable et des Relations internationales = Istituto per lo sviluppo sostenibile e le relazioni internazionali) mostrano che entro il 2050 sarà possibile nutrire l’intera popolazione europea grazie ad un graduale processo di trasformazione agroecologica che includa l’allevamento, le colture e gli alberi, perseguendo un obiettivo di azzeramento delle emissioni di carbonio.

5.3.    La strada verso l’agroecologia

5.3.1.

La diffusione del progetto agroecologico su tutto il territorio dell’UE deve fondarsi su un piano d’azione strutturato, che faccia leva su diverse componenti dell’intervento, sia pubblico che privato, relative a tutta una serie di aspetti: formazione, sviluppo agricolo, riorientamento degli aiuti, adeguamento della regolamentazione, territorializzazione delle filiere, selezione genetica, regioni ultraperiferiche d’oltremare e azione internazionale (24). Sarebbe pertanto opportuno che l’UE lavorasse sulle possibilità di fornire sostegno affinché l’agroecologia e le filiere corte possano svilupparsi insieme e accordarsi su come garantire la loro sostenibilità comune. È importante che questa leva su cui agire sia sufficientemente ambiziosa da consentire a un gran numero di aziende agricole di impegnarsi sul lungo periodo a realizzare tale transizione. Il concetto di «temporalità»è importante in quanto consentirà non solo di lasciare ai soggetti interessati il tempo necessario per impegnarsi, ma permetterà anche a chi decide di assumersi questo impegno di portare completamente a termine il processo di transizione di un sistema che, di fatto, non è semplice da attuare.

5.3.2.

Una politica alimentare globale, che il CESE raccomanda di mettere in campo da diversi anni (attuata sotto la direzione di un Consiglio europeo dell’alimentazione al cui interno lo stesso CESE potrebbe avere un ruolo guida, e coordinata a livello delle pertinenti direzioni generali da un vicepresidente della Commissione europea) può fornire il quadro di riferimento di un programma. A livello dell’Unione europea la proposta di una politica alimentare comune è stata formulata sulla scorta dei lavori realizzati dal gruppo di esperti internazionale sui sistemi alimentari sostenibili (IPES-Food) (25).

5.3.3.

I lavori della FAO in materia possono servire da fonte di ispirazione per lo sviluppo dell’agroecologia su scala europea, e particolarmente illuminanti sull’argomento sono le raccomandazioni formulate in occasione del «Convegno regionale per sistemi agricoli e alimentari sostenibili in Europa e nell’Asia centrale». La guida intitolata L’établissement de liens entre les petits exploitants et les marchés («Creare collegamenti tra i piccoli agricoltori e i mercati»), adottata dal Comitato per la sicurezza alimentare mondiale (CFS) nel 2016, raccomanda agli Stati di sostenere i mercati territoriali (locali, regionali e nazionali) al fine di conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE sul tema Sistemi alimentari più sostenibili (GU C 303 del 19.08.2016, pag. 64) e parere del CESE sul tema Il contributo della società civile allo sviluppo di una politica alimentare globale dell’UE (GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 18).

(2)  Regolamento (UE) n. 1305/2013.

(3)  Codron J.-M, Sirieix L., Reardon T. (2006), Social and Environmental Attributes of Food Products: Signaling and Consumer Perception, With European Illustrations («Attributi sociali e ambientali dei prodotti alimentari: segnalazione e percezione dei consumatori, con una serie di esempi europei»), Agriculture and Human Values, vol. 23, no3, pag. 283-297.

(4)  Cfr. la nota 1.

(5)  Le Velly, R. (2017), Dynamiques des systèmes alimentaires alternatifs («Dinamiche dei sistemi alimentari alternativi»), Systèmes agroalimentaires en transition («Sistemi agroalimentari in transizione»), Édition Quae, pag. 149-158.

(6)  http://www.fao.org/about/meetings/second-international-agroecology-symposium/fr/

(7)  https://pubs.iied.org/14629IIED/?c=foodag.

(8)  (http://www.fao.org/3/i9037fr/I9037fr.pdf).

(9)  Regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, del 28 giugno 2007, relativo alla produzione biologica e all'etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91.

(10)  Studi di S. Bellon.

(11)  Articolo 1, modificato dalla Loi d’avenir agricole (Legge per il futuro dell’agricoltura) adottata il 13 ottobre 2014, Code rural et de la pêche maritime (Codice rurale e della pesca marittima).

(12)  PEI Agroecology Europe: http://www.agroecology-europe.org/

(13)  Claveirole, C. (2016): La transition agroécologique: défis et enjeux («La transizione agroecologica: sfide e opportunità»), Les avis du CESE (I pareri del Consiglio economico, sociale e ambientale francese).

(14)  https://rd-agri.fr/

(15)  https://pollen.chlorofil.fr/?s=agroecologie.

(16)  http://www.bergerie-nationale.educagri.fr/fileadmin/webmestre-fichiers/formation/articles_presse/Plan_EPA1-bilan-Fevrier_2019.pdf.

(17)  http://www.cocreate.brussels/-CosyFood-.

(18)  https://ec.europa.eu/eip/agriculture/sites/agri-eip/files/eip-agri_brochure_short_food_supply_chains_2019_en_web.pdf.

(19)  http://www.shortfoodchain.eu/news/

(20)  www.rmt-alimentation-locale.org/

(21)  http://www.civam.org/images/M%C3%A9lanie/AcceCible/PRESENTATION-Accessible.pdf.

(22)  http://rnpat.fr/les-projets-alimentaires-territoriaux-pat/

(23)  Regolamento (UE) n. 852/2004.

(24)  Claveirole, C. (2016): La transition agroécologique: défis et enjeux («La transizione agroecologica: sfide e opportunità»), Les avis du CESE (I pareri del Consiglio economico, sociale e ambientale francese).

(25)  IPES-Food, Towards a Common Food Policy for the European Union («Verso una politica alimentare comune per l’Unione europea»), Bruxelles, IPES Food, 2017.


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «La professione di agricoltore e le sfide in materia di redditività»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/12)

Relatore: Arnold PUECH D’ALISSAC (FR-I)

Decisione dell’Assemblea plenaria

20.2/2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

28.6.2019

Adozione in sessione plenaria

18.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

188/0/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La redditività e la sostenibilità economica delle aziende agricole costituiscono un problema rilevante nell’Unione europea, dove il reddito degli agricoltori è pari in media solo al 46,5 % di quello degli altri settori economici. Nonostante la scarsa redditività, il settore agricolo dell’UE svolge un ruolo fondamentale in quanto motore delle economie rurali e fonte di alimenti di qualità che rispettano le più elevate norme mondiali. Se si prescinde dagli aspetti altrettanto importanti rappresentati dagli elementi economici, commerciali, ecologici e sociali dell’attività agricola, è impossibile conseguire la sostenibilità ambientale.

1.2.

Il settore agricolo dell’UE offre ai consumatori la sicurezza alimentare malgrado la crescente pressione esercitata dai cambiamenti climatici e dalle richieste della società riguardanti la sostenibilità ambientale. Esso contribuisce inoltre attivamente a mantenere l’UE competitiva e dinamica sui mercati internazionali e a garantire l’avanzo commerciale dell’UE. Il settore agricolo è altresì una delle maggiori fonti di occupazione, poiché dà lavoro a più di 40 milioni di persone in tutta l’UE. In molte regioni, l’agricoltura è spesso l’unico settore economico a generare crescita e posti di lavoro.

1.3.

Nell’UE c’è bisogno di una filiera alimentare affidabile, trasparente, ben funzionante ed equa, che apporti benefici agli agricoltori e a tutti i soggetti interessati, compresi i trasformatori, i dettaglianti e, soprattutto, i consumatori. A livello nazionale dovrebbe essere preso in considerazione un approccio negoziale di mercato invertito, attraverso la creazione di catene del valore tese a garantire agli agricoltori un reddito mensile pari a due volte il salario minimo.

1.4.

Il settore agricolo dell’UE fornisce servizi pubblici ed esternalità che, pur essendo positivi, non sono riconosciuti dal mercato. L’obiettivo di garantire la sicurezza alimentare nel rispetto delle più elevate norme di produzione è stato raggiunto, tuttavia si presentano nuove sfide come i cambiamenti climatici, una più pronunciata volatilità dei prezzi, la concorrenza sleale di sistemi di produzione con norme meno rigorose, le pratiche commerciali sleali, lo spopolamento delle zone rurali e l’invecchiamento della popolazione agricola, che mettono gli agricoltori dell’UE in difficoltà sul mercato internazionale.

1.5.

Le nuove tecnologie, insieme ad attività di ricerca e innovazione inclusive, costituiscono una parte della soluzione per mantenere la competitività del settore agricolo dell’UE e consentire agli agricoltori dell’UE di affrontare il problema della sostenibilità in modo diretto ed efficace.

1.6.

L’istruzione lungo tutto l’arco della vita e lo sviluppo delle competenze sono necessari per fornire agli agricoltori dell’UE gli strumenti adeguati per sfruttare al meglio le nuove potenzialità tecnologiche e utilizzare soluzioni innovative nelle loro aziende.

1.7.

Gli agricoltori dell’UE hanno preso numerose misure volte a incrementare il loro contributo alla lotta contro i cambiamenti climatici, dei quali subiscono sempre più frequentemente gli effetti, ossia fenomeni quali alterazioni dei tempi dei raccolti, gelate precoci o tardive, incendi, inondazioni e siccità. Inoltre, le misure ambientali non dovrebbero mettere a repentaglio la sicurezza alimentare e devono tenere conto della necessità che gli agricoltori ricevano un’equa retribuzione per il lavoro supplementare spesso richiesto dalle misure di sostenibilità e mitigazione.

1.8.

Un’UE forte cerca di realizzare non solo gli obiettivi del trattato di Lisbona, ma anche obiettivi globali come l’accordo di Parigi sul clima e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Questi ambiziosi impegni devono essere sostenuti da un bilancio solido e da politiche efficaci, che garantiscano il futuro, lo sviluppo e la prosperità dell’agricoltura e delle zone rurali. Per gli agricoltori e le cooperative agricole d’Europa è essenziale che nel prossimo periodo di programmazione il bilancio della PAC sia sufficientemente robusto.

2.   Introduzione

2.1.

L’elaborazione del presente parere da parte del CESE ha lo scopo di mettere in risalto l’importante ruolo degli agricoltori europei e il contributo che forniscono all’economia dell’UE, in termini di sicurezza alimentare e di mantenimento di un tessuto rurale dinamico. Spesso questo contributo non viene ricompensato come meriterebbe, il che scoraggia le nuove generazioni dal rilevare le aziende di famiglia e riduce l’attrattiva del settore per i nuovi arrivati.

3.   Il ruolo degli agricoltori nell’UE

3.1.    Il contributo alla sicurezza alimentare, alla fornitura di alimenti sani e nutrienti e all’economia globale dell’UE

3.1.1.

In un contesto in cui la domanda di alimenti e biomassa è in aumento, gli agricoltori dell’UE e le loro cooperative e le loro imprese sono impegnati a produrre, trasformare e distribuire alimenti sicuri e di elevata qualità per i cittadini europei e per i consumatori in tutto il mondo. Essi offrono ai consumatori la sicurezza alimentare malgrado la crescente pressione esercitata dai cambiamenti climatici e dalle esigenze della società in termini di sostenibilità ambientale. Il settore agricolo europeo contribuisce inoltre attivamente a mantenere l’UE competitiva e dinamica sui mercati internazionali. Secondo Eurostat (1), nel 2017 il settore agricolo rappresentava l’1,2 % del PIL dell’UE e creava un valore aggiunto (lordo) di 188,5 miliardi di EUR, contribuendo attivamente, nello stesso periodo, all’avanzo commerciale dell’UE con 137 miliardi di EUR di esportazioni agricole.

3.2.    L’occupazione nelle zone rurali e nelle aree svantaggiate

3.2.1.

La filiera agroalimentare, uno dei settori economici più importanti dell’UE, mantiene e crea crescita e occupazione e dà lavoro a circa 40 milioni di persone; di queste, circa 10 milioni sono impiegate direttamente e lavorano presso aziende e cooperative agricole. In determinate aree o regioni l’agricoltura è l’unica fonte di occupazione esistente.

3.3.    Gli agricoltori come difensori dei paesaggi tradizionali e responsabili della gestione del territorio

3.3.1.

Gli agricoltori dell’UE, le imprese agricole e le loro cooperative gestiscono circa 173 milioni di ettari, pari a circa il 39 % della superficie totale dell’UE. Gli agricoltori e i loro familiari preservano il paesaggio e la biodiversità rurale e sono responsabili di molte realizzazioni positive per la società: con il loro impegno assiduo in termini di gestione del territorio e del paesaggio, contribuiscono attivamente a mitigare gli effetti delle grandi catastrofi dovute a condizioni meteorologiche estreme. Molti agricoltori sono anche proprietari di foreste, e offrono un notevole contributo alla gestione sostenibile delle foreste. Inoltre, gli agricoltori contribuiscono a mantenere e ripristinare il paesaggio tradizionale dell’UE nelle zone rurali, garantendo la conservazione del patrimonio culturale e creando altresì sinergie positive con il settore turistico dell’UE. Tuttavia, l’impegno profuso finora dal settore agricolo non può mascherare il fatto che, per conseguire gli obiettivi europei e globali in materia di biodiversità, compresa la protezione delle api, degli insetti e degli uccelli, sono necessari molti più sforzi, oltre all’adozione di misure. Ciò è in parte in conflitto con i requisiti di redditività e l’UE deve quindi ricompensare in modo obbligatorio un maggiore contributo ambientale dell’agricoltura mediante risorse aggiuntive destinate alla PAC.

4.   L’evoluzione della professione di agricoltore

4.1.    Le crescenti richieste della società in termini di alimentazione sana, origine e qualità degli alimenti, impatto sull’ambiente e benessere degli animali

4.1.1.

I consumatori dispongono di una grande quantità di informazioni relative ai prodotti che consumano quotidianamente, e prestano maggiore attenzione all’origine e alla qualità dei prodotti alimentari, nonché al loro impatto ambientale. Altri fattori importanti che determinano le scelte dei consumatori sono il rispetto delle pratiche in materia di benessere degli animali e la distanza dal luogo dove vengono prodotti gli alimenti, compreso l’accorciamento delle filiere alimentari.

4.1.2.

Al fine di soddisfare le aspettative dei consumatori, gli agricoltori dell’UE hanno iniziato ad attuare azioni volte a migliorare ancora di più il benessere degli animali e a ridurre qualsiasi impatto negativo delle attività agricole sull’ambiente e sulla qualità del suolo, fornendo nel contempo prodotti di alta qualità. Gli agricoltori dell’UE, assistiti dalle autorità pubbliche e dal mondo accademico, stanno investendo energie e risorse per venire incontro a questo nuovo modello di consumo.

4.2.    Il ruolo della tecnologia e dell’innovazione nell’agricoltura

4.2.1.

Il settore agricolo dell’UE è in prima linea nella rivoluzione tecnologica e digitale, con l’introduzione di molte innovazioni radicali in campi quali la genetica, i veicoli automatizzati, i robot, i droni, le immagini satellitari, il telerilevamento, i big data ecc. Inoltre, da sempre gli agricoltori adottano, sviluppano e applicano modelli aziendali e pratiche agronomiche sotto il segno dell’innovazione, tra cui nuove tecniche e metodi di produzione che hanno consentito di incrementare la produzione e reso le pratiche agricole più adattabili al mutare delle circostanze.

4.2.2.

In questa prospettiva, le nuove tecnologie aiutano gli agricoltori dell’UE a garantire la sicurezza alimentare nel rispetto delle norme più elevate al mondo e a soddisfare le aspettative dei consumatori. In questo senso, le nuove tecnologie consentono agli agricoltori dell’UE di affrontare la questione ambientale in modo diretto ed efficace. Ad esempio, la riduzione dell’impiego dei prodotti fitosanitari (PPP) è realizzabile utilizzando una combinazione di tecnologie che aiutano gli agricoltori in ogni aspetto della produzione. Per quanto riguarda la riduzione dell’uso di prodotti fitosanitari e il rafforzamento della resistenza delle piante e degli animali ai parassiti, ai funghi e agli agenti patogeni esterni, tra altre tecniche, quelle con il maggiore impatto sono le nuove tecniche di selezione.

4.2.3.

Il ruolo delle tecnologie è connesso non solo alla produzione in quanto tale, ma anche alla tracciabilità, alla sicurezza alimentare, al benessere degli animali e alle azioni di mitigazione dei cambiamenti climatici, che contribuiscono a fare del settore agricolo dell’UE uno dei più avanzati e sicuri al mondo.

4.2.4.

L’accesso ai finanziamenti è di vitale importanza per gli agricoltori dell’UE al fine di attuare soluzioni tecnologiche innovative nelle aziende agricole. A tale riguardo, nell’ambito della nuova PAC occorre preservare e promuovere la funzione inerente alla sussidiarietà del secondo pilastro della PAC. È importante comprendere che solo attraverso un facile accesso al credito gli agricoltori dell’UE potranno applicare i più recenti sviluppi tecnologici alle loro attività.

5.   Sfide

5.1.    I cambiamenti climatici

5.1.1.

Gli agricoltori dell’UE contribuiscono in modo significativo alla lotta contro i cambiamenti climatici, dei quali subiscono sempre più frequentemente gli effetti, ossia fenomeni quali alterazioni dei tempi dei raccolti, gelate precoci o tardive, incendi, inondazioni e siccità. Misure efficaci di adattamento ai cambiamenti climatici sono pertanto fondamentali per la redditività delle aziende agricole. Nel contempo, gli agricoltori stanno riducendo le emissioni sia all’interno che all’esterno delle aziende grazie a pratiche di gestione sostenibile, all’applicazione di nuove tecnologie e a un uso più efficiente delle colture, della paglia, del letame e di altri residui per produrre energia rinnovabile, nonché grazie al riscaldamento solare e alla produzione di elettricità dall’energia eolica e da altre fonti. I prodotti ottenuti dai residui agricoli e zootecnici possono essere utilizzati anche per produrre biocarburanti e materiali industriali rinnovabili nelle aziende stesse seguendo i principi dell’economia circolare, contribuendo a ridurre le emissioni in altri settori e la dipendenza dell’UE dalle forniture di combustibili fossili.

5.1.2.

È importante osservare che l’accordo di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile stabiliscono per il settore agricolo dell’UE obiettivi importanti, che devono essere raggiunti tra il 2030 e il 2050. Gli agricoltori dell’UE saranno pronti a raccogliere queste sfide a patto che siano dotati degli strumenti adeguati. Lo «strumentario» deve comprendere un quadro strategico positivo e facile da usare, nuove tecnologie, strategie di gestione delle risorse idriche (ossia stoccaggio e irrigazione) e un robusto bilancio della PAC che sostenga gli sforzi supplementari degli agricoltori. Privare gli agricoltori di uno dei suddetti strumenti potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza alimentare e incidere negativamente sulla qualità della produzione alimentare dell’UE.

5.2.    Il reddito nel settore agricolo

5.2.1.

Nel 2017 il reddito agricolo (2) nell’UE-28 per unità di lavoro annuale (ULA), espresso sotto forma di indice, era superiore del 10,9 % rispetto al 2016. Ciò deve tuttavia essere messo in relazione ad altri settori economici in cui il reddito medio è molto più elevato. Nel 2017, in effetti, il reddito d’impresa degli agricoltori per unità lavorativa familiare era pari solo al 46,5 % del salario medio dell’economia in generale.

5.2.2.

Questa situazione ha un impatto profondo sullo sviluppo del settore in termini di attrattiva generale per i soggetti esterni, gli investitori e le banche, e dunque impedisce lo sviluppo di sinergie con altri settori economici e aggrava il problema del ricambio generazionale nelle zone rurali.

5.3.    La volatilità dei prezzi e l’emergere di nuovi mercati

5.3.1.

Nel 2017 i prezzi in termini reali (al netto dell’inflazione) della maggior parte dei principali prodotti erano superiori rispetto all’anno precedente: il prezzo medio del latte mostrava un aumento del 17,1 % rispetto al 2016, i prezzi dei suini un incremento dell’8,3 %, quelli dei cereali del 3,0 %, i prezzi dei bovini erano più alti del 2,2 % e quelli del pollame dell’1,0 %. Il prezzo reale degli ovini e dei caprini, per contro, ha proseguito il suo calo nel 2017 (-1,4 %). Questa tendenza positiva della maggior parte dei prodotti faceva parte di una fase di espansione iniziata nel 2003. Nel 2008 si è tuttavia verificato un crollo dei prezzi, da cui è derivata una volatilità dei prezzi sul mercato internazionale che ha messo in difficoltà i piccoli e medi agricoltori dell’UE e gli investitori entrati di recente nel settore agricolo.

5.3.2.

Data la sua natura eterogenea, il settore agricolo dell’UE ha reagito in modi diversi allo shock dei prezzi del 2008: molti piccoli e medi agricoltori sono stati costretti a fare affidamento soltanto sui pagamenti diretti della PAC per poter continuare l’attività, ma ciò non è stato sufficiente a garantir la sostenibilità economica delle loro aziende.

Esaminando le esportazioni dell’UE, il principale partner commerciale per i prodotti agricoli sono gli Stati Uniti (16 % delle esportazioni agricole totali, per un valore netto di 33,3 miliardi di EUR nel 2017). Con una simile concentrazione delle esportazioni in un unico mercato, il settore agricolo dell’UE è esposto a decisioni politiche di parti terze che potrebbero determinare forti fluttuazioni dei prezzi (ad esempio l’imposizione di divieti di esportazione o dazi doganali elevati).

Il mercato unico dell’UE è il mercato più aperto e accessibile al mondo, e pone gli agricoltori dell’UE di fronte alla sfida di competere con prodotti agricoli di base importati che rispondono a norme di produzione diverse. Tuttavia, la tracciabilità dei prodotti alimentari provenienti da paesi terzi è ancora perfettibile e potrebbe portare a numerose controversie sulla qualità e sull’etichettatura dei prodotti alimentari importati (ad esempio, prodotti alimentari sviluppati mediante nuove tecniche di selezione, impiego di PPP, rispetto delle norme in materia di benessere degli animali ecc.). Tali importazioni sono molto competitive sul mercato dell’UE a causa delle norme di produzione diverse a esse applicate, e creano tensioni per gli agricoltori dell’UE, che già rispettano le più severe norme di produzione al mondo.

5.4.    Lo spopolamento delle zone rurali e il ricambio generazionale

5.4.1.

Secondo la Commissione europea, sette agricoltori indipendenti su dieci (71,5 %), nei 10,5 milioni di aziende agricole dell’UE, sono uomini, e la maggioranza (57,9 %) ha 55 anni o più. Solo uno su dieci (10,6 %) è un giovane agricoltore di età inferiore ai 40 anni, e tale percentuale è persino più bassa tra le agricoltrici (8,6 %).

5.4.2.

Gli agricoltori, i proprietari di foreste, le imprese agricole e le cooperative agricole costituiscono la spina dorsale dell’economia delle zone rurali dell’UE. L’invecchiamento degli agricoltori dà luogo a uno spopolamento generalizzato delle zone rurali (la cosiddetta «diaspora rurale»), con conseguenze dirette per il tessuto economico e socioculturale di questi territori. Inoltre, le nuove generazioni sono scoraggiate dal prendere il controllo delle aziende di famiglia a causa della scarsa redditività dell’attività agricola e delle difficoltà di accesso ai terreni.

6.   Opportunità

6.1.    La digitalizzazione e l’agricoltura di precisione

6.1.1.

L’agricoltura è entrata nell’era digitale, nella quale ogni dispositivo che produce dati durante le varie fasi della produzione agricola può trasmettere tali informazioni affinché siano raccolte, trattate e analizzate. L’uso dei big data potrebbe aiutare gli agricoltori ad entrare nel futuro dell’agricoltura e a conseguire obiettivi ambiziosi.

6.1.2.

Un’azienda agricola produce molti tipi di dati che possono essere classificati in categorie diverse, quali dati agronomici, dati finanziari, dati di conformità, dati meteorologici, dati ambientali, dati relativi alle macchine, al personale ecc. Tali dati derivano da un’ampia gamma di fonti sempre più potenti ed economiche, quali macchinari, droni, GPS, sensori remoti, satelliti, smartphone e così via, e sono integrati da fornitori di servizi, organismi di consulenza, autorità pubbliche ecc. Inoltre, altri partner della catena di valore, quali trasformatori e dettaglianti, supermercati, ipermercati, nonché agenzie di pubblicità, raccolgono enormi quantità di dati sui mercati in cui gli agricoltori vendono i loro prodotti.

6.1.3.

La raccolta e l’uso dei dati in agricoltura non sono un concetto nuovo: gli agricoltori hanno svolto tali attività fin dagli albori dell’attività agricola. La novità consiste, invece, nell’opportunità di sviluppare un settore agricolo basato sui dati, grazie alle dimensioni e al volume di questi dati, che crescono a un ritmo esponenziale. Un’altra novità riguarda la qualità delle informazioni in tempo reale ottenute a livello di azienda agricola e la tecnologia utilizzata per la raccolta, l’archiviazione, l’uso, la gestione, la condivisione, l’elaborazione e la comunicazione dei dati.

6.1.4.

La proprietà dei dati e il diritto di determinare chi può accedervi e utilizzarli sono essenziali per garantire la partecipazione degli agricoltori all’applicazione delle nuove tecnologie. Attualmente non esiste un quadro comune che spieghi chiaramente la proprietà dei dati, ragion per cui il settore agricolo dell’UE ha introdotto un codice di condotta sulla condivisione dei dati nel settore agricolo mediante un accordo contrattuale (3), in cui spiega il diritto del creatore dei dati a ricevere una compensazione per l’uso dei dati generati nell’ambito della sua attività.

6.1.5.

La digitalizzazione e l’agricoltura di precisione svolgono un ruolo importante nel dar forma al futuro del settore agricolo dell’UE, hanno un impatto sul mercato del lavoro e sul tipo di competenze necessarie in agricoltura, e stanno ridefinendo il ruolo degli agricoltori e i modelli aziendali delle cooperative agricole.

6.2.    Le misure di mitigazione dei cambiamenti climatici e di adattamento ai medesimi

6.2.1.

Negli ultimi decenni il settore agricolo dell’UE ha attuato un gran numero di azioni tese a migliorare la sua sostenibilità ambientale. La PAC impone azioni ambientali rigorose e impegnative e pratiche di gestione sostenibili che cambiano il modo in cui gli agricoltori operano nei campi, combinando in modo efficace la qualità e la sostenibilità.

6.2.2.

L’agricoltura e la silvicoltura hanno un ruolo particolare nella mitigazione dei cambiamenti climatici in quanto costituiscono l’unico settore economico che, attraverso la fotosintesi, elimina le emissioni di gas a effetto serra dall’atmosfera. Questo contributo del settore non è ancora pienamente riconosciuto, calcolato o contabilizzato correttamente, e i responsabili politici dovrebbero prendere in considerazione una migliore valutazione del modo in cui le foreste e le colture permanenti e annuali possono contribuire alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

6.2.3.

Oggi, gli agricoltori vorrebbero vedere i loro sforzi nella lotta ai cambiamenti climatici riconosciuti dalla società e dai responsabili politici. Questi ultimi, in particolare, dovrebbero rendersi conto che le misure ambientali non dovrebbero mettere a repentaglio la sicurezza alimentare e devono ricordare che gli agricoltori hanno bisogno di ricevere un’equa retribuzione per il lavoro supplementare spesso richiesto dalle misure di sostenibilità e mitigazione.

6.3.    Una maggiore trasparenza del mercato lungo tutta la filiera alimentare

6.3.1.

Secondo la scheda informativa pubblicata dalla Commissione nel marzo 2017, la distribuzione del valore aggiunto nella filiera alimentare è circa del 25 % per l’agricoltore, del 25 % per la trasformazione alimentare e del 50 % per il commercio alimentare al dettaglio e i servizi di ristorazione.

6.3.2.

Allo stato attuale, è necessario rispettare rigorosamente la direttiva dell’UE sulle pratiche commerciali sleali. Tra le imprese della filiera agricola e alimentare si palesa costantemente una forte sproporzione nel potere contrattuale tra agricoltori e trasformatori di prodotti agricoli e alimentari. In questa situazione di squilibrio, intervengono con il loro potere grandi organizzazioni commerciali (supermercati, ipermercati, grandi camere dell’industria alimentare e della trasformazione che operano in tutta Europa).

6.3.3.

Le fasi della trasformazione e della distribuzione hanno ampliato il loro valore aggiunto totale nella filiera alimentare, rispondendo all’aumento della domanda di prodotti pronti da parte dei consumatori. Allo stesso tempo, dal 2014 in poi il valore aggiunto dell’agricoltura è diminuito (calo del 4 % nel 2016), a causa dell’aumento dei costi dei fattori produttivi dovuto alla concorrenza per le scarse risorse nonché alle limitate possibilità per gli agricoltori di aggiungere valore al prodotto di base o di ottenere una remunerazione per tale prodotto.

6.3.4.

Nel recente studio Ripe for change (2018), inoltre, Oxfam ha evidenziato le disuguaglianze della filiera alimentare sulla base di esempi provenienti tra l’altro dal Regno Unito, dai Paesi Bassi e dalla Germania. Esaminando nel dettaglio la ripartizione dei prezzi per il consumatore finale, lo studio riguardante il Regno Unito ha rilevato che nel 2015 più della metà di questo prezzo andava ai supermercati (52,8 %), il 38,5 % ai commercianti e ai produttori di alimenti e solo il 5,7 % del prezzo ai piccoli agricoltori e ai lavoratori. Il restante 3 % del prezzo corrispondeva al costo dei fattori produttivi.

6.3.5.

In tali circostanze, dato l’elevato livello di concentrazione del settore del commercio al dettaglio e l’importanza fondamentale di difendere un mercato interno ben funzionante, la legislazione quadro dell’UE, che include il divieto di pratiche commerciali sleali con meccanismi di controllo e di applicazione associati a sanzioni dissuasive, costituisce un buon punto di partenza. È fondamentale proseguire questo sforzo per incrementare la trasparenza del mercato, garantendo una congrua parte del valore agli agricoltori. Inoltre, nel luglio 2020 sarà attuato il nuovo regolamento sul distacco dei lavoratori, che dovrà contribuire a un’attività più trasparente ed equa tra gli agricoltori a livello nazionale.

6.3.6.

A livello nazionale dovrebbe essere preso in considerazione un approccio negoziale di mercato invertito, attraverso la creazione di catene del valore tese a garantire agli agricoltori un reddito mensile pari a due volte il salario minimo.

7.   Soluzioni

7.1.

Il sistema di produzione agricola a conduzione familiare così apprezzato dai consumatori europei necessita di buone politiche e di una regolamentazione equa e ragionevole, unite a una legislazione forte ed efficace che contribuirà ad attenuare la grave minaccia rappresentata dall’estrema volatilità dei prezzi e dal sempre crescente squilibrio di potere nella catena di approvvigionamento. La task force per i mercati agricoli rappresenta un passo in questa direzione, ma deve essere ulteriormente rafforzata.

7.2.    Attività di ricerca e innovazione adeguate alle esigenze degli agricoltori, approccio multilaterale e coinvolgimento diretto dei soggetti interessati

7.2.1.

Per tradurre in pratica i risultati della ricerca è fondamentale la partecipazione dei soggetti interessati. Porre gli interessi degli agricoltori al centro del processo di innovazione non solo accelererà in modo significativo l’impatto di tale processo, ma garantirà anche l’applicabilità pratica dei risultati della ricerca e dell’innovazione. Inoltre, ciò contribuirà a garantire che i fondi stanziati per la ricerca siano spesi meglio.

7.2.2.

Gli agricoltori, le imprese agricole, i proprietari di foreste e le loro cooperative possono costituire, anche attraverso programmi governativi, il motore dell’innovazione e della crescita economica. Occorre pertanto promuovere e incoraggiare il loro coinvolgimento sin dalle primissime fasi delle attività di ricerca e innovazione nei settori dell’agricoltura, dell’alimentazione, della silvicoltura e dell’acquacoltura. Il loro coinvolgimento in tutte le fasi dei progetti garantirà una ricerca e un’innovazione più orientate alla domanda e contribuirà a colmare l’attuale divario tra il mondo accademico e la pratica, favorendo le soluzioni applicabili. In ultima analisi, ciò dovrebbe consentire ai nostri agricoltori e coltivatori di diventare più competitivi.

7.3.    Eccellenza e qualità (biologico, IG, marchi e filiere alimentari corte)

7.3.1.

I prodotti ad alto valore aggiunto come quelli contraddistinti da indicazioni geografiche e i prodotti biologici costituiscono una buona fonte di reddito per molti operatori, in particolare per gli agricoltori. Queste particolari filiere alimentari sono ancora più interessanti in assenza di intermediari, situazione in cui queste filiere corte diventano una fonte di reddito molto remunerativa per gli agricoltori e per le comunità rurali in cui vengono realizzati i suddetti prodotti.

7.3.2.

In particolare, le filiere alimentari corte dell’UE rappresentano un’alternativa alle filiere alimentari tradizionali più lunghe, in cui i piccoli agricoltori o le cooperative hanno spesso poco potere contrattuale e il consumatore non può far risalire un prodotto alimentare fino a un produttore o a un’area locale conosciuti. Tale sistema alimentare è di notevole interesse in quanto risponde a una serie di esigenze e opportunità, sia per gli agricoltori che per i consumatori. Lo sviluppo di diversi tipi di filiere alimentari corte (ossia vendite dirette da parte di privati e/o vendite dirette collettive, partenariati – agricoltura sostenuta dalla comunità) è uno degli approcci della politica agricola comune destinati a rafforzare la competitività in Europa. Le filiere alimentari corte possono fungere da motore del cambiamento e da modello per favorire la trasparenza, la fiducia, l’equità e la crescita in tutta la filiera agroalimentare.

7.3.3.

Un approvvigionamento alimentare sufficiente garantisce un certo grado di stabilità sociale della vita dei cittadini dell’UE rispetto alla situazione di una parte del nostro pianeta in cui manca il cibo, fatto che è anche all’origine di fenomeni di migrazione economica verso l’Europa o altri stati.

7.4.    Istruzione e sviluppo di nuove competenze per il settore primario (accorciato)

7.4.1.

Secondo Eurostat, la maggior parte degli agricoltori indipendenti nell’UE ha solo esperienza pratica: nel 2016 ciò era vero per sette agricoltori su dieci (68,3 %), mentre meno di uno su dieci (9,1 %) aveva una formazione agraria completa e il resto (22,6 %) aveva una formazione agraria di base.

7.4.2.

L’istruzione nel settore primario è fondamentale per promuovere la modernizzazione e migliorare l’uso delle nuove tecnologie.

7.4.3.

Ciò è di vitale importanza nel momento attuale, quando le competenze digitali stanno diventando un elemento essenziale della gestione delle aziende agricole moderne. Queste competenze sono necessarie in molti settori, e l’agricoltura non costituisce un’eccezione. Nel settore agricolo vi è una crescente necessità di persone con competenze nel campo delle TIC e del digitale, ma nell’economia sussiste un’evidente carenza delle suddette competenze, in particolare nelle zone rurali.

7.4.4.

Affinché la comunità agricola possa sfruttare appieno le opportunità della trasformazione tecnologica e digitale, è necessario migliorare il livello delle competenze digitali nell’ambito della forza lavoro agricola.

7.4.5.

Ciò può essere fatto a livello di azienda e anche all’interno di associazioni e cooperative, nonché nell’ambito del sistema di istruzione e formazione dell’UE, che deve prevedere programmi di formazione permanente per lo sviluppo delle nuove competenze.

Bruxelles, 18 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Eurostat, Agriculture, forestry and fishery statistics 2018 («Dati statistici riguardanti l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca, edizione 2018»).

(2)  Eurostat, Agriculture, forestry and fishery statistics 2018 («Dati statistici riguardanti l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca, edizione 2018»).

(3)  COPA Cogeca — Codice di condotta UE sulla condivisione dei dati nel settore agricolo mediante un accordo contrattuale.


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/79


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Trasporti, energia e servizi d’interesse generale come motori della crescita sostenibile europea attraverso la rivoluzione digitale»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 353/13)

Relatore: Alberto MAZZOLA

Correlatrice: Evangelia KEKELEKI

Decisione dell’Assemblea plenaria

24.1.2019

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

3.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

183/13/19

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che solidi sistemi europei di trasporto, energia e servizi d’interesse generale siano essenziali per un continente pienamente integrato, che risponda alle sfide globali della crescita competitiva sostenibile in un ambiente moderno, digitalizzato e intelligente, in grado di affrontare la crescita economica, la prosperità, le opportunità di lavoro, la povertà, la disuguaglianza, i cambiamenti climatici, la pace e la giustizia, come richiesto dagli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. La partecipazione attiva e l’impegno dei cittadini dell’UE, in qualità di imprenditori, produttori, lavoratori, consumatori, prosumatori, investitori e utenti finali, devono essere, secondo il CESE, al centro delle opzioni e delle azioni strategiche.

1.2.

Il CESE è fermamente convinto che il completamento del mercato unico dell’UE rimanga il pilastro più importante per intensificare la crescita digitalizzata europea. Il CESE chiede alla Commissione europea di applicare la legislazione adottata per le imprese e i consumatori e di verificarne la corretta attuazione, ed esorta la Commissione a rivedere il Libro bianco sul mercato unico, al fine di elaborare una strategia per completare il mercato unico entro il 2025, per imprese più forti, accompagnata da una più ampia protezione dei lavoratori e dei consumatori e riguardante nuovi settori europei dei trasporti, dell’energia e di servizi d’interesse generale intelligenti e pienamente interconnessi e interoperabili.

1.3.

Il CESE raccomanda di sviluppare un contesto normativo che stimoli la concorrenza e l’innovazione e responsabilizzi i cittadini e le imprese conferendo loro fiducia e consapevolezza dei vantaggi delle tecnologie digitali applicate ai trasporti, all’energia e ai servizi d’interesse generale per i cittadini, i consumatori, le imprese e i lavoratori, nonché tutti questi soggetti riuniti in un’unica «persona digitale». Il CESE suggerisce di passare dai concetti di titolarità del trattamento dei dati a una definizione di diritti in materia di dati per le persone fisiche e giuridiche. I consumatori dovrebbero avere il controllo dei dati prodotti dagli apparecchi collegati, in modo che la loro vita privata sia tutelata.

1.4.

La libera circolazione dei dati è fondamentale. Pertanto, il CESE chiede soluzioni efficaci che eliminino i problemi legati all’accessibilità, all’interoperabilità e al trasferimento dei dati, garantendo nel contempo un’adeguata protezione dei dati stessi e della vita privata, un’equa concorrenza e una più ampia scelta per i consumatori. Le stesse condizioni devono applicarsi alle società pubbliche e private, con condizioni di reciprocità per gli scambi di dati e la compensazione dei costi.

1.5.

Il CESE invita la Commissione europea e gli Stati membri a stanziare risorse adeguate e attribuire poteri sufficienti per applicare efficacemente la legislazione vigente. Inoltre, il CESE invita gli Stati membri ad adottare rapidamente la proposta della Commissione relativa a un sistema di ricorso collettivo dell’UE. È necessario garantire che siano portati avanti solo i casi ben fondati e motivati, evitando così un eccesso di contenzioso.

1.6.

Il CESE ha una posizione chiara riguardo l’ammissibilità, sul piano etico, di delegare le scelte da compiere a sistemi basati sull’intelligenza artificiale (IA): tutti i sistemi automatizzati, per quanto sofisticati, devono operare secondo il principio del controllo dell’uomo sulla macchina.

1.7.

Il CESE invita la Commissione europea a pubblicare orientamenti e chiarimenti sul regolamento generale sulla protezione dei dati, per garantire un’applicazione uniforme e un elevato livello di protezione dei dati e dei consumatori, anche per quanto riguarda le automobili connesse e automatizzate, e la incoraggia a rivedere le norme in materia di responsabilità per danno da prodotti e di assicurazione, adeguandole a una situazione in cui le decisioni saranno adottate sempre più spesso dai software. La sicurezza informatica è un elemento della massima importanza per garantire una transizione sicura e accettata.

1.8.

Il CESE esorta la Commissione a sviluppare un quadro adeguato per i sistemi sanitari digitalizzati nazionali per quanto riguarda la condivisione dei dati sanitari dei cittadini dell’UE conformemente al regolamento generale sulla protezione dei dati (ossia nel rispetto di rigorose condizioni di tutela della vita privata e di anonimato), ai fini della ricerca e dell’innovazione da parte delle istituzioni e delle imprese dell’UE.

1.9.

Dal momento che con il 5G la tecnologia mobile e di Internet sarà elevata al rango di tecnologia a finalità generale e contribuirà fortemente al «processo di mutazione industriale […] che rivoluziona incessantemente dall’interno la struttura economica, distruggendo continuamente i suoi elementi obsoleti e creando continuamente degli elementi nuovi», il CESE esorta le istituzioni e gli Stati membri dell’UE a completare il mercato unico digitale, anche per quanto riguarda lo sviluppo di capacità per integrare e utilizzare i servizi 5G al fine di difendere e migliorare la competitività delle industrie europee, come i trasporti e l’industria automobilistica, l’energia, i prodotti chimici e farmaceutici, l’industria manifatturiera, comprese le PMI, e la finanza, in cui l’Europa è una potenza globale all’avanguardia.

1.10.

Il CESE chiede alla Commissione di monitorare attentamente i progressi compiuti nella diffusione e nell’uso effettivo della tecnologia 5G, e invita gli Stati membri ad accelerare ulteriormente il processo. Il CESE propone di adottare una politica europea che imponga a ciascun paese di avere almeno due fornitori, di cui almeno uno europeo.

1.11.

Inoltre, affinché sia possibile valutare i potenziali rischi delle radiazioni elettromagnetiche per la salute umana e l’ambiente, il CESE invita la Commissione a far realizzare uno studio sull’impatto biologico della radiazione emessa dalla tecnologia 5G.

1.12.

Il CESE sottolinea che la trasformazione digitale dei sistemi energetici e di trasporto europei richiede nuovi insiemi di competenze per i lavoratori e i dipendenti a tutti i livelli, e sottolinea la necessità di rafforzare i legami tra i fornitori di istruzione e formazione e l’industria, promuovendo meccanismi su vasta scala volti a migliorare l’alfabetizzazione digitale, le capacità digitali permanenti e la formazione permanente: il Fondo sociale europeo deve fornire un contributo in merito a tali questioni. L’istruzione e la formazione sono necessarie anche per i cittadini e i consumatori, affinché non siano esclusi dal mercato digitale poiché dispongono di scarso o di nessun accesso alla rete delle comunicazioni elettroniche o per via del loro analfabetismo digitale. Il CESE ritiene necessario migliorare la cosiddetta «igiene informatica» anche attraverso campagne di sensibilizzazione dei cittadini e delle imprese (1).

1.13.

Per organizzare la transizione verso una mobilità a basse e a zero emissioni, il CESE sostiene: un approccio integrato e sistemico, che sia tecnologicamente neutrale; veicoli e infrastrutture a basse e a zero emissioni; un passaggio graduale e a lungo termine ai combustibili alternativi e a zero emissioni nette di carbonio; un aumento dell’efficienza (come con l’SES — Single European Sky = Cielo unico europeo), grazie all’uso ottimale delle tecnologie digitali (come con l’ERTMS (European Rail Traffic Management System = Sistema europeo di gestione del traffico ferroviario) e della tariffazione intelligente e a una ulteriore promozione dell’integrazione multimodale e delle transizioni verso modi di trasporto più sostenibili; cittadini messi in condizione di scegliere la« mobilità come servizio »grazie a una crescente connettività.

1.14.

Il contributo del settore energetico alla decarbonizzazione dovrebbe dispiegarsi, secondo il CESE, attraverso varie azioni:

sviluppo di tecnologie emergenti essenziali per un’economia circolare, neutra dal punto di vista del clima ed efficiente sotto il profilo energetico;

concentrazione sulle reti intelligenti per integrare e ottimizzare l’uso delle diverse fonti rinnovabili;

tecnologie pulite per la produzione, lo stoccaggio, la trasmissione, la distribuzione e il consumo di energia, gestione della domanda, efficienza energetica, edifici e microgenerazione;

una strategia specifica per le industrie e le regioni ad alta intensità energetica;

un sistema di scambio di emissioni più solido;

strumenti rafforzati per la sicurezza in generale e la sicurezza informatica delle strutture e delle reti.

1.15.

Il CESE fa osservare che:

le grandi infrastrutture europee interconnesse dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni costituiscono i punti nodali fondamentali del mercato unico e sono necessarie per consentire all’UE di rimanere all’avanguardia del progresso e della concorrenza a livello mondiale;

la priorità del settore trasporti che consiste nel completamento della rete TEN-T richiede investimenti pari a circa 500 miliardi di EUR per la sola rete centrale da qui al 2030;

gli investimenti degli operatori di mercato in Europa per il 5G sono stimati in 60-100 miliardi di EUR all’anno per i prossimi cinque anni. La connettività nelle zone rurali richiederebbe investimenti per 127 miliardi di EUR;

la realizzazione di un’economia a zero emissioni nette di gas a effetto serra richiederà investimenti aggiuntivi di entità compresa tra 175 e 290 miliardi di EUR all’anno, per un totale di 520-575 miliardi di EUR nel settore dell’energia e di circa 850-900 miliardi di EUR in quello dei trasporti.

1.16.

Per finanziare investimenti così ingenti, pari a circa il 9-10 % del PIL dell’UE, prevalentemente privati e in gran parte aggiuntivi, il CESE raccomanda di promuovere un ambiente favorevole agli investimenti, anche mediante l’applicazione della«regola d’oro sugli investimenti», e nuovi regimi finanziari attraverso strumenti di coesione, la Banca europea per gli investimenti (BEI), il meccanismo per collegare l’Europa e InvestEU, Orizzonte Europa e iniziative congiunte tra settore pubblico e settore privato. Il CESE auspica che gli investitori pubblici e privati possano farsi carico di tali investimenti, e a tal fine raccomanda di semplificare le procedure amministrative, di ampliare i fondi e i finanziamenti, di internalizzare le esternalità negative e positive e di promuovere un ambiente propizio agli investimenti. Il lavoro in corso per la creazione di una tassonomia dell’UE per l’ecologizzazione della finanza rappresenta un passo importante.

1.17.

Tuttavia, il CESE è profondamente convinto che solo un compromesso politico e sociale basato su una visione sistemica condivisa, con un chiaro conseguimento di obiettivi intermedi verificabili nel breve e medio termine, garantirebbe l’accettazione di un impegno finanziario così enorme da parte di investitori privati, e di un investimento pubblico così ingente da parte del contribuente europeo.

2.   Sfide trasversali

2.1.

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile sono un invito all’azione da parte di tutti i paesi per realizzare un futuro migliore e più sostenibile per tutti. Essi rispondono alle sfide globali che ci attendono, comprese quelle relative alla crescita economica, alla prosperità, alla povertà, alla disuguaglianza, al clima, alle opportunità di lavoro, alla pace e alla giustizia. Costituiscono anche una richiesta urgente di indirizzare il mondo verso un percorso più sostenibile. La digitalizzazione è strettamente connessa agli obiettivi di sviluppo sostenibile, poiché ne consente l’attuazione attraverso il potere che conferisce all’industria, all’innovazione, alle infrastrutture e alla società nel suo complesso. Vi sono chiare prove del nesso positivo tra digitalizzazione e conseguimento di molti obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS).

2.2.

Il CESE ritiene che l’Europa debba essere aperta allo sviluppo e all’introduzione di nuovi tipi di modelli imprenditoriali, basati su piattaforme digitali, a condizione che siano salvaguardate la trasparenza e le clausole sociali.

2.3.

Sebbene un numero crescente di persone abbia accesso alle tecnologie digitali, persiste un divario digitale nell’uso di tali tecnologie, dato che parte della popolazione non vi ha accesso e alcuni sono più capaci di altri di far leva sulla trasformazione digitale per una vita migliore.

2.4.

La trasformazione digitale dell’economia europea richiede nuove dotazioni di competenze a tutti i livelli. In molti Stati membri mancano i collegamenti tra i fornitori di istruzione e l’industria, mentre, al contrario, gli sviluppi sopra descritti richiedono una maggiore cooperazione, per evitare che si creino carenze di competenze e squilibri tra domanda e offerta di competenze. L’istruzione e la formazione continue e l’apprendimento permanente sono elementi fondamentali per l’adeguamento alla trasformazione dei luoghi di lavoro e la promozione dello sviluppo professionale. L’ambito dell’istruzione e della formazione, anche attuando progetti di ricerca, costituisce un modo essenziale per promuovere i talenti e mettere a disposizione competenze di alto livello affinché l’UE rimanga competitiva.

2.5.

Il CESE ritiene inoltre che l’UE e gli Stati membri debbano offrire sostegno ai lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro in conseguenza sia della transizione digitale che di quella energetica. Il CESE invita pertanto la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’UE a far sì che il Fondo sociale europeo e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione siano concepiti e finanziati in modo idoneo ad affrontare tali sfide.

2.6.

La libera circolazione dei dati è fondamentale. Pertanto, il CESE chiede soluzioni efficaci che eliminino i problemi legati all’accessibilità, all’interoperabilità e al trasferimento dei dati, garantendo nel contempo un’adeguata protezione dei dati stessi e della vita privata. Le stesse condizioni devono applicarsi alle società pubbliche e private, con condizioni di reciprocità per gli scambi di dati e la compensazione dei costi.

2.7.

Il CESE invita la Commissione a garantire una concorrenza leale e la scelta dei consumatori nell’ambito dell’accesso ai dati. Nell’industria automobilistica un accesso equo ai dati di bordo dei veicoli sarà fondamentale per garantire che i consumatori abbiano accesso a servizi di mobilità competitivi, comodi e innovativi. Raccomanda che la Commissione fornisca orientamenti sulle modalità con cui il regolamento generale sulla protezione dei dati e le norme sulla tutela della vita privata si applicano alle automobili connesse e automatizzate. Potrebbero presentarsi sfide analoghe anche nel settore dei trasporti pubblici per la mobilità come servizio (MaaS = Mobility-as-a-Service).

2.8.

Il CESE invita inoltre la Commissione a riesaminare le norme sulla responsabilità per danno da prodotti e sull’assicurazione al fine di adattarle a situazioni in cui le decisioni saranno sempre più spesso adottate da software. Per accrescere la fiducia nell’adozione di tali tecnologie si dovrebbero applicare sistematicamente i principi della sicurezza e della protezione fin dalla progettazione e per impostazione predefinita.

2.9.

La sicurezza informatica è un elemento della massima importanza per garantire una transizione sicura. Bisogna affrontare pienamente le sfide individuate in settori di fondamentale importanza al livello dell’UE, promuovendo il ruolo dell’Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione, al fine di ridurre il rischio che vi siano anelli deboli in una rete europea sempre più interconnessa. Il CESE accoglie con particolare favore i lavori della Rete europea di gestori di sistemi di trasmissione dell’energia elettrica a tale riguardo.

2.10.

I sensori installati e la progressiva introduzione dei contatori intelligenti generano grandi quantità di dati, che le parti interessate devono trattare e rendere accessibili con modalità sicure e trasparenti, tali da preservare le libertà individuali. Il CESE sottolinea che, se da un lato il potenziale delle tecnologie intelligenti è rilevante, dall’altro esso rappresenta un banco di prova per molti principi consolidati in materia di tutela dei consumatori, quali la protezione della vita privata, la responsabilità e la sicurezza, e per gli sforzi volti a contrastare la povertà energetica. Per quanto concerne i dati, gli enti regolatori devono adottare un approccio che permetta ai consumatori di avere un accesso e un controllo costanti riguardo ai dati da essi prodotti, e che promuova la concorrenza e conduca a servizi innovativi.

2.11.

Ben presto l’intelligenza artificiale apporterà trasformazioni in tutti i settori e aprirà la strada a una serie di sfide. Ad esempio, sono necessarie garanzie sulla trasparenza dei processi decisionali automatici e sulla prevenzione di discriminazioni nei confronti dei consumatori.

2.12.

I consumatori, e specialmente quelli non esperti, anziani, e in situazione di vulnerabilità, devono inoltre avere accesso a prodotti semplici e standardizzati.

3.   Trasporto

3.1.

Nel mercato unico dell’UE, il settore dei trasporti genera il 6,3 % del PIL dell’UE e dà lavoro direttamente a 13 milioni di persone nell’Unione: oltre il 7 % dell’occupazione totale, compresi circa 2,3 milioni di addetti dell’industria automobilistica.

3.1.1.

I trasporti sono un fattore essenziale per il conseguimento di diversi obiettivi di sviluppo sostenibile riguardanti lo sviluppo economico, l’industria e le PMI, nonché il commercio e gli investimenti. Al tempo stesso, i trasporti presentano numerose sfide per quanto riguarda gli obiettivi di sviluppo sostenibile e gli obiettivi dell’accordo di Parigi (2).

3.1.2.

La definizione di politiche in materia di trasporti deve concentrarsi sul completamento di un mercato unico equo, efficiente e pienamente digitalizzato che produca benefici concreti per tutti. A tutt’oggi si tratta di un insieme disomogeneo, anche per quanto riguarda la concorrenza internazionale. Il comparto dei trasporti svolge inoltre una funzione rilevante in quanto elemento essenziale del funzionamento del mercato unico in generale.

3.1.3.

«Nel trasporto su strada non si è ancora giunti ad un adeguato equilibrio, valido per tutta l’UE, tra la liberalizzazione e le clausole sociali da applicare ai conducenti di veicoli stradali, malgrado le modifiche alla legislazione sul settore che sono state proposte di recente» (3). Le lacune nell’attuazione sono oggi riconosciute come il principale problema stradale, e si registra una carenza di conducenti pari a circa il 20 %.

3.1.4.

Il trasporto ferroviario di merci nell’UE, liberalizzato nel 2007, non è ancora interoperabile, anche se il 50 % del traffico è internazionale. Il grado di soddisfazione dei passeggeri dovrebbe essere ulteriormente migliorato. La realizzazione dell’ERTMS (European Rail Traffic Management System Sistema europeo di gestione del traffico ferroviario) dovrebbe essere uno dei capisaldi della strategia digitale ferroviaria dell’UE, affinché possano concretizzarsi i suoi vantaggi (ad esempio l’armonizzazione tecnica e operativa, il rafforzamento della capacità della rete, una migliore affidabilità, la riduzione dei costi di manutenzione, il controllo automatico del movimento dei treni e altro ancora).

3.1.5.

Nel settore dell’aviazione i mercati hanno un funzionamento più efficiente. Dopo la liberalizzazione del settore, le tariffe aeree sono diventate dieci volte più economiche e le rotte sette volte più numerose, ma i costi delle infrastrutture e dei servizi sono raddoppiati. Quanto a tutta una serie di forme di occupazione del personale di volo, permangono numerosi problemi e incertezze, unitamente, talvolta, a pratiche che costituiscono una violazione o un’elusione del diritto applicabile. In termini di maggiore efficienza occorrerebbe attuare pienamente il Cielo unico europeo (Single European Sky — SES), rendendo più dirette le rotte e più brevi i tempi di percorrenza e riducendo di circa il 10 % le emissioni di CO2. Il Consiglio dovrebbe smettere di bloccare questo dossier. Il CESE chiede una rapida adozione in sede di Consiglio del regolamento riveduto sui diritti dei passeggeri aerei, dal momento che serve un’ampia chiarificazione per ridurre di molto il numero di procedimenti giudiziari.

3.1.6.

Il regolamento sui servizi portuali, adottato di recente, fornisce infine ai porti e alle relative parti interessate un quadro legislativo solido ma flessibile e l’esenzione generale per categoria per i porti.

3.2.    Decarbonizzazione ed emissioni zero

3.2.1.

I trasporti dipendono ancora dal petrolio per il 94 % del fabbisogno energetico. La quota del trasporto su strada è pari a circa il 73 %. I trasporti sono l’unico settore in cui le emissioni di CO2 nell’UE sono aumentate dal 1990 ad oggi.

3.2.2.

Nel 2018 la Commissione ha presentato la sua visione per un futuro neutro dal punto di vista climatico entro il 2050. «Per ottenere notevoli riduzioni delle emissioni sarà necessario un approccio sistematico integrato, comprendente la promozione i) dell’efficienza generale dei veicoli, come pure di veicoli a zero e a basse emissioni e della corrispondente infrastruttura; ii) di un passaggio a combustibili alternativi e a zero emissioni nette di carbonio per i trasporti entro il 2050; iii) di una maggiore efficienza del sistema dei trasporti, grazie a un impiego ottimale delle tecnologie digitali e della tariffazione intelligente, a un ulteriore impulso all’integrazione multimodale e alla transizione verso modi di trasporto più sostenibili», con un adeguato finanziamento della transizione e dell’estensione delle reti di trasporti pubblici nelle aree rurali e in quelle urbane. Tuttavia, la transizione verso un’economia più ecologica è un processo difficile e doloroso (4).

3.2.3.

Si stima che ridurre del 100 % il CO2 nei trasporti da qui al 2050 richieda investimenti pari a circa 800 miliardi di EUR all’anno, finanziati per lo più dal settore privato (5). Per sostenere investimenti di tale portata è necessario un solido quadro normativo in materia di finanza sostenibile.

3.2.4.

Per quanto riguarda l’approccio tecnologicamente neutro, il CESE desidera sottolineare che anche tecnologie di propulsione diverse dall’elettricità, ad esempio l’idrogeno o carburanti liquidi completamente non fossili come l’HVO100, offrono un grande potenziale per la mobilità pulita (6). Anche un passaggio modale al trasporto pubblico rappresenta un mezzo di protezione attiva del clima. La produzione di batterie elettriche costituirà un fattore di indipendenza energetica.

3.2.5.

Il CESE riconosce che l’attuazione dell’obiettivo dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO) per il trasporto marittimo dovrebbe essere riconosciuta come la prima priorità per il settore, con la scadenza del 2023 quale tappa fondamentale per una svolta radicale nell’attuazione di misure volte a ridurre le emissioni e nella definizione dei percorsi in termini di combustibili futuri.

3.2.6.

Gli investimenti in infrastrutture per i combustibili puliti e alternativi richiedono molto tempo e hanno costi ingenti per tutti i modi di trasporto, e dovrebbero essere accompagnati da corrispondenti incentivi ad utilizzare l’infrastruttura prevista, in primo luogo fornendo tutte le informazioni necessarie agli utenti attraverso piattaforme aperte.

3.3.    Azzeramento del numero delle vittime dei trasporti, guida autonoma, mobilità come servizio

3.3.1.

L’errore umano interviene nel 95 % degli incidenti sulle strade europee, dove nel 2017 oltre 25 300 persone hanno perso la vita e 1,2 milioni sono rimaste ferite. Il costo degli incidenti è pari a 120 miliardi di EUR all’anno.

3.3.2.

Con ogni probabilità la tecnologia dei trasporti terrestri, in particolare, sarà radicalmente trasformata dalla digitalizzazione e dall’automazione. Il CESE osserva che tali innovazioni sono in grado non solo di rendere più efficiente il mercato dei trasporti, ma anche di fornire dati analitici per migliorare il controllo e l’applicazione della normativa esistente e la tutela dei diritti umani e sociali.

3.3.3.

La digitalizzazione sarà inoltre la chiave per lo sviluppo di nuovi modelli di mercato, tra cui vari tipi di piattaforme e l’economia della condivisione. Quest’ultima è lungi dall’essere completamente sviluppata e molto probabilmente non coprirà le zone rurali in cui il trasporto pubblico non è disponibile. Il CESE invita la Commissione a garantire la sicurezza dei mezzi di trasporto condivisi, a cominciare dai monopattini elettrici.

3.3.4.

Con l’introduzione della guida automatica dovrebbe essere possibile ridurre significativamente, o persino azzerare, il numero delle vittime. Tuttavia, il CESE ritiene che le automobili senza conducente saranno accettate soltanto se garantiranno lo stesso livello di sicurezza di altri sistemi di trasporto di passeggeri, come i treni o gli aeromobili di grandi dimensioni. Il CESE rileva che alcune aree problematiche possono essere di ostacolo all’accettazione da parte del pubblico: 1) i costi aggiuntivi, 2) la crescente complessità di guida delle automobili (7), 3) il lungo arco di tempo in cui il traffico sarà «misto» (automatico e manuale), con un possibile aumento del numero di incidenti e una diminuzione della capacità delle strade, 4) preoccupazioni in materia di sicurezza, compresa la sicurezza informatica, e 5) incertezze giuridiche circa la responsabilità in caso di incidenti.

3.3.5.

Il CESE ritiene che si possa includere nell’analisi il tema «zero morti sulla strada»: urgenza di armonizzare i codici stradali nazionali e le relative sanzioni; accessibilità economica di veicoli nuovi «sicuri» per i consumatori e le imprese; esigenza che le macchine affianchino, e non sostituiscano, le persone, dato che solo queste ultime possono, per definizione, operare scelte «etiche»; riduzioni dei premi da parte degli assicuratori per incentivare l’acquisto di veicoli più sicuri; necessità che le nuove disposizioni sull’accesso ai dati per i veicoli rispettino il principio della sicurezza prima di tutto.

3.3.6.

Le soluzioni di mobilità connessa e automatizzata in tutti i modi di trasporto, compreso il settore dei trasporti pubblici, sono un importante campo di innovazione in cui l’UE ha il potenziale per diventare leader su scala mondiale. Questo sviluppo può realizzarsi solo tramite una cooperazione tra iniziative e investimenti pubblici e privati.

3.3.7.

Con «mobilità come servizio» (Mobility-as-a-Service) si intende il passaggio da modi di trasporto con veicoli privati a trasporti pubblici e a soluzioni in cui la mobilità viene fruita come servizio (8). L’idea di base della MaaS consiste nell’offrire ai viaggiatori soluzioni di mobilità basate sulle loro esigenze di spostamento. Nel quadro della mobilità come servizio l’intero sistema di trasporto è concepito come un’unica entità. La mobilità a richiesta può inoltre contribuire a migliorare l’accesso alla mobilità dei cittadini che vivono in zone remote o che hanno difficoltà di locomozione (per esempio anziani/disabili).

3.4.    Investimenti

3.4.1.

Il CESE riconosce che in numerose zone d’Europa l’attuale rete dell’infrastruttura dei trasporti non è efficiente. Servono investimenti pubblici e privati rilevanti per realizzare e migliorare l’infrastruttura dei trasporti, in previsione di un aumento costante della domanda di servizi di trasporto.

3.4.2.

Un’assoluta priorità dev’essere il completamento della rete TEN-T nei tempi previsti e con una copertura geografica ottimizzata: la rete transeuropea centrale entro il 2030 e la rete globale per il 2050 o prima. La sola realizzazione della rete centrale richiede investimenti per circa 500 miliardi di EUR, senza considerare la resilienza e il miglioramento delle infrastrutture esistenti. Tali investimenti non possono essere finanziati esclusivamente dalle sovvenzioni del meccanismo per collegare l’Europa o da strumenti dell’UE, e le risorse degli Stati membri probabilmente non bastano. Vi è un concreto rischio di notevoli ritardi.

3.4.3.

Le sovvenzioni continueranno ad avere una funzione importante nella politica UE di investimento nel settore dei trasporti, segnatamente in casi in cui gli investimenti di mercato sono più difficili da realizzare. Tuttavia, importanti strumenti aggiuntivi consistono nel combinare le sovvenzioni con altre fonti di finanziamento, come prestiti della Banca europea per gli investimenti (BEI) o del settore privato, e nel mobilitare investitori sia pubblici che privati, inclusa la cooperazione tra settore pubblico e privato.

3.4.4.

«Il CESE chiede investimenti nelle tecnologie e nelle infrastrutture sulle quali si può costruire il trasporto digitale, e in particolare nei sistemi di gestione e controllo del traffico: il programma di ricerca sulla gestione del traffico aereo nel cielo unico europeo (Single European Sky ATM Research, SESAR) e il sistema europeo di gestione del traffico ferroviario (European Railway Traffic Management System, ERTMS) […] e i sistemi di trasporto intelligente cooperativi (C-ITS). […] Devono inoltre essere messe a disposizione connessioni 5G lungo la rete centrale TEN-T. Gli strumenti di finanziamento dell’UE, quali il meccanismo per collegare l’Europa, InvestEU e Orizzonte Europa, dovrebbero dare la priorità a queste iniziative» (9).

3.4.5.

«Il CESE considera […] che un sistema di tariffazione stradale […] conforme ai principi “chi usa paga” e “chi inquina paga”, avrebbe un effetto positivo, a condizione che i relativi introiti siano assegnati a specifiche destinazioni» (10).

4.   Energia

4.1.    Un mercato unico per l’energia

4.1.1.

Nel 2016 il settore dell’energia nell’UE registrava un fatturato pari a 1 881 miliardi di EUR e posti di lavoro diretti per circa 1 630 000 unità.

4.1.2.

Tutti gli europei dovrebbero avere accesso a un approvvigionamento energetico sicuro, sostenibile e a prezzo accessibile: è questo l’obiettivo principale dell’Unione dell’energia. Il CESE esprime la propria delusione riguardo alle significative differenze tra i prezzi dell’energia nei diversi Stati membri, differenze che mettono in luce una rilevante carenza del mercato unico dell’energia. Il Comitato si aspetta che con l’attuazione dell’Unione dell’energia e la realizzazione del mercato unico digitale i prezzi convergano, tranne per la componente fiscale.

Una digitalizzazione antropocentrica del settore energetico è cruciale per l’UE, perché può dare ai consumatori e ai prosumatori di energia una posizione centrale e perché contribuisce a un nuovo assetto dei mercati energetici.

4.2.    Digitalizzazione e nuove tecnologie

4.2.1.

Nel contesto del piano strategico per le tecnologie energetiche (SET), la digitalizzazione offre nuove opportunità ai fornitori ottimizzando le loro valide risorse, integrando energie rinnovabili derivanti da risorse variabili e distribuite e riducendo i costi operativi. Allo stesso tempo, essa dovrebbe favorire tutti i soggetti riducendo la bolletta energetica per il pubblico e le imprese tramite l’efficienza energetica e la partecipazione a meccanismi di domanda flessibili. Il CESE invita la Commissione a valutare i risultati ottenuti e, se necessario, ad intraprendere ulteriori misure.

4.3.    Rete energetica intelligente e fonti energetiche rinnovabili

4.3.1.

I costi di alcune energie rinnovabili sono già considerati vicini agli attuali prezzi di mercato.

4.3.2.

Le soluzioni energetiche distribuite e i controlli intelligenti hanno costi sempre più bassi. Le reti intelligenti sono un elemento essenziale di questo sistema emergente; con la digitalizzazione esse aiuteranno a collegare nuovi contesti energetici. I sistemi energetici intelligenti del futuro non si svilupperanno in modo isolato, bensì collegheranno, in modo digitale e fisico, diversi tipi di reti energetiche e di trasporto, con opportunità crescenti. Probabilmente l’elettricità sarà il primo settore energetico ad esserne influenzato, con la digitalizzazione che consentirà maggiori collegamenti con il comparto del riscaldamento e del raffreddamento, in particolare negli edifici e nell’ambito della mobilità, promuovendo una maggiore partecipazione dei portatori di interessi alle catene di valore locali, regionali ed europee che coinvolgono comunità locali e prosumatori nelle comunità dell’energia e nelle transazioni energetiche e incentivano l’innovazione e le imprese europee.

4.3.3.

Orizzonte 2020 ha finanziato una serie di progetti di dimostrazione relativi alla distribuzione in rete, alle reti di trasmissione, allo stoccaggio distribuito, allo stoccaggio su larga scala, alle fonti energetiche rinnovabili e al riscaldamento e raffreddamento, e concernenti le tecnologie per il consumatore, le tecnologie di rete, i servizi ausiliari per il mercato, lo stoccaggio energetico e idroelettrico, le batterie, le turbine eoliche, l’energia fotovoltaica, solare, termica, il biogas e la microgenerazione. Il CESE accoglie con favore la creazione del Fondo per l’innovazione, che fornirà un sostegno crescente a progetti di dimostrazione.

4.3.4.

Il CESE esorta l’UE a rafforzare i propri interventi volti a eliminare la povertà energetica. È opportuno adottare misure concrete per agevolare la ristrutturazione profonda degli edifici e, là dove ciò risulti utile, si dovrebbero installare pannelli solari per coloro che si trovano in condizioni di povertà energetica o rischiano di esserlo. L’UE dovrebbe tenere presente che i poveri non possono permettersi tali misure.

4.3.5.

Il CESE accoglie con favore il lavoro svolto dalla piattaforma per le regioni carbonifere in transizione. La transizione energetica interessa infatti alcune regioni più di altre, specie quelle in cui si concentrano l’estrazione di combustibili fossili, la generazione di elettricità e la produzione ad alta intensità energetica. Pertanto, il mutamento strutturale nelle regioni e nei settori ad alta intensità di carbone e di carbonio dovrà essere attentamente monitorato e gestito efficacemente, garantendo una transizione equa e socialmente accettabile, che non lasci indietro nessun lavoratore e nessuna regione.

4.3.6.

Le industrie ad alta intensità energetica generano oltre 6 milioni di posti di lavoro diretti in Europa e costituiscono la base di catene di valore multiple, comprendenti sistemi energetici puliti. Le emissioni delle industrie ad alta intensità energetica rappresentano una quota compresa tra il 60 e l’80 % delle emissioni industriali. Le sfide connesse alla decarbonizzazione dei settori ad alta intensità energetica sono enormi e richiederanno innovazioni tecnologiche e di altro tipo (ad esempio nuovi modelli commerciali).

4.4.    Investimenti nel settore dell’energia

4.4.1.

Rafforzare il mercato energetico europeo, agevolare la transizione energetica e garantire il funzionamento sicuro del sistema: tutti questi elementi dipendono da reti di trasmissione adeguate, ben sviluppate ed efficienti in termini di costi in Europa.

4.4.2.

Le innovazioni, ad esempio iniezioni in rete di gas ottenuto dall’elettricità, o l’idrogeno, possono produrre risultati sostanziali e diventare economicamente sostenibili, se sostenute in modo efficiente.

4.4.3.

Negli scenari che prevedono una riduzione del 100 % delle emissioni di CO2 (11) gli investimenti annuali medi nel settore energetico ammonterebbero a 547 miliardi di EUR all’anno (2,8 % del PIL) nel periodo 2031-2050, rispetto ai 377 miliardi di EUR (1,9 % del PIL) dello scenario di riferimento. Si tratta di importi rilevanti, anche per un’economia sviluppata.

5.   Servizi d’interesse generale

5.1.

La principale linea strategica consiste nell’attuare un approccio incentrato sulle persone per fornire servizi d’interesse generale come motori della crescita sostenibile europea. In base al 20o e ultimo principio del pilastro europeo dei diritti sociali, riguardante «l’accesso ai servizi essenziali», ogni persona ha il diritto di accedere a servizi essenziali di qualità, compresi l’acqua, i servizi igienico-sanitari, l’energia, i trasporti, i servizi finanziari e le comunicazioni digitali. Per renderne effettiva l’applicazione, sono necessarie misure specifiche a favore dello sviluppo sostenibile e della coesione.

5.2.

I cittadini e le imprese chiedono una governance più aperta, trasparente, responsabile ed efficace Realizzare economie di scala e accrescere l’agilità adottando architetture di cloud computing aiuterà a progredire verso l’e-government (pubblica amministrazione online), la sanità elettronica, gli appalti elettronici e la fatturazione elettronica, consentendo ai servizi pubblici di condividere informazioni e facilitando l’interazione tra i cittadini e le imprese.

5.3.

Vi è il rischio che i consumatori anziani, o privi di alfabetizzazione digitale, siano esclusi a causa della completa digitalizzazione dei servizi d’interesse generale. Di conseguenza, è opportuno mantenere alcuni punti di erogazione convenzionali per questi servizi.

5.4.

Il CESE raccomanda che il semestre europeo preveda disposizioni in materia di assunzione di responsabilità e trasparenza nell’assegnazione dei servizi d’interesse generale negli Stati membri, oltre che in relazione all’accesso a tali servizi e al loro adeguato funzionamento.

5.5.

Nell’UE molti cittadini hanno difficoltà economiche più o meno gravi nell’accedere a servizi essenziali tra cui l’alloggio, l’energia, le comunicazioni elettroniche, i trasporti, l’acqua, la sanità e i servizi sociali.

5.6.

Il mancato accesso ai servizi d’interesse generale può dipendere da fattori economici, geografici, sociali (disparità di trattamento), dalle condizioni fisiche (disabilità), nonché dall’inadeguatezza rispetto alle esigenze e/o al progresso tecnico (mancata corrispondenza, livello inadeguato di qualità e/o di sicurezza). Le tecnologie digitali possono contribuire al superamento di alcune di queste sfide.

5.7.

Per i servizi sanitari, la digitalizzazione può migliorare la prevenzione, la diagnosi e il trattamento delle malattie. Strumenti come la cartella clinica elettronica possono consentire ai consumatori di avere un accesso permanente ai propri antecedenti medici e alle prescrizioni farmaceutiche. Le applicazioni mobili per la salute e le consultazioni mediche online possono fornire un sostegno eccellente ai pazienti e ai consumatori, specie quelli che vivono in zone remote, nei loro sforzi di cura della salute e prevenzione delle malattie. Tuttavia, ai benefici dei prodotti e dei servizi sanitari digitali si accompagnano gravi rischi per la tutela della vita privata, la sicurezza e la protezione dei pazienti, dato che potrebbero moltiplicarsi le violazioni delle cartelle cliniche personali e dei dati sanitari privati conservati presso le strutture sanitarie. L’UE dovrebbe elaborare un quadro normativo generale per garantire un approccio armonizzato in questo ambito.

5.8.

Dato il crescente impiego di prodotti e servizi sanitari digitali, non da ultimo in un contesto transfrontaliero, è inoltre essenziale armonizzare in tutta l’UE l’approccio in materia di responsabilità per tali servizi e prodotti. Per contribuire a proteggere efficacemente i consumatori dell’UE servono misure legislative, come una vigilanza del mercato e un’applicazione della legge rigorose, e strumenti di ricorso efficaci per i prodotti e i servizi sanitari digitali.

5.9.

Il CESE invita la Commissione a definire un quadro adeguato grazie al quale i sistemi sanitari nazionali condividano i dati sulla salute dei cittadini dell’UE, nel rispetto del regolamento generale sulla protezione dei dati (ossia nel rispetto di rigorose condizioni di tutela della vita privata e di anonimato), ai fini della ricerca e dell’innovazione sviluppate dalle istituzioni e dalle imprese dell’UE.

5.10.

Nel caso dei servizi d’interesse generale, gli operatori dovrebbero fornire i servizi in formato digitale, pur continuando a mantenere aperti altri canali per coloro che per scelta o per necessità non sono connessi.

5.11.

I servizi d’interesse generale nel settore dei trasporti pubblici sono un elemento essenziale per migliorare la qualità della vita e per conseguire gli obiettivi fondamentali dell’UE. Le autorità pubbliche devono disporre di un ampio potere discrezionale di fornire, commissionare e organizzare servizi d’interesse generale.

6.   Tecnologia 5G

6.1.    Diffusione della tecnologia 5G nel mercato unico

6.1.1.

Le pubbliche autorità hanno iniziato ad adottare misure per facilitare l’introduzione della tecnologia 5G nel mercato unico, comprese le assegnazioni del relativo spettro. Nei prossimi mesi gli operatori mobili europei dovrebbero prepararsi a introdurre e a testare tale tecnologia in condizioni reali, essendo previsto che i primi smartphone e terminali 5G siano disponibili nella prima metà del 2019. Tuttavia, a inizio dicembre 2018, solo dodici Stati membri avevano completato o almeno lanciato un’asta per lo spettro 5G.

6.1.2.

A livello internazionale tutti i paesi sono in concorrenza tra loro per essere tra i primi a lanciare la tecnologia 5G su scala nazionale. A questa gara partecipa anche l’UE. Tra i cinque principali fornitori di infrastrutture figurano due soggetti europei, due cinesi e uno coreano. Nessuna delle principali aziende europee rientra tra le prime a produrre dispositivi e chipset 5G.

6.1.3.

Il CESE fa presente che la competitività delle industrie europee in settori quali trasporti e automobile, energia, chimico-farmaceutico, manifatturiero, comprese le PMI, e finanziario, in cui l’Europa ha una posizione di leader, dipenderà dalla capacità di integrare e utilizzare i servizi 5G.

6.1.4.

Il CESE è ben consapevole del fatto che alcuni scienziati mettono in guardia contro i potenziali rischi per la salute umana e l’ambiente delle radiazioni elettromagnetiche della tecnologia 5G, in particolare quelli dovuti a segnali di radiofrequenza a velocità di emissione molto elevata e a forte penetrazione negli edifici e altri locali chiusi. Il CESE chiede alla Commissione di far realizzare uno studio sull’impatto biologico della radiazione emessa dalla 5G, come pure sui rischi di interferenza con altre gamme di frequenza.

6.2.    Necessità di investimenti per il 5G

6.2.1.

Gli investimenti per il 5G degli operatori di mercato in Europa sono stimati in 60-100 miliardi di EUR all’anno per i prossimi cinque anni. Essi forniranno una connettività gigabit a tutti i principali volani socioeconomici europei. Per migliorare la connettività nelle zone rurali serviranno ulteriori investimenti per 127 miliardi di EUR.

6.2.2.

L’avvento del 5G innalzerà la tecnologia mobile e di Internet al rango di tecnologia a finalità generale, una tecnologia che incide sulla produttività e sull’attività economica in un’ampia gamma di comparti industriali, gestendo un maggior numero di dispositivi e un volume più ingente di dati, consentendo un uso massiccio dell’Internet degli oggetti e sviluppando servizi cruciali.

7.   Osservazioni specifiche

7.1.

Il CESE chiede inoltre alle istituzioni dell’UE di considerare approfonditamente le seguenti sfide, in merito alle quali il Comitato ha già lavorato e continuerà a lavorare in futuro, in quanto questioni importanti da affrontare nell’ambito del presente parere:

Internalizzazione di tutti i costi esterni grazie a incentivi positivi e negativi (12);

Direttiva sulla tassazione dell’energia in base a CO2, NOx e SOx (13);

Un sistema di soluzioni energetiche distribuite (14);

La stabilità del mercato del sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS) per il successivo periodo di scambio di tali quote (nel 2021) e le misure ETS post 2020 (15);

Una piattaforma di scambio delle informazioni digitali sulla rete per la gestione dei flussi di energia elettrica (16);

La gestione dei megadati (big data) nel settore energetico (17);

Le sfide sociali ed economiche derivanti dal graduale abbandono del carbone (18);

I piccoli reattori nucleari modulari (50-300 MW) meno costosi e più facili da installare. Servono norme UE in materia (19);

Le reti ad alta tensione su lunghe distanze che collegano i continenti: una prospettiva eurasiatica (20);

La sicurezza dell’approvvigionamento e la protezione degli investimenti (21);

Efficienza energetica (22);

Certificazione preliminare dei prodotti (23);

Regole sul cloud (24);

Piattaforme manifatturiere dell’UE (25);

Telecomunicazioni e rete di dati (26);

Il flusso di dati deve essere protetto e affidabile (27);

Titolarità del trattamento dei dati e diritti in materia di dati (28);

Stoccaggio di dati nell’UE (29).

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 86

(2)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 9

(3)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 195

(4)  ESPAS, Challenges and choices for Europe [Sfide e scelte per l’Europa], aprile 2019.

(5)  COM(2018) 773 final

(6)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 52 e GU C 262 del 25.7.2018, pag. 75

(7)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 191

(8)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 52.

(9)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 52

(10)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 195

(11)  COM(2018) 773 final.

(12)  GU C 190 del 5.6.2019, pag. 24 e GU C 110 del 22.3.2019, pag. 33.

(13)  GU C 228 del 5.7.2019, pag. 37.

(14)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 44.

(15)  GU C 424 del 26.11.2014, pag. 46 e GU C 288 del 31.8.2017, pag. 75.

(16)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 44; GU C 345 del 13.10.2017, pag. 52 e GU C 262, del 25.7.2018, pag. 86

(17)  Final study on The ethics of Big Data: Balancing economic benefits and ethical questions of Big Data in EU policy context [Studio finale sul tema L’etica dei Big Data: trovare un equilibrio tra i benefici economici e le questioni di natura etica relative ai Big Data nel contesto politico dell’UE]; GU C 242 del 23.7.2015, pag. 61

(18)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 1

(19)  GU C 237 del 6.7.2018, pag. 38; GU C 341 del 21.11.2018, pag. 92 e GU C 110 del 22.3.2019, pag. 141

(20)  GU C 228 del 5.7.2019, pag. 95 e GU C 143 del 22.5.2012, pag. 125

(21)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 125; GU C 271 del 19.9.2013, pag. 153; GU C 424 del 26.11.2014, pag. 64 e GU C 264 del 20.7.2016, pag. 117

(22)  GU C 191 del 29.6.2012, pag. 142

(23)  GU C 228 del 5.7.2019, pag. 74; GU C 75 del 10.3.2017, pag. 40 e GU C 81 del 2.3.2018, pag. 176

(24)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 86

(25)  Information Report of Consultative Commission of European Economic and Social Committee on Industrial Change on Fostering incremental innovation in high manufacturing areas [Relazione informativa della commissione consultiva del Comitato economico e sociale europeo per le trasformazioni industriali sul tema Promuovere un’innovazione incrementale in zone a forte vocazione manifatturiera]; GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 36; GU C 299 del 4.10.2012, pag. 12

(26)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 74

(27)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 8 e GU C 227 del 28.6.2018, pag. 86

(28)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 107; GU C 81 del 2.3.2018, pag. 209 e GU C 237 del 6.7.2018, pag. 32

(29)   GU C 345 del 13.10.2017, pag. 52 e GU C 227 del 28.6.2018, pag. 11


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/90


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio - Verso un processo decisionale più efficiente e democratico nella politica fiscale dell’UE»

COM(2019) 8 final

(2019/C 353/14)

Relatore: Juan MENDOZA CASTRO

Relatore: Krister ANDERSSON

Relatore: Mihai IVAȘCU

Consultazione

Commissione europea, 18.2.2019

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

2.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

171/17/18

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE appoggia la Commissione nella sua ambiziosa intenzione di avviare un dibattito, che si rende necessario per la delicatezza della questione del voto a maggioranza qualificata (VMQ) in materia fiscale.

1.2.

Il Comitato ha già indicato, in altri pareri elaborati in passato, di essere favorevole alla modifica della regola dell’unanimità e di essere disposto ad appoggiare un sistema a maggioranza qualificata.

1.3.

Al tempo stesso, il CESE ritiene che vadano soddisfatte talune condizioni per una riuscita attuazione del voto a maggioranza qualificata.

1.4.

La regola dell’unanimità in materia fiscale può sembrare sempre più anacronistica sul piano politico, problematica su quello giuridico e controproducente su quello economico.

1.5.

La concorrenza fiscale spesso porta a una crescente pressione sui bilanci pubblici i quali, quando sono soggetti a restrizioni, mettono a loro volta sotto pressione la competitività.

1.6.

In futuro, con l’adozione del voto a maggioranza qualificata, il Parlamento europeo svolgerebbe un ruolo importante nelle questioni fiscali.

1.7.

La regola dell’unanimità in materia di tassazione ha influito su altre priorità strategiche dell’UE di più ampio respiro.

1.8.

Un passaggio graduale al VMQ contribuirebbe a raggiungere più efficacemente gli obiettivi ambientali, in un momento in cui è quanto mai urgente agire in materia di cambiamenti climatici.

1.9.

La base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB) che è stata proposta, e che è in discussione da 20 anni, presenta notevoli vantaggi per le imprese e i cittadini, se sarà concepita e introdotta in modo adeguato. È oltremodo necessario riformare l’imposta sul valore aggiunto (IVA) dell’UE, assicurando un coordinamento adeguato a livello dell’Unione e degli Stati membri, perché ingenti entrate fiscali vengono attualmente perse a causa della frammentazione del sistema.

1.10.

Il CESE ritiene inoltre che la politica fiscale, in generale, e la lotta alla frode fiscale, in particolare, debbano rimanere un settore strategico prioritario per la prossima Commissione europea. Il Comitato ritiene che i risultati migliori nella lotta alle frodi fiscali transfrontaliere possano essere meglio raggiunti a livello europeo, e accoglie con favore la pubblicazione, la prima di questo genere, della lista UE di giurisdizioni non cooperative a fini fiscali.

1.11.

D’altro canto, il CESE è consapevole che la politica fiscale è sempre stata strettamente legata alla sovranità degli Stati membri, dato che tale politica è della massima importanza per i paesi.

1.12.

In linea di principio, l’UE dovrebbe assumere una posizione risoluta nelle questioni di importanza globale. Il CESE si rende conto che in passato, per alcuni Stati membri dell’UE, la concorrenza fiscale è stata un fattore a cui ricorrere per risolvere dei problemi finanziari. La recente adozione di misure contro l’elusione fiscale ha mostrato che gli Stati membri intendono rafforzare una concorrenza fiscale che sia trasparente e leale.

1.13.

Al riguardo, Il CESE mette in evidenza - e accoglie con favore - i progressi compiuti a livello dell’UE sia nella lotta contro la pianificazione fiscale aggressiva e l’evasione fiscale, che nel miglioramento del sistema dell’imposta sul valore aggiunto (IVA). Al tempo stesso, il CESE auspica che vengano fatti passi avanti in altri settori.

1.14.

Dopo un’analisi approfondita sul piano economico, sociale e fiscale, ogni nuova norma deve essere funzionale allo scopo prefisso e tutti gli Stati membri devono sempre avere sufficienti possibilità di prendere parte al processo decisionale. L’obiettivo ultimo dovrebbe essere pervenire a un risultato vantaggioso a livello sia dell’UE che dei singoli Stati membri.

1.15.

Le quattro fasi proposte, dopo che saranno state decise, dovranno essere attuate in modo graduale e la Commissione europea dovrebbe condurre una valutazione dopo l’attuazione di ciascuna di esse.

1.16.

Il CESE sottolinea la necessità di un processo di più ampio respiro che consenta di procedere verso un sistema di votazione a maggioranza qualificata più efficace, cosa che richiederà tempo e sarà realizzata in sintonia con altre iniziative politiche. In quest’ottica, il CESE sottolinea la necessità di:

un bilancio dell’UE sufficientemente solido

un coordinamento migliore della politica economica

un considerevole lavoro analitico che valuti fino a che punto le misure fiscali vigenti si sono rivelate insufficienti.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1.

Gli Stati membri possono adottare misure e direttive a livello dell’UE volte a introdurre norme fiscali nazionali comuni per le imposte indirette, come l’IVA, o per quelle dirette, come l’imposta sulle società. Tuttavia, secondo la Commissione, il processo legislativo dell’UE attualmente previsto per tali questioni presenta degli aspetti negativi, in quanto richiede l’accordo unanime di tutti gli Stati membri prima che sia possibile intraprendere un’azione. Può capitare che l’unanimità non venga raggiunta o che essa conduca ad adottare politiche non ottimali.

2.2.

Le proposte legislative nel settore fiscale sono disciplinate dagli articoli 113 e 115 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Entrambi gli articoli prevedono una procedura legislativa speciale mediante la quale il Consiglio vota all’unanimità sulle questioni in materia di fiscalità, con il Parlamento europeo che viene semplicemente consultato.

2.3.

I trattati contengono inoltre le disposizioni necessarie per modificare il processo decisionale passando, in determinate circostanze, dal voto all’unanimità al voto a maggioranza qualificata (VMQ) in seno al Consiglio.

2.4.

L’articolo 48, paragrafo 7, del trattato sull’Unione europea (TUE) - la cosiddetta «clausola passerella» - consente agli Stati membri di passare dal voto all’unanimità al VMQ, oppure dalla procedura legislativa speciale alla procedura legislativa ordinaria, in settori altrimenti soggetti all’unanimità.

2.5.

Con la comunicazione in esame, la Commissione intende aprire un dibattito sul modo per riformare il processo decisionale relativo alla politica fiscale dell’UE; in essa, la Commissione espone le sue argomentazioni a favore di una transizione graduale (in quattro fasi) al VMQ, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria, in alcuni settori della politica fiscale condivisa dell’UE.

2.5.1.

Nella prima fase gli Stati membri dovrebbero decidere di passare al VMQ per le misure che migliorano la cooperazione e l’assistenza reciproca nella lotta contro la frode e l’evasione fiscali, come pure per le iniziative amministrative che riguardano le imprese dell’UE, come gli obblighi armonizzati di comunicazione.

2.5.2.

La seconda fase introdurrebbe il VMQ come strumento utile a portare avanti le misure in cui la fiscalità è al servizio di altri obiettivi strategici, come la lotta ai cambiamenti climatici, la protezione dell’ambiente o il miglioramento della salute pubblica.

2.5.3.

Il ricorso al VMQ nella terza fase contribuirebbe a modernizzare le norme dell’UE già armonizzate, come quelle per l’IVA e le accise.

2.5.4.

La fase 4 consentirebbe di passare al VMQ per i progetti fiscali più importanti, come la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB) e un nuovo sistema di tassazione dell’economia digitale.

2.6.

La comunicazione propone che gli Stati membri si accordino in tempi rapidi sull’avvio delle prime due fasi, e che prendano in considerazione l’avvio della terza e quarta fase entro la fine del 2025.

2.7.

La Commissione afferma di affrontare in tal modo i seguenti problemi che caratterizzano l’attuale processo decisionale in materia di politica fiscale.

2.7.1.

La necessità dell’unanimità rende più difficile il raggiungimento di qualsiasi compromesso, perché l’opposizione di un solo Stato membro è sufficiente a bloccare ogni accordo. Gli Stati membri spesso si astengono dal ricercare seriamente delle soluzioni negoziali in sede di Consiglio perché sanno che possono semplicemente porre il veto a qualsiasi esito non gradito.

2.7.2.

Anche quando venga raggiunto all’unanimità un accordo in materia fiscale, questo tende a rappresentare il minimo comune denominatore, limitandone in tal modo l’impatto positivo per le imprese e i consumatori oppure rendendone più gravosa l’attuazione.

2.7.3.

Alcuni Stati membri potrebbero servirsi delle proposte fiscali importanti come moneta di scambio da utilizzare a fronte di altre richieste che possono avere in rapporto a dossier completamente distinti, oppure allo scopo di esercitare pressioni sulla Commissione affinché presenti proposte legislative in altri settori.

2.7.4.

Le decisioni prese all’unanimità possono essere revocate o modificate soltanto con un nuovo voto all’unanimità. Questa situazione tende a rendere gli Stati membri eccessivamente prudenti, con la conseguenza di frenare le aspirazioni e di compromettere il risultato finale.

2.8.

Il Parlamento europeo, se avesse lo stesso peso del Consiglio quando viene decisa la configurazione finale che assumeranno le iniziative di politica fiscale dell’UE, potrebbe offrire un contributo a tutto tondo alla definizione della politica fiscale dell’UE.

2.9.

All’UE non sarebbe attribuita alcuna nuova competenza, e le competenze degli Stati membri non verrebbero ridotte. La Commissione sostiene inoltre che non verrebbe pregiudicato il diritto degli Stati membri di fissare le aliquote dell’imposta sul reddito delle persone fisiche o giuridiche al livello che ritengono opportuno.

2.10.

Secondo la Commissione, il costo dell’inazione nella politica fiscale a livello dell’UE è elevato. Il costo totale dei lenti progressi compiuti sinora in quattro dossier (regime definitivo dell’IVA, CCCTB, imposta sulle transazioni finanziarie e imposta sui servizi digitali) è stimato a circa 292 miliardi di EUR (1).

3.   Osservazioni generali e particolari

3.1.

Il CESE appoggia la Commissione nella sua ambiziosa intenzione di avviare un dibattito, che si rende necessario per la delicatezza della questione del VMQ in materia fiscale. Nel 21o secolo la politica fiscale, per essere efficace, deve permettere all’UE di affrontare le sfide economiche e finanziarie che si presenteranno, o che si potrebbero presentare, in futuro. La regola dell’unanimità in materia fiscale aveva un senso negli anni ‘50, quando gli Stati membri erano sei; oggi, tuttavia, può sempre più sembrare come anacronistica sul piano politico, problematica da un punto di vista giuridico e controproducente in una prospettiva economica.

3.2.

Il Comitato ha indicato, in altri precedenti pareri, di essere favorevole alla modifica della regola dell’unanimità e di essere disposto ad appoggiare un sistema a maggioranza qualificata (2). Il CESE elabora il presente parere prendendo in considerazione tale contesto di riferimento e tenendo presente il proprio ruolo di organo dell’UE che intende far compiere passi avanti al progetto europeo.

3.3.

Al tempo stesso, per una riuscita attuazione del voto a maggioranza qualificata, il CESE ritiene che, nelle attuali circostanze, vadano soddisfatte talune condizioni relative a un contesto più ampio.

3.4.

Secondo il CESE, l’attuazione delle quattro fasi proposte, dopo che saranno state decise, dovrà essere graduale e la Commissione europea dovrebbe condurre una valutazione approfondita e globale dopo l’attuazione di ciascuna di esse.

3.5.

La regola dell’unanimità in materia di tassazione ha influito su altre priorità politiche dell’UE di più ampio respiro. La fiscalità è essenziale anche per molti dei progetti più ambiziosi dell’UE, tra cui l’Unione economica e monetaria (UEM), l’Unione dei mercati dei capitali, il mercato unico digitale, il quadro 2030 per il clima e l’energia, e l’economia circolare. Un altro esempio in proposito è costituito dalla proposta della Commissione di rivedere la direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici.

3.6.

Un passaggio graduale al VMQ contribuirebbe a raggiungere più efficacemente gli obiettivi ambientali, in un momento in cui è quanto mai urgente agire in materia di cambiamenti climatici. I dati di Eurostat evidenziano che, in media, soltanto il 6 % circa del gettito fiscale totale degli Stati membri dell’UE proviene da tasse ambientali. La stragrande maggioranza di tale quota proviene dalle tasse relative all’energia e ai trasporti, mentre sono minime le entrate fiscali derivanti dalle tasse sull’inquinamento o sull’impiego di risorse (meno dello 0,1 %) (3).

3.7.

Ormai in discussione da 20 anni, la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB) che è stata proposta presenta vantaggi significativi per le imprese e i cittadini, se sarà concepita e introdotta in modo adeguato. Essa porterà infatti a una riduzione dei costi di conformità e della complessità per le grandi imprese (oltre che per le aziende che hanno optato per l’assoggettamento alla CCCTB) che commerciano in tutta l’UE. Questa imposta può svolgere un ruolo cruciale nella lotta alla pianificazione fiscale aggressiva e contribuire a ripristinare la fiducia dei cittadini nel sistema fiscale (4).

3.8.

Il CESE è favorevole a una riforma dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) dell’UE. Per l’assenza di un accordo su tale questione, ogni anno 147 miliardi di EUR di gettito IVA vengono persi a causa dell’evasione ed elusione fiscali e di una mediocre riscossione delle entrate da parte degli Stati membri. L’attuale sistema è estremamente frammentario e complesso e, di conseguenza, limita e distorce gli scambi commerciali e gli investimenti, creando inutili e pesanti oneri amministrativi e ostacoli agli scambi tra le imprese (5). Le frodi in materia di IVA costano attualmente ai bilanci pubblici circa 50 miliardi di EUR l’anno.

3.9.

Le politiche fiscali divergenti che sono applicate nel mercato unico hanno effetti negativi. La frammentazione indebolisce l’unità del mercato unico e genera costi maggiori per basi imponibili quali il lavoro, il reddito e il consumo. In sostanza, i lavoratori e i consumatori di tutta l’Europa stanno pagando l’assenza di un accordo tra gli Stati membri. Inoltre, la divergenza dei sistemi fiscali costituisce un ostacolo per le PMI che provano a operare all’interno del mercato unico.

3.10.

Il CESE è consapevole che la politica fiscale è sempre stata strettamente legata alla sovranità degli Stati membri, dato che tale politica è della massima importanza per alcuni di essi.

3.11.

Il piano d’azione dell’OCSE contro l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (BEPS) (6) ha messo in luce che le dimensioni di questo fenomeno, prima che venissero adottate delle misure per combattere la frode, erano comprese, globalmente, tra i 100 e i 240 miliardi di dollari USA (7). Il servizio Ricerca del Parlamento europeo ha calcolato che le cifre relative all’UE sono comprese tra i 50 e i 70 miliardi di EUR (8), vale a dire pari allo 0,35 % del PIL dell’UE.

3.12.

Attualmente, il ruolo politico del Parlamento europeo in materia di tassazione è puramente consultivo quando occorre fornire risposte sul piano della politica fiscale. Se il passaggio dall’unanimità al voto a maggioranza qualificata in materia di fiscalità verrà adottato, il Parlamento europeo potrebbe svolgere un ruolo importante nelle questioni fiscali.

3.13.

La Commissione intende aprire un dibattito sul sistema migliore per riformare il modo in cui l’UE esercita le sue competenze già esistenti nel campo della fiscalità. Il passaggio graduale alla piena applicazione del VMQ viene proposto per specifici settori di intervento, di particolare interesse per tutti gli Stati membri. Con la comunicazione in esame, la Commissione non intende creare nuove competenze per l’UE, né mira a introdurre un sistema di aliquote fiscali armonizzate per la tassazione delle persone fisiche e giuridiche in tutta l’Unione.

3.14.

La concorrenza fiscale spesso porta a una crescente pressione sui bilanci pubblici. Ove ciò si verificasse, non solo ne risulterebbero amplificati i diffusi squilibri distributivi, ma sarebbe indebolito anche il lato della domanda, con ripercussioni negative per lo sviluppo economico. Nel contesto delle eurocrisi, a causa dei vincoli di bilancio, sono state attuate politiche di austerità rigorose.

3.15.

Competitività e stabilità di bilancio. Inoltre, le restrizioni dei bilanci pubblici spesso mettono sotto pressione la competitività a causa della mancanza di opportunità per finanziare gli investimenti futuri, ad esempio in materia di infrastrutture, digitalizzazione o ricerca e sviluppo. Infine, esistono anche delle interdipendenze tra stabilità di bilancio e stabilità dei mercati finanziari.

3.16.

Misure contro l’elusione fiscale. Il CESE ritiene che il ruolo dell’Unione europea sia fondamentale nelle questioni di importanza globale. Sebbene in passato taluni Stati membri abbiano fatto ricorso alla concorrenza fiscale per risolvere alcuni problemi finanziari interni, la recente adozione di misure contro l’elusione fiscale ha palesato la disponibilità a rafforzare una concorrenza fiscale che sia trasparente e leale, e la volontà di farlo.

3.17.

Politica di bilancio dell’UE. Il CESE è fermamente convinto che il progetto europeo si basi sul presupposto che tutti gli Stati membri devono sempre avere sufficienti possibilità di partecipare al processo decisionale. L’obiettivo principale consiste nel creare un ambiente vantaggioso sia per l’UE che per i singoli Stati membri.

3.18.   Pianificazione fiscale ed evasione fiscale

3.18.1.

Il CESE mette in evidenza - e accoglie con favore - i progressi compiuti a livello dell’UE sia nella lotta contro la pianificazione fiscale aggressiva e l’evasione fiscale, che nel miglioramento del sistema dell’imposta sul valore aggiunto (IVA). Durante l’attuale mandato della Commissione, sono state adottate circa 14 proposte in materia fiscale, vale a dire più di quante ne fossero state varate negli ultimi 20 anni (9). Le norme sulla trasparenza sono state rafforzate per includere una condivisione molto maggiore delle informazioni tra gli Stati membri sulle situazioni fiscali transfrontaliere di cittadini e grandi imprese. La riscossione dell’IVA è stata migliorata non solo per mezzo di nuove norme sulle vendite online di beni e servizi, ma anche con nuovi strumenti di cooperazione transfrontaliera per la lotta alle frodi in materia di IVA (10).

3.18.2.

Mancanza di progressi in alcuni settori. Il CESE desidera richiamare l’attenzione sul fatto che non sono stati compiuti progressi significativi a livello europeo per quanto riguarda la fiscalità d’impresa, principalmente a causa dell’assenza di volontà politica in sede di Consiglio. Inoltre, proposte importanti in materia di tassazione dei servizi digitali e di elusione fiscale sono state bloccate a causa del sistema di voto all’unanimità.

3.18.3.

Il CESE ritiene che la politica fiscale, in generale, e la lotta alla frode fiscale debbano rimanere un settore strategico prioritario per la prossima Commissione. Tenuto conto dei numerosi scandali relativi a paradisi fiscali (LuxLeaks, Panama Papers, Paradise Papers ecc.) e delle ultime stime sull’evasione fiscale all’interno dell’UE (che si aggirerebbe sugli 825 miliardi di EUR l’anno) (11), il CESE raccomanda un orizzonte temporale ravvicinato.

3.18.4.

I risultati migliori nella lotta alle frodi fiscali transfrontaliere possono essere raggiunti a livello europeo. Il CESE esprime critiche per il fatto che importanti proposte legislative su questo tema sono state bloccate in sede di Consiglio. Da una recente indagine di Eurobarometro emerge che tre quarti dei cittadini dell’UE ritengono che la lotta agli abusi fiscali debba rappresentare una priorità per l’Europa (12).

3.18.5.

Giurisdizioni non cooperative. Il CESE accoglie con favore la lista UE di giurisdizioni non cooperative a fini fiscali che è stata pubblicata per la prima volta nel dicembre del 2017 e che da allora viene riveduta (13). Il metodo della «lista nera» e della «lista grigia» che la Commissione europea ha introdotto è pienamente appoggiato dal CESE (14). Tenendo presente gli scandali noti come «Panama Papers» e «Paradise Papers», il CESE ha già esortato gli Stati membri a colmare le lacune che rendono possibile una pianificazione fiscale aggressiva (15). Le giurisdizioni non cooperative rappresentano una minaccia per il mercato interno dell’UE (16).

3.19.

Il CESE sottolinea la necessità di un processo di più ampio respiro che consenta di procedere verso un sistema di votazione a maggioranza qualificata, cosa che richiederà tempo e dovrebbe essere realizzata in sintonia con altre iniziative politiche.

3.19.1.

Un bilancio dell’UE sufficientemente solido renderebbe possibili trasferimenti finanziari a titolo di compensazione per shock o svantaggi comparativi. In quest’ottica, il gruppo ad alto livello sulle risorse proprie che è stato istituito per esaminare «come rendere più semplici, trasparenti, eque e democraticamente responsabili le entrate del bilancio dell’UE», sottolinea l’importanza di una politica di bilancio europea (17).

3.19.2.

Una politica economica coordinata meglio potrebbe eliminare la necessità di controbilanciare il mancato coordinamento delle norme fiscali nazionali. L’economia dell’UE sarà più efficace in un contesto di riforme strutturali, investimenti mirati, equità fiscale, accordi commerciali equi, recupero della leadership nel campo dell’innovazione e completamento del mercato unico.

3.19.3.

Tuttavia, è anche di vitale importanza che il mercato unico venga completato. Le norme in materia di non discriminazione e le quattro libertà garantite dal trattato dovrebbero già assicurare il rispetto delle condizioni alla base di un mercato unico. Gli sviluppi nel campo degli aiuti di Stato e il numero delle procedure di infrazione hanno inoltre mostrato che la Commissione dispone di strumenti per correggere tali distorsioni. È necessario un considerevole lavoro analitico che valuti in che misura le misure vigenti si sono rivelate insufficienti.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM (2019) 8 final, pag. 4.

(2)  Parere CESE GU C 230 del 14.7.2015, pag. 24; parere CESE GU C 434 del 15.12.2017, pag. 18; parere CESE GU C 271 del 19.9.2013, pag. 23; parere CESE GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 8.

(3)  Euractiv - Time to get rid of EU's unanimity rule on green fiscal matters (È tempo di abolire la regola dell’unanimità per la fiscalità ambientale).

(4)  Cfr. il parere del CESE pubblicato sulla GU C 434 del 15.12.2017, pag. 58.

(5)  Cfr. il parere del CESE pubblicato sulla GU C 237 del 6.7.2018, pag. 40.

(6)  https://www.oecd.org/tax/beps/

(7)  http://www.oecd.org/ctp/oecd-presents-outputs-of-oecd-g20-beps-project-for-discussion-at-g20-finance-ministers-meeting.htm

(8)  http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-16-160_en.htm

(9)  Commissario Moscovici, tweet del 13 febbraio 2019.

(10)  Pareri del CESE: GU C 237 del 6.7.2018, pag. 40 e GU C 283 del 10.8.2018, pag. 35.

(11)  Parlamento europeo - Relazione sui reati finanziari, l'evasione fiscale e l'elusione fiscale.

(12)  Attualità dal Parlamento europeo - La frode fiscale.

(13)  https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-15429-2017-INIT/it/pdf

(14)  https://www.oxfam.org/en/even-it/full-disclosure-eus-blacklist-tax-havens

(15)  https://www.eesc.europa.eu/es/node/56888

(16)  Cfr. il parere del CESE pubblicato sulla GU C 229 del 31.07.2012, pag. 7.

(17)  Il futuro finanziamento dell’UE (relazione Monti), dicembre 2016.


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/96


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti - Quarta relazione sullo stato dell’Unione dell’energia»

[COM(2019) 175 final]

(2019/C 353/15)

Relatore: Christophe QUAREZ

Consultazione

Commissione europea, 3.6.2019

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

3.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

183/2/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE prende atto della Quarta relazione sullo Stato dell’Unione dell’energia (in prosieguo «la Quarta relazione»), sostiene gli obiettivi dell’Unione dell’energia e si compiace dell’enfasi posta sull’impegno e la mobilitazione della società dell’UE verso la piena titolarità dell’Unione dell’energia. Il Comitato ribadisce le sue proposte per un efficace dialogo sull’energia con la società civile organizzata a livello UE, nazionale, regionale e locale. Chiede inoltre l’istituzione di un legame più stretto tra le relazioni elaborate in futuro sullo Stato dell’Unione dell’energia e la strategia a lungo termine proposta per il 2050.

1.2.

Il CESE è sorpreso dalla dichiarazione della Commissione europea secondo la quale «l’Unione dell’energia è ora una realtà». L’Unione dell’energia può essere una realtà in termini di decisioni strategiche dell’UE, ma non lo è ancora nella vita quotidiana dei cittadini europei. Il CESE invita pertanto la Commissione europea a responsabilizzare gli Stati membri in riferimento alle decisioni adottate a livello dell’UE e chiede una maggiore ambizione per la transizione energetica e l’azione per il clima.

1.3.

Il CESE in effetti si rammarica del fatto che i governi nazionali continuino a esprimere opinioni divergenti e che le misure per cui votano a Bruxelles siano diverse da quelle che mettono in atto nel loro paese. Il CESE invita la Commissione europea a fare un maggiore uso dei suoi poteri, compresi quelli giuridici, per garantire che gli Stati membri rispettino il diritto dell’UE in materia di energia, compresi gli obiettivi in materia di energia e di clima previsti per il 2020. Il CESE invita la Commissione europea ad analizzare i motivi alla base delle opinioni divergenti espresse dai governi nazionali, nonché i motivi per cui alcuni Stati membri non conseguiranno gli obiettivi in materia di energia e clima.

1.4.

Il CESE si rammarica del fatto che la Commissione europea non abbia utilizzato pienamente la Quarta relazione sullo stato dell’Unione dell’energia per sottolineare l’assenza di progressi chiari relativamente a quattro delle priorità dell’Unione dell’energia: mettere i cittadini al centro, ridurre le importazioni di energia, essere al primo posto nell’uso delle energie rinnovabili e creare posti di lavoro nel settore dell’energia pulita.

1.5.

Il CESE ribadisce che l’Europa ha bisogno di un «Patto sociale per la transizione energetica promossa dai cittadini», da concordare tra l’UE, gli Stati membri, le regioni, le città, le parti sociali e la società civile organizzata, per assicurare che la transizione non lasci indietro nessuno. Tale patto dovrebbe diventare la sesta dimensione dell’Unione dell’energia e comprendere tutti gli aspetti sociali, inclusa la creazione di posti di lavoro, la formazione professionale, l’istruzione e la formazione dei consumatori, la protezione sociale, i piani specifici per le regioni in transizione dove si perdono posti di lavoro, la salute e la povertà energetica. Questa iniziativa dovrebbe far parte del pilastro europeo dei diritti sociali.

1.6.

Accoglie con favore il lancio dell’Osservatorio sulla povertà energetica, che non può che costituire un primo passo nella direzione di un piano d’azione europeo volto a eliminare la povertà energetica in Europa. A questo proposito, le tariffe sociali o gli assegni energetici possono costituire solo un sollievo temporaneo e dovrebbero essere gradualmente sostituiti da sovvenzioni pubbliche che aiutino i cittadini europei più poveri ad adottare soluzioni strutturali, come ad esempio importanti interventi di adeguamento degli edifici.

1.7.

Il CESE si rammarica del fatto che si sia prestata un’attenzione insufficiente alla valutazione della dipendenza energetica dell’UE e alle sue implicazioni geopolitiche. Questo dovrebbe includere il controllo dell’evoluzione della dipendenza dell’UE dalle importazioni di energia (ad esempio, petrolio, gas naturale, carbone e uranio) e di beni legati alla transizione energetica (ad esempio, batterie e pannelli solari), e dagli investimenti esteri in imprese e attività energetiche strategiche dell’UE (ad esempio, imprese statunitensi che acquistano segmenti chiave della catena del valore delle centrali termoelettriche, società cinesi che acquistano imprese della rete elettrica, investimenti russi nel settore energetico di alcuni paesi).

1.8.

Alla luce dell’importanza dei cambiamenti climatici quale tema politico cruciale per l’UE, sia nella percezione dei cittadini che nei programmi dei partiti politici, il CESE invita la prossima Commissione europea a fare della lotta contro i cambiamenti climatici una priorità assoluta per il suo mandato 2019-2024. Questa priorità dovrebbe riflettersi nell’organizzazione della Commissione europea, mediante la creazione di una carica di primo vicepresidente della Commissione europea responsabile dell’azione per il clima.

2.   Contesto e riflessione sulle precedenti raccomandazioni del CESE

2.1.

Vi è un forte e crescente sostegno fra i cittadini dell’UE a favore degli obiettivi dell’Unione dell’energia e di politiche più ambiziose in materia di clima e di energia. Le indagini condotte di recente da Eurobarometro (1) rilevano che circa l’80 % dei cittadini dell’UE considera i cambiamenti climatici un problema molto grave e che la lotta a tali cambiamenti e l’utilizzo più efficiente dell’energia possono stimolare l’economia e l’occupazione nell’UE. Il sostegno manifestato dai cittadini si è reso più visibile grazie al movimento dei giovani #FridaysForFuture.

2.2.

Il CESE prende atto del crescente sostegno per gli obiettivi dell’Unione dell’energia nella comunità imprenditoriale europea, sia all’interno che all’esterno del settore dell’energia, come dimostrato per esempio dall’Union of the Electricity Industry (Unione dell’industria elettrica) - Eurelectric e dall’iniziativa B Team.

2.3.

Un numero crescente di esperti e di risultati scientifici conferma che l’economia dell’UE può beneficiare della sua trasformazione in un’economia climaticamente neutra. Questo è stato di recente ribadito dalla Commissione europea e dalla sua strategia a lungo termine lanciata nel novembre 2018 (2).

2.4.

Il CESE in effetti si rammarica del fatto che i governi nazionali continuino a esprimere opinioni divergenti e che le misure per cui votano a Bruxelles siano diverse da quelle che mettono in atto nel loro paese. Il CESE invita la Commissione europea a fare un maggiore uso dei suoi poteri, compresi quelli giuridici, per garantire che gli Stati membri rispettino il diritto dell’UE in materia di energia, compresi gli obiettivi in materia di energia e di clima di qui al 2020. Il CESE invita la Commissione europea ad analizzare i motivi alla base delle opinioni divergenti espresse dai governi nazionali, nonché i motivi per cui alcuni Stati membri non conseguiranno gli obiettivi in materia di energia e clima.

2.5.

Il CESE accoglie con favore le iniziative avviate negli ultimi anni e menzionate nella Quarta relazione, comprese quelle relative alle isole, alle regioni carbonifere, alle batterie e alla povertà energetica. Tutti questi elementi sono essenziali per promuovere una politica industriale integrata in grado di sostenere una transizione energetica socialmente equa che crei posti di lavoro di qualità, e sono da considerare come un’occasione per il settore di dimostrare la capacità dell’Europa di sviluppare soluzioni adeguate alle sfide attuali.

2.6.

Il CESE ha ripetutamente affermato che l’Unione dell’energia deve fornire un contesto stabile e favorevole per le imprese europee, al fine di consentire loro di investire e assumere e di incoraggiarle in tal senso, prestando un’attenzione particolare al potenziale delle PMI. Il CESE accoglie pertanto con favore l’entrata in vigore del regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia e invita la società civile organizzata a svolgere un ruolo più attivo per garantire la corretta attuazione di tale regolamento.

2.7.

Il CESE accoglie inoltre con favore la relazione della Commissione europea intitolata «Prezzi e costi dell’energia in Europa», pubblicata nel gennaio 2019, in quanto fornisce informazioni trasparenti sui recenti aumenti dei prezzi dell’energia, i quali sono in gran parte legati all’aumento dei prezzi dei combustibili fossili con un aumento del 26 % dei costi delle importazioni di combustibili fossili nell’UE tra il 2016 e il 2017, per un totale di 266 miliardi di euro. Il CESE invoca maggiore trasparenza riguardo alle sovvenzioni a favore dei combustibili fossili e alle differenze dei prezzi dell’energia all’interno dell’Unione europea, anche a seguito delle scelte diverse operate dagli Stati membri in materia di tassazione dell’energia.

2.8.

Il CESE ha chiesto l’inserimento della dimensione sociale tra i criteri di valutazione nella prossima relazione sullo stato dell’Unione dell’energia. Accoglie pertanto favorevolmente le iniziative sociali adottate dalla Commissione europea, come ad esempio quelle relative alle regioni ad alta intensità di carbonio e alla povertà energetica, nonché l’esistenza di una specifica sottosezione nella relazione sullo stato dell’Unione dell’energia dedicata alla dimensione sociale dell’Unione dell’energia.

2.9.

Il CESE ha sempre sostenuto che avere energia a disposizione a prezzi accessibili e potervi accedere materialmente sono due elementi chiave per evitare la povertà energetica. Accoglie pertanto con favore il lancio dell’Osservatorio sulla povertà energetica, che non può che costituire un primo passo nella direzione di un piano d’azione europeo volto a eliminare la povertà energetica in Europa. Invita la Commissione europea ad ampliare il mandato di tale Osservatorio e ad aumentare le sue risorse affinché possa continuare ad occuparsi della povertà energetica riguardante il riscaldamento ed estendere le sue attività a quella relativa al raffreddamento e alla mobilità.

2.10.

Il CESE prende atto che la transizione energetica non richiede investimenti di importo significativamente diverso rispetto a quelli necessari per mantenere l’attuale sistema energetico basato sull’uso inefficiente dei combustibili fossili provenienti dall’importazione. La sfida fondamentale consiste nel riallocare i capitali dagli attivi e dalle infrastrutture ad alta intensità di carbonio agli attivi e alle infrastrutture a zero emissioni di carbonio.

2.11.

Per aiutare gli investitori privati ad effettuare questa riallocazione di capitale, le autorità pubbliche dovrebbero garantire prezzi del carbonio effettivi e prevedibili per tutte le attività economiche e sopprimere gradualmente tutte le sovvenzioni ai combustibili fossili. Tra i possibili elementi, si segnala un prezzo minimo del carbonio per il sistema di scambio di quote di emissione (ETS), unitamente all’armonizzazione delle imposte sull’energia. Il CESE sostiene quindi con forza la proposta della Commissione europea di garantire che l’armonizzazione della tassazione dell’energia a livello di UE possa essere decisa a maggioranza qualificata, piuttosto che all’unanimità, in quanto quest’ultima procedura può consentire ad un unico governo nazionale di bloccare eventuali progressi a livello dell’Unione europea. Il settore dell’aviazione potrebbe essere il primo ambito in cui realizzare tale armonizzazione.

3.   Osservazioni sulla Quarta relazione sullo stato dell’Unione dell’energia e sulle iniziative di follow-up

3.1.    Creazione di una governance forte e democratica per la transizione energetica dell’Europa

3.1.1.

Il CESE ritiene che l’UE e i suoi Stati membri abbiano bisogno di democratizzare ulteriormente l’elaborazione delle politiche energetiche. Essi possono impiegare efficacemente strumenti quali i sondaggi deliberativi e le iniziative dei cittadini europei, e garantire un impegno sistematico con la società civile organizzata. Un sistema energetico più decentrato, in cui le comunità energetiche locali svolgono un ruolo più importante, può costituire un elemento significativo per sostenere la democratizzazione e la titolarità della transizione energetica europea.

3.1.2.

Per fornire un contesto imprenditoriale stabile e favorevole per le imprese europee, in particolare le PMI, l’UE e i suoi Stati membri dovrebbero elaborare piani energetici a lungo termine per conseguire l’obiettivo «emissioni zero» che hanno approvato con l’accordo di Parigi. Il CESE invita pertanto l’Unione europea ad adottare l’obiettivo di rendere l’UE un’economia climaticamente neutra entro il 2050. Dovrebbero successivamente essere definite strategie di decarbonizzazione settoriali e regionali, per individuare opportunità a livello commerciale e locale e anticipare future creazioni e perdite di posti di lavoro, al fine di garantire una transizione agevole.

3.1.3.

Il CESE critica la vaghezza di diverse promesse politiche. Si rammarica, ad esempio, che la Commissione europea non abbia mai chiarito il contenuto concreto della dichiarazione in merito all’obiettivo ambizioso di fare dell’Europa il «leader nel settore delle energie rinnovabili».

3.1.4.

Il CESE accoglie con favore le iniziative intese ad aiutare le isole e le regioni ad alta intensità di carbonio nella loro transizione energetica, e invita nuovamente la Commissione europea a coinvolgere tutti gli Stati membri e le regioni interessati in una mappatura congiunta dei punti di forza e di debolezza di ciascuna regione europea riguardo alla transizione energetica. Tale mappatura dovrebbe essere integrata nelle loro strategie industriali e di specializzazione intelligente, e dovrebbe aiutarli ad anticipare i probabili risultati in termini di creazione, perdita e ridefinizione di posti di lavoro, a seguito della transizione (3).

3.1.5.

Il CESE riconosce che una solida e democratica governance dell’Unione dell’energia richiede la creazione di un «Servizio europeo di informazione in materia di energia» in seno all’Agenzia europea dell’ambiente, servizio che sarebbe in grado di garantire la qualità dei dati forniti dagli Stati membri, sviluppare un punto di accesso unico per tutti gli insiemi di dati necessari per valutare i progressi dell’Unione dell’energia, definire con le parti interessate le ipotesi per i diversi scenari, fornire modelli open source per sperimentare le diverse ipotesi e verificare la coerenza tra le diverse proiezioni. I suoi lavori dovrebbero essere liberamente accessibili all’insieme dei responsabili politici, delle imprese e dei cittadini.

3.2.    Elaborazione congiunta di un Patto sociale per la transizione energetica promossa dai cittadini

3.2.1.

Il CESE accoglie con grande favore l’affermazione della Commissione europea secondo la quale: «Le implicazioni sociali di questi cambiamenti [dovuti alla transizione energetica] devono essere parte integrante del processo politico fin dall’inizio e non considerazioni effettuate in un secondo momento». Il CESE chiede alla Commissione europea di mettere in pratica questa affermazione ed è pronto a fornire sostegno e competenze tecniche.

3.2.2.

Il CESE ribadisce che l’Europa ha bisogno di un «Patto sociale per la transizione energetica promossa dai cittadini», da concordare tra l’UE, gli Stati membri, le regioni, le città, le parti sociali e la società civile organizzata, per assicurare che la transizione non lasci indietro nessuno. Tale patto dovrebbe diventare la sesta dimensione dell’Unione dell’energia e comprendere tutti gli aspetti sociali, inclusa la creazione di posti di lavoro, la formazione professionale, l’istruzione e la formazione dei consumatori, la protezione sociale, i piani specifici per le regioni in transizione dove si perdono posti di lavoro, la salute e la povertà energetica. Questa iniziativa dovrebbe far parte del pilastro europeo dei diritti sociali. Il Patto sociale per la transizione energetica promossa dai cittadini potrebbe basarsi sulle esperienze maturate a livello nazionale, quale il «Pacte pour le pouvoir de vivre» (Patto per il potere di vivere), che in Francia riunisce 19 sindacati e ONG.

3.2.2.1.

Il CESE ritiene che l’Unione europea debba fornire finanziamenti adeguati per sostenere i lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro a seguito della transizione verso un’economia climaticamente neutra. A tal fine, sulla scorta dell’esperienza della piattaforma per le regioni carbonifere in transizione, il CESE invita la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea a garantire che il Fondo sociale europeo, i fondi regionali e il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione siano adeguatamente concepiti e finanziati per far fronte alle sfide poste dalla transizione verso un’economia climaticamente neutra. In questo modo verrebbe dimostrata la volontà dell’Europa di garantire che la transizione energetica non lasci indietro nessuno.

3.2.3.

Il CESE auspica che l’Unione dell’energia sia sviluppata in modo tale da diventare un’opportunità per eliminare la povertà energetica in Europa e migliorare la qualità della vita, la creazione di posti di lavoro e l’inclusione sociale. Basandosi sulle conclusioni dell’Osservatorio europeo sulla povertà energetica e sull’indice europeo della povertà energetica istituito di recente, dovrebbe essere elaborato in collaborazione con tutte le parti interessate, ivi comprese le organizzazioni di consumatori e le ONG che combattono la povertà quale la Rete europea di lotta alla povertà, un piano d’azione europeo per garantire che l’azione pubblica si concentri sempre più spesso sulle cause profonde della povertà energetica. Ricordando come dal suo parere Energia pulita per tutti gli europei (4) fosse emerso che la povertà energetica è una questione di investimenti e che le famiglie vulnerabili in particolare incontrano ostacoli nell’accesso ai finanziamenti, il CESE sottolinea la necessità di passare progressivamente da misure palliative a misure preventive, quali le ristrutturazioni volte a trasformare vecchi edifici in edifici a zero emissioni nette. A tale riguardo, le tariffe sociali o gli assegni energetici possono costituire soltanto un sollievo temporaneo, che dovrebbe essere gradualmente sostituito da sovvenzioni pubbliche volte ad aiutare i cittadini europei più poveri ad adottare soluzioni strutturali, come ad esempio importanti interventi di adeguamento degli edifici.

3.2.3.1.

Il CESE ritiene che la transizione verso un’economia neutra sotto il profilo climatico costituisca l’occasione per creare posti di lavoro per i cittadini europei. Secondo la Commissione europea, quattro milioni di europei lavorano già per l’«economia verde». Accelerare la transizione energetica permetterà di creare più posti di lavoro, soprattutto quando la transizione avviene attraverso le comunità energetiche locali. Il CESE ritiene che si debbano compiere maggiori sforzi nell’ambito della formazione professionale per attirare i giovani europei, compresi i giovani disoccupati, verso posti di lavoro legati alla transizione energetica. Il CESE chiede pertanto alla Commissione europea di sviluppare il Programma Erasmus Pro, al fine di attrarre un maggior numero di giovani verso i settori in espansione dell’economia neutra dal punto di vista climatico (ad esempio, l’efficienza energetica e la produzione di energia rinnovabile), migliorando l’immagine e le condizioni di lavoro di tali posti di lavoro.

3.2.4.

Il CESE ritiene che l’UE e tutti i suoi Stati membri dovrebbero considerare la lotta all’inquinamento atmosferico una priorità politica ad alto livello. Inoltre, dovrebbero essere rafforzate le misure normative volte a ridurre gli inquinanti atmosferici emessi dai veicoli e dalle centrali elettriche e dovrebbero essere adottati provvedimenti per eliminare progressivamente l’uso dei combustibili fossili nei trasporti e nella generazione di energia. Il CESE chiede inoltre che, in una prossima relazione, la Commissione fornisca un’analisi dettagliata dei fattori alla base della creazione di posti di lavoro verdi e degli ostacoli da superare.

3.2.5.

Il CESE accoglie con favore i miglioramenti previsti nella Quarta relazione riguardo alle informazioni sull’utilizzo degli strumenti di investimento dell’UE, in particolare del meccanismo per collegare l’Europa. Rileva tuttavia la necessità di migliorare i mezzi attraverso i quali le start-up, i cittadini, le comunità energetiche locali e i progetti basati sulla comunità possono accedere a tali risorse (ad esempio, sostenendo le piattaforme finanziarie, soprattutto negli Stati membri che non dispongono di tali strutture). Il CESE intende approfondire ulteriormente la dimensione sociale della transizione energetica elaborando un parere esplorativo o una relazione informativa a parte.

3.3.    Trasporti

Il CESE rammenta che il settore dei trasporti rappresenta un terzo del consumo energetico dell’UE. Anche se nell’Unione si è registrata una diminuzione delle emissioni, questo non vale per il settore dei trasporti, il quale continua tra l’altro a basarsi quasi interamente (94 %) sul petrolio, che viene per lo più importato.

3.3.1.

Il CESE si compiace dell’adozione del pacchetto sulla mobilità pulita come un primo passo verso la transizione alla mobilità pulita. Accoglie con favore la promozione dell’elettrificazione, ma ricorda che non sarà sufficiente e che occorre compiere sforzi senza precedenti per accrescere l’efficienza energetica e ridurre la domanda di mobilità non necessaria, ad esempio le lunghe distanze tra casa e luogo di lavoro.

3.3.2.

Il CESE avrebbe accolto con favore l’adozione di misure a livello dell’UE per evitare che i proprietari a basso reddito vengano lasciati indietro in quanto possessori di veicoli inquinanti il cui accesso a molte zone urbane è soggetto a sempre maggiori restrizioni. Potrebbero essere adottate misure nell’ambito dell’agenda urbana, nonché promossi gli spostamenti a piedi e in bicicletta, i trasporti pubblici, gli interventi a basso costo in materia di adattamento o conversione delle unità motrici nei veicoli già in circolazione dai combustibili fossili alle tecnologie a zero emissioni.

3.3.3.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la Quarta relazione sottolinei l’importanza della European Battery Alliance e sostiene l’iniziativa per assicurare che l’UE svolga un ruolo ambizioso in questo mercato globale (5).

3.4.    Infrastrutture, investimenti e sviluppo industriale per la transizione energetica

3.4.1.

La transizione energetica comporta implicazioni significative per tutti i segmenti dell’economia, in particolare i servizi di pubblica utilità, le industrie ad alta intensità energetica e le industrie che forniscono soluzioni in materia di energia. La loro trasformazione radicale richiede investimenti per centinaia di miliardi di euro. Essi devono far fronte a rischi, sfide e opportunità ed è di fondamentale importanza che l’UE aiuti le industrie, le cooperative energetiche e i cittadini a cogliere le opportunità, ad affrontare le sfide e ad attenuare i rischi.

3.4.2.

Il CESE si rammarica del fatto che si sia prestata un’attenzione insufficiente alla valutazione della dipendenza energetica dell’UE e alle sue implicazioni geopolitiche. Questo dovrebbe includere il controllo dell’evoluzione della dipendenza dell’UE dalle importazioni di energia (ad esempio, petrolio, gas naturale, carbone e uranio) e di beni legati alla transizione energetica (ad esempio, batterie e pannelli solari), e dagli investimenti esteri in imprese e attività energetiche strategiche dell’UE (ad esempio, imprese statunitensi che acquistano segmenti chiave della catena del valore delle centrali termoelettriche, società cinesi che acquistano imprese della rete elettrica, investimenti russi nel settore energetico di alcuni paesi).

3.4.3.

Secondo il CESE, l’UE dovrebbe intensificare la propria ambizione in tutti i settori dell’energia pulita, per fornire alle imprese europee un mercato interno solido in cui l’innovazione possa essere utilizzata, nonché una strategia industriale integrata volta a esportare soluzioni energetiche pulite nel resto del mondo.

3.4.4.

Il CESE si rammarica che gli investimenti pubblici (degli Stati membri e dell’UE) nelle priorità di ricerca e innovazione dell’Unione dell’energia siano rimasti invariati a 5 miliardi di euro all’anno, mentre nel settore energetico la ricerca e l’innovazione dovrebbero costituire una priorità assoluta per salvaguardare la competitività e il clima in Europa. Il CESE invita il Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione europea a fornire ulteriori dati in merito a tale aspetto, espressi sia in termini assoluti che in percentuale del PIL dell’UE.

3.4.5.

Il CESE valuta molto positivamente la creazione del progetto pilota del Consiglio europeo per l’innovazione e la proposta di creare «missioni di ricerca e innovazione», al fine di indirizzare meglio la ricerca e l’innovazione verso progetti che affrontino realmente le sfide della società, tra cui la transizione a un’economia climaticamente neutra. A tale proposito, il CESE invita la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea a proporre l’istituzione di una missione specifica per rendere 100 città europee climaticamente neutre entro il 2030. Questo offrirà ai ricercatori, agli innovatori e alle imprese dell’UE enormi opportunità per co-progettare e testare le innovazioni, apprendere dall’esperienza ed essere più pronti a realizzare una rapida transizione energetica in Europa e nel resto del mondo.

4.   Coinvolgimento della società civile e contributo del CESE

4.1.

Il CESE è convinto che l’Unione dell’energia sia forse una realtà in termini di politiche, ma che non lo sia ancora nella vita quotidiana dei cittadini europei. Il CESE accoglie con favore il fatto che i responsabili politici dell’UE abbiano gettato le basi dell’Unione dell’energia tra il 2015 e il 2019, ma molto resta ancora da fare nei prossimi anni e decenni.

4.2.

La trasformazione del sistema energetico europeo sarà più rapida, meno costosa e più democratica se alimentata da cittadini sempre più attivi nelle vesti di consumatori, prosumatori, lavoratori, attori dell’esternalizzazione aperta (crowdsourcing) e del finanziamento collettivo (crowdfunding) della transizione energetica. L’Unione europea dovrebbe mirare a passare da una situazione in cui la politica energetica, anche a livello nazionale, è stata determinata dalle «decisioni di alcuni» a una in cui essa dipende effettivamente dall’«azione di tutti». Questo obiettivo non è mai stato così raggiungibile, dato l’aumento della sensibilizzazione sul clima tra i cittadini dell’UE, in particolare tra i giovani europei.

4.3.

Il CESE deplora la mancanza di proposte concrete per coinvolgere maggiormente le organizzazioni della società civile e i cittadini. Sebbene il programma di visite dedicate all’Unione dell’energia (Energy Union Tour) abbia costituito uno sviluppo positivo, il CESE invita la Commissione europea a intensificare la collaborazione con i decisori politici e le parti interessate e, in particolare, con i consigli economici e sociali nazionali e regionali e con i rappresentanti della società civile organizzata, allo scopo di fornire congiuntamente energia pulita a tutti i cittadini europei.

4.4.

Ricordando gli strumenti disponibili nel regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia, il CESE propone di istituire un dialogo permanente dei cittadini, che dovrebbe essere un elemento preparatorio obbligatorio di tutte le principali decisioni politiche e di tutti i procedimenti legislativi dell’UE inerenti ai cambiamenti climatici. Trasparenza e responsabilità dovrebbero essere elementi importanti di tale dialogo, nel senso che i contributi ai dialoghi dovrebbero essere accessibili al pubblico e dovrebbero essere fornite informazioni chiare su come si è tenuto conto delle preoccupazioni sollevate durante il dialogo. Se si vuole che tale dialogo sia proficuo, è essenziale che sia percepito come vicino ai cittadini. Pertanto, se un dialogo via Internet potrebbe essere utile, esso non è sufficiente, e occorre integrarlo con incontri e contatti diretti con il pubblico. È quindi necessario che il dialogo sia visibile, che siano disponibili risorse finanziarie e di personale adeguate e che gli sia dato un volto attraverso un vicepresidente della Commissione europea, un commissario o un’altra figura di alto livello specificamente responsabile per questo dialogo.

4.5.

Il CESE desidera contribuire attivamente all’ulteriore sviluppo delle sinergie e della cooperazione tra le istituzioni dell’UE, le organizzazioni della società civile e gli enti locali e regionali e le loro istituzioni, pertinenti agli obiettivi dell’Unione dell’energia. Gli enti locali e regionali, grazie alla loro vicinanza al livello dei cittadini e la loro conoscenza di ciascun contesto locale specifico, sono decisivi per l’adeguamento e l’attuazione efficaci delle politiche in materia di energia. Essi costituiscono un livello decisionale chiave in settori quali i trasporti, la pianificazione urbana, l’edilizia e il welfare, il che li rende estremamente importanti per quanto riguarda le misure coordinate a favore dell’efficienza energetica e delle fonti di energia rinnovabili.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Speciale Eurobarometro 459 Relazione «Climate Change», marzo 2017

(2)  COM(2018) 773 final.

(3)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 1.

(4)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 64.

(5)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 1.


18.10.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 353/102


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti relativa all’attuazione del piano d’azione strategico sulle batterie: creare una catena del valore strategica delle batterie in Europa»

[COM(2019) 176 final]

(2019/C 353/16)

Relatore: Colin LUSTENHOUWER

Consultazione

Commissione europea, 3.6.2019

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

3.7.2019

Adozione in sessione plenaria

17.7.2019

Sessione plenaria n.

545

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

189/1/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La prima relazione della Commissione europea sullo stato di avanzamento dell’attuazione del piano d’azione strategico sulle batterie rileva che sono state intraprese numerose azioni con l’obiettivo di creare un’industria delle batterie di rilievo nell’UE.

1.2.

Sebbene sia ancora troppo presto per trarre delle conclusioni definitive, il CESE sostiene le iniziative che la Commissione ha adottato e intende adottare al fine di affrancarsi, insieme agli Stati membri e alle imprese europee, dalla dipendenza dai paesi terzi, in particolare quelli asiatici.

1.3.

Nei prossimi anni si dovranno realizzare notevoli progressi per portare le conoscenze tecnologiche dell’UE al livello richiesto, per garantire l’approvvigionamento dei materiali di base dai paesi terzi e dalle fonti nell’UE e per far sì che il riciclaggio delle batterie avvenga in modo sicuro e pulito.

1.4.

Investire nel personale è un compito che spetta congiuntamente alle autorità e alle imprese.

2.   Introduzione

A.

Nel maggio 2018 la Commissione europea ha presentato una comunicazione dal titolo L’Europa in movimento (1), che illustra la politica prevista dalla Commissione ai fini di una mobilità sostenibile per l’Europa: una mobilità sicura, interconnessa e pulita.

2.1.

Questa politica rientra a sua volta in quella avviata dalla Commissione Juncker intitolata L’Unione europea dell’energia, un quadro di riferimento globale e integrato che inserisce la politica in materia di cambiamenti climatici nella politica energetica e la completa con una politica industriale mirata, al fine di realizzare gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Obiettivi, questi, che sono orientati soprattutto alla riduzione delle emissioni di CO2 derivanti dalla produzione di energia da combustibili fossili (2) e dai trasporti in Europa realizzati con veicoli (mezzi pesanti e autovetture) alimentati anch’essi da combustibili fossili (benzina e gas).

2.2.

Nel quadro della comunicazione L’Europa in movimento la Commissione ha elaborato un piano d’azione specifico per lo sviluppo e la produzione delle batterie. A tal fine la Commissione ha presentato un allegato che accompagna la comunicazione di cui sopra dal titolo Piano d’azione strategico sulle batterie.

B.

Perché un piano d’azione specifico per le batterie?

2.3.

Le batterie sono diventate una presenza indispensabile nella nostra vita quotidiana. Nei telefoni cellulari, nei PC e nei tablet, negli elettrodomestici nonché nei veicoli elettrici, le batterie rappresentano un componente essenziale per un funzionamento corretto, sicuro e possibilmente durevole dell’apparecchio. Eppure la durata della batteria rimane (troppo) limitata. Tra questi gruppi di prodotti, la politica della Commissione, come indicato nel piano d’azione, si rivolge principalmente allo sviluppo di batterie per i veicoli elettrici, ma anche ad altri aspetti come il riutilizzo delle batterie e il riciclaggio (3).

2.4.

I sistemi a batteria sono ideali per l’accumulo di energia su piccola scala. Per lo stoccaggio su larga scala, ad esempio nel caso dell’energia generata dai parchi eolici offshore, non sembra possibile utilizzare le batterie. In questi casi si rende necessario il ricorso ad altri vettori energetici, quali idrogeno e ammoniaca (4). Anche in tale ambito la Commissione sostiene, attraverso il bilancio di Orizzonte 2020, una serie di iniziative quali la tecnologia per la conversione dell’elettricità in gas («power to gas») (5). Analogamente, è dedicata grande attenzione allo sviluppo tecnologico di metodi efficienti e sicuri per il trasferimento dell’energia immagazzinata alle reti elettriche ad alta tensione («power to the grid»), al fine di abbattere i costi molto elevati delle piattaforme in mare. Anche le perdite lungo la rete, che si verificano tuttora con l’uso di cavi ad alta tensione sopra o sotto i fondali marini per il trasferimento dai parchi eolici offshore alla terraferma, si potrebbero in buona misura evitare, con un potenziale guadagno in termini di efficienza compreso tra il 10 e il 15 % nella produzione di energia sostenibile offshore.

2.5.

Secondo le previsioni circa il 40-50 % del costo di un veicolo elettrico sarà imputabile alle batterie, ma sembra già che tale costo potrà diminuire. Con il rapidissimo sviluppo dell’alimentazione elettrica nei trasporti (6) la disponibilità di batterie di buona qualità, sicure e rispettose dell’ambiente assume ancora una volta un ruolo essenziale. La Commissione ritiene che vi possa essere un enorme mercato per l’industria europea, potenzialmente dell’ordine di 400 GWh, per un valore di 250 miliardi di EUR entro il 2025. Questo settore offre all’Europa delle opportunità non soltanto nell’ottica degli obiettivi climatici, ma anche dal punto di vista economico e occupazionale. Come ha recentemente dichiarato la commissaria Bieńkowska, si prevede una forte industria delle batterie nell’UE, che contribuirà all’economia circolare e alla mobilità pulita.

2.6.

Ma diciamo pure le cose come stanno: l’Europa ha accumulato un notevole e preoccupante ritardo rispetto alle imprese e ai paesi asiatici in termini di sviluppo (R&S) e produzione delle batterie. Ben l’85 % del totale delle batterie che noi tutti utilizziamo in Europa proviene dalla Cina, dal Giappone o dalla Corea. La produzione europea si attesta appena al 3 % della produzione mondiale, e quella statunitense si aggira intorno al 15 %. Pertanto, se in Europa vogliamo trasformare la mobilità con il passaggio dall’alimentazione a combustibili fossili all’alimentazione elettrica, siamo assolutamente e totalmente dipendenti dalla capacità di produzione asiatica.

2.7.

Come se ciò non bastasse, bisogna considerare che in Europa attualmente le materie prime necessarie per la produzione di batterie, quali litio, nichel, manganese e cobalto, sono ancora estratte in quantità limitata, nonostante l’esistenza di potenziali giacimenti. Lo sfruttamento di queste risorse minerarie europee sarà indispensabile, sebbene al momento sembrino essere in grado di soddisfare appena il 15-20 % circa della domanda totale. Le materie prime necessarie provengono anche dall’America latina, dall’Africa e dall’Asia, dove peraltro i cinesi avrebbero creato grandi aziende minerarie per garantirsi il libero accesso a queste materie prime (7). Inoltre, anche la raffinazione e la lavorazione dei minerali europei solitamente hanno luogo in Cina.

2.8.

Le attività estrattive e di lavorazione delle materie prime sono ad alta intensità energetica e producono notevoli volumi di rifiuti minerari, tra cui in alcuni casi rifiuti pericolosi.

2.9.

L’Europa invece deve affrontare il problema del trattamento delle batterie. L’elevato quantitativo di batterie esauste ci pone dinnanzi a un nuovo e preoccupante problema in materia di rifiuti, anche perché il riciclaggio dei materiali presenti nelle batterie è ancora solo in fase iniziale. Al momento si recupera appena il 10 % circa dei materiali delle batterie. Il trattamento e il recupero presentano pertanto un potenziale enorme.

3.   Relazione 2019 sullo stato di avanzamento

3.1.

Nel parere del 17 ottobre 2018 (8) il CESE ha espresso il proprio sostegno alle proposte della Commissione per una maggiore sostenibilità dei trasporti e per il piano d’azione strategico sulle batterie. In tale contesto il Comitato ha sottolineato tuttavia che diversi fattori potrebbero ostacolare la realizzazione del piano, quali la dipendenza da paesi terzi per le materie prime, la mancanza di combustibili alternativi, problemi nella gestione, nella trasformazione e nello smaltimento delle batterie esauste nonché la mancanza di una forza lavoro qualificata.

3.2.

Il 9 aprile 2019 la Commissione ha pubblicato la prima relazione sullo stato di avanzamento del Piano d’azione strategico sulle batterie definito nel maggio 2018. Dalla relazione emerge che una serie di iniziative settoriali e regionali sono in fase di sviluppo. La European Battery Alliance risulta essere una piattaforma stimolante, che unisce rappresentanti dell’industria, responsabili politici e scienziati per rispondere in modo coordinato al difficile e ambizioso obiettivo di riportare l’UE e le sue industrie in prima fila nella tecnologia delle batterie, un settore in rapido sviluppo. Un primo invito a presentare proposte è stato lanciato con un bilancio di 114 milioni di EUR a valere sul programma Orizzonte 2020, a cui seguirà per il 2020 un secondo invito con un bilancio di 132 milioni di EUR. A ciò si aggiungono finanziamenti su larga scala provenienti dalle risorse stanziate per la politica regionale dell’UE. Il mondo imprenditoriale e quello scientifico sembrano molto motivati a partecipare, nell’ottica di integrare i propri investimenti con le risorse finanziarie dell’UE e accelerare lo sviluppo delle attività di R&S.

3.3.

Dalla pubblicazione del piano d’azione sono state elaborate numerose iniziative, molte delle quali però, anche a livello interregionale, sono ancora in una fase preparatoria. Ad appena un anno dalla pubblicazione del piano d’azione sembra decisamente troppo presto per una valutazione. Tuttavia si percepisce un diffuso senso di urgenza: i responsabili politici, il mondo scientifico e quello imprenditoriale si rendono conto che è tardi, se non addirittura troppo tardi. La posta in gioco è estremamente alta: vi è un rischio concreto che ampie sezioni dell’industria automobilistica europea trasferiscano la produzione nelle regioni, perlopiù asiatiche, prossime alle unità di produzione delle batterie, con conseguenti ripercussioni su circa 13 milioni di posti di lavoro in Europa in questo settore.

4.   Sviluppi futuri

4.1.

Dall’insediamento della Commissione Juncker e dalla definizione del programma dell’Unione europea dell’energia sono state lanciate numerose azioni che, alla luce della politica in materia di cambiamenti climatici, hanno dato avvio a una politica industriale che ha conferito un carattere completamente nuovo alla transizione verso una società più sostenibile. La politica industriale della Commissione, sostenuta dagli Stati membri, ha assunto un’impronta molto più di orientamento e ha dimostrato un maggior senso di iniziativa rispetto al passato. Il CESE si congratula con la Commissione per il nuovo approccio e incoraggia la Commissione, gli Stati membri e l’imprenditoria europea a proseguire con questo nuovo approccio.

4.2.

Si tratta di un orientamento lodevole ma anche necessario, tenuto conto del forte ritardo dell’imprenditoria europea in termini di sviluppo e produzione delle batterie. Una politica industriale di orientamento comporta però i rischi connessi alla scelta a priori degli attori vincenti (il cosiddetto «picking winners»). Resta tuttavia degno di lode il nuovo approccio che tiene conto dell’intera catena del valore industriale («value chain approach»). Una politica industriale basata sul metodo della catena del valore si inserisce molto meglio nella logica dell’economia circolare rispetto al vecchio approccio settoriale. L’approccio fondato sulla catena del valore richiede anche una politica diversa e più adeguata a questo nuovo contesto, che ad esempio sia coerente con la politica sugli aiuti di Stato. Ora che il settore della produzione di batterie è diventato un ambito prioritario della politica industriale dell’UE, anche la Commissione dovrà dimostrare maggiore flessibilità ed elasticità rispetto al sostegno agli investimenti concesso dagli Stati membri alle imprese di questa filiera. Con un’applicazione flessibile dei criteri di ammissibilità per la qualifica di «importante progetto di comune interesse europeo» (IPCEI) si può aiutare l’industria europea con risorse finanziarie pubbliche considerevoli, che possono in qualche misura avvicinarsi agli aiuti concessi alle imprese asiatiche dai rispettivi paesi. Il CESE accoglie con favore questa nuova applicazione dello strumento dell’IPCEI.

4.3.

Resta soltanto da capire se la nuova politica, come descritta nel piano d’azione strategico, non sia stata introdotta troppo tardi per poter recuperare l’enorme ritardo nei confronti delle imprese e dei paesi asiatici. Ci si domanda inoltre se le risorse stanziate siano sufficienti. In termini più pessimistici, non sarà troppo poco e troppo tardi? (9) In un documento di riflessione di recente pubblicazione la Corte dei conti europea si pone i medesimi dubbi: «Vi è il rischio, tuttavia, che le misure adottate finora non siano sufficienti per raggiungere gli obiettivi strategici dell’UE in materia di energia pulita». Ciò nonostante, bisogna tenere presente che il ruolo della Commissione e le risorse finanziarie di cui dispone sono limitati. A buon diritto, la Commissione mostra una certa cautela. Il suo ruolo è quello di mediare. Spetta in primo luogo agli Stati membri, all’imprenditoria europea e ai suoi istituti di ricerca intervenire. È molto incoraggiante che i governi di Francia e Germania all’inizio di maggio 2019 abbiano deciso di stanziare circa 1 miliardo di EUR ciascuno a sostegno delle iniziative delle loro imprese per lo sviluppo del settore della produzione di batterie. Questo è uno dei primi risultati tangibili della European Battery Alliance lanciata dalla Commissione, che vede la collaborazione tra Stati membri, Commissione e imprese.

4.4.

Il CESE ritiene che, dopo così breve tempo dall’introduzione del piano d’azione sulle batterie, sia troppo presto per trarre delle conclusioni. Il Comitato è soddisfatto delle numerose azioni avviate o sviluppate da una serie di parti interessate. I risultati si potranno (e si dovranno) sentire nei prossimi anni. Gli sviluppi tecnologici proseguono all’interno e all’esterno dell’Unione europea; il processo dinamico impone che la strategia per le batterie non si limiti a un’iniziativa una tantum e rende indispensabile un approccio strutturale nelle politiche dell’UE e degli Stati membri, dal momento che i necessari investimenti negli strumenti di produzione presentano lunghi tempi di rientro del capitale (talvolta anche 20 o 30 anni).

4.5.

Ci si chiede se l’Unione europea possa effettivamente costruire un settore competitivo per lo sviluppo e la produzione delle batterie, considerando che le materie prime necessarie non sono reperibili in quantità sufficiente all’interno dell’UE. Sebbene siano state sviluppate iniziative volte ad esempio all’estrazione del litio in alcuni Stati membri (come ad esempio la riapertura di miniere precedentemente chiuse), l’ipotesi che l’Unione possa diventare completamente autosufficiente appare inverosimile. In più in Europa vi è una forte riluttanza nei confronti dell’industria mineraria e anche in questo caso vige il principio «sì, ma non a casa mia». Gli effetti positivi che possono derivare per le comunità locali da un’estrazione delle materie prime responsabile dal punto di vista sociale e ambientale meritano di essere portati maggiormente all’attenzione dei cittadini. Inoltre, a quanto risulta, il coinvolgimento della popolazione locale anche a livello finanziario e di altro tipo («local ownership») può prevenire l’insorgere di un’opposizione a queste attività tale da impedirne il decollo.

4.6.

Alla luce della situazione relativa alle materie prime, il CESE sottolinea l’importanza di uno sforzo maggiore in materia di R&S da parte di tutti i soggetti interessati ai fini dello sviluppo di nuovi tipi di batterie, come le batterie allo stato solido, le quali riducono significativamente questa dipendenza dalle materie prime.

4.7.

Quanto è realistica l’ipotesi che nell’UE, come ipotizzato dalla Commissione, si sviluppino da dieci a venti grandi produttori? Tra gli investitori di lungo periodo del mercato di capitali vi è la disponibilità a investire i dieci miliardi di EUR circa necessari a tal fine? Benché le priorità definite nel piano d’azione siano apprezzabili, appare deludente che non sia stata trattata in alcun modo la questione dell’accesso ai capitali necessari per questi mega-investimenti. Nel caso di specie, i semplici finanziamenti bancari sono assolutamente insufficienti. I mercati di capitali, e segnatamente i fondi infrastrutturali, dovranno essere pronti a investire in questi progetti con capitale di rischio (10). A tal fine bisogna portare avanti una politica a lungo termine, ottenere un rendimento adeguato e godere di un sostegno di fondo da parte delle autorità nazionali. Occorre evitare che le parti rimangano ad aspettare l’iniziativa di qualcun altro, e in tal senso le autorità possono assumere un ruolo importante, stimolando il processo di investimento. Le iniziative franco-tedesche dimostrano che questi paesi ne sono consapevoli. Il CESE ritiene che anche la piattaforma per gli investimenti lanciata di recente con EIT InnoEnergy, con la funzione di «acceleratore», possa fornire un contributo significativo nel far incontrare gli investitori e i promotori di iniziative.

4.8.

Al contempo si deve sensibilizzare il consumatore europeo con campagne di informazione mirate affinché si renda conto che l’acquisto di batterie prodotte in Europa, dove sono applicate norme per la sicurezza delle persone e dell’ambiente, presenta una serie di vantaggi rispetto all’acquisto di batterie provenienti da paesi terzi che non osservano allo stesso modo tali norme e valori. Proseguire con il sistema attuale significa continuare a esportare i nostri problemi ambientali.

4.9.

Il CESE rileva la necessità di ulteriori iniziative concrete per lo sviluppo del riciclaggio dei materiali recuperabili dalle vecchie batterie. L’estrazione mineraria urbana («urban mining») può portare un contributo sostanziale al necessario approvvigionamento di materie prime. Il potenziale delle miniere urbane in termini di riciclaggio futuro è considerevole, ma a tal fine è indispensabile migliorare gli incentivi economici, le quantità di raccolta, le tecnologie di recupero e, in ultima analisi, i tassi di riciclaggio. Dalla recente relazione della Commissione sull’attuazione e sull’impatto della direttiva sulle batterie risulta purtroppo che la raccolta delle batterie convenzionali non ha ancora raggiunto i livelli auspicati. Tuttora circa il 57 % delle batterie non viene conferito a impianti di riciclaggio. È pertanto a buon diritto che la Commissione, come ha dichiarato in questa relazione concisa ma molto interessante, sta riflettendo sull’adeguamento della direttiva del 2006, anche alla luce dell’avvento di nuove batterie come quelle su cui verte il piano d’azione. Il Comitato attende tali proposte con grande interesse, e constata la necessità di un ulteriore adeguamento degli attuali impianti per il trattamento delle batterie, tenuto conto dei grandi flussi di nuovi tipi di batterie nel prossimo futuro. Si dovrà sviluppare inoltre una nuova tecnologia per il riciclaggio o il trattamento; secondo il Comitato, in questo campo una R&S mirata merita il pieno sostegno dell’UE, poiché tali attività contribuiscono a migliorare l’ambiente in cui viviamo e possono ridurre in misura significativa la dipendenza da materie prime provenienti da paesi terzi.

4.10.

Il Comitato auspica inoltre una ricerca mirata sul recupero dei materiali dalle discariche di carbon fossile e acciaio o altri metalli ricavati con le attività estrattive. Non si esclude che anche queste fonti possano contribuire a soddisfare il fabbisogno di materie prime. Il CESE accoglie con favore la recente pubblicazione, da parte del Centro comune di ricerca della Commissione europea, di una relazione sul recupero delle materie prime essenziali dai rifiuti minerari e dalle discariche (11), e chiede di sostenere a livello politico lo studio e l’analisi della questione delle materie prime essenziali, dal momento che la «battaglia mondiale per le materie prime» sta diventando più aspra.

4.11.

In che misura il quadro normativo contribuisce allo sviluppo all’interno dell’Unione delle necessarie attività di R&S e all’applicazione delle tecnologie che ne derivano? Riflettere sulla legislazione e sulla normativa rappresenta l’inclinazione naturale della Commissione, poiché questi sono gli strumenti di influenza a sua disposizione. Forse però sarebbe meglio monitorare e analizzare gli sviluppi del mercato insieme alle imprese e alle organizzazioni delle parti sociali prima di ricorrere agli strumenti normativi. Considerata la precarietà del settore, appare più indicato un approccio politico che preveda dapprima una fase di avvio delle iniziative, di stimolo e di produzione e poi, solo dopo un’opportuna analisi, il ricorso alla regolamentazione.

4.12.

Il CESE invita la Commissione a continuare ad assicurarsi che le gare d’appalto siano effettivamente adeguate alla scala generalmente ridotta del panorama imprenditoriale dell’UE, affinché questi produttori di medie dimensioni non perdano i finanziamenti perché le loro attività di R&S, di modesta entità, non rispondono ai requisiti del bando in merito alla portata dei progetti. Il CESE apprezza tuttavia che la Commissione abbia configurato i bandi in modo nuovo e più integrato, rendendoli più accessibili alle imprese dell’Unione.

4.13.

Il Comitato ritiene importante che i finanziamenti dell’UE siano accessibili anche per progetti di produttori di batterie europei di medie dimensioni che abbiano già compiuto ampi sviluppi tecnologici (Technology Readiness Level da 5 a 9). Questa categoria di imprese, più concentrate sull’accesso al mercato che sulla ricerca di base, sembra essere ancora troppo spesso esclusa dall’accesso ai fondi dell’UE. In funzione di questo gruppo di imprese, inoltre, si dovrà strutturare in modo semplice l’accesso alle sovvenzioni dell’Unione per la formazione e la riqualificazione dei lavoratori.

Bruxelles, 17 luglio 2019

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2018) 293 final.

(2)  La produzione e il consumo di energia sono responsabili del 79 % delle emissioni di gas serra nell’UE. Documento di riflessione della Corte dei conti europea, del 1o aprile 2019, sul tema Il sostegno dell'UE per lo stoccaggio di energia.

(3)  Sebbene l’attenzione sia rivolta principalmente alle autovetture, non va dimenticato che sono in corso anche sviluppi per la produzione di imbarcazioni ad alimentazione elettrica (quali piccoli traghetti).

(4)  Cfr. il parere del CESE sul tema Stoccaggio dell’energia: un fattore di integrazione e di sicurezza energetica (GU C 383 del 17.11.2015, pag.19).

(5)  Nelle Fiandre è stato avviato un progetto interessante, denominato «WaterstofNet» (Rete dell’idrogeno) per la creazione di un polo di produttori (eolico e veicoli elettrici), operatori nell’ambito delle tecnologie a idrogeno (elettrolisi e compressione) e utilizzatori finali nei settori chimico e dei trasporti.

(6)  Si prevede per esempio che quest’anno (2019) in Norvegia le vendite di autovetture elettriche supereranno per la prima volta quelle delle automobili tradizionali con motore a combustione. Il fornitore della maggior parte di questi veicoli elettrici è una nota casa automobilistica americana.

(7)  Le autorità cinesi hanno fissato l’obiettivo di portare entro il 2025 la vendita di autovetture ad alimentazione elettrica al 20 % del totale delle nuove automobili vendute.

(8)  Parere del CESE sul tema L’Europa in movimento (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 254).

(9)  Cfr. anche il documento di riflessione della Corte dei conti europea del 1o aprile 2019 dal titolo Il sostegno dell'UE per lo stoccaggio di energia.

(10)  Il 2 maggio 2019 Tesla ha dichiarato che i risultati per il primo trimestre del 2019 indicavano perdite per oltre 700 milioni di USD, ma che tuttavia l’impresa intende raccogliere 2 miliardi di USD sul mercato dei capitali per una nuova fabbrica di batterie e per lo sviluppo di un nuovo tipo di automobili ad alimentazione elettrica. Il mercato dei capitali americano è in grado di far fronte agevolmente a investimenti di questa portata, sotto forma di azioni e/o obbligazioni. C’è da chiedersi se il frammentato mercato dei capitali europeo possa fare altrettanto.

(11)  Recovery of critical and other raw materials from mining waste and landfills: State of play on existing practices (Recupero delle materie prime essenziali e di altre materie prime dai rifiuti minerari e dalle discariche: situazione attuale delle pratiche esistenti), EUR 29744 EN, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo, 2019, ISBN 978-92-76-03391-2, doi:10.2760/494020, JRC116131.