ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 110

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

62° anno
22 marzo 2019


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

539a sessione plenaria del CESE, 12.12.2018 – 13.12.2018

2019/C 110/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su I costi della non immigrazione e non integrazione [parere di iniziativa]

1

2019/C 110/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su La bioeconomia inclusiva sostenibile: nuove opportunità per l’economia europea (parere d’iniziativa)

9

2019/C 110/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo suFacilitare l’accesso degli attori non statali ai finanziamenti delle azioni per il clima (parere d’iniziativa)

14

2019/C 110/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo su La situazione delle donne Rom (parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo)

20

2019/C 110/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Parità di genere nei mercati del lavoro europei (parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo)

26

2019/C 110/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Attuazione della normativa ambientale dell’UE nei settori della qualità dell’aria, delle acque e dei rifiuti (parere esplorativo)

33


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

539a sessione plenaria del CESE, 12.12.2018 – 13.12.2018

2019/C 110/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un settore europeo del commercio al dettaglio adeguato al 21o secolo[COM(2018) 219 final/2]

41

2019/C 110/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2017[COM(2018) 482 final]

46

2019/C 110/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2015/1588 del Consiglio, del 13 luglio 2015, sull’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali[COM(2018) 398 final — 2018/0222 (NLE)]

52

2019/C 110/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’azione dell’Unione a seguito della sua adesione all’Atto di Ginevra dell’Accordo di Lisbona sulle denominazioni di origine e le indicazioni geografiche[COM(2018) 365 final — 2018/0189 (COD)]

55

2019/C 110/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), il regolamento (UE) n. 1094/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali), il regolamento (UE) n. 1095/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), il regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital, il regolamento (UE) n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale, il regolamento (UE) n. 600/2014 sui mercati degli strumenti finanziari, il regolamento (UE) 2015/760 relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine, il regolamento (UE) 2016/1011 sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento, il regolamento (UE) 2017/1129 relativo al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato e la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo[COM(2018) 646 final — 2017/0230 (COD)]

58

2019/C 110/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla guardia di frontiera e costiera europea e che abroga l’azione comune n. 98/700/GAI del Consiglio, il regolamento (UE) n. 1052/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio — Contributo della Commissione europea alla riunione dei leader di Salisburgo del 19-20 settembre 2018 — [COM(2018) 631 final — 2018/0330 (COD)]

62

2019/C 110/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla prevenzione della diffusione di contenuti terroristici online — Contributo della Commissione europea alla riunione dei leader, riunitisi a Salisburgo il 19-20 settembre 2018[COM(2018) 640 final — 2018-0331 (COD)]

67

2019/C 110/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE, Euratom) n. 1141/2014 per quanto riguarda la procedura di verifica relativa alle violazioni delle norme sulla protezione dei dati personali nel contesto delle elezioni del Parlamento europeo[COM(2018) 636 final — 2018/0328 (COD)]

72

2019/C 110/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Fondo europeo per la difesa[COM(2018) 476 final]

75

2019/C 110/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG)[COM(2018) 380 final]

82

2019/C 110/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma Europa creativa (2021-2027) e che abroga il regolamento (UE) n. 1295/2013[COM(2018) 366 final]

87

2019/C 110/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua (programma evolutivo)[COM(2018) 337 final]

94

2019/C 110/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che armonizza gli obblighi di comunicazione nella normativa in materia di ambiente e modifica le direttive 86/278/CEE, 2002/49/CE, 2004/35/CE, 2007/2/CE, 2009/147/CE e 2010/63/UE, i regolamenti (CE) n. 166/2006 e (UE) n. 995/2010 e i regolamenti del Consiglio (CE) n. 338/97 e (CE) n. 2173/2005[COM(2018) 381 final — 2018/0205 (COD)]

99

2019/C 110/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e che abroga il regolamento (UE) n. 508/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio[COM(2018) 390 final — 2018/0210 (COD)]

104

2019/C 110/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un’Europa che protegge: aria pulita per tutti[COM(2018) 330 final]

112

2019/C 110/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (CE) n. 1224/2009, (CE) n. 768/2005, (CE) n. 1967/2006 e (CE) n. 1005/2008 del Consiglio e il regolamento (UE) 2016/1139 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i controlli nel settore della pesca[COM(2018) 368 final — 2018/0193 (COD)]

118

2019/C 110/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare e che abroga la direttiva 2005/45/CE[COM(2018) 315 final — 2018/0162 (COD)]

125

2019/C 110/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il programma di ricerca e formazione della Comunità europea dell’energia atomica (2021-2025) che integra Orizzonte Europa — il programma quadro di ricerca e innovazione[COM(2018) 437 final — 2018/0226 (NLE)]

132

2019/C 110/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di decisione del Consiglio che modifica la decisione 2007/198/Euratom che istituisce l’Impresa comune europea per ITER e lo sviluppo dell’energia da fusione e le conferisce dei vantaggi[COM(2018) 445 final — 2018/0235 (NLE)]

136

2019/C 110/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il programma di assistenza alla disattivazione nucleare della centrale nucleare di Ignalina in Lituania (programma Ignalina), e che abroga il regolamento (UE) n. 1369/2013 del Consiglio[COM(2018) 466 final — 2018/0251 (NLE)] e sulla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un programma di finanziamento specifico per la disattivazione degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi, e che abroga il regolamento (Euratom) n. 1368/2013 del Consiglio[COM(2018) 467 final — 2018/0252 (NLE)] e sulla «Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla valutazione e sull’attuazione dei programmi UE di assistenza alla disattivazione nucleare in Bulgaria, Slovacchia e Lituania [COM(2018) 468 final]

141

2019/C 110/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Raccomandazione di decisione del Consiglio che autorizza l’avvio di negoziati per una convenzione che istituisce un tribunale multilaterale per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti[COM(2017) 493 final]

145

2019/C 110/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento di assistenza preadesione (IPA III)[COM(2018) 465 final — 2018/0247 (COD)]

156

2019/C 110/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale e strumento per la cooperazione in materia di sicurezza nucleare[COM(2018) 460 final]

163


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

539a sessione plenaria del CESE, 12.12.2018 – 13.12.2018

22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «I costi della non immigrazione e non integrazione»

[parere di iniziativa]

(2019/C 110/01)

Relatore:

Pavel TRANTINA

Correlatore:

José Antonio MORENO DÍAZ

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.2.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere di iniziativa

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

7.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

149/09/13

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che l’immigrazione influisca positivamente sulla crescita della popolazione e della forza lavoro. Se la crescita della popolazione naturale diviene negativa, l’immigrazione può contribuire a mantenere costanti la popolazione e la forza lavoro totale. Certamente l’immigrazione non costituisce la soluzione definitiva per affrontare le conseguenze dell’invecchiamento demografico in Europa, ma potrebbe costituire un rimedio alle carenze di manodopera e competenze che non sono correlate ai processi demografici.

1.2.

Uno scenario senza immigrazione in Europa significherebbe che:

le economie degli Stati membri soffrirebbero in modo sostanziale: i mercati del lavoro verrebbero sottoposti a tensioni forse inconciliabili, interi settori fallirebbero, la produzione agricola calerebbe bruscamente, l’edilizia non sarebbe in grado di tenere il passo della domanda;

i problemi demografici si aggraverebbero: i sistemi pensionistici potrebbero diventare insostenibili, il settore sanitario e dell’assistenza potrebbe crollare, alcune zone si spopolerebbero rapidamente; la stessa coesione sociale, in effetti, verrebbe minata;

un divieto totale alla migrazione legale darebbe luogo di per sé a un’impennata dei tentativi di migrazione irregolare; a sua volta, ciò porterebbe a un eccesso delle misure di sicurezza, di repressione e di polizia, con costi enormi; ne risulterebbero incoraggiati i mercati del lavoro nero, lo sfruttamento e la schiavitù moderna, nonché tentativi disperati di ricongiungimento familiare;

si diffonderebbero ancora di più il razzismo e la xenofobia: le persone provenienti da un contesto migratorio già presenti nell’UE, comprese quelle di seconda o terza generazione, potrebbero diventare oggetto di diffidenza e ostilità da parte di molti cittadini.

1.3.

È invece possibile individuare le seguenti potenzialità offerte dalla migrazione ai paesi di accoglienza: si possono occupare i posti di lavoro vacanti, si può ovviare alla mancanza di personale qualificato, si può sostenere la crescita economica e si può preservare l’erogazione di servizi indirizzati a una popolazione che invecchia, laddove vi è un numero insufficiente di giovani a livello locale. Il divario pensionistico può essere colmato grazie ai contributi dei nuovi giovani lavoratori migranti. Gli immigrati apportano energia e innovazione. I paesi di accoglienza vengono arricchiti grazie alla diversità culturale ed etnica. Le aree colpite dallo spopolamento possono essere rinvigorite e, tra le altre cose, le scuole possono essere trasformate. I paesi d’origine beneficiano delle rimesse (pagamenti inviati dai migranti alle loro famiglie), che adesso sono spesso superiori agli aiuti esteri. I migranti che rientrano nei loro paesi apportano a questi ultimi risparmi, competenze e contatti internazionali.

1.4.

Realizzare appieno il potenziale della migrazione richiede un approccio che, tra l’altro, faccia un migliore utilizzo delle competenze della popolazione migrante. Il CESE è convinto che un tale approccio debba essere sostenuto da politiche e meccanismi di convalida delle competenze adeguati e invita l’Unione europea (UE) e gli Stati membri a promuoverne il rapido sviluppo. Un’attuazione adeguata dei partenariati sulle competenze con i paesi terzi apporterebbe inoltre un vantaggio reciproco sia all’UE che ai paesi di provenienza dei migranti.

1.5.

L’UE dovrebbe adottare politiche e misure tese a favorire una migrazione sicura, ordinata e regolare, nonché a rafforzare l’inclusione e la coesione sociale.

1.6.

La non integrazione comporta rischi economici, socioculturali e politici, pertanto gli investimenti nell’integrazione dei migranti costituiscono la migliore assicurazione contro potenziali costi, tensioni e problemi in futuro. Le politiche pubbliche dovrebbero affrontare i timori, le preoccupazioni e le inquietudini delle diverse fasce della popolazione nelle società dell’UE al fine di prevenire discorsi anti-UE e xenofobi. A tal fine, le politiche pertinenti dovrebbero includere un insieme chiaro, coerente e motivato di obblighi per i migranti stessi, ma dovrebbero al tempo stesso denunciare con coerenza la retorica e i comportamenti anti-migrazione.

1.7.

Il CESE sottolinea il fatto che la promozione dell’integrazione è determinante per rafforzare i valori e i principi fondamentali dell’UE, di cui la diversità, l’uguaglianza e la non discriminazione sono elementi essenziali. L’integrazione concerne l’intera società, ivi inclusi i migranti che si insediano in un determinato paese di accoglienza, indipendentemente dal loro status e dalla loro origine. Ciononostante, sono necessarie politiche mirate per le persone che presentano vulnerabilità specifiche (quali i rifugiati) e un sostegno mirato e specifico su base locale, anziché un approccio di carattere universale, può produrre i risultati migliori. È pertanto indispensabile che gli Stati membri dell’UE apprendano gli uni dagli altri e si adoperino con onestà al fine di stimolare un ambiente in cui sia possibile realizzare l’integrazione dei migranti ed evitare i rischi.

2.   Contesto e obiettivi del parere

2.1.

I recenti flussi migratori, i più consistenti verificatisi in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale, hanno destato la preoccupazione dei cittadini in merito a ulteriori flussi migratori incontrollati e hanno evidenziato l’importanza di adottare un approccio comune nella lotta alla migrazione irregolare e di garantire la capacità di agire dell’UE. Gli Stati membri devono affrontare problemi di gestione, finanziamento e comunicazione in materia di migrazione, nonché i relativi timori dei cittadini. La situazione è stata sfruttata da alcuni politici, tuttavia il CESE è convinto dell’urgente necessità di cambiare il discorso sulla migrazione e di tornare a un dibattito razionale basato sui fatti. I rifugiati e i migranti andrebbero visti non come una minaccia, ma come un’opportunità per il modello economico e sociale europeo.

2.2.

Le politiche attuali che attribuiscono al controllo della migrazione la massima priorità in materia di affari esteri pregiudicano la posizione dell’UE nelle relazioni con paesi terzi, rendendola vulnerabile a ricatti ed esposta a una perdita di credibilità sulle questioni concernenti i diritti umani. Il CESE è convinto che l’UE e gli Stati membri debbano andare oltre l’attuale modello e garantire la promozione di modalità regolari di ingresso che facilitino la migrazione ordinata e un’inclusione riuscita. Le rotte sicure e legali possono alleviare la pressione esercitata sul sistema di asilo dell’UE.

2.3.

Nel contempo, fintantoché i mercati dell’UE alimenteranno la richiesta di manodopera, vi sarà migrazione, regolare o di altro tipo. In alcuni settori, almeno, la domanda è destinata a crescere (assistenza, lavoro domestico, servizi sociali, edilizia, ecc.) (1).

2.4.

In occasione dell’edizione 2017 delle Giornate della società civile, Federica Mogherini, Alta rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha pronunciato un discorso sul tema «L’Europa globale e il suo ruolo per la pace e la stabilità» (2), in cui ha sostenuto che l’Europa ha bisogno della migrazione per motivi economici e culturali e ha proposto l’elaborazione da parte del CESE di uno studio o di una relazione sui costi della non migrazione, perché (a suo parere) vi sono settori delle economie europee che crollerebbero se tutti i migranti dovessero venire a mancare da un giorno all’altro. La relazione trasmetterebbe il punto di vista degli attori economici e sociali su come sarebbe l’Europa senza migranti. Il presente parere di iniziativa fa seguito alla sua idea.

2.5.

La migrazione presenta molteplici sfaccettature: può essere regolare, irregolare oppure, come si è verificato negli ultimi tre anni, può essere dovuta a motivi umanitari, a seguito del conflitto in Siria e in altre parti del mondo. I flussi migratori sono altresì eterogenei e la migrazione di manodopera può essere stagionale, può includere lavoratori con competenze manuali oppure altamente qualificati. Il presente documento si concentra principalmente sulla migrazione di manodopera (sicura, regolare e appoggiata dall’UE) e sul ricongiungimento familiare che ne deriva, ma si sofferma anche su altre forme di immigrazione nell’UE e sul potenziale contributo dei migranti (temporanei) per motivi umanitari (richiedenti asilo) e di quelli che seguono i canali della migrazione irregolare.

3.   Considerazioni generali

3.1.   La demografia: l’invecchiamento e il calo della popolazione dell’UE

3.1.1

All’inizio del XXI secolo, l’Europa si trova confrontata con l’invecchiamento della popolazione, un numero di abitanti originari stagnante o addirittura in calo, un alto tasso di disoccupazione e, in alcuni dei paesi più importanti, anche con un rallentamento della crescita economica. Nel contempo, l’Europa rimane una delle destinazioni principali della migrazione (3).

3.1.2

I cambiamenti che si verificano nella dimensione della forza lavoro costituiscono una delle maggiori sfide per l’Unione europea. Se, da un lato, l’offerta di manodopera (dimensione della forza lavoro) non si sviluppa in modo indipendente dalla domanda di manodopera, dall’altro, la sua futura evoluzione può essere stimata combinando diversi scenari relativi al tasso di partecipazione al mercato del lavoro con le proiezioni relative alla popolazione, come indicato dagli autori dell’European Demographic Data Sheet 2018 (4). L’attuale forza lavoro nell’Unione europea comprende circa 245 milioni di lavoratori. Per poter stimare l’offerta futura di manodopera fino al 2060, gli autori hanno delineato tre scenari relativi al tasso di partecipazione al mercato del lavoro, che oscillano tra 214, 227 o 245 milioni di lavoratori.

3.1.3

Secondo altre previsioni, come quelle illustrate nella scheda informativa della Commissione europea presentata al vertice sociale di Göteborg nel 2017, si sostiene che nel 2060 per ogni persona anziana vi saranno due persone in età lavorativa. Oggi ve ne sono quattro. Esistono quindi delle criticità in rapporto al mantenimento del modello sociale europeo come lo conosciamo oggi.

3.1.4

D’altro canto, l’immigrazione influisce positivamente sulla crescita della popolazione e della forza lavoro. Se la crescita della popolazione naturale diviene negativa, l’immigrazione può contribuire a mantenere costanti la popolazione e la forza lavoro totale. Essa potrebbe essere anche un rimedio alle carenze di manodopera e competenze che non sono correlate ai processi demografici. Tuttavia, come sostiene l’Istituto di economia internazionale di Amburgo (HWWI) nella sua relazione sui costi e i vantaggi dell’immigrazione europea (5), l’immigrazione non costituisce la soluzione definitiva per affrontare le conseguenze dell’invecchiamento demografico in Europa (in quanto anche i migranti invecchiano).

3.2.   Il potenziale offerto dalla migrazione di manodopera dai paesi terzi

Si possono individuare gli effetti di seguito riportati (6).

3.2.1

Per quanto riguarda i paesi di accoglienza:

si possono occupare i posti di lavoro vacanti e si può ovviare alla mancanza di personale qualificato;

si può sostenere la crescita economica;

si può preservare l’erogazione di servizi indirizzati a una popolazione che invecchia, laddove vi è un numero insufficiente di giovali a livello locale;

il divario pensionistico può essere colmato grazie ai contributi dei nuovi giovani lavoratori migranti, che sono anche soggetti fiscali;

gli immigrati apportano energia e innovazione;

i paesi di accoglienza vengono arricchiti grazie alla diversità cultuale ed etnica;

le aree colpite dallo spopolamento possono essere rinvigorite, ripopolando tra l’altro le scuole che presentano numeri in calo.

3.2.2.

Per quanto riguarda i paesi di provenienza:

i paesi in via di sviluppo beneficiano delle rimesse (pagamenti inviati dai migranti alle loro famiglie), che adesso sono spesso superiori agli aiuti esteri (7), nonché dello scambio culturale;

la disoccupazione viene ridotta e i giovani migranti migliorano le loro prospettive di vita;

i migranti che rientrano nei loro paesi apportano a questi ultimi risparmi, competenze e contatti internazionali.

4.   Costi della non immigrazione

4.1.   Sostenere la crescita economica e rispondere alle esigenze del mercato del lavoro

4.1.1

L’immigrazione proveniente dai paesi terzi ha un impatto diretto e indiretto sulla crescita economica: sembra esserci una chiara correlazione tra la crescita della forza lavoro tramite l’immigrazione e la crescita aggregata del PIL. Negli ultimi anni, ad esempio, la Svezia ha concesso migliaia di permessi di lavoro a sviluppatori nell’ambito delle tecnologie dell’informazione, addetti alla raccolta delle bacche e cuochi. L’immigrazione di manodopera contribuisce in modo significativo all’economia svedese: le imprese che assumono lavoratori immigrati crescono più rapidamente di altre società simili. Ogni anno, i lavoratori immigrati di provenienza non UE/SEE contribuiscono con oltre 1 miliardo di euro al PIL svedese e garantiscono più di 400 milioni di euro di entrate fiscali (8).):

4.1.2

La popolazione migrante ha prodotto un aumento del 70 % della forza lavoro dell’Europa tra il 2004 e il 2014 (9). È difficile specificare l’impatto che una carenza di manodopera di tale portata potrebbe avere sull’economia europea e sui singoli Stati membri. Inoltre, la popolazione nata all’estero si integra solitamente nelle nicchie di mercato (segmentazione) che sono in rapida crescita o in calo, fornendo così maggiore flessibilità per rispondere alle richieste del mercato del lavoro dell’UE.

4.1.3

Analogamente, la popolazione migrante partecipa al contesto occupazionale di ciascun paese, contribuendo al consumo e alla creazione di nuovi posti di lavoro. I migranti che avviano un’attività imprenditoriale contribuiscono infatti alla crescita economica e all’occupazione, spesso recuperando attività artigianali e commerciali cadute in disuso, e partecipano in misura crescente all’erogazione di beni e servizi che presentano un valore aggiunto (10). Se si vuole potenziare la «creatività e capacità innovativa» dei migranti imprenditori, il CESE raccomanda di adottare misure specifiche a livello dell’UE, degli Stati membri e delle comunità locali. Si eliminerebbe così la discriminazione, creando condizioni di parità che consentano a tutti di contribuire a una crescita inclusiva e alla creazione di posti di lavoro di qualità (11).

4.1.4

Il CESE ritiene inoltre che, data la loro particolare propensione ad operare nel settore delle cure alla persona e nelle attività dell’economia collaborativa e dell’economia circolare, le imprese dell’economia sociale possano favorire e sostenere, oltre che nuova occupazione, anche l’imprenditorialità e l’accesso alle attività economiche di migranti al di fuori dell’UE (12).

4.1.5

Misurare l’impatto dell’immigrazione sulle finanze pubbliche è una questione complessa. L’OCSE, tuttavia, sostiene (13) che nel complesso i migranti hanno avuto un impatto neutro in termini di bilancio negli ultimi cinquanta anni, il che significa che i costi che possono aver generato sono stati compensati dalle entrate ottenute con le imposte e i prelievi riscossi.

4.1.6

Uno studio di ricerca condotto da Oxford Economics (14) ha evidenziato che i lavoratori migranti hanno contribuito a mantenere un’offerta di manodopera adeguata per alimentare il boom economico degli anni 2004-2008. La disponibilità di manodopera migrante sembra aver apportato un contributo determinante alla sopravvivenza di alcune imprese oppure alla mancata necessità di determinate aziende di delocalizzare la produzione all’estero (gli autori citano un sondaggio a cui hanno partecipato 600 imprese, di cui il 31 % ha affermato che i migranti erano stati importanti per la sopravvivenza dell’azienda, una cifra che è salita al 50 % nei settori della salute, dell’assistenza sociale e dell’agricoltura).

4.1.7

È chiaro che l’immigrazione può essere economicamente vantaggiosa sia per i paesi di origine che per i paesi di accoglienza. Tuttavia, in considerazione delle attuali strutture economiche e commerciali, sono i paesi ricchi e potenti che ne beneficiano maggiormente. La migrazione presenta anche il potenziale di unire le persone sul piano culturale e di promuovere la comprensione, ma si verificano attriti se non vengono profusi sforzi per prevenire le incomprensioni e sfatare i pregiudizi e i luoghi comuni infondati diffusi non solo presso la popolazione locale, ma anche nelle comunità di migranti.

4.2   Ovviare alla carenza di competenze

4.2.1

In generale, l’economia europea perde ogni anno oltre il 5 % di produttività a causa di uno squilibrio tra le competenze dei lavoratori e le esigenze del mercato del lavoro, come dimostra uno studio condotto dall’Istituto per l’economia di mercato (Institute for Market Economics, IME) (15), commissionato dal CESE e pubblicato il 24 luglio 2018. In tale studio si afferma che ciò equivale a una perdita di 80 centesimi di euro per ogni ora lavorata. Le professioni che registrano i peggiori risultati sono quelle legate al comparto dell’informatica e delle comunicazioni, i medici e, più in generale, i settori della scienza, della tecnologia e dell’ingegneria. Tale fenomeno colpisce anche insegnanti, infermieri e ostetriche. Gli autori evidenziano che questa tendenza è in fase di peggioramento per via del calo demografico e degli sviluppi che si verificano nell’ambito tecnologico. Questa carenza di competenze potrebbe essere affrontata, in parte, grazie alla migrazione di manodopera.

4.2.2

Realizzare appieno il potenziale della migrazione in tale settore richiede tuttavia un approccio che, tra l’altro, faccia un utilizzo migliore delle competenze e qualifiche della popolazione migrante. Gli immigrati sono spesso sovraqualificati per i posti che si vedono offrire (16).

4.2.3

Questa lacuna in termini di qualifiche può essere parzialmente colmata solo se le competenze e qualifiche degli immigrati vengono convalidate. I meccanismi di convalida dell’UE, tuttavia, sono ancora in fase di sviluppo e dipendono dagli Stati membri. Lo strumento europeo di determinazione delle competenze non è sufficientemente utilizzato dagli Stati membri e dai soggetti che operano sul campo. Ciononostante, vi sono iniziative non governative, quali le schede delle competenze elaborate dalla fondazione Bertelsmann Stiftung oppure l’autovalutazione professionale online (17).

4.2.4

Un’attuazione adeguata dei partenariati sulle competenze con i paesi terzi apporterebbe un vantaggio reciproco sia all’UE che ai paesi di provenienza dei migranti.

4.3   Sostenere il settore dell’assistenza

4.3.1

Le carenze di manodopera nel settore delle cure sanitarie sono una «bomba a orologeria» pronta a scoppiare. La crisi è in atto (18) e la mancanza di forza lavoro in questo ambito è destinata ad aumentare ancora se non verranno trovate risposte politiche adeguate. Fin dal 1994 la Commissione europea ha definito strategico il settore dell’attività di cura e assistenza, e nel 2010 ha messo sull’avviso che entro il 2020 sarebbero mancati all’appello, per carenza di manodopera, 2 milioni di lavoratori se non si fosse intervenuti quanto prima per porre rimedio alla mancanza di fino a 1 milione di lavoratori nel settore dell’assistenza a lungo termine (19).

4.3.2

La carenza di forza lavoro nel settore dell’assistenza è assai diffusa in molti Stati membri. L’assunzione di lavoratori, sia regolari che sprovvisti di documenti, per la prestazione di cure e assistenza attenua le carenze in questo settore. Sono soprattutto i sistemi di assistenza sanitaria dei paesi dell’Europa meridionale a dipendere in larga misura dal ricorso a lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza. In Italia, per esempio, i migranti che lavorano come prestatori conviventi di cure e assistenza sono circa i tre quarti della forza lavoro occupata nell’assistenza a domicilio (20).

4.3.3

La carenza di forza lavoro nel settore dell’assistenza, come anche l’aumento della domanda di cure nell’Europa occidentale, si avvertono pure nei paesi dell’Europa centrale e orientale. La Polonia, ad esempio, fornisce numerosi prestatori di cure e assistenza, sebbene si sia già pesantemente attinto al serbatoio di manodopera nazionale. Tale carenza viene sopperita dall’arrivo in Polonia di lavoratori dall’Ucraina e da altri paesi non appartenenti all’UE (21).

4.3.4

È inoltre importante ricordare il significativo contributo economico delle donne migranti alle famiglie e comunità attraverso il lavoro retribuito, e la necessità di affrontare le disuguaglianze tra donne e uomini sui mercati del lavoro (22). Le ricerche mostrano che la maggior parte delle lavoratrici migranti è impiegata nel settore dei servizi (ad esempio ristorazione, assistenza domestica e sanitaria). All’origine dello svantaggio cui devono far fronte le donne migranti nel mercato del lavoro dell’UE vi sono probabilmente il lavoro irregolare, la sottoccupazione e il lavoro a tempo determinato, e a questo proposito occorre rafforzare le misure tese a garantire la parità di trattamento e la protezione delle persone vulnerabili.

4.4   Affrontare lo spopolamento delle zone remote e rurali

4.4.1

Le zone rurali, montane e insulari sono colpite dal fenomeno dello spopolamento, creando una spirale economica e sociale negativa che si accentua man mano che un numero maggiore di persone migra verso le città. La perdita demografica comporta una riduzione della quantità di denaro che circola all’interno di una comunità e ciò incide a sua volta sull’efficienza economica delle imprese, degli esercizi commerciali e dei trasporti locali, nonché sulla disponibilità delle infrastrutture e dei servizi essenziali.

4.4.2

In alcune parti dell’UE, ad esempio in Irlanda o nel Brandeburgo, lo spopolamento viene risolto con l’insediamento di migranti. Nel caso dell’agricoltura, ad esempio, il contributo della manodopera migrante nell’Irlanda del Nord è stato determinante per la sopravvivenza di un settore afflitto da gravi problemi in termini di offerta di manodopera e invecchiamento della forza lavoro. La popolazione migrante è disposta ad accettare lavori a condizioni e con salari rifiutati dalla popolazione locale, e vivono in paesi ad alto rischio di spopolamento, anche se il loro potrebbe essere un settore per niente regolamentato in cui vi è il rischio di sfruttamento di manodopera (23).

4.4.3

La politica di sviluppo rurale dell’Unione europea offre opportunità per assistere le comunità rurali locali grazie all’arrivo di migranti. Numerose organizzazioni per lo sviluppo rurale hanno sottolineato il potenziale aiuto che le zone rurali possano offrire ai migranti, il cui arrivo può contribuire a rilanciare le regioni colpite dallo spopolamento e/o dal declino economico. Nel suo studio del 2017 (24), il Parlamento europeo ha sottolineato l’importanza di fornire sostegno per l’inclusione sociale e l’integrazione dei migranti nel mercato del lavoro.

4.5   Affrontare la diversità culturale

4.5.1

La mancanza di popolazione migrante nuocerebbe alla diversità nei paesi dell’UE, con la conseguenza di alimentare una retorica xenofoba e caratterizzata da autocompiacimento, che è in contrasto con i principi guida dell’UE. Inoltre, verrebbe meno un contributo a favore della diffusione di valori quali la parità di trattamento e la non discriminazione, laddove la visibilità della popolazione proveniente da un contesto migratorio ha aiutato a conseguire progressi negli ultimi anni.

4.6

Per tutti i suddetti motivi, la non immigrazione nell’UE deve essere rigettata in quanto costituisce uno scenario irrealistico, inattuabile ed estremamente nocivo.

5.   Costi della non integrazione (e come evitarli)

5.1

Al fine di realizzare appieno il potenziale della migrazione verso l’Europa, come indicato in precedenza, e minimizzare al contempo i rischi correlati e persistenti e i costi socioeconomici che si possono evitare, è essenziale che siano in atto condizioni volte a garantire la riuscita integrazione dei migranti.

5.2

I punti principali per capire in che modo l’UE intende questo concetto sono riportati nei principi fondamentali comuni per la politica d’integrazione degli immigrati nell’UE adottati dal Consiglio nel 2004 (25), in cui l’integrazione è definita come «un processo dinamico e bilaterale di adeguamento reciproco da parte di tutti gli immigrati e di tutti i residenti degli Stati membri». Tale definizione contrasta con un’errata concezione di integrazione, ampiamente diffusa, intesa come assimilazione, vale a dire un processo unilaterale in cui gli individui abbandonano le proprie specificità nazionali e culturali, acquisendo in cambio quelle del nuovo paese di residenza (26). Tuttavia, come ribadito nel Piano d’azione dell’UE sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi (2016), un elemento essenziale della vita e della partecipazione all’UE è costituito dalla comprensione dei suoi valori fondamentali e dall’adesione agli stessi (27).

5.3

Si dovrebbe sottolineare che l’integrazione concerne tutti i migranti che si insediano in un paese di accoglienza, indipendentemente dal loro status e dalla loro origine. Ciononostante, sono necessarie politiche mirate per le persone che presentano vulnerabilità specifiche (quali i rifugiati) e un approccio su base locale, anziché uno di carattere universale, può produrre i risultati migliori.

5.4

L’occupazione costituisce una parte fondamentale del processo di integrazione, ragion per cui gli Stati membri e le parti sociali considerano l’inclusione dei migranti sul mercato del lavoro come una priorità e, di fatto, è proprio la domanda di lavoratori migranti a essere tuttora uno dei fattori determinanti dell’immigrazione.

5.5

Tra le altre variabili fondamentali che determinano l’integrazione dei migranti da parte del paese di accoglienza figurano le seguenti: certezza e prevedibilità dello status migratorio, possibilità e ostacoli per l’ottenimento della cittadinanza, opportunità di ricongiungimento familiare, disponibilità di corsi di lingua, requisiti in termini di conoscenze linguistiche e culturali, diritti politici e l’apertura generale di una determinata società e la sua disponibilità ad accogliere e assistere i nuovi arrivati e ad interagire con loro e viceversa.

5.6

Inoltre, l’integrazione dei migranti è strettamente correlata a una lunga serie di politiche relative alla protezione sul posto di lavoro, all’alloggio, all’assistenza sanitaria, all’istruzione, ai diritti delle donne, all’uguaglianza e alla non discriminazione — per citarne solo alcune.

5.7

Al fine di quantificare le politiche in atto, è stato elaborato l’indice delle politiche per l’integrazione dei migranti (Migrant Integration Policy Index, MIPEX) che fornisce dati comparabili sugli Stati membri dell’UE e su diversi altri paesi (28). Dai risultati emergono le divergenze che esistono tra gli Stati membri, ivi incluso il divario persistente tra est e ovest.

5.8

Secondo la logica dello scenario della «non integrazione dei migranti», si possono individuare i rischi e/o i costi di seguito indicati.

5.8.1   Sul piano economico:

esclusione dei migranti dalla manodopera regolarmente retribuita (e ampia diffusione del lavoro sommerso);

aumento dei costi relativi alla gestione delle problematiche sociali dopo il loro verificarsi, anziché procedere alla loro prevenzione;

incapacità dei migranti di realizzare appieno il loro potenziale (spesso trasmesso alle successive generazioni).

5.8.2   Sul piano socioculturale:

mancata identificazione con i valori e le norme del paese di accoglienza, e loro rifiuto;

inasprimento delle differenze socioculturali tra le comunità dei migranti e quelle ospitanti;

discriminazione strutturale dei migranti, ivi inclusa la mancanza di un accesso adeguato ai servizi;

aumento della xenofobia e della sfiducia reciproca;

moltiplicazione delle barriere linguistiche;

segregazione territoriale che porta alla ghettizzazione;

crollo della coesione sociale generale.

5.8.3   Sul piano della sicurezza:

aumento dell’incitamento all’odio e dei reati correlati;

indebolimento della legalità e possibile aumento dei tassi di criminalità, in particolare nelle aree socialmente escluse;

potenziale radicalizzazione e maggiore sostegno alle ideologie estreme (da parte sia delle comunità di migranti che della società ospitante).

5.9

Tenuto conto degli aspetti summenzionati, l’investimento nell’integrazione dei migranti costituisce la migliore assicurazione contro potenziali costi, tensioni e problemi in futuro.

5.10

Le politiche pertinenti dovrebbero includere un insieme chiaro, coerente e motivato di obblighi per i migranti stessi, ma dovrebbero al tempo stesso denunciare con coerenza la retorica e i comportamenti anti-migrazione.

5.11

È pertanto indispensabile che gli Stati membri dell’UE apprendano gli uni dagli altri e si adoperino con onestà al fine di stimolare un ambiente in cui sia possibile realizzare l’integrazione dei migranti ed evitare i rischi summenzionati.

5.12

Si dovrebbe affermare piuttosto apertamente che gli sforzi compiuti dai governi volti a criminalizzare o emarginare in altro modo i migranti, l’incitamento del nazionalismo etnico e i tagli apportati ai finanziamenti destinati alle misure per l’integrazione (ivi inclusa la non distribuzione di fondi resi disponibili dall’UE), come si è potuto osservare di recente in alcuni Stati membri, sono del tutto contrari agli obiettivi di cui sopra e possono causare danni irreparabili nel lungo termine.

5.13

Come ultimo punto, ma non meno importante, la promozione dell’integrazione è determinante per rafforzare i valori e i principi fondamentali dell’UE, di cui la diversità, l’uguaglianza e la non discriminazione sono elementi essenziali.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Ad esempio, tra i 4,3 milioni di persone immigrate nell’UE nel 2016, vi erano circa 2 milioni di cittadini di paesi terzi, 1,3 milioni di persone con la cittadinanza di uno Stato membro dell’UE diverso da quello in cui sono migrati, circa 929 000 cittadini emigrati verso uno Stato membro dell’UE del quale avevano la cittadinanza (per esempio cittadini che rimpatriano o cittadini nati all’estero) e circa 16 000 apolidi.

(2)  Discorso di apertura di Federica Mogherini in occasione delle Giornate della società civile 2017.

(3)  Migration data portal (Portale di dati sulla migrazione).

(4)  European Demographic Data Sheet 2018 (Scheda dei dati demografici europei 2018).

(5)  The costs and benefits of European immigration («I costi e i benefici dell’immigrazione europea»), Econstor.

(6)  Sulla base e tenendo conto delle conclusioni di The pros and cons of Migration («I pro e i contro della migrazione»), Embrace.

(7)  Perspectives on Global Development («Prospettive di sviluppo globale» 2017, OCSE.

(8)  DAMVAD Analytics (2016): Labour immigration contributes to Swedish economic development («L’immigrazione di manodopera contribuisce allo sviluppo economico svedese»).

(9)  OCSE (2014): Is migration good for the economy? («La migrazione è positiva per l’economia?»). Dibattiti sulla politica migratoria.

(10)  Rath, J., Eurofound (2011), Promoting ethnic entrepreneurship in European cities («Promuovere l’imprenditorialità etnica nelle città europee»), Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo.

(11)  GU C 351 del 15.11.2012, pag. 16-20.

(12)  GU C 283 del 10.8.2018, pag. 1-8.

(13)  International Migration Outlook («Previsioni sulla migrazione internazionale») 2013, OCSE.

(14)  Dipartimento per l’occupazione e l’istruzione, Regno Unito: The Economic, Labour Market and Skills Impacts of Migrant Workers in Northern Ireland («Gli impatti dei lavoratori migranti nell’Irlanda del Nord a livello economico, in termini di mercato del lavoro e sul piano delle competenze»).

(15)  CESE (2018): Skills Mismatches — An Impediment to the Competitiveness of EU Businesses («Squilibrio tra domanda e offerta di competenze — Un ostacolo alla competitività delle imprese dell’UE») (ISBN: 978-92-830-4159-7).

(16)  LABOUR-INT: Integration of migrants and refugees in the labour market through a multi-stakeholder approach («L’integrazione dei migranti e dei rifugiati nel mercato del lavoro attraverso un approccio multilaterale»).

(17)  Meine Berufserfahrung zählt.

(18)  UNI Europa UNICARE (2016).

(19)  Commissione europea (2013).

(20)  Servizio Ricerca del Parlamento europeo (European Parliamentary Research Service — EPRS) (2016).

(21)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 7-13.

(22)  Relazione Migrant women in the EU labour force. Summary of findings («Le donne migranti nel contesto della manodopera europea. Sintesi dei risultati»), Commissione europea.

(23)  Nori, M. (2017), The shades of green: migrants’ contribution to EU agriculture: context, trends, opportunities, challenges («Le sfumature di verde — Il contributo dei migranti all’agricoltura dell’UE: contesto, tendenze, opportunità e sfide»).

(24)  EU rural development policy and the integration of migrants («La politica di sviluppo rurale dell’UE e l’integrazione dei migranti»), Parlamento europeo.

(25)  Principi fondamentali comuni per la politica d’integrazione degli immigrati nell’UE.

(26)  Per ulteriori informazioni sulla differenza concettuale, cfr. ad esempio Assimilazione contro integrazione, Centro per gli studi islamici nel Regno Unito; RE teachers Resource Area.

(27)  Piano d’azione sull’integrazione dei cittadini di paesi terzi.

(28)  Migrant Integration Policy Index 2015: How countries are promoting integration of immigrants (Indice delle politiche per l’integrazione dei migranti 2015: in che modo i paesi promuovono l’integrazione degli immigrati).


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «La bioeconomia inclusiva sostenibile: nuove opportunità per l’economia europea»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 110/02)

Relatore:

Mindaugas MACIULEVIČIUS

Correlatrice:

Estelle BRENTNALL

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.2.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

 

 

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

25.9.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

205/3/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Introdurre una politica (e un quadro di incentivi) a lungo termine, coerenti e trasparenti per promuovere la bioeconomia. Per affrontare le molte sfide trasversali che oggi si profilano per la società, è necessario un impegno politico di alto livello; e la politica dell’UE in materia di ambiente potrebbe essere più favorevole ai bioprodotti innovativi e alle materie prime prodotte nell’UE in maniera sostenibile. Incentivi finanziari o fiscali potrebbero contribuire a stimolare gli investimenti necessari, considerato che questi ambiti sono di competenza degli Stati membri e delle regioni piuttosto che dell’UE. Le organizzazioni di cluster di piccole e medie imprese e i produttori primari di biomassa sostenibile svolgono un ruolo essenziale nello sviluppo dei rapporti tra gli attori della catena di approvvigionamento. Un’operazione di mappatura costantemente aggiornata (1), abbinata alla misurazione degli effetti della bioeconomia, potrebbe individuare i cluster attivi in questo settore; e, laddove questi risultino assenti o insufficienti, bisognerebbe intervenire per facilitare lo sviluppo di nuovi cluster a livello europeo, regionale e nazionale.

1.2.

Gli agricoltori, i silvicoltori e le loro cooperative svolgono un ruolo cruciale nel garantire un uso efficiente delle risorse naturali e contribuire a una bioeconomia circolare. Un robusto quadro finanziario pluriennale, una forte politica agricola comune e una solida strategia forestale europea sono i presupposti necessari per sostenere i servizi di consulenza, la formazione e lo scambio di conoscenze in modo da rispondere meglio alle esigenze degli agricoltori e delle cooperative agricole. È necessario promuovere esempi concreti per far conoscere e dimostrare i benefici della bioeconomia per l’intera catena del valore, incoraggiando così i giovani agricoltori e i nuovi imprenditori ad avviare nuove imprese in questo settore. E occorrerebbe promuovere le organizzazioni e le cooperative di produttori anche in quanto strumenti importanti per accrescere la mobilitazione e il valore aggiunto della biomassa esistente nell’UE. Sostenere il settore agricolo e forestale dell’UE è pertanto di cruciale importanza affinché si continui a investire e innovare nella produzione sostenibile di biomassa.

1.3.

Sostenere la creazione di mercati e aiutare i consumatori e il pubblico a compiere scelte informate riguardo ai prodotti e ai settori che essi sostengono con gli acquisti di ogni giorno. Per rimediare alla mancanza di consapevolezza dei consumatori e diffondere messaggi coerenti e accurati riguardo ai bioprodotti, l’Unione europea deve elaborare una strategia di comunicazione che coinvolga tutti i partner della catena di valore e tutte le altre parti interessate. Un primo passo importante è stato l’introduzione, a livello dell’UE, di standard chiari per i prodotti biologici — un passo che può spianare la strada all’adozione di misure volte a creare dei mercati per stimolare ulteriormente l’assorbimento, da parte sia dei consumatori che dei committenti pubblici, dei bioprodotti realizzati nell’UE.

1.4.

Offrire un ritorno finanziario sostenibile sugli investimenti tramite uno «sportello unico» per i finanziamenti. Una regolamentazione intelligente e un’attuazione multilivello coerente in tutta l’UE dovrebbero essere delle priorità al fine di rimuovere gli ostacoli e ridurre gli oneri amministrativi garantendo nel contempo la sostenibilità. Per esempio, uno strumento online potrebbe aiutare le imprese a individuare i finanziamenti disponibili, consentendo loro di sapere agevolmente se soddisfano i criteri di ammissibilità ai singoli meccanismi. Inoltre, un sistema di questo tipo garantirebbe i collegamenti e le risorse necessari per accedere (ossia presentare richiesta) direttamente al meccanismo di finanziamento, e potrebbe fungere da luogo virtuale di incontro dove reperire informazioni sui finanziamenti, mettendo in contatto i richiedenti con i potenziali finanziatori (ad esempio come su un sito di crowdfunding). Inoltre, la prosecuzione dell’impresa comune Bioindustrie (ICB 2.0) anche dopo il quadro finanziario pluriennale in corso è di cruciale importanza per promuovere le nuove e le attuali catene di valore dei bioprodotti ed accrescere la competitività degli impianti di produzione esistenti, nonché per contribuire allo sviluppo rurale, creando posti di lavoro e favorendo la nascita e l’espansione delle imprese.

1.5.

La politica di sviluppo regionale dell’UE per il dopo 2020 dovrebbe fornire risorse sufficienti per l’ulteriore sviluppo delle zone rurali. Qui l’attenzione dovrebbe essere rivolta principalmente a sostenere gli investimenti nelle infrastrutture e nei servizi necessari per una bioeconomia rurale efficiente e sostenibile.

1.6.

Capitalizzare le opportunità offerte dalla scienza e aiutare la diffusione delle innovazioni grazie a un quadro giuridico flessibile, proporzionato e robusto. Nel campo della bioeconomia, la ricerca è di cruciale importanza per creare le condizioni per l’innovazione, consolidarla e valutarla. Lo sfruttamento commerciale delle innovazioni, peraltro, dipende non solo dall’eccellenza della ricerca ma anche dall’esistenza di un quadro strategico, giuridico e sociale atto a garantire il rapido trasferimento di conoscenze all’industria. I soggetti all’avanguardia in questo campo dovrebbero ottenere lo spazio e il sostegno necessari per innovare e avanzare più celermente, entro i limiti fissati dal quadro normativo. Nelle situazioni in cui la regolamentazione potrebbe sostenere meglio lo sviluppo della bioeconomia in generale e in cui sono necessarie soluzioni creative, occorrerebbe concordare con le parti interessate dei patti per l’innovazione e dei «patti verdi». Inoltre, l’innovazione svolge un ruolo cruciale anche nel migliorare la sostenibilità della produzione di biomassa dell’UE.

1.7.

Migliorare i programmi di istruzione, formazione e qualificazione per i nuovi talenti e per i dipendenti già in servizio. Liberare il potenziale della bioeconomia potrebbe portare alla creazione di nuovi posti di lavoro. Tuttavia, l’introduzione di nuove tecnologie pone sfide importanti in termini di organizzazione del lavoro e di qualifiche di cui i lavoratori hanno bisogno. Pertanto, è della massima importanza garantire il continuo sviluppo e il costante adeguamento delle competenze delle persone nell’arco di tutta la loro vita. Per ridurre lo squilibrio tra domanda e offerta di competenze rafforzando i legami tra i sistemi d’istruzione e i mercati del lavoro, è fondamentale l’impegno di tutti i soggetti interessati (produttori di biomassa, istituti di istruzione, imprese, sindacati, servizi pubblici per l’impiego e pubbliche amministrazioni) a migliorare la qualità e la reattività dell’offerta di istruzione e formazione professionale. Più in generale, peraltro, le politiche di sviluppo e adeguamento delle competenze dovrebbero formare parte integrante di un più ampio pacchetto di misure che coinvolga le politiche in materia di occupazione, industria, investimenti, innovazione ed ambiente.

1.8.

Studiare le possibilità di uso della biomassa. Un uso più efficiente della biomassa attualmente disponibile deve essere una priorità se si vuole soddisfare la crescente domanda di materie prime. È quindi imperativo accrescere la qualità e la quantità dei suoli produttivi anche per l’agricoltura e incentivare l’uso dei terreni abbandonati, marginali o sottoutilizzati. I produttori di materie prime, principalmente agricoltori e silvicoltori, svolgono un ruolo di vitale importanza per lo sviluppo della bioeconomia. È necessario fare opera di sensibilizzazione riguardo alle possibili opportunità offerte (utilizzando colture diverse) e sviluppare infrastrutture per la raccolta, il deposito e il trasporto della biomassa. Un contributo cruciale possono darlo anche misure volte a rendere meno complessi i regimi di informazione sulla sostenibilità e ad aumentare la capacità di produrre e trasformare biomassa in maniera versatile. E opportunità per la bioeconomia e la bioenergia sono offerte dai rifiuti e dai residui, in quanto fonti alternative di biomassa, e dalla gestione sostenibile delle foreste europee. È necessario condurre una valutazione dei flussi di rifiuti sostenibili nonché effettuare ulteriori investimenti nella mobilitazione del legno e dei residui. Inoltre, è necessario sviluppare tecnologie che consentano di far fronte alla variabilità intrinseca di tali prodotti. Per consentire l’impiego dei rifiuti nei bioprodotti, in certi casi potrebbe essere necessario adattare determinate politiche nazionali.

2.   Osservazioni generali

2.1.

La bioeconomia comprende la produzione di risorse biologiche rinnovabili e la loro trasformazione in alimenti, mangimi, bioprodotti e bioenergie. In quanto tale, essa riguarda i settori agricolo, silvicolo, alieutico, alimentare e cartario (produzione di pasta di cellulosa e carta), nonché comparti delle industrie chimica, biotecnologica ed energetica. Ai fini del presente parere, peraltro, non sono specificamente considerate la ricerca sui genomi e sui processi cellulari e la bioinformatica. La strategia dell’UE per la bioeconomia 2012 si prefiggeva di «[…] preparare il terreno per una società più innovatrice, più efficiente sotto il profilo delle risorse e più competitiva, in grado di riconciliare la sicurezza alimentare con lo sfruttamento sostenibile delle risorse rinnovabili a fini industriali, garantendo al contempo la protezione dell’ambiente». Nel 2017 la Commissione ha effettuato un riesame della suddetta strategia, concludendo che questa ha dimostrato di perseguire obiettivi rilevanti e che l’importanza delle opportunità offerte dalla bioeconomia è sempre più riconosciuta sia in Europa che al di fuori di essa.

2.2.

Nondimeno, benché gli obiettivi della strategia dell’UE per la bioeconomia 2012 continuino ad essere importanti per rispondere alle sfide in materia di sicurezza alimentare e nutrizionale e sebbene il piano d’azione che l’accompagna abbia conseguito gli obiettivi stabiliti, alla luce dei successivi sviluppi politici — come gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (OSS) e gli impegni assunti nella convenzione sui cambiamenti climatici (COP 21) — si reputa ormai necessario riorientare le azioni e valutare l’ambito di applicazione della strategia. La popolazione mondiale è destinata a crescere fino a circa 10 miliardi di persone entro il 2050; e, per poter fornire a un maggior numero di persone cibo sicuro, nutriente, di elevata qualità e a prezzi abbordabili con un minor impatto ambientale e climatico per unità prodotta e poter disporre di materiale biologico rinnovabile sufficiente per produrre una quota considerevole di quanto oggi ricavato dai combustibili fossili, in combinazione con il vento, il sole e altre fonti di energia rinnovabili, è necessario che le risorse biologiche siano utilizzate in maniera più efficiente.

2.3.

In quest’ottica, la bioeconomia sostenibile è trasversale rispetto ai diversi settori ed è al centro delle strategie economiche sostenibili di tutto il mondo. La bioeconomia può svolgere un ruolo cruciale per la competitività europea; adesso è importante individuare e sfruttare le opportunità che essa offre, a livello sia unionale che nazionale e regionale. Nell’esperienza di alcuni paesi terzi, lo sviluppo guidato «dall’alto» della bioeconomia ha ottenuto risultati importanti: negli Stati Uniti, ad esempio, tale settore genera circa 400 miliardi di USD e dà lavoro (direttamente, indirettamente e tramite l’indotto) ad oltre quattro milioni di persone (2).

2.4.

La bioeconomia consente una serie di opzioni che possono contribuire a ridurre sia le emissioni di CO2 che la dipendenza dalle importazioni di risorse fossili. Ad esempio, le foreste dell’UE sequestrano una quantità di carbonio corrispondente al 10 % delle emissioni annuali dell’Unione europea, garantendo nel contempo un approvvigionamento costante e sostenibile di biomassa per la produzione di energia rinnovabile. Inoltre, si stima che 100 000 sostanze chimiche attualmente in produzione possano, in linea teorica, essere ottenute da materie prime rinnovabili — il che non significa che tutte queste sostanze debbano essere ottenute in questo modo, ma vuol dire che in linea teorica esse potrebbero esserlo. Ciò non solo offrirà la possibilità di produrre beni di uso comune quotidiano a livello locale e da materie prime rinnovabili, ma contribuirà anche a creare posti di lavoro e generare crescita in Europa, dove il vantaggio tecnologico rimane consistente.

2.5.

Tuttavia, sulla strada che conduce a una maggiore innovazione nel settore della bioeconomia dell’UE permangono ostacoli di rilievo. Un importante ostacolo riguarda la competitività dei bioprodotti in termini di costi, sia rispetto alle alternative fossili che ai prodotti equivalenti provenienti da altre parti del mondo. La competitività dei costi è influenzata da molti fattori, tra i quali il livello di maturità tecnologica, il costo del lavoro, le sovvenzioni ai combustibili fossili e l’ammortamento degli investimenti, nonché il livello (attualmente basso) del sostegno al mercato per i bioprodotti. A questo problema di competitività si sommano le difficoltà nell’accesso ai finanziamenti per i progetti e gli impianti di produzione innovativi, nonché, in molti casi, la scarsa consapevolezza degli utenti finali riguardo ai bioprodotti e una mancanza di competenze e rapporti operativi per trainare la crescita del settore. Inoltre, le procedure di autorizzazione per nuovi progetti nel campo della bioeconomia sono sempre più lunghe e complesse, con le notevoli incertezze giuridiche e i gravi rischi finanziari che ciò comporta per gli operatori economici.

3.   Osservazioni specifiche

3.1.

Si stima che nell’UE i settori della bioeconomia abbiano un fatturato annuale pari a circa 2 miliardi di EUR ed occupino circa 19,5 milioni di persone (3), situate per la maggior parte in territori rurali e costieri, le quali rappresentano circa l’8,5 % della forza lavoro dell’UE-28. In tutta l’UE l’agricoltura, il settore forestale e le comunità rurali dovrebbero trarre benefici dallo sviluppo della bioeconomia, in termini sia di occupazione che di produzione di reddito. La produzione di biomassa e di bioprodotti offre nuove opportunità imprenditoriali, nella forma di attività di coltivazione e commercializzazione di diverse colture. Insieme con colture tradizionali come i cereali, i semi oleosi, le patate e le barbabietole da zucchero, nuove colture come quelle forestali, i foraggi, le alghe e le microalghe sono considerate potenziali fonti di reddito futuro nelle zone rurali e costiere.

3.2.

Le bioraffinerie esistenti forniscono già adesso mezzi di sussistenza alle famiglie e alle comunità rurali, permettendone l’emancipazione economica. Tali stabilimenti, che impiegano come materie prime risorse rinnovabili (cioè biomassa, sotto-ecoprodotti, rifiuti) anziché fossili, sono al centro della bioeconomia: ubicati in zone rurali e costiere, in prossimità delle materie prime rinnovabili che in essi vengono trasformate, si situano al centro della produzione di alimenti e mangimi così come di quella industriale, di legname e di energia.

3.3.

Le bioraffinerie sfruttano ogni componente delle risorse che trasformano, producendo una quantità minima di rifiuti. Grazie a tecnologie efficienti e/o innovative, le bioraffinerie dell’UE realizzano un’ampia gamma di prodotti, quali alimenti, mangimi, prodotti chimici, fibre e combustibili, che combinano una serie di caratteristiche: sono infatti rinnovabili, riutilizzabili, riciclabili, compostabili o biodegradabili. La versatilità dei bioprodotti e dei relativi ingredienti è tale che essi possono essere impiegati in un’ampia gamma di applicazioni (ad esempio mangimi per acquacoltura, materiali da costruzione, cosmetici, cartone, detersivi, combustibili, lubrificanti, vernici, carta, prodotti farmaceutici, materie plastiche e altri prodotti industriali) sostituendo così ingredienti di origine fossile con ingredienti rinnovabili.

3.4.

Costruire nuove bioraffinerie e sviluppare e ampliare quelle esistenti significa investire in un impianto unico nel suo genere. Le bioraffinerie sono impianti ad alta intensità di capitale, con lunghi tempi di ammortamento ed esposti a rischi tecnologici e di mercato. Pertanto, per promuovere tali investimenti in Europa, è importante disporre di un quadro normativo e finanziario chiaro, stabile e incentivante. Oggi sono già disponibili numerosi strumenti di vario tipo, quali Orizzonte 2020 (cui dovrebbe subentrare un nuovo, ambizioso programma di ricerca e innovazione, «Orizzonte Europa», per il quale è stato proposto un regolamento da accogliere con favore) e l’impresa comune Bioindustrie, i fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE), il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), InnovFin e il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), e (ultimi ma non perciò meno importanti) i prestiti e le garanzie erogati dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). Tuttavia, accedere a questi strumenti può risultare difficile. Per affrontare queste difficoltà, occorrerebbe uno sportello unico che consenta alle imprese di accedere a informazioni approfondite «ritagliate su misura» per le loro esigenze.

3.5.

In tale contesto, è necessario e urgente coinvolgere la società civile, insieme con gli agricoltori, i silvicoltori e le industrie, per stimolare il dibattito sui modi di plasmare una bioeconomia più competitiva per l’Europa, a beneficio di tutti. Contribuire a far conoscere i benefici della bioeconomia è di cruciale importanza per realizzare questo cambiamento di paradigma verso un’economia basata su risorse rinnovabili a basso tenore di carbonio. In tal senso, sistemi di certificazione ed etichettatura credibili potrebbero essere strumenti importanti per garantire che la bioeconomia sia un settore sostenibile e affidabile e suscitare la fiducia dei clienti industriali, dei committenti pubblici e dei consumatori.

3.6.

L’UE, gli Stati membri e gli enti regionali possono apportare un contributo essenziale per aiutare la crescita della bioeconomia, stimolando la domanda dei mercati per prodotti e servizi rinnovabili, intelligenti ed efficienti sotto il profilo delle risorse. Gli Stati membri dovrebbero includere nei futuri piani strategici della PAC misure concrete volte a sviluppare e/o sostenere ulteriormente gli investimenti e a promuovere soluzioni sostenibili per gli agricoltori e i silvicoltori europei e le loro cooperative al fine di renderli più efficienti e competitivi. Laddove esiste un potenziale di sostituzione dei prodotti di origine fossile con bioprodotti ottenuti localmente e in maniera sostenibile, si potrebbero creare le condizioni per liberarlo sia adottando nuove normative (come il pacchetto sull’economia circolare) sia eventualmente rivedendo altre normative pertinenti già in vigore. Inoltre, a tal fine possono essere impiegati gli standard elaborati da organismi di normazione già esistenti, come il comitato tecnico 411 (TC411) del Comitato europeo di normazione (CEN), nonché regimi di certificazione già in vigore e/o nuovi sistemi di etichettatura volontari come Biobased%.

3.7.

I committenti pubblici a livello nazionale e regionale dovrebbero fare più ampio riferimento ai sistemi di etichettatura e certificazione del contenuto biologico credibili come quello neerlandese. Ad esempio, nel 2016 l’organismo di normazione neerlandese (Nederlands Normalisatie — instituut — NEN) ha introdotto un nuovo sistema di certificazione dei bioprodotti: Biobased% (http://www.biobasedcontent.eu/). Questo marchio indica la quantità di biomassa contenuta in un prodotto, aiutando così le imprese a fornire informazioni trasparenti e credibili in merito al contenuto di origine biologica dei loro prodotti sia nei rapporti con le altre imprese che nella comunicazione con i consumatori. Per far ciò, Biobased% si basa sulla norma europea EN 16785-1:2015, che fornisce un metodo per la determinazione del contenuto dei prodotti solidi, liquidi e gassosi mediante analisi al radiocarbonio e analisi elementale. Le valutazioni di conformità sono effettuate da organismi di certificazione che hanno stipulato un accordo con il NEN. Adesso che è disponibile questa certificazione, è importante fare opera di sensibilizzazione riguardo all’uso di materie prime rinnovabili e fare in modo che esso venga incentivato dalla normativa attuale e futura dell’UE.

3.8.

In silvicoltura, i sistemi di certificazione svolgono un ruolo importante nel garantire una mobilitazione sostenibile della biomassa. Ad esempio, il 60 % delle foreste dell’UE è certificato nell’ambito del Programma per l’approvazione della certificazione delle foreste (PEFC) e/o del sistema del Consiglio per la gestione forestale sostenibile (FSC). Inoltre, la produzione silvicola dell’UE è oggi conforme ai più elevati standard ambientali a livello mondiale, introdotti da normative come il regolamento UE sul legname, le norme in materia di uso del suolo, cambiamenti di uso del suolo e silvicoltura (LULUCF), le direttive Uccelli e Habitat e il pacchetto sull’economia circolare.

3.9.

Alla luce di queste considerazioni, risulta quindi di cruciale importanza migliorare la comunicazione tra imprese (B2B) e tra imprese e consumatori (B2C). Sensibilizzare l’opinione pubblica sulla base di informazioni accurate, pertinenti e accessibili è essenziale per garantire lo sviluppo di una bioeconomia intelligente, sostenibile e inclusiva, per creare un mercato dei bioprodotti sostenibili e per promuovere un consumo e una produzione più sostenibili. Campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica (che comprendano anche premi o riconoscimenti ed esposizioni dedicate al ruolo della tecnologia e della scienza nella bioeconomia) sono necessarie in particolare a livello regionale e locale.

3.10.

È quindi estremamente importante inviare al pubblico messaggi chiari e accurati. Considerate le numerose opportunità che essa offre per affrontare le sfide sociali, la bioeconomia deve essere misurata attraverso una valutazione economica globale, che consenta di ottenere informazioni sulle dimensioni della bioeconomia nei diversi settori nonché sul suo contributo alla crescita economica e sui suoi effetti sul mercato del lavoro. A tale riguardo la comunità scientifica è chiamata a svolgere un ruolo fondamentale. Anche per questo motivo sostenere gli investimenti nella ricerca interdisciplinare e di base è essenziale, se si vuole che l’UE realizzi il suo potenziale in termini di contributo alla ricerca e all’innovazione globali in materia di sicurezza alimentare e nutrizionale, nonché per garantire la competitività e realizzare una bioeconomia basata sulla conoscenza. È di vitale importanza che la legislazione dell’UE si basi su informazioni complete riguardo ai dati scientifici più avanzati e alle esperienze acquisite in tutto il mondo e che i processi decisionali in materia di sorveglianza regolamentare siano trasparenti.

3.11.

L’istruzione degli studenti di ogni ordine e grado è di cruciale importanza affinché la nuova generazione sia consapevole delle sfide poste dalla bioeconomia e sappia cogliere le opportunità che essa offre. Ad esempio, con l’inculcare i principi della circolarità, col far comprendere la necessità di agire allo stesso tempo a livello globale e locale («glocale») e col suscitare l’interesse per l’esplorazione di nuove vie si contribuirà a preparare la nuova generazione a trovare la propria strada. In alcune università sono già stati attivati nuovi corsi e programmi di studio che, per esempio, combinano le scienze della vita, l’ingegneria ed il marketing. Tali interconnessioni tra discipline diverse, unitamente a un contesto che agevoli l’avviamento di nuove imprese, possono aiutare gli studenti a diventare imprenditori della bioeconomia. La formazione professionale deve evolversi per soddisfare il fabbisogno di competenze nella produzione primaria, nell’industria manifatturiera, nei trasporti e in altri settori pertinenti. Successivamente, inoltre, e lungo tutto l’arco della vita, i lavoratori devono aggiornare le proprie conoscenze e competenze, e nel far ciò possono essere aiutati da programmi di apprendimento permanente che colleghino gli istituti di istruzione con i produttori, i datori di lavoro e i lavoratori, i ricercatori e i creatori di innovazione.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  https://biconsortium.eu/news/mapping-european-biorefineries

(2)  Cfr. la scheda informativa del ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti An Economic Impact Analysis of the U.S. Biobased Products Industry [«Una valutazione dell’impatto economico dell’industria statunitense dei bioprodotti»], aggiornata al 2016. https://www.biopreferred.gov/BPResources/files/BiobasedProductsEconomicAnalysis2016FS.pdf

(3)  Fonte di tutti i dati riportati è la relazione scientifica e strategica 2016 sulla bioeconomia del Centro comune di ricerca, disponibile online all’indirizzo http://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/bitstream/JRC103138/kjna28468enn.pdf


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo su«Facilitare l’accesso degli attori non statali ai finanziamenti delle azioni per il clima»

(parere d’iniziativa)

(2019/C 110/03)

Relatore:

Cillian LOHAN (IE-III)

Base giuridica

Art. 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.2.2018

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

27.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

114/6/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE desidera porre l’accento sul fatto che, malgrado gli ingenti fondi promessi con i patti finanza-clima, sussiste un problema con i piccoli attori non statali impegnati a favore del clima, che riguarda il loro accesso ai finanziamenti necessari per garantire il sostegno e la realizzazione di iniziative potenzialmente trasformative.

1.2

I flussi di finanziamenti per il clima nell’Unione europea devono essere monitorati e mappati con urgenza, in modo da facilitare la misurazione dell’impatto per gli attori non statali impegnati a favore del clima, ed assicurare la valutazione dei progressi verso una più ampia trasformazione dell’economia in un modello a basse emissioni di carbonio.

1.3

Esistono diverse fonti di finanziamento così come diverse sono le iniziative dal basso verso l’alto che richiedono l’accesso. Non esiste però alcun meccanismo che consenta di affrontare tale sfasatura, problema che dovrebbe quindi essere risolto con l’istituzione, a livello UE, di un Forum inclusivo sui finanziamenti per il clima.

1.4

Il CESE propone un Forum sui finanziamenti per il clima per affrontare le questioni chiave, riunendo i principali soggetti interessati allo scopo di individuare gli ostacoli, definire soluzioni e identificare i meccanismi più efficienti per una migliore distribuzione delle risorse finanziarie, compreso un servizio di abbinamenti per collegare i progetti con adeguate fonti per il finanziamento di azioni per il clima.

1.5

Occorre creare (dandone poi effettiva comunicazione) un meccanismo che consenta di accedere a iniziative che necessitano di importi ridotti, e che preveda:

una procedura di richiesta semplificata

obblighi di rendicontazione semplificati

finanziamenti complementari

un sostegno ai progetti in fase di elaborazione, la possibilità di una pre-richiesta di finanziamento

azioni di sostegno per lo sviluppo di capacità, la creazione di reti di contatti, la realizzazione di scambi e lo sviluppo di piattaforme a livello locale, regionale, nazionale ed europeo.

1.6

Una particolare attenzione per i finanziamenti delle azioni per il clima non dovrebbe tuttavia comportare l’esclusione di finanziamenti responsabili in altri settori. In tutti i finanziamenti, però, dovrebbe essere verificato l’impatto sul clima, in modo da assicurare che ogni finanziamento non collegato ad azioni specificamente destinate al clima non sia in contrasto con gli impegni e gli obiettivi in materia di clima. Tale principio deve essere rispettato, nel quadro dell’accordo di Parigi (articolo 2, par. 1, lettera c)), affinché i flussi finanziari esistenti risultino coerenti con un percorso diretto verso bassi livelli di emissioni di gas a effetto serra e uno sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici.

1.7

Occorre poi sviluppare uno strumentario, con una strategia di comunicazione chiara, che doti gli attori non statali, a tutti i livelli, delle capacità necessarie per comprendere e accedere ai finanziamenti per il clima. Tale strumentario dovrebbe assistere i promotori di progetti nell’elaborazione di progetti che contribuiranno a un’economia a basse emissioni di carbonio e resiliente ai cambiamenti climatici.

2.   Introduzione

2.1

Il presente parere si basa sui precedenti pareri del CESE Una coalizione per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi (1) e Promuovere azioni a favore del clima da parte di attori non statali (2), nonché sul recente studio del CESE (3) che ha posto in evidenza gli ostacoli che impediscono un maggiore coinvolgimento degli attori non statali nell’azione per il clima.

2.2

Nel 2018 il CESE ha sollecitato un «dialogo europeo per l’azione a favore del clima da parte di attori non statali» inteso a rafforzare ed estendere l’ambito e la portata delle azioni a favore del clima intraprese da questi attori con sede in Europa. In tale contesto affermava che lo scopo del dialogo non deve essere soltanto quello di mettere in evidenza e presentare azioni, ma anche quello di rispondere alle esigenze degli attori non statali, stimolando la creazione di nuovi partenariati tra attori statali e non statali, favorendo l’apprendimento tra pari, la formazione e la condivisione di consulenza/assistenza tra attori non statali, aumentando i finanziamenti disponibili e agevolando l’accesso ad essi.

2.2.1

Gli «attori non statali» sono soggetti che non figurano tra le parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change — UNFCCC). Si tratta di un’ampia accezione, nella quale rientrano quindi diverse categorie di soggetti: ad esempio, piccole e medie imprese e microimprese, investitori, cooperative, città e regioni, sindacati, comunità e gruppi di cittadini, organizzazioni confessionali, organizzazioni giovanili e altre organizzazioni non governative.

2.2.2

Il processo relativo al dialogo europeo proposto dovrebbe sostenere l’accesso al finanziamento delle azioni intraprese da attori non statali:

offrendo una mappatura delle opportunità di finanziamento;

fornendo consulenza sui progetti finanziabili;

esaminando il modo in cui l’attuale catena di valore finanziario (sia pubblica che privata) fornisce finanziamenti per gli investimenti in materia di clima che gli attori non statali puntano a realizzare;

analizzando le possibilità di un’efficace distribuzione dei fondi/finanziamenti a progetti di piccole dimensioni e potenzialmente trasformativi;

analizzando le attuali procedure di dialogo e di consultazione con gli attori non statali, al fine di definire nuove tecniche e buone pratiche volte a rafforzare l’impiego dei fondi europei e internazionali disponibili;

chiedendo che il prossimo quadro finanziario pluriennale dell’UE venga incontro alle ambizioni più elevate in materia di clima degli attori non statali e ne stimoli le azioni;

esplorando le possibilità di finanziamenti innovativi (finanziamento tra pari, finanziamento collettivo, microfinanziamento, obbligazioni verdi ecc.).

2.3

Sebbene i finanziamenti per il clima possano essere intesi in molti modi, la commissione permanente delle finanze della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) li definisce come «finanziamenti volti a ridurre le emissioni e a incrementare i pozzi di assorbimento di gas a effetto serra, nonché a ridurre la vulnerabilità e mantenere e aumentare la resilienza dei sistemi umani ed ecologici nei confronti degli effetti negativi dei cambiamenti climatici».

2.4

Il presente parere esamina i finanziamenti per il clima in relazione agli Stati membri dell’UE e agli Stati che tra questi non sono parti dell’UNFCCC, permettendo alle organizzazioni della società civile, ai comuni e agli enti locali di accedere agli strumenti finanziari necessari per fornire assistenza nell’elaborazione e attuazione di progetti, iniziative e attività che contribuiscono a ridurre le emissioni, e creando comunità resilienti ai cambiamenti climatici.

2.5

È importante considerare il parere alla luce del concetto di giustizia climatica (4), quale strumento per garantire che i costi dell’azione per il clima non si ripercuotano in maniera sproporzionata sui soggetti più poveri e più vulnerabili della società.

2.6

Il finanziamento delle prime fasi di una transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, e della promozione dell’adattamento e della mitigazione, è essenziale per garantire una transizione equa e accelerare le iniziative a livello di base.

2.7

Per i microprogetti e i progetti di piccole dimensioni può risultare complicato accedere a importi compresi tra 2 000 e 250 000 EUR. Sono pertanto necessari meccanismi efficaci per garantire che le azioni di tipo partecipativo su piccola scala non siano escluse dal potenziale trasformativo dei finanziamenti a favore del clima.

2.8

Nel corso dell’ultimo decennio, l’UE ha messo a punto con successo una serie di meccanismi di finanziamento adeguati alle esigenze di questo tipo — lo Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR), l’Alleanza mondiale contro il cambiamento climatico (AMCC), gli strumenti finanziari per i cofinanziamenti delle ONG e la cooperazione decentrata — che potrebbero ispirare lo sviluppo di adeguati strumenti in materia di cambiamenti climatici.

3.   Problemi individuati

Contesto

3.1

Il CESE aderisce con decisione all’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e all’accordo di Parigi. Tuttavia, la traiettoria che stiamo seguendo consentirebbe al massimo di limitare l’aumento della temperatura a 3 oC o più, ben al di là di quanto previsto dall’accordo di Parigi. La transizione verso la sostenibilità richiederà notevoli sforzi e cospicui investimenti. Per il periodo 2015-2050, gli importi totali annui degli investimenti relativi alle misure di attenuazione in ambito energetico a favore di percorsi di limitazione del riscaldamento a 1,5 oC, sono in media stimati pari a circa 900 miliardi di USD, secondo la relazione speciale dell’IPCC sull’impatto di un riscaldamento globale di 1,5 oC rispetto ai livelli preindustriali.

3.2

Gli investimenti necessari per affrontare i cambiamenti climatici sono ingenti, ma non come quelli che sono stati richiesti negli ultimi anni per salvare un settore finanziario al collasso. In tale occasione sono stati mobilitati investimenti pari a 2 500 miliardi di EUR. Il potenziale collasso degli ecosistemi che ci sorreggono meriterebbe una risposta di entità quantomeno pari.

3.3

Troppo spesso la discussione in materia di finanziamenti per il clima si concentra sulla creazione di nuove linee esplicite di finanziamento, mentre l’accordo di Parigi chiede che tutti i flussi finanziari siano coerenti con un percorso diretto verso le basse emissioni di gas a effetto serra e lo sviluppo resiliente ai cambiamenti climatici.

3.4

Il partenariato di Marrakech e il Piano globale d’azione per il clima offrono l’opportunità di coinvolgere gli attori non statali nel processo formale UNFCCC. Non viene rivolta alcuna particolare attenzione, in sede di elaborazione dei pacchetti di finanziamento, a incentivare la realizzazione di azioni in seno all’UE e a finanziare interventi per massimizzarne l’impatto potenziale.

3.5

Anche se in materia di finanziamento della lotta contro il riscaldamento globale e i suoi effetti sono stati fatti progressi, questi non sono sufficienti. L’ultimo rapporto del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (5) afferma chiaramente che stiamo attraversando un periodo critico, che richiede l’adozione, nel prossimo decennio, di azioni radicali necessarie per limitare gli effetti a livelli gestibili. La priorità deve essere data a una finanza e un’economia sostenibili, in particolare attraverso una legislazione chiara, stabile e basata sugli incentivi.

3.6

Non basta destinare una percentuale fissa del bilancio ai finanziamenti per il clima, se un’altra parte del bilancio viene spesa per finanziare attività dannose per il clima. Ogni spesa deve essere valutata complessivamente in termini di impatto sul clima. Un documento di lavoro del Fondo monetario internazionale quantifica in 5 300 miliardi di USD l’anno, ossia oltre 15 miliardi di USD al giorno, i sussidi diretti e indiretti alle energie fossili. L’impatto negativo di questi sussidi non potrebbe essere compensato nemmeno con i 100 miliardi di USD l’anno di cui dovrebbe essere dotato l’auspicato Fondo verde per il clima.

3.7

La transizione energetica non potrà essere attuata con successo, in tempo utile e in linea con gli impegni europei assunti nel quadro dell’accordo di Parigi, se la questione della povertà energetica viene trascurata politicamente. Occorre garantire un’equa distribuzione tra tutti i livelli di governo e gli attori del mercato, compresi i cittadini, dei costi e dei vantaggi finanziari e sociali derivanti dalla transizione dell’Europa verso l’energia sostenibile. Dallo studio scientifico di Heat Roadmap Europe (6) emerge che l’Europa è in grado di ridurre, entro il 2050, le proprie emissioni di gas serra dell’86 % rispetto ai livelli del 1990, con le tecnologie esistenti, in maniera efficace sotto il profilo dei costi e a prezzi accessibili.

3.8

Le ricerche svolte per l’elaborazione del presente parere hanno evidenziato la mancanza di informazioni sulla mappatura dei flussi di finanziamenti di azioni specifiche per il clima all’interno degli Stati membri. Non è facile stabilire se i fondi siano ripartiti in importi più piccoli e accessibili o quale possa essere l’effetto trasformativo di un finanziamento. Questa mancanza di monitoraggio e di rendicontazione aumenta l’ambiguità attorno al problema percepito, e ostacola lo sviluppo delle soluzioni più efficaci.

Accesso per le imprese e le PMI

3.9

L’accesso ai finanziamenti resta una sfida principale per tutti i tipi di attori non statali, comprese le diverse sfide cui devono far fronte le PMI e le imprese di dimensioni maggiori. Questa sfida richiede non solo la disponibilità di maggiori finanziamenti e di finanziamenti supplementari, ma anche chiarezza per quanto riguarda i meccanismi di finanziamento già esistenti.

3.10

Inoltre, risulta difficile definire il concetto di «investimento verde». Gli investitori sono interessati principalmente ai rischi e ai rendimenti ed hanno difficoltà nel valutare il potenziale impatto sul clima di un progetto proposto, e nel misurare le sue probabilità di successo. I prestatori privati saranno riluttanti a finanziare un progetto senza una chiara comprensione dei rischi di investimento e in assenza di meccanismi di attenuazione dei rischi, ovvero senza garanzie.

Accesso delle amministrazioni locali e regionali

3.11

Tra i fattori che limitano l’accesso ai finanziamenti da parte dei governi subnazionali figurano: i bassi rating di credito; la limitata capacità di mobilitare i finanziamenti privati a causa dell’insufficiente dimensione del mercato degli investimenti in infrastrutture a basse emissioni e dei profili di rischio/rendimento poco attraenti; come pure i limiti sovrani fissati dai governi nazionali riguardo alla possibilità per un governo subnazionale di chiedere prestiti al settore privato o all’entità di tali prestiti.

Accesso per le iniziative comunitarie

3.12

Attualmente vi sono diverse migliaia di iniziative di base sul cambiamento climatico e sulla sostenibilità in Europa. Tali iniziative possono contribuire in maniera significativa agli obiettivi dell’UE in materia di clima, energia e sostenibilità, ma si basano per lo più su azioni di volontariato, e la loro organizzazione ed espansione sono in gran parte ostacolate dalla mancanza di finanziamenti e di sostegno professionale. Spesso sono necessarie risorse assai modeste, senza le quali però le iniziative non riescono a svilupparsi e a realizzare progetti. Il potenziale trasformativo di queste iniziative non viene sfruttato.

3.13

In molti casi le iniziative locali di base hanno difficoltà ad accedere alle fonti convenzionali di finanziamento. Spesso gli importi minimi di finanziamento previsti dai bandi risultano troppo elevati e vanno ben oltre le necessità o le capacità di gestione delle iniziative locali su scala ridotta. I requisiti di cofinanziamento pongono ulteriori ostacoli.

3.14

Riuscire a conciliare i requisiti di finanziamento con l’eccessiva burocrazia e i complessi processi è una delle difficoltà che devono superare i gruppi di piccole dimensioni per accedere ai finanziamenti. Anche se si tratta di tipi di progetti/iniziative che assumono individualmente dimensioni ridotte, l’effetto cumulativo può essere notevole. Vi sono inoltre molti altri benefici e vantaggi locali a catena quando piccoli programmi di prossimità vengono sostenuti con finanziamenti adeguati.

3.15

La maggior parte, se non addirittura tutti i finanziamenti sono orientati ai progetti e non affrontano la necessità di disporre di risorse per sostenere i processi a diversi livelli: dall’organizzazione a livello di comunità e dallo sviluppo di capacità a livello locale, alla creazione di reti, agli scambi e allo sviluppo di piattaforme a livello regionale, nazionale ed europeo. Il sostegno finanziario in questo settore potrebbe contribuire notevolmente ad accelerare il livello di impegno dei cittadini e delle comunità in materia di azione per il clima, e potrebbe anche contribuire a garantire l’esistenza di una sufficiente organizzazione e collaborazione per sostenere interventi di miglioramento e contribuire all’elaborazione delle politiche.

Accesso ai finanziamenti per l’innovazione

3.16

Nella fase iniziale gli imprenditori devono far fronte a numerose sfide, per quanto riguarda l’accesso ai finanziamenti, la mancanza di conoscenze e di esperienze, l’accesso ai mercati e il superamento della fase di avviamento. Il finanziamento dell’innovazione è una componente essenziale della soluzione per la crisi climatica, ma occorre innovare anche nei meccanismi di finanziamento e nella loro attuazione Iniziative come la CCI-CLIMA dell’EIT mirano ad affrontare tali sfide, integrando il clima nei mercati finanziari, democratizzando le informazioni sui rischi climatici e sostenendo gli investimenti in start-up innovative.

4.   Soluzioni proposte

4.1

Il CESE propone che venga istituito a livello di UE un tipo di Forum sui finanziamenti per il clima, con una rete decentrata. Tale forum consentirebbe di riunire tutte le parti interessate e renderebbe più semplice fornire una risposta coordinata ai problemi descritti in questa sede. Inoltre fungerebbe da canale per lo sviluppo dei meccanismi richiesti, indicati nel presente parere.

4.2

Il Forum di finanziamento per il clima deve fungere da piattaforma di dialogo e contribuire a mettere in contatto soluzioni non statali particolarmente promettenti ed efficaci con investitori privati e istituzionali. Particolare attenzione va inoltre rivolta, in tutti gli Stati membri dell’UE e anche altrove, al potenziale di moltiplicazione e di replica, al fine di massimizzare l’impatto. Il CESE, con la sua rete di gruppi della società civile organizzata in tutta Europa, si trova in una posizione privilegiata che gli consentirebbe di far parte di un Forum sui finanziamenti per il clima, facendosi portavoce delle problematiche di base in materia di accesso ai finanziamenti.

4.3

Una comunicazione efficace rappresenterà un elemento essenziale di ogni strategia che punta ad affrontare con successo i problemi relativi ai finanziamenti per il clima. La comunicazione deve infatti muoversi in tutte le direzioni, individuando chiaramente i propri destinatari e informandoli con un linguaggio efficace, accurato e appropriato in merito alle opportunità e all’accessibilità delle opzioni finanziarie.

4.4

La Commissione europea e le altre istituzioni dell’UE devono elaborare documenti di orientamento per gli attori non statali che intendono avvalersi dei meccanismi di finanziamento esistenti. Occorre un sistema in grado di individuare, analizzare, sintetizzare e diffondere informazioni sulla varietà di fonti di finanziamento disponibili per le azioni per il clima da parte di attori non statali. Tale obiettivo può essere conseguito basandosi sul lavoro svolto dal Comitato europeo delle regioni, che sta studiando misure volte a sviluppare uno strumentario comprendente informazioni di facile comprensione per gli enti locali e regionali, in materia di fondi e finanziamenti disponibili per le azioni per il clima.

4.5

È necessario un meccanismo di monitoraggio che consenta di stabilire una mappatura chiara dei flussi di finanziamenti per il clima, contribuendo a individuare gli ostacoli e concentrandosi sulla ricerca di soluzioni pratiche per la loro eliminazione. Si tratta di un primo passo urgente. Un processo di mappatura sarebbe altresì fondamentale per comprendere gli ostacoli all’accesso per i piccoli attori non statali. La mappatura dei finanziamenti contribuirebbe inoltre a individuare le lacune in materia di individuazione di azioni favorevoli per il clima che dovrebbero far parte del processo del Piano globale d’azione per il clima.

4.6

Il CESE invita l’UE ad assumere un ruolo guida nel fornire un modello su come attrarre contributi da parte di attori non statali per il conseguimento degli obiettivi in materia di clima. Gli attori europei non statali impegnati a favore del clima, in particolare quelli più piccoli, si attendono un sostegno da parte delle istituzioni europee per quanto riguarda la mobilitazione di fondi specifici destinati al clima e il miglioramento dell’accesso ai finanziamenti attraverso una semplificazione delle procedure, anche in materia di rendicontazione. Ciò consentirebbe di individuare molte azioni, che altrimenti sfuggirebbero, in materia di lotta contro il cambiamento climatico. Per i progetti al di sotto di una determinata soglia finanziaria (ad es. 50 000 EUR) potrebbero essere previsti un modulo di candidatura semplificato (di una pagina) e un formulario di rendicontazione di una pagina.

4.7

Occorrono finanziamenti aggiuntivi, sotto forma di piccole sovvenzioni, con procedure semplificate in materia di accesso e rendicontazione, specificamente rivolte alle azioni locali di base in materia di cambiamenti climatici e sostenibilità, e che non prevedano tassi di cofinanziamento proibitivi. Potrebbero essere messi a punto dei meccanismi che consentano ai progetti di raggrupparsi, allo scopo di migliorare l’impatto dei finanziamenti e facilitarne l’accesso. Tutti questi strumenti dovrebbero essere messi a punto con urgenza.

4.8

Dovrebbe essere sviluppato un meccanismo di sostegno che permetta ai progetti di avvalersi di esperti nella fase preliminare alla presentazione della domanda di finanziamento, in modo che i progetti vengano elaborati in maniera efficace e risultino impostati correttamente.

4.9

È necessario sviluppare una riflessione generale a livello UE sui meccanismi di finanziamento innovativi. Gli attori non statali dovrebbero essere coinvolti in questa discussione fin dall’inizio, al fine di garantire criteri di assegnazione semplici e chiari.

4.10

In generale, sarebbe opportuno assicurare una più stretta collaborazione tra i fondi tradizionali per il clima e la sostenibilità, i programmi finanziari e le reti di attori non statali. È una questione di condivisione delle conoscenze, di comunicazione e di dialogo. Un Forum sui finanziamenti per il clima può facilitare ciò.

4.11

Inoltre l’adozione di misure finanziarie potrebbe incentivare azioni da parte di attori non statali o comportamenti rispettosi del clima da parte degli stessi. Ad esempio, gli sgravi fiscali a livello nazionale potrebbero favorire i processi produttivi a basse emissioni di carbonio e stimolare la partecipazione di attori non statali nelle azioni per il clima.

4.12

In sede di elaborazione del nuovo quadro finanziario pluriennale dell’UE potrebbero esservi opportunità di facilitare azioni per il clima, promosse dal basso e da soggetti non statali e volte a contribuire in maniera efficace all’attuazione degli impegni dell’UE in materia di clima nel quadro dell’accordo di Parigi. A questo proposito, il CESE chiede di aumentare almeno del 40 % la spesa dell’UE che contribuisce agli obiettivi climatici (7). In secondo luogo, il CESE raccomanda la rapida eliminazione delle sovvenzioni ai combustibili fossili e di qualsiasi (co)finanziamento diretto o indiretto, tramite fondi europei, di fonti energetiche fossili.

4.13

Occorre sviluppare uno strumento che consenta di individuare i rischi climatici (climate proofing tool), in modo da garantire che nessuna spesa pubblica sia finalizzata a sostenere attività che aggravano la crisi climatica. Tale criterio dovrebbe valere anche per i programmi di finanziamento privato. L’assegnazione di fondi specifici per i finanziamenti per il clima non dovrebbe far sì che altre parti del bilancio o dei finanziamenti vengano destinate ad attività in contrasto con gli obiettivi climatici. L’obiettivo fissato nell’articolo 2, par. 1, lettera c) dell’accordo di Parigi deve essere conseguito.

4.14

L’approccio di sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) rappresenta il principale strumento finanziario dell’UE a sostegno dello sviluppo locale dal basso verso l’alto. Esso si trova nella posizione ideale per sostenere tali iniziative dal basso verso l’alto, offrendo la possibilità di fornire sovvenzioni e aiuti adatti alle circostanze locali. Nel dicembre 2017, il CESE ha adottato un parere sul tema Vantaggi di un approccio di sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) per lo sviluppo locale e rurale integrato (8), in cui ha esortato la Commissione europea a esplorare e analizzare in maniera approfondita le possibilità di creare un fondo di riserva per il CLLD a livello dell’UE. Indipendentemente da tali possibilità, la Commissione europea dovrà garantire che tutti gli Stati membri dispongano di un fondo nazionale per il CLLD, con contributi a valere su tutti e quattro i fondi SIE (FEASR, FESR, FSE e FEAMP). Il CLLD potrebbe essere uno dei canali utilizzati per sostenere i micro e piccoli progetti di cui al punto 2.7.

4.15

Per rendere più sostenibile l’intera catena del valore finanziario, il CESE sostiene la tabella di marcia della Commissione sul finanziamento della crescita sostenibile (9), adottata nel marzo 2018. Il CESE ha formulato raccomandazioni concrete in merito a questo piano d’azione nei suoi pareri (10).

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE sul tema Una coalizione per rispettare gli impegni dell’accordo di Parigi (GU C 389 del 21.10.2016, pag. 20).

(2)  Parere del CESE sul tema Promuovere le azioni per il clima da parte di attori non statali ( GU C 227 del 28.6.2018, pag. 35)

(3)  Studio del CESE Toolbox for multi-stakeholder climate partnerships — A policy framework to stimulate bottom-up climate actions [Strumentario per partenariati multilaterali in materia di clima — Un quadro strategico per promuovere azioni dal basso per il clima].

(4)  Parere del CESE Giustizia climatica (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 22)

(5)  Relazione speciale dell’IPCC sull’impatto di un riscaldamento globale di 1,5 oC rispetto ai livelli preindustriali (ottobre 2018).

(6)  Programma di ricerca e innovazione Orizzonte 2020 nell’ambito della convenzione di sovvenzione n. 695989 — Heat Roadmap Europe.

(7)  Parere del CESE Patto europeo finanza-clima (OJ C 62, 15.2.2019, p. 8).

(8)  Parere del CESE Vantaggi di un approccio di sviluppo locale di tipo partecipativo, (GU C 129 dell’11.4.2018, pag. 36).

(9)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Piano d’azione per finanziare la crescita sostenibile.

(10)  Pareri del CESE Piano d’azione sulla finanza sostenibile; (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 73), Finanza sostenibile: tassonomia e indici di riferimento; (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 103), Obblighi in materia di sostenibilità per gli investitori istituzionali e i gestori di attività (OJ C 62 del 15.2.2019, pag. 97).


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «La situazione delle donne Rom»

(parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo)

(2019/C 110/04)

Relatore:

Ákos TOPOLÁNSZKY

Consultazione

Parlamento europeo, 30.5.2018

Base giuridica

Articolo 304, par. 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

7.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

196/2/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Una quota significativa di donne (e ragazze) rom è esposta a discriminazioni molteplici e intersettoriali, che le relegano in situazioni di continua limitazione nell’esercizio dei loro diritti. Le donne rom costituiscono la minoranza più vulnerabile nell’UE. Superare questa situazione rappresenta un obbligo e un dovere importante per le democrazie europee.

1.2

Il Comitato ringrazia le numerose donne rom che s’impegnano o si sono impegnate a lottare con coraggio contro le strutture discriminatorie e la violenza istituzionale a vantaggio di una convivenza libera e senza discriminazioni in Europa.

1.3

Occorre eliminare senza indugio l’istruzione segregata, il cui basso livello è riconducibile alla discriminazione, e mettere a disposizione delle ragazze rom tutti gli elementi di un’istruzione pubblica di qualità. Occorre quanto prima riesaminare attentamente la disciplina delle scuole speciali e le procedure di certificazione.

1.4

Il CESE si attende che gli Stati membri perseguano come obiettivo prioritario la soppressione delle pratiche sanitarie che violano le norme di servizio conformi ai requisiti deontologici ragionevoli e alle relative disposizioni giuridiche, definendo inoltre come reati le pratiche illegali come la sterilizzazione forzata, il rifiuto di prestare cure sanitarie fondato sull’appartenenza etnica ovvero le prestazioni di servizio di qualità inferiore.

1.5

Gli Stati membri devono sopprimere urgentemente le forme di occupazione discriminatorie, e al tempo stesso attuare politiche strutturate che promuovano le opportunità occupazionali delle donne rom.

1.6

Occorre definire, adottare e applicare, a titolo di diritto fondamentale, uno standard minimo accettabile in materia di alloggi e di servizi pubblici, possibilmente inserendolo nella costituzione degli Stati membri.

1.7

Bisogna contrastare con determinazione e senza discriminazioni tutte le forme di tratta degli esseri umani e di reati di odio di cui sono vittima i rom e, più precisamente, le donne di tale comunità.

1.8

Le donne rom hanno possibilità assai limitate di elaborare e di valutare le politiche che si riflettono sul loro destino. Occorre garantire nella misura adeguata la loro partecipazione a tali programmi.

1.9

In contrasto con quanto avviene ora nella maggior parte degli Stati membri, è opportuno che le preoccupazioni e gli interessi delle donne rom siano oggetto di particolare attenzione nelle strategie di inclusione europee e nazionali post 2020.

2.   La situazione delle donne rom nell’Unione europea

2.1

Una quota significativa di donne (e ragazze) rom è esposta a discriminazioni molteplici e intersettoriali, che le relegano in situazioni di continua limitazione nell’esercizio dei loro diritti. Le donne rom costituiscono la minoranza più vulnerabile nell’UE. Questa situazione va considerata come una sistematica infrazione delle regole democratiche, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali, che indebolisce alla radice l’ideale europeo fondato sui valori enunciati all’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (1) nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2). In questo settore sono stati registrati pochi progressi negli ultimi tempi.

2.2

Sebbene nella maggior parte degli Stati membri non siano disponibili dati disaggregati per appartenenza etnica e genere, l’Agenzia europea per i diritti fondamentali fornisce (specie nel quadro della ricerca EU MIDIS II (3)) una descrizione precisa della situazione sfavorevole delle donne rom. Queste si trovano, in tutti i settori della società, in una situazione di svantaggio non soltanto nei confronti della popolazione in generale, ma anche degli uomini rom.

2.3

Il CESE è convinto che l’idea europea summenzionata sia forte esattamente nella misura in cui i più deboli tra i cittadini dell’UE ne possano trarre beneficio. Pertanto adottare le misure necessarie per migliorare la situazione e promuovere l’avanzamento delle donne e delle ragazze rom non costituisce solo un obbligo delle istituzioni e degli Stati membri dell’UE, ma anche una prova della maturità del loro assetto democratico e dello Stato di diritto.

3.   Osservazioni generali

3.1

Tra i valori fondamentali alla base dell’ideale europeo l’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea elenca l’uguaglianza e il rispetto dei diritti umani, compresi quelli degli appartenenti a minoranze. Si può parlare di rispetto effettivo di tali diritti solo quando si operano cambiamenti tangibili anche nella situazione dei gruppi sociali maggiormente marginalizzati e discriminati, dato che la discriminazione, la segregazione e l’antiziganismo rappresentano un palese rifiuto di tali valori.

3.2

Garantire la parità di genere per le donne rom costituisce la premessa del loro avanzamento economico e dell’attuazione dei loro diritti umani e delle loro libertà fondamentali, che devono essere costituzionalmente garantiti nella sfera politica, economica, sociale, culturale e civile.

3.3

Sulla base di quanto precede, il CESE, come già in precedenti pareri (4), sostiene gli obiettivi della strategia quadro europea, ma al tempo stesso sottolinea l’esigenza di attuarla in modo coerente e segnala l’inadeguatezza dei risultati conseguiti finora.

3.4

Fa osservare inoltre che l’antiziganismo si manifesta quasi a tutti i livelli dell’attività amministrativa e istituzionale degli Stati membri, impedendo ai rom di accedere in condizioni di parità ai servizi pubblici, di godere della parità di diritti e di trattamento, di partecipare al processo decisionale politico su questioni che li riguardano in proporzione alla quota di popolazione che essi rappresentano, e di tutelarsi dalle conseguenze della discriminazione. Ciò vale a maggior ragione per le donne rom.

3.5

Al fine di registrare le sistematiche violazioni dei diritti delle donne rom, il CESE invita ad elaborare, con il coinvolgimento, la consultazione e il pubblico riconoscimento delle organizzazioni indipendenti e credibili della società rom, dei libri bianchi, che potrebbero rendere possibile una riconciliazione storica.

3.6

Il Comitato ringrazia le numerose donne rom che s’impegnano o si sono impegnate a lottare con coraggio contro le strutture discriminatorie e la violenza istituzionale a vantaggio di una convivenza libera e senza discriminazioni in Europa.

4.   Specifici settori delle politiche pubbliche (5)

4.1   Istruzione

4.1.1

L’istruzione segregata è sempre illegale e comporta necessariamente risultati negativi. Le conseguenze negative dell’istruzione segregata si accumulano per le ragazze rom, e chiudono per loro i percorsi di mobilità sociale. Occorre quindi ricorrere a tutti gli strumenti giuridici, al sostegno mirato delle politiche pubbliche e ai necessari finanziamenti aggiuntivi per realizzare le aspettative dell’UE riguardo il superamento del basso livello dell’istruzione segregata, riconducibile alla discriminazione, e al tempo stesso fare in modo che anche le ragazze rom possano accedere a tutti gli elementi di un’istruzione pubblica di qualità. I governi dovrebbero garantire anche risorse umane, formazioni e programmi pedagogici adeguati.

4.1.2

Per i bambini rom, una diagnosi infondata di ritardo mentale e la segregazione scolastica vanno considerate come violazioni particolarmente gravi dei loro diritti, che compromettono il loro futuro. Occorre pertanto che tali valutazioni vengano riesaminate periodicamente da istituti specializzati indipendenti. Bisogna garantire che tale riesame possa essere avviato, senza ostacoli, su richiesta di qualsiasi parte interessata, anzitutto dei genitori, del tutore, ma anche della scuola.

4.1.3

Qualora emerga il sospetto di valutazioni erronee ricorrenti o, in particolare, sistematiche, che abbiano come obiettivo o come risultato la segregazione, gli Stati membri dovrebbero essere tenuti a condurre in tempi brevi un’indagine approfondita sulle cause, renderne pubblici i risultati, valutarli nell’ambito dei meccanismi nazionali antisegregazione e adottare di conseguenza i necessari provvedimenti legislativi e di applicazione della legge necessari.

4.1.4

Nel frattempo occorrerà provvedere alla convergenza del livello didattico delle classi speciali con quello dell’istruzione generale, affinché esse non siano esclusivamente dei «binari morti» pedagogici.

4.1.5

Il CESE chiede una limitazione, un congelamento, o nel caso di problemi sistematici, il ritiro puro e semplice dei fondi europei per i paesi in cui la segregazione scolastica non sia in diminuzione, o sia in aumento. Il CESE si attende che in tali situazioni si attivino efficacemente e rapidamente i meccanismi di tutela giuridica dell’UE (articolo 7 e meccanismo di tutela dello Stato di diritto).

4.1.6

Occorre offrire alle donne rom, per aumentare le loro opportunità d’istruzione e diminuire il rischio di abbandono scolastico, un sistema di programmi di formazione e di istruzione continua, a titolo di seconda opportunità, affinché le loro opportunità occupazionali non siano limitate ai programmi pubblici per l’occupazione, a posti di lavoro di minore qualità, informali o atipici, dove esse sono private delle opportunità di mobilità sociale.

4.2   Salute

4.2.1

Le donne rom, che spesso vivono in zone ghettizzate o di difficile accesso, fanno spesso fronte, nel quadro della prestazione di cure sanitarie, a situazioni di rifiuto, di svilimento o addirittura di violenza sul piano fisico e psicologico. La fruizione dei diritti in materia di salute riproduttiva è molto limitata. Il Comitato chiede con insistenza che gli Stati membri istituiscano e gestiscano unità mobili, dotate di attrezzature e capacità adeguate, per quanti vivono in condizioni di segregazione. Esorta inoltre ad esaminare l’assistenza sanitaria ostetrica e prenatale e a apportarvi le necessarie modifiche.

4.2.2

Il Comitato si attende che gli Stati membri diano la priorità all’eradicazione delle pratiche sanitarie contrarie alle norme deontologiche ragionevoli e alle relative norme giuridiche, avviando sistematicamente dei procedimenti nei casi opportuni. Occorre garantire mezzi di ricorso gratuiti e facilmente accessibili, per la fruizione dei diritti sanitari, nonché l’attivazione di prestazioni speciali che riflettano le effettive esigenze degli interessati, come la creazione di punti di informazione sanitaria, la formazione e l’inserimento nel sistema di mediatori sanitari, o l’attuazione di iniziative di sanità pubblica dirette anche alle popolazioni ghettizzate.

4.2.3

È urgente che i governi si impegnino chiaramente e pubblicamente a favore del principio della parità di accesso all’assistenza sanitaria e della sua attuazione concreta, nonché contro le pratiche che violano tale parità di accesso, e avviino programmi di sensibilizzazione in questo campo per tutti gli interessati. Occorre garantire mediante strumenti giuridici la copertura previdenziale per le donne e i bambini rom che non dispongono della previdenza sanitaria di base.

4.3   La sterilizzazione forzata

4.3.1

In numerosi paesi, nei quali in passato sono stati sistematicamente violati i diritti riproduttivi delle donne, e dove la sterilizzazione forzata e coatta è stata applicata in massa e come strumento di politica statale, non c’è stata un’ammissione di colpa, né un’assunzione di responsabilità a livello politico. Anche dove tale ammissione di colpa e assunzione di responsabilità hanno avuto luogo, non vi è stata una compensazione giuridica e finanziaria. Il Comitato invita il legislatore europeo a garantire che, nel quadro dell’armonizzazione del diritto penale europeo, gli Stati membri allunghino sensibilmente o sopprimano del tutto i termini di prescrizione per tali crimini, assimilabili per contenuto ai crimini contro l’umanità, e applichino leggi specifiche per far sì che la vittima riceva un’effettiva riparazione giuridica e una compensazione finanziaria.

4.3.2

In tali casi occorre chiarire in modo sincero e totale la situazione, con la trasparenza necessaria per consentire una riconciliazione e rendere impossibili future violazioni da parte dei pubblici poteri. Il CESE raccomanda pertanto che, negli Stati membri coinvolti, delle commissioni di storici indipendenti esaminino, con il coinvolgimento delle vittime e dei loro rappresentanti, i crimini commessi in passato, e li rendano di pubblico dominio, nel quadro di un processo di pacificazione sociale, come è avvenuto in Svezia con il cosiddetto Libro bianco.

4.4   Occupazione

4.4.1

La situazione delle donne rom nel mercato del lavoro è molto peggiore di quella degli stessi uomini rom, e tutti gli indici occupazionali che le riguardano sono particolarmente bassi.

4.4.2

Il CESE invita gli Stati membri ad adottare misure mirate e a vasto raggio per favorire l’avanzamento economico delle donne rom e promuoverne la qualificazione. Promuovere le imprese sociali, garantire i programmi di microcredito e favorire un accesso agevole e non discriminatorio ai benefici connessi al mercato del lavoro è particolarmente importante anche per contrastare la povertà e l’esclusione sociale.

4.4.3

Gli imprenditori hanno assunto un ruolo importante come creatori di posti di lavoro e attori chiave del benessere delle comunità locali e regionali. Si tratta di un aspetto particolare pertinente per le comunità rom. Si dovrebbero adottare, nel quadro delle politiche relative alle esigenze delle donne rom imprenditrici e delle loro PMI, misure specifiche non solo a favore dell’emancipazione delle donne rom, ma anche allo scopo di sostenere le loro iniziative di progetti comunitari e di creazione di nuove imprese. Tale politica specifica, concepita espressamente per sostenere le donne rom, è completamente assente nella maggior parte degli Stati membri, ragion per cui il CESE invoca con forza un impegno a sfruttare le opportunità che essa potrebbe offrire.

4.4.4

Il CESE invita le autorità pubbliche a ogni livello della società ad attuare misure di formazione al mercato del lavoro, a creare, nella misura del necessario, posti di lavoro e forme di occupazione sovvenzionata, e a prevedere rimborsi delle spese di viaggio e aiuti alla formazione continua e al perfezionamento professionale. Esse dovrebbero sostenere, per mezzo di strumenti di politica pubblica mirati, la possibilità per le donne rom in situazione di vulnerabilità di conciliare la loro vita professionale e quella familiare.

4.4.5

Gli Stati membri dovrebbero fare il possibile per rimediare alla situazione di vulnerabilità delle donne rom nel mercato del lavoro, ed eliminare le forme di occupazione (quasi) coatta, informale e illegale di cui sono vittime.

4.4.6

Per contrastare tali fenomeni, e in considerazione dell’importanza dell’integrazione delle donne rom nel mercato del lavoro, gli Stati membri dovrebbero attuare programmi occupazionali a titolo di seconda opportunità, garantire l’assistenza di un mediatore, e provvedere a indennità di viaggio e aiuti alla formazione a beneficio delle donne rom, oltre a fare tutto il possibile per eradicare la discriminazione sul luogo di lavoro e per sensibilizzare gli imprenditori.

4.5   Alloggio, servizi pubblici

4.5.1

Tra coloro che vivono in situazioni di segregazione, le donne e i bambini subiscono in misura maggiore le conseguenze di tale condizione nella vita quotidiana. Il CESE sottolinea pertanto che nelle aree in questione occorre garantire standard minimi accettabili di alloggio, servizi pubblici e infrastrutture, applicati stabilmente a titolo di diritto fondamentale, e possibilmente previsti anche dalle costituzioni degli Stati membri.

4.5.2

Il CESE raccomanda che il soddisfacimento di tali necessità (ad esempio la fornitura di acqua potabile, di elettricità, lo smaltimento o la depurazione delle acque reflue, l’asfaltatura delle strade, la rimozione dei rifiuti, l’accesso ai servizi pubblici e altro) sia posto come condizione preliminare per l’ottenimento di ulteriori investimenti nello sviluppo urbano e per la concessione e l’utilizzazione di sussidi.

4.5.3

Occorre porre fine agli sgomberi ingiustificati e illegali e destinare servizi di protezione giuridica accessibili e disponibili alle donne coinvolte in tali procedure. Le donne traumatizzate a causa di sgomberi forzati devono beneficiare di indennizzi.

4.6   Eliminazione delle strutture della violenza

4.6.1

Le donne e le ragazze rom in situazioni di discriminazione e segregazione sono particolarmente vulnerabili, e divengono facilmente vittima di reati e atti di violenza. Tutte le forme conosciute di sfruttamento e tratta di esseri umani le colpiscono in misura sproporzionata.

4.6.2

Il CESE condivide il giudizio secondo cui la tratta di esseri umani e la violenza nei confronti delle donne rom costituiscono violazioni flagranti dei diritti umani fondamentali, espressamente vietate dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, e gli Stati membri devono agire su tale base (6). Si tratta di reati gravi, che rispondono a una domanda, sono altamente redditizi, in numerose delle loro forme, per la criminalità organizzata internazionale, e di cui sono vittima in misura sproporzionatamente elevata le donne e i minori rom.

4.6.3

Il CESE si attende che gli Stati membri introducano senza indugio nei rispettivi sistemi penali dei regimi di punibilità per tali reati in costante evoluzione, adottino strumenti giuridici mirati e coordinati atti a contrastarli, e che blocchino, e possibilmente eliminino, i canali di trasmissione dei profitti derivanti dalla violenza. Auspica che venga esaminato il più ampio contesto socioeconomico di tali azioni, individuando le situazioni di povertà, discriminazione e vulnerabilità, e applicando in modo coerente gli strumenti di politica sociale (strategici, legislativi, finanziari, di istruzione, di ricerca e altro) necessari per l’eradicazione di tali fenomeni.

4.6.4

La violenza nei confronti delle donne rom può prodursi sia nella società in generale che nella loro stessa comunità. In ogni caso le forme di violenza puntuale e organizzata vanno affrontate con determinazione, concentrandosi sulle vittime, tenendo conto della specificità di genere, della particolare vulnerabilità delle donne e dei minori e della loro maggiore esigenza di protezione, e attraverso un approccio incentrato sui diritti umani.

4.6.5

Il CESE si compiace del fatto che, con la firma della Commissione europea, l’UE abbia aderito alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota come convenzione di Istanbul. Il CESE invita con forza tutti gli Stati membri dell’UE a ratificarla, e a cominciare ad attuarla senza riserve e con determinazione, alla luce della particolare esposizione delle donne rom in questo campo.

4.6.6

Inoltre, le donne e le ragazze rom sono, in misura sproporzionata, bersaglio e vittima di crimini di odio e in particolare di discorsi di incitamento all’odio. Occorre adottare misure intese a facilitare l’accesso alla giustizia delle persone interessate, e predisporre, con l’aiuto delle organizzazioni della società civile, degli strumenti di sensibilizzazione per l’individuazione di tali crimini.

4.6.7

È favorevole all’estensione geografica di JUSTROM, un programma congiunto del Consiglio d’Europa e della Commissione europea, e alla sua attuazione, nell’interesse dell’accesso alla giustizia da parte delle donne rom.

4.6.8

Richiama l’attenzione sul fatto che anche tutte le forme istituzionali di segregazione e di antiziganismo possono essere descritte come crimini violenti. Sottolinea l’esigenza di protezione da tali crimini nel quadro dei servizi istituzionali finanziati dallo Stato (istituti per la protezione dei minori, servizi sociali e sanitari) e dei servizi di ordine pubblico e dei servizi connessi (polizia, giustizia penale, sistema penitenziario), contesti nei quali le donne rom sono particolarmente vulnerabili. Il CESE richiama l’attenzione sull’importanza di garantire un accesso facile e gratuito alla protezione giuridica in casi del genere.

4.6.9

Il diritto nazionale e internazionale deve definire il concetto di matrimonio forzato come una forma di tratta di esseri umani, e agire di conseguenza. Occorre mettere a disposizione delle vittime di matrimoni forzati di minori tutti gli strumenti e i programmi di prevenzione e protezione adottati per le vittime della tratta di esseri umani.

4.7   Inclusione e partecipazione

4.7.1

Le donne rom hanno possibilità assai limitate di elaborare e di valutare le politiche che si riflettono sul loro destino. Pertanto il CESE sottolinea che, in base al principio «nulla su di noi senza di noi», è indispensabile coinvolgere in misura appropriata le donne rom nella concezione, nella progettazione, nell’esecuzione e nella valutazione di qualsiasi programma che riguardi loro o la loro comunità. Il CESE raccomanda che la partecipazione delle donne rom attive debba essere pari almeno alla maggioranza per i programmi concernenti specificamente le donne rom, e almeno al 30 % per i programmi concernenti le comunità rom. Occorre sviluppare un sistema di valutazione che consenta di misurare in modo affidabile tali quote.

4.7.2

Il CESE raccomanda che tali tassi di partecipazione siano applicati in modo verificabile anche negli organi responsabili delle politiche di inclusione nazionali e regionali (consigli di coordinamento nazionali, regionali, dipartimentali, comitati antisegregazione ecc.).

4.7.3

Invita i governi e le autorità a impegnarsi in un dialogo politico effettivo e concreto con rappresentanti delle donne rom a tutti i livelli di organizzazione della società, e a mettere a disposizione i quadri istituzionali per tale dialogo. A tal fine il Comitato raccomanda di creare istituzioni giuridiche specifiche, per esempio comitati di donne nel quadro delle piattaforme nazionali per i rom, comitati in cui le donne rom potrebbero provvedere alla loro rappresentanza in maniera mirata, oppure l’istituzione di un mediatore indipendente per le donne rom.

4.7.4

Il CESE fa osservare che tanto l’attuale strategia quadro europea quanto le strategie nazionali degli Stati membri per l’integrazione dei rom non contemplano, o contemplano solo in modesta misura, il punto di vista delle donne rom. Sia i processi successivi al 2020 che le prossime strategie di inclusione sociale dovranno basarsi in misura molto maggiore sul parere dei rappresentanti delle donne rom.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A52008DC0639

(2)  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:12012P/TXT&from=fr

(3)  Soltanto in inglese: http://fra.europa.eu/en/project/2015/eu-midis-ii-european-union-minorities-and-discrimination-survey/publications

(4)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 16; GU C 67 del 6.3.2014, pag. 110; GU C 11 del 15.1.2013, pag. 21

(5)  Tra le numerose proposte fin qui formulate dalla comunità rom, dalle organizzazioni della società civile che agiscono a favore dei diritti dei rom, dal mondo scientifico, dagli organismi internazionali e dal CESE, il presente parere citerà soltanto quelle che sono particolarmente pertinenti ai fini dell’attuazione dei diritti delle donne rom.

(6)  Articolo 5, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/26


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Parità di genere nei mercati del lavoro europei»

(parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo)

(2019/C 110/05)

Relatrice:

Helena DE FELIPE LEHTONEN

Consultazione

Parlamento europeo, 3.5.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 1, del Regolamento interno

Decisione dell’Assemblea plenaria

DD/MM/YYYY

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

7.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

151/2/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Per compiere dei progressi in termini di parità di genere nei mercati del lavoro, il CESE ritiene necessario elaborare una strategia europea integrata e ambiziosa volta ad affrontare gli ostacoli sistemici e strutturali e a definire politiche, misure e programmi di finanziamento UE adeguati al fine di rafforzare la parità tra donne e uomini, promuovendo così un’indipendenza economica più equa per entrambi i sessi. Ciò contribuirebbe anche all’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali.

1.2.

Il presente parere ribadisce la necessità di affrontare ulteriormente alcuni problemi noti, tra cui il divario retributivo di genere e l’equilibrio tra attività professionale e vita privata, sui quali il Comitato ha già formulato dei pareri (1).

1.3.

Il CESE ritiene che siano necessari ulteriori sforzi per rimediare al persistente divario retributivo di genere. Sostiene pienamente gli obiettivi della coalizione internazionale per la parità retributiva, che opera per colmare il divario retributivo di genere entro il 2030. Si rammarica del basso tasso di attuazione della raccomandazione pubblicata nel 2014 dalla Commissione sulla trasparenza retributiva, e invita gli Stati membri e l’UE ad adottare misure adeguate per accelerare tale processo.

1.4.

Il CESE ricorda che la trasparenza retributiva svolge un ruolo importante nella lotta contro il divario retributivo di genere (2). Raccomanda di adottare sistemi di retribuzione neutri in termini di genere, come mezzo per promuovere un approccio imparziale alle retribuzioni e alle assunzioni.

1.5.

Il CESE condivide il giudizio secondo cui è necessario potenziare le misure volte a ridurre la segregazione orizzontale di genere nell’istruzione, nella formazione e nel mercato del lavoro. Si dovrebbero intraprendere campagne di sensibilizzazione e altre misure per contrastare gli stereotipi e la segregazione di genere nell’istruzione, nella formazione e nelle scelte professionali, avvalendosi appieno delle nuove tecnologie. Migliorare le retribuzioni e le condizioni di lavoro nei settori a prevalenza femminile potrebbe servire da incentivo perché un maggior numero di uomini acceda a questi tipi di occupazione.

1.6.

Si dovrebbe dedicare un maggiore impegno all’integrazione nel mercato del lavoro e all’emancipazione delle donne appartenenti a gruppi vulnerabili, adottando un approccio intersezionale (3).

1.7.

Il CESE apprezza gli sforzi profusi dalla Commissione per monitorare più attentamente i servizi di assistenza all’infanzia e di assistenza a lungo termine nel quadro del semestre europeo. Ciò dovrebbe continuare a costituire una priorità nel medio e lungo periodo. Il Comitato è favorevole a riavviare una riflessione con gli Stati membri sugli obiettivi di Barcellona del 2002 in materia di assistenza all’infanzia, al fine di rendere gli stessi obiettivi più ambiziosi e di estendere l’approccio alla cura di altre persone non autosufficienti.

1.8.

Il CESE invita il Parlamento e il Consiglio a introdurre nuovi indicatori adeguati nei futuri fondi strutturali europei, al fine di monitorare più efficacemente il contributo finanziario dell’UE ai diversi servizi di assistenza e alla parità di genere.

1.9.

Il Comitato accoglie con favore la proposta del FSE+, all’interno del quadro finanziario pluriennale 2021-2027, che mira a favorire la parità tra uomini e donne e a promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro attraverso misure intese a migliorare l’equilibrio tra attività professionale e vita privata e l’accesso ai servizi per l’infanzia e ad altri servizi di assistenza. Tuttavia, ritiene anche che l’assegnazione dei finanziamenti dell’UE dovrebbe essere più attenta alla dimensione di genere e che la parità di genere dovrebbe essere definita come un obiettivo a sé stante, invece di essere fatta rientrare in un unico obiettivo insieme con la lotta alla discriminazione e al razzismo.

1.10.

Inoltre, il CESE accoglie con favore il programma InvestEU per il periodo 2021-2027, che sostiene gli investimenti nelle infrastrutture sociali. Il CESE invita il Parlamento e il Consiglio a sostenere con decisione questa nuova opportunità al fine di stimolare i necessari investimenti nei servizi di assistenza all’infanzia (e per il doposcuola).

1.11.

L’imprenditoria femminile è in ritardo e dev’essere promossa per sfruttare l’enorme potenziale dell’economia digitale e dell’innovazione tecnologica. Occorre migliorare l’accesso ai finanziamenti e facilitare il passaggio tra gli status occupazionali.

2.   Contesto e sfide

2.1.

Il presente parere è stato redatto in risposta alla richiesta, presentata dal Parlamento europeo, di un parere esplorativo sul tema «Parità di genere nei mercati del lavoro europei». Su richiesta del Parlamento, il parere esamina l’impatto delle misure descritte nella raccomandazione della Commissione sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini tramite la trasparenza e la necessità di ulteriori interventi per contrastare il divario retributivo di genere.

2.2.

L’articolo 2 e l’articolo 3, paragrafo 3, del TUE, nonché la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, sanciscono che il diritto alla parità tra donne e uomini è uno dei valori fondamentali dell’Unione e come tale rappresenta un compito importante. Il pilastro europeo dei diritti sociali annovera la parità di genere e il diritto alla parità di retribuzione per lavoro di pari valore tra i 20 principi essenziali per l’equità e il corretto funzionamento dei mercati del lavoro e dei sistemi di assistenza sociale.

2.3.

L’Unione europea e gli Stati membri hanno promosso la parità di genere nel mercato del lavoro attraverso un insieme di strumenti legislativi e non legislativi, raccomandazioni, orientamenti politici e finanziamenti. Nel documento dal titolo «Strategic engagement for gender equality 2016-2019» (Impegno strategico per la parità di genere 2016-2019), la Commissione europea ha confermato le priorità da affrontare: pari indipendenza economica per donne e uomini; pari retribuzione per lavoro di pari valore; parità nel processo decisionale; dignità, integrità e fine della violenza basata sul genere; promozione della parità di genere oltre i confini dell’UE.

2.4.

Nel 2017 l’occupazione femminile si è confermata in lenta ma costante crescita, in linea con quella maschile, raggiungendo il record del 66,5 % contro il 78,1 % relativo agli uomini. Tuttavia, il divario occupazionale di genere, attestato a 11,5 punti percentuali, è rimasto invariato dal 2013. Inoltre, è improbabile che venga realizzato l’obiettivo della strategia Europa 2020, che prevedeva di raggiungere entro il 2020 un tasso di occupazione del 75 % per donne e uomini. Il punteggio calcolato in base all’indice della parità di genere è aumentato da 62 punti nel 2005 a 65 nel 2012, ma solo a 66,2 nel 2015, in parte a causa della crisi. In diversi Stati membri, le misure adottate per far fronte alla crisi non hanno tenuto adeguatamente conto dell’impatto negativo sulla parità di genere.

2.5.

Nonostante i progressi compiuti in generale riguardo alla parità di genere nei mercati del lavoro europei, persistono ancora delle disuguaglianze tra donne e uomini. La segregazione orizzontale e verticale è un fattore importante che contribuisce al divario retributivo grezzo di genere nella retribuzione oraria lorda, attestato attualmente intorno al 16 %. Tale divario è aggravato dalla prevalenza delle donne nei lavori a tempo parziale e nei settori con le retribuzioni più basse, come pure dal ricorso da parte di molte lavoratrici ai congedi parentali, con conseguenti interruzioni di carriera, minori avanzamenti professionali e una ridotta maturazione dei diritti a pensione.

2.6.

L’attuale divario occupazionale tra i generi rappresenta una perdita economica e sociale considerevole per l’UE, stimata attorno a 370 miliardi di euro all’anno. Alla luce della sfida demografica e del calo della popolazione attiva, l’Europa deve sfruttare appieno il potenziale nel mercato del lavoro rappresentato da tutte le donne, tenendo conto dell’intersezione di razza, origine etnica, classe sociale, età, orientamento sessuale, nazionalità, religione, sesso, disabilità, status di rifugiata o migrante, che possono costituire ostacoli specifici alla loro partecipazione al mercato del lavoro.

2.7.

Le donne tendono a svolgere prevalentemente lavori meno retribuiti e meno qualificati, in settori quali l’assistenza sanitaria, i servizi sociali, l’istruzione, la pubblica amministrazione e la vendita al dettaglio, mentre gli uomini sono maggiormente rappresentati nelle professioni ingegneristiche, nell’edilizia e nei trasporti. Nel settore EHW (istruzione, assistenza sanitaria e servizi sociali) vi è una crescente carenza di uomini, rafforzata dall’assenza di modelli di riferimento e da condizioni di lavoro e retribuzioni spesso meno interessanti. Lo stesso avviene per le donne, che sono sottorappresentate negli impieghi delle discipline STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Nel 2016 le donne rappresentavano soltanto il 17 % degli specialisti di TIC nell’UE.

2.8.

Mentre nuove normative europee sono in discussione in sede di Consiglio UE (direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita privata), le donne continuano a soffrire dell’«handicap della maternità» sul luogo di lavoro, che riguarda anche le donne incinte e quelle che hanno partorito da poco e continua a rappresentare un problema in molti Stati membri. Il divario occupazionale è infatti particolarmente elevato per le madri e le donne con responsabilità di assistenza. Nel 2016 più del 19 % delle donne inattive doveva tale condizione alla necessità di occuparsi di bambini o di adulti. In media, il tasso di occupazione delle donne con un figlio al di sotto dei 6 anni è del 9 % inferiore a quello delle donne senza figli, differenza che raggiunge addirittura il 30 % in alcuni paesi.

2.9.

Il CESE è seriamente preoccupato per l’entità delle molestie sessuali cui le donne sono confrontate sul luogo di lavoro e per la sempre maggiore diffusione delle molestie online nei confronti delle donne. Ricorda la necessità di una migliore applicazione della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (4) che vieta le molestie e le discriminazioni sul luogo di lavoro (5).

2.10.

Il CESE chiede altresì misure integrate e specifiche rivolte alle donne che appartengono a gruppi vulnerabili, poiché esse spesso incontrano maggiori difficoltà di accesso al mercato del lavoro. Sottolinea la necessità di un approccio intersezionale, al fine di aumentare le opportunità d’impiego delle donne soggette a forme di discriminazioni multiple.

2.11.

L’imprenditoria femminile è ancora poco sviluppata. Le donne rappresentano il 52 % della popolazione totale europea, ma soltanto il 34,4 % dei lavoratori autonomi nell’UE e il 30 % dei titolari di start-up. Le lavoratrici autonome sono meno agiate rispetto ai loro omologhi di sesso maschile. Il 76,3 % delle lavoratrici autonome nell’UE-28 lavora in proprio senza dipendenti, contro il 69 % degli uomini. Pertanto, gli imprenditori con dipendenti sono più spesso uomini, mentre le donne tendono a essere lavoratrici autonome senza dipendenti e sono maggiormente esposte al rischio di percepire un reddito basso. La creatività e il potenziale imprenditoriale delle donne sono una fonte sottoutilizzata di crescita economica e occupazione che deve essere maggiormente sviluppata per la creazione di imprese di successo.

2.12.

Il lavoro a tempo parziale può essere un valido strumento per migliorare l’equilibrio tra lavoro e vita privata, sia per gli uomini che per le donne. Tuttavia, le donne lavorano a tempo parziale più spesso degli uomini (e rappresentano oltre il 70 % dei lavoratori a tempo parziale), e si è registrato un aumento nei lavori meno retribuiti (vendita al dettaglio, pulizia e assistenza). I livelli di lavoro a tempo parziale involontario, sia per le donne che per gli uomini, continuano a destare preoccupazione. L’obiettivo di Europa 2020 di raggiungere un tasso di occupazione del 75 % entro il 2020 può essere realizzato soltanto attraverso una strategia integrata composta da un mix coerente di politiche e da misure volte a promuovere la partecipazione al mercato del lavoro e posti di lavoro di qualità, garantire la parità di trattamento nell’occupazione e incoraggiare responsabilità di assistenza più equilibrate tra i genitori e i prestatori di assistenza di altri familiari non autosufficienti.

3.   Ambiti in cui intervenire ulteriormente per realizzare la parità di genere nei mercati del lavoro europei

3.1.   Affrontare la trasparenza retributiva per colmare il divario retributivo di genere

3.1.1.

Il divario retributivo di genere è uno degli ostacoli più persistenti alla parità di genere nei mercati del lavoro e nella società, come pure alla crescita economica. Il CESE appoggia pienamente la coalizione internazionale per la parità retributiva (EPIC), un’iniziativa globale guidata dall’OIL, da UN Women e dall’OCSE che comprende governi, datori di lavoro, sindacati e società civile e si prefigge l’obiettivo di colmare il divario retributivo di genere entro il 2030. Il CESE invita l’Unione europea ad intensificare le azioni volte a garantire l’eliminazione del divario retributivo di genere nell’UE entro il 2030.

3.1.2.

Il CESE ribadisce le proprie raccomandazioni in merito al piano d’azione europeo per affrontare il divario retributivo di genere (6). Riconosce inoltre che la rifusione della direttiva 2006/54/CE sulla parità di genere e la raccomandazione 2014/124/UE della Commissione agli Stati membri sul potenziamento del principio della parità retributiva tra donne e uomini sono state utili per affrontare il divario retributivo di genere e continuano a essere valide. Sono però necessari ulteriori sforzi. La relazione 2013 della Commissione sull’attuazione della direttiva 2006/54/CE ha concluso che l’applicazione pratica delle disposizioni sulla parità retributiva negli Stati membri è uno dei nodi più problematici della direttiva.

3.1.3.

L’EPIC ha dichiarato che la mancanza di trasparenza retributiva svolge un ruolo importante nelle differenze di retribuzione tra uomini e donne e che una maggiore trasparenza salariale può contribuire a ridurre il divario retributivo di genere. Alla trasparenza retributiva spetta un ruolo importante nella lotta contro eventuali discriminazioni in materia di retribuzione. Il CESE è preoccupato per il basso tasso di attuazione della raccomandazione della Commissione del 2014 sulla trasparenza retributiva. Sebbene la maggior parte degli Stati membri abbia adottato misure volte ad aumentare la trasparenza retributiva, in un terzo di essi tali misure sono del tutto assenti. Il CESE invita gli Stati membri ad accelerare l’attuazione della raccomandazione, per esempio promuovendo la possibilità per i singoli di chiedere informazioni sui livelli salariali oppure la possibilità per i datori di lavoro, nelle imprese di dimensioni ancora da determinare, di presentare relazioni sulle retribuzioni o di effettuare audit salariali, in quanto ciò favorirebbe un approccio equo alle assunzioni e alle retribuzioni. Andrebbe presa in considerazione anche la necessità di rispettare pienamente la vita privata dei lavoratori dipendenti (e la riservatezza dei loro dati) e delle relazioni industriali generali.

3.1.4.

Al fine di attuare il principio della parità di retribuzione e contrastare il divario retributivo di genere, occorrono migliori sinergie tra le varie misure disponibili. Tra queste, si raccomandano fortemente i sistemi di retribuzione neutri in termini di genere, in quanto promuovono un approccio imparziale alle assunzioni e alle retribuzioni.

3.1.5.

Le parti sociali sono i soggetti più idonei a riesaminare il valore di competenze e professioni. Il dialogo sociale e la contrattazione collettiva sono importanti per raggiungere tale obiettivo e contrastare il divario retributivo di genere.

3.1.6.

A livello europeo, il problema del divario retributivo viene affrontato anche nel quadro del semestre europeo. Nel 2017 tale questione è stata evidenziata nelle relazioni per paese di nove Stati membri, e a 12 Stati membri sono state rivolte raccomandazioni specifiche per paese sugli investimenti nei servizi di assistenza all’infanzia e sui disincentivi fiscali, nonché su altre misure relative al divario retributivo di genere.

3.1.7.

Particolare attenzione dovrebbe essere rivolta alla sensibilizzazione in merito ai pregiudizi inconsci o all’aggravamento del divario retributivo in sede di assunzione o di promozione. Anche il sostegno da parte delle organizzazioni di imprese, insieme con la cooperazione tra le parti sociali, le autorità e gli organismi preposti alla promozione della parità nella ricerca di soluzioni adeguate, sono importanti per ridurre il divario retributivo.

3.2.   Istruzione, segregazione e stereotipi

3.2.1.

La persistente segregazione orizzontale nell’istruzione, nella formazione e nel mercato del lavoro, alimentata dagli stereotipi e dagli ostacoli nel mercato del lavoro, deve essere affrontata fin dalla prima infanzia. Esiste uno stretto collegamento tra questa segregazione e il divario retributivo di genere. La tendenza a sottovalutare talune professioni, anche ai posti direttivi, dovrebbe essere evidenziata più chiaramente. Migliorare le retribuzioni e le condizioni di lavoro nei settori a prevalenza femminile potrebbe servire da incentivo perché un maggior numero di uomini acceda a queste occupazioni, contribuendo in tal modo anche ad affrontare la questione della segregazione professionale di genere.

3.2.2.

Nonostante ottengano risultati migliori nell’istruzione, le donne incontrano numerosi ostacoli nel perseguire una carriera in taluni settori a prevalenza maschile, come le TIC. Anche se alcune ragazze scelgono un percorso di studi nelle discipline STEM, soltanto il 10 % delle donne intraprende poi una carriera in tali settori. Pertanto, occorre insistere maggiormente sulla lotta alla segregazione e agli stereotipi nell’istruzione e su una migliore promozione della presenza femminile in tale settore.

3.2.3.

L’esigua presenza maschile nel settore dell’istruzione, della sanità e dell’assistenza sociale (EHW) sta raggiungendo livelli preoccupanti. Il CESE invita a organizzare campagne di sensibilizzazione e a promuovere modelli di riferimento, a livello UE e nazionale, per incoraggiare la presenza delle donne nelle professioni dei settori TIC e STEM e quella degli uomini nel settore EHW.

3.3.   Servizi di assistenza per migliorare l’equilibrio tra attività professionale e vita privata

3.3.1.

Coniugare lavoro, vita privata e vita familiare è una delle principali sfide per i genitori e per tutti quelli che hanno responsabilità di assistenza. Le donne sono colpite in maniera sproporzionata, dato che generalmente è su di loro che ricade la responsabilità dell’assistenza ai familiari non autosufficienti. Realizzare un migliore equilibrio tra attività professionale e vita privata rappresenta un problema soprattutto per le famiglie monoparentali e per le persone appartenenti a gruppi vulnerabili. Il CESE ha accolto con favore l’iniziativa della Commissione volta ad aumentare la partecipazione al mercato del lavoro dei genitori con bambini piccoli e aiutarli a conseguire un migliore equilibrio tra vita privata e attività professionale.

3.3.2.

La condivisione delle responsabilità genitoriali e delle altre responsabilità di assistenza è un obiettivo importante per una partecipazione paritaria al mercato del lavoro (7). Il ricorso dei padri al congedo di paternità e parentale è generalmente scarso e solitamente avviene soltanto se retribuito. È essenziale adottare misure che incoraggino una maggiore partecipazione degli uomini alla vita familiare, affrontando al contempo i possibili costi e sforzi organizzativi per le imprese, soprattutto le piccole imprese e le microimprese.

3.3.3.

Poiché le responsabilità di assistenza sono una delle principali ragioni della ridotta partecipazione delle donne al mercato del lavoro, gli obiettivi di Barcellona rivestono un’importanza cruciale, sebbene non siano stati realizzati in misura sufficiente. È dimostrato che vi è una correlazione positiva tra servizi di assistenza all’infanzia e tasso di occupazione femminile. Il CESE si rammarica del fatto che, a più di 15 anni dalla loro adozione, gli obiettivi di Barcellona siano stati realizzati da un numero così scarso di paesi, e chiede che sia possibile rivederli per fissare traguardi più ambiziosi che incentivino la promozione della parità di genere.

L’accessibilità, anche sul piano dei costi, dei servizi di assistenza all’infanzia e degli altri servizi di assistenza continua ad essere un problema, soprattutto per le famiglie a basso reddito. È quindi importante che sia disponibile una buona combinazione di servizi privati e pubblici di qualità. Inoltre, gli orari praticati dalle strutture di assistenza all’infanzia restano un ostacolo reale per i genitori che lavorano.

3.3.4.

Il CESE richiama inoltre l’attenzione sulla necessità di servizi di assistenza al di fuori dell’orario scolastico per i figli di genitori che lavorano. Tali servizi dovrebbero essere disponibili nei paesi in cui l’orario scolastico è ridotto e i genitori tendono ad optare per il tempo parziale per sopperire a tale mancanza. Occorrono maggiori informazioni per comprendere la portata e le conseguenze di questo problema strutturale per la parità di genere nel mercato del lavoro.

3.3.5.

La crescita del settore dell’assistenza, che presenta un significativo potenziale di occupazione inutilizzato, richiede un’attenzione particolare in ragione della persistente segregazione di genere e, in molti casi, per via di condizioni lavorative e salariali inadeguate. Come già richiesto dal CESE, è necessario raccogliere dati adeguati sui diversi aspetti dei sistemi di assistenza retribuiti e sulle preferenze in Europa. Ciò dovrebbe includere la rapida espansione dei servizi a domicilio e il caso specifico dei lavoratori conviventi prestatori di cure e assistenza (8), molti dei quali si avvalgono della mobilità all’interno dell’UE o sono migranti provenienti da paesi terzi, e segnalano condizioni di lavoro e retribuzioni inadeguate. Il CESE invita la Commissione ad adottare una strategia integrata per il settore dell’assistenza.

3.3.6.

Il Comitato apprezza gli sforzi della Commissione volti a monitorare più attentamente i servizi di assistenza all’infanzia e di assistenza a lungo termine nel quadro del semestre europeo e delle raccomandazioni specifiche per paese rivolte agli Stati membri.

3.4.   Finanziare la parità di genere: il quadro finanziario pluriennale

3.4.1.

Il Comitato accoglie con favore la proposta del FSE+, all’interno del quadro finanziario pluriennale 2021-2027, che mira a favorire la parità tra uomini e donne, le pari opportunità e la non discriminazione, nonché a promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro attraverso misure intese a migliorare l’equilibrio tra attività professionale e vita privata e l’accesso ai servizi di assistenza all’infanzia. Il CESE incoraggia le istituzioni UE e gli Stati membri ad attuare le sue raccomandazioni sul sostegno del FSE+ alla parità di genere (9).

3.4.2.

Il CESE ritiene che l’assegnazione dei finanziamenti dell’UE dovrebbe essere più attenta alla dimensione di genere. Il CESE è preoccupato che la fusione degli obiettivi di parità di genere e di lotta alla discriminazione e al razzismo in un unico obiettivo riduca la loro visibilità e la chiarezza degli importi destinati a ciascuno di essi. È necessario riflettere su come affrontare al meglio tale questione.

3.4.3.

Il CESE sottolinea la necessità di investire in servizi e strutture di assistenza per tutti che siano di alta qualità, a prezzi accessibili e di facile accesso. La proposta della Commissione per il FSE+ rappresenta un passo nella giusta direzione, poiché prevede maggiori investimenti nei servizi di assistenza all’infanzia. Tale finanziamento dovrebbe essere ulteriormente promosso, sulla base delle buone pratiche che saranno raccolte dalla Commissione europea.

3.4.4.

Inoltre, il CESE accoglie con favore il programma InvestEU, che rientra nel quadro finanziario pluriennale 2021-2027, e la sua priorità di stimolare gli investimenti nelle infrastrutture sociali, che potrebbe avere un impatto positivo sulla parità di genere.

3.4.5.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che attualmente non esiste una valutazione del modo in cui i fondi UE sono stati utilizzati dagli Stati membri per sostenere l’erogazione di servizi di assistenza. Questo punto deve essere affrontato nei prossimi programmi di finanziamento, introducendo indicatori adeguati per gli Stati membri nei futuri fondi strutturali, compreso il FSE+, al fine di monitorare più efficacemente il contributo finanziario dell’UE ai diversi servizi di assistenza e alla parità di genere.

3.5.   Il sistema fiscale e previdenziale

3.5.1.

I dati disponibili indicano che spesso le donne sono fortemente disincentivate, a livello economico, ad entrare nel mercato del lavoro o a lavorare di più: per via della loro impostazione, i sistemi di sgravi fiscali possono scoraggiare fortemente le persone che costituiscono la seconda fonte di reddito familiare, molto spesso le donne, dal lavorare. Tra le conseguenze dirette di tale situazione figura un livello di contribuzione previdenziale ridotto o inesistente, che determina a sua volta un reddito pensionistico basso e perfino una condizione di povertà.

3.5.2.

Il semestre europeo ha già evidenziato la necessità di adeguare i sistemi di sgravi fiscali per evitare che vi siano forti disincentivi per le persone che costituiscono la seconda fonte di reddito familiare dal lavorare o dal lavorare di più. A tal fine, sarà necessario monitorare attentamente gli sviluppi negli Stati membri.

3.6.   L’imprenditoria femminile

3.6.1.

L’imprenditorialità può costituire un’occasione per l’indipendenza economica delle donne: essa può offrire posti di lavoro di qualità e carriere di successo, emancipare le donne dalla povertà e dall’esclusione sociale, nonché contribuire a una più equilibrata rappresentanza di genere nel processo decisionale. L’imprenditorialità femminile deve essere sostenuta migliorando l’accesso e la qualità delle misure di protezione sociale (10) e inserendo l’educazione all’imprenditorialità nei percorsi di istruzione e formazione.

3.6.2.

Per quanto riguarda il lavoro autonomo, le donne lavorano più spesso in proprio, esposte ad un rischio maggiore di povertà lavorativa, mentre gli uomini sono più rappresentati fra i titolari di imprese con dipendenti. Inoltre, le donne incontrano maggiori ostacoli strutturali in termini di accesso ai finanziamenti, stereotipi e mancanza di fiducia. Tali ostacoli devono essere rimossi. Per superare le barriere, possono essere utili strumenti quali il tutoraggio, i «business angels» (investitori informali) e nuove forme di finanziamento. Occorre inoltre promuovere più attivamente ed estendere le reti esistenti nelle organizzazioni di imprese.

3.7.   Economia digitale

3.7.1.

I cambiamenti nel mercato del lavoro, dovuti alla globalizzazione, agli sviluppi tecnologici e al cambiamento demografico offrono nuove prospettive sia per i lavoratori dipendenti che per gli imprenditori. I settori emergenti e in crescita (per esempio le TIC, l’economia verde, l’industria 4.0 e il commercio elettronico) possono fornire numerose opportunità alle donne in termini di impieghi ben retribuiti. Il CESE ha anche posto l’accento sul problema del divario digitale di genere, il quale pone una serie di sfide che devono essere affrontate. Esso ha anche formulato delle raccomandazioni al fine di superare gli squilibri in relazione al sistema di istruzione e al mercato del lavoro (11).

3.7.2.

Affinché le donne e gli uomini possano operare con fiducia nell’economia digitale, è necessario chiarire maggiormente la loro posizione a livello nazionale in termini di diritti, prestazioni previdenziali e obblighi, sia nell’ambito del lavoro che dei contratti tra imprese. L’istruzione e la formazione dovrebbero essere poste al centro delle strategie di promozione delle carriere femminili nell’ambito delle TIC, delle discipline STEM e dell’economia verde, e la prospettiva di genere dovrebbe essere inserita nella strategia per il mercato unico digitale.

3.8.   Maggiore cooperazione tra tutti gli attori

3.8.1.

Il ruolo delle parti sociali nella negoziazione dei contratti collettivi è uno strumento importante per affrontare le molteplici dimensioni della parità di genere e della parità retributiva nei mercati del lavoro europei. A livello dell’UE, nel 2005 le parti sociali hanno adottato il quadro d’azione sulla parità di genere, cui hanno fatto seguito azioni congiunte a livello nazionale per affrontare i ruoli di genere, promuovere la partecipazione delle donne ai processi decisionali, agevolare l’equilibrio tra attività professionale e vita privata e colmare il divario retributivo di genere. Nel 2008 hanno rivisto il loro accordo sul congedo parentale del 1996 (direttiva 2010/18/CE del Consiglio (12)) e nel 2012 hanno predisposto una serie di strumenti per rafforzare la parità di genere nella pratica.

3.8.2.

Le organizzazioni della società civile possono offrire un valido contributo alla promozione della parità di genere nel mercato del lavoro, in particolare per i gruppi vulnerabili.

3.8.3.

Il CESE chiede che una strategia rinnovata e ambiziosa a livello di UE, intesa a conseguire la parità di genere sui mercati del lavoro europei, sia inquadrata in modo coerente in qualsiasi futura strategia europea per l’occupazione, nel pilastro europeo dei diritti sociali e nella dimensione europea dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 129 dell’11.4.2018, pag. 44 e GU C 262 del 25.7.2018, pag. 101

(2)  GU C 129 dell’11.4.2018, pag. 44

(3)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 20

(4)  GU L 204 del 26.7.2006, p. 23.

(5)  GU C 351 del 15.11.2012, pag. 12; GU C 242 del 23.7.2015, pag. 9; GU C 367 del 10.10.2018, pag. 20

(6)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 101

(7)  GU C 129 dell’11.4.2018, pag. 44

(8)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 7

(9)  Cfr. il parere del CESE sul tema «Fondo sociale europeo Plus» (GU C 62 del 15.2.2019, p. 165)

(10)  GU C 173 del 31.5.2017, pag. 45

(11)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 37

(12)  GU L 68 del 18.3.2010, pag. 13


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Attuazione della normativa ambientale dell’UE nei settori della qualità dell’aria, delle acque e dei rifiuti»

(parere esplorativo)

(2019/C 110/06)

Relatore:

Arnaud SCHWARTZ

Consultazione

Parlamento europeo, 03/05/2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

Parere esplorativo

Decisione dell’Ufficio di presidenza

17.4.2018 (in previsione della consultazione)

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

27.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

117/2/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE plaude all’obiettivo del riesame dell’attuazione delle politiche ambientali (Environmental Implementation Review, EIR), che è quello di fornire informazioni dettagliate in merito alla situazione di ciascuno Stato membro per quanto riguarda le principali lacune nell’attuazione delle normative ambientali dell’UE, raccomandare azioni volte a rimediare a tali lacune e fornire sostegno agli Stati membri che sono in ritardo sul piano attuativo, in particolare mediante un nuovo strumento inter pares per l’assistenza tecnica.

1.2.

Tuttavia, nel proprio parere sull’argomento (1), il CESE osserva che l’EIR dell’UE mostra che in molti Stati membri la lacunosa, frammentata e disomogenea attuazione della legislazione ambientale europea rappresenta un serio problema. Oggi come ieri, dietro alle cause profonde di queste carenze di attuazione individuate dall’EIR sembra esservi l’assenza di volontà politica, da parte dei governi di molti Stati membri, di considerare un obiettivo politico prioritario il miglioramento sostanziale dell’attuazione e di fornire risorse sufficienti per conseguirlo (per esempio attraverso il quadro finanziario pluriennale — QFP). Il CESE rammenta pertanto che la corretta attuazione dell’acquis dell’Unione in materia ambientale non solo è nell’interesse dei cittadini europei, ma apporta anche vantaggi economici e sociali reali.

1.3.

Allo stesso modo il CESE, come indicato nel suddetto parere (2), riafferma che l’attuazione efficace delle misure di protezione ambientale dipende, in parte, dal conferimento di un ruolo attivo alla società civile: datori di lavoro, lavoratori dipendenti e altri rappresentanti della società. Il CESE reitera quindi la propria richiesta di una partecipazione più robusta e strutturata della stessa, che sarebbe in grado di rafforzare le EIR. Per il CESE, alle organizzazioni della società civile a livello nazionale va data l’opportunità di contribuire, con le loro competenze e conoscenze, alle relazioni per paese, oltre che ai dialoghi nazionali strutturati e al loro monitoraggio. Questo è il motivo per cui il CESE resta pronto ad agevolare il dialogo della società civile a livello dell’UE nel quadro di un’economia realmente sostenibile e circolare.

1.4.

Per migliorare la conformità e la governance ambientali, il CESE, fondandosi sul proprio parere sul piano d’azione dell’UE per migliorare la conformità e la governance ambientali (3), ribadisce ancora una volta che le attuali carenze minano la fiducia dei cittadini nell’efficacia della legislazione europea, e rinnova pertanto la propria richiesta agli Stati membri e alla Commissione di destinare finanziamenti consistenti all’assunzione di personale supplementare incaricato di controllare l’attuazione della governance e della normativa ambientali.

1.5.

Il CESE sottolinea che, in alcuni casi, sono necessari anche investimenti ambientali, campagne di sensibilizzazione dei cittadini o robuste strutture attuative e che, sebbene già esistano gli ispettori ambientali, l’UE e i suoi Stati membri hanno bisogno anche di giudici e pubblici ministeri specializzati.

1.6.

Il CESE rammenta anche che, come segnalato nel parere (4), a completamento delle azioni presso gli Stati membri e le categorie di persone interessate volte a comunicare e a sensibilizzare in merito alle norme da rispettare, occorre adottare misure riguardanti il monitoraggio o l’applicazione, a livello dell’Unione, da parte della Commissione europea nella sua qualità di «custode dei trattati». Il piano d’azione (5) trascura in specie alcuni fattori di mancato rispetto delle norme quali, ad esempio, quelli che dipendono dall’opportunismo o dalla mancanza di volontà politica. Se il sostegno agli Stati membri è senz’altro necessario, il CESE precisa ancora una volta che le misure non vincolanti previste dal piano d’azione proposto non possono essere l’unica strategia per migliorare il rispetto della normativa ambientale.

1.7.

Tanto l’EIR quanto il precitato piano d’azione seguono un ciclo biennale. Il CESE pone di conseguenza l’accento sul fatto che dovrebbe svolgere un ruolo attivo nel monitoraggio e nella regolare evoluzione del loro contenuto, per far sentire la voce della società civile in questo processo di miglioramento continuo delle politiche ambientali dell’Unione europea.

1.8.

Inoltre, dato che, come mostrato da svariati lavori della Commissione europea, un gran numero di lacune dipende da una mancanza di cooperazione tra i diversi livelli di governance (nazionale, regionale, locale) incaricati dell’attuazione della normativa ambientale, il CESE invita l’UE anche ad includere la società civile nel monitoraggio e nella valutazione continua di tale attuazione.

1.9.

I cittadini dell’Unione reputano che la protezione ambientale rivesta un’importanza capitale. Tuttavia, la maggioranza degli europei ritiene anche che l’Unione e i governi nazionali non facciano abbastanza per proteggere l’ambiente. Di conseguenza, il Consiglio, il Parlamento e la Commissione dovrebbero operare in modo più coordinato, con l’assistenza del CESE, per rispondere alle attese dei cittadini. In particolare, quest’ambizione potrebbe tradursi in una richiesta di un parere esplorativo al CESE sul modo in cui la società civile potrebbe contribuire maggiormente all’elaborazione e all’applicazione della normativa ambientale dell’Unione.

1.10.

Nell’immediato, il CESE chiede alla Commissione di condividere l’elenco delle carenze, individuate dall’EIR per ciascuno Stato membro, nell’attuazione della normativa ambientale dell’Unione in materia di qualità dell’aria, acqua e rifiuti, fondandosi in particolare sulle segnalazioni di cui viene a conoscenza, nonché grazie a una consultazione della società civile organizzata, come pure di definire (e, in seguito, applicare) dei rimedi per correggere tali mancanze. Il CESE, nella misura dei suoi mezzi e delle sue competenze, è pronto a contribuire alla definizione di tali misure, come pure a partecipare alla valutazione della loro futura attuazione.

1.11.

Il CESE ritiene che la Commissione non dovrebbe soltanto presentare proposte di atti legislativi, ma anche agevolare e sostenere l’applicazione delle normative, nonché rendere i testi in essere più coerenti tra di loro e anche più in linea con i progressi scientifici e gli impegni internazionali tesi a proteggere la salute delle popolazioni e a ripristinare un corretto funzionamento degli ecosistemi, senza i quali non è possibile alcuno sviluppo economico né alcuna giustizia sociale. In particolare, l’attuazione della normativa in materia ambientale è fondamentale per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (OSS) e per la messa in pratica degli accordi in materia di clima. Il CESE richiama quindi l’attenzione delle autorità competenti su vari esempi di miglioramento della normativa ambientale in materia di qualità dell’aria, acqua e rifiuti che figurano nel presente parere.

1.12.

Infine, sul modello della recente proposta di direttiva sui prodotti di plastica monouso, sembra scontato che le misure proposte abbiano incontrato un livello elevato di accettazione proprio grazie alle campagne informative e mediatiche sull’inquinamento causato dalla plastica negli oceani, le quali hanno aumentato la consapevolezza dei cittadini rispetto a questo problema. Il CESE reputa che la stessa cosa accada per numerose altre misure in grado di offrire agli abitanti dell’Unione un quadro di vita sano e la possibilità di adattarsi agli squilibri climatici, come pure porre fine al deterioramento della biodiversità. In tal senso, il CESE ribadisce la necessità della partecipazione impegnata della società civile a favore di un’educazione delle popolazioni e l’atteso raddoppiamento degli sforzi di sensibilizzazione complementare dei cittadini, nonché dei soggetti decisori pubblici e privati (in particolare le PMI e le piccole e medie industrie), da parte delle autorità europee, nazionali e locali, su queste grandi sfide del XXI secolo.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) plaude alla volontà di cooperare espressa dal Parlamento europeo (PE) con la sua richiesta del presente parere esplorativo, dedicato all’attuazione della normativa ambientale dell’UE nei settori della qualità dell’aria, dell’acqua e dei rifiuti.

2.2.

L’attuazione della normativa ambientale europea nei succitati ambiti concerne settori che interessano, in particolare, la protezione degli ecosistemi; spiana del pari la strada a nuove opportunità economiche e a sviluppi positivi per la salute degli europei. Detta attuazione non pone soltanto la questione del recepimento delle direttive nel diritto interno (questa costituisce unicamente una prima tappa), ma porta anche all’istituzione delle autorità pubbliche necessarie o alla messa a disposizione dei mezzi esistenti in fatto di risorse umane, competenze e responsabilità, conoscenze tecniche e risorse finanziarie. In numerosi casi, sono necessari investimenti ambientali (pubblici e/o privati: ad esempio, per il trattamento delle acque e dei rifiuti) e, in altri casi, devono essere regolamentate le attività con ripercussioni ambientali negative (ad esempio, per preservare la qualità dell’aria).

2.3.

Il miglioramento dell’attuazione della normativa ambientale dell’UE dovrebbe diventare prioritario in tutti gli Stati membri, e si dovrebbero rafforzare le autorità pubbliche responsabili in materia. In numerosi pareri adottati in passato il CESE ha già formulato raccomandazioni in tal senso e, più in generale, per quanto riguarda l’attuazione della normativa ambientale dell’Unione nei settori della qualità dell’aria, dell’acqua e dei rifiuti. Il CESE invita quindi a farvi riferimento, che si tratti di pareri riguardanti l’aria (6), l’acqua (7) o i rifiuti (8).

2.4.

Al di là dei predetti pareri di natura tematica, è altresì opportuno sottolineare che anche pareri del CESE di portata più generale comprendono raccomandazioni in grado di rispondere alla presente richiesta, che siano, ad esempio, pareri inerenti all’accesso alla giustizia (9) o all’attuale attuazione della normativa e della governance (10) e alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori (11), pareri di carattere strategico (12) o ancora riguardanti un quadro geografico più ampio dell’Unione europea e che trattano segnatamente degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) (13), degli accordi di libero scambio (14) o del clima (15).

2.5.

Oltre all’attuazione del diritto in essere, che agevola la creazione di un mercato unico favorevole a una concorrenza libera e non falsata, degna della fiducia dei cittadini produttori o consumatori (un diritto che sia in grado di far valere norme elevate di qualità e sicurezza per la protezione delle popolazioni e del loro ambiente), appare indispensabile cercare di ovviare alle carenze della normativa attuale, garantendo, al tempo stesso, che l’Unione, nel quadro dei negoziati commerciali bilaterali o multilaterali, ottenga sistematicamente una normativa sociale e ambientale equivalente alla propria per i prodotti importati.

2.6.

In tale contesto, occorre pertanto considerare l’insieme delle osservazioni, delle raccomandazioni e delle conclusioni elencate nel presente parere esplorativo non come un rischio bensì come un’opportunità per orientare le nostre attività in modo da generare vantaggi, concorrenziali o cooperativi, che conferiscano senso e futuro sui piani economico, ambientale e sociale.

2.7.

Per concludere rammentiamo, che si tratti di aria, acqua o rifiuti, la necessità di evitare le disparità tra uno Stato membro e l’altro nell’applicazione del diritto europeo, che rischiano di generare distorsioni della concorrenza, disuguaglianze ambientali e sociali o ancora frontiere artificiali che intralciano la gestione delle risorse comuni e, per loro natura, transfrontaliere. Inoltre, per rafforzare l’insieme delle misure in essere e future, occorrerebbe altresì dotarsi dei mezzi per un’armonizzazione fiscale in materia di tasse sugli inquinamenti e le risorse, nonché rispondere alla necessità di calibrare meglio gli strumenti esistenti in funzione delle esternalità da coprire. Le politiche ambientali non devono più fungere da variabile di adeguamento, bensì trasformarsi in una considerevole leva di riorientamento strategico per le attività umane, artigianali, agricole e industriali nell’Unione e, grazie all’effetto del contagio positivo, affermarsi anche in seno alle altre regioni in cui si trovano i suoi partner politici e commerciali.

3.   Osservazioni particolari

3.1.   L’attuazione della normativa ambientale dell’Unione nel settore della qualità dell’aria

Insieme all’acqua, alla natura e ai rifiuti, la qualità dell’aria è uno dei settori che presentano il numero più elevato di casi d’infrazione. Nel maggio 2018 la Commissione ha adottato delle misure per rafforzare l’applicazione contro sei Stati membri che avevano violato le norme dell’UE sulla qualità dell’aria, deferendoli alla Corte di giustizia (16). Il CESE prende atto del fatto che la Commissione sta oggi svolgendo un controllo dell’adeguatezza sulla direttiva in materia di qualità dell’aria valutando i risultati delle direttive sulla qualità dell’aria ambiente nel periodo 2008-2018. In particolare, gli sforzi volti a migliorare l’attuazione della normativa in materia di qualità dell’aria esterna contribuirebbero all’OSS n. 11 riguardante le città sostenibili.

Per quanto concerne la qualità dell’aria, rammentiamo anche che l’inquinamento atmosferico produce effetti in tre ambiti:

1)

la salute, a un punto tale che l’inquinamento dell’aria interna ed esterna continua a costituire uno dei rischi principali nell’Unione europea (17) e altrove. Si tratta, addirittura, del principale rischio sanitario e ambientale su scala mondiale (18), con 6,5 milioni di decessi prematuri l’anno e un costo elevato per la società, per i sistemi sanitari, per l’economia e per tutti quelli la cui salute ne risulta colpita. In Europa, il numero di morti premature è valutato all’incirca a 400 000 l’anno, secondo una recente relazione della Corte dei conti europea dedicata all’inquinamento atmosferico, la quale osserva che la salute dei cittadini europei non sempre è protetta a sufficienza e che l’azione dell’UE non ha sortito gli effetti previsti;

2)

la biodiversità (effetti su colture, foreste ecc.);

3)

gli edifici attuali e, naturalmente, quelli storici, a loro volta collegati al settore del turismo.

3.1.1.   Aria interna

a)

Per migliorare la qualità dell’aria interna sarebbe opportuno, grazie all’etichettatura, informare il consumatore in merito alle emissioni dei prodotti acquistati, che si tratti, ad esempio, di materiali da costruzione, di prodotti per la decorazione, di arredi oppure di casalinghi. A tale scopo, dopo aver effettuato un raffronto delle normative dei suoi Stati membri, l’Unione si dovrebbe munire di un quadro coerente fondato sulle attuali migliori pratiche.

b)

Trascorsa la fase di costruzione e di consegna di un edificio, occorrerebbe istituire un obbligo di manutenzione e regolare sorveglianza della qualità della ventilazione. Tale monitoraggio degli edifici a lungo termine avrebbe evidentemente ripercussioni positive non solo sul piano sanitario, ma anche a livello energetico.

c)

Al fine di proteggere le categorie vulnerabili della popolazione, il cui apparato respiratorio è indebolito o in fase di sviluppo e necessita di una qualità dell’aria migliore, sarebbe opportuno anche attuare piani d’azione a tale scopo nelle strutture destinate ad accogliere il pubblico e, più specificamente, i bambini in tenera età.

d)

Infine, sarebbe utile armonizzare le pratiche in materia di depurazione dell’aria. L’Unione dovrebbe dare una definizione dei criteri per misurarne l’efficacia e l’innocuità, in particolare per evitare qualsiasi deriva commerciale o persino sanitaria, indotta dalla relativa assenza di norme al giorno d’oggi.

3.1.2.   Aria esterna

a)

Per migliorare la qualità dell’aria e aumentare la fiducia tra cittadini e istituzioni europee, non soltanto occorrerebbe attuare più seriamente la normativa vigente e sanzionarne più severamente le violazioni, ma sarebbe altresì opportuno che le norme stabilite nelle direttive europee tenessero finalmente conto delle raccomandazioni mancanti dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) nei casi in cui queste ultime offrono una maggiore protezione per la salute delle popolazioni.

b)

Oggi vengono monitorati unicamente i particolati PM10 e PM2,5 (scala del micrometro). Tuttavia, in termini sanitari, alcuni tipi di particolato ultrafine (PUF) producono molti più effetti sulla salute (nanoscala) in quanto penetrano molto più in profondità nel corpo umano e possono accumularsi negli organi vitali. Sarebbe pertanto necessario che la normativa europea tenesse conto di questa realtà e prevedesse un monitoraggio di tale particolato, affinché la sua presenza nell’aria sia anch’essa ridotta progressivamente.

c)

Si dovrebbe agire allo stesso modo per gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e per diverse altre sostanze inquinanti non ancora oggetto di monitoraggio, in specie quelle legate agli inceneritori, ai trasporti via nave, ai veicoli terrestri, ai macchinari per l’edilizia ecc., tanto più che il continuo progredire delle conoscenze scientifiche e delle capacità tecniche consentirebbe di ottenere già da ora una miglior protezione della salute e degli ecosistemi.

d)

A tal fine, la direttiva sui limiti nazionali di emissione (LNE) (19) è di primaria importanza per fare in modo gli Stati membri riducano le loro emissioni di sostanze inquinanti atmosferiche. Nondimeno, essa propone soltanto misure indicative, in base al principio di sussidiarietà, per far sì che gli Stati membri rispettino gli impegni di riduzione delle emissioni. La flessibilità di attuazione che offre rende tale normativa decisamente troppo debole.

e)

Un altro punto da migliorare risiede nel fatto che tale direttiva non abbia proposto un obiettivo di riduzione delle emissioni di metano, una sostanza inquinante atmosferica che è essenziale in quanto precursore dell’ozono, nonché un potente gas a effetto serra.

f)

Al fine di garantire un’armonizzazione tra le diverse normative europee, la politica agricola comune (PAC) dovrebbe introdurre obiettivi sull’inquinamento atmosferico proveniente dal settore agricolo. Ad esempio, quest’ultimo è responsabile di oltre il 95 % delle emissioni d’ammoniaca, un inquinante che rientra nella direttiva LNE. Affinché gli Stati membri conseguano i loro obiettivi di riduzione in materia, la PAC dovrebbe offrire strumenti adeguati.

g)

Si rammenta infine che la quantificazione degli inquinanti è attualmente basata sul loro peso (in μg/m3), benché, da parecchi anni, i tossicologi sottolineino nelle riunioni scientifiche che sarebbe preferibile quantificarli in numero di particelle. Un simile approccio è ancor più sensato quando ci si interessa agli elementi ultrafini che si respirano (20).

3.2.   L’attuazione della normativa ambientale dell’Unione europea nel settore delle acque

In ordine alla questione dell’acqua, sottolineiamo fin da subito che la direttiva quadro in materia risulta globalmente soddisfacente ma che la sua attuazione rimane insoddisfacente e che la maggior parte degli Stati membri non è riuscita a creare il buono stato ecologico atteso nel 2015. Lo stesso accade per quanto riguarda Natura 2000, dato un generalizzato fallimento dello strumento contrattuale. Possono essere apportate diverse migliorie e novità, legate in specie ai progressi scientifici relativi, da un lato, al funzionamento dei terreni e, dall’altro, alla dispersione e all’interazione di talune sostanze inquinanti. Vi ritorneremo in seguito. I progressi nell’attuazione della legislazione dell’UE in materia di acqua permetterebbero di conseguire diversi traguardi connessi all’obiettivo di sviluppo sostenibile n. 6 sull’acqua pulita e i servizi igienico-sanitari.

Uno dei settori più critici legati all’acqua è l’attuazione della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, nel cui ambito esistono forti differenze in termini di conformità tra gli Stati membri, a causa di una combinazione di questioni di governance e finanziamenti. Malgrado la Commissione abbia compiuto sforzi considerevoli nel corso dell’attuale mandato, esistono ancora notevoli esigenze di finanziamento in questo settore, nonché problemi legati alla governance che devono essere risolti. Sulla base della comprovata esperienza in materia di gestione dei rifiuti solidi, dovrebbero essere messe a punto nuove modalità per rendere i produttori responsabili del finanziamento del trattamento supplementare delle acque reflue teso a catturare gli inquinanti emergenti, quali i prodotti farmaceutici e le microplastiche.

3.2.1.   Acque di superficie

a)

Per migliorare la situazione delle acque di superficie e anche per evitare regressi del diritto e della governance in materia d’ambiente, sarebbe preferibile definire talune nozioni quali, ad esempio, quelle di «continuità ecologica», di «corso d’acqua» e di «zona umida». Ad esempio, è indispensabile che le norme di caratterizzazione delle zone umide siano specificate a livello europeo, tenendo presente che l’unico approccio che si basa sulla finalità della protezione è troppo complesso per essere correttamente recepito nel diritto interno, almeno in taluni Stati membri.

b)

Del pari, sarebbe utile disporre di un quadro unificato che consenta uno svolgimento delle valutazioni chiaro e condiviso dall’insieme degli attori interessati dall’attuazione del diritto in materia.

c)

Che si tratti di nanoparticelle, ad esempio quelle emesse dalle industrie tessili e agroalimentari, oppure di disgregatori endocrini, ad esempio quelli emessi dall’industria farmaceutica e dall’agricoltura, sarebbe opportuno ridurne alla fonte la diffusione nell’ambiente e stabilire dei limiti da non oltrepassare nelle acque di superficie e in quelle sotterranee, visto il loro impatto sugli ecosistemi e, in particolare, sulle catene trofiche che includono gli esseri umani. A tale scopo, sarebbe opportuno dotarsi finalmente dei mezzi per determinare, anche a termine, delle soglie relative all’«effetto cocktail» tra tali sostanze, le varie sostanze già sorvegliate e i loro sottoprodotti di degrado.

3.2.2.   Acque sotterranee

a)

Riguardo alla normativa sull’acqua, le disposizioni relative al recupero dei costi indotti da parte delle diverse categorie di utenti, all’internalizzazione delle esternalità e ad una tariffazione conforme ai costi, quali definite dalla direttiva che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque (21), non sono né abbastanza vincolanti né sufficientemente precise per poter produrre un effetto adeguato.

b)

Con il cambiamento climatico, la ricarica delle falde acquifere sotterranee può diventare ancora più problematica perché, in certi luoghi, le pratiche urbanistiche o agricole portano a una forma indesiderabile di interruzione del ciclo dell’acqua, a causa dei terreni impermeabilizzati o con attività biologica troppo debole, che favoriscono il ruscellamento, l’erosione e le colate di fango anziché l’infiltrazione, la depurazione e lo stoccaggio naturali. Affinché tali fenomeni non si aggravino ulteriormente, l’Unione dovrebbe finalmente adottare una normativa a favore dei suoli vivi, che avrebbe altresì il vantaggio di rispondere nel contempo a problemi di qualità e quantità di acqua disponibile per gli ecosistemi, il consumo umano e le attività agricole e industriali.

c)

Tenuto conto del ruolo loro proprio nel provocare la pioggia mediante evapotraspirazione, come pure per filtrare, depurare e immagazzinare l’acqua nei terreni e nelle falde freatiche, le foreste e le siepi e anche, in misura minore, i prati permanenti e i terreni coltivati a lungo termine senza aratura dovrebbero essere oggetto di maggiore attenzione ed essere, per quanto possibile, presenti e distribuiti sull’insieme del territorio europeo: a maggior ragione perché rappresentano anche un aiuto non trascurabile per gli altri esseri viventi, compresi i numerosi organismi ausiliari alla coltura, a fronte dei picchi di calore e di altri eventi climatici estremi che si verificano con sempre maggiore frequenza.

3.2.3.   Direttiva che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque

Ai fini di una migliore attuazione della direttiva quadro sulle acque, risulterebbe opportuno modificarne il testo per taluni aspetti, già in parte menzionati, riguardo ai seguenti punti:

a)

lo status dell’acqua nel preambolo «l’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri» andrebbe sostituito con «l’acqua non è un prodotto commerciale».

b)

L’applicazione dei principi di prevenzione e di precauzione esige, tenuto conto dello stato delle acque in Europa, l’eliminazione di tutte le deroghe, ad esempio quelle che compaiono all’articolo 4, paragrafo 5, o all’articolo 7, paragrafo 4.

c)

A motivo dello stato delle acque, si deve esigere una valutazione ambientale per tutti i progetti che potrebbero nuocere all’acqua e agli ambienti acquatici. Occorrerebbe quindi eliminare la «procedura semplificata di valutazione» (articolo 16).

d)

Il principio «chi inquina, paga» dev’essere rivisto, segnatamente in merito alle sue modalità d’applicazione con:

una riformulazione dell’articolo 9: invece di: «gli Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l’analisi economica effettuata in base all’allegato III e, in particolare, secondo il principio “chi inquina paga”», si dovrebbe scrivere: «gli Stati membri applicano il recupero dei costi diretti e indiretti legati all’impatto delle attività umane sull’acqua, secondo il principio “chi inquina paga”»;

l’eliminazione delle eccezioni di cui all’articolo 9, paragrafo 4;

l’aggiunta di tutti gli ambiti, precisando i tre settori (agricoltura, industria, nuclei familiari) per i quali gli Stati fissano norme volte ad eliminare l’esternalizzazione dei costi. Una relazione annuale specificherebbe, per ogni settore, le modalità di attuazione di tale processo.

e)

Andrebbero anche sostituite tutte le formulazioni del tipo «assicurano che» o «provvedono affinché» con un obbligo reale (ad esempio, all’articolo 11, paragrafo 5, o all’articolo 14, paragrafo 1).

f)

Del pari, appare necessario abbassare le soglie degli inquinanti, anche in combinazione con altre direttive (come quelle sui nitrati, i prodotti chimici ecc.), e aggiornare le sostanze prioritarie (includendo, ad esempio, i composti perfluorurati, le nanotecnologie ecc.).

g)

È necessario migliorare la partecipazione del pubblico (articolo 14) per quanto concerne principalmente le programmazioni. Questa dev’essere ampliata ai programmi di misure di base e complementari, nonché a tutti i controlli amministrativi preliminari.

h)

A proposito del contenzioso (articolo 23), occorrerebbe aggiungere che, in applicazione della convenzione di Århus, gli Stati devono istituire norme e procedure che agevolino l’accesso del pubblico al contenzioso idrico.

3.3.   L’attuazione della normativa ambientale dell’Unione europea nel settore dei rifiuti

La valutazione d’impatto alla base della normativa sui rifiuti, di recente adozione, ha individuato svariati problemi di attuazione: giuridici/normativi, nonché questioni legate alla governance e alla sensibilizzazione. Le lacune nell’attuazione della direttiva quadro sui rifiuti sono spesso dovute alla mancanza di strumenti economici, ad esempio quelli che rendono il riciclaggio più attraente del deposito in discarica. Tuttavia, l’istituzione di strumenti economici di questo tipo può essere problematica per i comuni. In molti casi, gli enti locali non hanno la capacità di tradurre le misure e gli strumenti unionali a livello locale, il che è sintomo di un problema di governance. Anche il rispetto delle norme è un grave problema in svariati Stati membri. Il CESE prende atto del fatto che la Commissione, negli ultimi anni, ha lavorato insieme agli Stati membri per intervenire su tali lacune nell’attuazione, ad esempio fornendo assistenza tecnica e orientamenti specifici sugli aspetti da modificare mediante i due esercizi di promozione della conformità svolti nel 2012 e nel 2015.

Le proposte legislative sui rifiuti recentemente adottate dovrebbero risolvere alcuni dei problemi di attuazione e contribuire al conseguimento dell’OSS n. 12 (Produzione e consumo sostenibili), ma le questioni legate alla governance e all’applicazione devono ancora essere affrontate a livello nazionale. Di concerto con la Commissione, il CESE ha istituito una piattaforma delle parti interessate europee per l’economia circolare che ha già conseguito risultati significativi, facilitando la raccolta, lo scambio e la diffusione di esperienze e di buone pratiche esistenti tra le diverse parti interessate. La piattaforma costituisce uno strumento fondamentale che merita di essere utilizzato più ampiamente per promuovere l’attuazione della legislazione dell’UE in quest’ambito.

3.3.1.   Prevenzione dei rifiuti

a)

La recente revisione della politica in materia di rifiuti (22) è l’occasione per sostenere con vigore misure atte a ridurre le nostre esigenze alla fonte (comprese le esigenze di materie prime e di materie prime secondarie), nonché la generazione di futuri rifiuti, in particolare quelli di natura pericolosa per gli ecosistemi e la salute umana. Ciò significa che occorre mettere in discussione le nostre esigenze e le nostre produzioni, il modo di progettarle, di far durare la loro vita, poi di trasformarle con la minor perdita materiale possibile, poiché essa produce degli effetti, in generale, su ambiente, sovranità energetica e sostenibilità economica.

b)

Per poter parlare di «materiali sostenibili», anziché di «rifiuti», e di un’economia circolare, occorre, fin dalla progettazione delle nostre produzioni, eliminare i componenti che presentano una tossicità o una pericolosità tale da complicare una futura fase di riciclaggio.

c)

In materia d’imballaggi dovrebbe prevalere la sobrietà, e sarebbe utile evolversi al massimo, progressivamente e in modo obbligatorio, onde evitare qualsiasi distorsione della concorrenza, verso differenti sistemi di consegna e riutilizzo, già esistenti o ancora da mettere a punto.

d)

La prevenzione dei rifiuti passa anche per la capacità delle nostre società di riutilizzare e riparare le nostre produzioni. A tal fine sarebbe necessaria una normativa europea ambiziosa che stabilisca obiettivi obbligatori da raggiungere, anziché limitarsi a misure di carattere volontario.

e)

Al fine di sganciare lo sviluppo economico dal consumo delle risorse naturali e dalle ripercussioni ambientali che ne derivano, è necessario che l’Unione si ponga obiettivi più ambiziosi al fine di accrescere l’efficacia dell’utilizzo delle risorse nei nostri sistemi produttivi.

3.3.2.   Gestione dei rifiuti

a)

Per guadagnare e conservare la fiducia della popolazione, sia dei produttori che dei consumatori, occorre che l’economia circolare, tenendo regolarmente conto delle conoscenze scientifiche più recenti, si premunisca contro qualsiasi scandalo futuro, segnatamente sanitario, che potrebbe essere legato alla concentrazione o alla dispersione di inquinanti nei materiali riciclati (bromo o disgregatori endocrini, ad esempio) o nell’ambiente (nanomateriali o microplastiche).

b)

Un simile approccio sarà ancor più credibile ed efficace quando, per migliorare il tasso di riciclaggio di tutti i tipi di materiali, sarà stata messa in atto una tracciabilità dei loro componenti fin dalla fase della produzione e sarà stata garantita la maggiore trasparenza possibile fino al loro incontro con il consumatore.

c)

Lo stesso livello di protezione della salute umana e dell’ambiente deve quindi applicarsi ai materiali riciclati o ai materiali vergini all’interno dell’Unione europea. Nei materiali riciclabili non si dovrebbe permettere che perduri l’utilizzo di prodotti chimici pericolosi in concentrazioni più elevate. Di conseguenza, all’atto della restrizione e della fissazione di limiti per i prodotti chimici nell’ambito del regolamento REACH (23), l’Agenzia europea per i prodotti chimici dovrebbe fissare gli stessi limiti per i materiali riciclati. I materiali che non rispettino i suddetti limiti devono essere trattati in modo tale che la sostanza sia rimossa o resa inammissibile per il riutilizzo o il riciclaggio.

d)

Al di là della progettazione ecocompatibile alla quale gli smartphone e altri prodotti elettrici ed elettronici dovrebbero essere sottoposti, è necessario che l’Unione sviluppi e adotti anche una politica di gestione dei suoi rifiuti degna di tale nome sul suo territorio, anziché lasciare che questi prendano la via dell’estero.

e)

Se si tiene conto dell’analisi del ciclo di vita (ACV), tutte le opzioni di riciclaggio sono superiori all’incenerimento (in specie a causa dell’energia incorporata, nelle materie plastiche, ad esempio), ad eccezione del legno in alcuni casi particolari, nonché di alcuni prodotti/materiali di scarto pericolosi. Tale pratica, alla stregua dell’interramento, deve progressivamente scomparire e devono essere stabiliti obiettivi ambiziosi in tal senso.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere sul tema Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali dell’UE, (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 114).

(2)  Cfr. nota a piè di pagina 1.

(3)  Parere sul tema Azioni dell’Unione europea volte a migliorare la conformità e la governance ambientali, (GU C 283 del 10.8.2018, pag. 83).

(4)  Cfr. nota a piè di pagina 3.

(5)  COM(2018) 10 final.

(6)  Pareri su Un programma «Aria pulita per l’Europa» (NAT/634) (GU C 451 del 16.12.2014, pag.134), e su Liberare l’UE dall’amianto (CCMI/130), (GU C 251 del 31.7.2015, pag. 13).

(7)  Pareri su Un piano d’azione per la natura, i cittadini e l’economia, (GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 90), sulla Governance internazionale degli oceani: un’agenda per il futuro dei nostri oceani, (GU C 209 del 30.6.2017, pag. 60), e sulla Qualità delle acque destinate al consumo umano, (GU C 367 del 10.10.2018, pag. 107).

(8)  Pareri sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche, (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 110); sulle possibili soluzioni all’interazione tra la normativa in materia di sostanze chimiche, prodotti e rifiuti, (GU C 283 del 10.08.2018, pag. 56); su Una strategia europea per la plastica nell’economia circolare (compreso il trattamento dei rifiuti delle navi), (GU C 283 del 10.08.2018, pag. 61); sul ruolo della termovalorizzazione nell’economia circolare, (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 102); sul pacchetto sull’«economia circolare» (NAT/676), (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98).

(9)  Parere sul tema Accesso alla giustizia in materia ambientale, (GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 65).

(10)  Cfr. note a piè di pagina 1 e 3.

(11)  Parere sul tema Un «New Deal» per i consumatori, (GU C 440 del 6.12.2018, pag. 66).

(12)  Pareri su La transizione verso un futuro europeo più sostenibile — Una strategia per il 2050, (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 44), e su Nuovi modelli economici sostenibili, (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 57).

(13)  Pareri su Agenda 2030 — Un’Unione europea impegnata a favore dello sviluppo sostenibile a livello globale, adottato il 20 ottobre 2016, (GU C 34 del 2.2.2017, pag. 58), e su Il ruolo fondamentale del commercio e degli investimenti nel conseguire e attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile, (GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 27).

(14)  Parere sui Capitoli sul commercio e sullo sviluppo sostenibile (CSS) negli accordi di libero scambio (ALS) dell’UE, (GU C 227 del 28.6.2018, pag. 27).

(15)  Pareri su Il protocollo di Parigi — Piano particolareggiato per la lotta contro il cambiamento climatico oltre il 2020, (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 74), e sulla Giustizia climatica, (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 22).

(16)  http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-3450_it.htm.

(17)  Secondo l'Agenzia europea dell'ambiente.

(18)  Secondo l'OMS.

(19)  Direttiva LNE.

(20)  https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0048969711005730?via%3Dihub.

(21)  Direttiva quadro sulle acque.

(22)  http://ec.europa.eu/environment/waste/target_review.htm.

(23)  Regolamento REACH — Regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 396 del 30.12.2006, pag. 1, come rettificato nella GU L 136 del 29.5.2007, pag. 3).


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

539a sessione plenaria del CESE, 12.12.2018 – 13.12.2018

22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un settore europeo del commercio al dettaglio adeguato al 21o secolo»

[COM(2018) 219 final/2]

(2019/C 110/07)

Relatore:

Ronny LANNOO

Correlatore:

Gerardo LARGHI

Consultazione

Commissione europea, 18.6.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

21.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

171/3/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace della comunicazione della Commissione sulla modernizzazione del settore del commercio al dettaglio e ribadisce l’importanza economica e sociale di questo settore per tutte le parti interessate e per la società nel suo insieme (1). Il CESE ricorda di aver già raccomandato in precedenti pareri la creazione di un contesto economico aperto, volto a garantire una concorrenza leale, a generare le condizioni per la coesistenza positiva e la cooperazione tra le imprese di vendita al dettaglio di piccole, medie e grandi dimensioni e le microimprese.

1.2.

La difesa e la promozione della diversità nel settore del commercio al dettaglio è cruciale per rispondere alle necessità dei consumatori e per difendere e valorizzare il sistema produttivo europeo. Per questo motivo il CESE ritiene necessario contemperare gli interventi in favore della grande distribuzione, ben specificati all’interno della comunicazione, con interventi volti a soddisfare le esigenze delle piccole e microimprese.

1.3.

Il CESE osserva nella proposta della Commissione un’attenzione eccessiva al «prezzo» quale elemento di maggiore interesse per i consumatori, a scapito di altri aspetti fondamentali come l’informazione, la qualità e la personalizzazione del prodotto, la prossimità, la mobilità, l’economia circolare e la durabilità, il rapporto qualità-prezzo e il servizio ricevuto prima o dopo l’acquisto. La diversificazione dei prodotti dovrebbe essere adeguatamente tutelata dalla Commissione nell’interesse di tutte le parti coinvolte.

1.4.

Il Comitato ritiene che il tema del diritto di stabilimento debba essere affrontato secondo il principio di sussidiarietà e che la concertazione su scala nazionale, regionale e territoriale sia lo strumento più idoneo per rispondere alle esigenze di tutti gli stakeholder coinvolti.

1.5.

Il CESE, in particolare, pensa che alcuni blocchi alla libertà di stabilimento e determinate restrizioni operative, così come oggi presenti in taluni Stati membri, rappresentino un limite alla creazione di nuove attività, ma che la completa liberalizzazione non garantisca il necessario equilibrio tra le grandi aziende, le piccole imprese e le imprese a gestione familiare.

1.6.

Il Comitato ritiene che le disposizioni regolamentari nazionali sugli orari di apertura degli esercizi e sull’orario di lavoro siano cruciali per assicurare condizioni di parità tra le imprese di diverse dimensioni e soprattutto per garantire un’adeguata protezione sociale sia ai lavoratori autonomi che ai lavoratori dipendenti, tenendo conto anche dei cambiamenti nelle abitudini dei consumatori.

1.7.

Il CESE ribadisce che la concertazione su base nazionale o territoriale è il metodo migliore per stabilire i giorni e gli orari di apertura in modo da trovare una sintesi condivisa tra le necessità dei consumatori di avere accesso a determinati prodotti e servizi e il desiderio di determinate aziende di aprire nei giorni festivi, garantendo al tempo stesso un equilibrio tra tempi di vita e di lavoro per imprenditori e dipendenti, e prevedendo una disponibilità di tempo da dedicare alla formazione.

1.8.

Il CESE segnala altresì, in linea con il Pilastro sociale, la necessità di un’equa retribuzione e qualità del lavoro da garantire ai dipendenti del settore sia online che offline. In modo particolare si segnala il caso dei contratti di lavoro di migliaia di lavoratori per aziende online che ancora non sono coperti dalla contrattazione collettiva, così come i contratti previsti in grandi esercizi commerciali che mirano a coprire solo l’affluenza di clienti per gli acquisti del fine settimana (con un conseguente incremento dei contratti precari) o che non prevedono il calcolo di straordinari per il lavoro prestato nel fine settimana o negli orari notturni. Infine, a giudizio del CESE, la creazione di un meccanismo efficiente di dialogo sociale che coinvolga anche le piccole e micro imprese offrirebbe alle aziende migliori opportunità di sviluppo e ai lavoratori un più adeguato sistema di tutele.

1.9.

Il Comitato concorda con la Commissione sulla necessità di stimolare e sostenere i processi di innovazione del settore del commercio al dettaglio, la formazione continua per datori di lavoro e lavoratori e la promozione del prodotto in un’ottica di lungo periodo. Tuttavia, ritiene che la proposta della Commissione debba essere completata con una tabella di marcia che accompagni tale processo nel quadro della transizione digitale con appositi finanziamenti e un’attenzione particolare per le piccole e le micro imprese, in collaborazione con le organizzazioni rappresentative delle PMI.

1.10.

Il CESE invita le autorità a tutti i livelli ad impegnarsi in una stretta collaborazione con tutte le parti interessate al fine di elaborare un piano d’azione specifico sul futuro del commercio al dettaglio in Europa nel 21o secolo (in ambiti quali l’informazione, la formazione, il finanziamento e le buone pratiche ecc.).

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1.

La comunicazione è intesa a contribuire a sbloccare il potenziale del settore del commercio al dettaglio per l’economia dell’UE, individuando le buone pratiche del settore. Le istituzioni dell’UE e gli Stati membri devono dunque adoperarsi per sostenere la competitività del settore in un momento in cui esso sta attraversando un processo di trasformazione dovuto alla rapida ascesa del commercio elettronico e alle mutate abitudini dei consumatori.

2.2.

Perché il mercato unico possa funzionare bene è necessario intraprendere azioni appropriate a tutti i livelli. La produttività del settore europeo del commercio al dettaglio non mantiene il passo con quella di altri settori. Ciò è dovuto all’accumulo di regolamentazioni imposte a tutti i livelli e ad un ritardo nella transizione verso il mercato digitale.

2.3.

I dettaglianti devono far fronte a numerose restrizioni in termini di stabilimento di punti vendita e in termini operativi. Molte di queste restrizioni sono giustificate da legittimi obiettivi di ordine pubblico, ma possono anche creare ostacoli per le start-up e la produttività.

2.4.

L’apertura di nuovi esercizi commerciali è un elemento cruciale per la vitalità del settore. È importante poter adottare delle strategie di accesso al mercato che combinino una presenza online e offline. Procedure di stabilimento semplici, trasparenti ed efficienti offrono al settore del commercio al dettaglio opportunità di migliorare la propria produttività.

2.5.

La Commissione raccomanda agli Stati membri di verificare e ammodernare, se necessario, i propri quadri normativi, ispirandosi, ove opportuno, a buone prassi già sviluppate in altri Stati membri.

2.6.

Di norma, le restrizioni operative interessano principalmente i dettaglianti con punti di vendita fisici. Le autorità pubbliche dovrebbero valutare l’equilibrio, la proporzionalità e l’efficienza di tali restrizioni per garantire la parità di condizioni con il commercio elettronico.

2.7.

I costi di conformità sono compresi tra lo 0,4 % e il 6 % del fatturato annuale dei rivenditori al dettaglio. Si tratta di un onere particolarmente gravoso per le microimprese. Per favorire lo sviluppo del settore del commercio al dettaglio a beneficio dei consumatori è richiesto un approccio ampio, che preveda la semplificazione dei quadri normativi, l’assicurazione che essi siano adeguati a un contesto multicanale nonché la riduzione delle misure e delle procedure eccessivamente onerose e costose imposte ai dettaglianti a garanzia del rispetto di tali norme.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace del tentativo della Commissione di ammodernare il settore del commercio al dettaglio per far fronte alle nuove sfide derivanti dalla digitalizzazione e dal commercio elettronico.

3.2.

Il CESE, nei suoi precedenti pareri ed in particolare nel parere INT/682 in merito al Piano d’azione europeo per il commercio al dettaglio (2), ha già raccomandato la creazione di un contesto economico aperto volto a garantire una concorrenza leale tra soggetti delle stesse dimensioni. In particolare, l’UE dovrebbe creare le condizioni per la diversità, la coesistenza positiva e la cooperazione tra le imprese di vendita al dettaglio online e offline di piccole, medie e grandi dimensioni e le microimprese. La promozione della diversità nel settore europeo del commercio al dettaglio è un’ottima soluzione per rispondere alle variegate necessità dei consumatori ma anche per difendere e valorizzare il sistema produttivo europeo.

3.3.

Il CESE osserva che la proposta della Commissione riserva un’attenzione eccessiva al «prezzo» quale elemento di maggiore interesse per i consumatori, laddove l’obiettivo principale dovrebbe essere la messa a disposizione dei consumatori di informazioni accurate (consapevolezza dei consumatori). Quando acquistano un prodotto, i consumatori dovrebbero sentirsi liberi di tener conto anche di altri elementi tra cui la qualità del prodotto, la personalizzazione, la durabilità, la mobilità dei consumatori, la prossimità, il rapporto qualità-prezzo, il servizio ricevuto prima o dopo l’acquisto, l’impatto sull’economia circolare e i criteri ambientali. La diversificazione dei prodotti è un valore aggiunto per i settori produttivi e del commercio al dettaglio dell’UE e dovrebbe essere adeguatamente tutelata dalla Commissione (3).

3.4.

Il CESE ritiene che l’approccio adottato dalla Commissione sia sbilanciato a favore della grande distribuzione e considera importante un suo bilanciamento con le esigenze delle piccole e microimprese. In particolare, il Comitato ritiene che occorra garantire la coesistenza tra le grandi aziende e le microimprese e le imprese a gestione familiare.

3.5.

Il CESE conviene che talune limitazioni al diritto di stabilimento e restrizioni operative attuate in alcuni Stati membri potrebbero costituire una barriera alla creazione di nuove imprese e alla loro espansione. Tuttavia, ritiene che una piena liberalizzazione del diritto di stabilimento non sarebbe una panacea. Inoltre, a tal proposito, occorrerebbe rispettare il principio di sussidiarietà, ricorrendo alla concertazione nazionale, regionale e locale per trovare risposte adeguate alle esigenze dei territori e di tutti i soggetti interessati.

3.6.

Il CESE non conviene con la Commissione sulla sua lettura negativa della sentenza Visser. Secondo il Comitato, tale causa conferma la finalità del legislatore con riguardo alla direttiva servizi: essa codifica la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che riguarda la libertà di stabilimento e vieta solo alcuni requisiti, ad esempio la verifica della necessità economica, ma riconosce che «l’obiettivo di protezione dell’ambiente urbano può costituire un motivo imperativo di interesse generale tale da giustificare una restrizione territoriale». È importante conseguire un equilibrio tra queste necessità in base ai principi di proporzionalità e sussidiarietà.

3.7.

Contestualmente, nel percorso che conduce alla creazione di un Mercato Unico europeo, il CESE evidenzia come si possa fare molto per semplificare le procedure per l’avvio di un’attività d’impresa e per rendere trasparenti ed uniformi dette procedure pur rispettando i vincoli esistenti su scala territoriale stabiliti in base al principio di sussidiarietà.

3.8.

Il CESE considera essenziale mantenere e tutelare alcuni specifici contesti economici, soprattutto se pertinenti per la conservazione del patrimonio storico e artistico nazionale, per gli obiettivi di politica sociale e per le finalità di politica culturale; un approccio diverso potrebbe avere un impatto dirompente sulle comunità locali e sui consumatori (4).

3.9.

In linea generale, il CESE ritiene che l’espansione transfrontaliera, l’aumento di dimensioni e il commercio elettronico dovrebbero essere considerati opzioni serie, e che le imprese, in coordinamento con le rispettive organizzazioni, dovrebbero essere sostenute in tale processo. Tuttavia, in linea con l’interesse principale dei consumatori (distribuzione e servizio multicanale), è anche del parere che questo non possa essere considerato un obbligo o comunque l’unico modo in cui tutte le imprese possono crescere. Per questo è fondamentale stimolare e sostenere i processi di innovazione, formazione e promozione del prodotto in un’ottica di lungo periodo, accompagnando con appositi finanziamenti le piccole e le micro imprese e le rispettive organizzazioni rappresentative.

3.10.

Una politica efficiente per il settore del commercio al dettaglio deve conseguire un equilibrio tra la redditività e l’efficienza rispetto all’ubicazione. I fattori di (medio) lungo termine devono essere presi in considerazione specialmente per quanto riguarda i negozi fisici e il loro legame con gli sviluppi attuali e con quelli che eventualmente riserverà il futuro (alloggi, servizi disponibili ecc. e, quindi, con gli attuali centri cittadini e quartieri urbani). Il CESE è del parere che la Commissione dovrebbe completare la proposta, di concerto con le organizzazioni nazionali e regionali competenti, introducendo misure strutturali al fine di includere i fattori di sviluppo territoriale per le comunità locali e i centri delle città (zone turistiche, piani territoriali locali, regolamentazioni in materia di edilizia, condizioni ecc.).

3.11.

Il Comitato ritiene che le disposizioni regolamentari nazionali sugli orari di apertura degli esercizi e sull’orario di lavoro, tenuto conto delle nuove soluzioni tecnologiche, siano cruciali per assicurare condizioni di parità tra le imprese di diverse dimensioni e che, soprattutto, siano uno strumento essenziale per la protezione sociale dei lavoratori autonomi e dipendenti.

3.12.

Il CESE ribadisce che la concertazione su base nazionale o territoriale con le organizzazioni interessate è il metodo migliore per stabilire i giorni e gli orari di apertura. È infatti di cruciale importanza trovare una sintesi condivisa tra le necessità dei consumatori di avere accesso a determinati prodotti e servizi e il desiderio di determinate aziende di aprire nei giorni festivi o in orari serali, così come tutelare il bisogno di riposo per i proprietari di microimprese e i loro dipendenti, mantenendo un equilibrio tra tempi di vita e di lavoro, ma anche una disponibilità di tempo da dedicare alla formazione.

3.13.

Il CESE segnala altresì, in linea con il Pilastro sociale, la necessità di un’equa retribuzione e qualità del lavoro da garantire ai dipendenti del settore sia online che offline. In modo particolare si segnala il caso dei contratti di lavoro di migliaia di lavoratori per aziende online che ancora non sono coperti dalla contrattazione collettiva, così come i contratti previsti in grandi esercizi commerciali che mirano a coprire solo l’affluenza di clienti per gli acquisti del fine settimana (con un conseguente incremento dei contratti precari) o che non prevedono il calcolo di straordinari per il lavoro prestato nel fine settimana o negli orari notturni. Infine, a giudizio del CESE, la creazione di un meccanismo efficiente di dialogo sociale che coinvolga anche le piccole e micro imprese offrirebbe alle aziende migliori opportunità di sviluppo e ai lavoratori un più adeguato sistema di tutele.

3.14.

Il CESE si compiace della raccomandazione, rivolta agli enti pubblici, di facilitare l’adozione delle tecnologie digitali da parte delle piccole imprese. Tuttavia, questa non può essere l’unica opzione. I punti vendita tradizionali restano un elemento essenziale, non solo per la crescita dell’UE ma anche per quanto riguarda la coesione sociale, segnatamente nelle comunità locali e per i consumatori digitali non nativi. Ecco perché il commercio online e quello offline dovrebbero coesistere. In tale contesto, il Comitato è del parere che la Commissione sottovaluti le difficoltà con cui si confrontano le piccole imprese e le microimprese quando si tratta di partecipare al commercio elettronico e di trarre vantaggio da tale tipo di commercio.

3.15.

Il CESE concorda con la Commissione sulla necessità di una formazione di qualità per i datori di lavoro che vogliono partecipare in maggior misura al commercio elettronico. Tuttavia, il Comitato ritiene anche che la situazione sia più complessa e che le PMI, specialmente le piccole imprese e le microimprese, affrontino sfide molteplici, dovendo ad esempio a) cambiare e adattare la loro organizzazione interna, b) acquisire conoscenze di lingue straniere, c) ottenere e comprendere le informazioni giuridiche e amministrative, d) stabilire un sistema di consegne efficiente e competitivo, e) superare il dumping fiscale e sociale a livello dell’Unione (frodi dell’IVA, contraffazione ecc.). Per questo motivo, il CESE esorta la Commissione e gli Stati membri a sostenere le PMI e le rispettive organizzazioni nella transizione verso il commercio elettronico, adottando un approccio ampio che tenga conto di tutte le condizioni necessarie per la creazione di imprese online di successo.

3.16.

Il CESE ritiene che il commercio elettronico potrebbe rappresentare un’opzione rilevante per molte piccole e medie imprese. Peraltro, la Commissione sottolinea di aver pubblicato di recente proprio la prima proposta tesa a disciplinare le relazioni tra piattaforme e imprese nel mercato digitale. Questo provvedimento è incentrato sulla trasparenza, anche se non tiene conto di alcune pratiche abusive frequenti che intralciano la concorrenza leale (ad esempio le clausole relative alla parità di prezzo, il dumping fiscale, la tassazione variabile ecc.) tra gli utenti commerciali e le grandi piattaforme online (5). Per questo motivo, il Comitato raccomanda alla Commissione di creare condizioni di parità per la concorrenza leale nel mercato digitale.

3.17.

Secondo il CESE, occorrono diverse misure per creare, a favore del settore del commercio al dettaglio, e in particolare delle PMI e delle microimprese quali maggiori creatori netti di posti di lavoro, le condizioni necessarie per contrastare la mancata corrispondenza tra domanda e offerta di competenze: consolidare la determinazione e l’anticipazione della domanda di competenze, orientamento compreso; migliorare i risultati dell’istruzione e della formazione in base alle necessità del mercato del lavoro, compresa la promozione dell’istruzione e formazione professionale; migliorare le condizioni quadro per coniugare meglio l’offerta e la domanda; fornire maggiore sostegno per le necessità di formazione delle PMI e delle microimprese.

3.18.

Il CESE si compiace dell’attenzione che la Commissione riserva al costo della conformità specialmente per le piccole imprese, nonché del fatto che essa sottolinea che non vi è sufficiente consapevolezza delle specificità del settore.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il Comitato invita la Commissione ad affrontare il problema, ogni giorno più serio, della desertificazione dei centri cittadini e delle conseguenze sociali e ambientali di tale fenomeno. La vivibilità dei centri urbani grandi e piccoli dipende anche dalla sopravvivenza di tante piccole e microimprese (negozi di prossimità) che rispondono alle esigenze di molti consumatori ma che rischiano di essere schiacciate dalla crescente concentrazione dei grandi gruppi di distribuzione.

4.2.

Il CESE si rammarica dell’assenza di qualunque riferimento a un settore del commercio al dettaglio sostenibile e al ruolo che le piccole imprese e le microimprese di commercio al dettaglio potrebbero svolgere in tal senso. È invece necessario un quadro più favorevole affinché tali imprese siano consapevoli del nesso tra scelte sostenibili e competitività e dispongano di informazioni e assistenza tecnica su misura, come pure dei necessari sistemi di credito per realizzare le possibili migliorie. Data la loro debole posizione in termini di capacità di influenzare consumatori e produttori, alle piccole imprese e alle microimprese di commercio al dettaglio non si dovrebbero imporre scelte già fatte.

4.3.

Nella comunicazione non viene riservata attenzione alcuna alle frizioni esistenti nelle relazioni contrattuali tra le imprese, ad esempio i contratti di franchising non equilibrati, i ritardi nei pagamenti e le pratiche commerciali sleali. In particolare, la crescente concentrazione di potere nelle mani dei grandi dettaglianti in Europa solleva grandi problemi (6). Per far fronte alle distorsioni della concorrenza e garantire la competitività, la comunicazione avrebbe dovuto tener conto di entrambe le questioni.

4.4.

Il CESE, come già sottolineato nel parere Un «New Deal» per i consumatori, raccomanda alla Commissione di definire e attuare un sistema efficace di risoluzione delle controversie che permetta di gestire situazioni derivanti dall’abuso di potere economico e da pratiche che distorcono la concorrenza.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Fatturato nel 2016: 9 864 468,4 milioni di EUR; numero di imprese (nel 2015): 6 205 080; valore della produzione (nel 2015): 2 687 115 milioni di EUR. Nel 2016 il settore occupava 33 399 447 persone, delle quali 27 892 082 erano lavoratori dipendenti.

(2)  GU C 327 del 12.11.2013, pag. 20.

(3)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 165.

(4)  Cfr nota a piè di pagina 2.

(5)  GU C 440, del 06.12.2018, p. 177.

(6)  Cfr nota a piè di pagina 3.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Relazione sulla politica di concorrenza 2017»

[COM(2018) 482 final]

(2019/C 110/08)

Relatrice:

Baiba MILTOVIČA

Consultazione

Commissione europea, 05/09/2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

21/11/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

188/1/9

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE si compiace dello stile conciso e della scelta dei punti focali della relazione 2017, che è accompagnata da un ampio documento di lavoro dei servizi della Commissione. Una politica di concorrenza efficace e di cui si fa rispettare l’applicazione è il fondamento di un’economia di mercato sostenibile. Essa può garantire parità di condizioni per i produttori di beni e servizi, rassicurare i consumatori, stimolare la concorrenza e portare alla realizzazione di obiettivi sociali essenziali, come la libertà di scelta dei consumatori, nonché di obiettivi politici, come il benessere dei cittadini europei e la promozione dell’integrazione del mercato europeo. Essa svolge un ruolo importante anche con riferimento ai paesi terzi sostenendo dinamiche imprenditoriali, ambientali e sociali positive nel commercio internazionale.

1.2.

La relazione del 2017 pone un forte accento sul rispetto e sull’applicazione e fornisce esempi di azioni decise intraprese dalla Commissione. I consumatori e le piccole e medie imprese sono spesso svantaggiati dalle grandi imprese che possono abusare della loro posizione dominante sul mercato e pertanto le misure che contrastano le pratiche anticoncorrenziali sono particolarmente apprezzate.

1.3.

L’espansione dell’attività anticoncorrenziale nei mercati dell’UE ha fatto registrare lo sviluppo costante delle autorità nazionali garanti della concorrenza (ANC) come importanti organismi di applicazione del diritto della concorrenza. La direttiva ECN+, che conferisce alle ANC strumenti per aumentarne l’efficacia, rafforza la capacità nazionale in questo settore.

1.4.

Il rafforzamento dell’autonomia delle ANC e la messa a loro disposizione di risorse adeguate sono fondamentali. Vera autonomia, competenza e formazione sono tutte qualità necessarie per un lavoro efficace e la direttiva ECN+ dovrebbe essere attentamente monitorata per valutare se l’obiettivo sia raggiunto. Si dovrebbe incoraggiare l’azione preventiva per evitare comportamenti anticoncorrenziali e le sanzioni andrebbero aumentate in modo da costituire un deterrente efficace.

1.5.

Il CESE appoggia la Commissione in materia di applicazione di diritto privato delle regole di concorrenza e sostiene che le azioni collettive dovrebbero essere facilitate dai sistemi giuridici di tutti gli Stati membri. La Commissione dovrebbe continuare a monitorare l’efficacia dei meccanismi di ricorso collettivo per violazioni del diritto della concorrenza nei vari Stati membri e adottare ulteriori provvedimenti se necessario. A tale riguardo, la proposta della Commissione in merito ad azioni collettive, contenuta nella proposta di un «New Deal» per i consumatori, non è all’altezza delle aspettative.

1.6.

Dovrebbero essere prese in considerazione ulteriori proposte sul franchising, da includere nel regolamento di esenzione per categoria (1) al fine di ripristinare l’equilibrio commerciale e contrattuale tra affiliati e affiliante.

1.7.

Nei casi in cui vi siano attività paracommerciali rilevanti gestite da enti locali, che possono beneficiare di sovvenzioni pubbliche dando origine a una concorrenza sleale, esse dovrebbero essere studiate per verificare se siano necessari un adeguamento delle norme sugli aiuti di Stato o altri strumenti.

1.8.

Per quanto riguarda la direttiva sugli informatori, si raccomanda che nel suo recepimento e attuazione, la legislazione nazionale stabilisca che gli informatori devono avere accesso ai rappresentanti sindacali in ogni momento e che, in ogni circostanza, deve venir loro garantita la piena protezione in ogni circostanza.

1.9.

Nei casi che interessano l’applicazione del diritto della concorrenza, si suggerisce che un’analisi dettagliata della Commissione delle pratiche dei regolatori dell’energia in tutti gli Stati membri, in collaborazione con CEER e ACER individui le azioni che potrebbero eliminare pratiche restrittive, che continuano a essere dannose per i consumatori.

1.10.

Un successivo riesame del funzionamento della catena di distribuzione alimentare nelle future relazioni sulla politica di concorrenza potrebbe individuare e proporre misure correttive contro l’esercizio persistente del potere di mercato da parte dei distributori al dettaglio dominanti, che può risultare inappropriato.

1.11.

Nell’ambito dell’economia digitale si registra una serie di pratiche anticoncorrenziali e altre ne vengono continuamente create. Il Comitato è preoccupato per il fatto che non vengano assegnate adeguate risorse per monitorare questo settore in rapido sviluppo e finanziariamente dinamico e sollecita una disposizione specifica in tal senso nell’ambito del quadro finanziario pluriennale.

1.12.

Vi sono numerosi fattori che esulano dall’ambito immediato della politica di concorrenza, ma che danno tuttavia adito a preoccupazioni riguardanti le distorsioni dei mercati: ampie differenze nella politica d’imposizione fiscale delle imprese tra gli Stati membri, le pratiche occupazionali collettivamente note come dumping sociale, pratiche sorte nell’ambito della gig economy (singola prestazione lavorativa attivata su richiesta tramite piattaforme online o applicazioni di cellulari, smartphone ecc.) e questioni relative all’economia circolare e alla sostenibilità economica globale. Il Comitato esorta la Commissione esercitare appieno i suoi poteri e la sua capacità per garantire che tali zone grigie in cui si verificano comportamenti anticoncorrenziali siano, ove possibile, monitorate, chiarite e corrette.

1.13.

Il diritto della concorrenza è una delle parti più vecchie dell’acquis, ma non è sempre all’altezza alle sfide di questo secolo. In particolare la separazione artificiale del mercato e della sfera socioambientale trarrebbe beneficio da un riesame sistematico e completo della legislazione UE in materia di concorrenza che tenesse conto degli obiettivi economici, ambientali e sociali.

2.   Contenuto della relazione sulla politica di concorrenza 2017

2.1.

La politica di concorrenza è il fondamento del mercato unico ed è stata istituita con il trattato di Roma ed esiste quindi dalla fondazione di quella che è oggi l’Unione europea. È stata definita all’interno di un quadro sancito da disposizioni quali gli articoli 101 e 102 del TFUE, che ne chiariscono il contenuto e la portata.

2.2.

Il 2017 ha visto azioni specifiche a vantaggio dei consumatori e dell’industria europea in settori chiave: l’economia digitale, l’energia, il settore farmaceutico e agrochimico, le industrie di rete e i mercati finanziari. Questa sintesi evidenzia i punti principali della relazione, che è, a sua volta, una sintesi di un ampio lavoro in diversi settori economici.

2.3.

La politica ha bisogno di essere tradotta in regole e le regole devono poi essere applicate. La Commissione europea è membro fondatore della Rete internazionale della concorrenza ed è attiva anche in tutti i consessi internazionali dedicati alla concorrenza, tra cui l’OCSE, l’Unctad, l’OMC e la Banca mondiale. In particolare, la Commissione lavora a stretto contatto con le autorità nazionali garanti della concorrenza e ha proposto nuove regole sotto forma di una direttiva (2) per consentire alle autorità nazionali garanti della concorrenza degli Stati membri di essere in grado di applicare più efficacemente le norme antitrust dell’UE.

2.4.

È importante che le persone che sono a conoscenza dell’esistenza o del funzionamento di un cartello o di altri tipi di violazioni delle norme antitrust abbiano i mezzi per portare alla luce tali pratiche. È stato lanciato, ed è attualmente attivo, un nuovo strumento di segnalazione anonima che facilita tale processo.

2.5.

I requisiti relativi alla notifica di misure di aiuti di Stato di non grande entità e meno problematiche sono stati semplificati e sono state introdotte esenzioni. Inoltre, 24 Stati membri hanno aderito al modulo per la trasparenza degli aiuti concessi, che fornisce informazioni sugli aiuti di Stato.

2.6.

È stata intrapresa una rigorosa applicazione della concorrenza in mercati concentrati. Il settore farmaceutico ha visto la prima indagine della Commissione relativa alle pratiche di fissazione di prezzi eccessivi nell’industria farmaceutica; diverse fusioni nel settore agrochimico sono state passate al vaglio e una fusione nel settore del cemento, che avrebbe portato a una riduzione della concorrenza, è stata vietata.

2.7.

Nel settore dell’energia sono state avviate azioni di attuazione in relazione agli aiuti di Stato e ai meccanismi di capacità e l’indagine sulle pratiche commerciali di Gazprom nell’Europa centrale e orientale è proseguita con una constatazione preliminare di violazione delle norme antitrust dell’UE.

2.8.

Nel settore dei trasporti sono state esaminate le acquisizioni nel settore dell’aviazione e in Lituania sono state individuate azioni anticoncorrenziali nel settore del trasporto ferroviario che hanno comportato multe e azioni correttive, mentre in Grecia e Bulgaria è stato dato l’accordo alla fornitura di aiuti di Stato al settore. Scania è stata oggetto di un’azione anticartello per quanto riguarda il trasporto di merci su strada, e diverse ditte nel settore della componentistica di automobili sono state sanzionate con pesanti multe.

2.9.

L’estensione del regolamento generale di esenzione per categoria ai porti e agli aeroporti ha facilitato la fornitura di adeguati aiuti di Stato.

2.10.

L’indagine della Commissione sulla fusione proposta tra Deutsche Börse e London Stock Exchange Group ha portato alla conclusione che essa avrebbe creato un monopolio e, di conseguenza, la fusione è stata rifiutata.

2.11.

Si osserva che la politica di concorrenza dell’UE dovrà rispondere in modo costruttivo e creativo alla sfida dell’uscita del Regno Unito dall’UE. Come stabilito dal Consiglio europeo, qualsiasi accordo commerciale futuro dovrebbe garantire parità di condizioni, in particolare in termini di concorrenza e aiuti di Stato.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la relazione 2017, che contiene numerosi esempi dell’attenzione della Commissione alla promozione del benessere dei consumatori e alla prevenzione dei danni ai consumatori. Un effetto conseguente di tale approccio non è solo il rafforzamento dell’integrazione del mercato unico, ma anche il rafforzamento dello sviluppo economico e degli obiettivi di politica sociale collegati.

3.2.

Nell’ultimo anno, i pareri del CESE hanno spesso evidenziato l’importanza di una politica di concorrenza efficace e applicata. I parametri di riferimento per il benessere sociale e personale dei consumatori insieme al mantenimento di una struttura competitiva efficace forniscono il fondamento logico per affrontare lo sfruttamento, le pratiche di esclusione e gli accordi restrittivi. Incoraggiando le migliori pratiche economiche, una decisa politica di concorrenza incoraggia il rafforzamento della competitività delle imprese europee nei mercati mondiali e la promozione degli obiettivi sociali su cui essa si fonda.

3.3.   Emissioni nel settore automobilistico

3.3.1.

Nel parere del CESE sulle azioni dell’UE volte a migliorare l’osservanza e la governance in materia ambientale (3) è stato osservato che l’insufficiente rispetto dei meccanismi volti a garantire l’attuazione della normativa in materia di ambiente e della governance ambientale è un elemento deplorabile, fattore di concorrenza sleale e di pregiudizio economico. Il Comitato osserva che la conformità e il rispetto dello stato di diritto sono fondamentali per una forte politica di concorrenza.

3.3.2.

In questo contesto, il Comitato apprezza il fatto che l’indagine preliminare della Commissione su un possibile cartello che coinvolgerebbe BMW, Daimler, Volkswagen, Audi e Porsche, indagine volta a determinare se le società limitassero lo sviluppo di sistemi di riduzione catalitica selettiva e di filtri antiparticolato, potenzialmente limitando la diffusione di tecnologie più rispettose dell’ambiente, abbia ora portato l’equipe che si occupa di comportamenti anticoncorrenziali ad aprire un’indagine formale.

3.4.   I meccanismi di ricorso collettivo

3.4.1.

Il Comitato prende atto del recepimento definitivo della direttiva sulle azioni per il risarcimento del danno (4) che, in parte, affronta la questione relativa all’introduzione di un meccanismo giuridico per le azioni collettive. Tuttavia, il ritiro della proposta di direttiva elaborata dalla DG COMP nel 2009, se considerato insieme alla proposta inclusa recentemente nel pacchetto Un New deal per i consumatori, segnala una mancanza di volontà politica di compiere passi significativi verso l’istituzione di un regime per le azioni collettive veramente efficace a livello europeo. Il CESE esorta pertanto la Commissione a continuare nel monitoraggio dell’efficacia dei meccanismi di ricorso collettivo per violazioni del diritto della concorrenza nei vari Stati membri e ad adottare ulteriori provvedimenti se necessario.

3.5.   Franchising nel settore del commercio al dettaglio

3.5.1.

Il CESE osserva che esiste un problema crescente relativo ai contratti di franchising nel settore del commercio al dettaglio che possono avere gravi implicazioni in termini di concorrenza. Ad esempio, un’importante controversia nei Paesi Bassi tra l’affiliante HEMA e una serie di affiliati, relativa a contratti esistenti e alla parte dei ricavi derivanti dalle vendite online, ha portato all’annullamento dei contratti degli affiliati. Il Comitato invita la Commissione ad analizzare tale situazione e a presentare ulteriori proposte sul franchising che potrebbero essere incluse nel regolamento di esenzione per categoria al fine di ripristinare l’equilibrio commerciale e contrattuale tra affiliati e affiliante.

3.6.   Sovvenzioni a livello degli enti locali

3.6.1.

In molti Stati membri, gli enti locali si stanno volgendo verso lo sviluppo di attività commerciali utilizzando risorse o strutture pubbliche. Questo può portare a una concorrenza sleale in caso di presenza di sovvenzioni. Ad esempio, le PMI nel settore dei servizi alimentari e del turismo si trovano ad affrontare attività sovvenzionate nelle mense di club sportivi, centri ricreativi ecc. Gli enti locali possiedono tali club e associazioni, che sono spesso esenti dal pagamento dell’IVA e beneficiano di risorse sociali gratuite come il lavoro volontario, oppure concedono loro fondi pubblici. Queste attività paracommerciali sono spesso organizzate (in termini di fatturato e profitti) come una normale impresa commerciale. Il Comitato invita la Commissione a monitorare tale fenomeno e a verificare se sia possibile mettere in atto un adeguamento delle norme sugli aiuti di Stato o sviluppare altri strumenti a livello dell’UE per regolare tali attività locali, che in alcuni casi sono addirittura sovvenzionate con fondi UE!

3.7.   Informazioni sugli aiuti di Stato

3.7.1.

La disponibilità e l’uso del modulo per la trasparenza degli aiuti concessi (TAM) sono particolarmente apprezzati in quanto consentono alle parti interessate (Commissione, concorrenti e al pubblico in generale) di verificare la conformità degli aiuti di Stato alle norme. Ad oggi sono state pubblicate circa 30 000 concessioni di aiuti.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   La direttiva ECN+

4.1.1.

Il CESE considera positiva l’enfasi posta sull’applicazione nella relazione e coglie l’occasione per ribadire la sua posizione (5) sulla direttiva ECN+ (6), che consente alle ANC di essere più efficaci.

4.1.2.

Il CESE si è già espresso in precedenza nel senso che un regolamento potrebbe costituire uno strumento legislativo più efficace in questo settore, ma riconosce l’esigenza di proporzionalità. Inoltre, la politica di concorrenza dovrebbe garantire pari opportunità e le ANC dovrebbero disporre delle misure e degli strumenti giuridici necessari per affrontare i cartelli segreti.

4.1.3.

Anche se la direttiva ECN+ dovrebbe garantire l’indipendenza, le risorse e strumenti efficaci per far applicare le regole di concorrenza, permangono dubbi relativi all’autonomia e alle capacità delle ANC. Vera autonomia, competenza e formazione sono tutti requisiti necessari per operare efficacemente. L’azione preventiva dovrebbe essere incoraggiata per evitare comportamenti anticoncorrenziali e le sanzioni andrebbero aumentate in modo da costituire un deterrente efficace. Le ANC dovrebbero anche avere il potere di avviare procedimenti giudiziari autonomamente.

4.2.   Protezione degli informatori (whistleblower)

4.2.1.

È necessario portare avanti ulteriori iniziative per informare il pubblico sulle regole di concorrenza. Ciò migliorerà l’efficacia dei nuovi strumenti disponibili per segnalare violazioni, come lo strumento destinato alla protezione degli informatori. Sebbene il CESE si rallegri nel vedere che tale strumento sia regolarmente in uso, ha una serie di preoccupazioni sulla proposta di direttiva, che mira a rafforzare la protezione degli informatori (7).

4.2.2.

Il CESE rinvia la Commissione al proprio parere sulla direttiva (8) in esame, in cui raccomanda che l’ambito di applicazione della direttiva non sia limitato al rispetto del diritto dell’UE, ma che piuttosto sia esteso al rispetto della legislazione nazionale.

4.2.3.

È inoltre importante che si faccia riferimento all’inclusione dei diritti dei lavoratori e che i rappresentanti sindacali e le ONG siano menzionati come esempi di persone giuridiche. Gli informatori dovrebbero avere accesso ai rappresentanti sindacali in ogni fase del processo.

4.3.   L’economia digitale

4.3.1.

Il CESE osserva che il nuovo regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori (9) è stato adottato alla fine del 2017 e dovrebbe garantire un migliore coordinamento tra le reti di consumatori per rafforzare le misure contro le pratiche anticoncorrenziali transfrontaliere. Ad esempio, il regolamento definisce le pratiche di blocco geografico nel settore dell’e-commerce, che, per sua natura, rappresenta una questione transfrontaliera. I Centri europei dei consumatori hanno lavorato su questo tema per diversi anni, raccogliendo esempi e pratiche transfrontaliere. Insieme alla rete europea della concorrenza e alla rete di cooperazione per la tutela dei consumatori, è ora prevista un’azione di applicazione delle norme più coordinata.

4.3.2.

Nel settore in rapida crescita dell’economia digitale, vengono create continuamente pratiche anticoncorrenziali di molti altri tipi. Ad esempio, l’uso di algoritmi sofisticati permette di adeguare i prezzi sulla base dei dati di una persona raccolti da diverse fonti on line e consente anche alle imprese di adottare pratiche collusive online. Adeguate risorse di bilancio devono essere messe a disposizione della Commissione per monitorare e contrastare queste pratiche.

4.4.

Il CESE ritiene che una migliore cooperazione tra le ANC e le organizzazioni dei consumatori sarebbe vantaggiosa per entrambe le parti, soprattutto in quanto le organizzazioni nazionali dei consumatori si trovano in una posizione ottimale per informare le ANC in merito a sospette violazioni. In effetti, possono fornire alle autorità dati preziosi provenienti dal proprio trattamento dei reclami.

4.5.

L’Unione dell’energia può stimolare il processo in corso di portare una concorrenza leale nel settore energetico dell’UE, che è ancora un’area in cui esiste un’ampia gamma di prezzi per i consumatori e l’industria e in cui la scelta di mercato può essere limitata. Il CESE ritiene che un’analisi dettagliata delle pratiche regolamentari, che variano considerevolmente tra gli Stati membri, fornirà la base per un dialogo costruttivo per risolvere le discrepanze e tale analisi dovrebbe essere condotta congiuntamente dalle ANC, dai regolatori nazionali dell’energia e dalla Commissione. Ciò potrebbe gettar luce sulla mancanza di scelta e sulle pratiche restrittive, ad esempio, nei sistemi di teleriscaldamento.

4.6.

L’esercizio inappropriato del potere di mercato nel settore alimentare al dettaglio è un problema che continua. La Commissione si chiede se le grandi catene di distribuzione abbiano ottenuto un potere contrattuale (nelle trattative bilaterali con i loro fornitori) e un potere d’acquisto (sul mercato complessivo) eccessivo grazie al loro duplice ruolo di clienti e concorrenti (attraverso le etichette private) dei propri fornitori (10). Il Comitato sollecita un’azione in linea con il suo recente parere al riguardo (11) e ribadisce la raccomandazione che la Commissione includa un’analisi del funzionamento della catena di distribuzione alimentare nelle future relazioni sulla politica di concorrenza.

4.7.   Il diritto della concorrenza e l’interesse pubblico in senso lato

4.7.1.

Le distorsioni del mercato possono essere causate da una serie di fattori che esulano dal campo d’applicazione vero e proprio della politica di concorrenza. Tra questi si trovano le notevoli differenze nell’imposizione fiscale delle imprese tra gli Stati membri, le pratiche occupazionali collettivamente note come dumping sociale, le pratiche sorte nell’ambito della gig economy e questioni relative all’economia circolare e alla sostenibilità economica globale.

4.7.2.

Il diritto della concorrenza, basato sulle prospettive economiche del 20o secolo, deve ora essere all’altezza delle sfide del 21o secolo. Per superare la separazione artificiale del mercato e della sfera socioambientale, si dovrebbe avviare un riesame globale e sistematico del diritto della concorrenza dell’UE, tenendo conto degli obiettivi economici, ambientali e sociali.

4.7.3.

Il CESE ritiene che gli impegni assunti dall’UE in materia di obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, oltre agli impegni sanciti nei Trattati, dovrebbero essere presi in considerazione in quanto obiettivi di pubblico interesse nell’applicazione del diritto della concorrenza, sullo stesso piano degli obiettivi di difesa degli interessi dei consumatori.

4.7.4.

Si dovrebbe prendere atto degli effetti delle concentrazioni del mercato sulle generazioni future di consumatori e produttori. Si dovrebbero valutare diversi modelli di calcolo per gli effetti dannosi a lungo termine, per esempio, alla stregua per esempio di quanto si è già fatto negli appalti pubblici attraverso il calcolo dei costi del ciclo di vita.

4.8.

Il CESE, in diversi recenti pareri (12), ha chiesto che vengano rafforzate le misure relative a un’imposizione fiscale equa proposte dalla Commissione europea (per quanto riguarda le multinazionali e i privati), poiché molte questioni aperte rimangono irrisolte. Tra queste figurano la lotta alla frode fiscale, ai paradisi fiscali, alla pianificazione fiscale aggressiva e alla concorrenza fiscale sleale tra Stati membri.

4.9.

In particolare, vi sono continue e consistenti distorsioni del mercato dovute ai regimi nazionali di imposizione fiscale delle imprese tra Stati membri, in cui il prelievo fiscale sulle società varia dal 9 % al 35 %, mentre in alcuni paesi sono disponibili aliquote ancora inferiori in categorie quali i diritti di proprietà intellettuale. Poiché la politica fiscale è una competenza nazionale, la politica di concorrenza dell’UE farà sempre fatica a mitigare le distorsioni presenti.

4.10.

La direttiva antielusione (ATAD), che dovrebbe essere applicata attraverso le leggi degli Stati membri entro il 1o gennaio 2019, stabilisce norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno e contiene elementi che dovrebbero contribuire a evitare alcuni approcci nazionali divergenti. Pertanto, tali norme devono essere accolte positivamente.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione (GU L 102 del 23.4.2010, pag. 1)

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:32010R0330.

(2)  http://ec.europa.eu/competition/antitrust/proposed_directive_it.pdf.

(3)  GU C 283 del 10.8.2018, pag. 69.

(4)  Direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle azioni per il risarcimento del danno (GU L 349 del 5.12.2014, pag. 1).

(5)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 70.

(6)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che conferisce alle autorità nazionali garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficace e assicura il corretto funzionamento del mercato interno [COM/2017/0142 final].

(7)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione [COM(2018) 218 final].

(8)  Parere del CESE sul tema Rafforzare la protezione degli informatori a livello di UE. Relatrice Franca Salis-Madinier (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 155).

(9)  Regolamento (UE) 2017/2394 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 345 del 27.12.2017, pag. 1).

(10)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione, SWD(2018) 349 final.

(11)  GU C 283 del 10.8.2018, pag. 69.

(12)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 1; GU C 197 dell’8.6.2018, pag. 29; GU C 81 del 2.3.2018, pag. 29.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2015/1588 del Consiglio, del 13 luglio 2015, sull’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali»

[COM(2018) 398 final — 2018/0222 (NLE)]

(2019/C 110/09)

Relatore:

Jorge PEGADO LIZ

Consultazione

Commissione europea, 12/07/2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

21/11/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

205/3/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) prende atto della proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2015/1588 del Consiglio, del 13 luglio 2015, sull’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali [COM(2018) 398 final], intesa a introdurre due nuove categorie al regolamento di abilitazione che consente alla Commissione di adottare le esenzioni per categoria [regolamento (UE) 2015/1588 del Consiglio (1), del 13 luglio 2015].

1.2.

Il CESE considera questa proposta necessaria e opportuna nel quadro di un ampio ventaglio di nuove proposte riguardanti, in particolare, il prossimo quadro finanziario pluriennale, in quanto si tratta di uno strumento essenziale per l’efficace funzionamento di molte delle misure previste nell’ambito di queste nuove iniziative. La proposta contribuisce in modo decisivo a garantire che la Commissione svolga un ruolo centrale nella selezione dei progetti finanziati, nel rispetto dell’interesse comune dell’UE, e che il sostegno pubblico integri in modo trasparente gli investimenti privati.

1.3.

Il CESE pertanto approva e sostiene la nuova proposta della Commissione e ritiene altrettanto opportuno incoraggiare le parti interessate a conformarsi agli orientamenti del codice delle migliori pratiche.

2.   La proposta della Commissione

2.1.

Il 6 giugno 2018 la Commissione ha presentato la proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2015/1588 del Consiglio, del 13 luglio 2015, sull’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali (2), nell’ambito di un’ampia gamma di nuove proposte riguardanti, in particolare, il prossimo quadro finanziario pluriennale (QFP) (3).

2.2.

Poiché tale proposta si prefigge di migliorare l’interazione tra taluni programmi di finanziamento dell’UE, in particolare nell’ambito di programmi quali COSME e Orizzonte Europa o il programma Europa digitale, il nuovo Fondo InvestEU e la promozione della cooperazione territoriale europea e le norme in materia di aiuti di Stato, essa dovrà consentire di apportare modifiche mirate alle attuali norme sugli aiuti di Stato in modo che i finanziamenti pubblici degli Stati membri, compresi i fondi strutturali e di investimento europei gestiti a livello nazionale, e i fondi UE gestiti a livello centrale dalla Commissione possano essere combinati nel modo più fluido possibile, senza dare luogo a distorsioni della concorrenza nel mercato dell’UE.

2.3.

La proposta è pertanto intesa a introdurre due nuove categorie nel regolamento di abilitazione che consente alla Commissione di adottare le esenzioni per categoria [regolamento (UE) 2015/1588 del 13 luglio 2015], basandosi sulla definizione di chiari criteri di compatibilità, garantendo che gli effetti sulla concorrenza e sugli scambi tra gli Stati membri siano limitati. L’adozione di tali esenzioni per categoria consentirebbe di semplificare notevolmente le procedure amministrative per gli Stati membri e la Commissione sulla base di condizioni di compatibilità definite chiaramente ex ante.

2.4.

In sintesi, la Commissione propone pertanto di aggiungere all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) 2015/1588, i due punti seguenti:

«xv)

dei finanziamenti erogati mediante strumenti finanziari o garanzie di bilancio dell’UE a gestione centralizzata o da essi sostenuti, qualora l’aiuto sia concesso sotto forma di un finanziamento aggiuntivo fornito mediante risorse statali;

xvi)

dei progetti sostenuti da programmi di cooperazione territoriale europea dell’UE.»

3.   Osservazioni generali

3.1.

In alcuni pareri di recente adozione, il CESE ha sostenuto le nuove iniziative programmatiche della Commissione. Si tratta in particolare dei suoi pareri concernenti:

a)

InvestEU (4);

b)

Programma Orizzonte Europa (5);

c)

Intelligenza artificiale per l’Europa (6);

d)

R&I — Una nuova agenda europea (7);

e)

Fondo europeo di sviluppo regionale e Fondo di coesione (8);

f)

Regolamento sulla cooperazione territoriale europea 2021-2027 (9);

g)

Meccanismo per collegare l’Europa (10);

h)

Realizzazione dei progetti della rete TEN-T (11);

i)

Mobilità connessa e automatizzata (12);

j)

Programma Europa digitale (13).

3.2.

La proposta della Commissione in esame è necessaria per l’efficace funzionamento di molte delle misure previste nell’ambito di queste nuove iniziative, il cui elenco è fornito a titolo indicativo, dal momento che le discussioni tra i colegislatori sono ancora in corso, e contribuisce in modo decisivo a garantire che la Commissione svolga un ruolo centrale nella selezione dei progetti e dei regimi finanziati nel rispetto dell’interesse comune dell’Unione e che il sostegno pubblico integri in modo trasparente gli investimenti privati.

3.3.

Di fatto, gli articoli 107, 108 e 109 del capo «Norme comuni sulla concorrenza» sono le disposizioni matriciali della legge fondamentale dell’UE (TFUE) che disciplinano gli aiuti di Stato.

3.4.

Ai fini della sua attuazione, il regolamento (UE) 2015/1588 del 13 luglio 2015 ha previsto l’applicazione degli articoli 107 e 108 del TFUE a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali, siano essi investimenti o garanzie dello Stato.

3.5.

Tale regolamento deve essere adattato in modo che gli obiettivi indicati nella proposta della Commissione, che il CESE sostiene pienamente, possano essere realizzati.

3.6.

Il CESE concorda pertanto sulle modifiche da apportare al regolamento (UE) 2015/1588, come indicato nella proposta della Commissione, nella misura in cui le considera fondamentali per il perseguimento degli obiettivi menzionati.

3.7.

Il CESE si compiace inoltre del fatto che, pochi giorni dopo la pubblicazione della proposta in esame, la Commissione abbia pubblicato anche un «codice delle migliori pratiche applicabili nei procedimenti di controllo degli aiuti di Stato» (14), che abroga il codice pubblicato nel 2009 e integra la comunicazione relativa a una procedura semplificata (15).

3.8.

Il CESE si compiace di tale iniziativa intesa a ottenere i migliori risultati dalle nuove norme in materia di aiuti di Stato, come quelle contenute nella proposta in esame, a fornire agli Stati membri, ai beneficiari degli aiuti e alle altre parti interessate orientamenti sul funzionamento pratico delle procedure relative agli aiuti di Stato e a «rendere tali procedure quanto più trasparenti, semplici, chiare, prevedibili e tempestive possibile».

3.9.

Questo codice delle migliori pratiche del 2018 non ha carattere esaustivo e non crea nuovi diritti. Descrive la procedura e fornisce indicazioni al riguardo. Secondo il testo, il codice deve essere letto unitamente a tutti gli altri testi precedentemente adottati.

3.10.

Il suo obiettivo principale è di promuovere la cooperazione delle parti interessate con la Commissione durante i controlli e di rendere la procedura più comprensibile per le imprese e gli Stati membri.

3.11.

Migliora inoltre la procedura per il trattamento delle denunce riguardanti gli aiuti di Stato, imponendo agli autori della denuncia l’obbligo di comprovare l’interesse leso al momento della presentazione del modulo di denuncia e stabilendo scadenze indicative per il trattamento delle denunce.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU L 248 del 24.9.2015, pag. 1.

(2)  COM(2018) 398 final.

(3)  COM(2018) 321 final del 2 aprile 2018.

(4)  ECO/474 (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 131).

(5)  INT/858 (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 33).

(6)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 51.

(7)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 73.

(8)  ECO/462 (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 90).

(9)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 116.

(10)  GU C 440 del 6.12.2018, pag. 191.

(11)  TEN/669 (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 269).

(12)  TEN/673 (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 274).

(13)  TEN/677 (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 292).

(14)  Comunicazione della Commissione C(2018) 4412 final del 16.7.2018.

(15)  GU C 136 del 16.6.2009, pag. 13.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’azione dell’Unione a seguito della sua adesione all’Atto di Ginevra dell’Accordo di Lisbona sulle denominazioni di origine e le indicazioni geografiche»

[COM(2018) 365 final — 2018/0189 (COD)]

(2019/C 110/10)

Relatore:

Arnold PUECH D’ALISSAC

Consultazione

Parlamento europeo, 10.9.2018

Consiglio, 17.10.2018

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

21.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

208/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le indicazioni geografiche (IG) rappresentano una risorsa unica e preziosa per i produttori dell’Unione europea in un mercato mondiale sempre più liberalizzato e concorrenziale.

1.2.

La Commissione europea dovrebbe agire sempre nell’interesse della protezione dei modelli di produzione e dei sistemi di qualità riconosciuti a livello mondiale per la loro sostenibilità, che va a vantaggio dei consumatori e dei produttori.

1.3.

Pertanto le indicazioni geografiche hanno la particolarità di concentrare l’attenzione sulla dimensione locale di un prodotto, mettendo così in rilievo gli aspetti culturali e le conoscenze specifiche locali, il territorio e le sue peculiarità agroecologiche. Tali caratteristiche devono essere preservate.

1.4.

A livello globale, si riscontra un movimento significativo verso lo sviluppo marchi ufficiali di identificazione della qualità e dell’origine (SIQO).

1.5.

Il CESE sottolinea questo aspetto positivo e si compiace della proposta della Commissione europea per la protezione internazionale delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche registrate, nel quadro dell’Atto di Ginevra e delle sue prassi giuridiche; reputa inoltre fondamentale cercare di creare un quadro armonizzato di protezione dei marchi di qualità a livello internazionale. Tuttavia, il CESE ritiene imprescindibile agire nel senso di un approccio globale inteso a tutelare e promuovere il sistema complessivo dei marchi di qualità.

1.6.

È opportuno proporre un sistema che garantisca la parità di trattamento di tutti i produttori europei che desiderano che la loro indicazione geografica sia riconosciuta anche a livello internazionale.

1.7.

Il CESE ritiene che i diritti acquisiti con tali indicazioni geografiche già registrate e protette a livello europeo dovrebbero essere salvaguardati al fine di evitare svantaggi e disuguaglianze di trattamento.

2.   La proposta di regolamento

2.1.

La proposta della Commissione è volta a istituire un quadro giuridico che assicuri un’efficace partecipazione dell’UE all’Accordo di Lisbona sulle denominazioni d’origine e le indicazioni geografiche dell’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale (OMPI) quando l’Unione europea sarà divenuta parte contraente dell’Atto di Ginevra.

2.2.

L’Atto di Ginevra stabilisce l’impegno di ciascuna parte contraente a proteggere sul proprio territorio le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche registrate nel quadro del proprio ordinamento giuridico e delle proprie prassi giuridiche. Una denominazione d’origine o un’indicazione geografica registrata è, pertanto, protetta da ciascuna parte contraente, fatto salvo un suo rifiuto.

2.3.

Una volta che l’UE diverrà parte contraente dell’Atto di Ginevra, la Commissione propone che essa presenti un elenco delle proprie indicazioni geografiche (da concordare con gli Stati membri) per le quali è chiesta la protezione nell’ambito del sistema di Lisbona. Successivamente all’adesione dell’UE all’Accordo di Lisbona, la presentazione di domande per la registrazione internazionale di ulteriori indicazioni geografiche protette e registrate nell’Unione europea sarà possibile su iniziativa della Commissione o su richiesta di uno Stato membro o di un gruppo di produttori interessato.

2.4.

È opportuno predisporre procedure appropriate per la valutazione, da parte della Commissione, delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche originarie di parti terze contraenti e iscritte nel registro internazionale. Le modalità secondo cui l’Unione europea garantisce il rispetto delle denominazioni di origine e indicazioni geografiche originarie di parti terze contraenti e registrate nel registro internazionale devono essere conformi alle disposizioni del capo III dell’Atto di Ginevra.

2.5.

Tale Atto impone in particolare a ciascuna parte contraente di prevedere mezzi di ricorso efficaci per la protezione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche registrate (cfr. l’articolo 14 dell’Atto di Ginevra dell’Accordo di Lisbona) (1).

2.6.

Sette Stati membri dell’UE sono membri dell’Accordo di Lisbona e come tali hanno accettato la protezione delle denominazioni di paesi terzi. Per consentire a tali Stati membri di adempiere agli obblighi internazionali da essi assunti precedentemente all’adesione dell’Unione europea all’Accordo di Lisbona, occorre prevedere un regime di protezione transitorio che produca effetti solo a livello nazionale e non incida sugli scambi all’interno dell’UE o internazionali.

2.7.

Le tasse dovute in virtù dell’Atto di Ginevra e del regolamento di esecuzione comune per la presentazione di una domanda di registrazione internazionale di una denominazione di origine o di una indicazione geografica sono a carico dallo Stato membro di cui la denominazione d’origine o l’indicazione geografica è originaria (cfr. l’articolo 11 dell’Atto di Ginevra dell’Accordo di Lisbona) (2).

2.8.

L’Unione europea ha istituito sistemi uniformi e completi di protezione delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli. Grazie a questi sistemi di protezione, le denominazioni protette per i prodotti tutelati godono di un’ampia protezione, basata su una procedura unica di domanda, in tutta l’UE. La proposta è in linea con le politiche generali dell’UE volte a promuovere e rafforzare la protezione delle indicazioni geografiche tramite accordi bilaterali, regionali e multilaterali.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE si compiace della proposta della Commissione europea per la protezione internazionale delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche registrate, nel quadro dell’Atto di Ginevra e delle sue prassi giuridiche. In un contesto caratterizzato da una sempre crescente globalizzazione, in particolare per quanto riguarda gli scambi di prodotti agroalimentari, è assolutamente necessario cercare di creare un quadro armonizzato di protezione dei marchi di qualità a livello internazionale.

3.2.

La Commissione europea dovrebbe agire sempre nell’interesse della protezione dei modelli di produzione e dei sistemi di controllo della qualità riconosciuti a livello mondiale per il loro impatto positivo sulla salute dei consumatori e sulla sostenibilità economica e ambientale.

3.3.

Le indicazioni geografiche (IG) rappresentano una risorsa unica (il 5,7 % delle vendite dell’industria agroalimentare, ossia oltre 54 miliardi di euro nel 2010) (3) e preziosa per i produttori dell’Unione europea in un mercato mondiale sempre più liberalizzato. Tuttavia, gli sforzi profusi per competere sul piano della qualità sono inutili se il vettore principale impiegato dai nostri prodotti di qualità, vale a dire l’IG non è sufficientemente protetto nei confronti dei mercati internazionali.

3.4.

Il CESE sottolinea che le indicazioni geografiche sono segni distintivi che permettono di differenziare prodotti concorrenti e di informare il consumatore in merito all’origine di un prodotto. Diversamente dai marchi commerciali, un’indicazione geografica ha l’obiettivo di sottolineare il legame tra un prodotto e il suo territorio di origine e, pertanto, le indicazioni geografiche hanno la particolarità di concentrare l’attenzione sulla dimensione locale di un prodotto, mettendo così in rilievo gli aspetti culturali e le conoscenze specifiche locali, il territorio e le sue peculiarità agroecologiche. Tali caratteristiche devono essere preservate.

3.5.

Già nel 2008, il CESE, nel suo parere sul tema Indicazioni e denominazioni geografiche (4), aveva sottolineato che nella «società civile europea, da tempo, si registra una crescita progressiva e continua della sensibilità dei consumatori nei confronti delle caratteristiche dei prodotti agroalimentari, il che si traduce in una richiesta di prodotti di qualità». È un’affermazione ancor più valida adesso che i consumatori nell’UE sono sempre più alla ricerca di prodotti di qualità provenienti da un territorio, una regione o un paese e la cui qualità e reputazione, tra le altre caratteristiche, sono essenzialmente legate alla sua origine geografica (5).

3.6.

Secondo un recente parere del Consiglio economico, sociale e ambientale francese sul tema Les signes officiels de qualité et d’origine des produits alimentaires («I marchi ufficiali di qualità e d’origine dei prodotti alimentari»), si osserva, a livello mondiale, un notevole movimento di sviluppo dei marchi ufficiali di identificazione della qualità e dell’origine. Le indicazioni geografiche si diffondono sempre di più perché rispondono a una domanda crescente dei consumatori e valorizzano anche una storia, un patrimonio e conoscenze ancestrali legati a un determinato territorio.

3.7.

Il CESE desidera ricordare che, secondo la FAO (6), vi è stato un effetto molto positivo delle indicazioni geografiche sui prezzi, indipendentemente dal tipo di prodotto, dalla regione di origine o dal periodo trascorso dalla registrazione.

3.8.

In tutti gli accordi bilaterali, conclusi o in corso di negoziazione, gli aspetti relativi alla protezione delle indicazioni geografiche sono sempre più centrali. Il CESE sottolinea tale aspetto positivo, Tuttavia, il CESE ritiene imprescindibile agire nel senso di un approccio globale inteso a tutelare e promuovere il sistema complessivo dei marchi di qualità.

3.9.

A tal fine, il CESE ritiene che sia necessario sottoporre a un ulteriore esame la proposta di introdurre un elenco positivo a livello dell’UE, che non è in linea con l’obbligo di tutela generale del sistema delle indicazioni geografiche. È opportuno infatti proporre un sistema che garantisca la parità di trattamento di tutti i produttori europei che desiderano che la loro indicazione geografica sia riconosciuta anche a livello internazionale. Ciò è tanto più vero in quanto i criteri scelti non tengono conto di altri criteri socioeconomici fondamentali per lo sviluppo economico di talune regioni dell’Unione europea. Intorno alle indicazioni geografiche spesso si sviluppa un’economia a base locale che genera posti di lavoro, che ha importanti effetti indotti positivi su altri settori dell’economia come il turismo ed è vantaggiosa per l’assetto e l’occupazione del territorio.

3.10.

Il CESE invita la Commissione a tenere conto dell’impatto delle nuove relazioni tra l’Unione europea e il Regno Unito e dell’incidenza che la definizione di un elenco positivo potrebbe avere sui negoziati in corso, che dovrebbero essere condotti sulla base della protezione del sistema di qualità dell’Unione europea nel suo complesso. Dopo il recesso, il Regno Unito dovrà continuare a rispettare le indicazioni geografiche garantite da un regime del quale finora ha beneficiato.

3.11.

Il CESE sottolinea che il settore agroalimentare europeo è fortemente minacciato dai prodotti contraffatti. Una relazione (7) pubblicata di recente dalla Commissione europea, conferma che i prodotti più spesso contraffatti sono quelli agroalimentari.

3.12.

Il CESE ricorda che finora sono sette i paesi dell’UE già membri dell’Accordo di Lisbona (Bulgaria, Francia, Ungheria, Italia, Portogallo, Repubblica ceca e Slovacchia) e che l’Accordo comprende a oggi 1 000 indicazioni geografiche registrate, per le quali la protezione internazionale delle denominazioni d’origine protetta (DOP) e delle indicazioni geografiche protette (IGP) è garantita per mezzo di un’unica procedura di registrazione.

3.13.

Il CESE ritiene che i diritti acquisiti con tali indicazioni geografiche già registrate e protette a livello europeo dovrebbero essere salvaguardati al fine di evitare svantaggi e disuguaglianze di trattamento.

3.14.

Infine, il CESE richiama l’attenzione su uno studio del 2012, l’unico attualmente disponibile, sul valore commerciale di tali indicazioni nell’UE (8). Tuttavia, sembra che da allora il tasso del premio di valore per le IG (value premium rate) non sia sostanzialmente cambiato.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  http://www.wipo.int/edocs/pubdocs/fr/wipo_pub_239.pdf.

(2)  Ibid.

(3)  Cfr. il bando di gara AGRI-2011-EVAL-04.

(4)  GU C 204 dell'9.8.2008, pag. 57.

(5)  https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1540542863415&uri=CELEX:32012R1151.

(6)  Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura.

(7)  https://ec.europa.eu/taxation_customs/sites/taxation/files/report_on_eu_customs_enforcement_of_ipr_2017_en.pdf

(attualmente disponibile solo in lingua inglese).

(8)  https://ec.europa.eu/agriculture/external-studies/value-gi_en (attualmente disponibile solo in lingua inglese).


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1093/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità bancaria europea), il regolamento (UE) n. 1094/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali), il regolamento (UE) n. 1095/2010 che istituisce l’Autorità europea di vigilanza (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), il regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital, il regolamento (UE) n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l’imprenditoria sociale, il regolamento (UE) n. 600/2014 sui mercati degli strumenti finanziari, il regolamento (UE) 2015/760 relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine, il regolamento (UE) 2016/1011 sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento, il regolamento (UE) 2017/1129 relativo al prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica o l’ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato e la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo»

[COM(2018) 646 final — 2017/0230 (COD)]

(2019/C 110/11)

Relatore generale:

Petr ZAHRADNÍK

Consultazione

Parlamento europeo, 4.10.2018

Consiglio dell’Unione europea, 12.11.2018

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

121/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE apprezza la flessibilità con cui la Commissione europea risponde ai problemi incontrati dagli istituti bancari e finanziari e adotta misure supplementari per contrastare la pratica del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo.

1.2.

Allo stesso tempo, il CESE ritiene che il rafforzamento del coordinamento delle autorità di vigilanza e la razionalizzazione delle relazioni tra queste ultime dovrebbero andare di pari passo con il coordinamento delle attività con le altre parti interessate, al fine di affrontare efficacemente un problema tanto critico.

1.3.

Il CESE mette in guardia sul fatto che, sebbene le opportunità tecnologiche e di comunicazione consentano di creare prodotti finanziari innovativi a vantaggio di depositanti e investitori, esse costituiscono anche una forte tentazione per i criminali coinvolti nel riciclaggio di denaro e nel finanziamento del terrorismo. Anche per questo motivo chiede che le soluzioni adottate si concentrino quanto più possibile sull’eliminazione di rischi futuri.

1.4.

Il CESE sottolinea l’importanza crescente di questo problema in relazione ai paesi terzi e all’aumento dei rischi geopolitici, di sicurezza e politici e sottolinea la necessità per l’UE di prepararsi al meglio per debellare le pratiche di riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, nonché per eliminare gli abusi del mercato finanziario e degli istituti finanziari dell’UE.

1.5.

Il CESE riconosce e prende atto del fatto che le misure contenute nella proposta legislativa rappresentano passi importanti, ma solo parziali, dal punto di vista del coordinamento, dell’organizzazione e delle competenze e che dovranno essere seguite da un’ulteriore serie di misure per poter affrontare efficacemente il problema. Allo stesso tempo, concorda con la Commissione europea sul fatto che, nell’interesse della fattibilità e sostenibilità del percorso prescelto, è preferibile procedere in modo più graduale per evitare un’interruzione significativa della stabilità e del funzionamento del sistema in vigore.

1.6.

Il CESE è convinto che, nel nuovo equilibrio dei poteri delle autorità di vigilanza, sia auspicabile trovare una relazione equilibrata tra l’Autorità bancaria europea (ABE) dotata di nuove competenze rafforzate e le autorità di vigilanza nazionali, affinché tutte le parti interessate possano sfruttare al meglio le proprie capacità per giungere all’auspicata soluzione del problema.

1.7.

Il CESE sottolinea l’importanza della comunicazione interna ed esterna in materia di riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo per raggiungere l’obiettivo prefissato dalle misure. Per quanto riguarda la comunicazione interna, è fondamentale l’ottimizzazione e protezione dei flussi di informazioni tra le autorità di vigilanza competenti; nell’ambito della comunicazione esterna, occorre informare e sensibilizzare il pubblico interessato a titolo di prevenzione e preparazione all’eventualità di tali reati.

1.8.

Il CESE si domanda su quali basi il settore bancario sia stato identificato come il più vulnerabile agli abusi legati al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo, portando al rafforzamento della posizione e dei poteri dell’ABE rispetto alle altre due autorità di vigilanza dell’UE.

1.9.

Il CESE auspica una più precisa definizione dei nuovi rapporti di coordinamento e cooperazione nel settore della lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo tra l’ABE e le altre autorità di vigilanza dell’UE, quelle degli Stati membri e, in particolare, quelle dei paesi terzi.

2.   Contesto generale della proposta e descrizione degli elementi principali

2.1.

Dal 2011 è in vigore nell’UE il nuovo sistema europeo di vigilanza finanziaria, che ha contribuito in modo significativo alla stabilità del mercato finanziario e alla riduzione dei rischi. Questo sistema ha portato all’armonizzazione delle regole dei mercati finanziari nell’UE e alla convergenza delle relative attività di vigilanza. Tuttavia, la successiva espansione delle innovazioni tecnologiche e finanziarie ha ampliato ulteriormente la gamma delle attività criminali che sfruttano il settore finanziario per commettere reati e riciclare i relativi proventi. Ovviamente, entrambe queste attività non solo sono altamente indesiderabili e riprovevoli dal punto di vista sociale, ma distorcono anche il funzionamento e l’efficienza dei mercati finanziari, poiché il loro obiettivo primario non è la massimizzazione dei proventi sulla base delle possibilità oggettive di sviluppo delle attività svolte e della relativa valutazione, ma piuttosto la segretezza, la clandestinità e la non divulgazione; ne consegue che le risorse finanziarie non sono necessariamente distribuite in modo ottimale.

2.2.

Pertanto, le misure proposte mirano non solo a prevenire o limitare le possibilità che consentono di commettere reati o legalizzarne le conseguenze, ma anche a salvaguardare la solidità degli istituti finanziari utilizzati per compiere tali reati e ad assicurarne la stabilità e sicurezza a beneficio di clienti e investitori. In tal modo si riducono anche i rischi politici e quelli relativi alla reputazione dei singoli Stati membri e dell’UE nel suo complesso.

2.3.

Alla luce del fatto che i mercati finanziari sono ormai multinazionali e interconnessi come mai prima d’ora, ai fini della presente proposta è fondamentale creare un sistema che possa funzionare in un contesto transfrontaliero, poiché gli studi empirici dimostrano che questi reati hanno una natura sempre più transfrontaliera, anche con il coinvolgimento di soggetti di paesi terzi. L’organizzazione della repressione di queste forme di criminalità, per quanto efficace essa sia, non può bastare a conseguire un risultato finale positivo se viene attuata soltanto a livello di uno Stato membro. Pertanto risulta cruciale un’efficace cooperazione nella lotta al riciclaggio di denaro tra le autorità di vigilanza nazionali, in particolare le autorità nazionali di vigilanza finanziaria, e gli organismi dell’UE in questo settore, ma anche le autorità di vigilanza dei paesi terzi.

2.4.

La misura proposta, oggetto di questo parere, rappresenta solo una misura parziale nel quadro degli sforzi delineati. Affinché questi possano essere considerati efficaci, è essenziale coordinarli con altri elementi che diano luogo, nell’insieme, a un approccio sistematico e metodico che ostacoli il più possibile lo svolgimento di tali attività criminali.

2.5.

Il contenuto della proposta si concentra principalmente sui seguenti elementi:

ottimizzare l’uso delle competenze e delle risorse disponibili mediante la centralizzazione presso l’Autorità bancaria europea (ABE) dei compiti relativi alla prevenzione e al contrasto del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo per l’intero mercato finanziario;

chiarire la portata e il contenuto dei compiti dell’ABE relativi alla lotta al riciclaggio di denaro;

rafforzare gli strumenti per espletare i compiti connessi alla lotta al riciclaggio;

potenziare il ruolo di coordinamento dell’ABE nelle questioni internazionali relative alla lotta al riciclaggio di denaro.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE ritiene che la crescente importanza della questione della lotta contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo sia dovuta non solo agli attuali cambiamenti dinamici in ambito tecnologico e alle innovazioni finanziarie, ma anche ai numerosi casi identificati di recente in cui il sistema bancario e finanziario è stato utilizzato in diversi paesi dell’UE al fine di commettere reati. In questo contesto è opportuno ricordare altresì la presenza di un più grave rischio geopolitico che comprende anche le attività terroristiche.

3.2.

Il CESE teme che il problema sia ulteriormente complicato dal fatto che questi reati e il tentativo di legalizzarne i proventi attraverso il settore finanziario avvengano su base transfrontaliera non solo all’interno dell’UE, ma anche coinvolgendo i paesi terzi. Il CESE apprezza che la proposta della Commissione europea punti attivamente alla ricerca di una soluzione di tale problema.

3.3.

In questo contesto, il CESE osserva che, sebbene la revisione del sistema europeo di vigilanza finanziaria sia stata già affrontata nel 2017 (1) e il CESE abbia adottato un parere in merito nella sessione plenaria del 15 febbraio 2018 (2), nuove conoscenze e circostanze hanno portato alla necessità di modificare la proposta mediante l’inclusione di ulteriori elementi volti a migliorarne l’efficacia. Tuttavia, il contenuto del parere del CESE di cui sopra rimane valido e pertinente in ogni sua parte. Allo stesso tempo, il CESE apprezza la reazione flessibile della Commissione europea a una serie di scandali bancari in diversi paesi dell’UE, che hanno confermato quanto la criminalità sia in grado di abusare tanto della tecnologia e degli strumenti di comunicazione quanto della legislazione in vigore e hanno rivelato i punti deboli del regime dell’UE in materia di lotta al riciclaggio.

3.4.

Il CESE osserva che i nuovi elementi della proposta sono prevalentemente di natura tecnica e organizzativa, mentre una soluzione che possa rimediare alla situazione attuale deve essere più ampia e più complessa. Il CESE aggiunge che la proposta riguarda una gamma ristretta di questioni connesse all’aumento dei poteri dell’ABE e al rafforzamento del suo coordinamento con le autorità nazionali di vigilanza nel quadro della lotta al riciclaggio di denaro (autorità di vigilanza antiriciclaggio) e, in alcuni aspetti e in casi selezionati, anche a un certo controllo su di esse. D’altro canto, la proposta non affronta, per esempio, le attività delle organizzazioni e unità di analisi finanziaria (unità di informazione finanziaria). La proposta riguarda in generale il coordinamento di attività e processi, non il contenuto specifico della lotta al riciclaggio.

3.5.

Il CESE mette in guardia e sottolinea che il riciclaggio di denaro non solo consente di legalizzare i proventi di attività considerate criminali e incompatibili con il diritto, ma al tempo stesso porta a un’assegnazione irrazionale delle risorse in cui l’obiettivo principale di tali operazioni è quello di «non farle scoprire» e «legalizzare» i fondi conferiti a tali operazioni o trasferirli in un luogo in cui verranno commessi altri reati, e non necessariamente quello di creare profitti. Allo stesso tempo il CESE prende atto, e sottolinea, che la modifica presentata non affronta l’analisi delle nuove tendenze e circostanze in cui si svolge attualmente il riciclaggio di denaro. Nel quadro dell’eliminazione di queste pratiche sleali, la proposta si concentra in modo rigoroso e specifico su settori selezionati, in cui predomina il rafforzamento del ruolo dell’ABE tra le autorità europee di vigilanza nell’ambito della lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo e del coordinamento e della comunicazione tra l’ABE e tali autorità nazionali di vigilanza nei casi di lotta contro il riciclaggio di denaro, che fanno per lo più parte delle autorità di vigilanza del mercato bancario e/o finanziario.

3.6.

Il CESE ritiene che in questo contesto sia fondamentale la corretta ripartizione delle competenze tra l’ABE e le autorità nazionali, nel rispetto del principio di sussidiarietà. Il rafforzamento dei poteri dell’ABE nella gestione delle transazioni transfrontaliere è assolutamente necessario, legittimo e giustificato, d’altra parte, però, il CESE aggiunge che, quando si tratta di casi esclusivamente nazionali che l’ABE non è in grado di identificare pienamente, occorre lasciare intatti i poteri delle autorità nazionali.

3.7.

Poiché la questione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo riveste un’importanza fondamentale ai fini della garanzia di un contesto economico e finanziario sano in tutta l’UE, il CESE si domanda se non sia opportuno creare un organismo specifico all’interno dell’esecutivo dell’UE, per esempio una nuova direzione generale in questo settore. Questo tema riveste un’importanza crescente in vista della formazione della nuova Commissione europea nell’autunno 2019.

3.8.

Il CESE si chiede inoltre su quale base si propone che sia l’ABE a svolgere un ruolo chiave di coordinamento nella risoluzione di questo problema. Forse perché la Commissione europea ritiene che nell’UE il margine di manovra più ampio per il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo sia offerto dal settore bancario?

3.9.

Il CESE è favorevole al fatto che, ai sensi della proposta in esame, sia assicurata una comunicazione efficace sul problema in oggetto. Tale comunicazione dovrebbe concentrarsi non solo sulla condivisione efficace di informazioni tra tutte le autorità di vigilanza coinvolte (comunicazione interna), ma anche sulla comunicazione di informazioni pertinenti ai cittadini (clienti del settore finanziario e pubblico generale).

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Il CESE chiede che la proposta definisca con grande precisione gli ambiti e le relazioni in cui l’ABE assumerà una posizione dominante nei confronti delle altre autorità di vigilanza dell’UE nel settore della lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo, sotto forma di un mandato più globale per l’intero mercato finanziario.

4.2.

In questa stessa ottica, il CESE chiede una spiegazione più dettagliata delle condizioni alle quali l’ABE può controllare le procedure delle autorità nazionali di vigilanza o adottare direttamente decisioni nei confronti dei singoli operatori commerciali del settore finanziario.

4.3.

Allo stesso tempo, il CESE è molto interessato alle modalità della cooperazione con le autorità di vigilanza nei paesi terzi.

4.4.

Il CESE chiede inoltre chiarimenti su come si debba attuare la centralizzazione di tutte le informazioni pertinenti relative al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo fornite dalle autorità nazionali nel caso di fonti segrete o segretissime e in che modo queste ultime saranno protette.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Proposta legislativa iniziale COM(2017) 536 final del 20 settembre 2017. Il suo obiettivo era quello di rafforzare la capacità delle autorità europee di vigilanza di assicurare un controllo convergente ed efficace del mercato finanziario, senza tuttavia affrontare specificamente il rafforzamento del mandato delle autorità preposte alla lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.

(2)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 63.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla guardia di frontiera e costiera europea e che abroga l’azione comune n. 98/700/GAI del Consiglio, il regolamento (UE) n. 1052/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio»

Contributo della Commissione europea alla riunione dei leader di Salisburgo del 19-20 settembre 2018

[COM(2018) 631 final — 2018/0330 (COD)]

(2019/C 110/12)

Relatore generale:

Antonello PEZZINI

Consultazione

Commissione, 29.10.2018

Parlamento europeo, 22.10.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

127/1/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato è convinto che in uno spazio di libera circolazione le frontiere esterne diventano frontiere comuni e chi entra in qualsiasi parte del territorio dell’Unione entra nello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione europea, con tutti i diritti e gli obblighi che questo comporta, per i cittadini e per le istituzioni nazionali e europee.

1.2.

Il CESE chiede con forza di migliorare la gestione delle migrazioni, affrontando, in uno sforzo comune con gli Stati, le cause profonde che spingono le persone a cercare una vita migliore fuori dalla propria patria.

1.3.

Il CESE raccomanda che, in assenza di un quadro definito e condiviso da tutti gli Stati membri su una politica comune in materia di migrazione e di aiuto allo sviluppo nei paesi di emigrazione, si soprassieda alla delega di poteri alla Commissione di poter adottare atti di definizione autonoma.

1.4.

Il CESE sostiene con convinzione la proposta di dotare l’Agenzia di un proprio braccio operativo permanente, costituito da 10 000 persone, che potrebbe così disporre, in cooperazione con gli Stati membri, delle capacità necessarie di:

proteggere le frontiere esterne dell’UE,

prevenire i movimenti irregolari,

gestire le migrazioni legali,

attuare efficacemente i rimpatri dei migranti irregolari.

1.5.

Il Comitato raccomanda che la cooperazione necessaria tra l’Agenzia e le amministrazioni nazionali, che tradizionalmente si fanno carico dei controlli di frontiera, sia definita e organizzata a livello europeo.

1.6.

Altrettanto importante, secondo il CESE, è che una definizione chiara e condivisa delle missioni dell’Agenzia eviti sovrapposizioni e conflitti di competenza, e si chiede che la catena di comando, tra agenti incaricati dall’Agenzia, e funzionari nazionali, sia stabilita in modo chiaro e trasparente.

1.7.

Il CESE raccomanda che in casi di sfide specifiche e sproporzionate alle frontiere esterne, l’Agenzia debba poter intervenire, su richiesta dello Stato membro interessato, organizzando e coordinando interventi rapidi alle frontiere con l’invio — concordato e coordinato con lo stato interessato, che deve mantenere il controllo e la responsabilità della gestione — di squadre del corpo permanente, dotate di proprie attrezzature moderne.

1.8.

Il CESE condivide le raccomandazioni rivolte al personale dell’Agenzia, sia per quanto riguarda il «rispetto della vita umana» e le limitazioni sull’uso delle armi da fuoco, sia quanto al diniego o concessione di visti alla frontiera, trattandosi in entrambi i casi di importanti prerogative delle amministrazioni incaricate dell’ordine pubblico negli Stati membri.

1.8.1.

In proposito, il Comitato raccomanda che il principio di sussidiarietà possa essere invocato in entrambi i casi da parte degli Stati membri e che lo statuto del personale dell’Agenzia imponga un livello di obblighi elevato, soprattutto per i doveri di riservatezza.

1.9.

Il CESE raccomanda vivamente di approfondire i meccanismi di controllo di cui all’allegato V, capitolo 3 della proposta, in caso d’infrazione da parte del personale. I meccanismi dovrebbero prevedere il deferimento ai tribunali dell’Unione.

1.10.

Dato il ruolo che sarebbe attribuito all’Agenzia, in caso di trattenimento di persone e loro eventuale rimpatrio nei paesi d’origine, il Comitato raccomanda che al personale statutario siano assicurati moduli formativi, rivolti al rispetto dei diritti fondamentali.

1.11.

Il Comitato ritiene indispensabile che l’Agenzia dedichi una parte consistente del proprio bilancio alla modernizzazione delle proprie attrezzature.

1.12.

Secondo il CESE, il ciclo politico strategico pluriennale per la gestione europea integrata delle frontiere dovrebbe essere definito dal PE e dal Consiglio, sentito il Comitato, mentre la pianificazione annuale dovrebbe essere delegata alla guardia di frontiera e costiera, con l’obbligo di rendicontazione annuale sulle azioni concluse, i bilanci impegnati e le missioni effettuate.

1.13.

Per quanto riguarda la cooperazione internazionale, il Comitato raccomanda uno stretto raccordo tra le azioni previste dalla proposta di regolamento, con lo sviluppo delle altre politiche pertinenti, specie con l’Accordo di Cotonou.

1.14.

Il Comitato raccomanda di rafforzare il forum consultivo che assiste l’Agenzia, con la partecipazione di pertinenti organizzazioni e chiede di associare alle attività del Forum anche la società civile organizzata, attraverso il CESE.

2.   Contesto del parere

2.1.

In uno spazio di libera circolazione, le frontiere esterne diventano frontiere comuni: oggi trattasi di oltre 50 000 chilometri, con la conseguenza che un problema di sicurezza in uno Stato membro o alle sue frontiere esterne è potenzialmente in grado di influire su tutti gli Stati membri.

2.1.1.

Quindi la fiducia reciproca è alla base di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, soprattutto di fronte a nuove sfide, minacce diffuse e fenomeni imprevedibili, che richiedono: una maggiore cooperazione; interventi di risorse qualificate e una migliore informazione. In sostanza, va ricercata la concreta realizzazione di una solidarietà, che fonde e potenzia la somma dei valori di ogni singolo stato.

2.2.

Nel trattato di Lisbona, la disciplina delle frontiere è prevista al Titolo V, parte Terza, del TFUE, nel Capo relativo alle politiche in tema di visti, asilo e immigrazione, con l’obiettivo di creare un «sistema integrato di gestione delle frontiere esterne», così come previsto dall’articolo 77, paragrafo 1, lettera c) del TFUE e detta disciplina è finalizzata alla creazione di uno «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia».

2.3.

Dalla stessa lettura dei trattati, si evince che, ad una libera circolazione dei cittadini all’interno dell’Unione, debba necessariamente corrispondere una politica comune in tema di gestione e controllo delle persone provenienti da paesi terzi.

2.3.1.

Un’ulteriore proroga degli attuali e insufficienti controlli alle frontiere esterne, o la reintroduzione di nuovi, antistorici controlli interni, imporrebbero elevati costi economici all’UE nel suo insieme, danneggiando gravemente il mercato unico, che rappresenta uno dei migliori successi dell’integrazione europea.

2.4.

La gestione europea integrata delle frontiere, basata sul modello di controllo dell’accesso a quattro livelli, comprende:

misure nei paesi terzi, come quelle previste nel quadro della politica comune dei visti;

misure con i paesi terzi vicini;

misure per un maggiore e migliore controllo delle frontiere esterne;

analisi dei rischi e misure nello spazio Schengen e rimpatrio.

2.5.

Dopo una prima creazione di una rete composta da esperti nazionali, sotto l’egida di un organo comune di esperti denominato CSIFA (1) nel 2002-2003, si è giunti alla nascita di un’Agenzia europea di coordinamento per il controllo delle frontiere, con la creazione di Frontex (2).

2.6.

L’Agenzia di coordinamento è stata sostituita nel 2016 (3), utilizzando l’esperienza dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, con lo scopo di migliorare il controllo delle frontiere esterne degli Stati membri e dello spazio Schengen, al fine di:

provvedere a una valutazione delle vulnerabilità nella capacità di controllo delle persone alle frontiere da parte degli Stati membri;

organizzare operazioni congiunte e interventi rapidi alle frontiere, per rafforzare la capacità degli Stati membri di controllare le frontiere esterne e rispondere alle sfide arrecate dall’immigrazione illegale e dalla criminalità organizzata;

assistere la Commissione nel coordinamento delle squadre di supporto, quando uno Stato membro si trova ad affrontare pressioni migratorie sproporzionate, in punti specifici della frontiera esterna;

garantire una risposta concreta nelle situazioni che richiedono un’azione urgente alle frontiere esterne;

fornire assistenza tecnica e operativa a sostegno delle operazioni di ricerca e salvataggio delle persone bisognose di soccorso in mare durante le operazioni di sorveglianza di frontiera;

contribuire alla creazione di una riserva di rapido intervento costituita da almeno 1 500 guardie di frontiera;

nominare funzionari di collegamento dell’agenzia, negli Stati membri;

organizzare, coordinare e svolgere operazioni e interventi di rimpatrio;

promuovere la cooperazione operativa tra gli Stati membri e i paesi terzi, in materia di gestione delle frontiere.

2.7.

Dalla sua istituzione, nell’ottobre 2016, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera è diventata un centro nevralgico dell’UE per i rimpatri (4), capace di sostenere efficacemente gli Stati membri nel rimpatrio di coloro che non hanno alcun diritto di soggiornare nell’UE.

2.8.

Il Parlamento europeo si è pronunciato sulla materia in varie risoluzioni e ha espresso «grande preoccupazione in merito all’attuazione del regolamento sulla guardia di frontiera e costiera europea (UE) 2016/1624)» e ha ribadito «la necessità che l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera conduca operazioni multifunzionali per rispondere sia all’esigenza della presenza in mare di mezzi di ricerca e soccorso (5), sia alla necessità di introdurre la vera e propria strategia di gestione integrata delle frontiere.

2.9.

Il Comitato ha adottato una risoluzione (6) a difesa dello spazio Schengen in cui ha chiesto al Consiglio e agli Stati membri di garantire l’esercizio della libertà di circolazione, e ha sottolineato, in un proprio parere (7), la necessità di «andare di pari passo sia con una maggiore trasparenza per quanto concerne la governance e l’operato di Frontex, sia con l’obbligo, per l’Agenzia, di rendere maggiormente conto della sua attività».

2.10.

Il CESE ha inoltre dato il massimo rilievo (8) alle esigenze di migliorare «la collaborazione tra l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera e le autorità nazionali», «il coordinamento tra le differenti agenzie e istituzioni competenti in materia di controllo delle frontiere, guardia costiera, sicurezza marittima, salvataggio in mare, dogane e pesca» e ha sottolineato che «la gestione delle frontiere esterne debba essere adottata a complemento dell’introduzione di modifiche al sistema comune in materia di asilo».

2.11.

«Se alle frontiere esterne, siano esse marittime o terrestri, ci sono persone che si trovano in una situazione che presenta rischi per la loro vita e sicurezza, il primo obbligo della guardia di frontiera e delle altre istituzioni che operano in quel luogo è di salvare e assistere in modo adeguato queste persone» (9).

2.12.

Il CESE — come evidenziato sia nell’Agenda UE sulla Migrazione che nel Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration (10) — sottolinea con forza la necessità di migliorare la gestione della migrazione affrontando le «cause profonde che spingono le persone a cercare una vita altrove».

3.   La proposta della Commissione

3.1.

La proposta della CE mira a riformare la guardia di frontiera e costiera europea, istituendo le nuove capacità dell’Agenzia, in particolare prevedendo il corpo permanente della guardia di frontiera e costiera europea e l’acquisto delle attrezzature proprie dell’Agenzia, anche per affrontare adeguatamente altri compiti, nuovi o potenziali.

3.2.

Sulla base dei costi totali del mandato attuale e futuro di 1,22 miliardi di EUR, per il periodo 2019-2020 e di 11,27 miliardi di EUR per il periodo 2021-2027, la Commissione propone di istituire un corpo permanente per la guardia di frontiera e costiera europea, dotato di potere esecutivo e costituito da un personale operativo EBCG di 10 000 membri (11), entro il 2020 e ciò per dotare l’Agenzia di un proprio braccio operativo, efficace e flessibile, per adattare l’impegno dell’Agenzia in funzione delle esigenze operative.

3.3.

La creazione del corpo permanente dovrebbe trovare la sua collocazione in una guardia di frontiera e costiera europea ben funzionante, nella quale gli Stati membri, l’Unione e le agenzie dell’UE (12), specie l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, dovrebbero essere ben coordinati e contribuire a realizzare obiettivi politici comuni e condivisi.

3.4.

Le proposte escludono dal proprio campo d’applicazione il Regno di Danimarca, l’Irlanda e il Regno Unito (salvo eventuali possibilità di cooperazione da definire) mentre la loro applicazione sarebbe sospesa per Gibilterra. Si estenderebbero invece a Islanda, Regno di Norvegia, Confederazione Elvetica e Principato del Liechtenstein, in quanto sviluppo delle normative Schengen.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il Comitato è convinto che, in uno spazio di libera circolazione, le frontiere esterne debbano essere considerate frontiere comuni e chi entra in qualsiasi parte del territorio dell’Unione entra nello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia con tutti i diritti e gli obblighi che questo comporta.

4.2.

Il CESE ritiene che si sia tardato troppo a prestare attuazione a un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne, come previsto dall’articolo 77, paragrafo 2, lettera d), del TFUE, in coerenza con una improcrastinabile definizione condivisa da tutti i paesi membri.

4.3.

Il Comitato condivide l’obiettivo che, dotando l’Agenzia di un proprio, consistente, braccio operativo, si dovrebbe permettere all’UE di disporre delle capacità necessarie per proteggere le frontiere esterne, prevenire i movimenti secondari e attuare efficacemente i rimpatri dei migranti irregolari.

4.4.

Il Comitato è stata la prima istituzione a proporre la creazione di una guardia di frontiera europea (13) e condivide pienamente tale obiettivo per rendere sicure le frontiere esterne, con un corpo permanente ed una effettiva gestione europea integrata delle frontiere esterne. In uno spirito di responsabilità condivisa, l’Agenzia dovrebbe svolgere un ruolo di monitoraggio regolare della gestione delle frontiere esterne, non solo tramite la conoscenza situazionale e l’analisi dei rischi, ma anche mediante la presenza di esperti appartenenti al suo personale negli Stati membri.

4.5.

Il CESE ritiene che, in casi di sfide specifiche e sproporzionate alle frontiere esterne, l’Agenzia, possa intervenire su richiesta di uno Stato membro, organizzando e coordinando interventi rapidi alle frontiere con l’invio — concordato e coordinato con lo Stato membro interessato, che deve mantenere responsabilità primaria della gestione delle proprie sezioni di frontiera esterna — di squadre del corpo permanente della guardia di frontiera e costiera europea.

4.6.

Il Comitato, mentre ritiene utili singoli interventi dell’Agenzia, su decisione della CE, «per situazioni di emergenza e secondo una procedura trasparente che consenta di informarne immediatamente i legislatori europei (il Parlamento europeo ed il Consiglio)» (14), ritiene prematura — in assenza di un quadro definito e condiviso da tutti gli Stati membri su una politica migratoria unionale e di aiuto allo sviluppo nei paesi d’emigrazione — la delega permanente alla Commissione di un potere di adottare atti di definizione autonoma delle priorità politiche e di orientamenti strategici per la gestione integrata delle frontiere.

4.7.

Il Comitato concorda invece sull’opportunità d’attribuire alla Commissione competenze di esecuzione per quanto riguarda il manuale Eurosur e quello FADO, le norme comuni per i quadri situazionali e per la gestione dei rischi, nonché per il sostegno finanziario al corpo permanente.

4.8.

Secondo il CESE, il ciclo politico strategico pluriennale per la gestione europea integrata delle frontiere dovrebbe essere definito dal PE e dal Consiglio, sentito il Comitato, mentre la pianificazione annuale verrebbe delegata alla guardia di frontiera e costiera, secondo una tabella di marcia definita dal consiglio d’amministrazione dell’Agenzia su riserva di rendicontazione annuale sulle azioni concluse, i bilanci impegnati e le missioni effettuate.

4.9.

Il Comitato ritiene importante il rafforzamento del Forum consultivo per assistere il direttore esecutivo e il consiglio di amministrazione dell’Agenzia nelle questioni legate ai diritti fondamentali e all’attuazione del ciclo politico strategico pluriennale, con la partecipazione dell’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), l’Agenzia UE per i diritti fondamentali, l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati e altre pertinenti organizzazioni e chiede di associare alle attività del Forum anche la società civile organizzata, attraverso il CESE.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il CESE raccomanda vivamente di approfondire i meccanismi di controllo di cui all’allegato V sia in relazione all’uso d’armi da fuoco, sia per quanto riguarda il diniego o la concessione di visti alla frontiera, trattandosi in entrambi i casi di importanti prerogative delle amministrazioni incaricate dell’ordine pubblico negli Stati membri.

5.1.1.

Analoga attenzione va prevista per l’allegato III e per l’allegato V, per assicurare coerenza tra le norme nazionali e quelle europee per prevenire comportamenti difformi tra persone che si troverebbero ad operare nello stesso luogo, con pari competenze e qualifiche, ma con regole d’ingaggio differenti.

5.2.

Il livello di obblighi previsto negli Stati membri, in specie per quanto attiene alla riservatezza, dovrebbe essere esplicitamente garantito.

5.3.

Il CESE ritiene che, vista la co-presenza di differenti corpi di agenti alle frontiere — doganali, fitosanitari, di sicurezza, di finanza, di immigrazione e rimpatrio, di intermediazione culturale, ufficiali di diritti fondamentali, personale EASO, agenti ETIAS, analisti Eurosur, ufficiali di collegamento, oltre a personale nazionale di frontiera e a quello dell’Agenzia — sia indispensabile assicurare pacchetti UE di formazione permanente intercorpo ed interagenzia (15).

5.4.

Occorre assicurare altresì che non vi siano discriminazioni di trattamento e condizioni di lavoro tra il corpo dell’Agenzia e i corpi nazionali, con pari formazione, competenze e qualifiche, che si trovano a svolgere uguali mansioni.

5.5.

Per quanto riguarda la cooperazione internazionale, il Comitato raccomanda uno stretto raccordo tra le azioni previste dalla proposta di regolamento con le altre politiche pertinenti, nonché con le azioni in tema di Accordi economici e commerciali e, in particolare, nell’ambito del dialogo tra UE e paesi ACP con l’Accordo di Cotonou.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Comitato strategico sull'immigrazione, le frontiere e l'asilo (CSIFA).

(2)  Istituito con il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio (GU L 349 del 25.11.2004, pag. 1), poi modificato dai regolamenti (CE) n. 863/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 199 del 31.7.2007, pag. 30), (UE) n. 1168/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 1) e (UE) n. 1052/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 295 del 6.11.2013, pag. 11).

(3)  Con il regolamento (UE) n. 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 251 del 16.9.2016, pag. 1) entrato in vigore il 6 ottobre 2016.

(4)  Sinora l’UE ha concluso 17 accordi di riammissione. L’accordo di Cotonou (il quadro UE con 79 paesi dell’Africa, Caraibi e Pacifico) include altresì disposizioni sul rimpatrio dei migranti irregolari nei rispettivi paesi di origine.

(5)  Regolamento UE 656/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 189 del 27.6.2014, pag. 93).

(6)  GU C 133 del 14.04.2016, pag. 1.

(7)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 109.

(8)  Cfr. la nota a piè di pagina 7.

(9)  Ibidem.

(10)  https://www.iom.int/global-compact-migration.

(11)  Guardia di frontiera e costiera europea.

(12)  V. tra le altre, l’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA), l’Agenzia europea di controllo della pesca (EFCA) e il centro satellitare dell’UE, Europol o l’Agenzia europea per la gestione operativa dei sistemi informatici su larga scala nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (eu-LISA).

(13)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 29, GU C 303 del 19.8.2016, pag. 109, parere del CESE sul tema «Fondo per l’asilo e la migrazione (AMF) e gestione integrata delle frontiere», (SOC/600, GU C 62 del 15.2.2019, pag. 184).

(14)  Cfr. la nota a piè di pagina 7.

(15)  L’articolo 69 prevede la cooperazione dell’agenzia EBCG con altre 12 agenzie e servizi unionali.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla prevenzione della diffusione di contenuti terroristici online»

Contributo della Commissione europea alla riunione dei leader, riunitisi a Salisburgo il 19-20 settembre 2018

[COM(2018) 640 final — 2018-0331 (COD)]

(2019/C 110/13)

Relatore:

José Antonio MORENO DÍAZ

Consultazione

Consiglio dell’UE, 24/10/2018

Parlamento europeo, 22/10/2018

Base giuridica

Articolo 114, paragrafo 1, e articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Decisione dell’Ufficio di presidenza

11/12/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

126/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE plaude all’iniziativa rivolta ad accrescere la sicurezza degli abitanti dell’UE, sebbene, nel dibattito tra sicurezza e libertà, abbia sempre sostenuto la necessaria difesa delle libertà, tra cui quella di espressione, quella di accesso all’informazione e alla comunicazione, nonché il segreto delle comunicazioni, e l’accesso a un’effettiva tutela giudiziaria e a un processo giusto e senza ritardi.

1.2.

I recenti attentati terroristici nel territorio dell’UE hanno dimostrato come i terroristi utilizzano indebitamente i social network per reclutare e addestrare seguaci. I terroristi utilizzano modalità di comunicazione criptata per pianificare e agevolare attività terroristiche, e il web per celebrare le loro atrocità, istigare altri a seguire tale esempio e infondere il terrore nella popolazione.

1.3.

Il CESE invita a specificare, con la maggiore precisione possibile, i criteri per definire concetti giuridici vaghi come «informazioni terroristiche, atti terroristici, gruppi terroristici o apologia del terrorismo».

1.4.

I contenuti terroristici condivisi online per tali finalità vengono diffusi attraverso prestatori di servizi di hosting che permettono il caricamento di contenuti di terzi. Tali contenuti si sono rivelati determinanti per la radicalizzazione dei cosiddetti «lupi solitari» e per incoraggiare le loro azioni, come quelle che sono culminate in vari attentati terroristici avvenuti di recente in Europa.

1.5.

I mezzi di prevenzione tecnologici (parametri automatizzati, algoritmi, motori di ricerca ecc.) sono molto utili, ma è essenziale l’intervento del fattore umano in veste di Mediatore e intermediario nell’adeguata valutazione di tali contenuti.

1.6.

Il CESE segnala l’esigenza di combattere la diffusione di informazioni terroristiche e il reclutamento digitale sui social network. Nella stessa ottica, bisogna contrastare la censura o l’autocensura imposte su Internet. Il Comitato ricorda che, nell’ambito di Internet, è fondamentale garantire a tutti gli abitanti dell’UE un concreto diritto a un’informazione pluralista e verificata, e alla libertà d’opinione.

1.7.

La protezione della rete Internet e la lotta ai gruppi radicali dovrebbero concorrere a migliorare la fiducia nella suddetta rete e, pertanto, a garantire lo sviluppo economico di tale settore dell’economia.

1.8.

Il CESE desidera sottolineare la necessità di valutare gli effetti dell’attuazione della proposta in esame sulle piccole e medie imprese, nonché di prendere in esame la possibilità di un’applicazione transitoria che faciliti l’adeguamento delle PMI e non pregiudichi la libera concorrenza a vantaggio dei grandi operatori.

1.9.

Le misure normative proposte per proteggere Internet e garantire la protezione dei giovani e della popolazione devono essere rigorosamente disciplinate dalla legge e garantire a tutti il diritto all’informazione e al ricorso contro le decisioni amministrative.

1.10.

Il CESE ribadisce l’esigenza di valutare anche i fornitori di accesso, e che i gestori dei social network adottino misure proattive per promuovere la denuncia e l’azione diretta delle associazioni, delle ONG e degli utenti contro tali contenuti; per avere un effetto di prevenzione questi «contro-discorsi» devono essere valorizzati.

1.11.

Si deve tener conto del grande numero di piatteforme digitali a livello europeo e della differenza nella dimensione di tali imprese, in relazione all’adeguamento delle disposizioni della proposta alle imprese di dimensioni minori.

1.12.

Il CESE sottolinea l’esigenza di rammentare con chiarezza agli utenti le normative nazionali sull’uso o la produzione di contenuti terroristici. Chiede inoltre che il diritto di ricorso contro una decisione amministrativa venga garantito attraverso una chiara spiegazione di tale diritto e degli strumenti online per esercitarlo.

2.   Contesto della proposta

2.1.

L’onnipresenza di Internet consente ai suoi utilizzatori di comunicare, lavorare, socializzare, creare, raccogliere e condividere informazioni e contenuti con centinaia di milioni di persone in tutto il mondo: proprio per questo la Commissione propone di istituire dei meccanismi volti a prevenire la trasmissione e la diffusione di contenuti terroristici (1).

2.2.

È importante distinguere i concetti, e il termine «Internet» è troppo generale. Internet è sia il web, sia i social network, sia la DarkNet o rete oscura. È anche la rete di oggetti che costituiscono evidenti falle nella sicurezza in una guerra elettronica. Ad esempio, i reclutatori dell’ISIS comunicano oggigiorno più facilmente attraverso le consolle di giochi online che attraverso il web. Quando si parla di «preparare e agevolare attività terroristiche» non ci si riferisce a Internet né ai social network, bensì alla rete oscura. Inoltre Google, Amazon, Facebook, Apple et Microsoft (GAFAM), le grandi imprese di Internet, non hanno attività sulla rete oscura o in reti criptate.

2.3.

Tuttavia, la capacità di raggiungere un pubblico così vasto a costi minimi attira anche criminali intenzionati a fare un uso indebito di Internet a fini illeciti. Gli attentati terroristici commessi di recente sul territorio dell’UE hanno dimostrato che i terroristi utilizzano Internet in maniera abusiva per reclutare e preparare sostenitori, pianificare e agevolare attività terroristiche, celebrare le loro atrocità e istigare altri a seguire il loro esempio, infondendo paura nell’opinione pubblica.

2.4.

Sebbene il Forum dell’UE su Internet abbia radunato diversi attori, non tutti i prestatori di servizi di hosting vi hanno partecipato e, in secondo luogo, globalmente i progressi compiuti dai prestatori di servizi di hosting non sono sufficientemente estesi e rapidi per risolvere il problema in modo adeguato. Si deve compiere uno sforzo specifico per formare adeguatamente i moderatori in seno ai social network.

2.5.

I contenuti terroristici condivisi online per tali finalità vengono diffusi attraverso prestatori di servizi di hosting che permettono il caricamento di contenuti di terzi. Tali contenuti si sono rivelati determinanti per la radicalizzazione dei cosiddetti «lupi solitari» e per incoraggiare le loro azioni, come quelle che sono culminate in vari attentati terroristi verificatisi di recente in Europa. Si è inoltre constatato che essi esercitano un’influenza maggiore presso gli strati più giovani della popolazione.

3.   Sintesi della proposta di regolamento e osservazioni generali

3.1.

Il CESE ha già definito la sua posizione (2) sui contenuti illeciti online: questa nuova iniziativa della Commissione verte specificamente sui contenuti terroristici diffusi via Internet.

3.2.

L’ambito di applicazione personale della proposta comprende i prestatori di servizi di hosting che offrono i loro servizi all’interno dell’UE, a prescindere dal loro luogo di stabilimento o alla loro dimensione.

3.3.

A nostro avviso, si dovrebbero includere i fornitori di informazioni e i motori di ricerca, nonché i siti o le reti di hosting.

3.4.

Le piccole e medie imprese di Internet non dispongono delle capacità tecniche, umane e finanziarie per far fronte in modo efficace ai contenuti terroristici. Il CESE ritiene necessario poter adeguare le scadenze e le procedure a tale tipo di attività commerciale Per le piccole e medie imprese si può accordare una scadenza per la messa in atto del regolamento.

3.5.

Devono inoltre essere valutate le misure preventive e proattive adottate dalle ONG, dai sindacati e dalla società civile in generale.

3.6.

Al fine di garantire la rimozione di contenuti terroristici, il regolamento introduce un ordine di rimozione, che può essere emesso come decisione amministrativa o giudiziaria da un’autorità competente di uno Stato membro. In questi casi, il prestatore di servizi di hosting è tenuto a rimuovere i contenuti o disabilitarne l’accesso entro un’ora.

3.7.

La definizione di contenuto terroristico può variare in ciascun paese ed è importante fare chiarezza in materia, per evitare l’arbitrarietà e l’incertezza giuridica.

3.8.

Il termine di un’ora non risulta realistico in quanto, per esempio in Francia, tra la notifica e l’eliminazione della fonte passano attualmente 16 ore per i pedofili e 21 ore per i siti terroristici, dato che la caratterizzazione dei siti richiede molto tempo. Il CESE ritiene che andrebbe stabilito un termine più realistico ed efficace.

3.9.

Il regolamento prevede l’obbligo per i prestatori di servizi di hosting, se del caso, di adottare misure proattive proporzionate al livello di rischio e di rimuovere il materiale terroristico dai loro servizi, ricorrendo, tra l’altro, a strumenti di individuazione automatizzata. Ciò risulta fondamentale, ed è necessario dichiarare e sostenere uno sforzo d’innovazione tecnologica per poter costruire strumenti tecnologici.

3.10.

La Commissione propone l’utilizzo di strumenti di individuazione automatizzata, tra gli altri mezzi, e invita le imprese a compiere uno sforzo significativo per sostenere le ricerche, allo scopo di mettere a punto strumenti tecnologici adeguati.

3.11.

Nel quadro delle misure intese a proteggere dalla rimozione erronea i contenuti non terroristici, la proposta stabilisce l’obbligo di predisporre meccanismi di reclamo e ricorso per assicurare che gli utilizzatori possano impugnare la rimozione dei loro contenuti. Inoltre, il regolamento introduce obblighi in materia di trasparenza delle misure adottate contro i contenuti terroristici dai prestatori di servizi di hosting, in modo che questi si assumano le loro responsabilità nei confronti degli utilizzatori, dei cittadini e delle autorità pubbliche.

3.12.

Occorre proseguire gli sforzi diretti non soltanto al controllo e alla revisione dei contenuti, ma anche alla mediazione umana e tecnologica. La questione della censura da parte dei mediatori umani può essere molto preoccupante in termini di rispetto per i diritti dei lavoratori e anche di conformità alle norme sui diritti all’informazione e sul rispetto della vita privata di tutti gli abitanti dell’UE.

3.13.

Il CESE reputa che il fornitore debba notificare al titolare il sito o le informazioni che intende censurare. Occorre ricordare che le persone hanno il diritto di essere informate quando viene presa una decisione amministrativa che li riguardi.

3.14.

Al fine di garantire il diritto delle persone ad essere informate su una decisione amministrativa, il CESE chiede ai fornitori d’accesso di indicare, nelle loro regole sui contenuti, i diritti e i doveri dei clienti, come per esempio le modalità in cui i produttori di informazioni sono informati delle decisioni di rimozione e delle modalità legali disponibili per i clienti.

4.   Spiegazione delle disposizioni della proposta

4.1.

La propaganda dei terroristi online mira a istigare altre persone a commettere attentati terroristici, tra l’altro dando loro istruzioni dettagliate sulle modalità con le quali provocare il massimo danno. Inoltre, dopo che sono state commesse tali atrocità vengono solitamente rilasciate dichiarazioni propagandistiche in cui i terroristi si gloriano di tali atti terroristici, istigando altri a seguire il loro esempio. Il regolamento in esame contribuisce alla tutela della sicurezza pubblica, riducendo l’accessibilità dei contenuti terroristici che promuovono e incoraggiano la violazione dei diritti fondamentali.

4.2.

In merito alle definizioni, la proposta indica che ai sensi del regolamento si intende per:

«prestatore di servizi di hosting»: un prestatore di servizi della società dell’informazione che consistono nel memorizzare informazioni fornite dal fornitore di contenuti su richiesta di quest’ultimo e nel rendere le informazioni memorizzate disponibili a terzi (3);

«fornitore di contenuti»: un utilizzatore che ha fornito informazioni che sono (o sono state) memorizzate, su sua richiesta, da un prestatore di servizi di hosting (4);

il CESE propone l’inclusione di un nuovo punto comprendente:

«fornitori di informazioni»: motori di ricerca che consentono l’individuazione del contenuto e l’accesso a esso.

4.3.

Per quanto riguarda la definizione di «contenuto terroristico,» come uno o più dei seguenti messaggi:

a)

istigazione, anche mediante l’apologia del terrorismo, alla commissione di reati di terrorismo, generando in tal modo il pericolo che tali reati siano effettivamente commessi;

b)

incitamento a contribuire a reati di terrorismo;

c)

promozione delle attività di un gruppo terroristico, in particolare incoraggiando la partecipazione o il sostegno a un gruppo terroristico ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, della direttiva (UE) 2017/541;

d)

istruzioni su metodi o tecniche allo scopo di commettere reati di terrorismo (5);

il CESE propone l’inclusione di un nuovo punto comprendente:

reclutamento di persone e formazione delle stesse al fine di commettere o appoggiare atti di terrorismo.

4.4.

La definizione dei contenuti che ci si accinge a censurare è molto breve, dato che esistono molti testi, immagini, filmati e altri contenuti e formati che non fanno apologia, in quanto non istigano a compiere atti concreti, bensì diffondono e valorizzano una dottrina estremista che porta alla violenza.

4.5.

Il regolamento contribuisce anche a contrastare le imprese che, tramite le loro attività, diffondono e valorizzano una dottrina estremista che porta alla violenza. Il regolamento deve concorrere anche alla lotta contro le attività di reclutamento di persone sui social network.

4.6.

L’articolo 1 definisce l’oggetto, precisando che il regolamento stabilisce regole uniformi per impedire l’uso improprio dei servizi di hosting ai fini della diffusione di contenuti terroristici online, fissando tra l’altro obblighi di diligenza per i prestatori di servizi di hosting e misure che gli Stati membri sono tenuti ad attuare.

4.7.

Occorre sostituire l’espressione «uso improprio dei servizi di hosting ai fini della diffusione di contenuti terroristici online» aggiungendo la diffusione di contenuti, messaggi o mezzi di propaganda e includendo anche l’indicazione degli URL e delle informazioni per accedere a contenuti o messaggi terroristici, poiché ciò coinvolgerà i motori di ricerca.

4.8.

Dal canto suo, l’articolo 5 stabilisce l’obbligo per i prestatori di servizi di hosting di predisporre rapidamente misure per valutare i contenuti segnalati attraverso una segnalazione di un’autorità competente di uno Stato membro o un organismo dell’UE, ma non impone l’obbligo di rimuovere il contenuto segnalato né fissa termini specifici per l’intervento.

4.9.

Il CESE ritiene che, in un’ottica di efficacia, si dovrebbe iniziare a elaborare un elenco, limitato, di criteri per definire i tipi di contenuti e di messaggi di carattere terroristico, o che configurano apologia del terrorismo, nell’interesse della certezza del diritto, nonché per evitare che le decisioni sulla rimozione del contenuto siano arbitrarie e per tutelare il diritto all’informazione e la libertà di opinione. Il regolamento dovrebbe inoltre prevedere criteri che consentano a livello europeo di classificare determinati contenuti come informazioni su gruppi terroristici, informazioni che glorificano il terrorismo o giustificano atti terroristici, informazioni tecniche o metodologiche che facilitano la produzione di armi utilizzabili in un attentato, o appelli finalizzati al reclutamento.

4.10.

L’articolo 14 prevede l’istituzione di punti di contatto sia da parte dei prestatori di servizi di hosting che degli Stati membri al fine di agevolare la comunicazione tra di loro, in particolare per quanto riguarda le segnalazioni e gli ordini di rimozione. Il CESE ritiene che, ai fini della tutela dei diritti umani implicati, detti punti di contatto debbano comprendere giudici specializzati nell’individuazione di problemi, dotati non solo di una formazione relativa all’identificazione di atteggiamenti, comportamenti e azioni di carattere terrorista, ma anche di competenze tecnologiche. Tali attitudini devono costituire un requisito sia per i prestatori di servizi di hosting che per i punti di contatto istituiti dagli Stati membri al fine di agevolare la comunicazione tra di loro, in particolare per quanto riguarda le segnalazioni e gli ordini di rimozione.

4.11.

Il regolamento deve precisare l’obbligo, per i prestatori di servizi di hosting, di fornire informazioni accessibili a tutti per l’adeguato funzionamento dei punti di contatto, e di definire il contenuto e la forma della comunicazione con gli addetti a tali punti di contatto.

4.12.

L’articolo 16 prevede, per i prestatori di servizi di hosting che non sono stabiliti in uno Stato membro ma prestano servizi all’interno dell’Unione, l’obbligo di designare un rappresentante legale nell’UE: per il CESE tale obbligo va esteso ai fornitori di accesso e alle imprese di Internet, in modo che vi siano inclusi i motori di ricerca, i social network, le applicazioni Internet per i telefoni e le imprese del settore dei giochi.

4.13.

I prestatori di servizi di hosting che operano in Internet svolgono un ruolo essenziale nell’economia digitale mettendo in relazione le imprese e i cittadini e facilitando il dibattito pubblico così come la diffusione e la ricezione di informazioni, opinioni e idee, e contribuiscono in modo significativo alla crescita economica, all’innovazione e alla creazione di posti di lavoro nell’UE. Il CESE ritiene che ciò dovrebbe estendersi ai fornitori di servizi Internet, ai servizi di hosting dei contenuti, ai social network digitali e alle imprese che prestano servizi di telefonia digitale.

4.14.

La proposta di regolamento espone una serie di misure che gli Stati membri sono tenuti ad attuare per individuare i contenuti terroristici, consentirne la rapida rimozione da parte dei prestatori di servizi di hosting e facilitare la cooperazione con le autorità competenti di altri Stati membri, i prestatori di servizi di hosting e, se del caso, gli organismi pertinenti dell’UE. Il CESE reputa che tutto ciò sia uno strumento per circoscrivere i contenuti inerenti al terrorismo, consentirne una rapida eliminazione da parte dei fornitori di servizi di hosting e ridurre le attività di propaganda e reclutamento dei terroristi su Internet.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2018) 640 final.

(2)  GU C 237 del 6.7.2018, pag. 19.

(3)  COM(2018) 640 final — Articolo 2, paragrafo 1.

(4)  COM(2018) 640 final — Articolo 2, paragrafo 2.

(5)  COM(2018) 640 final — Articolo 2, paragrafo 5.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE, Euratom) n. 1141/2014 per quanto riguarda la procedura di verifica relativa alle violazioni delle norme sulla protezione dei dati personali nel contesto delle elezioni del Parlamento europeo»

[COM(2018) 636 final — 2018/0328 (COD)]

(2019/C 110/14)

Relatrice generale:

Marina YANNAKOUDAKIS

Consultazione

Parlamento europeo, 01/10/2018

Consiglio, 24/10/2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Decisione dell’Ufficio di presidenza

16/10/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

109/2/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE appoggia la posizione della Commissione europea in merito alla necessità del regolamento in esame, alla luce del recente caso Facebook/Cambridge Analytica riguardante il presunto trattamento illecito di dati personali.

1.2.

Il CESE riconosce che, nel mondo di oggi, gli sviluppi tecnologici, i social media e la conservazione di dati personali da parte di imprese in tutta l’UE sono un dato di fatto. La necessità di tali strumenti non viene messa in discussione, dal momento che viviamo in un mondo globale di alta tecnologia. La sfida consiste nel muoversi in questo ambito in modo da proteggere i cittadini dell’UE, consentire la trasparenza e il libero godimento dei diritti umani fondamentali.

1.3.

L’utilizzo dei dati e i social media hanno cambiato radicalmente il modo in cui i partiti politici conducono le campagne elettorali, consentendo loro di rivolgersi in modo mirato ai potenziali elettori. Questo sviluppo si è tradotto in un’intensificazione dell’uso dei social media come modo per influenzare le intenzioni di voto dei cittadini. Il CESE si aspetta che l’Autorità per i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee (1) (in appresso «l’Autorità») esamini quali siano i settori che presentano un rischio di violazione dei dati e proponga delle soluzioni per porre fine a tali abusi, creando un sistema di controlli adeguati per assicurare che i dati siano protetti e utilizzati soltanto nell’ambito di parametri ben circoscritti.

1.4.

Il CESE condivide gli obiettivi della proposta in esame, convenendo sul fatto che la democrazia è uno dei valori essenziali su cui si fonda l’UE, e che, per garantire il funzionamento della democrazia rappresentativa a livello europeo, i Trattati stabiliscono che i cittadini dell’UE sono direttamente rappresentati al Parlamento europeo.

1.5.

Tale rappresentatività si esplica, negli Stati membri, attraverso la candidatura alle elezioni di esponenti di partiti politici o di singoli individui. In questo ultimo decennio, i social media hanno assunto un ruolo di maggior rilievo nella piattaforma elettorale. Tale sviluppo deve ora essere inquadrato dalla Commissione europea, e l’Autorità, con il rafforzamento del suo organico, rappresenta uno strumento per garantire che i dati personali siano protetti e non utilizzati in modo improprio per ottenere vantaggi sul piano politico. Nell’affrontare la questione, la priorità consiste nel garantire che le elezioni si svolgano in un contesto di parità e che nessun gruppo possa trarre vantaggio dall’utilizzo dei dati personali.

1.6.

Tuttavia, per garantire che l’Autorità funzioni correttamente occorre stabilire dei parametri ben definiti per i suoi poteri e le sue competenze. Attualmente, le autorità di protezione dei dati (APD) degli Stati membri hanno il compito di assicurare che non vi sia un utilizzo indebito dei dati personali da parte dei partiti politici. Le modalità della cooperazione tra l’Autorità e le APD nazionali devono essere adeguatamente definite. Inoltre, le APD di molti Stati membri devono fare i conti con risorse limitate e la Commissione dovrebbe valutare la possibilità di finanziarle affinché possano collaborare con l’Autorità.

1.7.

Nel suo parere sulla protezione dei dati personali (2), il CESE ha segnalato i possibili problemi legati all’utilizzo improprio dei dati, esaminando gli ambiti che sono motivo di preoccupazione.

1.8.

Il CESE sostiene l’assunzione di personale supplementare in servizio presso l’Autorità, considerando che tale personale sarà in una posizione migliore per collaborare con gli Stati membri attraverso le APD, al fine di garantire che le violazioni della protezione dei dati siano oggetto di indagini adeguate e, laddove siano accertate, siano effettivamente assoggettate a sanzione.

1.9.

Il CESE riconosce che le procedure per le elezioni del Parlamento europeo sono disciplinate a livello di Stato membro nel quadro dell’UE. Il CESE si attende inoltre che le violazioni delle norme sulla protezione dei dati siano portate all’attenzione dell’Autorità dalle APD o da singoli partiti.

2.   Contesto del parere

2.1.

Casi recenti hanno messo in luce il rischio che i cittadini divengano oggetto di campagne online di disinformazione di massa volte a screditare e delegittimare le elezioni. Si ritiene inoltre che i dati personali dei cittadini siano stati utilizzati in modo illecito per influenzare il dibattito democratico e le libere elezioni.

2.2.

Il regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), entrato in vigore nel maggio 2018, stabilisce norme rigorose sul trattamento e sulla protezione dei dati personali. Esso riguarda tutti i partiti politici europei e nazionali e gli altri attori nel contesto elettorale, compresi gli intermediari di dati e le piattaforme dei social media.

2.3.

In vista delle elezioni del Parlamento europeo del 2019, la Commissione europea ha proposto una serie di modifiche mirate al regolamento (UE, Euratom) n. 1141/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee (3), con l’obiettivo di garantire che le elezioni si svolgano in un contesto di solide regole democratiche e nel pieno rispetto dei valori europei di democrazia, Stato di diritto e dei diritti fondamentali.

2.4.

In particolare, le modifiche proposte consentirebbero di infliggere sanzioni ai partiti politici o alle fondazioni politiche europei che influenzino o tentino di influenzare le elezioni attraverso una violazione delle norme sulla protezione dei dati. Le sanzioni ammonterebbero al 5 % del bilancio annuale del partito politico o della fondazione politica europei interessati e sarebbero applicate dall’Autorità. Inoltre, gli autori delle violazioni non potrebbero chiedere finanziamenti a carico del bilancio generale dell’Unione europea dell’anno in cui la sanzione è stata irrogata.

2.5.

La proposta di regolamento definisce inoltre una procedura per verificare se una violazione accertata da un’autorità di controllo nazionale incaricata della protezione dei dati sia stata utilizzata per influenzare l’esito delle elezioni del Parlamento europeo, ricorrendo a un «comitato di personalità indipendenti» che agisce su richiesta dell’Autorità. Il comitato di personalità indipendenti è istituito ai sensi dell’articolo 11 del regolamento ed è composto da sei esperti nominati dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo e dal Consiglio, che però non sono funzionari o membri di tali istituzioni.

2.6.

Per garantire che l’Autorità disponga delle risorse umane sufficienti per svolgere le sue funzioni in modo indipendente ed efficace, viene proposto, inoltre, di aggiungere all’organico sette persone (in aggiunta alle tre attuali, compreso il direttore).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE sostiene gli obiettivi della proposta in esame e concorda sul fatto che la democrazia è uno dei valori fondamentali su cui si fonda l’UE. Per assicurare il funzionamento di una democrazia rappresentativa a livello europeo, i Trattati stabiliscono che i cittadini dell’UE siano direttamente rappresentati nel Parlamento europeo. È quindi indispensabile che i cittadini siano in grado di esercitare il loro diritto democratico senza alcun impedimento. Qualsiasi interferenza nella libera scelta durante il processo elettorale è antidemocratica e inaccettabile.

3.2.

Il CESE prende atto dell’aumento dell’utilizzo dei dati personali nelle campagne elettorali. Nelle elezioni del 2017 nel Regno Unito, oltre il 40 % della spesa sostenuta per la pubblicità elettorale è stata utilizzata per campagne digitali. In questo contesto, è comprensibile che i dati personali siano strumenti interessanti per rivolgersi a determinati gruppi di destinatari. Tuttavia, non è accettabile che i dati personali possano essere condivisi senza che la persona ne sia a conoscenza, e tale condivisione costituisce una grave violazione dei diritti umani.

3.3.

Lo sviluppo di Internet, la velocità di trasmissione delle informazioni e le implicazioni globali richiedono un approccio rigoroso in materia di sicurezza dei dati conservati. Il regolamento generale sulla protezione dei dati stabilisce regole solide a tal fine. In particolare, sul fatto che i dati personali devono essere trattati in modo lecito e corretto. Allo stato attuale, le norme del suddetto regolamento consentono ai partiti politici di utilizzare legittimamente i dati, entro determinati parametri. Lo sviluppo della propaganda politica fa sempre maggiore affidamento sui social media. Cercare di porre fine a questa tendenza non servirebbe necessariamente al processo democratico, in quanto limiterebbe le possibilità dei partiti politici di far conoscere il loro programma elettorale ai potenziali elettori.

3.4.

Il CESE riconosce la sovranità degli Stati membri nel processo elettorale e sottolinea che la Commissione deve operare nell’ambito di tale sovranità. L’UE non può legiferare in materia di sanzioni da infliggere ai partiti politici nazionali, in quanto si tratta di una competenza degli Stati membri. Pertanto, l’UE può solo proporre misure per sanzionare i partiti politici di livello europeo e, a tal fine, la Commissione propone una modifica del regolamento che ne disciplina lo statuto e il finanziamento. In questo modo l’Autorità sarà più incisiva nelle sue conclusioni una volta che l’uso illecito sia stato accertato.

4.   Osservazioni particolari e raccomandazioni

4.1.

Il CESE riconosce che l’Autorità non dispone attualmente di personale sufficiente. Il direttore e i suoi due membri del personale hanno già un carico di lavoro molto elevato, e con le prossime elezioni europee la pressione su di loro crescerà ulteriormente. Il CESE appoggia pertanto la proposta di dotare l’Autorità di un organico permanente e di conferire al suo direttore i poteri dell’autorità che ha il potere di nomina, in quanto è essenziale che essa disponga di personale sufficiente per monitorare adeguatamente le elezioni.

4.2.

L’utilizzo dei dati e i social media hanno cambiato radicalmente il modo in cui i partiti politici conducono le campagne elettorali, consentendo loro di rivolgersi in modo mirato ai potenziali elettori. Questo sviluppo si è tradotto in un’intensificazione dell’uso dei social media come modo per influenzare le intenzioni di voto dei cittadini. Il CESE si aspetta che l’Autorità esamini quali siano i settori che presentano un rischio di violazione dei dati e proponga delle soluzioni per porre fine a tali abusi, ponendo in essere un sistema di controlli adeguati per assicurare che i dati siano protetti e utilizzati soltanto nell’ambito di parametri ben definiti.

4.3.

Il CESE raccomanda di chiarire meglio che cosa costituisca un tentativo di influenzare le elezioni attraverso una violazione delle norme sulla protezione dei dati. Si dovrebbe prendere in esame l’istituzione di un gruppo di lavoro composto dalle APD degli Stati membri e dall’Autorità, allo scopo di definire le buone pratiche di lavoro tra le due parti, dal momento che la protezione dei dati non ha frontiere all’interno dell’UE.

4.4.

Il direttore dell’Autorità è nominato secondo la procedura di cui all’articolo 6, paragrafo 3, del regolamento, è indipendente e non è responsabile nei confronti delle istituzioni dell’UE. È tenuto a presentare una relazione annuale alla Commissione europea e al Parlamento europeo; a tal riguardo, potrebbe essere opportuno conferire a quest’ultima istituzione il potere di mettere in discussione tale relazione e di porta ai voti. In questo modo si garantirebbe un certo grado di rendicontabilità da parte dell’Autorità e una maggiore trasparenza del processo.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  www.appf.europa.eu.

(2)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 123.

(3)  GU L 317 del 4.11.2014, pag. 1.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il Fondo europeo per la difesa»

[COM(2018) 476 final]

(2019/C 110/15)

Relatore:

Aurel Laurenţiu PLOSCEANU

Correlatore:

Eric BRUNE

Consultazione

Parlamento europeo, 2.7.2018

Consiglio, 4.7.2018

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

10.7.2018

Base giuridica

Articolo 173, paragrafo 3, e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

22.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

200/1/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Secondo il Comitato economico e sociale europeo (CESE), è fondamentale che la strategia globale dell’UE e il piano di attuazione in materia di sicurezza e difesa siano attuati in modo coerente, conformemente a quanto convenuto nella dichiarazione congiunta UE-NATO del luglio 2016, nonché in linea con il principio della sicurezza collettiva sancito dalle Nazioni Unite.

1.2.

Dal 2017, il CESE si è espresso a favore della creazione di un’Unione europea della difesa (UED) e ha sostenuto il piano d’azione europeo in materia di difesa, compresa l’istituzione di un fondo europeo per la difesa. Il Comitato ritiene che tale rafforzamento della difesa europea non sia inteso a indebolire la NATO e le relazioni transatlantiche, bensì a irrobustirle.

1.3.

Il CESE sostiene con decisione la proposta di regolamento che istituisce il Fondo europeo per la difesa nell’ambito del QFP 2021-2027, pubblicata dalla Commissione il 13 giugno 2018.

1.4.

Il CESE chiede che si compia un importante passo avanti qualitativo nella cooperazione europea in materia di difesa. La cooperazione limitata tra gli Stati membri nel settore della difesa crea infatti duplicazioni e si traduce in un’industria della difesa che permane altamente frammentata. La mancanza di integrazione sul fronte della domanda del mercato non incentiva la cooperazione transnazionale tra le imprese, né l’ulteriore integrazione dell’industria. Ciò comporta un impiego inefficiente delle risorse, una sovrapposizione di capacità industriali, divari tecnologici e una mancanza di nuovi programmi, in particolare programmi di collaborazione.

1.5.

Il CESE sostiene l’obiettivo dell’autonomia strategica, con lo sviluppo di tecnologie chiave in settori critici e di capacità strategiche. Tale obiettivo è strettamente connesso alla necessità di una valutazione e un coordinamento solidi per garantire che si acquisisca padronanza di tali tecnologie e che esse vengano mantenute e prodotte a livello europeo, consentendo all’UE di adottare decisioni e di agire autonomamente, se necessario.

1.6.

Il CESE ritiene che una condizione indispensabile per lo sviluppo di capacità comuni di difesa consista nel rafforzare la base industriale e tecnologica del settore europeo della difesa.

1.7.

Il CESE sottolinea che l’Unione europea deve adoperarsi al fine di mantenere, rinnovare e sviluppare una manodopera altamente qualificata e di dotare i lavoratori delle competenze richieste.

1.8.

Il CESE propone che l’Unione europea intensifichi i propri sforzi per armonizzare le norme in materia di esportazioni all’interno dell’Unione.

1.9.

Il CESE è pienamente favorevole a prestare particolare attenzione alle PMI e alle start-up, anche nel quadro delle attività di ricerca e sviluppo per scopi di difesa.

1.10.

Il CESE è dell’opinione che il bilancio dell’UE a sostegno delle attività di difesa non dovrebbe sostituire o costituire un’alternativa alla spesa nazionale nel settore della difesa, ma dovrebbe piuttosto incentivare e accelerare una cooperazione migliore e più intensa in tale ambito. Analogamente, il bilancio dell’UE per la ricerca in materia di difesa non dovrebbe essere stanziato a scapito della ricerca civile in altri settori. Anche se le decisioni sugli investimenti e sui programmi di sviluppo nel settore della difesa continuano a rientrare tra le prerogative degli Stati membri, il Fondo europeo per la difesa potrebbe apportare un valore aggiunto dell’UE incentivando la ricerca e lo sviluppo congiunti di prodotti e tecnologie nel settore della difesa.

1.11.

Il CESE è fermamente convinto che una politica europea di difesa più armonizzata e razionalizzata possa apportare miglioramenti in termini di efficacia incrementando la quota di mercato della base industriale e tecnologica europea della difesa e distribuendo meglio i prodotti tra Stati, regioni e imprese.

1.12.

Il Fondo europeo per la difesa potrà fare la differenza soltanto se sosterrà le attività che contano davvero, e pertanto il suo programma di lavoro dovrebbe essere stabilito sulla base di un solido processo di pianificazione della difesa a livello europeo che identifichi le priorità chiave per l’Europa in termini di capacità.

1.13.

Il CESE sostiene una politica di cooperazione che promuova il coinvolgimento delle PMI e dei paesi non firmatari della lettera d’intenti, senza tuttavia dimenticare le competenze che essi possono aggiungere alla base industriale e tecnologica dell’industria della difesa.

1.14.

Il CESE appoggia la proposta di limitare il contributo dei fondi europei nel caso delle società europee controllate dalla stessa entità e chiede garanzie laddove un paese terzo partecipi agli sviluppi sostenuti dal Fondo europeo per la difesa.

1.15.

Il CESE sostiene l’idea che i fondi europei debbano essere gestiti dalla Commissione europea, ma ritiene che l’Agenzia europea per la difesa possa intervenire proficuamente nella definizione delle esigenze in termini di materiali per la difesa e nell’ambito dell’Organizzazione congiunta per la cooperazione in materia di armamenti (OCCAR), facendo tesoro di quelle che non sono sempre state esperienze positive, e possa contribuire alla gestione dei programmi, poiché la duplicazione di competenze in tale campo pregiudicherebbe l’efficacia del sistema.

1.16.

Il CESE sostiene l’idea che la ricerca e lo sviluppo debbano essere sottoposti al controllo di un comitato etico. Le condizioni etiche devono essere definite chiaramente e valutate già nella valutazione della proposta al fine di garantire chiarezza e certezza del diritto.

1.17.

Il CESE esprime preoccupazione riguardo al futuro della cooperazione con il Regno Unito dopo la Brexit, e sostiene un forte partenariato in materia di sicurezza e di difesa che comprenda l’associazione del Regno Unito al Fondo europeo per la difesa.

1.18.

Il CESE ritiene che il nostro continente, caratterizzato da un invecchiamento della popolazione, si senta minacciato e mostri quindi una tendenza ad attribuire colpe e talvolta a confondere problemi quali il terrorismo e i movimenti migratori, e che vi sia un’insufficiente solidarietà all’interno degli Stati membri e tra di essi, con il riemergere del nazionalismo e di regimi autoritari in varie parti dell’Unione europea, che mettono in discussione la democrazia. Uno strumento di politica industriale interessante come il Fondo europeo per la difesa non potrà prescindere da un’ulteriore riflessione sulla politica europea di difesa.

2.   Presentazione della proposta

2.1.

La situazione geopolitica è divenuta instabile nel corso dell’ultimo decennio: dobbiamo far fronte a un contesto complesso e impegnativo in cui l’emergere di minacce nuove, come gli attacchi ibridi e cibernetici, va di pari passo con la recrudescenza delle minacce più convenzionali.

2.2.

Nella dichiarazione congiunta di Roma del 25 marzo 2017, i leader di 27 Stati membri, unitamente al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e alla Commissione europea, hanno affermato che l’Unione rafforzerà la sicurezza e la difesa comune e promuoverà un’industria della difesa più competitiva e integrata.

2.3.

Il settore europeo della difesa deve affrontare notevoli inefficienze del mercato, connesse ad economie di scala non pienamente utilizzate (frammentazione dei mercati nazionali con acquirente unico) e duplicazione delle risorse a livello europeo.

2.4.

La domanda proviene quasi esclusivamente dagli Stati membri, ma i loro bilanci della difesa, in particolare per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo (R&S), hanno subito considerevoli tagli negli ultimi dieci anni.

2.5.

Nel 2015 solo il 16 % dei materiali per la difesa è stato acquistato attraverso appalti collaborativi a livello europeo, una percentuale ben lontana dal parametro di riferimento collettivo del 35 % concordato nel quadro dell’Agenzia europea per la difesa.

2.6.

Il settore della difesa è altamente frammentato lungo i confini nazionali, con duplicazioni considerevoli e conseguenti inefficienze in termini di realizzazione di economie di scala e di apprendimento.

2.7.

L’attuale situazione non è sostenibile e lo sviluppo di importanti sistemi di difesa di prossima generazione è sempre più fuori della portata dei singoli Stati membri.

2.8.

La mancanza di cooperazione tra Stati membri indebolisce ulteriormente la capacità dell’industria UE della difesa di sostenere le capacità industriali e tecnologiche necessarie per preservare l’autonomia strategica dell’UE e soddisfare le sue esigenze di sicurezza attuali e future.

2.9.

Il 7 giugno 2017 la Commissione ha adottato una comunicazione dal titolo Istituzione del Fondo europeo per la difesa, costituito dalle sezioni «ricerca» e «capacità», corredata di una proposta legislativa di regolamento che istituisce il programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa nella sezione capacità.

2.10.

La proposta di regolamento che istituisce il Fondo europeo per la difesa nell’ambito del QFP 2021-2027 è stata pubblicata dalla Commissione il 13 giugno 2018.

2.11.

Il Fondo europeo per la difesa è concepito come uno strumento atto a promuovere la competitività e la capacità di innovazione della base tecnologica e industriale di difesa dell’UE contribuendo al contempo all’autonomia strategica dell’Unione. Tale strumento è finalizzato ad avviare programmi di cooperazione che non potrebbero essere realizzati senza un contributo dell’UE e a fornire gli incentivi necessari a promuovere la cooperazione in ogni fase del ciclo industriale.

2.12.

I progetti collaborativi caratterizzati da una significativa partecipazione transfrontaliera di piccole e medie imprese saranno particolarmente incoraggiati. Ciò garantirà che il Fondo europeo per la difesa continui ad essere aperto a destinatari di tutti gli Stati membri, a prescindere dalla loro dimensione e dalla loro ubicazione.

2.13.

La proposta in esame prevede come data di applicazione il 1o gennaio 2021 ed è riferita a un’Unione di 27 Stati membri.

2.14.

Sebbene la ricerca nel settore della difesa rientri nell’ambito di applicazione del programma quadro di ricerca e innovazione (Orizzonte Europa), le corrispondenti disposizioni specifiche a essa relative, quali gli obiettivi, le norme che ne disciplinano la partecipazione e i meccanismi di attuazione, sono specificate nella suddetta proposta.

2.15.

La proposta mira ad assicurare sinergie con altre iniziative dell’UE nel campo delle attività di ricerca e sviluppo a scopi civili, quali la sicurezza e la cibersicurezza, il controllo delle frontiere, la guardia costiera, il trasporto marittimo e lo spazio.

2.16.

Vi sarà una stretta correlazione tra il Fondo e i progetti attuati nel quadro della cooperazione strutturata permanente nel settore della difesa (PESCO).

2.17.

Il Fondo terrà conto del piano di sviluppo delle capacità (CDP) dell’UE, che individua le priorità in materia di capacità di difesa, e della revisione annuale coordinata sulla difesa (CARD) dell’UE.

2.18.

In tale contesto potranno essere prese in considerazione anche le attività pertinenti svolte dall’Organizzazione del trattato del Nord Atlantico (NATO) e da altri partner, qualora siano al servizio degli interessi dell’Unione in materia di sicurezza e di difesa.

2.19.

Il Fondo tiene conto anche delle attività di difesa realizzate tramite lo strumento europeo per la pace, uno strumento fuori bilancio proposto al di fuori del QFP.

2.20.

La presente proposta prevede la possibilità di combinare il sostegno a titolo del Fondo con l’erogazione di finanziamenti sostenuti dal Fondo InvestEU.

2.21.

Il Fondo dovrebbe essere utilizzato per ovviare alle carenze del mercato o a situazioni di investimento non ottimali in modo proporzionato, senza duplicare o sostituire i finanziamenti privati, e dovrebbe apportare un chiaro valore aggiunto europeo.

2.22.

L’Unione dovrà assumersi maggiori responsabilità nella protezione dei suoi interessi, dei suoi valori e dello stile di vita europeo, in complementarità e cooperazione con la NATO.

2.23.

Per essere pronta a fronteggiare le minacce di domani e per proteggere i suoi cittadini, l’Unione deve rafforzare la propria autonomia strategica. A tal fine si rende necessario lo sviluppo di tecnologie chiave in settori critici e di capacità strategiche per assicurare la leadership tecnologica.

2.24.

Le decisioni sugli investimenti e sui programmi di sviluppo nel settore della difesa continuano a rientrare nelle prerogative e nella sfera di responsabilità degli Stati membri.

2.25.

L’approccio strategico proposto è proporzionato alla portata e alla gravità dei problemi individuati. L’iniziativa è limitata agli obiettivi che gli Stati membri non possono conseguire in maniera soddisfacente da soli e alle situazioni in cui ci si possa aspettare che l’intervento dell’Unione risulti migliore.

2.26.

Nell’aprile 2017 è stata avviata l’azione preparatoria sulla ricerca in materia di difesa, con un bilancio totale di 90 milioni di EUR ripartito su tre anni. Tale azione ha iniziato a produrre i primi risultati concreti con la firma delle prime convenzioni di sovvenzione nel 2018, ma tutti i progetti sono ancora in corso.

2.27.

Il programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa proposto nel relativo regolamento per il periodo 2019-2020 avrà una dotazione di bilancio di 500 milioni di EUR e dovrebbe essere operativo a decorrere dal 1o gennaio 2019.

2.28.

Dal 13 gennaio al 9 marzo 2018 si è svolta una consultazione pubblica aperta sul Fondo europeo per la difesa. Sono state espresse alcune critiche da un punto di vista etico, ma l’iniziativa è sostenuta dai soggetti interessati direttamente coinvolti. Occorre adattare al settore della difesa le norme sui diritti di proprietà intellettuale.

2.29.

La dotazione di bilancio proposta per il periodo 2021-2027 è di 13 miliardi di EUR (a prezzi correnti), di cui 4,1 miliardi sono destinati ad azioni nel campo della ricerca e 8,9 miliardi ad azioni nel settore dello sviluppo.

2.30.

Fatta salva la conferma dell’efficienza in termini di costi attraverso un’analisi costi-benefici, il Fondo può essere gestito da un’agenzia esecutiva della Commissione.

2.31.

Ai fini della rendicontazione sulla performance e della relativa valutazione, si propone l’istituzione di un programma di monitoraggio. I risultati saranno disponibili progressivamente.

2.32.

La proposta della Commissione per il QFP 2021-2027 ha fissato un traguardo più ambizioso per l’integrazione degli aspetti climatici in tutti i programmi dell’UE, stabilendo l’obiettivo generale di dedicare il 25 % della spesa dell’UE a sostegno degli obiettivi in materia di clima. Il contributo del Fondo europeo per la difesa al conseguimento di tale obiettivo generale sarà monitorato mediante un sistema europeo di indicatori sul clima con un adeguato livello di disaggregazione, compreso l’uso di metodologie più precise, se disponibili.

2.33.

La proposta in esame prevede come data di applicazione il 1o gennaio 2021.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE rimanda alle richieste già formulate nei pareri CCMI/149 (2017), CCMI/116 (2013) e CCMI/100 (2012). Anche la strategia globale dell’UE e il piano di attuazione in materia di sicurezza e difesa offrono importanti approcci a tal fine. Secondo il CESE, è fondamentale che tali iniziative siano attuate in modo coerente, conformemente a quanto convenuto nella dichiarazione congiunta UE-NATO del luglio 2016, nonché in linea con il principio della sicurezza collettiva sancito dalle Nazioni Unite.

3.2.

In considerazione dell’effettivo contesto geostrategico e degli sviluppi in materia di sicurezza, l’Europa deve rafforzare le sue capacità di sicurezza e di difesa. È essenziale mettere a fuoco con chiarezza gli obiettivi strategici comuni dell’Unione, cosa che non è mai stata fatta e che va affrontata con urgenza. Si tratta di una condizione indispensabile per individuare le capacità di difesa necessarie, che devono essere fondate su una base industriale e tecnologica di difesa europea sostenibile.

3.3.

Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare sottoscritto con l’Iran nel 2015, la crisi in Ucraina, le preoccupanti manovre della Russia ai confini con gli Stati baltici e al confine orientale dell’UE, la conflagrazione dell’«arco» costituito da Libia, Iraq e Siria, la permanente instabilità nella regione del Sahel, il potenziale confronto politico e militare tra un asse formato da Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita e un asse formato da Iran, Siria e Russia, tutto ciò in uno scenario caratterizzato da minacce cibernetiche, da un aumento dell’autoritarismo in Europa e da un’accresciuta imprevedibilità della diplomazia statunitense: raramente l’equilibrio strategico dell’UE è stato complesso e preoccupante come lo è oggi.

3.4.

Le questioni concernenti la sicurezza sia all’interno dell’UE che nel suo vicinato figurano tra le principali preoccupazioni sia dei cittadini che dei capi di Stato.

3.5.

Devono essere affrontate dall’UE almeno quattro sfide, nel modo più consensuale possibile: autonomia nel processo decisionale, prevenzione delle crisi, influenza politica e coerenza tra i nostri interessi e i nostri principi democratici.

3.6.

Nel 2017 il CESE si è espresso a favore della creazione di un’Unione europea della difesa (UED) e ha sostenuto il piano d’azione europeo in materia di difesa, compresa l’istituzione di un fondo europeo per la difesa.

3.7.

Il CESE ha chiesto che si compia un importante passo avanti qualitativo nella cooperazione europea in materia di difesa. Di fatto, la cooperazione limitata tra gli Stati membri nel settore della difesa crea duplicazioni e si traduce in un’industria della difesa che permane altamente frammentata. La mancanza di integrazione sul fronte della domanda del mercato non incentiva la collaborazione transnazionale tra le imprese, né l’ulteriore integrazione dell’industria. Ciò comporta un impiego inefficiente delle risorse, una sovrapposizione di capacità industriali, divari tecnologici e una mancanza di nuovi programmi, in particolare programmi di collaborazione.

3.8.

Il CESE sostiene l’obiettivo dell’autonomia strategica in relazione a tecnologie e capacità critiche ben definite. Tale obiettivo è strettamente connesso alla necessità di una valutazione e un coordinamento solidi per garantire che si acquisisca padronanza di tali tecnologie, che esse vengano mantenute e prodotte a livello europeo, consentendo all’UE di adottare decisioni e di agire autonomamente, se necessario.

3.9.

Il CESE appoggia la decisione di sostenere il settore della difesa come politica industriale basata sulla domanda.

3.10.

Il CESE concorda nell’affermare che una maggiore efficienza nell’ambito dei bilanci nazionali dovrebbe consentire di soddisfare tutte le esigenze europee in termini di materiali per la difesa.

3.11.

Il CESE condivide l’opinione secondo cui una coerenza tra i programmi a livello europeo dovrebbe permettere di accrescere la dimensione del mercato europeo servito dall’industria europea della difesa.

3.12.

Il CESE ha affermato che una condizione indispensabile per lo sviluppo di capacità comuni di difesa consiste nel rafforzare la base industriale e tecnologica europea nel settore della difesa.

3.13.

Il CESE sottolinea che l’Unione europea deve adoperarsi al fine di sviluppare una manodopera altamente qualificata e di dotare i lavoratori delle competenze richieste.

3.14.

Il CESE propone che l’Unione europea intensifichi i propri sforzi per armonizzare le norme in materia di esportazioni all’interno dell’Unione.

3.15.

Il CESE è pienamente favorevole a prestare particolare attenzione alle PMI anche nel quadro delle attività di ricerca e sviluppo per scopi di difesa.

3.16.

Il CESE è contrario all’idea di aprire agli scopi di difesa i fondi esistenti che perseguono finalità economiche o sociali.

3.17.

Il CESE ha disapprovato l’idea di introdurre una disposizione speciale che consenta di assegnare risorse di bilancio nazionali alla difesa nel quadro del Patto di stabilità e crescita. Le spese per la difesa non dovrebbero destabilizzare le finanze pubbliche.

3.18.

Il CESE ha appoggiato la proposta di istituire un fondo per la difesa composto di due sezioni distinte: una per la ricerca e una per lo sviluppo delle capacità. Ciò potrebbe sostenere l’elaborazione di un processo di pianificazione integrata per gli investimenti durante l’intero ciclo tecnologico. Le decisioni in materia di appalti continuano a essere prerogativa degli Stati membri. Una forma di appalti congiunti, invece, potrebbe rafforzare l’efficienza dal lato della domanda e contribuire alla competitività e all’efficienza dell’industria europea della difesa. Il bilancio dell’UE a sostegno delle attività di difesa non dovrebbe sostituire o costituire un’alternativa alla spesa nazionale nel settore della difesa, ma dovrebbe piuttosto incentivare e accelerare una cooperazione migliore e più intensa in tale ambito. Analogamente, il bilancio dell’UE per la ricerca in materia di difesa non dovrebbe essere stanziato a scapito della ricerca civile in altri settori. L’obiettivo del Fondo europeo per la difesa è quello di avviare programmi di cooperazione e, sostenendo le attività di ricerca e sviluppo, fornire gli incentivi necessari a promuovere la cooperazione in ogni fase del ciclo industriale. Anche se le decisioni sugli investimenti e sui programmi di sviluppo nel settore della difesa continuano a rientrare nelle prerogative degli Stati membri, il Fondo europeo per la difesa potrebbe apportare valore aggiunto dell’UE incentivando la ricerca e lo sviluppo congiunti di prodotti e tecnologie nel settore della difesa.

3.19.

Il settore dell’industria della difesa non solo è di importanza strategica per la sicurezza e la difesa dei cittadini europei, ma fornisce anche un considerevole contributo all’economia e al benessere in Europa, con un fatturato totale di circa 100 miliardi di EUR all’anno e circa 500 000 persone altamente qualificate occupate in maniera diretta o indiretta. Tale settore costituisce la fonte di prodotti, servizi e tecnologie all’avanguardia, e in esso gli sforzi orientati all’innovazione e alla ricerca e allo sviluppo (R&S) sono determinanti per la competitività.

3.20.

L’industria europea della difesa, nonché la spesa per la ricerca e lo sviluppo, sono piuttosto concentrate nei sei paesi firmatari della lettera d’intenti (Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Regno Unito), che rappresentano il 95 % degli investimenti e la maggior parte delle PMI e delle imprese a media capitalizzazione come pure delle società più importanti. Una politica europea di difesa più armonizzata e razionalizzata può apportare miglioramenti in termini di efficienza mediante un’ulteriore specializzazione di paesi, regioni e società in determinate tecnologie.

3.21.

I paesi firmatari della lettera d’intenti dominano il mercato europeo della difesa per quanto concerne il numero di società attive e le relative vendite di armi. Nel Regno Unito, ad esempio, BAE Systems è la più grande società nel settore della difesa. SAAB costituisce la principale impresa svedese nel campo aerospaziale e della difesa, mentre le più grandi società in tale ambito in Francia sono Dassault Aviation, Naval Group, Safran e Thales. In Germania Rheinmetall, ThyssenKrupp Marine Systems e Diehl sono imprese importanti, mentre in Italia le due società principali sono Leonardo e Fincantieri. Airbus, una società transeuropea, figura al secondo posto della classifica dopo BAE Systems. Un’altra società transnazionale importante è MBDA, un consorzio costituito dalle tre società leader europee nel campo aerospaziale e della difesa (Airbus, BAE Systems e Leonardo), operativo nel settore della costruzione di missili e di sistemi missilistici. Anche KNDS, proprietario di Nexter e KMW, si sta trasformando in una società transeuropea. Occorre tener presente che alcune di queste società non operano esclusivamente sul mercato della difesa, fattore che spiega i rapporti variabili tra le vendite e il numero dei dipendenti.

Se si considerano le imprese di minori dimensioni, un recente studio condotto da IHS ha individuato quasi 1 600 PMI attive nel settore della difesa in Europa e ha stimato a 2 000-2 500 il numero totale di PMI operative nelle catene di approvvigionamento nel settore. Alcune di queste imprese sono «a duplice uso», poiché sono operative sia in ambito civile che nel campo della difesa. In ogni caso le PMI svolgono un ruolo importante nell’industria della difesa e costituiscono un fattore determinante per la competitività.

3.22.

L’industria europea della difesa non è diffusa nell’UE in modo uniforme. Ciò indica che un aumento della spesa militare da parte degli Stati membri dell’UE può non favorire tutti gli Stati in egual misura. Se la spesa più elevata di un paese giunge a imprese di un altro paese, ciò potrebbe determinare nuovi flussi di scambi.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il Fondo europeo per la difesa potrà fare la differenza soltanto se sosterrà le attività che contano davvero, e pertanto il suo programma di lavoro dovrebbe essere stabilito sulla base di un solido processo di pianificazione della difesa a livello europeo che identifichi le priorità chiave per l’Europa in termini di capacità.

4.2.

Il CESE sostiene una politica di cooperazione che promuova la collaborazione transfrontaliera e la partecipazione delle PMI, anche quelle degli Stati non partecipanti alla lettera d’intenti, senza tuttavia ritornare alle politiche del diritto di restituzione che hanno talvolta accresciuto la duplicazione di competenze.

4.3.

Il CESE appoggia la proposta di limitare il contributo dei fondi europei alle società europee controllate da interessi europei, e chiede garanzie laddove un paese terzo partecipi agli sviluppi sostenuti dal Fondo europeo per la difesa.

4.4.

Il CESE sostiene l’idea che la concessione di crediti europei debba essere gestita dalla Commissione europea, ma ritiene che l’Agenzia europea per la difesa possa intervenire proficuamente nella definizione delle esigenze in termini di materiali per la difesa e nell’ambito dell’OCCAR, facendo tesoro di quelle che non sono sempre state esperienze positive, e contribuire alla gestione dei programmi, poiché la duplicazione di competenze in tale campo pregiudicherebbe l’efficacia del sistema.

4.5.

Il CESE sostiene l’idea che la ricerca e lo sviluppo debbano essere sottoposti al controllo di un comitato etico. Le condizioni etiche devono essere definite chiaramente e valutate già nella valutazione della proposta al fine di garantire chiarezza e certezza del diritto.

4.6.

Il CESE è favorevole all’idea della sovranità industriale europea, ma mette ancora in discussione la sua attuazione politica, poiché la maggior parte degli Stati membri dell’Unione europea si considera parte dell’Alleanza atlantica, mentre molti Stati continuano a propugnare un concetto nazionale di sovranità.

4.7.

Il CESE esprime preoccupazione riguardo al futuro della cooperazione con il Regno Unito dopo la Brexit, e sostiene un forte partenariato in materia di sicurezza che comprenda l’associazione del Regno Unito al Fondo europeo per la difesa.

4.8.

Colpiti dalla globalizzazione, che ha un effetto dirompente sotto molti aspetti, gli europei sono già consapevoli di alcuni errori da loro commessi e delle loro illusioni. Il loro errore più grave è l’inazione. La politica di non interferenza strategica, che ci ha consentito di concentrare l’attenzione sull’economia e ci ha procurato così tanta ricchezza durante la guerra fredda e negli anni fino al volgere del secolo, è divenuta ora il principale ostacolo all’Europa.

4.9.

Per lungo tempo l’Europa ha imposto la propria volontà al mondo, dapprima per conto proprio e successivamente insieme agli Stati Uniti. In un mondo in cui il riscaldamento globale e i regimi autoritari stanno guadagnando terreno, le disuguaglianze in termini di sviluppo tra i paesi, ma anche all’interno di essi, diventano insostenibili. Il nostro continente, caratterizzato da un invecchiamento della popolazione, si sente minacciato e mostra quindi una tendenza ad attribuire colpe e talvolta a confondere problemi quali il terrorismo e i movimenti migratori, con un’insufficiente solidarietà all’interno degli Stati membri e tra di essi e una recrudescenza di nazionalismo e autoritarismo, che mettono in discussione le democrazie europee. Uno strumento di politica industriale interessante come il Fondo europeo per la difesa non esime l’Unione europea dalla riflessione politica su quali siano i suoi obiettivi e su come intenda difenderli.

4.10.

La difesa europea non ruota unicamente intorno alle minacce strategiche, agli interventi esterni, alla capacità militare, all’innovazione tecnologica e all’eccellenza industriale. La più grande minaccia di fronte alla quale si trovano oggi gli europei è la sfida che riguarda la democrazia europea stessa, pertanto la politica di difesa comune non può più ignorare questa dimensione politica.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/82


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG)»

[COM(2018) 380 final]

(2019/C 110/16)

Relatore:

Vladimír NOVOTNÝ

Correlatore:

Pierre GENDRE

Consultazione

Parlamento europeo, 11.6.2018

Consiglio, 22.6.2018

Base giuridica

Articolo 175, terzo comma, e articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

22.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

201/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione che consentirà di prorogare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) oltre il 31 dicembre 2020. Il CESE raccomanda che l’ambito di applicazione del FEG, che è stato esteso ai licenziamenti dovuti non solo a gravi turbamenti dell’economia ma anche a nuove crisi finanziarie ed economiche globali, tenga conto dei cambiamenti sostanziali dell’occupazione causati, ad esempio, dallo sviluppo della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, dalla transizione verso un’economia senza emissioni di carbonio e dalle eventuali conseguenze di una riduzione del commercio mondiale. Il FEG dovrebbe dunque diventare uno strumento permanente per mitigare gli effetti negativi delle sfide del XXI secolo sul mercato del lavoro.

1.2.

Il Comitato osserva che vi sono alcune incertezze sul ruolo dei vari fondi europei e raccomanda pertanto che tutte le parti interessate siano informate in modo chiaro e semplice sulla portata delle loro misure e sulla loro possibile complementarità. Il CESE sottolinea che l’obiettivo del FEG non è sostituire le disposizioni legislative nazionali né quelle derivanti da contratti collettivi, ma che esso può, se necessario, integrarle.

1.3.

Il Comitato invita i governi degli Stati membri a sviluppare, in collaborazione con la Commissione, meccanismi a livello nazionale e a rafforzare, sul piano delle capacità, le strutture amministrative che faciliteranno e renderanno più efficace la preparazione, da parte delle piccole e medie imprese, delle domande di intervento del FEG e di assistenza ai lavoratori colpiti da licenziamento.

1.4.

Il CESE sollecita nuovamente il coinvolgimento delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile nella procedura di domanda dei finanziamenti, dall’inizio del processo di presentazione delle domande di sostegno del FEG e in tutte le fasi del trattamento delle stesse, a livello di imprese, regioni, Stati membri e UE.

1.5.

Il Comitato appoggia la proposta della Commissione secondo cui i lavoratori licenziati e i lavoratori autonomi la cui attività sia cessata dovrebbero avere pari accesso al FEG, indipendentemente dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro.

1.6.

Il CESE invita gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione che partecipano ai processi decisionali del FEG a impegnarsi al massimo per ridurre i tempi di trattamento e semplificare le procedure onde garantire l’agevole e rapida adozione delle decisioni relative alla mobilitazione del FEG.

1.7.

Il CESE invita gli Stati membri a prestare particolare attenzione alle categorie svantaggiate, compresi i giovani disoccupati e i disoccupati più anziani nonché le persone a rischio di povertà, dato che questi gruppi si trovano ad affrontare problemi specifici nella ricerca di un’occupazione stabile.

1.8.

Il Comitato ricorda con insistenza che, nell’interesse dei beneficiari, l’assistenza dovrebbe essere messa a disposizione nel modo più rapido ed efficiente possibile.

2.   Contesto del parere, compresa la proposta legislativa in esame

2.1.   Istituzione e sviluppo del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione

2.1.1.

Il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) è stato istituito dal regolamento (CE) n. 1927/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (1) per il periodo di programmazione 2007-2013 al fine di agevolare il ritorno al lavoro dei lavoratori in aree, settori, territori o mercati del lavoro sconvolti da un grave deterioramento della situazione economica. Il FEG fornisce sostegno alle persone ma non prevede l’assistenza alle imprese in difficoltà.

2.1.2.

Nel contesto dello sviluppo della crisi finanziaria ed economica, nel 2008 la Commissione ha sottoposto il FEG a revisione per estenderne la portata con efficacia dal 1o maggio 2009 al 30 dicembre 2011 e aumentare il tasso di cofinanziamento dal 50 % al 65 % al fine di ridurre l’onere per gli Stati membri.

2.1.3.

Nel 2009 l’ambito di applicazione del FEG è stato ampliato al fine di includere i lavoratori licenziati come conseguenza diretta della crisi finanziaria ed economica mondiale.

2.1.4.

Nell’ambito del quadro finanziario pluriennale 2014-2020, il regolamento (UE) n. 1309/2013 (2) ha esteso la portata del FEG. Tale ampliamento ha comportato l’inclusione non solo dei licenziamenti dovuti a trasformazioni strutturali significative del commercio mondiale, ma anche di quelli causati da qualsiasi nuova crisi finanziaria ed economica globale.

2.1.5.

Il 17 novembre 2017 il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno proclamato congiuntamente il pilastro europeo dei diritti sociali, i cui principi costituiranno un quadro di riferimento generale per il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione.

2.2.   Nuova proposta relativa al FEG per il dopo 2020

2.2.1.

L’obiettivo principale della nuova proposta è garantire che il FEG, che è uno strumento speciale che esula dai massimali di spesa del quadro finanziario pluriennale, continui a funzionare anche dopo il 31 dicembre 2020, a tempo indeterminato.

2.2.2.

Il FEG potrebbe offrire assistenza anche in caso di crisi impreviste che comportino un grave deterioramento della situazione economica locale, regionale o nazionale. Tra queste crisi rientrano una grave recessione che colpisca importanti partner commerciali, oppure un crollo del sistema finanziario.

2.2.3.

Il sostegno del FEG è a disposizione dei lavoratori indipendentemente dal contratto o dal tipo di rapporto di lavoro. Può includere non solo i lavoratori con contratto a durata indeterminata, ma anche quelli con contratto a durata determinata, i lavoratori interinali, i proprietari/dirigenti di microimprese e i lavoratori autonomi.

2.2.4.

Si può presentare una domanda di sostegno del FEG a favore dei lavoratori quando il numero di esuberi raggiunge una soglia minima. La soglia di 250 esuberi è inferiore a quella fissata per il periodo di programmazione 2014-2020: in molti Stati membri, la maggior parte dei lavoratori è impiegata in piccole e medie imprese (PMI).

2.2.5.

Il FEG pone l’accento sulle misure attive per il mercato del lavoro volte a reintegrare rapidamente i lavoratori licenziati in un posto di lavoro stabile. Il FEG non può contribuire a finanziare misure passive. Possono essere previste indennità solo se concepite come incentivi volti a facilitare la partecipazione dei lavoratori licenziati a misure attive per il mercato del lavoro, ed è stato previsto un tetto massimo per la quota delle indennità all’interno di un pacchetto coordinato di misure attive per il mercato del lavoro.

2.2.6.

Gli Stati membri ricorrono al fondo soltanto in reali situazioni di emergenza. Il FEG non può sostituire le misure già coperte dai fondi e programmi dell’UE compresi nel quadro finanziario pluriennale, né misure nazionali o misure che, in virtù del diritto nazionale o di contratti collettivi, rientrano nella sfera di responsabilità delle imprese che licenziano.

2.2.7.

Una domanda di sostegno dovrebbe essere presentata se un importante evento di ristrutturazione ha un impatto rilevante sull’economia locale o regionale.

2.2.8.

Il regolamento in esame dovrà essere sottoposto ad una valutazione ex post entro il 31 dicembre 2021.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione che consente di prorogare il FEG oltre il 31 dicembre 2020. In passato, il Comitato ha adottato una serie di pareri a sostegno del FEG e ritiene che tali pareri siano ancora attuali (3) (4) (5) (6).

3.2.

Il Comitato sottolinea il ruolo costante del FEG in quanto strumento flessibile per sostenere i lavoratori che perdono il lavoro in eventi di ristrutturazione su vasta scala e per aiutarli a trovare il più rapidamente possibile una nuova occupazione. Raccomanda di prendere in considerazione la situazione dei lavoratori che subiranno una riduzione permanente dell’orario di lavoro senza una compensazione per il loro salario ridotto.

3.3.

Il Comitato ritiene che sarebbe utile raccogliere dati di sorveglianza più dettagliati, in particolare per quanto riguarda la categoria dei lavoratori, la loro esperienza professionale e formazione, la loro situazione occupazionale e il tipo di impiego trovato. In considerazione della prevista complessità amministrativa di questo programma e dei relativi costi, il Comitato sostiene, in alternativa, la raccolta di tali informazioni sotto forma di questionari online per i beneficiari del sostegno, così come proposto dalla Commissione.

3.4.

Il Comitato appoggia la proposta della Commissione secondo cui i lavoratori licenziati e i lavoratori autonomi la cui attività principale sia cessata dovrebbero avere pari accesso al FEG, indipendentemente dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro.

3.5.

A giudizio del CESE, i contributi finanziari del FEG dovrebbero concentrarsi in particolare sulle misure attive del mercato del lavoro. L’obiettivo è quello di reintegrare rapidamente i beneficiari in un’occupazione sostenibile, e si dovrebbe anche promuovere la mobilità professionale e geografica dei lavoratori al fine di facilitarne il trasferimento.

3.6.

Il CESE prende nota dell’importo massimo di 225 milioni di EUR all’anno per il periodo 2021-2027 e ritiene che tale volume di finanziamenti sia adeguato all’attuale situazione economica dell’UE. Fa però rilevare che tale volume di finanziamenti potrebbe rivelarsi insufficiente qualora si ritornasse ad una crisi più profonda, oppure nel caso di un’accelerazione degli sviluppi tecnologici e della transizione energetica.

3.7.

Il Comitato raccomanda che, nell’ambito del riesame intermedio del quadro finanziario pluriennale, venga effettuata una revisione del FEG, dal punto di vista sia dell’esecuzione dei fondi che della soglia di 250 esuberi, e che la Commissione, in collaborazione con l’autorità di bilancio dell’UE, predisponga un adeguamento corrispondente dei finanziamenti del Fondo.

3.8.

In questo caso la Commissione dovrebbe prendere in considerazione un aumento dei finanziamenti fino a 1 miliardo di euro circa. Poiché il FEG è concepito come fondo di emergenza, occorre inoltre garantire che i processi decisionali relativi a tale aumento di fondi si svolgano nel più breve tempo possibile.

3.9.

Il CESE invita gli Stati membri a prestare particolare attenzione alle categorie svantaggiate, compresi i giovani disoccupati e i disoccupati più anziani nonché le persone a rischio di povertà, dato che questi gruppi si trovano ad affrontare problemi specifici nella ricerca di un’occupazione stabile.

3.10.

Gli Stati membri e le istituzioni dell’Unione che partecipano ai processi decisionali del FEG dovrebbero impegnarsi al massimo per ridurre i tempi di trattamento e semplificare le procedure onde garantire l’agevole e rapida adozione delle decisioni relative alla mobilitazione del FEG. Il Comitato ricorda con insistenza che, nell’interesse dei beneficiari, l’assistenza dovrebbe essere messa a disposizione nel modo più rapido ed efficiente possibile.

3.11.

Il CESE accoglie con favore il fatto che il pilastro europeo dei diritti sociali fungerà da quadro di orientamento generale per il FEG, il che consentirà all’Unione di metterne in pratica i principi pertinenti negli importanti eventi di ristrutturazione. Il Comitato raccomanda che, data la difficoltà di determinare il fattore specifico alla base dei licenziamenti, in futuro la mobilitazione del FEG si basi principalmente sulla rilevanza dell’impatto provocato dall’evento di ristrutturazione associato non solo ai processi di globalizzazione, ma anche, in particolare, ai processi di altri importanti cambiamenti come, ad esempio, la decarbonizzazione, la digitalizzazione e l’industria 4.0 e i relativi cambiamenti tecnologici e processi di trasformazione, nonché ai cambiamenti causati da una vasta gamma di motivi legati a importanti reinsediamenti o licenziamenti e alla crisi finanziaria o economica. A tale proposito, il CESE si compiace apertamente dell’estensione dell’ambito di applicazione del FEG ai rischi del mercato del lavoro causati da cambiamenti strutturali dovuti alla digitalizzazione e agli sviluppi nel settore della decarbonizzazione.

3.12.

Il CESE è convinto che il FEG dovrebbe essere meglio allineato con le altre politiche dell’UE e che sia opportuno specificare più in dettaglio le sinergie di tale fondo con altri fondi e programmi (per esempio, FEAD, FSE, EaSI e programma dell’UE per la salute) e la loro interazione.

3.13.

Tenuto conto della denominazione attuale del Fondo e degli obiettivi per esso stabiliti, due elementi, questi, che sono in contraddizione tra loro, e al tempo stesso considerando l’interesse di conservare l’acronimo «FEG» («EGF» in inglese), il CESE propone di modificarne il titolo da «Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione» a «Fondo europeo di adeguamento e globalizzazione», oppure di adottare una denominazione simile che permetta di mantenere il suddetto acronimo.

3.14.

Il Comitato ritiene che sarà opportuno, nel prossimo periodo, estendere il campo di applicazione del FEG per sostenere programmi sviluppati a livello nazionale quali quelli relativi al lavoro a orario ridotto («kurzarbeit» o «short-time»).

4.   Piccole e medie imprese

4.1.

Le piccole e medie imprese forniscono circa l’80 % dei posti di lavoro nell’UE, eppure sono tra le più vulnerabili in caso di crisi o di processi di trasformazione. Per questo motivo, il Comitato invita i governi degli Stati membri, in cooperazione con la Commissione, a sviluppare meccanismi a livello nazionale e a rafforzare, sul piano delle capacità, le strutture amministrative al fine di facilitare e rendere più efficace la preparazione delle domande, da parte delle PMI, per l’intervento del FEG e l’assistenza ai lavoratori colpiti da licenziamento.

4.2.

Il CESE sostiene la proposta di equiparazione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi (articolo 7), a condizione che non si sommi il lavoro autonomo con quello dipendente e in caso di cessazione dell’attività principale.

4.3.

Il Comitato approva l’idea di proteggere i proprietari di microimprese, che rischiano di perdere il lavoro a causa di una crisi economica e finanziaria o a seguito di cambiamenti tecnologici, come pure la possibilità di concedere loro il sostegno del FEG. Ciò non dovrebbe significare, tuttavia, che un «lavoratore autonomo» sia definito come «una persona che ha impiegato meno di 10 lavoratori», come indicato all’articolo 4 della proposta di regolamento presentata dalla Commissione. Tale definizione produrrebbe tutta una serie di effetti diversi negli atti legislativi europei, poiché designerebbe allo stesso modo categorie differenti di attività lavorative ed economiche. Si invita la Commissione a trovare un’altra soluzione per realizzare l’obiettivo, che il Comitato condivide, di proteggere i proprietari di microimprese.

4.4.

Il CESE propone che la Commissione, in collaborazione con gli Stati membri, migliori i risultati del FEG attraverso una campagna di informazione, comprendente le piccole e medie imprese, e faciliti la loro partecipazione alla possibilità di ottenere il sostegno offerto dal FEG.

4.5.

Il CESE apprezza il nuovo adeguamento dei criteri di intervento (articolo 5), nel quale viene posto l’accento sulla situazione delle piccole e medie imprese, che impiegano gran parte degli occupati. È particolarmente importante tenere conto del concetto di gruppo e/o di unità territoriale, indipendentemente dal limite dei 250 dipendenti, qualora più di una succursale dello stesso gruppo in cui si verificano perdite di posti di lavoro non raggiungesse questa soglia individualmente.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il CESE raccomanda di prevedere una maggiore flessibilità nel determinare il numero di lavoratori licenziati e i casi di cessazione delle attività (articolo 6), i beneficiari ammissibili (articolo 7) e le misure ammissibili (articolo 8), in modo da fornire assistenza ai lavoratori interessati il più rapidamente possibile.

5.2.

Il Comitato raccomanda inoltre di semplificare il più possibile le procedure amministrative legate alla presentazione della domanda (articolo 9), accelerando così l’intero processo. Semplificando la documentazione e introducendo l’assistenza tecnica agli Stati membri, ove necessario, è possibile aumentare l’impatto delle misure del fondo.

5.3.

Il Comitato è convinto della necessità di semplificare le misure amministrative (punto 2 dell’allegato della proposta di regolamento), in particolare le disposizioni in materia di sorveglianza e relazioni, i sistemi di gestione e controllo e le misure di prevenzione delle frodi e delle irregolarità.

5.4.

Il CESE sostiene la limitazione dell’ammissibilità a un contributo del FEG prevista all’articolo 8, paragrafo 2, lettera b) della proposta, laddove viene spiegato che il sostegno del FEG non deve sostituire le responsabilità delle imprese derivanti dal diritto nazionale o dai contratti collettivi. Ciò non dovrebbe escludere, in generale, le misure di mercato basate su contratti collettivi dall’ambito di applicazione potenziale del sostegno del FEG.

5.5.

Il Comitato auspica che la Commissione, nella prossima valutazione ex post del FEG, presti particolare attenzione all’analisi delle cause dell’utilizzo disomogeneo del fondo negli Stati membri dell’UE, esaminando in particolare le cause dello scarso o addirittura inesistente ricorso al sostegno del FEG nei seguenti paesi: Bulgaria, Cechia, Estonia, Croazia, Cipro, Lettonia, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Slovacchia e Regno Unito.

5.6.

Il CESE sollecita nuovamente il coinvolgimento delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile nella procedura di domanda dei finanziamenti, dall’inizio del processo di presentazione delle domande di sostegno del FEG e in tutte le fasi del trattamento delle stesse, a livello di imprese, regioni, Stati membri e UE. Un ruolo importante può essere svolto anche dalle strutture regionali e dai comuni, in considerazione della loro conoscenza dettagliata della situazione e delle specificità locali.

5.7.

Il Comitato raccomanda alla Commissione di precisare nel regolamento che il termine «lavoratori» si riferisce anche ai lavoratori membri di cooperative.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU L 406 del 30.12.2006, pag. 1.

(2)  Regolamento (UE) n. 1309/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, sul Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (2014-2020) e che abroga il regolamento (CE) n. 1927/2006 (GU L 347 del 20.12.2013, pag. 855).

(3)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 38.

(4)  GU C 228 del 22.9.2009, pag. 141.

(5)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 92.

(6)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 17.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/87


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma Europa creativa (2021-2027) e che abroga il regolamento (UE) n. 1295/2013»

[COM(2018) 366 final]

(2019/C 110/17)

Relatrice:

Emmanuelle BUTAUD-STUBBS

Correlatore:

Zbigniew KOTOWSKI

Consultazione

Parlamento europeo; 14.6.2018

Consiglio, 21.6.2018

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

19.6.2018

Base giuridica

Articolo 173, paragrafo 3 e articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

22.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

207/2/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma Europa creativa (2021-2027) [COM(2018) 366 final] e i suoi indicatori, definiti nell’allegato II. La costruzione di un’Europa forte e unita deve fondarsi sulla diversità delle radici culturali, il cui canale di trasmissione dovrebbe essere l’istruzione. Si dovrebbe considerare il proseguimento di questo programma come estremamente positivo per lo sviluppo della cultura europea e delle culture dei singoli Stati membri, una delle basi della nostra società e l’elemento in cui prendono forma i nostri valori democratici.

1.2.

Da molti anni il CESE promuove i contributi rilevanti dei settori creativi e culturali, e delle relative imprese, alla creazione di valore e posti di lavoro, all’inclusività e alla crescita nell’UE (1). Nel 2012 secondo l’OCSE i settori ad alta intensità di diritti d’autore (2) nell’UE generavano il 4,2 % del PIL e il 3,2 % dell’occupazione. Ai sensi dell’articolo 2 della proposta di regolamento [COM(2018) 366], tali settori comprendono «l’architettura, gli archivi, le biblioteche e i musei, l’artigianato artistico, gli audiovisivi (compresi il cinema, la televisione, i videogiochi e i contenuti multimediali), il patrimonio culturale materiale e immateriale, il design (compreso il design della moda), i festival, la musica, la letteratura, le arti dello spettacolo, i libri e l’editoria, la radio e le arti visive».

1.3.

Conoscendo la natura speciale degli atti e dei processi creativi che non sempre rientrano facilmente nel quadro generale della legislazione sul lavoro, il CESE è perfettamente consapevole delle sfide sociali che alcuni Stati membri dovrebbero raccogliere: miglioramento delle condizioni di lavoro, eliminazione delle ore non retribuite, lotta contro i divari di genere, promozione del lavoro dignitoso, migliori condizioni sanitarie e di sicurezza, mobilità agevolata, inclusione di persone con disabilità e di coloro che sono esclusi, politica contro le molestie sessuali ecc.

1.4.

Il CESE ritiene che la dotazione di bilancio prevista, pari a 1,8 miliardi di EUR, non sia sufficiente per il conseguimento degli ambiziosi obiettivi del programma Europa creativa 2021-2027. Il CESE chiede pertanto una dotazione più elevata. Questo ingente investimento nella creatività dell’Europa, nei suoi artisti, creatori, musicisti, scrittori, fotografi, architetti, ideatori di videogiochi, cineasti ecc. aiuterà l’UE a competere con successo con grandi paesi (Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud) che hanno strategie decise volte a dispiegare un’influenza culturale, il cosiddetto soft power, a livello nazionale e nell’ambito di organizzazioni internazionali. I finanziamenti provenienti dall’UE dovrebbero essere integrati da finanziamenti pubblici nazionali e regionali. Incentivi fiscali ad hoc potrebbero inoltre attirare iniziative filantropiche (per esempio il restauro del patrimonio) e facilitare il finanziamento collettivo (crowd funding) per la creazione di nuovi modelli imprenditoriali.

1.5.

Il CESE ritiene inoltre che sia necessario investire in strumenti giuridici e tecnici per combattere più efficacemente tutte le forme di promozione della violenza e della discriminazione, in particolare nella produzione di videogiochi online per bambini e ragazzi.

1.6.

Il CESE sostiene l’inclusione di una dimensione creativa e culturale nella politica esterna dell’UE (politica commerciale, relazioni internazionali ecc.) (3).

1.7.

Questo sforzo finanziario senza precedenti dovrebbe essere realizzato utilizzando tre canali:

una maggiore dotazione per «Europa creativa» pari a 1 930 000 EUR invece di 1 850 000 EUR per il periodo 2021-2027, con un finanziamento aggiuntivo di 80 milioni di EUR alla sezione TRANSETTORIALE che consentirà altri progetti di «fertilizzazione incrociata» tra le stesse imprese dei settori creativi e culturali (musica, moda, design, arte, cinema, editoria ecc.) e tra questi e altri settori, e maggiori risorse finanziarie per più numerose attività di formazione nel settore dei media in un contesto in cui il pluralismo dei media è stato recentemente messo sotto attacco nell’UE;

un sostegno finanziario alla cultura e alla creatività in un’ampia gamma di programmi UE al fine di «migliorare il processo di integrazione della cultura nelle altre politiche settoriali, con conseguenti benefici reciproci sia per la cultura sia per il settore interessato» (4), quali Orizzonte 2020, il Fondo sociale europeo, Europa digitale, il Fondo di coesione, Erasmus;

mantenimento dell’appoggio allo strumento di garanzia finanziaria destinato ai «settori culturali e creativi» allo scopo di fornire garanzie e, ove necessario, sostegno per le PMI e le start-up sotto forma di partecipazione al capitale proprio.

1.8.

Da questa rinnovata ambizione per un’Europa più culturale e creativa trarranno beneficio anche diversi settori e diverse catene del valore industriali dell’UE, dai settori del tessile, dell’abbigliamento, della pelle, dei mobili, della ceramica, dei giocattoli, del turismo, dell’arte e dell’artigianato ai settori automobilistico, della costruzione, della salute e del benessere, dell’energia verde ecc., grazie all’integrazione di creatività, design e tecnologie di punta. Vi sono molti esempi in Europa della transizione riuscita di certe regioni o città industriali verso settori creativi che generano più valore aggiunto (Torino).

1.9.

Le opportunità offerte dalla «rivoluzione digitale» nei settori a forte intensità di diritto d’autore sono particolarmente importanti e si dovrebbero promuovere investimenti adeguati in attrezzature e software (intelligenza artificiale, blockchain, stampa 3D, digitalizzazione di archivi, per esempio) come pure nella formazione.

1.10.

Il potenziale innovativo di queste settori è illimitato, in quanto essi si affidano in larghissima misura alla creatività, all’abilità e all’immaginazione delle persone. È per questo motivo che i settori creativi e culturali dovrebbero disporre di una dotazione di bilancio specifica nel quadro di «Orizzonte 2020», [almeno 3 miliardi di EUR, che corrispondono a una percentuale leggermente inferiore al loro peso sul PIL dell’UE (4,2 %)].

1.11.

Nel mercato degli Stati Uniti sono in corso grandi operazioni di fusione che avranno un impatto sui settori culturali e creativi dell’UE. In questo contesto, il CESE chiede alla Commissione europea di pubblicare un bando di gara per una relazione, basata sullo strumento della business intelligence e da pubblicare nel 2019, concernente le principali tendenze economiche e tecnologiche aventi un’incidenza sui media, sul cinema e sugli audiovisivi che sono in atto negli Stati Uniti e le loro probabili conseguenze sulle loro controparti europee nel campo della produzione, del consumo e della distribuzione.

1.12.

Considerando che l’UE 27 potrebbe trarre notevoli benefici da un dialogo ininterrotto con il Regno Unito, che è un attore chiave in questi settori, il CESE chiede alla Commissione europea di dare il suo sostegno a qualsiasi dialogo bilaterale tra i governi e le reti che potrebbe porre le premesse per un accordo bilaterale al fine di perseguire programmi bilaterali ambiziosi nel quadro del programma Europa creativa 2021-2027. Accordi bilaterali simili sono stati conclusi in passato (2014-2020) con paesi terzi quali Georgia, Serbia e Ucraina.

2.   Osservazioni generali

2.1.   Un nuovo livello di ambizione

2.2.

La proposta di regolamento [COM(2018) 366] si fonda sull’articolo 3 del trattato sull’Unione europea: l’UE si prefigge l’obiettivo «di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli», e «rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo». Vi è tuttavia la chiara percezione che vi siano anche altre sfide da affrontare, in particolare la concorrenza delle piattaforme online e dei motori di ricerca, la concentrazione del settore intorno a un numero ristretto di grandi operatori o l’espandersi del fenomeno della «disinformazione».

2.3.

Con questo nuovo programma la Commissione europea intende offrire agli operatori l’opportunità di sviluppare iniziative transfrontaliere a livello europeo innovative dal punto di vista tecnologico e artistico, al fine di scambiare, creare insieme, co-produrre e distribuire opere europee. L’obiettivo è anche il rafforzamento della posizione degli attori dell’UE nei mercati dell’UE e in quelli globali. Si possono additare come esempi di buone pratiche in questo settore le attività del fondo «Eurimages» del Consiglio d’Europa.

2.4.   Una dotazione di bilancio più consistente, ma ancora insufficiente

2.4.1.

Il bilancio proposto, pari a 1,85 miliardi di EUR per 27 Stati membri, è più elevato di quello attuale, ma rappresenta appena 1/1 000 dei 1 135 miliardi di EUR complessivi del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 dell’UE.

2.5.

Lo stanziamento proposto dalla Commissione europea è diviso in tre parti:

la sezione CULTURA con 609 milioni di EUR (il 33 % della dotazione di bilancio complessiva rispetto al 31 % del bilancio totale di Europa creativa per il periodo 2014-2020);

la sezione MEDIA con 1 081 milioni di EUR (il 58 % della dotazione di bilancio complessiva rispetto al 56 % del bilancio totale di Europa creativa per il periodo 2014-2020);

la sezione TRANSETTORIALE con 160 milioni di EUR (il 9 % della dotazione di bilancio complessiva rispetto al 13 % del bilancio totale di Europa creativa per il periodo 2014-2020).

2.5.1.

Il CESE chiede un ulteriore stanziamento di 80 milioni di EUR per la sezione TRANSETTORIALE, allo scopo di sviluppare tutto il potenziale dei progetti di «fertilizzazione incrociata» (5) (economia digitale, turismo, arte, lusso, cultura, stampa digitale…) e di individuare risposte più concrete nel campo dell’alfabetizzazione mediatica.

2.5.2.

L’obiettivo di sostenere in via prioritaria progetti destinati a un grande pubblico si addice al settore audiovisivo, (sezione MEDIA) ma non dovrebbe applicarsi a tutte le attività culturali, specie nelle zone rurali. La coesione sociale e l’inclusione sociale sono al centro del progetto europeo.

2.6.   La Brexit e la situazione nel campo della creatività e della cultura

2.6.1.

Questo nuovo programma sarà attuato nell’UE-27 dopo il recesso dall’UE del Regno Unito, che è uno degli Stati membri in cui i settori creativi e culturali svolgono un ruolo cruciale (90 miliardi di sterline nel 2016, 2 milioni di occupati). Il CESE ritiene essenziale per la dinamica di «Europa creativa» mantenere relazioni intense con il Regno Unito e per incentivare, laddove possibile e necessario, la cooperazione bilaterale. L’obiettivo di un accordo bilaterale specifico e su misura con il Regno Unito per la realizzazione di azioni e programmi dovrebbe essere perseguito sulla base dell’articolo 8 della proposta di regolamento e conformemente alla revisione della direttiva sui servizi di media audiovisivi.

2.7.   Insegnamenti tratti dal precedente programma Europa creativa 2014-2020

2.7.1.

Nei vari studi di valutazione richiesti dalla Commissione sono stati individuati i seguenti limiti principali:

dotazioni di bilancio insufficienti per incidere a livello dell’UE o settoriale;

finanziamenti troppo frammentati per il programma MEDIA;

eccessiva complessità dell’accesso e della rendicontazione amministrativa per i programmi e i finanziamenti dell’UE, soprattutto per le PMI e le persone fisiche o per chi presenta domanda per la prima volta;

distribuzione dei fondi non omogenea, ad avviso dagli Stati membri.

2.7.2.

Durante un’audizione organizzata a Parigi (il 6 ottobre 2016) da Silvia Costa, presidente della commissione per la cultura e l’istruzione del PE, le parti interessate hanno individuato altre problematiche concrete:

il tasso di successo dei bandi di gara della sezione CULTURA è troppo basso (11 %);

il termine massimo concesso per una traduzione letteraria è troppo breve (2 anni);

il numero di paesi terzi che possono prendere parte ad alcuni progetti è troppo ristretto;

il concetto di «sperimentazione» dovrebbe essere promosso e sostenuto, al pari del concetto di «innovazione».

Alla luce di tali critiche, la Commissione propone alcune semplificazioni per il periodo 2021-2027:

maggiore flessibilità al fine di adeguare i programmi di lavoro a circostanze impreviste;

più accordi quadro di partenariato e sovvenzioni a cascata;

più incentivi per premiare i risultati legati alla capacità di raggiungere un pubblico più vasto;

uso sistematico di moduli elettronici e relazioni elettroniche e obblighi di rendicontazione semplificati.

2.8.   Sezione Cultura

2.8.1.

Il bilancio complessivo di 609 milioni di EUR sosterrà la circolazione transfrontaliera delle opere e la mobilità degli operatori creativi, incoraggerà i partenariati, le reti e le piattaforme che puntano a raggiungere un pubblico più vasto in Europa e oltre i suoi confini per le opere e per gli operatori dei settori creativi e culturali europei, e promuoverà l’identità e il patrimonio e i valori europei mediante la sensibilizzazione culturale, l’educazione alle arti e la creatività nell’istruzione. Si sosterranno inoltre azioni speciali dell’Unione quali le capitali europee della cultura, i premi culturali dell’UE e il marchio del patrimonio europeo. Un’altra priorità è la promozione dello sviluppo delle capacità a livello internazionale per consentire ai settori culturali e creativi europei di operare sul piano internazionale.

Il CESE vorrebbe aggiungere alla proposta di regolamento un paragrafo sulla creatività popolare e «amatoriale», perché è proprio questa forma di creatività che ha preparato il terreno per lo sviluppo e la diffusione di un’autentica sensibilità umanistica e artistica.

2.9.   Sezione Media

2.9.1.

Il programma copre i media audiovisivi, il cinema e i videogiochi con una dotazione complessiva di 1 081 000 EUR ed è legato ad alcuni strumenti giuridici specifici: la revisione del quadro normativo sul diritto d’autore e la direttiva sui servizi di media audiovisivi riveduta.

2.9.2.

La prima proposta [COM(2016) 593 final] è stata adottata dal Parlamento europeo (12 settembre 2018) in prima lettura.

La proposta ha tre obiettivi principali: a) migliorare l’accesso ai contenuti online e transfrontalieri per i programmi televisivi e radiofonici sulle piattaforme di video su richiesta, b) armonizzare e modernizzare le eccezioni al diritto d’autore nel diritto dell’Unione nell’ambito dell’insegnamento, della ricerca e della conservazione del patrimonio culturale, c) creare un mercato efficiente per il diritto d’autore a vantaggio di editori di giornali, autori e artisti (interpreti o esecutori) che realizzano contenuti per le piattaforme online.

2.9.3.

Il secondo strumento persegue vari obiettivi: fornire maggiori opportunità per la promozione di opere europee all’interno dell’Unione (almeno il 30 % delle opere dell’UE sulle piattaforme video online) e in paesi terzi, incoraggiare la cooperazione lungo la catena del valore, dalle fasi iniziali della produzione alla distribuzione e alla presentazione al pubblico, e potenziare il livello di protezione dei minori e dei consumatori.

2.9.4.

La dotazione di 1 081 000 EUR dedicata al settore audiovisivo europeo, che include l’industria cinematografica, la televisione e i videogiochi, si propone i seguenti obiettivi: a) stimolare la collaborazione e l’innovazione nella produzione di opere audiovisive dell’UE, b) migliorare la distribuzione nelle sale cinematografiche e online a livello transfrontaliero, c) sostenere l’impatto internazionale delle opere audiovisive dell’UE attraverso una migliore promozione e distribuzione delle opere europee a livello internazionale e modalità di racconto innovative, grazie anche alla realtà virtuale.

2.10.   Sezione Transettoriale

2.10.1.

È previsto uno stanziamento complessivo di 160 milioni di EUR a sostegno della creazione di progetti transettoriali tra gli attori del mondo creativo e culturale (musica, media, letteratura, arte ecc.) per aiutare i punti di contatto di Europa creativa a sostenere il programma nei rispettivi paesi e per «la promozione di un ambiente mediatico libero, diversificato e pluralistico, del giornalismo di qualità e dell’alfabetizzazione mediatica» [articolo 6, lettera c), COM(2018) 366 final].

2.10.2.

Quest’ultimo obiettivo è considerato dal CESE come fondamentale: nel 2017 vari Stati membri hanno perso terreno sotto il profilo della libertà di stampa. In questo contesto specifico il CESE chiede maggiori finanziamenti per sostenere la promozione della libertà di espressione e di un ambiente mediatico diversificato e pluralistico, la promozione di standard mediatici di alta qualità in termini di contenuti, oltre che di programmi di alfabetizzazione mediatica che consentano ai cittadini di avere una comprensione critica dei media.

3.   Osservazioni particolari

3.1.   Il diritto d’autore nell’era digitale

3.1.1.

Uno studio dell’OCSE del 2015 sul diritto d’autore nell’era digitale conferma l’intensità del dibattito pubblico e giuridico sulle modalità e sugli strumenti per l’adeguamento dei quadri normativi nazionali sul diritto d’autore alla rivoluzione di Internet.

I temi principali del dibattito sono: a) l’ambito di applicazione del diritto d’autore, b) le opere orfane, c) le eccezioni e i limiti del diritto d’autore, d) la registrazione del diritto d’autore, e) la sua applicazione.

3.1.2.

Il CESE è a favore del nuovo diritto connesso al diritto d’autore per gli editori in relazione all’uso digitale delle loro pubblicazioni giornalistiche come suggerito all’articolo 11 della proposta di direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, ed è favorevole alla protezione dei contenuti utilizzati dai servizi online come suggerito all’articolo 13, al meccanismo di adeguamento contrattuale di cui all’articolo 15 e al meccanismo di risoluzione delle controversie di cui all’articolo 16 della stessa direttiva.

3.2.

Una concorrenza accanita a livello internazionale, che dovrebbe condurre a una chiara strategia per i settori creativi e culturali dell’UE sia per le politiche relative al mercato unico che per quelle riguardanti l’esterno (programma internazionale per la cultura, diplomazia culturale, politica commerciale).

3.2.1.

Imprese americane come Apple con iTunes, il più grande negozio di musica online al mondo dal 2010, Netflix con 130 milioni di abbonati nel 2017 e YouTube con 1 300 000 utilizzatori al mese e oltre 5 miliardi di visualizzazioni al giorno detengono una posizione dominante nell’ambito delle piattaforme online.

3.2.2.

Nell’industria cinematografica, per esempio (6), le produzioni e le coproduzioni provenienti dagli Stati Uniti rappresentano il 90 % delle pellicole con il più alto numero di spettatori in sala nell’anno considerato [2012], con l’ovvia conseguenza di una chiara e pressoché indiscussa predominanza della lingua inglese.

3.2.3.

Negli ultimi tempi negli Stati Uniti sono state realizzate fusioni importanti che confermano gli importanti cambiamenti in atto nella produzione, nella distribuzione e nel consumo dei contenuti audiovisivi. Quale sarà l’effetto di questi grandi cambiamenti verificatisi negli Stati Uniti sul settore audiovisivo dell’UE, che rimane frammentato, con minori finanziamenti pubblici e con una diffusione transfrontaliera modesta dovuta ai bilanci limitati e alle barriere linguistiche? Uno studio indipendente con dati quantitativi e qualitativi sarà molto utile.

Altri grandi paesi come la Cina, il Giappone, l’India e il Canada hanno messo in atto politiche efficienti e a lungo termine a livello per sostenere sia internamente che esternamente quelle risorse che formano parte della loro capacità d’influenza, il cosiddetto soft power. L’UE dovrebbe fare lo stesso.

3.3.   Diversificazione e rinnovamento dei modelli imprenditoriali

3.3.1.

I modelli imprenditoriali innovativi per i settori ad alta intensità di diritti d’autore dovrebbero essere incoraggiati in tre direzioni:

a)

uso di tutti gli strumenti digitali (intelligenza artificiale, blockchain, megadati, stampa 3D ecc.) come opportunità per arricchire il contenuto dei beni e dei servizi culturali e le modalità in cui sono disponibili per i consumatori;

b)

opportunità connesse a una migliore portabilità dei contenuti nei progetti transfrontalieri;

c)

ricerca di nuovi modi per generare entrate (abbonamenti, pay per view ecc.), senza escludere i consumatori vulnerabili.

3.3.2.

In molti studi è stato dimostrato l’effetto indotto che opera tra i settori creativi e culturali e numerosi settori economici che includono una componente culturale o creativa. Nell’interfaccia tra i settori creativi e culturali e le tecnologie digitali si trova una fonte potente di innovazione, sia di quella che rappresenta un progresso rilevante, sia di quella incrementale.

3.3.3.

Ovviamente alcune attività culturali che godono di finanziamenti pubblici o privati non dovrebbero essere fondate soltanto sulla logica del profitto. Il nuovo programma dovrebbe comprendere anche attività non orientate al mercato.

3.4.   Accesso ai finanziamenti

3.4.1.

Nel giugno 2016 il Fondo europeo per gli investimenti strategici ha lanciato un nuovo strumento di garanzia a vantaggio delle microimprese e delle piccole e medie imprese dei settori culturali e creativi che incontrano difficoltà nell’accesso al credito nei rispettivi paesi. Per questo nuovo meccanismo, che secondo le stime darà origine a prestiti e ad altri prodotti finanziari per un valore di 600 milioni di EUR, era previsto uno stanziamento iniziale di 121 milioni di EUR.

3.4.2.

Dopo un inizio lento, nove Stati membri (Spagna, Francia, Romania, Belgio, Cechia, Finlandia, Italia, Lussemburgo e Regno Unito) hanno sottoscritto accordi con il Fondo europeo per gli investimenti per una capacità globale di oltre 300 milioni di EUR di prestiti potenziali. Nel 2017 il Fondo europeo per gli investimenti ha deciso di aggiungere altri 70 milioni di EUR. Secondo una relazione del FEI sull’utilizzo della garanzia per i settori culturali e creativi (marzo 2018), 418 «attori» di questi settori hanno usufruito di tale strumento per un volume totale di prestiti pari a 76 milioni di EUR, i quali corrispondono a una media di appena 182 000 EUR per ogni «attore».

3.4.3.

Il CESE incoraggia vivamente le autorità competenti a livello nazionale e regionale, nelle aree urbane e rurali, a promuovere questo strumento specifico al fine di alimentare la crescita dei settori creativi e culturali e attirare investimenti in tali ambiti. Spetta a loro evitare un divario crescente tra «città intelligenti» in cui vi è un’alta concentrazione di settori creativi e culturali (7) e le zone rurali.

3.5.   Aspetti sociali

3.5.1.

I dati disponibili in alcuni Stati membri evidenziano condizioni di lavoro non eque e insoddisfacenti: ore non retribuite, prestazioni regolari di lavoro oltre l’orario, contratti temporanei, lavori a tempo parziale non voluti, condizioni sanitarie e di sicurezza mediocri, investimenti inadeguati nelle attività di formazione, divari di genere (8), mancanza di diversità etnica, molestie sessuali, bassi livelli di protezione sociale, mobilità insufficiente dovuta alla doppia imposizione e alle difficoltà di ottenere i visti per cittadini di paesi terzi.

Alcuni Stati membri hanno applicato gli obblighi e sociali che i settori creativi e culturali devono soddisfare per poter accedere ai finanziamenti dell’UE, sostenendo in tal modo il modello sociale europeo in linea con il ruolo potenzialmente svolto dal finanziamento pubblico.

3.5.2.

Il dialogo sociale a livello nazionale dovrebbe essere incoraggiato al fine di trovare soluzioni adeguate per migliorare la situazione. A livello UE sono necessari più studi indipendenti sulle condizioni di lavoro nei settori creativi e culturali per ispirare nuove politiche. Risultati recenti mostrano, per esempio, che il criterio del tipo di lavoro potrebbe essere più efficace del criterio settoriale, in quanto solo il 30,7 % dei posti di lavoro «creativi» si trovano all’interno dei settori creativi e culturali (9)!

3.5.3.   Distretti di attività e reti

I distretti di attività regionali svolgono un ruolo chiave nel promuovere nuovi modelli di cooperazione e partenariati transfrontalieri. La creazione di nuovi distretti di attività e reti regionali per i settori creativi e culturali dovrebbe essere incoraggiata dal nuovo programma, così come dovrebbe esserlo proficui partenariati tra i distretti di attività e le reti esistenti (Emilia Romagna, Amburgo, Milano e così via) che potrebbero stimolare l’espansione e sviluppare le buone pratiche.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 83, NAT/738 (GU C 440 del 6.12.2018, pag. 22), SOC/590 (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 148).

(2)  I settori principali ad alta intensità di diritti d’autore sono nove: stampa e letteratura, musica, produzioni liriche e teatrali, produzioni cinematografiche e di video, fotografia, software e banche dati, arti visive e grafica, pubblicità e arte, imprese di gestione collettiva del diritto d’autore.

(3)  Verso una strategia dell’Unione europea per le relazioni culturali internazionali», JOIN(2016) 29 final.

(4)  Citato dal documento di riflessione della presidenza bulgara dal titolo La via da seguire: visione a lungo termine per il contributo della cultura all’UE dopo il 2020, del 27 aprile 2018.

(5)  Cfr. il punto 4.6 del parere del CESE, GU C 13 del 15.1.2016, pag. 83.

(6)  Unesco — Diversity and the film industry: An analysis of the 2014 UIS Survey on Feature Film Statistics (La diversità e l’industria cinematografica: un’analisi dell’indagine 2014 dell’Istituto statistico dell’Unesco sulle statistiche relative ai lungometraggi), marzo 2016, pag. 31.

(7)  Il 64 % dell’occupazione creativa si trova nelle zone urbane, J. Vlegels, W. Ysebaert, Creativiet, diversiteit en werkomstandigheden: eien analyse van de drietand van culturele en creative arbeid in België (Creatività diversità e condizioni di lavoro: un’analisi dei tre aspetti del lavoro culturale e creativo in Belgio), Sociologos 39, pag 241.

(8)  Cfr. il Quadro d’azione sulla parità di genere del comitato del dialogo sociale per il settore audiovisivo.

(9)  J. Vlegels, W. Ysebaert, Sociologos 39, pagg. 210-241.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/94


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua (programma evolutivo)»

[COM(2018) 337 final]

(2019/C 110/18)

Relatore:

Mindaugas MACIULEVIČIUS

Consultazione

Parlamento europeo, 2.7.2018

Consiglio, 26.6.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza

19.9.2017

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

27.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

140/1/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’iniziativa della Commissione che forma oggetto del presente parere è tempestiva e molto positiva. Il regolamento proposto darà un grande impulso allo sviluppo di ulteriori risorse idriche sicure per l’irrigazione agricola — acque che possono essere trattate in modo tale da poter essere utilizzate in modo sicuro in agricoltura e, ove opportuno, in modo tale da conservare un contenuto significativo di nutrienti utili nonché di materiale organico idoneo che arricchisca il suolo.

1.2.

Il valore aggiunto di tale iniziativa consisterà in primo luogo nell’alleviare la pressione sulle fonti di acqua potabile, come anche nell’agevolare gli investimenti pubblici e privati nella creazione di queste risorse idriche supplementari. Le relative infrastrutture, separate e dedicate, di trattamento e approvvigionamento per uso agricolo andranno ad aggiungersi alle fonti e alle infrastrutture di approvvigionamento esistenti, le quali erogano servizi essenziali gestiti, a seconda dello Stato membro, da imprese statali, comunali o private.

1.3.

Il CESE accoglie con favore il regolamento proposto in quanto utile complemento ai fini della realizzazione delle intenzioni della direttiva quadro sulle acque ma anche in quanto contributo all’attuazione del pacchetto sull’economia circolare. Tale regolamento, infatti, promuoverà un uso più sostenibile delle risorse idriche esistenti e accrescerà la fiducia dei consumatori nella sicurezza dei prodotti agricoli interessati.

1.4.

Ad oggi i consumatori non sono consapevoli del fatto che le norme in materia di riutilizzo dell’acqua variano da uno Stato membro all’altro, e molti di loro ignorano altresì che le acque depurate sono ampiamente utilizzate per l’irrigazione. Dato il suo approccio coerente, basato su solide consulenze scientifiche, il regolamento proposto può essere considerato come una pietra di fondazione necessaria della politica di sicurezza alimentare.

1.5.

Contrariamente a ciò che il titolo generale del regolamento potrebbe indurre a ritenere, nella sostanza la normativa proposta è strettamente incentrata sul riutilizzo delle acque reflue urbane a scopi irrigui. Il CESE raccomanda pertanto di esplicitare meglio questo orientamento, pur menzionato nella nota introduttiva alla proposta, onde ridurre al minimo i timori che il regolamento ignori le opportunità di riutilizzo dell’acqua per scopi industriali e domestici.

1.6.

Il potenziale del riutilizzo dell’acqua per il ravvenamento delle falde acquifere, pur non rientrando nell’ambito di applicazione del regolamento, rimane comunque oggetto di interesse, anche se occorrerebbe intraprendere ulteriori analisi tecniche per risolvere i complessi problemi individuati nella valutazione d’impatto.

1.7.

Il Comitato raccomanda che in tutti gli Stati membri siano garantiti un controllo efficace delle risorse idriche, l’assunzione attiva di responsabilità e un sistema che assicuri il rispetto delle norme, condizioni necessarie affinché il regolamento proposto produca il massimo impatto perseguito. In particolare, i divieti di estrazione illegale di acqua devono essere fatti rispettare in maniera più sistematica.

1.8.

Vi sono validi argomenti economici a sostegno della necessità di effettuare gli investimenti in conto capitale che occorrono per creare le infrastrutture necessarie per il riutilizzo dell’acqua, ma la realizzazione di tale infrastruttura andrebbe finanziata con l’ausilio dei fondi strutturali e in primo luogo del Fondo di sviluppo rurale e del Fondo di coesione.

1.9.

Anche se si prevede che gli effetti sulla concorrenza con le importazioni dai paesi terzi saranno neutri, il CESE esorta la Commissione a cogliere, insieme all’Autorità europea per la sicurezza alimentare, l’opportunità offerta da questa evoluzione della normativa a livello europeo per rafforzare la posizione dell’UE nelle discussioni sull’adozione di norme internazionali in materia di riutilizzo dell’acqua, in modo che anche i prodotti importati da paesi terzi debbano conformarvisi. Il CESE ha regolarmente sostenuto la necessità di norme internazionali coerenti per il settore agricolo, e il regolamento in esame può costituire un punto di riferimento su scala mondiale in materia di riutilizzo dell’acqua (1).

2.   Introduzione

2.1.

A causa dei cambiamenti climatici e dell’aumento della domanda, molte parti dell’UE stanno già sperimentando situazioni di stress idrico (2), con problemi di penuria e scarsa qualità dell’acqua che colpiscono già un terzo del territorio dell’UE in tutto il corso dell’anno (3). Il Comitato ha già evidenziato tali preoccupazioni in una serie di pareri, sollecitando maggiori investimenti nel trattamento delle acque reflue per il riutilizzo e facendo notare che ormai la chiusura del ciclo dell’acqua non sembra più un obiettivo realistico (4). Gran parte delle risorse idriche è utilizzata per l’irrigazione delle colture, in particolare negli Stati membri meridionali, la cui economia riceve un contributo significativo dalla produzione agricola. L’intenzione alla base del regolamento proposto non è quella di estendere la superficie irrigua attuale bensì quella di utilizzare le risorse idriche esistenti in modo più sicuro ed efficiente.

2.2.

Mantenere la fiducia dei consumatori nei prodotti alimentari e nel sistema di norme e di controlli che ne garantisce la sicurezza è, comprensibilmente, una delle maggiori priorità dell’Unione. Il regolamento proposto aumenterà la certezza del diritto in questo campo, in cui attualmente le norme variano notevolmente da uno Stato membro all’altro. L’applicazione del regolamento potrebbe incrementare di 4,9 miliardi di metri cubi all’anno l’acqua disponibile per l’irrigazione, riducendo nel complesso lo stress idrico di oltre il 5 %. Le nuove norme garantiranno la sicurezza dell’acqua depurata e un elevato livello di tutela della salute umana e animale e dell’ambiente.

2.3.

Si può affermare che il regolamento proposto rafforzi l’economia circolare, migliori la sicurezza alimentare dell’UE e contribuisca alla salute pubblica. Esso risponde direttamente alla necessità di fissare requisiti minimi armonizzati per la qualità dell’acqua depurata, gran parte della quale è utilizzata per l’agricoltura; assicura una maggiore trasparenza obbligando a mettere online a disposizione del pubblico informazioni adeguate e aggiornate in merito al riutilizzo dell’acqua; contribuisce inoltre alla realizzazione, da parte dell’UE, degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e in particolare dell’OSS n. 6 sull’acqua pulita e i servizi igienici; e integra la proposta della Commissione per una nuova politica agricola comune, contribuendo a una migliore gestione delle risorse idriche in agricoltura con il far sì che gli agricoltori abbiano accesso a un approvvigionamento idrico più sostenibile.

2.4.

Va osservato che il regolamento proposto è presentato nel quadro di un programma evolutivo e che, nel lungo termine, l’intenzione è quella di prendere in considerazione anche altri ambiti di riutilizzo dell’acqua. Detto ciò, il particolare regolamento in esame ha un oggetto molto specifico e si occupa quasi esclusivamente del trattamento di acque reflue urbane già depurate in modo tale da poter essere utilizzate in varie forme di irrigazione agricola. Il riutilizzo ad uso domestico e industriale, infatti, non rientra nell’ambito di applicazione di tale regolamento e, in certa misura, è già contemplato in altri atti normativi — ad esempio nella direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, attualmente in corso di revisione (5).

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

Il regolamento proposto rispecchia una più generale filosofia di gestione integrata delle risorse idriche volta ad affrontare efficacemente il grave e crescente problema dello stress idrico in tutta l’Unione europea. Accanto alle misure volte a risparmiare le risorse idriche e a utilizzarle in modo efficiente, anche il ricorso alle acque reflue urbane trattate da impianti di depurazione può recare un utile contributo, fornendo una soluzione alternativa affidabile al problema dell’approvvigionamento idrico.

3.2.

Il riutilizzo dell’acqua produce in genere un minore impatto ambientale rispetto ad altre opzioni di approvvigionamento e può offrire una serie di vantaggi sul piano ambientale, economico e sociale. Il regolamento si concentra sul riutilizzo dell’acqua per l’irrigazione agricola, che rappresenta attualmente circa un quarto del totale dell’acqua dolce prelevata in tutta l’UE.

3.3.

Oltre che agli Stati membri, il regolamento sarà direttamente applicabile agli operatori del settore, stimolando così, almeno potenzialmente, lo sviluppo e l’adozione delle tecnologie ambientali. La normativa in esame fissa requisiti minimi in materia di qualità dell’acqua depurata e di monitoraggio, assegna compiti cruciali di gestione dei rischi e introduce un approccio armonizzato per il riutilizzo dell’acqua per l’irrigazione in tutta l’UE. In particolare, il regolamento proposto:

3.3.1.

stabilisce requisiti minimi («prescrizioni minime») in materia di qualità delle acque depurate e di monitoraggio, e in particolare prescrizioni relative agli agenti patogeni (ad esempio, riguardo ai livelli di batteri E. coli) e ai controlli di routine e di validazione, così da garantire che le acque depurate prodotte conformemente al regolamento siano sicure ai fini dell’uso irriguo;

3.3.2.

per aggiungere un livello di protezione ulteriore rispetto a quello garantito dalle prescrizioni minime, assegna dei compiti cruciali in materia di gestione dei rischi, che consistono nell’individuazione di qualsiasi rischio supplementare da affrontare per garantire la sicurezza del riutilizzo dell’acqua. Ciò implica innanzitutto che, per ottenere dall’autorità competente l’autorizzazione a erogare le acque depurate, il gestore dell’impianto di depurazione dovrà presentare un piano di gestione dei rischi connessi al riutilizzo dell’acqua, e che l’autorizzazione sarà sottoposta a riesame almeno ogni cinque anni;

3.3.3.

garantisce maggiore trasparenza, grazie a nuove norme che impongono di mettere online a disposizione dei cittadini informazioni, di facile comprensione e reperibilità, sulle pratiche di riutilizzo dell’acqua nello Stato membro di interesse. È prevista l’adozione di un atto di esecuzione che stabilisca norme dettagliate riguardanti il formato e le modalità di presentazione delle informazioni da fornire.

3.4.

Si prevede che gli Stati membri metteranno a punto serie di dati contenenti informazioni in materia di riutilizzo dell’acqua con il sostegno dell’Agenzia europea dell’ambiente, la quale fornirà periodicamente alla Commissione un quadro generale dell’attuazione del regolamento a livello dell’UE. La prima valutazione è prevista per il sesto anno dopo l’entrata in vigore del regolamento.

3.5.

Va sottolineato che il regolamento proposto non impone affatto agli Stati membri di depurare le acque reflue affinché possano essere riutilizzate per l’irrigazione. Il suo obiettivo principale, infatti, è infondere nell’ampio spettro di parti interessate (autorità competenti per le risorse idriche, agricoltori, investitori e consumatori) la fiducia che, nell’erogazione delle acque destinate ad uso irriguo, siano state applicate in maniera sistematica le più rigorose norme di sicurezza. Ciò costituirà un notevole progresso rispetto alla pratica attuale.

3.6.

La valutazione d’impatto, come anche la documentazione di ricerca a sostegno, contengono un’analisi dettagliata di una serie di questioni tecniche, in particolare riguardo all’accertamento, alle norme di sicurezza e ai parametri di soglia.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il Comitato sostiene con convinzione il regolamento in esame, ritenendo che contribuisca ad attenuare le pressioni derivanti dai cambiamenti climatici e rappresenti un utile complemento all’attuazione della direttiva quadro sulle acque e più in generale dell’economia circolare. Al riguardo richiama gli esempi positivi di ampissimo riutilizzo dell’acqua associato alla produzione agricola che si registrano in particolare a Cipro e in Israele, paesi in cui attualmente quasi il 90 % delle acque reflue trattate viene riutilizzato. Peraltro, il CESE si chiede se il regolamento sul riutilizzo dell’acqua non avrebbe dovuto tener conto anche della questione del recupero del calore dall’acqua prima del conferimento di questa nell’impianto di trattamento. Dispositivi per il recupero del calore dovrebbero infatti essere installati nelle case mono- e plurifamiliari, nelle piscine e negli alberghi.

4.2.

Il regolamento proposto riconosce che, nella gerarchia della gestione dell’acqua, hanno la preminenza le misure volte al risparmio e all’uso efficiente delle risorse idriche: l’opzione volontaria del riutilizzo sarà scelta soltanto qualora sia pertinente, sicura ed efficiente sotto il profilo dei costi. Per il riutilizzo delle acque depurate per l’irrigazione vi è ancora un margine considerevole, in particolare in alcuni Stati membri meridionali dell’UE, nei quali solo una modesta percentuale di acque reflue viene riutilizzata (ad esempio il 5 % in Italia e in Grecia e il 12 % in Spagna); è quindi incoraggiante che oggi tale riutilizzo sia in costante aumento.

4.3.

Il CESE osserva che il regolamento proposto mira a introdurre un’impostazione uniforme per quanto riguarda le norme in materia di qualità dell’acqua da riutilizzare. Attualmente, infatti, tale uniformità manca del tutto. I consumatori sono di norma all’oscuro delle grandi differenze esistenti tra gli Stati membri per quanto attiene alla qualità delle acque riutilizzate per l’irrigazione. Un unico insieme di norme minime incoraggerà tale riutilizzo e i relativi investimenti, oltre a garantire ai consumatori una maggiore sicurezza in termini di salute pubblica.

4.4.

Il Comitato osserva inoltre che adesso, con il regolamento in esame (e segnatamente con l’allegato 2), si dà risposta alle preoccupazioni riguardanti gli agenti patogeni e i contaminanti, i sottoprodotti di disinfezione e la resistenza agli antibiotici, sulla base della relazione tecnica del Centro comune di ricerca che analizza nei minimi dettagli la gestione dei rischi sanitari e ambientali connessi al riutilizzo dell’acqua per l’irrigazione agricola (6). Questo dovrebbe garantire, in relazione a ogni singolo progetto, la tutela dei suoli e delle acque sotterranee e la salubrità dell’acqua potabile e dei prodotti alimentari.

4.5.

Esistono molte situazioni in cui le risorse idriche convenzionali vengono in genere erogate a un prezzo eccessivamente basso, che non rispecchia i costi ambientali e quelli delle risorse stesse. Inoltre, sono tuttora numerose le captazioni illegali di acqua, sia dai fiumi che attraverso pozzi privati. Affinché il regolamento in esame produca il massimo impatto perseguito, è necessario che in tutti gli Stati membri siano garantiti un controllo efficace delle risorse idriche, l’assunzione attiva di responsabilità e un sistema che assicuri il rispetto delle norme.

4.6.

Il regolamento proposto stabilisce una procedura di autorizzazione ben precisa per i progetti di riutilizzo dell’acqua. Ciò dovrebbe contribuire a una chiara ripartizione delle responsabilità tra i diversi attori coinvolti nel ciclo dell’acqua in relazione al riutilizzo di tale risorsa.

4.7.

Il Comitato apprezza l’opportunità offerta dal regolamento, che incoraggia la progettazione di nuovi impianti di depurazione, o l’adeguamento di quelli esistenti, in un modo tale da facilitare la «fertirrigazione», ossia il mantenimento nell’acqua depurata (nel debito rispetto delle norme di sicurezza) di sostanze utili che, nel corso dell’uso domestico e industriale, sono entrate nel ciclo idrico: fertilizzanti solubili come l’azoto e il fosforo e sostanze organiche atte ad arricchire il suolo. Questi benefici supplementari vanno comunque considerati secondari rispetto al vantaggio principale, costituito dal fatto di rendere disponibili nuove risorse idriche mediante il riutilizzo.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Va osservato che il termine «riutilizzo dell’acqua» si riferisce all’impiego di acqua derivante da acque reflue (principalmente urbane) che, una volta depurata, raggiunge un livello qualitativo adeguato per l’uso previsto.

5.2.

L’obiettivo del regolamento in esame è in primo luogo quello di garantire la qualità e la sicurezza del riutilizzo dell’acqua proveniente da impianti di depurazione delle acque reflue urbane; la proposta non si occupa della regolamentazione dell’acqua potabile né contiene misure direttamente rivolte a rendere più efficiente l’uso delle risorse idriche. Tuttavia, il Comitato osserva che, rispetto ad altre opzioni, il trattamento efficace delle acque reflue e il loro riutilizzo apportano notevoli benefici per l’ambiente. Ad esempio, nel 2017 la siccità ha comportato per il settore agricolo italiano una perdita stimata in 2 miliardi di EUR — una cifra che è probabilmente destinata a salire anche nel resto dell’UE per effetto delle condizioni meteorologiche estreme verificatesi in molti Stati membri nell’estate del 2018. Tuttavia, si calcola che il riutilizzo dell’acqua potrebbe coprire il 47 % dell’intero fabbisogno irriguo italiano, mentre attualmente tale opzione è utilizzata soltanto in misura assai limitata.

5.3.

Benché le potenzialità di utilizzo dell’acqua depurata per l’irrigazione agricola siano presenti in misura preponderante negli Stati membri meridionali, l’impulso tecnico e operativo impresso dal nuovo regolamento apporterà benefici in tutta l’Unione europea.

5.4.

La responsabilità di garantire il rispetto degli standard di sicurezza alimentare, che in generale sono stabiliti dall’UE con riferimento al regolamento che stabilisce i principi generali della legislazione alimentare, incombe, come è opportuno che sia, agli Stati membri. Il regolamento proposto garantirà che, laddove l’acqua viene riutilizzata per l’irrigazione di colture alimentari, la sicurezza dei consumatori sia prioritaria. Anche i prodotti agricoli importati da paesi terzi devono essere conformi alle norme di sicurezza alimentare dell’UE, sebbene ad oggi non esistano requisiti specifici concernenti le pratiche di irrigazione in paesi terzi. Si sostiene che norme comuni europee possano fungere da modello per i paesi terzi, e in particolare per i partner commerciali bilaterali dell’UE, ma ciò sarà oggetto di negoziati a livello internazionale. Le acque reflue (sia trattate che non trattate) sono ormai utilizzate in misura significativa per l’irrigazione in ogni parte del mondo, compresi molti paesi dai quali l’UE importa prodotti agricoli.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE sul tema Il ruolo dell’agricoltura negli accordi commerciali multilaterali, bilaterali e regionali alla luce della riunione ministeriale dell’OMC a Nairobi, punto 4.3 GU C 173 del 31.5.2017, pag. 20.

(2)  Lo stress idrico ha luogo quando la domanda idrica supera la quantità di acqua disponibile in un certo periodo o quando la scarsa qualità dell’acqua ne restringe l’utilizzo.

(3)  COM(2012) 672 final.

(4)  Parere del CESE in merito al Piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee, GU C 327 del 12.11.2013, pag. 93.

(5)  Direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU L 135 del 30.5.1991, pag. 40).

(6)  L. Alcalde-Sanz e B.M. Gawlik, Minimum quality requirements for water reuse in agricultural irrigation and aquifer recharge — Towards a legal instrument on water reuse at EU level, Centro comune di ricerca, 2017.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/99


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che armonizza gli obblighi di comunicazione nella normativa in materia di ambiente e modifica le direttive 86/278/CEE, 2002/49/CE, 2004/35/CE, 2007/2/CE, 2009/147/CE e 2010/63/UE, i regolamenti (CE) n. 166/2006 e (UE) n. 995/2010 e i regolamenti del Consiglio (CE) n. 338/97 e (CE) n. 2173/2005»

[COM(2018) 381 final — 2018/0205 (COD)]

(2019/C 110/19)

Relatore:

Vladimír NOVOTNÝ (CZ-I)

Consultazioni

Parlamento europeo, 11/06/2018

Consiglio, 22/06/2018

Base giuridica

Articoli 114, 192, paragrafo 1, 207 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza

17/04/2018 (in previsione della consultazione)

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

05/10/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

359

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

208/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione europea di armonizzare gli obblighi di comunicazione nella normativa in materia di ambiente e si aspetta che da tale proposta derivino una maggiore trasparenza delle relazioni e della loro elaborazione, la messa a disposizione dell’insieme di elementi fattuali necessario a valutare l’efficacia delle politiche ambientali, una semplificazione delle procedure e una riduzione degli oneri amministrativi sia per gli Stati membri che per la Commissione.

1.2.

Il CESE sostiene pienamente il nuovo approccio della Commissione in materia di comunicazione ambientale, che si basa su una modernizzazione sostanziale delle procedure di raccolta dei dati, della presentazione di relazioni e della successiva valutazione ambientale tramite i sistemi Inspire e Copernicus, la trasmissione dei dati in tempo reale e il loro trattamento informatizzato. Il CESE ritiene che la proposta della Commissione sia conforme ai principi dell’approccio «Legiferare meglio» e del programma REFIT.

1.3.

Il CESE raccomanda che la base di dati centrale dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) consenta di mettere in relazione i dati e le informazioni in materia di ambiente con i dati sulla dimensione geografica, economica e sociale, permettendo così di darne un’interpretazione complessiva.

1.4.

Il CESE ribadisce la necessità di coinvolgere le organizzazioni della società civile nella preparazione e nella discussione delle relazioni sull’ambiente negli Stati membri.

1.5.

Il CESE ritiene che l’adeguamento alle modifiche degli obblighi specifici di comunicazione sull’ambiente sia più efficace rispetto ad un approccio rigorosamente unificato e valido per tutti i casi, a condizione di mantenere una qualità elevata dei dati e delle comunicazioni in materia.

1.6.

Il CESE è convinto che la modernizzazione della comunicazione in materia ambientale e del successivo trattamento e valutazione dei dati sull’ambiente contribuiranno in modo significativo al conseguimento degli obiettivi della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (convenzione di Århus).

1.7.

Il CESE invita i governi degli Stati membri dell’UE, le loro autorità e agenzie, la Commissione europea e l’Agenzia europea dell’ambiente a intensificare gli sforzi per migliorare l’accessibilità, la chiarezza e l’efficacia informativa delle relazioni e informazioni sull’ambiente per un ampio spettro di soggetti della società civile e di loro organizzazioni che si occupano di tali questioni.

1.8.

Il CESE raccomanda di effettuare valutazioni periodiche e di rivedere in futuro l’acquis in materia di acquisizione dei dati, informazione e comunicazione sulle questioni ambientali, di ridurre i tempi che intercorrono tra l’acquisizione dei dati e la loro elaborazione e pubblicazione nonché di aumentare la loro accessibilità, trasparenza e chiarezza.

1.9.

Il CESE invita le organizzazioni ambientali ad impegnarsi più attivamente per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione dell’ambiente nei loro paesi o regioni, ed esorta la Commissione ad incoraggiarle e finanziarle in tali attività.

2.   Il documento della Commissione

2.1.

Nel 2017 la Commissione ha pubblicato un approfondito «vaglio dell’adeguatezza» condotto sulle disposizioni relative alla comunicazione in materia di ambiente. La valutazione ha riguardato 181 obblighi di comunicazione disseminati in 58 atti legislativi dell’Unione in materia di ambiente.

2.2.

Gli obblighi di comunicazione sono stati esaminati in modo completo e trasversale (1) al fine di aumentare la trasparenza, offrire l’insieme degli elementi fattuali necessario per le valutazioni future nonché semplificare e ridurre gli oneri amministrativi a carico degli Stati membri e della Commissione.

2.3.

La valutazione dei singoli atti legislativi pertinenti ha messo in luce delle possibilità per migliorare gli obblighi di comunicazione nei seguenti atti:

direttiva 2002/49/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (2) (rumore) (3);

direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (4) (responsabilità ambientale) (5);

direttiva 2007/2/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (6): direttiva Inspire (infrastruttura per l’informazione territoriale) (7);

direttive 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (8) e direttiva 92/43/CEE del Consiglio (9) (uccelli e Habitat) (10);

direttiva 2010/63/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (11) (sperimentazione animale) (12);

regolamento (CE) n. 166/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (13) sul registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (European Pollutant Release and Transfer Register Regulation, E-PRTR) (14);

direttiva 86/278/CEE del Consiglio (15) (fanghi di depurazione);

regolamento (UE) n. 995/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio (16) (legno);

regolamento (CE) n. 338/97 del Consiglio (17) (regolamento CITES)

regolamento (CE) n. 2173/2005 del Consiglio (18) sull’applicazione delle normative nel settore forestale, la governance e il commercio nel settore forestale (FLEGT).

Al tempo stesso è in atto un processo di allineamento riguardante le attuali proposte della Commissione sull’acqua potabile, sugli inquinanti organici persistenti, sul riutilizzo delle acque reflue e sui prodotti di plastica monouso, che sono state presentate nel 2018.

2.4.

Sulla base di tale valutazione si è proceduto all’elaborazione di una proposta volta ad armonizzare i singoli atti normativi per quanto riguarda le comunicazioni in materia ambientale e di un piano dettagliato per l’attuazione delle modifiche proposte.

2.5.

La proposta ha l’obiettivo di ottimizzare gli obblighi di monitoraggio, comunicazione e trasparenza che già esistono nella legislazione dell’Unione, sempre nel rispetto dei principi di necessità, sussidiarietà e proporzionalità. La proposta si prefigge inoltre di armonizzare le disposizioni legislative pertinenti e di migliorare l’insieme degli elementi fattuali in base ai quali attuare le politiche dell’Unione.

2.6.

La proposta comprende misure volte a migliorare la trasparenza e la sussidiarietà (in otto atti giuridici), a semplificare o sopprimere l’obbligo di comunicazione (in sette atti giuridici), ad armonizzare il calendario della comunicazione (in tre atti giuridici), a semplificare i quadri generali a livello di UE e a chiarire i ruoli delle istituzioni dell’UE (in otto atti giuridici) nonché a radunare gli elementi necessari per le future valutazioni (in cinque atti giuridici).

2.7.

La proposta contribuisce a garantire che il pubblico abbia accesso, a livello nazionale, a informazioni chiare sull’ambiente. Servirà quindi a offrire al pubblico un quadro della situazione in Europa in questo campo e aiuterà le autorità pubbliche nazionali ad affrontare questioni transfrontaliere. Inoltre, la proposta dovrebbe ridurre gli oneri per gli Stati membri, rafforzare la sussidiarietà e rendere più accessibili ai cittadini le informazioni sull’attuazione.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che armonizza gli obblighi di comunicazione nella normativa in materia di ambiente (19) come un passo avanti fondamentale verso la modernizzazione complessiva delle procedure per l’elaborazione e la presentazione delle relazioni in materia ambientale. Il CESE sostiene l’utilizzo dei sistemi Inspire e Copernicus, di strumenti di elaborazione elettronica dei dati, di trasferimento dei dati in tempo reale e di comunicazione, passando da relazioni scritte formali alla creazione di basi di dati centrali dinamiche a livello della Commissione europea e dell’Agenzia europea dell’ambiente. Inoltre, in linea con la posizione della Commissione e con il testo della proposta di regolamento, il CESE constata che si tratta espressamente di modifiche di carattere procedurale, che in nessun caso riguardano la sostanza dei singoli atti giuridici concernenti la selezione degli indicatori ambientali, l’elenco delle sostanze regolamentate e i loro limiti.

3.2.

La semplificazione e l’armonizzazione delle procedure per l’elaborazione e la presentazione delle relazioni in materia ambientale porteranno, secondo il CESE, a una maggiore efficienza e trasparenza di tali comunicazioni. Il CESE si aspetta che la proposta determini una riduzione degli oneri e dei costi legati agli obblighi di comunicazione stabiliti nella legislazione dell’UE in materia ambientale e un accorciamento significativo dei tempi tra la raccolta dei dati e la loro pubblicazione.

3.3.

Il CESE ritiene necessario aumentare non solo l’accessibilità, ma anche la chiarezza delle relazioni e delle informazioni in materia ambientale per ampi settori della società civile. Il CESE ribadisce il ruolo cruciale della società civile non soltanto come utente delle informazioni sull’ambiente, ma anche come partecipante attivo alla raccolta, alla preparazione e alla discussione di tali informazioni e relazioni. In tale contesto, il CESE sottolinea l’importanza del processo di valutazione dell’impatto ambientale e della partecipazione della società civile alle discussioni al riguardo.

3.4.

La proposta di revisione di vari atti normativi esistenti rientra nell’ambito del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT (20)) della Commissione. A tale riguardo il CESE ha adottato un parere sul programma REFIT (21), nel quale ha espresso preoccupazione per le lacune constatate nelle analisi d’impatto ambientale e ha segnalato l’esigenza di una valutazione integrata ed equilibrata delle dimensioni sociale, economica e ambientale.

3.5.

Nel parere sul riesame dell’attuazione delle politiche ambientali dell’UE (22), il CESE ha sottolineato l’importanza del coinvolgimento della società civile nell’assunzione delle decisioni e nel processo di riesame: una considerazione, questa, che risulta attuale anche nel caso del riesame degli atti normativi riguardanti le comunicazioni in materia di ambiente.

3.6.

La proposta della Commissione introduce dei rimandi trasversali alla direttiva 2003/4/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (23) sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e alla direttiva 2007/2/CE sui dati territoriali e garantisce la coerenza con gli obblighi sanciti da tali direttive. Il CESE ha adottato un parere sull’accesso alla giustizia a livello nazionale relativamente alle misure di attuazione del diritto ambientale dell’UE (24), nel quale ha sottolineato l’importanza della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (convenzione di Århus).

3.7.

Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che, sebbene la proposta della Commissione si riferisca solo alla comunicazione ambientale fondata sugli obblighi stabiliti dalla legislazione dell’UE, una parte consistente di tale comunicazione avviene su base volontaria a livello di soggetti imprenditoriali, associazioni settoriali, città, comuni e altre organizzazioni, nonché organizzazioni della società civile.

3.7.1.

Esempi di tali attività volontarie che comportano relazioni ambientali sono le relazioni GRI (Global Reporting Initiative), che vengono predisposte a livello di singole imprese, le relazioni delle associazioni settoriali, come nel caso dell’iniziativa Responsible Care dell’industria chimica (Consiglio europeo dell’industria chimica — Cefic), le relazioni in materia di responsabilità sociale delle imprese, che contengono spesso anche una sezione dedicata all’ambiente ecc.

3.7.2.

Le valutazioni dell’impatto ambientale e le relative informazioni sono inoltre messe a disposizione del pubblico nel contesto dei sistemi di gestione ambientale delle organizzazioni EMS ed EMAS.

3.7.3.

In queste attività è stato dimostrato da tempo il ruolo attivo delle organizzazioni della società civile nella discussione delle relazioni, il che determina un rafforzamento della fiducia della società civile, da un lato, e del settore imprenditoriale, dall’altro. A livello sia locale che internazionale, nel settore dell’informazione ambientale si applicano anche le procedure di valutazione dell’impatto ambientale.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   Migliorare la trasparenza e la sussidiarietà

Il CESE è convinto che la proposta della Commissione europea migliorerà ulteriormente la trasparenza e semplificherà l’accesso per il pubblico alle informazioni ambientali, nel rispetto del principio di sussidiarietà.

4.2.   Semplificare o sopprimere l’obbligo di comunicazione

Secondo il CESE, per ridurre gli oneri amministrativi sarebbe utile semplificare o sostituire adeguatamente il processo di presentazione delle informazioni sotto forma di testo e puntare a migliorare l’accesso del pubblico alle informazioni. Il CESE invita la Commissione europea ad iniziare a mettere a punto alcuni indicatori sintetici fondamentali riguardanti la situazione ambientale, che siano chiari per ampi settori della società in tutti i paesi dell’UE. Quest’iniziativa servirebbe ad ottenere più facilmente un parere sulla protezione dell’ambiente nei vari paesi o regioni, e darebbe luogo a iniziative intese a ricercare dei cambiamenti positivi.

4.3.   Armonizzare il calendario della comunicazione

Il CESE è favorevole alla razionalizzazione dei termini della comunicazione delle mappe acustiche e dei piani d’azione a norma della direttiva 2002/49/CE (25), alla concessione di un lasso di tempo sufficiente per la consultazione pubblica e al rafforzamento della partecipazione della società civile al riesame o alla rielaborazione dei piani d’azione. Il CESE è favorevole a disposizioni analoghe anche in altri atti legislativi, a condizione che non comportino un abbassamento della qualità o una minore accessibilità dei dati e delle relazioni sull’ambiente.

4.4.   Semplificare i quadri generali a livello di UE e chiarire i ruoli delle istituzioni dell’UE

Secondo il CESE, occorre chiarire e precisare il ruolo della Commissione e dell’Agenzia europea dell’ambiente nei relativi processi di comunicazione.

4.5.   Radunare gli elementi necessari alle future valutazioni

Il CESE riconosce che la valutazione effettuata dalla Commissione europea ha evidenziato una serie di ripetizioni, incoerenze e requisiti non essenziali tanto nella struttura dei dati e delle relazioni quanto nei requisiti relativi alla loro frequenza, nonché altre problematiche legate alla loro efficienza. Il CESE è convinto che ulteriori margini di miglioramento si potranno riscontrare anche in futuro, e raccomanda pertanto di effettuare valutazioni regolari dell’acquis in questo settore. La Commissione dovrebbe effettuare delle valutazioni e chiedere agli Stati membri di fornire le informazioni necessarie a tal fine. A tale riguardo il CESE ha adottato un parere sul tema Una legislazione a prova di futuro (26), nel quale ha formulato delle raccomandazioni sulla via da seguire per la legislazione futura.

4.6.   Dati contestualizzati

Il CESE raccomanda che la base di dati centrale dell’Agenzia europea dell’ambiente sia configurata in modo tale che i dati e le informazioni in materia di ambiente siano messi in relazione con i dati sulla dimensione geografica, economica e sociale, consentendone così un’interpretazione completa e corretta. Il CESE accoglie con favore gli sforzi compiuti dalla Commissione europea per introdurre disposizioni migliori, che ridurrebbero gli oneri amministrativi nel contesto della revisione degli obblighi di comunicazione di cui al regolamento (CE) n. 166/2006 [regolamento relativo all’istituzione di un registro europeo delle emissioni e dei trasferimenti di sostanze inquinanti (E-PRTR)], per quanto riguarda gli obblighi di scarso rilievo. Al tempo stesso, il CESE richiama l’attenzione sulla necessità di rispettare il principio di riservatezza per alcune informazioni aventi carattere di segreto aziendale, il che tuttavia non dovrebbe ostacolare la trasparenza e l’accessibilità delle relazioni e dei dati sull’ambiente.

4.7.   Alcune modifiche parziali

Il CESE ritiene che le modifiche proposte dovrebbero essere adattate in futuro alle specificità degli atti legislativi che introducono obblighi di comunicazione ambientale e non debbano in alcun caso seguire un approccio unificato e valido per tutti. Il CESE appoggia altresì l’armonizzazione del calendario della comunicazione tra la direttiva 2009/147/CE (direttiva Uccelli) e la direttiva 92/43/CEE (direttiva Habitat).

4.8.   Incoraggiare i cittadini ad agire nel settore dell’ambiente

Il CESE invita le organizzazioni ambientali ad impegnarsi più attivamente per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione dell’ambiente nei loro paesi o regioni, ed esorta la Commissione ad incoraggiarle e finanziarle in tali attività.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  SWD(2017) 230.

(2)  GU L 189 del 18.7.2002, pag. 12.

(3)  SWD(2016) 454.

(4)  GU L 143 del 30.4.2004, pag. 56.

(5)  SWD(2016) 121.

(6)  GU L 108 del 25.4.2007, pag. 1.

(7)  COM(2016) 478 e SWD(2016) 273.

(8)  GU L 20 del 26.1.2010, pag. 7.

(9)  GU L 206 del 22.7.1992, pag. 7.

(10)  SWD(2016) 472 final.

(11)  GU L 276 del 20.10.2010, pag. 33.

(12)  COM(2017) 631 e SWD(2017) 353.

(13)  GU L 33 del 4.2.2006, pag. 1.

(14)  SWD(2017) 711.

(15)  GU L 181 del 4.7.1986, pag. 6.

(16)  GU L 295 del 12.11.2010, pag. 23.

(17)  GU L 61 del 3.3.1997, pag. 1.

(18)  GU L 347 del 30.12.2005, pag. 1.

(19)  COM(2018) 381 final — 2018/0205 (COD).

(20)  https://ec.europa.eu/info/law/law-making-process/evaluating-and-improving-existing-laws/refit-making-eu-law-simpler-and-less-costly_en

(21)  Parere del CESE sul programma REFIT (GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66).

(22)  Parere del CESE sul riesame dell’attuazione delle politiche ambientali (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 114).

(23)  GU L 41 del 14.2.2003, pag. 26.

(24)  Parere del CESE sull’accesso alla giustizia a livello nazionale relativamente alle misure di attuazione del diritto ambientale dell’UE (GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 65).

(25)  Direttiva 2007/2/CE.

(26)  Parere del CESE su Una legislazione a prova di futuro (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 51).


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/104


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e che abroga il regolamento (UE) n. 508/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio»

[COM(2018) 390 final — 2018/0210 (COD)]

(2019/C 110/20)

Relatore:

Brian CURTIS (UK-II)

Consultazione da parte del Consiglio

12.7.2018

Consultazione da parte del Parlamento europeo

2.7.2018

Base giuridica

Articoli 42, 43 paragrafo 2, 91 paragrafo 1, 100 paragrafo 2, 173 paragrafo 3, 175, 188, 192 paragrafo 1, 194 paragrafo 2, 304 e 349 del TFUE

 

 

Decisione dell’Ufficio di presidenza

22.5.2018 (in previsione della consultazione)

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

27.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

214/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, volta a instaurare un sistema più flessibile per gli Stati membri, in linea con le loro priorità strategiche, a sostenere un modello imprenditoriale sostenibile per gli operatori del settore della pesca e a mantenere competitivo tale settore. In particolare, il CESE chiede che il nuovo regolamento sia adottato in tempi brevi e invoca un meccanismo di finanziamento più accessibile e un sistema sanzionatorio più proporzionato e armonizzato. La società civile organizzata e le piattaforme regionali di parti interessate dovrebbero essere coinvolte in ogni fase del processo, dall’elaborazione dei piani nazionali fino all’attuazione e alla valutazione finale.

1.2.

Il CESE ritiene che l’attuale dotazione finanziaria del FEAMP (6,4 miliardi di EUR) dovrebbe essere mantenuta. Ciò, infatti, è di cruciale importanza per realizzare i cambiamenti radicali e gli ammodernamenti richiesti dall’Unione europea al settore della pesca. In particolare, va rilevato che la dotazione finanziaria attuale del FEAMP è pari allo 0,6 % del QFP per il 2014-2020, il che significa che qualsiasi riduzione di tale dotazione avrà un’incidenza trascurabile sul bilancio generale dell’UE, ma potrebbe avere conseguenze gravissime per molte regioni costiere.

1.3.

Il CESE osserva che la proposta della Commissione non si basa su un’approfondita valutazione d’impatto economico e sociale. Una mancanza, questa, tanto più grave in quanto il settore della pesca versa in una situazione di crisi da oltre 20 anni. Il Comitato invoca pertanto il pronto coinvolgimento della Commissione europea (e in particolare della DG Occupazione) e l’avvio di un dialogo sociale settoriale per individuare le misure più appropriate al fine di compensare l’impatto economico e sociale.

1.4.

Il CESE fa notare che l’attività generata dalle misure di sostegno all’acquacoltura e all’economia blu è ancora assai lontana dal compensare la perdita di imprese e di posti di lavoro. Il CESE incoraggia la Commissione e gli Stati membri a istituire un meccanismo semplificato sia per nuovi progetti di acquacoltura che per modernizzare quelli esistenti.

1.5.

Il nuovo FEAMP dovrebbe accordare la priorità alla dimensione sociale, potenziando e finanziando misure volte a promuovere e sostenere il dialogo sociale, accrescere la sicurezza, migliorare le condizioni di lavoro, sviluppare le capacità, rafforzare le competenze dei lavoratori e assicurare il «ricambio generazionale».

1.6.

Il CESE esorta la Commissione europea e gli Stati membri ad adottare provvedimenti più incisivi, facendo rispettare l’obbligo di piena tracciabilità del prodotto ittico importato, in un’ottica sia di sicurezza alimentare che di contrasto alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. La lotta contro qualsiasi forma di schiavitù e di sfruttamento, sia a bordo che nelle attività di trasformazione svolte a terra, dovrebbe essere una pietra angolare della nuova strategia globale dell’UE in materia di pesca e di governance degli oceani.

1.7.

Il CESE raccomanda di finanziare l’acquisizione della disponibilità di nuove navi che sostituiscano quelle vecchie, a condizione che la flotta interessata non disponga di capacità in eccesso e che le specie bersaglio siano pescate a livelli corrispondenti al rendimento massimo sostenibile. Tale finanziamento dovrebbe coprire anche l’installazione di motori più sostenibili ed efficienti, in grado di ridurre le emissioni di CO2 e garantire la sicurezza dell’equipaggio.

1.8.

Il Comitato raccomanda di mantenere i criteri attuali per la concessione di un sostegno finanziario e di una compensazione in caso di cessazione temporanea o permanente delle attività di pesca. È importante che sia i pescatori che i proprietari dei pescherecci possano beneficiare di questi strumenti finanziari.

1.9.

Il Comitato appoggia la proposta di misure specifiche a favore della piccola pesca costiera, che rappresenta un fattore vitale per la sopravvivenza (e la conservazione del patrimonio culturale) di molte comunità costiere. Per sostenere un modello imprenditoriale sostenibile per la piccola pesca, tuttavia, è importante anche adottare misure tecniche e di conservazione mirate laddove tale attività è più diffusa (ad esempio nel Mar Mediterraneo), misure che andrebbero adattate alle diverse forme di attività di pesca e alle caratteristiche biologiche dei singoli mari. Il CESE reputa che una raccolta dati, un controllo e una garanzia dell’applicazione efficaci siano prerequisiti essenziali per una gestione responsabile della pesca che apporti benefici sociali ed economici ai pescatori ed alle comunità locali.

2.   Introduzione e metodologia

2.1.

Il nuovo Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) rientra nel quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo 2021-2027. Il FEAMP è uno strumento fondamentale per sostenere il perseguimento degli obiettivi della politica comune della pesca (PCP), favorire l’attuazione della politica marittima dell’Unione e rafforzare la governance internazionale degli oceani, in particolare nel quadro dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

2.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) considera il nuovo bilancio pluriennale dell’UE un fattore di cruciale importanza per lo sviluppo sostenibile, la crescita e la coesione e più in generale per il futuro dell’Europa. Pertanto, il presente parere va inteso in stretta connessione con tutti gli altri pareri del CESE dedicati a specifici fondi europei previsti nel nuovo QFP (2021-2027) (1).

3.   Sintesi della proposta

3.1.

Il nuovo FEAMP (2021-2027) si concentrerà su quattro priorità:

promuovere la pesca sostenibile e la conservazione delle risorse biologiche marine;

contribuire alla sicurezza alimentare mediante un’acquacoltura e mercati competitivi e sostenibili;

consentire la crescita di un’economia blu sostenibile e promuovere la prosperità delle comunità costiere;

rafforzare la governance internazionale degli oceani e garantire oceani e mari sicuri, protetti, puliti e gestiti in modo sostenibile.

3.2.

Il bilancio di questo nuovo FEAMP sarà pari a 6,14 miliardi di EUR a prezzi correnti. Le risorse in questione sono perlopiù ripartite tra gestione concorrente e gestione diretta: 5,31 miliardi di EUR sono assegnati in regime di gestione concorrente con gli Stati membri, mentre 0,83 miliardi di EUR saranno gestiti direttamente dalla Commissione europea.

3.3.

La proposta della Commissione mira a superare i limiti del FEAMP attuale (2014-2020) e a predisporre un sistema di finanziamento in grado di far fronte a nuove sfide nel quadro degli obiettivi di sviluppo sostenibile. I principali elementi del nuovo FEAMT sono i seguenti:

3.3.1.   Semplificazione

Il FEAMP 2014-2020 è basato su disposizioni piuttosto rigide in materia di possibilità di finanziamento e condizioni di ammissibilità, il che ne ha complicato l’attuazione per gli Stati membri e per i beneficiari. Il FEAMP 2021-2027 offre una gamma più ampia di possibilità di cui gli Stati membri possono avvalersi per focalizzare gli interventi a sostegno delle loro priorità strategiche. In particolare, il regolamento proposto descrive diversi settori di intervento nell’ambito di ciascuna priorità, fornendo un quadro flessibile per la sua attuazione. Gli Stati membri elaboreranno il loro programma indicando i metodi più appropriati per il conseguimento delle priorità; inoltre, sarà loro concessa una certa flessibilità per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità.

3.3.2.   Allineamento con altri fondi UE

Nel nuovo QFP le norme che si applicano a tutti i fondi sono dettate dal regolamento recante disposizioni comuni (RDC). In particolare, saranno sviluppate sinergie specifiche con altri fondi (FESR, FSE ecc.).

3.3.3.   Condizionalità

In linea con le conclusioni della conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio + 20) e con l’OSS n. 14 sulla conservazione e l’uso sostenibile degli oceani, l’UE è impegnata a promuovere un’economia blu sostenibile, la conservazione delle risorse biologiche e il conseguimento di un buono stato ecologico, a vietare talune forme di sovvenzioni alla pesca che contribuiscono alla sovraccapacità e alla pesca eccessiva, a eliminare le sovvenzioni già esistenti che contribuiscono alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN) e ad astenersi dall’introdurne di nuove. In ragione di tale impegno, il regolamento stabilisce restrizioni e condizioni («operazioni non ammissibili») al fine di evitare effetti negativi per la conservazione delle risorse della pesca.

3.3.4.   Attenzione specifica per le prestazioni (performance)

La performance del sostegno fornito dal FEAMP sarà valutata sulla base di una serie di indicatori. Gli Stati membri riferiranno sui progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali stabiliti. La Commissione effettuerà ogni anno un esame dell’efficacia dell’attuazione sulla base delle relazioni annuali sulla performance elaborate e trasmesse dagli Stati membri, in modo da individuare tempestivamente eventuali problemi di attuazione e gli opportuni interventi correttivi.

3.3.5.   Sostenibilità ambientale, sociale ed economica

Una pesca e un’acquacoltura sostenibili sono tra gli obiettivi principali della PCP. In linea con un concetto ampio di sostenibilità, i benefici economici, sociali e occupazionali dovrebbero essere perseguiti di pari passo con gli obiettivi ambientali. Il rendimento massimo sostenibile (Maximum sustainable yield — MSY) rimarrà il metodo principale per garantire una pesca sostenibile. Sarà accordato un sostegno per agevolare la transizione verso attività più sostenibili. Un indennizzo per l’arresto delle attività di pesca dovuto a circostanze straordinarie sarà concesso soltanto qualora tali circostanze abbiano un impatto significativo su coloro che praticano tali attività (2). La piccola pesca costiera, la pesca nelle regioni ultraperiferiche, il ricambio generazionale, l’istruzione e la formazione, la salute e la sicurezza sul lavoro sono altrettanti aspetti ai quali il nuovo FEAMP dedicherà un’attenzione particolare e che beneficeranno di un sostegno specifico. L’obbligo di sbarco potrebbe rimanere un aspetto critico, date le sue enormi implicazioni finanziarie, ragion per cui il FEAMP sosterrà l’innovazione e gli investimenti che aiutano ad adempiere tale obbligo, come ad esempio gli investimenti in attrezzi da pesca selettivi, il miglioramento delle infrastrutture portuali e la commercializzazione delle catture indesiderate. Infine, sarà accordato un sostegno ai pescatori e ai porti per una raccolta e una gestione moderne degli attrezzi da pesca perduti e dei rifiuti marini.

3.4.

Oltre il 60 % del pesce consumato nell’UE viene importato da paesi terzi (3). Al fine di colmare questo divario, è necessario sostenere, oltre alle attività alieutiche, anche i prodotti ittici di allevamento, che rispondono a standard di qualità elevati e sono disponibili a prezzi abbordabili. Il FEAMP sosterrà pertanto la promozione e lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura, compresa quella d’acqua dolce.

3.5.

Il 60 % delle acque degli oceani esula dalle giurisdizioni nazionali, e ciò significa che l’UE dovrà essere più attiva e svolgere un ruolo più incisivo nella sfida globale della governance degli oceani. Il FEAMP sosterrà questo impegno a favore di oceani sicuri, protetti, puliti e gestiti in modo sostenibile nell’ambito della gestione diretta. Infine, i finanziamenti a titolo del FEAMP 2021-2027 aiuteranno ad affrontare due sfide emergenti come il miglioramento della protezione delle frontiere (cooperazione tra guardie costiere) e il potenziamento della sorveglianza marittima.

3.6.

Tale sostegno sarà integrato da finanziamenti specifici a favore dell’Agenzia europea di controllo della pesca, degli accordi di partenariato per una pesca sostenibile (APPS) e della partecipazione dell’UE a organizzazioni regionali di gestione della pesca (ORGP) e ad altre organizzazioni internazionali, tutti strumenti che contribuiscono anch’essi all’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori marittimi e della pesca.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, volta a instaurare un sistema più flessibile per gli Stati membri, in linea con le loro priorità strategiche, a sostenere un modello imprenditoriale sostenibile per gli operatori del settore della pesca e a mantenere competitivo tale settore. In particolare, il CESE fa osservare che il problema principale dell’attuale FEAMP è rappresentato dallo scarso livello di attuazione (4) — una situazione, questa, imputabile a due cause principali:

un’approvazione tardiva, che ha comportato di conseguenza un’attuazione tardiva. I colegislatori hanno adottato il regolamento relativo al FEAMP nel maggio 2014, e in seguito gli Stati membri hanno avuto bisogno di un periodo di tempo supplementare per definire e approvare i rispettivi programmi nazionali;

il sistema attuale è troppo complicato e macchinoso. Inoltre, molti pescatori esitano a richiedere un finanziamento a causa dei rischi finanziari sproporzionati che potrebbero correre. Infatti, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, del regolamento proposto (che in questo caso mantiene le disposizioni esistenti), i beneficiari che, entro cinque anni dopo il pagamento finale, commettono un’infrazione grave (5) diventano retroattivamente inammissibili al sostegno e sono quindi tenuti a rimborsare tutto ciò che hanno ricevuto. Tale disposizione dovrebbe essere rimossa.

4.2.

Per i suesposti motivi, il CESE chiede che il nuovo regolamento sia adottato in tempi brevi e invoca un meccanismo di finanziamento più accessibile e un sistema sanzionatorio più proporzionato e armonizzato. Tutti i pescatori dovrebbero considerare il FEAMP un sistema di facile impiego volto a migliorare la loro attività in termini di sostenibilità e di qualità. Un aspetto, questo, che assumerà un ruolo cruciale ai fini dell’attuazione e del rispetto del nuovo regime di controlli nel settore della pesca recentemente proposto dalla Commissione europea (6). Il CESE raccomanda che la società civile organizzata e le piattaforme delle parti interessate regionali siano coinvolte in tutte le fasi del processo, dall’elaborazione dei piani nazionali fino all’attuazione e alla valutazione finale.

4.3.

Il bilancio del nuovo FEAMP (6,14 miliardi di EUR) è stato ridotto (del 4 %) rispetto a quello del FEAMP attuale (2014-2020), che è di 6,4 miliardi di EUR. Il CESE è ben consapevole del fatto che il recesso del Regno Unito dall’Unione europea costituisce un valido motivo per tale riduzione. Nondimeno, sottolinea che i radicali cambiamenti richiesti dall’UE al settore della pesca, che dà lavoro a 150 000 pescatori e, lungo l’intera catena del valore, a 730 000 addetti, generando quasi 400 miliardi di EUR all’anno tra salari e utili netti, renderebbero necessario fissare un importo più elevato o, quantomeno, evitare di ridurre il bilancio attuale. Va rilevato che la dotazione finanziaria attuale del FEAMP è pari allo 0,6 % del QFP per il 2014-2020, il che significa che qualsiasi riduzione di tale dotazione avrà un’incidenza trascurabile sul bilancio generale dell’UE, ma potrebbe avere conseguenze gravissime per molte regioni costiere.

4.4.

Il CESE osserva che la proposta della Commissione non si basa su una valutazione approfondita dell’impatto che essa avrebbe sul piano economico e su quello sociale. Un’omissione, questa, resa ancor più grave dal fatto che il settore della pesca è in crisi da oltre 20 anni e che le misure previste per rendere più sostenibili la pesca e l’acquacoltura non sono state in grado di invertire questa tendenza (7). Di conseguenza, il CESE invoca il pronto coinvolgimento della Commissione europea (e in particolare della DG Occupazione) e l’avvio di un dialogo sociale settoriale (8) per individuare le misure più appropriate al fine di compensare l’impatto economico e sociale.

4.5.

Il CESE fa notare che le misure intraprese per sviluppare l’acquacoltura e l’economia blu sono ancora assai lontane dal compensare la perdita di imprese e di posti di lavoro, principalmente a causa di un sistema eccessivamente macchinoso. Il CESE incoraggia la Commissione e gli Stati membri ad agevolare l’introduzione di un meccanismo semplificato sia per nuovi progetti di acquacoltura che per modernizzare quelli esistenti, con una particolare attenzione, a livello regionale, alla definizione di zone di assegnazione per l’acquacoltura (Allocation zones of aquaculture — AZA).

4.6.

La pesca sostenibile continua ad essere l’obiettivo principale, e il settore della pesca dovrebbe essere messo in condizione di conseguirlo. Tuttavia, nel proporre tale priorità la Commissione non chiarisce se essa includa misure finanziate a titolo dell’attuale FEAMP per il miglioramento della sicurezza e delle condizioni di lavoro, ad esempio in materia di formazione, servizi di consulenza, promozione del capitale umano, dialogo sociale, giovani pescatori o salute e sicurezza. Secondo le imprese del settore e le amministrazioni pertinenti, vi è un problema di carenza di professionisti qualificati, che ostacola il «ricambio generazionale». Il CESE esorta i colegislatori ad attribuire la priorità alla dimensione sociale, potenziando e finanziando misure volte a promuovere e sostenere il dialogo sociale, accrescere la sicurezza, migliorare le condizioni di lavoro, sviluppare le capacità e rafforzare le competenze dei lavoratori. In caso contrario, infatti, i giovani operatori non saranno attratti da questo settore.

4.7.

Il bisogno di ammodernare i pescherecci per aumentare la sicurezza a bordo senza aumentare la capacità di pesca, l’esigenza di agevolare il ricambio generazionale e la necessità di garantire condizioni di lavoro, formazione e retribuzioni adeguate sono indicatori cruciali delle carenze dell’UE in termini di crescita e di robustezza del settore. Il FEAMP dovrebbe coinvolgere i pescatori nella conservazione della biodiversità marina, anche attraverso un sostegno specifico all’impiego di attrezzature innovative che rendano la pesca più selettiva, studi d’impatto o misure di attenuazione degli effetti della pesca. In tale contesto, l’approccio adottato dalla Commissione, consistente nello «scalare la marcia» dell’attività alieutica, non sarà in grado di risolvere tutti i problemi legati alla sostenibilità e alla competitività.

4.8.

Il CESE osserva che la maggior parte del pesce importato da paesi terzi è stata catturata in modo meno sostenibile del pesce di tipo analogo catturato nell’UE, per tacere delle condizioni di lavoro a bordo dei pescherecci o negli impianti di trasformazione a terra. I prezzi più bassi che ne conseguono configurano una concorrenza sleale nei confronti dei pescatori dell’UE, compromettendo qualsiasi possibilità di conseguire prezzi minimi stabili sui mercati di «prima vendita» dopo lo sbarco, ossia una condizione preliminare per la sopravvivenza di tali operatori. Il CESE esorta pertanto la Commissione europea e gli Stati membri ad adottare provvedimenti più incisivi, facendo rispettare l’obbligo di piena tracciabilità del prodotto ittico importato, in un’ottica sia di sicurezza alimentare che di contrasto alla pesca INN, e a organizzare campagne di sensibilizzazione che informino i consumatori in merito alla qualità dei prodotti ittici europei. È inoltre imperativo porre un freno anche a pratiche di dubbia correttezza nel commercio al dettaglio, come l’esposizione di pesce scongelato sui banchi di vendita del pesce fresco senza un’etichettatura chiara ed inequivoca.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il CESE accoglie con favore il nuovo approccio adottato dalla Commissione europea, la quale si prefigge di istituire un quadro generale senza ricorrere a misure prescrittive, accordando così maggiore flessibilità agli Stati membri, alle autorità preposte all’attuazione ed ai beneficiari. In particolare, questo sistema semplificato dovrebbe offrire l’opportunità di elaborare programmi nazionali «su misura». Tuttavia, è necessario che, nel far ciò, si garantisca parità di condizioni per l’accesso ai finanziamenti in tutta l’UE. Inoltre, il regolamento recante disposizioni comuni, che comprende tutte le norme di attuazione, dovrebbe agevolare l’uso congiunto di diversi programmi di finanziamento europei. Andrebbero istituiti meccanismi chiari per accertarsi che il denaro pubblico sia effettivamente speso laddove è più necessario e che il contributo finanziario previsto sia destinato alla gestione sostenibile degli oceani.

5.2.

Il CESE è favorevole alla proposta di stabilire quattro priorità principali. In particolare, il Comitato accoglie con favore, in linea con i suoi pareri precedenti, l’attenzione specifica per la governance degli oceani e lo sviluppo locale al fine di realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile e sostenere le attività di pesca su piccola scala (9). Tuttavia, il CESE fa notare che di recente nei pescherecci europei sono stati scoperti casi di schiavitù e sfruttamento (10), e che nei paesi terzi tali pratiche (compresa la schiavitù di minori) sono purtroppo ancora più diffuse; e ritiene pertanto che la nuova strategia globale varata dalla Commissione dovrebbe considerare prioritaria anche la lotta contro ogni forma di sfruttamento delle persone.

5.3.

Il Comitato ritiene che quello del rinnovo della flotta costituisca un problema cruciale, dato che in media i pescherecci europei hanno un’età superiore ai 30 anni e un semplice ammodernamento in molti casi non è sufficiente. Per tale motivo, il CESE raccomanda di incoraggiare il finanziamento di nuove navi per sostituire quelle vecchie, a condizione che la flotta interessata non disponga di capacità in eccesso e che le specie ittiche bersaglio siano pescate a livelli di MSY. Inoltre, dato che la strategia dell’Organizzazione marittima internazionale in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dalle imbarcazioni mira a ridurre le emissioni annue totali di almeno il 50 % entro il 2050, le navi più grandi devono modificare i propri motori per adattarli e conformarsi a tale obiettivo internazionale. Pertanto, è essenziale che il suddetto finanziamento riguardi altresì l’installazione di motori più sostenibili ed efficienti, in grado di ridurre le emissioni di CO2 ma anche di garantire la sicurezza dell’equipaggio. Le stime della FAO, infatti, confermano che la pesca è un’attività potenzialmente pericolosa, talché una formazione adeguata in materia di salute e sicurezza sul lavoro si rende necessaria al fine di ridurre il numero di decessi, lesioni e malattie professionali (11). Per tutti questi motivi, sarebbe opportuno separare gli aspetti relativi alla capacità di pesca e alla tutela della biodiversità dalla questione del rinnovo della flotta e dei motori.

5.4.

Il sostegno offerto nei periodi di arresto temporaneo delle attività di pesca ha svolto un ruolo cruciale nel migliorare la situazione degli stock (soprattutto nel caso dei fermi stagionali per riposo biologico) e, nel contempo, compensare almeno in parte i pescatori per la perdita di reddito. Per il nuovo quadro finanziario, la Commissione propone sì di mantenere tale sostegno, ma anche di introdurre nuovi requisiti rispetto a quelli fissati dalla normativa attuale. Considerato che non sono stati segnalati casi di uso improprio degli aiuti concessi nelle circostanze di arresto temporaneo, la Commissione dovrebbe rispettare e mantenere i criteri oggi esistenti, in modo da accordare tali aiuti al maggior numero possibile di pescatori che ne abbiano bisogno; e lo stesso principio dovrebbe essere applicato nell’ipotesi di arresto definitivo delle attività di pesca. In entrambe queste fattispecie, è importante che a beneficiare di tale sostegno finanziario siano anche i pescatori e non soltanto il proprietario dei pescherecci, come stabilisce l’attuale regolamento FEAMP.

5.5.

La pesca è un’attività stagionale, e le catture possono essere incerte e talora superiori alla domanda del mercato. È quindi necessario disporre dei mezzi necessari per gestire le eccedenze produttive, aiutando a stabilizzare parte della produzione prima di metterla in vendita, in particolare in caso di riduzione delle catture. Per far ciò, il FEAMP dovrebbe continuare a sostenere le organizzazioni di produttori che hanno bisogno di un meccanismo di stoccaggio temporaneo per i prodotti della pesca destinati al consumo umano; e, affinché il meccanismo funzioni appieno, gli aiuti in questione dovrebbero essere resi disponibili senza ritardo. A questo proposito, il CESE è favorevole al mantenimento di meccanismi volti a compensare i costi di stoccaggio.

5.6.

Un’altra questione di cruciale importanza per il futuro del settore è quella del ricambio generazionale. Alcune nuove iniziative volte ad agevolare l’acquisto di un peschereccio di seconda mano, la formazione professionale e il miglioramento delle condizioni di lavoro possono senz’altro essere utili, ma non risolvono il problema principale: la bassa remunerazione del capitale investito. Ciò è particolarmente evidente nella pesca su piccola scala, praticata da imprese familiari con pescherecci di lunghezza inferiore ai 12 metri. Il CESE osserva che la costante diminuzione delle navi e la continua perdita di posti di lavoro contraddicono le previsioni della Commissione di raddoppiare la produzione del settore della pesca dell’UE entro il 2030, in linea con le stime della crescita mondiale (12).

5.7.

Il Comitato appoggia la proposta di misure specifiche a favore della piccola pesca costiera, che rappresenta un fattore vitale per la sopravvivenza (e la conservazione del patrimonio culturale) di molte comunità costiere. La pesca di questo tipo impegna il 75 % di tutte le navi da pesca registrate nell’Unione europea e occupa quasi la metà di tutti gli addetti del settore nell’UE. Negli ultimi decenni la pesca tradizionale e su piccola scala ha pagato il prezzo più elevato della crisi, ragion per cui oggi necessita di una strategia specifica che le consenta di recuperare una posizione solida sul mercato. L’iniziativa in esame avrà effetti positivi anche sulle comunità locali economicamente depresse.

5.8.

Il Comitato ritiene che siano necessari approcci innovativi per gestire i diritti di pesca su piccola scala e che un’ulteriore collaborazione sia essenziale per aiutare il settore a gestire le quote e i giorni in mare, collegare la produzione alla commercializzazione o risolvere i problemi legati alla cattura di specie a contingente limitante. Le comunità costiere e l’ambiente marino trarranno i massimi benefici se le possibilità di pesca saranno allocate sulla base di criteri ambientali, sociali ed economici trasparenti. fondi che promuovano la sostenibilità e i processi partecipativi potrebbero contribuire ad affrontare queste sfide, ad esempio agevolando l’organizzazione di seminari o l’attuazione di processi partecipativi per interagire con scienziati e altri soggetti pertinenti.

5.9.

Lo sviluppo locale di tipo partecipativo è stato ed è uno strumento molto utile durante il periodo di programmazione 2014-2020, svolgendo un ruolo importante nello stimolare la diversificazione economica nelle comunità locali: pertanto, il CESE appoggia la proposta di estendere tale strategia a tutti i settori dell’economia blu. L’assegnazione di fondi per un’economia blu sostenibile dovrebbe, in ogni caso, assicurare benefici sociali ed economici alle generazioni attuali e future, ripristinare e preservare la diversità, la produttività, la resilienza e il valore intrinseco degli ecosistemi marini e promuovere le tecnologie pulite, le energie da fonti rinnovabili e i flussi circolari di materiali.

5.10.

Il Comitato ravvisa nella dichiarazione di Malta «MedFish4Ever» del 2017 una pietra angolare dell’azione dell’UE. Nondimeno, ad avviso del CESE, le specifiche misure tecniche e di conservazione dovrebbero essere adattate alle diverse forme di attività di pesca e alle caratteristiche biologiche del Mar Mediterraneo. Al CESE, infatti, risulta che il modello costituito dal piano pluriennale per la pesca, dimostratosi un successo per le attività di pesca di singole specie (ad esempio nel Mar Baltico), si sia rivelato meno efficace per le attività alieutiche multispecifiche (ad esempio nel Mar Mediterraneo) (13). Inoltre, i metodi di pesca adottati nell’Europa settentrionale e in quella meridionale sono tra loro completamente differenti. In particolare nel Mar Mediterraneo l’attività alieutica si caratterizza come una pesca su piccola scala, praticata con metodi tradizionali (14). Il Comitato raccomanda pertanto di promuovere la ricerca per la valutazione degli stock ittici e la raccolta di dati al fine di predisporre sistemi adeguati e più efficienti per proteggere la biodiversità. Una raccolta dati, un controllo e una garanzia dell’applicazione efficaci sono prerequisiti essenziali per una gestione responsabile della pesca che apporti benefici sociali ed economici ai pescatori ed alle comunità locali.

5.11.

Come il CESE aveva già previsto (15), l’obbligo di sbarco costituisce oggi uno dei problemi principali per il settore (sia per le imprese di pesca che per le autorità nazionali) a causa della complessità della sua attuazione e degli elevati costi della transizione verso un’attività alieutica più sostenibile (praticata, cioè, con specifici attrezzi da pesca selettivi). La nuova proposta della Commissione sui controlli nel settore della pesca (16) dovrebbe estendere gli obblighi vigenti per i pescherecci di piccole dimensioni e, in generale, porrà nuovi requisiti per tutti gli operatori del settore (obbligo di installare a bordo un sistema televisivo a circuito chiuso). Il CESE ritiene che sia necessario un sistema di controlli semplificato, più flessibile e pragmatico, e che occorra fornire un sostegno adeguato, a livello nazionale, per un gran numero di navi da pesca. In quest’ottica, la corretta attuazione del nuovo sistema di controlli è strettamente legata alla rapida e completa attuazione del FEAMP 2021-2027, che aiuterà i pescatori a conformarsi alla nuova normativa (17).

5.12.

Il CESE fa notare che la nuova direttiva UE sulla riduzione dell’impatto ambientale di determinati prodotti di plastica (18) (vale a dire gli attrezzi da pesca usati), in combinazione con la nuova direttiva sugli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi (19), apre nuovi scenari e opportunità per una pesca sostenibile e per l’economia circolare. La misura, intesa a favorire il recupero degli attrezzi da pesca usati mediante incentivi per i pescatori, dovrebbe essere estesa al conferimento di tutti gli altri rifiuti, marini e non, da loro raccolti nel corso delle attività di pesca.

5.13.

Questa iniziativa dovrebbe assumere un rilievo fondamentale per il settore, considerato che attualmente, in base alla normativa in vigore, i pescatori sono tenuti a pagare per conferire tali rifiuti nei porti, ossia per pulire il mare e scaricare a terra rifiuti che essi non hanno prodotto, bensì raccolto. Al riguardo il CESE ritiene che i pescatori potrebbero apportare un contributo importante e che, con un’adeguata formazione, essi potrebbero trovare nella pulizia del mare un’altra attività economica remunerativa, alla stessa stregua del turismo connesso alla pesca (l’economia blu) (20).

5.14.

Il CESE, in linea con la proposta della Commissione di destinare il 25 % dell’intero bilancio dell’UE all’azione sui cambiamenti climatici, propone che una quota significativa di questi fondi sia destinata al rinnovo dei porti, al fine di «chiudere il cerchio» della gestione dei rifiuti marini e promuovere un’economia circolare. Finanziamenti specifici, nel quadro di una strategia più ampia di prevenzione dei rifiuti marini, dovrebbero essere destinati alla pulizia dei fiumi (21). Il CESE ritiene che i modelli di governance aperta con la partecipazione delle autorità pubbliche e della società civile organizzata a livello locale, come ad esempio i «contratti di fiume», potrebbero essere replicati con un approccio strutturato, promuovendo la creazione di reti transfrontaliere (22).

5.15.

Molte parti interessate hanno segnalato difficoltà nel garantire pari condizioni di concorrenza in zone in cui operano altri utenti del mare, e in particolare in zone condivise con le flotte di paesi terzi (23). Pertanto, un ruolo più incisivo dell’UE nella governance internazionale degli oceani potrebbe offrire maggiori opportunità in termini di sostenibilità ambientale e di concorrenza equa.

5.16.

Il CESE è favorevole all’esecuzione di controlli sulle navi provenienti dai paesi terzi. Inoltre, il Comitato fa notare che un migliore sistema di tracciabilità del pesce proveniente da tali paesi sarebbe utile per contrastare le frodi e garantire la sicurezza alimentare.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  I pareri in questione sono: Quadro finanziario pluriennale per il periodo dopo il 2020, (GU C 440 del 6.12.2018, pag. 106); Regolamento recante disposizioni comuni 2021-2027 (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 83); Regolamento relativo al FESR e al Fondo di coesione 2021-2027 (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 90); Regolamento sulla cooperazione territoriale europea 2021-2027, (GU C 440 del 6.12.2018, pag. 116); Regolamento sul meccanismo transfrontaliero 2021-2027, (GU C 440 del 6.12.2018, pag. 124); Fondo sociale europeo Plus (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 165); Orizzonte Europa (il nuovo Programma quadro di ricerca e innovazione [9o PQ]), (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 33).

(2)  Ossia se le attività commerciali della nave in questione sono interrotte per un periodo di almeno 90 giorni consecutivi e se le perdite economiche dovute all’arresto dell’attività ammontano a più del 30 % del fatturato annuo dell’impresa interessata, calcolato sulla base del fatturato medio dell’impresa in un determinato periodo di tempo.

(3)  COM(2018) 390 pag. 12.

(4)  Il FEAMP attuale (ossia quello relativo al periodo 2014-2020) è infatti stato attuato in misura molto limitata. In particolare, solo il 29 % delle risorse finanziarie è stato assegnato ai progetti prescelti e appena l’8 % del bilancio complessivo è stato speso per tali progetti. Fonte: Commissione europea. https://cohesiondata.ec.europa.eu/funds/emff#.

(5)  Un’infrazione grave, infatti, comporta già di per sé una sanzione pecuniaria, di importo variabile in funzione della gravità dell’infrazione. In Spagna, ad esempio, l’importo della sanzione può andare dai 601 ai 60 000 EUR. Ciò significa che anche un pescatore condannato a una sanzione pecuniaria, commisurata alla gravità dell’infrazione, di soli 601 EUR, potrebbe (in applicazione dell’articolo 10, paragrafo 2) perdere anche centinaia di migliaia di euro già ricevuti a titolo di sostegno finanziario per un investimento che potrebbe essere stato effettuato e pagato cinque anni prima. Tale impatto è particolarmente cospicuo sulla piccola pesca costiera.

(6)  Parere del CESE Controlli nel settore della pesca, (cfr. GU, pag. 118 della presente Gazzetta ufficiale).

(7)  Ad esempio, in Italia (un paese con 8 000 km di coste) il numero dei pescherecci è diminuito di circa il 33 % negli ultimi 30 anni. I pescherecci hanno un’età media di 34 anni e hanno urgente bisogno di essere ammodernati o sostituiti con imbarcazioni nuove; e in questi 30 anni sono stati perduti 18 000 posti di lavoro (il settore della pesca in Italia conta 25 000 addetti). [Dati 2016 del ministero italiano delle politiche agricole, alimentari e forestali].

(8)  Nell’ambito del comitato di dialogo sociale settoriale dell’UE per la pesca marittima (EUSSDC).

(9)  Parere del CESE in merito al Piano pluriennale per la piccola pesca pelagica nel Mar Adriatico, (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 68).

(10)  https://www.theguardian.com/world/2018/may/18/we-thought-slavery-had-gone-away-african-men-exploited-on-irish-boats.

(11)  Secondo le stime della FAO, ogni anno nel mondo nel settore della pesca si verificano oltre 32 000 decessi (https://safety4sea.com/fishers-fatalities-give-impetus-to-fishing-vessel-safety-work/).

(12)  OCSE, Ocean Economy in 2030, 2016.

(13)  Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM), The State of Mediterranean and Black Sea Fisheries [Lo stato della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero], 2016, pag. 26. Come evidenziato dalla CGPM della FAO, nei mari monospecifici è più semplice condurre una pesca mirata perché in essi convivono pochi tipi di pesce ed è quindi agevole stabilire dei limiti alle catture. Viceversa, nei mari multispecifici molte specie di pesci vivono nella stessa zona.

(14)  Pareri del CESE in merito alla Riforma della PCP, punto 1.3, (GU C 181 del 21.6.2012, pag. 183) e al Piano pluriennale per la piccola pesca pelagica nel Mar Adriatico, (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 68).

(15)  Nel suo parere in merito all’Obbligo di sbarco, (GU C 311 del 12.9.2014, pag. 68), e in particolare al punto 1.2: «Il Comitato ritiene inoltre che la proposta della Commissione sia troppo complessa e che l’obbligo di sbarco comporterà per i pescatori un aumento eccessivo e sproporzionato del lavoro. Reputa quindi che occorra puntare a una normativa maggiormente pragmatica, chiara, semplice e flessibile, che dia ai pescatori il tempo per adeguarsi, grazie a un periodo transitorio, senza incorrere in sanzioni severe».

(16)  COM(2018) 368.

(17)  Cfr. nota a piè di pagina 6.

(18)  COM(2018) 340 final.

(19)  COM(2018) 33 final.

(20)  Parere del CESE (non ancora pubblicato in GU) sulla Plastica monouso.

(21)  Relazione UNEP 2016. L’80 % dei rifiuti marini proviene dai fiumi.

(22)  Parere del CESE (non ancora pubblicato in GU) sulla Plastica monouso.

(23)  MEDAC, Domande relative ai finanziamenti dell’UE per il settore marittimo e della pesca dopo il 2020, febbraio 2018.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/112


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un’Europa che protegge: aria pulita per tutti»

[COM(2018) 330 final]

(2019/C 110/21)

Relatore:

Octavian Cătălin ALBU

Consultazione

Commissione europea, 18/06/2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)

 

 

Decisione dell’Assemblea plenaria

19/06/2018

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

27/11/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

129/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Negli ultimi trent’anni la qualità dell’aria nell’Unione europea (UE) è aumentata per effetto delle politiche attuate a questo fine a livello dell’UE. Ciononostante, resta ancora molto da fare, dato che si registrano numerosi casi di superamento dei valori ammessi per le principali categorie di inquinanti atmosferici. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esorta gli Stati membri a collaborare strettamente tra loro, dato che questo aspetto è cruciale per la salute dei cittadini dell’UE. Il CESE desidera lanciare un segnale d’allarme circa la qualità dell’aria e le condizioni ambientali.

1.2.

Il CESE ritiene assolutamente necessario ridurre l’inquinamento dovuto ai settori commerciale, istituzionale e domestico, oltre a quello dei trasporti. Le istituzioni e gli Stati membri devono dare esempi positivi in tal senso; bisogna inoltre aumentare i programmi di sostegno ai cittadini nel processo di transizione verso fonti di energia termica pulite, moderne e più efficienti sul piano energetico.

1.3.

Tenuto conto che i trasporti rappresentano una delle principali fonti di inquinamento atmosferico, il CESE accoglie con favore la pubblicazione del pacchetto di proposte per una mobilità pulita, comprendente varie iniziative che, oltre a ridurre le emissioni di CO2, porteranno anche a una diminuzione dell’inquinamento a livello locale e regionale.

1.4.

Le misure legislative supplementari proposte dalla Commissione europea (CE) per porre rimedio ad alcuni problemi — come il cosiddetto «Dieselgate» —, oppure quelle adottate contro gli Stati membri che non hanno rispettato le norme vigenti in materia di inquinamento atmosferico, rappresentano un reale passo in avanti, e il CESE appoggia questa impostazione.

1.5.

Il CESE è fermamente convinto che le nuove norme in materia ambientale e quelle riguardanti il settore dei trasporti debbano essere accompagnate da misure di sostegno economico che incoraggino l’innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie pulite, come le batterie, le automobili elettriche o i sistemi alternativi di riscaldamento e ventilazione.

1.6.

Il CESE esprime preoccupazione per l’insufficienza dei progressi, seppur visibili, compiuti nel settore agricolo per ridurre l’inquinamento atmosferico. Il CESE raccomanda che, in futuro, la politica agricola comune, accompagnata da altri strumenti finanziari e investimenti, rivolga maggiore attenzione alle iniziative volte a ridurre gli impatti sull’ambiente e dia prova di maggiore coerenza e organicità per quel concerne gli aiuti concessi agli agricoltori in vista dell’attuazione di programmi intesi a conseguire questo obiettivo. A questo proposito, una buona soluzione è rappresentata dalle cooperative in cui gli agricoltori possono produrre energia elettrica a partire dal biogas generato dai rifiuti specifici della loro attività.

1.7.

La cooperazione internazionale è essenziale nella lotta contro l’inquinamento e i cambiamenti climatici, e il CESE si compiace dell’ampio consenso raggiunto tra gli Stati membri per quel che concerne il conseguimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi. Lo scambio di buone pratiche in questo campo e la rete della diplomazia verde rivestono una particolare importanza. Per conseguire gli obiettivi dell’accordo sono inoltre necessarie azioni concrete tese a ridurre le emissioni inquinanti negli Stati membri.

1.8.

Il CESE esorta gli Stati membri a collaborare strettamente tra loro, dato che la questione in esame è di fondamentale importanza per la salute dei cittadini europei. Raccomanda anche che gli Stati membri e la Commissione europea collaborino il più strettamente possibile con la società civile e con i rappresentanti delle organizzazioni civiche locali e regionali nell’ideazione e attuazione non solo dei programmi per la protezione dell’ambiente, ma anche delle campagne di formazione, informazione e sensibilizzazione sulla qualità dell’aria rivolte ai cittadini.

2.   Introduzione

2.1.

Nel corso degli ultimi venti o trent’anni la qualità dell’aria è notevolmente migliorata nell’UE grazie a una serie di politiche specifiche per questa problematica, attuate dall’Unione e dagli Stati membri, tese a conseguire un livello di qualità dell’aria che non comporti impatti negativi né rischi significativi per la salute umana e per l’ambiente. Di conseguenza, benché si sia osservato un andamento in crescita del PIL dell’UE, la quantità di emissioni inquinanti nell’atmosfera è diminuita dell’8 % per l’ammoniaca e del 72 % per gli ossidi di zolfo (1).

2.2.

La qualità dell’aria è un fattore determinante per quanto riguarda le condizioni generali di salute della popolazione. Le principali fonti di inquinamento atmosferico sono il particolato — PM (PM10 e PM2,5) — e l’ozono troposferico, il quale è direttamente influenzato dalle emissioni di ossidi di azoto (NOx) nell’atmosfera. Secondo dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, l’esposizione ad inquinanti atmosferici come le polveri (particolato) è all’origine dell’8 % dei decessi per cancro ai polmoni a livello mondiale e del 3 % dei decessi totali dovuti a malattie cardiovascolari (2). Per le stesse cause nell’UE si registrano ogni anno oltre 400 000 morti premature (3).

2.3.

Tenendo presenti tutte queste considerazioni, si osserva che i cittadini dell’UE esprimono una più forte preoccupazione in merito al livello dell’inquinamento atmosferico (4). Di conseguenza, sia l’UE che gli Stati membri hanno adottato provvedimenti legislativi mirati ad ottenere una qualità dell’aria che non abbia effetti negativi né sulla salute dei cittadini né sull’ambiente, puntando quindi ad una graduale riduzione delle emissioni nocive grazie alla rigorosa osservanza della vigente normativa dell’UE sulla qualità dell’aria.

2.4.

Le politiche dell’UE in questo campo poggiano su tre pilastri:

il primo pilastro comprende le norme in materia di qualità dell’aria che tutti gli Stati membri devono rispettare a partire dal 2005 o dal 2010, a seconda delle sostanze inquinanti prese in considerazione;

il secondo pilastro stabilisce gli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni, recentemente rivisti, che devono essere conseguiti nel 2020 e nel 2030 e che comprendono un’altra sostanza inquinante, il particolato sottile (PM2,5);

il terzo pilastro stabilisce le norme in materia di emissioni per le principali fonti di inquinamento: le emissioni prodotte dai veicoli, dalle navi, dagli impianti industriali e dagli impianti di produzione di energia. A seguito del cosiddetto scandalo «Dieselgate», nel 2015, è stato introdotto un pacchetto di norme sulle emissioni in condizioni reali di guida, e la Commissione europea ha inoltre proposto nuove norme su emissioni di CO2 ridotte per autovetture, furgoni leggeri e veicoli pesanti nuovi.

2.5.

In base alla relazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) sulla Qualità dell’aria in Europa del 2017, le principali fonti di inquinamento atmosferico in Europa sono: i trasporti (stradali e non stradali), la combustione di combustibili per uso commerciale/istituzionale/domestico, la produzione di energia, i processi industriali, il settore agricolo e i rifiuti (5).

2.5.1.

Sul totale delle emissioni di agenti inquinanti, i trasporti su strada concorrono all’emissione di ossidi di azoto (NOx) per il 39 %, di particolato carbonioso (black carbon) per il 29 %, di monossido di carbonio (CO) per il 20 % e, infine, di particolato (PM10 e PM2,5) per l’11 %. Con l’adozione del pacchetto di proposte per una mobilità pulita la Commissione punta a stabilire nuove norme in materia di emissioni di CO2 per il 2025 e il 2030. Nuove tecnologie — ad esempio per quanto riguarda le batterie, i combustibili alternativi e le relative infrastrutture — vengono promosse attraverso la revisione delle regolamentazioni (6) e mediante piani d’azione (7). Inoltre, il nuovo quadro del pacchetto di proposte per una mobilità pulita promuove l’impiego integrato di treni e autocarri (trasporti combinati) per una maggiore efficienza (8) — anche sul piano energetico — e lo sviluppo di linee di autobus su lunghe distanze per ridurre le emissioni e la congestione del traffico (9).

2.5.2.

La combustione di combustibili per uso commerciale/istituzionale/domestico è stato il maggior responsabile di inquinamento (42 % e 57 %) da particolato (PM2,5 e PM10), da monossido di carbonio (CO) ma anche da particolato carbonioso (o nerofumo, un inquinante importante che è il prodotto della combustione incompleta di combustibili fossili e di biomassa). I valori dell’inquinamento imputabile a questo settore sono rimasti pressoché stabili nel periodo 2000-2015.

2.5.3.

L’obiettivo di riduzione delle emissioni inquinanti (- 59 % per l’anidride solforosa (SO2) e — 19 % per gli ossidi di azoto (NOx), sul totale) nei settori della produzione di energia elettrica e termica è stato perseguito mediante lo sviluppo e l’espansione di fonti di energia alternative e di sistemi di cogenerazione, ammodernando gli impianti di produzione di energia e incrementandone il rendimento, ottimizzando i processi di produzione di energia, migliorando le prestazioni termiche degli edifici e con l’eliminazione progressiva dell’impiego di combustibili fossili, sostituiti dal gas metano.

2.5.4.

Per la riduzione delle emissioni prodotte da impianti industriali [- 50 % per i composti organici volatili non metanici (COVNM) e — 17 % per il particolato PM10], sono state adottate misure nello spirito e in osservanza delle disposizioni giuridiche in vigore a livello europeo. Per prevenire l’inquinamento e assicurare che rimanga sotto controllo, ogni impianto industriale deve disporre di un’autorizzazione operativa e di una registrazione in cui devono essere fissati i valori limite per le emissioni inquinanti e le misure necessarie a garantire la protezione dell’ambiente.

2.5.5.

Se si considera che il settore agricolo produce il 95 % delle emissioni di ammoniaca (NH3) e il 52 % delle emissioni di metano (CH4), la questione della riduzione delle emissioni dovute all’agricoltura è della massima importanza. Tra le misure di riduzione delle emissioni del settore agricolo figurano misure agronomiche (impiego equilibrato dell’azoto nelle aziende agricole, realizzazione di colture di copertura e di ortaggi su terreni coltivabili per aumentare la fertilità del suolo), misure inerenti il patrimonio zootecnico (stoccaggio del letame in spazi chiusi, riutilizzo di questi liquami in impianti per il biogas), misure in campo energetico (utilizzo della biomassa per il riscaldamento, installazione di impianti fotovoltaici, riduzione del consumo di combustibile tradizionale e di energia elettrica) e misure agro-ambientali (rafforzamento delle competenze professionali degli agricoltori e incentivazione al ricorso da parte loro a pratiche che abbiano per effetto la riduzione delle emissioni).

2.6.

Il CESE è preoccupato per le condizioni ambientali. Già in passato il CESE ha lanciato diversi segnali d’allarme in proposito (10), ponendo l’accento «sulla necessità di compiere ulteriori sforzi innanzitutto per evitare che i danni ambientali si verifichino, privilegiando sempre una strategia di prevenzione anziché una di riparazione» (11).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore le misure adottate dall’Unione europea per conseguire il proprio obiettivo di una qualità dell’aria che non abbia effetti nocivi né per la salute umana né per l’ambiente, ma ritiene necessario intensificare notevolmente gli sforzi, sia a livello dell’UE che a livello nazionale, dato che i risultati registrati finora non sono completamente soddisfacenti. Sebbene siano stati osservati dei progressi per quel che concerne la riduzione delle emissioni inquinanti, la salute della popolazione continua a risentire della qualità dell’aria (12).

3.2.

Il CESE è preoccupato dal momento che, attualmente, in vaste regioni dell’UE la concentrazione di particolato nell’aria è superiore ai livelli massimi consentiti. Nel caso del PM10 sono stati segnalati superamenti del valore limite giornaliero massimo consentito di concentrazione nel 19 % delle stazioni di monitoraggio, e nel caso del particolato PM2,5 nel 6 % delle stazioni di monitoraggio. Purtroppo, nel 2015 la popolazione urbana dell’UE è stata esposta a livelli superiori del 19 % al limite consentito per il PM10 (in aumento rispetto all’anno precedente) e del 7 % per il PM2,5 (in calo rispetto all’anno precedente).

3.3.

Il CESE desidera richiamare l’attenzione sul fatto che nell’Europa centrale e orientale milioni di abitazioni ricorrono alla combustione del legno e del carbone per il riscaldamento. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nell’Europa centrale e orientale questa pratica concorre attualmente — e lo farà anche in futuro — all’inquinamento da PM2,5, che rimane sui livelli degli anni 2010-2015 (13). Sono necessarie ulteriori misure per sostenere e coinvolgere la popolazione nel processo di transizione verso fonti di energia termica più pulite.

3.4.

Il CESE esprime inoltre preoccupazione poiché si osservano superamenti significativi dei valori delle concentrazioni annuali di biossido di azoto (NO2) in 22 Stati membri, nel 10 % delle stazioni di monitoraggio, con valori superiori al doppio dei limiti consentiti dalle norme registrati in aree di alcune grandi città.

3.5.

Il CESE sottolinea che la qualità dell’aria è un fattore cruciale (14) tanto per la popolazione come per gli ambienti imprenditoriali. È pertanto necessario che i decisori europei e nazionali assicurino l’attuazione di misure concrete per quel che concerne l’introduzione e il rispetto di un quadro legislativo in questo campo.

3.6.

A giudizio del CESE, per ridurre il livello di emissioni inquinanti dovute ai settori commerciale, istituzionale e domestico è assolutamente necessario che gli Stati membri, con il sostegno della Commissione, compiano ogni sforzo per ottenere effettivamente migliori prestazioni energetiche degli edifici, un maggiore rendimento degli impianti di fornitura di energia elettrica e termica, l’ampliamento e l’ammodernamento delle reti di teleriscaldamento nelle città, nonché il sostegno a sistemi alternativi di condizionamento dell’aria. Un esempio in tal senso è dato dall’edificio sede della Banca centrale europea, dove è stato installato un sistema di riscaldamento e ventilazione innovativo ed ecologico.

3.7.

Il CESE sottolinea che non si dovrebbe trascurare l’inquinamento dell’aria interna. La qualità dell’aria che respiriamo negli ambienti interni è importantissima per la nostra salute, in particolare nel caso di gruppi di popolazione vulnerabili. Il fumo, la cottura degli alimenti, l’umidità, i sistemi di ventilazione, le candele accese, l’uso di detergenti come prodotti per la pulizia, le cere o le vernici/lacche/smalti, determinati materiali di costruzione sono altrettanti fattori che possono diventare importanti fonti di inquinamento dell’aria interna. È quindi essenziale adottare una politica coerente in materia di salubrità degli edifici.

3.8.

Il CESE ritiene che gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, debbano elaborare e attuare un nuovo concetto di sviluppo urbano che punti anche a realizzare un sistema di trasporto pubblico rispettoso dell’ambiente, a incoraggiare tramite diversi incentivi la mobilità elettrica o quella ibrida, a utilizzare applicazioni informatiche che avvertano i cittadini in caso di superamento dei valori massimi ammissibili per gli inquinanti atmosferici, nonché a sostenere l’ampliamento delle zone verdi nelle città, in modo da migliorare in misura significativa la qualità dell’aria.

3.9.

Il CESE ritiene che l’accesso dei cittadini alle informazioni e ai dati sulla qualità dell’aria costituisca un fattore importante nella lotta contro l’inquinamento atmosferico (15). I programmi di informazione e sensibilizzazione possono portare a una maggiore presa di coscienza, da parte dei cittadini, del pericolo connesso all’inquinamento atmosferico e dell’impatto che hanno le azioni di ciascuno di noi. Occorre riconoscere e valorizzare l’attività svolta a favore della qualità dell’aria dalle madri preoccupate per gli effetti delle sostanze inquinanti sulla salute dei figli. La restrizione della possibilità di fruire dell’ambiente viene considerata da queste madri una limitazione dei loro diritti civili.

3.10.

Il CESE si compiace per l’iniziativa presa da ONG e cittadini di adire le vie legali per chiedere alle autorità nazionali di introdurre misure supplementari volte a ridurre l’inquinamento. In paesi come la Repubblica ceca, la Germania, l’Italia e il Regno Unito, i tribunali aditi hanno emanato decisioni favorevoli alle parti ricorrenti (16).

3.11.

Il CESE è del parere che le strategie di decarbonizzazione, come pure gli obiettivi in materia di energia da fonti rinnovabili, debbano essere elaborati in modo da avere un impatto reale sull’ambiente, senza tuttavia frenare lo sviluppo economico degli Stati membri.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

La Commissione europea insiste in modo particolare sul rispetto delle norme sulle emissioni inquinanti degli autoveicoli, soprattutto dopo che è scoppiato il cosiddetto scandalo «Dieselgate», mettendo in campo azioni di verifica dell’osservanza degli obblighi imposti dalla normativa dell’UE in materia.

4.2.

A tale proposito, il CESE appoggia la posizione della Commissione, la quale ha chiesto agli Stati membri di esaminare ogni possibilità di modifica e miglioramento per far sì che le emissioni delle autovetture in questione rientrino nei limiti previsti dalle norme in vigore e, qualora tale condizione non venga soddisfatta, di prendere in considerazione il ritiro obbligatorio e/o volontario dei veicoli coinvolti.

4.3.

Il CESE plaude all’iniziativa della Commissione di avviare procedure d’infrazione nei confronti di sedici Stati membri per inquinamento da particolato PM10, e nei confronti di tredici Stati membri per inquinamento da biossido di azoto (NO2), e raccomanda agli Stati interessati di adottare quanto prima provvedimenti per ridurre o eliminare i periodi di superamento dei livelli di inquinamento ammessi.

4.4.

Del pari, il CESE accoglie con favore la decisione della Commissione di adire la Corte di giustizia dell’Unione europea nei confronti di tre Stati membri (Ungheria, Italia e Romania) per violazione dei limiti di inquinamento fissati per il particolato PM10, e di altri tre Stati membri (Francia, Germania e Regno Unito) per violazione dei limiti di inquinamento fissati per il biossido di azoto (NO2). I sei Stati membri in questione non hanno proposto in tempo utile l’adozione di misure concrete ed efficaci per ridurre l’inquinamento riportandolo entro i limiti ammissibili.

4.5.

Considerato il livello elevato di inquinamento dovuto alle automobili, il CESE accoglie con favore le misure, presentate nei diversi pacchetti per la mobilità, proposte dalla Commissione per la riduzione delle emissioni, come la direttiva sui veicoli puliti, le nuove norme sulle emissioni di CO2 dovute sia alle autovetture che ai veicoli pesanti, un piano d’azione sulle infrastrutture per i combustibili alternativi e un’iniziativa sulle batterie. Queste misure avranno sicuramente l’effetto di ridurre le emissioni discusse nel presente parere.

4.6.

Il CESE accoglie con favore le nuove norme proposte dalla Commissione per quanto riguarda un aumento significativo della qualità e dell’indipendenza delle procedure di omologazione e di prova dei veicoli necessarie prima della loro immissione sul mercato, nonché le nuove norme relative ad un controllo più efficiente dei veicoli già in circolazione sul mercato. Il regolamento che stabilisce tali norme, che dovrebbe entrare in vigore nel settembre 2020, mantiene il divieto di installare nei veicoli dispositivi di manipolazione, punta a ridurre i valori delle emissioni inquinanti dei veicoli e crea il quadro necessario per la transizione verso veicoli a basse emissioni e a emissioni zero.

4.7.

Considerato il livello elevato di emissioni inquinanti di ammoniaca (NH3) e di metano (CH4) imputabili al settore agricolo (17), è necessario adottare misure attive per ridurle. Il CESE ritiene che nei prossimi anni la politica agricola comune debba concentrarsi maggiormente sull’erogazione di sostegno ai singoli agricoltori e alle loro cooperative, per aiutarli nell’azione di riduzione dell’inquinamento, facilitando il loro accesso ai finanziamenti degli istituti bancari europei mirati all’attuazione di programmi che possono portare a una riduzione delle emissioni inquinanti. Inoltre, i programmi di sviluppo rurale della futura PAC dovrebbero comprendere misure agroambientali volte a ridurre tali emissioni.

4.8.

Il CESE esprime preoccupazione in quanto, malgrado le misure attuate nel settore agricolo e gli sforzi profusi dagli agricoltori, le emissioni di ammoniaca (NH3) e di metano (CH4) sono diminuite solo del 7 % nel periodo 2000-2015. Il maggior numero di animali nelle aziende agricole ha portato a un aumento delle emissioni di composti organici volatili non metanici (COVNM) — prodotte in particolare dal letame — che è stato pari al 6 % in tutta l’UE, ma sono diminuite le emissioni per chilogrammo di carne.

4.9.

Dal momento che l’inquinamento atmosferico è un fenomeno transnazionale, il CESE ritiene assolutamente necessario che gli Stati membri coordinino la loro azione sulla base di obiettivi e principi concordati a livello dell’UE, pur nel rispetto del principio di sussidiarietà. Esiste un precedente in tal senso, e dobbiamo sostenere un maggior numero di iniziative di questo tipo.

4.10.

Secondo il Comitato, ai fini di una migliore armonizzazione tra le politiche europee e quelle nazionali, la Commissione e gli Stati membri devono agire in stretta collaborazione con la società civile, la quale informa i cittadini ed elabora programmi a livello locale e regionale.

4.11.

Il CESE plaude al largo consenso manifestato dall’Unione europea in merito all’accordo di Parigi sulla lotta ai cambiamenti climatici, e ritiene che l’Unione debba sforzarsi di rispettare lo spirito di tale consenso e adoperarsi per realizzare gli impegni assunti, dato che questo porterà anche al miglioramento della qualità dell’aria.

4.12.

Il CESE esorta gli Stati membri che non abbiano ancora provveduto a farlo ad elaborare strategie per eliminare il carbone quale fonte energetica. Già sette Stati membri hanno escluso il carbone dal loro mix energetico, e altri nove paesi hanno previsto di eliminarlo (18).

4.13.

Il CESE ritiene che l’UE dovrebbe condividere le buone pratiche con i suoi partner internazionali. Non possiamo trascurare gli effetti dell’inquinamento atmosferico in altre regioni del mondo, che può avere su di noi ripercussioni sia dirette che indirette. La rete della diplomazia verde e la coerenza nella politica di sviluppo sono più importanti che mai.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Air quality in Europe — 2017 report (Qualità dell’aria in Europa — Relazione 2017).

(2)  9 out of 10 people worldwide breathe polluted air, but more countries are taking action («I nove decimi della popolazione mondiale respira aria inquinata, ma sono sempre di più i paesi che prendono contromisure»).

(3)  Air quality in Europe — 2017 report (Qualità dell’aria in Europa — Relazione 2017).

(4)  Speciale Eurobarometro 468: Atteggiamento dei cittadini europei nei confronti dell'ambiente.

(5)  Air quality in Europe — 2017 report (Qualità dell’aria in Europa — Relazione 2017).

(6)  COM/2017/0653 final — 2017/0291 (COD).

(7)  COM/2017/0652 final.

(8)  COM/2017/0648 final — 2017/0290 (COD).

(9)  COM/2017/0647 final — 2017/0288 (COD).

(10)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 134.

(11)  GU C 283 del 10.8.2018, pag. 83.

(12)  Corte dei conti europea, Relazione speciale n. 23/2018.

(13)  Organizzazione mondiale della sanità: Residential heating with wood and coal: health impacts and policy options in Europe and North America (Riscaldamento per uso domestico tramite combustione del legno e del carbone: conseguenze per la salute e opzioni strategiche in Europa e nell’America settentrionale).

(14)  Speciale Eurobarometro 468: Atteggiamento dei cittadini europei nei confronti dell'ambiente.

(15)  Air quality in Europe — 2017 report (Qualità dell’aria in Europa — Relazione 2017).

(16)  Corte dei conti europea, Relazione speciale n. 23/2018.

(17)  Markus Amann (a cura di), Measures to address air pollution from agricultural sources («Misure per combattere l'inquinamento atmosferico da fonti agricole»).

(18)  Overview: National coal phase-out announcements in Europe. Europe Beyond Coal («Tabella riepilogativa degli annunci su una progressiva eliminazione del carbone da parte di singoli paesi in Europa»).


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/118


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (CE) n. 1224/2009, (CE) n. 768/2005, (CE) n. 1967/2006 e (CE) n. 1005/2008 del Consiglio e il regolamento (UE) 2016/1139 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda i controlli nel settore della pesca»

[COM(2018) 368 final — 2018/0193 (COD)]

(2019/C 110/22)

Relatore:

Emilio FATOVIC

Consultazione

Parlamento, 10.9.2018

Consiglio, 5.7.2018

Base giuridica

Articolo 43(2) e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Decisione dell’Assemblea plenaria

19.6.2018 e 18.9.2018

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

27.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

219/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condivide in linea generale la proposta legislativa della Commissione sui controlli nel settore della pesca. Tuttavia, alcuni problemi già segnalati dagli stakeholder del settore non hanno trovato adeguato riscontro o chiare soluzioni.

1.2.

Il CESE rinnova il principio secondo cui il concetto di sostenibilità debba essere declinato dal punto di vista economico, sociale e ambientale. In tale ottica, si rileva che la proposta della Commissione non è basata su una chiara valutazione di impatto degli effetti di tipo economico e sociale che, al contrario, sarebbe opportuna alla luce della profonda crisi del settore in diversi paesi europei, con un forte impatto sull’occupazione e sull’economia delle comunità costiere.

1.3.

La proposta della Commissione non tiene in considerazione due fenomeni gravi e rilevanti come la Brexit e il cambio climatico. Entrambi sono destinati a cambiare, in modi diversi, modalità e luoghi di pesca e pertanto necessitano di adeguati approfondimenti e interventi per non generare squilibri nel settore peschiero.

1.4.

Il sistema di controlli e sanzioni, basato sul cosiddetto «sistema di licenza a punti», deve essere implementato in modo uniforme ed omogeneo in tutta l’UE, per garantire sia la leale concorrenza tra i soggetti, sia la qualità e tracciabilità dei prodotti alieutici nell’interesse e per la salute di tutti cittadini europei. Al contempo le sanzioni devono essere basate su criteri di gestione del rischio e devono essere effettivamente proporzionali e dissuasive.

1.5.

Il CESE ritiene che la digitalizzazione sia sicuramente un importante strumento per garantire controlli efficaci e efficienti. Tuttavia, il Comitato rileva che, rispetto alla precedente normativa, gli obblighi per i pescatori non sono diminuiti in misura significativa (in modo particolare per la piccola pesca), né sono stati sufficientemente semplificati così come annunciato dalla Commissione. Si raccomanda di effettuare un supplemento di indagine sulla reale applicabilità di determinate norme, con particolare attenzione alle imbarcazioni < 10 metri.

1.6.

Il CESE è contrario all’obbligo orizzontale di installare telecamere a circuito chiuso (CCTV) sulle imbarcazioni, in quanto contrario alle norme fondamentali del diritto del lavoro, al diritto sulla privacy e al segreto d’impresa. Il CESE propone pertanto che gli Stati membri effettuino valutazioni del rischio su determinati segmenti di flotta caratterizzati da un livello elevato e generalizzato di infrazioni gravi e, a seconda della loro storia di precedenti inosservanze, che le autorità di controllo richiedano a tali navi l’installazione delle CCTV. Per verificare il rispetto dell’obbligo di sbarco, il CESE propone di rafforzare l’uso degli osservatori a bordo e raccomanda di creare un meccanismo volontario di introduzione delle CCTV, prevedendo incentivi per quegli armatori che decidano di aderirvi. Contestualmente, si raccomanda di imporre l’obbligo temporaneo delle CCTV nei casi di imbarcazioni autrici di molteplici infrazioni gravi.

1.7.

Il nuovo FEAMP 2021-2027 avrà un ruolo chiave per consentire l’adeguamento delle imbarcazioni europee alle nuove disposizioni normative. È fondamentale che i fondi siano facilmente accessibili a livello nazionale per tutti coloro che ne facciano richiesta. In particolare, il Comitato è contrario all’introduzione di norme retroattive che, in caso di una sola infrazione grave, obblighino l’armatore a restituire eventuali finanziamenti precedentemente ricevuti e correttamente rendicontati.

1.8.

Il CESE ricorda che negli Stati terzi si verificano i maggiori casi di frode e mancato rispetto delle norme fondamentali del lavoro ed ambientali. Tuttavia, il pesce frutto di queste pratiche illegali giunge ancora con relativa facilità sulle tavole dei cittadini europei. È importante che i nuovi sistemi di tracciabilità affrontino anche questi problemi, monitorando tutta la catena di approvvigionamento. Inoltre, si evidenzia che casi di sfruttamento del lavoro sono ancora oggi registrati su alcune imbarcazioni europee. Si raccomanda, quindi, che le autorità di controllo dedichino specifica attenzione a questo fenomeno e che siano fissate dure sanzioni per debellarlo definitivamente.

1.9.

Il CESE rileva che modelli di successo offerti dai piani pluriennali per la pesca monospecifica sono difficilmente adattabili alla pesca multispecifica, con un grave impatto per l’ambiente e per l’economia. Per questa ragione, il Comitato raccomanda un più approfondito sistema di raccolta dati sugli stock al fine di elaborare strategie ad hoc, capaci di tutelare meglio la biodiversità, senza danneggiare eccessivamente il settore della pesca.

1.10.

Il CESE ritiene che il sistema di incentivi ai pescatori previsti per il conferimento a terra delle reti dovrebbe essere esteso a tutti i residui raccolti in mare durante le attività di pesca. Tale iniziativa sarebbe fondamentale per la pulizia dei mari, poiché ad oggi sono i pescatori a dover pagare per pulire il mare da un inquinamento che non hanno generato. Il CESE crede che i pescatori potrebbero fornire un importante valore aggiunto attraverso un’adeguata formazione, contribuendo da un lato a pulire il mare e dall’altro a creare un meccanismo virtuoso di integrazione economica per l’attività svolta.

2.   Introduzione

2.1.

Il successo della politica comune della pesca (PCP) dipende principalmente dall’attuazione di un sistema efficace di controllo e di esecuzione. Tali misure sono previste da quattro atti giuridici distinti: 1) il regolamento sul controllo della pesca, 2) il regolamento che istituisce un’Agenzia europea di controllo della pesca (EFCA), 3) il regolamento che istituisce un regime mirante a contrastare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (regolamento INN), 4) il regolamento relativo alla gestione sostenibile delle flotte da pesca esterne (SMEF).

2.2.

Ad eccezione del regolamento SMEF, recentemente modificato, l’attuale regime per il controllo della pesca è stato concepito prima della riforma della PCP e, per tale motivo, non è del tutto coerente con essa. Inoltre dette misure risalgono a più di 10 anni fa e non tengono presenti le esigenze attuali e future relative ai dati sulla pesca e al controllo delle flotte, né sono adeguate alle nuove pratiche e tecniche di pesca, così come alle nuove tecnologie di controllo e sistemi di scambio di dati. Queste, infine, non tengono conto di alcune importanti iniziative adottate dall’UE, come le strategie sulla plastica, sul mercato unico digitale e sulla governance degli oceani.

2.3.

Quindi, sebbene il regime attuale di controlli della pesca abbia migliorato la situazione precedente, determinate carenze sono state confermate dalla valutazione REFIT della Commissione, da una relazione speciale della Corte dei conti europea e da una risoluzione del Parlamento europeo. Gli stakeholder hanno confermato i limiti del sistema in vigore. Da questa considerazione è nata l’esigenza di rivedere nel suo complesso l’impianto normativo vigente.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

La proposta della Commissione consiste nella modifica di cinque regolamenti e mira a: 1) sanare le carenze rilevate rispetto alla PCP e ad altre politiche dell’UE, 2) semplificare il quadro normativo e ridurre gli oneri amministrativi inutili, 3) migliorare la disponibilità, l’attendibilità e la completezza dei dati e delle informazioni sulla pesca, in particolare dei dati relativi alle catture, e consentire lo scambio e la condivisione delle informazioni e 4) eliminare gli ostacoli che impediscono lo sviluppo di una cultura del rispetto delle norme e l’equo trattamento degli operatori tra gli Stati membri e al loro interno.

3.2.   Modifiche del regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio (1) che istituisce un regime di controllo unionale per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca

3.2.1.

Ispezione e sorveglianza. Sono forniti chiarimenti riguardanti la procedura di ispezione, gli obblighi degli ispettori, dei comandanti e degli operatori. I rapporti di ispezione saranno digitalizzati, facilitando l’uso e lo scambio di dati tra le autorità pertinenti e gli Stati membri.

3.2.2.

Sanzioni. Si introduce un elenco di criteri comuni volti a stabilire le tipologie di infrazione grave. Si stabiliscono sanzioni amministrative obbligatorie e livelli minimi di sanzioni pecuniarie per infrazioni gravi, al fine di rendere il sistema sanzionatorio più dissuasivo ed efficace in tutti gli Stati membri e garantire parità di condizioni. Inoltre, si rafforza e chiarisce il «sistema a punti» per le navi titolari di licenza.

3.2.3.

Dati. Si introducono sistemi digitalizzati obbligatori di localizzazione e dichiarazione delle catture applicabile a tutti i pescherecci dell’UE, inclusi quelli < 12 metri di lunghezza fuori tutto (LFT). Per la piccola pesca è previsto un sistema semplificato attraverso telefono cellulare. Anche la pesca ricreativa sarà sottoposta ad un controllo più rigoroso. Attraverso il ricorso agli strumenti digitali, si vuole garantire la completa tracciabilità della catena di approvvigionamento (inclusi i prodotti importati da paesi terzi) e monitorare in modo sistematico l’attività svolta sulle imbarcazioni, anche attraverso telecamere e circuito chiuso (CCTV) ai fini del controllo dell’obbligo di sbarco.

3.2.4.

Allineamento con altre politiche UE. La segnalazione degli attrezzi da pesca perduti è semplificata mediante una più precisa compilazione del giornale di pesca (elettronico). L’obbligo di detenere a bordo le attrezzature necessarie per il recupero degli attrezzi è esteso anche ai pescherecci < 12 m. Sono introdotte disposizioni per la marcatura e il controllo degli attrezzi da pesca per le attività di pesca ricreativa.

3.3.   Modifiche del regolamento (CE) n. 768/2005 del Consiglio (2) che istituisce un’Agenzia europea di controllo della pesca

3.3.1.

La proposta estende l’ambito geografico dei poteri di ispezione dell’Agenzia europea di controllo della pesca, non più limitato alle acque internazionali. Sono introdotte modifiche che semplificano la gestione e lo scambio dei dati, ma anche norme che semplificano i processi di finanziamento dell’agenzia.

3.3.2.

Nel luglio 2018 la Commissione europea ha integrato queste misure con la proposta COM(2018) 499 volta a codificare il regolamento (CE) 768/2005 sull’EFCA sostituendo ed integrando i vari regolamenti che esso incorpora. Questa proposta è stata già accolta dal CESE con specifico parere (3).

3.4.   Modifica del regolamento (CE) n. 1005/2008 del Consiglio (4) che istituisce un regime comunitario per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata

3.4.1.

Le modifiche al regime di certificazione delle catture dell’UE prevedono la creazione di una banca dati per la gestione dei certificati di cattura (CATCH), che permetterà di attuare controlli in funzione del rischio, ridurrà il rischio di importazioni fraudolente e allevierà l’onere amministrativo per gli Stati membri. Le funzioni operative della banca dati CATCH saranno sviluppate in fasi diverse. Alla Commissione sono conferiti poteri delegati e competenze di esecuzione relativi al funzionamento e all’ulteriore sviluppo della banca dati CATCH. Ispezioni e sanzioni vengono allineate al nuovo contesto normativo.

4.   Osservazioni generali

4.1.

L’iniziativa legislativa della Commissione, in linea con le posizioni espresse dagli Stati membri, dalle autorità regionali e locali e dagli stakeholder, è generalmente condivisa. Questa, infatti, avrà il compito di chiarire il quadro normativo sui controlli, semplificandolo, modernizzandolo ed allineandolo agli sviluppi politici e normativi, garantendo la certezza del diritto e rendendolo effettivamente implementabile in modo uniforme in tutta l’Unione europea.

4.2.

Da un’attenta analisi della proposta si evince che, nonostante l’ampio processo consultivo dichiarato dalla Commissione, taluni problemi sollevati dagli stakeholder del settore della pesca (es. obbligo di sbarco, eccessiva burocratizzazione, proporzionalità del sistema sanzionatorio) non hanno trovato adeguato riscontro e/o chiare soluzioni nella nuova proposta legislativa (5).

4.3.

Il CESE rinnova il principio secondo cui il concetto di sostenibilità debba essere declinato dal punto di vista economico, sociale e ambientale. In tale ottica, la pesca sostenibile rimane l’obiettivo principale, ma il settore della pesca dovrebbe essere messo nelle condizioni di raggiungere tale obiettivo. Per questa ragione, le misure ambientali non possono essere scisse dalla necessità di migliorare altri aspetti chiave come le condizioni e la sicurezza sul lavoro, il ricambio generazionale, la redditività d’impresa, la formazione di personale professionale, la vitalità delle comunità costiere.

4.4.

Si rileva che le proposte di regolamento non prendono in considerazione due fenomeni gravi e rilevanti come la Brexit e il cambio climatico. Il primo, infatti, dovrebbe comportare una revisione complessiva del meccanismo di stabilità relativa nonché una riduzione delle possibilità di pesca in acque oggi europee. D’altro canto, il cambio climatico sta generando modifiche sensibili nei comportamenti e negli habitat dei pesci dei quali si rilevano sempre più di frequente importanti migrazioni.

4.5.

Il CESE rileva che la proposta della Commissione non è basata su una chiara valutazione di impatto degli effetti di tipo economico e sociale. Questa considerazione è aggravata dal fatto che il settore della pesca è in crisi in alcune regioni dell’UE da oltre 20 anni e le misure finora stabilite dalla Commissione per la sostenibilità e l’acquacoltura non hanno consentito di invertire la tendenza (6). Per questa ragione, il Comitato richiede il pronto intervento della DG Occupazione per lanciare un vasto confronto nel quadro del dialogo sociale settoriale (7) al fine di individuare le misure più appropriate per valutare ed eventualmente compensare l’impatto economico e sociale delle proposte (8).

4.6.

La recente denuncia della Corte dei conti europea pone l’esigenza prioritaria che il sistema di controlli e sanzioni, basato sul cosiddetto «sistema di licenza a punti», sia implementato in modo uniforme ed omogeneo in tutta l’UE, per garantire sia la leale concorrenza tra i soggetti, sia la qualità e tracciabilità dei prodotti alieutici nell’interesse e per la salute di tutti cittadini europei.

4.7.

Il CESE ritiene che la digitalizzazione sia sicuramente un importante strumento per garantire controlli efficaci e efficienti. È altresì positivo che siano previsti dispositivi di controllo digitali semplificati per le imbarcazioni < 12 metri di lunghezza fuori tutto (LFT; es. app su telefono cellulare per la geolocalizzazione, sebbene in mare aperto esistano ampie zone senza copertura che rendono impossibile il monitoraggio della barca). Tuttavia, il Comitato rileva che, rispetto alla precedente normativa, gli obblighi per i pescatori non sono diminuiti in misura significativa (in modo particolare per la piccola pesca), né sono stati sufficientemente semplificati così come annunciato dalla Commissione.

4.8.

I dispositivi di controllo digitale dovrebbero consentire un effettivo risparmio sia economico sia di tempo. L’estensione dell’insieme degli obblighi alla piccola pesca sarebbe possibile in quanto gli Stati membri avranno un periodo di transizione di due anni che dovrebbe permettere di tenere conto delle specificità locali sebbene potrebbe essere gravosa qualora si tratti di barche < 10 metri LFT, spesso senza cabina di comando e con una sola persona di equipaggio. Si raccomanda, per questa fattispecie, un supplemento di indagine al fine di valutarne la reale fattibilità, incontrando un equilibrio tra la necessità di controllo e la capacità effettiva dei pescatori di espletare tutte queste pratiche.

4.9.

A tal proposito, il CESE nota che le misure introdotte volte a chiarire il sistema delle sanzioni potranno sicuramente giovare al settore. Tuttavia, è fondamentale che queste siano applicate in modo omogeneo nei vari Stati membri e siano effettivamente basate su criteri di gestione del rischio, proporzionali e dissuasive. In particolare, emergono alcuni aspetti contraddittori dall’analisi della proposta, come legare l’importo pecuniario delle sanzioni al valore di mercato del pesce pescato (da due a cinque volte il valore del prodotto), che, a seconda dell’area geografica, del periodo dell’anno e dell’abbondanza o meno di tale specie, potrebbe essere molto diverso e anche generare un effetto incentivante ad infrangere la legge.

4.10.

Il FEAMP è uno strumento decisivo ed indispensabile per realizzare la transizione verso il nuovo sistema di controlli previsto dalla Commissione. Il Comitato è contrario al principio, già contenuto nell’attuale sistema di controlli e nell’attuale FEAMP, secondo cui un’infrazione grave comporta l’immediata restituzione di eventuali fondi europei ricevuti nei cinque anni precedenti. Questa rigida misura retroattiva è una delle principali cause del ritardo del FEAMP nel raggiungimento dei suoi obiettivi, in quanto ha spinto molti pescatori a non richiedere i fondi europei, temendo di doverli restituire per infrazioni considerate gravi che talvolta hanno una sanzione pecuniaria molto ridotta. Pertanto occorre garantire un maggiore proporzionalità per le sanzioni, in modo tale che da dissuasive non si trasformino in disincentivanti.

4.11.

Il CESE esprime la sua piena contrarietà all’obbligo di installare telecamere a circuito chiuso (CCTV) sulle imbarcazioni da pesca per verificare il rispetto dell’obbligo di sbarco. Il CESE ritiene che questa tipologia di misure sia contraria alle norme fondamentali del diritto del lavoro, al diritto sulla privacy e al segreto d’impresa, soprattutto perché stabilita in modo orizzontale e non giustificata da eventuali ragioni di rischio dovute a pregresse ripetute trasgressioni della normativa. Il CESE propone pertanto che gli Stati membri effettuino valutazioni del rischio su determinati segmenti di flotta caratterizzati da un livello elevato e generalizzato di infrazioni gravi e, a seconda della loro storia di precedenti inosservanze, che le autorità di controllo richiedano a tali navi l’installazione delle CCTV. Il Comitato è convinto che non sia attraverso un monitoraggio e controllo delle attività della pesca in stile «Grande Fratello» che si possano raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale e il rilancio del settore, bensì con norme e sanzioni chiare, certe e trasparenti applicate in modo efficace ed uniforme in tutta l’UE.

4.12.

In particolare, il CESE propone di valorizzare e rafforzare l’uso degli osservatori a bordo. Inoltre, si raccomanda di creare un meccanismo volontario di introduzione delle CCTV incentivato, ad esempio, con la possibilità di aumentare la propria quota di cattura per specie che sono al livello di RMS (rendimento massimo sostenibile) utilizzando la riserva di quote dello Stato membro qualora disponibile o con meccanismi prioritari e agevolati di controllo e sbarco. Contestualmente, si raccomanda l’obbligo temporaneo delle CCTV nei casi di imbarcazioni autrici di molteplici infrazioni gravi.

4.13.

Il CESE ritiene che il nuovo FEAMP 2021-2027 avrà un ruolo chiave per consentire l’adeguamento delle imbarcazioni europee alle nuove disposizioni normative. In particolare, è fondamentale che i fondi siano facilmente accessibili a livello nazionale per tutti coloro che ne facciano richiesta.

4.14.

Il CESE, come già evidenziato in altri pareri (9), ritiene importante stabilire la capacità di pesca attraverso parametri più adeguati rispetto alla stazza e alla potenza del motore, dato che questi fattori sono fondamentali per garantire la sicurezza dell’equipaggio a bordo e per raggiungere livelli di emissioni CO2 più sostenibili.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

La pesca eccessiva è sicuramente una delle cause fondamentali della diminuzione dei pesci nel mare. Tuttavia, il Comitato ritiene che questo fenomeno dovrebbe essere considerato insieme ad altri comunque dannosi per le specie marine, come l’inquinamento, il cambio climatico, i trasporti marittimi, le trivellazioni subacquee (inquinamento sonoro). Un approccio più aperto è cruciale per elaborare strategie efficaci per la tutela degli habitat marini.

5.2.

Un regime sanzionatorio efficace deve essere di facile e chiara applicazione per essere effettivamente dissuasivo. Il Comitato segnala che il sistema di licenza a punti in taluni casi può pregiudicare l’equipaggio, sebbene siano le scelte e i comportamenti del comandante del peschereccio ad essere nei fatti sanzionati, anche con misure forti come la sospensione della licenza di pesca. Nella fase di sospensione della licenza di pesca (10), è necessario creare dei meccanismi di tutela per i lavoratori dei pescherecci che, avendo stipulato contratti su «pescato alla parte», rischiano di rimanere senza stipendio se non a condizione di trovarsi una nuova imbarcazione sulla quale lavorare o cambiare direttamente occupazione. Trattandosi di un settore in difficoltà, questo continuo drenaggio di risorse umane, competenze e conoscenze rischia di infliggere un danno ancora più grave alle prospettive di ripresa.

5.3.

Il CESE condivide la proposta di estendere il sistema di controlli anche alla pesca ricreativa nella quale si sono recentemente riscontrati numerosi casi di aggiramento della normativa vigente per la pesca «classica». In particolare si raccomanda di porre specifica attenzione a quelle attività di pesca ricreativa che sono fonte di reddito, distinguendola dalla pesca ricreativa finalizzata a uso e consumo personale. Questa misura è fondamentale per tutelare i pescatori che operano nel rispetto della legge e per contrastare forme di concorrenza sleale o, nei casi più gravi, anche di pesca illegale.

5.4.

Condiviso che è fondamentale garantire la tracciabilità dei prodotti pescati, tuttavia, l’abolizione dell’esenzione di dichiarare nel giornale di pesca i quantitativi detenuti a bordo stimati < 50 kg, potrà generare difficoltà soprattutto ai piccoli pescatori. Infatti, questi ultimi, per sbrigare tutte le pratiche burocratiche, potenzialmente lunghe nei mari multispecifici come il Mediterraneo, rischiano di perdere un tempo eccessivo prima di sbarcare, non riuscendo a vendere il pesce pescato al prezzo migliore. Pertanto si raccomanda il mantenimento della soglia esistente, monitorando da vicino che ciò non dia luogo a nessun effetto indesiderato.

5.5.

Il nuovo meccanismo di tracciabilità proposto dalla Commissione, in particolare per quanto concerne i prodotti importati, è condivisibile. Infatti, negli Stati terzi si verificano i maggiori casi di frode e mancato rispetto delle norme fondamentali del lavoro (convenzioni ILO) ed ambientali e pur tuttavia il pesce frutto di queste pratiche illegali giunge ancora con relativa facilità sulle tavole dei cittadini europei. Tuttavia, è importante notare che pratiche di sfruttamento del lavoro sono ancora oggi registrate su alcune imbarcazioni europee (11) e necessitano di specifica attenzione da parte dei soggetti deputati al controllo e dure sanzioni per debellare definitivamente questo fenomeno.

5.6.

Il Comitato fa notare che l’intensa rete di controlli per la tracciabilità posta in essere non può essere interrotta alla «prima vendita», in quanto è necessario controllare tutta la catena di approvvigionamento, «dal mare alla tavola». Anche in questo caso si raccomanda il coinvolgimento attivo di tutti gli attori interessati, dai grossisti alla trasformazione fino alla vendita al dettaglio.

5.7.

La Dichiarazione di Malta del 2017 «MedFish4Ever» è una pietra angolare dell’azione dell’UE. Tuttavia, il CESE ritiene che specifiche misure tecniche e di conservazione degli stock ittici dovrebbero essere adattate alle diverse tecniche di pesca e alle caratteristiche biologiche del mare. In particolare, il CESE ha notato che modelli di successo offerti dai piani per la pesca monospecifica sono difficilmente adattabili alla pesca multispecifica, con un grave impatto per l’ambiente e per l’economia (12). Per questa ragione, il Comitato raccomanda un più approfondito sistema di raccolta dati sugli stock al fine di elaborare strategie ad hoc, capaci di tutelare meglio la biodiversità senza danneggiare eccessivamente il settore della pesca (13).

5.8.

Come già evidenziato nei suoi precedenti pareri (14), il CESE ritiene che la combinazione di un rigido sistema di quote con il nuovo obbligo di sbarco rappresenti uno dei grandi problemi del settore. Gli elevati costi necessari per la transizione verso una pesca più sostenibile (es. reti selettive) devono essere interamente supportati dal finanziamento del FEAMP. Il CESE auspica un sistema di controllo semplificato, basato sull’analisi del rischio e pragmatico, immaginando un’importante azione a livello nazionale, con il supporto degli stakeholder, per sostenere la transizione di un vasto numero di imbarcazioni.

5.9.

La Commissione propone che tutti i prodotti della pesca siano pesati da operatori registrati al momento dello sbarco prima che il prodotto sia immagazzinato, trasportato o venduto. Il CESE ritiene importante mantenere l’attuale possibilità di adottare controlli a campione. Inoltre, nei casi in cui i prodotti della pesca siano trasportati prima dell’immissione sul mercato oppure si effettui la prima vendita in un paese terzo, si raccomanda il mantenimento dell’attuale limite di trasmissione delle dovute documentazioni alle autorità competenti entro 48 ore dallo sbarco per evitare ritardi e la conseguente perdita di qualità.

5.10.

Il CESE ha accolto favorevolmente la proposta della Commissione sulla plastica monouso (15), ed in particolare le misure incentivanti previste per il conferimento a terra delle attrezzature di pesca rotte o danneggiate in modo da facilitarne il riciclaggio (16). Questa misura, combinata con la nuova misura sui porti (17), apre nuovi scenari ed opportunità per la pesca sostenibile e per l’economia circolare. Il CESE ritiene che il sistema di incentivi ai pescatori previsti per il conferimento a terra delle reti dovrebbe essere esteso a tutti i tipi di residui raccolti in mare durante le attività di pesca. È altresì importante verificare che l’introduzione del meccanismo di responsabilità aumentata del produttore non comporti per le aziende del settore della pesca un aggravio dei costi nell’acquisto delle reti. Il FEAMP potrebbe rappresentare lo strumento finanziario più idoneo per sostenere tale processo.

5.11.

Tale iniziativa sarebbe fondamentale per la pulizia dei mari poiché ad oggi sono i pescatori a dover pagare per scaricare a terra i residui raccolti durante la pesca. Questi, tra l’altro, corrispondono al 90 % di quanto raccolto nelle reti, e i pescatori sono altresì obbligati a differenziare i residui, e qualora non fosse possibile una loro identificazione, catalogarli come «rifiuti speciali», implicando specifiche forme di trattamento. In pratica, secondo le norme vigenti, i pescatori devono pagare per pulire il mare da un inquinamento che loro non hanno provocato. Il CESE crede che i pescatori potrebbero fornire un importante valore aggiunto attraverso un’adeguata formazione, contribuendo da un lato a pulire il mare e dall’altro a creare un meccanismo virtuoso di integrazione economica per l’attività svolta (18).

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU L 343 del 22.12.2009, pag. 1.

(2)  GU L 128 del 21.5.2005, pag. 1.

(3)  Parere CESE (NAT/756), Agenzia europea di controllo della pesca (codificazione) (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 310).

(4)  GU L 286 del 29.10.2008, pag. 1.

(5)  MEDAC, LDAC e Europeche hanno più volte avanzato richieste e proposte specifiche per il superamento degli attuali problemi del settore che non trovano corrispondenza nel pacchetto legislativo proposto dalla Commissione.

(6)  In Italia, con 8 000 km di coste, il numero dei pescherecci è diminuito di circa il 33 % negli ultimi 30 anni. I pescherecci hanno in media 34 anni di età e hanno urgente bisogno di essere ammodernati o sostituiti con imbarcazioni nuove; e in questi 30 anni sono stati perduti 18 000 posti di lavoro (il settore della pesca in Italia conta 27 000 addetti). Dati 2016 del ministero italiano delle politiche agricole, alimentari e forestali.

(7)  Nell’ambito del comitato di dialogo sociale settoriale dell’UE per la pesca marittima (EUSSDC).

(8)  Parere CESE (NAT/749), Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) (Cfr. pagina 104 della presente Gazzetta ufficiale).

(9)  Parere CESE (NAT/749), Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) (Cfr. nota a piè di pagina 8).

(10)  La sospensione della licenza di pesca, in base ad un criterio di recidività dell’infrazione, può durare da un minimo di 4 mesi a un massimo di 1 anno, fino al ritiro definitivo della licenza.

(11)  Cfr. Articolo The Guardian 'We thought slavery had gone away': African men exploited on Irish boats.

(12)  Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM), The State of Mediterranean and Black Sea Fisheries [Lo stato della pesca nel Mediterraneo e nel Mar Nero], 2016, pag. 26. Come evidenziato dalla CGPM della FAO, nei mari monospecifici è più semplice condurre una pesca mirata perché in essi convivono pochi tipi di pesce ed è quindi agevole stabilire dei limiti alle catture. Viceversa, nei mari multispecifici molte specie di pesci vivono nella stessa zona.

(13)  Parere del CESE Piano pluriennale per la piccola pesca pelagica nel Mar Adriatico, (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 68). Parere CESE (NAT/749), Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) (Cfr. nota a piè di pagina 8).

(14)  Parere del CESE Obbligo di sbarco, (GU C 311 del 12.9.2014, pag. 68). Punto 1.2 «Il Comitato ritiene inoltre che la proposta della Commissione sia troppo complessa e che l’obbligo di sbarco comporterà per i pescatori un aumento eccessivo e sproporzionato del lavoro. Reputa quindi che occorra puntare a una normativa maggiormente pragmatica, chiara, semplice e flessibile, che dia ai pescatori il tempo per adeguarsi, grazie a un periodo transitorio, senza incorrere in sanzioni severe».

(15)  Parere CESE (NAT742), Plastica monouso (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 207).

(16)  COM(2018) 340 final.

(17)  COM(2018) 33 final.

(18)  Parere CESE Strategia sulla plastica in un’economia circolare (inclusa l’azione sui rifiuti marini), GU C 283 del 10.8.2018, pag. 61.

Parere CESE (NAT/742), Plastica monouso [Non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale].

Parere CESE (NAT/749), Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) [Cfr. pagina 104 della Gazzetta ufficiale].


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/125


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare e che abroga la direttiva 2005/45/CE»

[COM(2018) 315 final — 2018/0162 (COD)]

(2019/C 110/23)

Relatrice:

Tanja BUZEK

Consultazione

Parlamento europeo, 11/06/2018

Consiglio, 06/06/2018

Base giuridica

Articolo 100, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

20/11/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

201/3/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE (Comitato economico e sociale europeo) sostiene, in linea generale, gli obiettivi delineati dalla Commissione nella sua proposta che modifica la direttiva 2008/106/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (1) concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare e che abroga la direttiva 2005/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (2) riguardante, a sua volta, il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare. Il CESE ritiene che le previste modifiche del quadro normativo siano necessarie, proporzionate ed efficaci in termini di costi.

1.2.

Pur riconoscendo che entrambe le direttive hanno contribuito al miglioramento sia dell’istruzione e della formazione marittima per la gente di mare che lavora a bordo di navi battenti bandiera dell’UE, sia della mobilità professionale dei marittimi abilitati nell’UE, il CESE ritiene opportuno compiere un ulteriore passo avanti in questo ambito. Raccomanda pertanto di approfittare della revisione della direttiva 2008/106/CE per chiedere un più ampio dibattito europeo nel quale siano coinvolti la Commissione, gli Stati membri, gli istituti di formazione e l’industria su come investire ulteriormente nella base di competenze marittime europee per salvaguardare la competitività della flotta europea e la capacità del settore di creare posti di lavoro di qualità per la gente di mare e gli altri professionisti del settore marittimo in Europa.

1.3.

In particolare, il CESE raccomanda di lavorare alla creazione di un forum europeo che coinvolga gli istituti di formazione, l’industria, il settore marittimo in senso lato e le amministrazioni marittime nazionali per migliorare la formazione della gente di mare e per definire corsi postuniversitari europei nel settore marittimo che vadano oltre il livello minimo di formazione della gente di mare concordato a livello internazionale. Tale formazione avanzata consentirebbe di conferire un vantaggio competitivo ai marittimi europei, dotandoli di competenze superiori a quelle richieste a livello internazionale, e di rafforzare l’attrattiva delle professioni marittime nell’UE, in particolare per quanto riguarda le donne e i giovani.

1.4.

Il CESE sottolinea l’importanza di elaborare pacchetti di apprendimento adeguati alle esigenze future, con un’attenzione particolare per la formazione in materia di gestione della qualità e di competenze verdi e digitali, e ritiene che la promozione di competenze avanzate dovrebbe andare di pari passo con forme di abilitazione/etichettatura.

1.5.

Il CESE raccomanda inoltre di sviluppare una rete europea di istituti di istruzione e formazione marittima (MET) che soddisfino determinati criteri di qualità, al fine di migliorare ulteriormente il sistema di formazione marittima in Europa. Il Comitato raccomanda altresì di introdurre, per la formazione di comandanti e ufficiali, un modello di tipo «Erasmus» per gli scambi tra MET in tutta l’UE adattato alle caratteristiche specifiche del settore.

1.6.

In relazione al meccanismo riveduto per il riconoscimento dei certificati rilasciati da paesi terzi alla gente di mare, il CESE ritiene fondamentale che gli Stati membri richiedenti consultino le associazioni di armatori e le organizzazioni sindacali nazionali in merito all’opportunità di riconoscere un nuovo paese terzo, prima di inviare la richiesta alla Commissione. Il CESE precisa inoltre che la stima, se disponibile, dei marittimi che saranno probabilmente impiegati costituirà solo uno dei criteri considerati nel processo decisionale di riconoscimento di un nuovo paese terzo e che essa deve essere seguita in modo trasparente.

1.7.

Per quanto riguarda la proroga del termine per l’adozione di una decisione in merito al riconoscimento di nuovi paesi terzi da 18 a 24 mesi e fino a 36 mesi in determinate circostanze, il CESE si chiede se questo costituisca il meccanismo corretto, dal momento che, nel caso in cui un paese rispetti chiaramente tutti i requisiti, la procedura viene inutilmente prolungata. Il CESE chiede pertanto di completare la procedura nel minor tempo ragionevole possibile, prevedendo che il termine possa essere prolungato per il periodo di tempo necessario qualora siano richieste misure correttive.

1.8.

Al fine di garantire un impiego adeguato delle risorse comunitarie, il CESE propone di modificare l’articolo 20 in modo che le disposizioni relative alla revoca del riconoscimento di un paese terzo si applichino anche ai paesi terzi che non forniscono un numero consistente di comandanti e ufficiali per almeno cinque anni. Il CESE precisa che la decisione finale in merito alla revoca, o meno, del riconoscimento spetterà agli Stati membri secondo le procedure ordinarie in seno al comitato COSS e che tali procedure lasciano un margine di discrezionalità nel prendere in considerazione informazioni pertinenti fornite dagli Stati membri.

1.9.

Poiché non vi possono essere compromessi in materia di sicurezza marittima, il CESE raccomanda che il sistema di rivalutazione cui sono sottoposti i paesi terzi che forniscono un numero limitato di comandanti e ufficiali alla flotta UE non sia meno rigoroso di quello previsto per gli altri paesi.

1.10.

Oltre alle modifiche proposte per la procedura di modifica (articolo 27), che stabilisce che alla Commissione è conferito il potere di modificare, mediante atti delegati, la direttiva 2008/106/CE, il CESE invita gli Stati membri ad adottare misure tempestive per attuare le modifiche al fine di evitare che l’inazione di uno Stato di bandiera comporti la necessità di proroghe e periodi di interpretazione pragmatica come è avvenuto in passato.

2.   Contesto generale

2.1.

La normativa dell’UE in materia di istruzione marittima, formazione e abilitazione della gente di mare si basa principalmente sui requisiti minimi internazionali stabiliti dalla convenzione dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO) sulle norme relative alla formazione della gente di mare, al rilascio di brevetti e ai servizi di guardia, nella versione modificata (convenzione STCW).

2.2.

Oltre all’integrazione della convenzione STCW a livello di UE mediante la direttiva 2008/106/CE, nella versione modificata, il quadro dell’UE fornisce un meccanismo UE comune, efficiente in termini di costi, per il riconoscimento dei sistemi di istruzione marittima, formazione e abilitazione della gente di mare di paesi terzi. Questo meccanismo è concepito in modo tale che la valutazione e la rivalutazione della conformità dei paesi terzi ai requisiti della convenzione STCW siano effettuate in modo centralizzato e armonizzato, evitando così la situazione in cui ciascuno Stato membro dovrebbe condurle a livello individuale, soprattutto perché vi sono attualmente oltre 40 paesi terzi riconosciuti a livello di UE per tale scopo.

2.3.

Il sistema normativo contempla altresì una procedura semplificata per il riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare attraverso la direttiva 2005/45/CE. Tale direttiva mirava a promuovere la mobilità dei marittimi tra le navi battenti bandiera dell’UE, consentendo il riconoscimento dei certificati conseguiti da comandanti e ufficiali senza ulteriori misure di compensazione.

2.4.

Il quadro legislativo summenzionato è volto a garantire un alto livello di sicurezza della vita in mare e la tutela dell’ambiente marino, riducendo al minimo i rischi di incidenti marittimi. Per conseguire tale obiettivo, vi è un ampio consenso in merito al fatto che sia di fondamentale importanza rafforzare l’istruzione, la formazione e l’abilitazione dei membri chiave dell’equipaggio che prestano servizio a bordo di navi battenti bandiera dell’UE.

2.5.

La proposta scaturisce dal programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT) che valuta in che misura le due direttive abbiano conseguito i loro obiettivi. Il CESE osserva che la revisione proposta è il frutto di un’approfondita valutazione comprendente uno studio organico compiuto dall’Agenzia europea per la sicurezza marittima (EMSA) (Studio per la valutazione REFIT delle direttive 2008/106/CE e 2005/45/CE del settembre 2017 (3)), una consultazione pubblica accompagnata da una consultazione più mirata dei soggetti interessati, nonché seminari ad hoc con gli Stati membri insieme con le due parti sociali del settore, ossia gli armatori e i sindacati che rappresentano i lavoratori marittimi.

2.6.

I risultati della valutazione REFIT sono stati generalmente considerati positivi e si è giunti alla conclusione che la normativa dell’UE abbia contribuito all’eliminazione di equipaggi non conformi alle norme, alla mobilità dei marittimi nell’Unione e al conseguimento di condizioni di parità tra i marittimi che hanno ricevuto una formazione nell’UE e quelli in servizio provenienti da paesi terzi.

2.7.

Sono state tuttavia riscontrate alcune carenze nell’efficienza del quadro normativo e nella proporzionalità di alcuni requisiti in esso contemplati. L’intento della proposta della Commissione è pertanto quello di attenuare le carenze individuate, semplificando e razionalizzando la normativa vigente. In termini più concreti, si è ritenuto necessario intervenire ulteriormente, nello specifico al fine di:

garantire un allineamento con le modifiche più recenti della convenzione STCW;

aggiornare la definizione di certificati riconosciuti tra gli Stati membri attraverso un accorpamento della direttiva 2005/45/CE e della direttiva 2008/106/CE;

elaborare criteri per un nuovo riconoscimento/una rivalutazione dei paesi terzi per un utilizzo più efficiente delle risorse umane e finanziarie;

definire criteri di priorità per la rivalutazione dei paesi terzi, rivolgendo l’attenzione ai paesi da cui proviene la maggior parte della manodopera, prendendo in considerazione nel contempo una proroga del ciclo di rivalutazione per gli altri paesi;

prorogare il termine per il riconoscimento di nuovi paesi terzi per concedere a tali paesi tempo sufficiente per adottare e attuare eventuali azioni correttive, se necessario.

3.   Sintesi della proposta

3.1.

L’obiettivo generale della proposta è quello di semplificare e razionalizzazione la normativa vigente. In particolare, ciò include:

il costante allineamento della normativa UE pertinente alla convenzione STCW;

il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza del meccanismo centralizzato per il riconoscimento dei paesi terzi;

un accrescimento della chiarezza giuridica per quanto concerne il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare.

3.2.

Il meccanismo centralizzato di riconoscimento dei certificati rilasciati da paesi terzi alla gente di mare prevede che la Commissione, assistita in tale attività dall’EMSA, renda disponibili risorse umane e finanziarie consistenti al fine, da un lato, di valutare le nuove richieste di riconoscimento presentate dagli Stati membri e, dall’altro, di effettuare una rivalutazione periodica dei paesi terzi già riconosciuti.

3.3.

Ai fini di un migliore utilizzo delle risorse disponibili, la Commissione propone di rendere il processo di riconoscimento più trasparente, consentendo allo Stato membro richiedente di giustificare i motivi per l’invio della richiesta di riconoscimento. Tale misura consiste nell’avviare una discussione tra gli Stati membri sulla necessità di riconoscere nuovi paesi terzi.

3.4.

Inoltre, la Commissione propone criteri di priorità per la rivalutazione dei paesi terzi riconosciuti, in base al principio secondo il quale le risorse disponibili dovrebbero essere reindirizzate dai paesi che forniscono alla flotta UE un numero esiguo di marittimi ai paesi terzi da cui proviene la maggior parte della manodopera.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE sostiene la proposta della Commissione di modificare la direttiva 2008/106/CE concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare, in particolare integrando nel suo ambito di applicazione la procedura semplificata per il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare, e di abrogare la direttiva 2005/45/CE.

4.2.

Il CESE ritiene che si tratti di una revisione necessaria, poiché vi è di fatto un margine per migliorare l’efficienza del quadro amministrativo concernente il sistema di reciproco riconoscimento ai sensi di tale direttiva, al fine di consentire un’assegnazione più efficiente delle risorse umane e finanziarie rese disponibili dalla Commissione e dall’EMSA.

4.3.

Il CESE si compiace in particolare per l’accento che la Commissione pone sul livello di trasparenza che dovrebbe prevalere nel trattamento delle richieste di riconoscimento dei certificati rilasciati da paesi terzi alla gente di mare. Il CESE ritiene che la nuova fase procedurale che consente allo Stato membro richiedente di esporre i motivi per l’invio della richiesta di riconoscimento sia proporzionata, trasparente ed efficace in termini di costi. Lo Stato membro richiedente potrà ancora decidere di riconoscere unilateralmente il paese terzo fino al momento della decisione congiunta sul suo riconoscimento. Pertanto, nel processo decisionale che porta al riconoscimento di un paese terzo si dovrà raggiungere un equilibrio tra la necessità di trasparenza riguardo al controllo e al buon utilizzo del denaro pubblico — costi derivanti dal riconoscimento — e l’obiettivo di mantenere la competitività della flotta dell’UE, vale a dire il vantaggio competitivo per la flotta UE di impiegare marittimi provenienti dal paese terzo in questione.

4.4.

Il CESE ritiene che il quadro normativo dell’UE in materia di istruzione marittima, formazione e abilitazione della gente di mare abbia contribuito a soddisfare le esigenze riguardanti la manodopera nel settore della navigazione marittima, agevolando l’accesso all’impiego a bordo di navi battenti bandiera dell’UE per tutti i comandanti e gli ufficiali titolari di un’abilitazione valida ai sensi della convenzione STCW, indipendentemente dal loro luogo di residenza o dalla loro nazionalità. Se, da un lato, non vi sono dubbi sul fatto che la navigazione marittima operi in un mercato del lavoro globalizzato, dall’altro il CESE ricorda quanto sia importante che l’UE investa in misura considerevole nella propria base di competenze marittime, al fine di salvaguardare la massa critica dei marittimi europei che sostengono la competitività del settore della navigazione marittima europea e dei poli marittimi in tutta l’UE. Ciò consente quindi di creare la prospettiva di posti di lavoro altamente qualificati e di carriere gratificanti in mare o nelle attività a terra per i giovani europei, in particolare mantenendo o addirittura aumentando la percentuale dei marittimi dell’UE rispetto alla forza lavoro marittima globale (gli attuali 220 000 marittimi dell’UE rappresentano il 18 % del numero totale di marittimi in tutto il mondo) (4).

4.5.

Alla luce degli aspetti summenzionati, il CESE esorta gli Stati membri a mettere finalmente in atto le raccomandazioni contenute nella strategia per il trasporto marittimo fino al 2018 (5), come anche le raccomandazioni politiche rivolte alla Commissione europea dalla task force sull’occupazione marittima e la competitività (6), per quanto concerne il rafforzamento dell’efficacia e dell’efficienza del sistema di formazione nel trasporto marittimo. Nello specifico, il CESE invita la Commissione e i colegislatori dell’UE a considerare le raccomandazioni formulate più avanti in questa sezione.

4.6.

Il CESE raccomanda di lavorare alla creazione di un forum europeo che coinvolga gli istituti di formazione, l’industria, il settore marittimo in senso lato e le amministrazioni marittime nazionali per migliorare la formazione dei marittimi e quindi anche il loro collocamento, il loro sviluppo professionale e la loro mobilità. Uno dei compiti principali di questa rete sarebbe quello di definire corsi postuniversitari europei nel settore marittimo che vadano oltre il livello minimo di formazione della gente di mare concordato a livello internazionale (tali abilitazioni sono spesso denominate anche «certificati di eccellenza marittima», o «STCW+») (7). Questa formazione avanzata consentirebbe di conferire un vantaggio competitivo ai marittimi europei, dotandoli di competenze superiori a quelle richieste a livello internazionale.

4.7.

Alla luce di quanto sopra, il CESE sottolinea l’importanza di elaborare pacchetti di apprendimento adeguati alle esigenze future, con un’attenzione particolare per la formazione in materia di gestione della qualità e di competenze verdi e digitali. Quest’ultimo aspetto è fondamentale in quanto la tecnologia, lo scambio di dati per l’informazione e la comunicazione di bordo e i sistemi di supporto a terra sono in rapida evoluzione. Il CESE ritiene che la promozione di competenze avanzate dovrebbe andare di pari passo con forme di abilitazione/etichettatura, in modo che il miglioramento dell’istruzione marittima diventi un fattore prezioso per aiutare i marittimi europei ad avanzare nelle loro prospettive di carriera. Questo consentirà a sua volta di rafforzare l’attrattiva delle professioni marittime nell’UE, in particolare per quanto riguarda le donne e i giovani, migliorando nel contempo l’efficienza e la qualità delle operazioni navali, compresa l’innovazione permanente e la riduzione dei costi.

4.8.

Nella stessa ottica, sarebbe inoltre opportuno prendere in considerazione lo sviluppo di una rete europea di istituti di istruzione e formazione marittima (MET) che soddisfino determinati criteri di qualità, in modo da migliorare ulteriormente il sistema di formazione marittima in Europa. A tal fine, il CESE raccomanda di trarre spunto dalla rete europea di scuole di navigazione interna EDINNA (Education Inland Navigation) fondata nel 2009 per promuovere l’armonizzazione verso l’alto dei programmi di istruzione e formazione. Questa piattaforma si è rivelata uno strumento eccellente per consentire lo scambio di know-how e la definizione di un approccio concertato per lo sviluppo delle competenze professionali. Il CESE raccomanda altresì di introdurre, per la formazione di comandanti e ufficiali, un modello di tipo «Erasmus» per gli scambi tra MET in tutta l’UE adattato alle caratteristiche specifiche del settore.

4.9.

In aggiunta, il CESE chiede un impulso politico coordinato da parte dell’UE e degli Stati membri per sostenere l’industria nei suoi sforzi di rispondere alle sfide della digitalizzazione, dell’automazione e dell’ecologizzazione necessaria del settore. Il CESE constata che tali sfide possono essere affrontate più facilmente garantendo un sistema di formazione e istruzione marittima di alta qualità in Europa, in grado di far fronte alle esigenze future. A tal merito, il CESE esprime apprezzamento per l’imminente lancio del progetto quadriennale SkillSea. Tale progetto promuoverà la collaborazione tra industria — in particolare le parti sociali europee nel settore dei trasporti marittimi, l’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) —, organismi di istruzione e formazione e autorità nazionali, con l’obiettivo di migliorare i programmi di istruzione marittima in Europa.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il CESE accoglie positivamente il fatto che le direttive 2005/45/CE e 2008/106/CE siano state accorpate, poiché ritiene che un tale accorpamento renda l’attuazione più efficace e possa migliorare la chiarezza e semplificare il quadro in materia di formazione e abilitazione della gente di mare. Questo consolidamento consentirà, in particolare, di affrontare il problema della definizione obsoleta dei certificati formulata nella direttiva 2005/45/CE, e di fornire un chiarimento e un allineamento della definizione dei certificati rilasciati alla gente di mare riconosciuti dagli Stati membri. Occorre di fatto garantire che la definizione dei certificati rilasciati alla gente di mare venga aggiornata in linea con le nuove definizioni introdotte nel 2012. Un tale aggiornamento potrebbe accrescere la certezza giuridica nell’ambito del regime di reciproco riconoscimento tra gli Stati membri dell’UE.

5.2.

Il nuovo articolo 5 bis è volto a includere il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/106/CE. Il CESE considera tale aggiunta fondamentale, poiché essa chiarisce quali certificati debbano essere riconosciuti reciprocamente al fine di autorizzare i marittimi abilitati da un altro Stato membro a prestare servizio a bordo di navi battenti la bandiera di un diverso Stato membro.

5.3.

Il CESE sostiene pienamente e incoraggia ulteriormente la mobilità professionale per far sì che i comandanti e gli ufficiali abilitati nell’UE e gli armatori in Europa possano interagire in modo più agevole. A tal riguardo, il CESE osserva con soddisfazione che, secondo la Commissione (8), solo nel 2015 oltre 47 000 convalide di certificati di competenza emessi inizialmente da un altro Stato membro erano valide nell’Unione, una quota che rappresenta all’incirca il 25 % del numero totale di comandanti e ufficiali disponibili a prestare servizio a bordo di navi battenti bandiera dell’UE.

5.4.

Le cifre summenzionate mostrano che il regime di reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare ha permesso di ottenere risultati incoraggianti in termini di promozione della mobilità dei marittimi tra le navi battenti bandiera dell’UE. Inoltre, il CESE sottolinea l’importanza di contribuire costantemente a proteggere i posti di lavoro europei in mare, ad assicurare il futuro degli istituti di istruzione e formazione marittima (MET) e a salvaguardare il know-how marittimo europeo.

5.5.

Il CESE appoggia la proposta di allineare la direttiva 2008/106/CE alle modifiche più recenti della convenzione STCW, al fine di evitare incoerenze giuridiche nella direttiva in relazione al quadro normativo internazionale. Un tale allineamento potrebbe garantire un’attuazione armonizzata a livello di UE, potrebbe aiutare gli equipaggi ad acquisire nuove capacità e competenze, in particolare in materia di requisiti relativi alla formazione e alle qualifiche della gente di mare che presta servizio a bordo di navi passeggeri e di navi rientranti nell’ambito di applicazione del codice internazionale di sicurezza per le navi che utilizzano gas o altri combustibili a basso punto di infiammabilità (codice IGF) e del codice di sicurezza per navi che incrociano nelle acque polari (codice polare), definiti dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO), sostenendo al contempo lo sviluppo delle carriere.

5.6.

Il CESE si interroga sull’utilizzo sproporzionato di risorse umane e finanziarie dell’Unione per valutare nuovi paesi terzi che potrebbero non riuscire a fornire un numero consistente di comandanti e ufficiali. Pertanto, il CESE appoggia pienamente la proposta della Commissione in base alla quale ogni nuova richiesta inviata da uno Stato membro per il riconoscimento di un paese terzo debba essere accompagnata da un’analisi che includa una stima del numero di comandanti e ufficiali provenienti da tale paese che saranno probabilmente impiegati. Inoltre, il CESE ritiene fondamentale che gli Stati membri consultino le associazioni di armatori e le organizzazioni sindacali nazionali in merito all’opportunità di riconoscere un nuovo paese terzo, prima di inviare la richiesta alla Commissione. Tuttavia, il CESE precisa che la stima, se disponibile, dei marittimi che saranno probabilmente impiegati costituirà solo uno dei criteri considerati nel processo decisionale di riconoscimento di un nuovo paese terzo e che essa deve essere seguita in modo trasparente.

5.7.

Ai fini di una maggiore efficacia e di un migliore utilizzo delle risorse disponibili, il CESE è lieto di constatare che, ai sensi della proposta (articolo 19), qualora uno Stato membro desideri presentare una richiesta per il riconoscimento di un nuovo paese terzo, sarà necessario fornire una motivazione che dovrà essere discussa tra gli Stati membri. Il CESE precisa che la decisione finale in merito al riconoscimento, o meno, di un nuovo paese terzo spetterà agli Stati membri secondo la procedura ordinaria che prevede il voto a maggioranza qualificata in seno al comitato per la sicurezza marittima e la prevenzione dell’inquinamento provocato dalle navi (comitato COSS). Il CESE esprime ulteriore apprezzamento per il fatto che sia previsto un margine che consente a uno Stato membro di riconoscere unilateralmente i certificati di un paese terzo, mentre si attende il risultato della valutazione. Il CESE sostiene con determinazione una tale concessione, che offre una soluzione proporzionata ed efficiente in termini di costi, salvaguardando al contempo la competitività della flotta dell’UE.

5.8.

Riguardo alla proroga del termine per l’adozione di una decisione in merito al riconoscimento di nuovi paesi terzi da 18 a 24 mesi, e a 36 mesi in determinate circostanze, il CESE ritiene che la misura proposta sia giustificata, qualora vi sia l’urgente necessità che un paese terzo attui eventuali misure correttive. Tuttavia, il CESE esprime preoccupazione in merito al prolungamento automatico della procedura di riconoscimento e si chiede se questo costituisca il meccanismo corretto, dal momento che, nel caso in cui un paese rispetti chiaramente tutti i requisiti, la procedura viene inutilmente prolungata. Il CESE suggerirebbe pertanto che l’obiettivo continui a essere quello di completare la procedura nel minor tempo ragionevole possibile, prevedendo che il termine possa essere prolungato nella misura necessaria qualora siano richieste misure correttive.

5.9.

Nell’articolo 20 riveduto è stato aggiunto un nuovo paragrafo che introduce un motivo specifico per revocare il riconoscimento a un paese terzo, basato sulla mancata fornitura di marittimi alla flotta UE per almeno cinque anni. Il CESE precisa che la decisione finale in merito alla revoca, o meno, del riconoscimento spetterà agli Stati membri secondo la procedura ordinaria in seno al comitato COSS e che tale procedura lascia un margine di discrezionalità nel prendere in considerazione informazioni pertinenti fornite dagli Stati membri. Pur appoggiando in linea di massima questa revisione, il CESE sottolinea che, ai fini di un utilizzo adeguato delle risorse, tale argomentazione rimane valida se un paese terzo non fornisce un numero significativo di comandanti e ufficiali o non ne fornisce nessuno. In tale contesto e nel pieno rispetto delle procedure, il CESE propone che il riconoscimento di un paese terzo possa essere revocato qualora tale paese non riesca a fornire un numero consistente di comandanti e ufficiali per almeno cinque anni.

5.10.

Il CESE si interroga sulla logica sottesa alla modifica dell’articolo 21 secondo cui il periodo di rivalutazione può essere prorogato fino a 10 anni sulla base di criteri di priorità. Il CESE comprende che, da un punto di vista strettamente matematico, i paesi terzi che forniscono un elevato numero di marittimi rappresentano, in teoria, una minaccia maggiore per il sicuro funzionamento delle navi rispetto a quelli che forniscono numeri limitati dei medesimi. Per i motivi summenzionati e fermo restando che non vi possono essere compromessi in materia di sicurezza marittima, il CESE raccomanda che i paesi terzi che forniscono un numero esiguo di comandanti e ufficiali alla flotta UE non siano sottoposti a un sistema di valutazione meno rigoroso.

5.11.

Il CESE sostiene la modifica dell’articolo 25 bis che risulta necessaria al fine di permettere l’utilizzo trasparente delle informazioni fornite dagli Stati membri sul numero di convalide che attestano il riconoscimento di certificati rilasciati da paesi terzi per revocare il riconoscimento e conferire priorità alla rivalutazione dei paesi terzi, come previsto nell’articolo 20 e nell’articolo 21.

5.12.

Il CESE è pienamente consapevole del fatto che, considerato il carattere globale della navigazione marittima, l’obiettivo deve essere quello di prevenire un conflitto tra gli impegni internazionali assunti dagli Stati membri e gli impegni di questi ultimi nell’ambito dell’Unione. Tale aspetto richiede un costante allineamento del quadro europeo con la convezione STCW, in modo da creare condizioni di parità nell’attuazione del quadro internazionale tra l’UE e i paesi terzi in materia di istruzione marittima, formazione e abilitazione della gente di mare. Alla luce delle considerazioni summenzionate e nel caso di future modifiche della convenzione STCW, il CESE ritiene pertinente autorizzare la Commissione ad effettuare modifiche, mediante atti delegati, al fine di garantire un adeguamento più rapido e agevole alle modifiche apportate alla convenzione e al codice STCW.

5.13.

A tal merito, il CESE invita gli Stati membri ad adottare misure tempestive per attuare le modifiche al fine di evitare che l’inazione di uno Stato di bandiera comporti la necessità di proroghe e periodi di interpretazione pragmatica come è avvenuto in passato.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU L 323 del 3.12.2008, pag. 33.

(2)  GU L 255 del 30.9.2005, pag. 160.

(3)  https://ec.europa.eu/transport/sites/transport/files/legislation/2017-09-stwc-support-study-refit-eval-dirs-20080106-20050045.pdf

(4)  SWD(2016) 326 final.

(5)  COM(2009) 8 final.

(6)  La task force sull’occupazione marittima e la competitività è stata istituita dal vicepresidente della Commissione Kallas e ha presentato la sua relazione il 9 giugno 2011.

(7)  COM(2009) 8 final.

(8)  SWD(2017) 18 final.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/132


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il programma di ricerca e formazione della Comunità europea dell’energia atomica (2021-2025) che integra Orizzonte Europa — il programma quadro di ricerca e innovazione»

[COM(2018) 437 final — 2018/0226 (NLE)]

(2019/C 110/24)

Relatrice:

Giulia BARBUCCI

Consultazione

Commissione europea, 12/07/2018

Consiglio dell’Unione europea, 13/07/2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

20/11/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

208/3/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la proposta di regolamento per il programma di ricerca e formazione della Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) 2021-2025, evidenziandone la continuità con i programmi precedenti per la ricerca e lo sviluppo della fusione, della fissione e della sicurezza nucleare, e il JRC, affrontando altresì nuove aree d’intervento quali la protezione dalle radiazioni e la dismissione delle centrali nucleari.

1.2.

Il CESE considera il budget di Euratom adeguato agli obiettivi prefissati e ritiene fondamentale mantenere questa dotazione finanziaria indipendentemente dai risultati del negoziato sulla Brexit. A tal proposito il Comitato ritiene altresì cruciale gestire con estrema attenzione l’uscita del Regno Unito dal programma Euratom, in particolare per quanto concerne le linee di ricerca già avviate, le infrastrutture condivise e l’impatto sociale sul personale (es. condizioni di lavoro) dentro e fuori il suolo britannico.

1.3.

Il CESE considera il progetto JET un fattore cruciale per lo sviluppo del progetto ITER, di cui peraltro ITER rappresenta la conseguente evoluzione dal punto di vista scientifico. Per tale ragione, il Comitato ritiene importante che JET continui ad essere operativo (o come progetto UE o come progetto condiviso UE-Regno Unito) fino a che il progetto ITER non sia operativo.

1.4.

Il CESE ritiene che gli aspetti innovativi introdotti nel programma, quali la sua semplificazione, l’ampliamento degli obiettivi (radiazioni ionizzanti e dismissione di impianti), la migliore sinergia con il programma Orizzonte Europa e la possibilità di finanziare azioni di istruzione e formazione per ricercatori (es. Marie Skłodowska-Curie), rispondano ad aspettative dei cittadini e rafforzino l’efficienza e l’efficacia del programma.

1.5.

Il Comitato ritiene che la sicurezza nucleare deve intendersi secondo un concetto dinamico, che implica il costante monitoraggio ed adeguamento della normativa vigente in base alle più recenti scoperte e innovazioni, coprendo tutto lo spettro di vita degli impianti. Particolare attenzione deve essere prestata agli impianti posti al confine tra paesi UE, rafforzando il coordinamento tra le autorità nazionali e locali e garantendo l’effettivo coinvolgimento di cittadini e lavoratori.

1.6.

Il CESE considera che l’educazione, a partire dalla scuola dell’obbligo, e la formazione rappresentino un fattore essenziale per avvicinare i giovani alle materie scientifiche e tecnologiche. Questo elemento è cruciale per aumentare in futuro il numero di ricercatori europei del settore, che attualmente non sono sufficienti a coprire la domanda del sistema produttivo e di ricerca.

2.   Introduzione

2.1.

La proposta di regolamento per il programma di ricerca e formazione della Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) 2021-2025 si inserisce nel pacchetto legislativo del programma quadro di ricerca e innovazione «Orizzonte Europa» 2021-2027 (1). Il programma proposto avrà durata quinquennale in base all’articolo 7 del trattato Euratom, con possibilità di una proroga di due anni per allinearlo alla durata di «Orizzonte Europa» e del «Quadro Finanziario Pluriennale» (QFP).

2.2.

Il programma «Orizzonte Europa» avrà una dotazione finanziaria di 100 miliardi di EUR per il periodo 2021-2027, di cui 2,4 miliardi di EUR saranno destinati al programma Euratom. Il programma quadro «Orizzonte Europa» stabilisce altresì la cornice di riferimento in merito agli strumenti e alle modalità di partecipazione così come per le disposizioni in materia di attuazione, valutazione e governance. I settori di ricerca sostenuti da Euratom non sono compresi in «Orizzonte Europa» sia per motivi giuridici (trattati distinti), sia per motivi gestionali (evitare duplicazioni) rafforzando le sinergie tra programmi.

2.3.

Il CESE ha dedicato un parere ad hoc alla proposta di programma «Orizzonte Europa» (2), al quale questo parere è correlato nella visione e nelle raccomandazioni. Il CESE ha altresì elaborato altri due pareri connessi a questo, sul progetto ITER (3) e sullo smantellamento delle centrali nucleari (4).

3.   Sintesi della proposta

3.1.

Il programma Euratom di ricerca e formazione riguarda le diverse applicazioni dell’energia nucleare in Europa, sia per la produzione energetica sia per altri scopi in altri settori (es. radiazioni ionizzanti nel settore medico). Gli sforzi dall’Unione europea sono finalizzati a favorire l’innovazione e lo sviluppo di tecnologie sicure, riducendo i rischi e garantendo una radioprotezione ottimale. Euratom, quindi, consente di integrare i contributi degli Stati membri mettendo a fattor comune i processi di innovazione, ricerca e formazione.

3.2.

La proposta stabilisce il bilancio e gli obiettivi comuni di ricerca sia per le azioni dirette (svolte direttamente dalla Commissione attraverso il Centro comune di ricerca — JRC), sia per le azioni indirette (intraprese da soggetti pubblici o privati finanziati con il programma), da attuarsi a norma dei programmi di lavoro convenuti con gli Stati membri.

3.3.

Il programma Euratom 2021-2025 sarà attuato in regime di gestione diretta. Tuttavia, se la Commissione lo riterrà opportuno ed efficace, potrà ricorrere ad un regime di gestione concorrente e/o indiretta, affidando per contratto l’esecuzione di determinate parti del programma a Stati membri, persone o imprese e a Stati terzi, organizzazioni internazionali o a cittadini di Stati terzi, conformemente all’articolo 10 del trattato Euratom.

3.4.

Il programma proposto proseguirà le principali attività di ricerca del programma Euratom attualmente in corso (radioprotezione, sicurezza nucleare sia degli impianti sia nel quadro della politica-internazionale, gestione dei rifiuti radioattivi ed energia da fusione), ma dando maggiore attenzione alla disattivazione e anche ad applicazioni diverse dalla generazione di energia come le radiazioni ionizzanti. Il budget proposto di 1 675 000 000 di EUR per il periodo 2021-2025 è distribuito tra ricerca e sviluppo per la fusione nucleare (724 563 000 EUR), la fissione nucleare, la sicurezza nucleare e la protezione dalle radiazioni (330 930 000 EUR) e il JRC (619 507 000 EUR).

3.5.

L’ampliamento della gamma di obiettivi accresce la trasversalità dello strumento, mettendolo più al servizio dei cittadini. In particolare, il numero crescente di applicazioni delle radiazioni ionizzanti richiede la protezione delle persone e dell’ambiente da un’esposizione superflua alle radiazioni. Le tecnologie radiologiche ionizzanti sono usate ogni giorno in Europa in diversi settori, in primis nel settore medico. Di conseguenza, anche la ricerca sulla radioprotezione sarà sviluppata in modo trasversale, sia nell’ambito della produzione di energia nucleare sia per il settore medico, senza escludere altre forme di utilizzo nel settore industriale, dell’agricoltura, dell’ambiente e della sicurezza.

3.6.

Altro elemento innovativo è la ricerca per lo sviluppo e la valutazione di tecnologie per la disattivazione e la bonifica ambientale degli impianti nucleari, a seguito di una loro crescente richiesta. Questo aspetto è cruciale per chiudere il cerchio con gli altri aspetti di sicurezza già trattati dal programma attualmente in corso: sicurezza nucleare (ossia la sicurezza dei reattori e del ciclo di combustibile), gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, protezione radiologica e preparazione alle emergenze (incidenti radioattivi e ricerca su radioecologia) e azioni per implementare le politiche per la sicurezza nucleare, salvaguardie e non proliferazione.

3.7.

Dette iniziative saranno integrate da un’azione specifica volta a sostenere lo sviluppo di un’energia da fusione, una fonte di energia potenzialmente inesauribile e dal minore impatto ambientale. In particolare la proposta si concentra sul garantire continuità all’attuazione della «tabella di marcia in materia di fusione», che dovrebbe portare alla costruzione della prima centrale nella seconda metà del secolo in corso. Per questa ragione l’UE continuerà a sostenere il progetto ITER con un programma specifico (5) ed, in ottica futura, il progetto DEMO.

3.8.

Infine, oltre, alle attività di ricerca, la proposta prevede la possibilità per i ricercatori nucleari di partecipare ai programmi di istruzione e formazione (es. azioni Marie Skłodowska-Curie), per mantenere un elevato livello di competenze, così come un apposito sostegno finanziario per consentire l’accesso alle infrastrutture di ricerca europee e internazionali (incluso il JRC).

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di regolamento per il programma Euratom 2021-2025. In modo particolare, il Comitato valuta positivamente le crescenti interazioni nel quadro del programma «Orizzonte Europa», al fine di garantire meccanismi comuni di governance, accesso e gestione dei fondi, così come l’integrazione tra le attività di ricerca e formazione, evitando inutili duplicazioni.

4.2.

Il CESE considera il budget destinato ad Euratom adeguato agli obiettivi che l’UE si è prefissata nel settore del nucleare. Per tale ragione, ritiene fondamentale mantenere questa dotazione finanziaria indipendentemente dai risultati del negoziato sulla Brexit. A tal proposito il Comitato ritiene altresì cruciale gestire con estrema attenzione l’uscita del Regno Unito dal programma Euratom in particolare per quanto concerne le linee di ricerca già avviate, le infrastrutture condivise e l’impatto sociale sul personale (es: condizioni di lavoro) dentro e fuori il suolo britannico (6).

4.3.

Il CESE, in particolare, evidenzia che il progetto ITER necessita per la sua implementazione del supporto del progetto JET (Joint European Taurus) il cui impianto, situato nel Regno Unito, è finanziato da Euratom. Infatti, attraverso il progetto JET vengono, tra gli altri, testate parti dell’impianto ITER attualmente in costruzione e che, di fatto, rappresenta dal punto di vista scientifico l’evoluzione del progetto JET. Tale impianto è unico al mondo e non può essere sostituito. Per tale ragione, il Comitato ritiene importante che JET continui ad essere operativo (o come progetto UE o come progetto condiviso UE-Regno Unito) fino a che il progetto ITER non sia operativo.

4.4.

Il Comitato sostiene l’impianto della proposta di regolamento, principalmente finalizzata a dare continuità alle attività di ricerca e alle progettualità già in essere, come il progetto ITER che rappresenta un obiettivo importante nei processi di decarbonizzazione (7), approvvigionamento energetico e sviluppo industriale (8). Il nuovo programma contiene, inoltre, delle interessanti novità, ampliando il ventaglio delle attività di ricerca e innovazione finanziabili orientate allo sviluppo e alla crescita.

4.5.

Il CESE considera molto favorevolmente la proposta di includere tra le azioni finanziabili quelle sulle radiazioni ionizzanti, ampliando la trasversalità del programma in linea con quanto stabilito dal programma «Orizzonte Europa» in materia di sfide per la società. A tal proposito è importante che i risultati dei processi di ricerca e innovazione in termini di brevetti e nuove tecnologie siano diffusi in modo rapido e sistematico, dato il loro vasto campo di applicazione (9).

4.6.

È importante che i risultati ottenuti attraverso il finanziamento e gli sforzi congiunti su scala europea siano comunicati ai cittadini. Ciò rafforzerà la fiducia dei cittadini nella scienza e nella ricerca, così come la consapevolezza circa l’importanza dell’Unione europea e di una specifica strategia per il miglioramento della qualità di vita di tutti.

4.7.

Il Comitato valuta altresì positivamente l’estensione dei finanziamenti per la ricerca e la condivisione di conoscenze sulla disattivazione e della bonifica ambientale degli impianti nucleari, sia per far fronte a crescenti esigenze degli Stati membri, sia per chiudere il cerchio nella gestione dei processi legati alla produzione di energia nucleare, che deve necessariamente concludersi con una bonifica ambientale sicura degli impianti dismessi.

4.8.

Il CESE ritiene che l’estensione del programma alle attività di istruzione e formazione, come per le azioni di Marie Skłodowska-Curie, sia cruciale per mantenere elevati standard di competenze all’interno dell’UE. Tuttavia, è importante stabilire obiettivi anche in termini quantitativi oltre che qualitativi, poiché ad oggi i ricercatori europei del settore non sono sufficienti a coprire tutte le esigenze del sistema produttivo e di ricerca europeo (10).

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Il nuovo quadro per la sicurezza nucleare messo a punto dopo il disastro di Fukushima (11) risponde alle preoccupazioni dei cittadini. L’Unione europea ha stabilito un sistema di controlli sistematici («peer reviews») e meccanismi di sicurezza dinamici e multilivello che hanno aumentato gli standard di sicurezza degli impianti. Il Comitato raccomanda di monitorare la corretta attuazione di tale direttiva, così come di aggiornarla ed adeguarla alle nuove sfide, coprendo tutto lo spettro di vita degli impianti, dalla pianificazione di nuovi reattori all’adeguamento costante di quelli esistenti, fino alla loro dismissione (12). In tale contesto si ritiene che attività di monitoraggio svolte da soggetti esterni e indipendenti possano garantire il raggiungimento di più elevati standard di sicurezza.

5.2.

Poiché molti reattori sono situati al confine tra due o più paesi dell’UE è importante creare un quadro rafforzato di cooperazione tra gli Stati, al fine di stabilire meccanismi di reazione rapida agli incidenti transfrontalieri non prevedibili (13), garantendo una effettiva collaborazione e il coordinamento tra le autorità locali e nazionali interessate. Tale processo, in base all’articolo 8 della direttiva 2014/87/Euratom, deve prevedere anche un’effettiva e capillare attività di informazione e formazione rivolta ai lavoratori e ai cittadini, per i quali si prevedono forme di sostegno attraverso specifiche linee di finanziamento. Iniziative analoghe dovrebbero essere realizzate con i paesi terzi limitrofi con i quali si condividono medesimi rischi (14).

5.3.

Il Comitato ritiene che il subappalto potrebbe rappresentare un fattore di incertezza nella manutenzione delle centrali nucleari e quindi raccomanda che questo sia «limitato e strettamente controllato» (15).

5.4.

Il CESE ritiene fondamentale sostenere e favorire l’interesse dei giovani verso le materie scientifiche e tecnologiche, per le quali è necessario un coinvolgimento attivo e informato dei docenti scolastici. Questi ultimi, attraverso una costante formazione e aggiornamento, dovrebbero essere vettori positivi di conoscenza e favorire discussioni aperte con gli studenti sul tema, libere da pregiudizi e stereotipi.

5.5.

In particolare, il CESE sostiene le iniziative (anche attraverso il programma Erasmus+) volte alla diffusione nelle scuole delle STEAM, ossia Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica integrate con l’Arte. Con questo approccio gli studenti sono incoraggiati ad assumere un atteggiamento sistematico e sperimentale, poiché viene offerta loro l’opportunità di risolvere in modo creativo problemi del mondo reale. Le ricerche ed i progetti già finanziati dall’UE negli ultimi anni hanno dato risultati estremamente positivi, dimostrando che questo approccio stimola l’interesse per le materie tecniche, matematiche e scientifiche, che successivamente diventano una prima opzione per gli studenti al momento di scegliere il loro percorso universitario (16).

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2018) 435 final.

(2)  INT/858, Orizzonte Europa, (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 33).

(3)  TEN/680, QFP e ITER, (Cfr. pagina 136 della presente Gazzetta ufficiale).

(4)  TEN/681, Quadro finanziario pluriennale, disattivazione nucleare e rifiuti radioattivi (Cfr. pagina 141 della presente Gazzetta ufficiale).

(5)  TEN/680, QFP e ITER, (Cfr. nota a pié di pagina n. 3).

(6)  https://www.nature.com/articles/d41586-018-06826-y (in inglese).

(7)  GU C 107 del 6.4.2011, p. 37.

(8)  GU C 229 del 31.7.2012, p. 60.

(9)  INT/858, Orizzonte Europa (Cfr. nota a pié di pagina n. 3).

(10)  GU C 237 del 6.7.2018, p. 38.

(11)  Direttiva 2014/87/EURATOM del Consiglio (GU L 219 del 25.7.2014, pag. 42) e direttive ad esso collegate.

(12)  GU C 341 del 21.11.2013, p.92.

(13)  GU C 318 del 29.10.2011, p. 127

(14)  GU C 487 del 28.12.2016, p. 104.

(15)  GU C 237 del 6.7.2018, p. 38.

(16)  GU C 75 del 10.3.2017, p. 6.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/136


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di decisione del Consiglio che modifica la decisione 2007/198/Euratom che istituisce l’Impresa comune europea per ITER e lo sviluppo dell’energia da fusione e le conferisce dei vantaggi»

[COM(2018) 445 final — 2018/0235 (NLE)]

(2019/C 110/25)

Relatore:

Ulrich SAMM

Consultazione

Commissione europea, 12/07/2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

20/11/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

202/0/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE osserva che ottenere energia pulita rappresenta una delle massime priorità e, in quest’ottica, l’energia da fusione è riconosciuta come una possibile soluzione a lungo termine, dato che l’Europa è all’avanguardia nello sviluppo di tecnologie per la fusione, le quali non generano emissioni di carbonio, sono sostenibili e contribuiscono a garantire il mix energetico.

1.2.

Il CESE sottolinea che l’elevato livello di investimenti a lungo termine necessari per lo sviluppo di una centrale a fusione comporta tuttora un certo rischio industriale ma, in caso di successo, la realizzazione di una centrale di questo tipo costituirebbe un fattore del tutto nuovo che modificherebbe in misura significativa l’attuale approvvigionamento energetico attraverso l’introduzione di un’innovazione dirompente, dato che il combustibile necessario per la fusione è abbondante e praticamente inesauribile.

1.3.

La proposta affronta le principali sfide con cui il prossimo QFP è chiamato a confrontarsi per sostenere lo slancio positivo nel progetto ITER. Grazie alla collaborazione tra sette partner a livello mondiale (UE, Stati Uniti, Russia, Giappone, Cina, Corea del Sud e India) è attualmente in fase di costruzione a Cadarache, in Francia, il primo reattore a fusione con potenza termica di 500 MW del progetto ITER. L’entrata in funzione è prevista per il 2025 e il funzionamento a pieno regime (500 MW) è previsto per il 2035. Il CESE apprezza i progressi concreti realizzati negli ultimi anni, dopo il superamento delle difficoltà incontrate grazie a una revisione radicale del progetto ITER (avvicendamento ai vertici della direzione e calendario di riferimento riveduto).

1.4.

Il CESE esorta la Commissione ad assicurare maggior risalto all’importanza della necessità di mettere in relazione il progetto ITER con la ricerca europea nel campo della fusione condotta nel quadro del consorzio EUROfusion, che è finanziato dal programma Euratom di ricerca e formazione e gestisce l’impresa comune Joint European Torus (JET), un importante impianto sperimentale situato a Culham, nel Regno Unito. Al di là della fase costruttiva, ITER richiede anche una preparazione accurata e solo una comunità della ricerca europea forte può assicurare i programmi di accompagnamento e la leadership necessari.

1.5.

Il CESE riconosce il valore aggiunto dell’UE, dimostrato dal successo di EUROfusion. EUROfusion, infatti, rappresenta il programma di ricerca europeo che di gran lunga coinvolge il maggior numero di Stati membri (con l’eccezione di Lussemburgo e Malta), contribuendo a progetti essenziali che, complessivamente, fanno dell’UE un leader mondiale in questo settore.

1.6.

Il CESE plaude al fatto che la nuova tabella di marcia europea per la realizzazione dell’energia da fusione definita da EUROfusion stabilisca un percorso ben preciso verso la prima centrale a fusione, sulla base di un maggiore coinvolgimento dell’industria, della preparazione di scienziati e ingegneri esperti di fusione in tutta Europa e di una forte collaborazione al di fuori del continente. Secondo la tabella di marcia, il normale funzionamento a pieno regime di ITER sarà nel 2035 e, sulla base dei risultati ottenuti, la progettazione di una prima centrale a fusione (DEMO), per la prima volta in grado di fornire elettricità alla rete, sarà ultimata nel 2040, quando sarà avviata la costruzione.

1.7.

Il CESE è consapevole che ITER solleva problematiche importanti che possono essere affrontate solo nel quadro del JET e ribadisce, pertanto, le preoccupazioni espresse in merito agli effetti della Brexit sul proseguimento di tale progetto. Per ridurre al minimo i rischi nel funzionamento di ITER e ottimizzarne il piano di ricerca, il CESE ritiene importante che il progetto prosegua (come impianto dell’UE o impianto comune UE-Regno Unito) nel periodo intercorrente tra il 2020 e la prima entrata in funzione di ITER, in quanto non vi sono soluzioni alternative in caso di scioglimento dell’impresa comune JET durante tale periodo.

1.8.

La proposta della Commissione stabilisce la dotazione finanziaria per ITER, ma non si esprime in merito all’adeguatezza dei fondi necessari per il programma di accompagnamento sulla ricerca nel campo della fusione. Il CESE sottolinea che le risorse stanziate per EUROfusion nel periodo 2021-2025 devono essere compatibili con gli obiettivi fissati nella tabella di marcia per la fusione, in cui le attività legate a ITER sono fondamentali.

1.9.

Il CESE plaude alla pertinenza degli investimenti nelle tecnologie in materia di fusione a favore dell’industria e delle PMI. Nel periodo tra il 2008 e il 2017, Fusion for Energy ha aggiudicato contratti e sovvenzioni per un valore di circa 3,8 miliardi di EUR in tutta Europa. Almeno 500 imprese, tra cui anche PMI, e oltre 70 organizzazioni dedite alla ricerca e allo sviluppo, con sede in circa 20 diversi Stati membri e in Svizzera, hanno beneficiato degli investimenti nelle attività legate a ITER. Inoltre, le parti dell’accordo ITER esterne all’UE hanno pure firmato contratti con imprese europee per sostenere la produzione dei propri componenti per ITER, creando ulteriori posti di lavoro e maggiore crescita per le imprese europee. Il CESE prende atto del fatto che a contribuire maggiormente all’impatto netto degli investimenti legati a ITER sono gli sviluppi di progetti derivati (spin-off) e i relativi trasferimenti di tecnologie, con nuove opportunità di business in altri settori.

1.10.

Il CESE è convinto che la ricerca europea nel campo della fusione, in generale, e la realizzazione del progetto ITER, in particolare, possano costituire un esempio eccellente della forza dei progetti comuni europei. È importante che i risultati ottenuti attraverso il finanziamento e gli sforzi congiunti su scala europea siano comunicati ai cittadini. Questo farà aumentare la fiducia dei cittadini nella scienza e nella ricerca, oltre a sensibilizzarli all’importanza dell’azione dell’UE.

2.   Introduzione

2.1.

ITER (ossia, il reattore sperimentale termonucleare internazionale) rappresenta un progetto di collaborazione scientifica internazionale lanciato nel 2005 da sette partner a livello mondiale (le parti del progetto sono: UE, Stati Uniti, Russia, Giappone, Cina, Corea del Sud e India). Il progetto intende dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica dell’energia da fusione a scopi pacifici attraverso la costruzione e il funzionamento del primo reattore a fusione da 500 MW (ITER) a Cadarache, in Francia. Il CESE ha già manifestato il proprio appoggio al progetto in svariati pareri (1). ITER rappresenta il prossimo passo sul cammino verso l’energia da fusione, la fonte energetica sostenibile più innovativa e promettente in grado di soddisfare la domanda crescente di energia, insieme allo sviluppo delle energie rinnovabili.

2.2.

Nel 2015, nel quadro di una revisione radicale del progetto ITER, sono stati nominati nuovi vertici alla direzione dell’Organizzazione ITER e di «Fusion for Energy». Il calendario di riferimento riveduto di ITER, che è stato approvato dal Consiglio ITER il 19 novembre 2016, prevede dicembre 2025 quale prima data tecnicamente possibile per il primo plasma e fissa l’obiettivo di un funzionamento a pieno regime (500 MW) con l’impiego del deuterio-trizio come combustibile per il 2035. Il giudizio positivo sui progressi conseguiti da ITER negli ultimi anni è stato confermato da valutazioni indipendenti che hanno riconosciuto che il progetto è ormai consolidato e può contare su una base realistica per il relativo completamento.

2.3.

Il contributo europeo all’Organizzazione ITER passa per l’agenzia nazionale dell’UE «Fusion for Energy» (F4E), con sede a Barcellona, in Spagna. F4E è un’impresa comune istituita a norma del capo 5 del trattato Euratom. Ai sensi del suo statuto, F4E ha una propria procedura per il discarico del bilancio che il Parlamento europeo concede dietro raccomandazione del Consiglio dell’UE. Nel 2015 è stato approvato un nuovo regolamento finanziario per F4E, con cui la responsabilità della supervisione di ITER, e quindi di F4E, è passata dalla DG RTD alla DG ENER.

2.4.

Oltre alla costruzione di ITER, un profondo e vasto sostegno scientifico alla ricerca nel campo della fusione è prestato dal programma di ricerca e formazione (2), che integra il programma di ricerca generale Orizzonte Europa (3). Oltre alle classiche attività nel settore della ricerca nucleare, tale programma abbraccia anche le attività della ricerca fondamentale per lo sviluppo dell’energia da fusione sulla scorta della tabella di marcia per la ricerca sulla fusione, la quale descrive un percorso ottimale che, passando per ITER e una centrale elettrica dimostrativa (DEMO), arriva allo sfruttamento commerciale delle centrali a fusione. La tabella di marcia per la ricerca sulla fusione non solo descrive i principali impianti necessari, ma chiarisce anche le attività di ricerca che devono essere condotte per sostenere ITER e DEMO.

2.5.

La tabella di marcia per la ricerca sulla fusione è stata elaborata da EUROfusion, cui compete il coordinamento delle attività europee nel campo della ricerca sulla fusione. Il consorzio riunisce trenta istituti di ricerca nazionali e circa 150 università di 26 Stati membri dell’UE, oltre a Svizzera e Ucraina. La sede centrale di EUROfusion si trova a Garching, in Germania, mentre il principale progetto sperimentale, il Joint European Torus (JET), è condotto a Culham, nel Regno Unito.

3.   Sintesi della proposta

3.1.

La proposta (4) affronta le principali sfide con cui il prossimo QFP è chiamato a confrontarsi per sostenere lo slancio positivo nel progetto, assicurare progressi costanti nella costruzione e nell’assemblaggio, e mantenere l’impegno di tutte le parti dell’accordo ITER. Il superamento di tali sfide richiede che l’UE mostri una leadership forte nella realizzazione del progetto, per cui occorre che F4E consegua ottimi risultati e l’UE rispetti gli impegni assunti relativamente alla propria quota di obblighi di finanziamento e di contributi in natura.

3.2.

La risorse necessarie all’Euratom per rendere possibile il riuscito completamento dell’impianto e l’avvio della fase operativa/sperimentale sono illustrate nel dettaglio nella comunicazione della Commissione dal titolo «Contributo dell’UE al progetto ITER riformato», adottata dalla Commissione nel giugno del 2017.

3.3.

Nel contesto del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027, la Commissione ha invitato il Parlamento europeo e il Consiglio a fissare a 6 070 000 000 EUR (al valore corrente) il livello massimo degli impegni di Euratom a favore di ITER. Tale importo è considerato la massa critica di finanziamenti necessaria per assicurare che l’azione dell’UE nel progetto ITER sia efficace, e rispecchia il nuovo scenario di riferimento per la costruzione di ITER. La dotazione finanziaria proposta si basa sulla prima data tecnicamente possibile per la costruzione di ITER, senza contemplare sopravvenienze e presupponendo, pertanto, che tutti i principali rischi possano essere attenuati.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE osserva che assicurare la competitività e garantire l’approvvigionamento energetico rappresentano una preoccupazione primaria, e sono però sostenibili solo se accompagnate dalla lotta ai cambiamenti climatici. Le fonti energetiche che non comportano emissioni di carbonio e risultano sostenibili, pertanto, sono fondamentali per la prosperità e il benessere futuri dei cittadini europei. Ottenere energia pulita rappresenta una delle massime priorità e, in quest’ottica, l’energia da fusione è riconosciuta come una possibile soluzione a lungo termine, dato che l’Europa è all’avanguardia nello sviluppo di tecnologie per la fusione.

4.2.

Il CESE sottolinea che l’elevato livello di investimenti a lungo termine necessari per lo sviluppo di una centrale a fusione comporta tuttora un certo rischio industriale ma, in caso di successo, la realizzazione di una centrale di questo tipo costituirebbe un fattore del tutto nuovo che modificherebbe in misura significativa l’attuale approvvigionamento energetico attraverso l’introduzione di un’innovazione dirompente. Il combustibile necessario per la fusione, infatti, è abbondante e praticamente inesauribile: il trizio può essere prodotto dal litio, un metallo presente ovunque nella crosta terrestre e nelle acque marine, mentre il deuterio è presente nelle acque naturali.

4.3.

Il CESE desidera altresì mettere in luce le particolari caratteristiche di sicurezza presentate dalla fusione rispetto alla fissione nucleare convenzionale. Una centrale a fusione è per sua natura sicura. Il plasma, infatti, è composto solo da pochi grammi di combustibile e, in caso di malfunzionamento, si spegne rapidamente. Le reazioni prodotte dal deuterio e dal trizio rilasciano neutroni che attivano i materiali delle pareti. La vita dei sottoprodotti radioattivi che ne derivano è breve, quindi, dopo un certo tempo di decadimento, la maggior parte dei materiali può essere riciclata senza la necessità di nuovi depositi per lo stoccaggio delle scorie nucleari.

4.4.

Il CESE esorta la Commissione ad assicurare maggiore risalto all’importanza della necessità di mettere in relazione il progetto ITER e la ricerca europea nel campo della fusione organizzata da EUROfusion. Oltre alla fase costruttiva, ITER richiede anche una preparazione accurata e programmi di accompagnamento. In Europa, un programma coordinato che si avvale di JET e di altri dispositivi, oltre che di modelli e simulazioni, permette non solo di elaborare scenari di funzionamento di ITER e di testarli, ma anche di pianificare e ottimizzare i risultati di ITER e di progettare DEMO. Il funzionamento del tokamak JET con una miscela di deuterio-trizio e con una parete analoga a quella di ITER è fondamentale per spianare la strada alla messa in funzione di ITER.

4.5.

Il CESE riconosce il valore aggiunto dell’UE, dimostrato dal successo di EUROfusion. EUROfusion, infatti, rappresenta il programma di ricerca europeo che di gran lunga coinvolge il maggior numero di Stati membri (con l’eccezione di Lussemburgo e Malta), contribuendo con progetti essenziali che, complessivamente, fanno dell’UE un leader mondiale in questo settore. Degli investimenti e dei finanziamenti alla ricerca beneficiano imprese, organizzazioni di ricerca e università.

4.6.

Il CESE è convinto che la ricerca europea nel campo della fusione, in generale, e la realizzazione del progetto ITER, in particolare, possano costituire un esempio eccellente della forza dei progetti comuni europei. È importante che i risultati ottenuti attraverso il finanziamento e gli sforzi congiunti su scala europea siano comunicati ai cittadini. Questo farà aumentare la fiducia dei cittadini nella scienza e nella ricerca, oltre a sensibilizzarli all’importanza dell’azione dell’UE nel conseguire un obiettivo distante e difficile che non sarebbe possibile raggiungere mediante gli sforzi e il finanziamento dei singoli paesi, e che avrà importanti ripercussioni a lungo termine, non solo in termini tecnologici e industriali, ma anche per la ricerca, l’industria e le PMI, con un impatto significativo sull’economia e la creazione di posti di lavoro, anche nel breve e medio termine.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Il CESE riconosce che la nuova tabella di marcia europea per la realizzazione dell’energia da fusione stabilisce un percorso ben preciso verso la prima centrale a fusione, sulla base di un maggiore coinvolgimento dell’industria, della preparazione di scienziati e ingegneri esperti di fusione in tutta Europa e di una forte collaborazione con soggetti di paesi terzi. La tabella di marcia copre il breve periodo, fino alla messa in funzione di ITER (2025), il medio periodo, fino al normale funzionamento a pieno regime (2035), e il lungo periodo, che culminerà nella prima centrale a fusione (DEMO) che fornirà elettricità alla rete per la prima volta.

5.2.

Nel contesto della tabella di marcia. ITER rappresenta l’impianto fondamentale, dato che dovrebbe raggiungere la maggior parte delle importanti tappe fissate lungo il percorso verso l’energia da fusione. Di conseguenza, la stragrande maggioranza delle risorse proposte per EUROfusion sul breve periodo sono dedicate a ITER e ai relativi progetti sperimentali di accompagnamento, tra cui il Joint European Torus (JET) a Culham, in Inghilterra. Il CESE riconosce che il JET ha dimostrato che una grande infrastruttura per la ricerca in materia di fusione può essere costruita e fatta funzionare in modo efficiente, oltre a permettere di trarre i massimi vantaggi dal punto di vista scientifico e industriale.

5.3.

Il CESE condivide la richiesta avanzata dall’Organizzazione ITER affinché i risultati ottenuti da JET vengano utilmente sfruttati nella fase antecedente allo stadio del primo plasma in ITER. Poiché il JET è l’unico tokamak in grado di funzionare con il trizio, è dotato dei materiali di prima parete di ITER e può essere completamente gestito in remoto, il suo funzionamento può apportare contributi utili per il piano di ricerca di ITER con l’obiettivo di attenuare i rischi, ridurre i costi e ottenere l’autorizzazione all’utilizzo di ITER. Tale aspetto riveste particolare importanza perché la dotazione finanziaria che la Commissione ha proposto per ITER non contempla sopravvenienze e presuppone, pertanto, che tutti i principali rischi possano essere attenuati.

5.4.

Il CESE è consapevole che ITER solleva problematiche importanti che possono essere affrontate solo nel quadro del JET e condivide, pertanto, le preoccupazioni espresse in merito agli effetti della Brexit sul proseguimento di tale progetto. Per ridurre al minimo i rischi nel funzionamento di ITER e ottimizzarne il piano di ricerca, il CESE ritiene importante che il progetto prosegua (come impianto dell’UE o impianto comune UE-Regno Unito) nel periodo intercorrente tra il 2020 e la prima entrata in funzione di ITER, in quanto non vi sono soluzioni alternative in caso di scioglimento dell’impresa comune JET durante tale periodo.

5.5.

La proposta della Commissione comprende la dotazione finanziaria per ITER, ma non si esprime in merito all’adeguatezza dei fondi necessari per il programma di accompagnamento sulla ricerca nel campo della fusione. Tale programma è invece oggetto di una proposta separata (5), che non menziona, però, di converso, le esigenze di ITER. Il CESE sottolinea che le risorse stanziate per EUROfusion nel periodo 2021-2025 devono essere compatibili con gli obiettivi fissati nella tabella di marcia per la fusione, in cui le attività legate a ITER sono fondamentali, mentre i lavori di progettazione di DEMO devono essere rafforzati.

5.6.

Il CESE plaude alla pertinenza degli investimenti nelle tecnologie in materia di fusione a favore dell’industria e delle PMI. Gli investimenti dell’UE nella costruzione di ITER, infatti, apportano importanti vantaggi per l’industria europea e per la comunità della ricerca, in quanto offre l’opportunità di condurre attività all’avanguardia nel campo della R&S, della tecnologia, della progettazione e della fabbricazione di componenti per ITER. Le nuove conoscenze e gli spin-off che ne derivano si traducono in crescita economica e promuovono l’occupazione. Nel periodo tra il 2008 e il 2017, Fusion for Energy ha aggiudicato 839 contratti e sovvenzioni per un valore di circa 3,8 miliardi di EUR in tutta Europa. Almeno 500 imprese, tra cui anche PMI, e oltre 70 organizzazioni dedite alla ricerca e allo sviluppo, con sede in circa 20 diversi Stati membri e in Svizzera, hanno beneficiato degli investimenti nelle attività legate a ITER. Inoltre, le parti dell’accordo ITER esterne all’UE hanno pure firmato contratti con imprese europee per sostenere la produzione dei propri componenti per ITER, creando ulteriori posti di lavoro e maggiore crescita per le imprese europee.

5.7.

Il CESE prende atto delle esaurienti informazioni fornite dalla Commissione (6), secondo cui a contribuire maggiormente all’impatto netto degli investimenti legati a ITER sono gli sviluppi di progetti derivati (spin-off) e i relativi trasferimenti di tecnologie. Le tecnologie sviluppate per ITER creano nuove opportunità di business in altri settori, perché la partecipazione a ITER migliora la competitività delle imprese europee nell’economia mondiale, offre alle imprese tradizionali l’occasione di entrare nel mercato dell’high tech e dà alle imprese e alle PMI europee di tale comparto l’opportunità unica di innovare e sviluppare prodotti utilizzabili in ambiti diversi dalla fusione.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 302 del 7.12.2004, pag. 27; GU C 318 del 29.10.2011, pag. 127; GU C 229 del 31.7.2012, pag. 60.

(2)  Parere TEN/678 — Programma di ricerca e formazione della Comunità europea dell’energia atomica (2021-2025), relatrice: Giulia Barbucci (cfr. pag. 132 della presente Gazzetta ufficiale).

(3)  Parere INT/858 — Orizzonte Europa, relatore: Lobo Xavier (GU C 62 del 15.2.2019, pag. 33).

(4)  COM(2018) 445 final.

(5)  COM(2018) 437 final e parere TEN/678, relatrice: Giulia Barbucci (cfr. nota 2).

(6)  «Study on the impact of the ITER project activities in the EU» (Studio sull’impatto delle attività svolte nel quadro del progetto ITER nell’UE), ENER/D4/2017-458, (2018), Trinomics (Rotterdam) e Cambridge Econometrics.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/141


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il programma di assistenza alla disattivazione nucleare della centrale nucleare di Ignalina in Lituania (programma Ignalina), e che abroga il regolamento (UE) n. 1369/2013 del Consiglio»

[COM(2018) 466 final — 2018/0251 (NLE)]

e sulla «Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un programma di finanziamento specifico per la disattivazione degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi, e che abroga il regolamento (Euratom) n. 1368/2013 del Consiglio»

[COM(2018) 467 final — 2018/0252 (NLE)]

e sulla «Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla valutazione e sull’attuazione dei programmi UE di assistenza alla disattivazione nucleare in Bulgaria, Slovacchia e Lituania

[COM(2018) 468 final]

(2019/C 110/26)

Relatore:

Rudy DE LEEUW

Consultazione

Commissione europea, 12/07/2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

20/11/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

177/8/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE approva la proposta della Commissione e richiama l’attenzione sulle proposte di accompagnamento futuro formulate nel presente parere.

1.2.

Il CESE non propone modifiche alla proposta, ma raccomanda un più stretto monitoraggio delle attività relative ai punti evidenziati nel parere, in particolare per quanto riguarda:

un approccio incentrato sullo sviluppo sostenibile nella scelta energetica;

una valutazione accurata della situazione specifica della Lituania in particolare, ma anche degli altri paesi interessati, per quanto riguarda gli aspetti socioeconomici;

la diffusione in tutta l’UE delle conoscenze acquisite in materia di smantellamento e riguardo alla sfida della formazione dei lavoratori;

una gestione sicura e sostenibile dei rifiuti nucleari così prodotti;

il rafforzamento degli indicatori di prestazione, anche per quanto riguarda la radioprotezione dei lavoratori.

1.3.

Oltre agli esperti e alle autorità, anche la società civile dovrebbe essere incoraggiata e aiutata a partecipare al monitoraggio di tali attività.

1.4.

Il Comitato invita la Commissione europea a valutare la situazione creata dalla fine del ciclo di vita di diverse centrali nucleari nell’UE e a presentare una relazione contenente delle proposte volte a ridurre al minimo i costi e i rischi della disattivazione dei reattori e dello stoccaggio dei rifiuti radioattivi. La relazione dovrebbe anche prendere in considerazione gli effetti della considerevole riduzione, nell’UE, della capacità di ritrattare i combustibili e i rifiuti nucleari a seguito della Brexit e, inversamente, dell’eccesso di capacità di ritrattamento nel Regno Unito.

2.   Sintesi delle proposte

2.1.

La Commissione propone di prorogare, nel periodo coperto dal quadro finanziario pluriennale post-2020 (QFP 2021-2027), i programmi di finanziamento per l’assistenza alla disattivazione degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi per la Bulgaria (Kozloduy, unità 1-4) e la Slovacchia (Bohunice V1, unità1-2) da un lato, e per la Lituania (Ignalina, unità 1-2) dall’altro.

2.2.

Tali proposte apportano due modifiche:

una maggiore flessibilità nell’utilizzo del bilancio, come dichiarato: «…Una maggiore flessibilità di bilancio può essere ottenuta mediante la ridistribuzione dei fondi tra le azioni, se e quando necessario, in linea con il progresso delle azioni». In questo modo si tiene conto del livello variabile e spesso imprevedibile della spesa in un determinato anno;

l’inserimento, nel programma di disattivazione, di alcuni impianti nucleari del Centro comune di ricerca (JRC) in Germania, Italia, Belgio e Paesi Bassi.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE constata con soddisfazione che, essendo stato realizzato uno degli obiettivi del programma (rispondere meglio alle esigenze e garantire una disattivazione sicura degli impianti), la fase successiva sarà incentrata su attività di disattivazione che presentano difficoltà in materia di sicurezza radiologica. Tali attività dovrebbero quindi essere valutate in funzione di un approccio orientato ad un contesto energetico sostenibile, in linea con gli accordi internazionali sottoscritti dall’UE (accordo di Parigi sul clima, impegno dell’UE per un’economia decarbonizzata ecc.).

3.2.

La relazione sulla valutazione e l’attuazione dei programmi UE di assistenza alla disattivazione nucleare in Bulgaria, Slovacchia e Lituania (in appresso «la relazione») conferma che la continuazione dei programmi è finanziariamente realizzabile. Il CESE prende atto che, nel quadro finanziario pluriennale per il periodo successivo al 2020, le stime di bilancio per il proseguimento e il completamento del programma Kozloduy e del programma Bohunice rappresentano meno di un quarto rispetto al quadro finanziario pluriennale 2014-2020, ossia 63 milioni di EUR per Kozloduy e 55 milioni di EUR per Bohunice, e assicureranno il raggiungimento dello stadio finale del processo di disattivazione previsto. La stima di bilancio per il quadro finanziario pluriennale dopo il 2020 arriva a 522 milioni di EUR, un importo superiore a quello previsto nel QFP 2014-2020.

3.3.

Il CESE sottolinea che vi sono ancora delle preoccupazioni relative alla Lituania. Constata che il bilancio proposto dalla Commissione coprirebbe solo il 70 % del fabbisogno per tale periodo e ritiene pertanto che la proposta in esame non apporti né una prova di solidarietà né un’assistenza finanziaria sufficiente per un progetto che risulta importante anche per gli Stati limitrofi. Riuscire a smantellare la centrale di Ignalina rappresenta la sfida principale in materia di sicurezza nucleare nell’Unione europea: tale obiettivo dovrebbe essere realizzato garantendo al tempo stesso una diminuzione dei rischi per i cittadini dell’UE.

3.4.

Il CESE accoglie con favore l’iniziativa della Commissione di aggiungere alcuni impianti del JRC al programma per la Bulgaria e la Slovacchia. La stima del bilancio per lo smantellamento degli impianti nucleari del JRC è pari a 348 milioni di EUR. Il Comitato sottolinea l’importanza del ruolo esemplare che l’UE deve svolgere nella gestione delle operazioni del proprio JRC, dal momento che si tratta di una competenza esclusiva della Commissione (JRC) in veste di titolare della licenza. Sulla base del trattato Euratom, il JRC è tenuto a gestire le proprie responsabilità nucleari storiche e a procedere alla disattivazione dei propri impianti nucleari spenti. Il programma offre ampie possibilità di creare e condividere le conoscenze, sostenendo in tal modo gli Stati membri dell’UE nei loro propri processi di disattivazione.

3.5.

Per quanto riguarda le conoscenze, il CESE sottolinea anche l’importanza di misurare le conseguenze economiche e sociali dello smantellamento, ad esempio per il mercato del lavoro, gli indicatori sanitari e lo sviluppo strutturale di una regione di uno Stato membro. Occorre assolutamente cogliere l’occasione delle attività di smantellamento per offrire una formazione teorica e pratica supplementare ai lavoratori locali in settori di attività essenziali per il futuro. Tali formazioni non possono essere escluse dal finanziamento.

3.6.

Il CESE, nel quadro dell’invito ad un più stretto monitoraggio, raccomanda che nell’ambito del programma siano assegnate delle risorse finanziarie per garantire una partecipazione adeguata di organizzazioni locali e nazionali della società civile interessate, con l’obiettivo di assicurare un monitoraggio pubblico indipendente, credibile e permanente delle attività realizzate grazie a tale assistenza finanziaria.

3.7.

Il Comitato rileva con soddisfazione che la Slovacchia, la Bulgaria e la Lituania hanno compiuto notevoli progressi verso la disattivazione dei loro reattori entro la data stabilita. Ciò nondimeno, il Comitato segnala che vi saranno diverse sfide da affrontare nell’immediato futuro: smantellare il nocciolo dei reattori ed effettuare altre operazioni negli edifici dei reattori. La relazione dice poco sui vincoli in materia di gestione dei rifiuti nucleari, in particolare per il carbonio, né si sofferma sui reattori obsoleti in Francia e nel Regno Unito. Il CESE propone che la relazione esamini in modo più approfondito la questione della gestione dei rifiuti nucleari, che costituisce un problema molto importante nel lungo periodo.

3.8.

Il Comitato segnala inoltre la buona prassi, attuata in particolare sul sito di Ignalina, di aiutare gli ex dipendenti della centrale nucleare a trovare un lavoro a livello locale: uno sforzo, questo, che non solo è utile sul piano sociale, ma contribuisce anche allo sviluppo di capacità specifiche nel campo della disattivazione e al trasferimento delle conoscenze. Il Comitato ritiene che si tratti di un modo interessante di rispondere alle esigenze di queste persone. Inoltre, l’iniziativa può essere accompagnata da misure volte a formare i lavoratori. Gli istituti di ricerca dovrebbero essere incoraggiati a partecipare attivamente a tali progetti, che devono essere adeguatamente sostenuti sul piano finanziario.

3.9.

L’ambito di applicazione dei programmi è in linea con la politica di sicurezza dell’UE, formulata in tre direttive:

1)

la direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio (1) che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi;

2)

la direttiva 2009/71/Euratom del Consiglio (2) e la sua direttiva di modifica 2014/87/Euratom del Consiglio (3) che istituisce un quadro comunitario per la sicurezza nucleare degli impianti nucleari;

3)

la direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio (4) che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti.

3.10.

Tuttavia, i programmi derogano parzialmente, per ragioni storiche, alla responsabilità ultima degli Stati membri di assicurare adeguate risorse finanziarie per la disattivazione nucleare e la gestione dei rifiuti radioattivi. Il CESE ha già convenuto con questa posizione per motivi di solidarietà.

3.11.

Inoltre, una maggiore sicurezza nucleare è di vitale importanza, non solo a livello regionale o nazionale, ma anche su scala europea e addirittura mondiale. È per questo motivo che uno sforzo comune per una gestione sicura dei problemi tecnologici legati alla disattivazione nucleare e per l’acquisizione di conoscenze in questo settore è importante non solo per le regioni o gli Stati membri interessati, ma anche per l’Unione europea nel suo complesso. Il CESE sottolinea, pertanto, la necessità di una stretta cooperazione tra gli Stati membri e i partecipanti ai programmi, da un lato, e la Commissione, dall’altro.

3.12.

Il Comitato constata con soddisfazione che il programma ha permesso di sviluppare nuovi strumenti molto efficaci per ridurre il volume dei rifiuti, e raccomanda alla Commissione di adottare un approccio proattivo per favorire la condivisione delle conoscenze in materia.

3.13.

Il Comitato riconosce la pertinenza degli indicatori chiave di prestazione utilizzati per misurare i progressi compiuti nella disattivazione e i suoi costi di finanziamento. Richiama l’attenzione sui vantaggi derivanti da un attento monitoraggio e da un’attuazione efficiente dei requisiti del programma, e sottolinea che le attività finanziate dall’UE dovrebbero promuovere un’occupazione di qualità elevata nel rispetto del massimo livello di sicurezza e radioprotezione, conformemente alle summenzionate direttive UE in materia.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

In linea con queste considerazioni, il Comitato ritiene che dovrebbe essere possibile ottenere un quadro più concreto dello stato della radioprotezione operativa su ciascun sito in questione e mettere a punto una strategia ALARA (As Low As Reasonably Achievable — «tanto basso quanto ragionevolmente ottenibile»). Naturalmente, fare in modo che ciò avvenga rientra nella responsabilità esclusiva dello Stato membro, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2013/59/Euratom del Consiglio che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti. Mantenere la dose di radiazioni cui i lavoratori sono esposti nell’ordine di un valore ottimizzato della dose effettiva è un indicatore sintomatico, che corrisponde a uno degli obiettivi dei programmi, quello che prevede di concentrarsi sulla sicurezza radiologica. Questi dati devono essere disponibili nel registro delle autorità degli Stati membri competenti in materia di sicurezza e di protezione dalle radiazioni.

4.2.

Un’altra preoccupazione riguarda lo smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi, che costituisce chiaramente una competenza esclusiva dello Stato membro. Tuttavia, il Comitato raccomanda alla Commissione di sostenere non solo la condivisione delle conoscenze, ma anche una cooperazione dinamica tra Stati membri, laddove sia giuridicamente possibile. Ciò contribuirà a conseguire un elevato livello di sicurezza all’interno di parametri economici ragionevoli.

4.3.

La cooperazione con le autorità locali responsabili della sicurezza sembra essere un punto sul quale vengono fornite scarse informazioni. Tuttavia, alcuni problemi individuati nella proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un programma di finanziamento specifico per la disattivazione degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi, e che abroga il regolamento (Euratom) n. 1368/2013 del Consiglio, richiedono di essere esaminati con maggiore attenzione, in particolare nei casi in cui le «lunghe procedure di autorizzazione da parte delle autorità nazionali … [rendono] difficile gestire il programma». La Commissione dispone di un ampio ventaglio di strumenti per migliorare tale cooperazione, in particolare mediante il gruppo dei regolatori europei in materia di sicurezza nucleare (ENSREG).

4.4.

Il Comitato fa notare che diverse centrali nucleari nell’Unione europea hanno concluso o stanno per concludere il loro ciclo di vita e dovranno essere disattivate. Pur trattandosi di una responsabilità esclusiva dello Stato membro, il CESE invita la Commissione europea a valutare la situazione e a presentare una relazione contenente delle proposte volte a ridurre al minimo i costi e i rischi della disattivazione dei reattori e dello stoccaggio dei rifiuti radioattivi. La relazione dovrebbe anche prendere in considerazione gli effetti della considerevole riduzione, nell’UE, della capacità di ritrattare i combustibili e i rifiuti nucleari a seguito della Brexit e, inversamente, dell’eccesso di capacità di ritrattamento nel Regno Unito.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU L 199 del 2.8.2011, pag. 48.

(2)  GU L 172 del 2.7.2009, pag. 18.

(3)  GU L 219 del 25.7.2014, pag. 42.

(4)  GU L 13 del 17.1.2014, pag. 1.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/145


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Raccomandazione di decisione del Consiglio che autorizza l’avvio di negoziati per una convenzione che istituisce un tribunale multilaterale per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti»

[COM(2017) 493 final]

(2019/C 110/27)

Relatore:

Philippe DE BUCK

Correlatrice:

Tanja BUZEK

Consultazione

13.12.2017 (Commissione europea)

Base giuridica

Articolo 207 del TFUE

Sezione competente

REX

Adozione in sezione

23.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

206/3/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è pienamente consapevole che il sistema di risoluzione delle controversie investitore-Stato (ISDS) previsto dai trattati commerciali e d’investimento è diventato sempre più materia di contendere tra una serie di parti interessate per motivi di legittimità, coerenza e trasparenza, Tali critiche comprendono — ma non si limitano a — considerazioni di natura procedurale e sostanziale.

1.2.

Il CESE ha partecipato attivamente all’intero dibattito sui modi di riformare e rendere più moderna la protezione degli investimenti, in particolare adottando i pareri REX/464 e REX/411, nei quali ha espresso diverse preoccupazioni e ha formulato raccomandazioni.

1.3.

Di conseguenza, il CESE accoglie con favore gli sforzi della Commissione a favore di una riforma multilaterale del sistema ISDS sotto l’egida dell’UNCITRAL, e ritiene essenziale che l’Unione europea resti ricettiva a tutte le impostazioni ed idee emerse riguardo alla riforma di tale sistema.

1.4.

Il CESE accoglie con particolare favore il maggiore impegno a favore della trasparenza, dato che alle organizzazioni non governative sarà permesso di seguire e persino di partecipare ai dibattiti.

1.5.

Il CESE ritiene fondamentale che il gruppo di lavoro III dell’UNCITRAL accolga favorevolmente il contributo di tutti i soggetti pertinenti, sforzandosi così di garantire una maggiore inclusività, e chiede che le parti interessate invitate siano selezionate meglio e in maniera più equilibrata. Il CESE esorta inoltre la Commissione a fare tutto il possibile affinché il Comitato stesso possa partecipare attivamente alle attività del gruppo di lavoro III.

1.6.

Il CESE ha sempre riconosciuto che gli investimenti esteri diretti (IED) recano un contributo importante alla crescita economica, e che gli investitori esteri devono ricevere una protezione globale contro l’espropriazione diretta, non devono subire discriminazioni e devono godere di diritti equivalenti a quelli degli investitori nazionali.

1.7.

Allo stesso tempo, tuttavia, il CESE ha sempre sottolineato che il diritto degli Stati a legiferare nell’interesse pubblico non deve essere compromesso.

1.8.

Riguardo all’istituzione di un tribunale multilaterale per gli investimenti (MIC), il CESE sottolinea la necessità di affrontare una serie di questioni fondamentali, relative alla portata della riforma, alla tutela dell’interesse pubblico, alla legittimazione ad agire e ai rapporti con i giudici nazionali.

1.9.

Per quanto concerne la portata della riforma, il CESE, pur ritenendo preferibile un approccio più generale che tenga conto delle preoccupazioni relative sia agli aspetti sostanziali che a quelli procedurali della protezione degli investimenti, osserva che il mandato di riforma si limita agli aspetti procedurali della risoluzione delle controversie tra investitori e Stati.

1.10.

Per quanto riguarda l’interesse pubblico, il CESE ritiene essenziale che il MIC non pregiudichi in alcun modo la capacità dell’UE e degli Stati membri di adempiere agli obblighi assunti nel quadro di accordi internazionali in materia di ambiente, diritti umani e lavoro, nonché per la protezione dei consumatori, e di approntare garanzie procedurali che impediscano ricorsi diretti contro normative nazionali di interesse pubblico. Pertanto, il CESE è dell’avviso che tale obiettivo possa essere raggiunto in misura sufficiente soltanto introducendo una disposizione sulla gerarchia delle fonti e una clausola di esclusione per motivi di interesse pubblico.

1.11.

Riguardo ai diritto dei terzi e alle domande riconvenzionali, il CESE ravvisa nella possibilità per un amicus curiae di presentare osservazioni un primo passo che, tuttavia, dovrà essenzialmente garantire la debita considerazione di queste da parte dei giudici; accoglie con favore l’inclusione nel mandato della possibilità di interventi di terzi, e raccomanda di esaminare il ruolo di questi ultimi, che possono essere residenti del luogo considerato, lavoratori, sindacati, gruppi ambientalisti o consumatori.

1.12.

Per quanto attiene ai rapporti con i giudici nazionali, il CESE ritiene che il MIC non possa in alcun caso pregiudicare il sistema giudiziario dell’UE e l’autonomia del diritto dell’Unione. Pur rilevando che la questione del rapporto tra i giudici nazionali e il MIC è vista in modo diverso dalle varie parti interessate, incoraggia la Commissione a esaminare ulteriormente la questione del previo esaurimento dei mezzi di ricorso nazionali e di come tale questione sia inquadrabile nel contesto del tribunale multilaterale per gli investimenti.

1.13.

Per quanto riguarda l’indipendenza e la legittimità dei giudici, è cruciale che questi siano di nomina permanente — affinché inizi a formarsi una giurisprudenza e quindi aumenti la prevedibilità delle decisioni — e siano scelti tra giuristi qualificati di provata competenza in un’ampia gamma di rami del diritto. Il CESE accoglie con favore l’impegno a fissare criteri chiari e di alto livello per garantire lo Stato di diritto e la fiducia dei cittadini, e chiede che il processo di selezione sia trasparente e soggetto ai principi del controllo pubblico.

1.14.

Per quanto riguarda l’efficacia del nuovo sistema, la gestione amministrativa del MIC dovrebbe essere affidata a un segretariato, dotato delle risorse sufficienti per il suo funzionamento, e i costi amministrativi dovrebbero essere sostenuti dalle parti secondo un’equa ripartizione che tenga conto di diversi criteri. Le PMI dovrebbero godere dello stesso livello di protezione e di accesso al sistema di risoluzione delle controversie, a condizioni e costi ragionevoli, e tutte le decisioni del MIC dovrebbe essere esecutive e rese pubbliche.

1.15.

Riguardo al livello di protezione e all’eventuale periodo transitorio, è importante notare che nessuno degli accordi conclusi dall’UE o dagli Stati membri rientrerà automaticamente nella giurisdizione di un MIC, e che durante l’eventuale periodo transitorio continueranno ad applicarsi le procedure concordate per la risoluzione delle controversie, allo scopo di garantire un livello elevato di protezione degli investimenti, stanti la legittimità costituzionale e la validità di un MIC ai sensi del diritto dell’UE.

2.   Contesto generale

2.1.

Sviluppato sulla base di oltre 3 200 trattati a partire dagli anni 1970, il sistema di protezione degli investimenti comprende non solo clausole sostanziali a protezione degli investimenti, ma anche clausole procedurali per la risoluzione delle controversie che prevedono un meccanismo in base al quale gli investitori esteri possono presentare ricorsi contro gli Stati ospitanti (il già citato sistema ISDS), conformemente alle disposizioni giuridiche contemplate nei trattati.

2.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) rileva, in tale contesto, che è stato recentemente pubblicato, nel quadro dei documenti di lavoro dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), uno studio condotto dall’analista politico Joachim Pohl sul tema Societal benefits and costs of international investment agreements — a critical review of aspects and available empirical evidence («Benefici e costi sociali degli accordi internazionali d’investimento — un’analisi critica degli aspetti e dei dati empirici disponibili») (1).

2.3.

Da alcuni anni la riforma del sistema ISDS si trova al centro del dibattito sulla politica in materia di investimenti dell’Unione europea (UE). Tale sistema, infatti, è diventato sempre più materia di contendere tra una serie di soggetti interessati per motivi di legittimità, coerenza e trasparenza. Queste critiche comprendono anche, ma non esclusivamente, considerazioni di natura procedurale e sostanziale.

2.4.

Queste preoccupazioni sono state in particolare manifestate in due consultazioni pubbliche organizzate dalla Commissione europea: la prima durante i negoziati per il Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP) (2) nel 2014, e la seconda nell’ambito degli sforzi multilaterali per riformare il sistema di risoluzione delle controversie in materia di investimenti (3) nel 2017.

2.5.

Nella sua risoluzione dell’8 luglio 2015 sul Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP), il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di «sostituire il sistema ISDS con un nuovo sistema per la risoluzione delle controversie tra investitori e Stati, che sia soggetto ai principi e al controllo democratici, nell’ambito del quale i possibili casi siano trattati in modo trasparente da giudici togati, nominati pubblicamente e indipendenti durante udienze pubbliche e che preveda un meccanismo di appello in grado di assicurare la coerenza delle sentenze e il rispetto della giurisdizione dei tribunali dell’Unione e degli Stati membri, e nell’ambito del quale gli interessi privati non possano compromettere gli obiettivi di interesse pubblico» (4).

Sviluppi a livello dell’UE

2.6.

Quale risposta sia alle critiche mosse contro l’attuale sistema ISDS che alla pressione esercitata dalla società civile in merito alla necessità di riformare tale sistema, la Commissione ha proposto un sistema giurisdizionale per gli investimenti (ICS), ossia un sistema per la risoluzione delle controversie investitore-Stato, e lo ha inserito nell’accordo economico e commerciale globale (CETA) tra l’UE e il Canada, nonché negli accordi di libero scambio che l’UE ha concluso con Singapore e il Vietnam.

2.7.

In tale contesto, il CETA contempla — all’articolo 8. 29 — una disposizione specifica in cui si invitano le parti a considerare la possibilità di istituire in futuro un tribunale multilaterale per gli investimenti: «Le parti perseguono insieme ad altri partner commerciali la costituzione di un tribunale multilaterale per gli investimenti e l’istituzione di un meccanismo d’appello per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti. Al momento dell’istituzione di tale meccanismo multilaterale, il comitato misto CETA adotta una decisione che stabilisce che le controversie in materia di investimenti insorte nel quadro della presente sezione saranno risolte mediante ricorso a tale meccanismo multilaterale e adotta le misure transitorie appropriate».

2.8.

Tuttavia, nessuno dei suddetti accordi è stato sinora ratificato e, quanto all’inserimento dell’ICS nel CETA, è stato chiesto un parere alla Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale deve ancora esprimersi (5), e passeranno vari mesi prima che si giunga a una decisione.

2.9.

Il CESE prende atto che non è stato inserito un capitolo sulla protezione degli investimenti nell’accordo di partenariato economico che l’UE ha concluso con il Giappone, perché questo paese non ha potuto accettare la proposta dell’UE sull’ICS.

Coinvolgimento del CESE

2.10.

Nel corso dell’intero processo, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha partecipato attivamente al dibattito sulla modernizzazione e la riforma della protezione degli investimenti, e del sistema ISDS in particolare, anche tramite l’organizzazione di due audizioni pubbliche (nel giugno 2016 (6) e più recentemente nel febbraio 2018 (7)). Il tale contesto, il CESE ha adottato il parere REX/464 sul tema «La posizione del CESE su alcune questioni specifiche fondamentali sollevate nel quadro dei negoziati sul Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP)» (8) e il parere REX/411 sul tema «Tutela degli investitori e risoluzione delle controversie investitore-Stato negli accordi commerciali e di investimento dell’UE con i paesi terzi» (9).

2.11.

Il CESE ha riconosciuto che gli investimenti esteri diretti (IED) recano un contributo importante alla crescita economica, e che gli investitori esteri devono ricevere una protezione globale contro l’espropriazione diretta, non devono subire discriminazioni e devono godere di diritti equivalenti a quelli degli investitori nazionali.

2.12.

Al contempo, il CESE ha sottolineato che il diritto degli Stati di legiferare nell’interesse pubblico riveste un’importanza capitale e non deve essere compromesso dalle disposizioni di alcun accordo internazionale di investimento (AII). È quindi indispensabile che tale diritto sia sancito in modo inequivocabile da una clausola «orizzontale».

2.13.

In conclusione, secondo il CESE, il sistema giurisdizionale per gli investimenti proposto dalla Commissione europea ha rappresentato un passo nella giusta direzione, ma deve essere ulteriormente migliorato in un certo numero di settori al fine di operare come organo giurisdizionale internazionale indipendente. Il CESE ha inoltre rilevato che alcune parti interessate mettono in dubbio la necessità di introdurre un apposito sistema di arbitrato in materia di investimenti in sistemi giuridici nazionali ben funzionanti e altamente sviluppati.

2.14.

Con specifico riguardo al sistema ISDS, nel parere sul tema «Tutela degli investitori e risoluzione delle controversie investitore-Stato negli accordi commerciali e di investimento dell’UE con i paesi terzi» (10) il CESE ha espresso una serie di preoccupazioni, concernenti ad esempio i conflitti di interessi e i preconcetti degli arbitri, il problema delle liti temerarie, il «business» degli arbitrati, la tendenza a ricorrere al sistema ISDS senza prima cercare di avvalersi di altri mezzi di impugnazione, il ricorso superfluo al sistema ISDS tra paesi dotati di sistemi giudiziari sviluppati, la potenziale incompatibilità del sistema ISDS con il diritto dell’UE e la scarsa trasparenza dei procedimenti.

A livello multilaterale

2.15.

Allo stesso tempo, un dibattito sulla riforma del sistema ISDS ha luogo anche a livello multilaterale. Il 10 luglio 2017, a seguito di una richiesta ufficiale avanzata da molti dei suoi membri, tra cui l’Unione europea e i suoi Stati membri (11), la commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (UNCITRAL) ha deciso di istituire il gruppo di lavoro III, le cui attività saranno condotte dai governi e al quale è stato assegnato il mandato di 1) individuare e prendere in considerazione le preoccupazioni relative al sistema ISDS; 2) valutare se una riforma sia opportuna alla luce delle eventuali preoccupazioni individuate; e, 3) qualora il gruppo di lavoro giunga alla conclusione che la riforma è opportuna, sviluppare le soluzioni del caso da raccomandare all’UNCITRAL (12).

2.16.

In una prospettiva più ampia, anche la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad) apporta un contributo al dibattito in corso sulla riforma del sistema ISDS, offrendo un’analisi dell’attuale regime in materia di accordi internazionali di investimento (AII) e formulando raccomandazioni per la modernizzazione di tali accordi internazionali. Tra queste raccomandazioni figurano le seguenti: promuovere le interpretazioni comuni delle disposizioni dei trattati, modificare o sostituire i trattati obsoleti, fare riferimento agli standard mondiali, impegnarsi a livello multilaterale, ed estinguere i trattati obsoleti o recedere da essi (13).

2.17.

Secondo le statistiche dell’Unctad, messe in evidenza in occasione dell’audizione pubblica organizzata dal CESE nel febbraio del 2018, sono 107 gli accordi di investimento contenenti disposizioni relative al sistema ISDS che sono stati estinti negli ultimi anni senza essere stati sostituiti da un nuovo strumento. Lo scorso anno gli accordi di investimento risolti sono stati più numerosi di quelli conclusi (14). Il CESE osserva che alcuni paesi hanno iniziato a riconsiderare il loro approccio riguardo al sistema ISDS.

2.18.

Oltre a rivolgere l’attenzione alla riforma del sistema ISDS, il CESE desidera sottolineare che anche diversi strumenti di intervento possono contribuire a garantire un contesto economicamente valido per gli investimenti, tra cui:

il rafforzamento del sistema giudiziario nazionale;

l’introduzione di un’assicurazione per gli investitori, ad esempio mediante l’Agenzia multilaterale di garanzia degli investimenti della Banca mondiale;

la prevenzione delle controversie;

l’aumento delle modalità di conciliazione per la risoluzione delle controversie, ad esempio la mediazione;

la promozione degli investimenti; e

la risoluzione delle controversie investitore-Stato.

2.19.

Infine, il CESE prende atto della risoluzione 26/9 del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (ONU) del 26 giugno 2014, che sancisce la decisione di «istituire un gruppo di lavoro intergovernativo aperto sulle imprese transnazionali e altre imprese commerciali in materia di rispetto dei diritti umani, con il mandato di elaborare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante per regolamentare, nel diritto internazionale in materia di diritti umani, le attività delle società transnazionali e di altre imprese commerciali» (15). Questo cosiddetto trattato ONU vincolante, attualmente oggetto di discussione da parte dei membri aderenti a tale organizzazione, intende codificare gli obblighi internazionali in materia di diritti umani per le attività delle società transnazionali. Il CESE rileva gli effetti che ne potrebbero scaturire nel contesto dei trattati in materia di investimenti e di libero scambio sottoscritti in futuro.

Mandato della Commissione

2.20.

Il 13 settembre 2017 la Commissione europea ha pubblicato la «Raccomandazione di decisione del Consiglio che autorizza l’avvio di negoziati per una convenzione che istituisce un tribunale multilaterale per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti» (16). Il relativo mandato, modificato dagli Stati membri, è stato adottato dal Consiglio il 20 marzo 2018 (17).

2.21.

Con le direttive di negoziato adottate si cerca di istituire un tribunale permanente, formato da giudici indipendenti, che possa prendere decisioni destinate a durare, prevedibili e coerenti in merito a controversie in materia di investimenti tra investitori e Stati, sorte sulla base di accordi bilaterali o multilaterali, qualora entrambe le parti contraenti (o perlomeno due parti) abbiano convenuto di assoggettare tali accordi alla giurisdizione di detto tribunale. È altresì previsto un tribunale d’appello. In generale, il tribunale deve operare in modo efficiente, trasparente ed efficace sul piano dei costi, anche per quel che concerne la nomina dei giudici. Il tribunale deve anche prevedere la possibilità di presentare interventi di terzi (incluse, ad esempio, le organizzazioni ambientali e del lavoro interessate).

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE esprime apprezzamento nei confronti della Commissione europea per gli sforzi intrapresi a favore di una riforma multilaterale del sistema di risoluzione delle controversie investitore-Stato. Il CESE riconosce altresì la dinamica più ampia riguardante la riforma del sistema ISDS, gli sforzi multilaterali intrapresi nel quadro dell’UNCITRAL, nonché i vari sforzi profusi a livello nazionale.

3.2.

Il CESE ritiene fondamentale che l’UE rimanga aperta a tutte le opzioni di riforma del sistema ISDS, soprattutto alla luce dei diversi altri approcci e idee che sono emersi riguardo alla riforma dell’ISDS. Le proposte elaborate da altri paesi e organizzazioni dovrebbero essere considerate e valutate in particolare dal gruppo di lavoro III dell’UNCITRAL.

3.3.

In tale contesto, il CESE rileva che la consultazione pubblica avviata dalla Commissione sul tema «Opzioni relative a una riforma multilaterale della risoluzione delle controversie in materia di investimenti» era principalmente incentrata su questioni tecniche concernenti l’istituzione di un tribunale multilaterale per gli investimenti permanente. Il CESE tiene a sottolineare come, tra le parti interessate, si registri una grande diversità di vedute sulla questione se la valutazione della Commissione abbia tenuto conto di opinioni alternative.

3.4.

Anche se il processo negoziale relativo all’istituzione di un tribunale multilaterale per gli investimenti non è stato ancora avviato e sarà, probabilmente, lungo e complesso, il CESE accoglie favorevolmente l’impegno assunto dalla Commissione per una maggiore trasparenza, in particolare la pubblicazione del progetto di mandato negoziale. Il CESE plaude alla decisione del Consiglio di pubblicare il mandato finale approvato dagli Stati membri. Si tratta di un importante passo avanti nell’assicurare che le discussioni e i potenziali negoziati si svolgano in modo trasparente, responsabile e inclusivo.

3.5.

Le discussioni condotte sotto l’egida dell’UNCITRAL rappresentano, in particolare in termini di trasparenza, un passo nella giusta direzione, in quanto viene consentito alle organizzazioni non governative di monitorarle e persino di parteciparvi. Ciononostante, il CESE rileva che non tutte le parti interessate pertinenti sono ancora state ammesse a partecipare a questo processo, e osserva che l’UNCITRAL dovrebbe invitare un numero maggiore di organizzazioni — in rappresentanza delle imprese, dei sindacati e di altre organizzazioni di interesse pubblico — a contribuire ai lavori del gruppo di lavoro III. Il processo decisionale dovrebbe essere pienamente trasparente e basato sul consenso.

3.6.

Il CESE ritiene fondamentale che il gruppo di lavoro accolga il contributo apportato da tutte le parti interessate, in un’ottica di maggiore inclusività, e che il processo di selezione di tali parti sia ulteriormente migliorato e reso più equilibrato. In quest’ottica, il Comitato chiede alla Commissione europea di garantire un proprio maggiore coinvolgimento.

3.7.

L’istituzione di un tribunale multilaterale per gli investimenti rappresenta un progetto a lungo termine che richiede la partecipazione di una massa critica di Stati disposti a riconoscere la giurisdizione del tribunale. Pertanto, l’UE dovrebbe intraprendere tutti gli sforzi diplomatici necessari per convincere i paesi terzi a prendere parte a questi negoziati. Il CESE ritiene che sia particolarmente importante che tale progetto sia realizzato e sostenuto anche dai paesi in via di sviluppo.

3.8.

Qualsivoglia futuro tribunale multilaterale per gli investimenti dovrebbe puntare a razionalizzare la procedura per la risoluzione delle controversie nelle cause intentate tra investitori e Stati nel quadro dell’ampia gamma di accordi internazionali esistenti in materia di investimenti. Malgrado un certo grado di somiglianza tra le clausole sostanziali sulla protezione degli investimenti contenute nei trattati bilaterali di investimento (TBI) o negli accordi di libero scambio (ALS) che comprendono capitoli sulla protezione degli investimenti, la piena armonizzazione del sistema è di difficile realizzazione.

3.9.

A questo scopo, infatti, sarebbe necessaria una riforma più ampia. Benché non ancora in applicazione e attualmente oggetto di esame da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea, il sistema giurisdizionale per gli investimenti — già previsto nell’accordo economico e commerciale globale (CETA) (18) tra l’UE e il Canada, nonché negli accordi di libero scambio conclusi dall’UE con Singapore (19), il Vietnam (20) e il Messico, e da inserire negli accordi futuri — consentirebbe di contribuire, con l’esperienza maturata, all’elaborazione delle norme relative al tribunale multilaterale per gli investimenti.

3.10.

L’obiettivo della raccomandazione della Commissione europea consiste nell’istituire un nuovo sistema per la risoluzione delle controversie tra investitori e Stati. Il CESE riconosce che il nuovo sistema potrebbe fornire una risposta a una serie di preoccupazioni espresse dalla società civile. Tuttavia, alcune questioni fondamentali rimangono irrisolte e richiedono un chiarimento ulteriore.

Questioni fondamentali

3.11.

Prendendo atto del fatto che il processo di riforma multilaterale del sistema ISDS è ancora nelle fasi iniziali, le parti interessate hanno sollevato una serie di questioni fondamentali nel contesto dell’istituzione di un tribunale multilaterale per gli investimenti. Tali questioni vertono sugli aspetti relativi alla portata (se la riforma debba riguardare gli aspetti procedurali o sostanziali della protezione degli investimenti oppure ancora entrambi), alla legittimazione ad agire (se sarà consentito solo agli investitori oppure anche a terzi proporre ricorsi dinanzi al tribunale multilaterale per gli investimenti) e al previo esaurimento delle vie di ricorso nazionali (se debbano essere esaurite le vie di ricorso nazionali disponibili prima che un investitore possa intentare una causa nell’ambito di un futuro MIC). Il presente parere prende in esame tali questioni.

3.12.

Riguardo alle suddette questioni, il CESE tiene a far notare che l’eventuale istituzione di un tribunale multilaterale per gli investimenti dovrebbe tener conto sia del principio di sussidiarietà che dell’articolo 1 del trattato sull’Unione europea, secondo il quale «le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini» (21).

3.13.

Il CESE si rende conto che esistono timori circa la possibilità che il tribunale multilaterale per gli investimenti porti all’espansione del sistema ISDS senza dapprima affrontare adeguatamente le preoccupazioni esistenti relative al sistema giurisdizionale per gli investimenti (ICS), compresa la sua compatibilità con il diritto dell’UE. Anche il CESE è dell’avviso che un tribunale internazionale per gli investimenti non dovrebbe diventare in nessun caso un meccanismo sostitutivo generale per la risoluzione delle controversie interne dei paesi che dispongono di sistemi giudiziari adeguati.

3.14.

Diversi soggetti interessati hanno espresso significative preoccupazioni non solo riguardo alla riforma della procedura prima che venga valutato il diritto sostanziale che un futuro tribunale multilaterale per gli investimenti dovrà applicare, ma anche in rapporto all’autorità che verrà data a un organo multilaterale istituzionalizzato di interpretare tali norme. Analogamente, si nutre il timore che questo possa presumibilmente dare origine a un nuovo potere giuridico a sé stante. Altre parti interessate concordano con il punto di vista della Commissione europea secondo la quale il diritto sostanziale è definito negli accordi sottostanti.

4.   Portata della riforma proposta: distinguere tra clausole sostanziali di protezione e procedura di risoluzione delle controversie

4.1.

Il CESE rileva che la portata della riforma multilaterale proposta è stata limitata agli aspetti procedurali della risoluzione delle controversie tra investitori e Stati.

4.2.

Il CESE, pur ritenendo preferibile un approccio più generale che tenga conto delle preoccupazioni riguardanti sia gli aspetti sostanziali che quelli procedurali della protezione degli investimenti, si rende conto della complessità di tale approccio e della necessità di assicurare un sostegno politico a livello multilaterale.

4.3.

Sulla base delle discussioni condotte sotto l’egida dell’UNCITRAL, il gruppo di lavoro III ha individuato una serie di sfide, compresa la questione di stabilire se sia possibile avviare una riforma procedurale del sistema per la risoluzione delle controversie investitore-Stato prima che sia realizzata una riforma sostanziale. L’Uncitral ritiene che si tratti di un compito difficile, ma non impossibile. In tale contesto, il gruppo di lavoro III esaminerà questioni che possono essere messe in rapporto con la procedura ma che, al tempo stesso, possono incidere in misura significativa sulla legittimità e coerenza del sistema nel suo complesso, ad esempio un codice di condotta per gli arbitri, il finanziamento da parte di terzi e i procedimenti paralleli.

4.4.

La protezione sostanziale degli investimenti è generalmente assicurata attraverso l’applicazione di alcuni principi, tra cui il trattamento nazionale, il trattamento della nazione più favorita (NPF), il trattamento giusto ed equo e la garanzia del trasferimento di capitali. Ai ricorsi che gli investitori esteri possono presentare in materia di risoluzione delle controversie si applicano tuttavia delle limitazioni. Ad esempio, i ricorsi non possono essere motivati soltanto dalla perdita di profitto o da un semplice cambiamento della legislazione nazionale.

4.5.

Per far fronte a tali preoccupazioni, gli Stati adottano misure differenti. Tali misure vanno dagli approcci più generali, come lo sviluppo di nuovi modelli di accordo che mirano a riformare sia gli elementi sostanziali che quelli procedurali della protezione degli investimenti, a misure più mirate, incentrate sulla riforma della componente procedurale oppure di quella sostanziale della protezione degli investimenti. Il CESE osserva che l’UE ha già iniziato a promuovere un approccio più generale, perlomeno a livello bilaterale, mediante l’ICS.

4.6.

L’obiettivo formulato dalla Commissione è che, una volta istituito, il tribunale multilaterale per gli investimenti dovrebbe divenire il modello standard per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti in tutti i futuri accordi dell’UE e, al contempo, dovrebbe alla fine anche sostituire i meccanismi procedurali negli accordi di investimento vigenti sottoscritti dall’UE e dai suoi Stati membri.

4.7.

In tale contesto, se si procede in questa direzione, con l’istituzione di un tribunale multilaterale per gli investimenti verrebbe riformato l’attuale sistema ISDS allo scopo, da un lato, di assicurare l’effettiva protezione degli investimenti esteri diretti e, dall’altro, di fornire una risposta adeguata ai timori sollevati dalle parti interessate. Il CESE desidera mettere in evidenza che, a questo proposito, sono stati compiuti considerevoli progressi, in particolare nel contesto dei moderni accordi di libero scambio negoziati più di recente dall’UE.

5.   Il pubblico interesse

5.1.

Il CESE ritiene essenziale che il tribunale multilaterale per gli investimenti non pregiudichi in alcun modo la capacità dell’UE e degli Stati membri di adempiere agli obblighi assunti nel quadro degli accordi internazionali in materia di ambiente, diritti umani e lavoro, nonché di protezione dei consumatori.

5.2.

Innanzitutto, l’accordo che istituisce il tribunale multilaterale per gli investimenti dovrebbe includere una clausola sulla gerarchia delle fonti che garantisca che, in caso di conflitto tra un accordo internazionale di investimento e un accordo internazionale (in materia ambientale, sociale o di diritti umani) vincolante per una delle parti della controversia, prevalgano gli obblighi stabiliti in quest’ultimo accordo, onde evitare che sia data la priorità agli accordi tra investitori (22). Tale clausola è particolarmente importante per garantire che le parti che accettano la giurisdizione di un tribunale multilaterale per gli investimenti dispongano del margine di manovra necessario per raggiungere gli obiettivi stabiliti nell’accordo di Parigi, che richiede notevoli cambiamenti in termini di regolamentazione per realizzare con successo la transizione energetica.

5.3.

Sono necessarie salvaguardie procedurali contro i ricorsi che abbiano per oggetto la normativa nazionale sul pubblico interesse, per garantire il diritto delle parti a legiferare nel pubblico interesse, come ritengano opportuno, per quel che concerne la protezione degli investitori. Il CESE è dell’avviso che tale obiettivo possa essere raggiunto in misura sufficiente soltanto introducendo una clausola di esclusione per motivi di interesse pubblico. Una clausola siffatta, tuttavia, dovrà essere accompagnata da opportune garanzie atte a evitare che se ne abusi a fini protezionistici. In quest’ottica, bisogna che, in relazione al diritto di legiferare in materia di protezione sociale, siano esplicitamente indicati i contratti collettivi, compresi gli accordi tripartiti e/o generalizzati (ossia valevoli erga omnes), sì da evitare che possano essere interpretati come una violazione delle legittime aspettative di un investitore (23).

5.4.

Il CESE osserva che l’articolo 8.18, paragrafo 3 del CETA già garantisce che un investitore non possa presentare un ricorso se l’investimento è stato realizzato mediante inganno, occultamento, corruzione o comportamenti che costituiscono uno sviamento di procedura. Un possibile accordo futuro che istituisca il tribunale multilaterale per gli investimenti dovrebbe garantire che tale clausola venga estesa al diritto applicabile per quel che concerne la frode, l’abuso dei diritti umani o la violazione del diritto (internazionale) in materia ambientale, sociale o dei consumatori.

5.5.

Nelle norme procedurali del tribunale multilaterale per gli investimenti andrebbero inoltre inseriti criteri rigorosi volti a impedire i ricorsi futili e ad assicurare il rapido rigetto delle cause infondate. L’esistenza di procedure preliminari accelerate per rigettare i ricorsi futili è importante, poiché consentirà di confutare una delle critiche mosse contro l’attuale sistema, garantendo che in futuro non si faccia un uso improprio del tribunale. Inoltre, una tale procedura accelerata per i ricorsi infondati contribuirà alla riduzione dei costi del funzionamento del tribunale.

5.6.

Il CESE rileva che un motivo di preoccupazione sollevato durante l’audizione pubblica riguardava la possibilità di finanziamento delle controversie da parte di terzi. Il finanziamento da parte di terzi potrebbe non rispondere all’obiettivo originario previsto negli accordi di investimento e potrebbe dare origine a incentivi perversi. Il CESE raccomanda pertanto di esaminare l’impatto e la necessità del finanziamento da parte di terzi e la relativa regolamentazione nel quadro del tribunale multilaterale per gli investimenti (24).

6.   Diritti e domande riconvenzionali di terzi

6.1.

Il CESE è dell’opinione che consentire di presentare osservazioni a titolo di amicus curiae (25) — possibilità attualmente già prevista nel contesto di un considerevole numero di procedimenti del sistema ISDS — rappresenti un gradito passo avanti al fine di garantire un sistema equo ed equilibrato. Tuttavia, il CESE ritiene essenziale garantire che la convenzione che istituisce il tribunale multilaterale per gli investimenti non consenta solo l’ammissibilità delle osservazioni a titolo di amicus curiae, ma assicuri anche che i giudici siano tenuti a prenderle in debita considerazione nelle loro deliberazioni.

6.2.

Pertanto il CESE accoglie favorevolmente l’inclusione, nel mandato per il tribunale multilaterale per gli investimenti, della possibilità di presentare interventi di terzi. Ciononostante, il CESE raccomanda di esaminare il ruolo delle terze parti al di là dell’attuale regolamento dell’UNCITRAL, al fine di garantire un sistema equo ed equilibrato e diritti effettivi per i terzi interessati, che possono essere residenti del luogo considerato, lavoratori, sindacati, gruppi ambientalisti o consumatori.

6.3.

Il CESE si compiace per gli sforzi intrapresi dalla Commissione, nel quadro della proposta di istituire un sistema giurisdizionale per gli investimenti all’interno del TTIP, volti sia a prevedere la possibilità, per terze parti, di presentare interventi che a chiarire il mandato, nel senso di permettere a tutti i soggetti coinvolti che hanno un interesse giuridico in una determinata causa di presentare un intervento. Il CESE chiede alla Commissione di garantire che i criteri permanenti nel contesto del tribunale multilaterale per gli investimenti non rappresentino un’inutile limitazione e consentano un equo accesso ai procedimenti, in piena sintonia con gli obblighi sottoscritti dall’UE nella convenzione di Aarhus e nel rispetto dello spirito a cui tali obblighi sono stati informati.

6.4.

Alcuni soggetti interessati sostengono il punto di vista secondo cui il tribunale multilaterale per gli investimenti dovrebbe anche essere in grado di esaminare i ricorsi proposti da terzi, nonché le domande riconvenzionali avanzate dagli Stati contro gli investitori, in linea con gli attuali sviluppi nel quadro del vecchio sistema ISDS. Tale questione solleva una serie di problematiche giuridiche e pratiche che devono essere esaminate accuratamente. Questa possibilità, ad esempio, dipende dal diritto applicabile, vale a dire dalle disposizioni sostanziali incluse negli accordi sottoposti alla giurisdizione del tribunale.

6.5.

Il CESE chiede alla Commissione di garantire che il tribunale multilaterale per gli investimenti non si rifiuti quantomeno di accogliere ricorsi presentati da terze parti interessate contro investitori esteri. In quest’ottica, una convenzione che istituisca un tribunale multilaterale per gli investimenti potrebbe contemplare disposizioni che consentano tali ricorsi qualora le parti contraenti di un accordo internazionale abbiano acconsentito a sottoporre queste controversie alla giurisdizione di detto tribunale.

7.   Rapporto con gli organi giurisdizionali nazionali

7.1.

Il CESE ritiene che il MIC non possa in alcun caso pregiudicare il sistema giudiziario dell’UE e l’autonomia del diritto dell’Unione. Il CESE rammenta di aver constatato nel proprio parere REX/411 che vi sono forti preoccupazioni quanto ai rapporti tra le decisioni adottate in base al sistema ISDS e l’ordinamento giuridico dell’UE (in particolare i Trattati europei e le costituzioni nazionali). Pertanto il CESE reputava «assolutamente necessaria» una verifica da parte della Corte di giustizia dell’UE, «in base a un procedimento formale di richiesta di parere, della compatibilità del sistema ISDS con il diritto dell’UE, prima che le istituzioni competenti giungano a una decisione e prima dell’entrata in vigore provvisoria di qualsiasi AII negoziato dalla CE».

7.2.

In tale contesto, il CESE vorrebbe richiamare l’attenzione su due casi esaminati dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, che si basavano sul precedente sistema di arbitrato ISDS e sono pertinenti alla discussione. In primo luogo, nel suo parere 2/15 del 16 maggio 2017 in merito all’accordo di libero scambio tra l’UE e Singapore, la Corte ha dichiarato che l’UE non dispone di una competenza esclusiva in materia di ISDS e ha rilevato che un siffatto regime «sottrae delle controversie alla competenza giurisdizionale degli Stati membri». In secondo luogo, nella sentenza pronunciata nella causa C-284/16 (Slovacchia/Achmea BV) in materia di accordi di investimento all’interno dell’UE, la Corte ha constatato che il sistema ISDS sottrae le controversie alla competenza degli organi giurisdizionali degli Stati membri dell’UE, e quindi al sistema di tutela giurisdizionale previsto dal sistema giuridico dell’Unione.

7.3.

Il CESE si rallegra del fatto che il governo belga abbia domandato alla Corte un parere a norma dell’articolo 218, paragrafo 11, del TFUE sulla compatibilità del sistema giurisdizionale per gli investimenti previsto dal CETA con i trattati europei, come richiesto dal CESE nel suo parere su alcune questioni specifiche fondamentali sollevate nel quadro dei negoziati sul TTIP (26). Il CESE esprime l’auspicio che il parere 1/17 della Corte possa fornire alle istituzioni dell’UE i tanto necessari orientamenti riguardo a questioni importanti di diritto costituzionale europeo.

7.4.

Il CESE riconosce che alcune parti interessate ritengono che il modo più efficace per preservare i poteri degli organi giurisdizionali nazionali sia quello di limitare la capacità di stare in giudizio davanti al tribunale multilaterale per gli investimenti agli Stati e alle organizzazioni internazionali quali l’UE. Il sistema per la risoluzione delle controversie tra Stati costituisce il meccanismo standard per la risoluzione delle controversie nel campo del diritto internazionale pubblico, è stato già utilizzato in diversi accordi di investimento e dovrebbe essere pertanto preferito in relazione al diritto in materia di investimenti. Il CESE osserva che altri soggetti interessati ritengono che il sistema di risoluzione delle controversie investitore-Stato sia un’opzione più efficace in caso di investimento, in quanto, a loro avviso, consente una risoluzione delle controversie neutrale, depoliticizzata ed efficiente sul piano dei costi. Fin dalla sua istituzione, avvenuta alcuni decenni fa, esso è il sistema standard per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti.

7.5.

Il CESE osserva che la questione del rapporto tra gli organi giurisdizionali nazionali e il tribunale multilaterale per gli investimenti è considerata sotto differenti angolazioni dalle varie parti interessate. Mentre alcune ritengono che il tribunale multilaterale per gli investimenti debba essere considerato come l’ultima istanza, una volta esauriti obbligatoriamente i mezzi di ricorso nazionali, altre sostengono che l’approccio attualmente seguito dalla Commissione secondo cui «non si torna indietro» costituisce un buon punto di partenza nel caso del tribunale multilaterale per gli investimenti.

7.6.

L’approccio di «non ritorno» accorda all’investitore il diritto di adire un tribunale nazionale oppure di rivolgersi direttamente al sistema giurisdizionale per gli investimenti o al tribunale multilaterale per gli investimenti. Tuttavia, una volta che la causa sia stata conclusa dinanzi a un organo giurisdizionale, un investitore non può adire l’altro organo giurisdizionale per intentarla nuovamente. Alcune parti interessate ritengono che tale approccio risponda adeguatamente alle preoccupazioni sollevate dal fatto che gli investitori hanno la possibilità di chiedere riparazione, per la stessa presunta violazione, dinanzi a diversi organi giurisdizionali. Rilevano anche che diversi accordi internazionali di investimento seguono tale approccio (27). Secondo un’analisi fornita dall’Unctad (28), la clausola relativa all’approccio di «non ritorno» ha lo scopo di evitare la concomitante presentazione di una domanda di arbitrato internazionale da parte di un investitore che dichiara presunte violazioni dell’accordo internazionale di investimento, e di un ricorso nazionale intentato dalla sussidiaria dell’investitore che dichiara presunte violazioni di un contratto o del diritto nazionale.

7.7.

Il requisito del previo esaurimento delle vie di ricorso nazionali costituisce un principio fondamentale del diritto internazionale consuetudinario e del diritto internazionale in materia di diritti umani. Vi sono altresì diversi accordi di investimento conclusi dagli Stati membri dell’UE con paesi terzi che richiedono esplicitamente ai ricorrenti di esaurire le vie di ricorso nazionali (29). La logica di tale norma è quella di dare allo Stato in cui è stata compiuta la violazione la possibilità di risolvere il caso ricorrendo ai propri mezzi, nel quadro del proprio sistema giuridico nazionali, e viene applicata ogniqualvolta i procedimenti nazionali e internazionali mirano a ottenere lo stesso risultato (30). La Corte internazionale di giustizia ha constatato che ciò è talmente importante da non poter essere interpretato come un aspetto implicitamente tralasciato attraverso un accordo internazionale (31). Per questi motivi, alcune parti interessate ritengono importante che tale norma venga esplicitamente inserita nell’accordo che istituisce il tribunale multilaterale per gli investimenti.

7.8.

Considerate le argomentazioni summenzionate, il CESE invita la Commissione europea ad esaminare ulteriormente la questione riguardante l’esaurimento delle vie di ricorso nazionali e come tale questione sia inquadrabile nel contesto del tribunale multilaterale per gli investimenti.

8.

Indipendenza e legittimità dei giudici

8.1.

Indipendentemente dalla sua struttura istituzionale (organizzazione internazionale a sé stante oppure legata a un’istituzione esistente), l’indipendenza del tribunale multilaterale per gli investimenti dovrebbe essere salvaguardata. La nomina di giudici permanenti è considerata un fattore cruciale affinché inizi a formarsi una giurisprudenza e quindi aumenti la prevedibilità delle decisioni; ci si discosta così dall’impostazione del sistema ISDS, che viene spesso percepito come un rimedio ad hoc, «caso per caso».

8.2.

Se si vuole portare avanti l’istituzione del tribunale multilaterale per gli investimenti, dotare il medesimo di giudici permanenti dovrebbe costituire l’obiettivo ultimo. Nelle fasi iniziali dell’istituzione di suddetto tribunale, questo dovrebbe essere in grado di organizzarsi tenendo conto del numero di cause che dovrà esaminare. Questo dipende sia dal numero di parti che sin dall’inizio aderiranno alla convenzione che istituisce il tribunale, sia dal numero di accordi che saranno sottoposti alla giurisdizione del tribunale.

8.3.

Benché il metodo di nomina dei giudici non sia specificato nelle raccomandazioni della Commissione europea sul mandato, il CESE accoglie con favore l’impegno a fissare criteri chiari e di alto livello anche per quanto concerne le qualifiche dei candidati e il rispetto di un codice di condotta — come ad esempio la Magna Charta dei giudici (32) — che garantiscano l’assenza di conflitti di interessi e l’indipendenza dei giudici. Ciò è essenziale per salvaguardare lo Stato di diritto e la fiducia dei cittadini.

8.4.

Per quanto concerne le qualifiche dei giudici, andrebbero richieste competenze dimostrabili non soltanto nel campo del diritto internazionale pubblico, ma anche nei settori del diritto in materia di investimenti, consumatori, ambiente, diritti umani, lavoro e risoluzione delle controversie. Questo è cruciale per assicurare che i giudici abbiano maturato la necessaria esperienza per gestire le diverse tipologie di cause, pertinenti a differenti settori e tipi di investimento, che saranno sottoposti alla giurisdizione del tribunale, e siano in grado di comprendere appieno e di valutare adeguatamente il contesto giuridico.

8.5.

Inoltre, il CESE è favorevole a una procedura per la nomina dei giudici che sia trasparente e conforme a criteri che assicurino un’equa rappresentanza di tutte le parti aderenti alla convenzione che istituisce il tribunale. Il processo di selezione dovrebbe essere trasparente e soggetto ai princìpi del controllo pubblico.

8.6.

Un altro elemento cruciale per migliorare la credibilità e la legittimità del sistema consiste nell’assicurare la trasparenza e l’accessibilità delle informazioni al pubblico in generale, oltre che l’accesso da parte dei soggetti interessati, ad esempio attraverso l’accreditamento. Il regolamento dell’UNCITRAL sulla trasparenza nell’arbitrato tra investitori e Stato, basato su trattati, e la convenzione delle Nazioni Unite sulla trasparenza nell’arbitrato tra investitori e Stato, basato su trattati (la convenzione delle Mauritius sulla trasparenza), dovrebbero fornire il punto di partenza per le regole sulla trasparenza in un futuro tribunale multilaterale per gli investimenti.

9.   Un sistema efficace

9.1.

Il tribunale multilaterale per gli investimenti verrebbe dotato di un segretariato incaricato di fornirgli un efficace supporto amministrativo. Anche se non è attualmente chiaro se il tribunale sarà un’organizzazione di nuova costituzione, oppure se sarà legato a un’organizzazione internazionale esistente, bisognerà garantire che siano stanziate le risorse sufficienti per il funzionamento del segretariato.

9.2.

Nel progetto di mandato viene proposto che i costi amministrativi siano sostenuti dalle parti secondo un’equa ripartizione che tenga conto di diversi criteri, tra cui il livello di sviluppo economico delle parti, il numero di accordi sottoscritto da ciascuna parte e il volume degli stock e dei flussi di investimenti internazionali di ogni parte.

9.3.

Per quanto riguarda la ripartizione dei costi connessi all’esame delle cause da parte del tribunale arbitrale (ad eccezione della retribuzione dei giudici che, come proposto, dovrebbe essere fissa), il progetto di mandato non dispone alcunché. Il CESE chiede chiarimenti sulla questione.

9.4.

Una notevole quantità di investimenti esteri diretti (IED) è realizzata dalle piccole e medie imprese (PMI), che devono godere dello stesso livello di protezione e devono poter accedere al sistema di risoluzione delle controversie a condizioni e costi ragionevoli.

9.5.

Andrebbe inoltre considerata la possibilità di istituire un meccanismo di conciliazione che abbia la finalità di aiutare le parti a risolvere le controversie in modo amichevole.

9.6.

Tutte le decisioni del tribunale dovrebbero avere valore esecutivo e dovrebbero essere rese pubbliche.

10.   Alto livello di protezione ed eventuale periodo transitorio

10.1.

È importante osservare che un presupposto fondamentale affinché un accordo sia sottoposto alla giurisdizione del tribunale è che entrambe le parti aderenti all’accordo diano il loro assenso. Questo significa, in concreto, che nessuno degli accordi firmati dall’UE o dai suoi Stati membri rientrerà automaticamente nella giurisdizione del tribunale, a meno che la terza parte pertinente non lo accetti.

10.2.

A tale riguardo, per garantire un livello elevato di protezione degli investimenti durante l’eventuale periodo transitorio tra l’attuale sistema ISDS e l’ICS e fino all’istituzione di un MIC, le procedure concordate per la risoluzione delle controversie continueranno ad applicarsi, stanti la validità e la legittimità costituzionale di un MIC ai sensi del diritto dell’UE, in attesa che la Corte di giustizia si pronunci sulla richiesta del Belgio (33).

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  http://www.oecd-ilibrary.org/finance-and-investment/societal-benefits-and-costs-of-international-investment-agreements_e5f85c3d-en

(2)  http://trade.ec.europa.eu/consultations/index.cfm?consul_id=179

(3)  http://trade.ec.europa.eu/consultations/index.cfm?consul_id=233

(4)  http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2015-0252+0+DOC+XML+V0//IT

(5)  Il 6 settembre 2017 il Belgio ha richiesto un parere della Corte di giustizia dell’Unione europea in merito alla compatibilità dell’ICS con 1) la competenza esclusiva di detta Corte per quanto concerne l’interpretazione definitiva del diritto dell’Unione; 2) il principio generale di uguaglianza e il requisito dell’effetto utile del diritto dell’Unione; 3) il diritto di accesso agli organi giurisdizionali; 4) il diritto a un sistema giudiziario indipendente e imparziale. (https://diplomatie.belgium.be/sites/default/files/downloads/ceta_summary.pdf)

(6)  https://www.eesc.europa.eu/it/node/47646

(7)  https://www.eesc.europa.eu/en/agenda/our-events/events/multilateral-investment-court-hearing

(8)  Cfr. «La posizione del CESE su alcune questioni specifiche fondamentali sollevate nel quadro dei negoziati sul Partenariato transatlantico su commercio e investimenti (TTIP)» (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 30).

(9)  Cfr. il parere d’iniziativa del CESE sul tema «Tutela degli investitori e risoluzione delle controversie investitore-Stato negli accordi commerciali e di investimento dell’UE con i paesi terzi» (GU C 332 dell'8.10.2015, pag. 45). Il parere contiene un allegato che fa riferimento a un possibile strumento multilaterale per la risoluzione delle controversie tra investitori e Stati.

(10)  Cfr. nota a piè di pagina 9.

(11)  L’UE non è uno Stato, e pertanto non è un membro dell’UNCITRAL, ma ha lo status di osservatore privilegiato in seno a tale commissione.

(12)  http://daccess-ods.un.org/access.nsf/Get?OpenAgent&DS=A/CN.9/WG.III/WP.142&Lang=E

(13)  http://unctad.org/en/PublicationsLibrary/diaepcb2017d3_en.pdf

(14)  Unctad, nota informativa sugli AII, Recent Developments in the International Investment Regime («Sviluppi recenti nel regime in materia di accordi internazionali di investimento»), maggio 2018, disponibile online all’indirizzo http://investmentpolicyhub.unctad.org/Publications/Details/1186

(15)  http://www.ohchr.org/EN/HRBodies/HRC/WGTransCorp/Pages/IGWGOnTNC.aspx

(16)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=COM:2017:493:FIN

(17)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-12981-2017-ADD-1-DCL-1/it/pdf

(18)  https://www.eesc.europa.eu/it/agenda/our-events/events/multilateral-investment-court-hearing

(19)  Nel parere 2/15 del 16 maggio 2017, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha chiarito la natura dell’accordo di libero scambio tra l’UE e Singapore, specificando quali parti dell’accordo sono di esclusiva competenza dell’UE e quali rientrano nella cosiddetta «competenza mista», che richiede la ratifica da parte dei parlamenti nazionali (https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2017-05/cp170052it.pdf).

(20)  Ad esempio, l’accordo di libero scambio che l’UE ha concluso con il Cile (attualmente in corso di aggiornamento), l’accordo di partenariato economico tra l’UE e il Giappone (concluso nel 2017, non contiene un capitolo sulla protezione degli investimenti, ma le parti hanno convenuto che la questione sarà ulteriormente discussa e affrontata in futuro), nonché i futuri accordi di libero scambio con l’Australia e la Nuova Zelanda.

(21)  Inoltre, questa norma costituisce parte integrante anche dei trattati internazionali in materia di diritti umani, compresa la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).

(22)  Per un’analisi critica delle controversie già decise con il sistema ISDS, cfr. A. Kulick, Global Public Interest in International Investment Law, Cambridge University Press, 2012, pagg. 225-306.

(23)  Cfr. nota a piè di pagina 8.

(24)  http://ccsi.columbia.edu/work/projects/third-party-funding-in-investor-state-dispute-settlement/

(25)  Amicus curiae significa, letteralmente, «amico della corte». Un soggetto che abbia un forte interesse o un’opinione significativa riguardo all’oggetto di una causa, ma non sia parte nel relativo procedimento, può chiedere al giudice l’autorizzazione a presentare delle osservazioni, apparentemente per conto di una parte, ma in realtà per suggerire al giudice stesso una linea di ragionamento coerente con le proprie opinioni. Per maggiori informazioni si rinvia a https://legal-dictionary.thefreedictionary.com/amicus+curiae.

(26)  Cfr. nota a piè di pagina 8.

(27)  Molti accordi conclusi dagli Stati Uniti e dal Canada non contemplano disposizioni concernenti l’approccio di «non ritorno». Cfr. ad esempio, l’articolo 26 del trattato bilaterale di investimento (TBI) tra il Canada e la Giordania (2009) che disciplina le condizioni a cui è subordinata la presentazione della domanda di arbitrato.

(28)  Unctad series on Issues in International Investment Agreements II, Investor-State Dispute Settlement («Serie dell’Unctad sulle questioni concernenti gli accordi internazionali di investimento II — Risoluzione delle controversie investitore-Stato»), Unctad, 2014, http://unctad.org/en/PublicationsLibrary/diaeia2013d2_en.pdf

(29)  Cfr., ad esempio, l’articolo 5 del trattato bilaterale di investimento (TBI) tra Germania e Israele del 1976, l’articolo 8 del TBI tra Egitto e Svezia del 1978, l’articolo 7 del TBI tra Romania e Sri Lanka del 1981, l’articolo 8 del TBI tra Albania e Lituania del 2007, l’articolo XI del TBB tra Uruguay e Spagna del 1992, l’articolo X del TBI tra Uruguay e Polonia del 1991.

(30)  Interhandel (Svizzera contro Stati Uniti), obiezioni preliminari, 1959, Corte internazionale di giustizia Rep. 6, 27 (21 marzo). Disponibile online all’indirizzo: http://www.icj-cij.org/docket/files/34/2299.pdf, 27.

(31)  Elettronica Sicula SpA (ELSI) (Italia contro Stati Uniti), sentenza, 1989, Corte internazionale di giustizia, Rep. 15, 28 I.L.M. 1109 (20 luglio), paragrafo 50.

(32)  https://rm.coe.int/16807482c6

(33)  Cfr. nota a piè di pagina 5.


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/156


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento di assistenza preadesione (IPA III)»

[COM(2018) 465 final — 2018/0247 (COD)]

(2019/C 110/28)

Relatore:

Dimitris DIMITRIADIS

Consultazione

Parlamento europeo, 02/07/2018

Commissione europea, 12/07/2018

Consiglio dell’Unione europea, 18/07/2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

23/11/2018

Adozione in sessione plenaria

12/12/2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

181/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento di assistenza preadesione (IPA III) per il periodo 2021-2027.

1.2.

Il CESE apprezza altresì l’affermazione secondo cui l’IPA III dovrebbe assegnare al criterio dei risultati un ruolo più centrale, cosa che permetterebbe un maggiore riorientamento complessivo degli stanziamenti dei fondi affinché questi tengano conto degli impegni dei beneficiari e dei progressi compiuti verso le riforme. L’impiego di indicatori di rendimento contribuirà alla valutazione complessiva dell’IPA III ed è conforme alle raccomandazioni precedentemente formulate per l’IPA II (1).

1.3.

Il CESE è convinto che l’istituzione dello strumento di assistenza preadesione sia conforme alla nuova strategia della Commissione europea per i Balcani occidentali «Una prospettiva di allargamento credibile e un maggior impegno dell’UE per i Balcani occidentali», pubblicata il 6 febbraio 2018, e alle sue sei iniziative faro che riguardano il consolidamento dello Stato di diritto, il rafforzamento della cooperazione in materia di sicurezza e migrazione attraverso le squadre investigative comuni, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, l’ampliamento dell’Unione dell’energia dell’UE ai Balcani occidentali, la riduzione delle tariffe di roaming e la diffusione della banda larga nella regione (2). È altresì conforme alla politica di allargamento dell’Unione europea in vista di una possibile futura adesione della Turchia.

1.4.

Il CESE ribadisce la propria posizione, fondata sull’articolo 49 del trattato sull’Unione europea, il quale stabilisce che ogni Stato europeo che osservi i valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone che appartengono a minoranze, e che si impegni a promuovere tali valori può domandare di diventare membro dell’Unione.

1.5.

Il CESE si rallegra per il fatto che, stando alla proposta della Commissione europea, l’importo di riferimento finanziario indicato dalla proposta di regolamento sull’IPA III per il periodo dal 2021 al 2027 sarà pari a circa 14,5 miliardi di euro.

1.6.

Il CESE si compiace inoltre per il fatto che il 25 % delle spese dell’UE contribuirà al conseguimento degli obiettivi in materia di clima.

1.7.

Il CESE apprezza che l’IPA III introduca una maggiore flessibilità, evitando di fissare subito le assegnazioni destinate ai partner. Il quadro di programmazione dell’IPA dovrebbe basarsi sull’evoluzione delle esigenze e garantire un equilibrio tra prevedibilità e finanziamenti basati sui risultati.

1.8.

Il CESE sottolinea che le osservazioni formulate dopo la valutazione intermedia dell’IPA II (3) e molte delle precedenti raccomandazioni del CESE (4) dovrebbero essere adottate senza riserve sia dalla Commissione europea che dai paesi candidati e potenziali candidati.

1.9.

Il CESE sottolinea l’importanza dell’assistenza preadesione per la promozione delle riforme economiche e la creazione di un contesto imprenditoriale favorevole e prevedibile al fine di stimolare l’imprenditorialità e la creazione di imprese e aiutare le PMI a crescere, incrementando così la competitività, la crescita economica e la creazione di nuovi e dignitosi posti di lavoro.

1.10.

Il CESE mette altresì in risalto l’importanza dei programmi di riforma economica e di un coinvolgimento significativo delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile nel processo di sviluppo e attuazione di tali programmi. Il CESE chiede di assegnare maggiori fondi, incluse le sovvenzioni organizzative, al rafforzamento delle capacità delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile per consentire loro di partecipare efficacemente a tali processi. Vanno inoltre incoraggiati i miglioramenti della qualità e del contenuto del dialogo sociale nei paesi candidati e potenziali candidati.

1.11.

A giudizio del CESE, il finanziamento erogato dall’IPA III è importante per l’integrazione delle economie dei Balcani occidentali nell’UE.

1.12.

Il CESE è del parere che i progressi dei beneficiari dell’IPA verso le riforme sia essenziale per l’assorbimento (tra il 64,3 % e l’88,9 % per l’IPA II) e lo sfruttamento di questi fondi ed evidenzia l’esigenza di rafforzare una cultura di cooperazione tra i beneficiari dei Balcani occidentali. Il caso della Turchia è assai più complesso e delicato. Il finanziamento di un paese in cui non si può escludere un ulteriore deterioramento della situazione relativa ai diritti civili impone cautela e l’applicazione del principio di condizionalità.

1.13.

Il CESE sottolinea la necessità di utilizzare l’assistenza preadesione per rafforzare la capacità dell’amministrazione dei paesi candidati e potenziali candidati al fine di prepararli all’utilizzo futuro dei fondi strutturali e alla partecipazione alla politica agricola comune dell’UE (PAC).

1.14.

Il CESE è fermamente convinto che l’UE debba mettere a punto meccanismi rigorosi ed efficienti per monitorare la distribuzione dell’assistenza preadesione a tutti i paesi candidati e potenziali candidati. Soprattutto nel caso della Turchia, è opportuno dedicare maggiore attenzione ai ritardi cronici che si registrano in vari settori.

1.15.

Il CESE osserva che sarà necessario accelerare l’attuazione dell’IPA III, in particolare nei primi anni, per evitare che si formino arretrati strutturali a livello di aggiudicazione dei contratti e attuazione e per recuperare gradualmente i ritardi attuali. La Commissione dovrebbe seguire con particolare attenzione la gestione indiretta con i beneficiari. La valutazione intermedia ha evidenziato che, sebbene l’impatto in termini di una maggiore titolarità sia considerato positivo, i risultati dal punto di vista dell’aggiudicazione dei contratti sono stati insoddisfacenti e si sono registrati notevoli ritardi nell’attuazione, in particolare in Turchia.

1.16.

Il CESE sottolinea che il monitoraggio deve essere effettuato sulla base degli indicatori definiti nella proposta della Commissione europea. I pertinenti indicatori di rendimento saranno definiti e inclusi nel quadro di programmazione dell’IPA, e ai destinatari dei fondi dell’UE saranno imposti obblighi di rendicontazione proporzionati. Per la valutazione dei risultati dell’assistenza fornita nel quadro dell’IPA III, si farà riferimento alle relazioni sull’allargamento. Il sistema di rendicontazione sui risultati dovrebbe garantire la raccolta efficiente, efficace e tempestiva dei dati ai fini del monitoraggio dell’attuazione e dei risultati.

1.17.

A giudizio del CESE, la Commissione dovrebbe procedere periodicamente al monitoraggio delle proprie azioni e all’esame dei progressi compiuti verso il conseguimento dei risultati. Tali valutazioni accerteranno l’impatto dello strumento sul terreno, sulla base di indicatori e obiettivi pertinenti e di un’analisi particolareggiata della misura in cui lo strumento può essere ritenuto pertinente, efficace ed efficiente, tale da fornire sufficiente valore aggiunto UE e coerente con le altre politiche dell’UE. Le valutazioni comprenderanno gli insegnamenti tratti dalle esperienze passate al fine di individuare eventuali carenze o problemi o eventuali possibilità di migliorare ulteriormente le azioni o i loro risultati e di contribuire a ottimizzarne lo sfruttamento e l’impatto.

1.18.

Il CESE è fermamente convinto dell’opportunità di fissare parametri e diffondere le migliori pratiche tra i paesi candidati e potenziali candidati per potenziare la loro capacità di assorbimento attivo dei finanziamenti.

1.19.

Il CESE sottolinea che la nuova proposta di regolamento attribuisce importanza anche all’intensificazione del coordinamento e della cooperazione con altri donatori e istituzioni finanziarie, anche del settore privato.

1.20.

Il CESE invita la Commissione a esplorare il potenziale di una prospettiva di più lungo termine per l’attuazione. Ciò servirà a migliorare il livello di prevedibilità e ad alleviare la pressione delle scadenze, soprattutto allorché nel periodo in corso si accumulano ritardi significativi.

1.21.

Il CESE nota la necessità di migliorare la qualità generale dei documenti (di lavoro) utilizzati per la pianificazione dell’approccio settoriale, nonché di chiarire la pianificazione dell’approccio settoriale con tutti i soggetti pertinenti. A tale scopo, raccomanda pure di adottare misure per migliorare la capacità della Commissione europea di integrare le questioni orizzontali. Vi è l’esigenza complessiva di rafforzare le capacità di tutte le istituzioni coinvolte nella realizzazione dell’assistenza preadesione, anche con un uso proporzionato dell’assistenza tecnica a sostegno di tali istituzioni nei paesi candidati e potenziali candidati.

1.22.

Il CESE ritiene che l’IPA III dovrebbe essere utilizzato per migliorare la comprensione dei valori fondamentali dell’UE, nonché per promuovere il valore aggiunto dell’assistenza preadesione tra i cittadini dei paesi candidati e potenziali candidati, in particolare attraverso programmi di sovvenzioni gestiti dalle delegazioni dell’Unione europea.

1.23.

Il CESE accoglie con favore la volontà di legare l’assistenza preadesione a fattori quali: (a) lo Stato di diritto, (b) la buona governance e i diritti fondamentali, (c) lo sviluppo socioeconomico, (d) l’adozione delle politiche e dell’acquis dell’Unione, (e) le relazioni di buon vicinato e la riconciliazione e (f) la cooperazione regionale.

2.   Stato di diritto, buona governance e diritti fondamentali

2.1.

Il CESE sottolinea che esiste ancora una forte divergenza tra le norme UE e quelle vigenti in tutti i paesi candidati e potenziali candidati. In Turchia la situazione sembra peggiorata, soprattutto dopo il fallito colpo di Stato del luglio 2016 e l’imposizione della legge marziale.

2.2.

A giudizio del CESE, l’IPA III dovrebbe continuare a investire nei progetti riguardanti lo Stato di diritto che hanno aiutato i paesi a istituire organismi giudiziari e di contrasto solidi e professionali, indipendenti e liberi da influenze esterne.

2.3.

Il CESE è altresì convinto che si debba manifestare un interesse specifico per la formazione di un sistema efficiente di protezione delle frontiere, gestione dei flussi migratori, prevenzione delle crisi umanitarie e offerta di asilo a chi ne ha bisogno. Un’assistenza tecnica dell’UE a sostegno delle pratiche di buona governance in questi settori potrebbe rivelarsi particolarmente utile. Inoltre, tutti i paesi candidati e potenziali candidati devono mettere a punto meccanismi per la prevenzione della criminalità organizzata e la lotta al terrorismo e all’immigrazione illegale. La Turchia dovrebbe impegnarsi più decisamente nell’attuazione dell’accordo con l’UE firmato il 28 marzo 2016, inteso ad arrestare il flusso della migrazione irregolare che dalla Turchia si dirige in Europa (5).

2.4.

Il CESE rileva che in tutti i paesi candidati e potenziali candidati il settore pubblico soffre ancora di problemi quali il clientelismo, la mancanza di trasparenza, la corruzione e la disuguaglianza.

2.5.

Il CESE non ignora che in tutti i paesi candidati e potenziali candidati le minoranze devono ancora affrontare innumerevoli problemi causati da atteggiamenti e comportamenti discriminatori.

2.6.

Il CESE è fermamente convinto che l’assistenza preadesione debba privilegiare le iniziative miranti a riformare e depoliticizzare il settore pubblico, promuovere la trasparenza e la rendicontabilità, potenziare i servizi amministrativi online (eGovernment) e migliorare la gestione. A questo proposito, l’assistenza preadesione dovrebbe essere utilizzata per creare opportunità concrete per il coinvolgimento della più ampia gamma possibile di organizzazioni della società civile nella formazione delle politiche pubbliche.

2.7.

Il CESE è persuaso che sia necessario riconoscere il ruolo significativo della società civile per l’affermazione dello Stato di diritto, e che quindi occorra privilegiare le iniziative della società civile nei programmi dell’assistenza preadesione.

2.8.

Il CESE giudica inoltre necessario privilegiare, nell’assistenza preadesione, le istituzioni di finanziamento che agevolano e promuovono l’uguaglianza e il rispetto dei diritti civili.

3.   Sviluppo socioeconomico

3.1.

Il CESE riconosce che la necessità di erogare assistenza finanziaria a questi partner è dimostrata dal persistere di elevati tassi di disoccupazione (per esempio il 21,6 % nella ex Repubblica iugoslava di Macedonia e il 35,3 % in Kosovo (*1) nel primo trimestre del 2018) e dalla lentezza del recupero nei confronti dei paesi dell’UE in termini di PIL pro capite.

3.2.

Il CESE è perfettamente consapevole che la povertà, la disoccupazione elevata, l’economia informale, i bassi salari, la corruzione, le condotte illecite, l’emigrazione di lavoratori qualificati e la fuga di cervelli sono fenomeni che interessano tutti i partner dei Balcani occidentali (6) così come la Turchia.

3.3.

Il CESE ritiene che il ruolo dell’istruzione in tutti i partner dei Balcani occidentali e in Turchia, compresa la parità di accesso ai sistemi d’istruzione, sia un fattore fondamentale in termini di promozione dei valori europei, educazione alla tolleranza nei confronti delle minoranze, promozione della parità di genere, lotta contro i pregiudizi e rafforzamento della coesione sociale.

3.4.

Il CESE ritiene inoltre opportuno attuare, tramite l’IPA III, una «agenda della coesione sociale», migliorando l’efficienza e l’efficacia dei sistemi di istruzione e affrontando così il problema della carenza di competenze e degli squilibri tra domanda e offerta di competenze, nonché le difficoltà generate sul mercato del lavoro dai cambiamenti tecnologici e digitali nell’economia. Un maggiore sostegno finanziario per i programmi di istruzione professionale, l’apprendistato e i programmi di apprendimento permanente, nonché un maggiore coinvolgimento, nella loro concezione, delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile pertinenti, contribuirebbero a ridurre lo squilibrio tra domanda e offerta di competenze nel mercato del lavoro e gli elevati livelli di disoccupazione, come pure a diminuire il numero di posti di lavoro che rimangono vacanti.

3.5.

Il CESE giudica importante istituire, tramite l’assistenza preadesione, meccanismi di lotta alla povertà e accesso al mercato del lavoro, rivolti soprattutto a giovani, donne e gruppi minoritari, così da prevenire l’emigrazione e la fuga dei cervelli.

3.6.

A giudizio del CESE, l’approfondimento e l’ampliamento del dialogo sociale costituiscono una condizione imprescindibile dello sviluppo socioeconomico. Le parti sociali devono svolgere un ruolo importante nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche.

3.7.

Il CESE è fermamente convinto che, nella distribuzione dell’assistenza preadesione, i paesi candidati e potenziali candidati debbano dare la priorità alle azioni volte ad incrementare la capacità di rafforzare la stabilità macroeconomica e a sostenere i progressi verso la creazione di un’economia di mercato funzionante, in grado di far fronte alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato all’interno dell’Unione. Occorre tuttavia dedicare un’attenzione particolare anche al livello imprenditoriale delle economie dei beneficiari di IPA III, e non vanno trascurati elementi quali l’imprenditorialità, il lavoro autonomo, le PMI e i microfinanziamenti.

3.8.

Il CESE invita a moltiplicare gli sforzi per migliorare l’orientamento al mercato del settore privato e la competitività delle imprese private tramite la distribuzione dell’assistenza preadesione.

3.9.

A giudizio del CESE, nell’ambito di IPA III si dovrebbero mettere a disposizione delle organizzazioni della società civile sovvenzioni di funzionamento estese ad almeno 36 mesi.

3.10.

Il CESE ritiene che l’impatto dei regimi di riassegnazione di minore entità diretti alle organizzazioni della società civile rurali, di base e di piccole dimensioni nell’ambito dell’IPA II dovrebbe essere ulteriormente rafforzato, in particolare attraverso una partecipazione molto più approfondita di tali organizzazioni a tutte le fasi di programmazione di ciascuno dei regimi di riassegnazione.

3.11.

Il CESE sottolinea la necessità di erogare aiuti tramite le istituzioni di assistenza preadesione, allo scopo di agevolare la distribuzione e le tecnologie digitali, tutelare l’ambiente e fissare gli standard più elevati di sicurezza nucleare.

3.12.

Il CESE ritiene inoltre che si debba privilegiare, per quanto riguarda l’erogazione dell’assistenza preadesione, la creazione di istituzioni che promuovano la parità di accesso all’istruzione per l’infanzia, lo sviluppo dell’istruzione professionale, una miglior qualità dell’istruzione superiore e il potenziamento dell’apprendimento permanente, nonché l’introduzione di meccanismi/organi che disciplinino i rapporti di lavoro, procedure per la contrattazione collettiva e la risoluzione delle vertenze di lavoro, come pure procedure di dialogo strutturato tra le parti sociali.

4.   Adozione delle politiche e dell’acquis dell’UE

4.1.

Il CESE è consapevole della forte divergenza esistente tra le norme UE e quelle vigenti in tutti i paesi candidati e potenziali candidati.

4.2.

Il CESE ritiene importante promuovere l’allineamento di norme, politiche e pratiche vigenti nei paesi candidati e potenziali candidati a quelle dell’Unione, comprese le norme sugli aiuti di Stato.

4.3.

Il CESE sottolinea che, oltre all’armonizzazione con la parte legislativa dell’acquis comunitario, i paesi candidati e potenziali candidati dovranno prendere confidenza ed eventualmente armonizzarsi con politiche che sono attualmente oggetto di discussione ed elaborazione in seno all’UE, come il pilastro europeo dei diritti sociali, gli obiettivi di sviluppo del millennio dell’ONU (OSM) e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, nonché con la cooperazione tra gli Stati membri dell’UE per quanto riguarda i flussi di rifugiati e migranti e il controllo integrato delle frontiere.

5.   Relazioni di buon vicinato e riconciliazione

5.1.

I paesi candidati e potenziali candidati dei Balcani occidentali e la Turchia portano ancora i segni delle ferite inferte da guerre e conflitti e presentano tuttora problemi legati all’odio etnico, alla presenza di movimenti irredentisti e a conflitti congelati che potrebbero esplodere nuovamente. È necessario promuovere con forza la risoluzione delle questioni bilaterali più pressanti prima dell’adesione all’UE, anche se insistere sulla risoluzione di tutte le questioni in sospeso potrebbe ritardare tale processo. Incoraggiando il rilancio del commercio e di altre relazioni economiche tra questi paesi, sarebbe possibile contribuire alla risoluzione dei conflitti e alla crescita economica.

5.2.

Il CESE accoglie con favore le iniziative lanciate da istituzioni pubbliche del settore della cultura e dell’istruzione, dal mondo accademico e da organizzazioni della società civile per favorire la riconciliazione, le relazioni di buon vicinato e un approccio critico nei confronti del passato.

5.3.

Il CESE ribadisce che rafforzare le capacità delle organizzazioni della società civile e delle parti sociali (comprese le associazioni professionali) e incoraggiare il lavoro in rete a tutti i livelli tra le organizzazioni dell’UE e quelle dei beneficiari significa agevolare il processo di integrazione.

5.4.

A giudizio del CESE, l’IPA III dovrebbe erogare finanziamenti alle organizzazioni della società civile che intendono ampliare lo spazio civico per l’impegno e la partecipazione. Nell’ambito dell’IPA III sarebbe opportuno estendere il sostegno alle infrastrutture nonché alle reti e piattaforme tematiche regionali della società civile.

6.   Cooperazione regionale

6.1.

Le reti dell’energia e dei trasporti dovrebbero essere un fattore di sviluppo e di interconnettività per la regione. Ciò garantirebbe che i cittadini dei paesi candidati e potenziali candidati dei Balcani occidentali e della Turchia si facciano un’idea chiara dei vantaggi sociali, economici e ambientali derivanti dall’adesione all’UE. Ad esempio, l’efficienza energetica e il risparmio di energia consentono di generare attività per le imprese e di creare posti di lavoro, sia verdi che tradizionali.

6.2.

Il CESE ritiene opportuno privilegiare, nel quadro dell’assistenza preadesione, le istituzioni e le iniziative che creano collegamenti tra i paesi candidati e potenziali candidati nei settori dell’energia, della comunicazione, della digitalizzazione, dell’innovazione, dei trasporti e della tutela dell’ambiente. La cooperazione instaurata tra le città di Kula in Bulgaria e Boljevac in Serbia, che intendevano acquistare veicoli speciali, droni di sorveglianza ed equipaggiamenti protettivi personalizzati per la lotta agli incendi boschivi, potrebbe costituire un esempio di buona pratica (7).

6.3.

Il CESE sostiene il trattato che istituisce la Comunità dei trasporti firmato dall’UE e dai paesi candidati e potenziali candidati dei Balcani occidentali il 12 luglio 2017, e incoraggia le parti a svilupparlo ulteriormente. A tale riguardo, la Commissione europea, la Banca europea per gli investimenti e i partner dei Balcani occidentali dovrebbero concentrare i loro investimenti sui collegamenti tra la rete centrale TEN-T dell’UE e le infrastrutture dei Balcani occidentali. Pertanto, è ora necessario elaborare un programma condiviso, che individui i fondi disponibili e definisca un calendario comune.

6.4.

Il miglioramento delle infrastrutture permetterà di ridurre i costi dei trasporti e dell’energia e faciliterà l’arrivo di investimenti consistenti nella regione, come pure il commercio intraregionale. Inoltre, la promozione di una migliore digitalizzazione e la graduale riduzione delle tariffe di roaming nei Balcani occidentali contribuiranno allo sviluppo di attività economiche, all’aumento della produttività e a miglioramenti nella qualità della vita. La carenza di infrastrutture non è però l’ostacolo principale alla cooperazione tra i partner dei Balcani occidentali. Le ostilità del passato e le controversie ancora irrisolte che li contrappongono hanno limitato la portata e i contenuti della cooperazione. Per porre parziale rimedio a questa situazione, l’IPA potrebbe incoraggiare il varo di progetti IPA di cooperazione transfrontaliera.

6.5.

Si dovrebbe fare ricorso ai media e ad altre forme di comunicazione per dare risalto alla presenza e all’importanza delle attività dell’UE nei paesi candidati e potenziali candidati. Occorre inoltre rafforzare la capacità dei funzionari locali in materia di gestione e attuazione dei progetti durante l’intero processo di adesione all’UE.

7.   Osservazioni particolari sul progetto di regolamento IPA III

7.1.

Il CESE rileva che la proposta si basa sui risultati e sugli insegnamenti appresi durante i precedenti periodi di programmazione, e la giudica idonea a realizzare gli obiettivi previsti. Ribadisce tuttavia che i paesi candidati e potenziali candidati devono affrontare sfide assai differenti da quelle che si pongono agli Stati membri; una grande flessibilità è perciò assolutamente necessaria.

7.2.

Il CESE approva senza riserve gli obiettivi dichiarati dell’IPA III, ma ricorda che nel breve periodo è difficile rilevare effetti diretti. Raccomanda pertanto di valutare meticolosamente il valore aggiunto degli interventi futuri dal punto di vista dell’entità dell’impegno, del peso politico e del sostegno per gran parte dei beneficiari. Va apprezzato il fatto che il sostegno al bilancio erogato nell’attuale periodo di programmazione sia servito da catalizzatore del cambiamento istituzionale e abbia promosso il dialogo politico nei paesi destinatari (per esempio Serbia, Montenegro e Albania).

7.3.

Alla luce della difficile situazione in cui versa la maggior parte dei beneficiari, il CESE raccomanda di semplificare adeguatamente i requisiti di documentazione e di privilegiare il sostegno, nonché la garanzia della titolarità dei risultati per i destinatari. A tale scopo, è opportuno proseguire negli sforzi per sviluppare ulteriormente la modalità di gestione indiretta con il paese beneficiario, parallelamente ad azioni di potenziamento delle capacità che aiutino i portatori di interessi a impegnarsi costruttivamente nel processo generale di programmazione.

7.4.

Il CESE reputa necessario rafforzare la complementarità dell’IPA III con le azioni finanziate nel quadro di altre fonti di finanziamento nei paesi candidati e potenziali candidati.

7.5.

Il CESE suggerisce di adottare, durante il processo di negoziazione, misure specifiche a livello nazionale nei paesi candidati e potenziali candidati per superare le strozzature, le inefficienze e i ritardi cronici emersi durante l’attuale periodo di programmazione. Evidentemente, bisogna tenere presente l’entità relativamente limitata dei fondi IPA rispetto ai bilanci nazionali di alcuni paesi beneficiari, nonché la necessità di mantenere uno stabile consenso tra la Commissione europea e le istituzioni nazionali di tali paesi; queste considerazioni devono fornire il contesto del dialogo politico.

8.   Migliori pratiche

8.1.

Moduli di domanda: devono essere ulteriormente semplificati e unificati, in particolare nell’ambito dell’IPA, ma anche rispetto ad altri donatori e alle prescrizioni della legislazione nazionale. Vi è un numero eccessivo di orientamenti e istruzioni: esistono margini di unificazione, sintetizzando le specifiche in un capitolo separato.

8.2.

Occorre migliorare le qualifiche, le conoscenze e le competenze delle amministrazioni aggiudicatrici, compresi gli organismi di controllo/audit, soprattutto quando sia necessario interpretare determinate questioni e i tempi di risposta siano conseguentemente molto lunghi.

8.3.

Alcuni regimi di sovvenzioni prevedono requisiti eccessivi per quanto riguarda l’analisi del contesto del progetto, la situazione delle varie regioni ecc., il che può rivelarsi alquanto oneroso per i normali richiedenti. Il metodo si può rovesciare. Le amministrazioni aggiudicatrici possono ingaggiare esperti per svolgere tali analisi e valutare la fattibilità di un progetto.

8.4.

Un approccio che agevoli maggiormente i richiedenti: è possibile esaminare in anticipo i fascicoli delle domande, oppure farli consultare da funzionari delle rispettive amministrazioni (o da fornitori di assistenza tecnica); sarebbe inoltre opportuno concedere tempi più lunghi per adempiere le prescrizioni amministrative.

8.5.

Modifiche del contratto: occorre garantire flessibilità e procedure più rapide. Di solito un programma viene definito nell’arco di uno o due anni, cui fa seguito un lungo iter procedurale; sarà quindi necessario introdurre strumenti flessibili per la modifica dei contratti.

8.6.

Pubbliche relazioni, marchi e visibilità: vi sono margini per semplificare e ottimizzare i requisiti. Va inoltre incrementata la visibilità dei progetti finanziati dall’UE.

8.7.

È opportuno modificare le schede di settore e di progetto concernenti i valori obiettivo degli indicatori, per sincronizzarle con il periodo di attuazione effettivo.

8.8.

I contratti di riforma settoriale contribuiranno alla realizzazione delle riforme politiche e al conseguimento di risultati specifici per i vari settori. Nel quadro dell’IPA III si possono adottare misure come l’impiego di personale qualificato nella struttura operativa e un sostegno tecnico adeguato e costante alla struttura operativa. È opportuno consolidare la titolarità del processo per i principali portatori di interessi. Problemi di programmazione: la successione dei contratti nell’arco del programma può portare al mancato rispetto delle scadenze del contratto, e quindi all’insorgere di svariate criticità nel processo di attuazione.

8.9.

I potenziali rischi emersi durante il periodo di riferimento di IPA II evidenziano la necessità di garantire l’impegno e una cooperazione e coordinamento interministeriali efficienti. Ciò è dovuto alla complessità degli interventi e alle responsabilità condivise tra specifiche istituzioni nazionali, dal momento che le riforme previste rientrano fra le responsabilità di diversi settori pubblici.

8.10.

I problemi di preparazione per gli appalti/l’aggiudicazione dei contratti a livello di progetto risiedono essenzialmente nella difficoltà di rispettare i prerequisiti e di coordinarsi e mettersi in sequenza con altri progetti/contratti collegati, ma anche nella scarsa capacità di preparare in tempo utile una documentazione di qualità per la gara.

8.11.

Dal punto di vista dell’aggiudicazione dei contratti, è opportuno approfondire i seguenti insegnamenti principali: carenza di capacità provocata dalle fluttuazioni di personale nelle istituzioni del beneficiario; qualità inadeguata della documentazione presentata dai beneficiari; mancanza di specifiche competenze interne di carattere pratico per i progetti più complessi; necessità di consolidare la titolarità del processo per i principali portatori di interessi; una successione dei contratti impegnativa nel programma che può portare al mancato rispetto del contratto e/o della scadenza di attuazione; tempestivo adempimento dei prerequisiti ecc.

8.12.

Un problema che si riscontra spesso è quello della discrepanza tra gli indicatori nelle schede di settore/di progetto iniziali e i valori successivi alla fine del periodo di riferimento del programma. Inoltre, in alcuni casi la qualità e la portata degli indicatori sono inadeguate, e ciò impedisce di monitorare in maniera efficiente l’attuazione del programma.

8.13.

Il contenuto di alcuni dei contratti gestiti dalle autorità decentrate dipende dai risultati dei contratti precedenti conclusi dalle amministrazioni aggiudicatrici centrali, con conseguenti rischi per quanto riguarda la rapidità delle gare e dell’attuazione dei suddetti contratti.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE sul tema Strumento di assistenza preadesione/Strumento europeo di vicinato (GU C 11 del 15.1.2013, pag. 77).

(2)  I principi fondamentali della strategia dell’UE nei confronti dei Balcani occidentali sono stati fissati dalla Commissione il 6 febbraio 2018 nella comunicazione «Una prospettiva di allargamento credibile e un maggiore impegno dell'UE per i Balcani occidentali», COM(2018) 65 final.

(3)  Cfr. https://ec.europa.eu/europeaid/evaluation-instrument-pre-accession-assistance-ipa-ii-draft-report_en

(4)  Cfr. nota 1.

(5)  http://www.europarl.europa.eu/legislative-train/theme-towards-a-new-policy-on-migration/file-eu-turkey-statement-action-plan

(*1)  Tale designazione non pregiudica la posizione riguardo allo status ed è in linea con la risoluzione 1244 dell’UNSC e con il parere della CIG sulla dichiarazione di indipendenza del Kosovo.

(6)  Parere del CESE sul tema Coesione economica e sociale e integrazione europea dei Balcani occidentali — sfide e priorità (GU C 262 del 25.7.2018, pag. 15).

(7)  https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/3/2018/IT/COM-2017-654-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF


22.3.2019   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 110/163


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale e strumento per la cooperazione in materia di sicurezza nucleare»

[COM(2018) 460 final]

(2019/C 110/29)

Relatore:

Cristian PÎRVULESCU

Consultazione

Parlamento europeo, 2.7.2018

Commissione europea, 12.7.2018

Consiglio dell’Unione europea, 18.7.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

Articolo 206 del trattato Euratom

 

 

Sezione competente

Relazioni esterne

Adozione in sezione

23.11.2018

Adozione in sessione plenaria

12.12.2018

Sessione plenaria n.

539

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

176/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale

1.1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene gli obiettivi generali e specifici della proposta e reputa ben accetta ed utile la mossa di razionalizzazione degli strumenti utilizzati in relazione al vicinato e ai paesi terzi. L’UE deve sviluppare con il vicinato e i paesi terzi un rapporto costruttivo, realistico e pragmatico in cui i valori devono rimanere un elemento centrale.

1.1.2.

Il Comitato rileva la determinazione manifesta nella proposta, da parte della Commissione, delle altre istituzioni europee e degli Stati membri, a sostenere lo sviluppo della società civile, della democrazia e dei sistemi di protezione dei diritti umani. Il funzionamento del nuovo strumento consolidato dovrebbe essere orientato, in tutte le sue tappe — dalla pianificazione al monitoraggio e alla valutazione — a promuovere i valori dell’UE, tra cui lo Stato di diritto, l’integrità, il pluralismo, la democrazia e la protezione dei diritti umani. In tale contesto il CESE sollecita la Commissione europea ad aumentare sensibilmente la dotazione per i programmi tematici per i diritti umani e la democrazia e per la società civile.

1.1.3.

Il Comitato sostiene quanto si propone lo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale, ossia di affermare e promuovere i valori e gli interessi dell’Unione in tutto il mondo al fine di perseguire gli obiettivi e i principi della sua azione esterna. La comunicazione asserisce inoltre che, nell’attuazione del regolamento, si garantirà la coerenza con gli altri settori dell’azione esterna e con le altre politiche dell’Unione interessate, come indicato nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (Agenda 2030). Ciò significa tenere conto dell’impatto di tutte le politiche sullo sviluppo sostenibile a tutti i livelli: nazionale, dell’UE, di altri paesi e mondiale.

1.1.4.

Il Comitato coglie quest’opportunità per rammentare all’Unione europea che l’Agenda 2030 prospetta un mondo in cui ciascun paese, tenendo conto dei diversi livelli di sviluppo e capacità nazionali, goda di una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, di uno sviluppo sociale comprensivo di opportunità di lavoro dignitose per tutti e della protezione ambientale. Un mondo in cui la democrazia, il buon governo e lo Stato di diritto, nonché un ambiente foriero di possibilità a livello nazionale e internazionale, sono elementi essenziali dello sviluppo sostenibile.

1.1.5.

Questa grande responsabilità del sostegno al piano d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità dell’Agenda 2030 esige una maggiore concentrazione sugli strumenti di sostegno e sulle modalità con cui sono organizzati e si accordano alle difficili realtà della politica globale. La razionalizzazione e l’unificazione degli strumenti utilizzati costituiscono un grande passo in avanti verso un’azione efficiente, orientata alle priorità nel perseguimento degli obiettivi proposti. L’UE si trova sovente nella posizione di agire con decisione a sostegno dei gruppi e degli individui più vulnerabili. Si tratta di una responsabilità che si deve conservare e della quale ci si deve debitamente far carico.

1.1.6.

Il vicinato e i paesi terzi affrontano numerosi problemi di rilievo, diversi e sovrapposti. Nell’attuale clima mondiale, in cui le riforme per la promozione della democratizzazione, della stabilizzazione politica e dello sviluppo economico sembrano aver raggiunto uno stallo, l’UE deve intensificare i propri sforzi, anziché abbandonarli, e mantenere contatti costanti con i governi dei paesi limitrofi e terzi, motivandoli ed incoraggiandoli a cooperare in modo responsabile. Le sue relazioni con i suddetti governi, fondate sui partenariati, dovrebbero essere solide, assertive e saldamente orientate al miglioramento delle condizioni di vita delle persone che vi vivono.

1.1.7.

Il Comitato esorta l’UE ad adottare un atteggiamento proattivo tra il momento attuale e il 2030, per sostenere la fine della povertà e della fame, combattere le disuguaglianze in seno ai paesi e tra di essi, costruire società pacifiche, giuste ed inclusive, proteggere i diritti umani e promuovere la parità di genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze, nonché per assicurare la protezione duratura del pianeta e delle sue risorse naturali.

1.1.8.

Il Comitato accoglie con favore l’iniziativa, presente nella proposta in oggetto, di ridurre il fardello amministrativo a carico delle istituzioni e degli Stati membri dell’UE e di concentrarsi maggiormente sugli obiettivi politici e sull’impegno nei confronti dei partner esterni. Il Comitato accoglie con favore e sostiene i significativi progressi illustrati nella proposta, vale a dire la maggiore semplificazione e flessibilità e il più efficace monitoraggio dei risultati.

1.1.9.

Il Comitato accoglie con favore il fatto che i poteri di bilancio e controllo del Parlamento europeo sarebbero estesi a seguito dell’inserimento nel bilancio dell’UE delle attività attualmente finanziate dal Fondo europeo di sviluppo (FES).

1.1.10.

Il Comitato esorta la Commissione europea a mettere a profitto i vantaggi e i progressi realizzati con gli strumenti precedenti. Ad esempio, lo strumento per la democrazia e i diritti umani ha riconosciuto tutti i diritti economici, sociali e culturali, e promosso il dialogo sociale (1). Le organizzazioni della società civile che lottano per la libertà, la democrazia, i diritti umani e l’equità dei processi elettorali sono state sostenute nonostante l’atteggiamento ostile di alcuni governi nei loro confronti. Tale impegno dovrebbe essere mantenuto e promosso.

1.1.11.

Il Comitato sottolinea l’importanza dei processi democratici ed elettorali nei paesi del vicinato e nei paesi terzi, e incoraggia la Commissione europea a dare priorità allo sviluppo di istituzioni elettorali solide e indipendenti. Le istituzioni dell’UE dovrebbero collaborare strettamente con la Commissione di Venezia, il Consiglio d’Europa, l’OSCE e le reti di esperti elettorali al fine di concretizzare il sostegno cruciale che apportano a processi elettorali equi e solidi.

1.1.12.

Il Comitato incoraggia gli Stati membri a cooperare pienamente, in virtù delle loro relazioni di lunga data con i paesi vicini e i paesi terzi, al fine di migliorare i risultati conseguiti con questo strumento.

1.1.13.

Il Comitato sostiene le raccomandazioni esposte nel parere dal Comitato delle regioni ed incoraggia altresì la Commissione a garantire, in tutti i casi, che le diverse parti interessate, compresi gli enti locali e regionali, siano debitamente consultate e dispongano di un accesso tempestivo alle informazioni pertinenti che permetta loro di svolgere un ruolo significativo in sede di progettazione, attuazione e monitoraggio dei programmi. Il Comitato evidenzia inoltre come la democrazia a livello subnazionale debba figurare tra i principi guida, dal momento che il livello locale e regionale è quello nel quale i cittadini possono avere l’esperienza più diretta della democrazia.

1.2.   Strumento per la cooperazione in materia di sicurezza nucleare

1.2.1.

Per quanto attiene allo strumento europeo per la sicurezza nucleare, dopo la catastrofe nucleare di Fukushima, è emerso con perfetta chiarezza che i problemi e i rischi dell’utilizzo dell’energia nucleare hanno dimensione mondiale. Purtroppo, la proposta non si occupa a livello politico e strategico della legittima richiesta di pianificazione a lungo termine in fatto di energia nucleare che viene dai cittadini, dalla società civile e dal settore imprenditoriale.

1.2.2.

Il Comitato accoglie con favore l’intenzione della Commissione di includere attività nel settore nucleare che sono in linea con la politica di cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale per progetti in campo sanitario, agricolo, industriale e sociale intesi ad affrontare le conseguenze di eventuali incidenti nucleari. Non risulta tuttavia chiaro il modo in cui il bilancio disponibile e gli assetti istituzionali esistenti sono in grado di realizzare nella pratica quest’intento.

1.2.3.

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica svolge un ruolo essenziale e dovrebbe assumersi la responsabilità di garantire la trasparenza e assicurare l’allarme rapido in relazione allo sviluppo di nuove centrali nucleari in tutto il mondo. L’UE dovrebbe cooperare pienamente con le istituzioni e le organizzazioni mondiali al fine di promuovere la sicurezza nucleare.

1.2.4.

Sono necessari nuovi sforzi per assicurare che i siti già esistenti e quelli programmati nel vicinato europeo operino con standard elevati di trasparenza e sicurezza. Il CESE invita tutti gli Stati membri a sostenere questo obiettivo e a trasformare la sicurezza nucleare in un obiettivo fondamentale delle relazioni bilaterali e multilaterali con i paesi partner.

1.2.5.

Oltre a ciò, in considerazione delle sfide mondiali fondamentali inerenti all’energia nucleare e della presenza di un numero elevato di centrali nucleari nel suo vicinato, il Comitato giudica gravemente insufficiente la dotazione finanziaria in progetto (300 milioni di EUR a prezzi correnti) per l’attuazione del regolamento per il periodo 2021 — 2027.

2.   Osservazioni generali

2.1.   Contesto della proposta — Strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale

2.1.1.

Il capitolo «Vicinato e resto del mondo» della comunicazione stabilisce le principali priorità e il quadro di bilancio complessivo dei programmi dell’azione esterna dell’UE, tra cui l’istituzione dello strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale.

2.1.2.

La proposta consentirà all’UE di continuare a svolgere un ruolo attivo in vari campi, tra cui la promozione dei diritti umani, la prosperità, la stabilizzazione, lo sviluppo, la sicurezza, il contrasto alle cause profonde dell’immigrazione irregolare, il commercio, la lotta ai cambiamenti climatici e la tutela dell’ambiente. L’UE, tuttavia, sarà in grado di farlo in modo più organico e potrà disporre al contempo di una maggiore flessibilità per poter spostare le risorse dove servono quando il contesto internazionale cambia.

2.1.3.

La proposta fornisce un quadro per favorire la messa in atto delle politiche di azione esterna e degli obblighi internazionali. Tra gli obblighi internazionali figurano l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, il programma d’azione di Addis Abeba, il quadro di Sendai per la riduzione del rischio di catastrofi (2015-2030) e la risoluzione 2282 (2016) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sul mantenimento della pace. Nell’ambito dell’UE, il quadro strategico include le disposizioni del trattato sull’azione esterna, che vengono ulteriormente precisate dalla strategia globale dell’UE per la politica estera e di sicurezza, dal nuovo consenso europeo in materia di sviluppo, dal rinnovato partenariato UE-Africa e dalla politica europea di vicinato riesaminata, nonché da altri documenti strategici. Il regolamento costituirà anche il quadro per l’attuazione del partenariato che farà seguito all’attuale accordo di Cotonou, il quale istituisce un’associazione e un partenariato tra i membri del gruppo dei paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico e l’Unione europea e i suoi Stati membri.

2.1.4.

La conclusione della valutazione dell’impatto era che la maggior parte degli strumenti, salvo quelli molto specifici come gli aiuti umanitari che si ispirano al principio di neutralità, potrebbe essere fatta confluire in un unico strumento, ossia il regolamento di esecuzione comune, lo strumento di cooperazione allo sviluppo, il Fondo europeo di sviluppo, il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile, il mandato per i prestiti esterni, lo strumento europeo di vicinato, lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani, il fondo di garanzia, lo strumento inteso a contribuire alla stabilità e alla pace e lo strumento di partenariato. Gli strumenti che non dovrebbero essere inclusi sono: lo strumento di assistenza preadesione, gli aiuti umanitari, il bilancio per la politica estera e di sicurezza comune, i paesi e territori d’oltremare (compresa la Groenlandia), il meccanismo di protezione civile dell’Unione, l’iniziativa «Volontari dell’UE per gli aiuti umanitari», il sostegno alla comunità turco-cipriota, la riserva per gli aiuti di emergenza e il nuovo strumento europeo per la pace.

2.1.5.

La fusione di una serie di strumenti in un unico strumento di ampio respiro offrirà la possibilità di razionalizzarne i sistemi di gestione e di controllo, in modo da ridurre l’onere amministrativo per le istituzioni dell’UE e gli Stati membri. Invece di concentrarsi su molteplici processi di programmazione, le discussioni verteranno maggiormente sugli obiettivi politici e l’impegno con i partner esterni. Inoltre, le azioni che ricevono un finanziamento cumulativo da diversi programmi dell’Unione saranno sottoposte ad un unico audit per tutti i programmi interessati e le rispettive norme applicabili.

2.1.6.

Semplificazione non significa minore controllo o responsabilità. L’equilibrio interistituzionale verrebbe pienamente mantenuto. Anzi, con l’inserimento nel bilancio dell’UE delle attività attualmente finanziate dal Fondo europeo di sviluppo, i poteri di bilancio e controllo del Parlamento europeo verrebbero estesi.

2.1.7.

La dotazione finanziaria dovrà essere composta da:

a)

68 000 milioni di EUR per i programmi tematici:

per il vicinato dell’UE: almeno 22 000 milioni di EUR;

per l’Africa subsahariana: almeno 32 000 milioni di EUR;

per l’Asia e il Pacifico: 10 000 milioni di EUR;

per le Americhe e i Caraibi: 4 000 milioni di EUR;

b)

7 000 milioni di EUR per i programmi tematici:

per i diritti umani e la democrazia: 1 500 milioni di EUR;

per le organizzazioni della società civile: 1 500 milioni di EUR;

per la stabilità e la pace: 1 000 milioni di EUR;

per le sfide mondiali: 3 000 milioni di EUR;

c)

4 000 milioni di EUR per le azioni di risposta rapida.

2.1.8.

La riserva per le sfide e le priorità emergenti, pari a 10 200 milioni di EUR, si aggiunge agli importi di cui all’articolo 6, paragrafo 2, in conformità dell’articolo 15.

2.1.9.

Il processo di assegnazione delle risorse deve dare la priorità ai paesi più bisognosi, in particolare i paesi meno sviluppati, i paesi a basso reddito e i paesi in situazioni di crisi, post-crisi, fragilità e vulnerabilità, compresi i piccoli Stati insulari in via di sviluppo.

2.1.10.

I programmi per la stabilità, la pace, i diritti umani e la democrazia, nonché le azioni di risposta rapida, sono aperti a soggetti di tutti i paesi dato l’interesse dell’Unione di disporre della più ampia offerta possibile, alla luce della portata mondiale delle azioni, delle difficili circostanze in cui l’assistenza è prestata e della necessità di agire rapidamente. Sono ammissibili anche le organizzazioni internazionali.

2.1.11.

Il nuovo consenso europeo in materia di sviluppo (in appresso «il consenso»), firmato il 7 giugno 2017, definisce il quadro di riferimento per un approccio comune in materia di cooperazione allo sviluppo da parte dell’Unione e degli Stati membri ai fini dell’attuazione dell’Agenda 2030 e del programma d’azione di Addis Abeba. L’eliminazione della povertà, la lotta alle discriminazioni e alle disuguaglianze, il principio di non lasciare indietro nessuno e il rafforzamento della resilienza sono al centro della politica di cooperazione allo sviluppo.

2.1.12.

In particolare, come convenuto nel consenso, le azioni previste dal regolamento dovrebbero destinare il 20 % dell’aiuto pubblico allo sviluppo finanziato nell’ambito del regolamento all’inclusione sociale e allo sviluppo umano, comprese la parità di genere e l’emancipazione femminile.

2.1.13.

Al fine di garantire che le risorse vadano laddove servono di più, in particolare i paesi meno sviluppati e i paesi in situazioni di fragilità e di conflitto, il regolamento dovrebbe contribuire a raggiungere l’obiettivo collettivo di destinare lo 0,20 % del reddito nazionale lordo dell’Unione ai paesi meno sviluppati entro i termini indicati dall’Agenda 2030.

2.1.14.

Il regolamento dovrebbe rispecchiare l’esigenza di concentrarsi sulle priorità strategiche da un punto di vista sia geografico (strumento europeo di vicinato e Africa, come pure i paesi fragili e più bisognosi) che tematico (sicurezza, flussi migratori, cambiamenti climatici e diritti umani).

2.1.15.

La politica europea di vicinato, quale riesaminata nel 2015, è intesa a stabilizzare i paesi vicini e a rafforzarne la resilienza, in particolare bilanciando le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile: quella economica, quella sociale e quella ambientale. Al fine di raggiungere l’obiettivo che si è posta, la politica europea di vicinato riesaminata si concentra su quattro settori prioritari: buon governo, democrazia, Stato di diritto e diritti umani, dedicando particolare attenzione all’ulteriore coinvolgimento della società civile; allo sviluppo economico; alla sicurezza; alla migrazione e mobilità, compreso il contrasto alle cause profonde della migrazione irregolare e degli sfollamenti forzati.

2.1.16.

Se la promozione della democrazia e dei diritti umani, comprese la parità di genere e l’emancipazione femminile, dovrebbe riflettersi nella fase di attuazione del regolamento, l’assistenza prestata dall’Unione nell’ambito dei programmi tematici per i diritti umani e la democrazia e per le organizzazioni della società civile dovrebbe avere una funzione complementare e aggiuntiva specifica, in virtù della sua portata mondiale e della sua autonomia di azione, non essendo vincolata al consenso dei governi e delle autorità dei paesi terzi interessati.

2.1.17.

Le organizzazioni della società civile dovrebbero comprendere una vasta gamma di operatori con ruoli e mandati diversi, tra cui tutte le strutture non statali e non lucrative, indipendenti e non violente tramite le quali i cittadini si organizzano per perseguire obiettivi e ideali condivisi, siano essi politici, culturali, sociali o economici. Attive in ambito locale, nazionale, regionale o internazionale, esse comprendono le organizzazioni urbane e rurali, formali e informali.

2.1.18.

Il regolamento dovrebbe consentire all’Unione di rispondere alle sfide, alle esigenze e alle opportunità connesse alle migrazioni, in modo complementare rispetto alla politica migratoria dell’Unione e al suo impegno legato all’Agenda 2030. Quest’impegno (OSS 10.7) riconosce l’apporto positivo dei migranti alla crescita inclusiva e allo sviluppo sostenibile; prende atto del fatto che la migrazione internazionale costituisce una realtà multidimensionale di grande importanza per lo sviluppo dei paesi d’origine, di transito e di destinazione, che richiede risposte coerenti e complete; infine, impegna a cooperare su scala internazionale per garantire una migrazione sicura, ordinata e regolare, comprensiva del pieno rispetto dei diritti umani e del trattamento umano dei migranti, a prescindere dallo status di migranti, profughi o sfollati. Tale cooperazione dovrebbe anche rafforzare la resilienza delle comunità che ospitano i rifugiati.

2.2.   Osservazioni particolari

2.2.1.

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) offrono una buona base per accrescere la coerenza tra le politiche interne ed esterne e il Comitato reputa che il concentrarsi sugli OSS 16.3, 16.6 e 16.7, la promozione della democrazia, dello Stato di diritto, delle istituzioni trasparenti e di processi decisionali partecipativi e rappresentativi siano importanti per unificare gli sforzi e impartire loro una direzione strategica.

2.2.2.

Il nuovo strumento ha il vantaggio di promuovere la coerenza delle misure e dell’azione esterne. Questa coerenza dovrebbe essere promossa sia a livello di governance europea dello strumento che a livello del vicinato e dei paesi terzi. Le amministrazioni centrali e locali di tali paesi non sono ugualmente attrezzate ai fini del coordinamento e dell’attuazione dei programmi. Si dovrebbero istituire accordi per coordinare le varie attività al livello di ciascun governo, con l’aiuto dell’UE e con il sostegno e la partecipazione della società civile e delle parti interessate sociali.

2.2.3.

Il ventaglio delle sfide e delle necessità nei paesi partner indica l’esigenza di processi di pianificazione più robusti per ciascun paese. Ciò è riconosciuto nei mezzi di attuazione dell’Agenda 2030 e nell’OSS 17, il quale asserisce che «la portata e l’ambizione della nuova agenda richiedono, per garantirne l’attuazione, un partenariato globale rinnovato. Questo partenariato opererà in uno spirito di solidarietà mondiale. Faciliterà un intenso impegno mondiale a sostegno della realizzazione di tutti gli obiettivi e traguardi, riunendo insieme governi, il settore privato, la società civile e altri soggetti, e mobilitando tutte le risorse disponibili».

2.2.4.

Il Comitato ritiene che debba essere istituito un processo di tale genere e che quest’ultimo debba generare un piano integrato per ciascun paese, che sarebbe soggetto al consenso politico e costituirebbe una priorità per il livello amministrativo. Nella pratica, tale piano garantirà le sinergie e le complementarità e contribuirà ad individuare le misure e l’impatto del sostegno europeo nei paesi partner.

2.2.5.

Il Comitato reputa che occorra rendere prioritari gli sforzi volti a semplificare le procedure amministrative e finanziarie, in modo da rendere assai più facile alle organizzazioni della società civile e agli enti locali l’accesso al sostegno finanziario dell’UE.

2.2.6.

Il Comitato sostiene la posizione secondo cui l’importo stanziato per l’azione esterna non dovrebbe essere inferiore all’importo complessivo del FES e dell’insieme degli altri strumenti di finanziamento esterno. È altresì concorde con il trasferimento delle flessibilità del FES nel bilancio dell’UE.

2.2.7.

Il Comitato evidenzia l’importanza dell’OSS 16, nello specifico la struttura di governance del nuovo strumento e delle procedure decisionali nel suo ambito. In veste di rappresentante della società civile organizzata europea, in possesso di competenze e legami in numerosi paesi del vicinato e paesi terzi, il Comitato si offre di ricoprire un ruolo in tale strumento, in tutte le fasi delle relative misure e dei relativi progetti.

2.2.8.

Il Comitato auspica che la sostituzione dello strumento europeo per la democrazia e i diritti umani in essere, che sostiene l’OSS 16 (nello specifico, interventi nel settore dei diritti umani, delle libertà fondamentali e della democrazia nei paesi terzi) non si ripercuota in alcun modo sulla copertura e sulla struttura di tali misure, bensì le potenzi.

2.2.9.

Il Comitato riconosce la pressante necessità di azione, a livello nazionale ed internazionale, per combattere i cambiamenti climatici, e sostiene l’obiettivo datosi dall’UE di destinare almeno il 25 % del suo bilancio a tale finalità.

2.2.10.

Il Comitato desidera ribadire quanto afferma l’Agenda 2030 sulle interconnessioni e sul carattere integrato degli OSS, che rivestono un’importanza cruciale nel garantire la realizzazione delle finalità di tale Agenda. Si raccomanda la creazione di programmi trasversali, che interessino diversi settori d’intervento pertinenti e possano produrre risultati tangibili nei singoli paesi terzi. A titolo d’esempio, le attività agricole nell’Africa subsahariana risentono negativamente dei cambiamenti climatici. L’impossibilità di coltivare la terra sta determinando la disgregazione delle comunità e costituisce un’importante causa della migrazione verso l’Europa. Nella pratica, queste persone potrebbero essere considerate «rifugiati climatici», cosa che esige una risposta complessa al cui centro dovrebbe trovarsi l’arresto della desertificazione, unitamente all’introduzione di programmi di sostegno sia per le persone a rischio che per quelle che hanno deciso di migrare.

2.2.11.

È necessario fornire assistenza ai paesi terzi che sono anche paesi di origine dei migranti e dei rifugiati affinché migliorino le loro capacità e le loro infrastrutture economiche, e occorre aiutarli ad affrontare le principali sfide, siano esse di natura economica, politica, sociale o ambientale. Lo strumento dovrebbe contribuire a contrastare le cause profonde dell’immigrazione, in particolare con riferimento ai rifugiati, e utilizzare le risorse disponibili in maniera strategica al fine di promuovere la pace, la stabilità, la democrazia e la prosperità nei paesi partner.

2.2.12.

Il Comitato osserva che il 10 % della dotazione finanziaria dell’UE dovrebbe servire ad affrontare le cause profonde dell’immigrazione irregolare e degli sfollamenti forzati e a sostenere la gestione e la governance delle migrazioni, compresa la protezione dei rifugiati e i diritti dei migranti nell’ambito degli obiettivi del regolamento. Il Comitato coglie quest’opportunità per rammentare all’Unione europea e ai suoi Stati membri di ottemperare ai loro obblighi internazionali in merito ai migranti.

2.2.13.

Analogamente al processo di pianificazione di cui sopra, quando si tratta di monitoraggio, valutazione e rendicontazione dell’attuazione del regolamento, il Comitato raccomanda l’inserimento di una prospettiva «paese per paese». Il raggruppamento delle azioni e degli indicatori per paese potrebbe contribuire ad individuare le sinergie e le complementarità, o la loro assenza, e la loro coerenza con gli obiettivi fondamentali della politica dell’UE.

2.2.14.

A titolo di principio generale, il Comitato incoraggerebbe la Commissione europea a garantire in tutti i casi che le varie parti interessate nei paesi partner, comprese le organizzazioni della società civile e gli enti locali, siano debitamente consultate e dispongano di un accesso tempestivo alle informazioni pertinenti che permetta loro di svolgere un ruolo significativo in sede di progettazione, attuazione e monitoraggio dei programmi.

2.2.15.

Il Comitato accoglie con favore il proposito di applicare il principio di essere all’altezza delle responsabilità quando si tratta dei paesi partner, e reputa che anche l’utilizzo dei sistemi dei suddetti paesi per attuare i programmi sia la via giusta. Tuttavia, si dovrebbe puntualizzare che ciò può accadere soltanto in presenza delle condizioni giuste e di garanzie credibili riguardo all’efficienza, all’integrità e all’imparzialità di tali sistemi.

2.2.16.

Per quanto concerne la programmazione geografica e l’istituzione di un quadro per la cooperazione specifico e su misura, il Comitato raccomanda che la Commissione europea, oltre a tenere conto degli indicatori nazionali, si concentri anche sulle comunità definite territorialmente che rischiano di essere ignorate. Le comunità rurali e le comunità distanti dalle capitali e dai centri urbani sono spesso precarie e vulnerabili a un livello critico. In primo luogo dovrebbero divenire visibili ed essere tenute in considerazione nel processo di pianificazione.

2.2.17.

La programmazione geografica dovrebbe tenere conto anche della situazione dei gruppi e delle comunità sociali non territoriali che possono affrontare gravi problemi, come i giovani, gli anziani, i disabili e altre categorie.

2.3.   Contesto della proposta — Lo strumento europeo per la sicurezza nucleare

2.3.1.

Il nuovo strumento si propone di promuovere l’istituzione di standard efficaci ed efficienti per la sicurezza nucleare nei paesi terzi, a norma dell’articolo 206 del trattato Euratom, rifacendosi all’esperienza maturata con le attività di sicurezza nucleare all’interno della Comunità Euratom.

2.3.2.

L’obiettivo del regolamento è integrare le attività di cooperazione in ambito nucleare che sono finanziate ai sensi del [regolamento NDICI], in particolare al fine di sostenere la promozione di un elevato livello di sicurezza nucleare e di radioprotezione e l’esecuzione di controlli di sicurezza efficaci ed efficienti dei materiali nucleari nei paesi terzi, rifacendosi alle attività all’interno della Comunità e in linea con le disposizioni del regolamento. Il regolamento si prefigge in particolare:

a)

la promozione di un’autentica cultura della sicurezza nucleare, l’attuazione degli standard più elevati di sicurezza nucleare e radioprotezione e il miglioramento costante della sicurezza nucleare;

b)

la gestione responsabile e sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, nonché lo smantellamento e la bonifica degli ex siti e impianti nucleari;

c)

l’istituzione di sistemi di controllo efficaci ed efficienti.

2.3.3.

Le azioni finanziate nell’ambito della proposta dovrebbero essere coerenti e complementari con quelle condotte nel contesto dello strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale per quanto concerne le attività nucleari, dello strumento di assistenza preadesione, della decisione sui paesi e territori d’oltremare, della politica estera e di sicurezza comune e dello strumento europeo per la pace appena proposto, che non è finanziato dal bilancio dell’UE.

2.3.4.

L’industria nucleare dell’UE opera in un mercato globale del valore di 3 000 miliardi di EUR fino al 2050 e dà direttamente lavoro a mezzo milione di persone. In 14 Stati membri sono in funzione 129 reattori nucleari, e in 10 di essi è prevista la costruzione di nuovi reattori. In materia di sicurezza degli impianti nucleari l’UE dispone degli standard vincolanti più avanzati del mondo, e le imprese europee sono fortemente coinvolte nella produzione globale di combustibile nucleare. [Comunicato stampa del CESE EESC urges the EU to adopt a more comprehensive nuclear strategy (PINC) («Il CESE esorta l’UE all’adozione di una strategia nucleare più globale — PINC») n. 58/2016 del 22.9.2016].

2.4.   Osservazioni particolari

2.4.1.

Il Comitato accoglie con favore la proposta sotto forma di un regolamento, che ne garantisce l’applicazione uniforme, la natura vincolante in tutti i suoi elementi e la diretta applicabilità. L’Unione e la Comunità hanno la capacità e la responsabilità per completare le attività degli Stati membri destinate ad affrontare situazioni potenzialmente pericolose, o in caso di interventi particolarmente onerosi. Come denota la proposta, in alcuni settori in cui gli Stati membri non sono attivi, l’Unione e la Comunità restano i principali, se non gli unici, soggetti ad intervenire.

2.4.2.

Dopo la catastrofe nucleare di Fukushima, è emerso con perfetta chiarezza che i problemi e i rischi dell’utilizzo dell’energia nucleare presentano una dimensione mondiale. L’UE ha un profilo unico nel suo genere, che la rende uno dei principali attori responsabili e ricchi di risorse nello sforzo mondiale volto sia alla sicurezza nucleare che alle tecnologie per l’energia pulita.

2.4.3.

Purtroppo, la proposta non si occupa a livello politico e strategico della legittima richiesta di pianificazione a lungo termine in fatto di energia nucleare che viene dai cittadini, dalla società civile e dal settore imprenditoriale. Risulta poco chiaro il modo in cui l’UE utilizzerà le proprie risorse per fronteggiare le sfide cruciali dell’energia nucleare, in relazione all’aumento delle preoccupazioni e delle esigenze di energia pulita e abbordabile, nell’Unione europea e nel mondo.

2.4.4.

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica svolge un ruolo essenziale e dovrebbe assumersi la responsabilità di garantire la trasparenza e assicurare l’allarme rapido in relazione allo sviluppo di nuove centrali nucleari in tutto il mondo. L’UE dovrebbe cooperare pienamente con le istituzioni e le organizzazioni mondiali al fine di promuovere la sicurezza nucleare.

2.4.5.

L’UE dovrebbe promuovere attivamente gli standard più elevati di sicurezza nucleare e fare in modo che le procedure, le migliori pratiche e le tecnologie europee più avanzate siano promosse a livello mondiale, al fine di garantire che i nuovi impianti e reattori previsti siano sicuri.

2.4.6.

Sono necessari nuovi sforzi per assicurare che i siti già esistenti e quelli programmati nel vicinato europeo operino con standard elevati di trasparenza e sicurezza. Il CESE invita tutti gli Stati membri a sostenere questo obiettivo e a trasformare la sicurezza nucleare in un obiettivo fondamentale delle relazioni bilaterali e multilaterali con i paesi partner.

2.4.7.

Il CESE resta del parere che la Commissione europea non abbia riflettuto sulle scottanti problematiche della competitività dell’energia nucleare, del suo contributo alla sicurezza della fornitura e agli obiettivi in materia di cambiamenti climatici e carbonio, della sua sicurezza, unitamente alle questioni della trasparenza e della preparazione alle emergenze nella sua proposta di programma indicativo (PINC) sugli obiettivi e gli investimenti legati alla produzione nucleare (2).

2.4.8.

Il Comitato accoglie con favore l’intento della Commissione di garantire la coerenza e la complementarità con lo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale, in particolare conducendo attività nel settore nucleare che sono complementari agli obiettivi più ampi dello strumento, principalmente sugli usi pacifici dell’energia nucleare, in linea con la politica di cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale per progetti in campo sanitario, agricolo, industriale e sociale intesi ad affrontare le conseguenze di eventuali incidenti nucleari. Non risulta tuttavia chiaro il modo in cui il bilancio disponibile e gli assetti istituzionali esistenti siano in grado di realizzare nella pratica quest’intento.

2.4.9.

In considerazione delle sfide mondiali fondamentali inerenti all’energia nucleare e alla presenza di un numero elevato di siti nucleari nel suo vicinato, il Comitato giudica gravemente insufficiente la dotazione finanziaria in progetto (300 milioni di EUR a prezzi correnti) per l’attuazione del suddetto regolamento per il periodo 2021-2027.

Bruxelles, 12 dicembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR), relatore: Iuliano (GU C 182 del 4.8.2009, pag. 13); parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Strumento dell’Unione per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo: il ruolo della società civile organizzata e dei partner sociali, relatore: Iuliano (GU C 44 dell’11.2.2011, pag. 123).

(2)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Programma indicativo per il settore nucleare, relatore: Brian Curtis, adottato il 22 settembre 2016 (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 104).