ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 440

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

61° anno
6 dicembre 2018


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

537a sessione plenaria del CESE, 19.9.2018 – 20.9.2018

2018/C 440/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su L’intelligenza artificiale: anticipare i suoi effetti sul lavoro per assicurare una transizione equa (parere d’iniziativa)

1

2018/C 440/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Fiducia, rispetto della vita privata e sicurezza per i consumatori e le imprese nell’Internet degli oggetti (parere d’iniziativa)

8

2018/C 440/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sugli Indicatori più appropriati per valutare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS): il contributo della società civile (parere d’iniziativa)

14

2018/C 440/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Il contributo delle zone rurali d’Europa all’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 a garanzia della sostenibilità e della coesione urbana/rurale (parere d’iniziativa)

22

2018/C 440/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo su L’impatto della sussidiarietà e della sovraregolamentazione sull’economia e l’occupazione (parere esplorativo richiesto dalla presidenza austriaca)

28

2018/C 440/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul Divario digitale di genere [parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo]

37

2018/C 440/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Bioeconomia: contribuire a realizzare gli obiettivi dell’UE in materia di clima e di energia e a conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (parere esplorativo)

45


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

537a sessione plenaria del CESE, 19.9.2018 – 20.9.2018

2018/C 440/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — L’intelligenza artificiale per l’Europa[COM(2018) 237 final]

51

2018/C 440/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa alla trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza nel mercato unico digitale, alla responsabilizzazione dei cittadini e alla creazione di una società più sana[COM(2018) 233 final]

57

2018/C 440/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla a) Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE[COM(2018) 184 final — 2018/0089 (COD)] e sulla b) Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, la direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, la direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’UE relative alla protezione dei consumatori[COM(2018) 185 final — 2018/0090 (COD)]

66

2018/C 440/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una nuova agenda europea per la ricerca e l’innovazione — l’opportunità dell’Europa di plasmare il proprio futuro(Contributo della Commissione europea alla riunione informale sull’innovazione dei leader dell’UE, tenutasi a Sofia il 16 maggio 2018) [COM(2018) 306 final]

73

2018/C 440/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (UE) n. 596/2014 e (UE) 2017/1129 per quanto riguarda la promozione dell’uso dei mercati di crescita per le PMI[COM(2018) 331 final — 2018/0165 (COD)]

79

2018/C 440/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2009/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità[COM(2018) 336 final — 2018/0168 (COD)]

85

2018/C 440/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti di omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché di sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli, per quanto riguarda la loro sicurezza generale e la protezione degli occupanti dei veicoli e degli altri utenti vulnerabili della strada, che modifica il regolamento (UE) 2018/… e abroga i regolamenti (CE) n. 78/2009, (CE) n. 79/2009 e (CE) n. 661/2009[COM(2018) 286 final — 2018/0145 (COD)]

90

2018/C 440/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che integra la legislazione dell’UE in materia di omologazione in relazione al recesso del Regno Unito dall’Unione[COM(2018) 397 final — 2018/0220 (COD)]

95

2018/C 440/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 469/2009 sul certificato protettivo complementare per i medicinali[COM(2018) 317 final — 2018/0161 (COD)]

100

2018/C 440/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica e rettifica il regolamento (UE) n. 167/2013 relativo all’omologazione e alla vigilanza del mercato dei veicoli agricoli e forestali[COM(2018) 289 final — 2018/0142 (COD)]

104

2018/C 440/18

Parere sul Comitato economico e sociale europeo su Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un bilancio moderno al servizio di un’Unione che protegge, che dà forza, che difende. Quadro finanziario pluriennale 2021-2027[COM(2018) 321 final]Proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027[COM(2018) 322 final/2 — 2018/0166 (APP)]Proposta di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea[COM(2018) 325 final — 2018/0135 (CNS)]Proposta di regolamento del Consiglio concernente le modalità e la procedura di messa a disposizione delle risorse proprie basate sulla base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società, sul sistema di scambio di quote di emissioni dell’Unione europea e sui rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati, nonché le misure per far fronte al fabbisogno di tesoreria[COM(2018) 326 final — 2018/0131 (NLE)]Proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce misure di esecuzione del sistema delle risorse proprie dell’Unione europea[COM(2018) 327 final — 2018/0132 (APP)]Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89 del Consiglio concernente il regime uniforme definitivo di riscossione delle risorse proprie provenienti dall’imposta sul valore aggiunto[COM(2018) 328 final — 2018/0133 (NLE)]

106

2018/C 440/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni specifiche per l’obiettivo Cooperazione territoriale europea (Interreg) sostenuto dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dagli strumenti di finanziamento esterno[COM(2018) 374 final — 2018/0199 (COD)]

116

2018/C 440/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un meccanismo per eliminare gli ostacoli giuridici e amministrativi in ambito transfrontaliero[COM(2018) 373 final — 2018/0198 (COD)]

124

2018/C 440/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Autorità europea del lavoro[COM(2018)131 final — 2018/0064 (COD)]

128

2018/C 440/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di raccomandazione del Consiglio sull'accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi[COM(2018) 132 final]

135

2018/C 440/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio Adattare la politica comune in materia di visti alle nuove sfide[COM(2018) 251 final] e la Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 810/2009 che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti)[COM(2018) 252 final — 2018/0061 (COD)]

142

2018/C 440/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro[COM(2018) 171 final — 2018/0081 (COD)]

145

2018/C 440/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa al rafforzamento della cooperazione nella lotta contro le malattie prevenibili da vaccino[COM(2018) 244 final — SWD(2018) 149 final]

150

2018/C 440/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 767/2008, il regolamento (CE) n. 810/2009, il regolamento (UE) 2017/2226, il regolamento (UE) 2016/399, il regolamento (UE) 2018/XX [regolamento sull’interoperabilità] e la decisione 2004/512/CE, e che abroga la decisione 2008/633/GAI del Consiglio[COM(2018) 302 final]

154

2018/C 440/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla trasparenza e alla sostenibilità dell’analisi del rischio dell’Unione nella filiera alimentare, che modifica il regolamento (CE) n. 178/2002 (sulla legislazione alimentare generale), la direttiva 2001/18/CE (sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati), il regolamento (CE) n. 1829/2003 (sugli alimenti e mangimi geneticamente modificati), il regolamento (CE) n. 1831/2003 (sugli additivi per mangimi), il regolamento (CE) n. 2065/2003 (sugli aromatizzanti di affumicatura), il regolamento (CE) n. 1935/2004 (sui materiali a contatto con gli alimenti), il regolamento (CE) n. 1331/2008 (sulla procedura uniforme di autorizzazione per gli additivi, gli enzimi e gli aromi alimentari), il regolamento (CE) n. 1107/2009 (sui prodotti fitosanitari) e il regolamento (UE) 2015/2283 (sui nuovi alimenti)[COM(2018) 179 final — 2018/0088 (COD)]

158

2018/C 440/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare[COM(2018) 173 final]

165

2018/C 440/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un piano pluriennale per gli stock nelle acque occidentali e nelle acque adiacenti e per le attività di pesca che sfruttano questi stock, modifica il regolamento (UE) 2016/1139 che istituisce un piano pluriennale per il Mar Baltico e abroga i regolamenti (CE) n. 811/2004, (CE) n. 2166/2005, (CE) n. 388/2006, (CE) n. 509/2007 e (CE) n. 1300/2008[COM(2018) 149 final — 2018/0074 (COD)]

171

2018/C 440/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un piano pluriennale di ricostituzione del pesce spada del Mediterraneo e recante modifica dei regolamenti (CE) n. 1967/2006 e (UE) 2017/2107[COM(2018) 229 final — 2018/0109 (COD)]

174

2018/C 440/31

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online[COM(2018) 238 final — 2018/0112 (COD)]

177

2018/C 440/32

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo[COM(2018) 236 final]

183

2018/C 440/33

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il meccanismo per collegare l’Europa e abroga i regolamenti (UE) n. 1316/2013 e (UE) n. 283/2014[COM(2018) 438 final — 2018/0228 (COD)]

191

2018/C 440/34

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma di azione in materia di scambi, assistenza e formazione per la protezione dell'euro contro la contraffazione monetaria per il periodo 2021-2027 (programma Pericle IV)[COM(2018) 369 final — 2018/0194(CNS)]

199


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

537a sessione plenaria del CESE, 19.9.2018 – 20.9.2018

6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «L’intelligenza artificiale: anticipare i suoi effetti sul lavoro per assicurare una transizione equa»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 440/01)

Relatrice:

Franca SALIS-MADINIER

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.2.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

183/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’intelligenza artificiale (IA) e la robotica estenderanno e amplificheranno gli effetti della digitalizzazione dell’economia sui mercati del lavoro (1). Da sempre il progresso tecnico ha avuto un impatto sul lavoro e l’occupazione, e queste ricadute hanno richiesto nuove forme di inquadramento sociale e socioculturale. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che lo sviluppo tecnologico possa contribuire al progresso economico e sociale, ma considera sbagliato ignorarne gli effetti globali sulla società. Nel contesto lavorativo, l’IA estenderà e amplierà la portata dell’automazione dei posti di lavoro (2). Per questo motivo il CESE intende contribuire alla preparazione delle trasformazioni sociali che accompagneranno lo sviluppo dell’intelligenza artificiale e della robotica mediante un rafforzamento e un rinnovamento del modello sociale europeo.

1.2.

Il CESE desidera sottolineare le potenzialità dell’IA e delle sue applicazioni, in particolare nei settori dell’assistenza sanitaria, della sicurezza nei trasporti, dell’energia e della lotta contro i cambiamenti climatici, nonché per la previsione delle minacce in materia di sicurezza informatica. L’Unione europea, i governi e le organizzazioni della società civile hanno un ruolo importante da svolgere per trarre pieno vantaggio dai benefici che l’IA può apportare, in particolare alle persone con disabilità e/o a mobilità ridotta, nonché agli anziani e ai malati cronici.

1.3.

Tuttavia, l’UE non dispone di dati sufficienti sull’economia digitale e sulla conseguente trasformazione sociale. Il CESE raccomanda di migliorare gli strumenti statistici e la ricerca, in particolare sull’IA, l’uso dei robot industriali e di servizio, l’Internet degli oggetti e i nuovi modelli economici (l’economia delle piattaforme, le nuove forme di occupazione e lavoro).

1.4.

Il CESE chiede che la Commissione europea promuova e sostenga la realizzazione di studi (a livello dei comitati europei di dialogo sociale settoriale) sugli impatti settoriali dell’intelligenza artificiale e della robotica e, più in generale, della digitalizzazione dell’economia.

1.5.

È generalmente riconosciuto che l’IA e la robotica porteranno alla delocalizzazione e trasformazione dei posti di lavoro, alla scomparsa di certe professioni/occupazioni e alla nascita di altre. In ogni caso, l’UE deve garantire l’accesso di tutti i lavoratori — siano essi dipendenti o autonomi (compresi quelli fittizi) — alla protezione sociale, in linea con il pilastro europeo dei diritti sociali.

1.6.

La Commissione ha proposto di rafforzare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione in modo che ne possano beneficiare sia i lavoratori dipendenti che quelli autonomi la cui attività lavorativa è cessata a causa della digitalizzazione dell’economia (3). Il CESE ritiene che si tratti di un passo verso l’istituzione di un autentico Fondo europeo di transizione che contribuirebbe a una gestione socialmente responsabile della trasformazione digitale.

1.7.

Il CESE raccomanda di applicare e rafforzare i principi, gli impegni e gli obblighi enunciati nei testi vigenti, adottati dalle istituzioni europee e dalle parti sociali, sull’informazione e la consultazione dei lavoratori, in particolare quando vengono introdotte nuove tecnologie, tra cui l’IA e la robotica (4). Il CESE auspica la creazione di un programma europeo comprendente la questione dell’IA che sia basato su questi testi e sul pilastro europeo dei diritti sociali, e che coinvolga tutte le parti interessate.

1.8.

Il CESE raccomanda che negli orientamenti etici per l’IA che la Commissione elaborerà venga chiaramente indicato un limite nell’interazione tra lavoratori e macchine intelligenti, in modo che l’essere umano non sia mai l’esecutore della macchina. Nell’ottica di un’IA inclusiva, questi orientamenti devono stabilire principi di partecipazione, responsabilità e titolarità dei processi di produzione affinché, come sottolineato nella Costituzione dell’OIL, l’attività lavorativa conferisca a coloro che la esercitano la soddisfazione di mostrare tutte le loro capacità e conoscenze e di contribuire meglio possibile al benessere comune.

1.9.

Il CESE raccomanda inoltre che questi orientamenti comprendano principi di trasparenza nell’utilizzo dei sistemi di IA per quel che concerne l’assunzione, la valutazione e il controllo manageriale dei lavoratori, nonché principi in materia di salute, sicurezza e miglioramento delle condizioni di lavoro. Infine, essi devono garantire la protezione dei diritti e delle libertà riguardanti il trattamento dei dati dei lavoratori, nel rispetto dei principi di non discriminazione.

1.10.

L’attuazione degli orientamenti etici nel settore dell’IA deve essere oggetto di monitoraggio. Questo ruolo di vigilanza o di controllo (anche in contesti aziendali) potrebbe essere attribuito a un Osservatorio europeo per l’etica nei sistemi di IA.

1.11.

Il CESE raccomanda una formazione in materia di etica per gli ingegneri e i progettisti di macchine intelligenti, per evitare che vengano introdotte nuove forme di «taylorismo digitale» in cui l’essere umano viene relegato all’esecuzione delle istruzioni impartite dalle macchine. Bisogna promuovere la diffusione delle buone pratiche e lo scambio di esperienze in questo settore.

1.12.

Il CESE chiede che venga chiarito il principio di responsabilità giuridica. Nel rapporto tra l’uomo e la macchina, i rischi che si profilano in materia di salute e sicurezza devono essere oggetto di un approccio più ambizioso nel quadro della direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi (5).

1.13.

Di fronte al rischio di una polarizzazione sociale nel quadro della trasformazione digitale, il CESE chiede alle istituzioni dell’UE di avviare un dibattito sulla questione del finanziamento dei bilanci pubblici e dei sistemi di protezione sociale, in un contesto economico in cui, a fronte di un’automazione che va assumendo una maggiore densità, l’imposta sul reddito da lavoro rimane tuttora la principale fonte di gettito fiscale in Europa (6). Per applicare il principio di equità, sarebbe utile che questo dibattito affrontasse anche la questione della ridistribuzione dei benefici della digitalizzazione.

2.   Introduzione

2.1.

Sin dalla sua apparizione nel 1956, il concetto di IA ha registrato sviluppi disomogenei, osservabili anche durante tutta la seconda metà del XX secolo. L’IA ha suscitato, di volta in volta, grandi speranze e amare disillusioni. Da alcuni anni, tuttavia, essa sta attraversando una nuova fase di grande sviluppo reso possibile dalla raccolta, l’organizzazione e la memorizzazione di una quantità di dati senza precedenti (i cosiddetti megadati o big data) nella storia dell’umanità, nonché dall’aumento esponenziale della potenza di calcolo degli elaboratori elettronici e delle capacità degli algoritmi.

2.2.

Nel 2017 il CESE ha elaborato un parere sull’IA (7) in cui vengono affrontate numerose questioni importanti. Come sottolineato nel presente parere, non esiste una definizione precisa di «intelligenza artificiale». Ai fini del presente parere, per intelligenza artificiale si intende una disciplina che punta a utilizzare le tecnologie digitali per creare sistemi capaci di riprodurre in piena autonomia le funzioni cognitive degli esseri umani, tra cui — in particolare — l’acquisizione di dati e una forma di comprensione e di adattamento (risoluzione di problemi, ragionamenti e apprendimento automatici).

2.3.

I sistemi di IA sono oggi in grado di risolvere problemi complessi, talvolta al di fuori della portata dell’intelligenza umana. Le applicazioni sembrano potenzialmente innumerevoli, sia nei settori bancario, assicurativo, dei trasporti, dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, dell’energia, del marketing e della difesa, che nei settori dell’industria, delle costruzioni, dell’agricoltura, dell’artigianato ecc. (8). Ci si attende che l’IA migliori l’efficienza dei processi di produzione di beni e servizi, stimoli la redditività delle imprese e contribuisca alla crescita economica.

2.4.

Questo nuovo sviluppo dell’IA solleva inoltre numerosi interrogativi circa il suo ruolo potenziale nella società, il suo grado di autonomia e la sua interazione con l’essere umano. Come sottolineato nel parere del CESE sull’IA adottato nel 2017 (9), questi interrogativi vertono in particolare sull’etica, la sicurezza, la trasparenza, la vita privata e le norme in materia di lavoro, l’istruzione, l’accessibilità, la legislazione e la regolamentazione, la governance e la democrazia.

2.5.

È opportuno confrontare le differenti impostazioni nella discussione sull’IA, allo scopo di inquadrare questo dibattito al di fuori dello scenario economico in cui resta talvolta impaniato. Un quadro multidisciplinare di questo tipo sarebbe utile nell’analisi degli effetti dell’IA sul mondo del lavoro, perché l’ambiente lavorativo è uno dei principali luoghi di interazione tra l’uomo e la macchina. Da sempre il lavoro è stato influenzato dalla tecnica. Gli effetti dell’intelligenza artificiale sull’occupazione e il lavoro richiedono pertanto un’attenzione particolare a livello politico, in quanto le istituzioni hanno in particolare il compito di rendere i processi di trasformazione economica sostenibili dal punto di vista sociale (10).

2.6.

L’obiettivo del presente parere di iniziativa è mettere in evidenza le sfide dell’IA in rapporto all’occupazione, anche per quel che concerne la natura, le condizioni e l’organizzazione del lavoro. Come già sottolineato dal CESE (11), è opportuno migliorare le statistiche e la ricerca per poter elaborare non solo previsioni precise sull’evoluzione dei mercati del lavoro, ma anche indicatori chiari riguardanti alcune tendenze connesse in particolare alla qualità del lavoro, alla polarizzazione dei posti di lavoro e dei redditi, nonché alle condizioni di lavoro nella trasformazione digitale. L’UE non dispone di dati sufficienti sulla cosiddetta «economia collaborativa», sulle piattaforme di lavoro a chiamata, sui nuovi modelli di subappalto online, sull’impiego di robot industriali e di servizio alla persona, sull’Internet degli oggetti, nonché sull’uso e la diffusione dei sistemi di IA.

3.   IA ed evoluzione del volume dell’occupazione

3.1.

La questione dell’effetto esercitato sul volume dell’occupazione dall’introduzione dell’IA e della robotica nei processi di produzione è molto dibattuta. Numerosi studi hanno cercato di fornire una risposta a tale questione senza tuttavia giungere a un consenso nella comunità scientifica. La diversità dei risultati (la percentuale dei posti di lavoro minacciati oscilla tra il 9 % e il 54 % (12)) rispecchia la complessità delle scelte metodologiche e il loro impatto determinante sui risultati stessi della ricerca.

3.2.

Le previsioni sono incerte perché entrano in gioco altri fattori oltre al potenziale tecnico di automazione, ossia gli sviluppi politici, normativi, economici e demografici, nonché l’accettabilità sociale. Non è sufficiente che la tecnologia sia disponibile per garantirne l’utilizzo e la diffusione.

3.3.

Infine, è tuttora impossibile stilare un bilancio previsionale chiaro dei posti di lavoro automatizzabili in ogni settore senza tenere conto della trasformazione delle professioni e del ritmo con cui vengono creati nuovi posti di lavoro. Lo sviluppo dei sistemi di IA richiederà infatti nuovi posti di lavoro nei settori dell’ingegneria, dell’informatica, delle telecomunicazioni (ingegneri, tecnici e operatori), nonché nel settore dei megadati (big data), posti che saranno occupati da responsabili dei dati, analisti dei dati, esploratori dei dati ecc.

3.4.

Il ruolo delle istituzioni pubbliche consisterà nell’assicurare la sostenibilità sociale di questa trasformazione digitale, che potrà riguardare sia la quantità che la qualità dei posti di lavoro (13). Uno dei rischi evidenziati dagli esperti è quello di una polarizzazione dei posti di lavoro fra (da un lato) i «vincenti», che possiedono le qualifiche utili per l’economia digitale, e (dall’altro) i «perdenti», le cui qualifiche, esperienze e competenze saranno progressivamente rese obsolete da questa trasformazione. La risposta a questa sfida che la Commissione europea ha proposto in una sua recente comunicazione (14) è essenzialmente imperniata su interventi in materia di istruzione, formazione, nonché miglioramento delle competenze di base (leggere, scrivere e fare di conto) e di quelle digitali. Questa risposta merita il sostegno degli attori economici e sociali, specialmente nel quadro del dialogo sociale a livello nazionale, europeo, interprofessionale e settoriale (15).

3.5.

Secondo il CESE, tuttavia, questi interventi non saranno sufficienti a rispondere all’insieme dei problemi, in particolare all’incertezza nell’evoluzione dei posti di lavoro. Meritano un approfondimento tre assi d’intervento complementari: quello di un’IA «inclusiva», quello dell’anticipazione dei cambiamenti e, infine, quello delle ristrutturazioni socialmente responsabili e regolate quando sono inevitabili accordi in materia di licenziamenti collettivi.

4.   IA e automazione inclusive e intelligenti

4.1.

Il CESE appoggia il principio di un programma in materia di IA e di automazione inclusive. Questo significa che, al momento di introdurre nelle imprese nuovi processi che si avvalgono delle nuove tecnologie, sarebbe utile coinvolgere i lavoratori nelle modalità di funzionamento di tali processi. Come osserva il WRR (16), l’adozione «inclusiva e intelligente» di nuove tecnologie, in modo tale che i lavoratori rimangano al centro dei processi e contribuiscano a migliorarli, può servire a favorire il miglioramento dei processi produttivi (17).

4.2.

Tenuto conto della funzione svolta dagli algoritmi per quel che concerne le condizioni di assunzione, lavoro e valutazione professionale, il CESE sostiene il principio della trasparenza dell’algoritmo, che non consiste nel divulgare i codici ma nel rendere comprensibili i parametri e i criteri utilizzati per prendere delle decisioni. L’intervento umano deve essere sempre possibile.

4.3.

Un’IA che ponga al centro il lavoratore prende in considerazione i punti di vista delle persone chiamate a lavorare nell’ambito dei nuovi processi tecnologici, definisce chiaramente i compiti e le responsabilità che continueranno ad essere affidati ai lavoratori, e preserva delle forme di titolarità del lavoro da parte dei lavoratori, affinché questi non si trasformino in semplici esecutori.

4.4.

Occorre chiarire il principio di responsabilità giuridica. I robot industriali o di servizio collaborano in misura crescente con l’essere umano. L’IA consente ai robot di «uscire dalla gabbia» (ossia dai limiti loro imposti finora) e possono quindi verificarsi degli incidenti (18). Per questo motivo è necessario che, in caso di incidente, le responsabilità dei sistemi autonomi siano chiaramente definite e che sia possibile disporre di una copertura per i rischi incorsi dai lavoratori in materia di salute e di sicurezza. La Commissione europea ha avviato una riflessione su questi rischi emergenti nel quadro della direttiva sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi (19). Per quanto concerne la sicurezza sul lavoro, questo approccio deve essere più ambizioso.

4.5.

Il principio di equità applicato al mondo del lavoro consiste nel non privare il lavoratore del suo lavoro. Alcuni esperti sottolineano il rischio che l’IA contribuisca a una forma di dequalificazione dei lavoratori. È per questo motivo che bisogna adoperarsi affinché, come indicato nella Costituzione dell’OIL, l’attività lavorativa conferisca a coloro che la esercitano la soddisfazione di mostrare tutte le loro capacità e conoscenze e di contribuire meglio possibile al benessere comune Da una prospettiva manageriale, è anche un modo per mantenere la motivazione al lavoro.

5.   Anticipare il cambiamento

5.1.

Numerosi studi hanno messo in luce negli ultimi anni un indebolimento del dialogo sociale europeo, e talvolta anche di quello a livello nazionale, e questo a dispetto della volontà di «rilanciare» tale dialogo espressa sia dalla Commissione che dal Consiglio europeo. Eppure, il dialogo sociale è uno degli strumenti che meglio si presta ad affrontare le sfide sociali della digitalizzazione. Ecco perché il CESE raccomanda fortemente che nelle imprese, e a tutti i livelli pertinenti, tale dialogo sia praticato costantemente al fine di preparare le trasformazioni in modo socialmente sostenibile. Il CESE ricorda che il dialogo sociale è tra le migliori garanzie della pace sociale e della riduzione delle disuguaglianze. Al di là delle dichiarazioni politiche su un suo rilancio, le istituzioni dell’UE devono imperativamente farsi carico di incoraggiare e alimentare tale dialogo sociale.

5.2.

In particolare, nel momento in cui vengono adottate le tecnologie dell’IA, il dialogo sociale deve consentire di conoscere le prospettive di trasformazione dei processi produttivi nelle imprese e nei vari settori economici, oltre che di valutare i nuovi fabbisogni in termini di qualifiche e di formazione. Esso deve anche permettere di riflettere anticipatamente circa il ricorso all’IA per migliorare i processi organizzativi e di produzione, rafforzare le qualifiche dei lavoratori e ottimizzare le risorse che l’IA rende disponibili per lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi o per migliorare la qualità del servizio al cliente.

5.3.

Ristrutturazioni socialmente responsabili

5.4.

Quando il ricorso ad accordi in materia di licenziamenti collettivi è considerato inevitabile, la posta in gioco consiste nella gestione di questi piani di ristrutturazione. Come sottolineato dalle parti sociali europee nel documento Orientamenti di riferimento per la gestione del cambiamento e delle sue conseguenze sociali (20), numerosi studi di casi specifici mettono in luce l’importanza di esplorare tutte le possibili alternative al licenziamento, come la formazione, la riconversione o il sostegno alla creazione di imprese.

5.5.

In caso di ristrutturazione, l’informazione e la consultazione dei lavoratori devono consentire, conformemente alle direttive europee in materia (21), di favorire l’anticipazione dei rischi, agevolare l’accesso dei lavoratori alla formazione nell’ambito dell’impresa, rendere più flessibile l’organizzazione del lavoro in un quadro di sicurezza, nonché promuovere il coinvolgimento dei lavoratori nella conduzione dell’impresa e nella determinazione del suo futuro.

5.6.

Infine, come evidenziato molto giustamente dalla Commissione europea, l’UE deve garantire l’accesso di tutti i cittadini, compresi i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi (anche quelli che svolgono un lavoro autonomo fittizio), alla protezione sociale«indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro», in linea con il pilastro europeo dei diritti sociali (22).

6.   IA e i cambiamenti delle condizioni di lavoro

6.1.

Il 25 aprile 2018 la Commissione europea ha presentato una proposta relativa a un «approccio europeo» volto a promuovere politiche di investimento nello sviluppo dell’IA e ad adottare orientamenti etici in materia. La Commissione mette l’accento sulle potenzialità di trasformazione delle nostre società insite nelle tecnologie dell’IA, soprattutto nei settori dei trasporti, dell’assistenza sanitaria e dell’industria manifatturiera.

6.2.

Questo potenziale di trasformazione si manifesta nei processi produttivi e ha anche un impatto sul contenuto del lavoro, impatto che può risultare positivo, in particolare nel modo in cui l’IA può migliorare i processi di produzione e la qualità del lavoro. Ricadute altrettanto positive possono verificarsi per le organizzazioni del lavoro «flessibili», nelle quali assumono maggiore importanza la condivisione del potere decisionale, l’autonomia delle équipe di lavoro, la polivalenza, l’organizzazione orizzontale e le pratiche innovative e partecipative (23).

6.3.

Come sottolineano sia il CESE (24) che la stessa Commissione, l’IA può aiutare i lavoratori nell’esecuzione di mansioni ripetitive, faticose e perfino pericolose, mentre talune applicazioni dell’IA possono migliorare il benessere dei lavoratori dipendenti e facilitare la loro vita quotidiana.

6.4.

Tuttavia, una tale prospettiva solleva nuovi interrogativi, soprattutto per quel che riguarda l’interazione tra l’IA e il lavoratore, nonché in merito all’evoluzione del contenuto del lavoro. Fino a che punto le macchine intelligenti presenti nelle fabbriche, nelle aziende e negli uffici saranno autonome e quali forme di complementarità si svilupperanno tra esse e il lavoro umano? Il CESE sottolinea che, nel nuovo mondo del lavoro, è essenziale definire il rapporto dell’uomo con la macchina. Un approccio incentrato sul controllo dell’uomo sulla macchina assume quindi un rilievo fondamentale (25).

6.5.

In linea di principio, non è eticamente ammissibile che un essere umano sia sottoposto a costrizione da parte di un’IA o che sia considerato un esecutore della macchina, la quale gli imporrebbe non solo le mansioni da svolgere, ma anche come svolgerle ed entro quali scadenze. Eppure, sembra che a volte questo limite etico venga violato (26). È per questo motivo che è opportuno indicare con chiarezza tale limite negli orientamenti etici per l’IA.

6.6.

L’UE deve ritenere una priorità impedire che emergano oggi nuove forme di «taylorismo digitale» organizzato dai progettisti di macchine intelligenti. Per questo motivo, come dichiara il CESE in un suo recente parere, i ricercatori, gli ingegneri, i progettisti e gli imprenditori europei che contribuiscono allo sviluppo e alla commercializzazione di sistemi di IA devono operare secondo criteri di responsabilità etica e sociale. L’inclusione di materie quali l’etica e le scienze umane nei programmi di formazione degli ingegneri può essere una valida risposta a tale imperativo (27).

6.7.

Un’altra questione è quella della sorveglianza e del controllo manageriale. Vi è un consenso generale sulla necessità di esercitare un controllo ragionevole sui processi di produzione e, quindi, anche sul lavoro effettuato. I nuovi strumenti tecnologici oggi disponibili offrono la possibilità di installare sistemi intelligenti per un controllo totale dei lavoratori in tempo reale, ma comportano anche il rischio che la sorveglianza e il controllo diventino sproporzionati.

6.8.

Il tema del carattere ragionevole e proporzionato del controllo dell’esecuzione del lavoro e degli indicatori di prestazione, e quello del rapporto di fiducia tra il manager e il subordinato, sono argomenti che andrebbero anch’essi affrontati nel quadro del dialogo sociale a livello nazionale, europeo, interprofessionale e settoriale.

6.9.

La questione degli errori sistematici negli algoritmi e nei dati di addestramento, e i potenziali effetti negativi in termini di discriminazione, rimangono oggetto di dibattito. Alcuni ritengono che gli algoritmi e altri software previsionali utilizzati per le assunzioni possano ridurre le discriminazioni al momento di ingaggiare nuovi lavoratori e favorire assunzioni più «intelligenti». Secondo altri, invece, il rischio è che i software di assunzione riflettano in ogni caso, anche involontariamente, i condizionamenti e le preferenze dei programmatori di questi «robot responsabili delle assunzioni». Alcuni esperti sostengono che i modelli basati su algoritmi non siano nient’altro che opinioni «incastonate» in formule matematiche (28). Ecco perché occorre al tempo stesso garantire la possibilità di ricorrere all’intervento umano (in relazione al principio di trasparenza delineato sopra: il diritto di conoscere i criteri alla base delle decisioni) e assicurare che la raccolta e il trattamento dei dati siano conformi ai principi di proporzionalità e di finalità. In ogni caso, i dati non possono essere utilizzati per scopi diversi da quelli per cui sono stati raccolti (29).

6.10.

La possibilità offerta agli Stati membri dal regolamento generale sulla protezione dei dati di «prevedere, con legge o tramite contratti collettivi, norme più specifiche per assicurare la protezione dei diritti e delle libertà con riguardo al trattamento dei dati personali dei dipendenti nell’ambito dei rapporti di lavoro» rappresenta un effettivo strumento a cui gli Stati membri dell’UE e le parti sociali devono fare ricorso (30).

6.11.

È opportuno sottolineare in questo contesto che i rischi non riguardano i soli lavoratori dipendenti. Man mano che si vanno diffondendo il lavoro in subappalto online o quello tramite piattaforma, come pure le varie forme di lavoro collettivo (crowdworking), si sviluppano sempre più anche nuovi sistemi di gestione automatizzata delle prestazioni e della «presenza» al lavoro, i cui limiti etici talvolta vengono apparentemente superati (attivazione della webcam del lavoratore da parte della piattaforma, schermata del PC registrata a distanza ecc.).

6.12.

In molti casi gli algoritmi su cui si basano queste piattaforme — e che determinano, tra l’altro, la retribuzione del lavoratore autonomo, la sua reputazione digitale e le sue possibilità di accesso alle mansioni impartite — mancano di trasparenza. I lavoratori non ricevono spiegazioni sulle modalità di funzionamento di questi algoritmi e, quindi, non hanno accesso ai criteri di funzionamento che vengono loro applicati.

7.   Preparare una transizione equa

7.1.

Nel medio periodo, il rischio di polarizzazione sociale messo in luce da numerosi esperti impone una riflessione di fondo sul futuro dei nostri modelli sociali, compreso il loro finanziamento. Il CESE chiede alla Commissione di avviare un dibattito sui temi dell’imposizione fiscale e del finanziamento dei bilanci pubblici e dei sistemi collettivi di protezione sociale in un contesto economico in cui l’automazione va assumendo rapidamente una sempre maggiore densità (31), mentre invece l’imposta sul reddito da lavoro rimane tuttora la principale fonte di gettito fiscale in Europa. Il dibattito dovrebbe affrontare anche la questione della ridistribuzione dei dividendi della digitalizzazione.

7.2.

La Commissione propone di rafforzare il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) e, tra le altre proposte, di fare in modo che possano beneficiarne sia i lavoratori dipendenti che quelli autonomi la cui attività lavorativa scompaia o cessi a causa della digitalizzazione dell’economia (robotica, automazione) (32). Il CESE ritiene che si tratti di un passo verso l’istituzione di un autentico Fondo europeo di transizione che contribuirebbe ad anticipare e a gestire in modo socialmente responsabile la trasformazione digitale e le conseguenti ristrutturazioni.

7.3.

Gli aspetti sociali e, più in generale, socioculturali dell’IA sono sempre più spesso oggetto di dibattiti in ambito nazionale. Le recenti discussioni tenutesi al Parlamento britannico (33) e al Senato francese hanno evidenziato la necessità di promuovere un approccio etico all’IA, che sia fondato su una serie di principi quali la correttezza, la trasparenza e la comprensibilità dei sistemi algoritmici, l’etica e la responsabilità delle applicazioni dell’IA, nonché la sensibilizzazione di ricercatori, esperti e specialisti circa il potenziale uso improprio dei risultati delle loro ricerche. In Francia, la relazione Villani dichiara di voler «dare un senso» all’IA (34). Numerosi esperti delle università di Yale, Stanford, Cambridge e Oxford mettono in guardia quanto ai «punti deboli non risolti» dell’IA e insistono sull’assoluta necessità di prevederli, prevenirli e attenuarli (35). Analogamente, il Fondo per la ricerca del Québec (Fonds de recherche du Québec, FRQ), in collaborazione con l’Università di Montréal, sta elaborando da qualche mese un progetto relativo a un Osservatorio mondiale sull’impatto socioculturale dell’IA e del digitale (36).

7.4.

Questo fervore di iniziative dimostra che il dibattito sull’IA deve uscire dal recinto chiuso del mero ambito economico e tecnico, e che occorre ampliare la portata delle deliberazioni pubbliche sul ruolo che la società vuole affidare all’IA, anche nel mondo del lavoro. Queste deliberazioni pubbliche consentiranno di non cadere nella trappola della «falsa dicotomia» tra una visione totalmente ingenua e ottimistica, da un lato, e una prospettiva apocalittica, dall’altro, dell’IA e del suo impatto (37). L’avvio di queste discussioni negli Stati membri è già un primo passo utile, ma anche l’UE ha un ruolo da svolgere nel dibattito, in particolare attraverso l’elaborazione di orientamenti etici per l’IA, un tema su cui la Commissione ha già preso l’iniziativa.

7.5.

Il compito di attuare questi orientamenti dovrebbe essere affidato a uno specifico Osservatorio per l’etica dei sistemi di IA. Il punto essenziale consiste nel mettere l’IA e le sue applicazioni al servizio del benessere e dell’emancipazione dei cittadini e dei lavoratori, nel rispetto dei diritti fondamentali, evitando al tempo stesso che dette tecnologie contribuiscano, direttamente o indirettamente, a processi di dequalificazione e di perdita di titolarità, di competenze e di autonomia. Il principio secondo cui «l’essere umano è ai comandi» in tutte le circostanze, anche in ambito lavorativo, deve trovare concreta applicazione.

7.6.

Tale principio va applicato anche in altri settori di attività, ad esempio quelle svolte da operatori sanitari che forniscono servizi strettamente legati alla vita, alla salute, alla sicurezza e alla qualità della vita dei cittadini. Solo l’adozione di rigorose norme etiche potrà garantire tutti i vantaggi che le nuove applicazioni dell’IA apportano non solo ai lavoratori, ma anche ai consumatori, ai pazienti, ai clienti e ad altri prestatori di servizi.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Acemoglu, D., Restrepo, P. (2018), Artificial Intelligence, Automation and Work («Intelligenza artificiale, automazione e lavoro»), NBER Working Paper 24196, gennaio 2018. Cfr. anche: Consiglio francese di orientamento per l’occupazione (2017), Automatisation, numérisation et emploi («Automazione, digitalizzazione e occupazione»). (Tomo 1) (www.coe.gouv.fr).

(2)  Acemoglu, D., op.cit.; Consiglio francese di orientamento per l’occupazione (2017), op. cit.

(3)  COM(2018) 380 final.

(4)  Direttiva 2002/14/CE; Dichiarazione comune d’intenti UNICE-CES-CEEP sul dialogo sociale e le nuove tecnologie, 1985; Parere comune delle parti sociali sulle nuove tecnologie, l’organizzazione del lavoro e l’adattabilità del mercato del lavoro, 1991; Orientamenti di riferimento per la gestione del cambiamento e delle sue conseguenze sociali, 2003.

(5)  COM(2018) 246 final.

(6)  https://ifr.org/ifr-press-releases/news/robots-double-worldwide-by-2020.

(7)  GU C 288 del 31.8.2017, pag.1.

(8)  Cfr. in particolare https://www.techemergence.com.

(9)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 1.

(10)  Eurofound 2018, Automation, digitalisation and platforms: Implications for work and employment («Automazione, digitalizzazione e piattaforme: le implicazioni per il lavoro e l’occupazione»), Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo.

(11)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161.

(12)  Frey e Osborne, 2013; Bowles, 2014; Arntz, Gregory e Zierahn, 2016; Le Ru, 2016; McKinsey, 2016; OCSE, 2017; cfr. anche il parere esplorativo CCMI/136, (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 161).

(13)  http://www.oecd.org/fr/emploi/avenir-du-travail/.

(14)  COM(2018) 237 final.

(15)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 15.

(16)  Nederlandse Wetenschappelijke Raad voor het Regeringsbeleid = Consiglio scientifico dei Paesi Bassi per la politica di governo.

(17)  https://english.wrr.nl/latest/news/2015/12/08/wrr-calls-for-inclusive-robot-agenda.

(18)  Cfr. i lavori sui «rischi emergenti» dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (https://osha.europa.eu/it/emerging-risks). Secondo l’Agenzia, «gli approcci attuali e gli standard tecnici finalizzati a proteggere i dipendenti dai rischi derivanti dall’affiancamento a robot collaborativi dovranno essere rivisti in preparazione di questi sviluppi».

(19)  COM(2018) 246 final.

(20)  Testo firmato congiuntamente da UNICE (Confederazione delle imprese europee, oggi BusinessEurope), CEEP (Centro europeo dei datori di lavoro e delle imprese o organizzazioni che offrono servizi di interesse generale), UEAPMI (Unione europea dell’artigianato e delle piccole e medie imprese) e CES/ETUC (Confederazione europea dei sindacati), 16 ottobre 2003.

(21)  Direttiva 2002/14/CE che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori.

(22)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 54; GU C 173 del 31.5.2017, pag. 15; GU C 129 dell’11.4.2018, pag. 7; GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(23)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(24)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 15

(25)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 1; GU C 367 del 10.10.2018, pag. 15.

(26)  Diversi mezzi d’informazione europei hanno pubblicato resoconti sulle condizioni di lavoro che vigono in alcuni centri logistici, dove i lavoratori sono sotto il totale controllo di algoritmi che indicano loro i compiti da eseguire in tempi stabiliti, e dove le loro prestazioni vengono misurate in tempo reale.

(27)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 15.

(28)  Cathy O’Neil, titolare di un dottorato dell’Università di Harvard e scienziata dei dati: «Models are opinions embedded in mathematics» (https://www.theguardian.com/books/2016/oct/27/cathy-oneil-weapons-of-math-destruction-algorithms-big-data).

(29)  Cfr. in particolare i lavori della Commissione nazionale dell’informatica e delle libertà (CNIL) in Francia (Comment permettre à l’homme de garder la main? Les enjeux éthiques des algorithmes et de l’intelligence artificielle — «Come permettere all’uomo di mantenere il controllo? Algoritmi, intelligenza artificiale e posta in gioco sul piano etico»).

https://www.cnil.fr/sites/default/files/atoms/files/cnil_rapport_garder_la_main_web.pdf).

(30)  Cfr. l’articolo 88 del regolamento (UE) 2016/679.

(31)  https://ifr.org/ifr-press-releases/news/robots-double-worldwide-by-2020.

(32)  COM(2018) 380 final.

(33)  https://www.parliament.uk/ai-committee.

(34)  http://www.enseignementsup-recherche.gouv.fr/cid128577/rapport-de-cedric-villani-donner-un-sens-a-l-intelligence-artificielle-ia.html.

(35)  https://www.eff.org/files/2018/02/20/malicious_ai_report_final.pdf.

(36)  http://nouvelles.umontreal.ca/article/2018/03/29/le-quebec-jette-les-bases-d-un-observatoire-mondial-sur-les-impacts-societaux-de-l-ia/.

(37)  Acemoglu, D., cit. Cfr. anche Eurofound 2018, Automation, digitalisation and platforms: Implications for work and employment («Automazione, digitalizzazione e piattaforme: le implicazioni per il lavoro e l’occupazione»), Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo, pag. 23: «The risks comprise unwarranted optimism, undue pessimism and mistargeted insights» («tra i rischi da segnalare, un ottimismo ingiustificato, un indebito pessimismo e capacità di comprensione mirate ad obiettivi sbagliati»).


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Fiducia, rispetto della vita privata e sicurezza per i consumatori e le imprese nell’Internet degli oggetti»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 440/02)

Relatore:

Carlos TRIAS PINTÓ

Correlatore:

Dimitris DIMITRIADIS

Decisione dell’assemblea plenaria

15.2.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

182/3/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Grazie all’interconnettività di persone e oggetti, l’Internet degli oggetti (IoT) offre a cittadini e imprese un ampio ventaglio di opportunità, che vanno però corredate di una serie di garanzie e controlli per assicurare un’introduzione soddisfacente dell’IoT.

1.2.

Considerando che uno dei pilastri dell’IoT è il processo decisionale automatico, senza intervento umano, è necessario fare in modo che le decisioni non compromettano i diritti dei consumatori, non comportino rischi etici e non siano in contrasto con i principi e i diritti umani fondamentali.

1.3.

Il CESE invita le istituzioni e gli Stati membri dell’UE a:

1.3.1.

provvedere a tutelare la sicurezza e la vita privata elaborando adeguati quadri normativi che prevedano rigorose misure di monitoraggio e controllo;

1.3.2.

definire chiaramente la responsabilità di tutti gli operatori nella catena di approvvigionamento dei prodotti e nei relativi flussi di informazione, prevenendo le scappatoie giuridiche che si presentano quando sono coinvolti contemporaneamente diversi produttori e distributori;

1.3.3.

prevedere risorse adeguate e meccanismi efficaci per il coordinamento tra la Commissione europea e gli Stati membri, al fine di garantire un’applicazione coerente e armonizzata sia della normativa soggetta a revisione che della nuova legislazione, tenendo conto al tempo stesso dello scenario internazionale;

1.3.4.

monitorare lo sviluppo delle tecnologie emergenti associate all’Internet degli oggetti, per garantire elevati livelli di sicurezza, piena trasparenza e un’equa accessibilità;

1.3.5.

promuovere la normazione europea e internazionale per garantire l’affidabilità, la disponibilità, la resistenza e la continuità dei prodotti;

1.3.6.

vigilare sui mercati e garantire condizioni di parità nell’attuazione dell’IoT, evitando una concentrazione di potere economico transnazionale nelle mani dei nuovi soggetti tecnologici;

1.3.7.

impegnarsi a promuovere azioni di sensibilizzazione e rafforzamento delle competenze digitali, di pari passo con le attività di ricerca e innovazione di base in questo campo;

1.3.8.

garantire la piena attuazione e l’uso efficace dei meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie on line e off line (ADR e ODR);

1.3.9.

garantire l’esistenza, l’applicazione e l’effettivo funzionamento di un sistema europeo di azioni collettive, che consenta di ottenere misure inibitorie e risarcimenti quando l’uso dell’IoT provoca danni o pregiudizi collettivi, come dovrebbe conseguire dal New deal per i consumatori.

1.4.

La fiducia dei consumatori sarà associata al rigoroso rispetto della legislazione pertinente e alla comunicazione delle buone pratiche d’impresa in materia di rispetto della vita privata e sicurezza. Spetterà poi alle istituzioni inserirle nelle strategie di responsabilità sociale d’impresa e di investimento socialmente responsabile.

1.5.

L’impatto sociale ed economico dell’IoT aumenterà nella misura in cui l’IoT sarà adeguatamente collegata allo sviluppo di politiche socio-ambientali nel quadro dell’economia collaborativa, dell’economia circolare e dell’economia della funzionalità.

2.   Antefatti e contesto

2.1.

Internet ha acquisito sempre maggiore importanza negli ultimi quindici anni, dando luogo a trasformazioni in ogni aspetto della vita quotidiana e influendo su varie abitudini dei consumatori. Si prevede che nei prossimi dieci anni la rivoluzione dell’Internet degli oggetti raggiungerà i settori dell’energia, dell’agricoltura e dei trasporti, nonché i settori più tradizionali dell’economia e della società. Si dovranno quindi mettere a punto politiche a vasto raggio, che affrontino con un approccio intelligente questa rivoluzione tecnologica.

2.2.

Il concetto di IoT è emerso all’Istituto di tecnologia del Massachusetts (MIT) e si riferisce, in sostanza, a un mondo pieno di dispositivi pienamente interconnessi tra di loro, in modo da consentire di automatizzare congiuntamente i vari processi interoperabili. Da parte sua, l’Unione europea si prepara alla convergenza digitale e alle nuove sfide dell’IoT già dall’avvio del piano i2010 — Una società europea dell’informazione per la crescita e l’occupazione (1), fino al recente piano d’azione sull’Internet degli oggetti (vedere il documento Advancing the Internet of Things in Europe, che accompagna la comunicazione del 2016 Digitalizzazione dell’industria europea. Cogliere appieno i vantaggi di un mercato unico digitale (2)).

2.3.

Il CESE, che si è pronunciato in più occasioni sulla quarta rivoluzione industriale, contrassegnata dalla convergenza di tecnologie digitali, fisiche e biologiche, richiama l’attenzione in particolare su un suo parere del 2017 (3). L’IoT è il terreno d’elezione per le forme più avanzate di intelligenza artificiale, nel quale sono messi alla prova i principi enunciati dal CESE, in particolare, quello del controllo umano (human in control).

2.4.

I dispositivi dell’IoT, spesso, non dispongono delle norme di autenticazione necessarie per preservare la sicurezza dei dati degli utenti. La mancanza di dette norme comporta una serie di problemi, giacché i dispositivi, i dati e i membri della catena di fornitura vengono esposti a violazioni della sicurezza.

2.5.

Tecnologie emergenti, come quella blockchain (catena di blocchi) possono risolvere problemi di sicurezza e fiducia: tale tecnologia, infatti, può essere utilizzata per seguire le misurazioni di dati provenienti da sensori, evitando la duplicazione con dati malevoli e tutelando l’integrità e la tracciabilità delle modifiche; un registro distribuito può consentire l’identificazione di un dispositivo IoT, la sua autenticazione e il trasferimento continuo e sicuro di dati; i sensori dell’IoT possono essere utilizzati per scambiare dati utilizzando una catena di blocchi invece che una parte terza; l’uso dei contratti intelligenti consente l’autonomia dei dispositivi, nonché l’identità individuale e l’integrità dei dati; i costi di creazione e di funzionamento si riducono grazie all’assenza di intermediari; da ultimo, i dispositivi dell’IoT nella blockchain forniscono una cronologia dei dispositivi connessi, che risulta utile per risolvere eventuali problemi (4).

2.6.

Vengono peraltro sviluppate tecnologie di contabilità distribuita a codice aperto, per lo scambio di informazioni e di valore tra dispositivi dell’IoT. Esse non consentono l’estrazione dei dati, ma utilizzano un’architettura ispirata a un concetto matematico denominato grafo aciclico orientato (DAG — Directed Acyclic Graph), che evita le commissioni e fa sì che la rete aumenti la sua capacità con l’aumento del numero di utenti.

2.7.

Si tratta, in sintesi, di un’innovazione con un grandissimo potenziale economico (5) e sociale, che presenta grandi opportunità ma anche considerevoli sfide legate a rischi impliciti, con un carattere multidisciplinare e trasversale, che interessa in egual misura imprese e consumatori, amministrazioni e cittadini. Per affrontare il tema risulta dunque necessario un approccio comune che, al contempo, riconosca il carattere specifico delle differenti situazioni. Al riguardo, basti ricordare che le Nazioni Unite hanno stimato che per il 2020 ci saranno cinquanta miliardi di dispositivi interconnessi, con applicazioni per i consumatori attraverso televisori, frigoriferi, telecamere per la videosorveglianza, veicoli ecc.

2.8.

Le applicazioni dell’IoT generano già vantaggi economici e sociali nel quadro di un mondo globalizzato, il che comporta, tra le altre cose, servizi più sensibili al contesto socioeconomico, cicli di retroazione (feedback) più brevi, riparazioni a distanza, supporto per il processo decisionale, migliore assegnazione delle risorse e controllo a distanza dei servizi. Tuttavia, vi sono anche fattori associati estremamente sensibili, per esempio la vita privata e la sicurezza, l’asimmetria dell’informazione, la trasparenza delle operazioni, le responsabilità complesse, il blocco di prodotti e sistemi e anche un aumento dei prodotti ibridi, che può incidere sulla proprietà ed esporre i consumatori all’applicazione di contratti a distanza, con una conseguente riduzione delle garanzie.

2.9.

Le enormi sfide giuridiche che l’UE e i suoi Stati membri si trovano ad affrontare sono dovute al fatto che molte delle caratteristiche specifiche dell’IoT (gli elevati livelli di complessità e di interdipendenza, l’elemento dell’autonomia, le componenti di generazione e/o trattamento dei dati e una dimensione aperta) sono comuni ad altre tecnologie digitali emergenti come la blockchain, la stampa tridimensionale e il cloud computing. Secondo il CESE, il documento di lavoro della Commissione sulla responsabilità per le tecnologie digitali emergenti (6) rappresenta un ulteriore passo avanti nella giusta direzione.

2.10.

In definitiva, per massimizzare i vantaggi e minimizzare i rischi associati all’IoT è necessario fornire informazioni accessibili, chiare, concise e precise, promuovendo in particolare l’inclusione e la connettività digitale dei consumatori più vulnerabili, grazie alla progettazione di prodotti e servizi pienamente tracciabili, che includano norme integrate in materia di fiducia, rispetto della vita privata e sicurezza.

3.   Fiducia dei consumatori e degli imprenditori nell’IoT

3.1.

L’IoT è un ecosistema complesso, che permette l’interconnessione di dispositivi provenienti da diversi produttori, distributori e sviluppatori di software, il che può rendere difficile accertare le responsabilità in caso di violazione delle norme o di danni materiali o di altri danni a terzi o a sistemi, causati da prodotti difettosi o dall’uso distorto di prodotti da parte di terzi, a esclusione degli utilizzatori finali, attraverso la rete. È effettivamente possibile che molti degli operatori che partecipano alla catena del valore globale del prodotto non abbiano le conoscenze e le competenze sufficienti in materia di sicurezza o protezione dei dati per i dispositivi in rete.

3.2.

Pertanto è necessaria una ridefinizione delle responsabilità, per garantire che i consumatori e le imprese che adottano applicazioni di IoT siano protetti in un ambiente in cui prodotti adeguatamente configurati possono diventare difettosi o non sicuri o essere adibiti abusivamente a un uso distorto a seguito di incidenti di sicurezza digitale (quali gli attacchi di hacker). Detto ambiente deve consentire di anticipare e prevenire decisioni automatizzate che potrebbero violare i fondamenti etici e i diritti umani universalmente riconosciuti, e permettere di tutelarsi da tali decisioni.

3.3.

Il CESE accoglie con favore sia la revisione dell’applicazione della direttiva del 1985 in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi (7) che la recente creazione del gruppo di esperti multilaterale sulla responsabilità e le nuove tecnologie, nell’ottica di garantire un equilibrio giusto tra gli interessi dei produttori e quelli dei consumatori. Un nuovo quadro di responsabilità dovrebbe contemplare chiaramente la tracciabilità della responsabilità e della sicurezza in ogni passaggio della catena del valore del prodotto e durante il suo prevedibile ciclo di vita, includendo la sostenibilità come nuovo fattore che richiederà l’aggiornamento, il miglioramento, la portabilità, la compatibilità, la riutilizzazione, la riparazione o l’ammodernamento del prodotto.

3.4.

Va inoltre riservata un’attenzione specifica, in chiave IoT, alla determinazione della responsabilità di tutti gli operatori che partecipano alla catena di fornitura del prodotto, evitando i vuoti giuridici in caso di presenza contemporanea di più produttori e distributori. Il CESE ritiene imprescindibile specificare chiaramente le procedure che i consumatori devono seguire in ogni caso, promuovendo i meccanismi di risoluzione alternativa delle controversie.

3.5.

Il CESE sottolinea l’importanza delle informazioni precontrattuali, delle clausole contrattuali trasparenti e di chiare istruzioni per l’uso dei dispositivi; si dovrebbero evidenziare esplicitamente i possibili rischi connessi e le relative tutele.

3.6.

Occorre provvedere all’interoperabilità e alla compatibilità dei dispositivi e del relativo software, onde evitare problemi e consentire al consumatore di comparare i fornitori. Il CESE sottolinea che questo fattore è essenziale anche per creare condizioni di parità tra grandi imprese e PMI.

3.7.

Infine, il CESE raccomanda il rispetto della neutralità della rete e sollecita la Commissione a procedere a un controllo rigoroso del comportamento del mercato.

4.   Protezione della vita privata dei consumatori nell’IoT

4.1.

Il nuovo regolamento generale sulla protezione dei dati (8) ha accresciuto la capacità dei consumatori di controllare i loro dati personali e le loro preferenze in materia di protezione della vita privata. L’utente di un dispositivo deve avere il controllo sul modo in cui sono utilizzati i dati che genera e su chi può accedere agli stessi, considerando che la diversità di dati, nonché l’aggregazione e il collegamento ad altri dati, mettono gravemente a rischio la protezione della vita privata nell’ecosistema dell’IoT.

4.2.

È opportuno tener presente l’impatto che la molteplicità di prodotti, servizi o entità può avere sia sulla protezione della vita privata che sulla protezione dei dati, laddove questi vengano trasferiti autonomamente in virtù della loro interconnettività. Analogamente, nei casi in cui si trattano o rielaborano informazioni a partire da dati inizialmente innocui, si potrebbe giungere ad acquisire una conoscenza precisa di abitudini, luoghi frequentati, interessi e preferenze delle persone, accrescendo l’accessibilità e la tracciabilità del profilo utente.

4.3.

Le garanzie giuridiche devono assicurare la piena capacità degli utenti di esercitare i loro diritti alla vita privata e alla protezione dei dati personali senza limitazione alcuna, evitando così possibili danni come le pratiche discriminatorie, la pubblicità invasiva, la perdita di protezione della vita privata e le violazioni della sicurezza. I consumatori, da parte loro, devono disporre di informazioni sul valore economico dei loro dati, e a essi dev’essere riservata la facoltà di condividerli.

4.4.

Come dispone il regolamento generale sulla protezione dei dati, le imprese e le autorità di regolamentazione devono rivedere periodicamente la portata della raccolta di dati personali e valutare se i dati trattati siano proporzionati e necessari per l’erogazione del servizio. Gli aspetti e le conseguenze relativi alla protezione della vita privata devono essere valutati in ogni fase dell’ideazione, progettazione e sviluppo di un prodotto connesso, così come l’ecosistema in rete in cui tale prodotto opera (protezione della vita privata fin dalla progettazione). Bisogna quindi attuare in modo coerente, nell’IoT, i principi della protezione della vita privata fin dalla progettazione (privacy by design) e della protezione della vita privata per impostazione predefinita (privacy by default).

4.5.

Inoltre, come impostazione predefinita, la configurazione di qualunque prodotto connesso deve avvenire al più elevato livello di tutela della privacy (privacy by design e privacy by default), evitando il monitoraggio indesiderato del comportamento degli utenti e delle loro attività.

4.6.

In ogni caso, i consumatori dovranno essere chiaramente informati circa i dati che vengono raccolti, i soggetti che accedono agli stessi e l’uso previsto finché resta attiva la relazione con il prodotto o il servizio, nonché circa la politica applicabile in materia di protezione della vita privata e se gli algoritmi utilizzati hanno ripercussioni sulla qualità e sul prezzo del servizio e sull’accesso allo stesso.

5.   Sicurezza dei consumatori e degli imprenditori nell’IoT

5.1.

L’interconnettività dei dispositivi tipica dell’ecosistema dell’IoT può favorire lo sviluppo di pratiche tecnologiche illegali o indesiderate, diventando così uno spazio che alimenta la vulnerabilità e la sua propagazione virale. Pertanto, la sicurezza deve essere garantita in modo integrale, ossia per ogni singola componente del sistema.

5.2.

L’offerta di prodotti e di aggiornamenti legati alla cibersicurezza dovrà essere giustificata e garantire non solo la copertura dei dispositivi individuali ma anche la tutela dai rischi di sicurezza che derivano dalla interconnettività con altri dispositivi nell’IoT, senza ridurre, in ragione del loro numero, le norme di qualità di detta sicurezza.

5.3.

Al riguardo, la proposta di regolamento relativo all’agenzia dell’Unione europea per la cibersicurezza (9), include un quadro di certificazione delle TIC che consentirà la definizione di sistemi volontari di certificazione della sicurezza ed etichettatura per diverse tipologie di prodotti, compresi quelli dell’IoT. Il CESE accoglie con favore questa misura, ma esprime preoccupazione per il fatto che non essa non sia obbligatoria.

5.4.

Le misure di cibersicurezza dovrebbero contemplare i rischi derivanti da ogni tipo di vulnerabilità, in particolare la pirateria informatica, l’accesso non autorizzato e l’uso improprio, nonché i rischi relativi ai mezzi di pagamento e alle frodi finanziarie. Al riguardo, il CESE accoglie favorevolmente le competenze attribuite al gruppo di esperti multilaterale sulla responsabilità e le nuove tecnologie.

5.5.

Inoltre, occorrerà garantire la sicurezza personale dei consumatori rispetto ai rischi che derivano dalla tecnologia di prossimità, dalle bande di frequenza condivise, dall’esposizione a campi elettromagnetici o dalle possibili interferenze con dispositivi di sicurezza personale connessi. Il CESE chiede l’applicazione di misure di vigilanza e ritiro preventivo in caso di rischi per la salute e la sicurezza dei consumatori o per i loro interessi personali ed economici.

5.6.

Le imprese dovranno adottare standard di buone pratiche, tra cui la sicurezza sin dalla progettazione (security by design) e per impostazione predefinita (security by default), e sottoporsi a valutazioni esterne indipendenti. Laddove si verifichino incidenti di sicurezza o violazioni di dati, le imprese saranno obbligate a darne notifica, fornendo anche informazioni relative alla responsabilità per danni e per il mancato rispetto delle norme applicabili.

5.7.

Le imprese dovranno fornire ai consumatori informazioni semplici e accessibili, che consentano loro di prendere decisioni appropriate e adottare pratiche sicure, fornendo inoltre gli aggiornamenti di sicurezza fondamentali per tutto il ciclo di vita del prodotto.

5.8.

Va poi risolta l’assenza di norme coerenti relative alle reti dell’IoT e occorre sviluppare tecnologie avanzate a banda larga e di nuova generazione che migliorino le attuali infrastrutture.

6.   Proposte di azione nel quadro delle politiche pubbliche (10)

6.1.

Nell’esercitare i loro poteri ai vari livelli territoriali, le pubbliche amministrazioni dovranno impegnarsi attivamente nell’elaborazione delle politiche e dei piani d’azione dell’IoT al fine di conseguire un equilibrio di interessi tra le diverse parti in causa, anticipando e prevenendo possibili effetti negativi. Il CESE propone di:

6.1.1.

creare ambienti di prova (sandbox), ossia gli spazi fisici, i cluster ecc. per i progetti pilota e le verifiche teoriche (proof of concept). Ciò dovrebbe mirare a testare non solo le tecnologie ma anche i modelli di regolamentazione (11);

6.1.2.

finanziare infrastrutture tecnologiche che consentano lo sviluppo di progetti innovativi dell’IoT nel quadro del nuovo programma Orizzonte Europa;

6.1.3.

designare istituti e agenzie indipendenti quali facilitatori e supervisori dei progetti dell’IoT. Il CESE si congratula per le misure pertinenti previste al riguardo dal regolamento del 2017 sulla cibersicurezza e invita la Commissione a promuovere efficacemente i processi di normazione nel settore digitale con adeguate risorse di bilancio (12);

6.1.4.

promuovere associazioni e piattaforme di cooperazione pubblico-privato, coinvolgendo la comunità scientifica, l’industria e i consumatori;

6.1.5.

incoraggiare gli investimenti nello sviluppo di modelli imprenditoriali locali che sfruttino i vantaggi dell’IoT e facilitino la trattazione di aspetti complessi quali la protezione e la proprietà dei dati;

6.1.6.

provvedere al rafforzamento delle capacità in ambito imprenditoriale nell’ottica della responsabilità condivisa. Occorrerebbe garantire che la sicurezza e la privacy sin dalla progettazione e per impostazione predefinita siano parte integrante dei prodotti e dei servizi delle TIC, in linea con il principio del dovere di sollecitudine, menzionato nel nuovo regolamento sulla cibersicurezza. A questo proposito, il CESE accoglie con favore la prevista elaborazione di codici di condotta, a complemento della regolamentazione;

6.1.7.

promuovere le iniziative di normazione europee e internazionali per garantire che i sistemi di IoT dispongano delle caratteristiche essenziali: affidabilità, sicurezza, disponibilità, resistenza, manutenibilità e utilizzo. In particolare, la normazione è essenziale per la rapida realizzazione di processi di produzione industriale altamente digitalizzati;

6.1.8.

provvedere affinché gli utenti dell’IoT, specie i più vulnerabili o quanti vivono in zone scarsamente popolate, abbiano un accesso di qualità a prezzi accessibili;

6.1.9.

promuovere campagne di sensibilizzazione e programmi educativi per facilitare l’adozione dell’IoT da parte delle imprese e dei consumatori, rendendo possibile l’acquisizione delle capacità e competenze necessarie (13), con particolare attenzione per i gruppi vulnerabili e la diversità;

6.1.10.

avviare iniziative nel settore dell’istruzione, per garantire un’adeguata prevenzione, vista l’inclusione precoce della popolazione infantile negli ambienti digitali;

6.1.11.

avviare analisi diagnostiche e studi in merito all’impatto dell’IoT su settori quali i nuovi modelli di produzione e di consumo sostenibili;

6.1.12.

garantire la piena attuazione e l’uso efficace dei meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie on line e off line (ADR e ODR);

6.1.13.

garantire l’esistenza, l’applicazione e l’effettivo funzionamento di un sistema europeo di azioni collettive, che consenta di ottenere misure inibitorie e risarcimenti quando l’uso dell’IoT provoca danni o pregiudizi collettivi, come dovrebbe conseguire dal new deal per i consumatori.

6.2.

Il CESE invita inoltre la Commissione a valutare le norme direttamente o indirettamente collegate all’Internet degli oggetti e, se necessario, a migliorare la legislazione in vigore. In tale contesto, il new deal per i consumatori dovrebbe porre l’accento anche sui dispositivi interconnessi, le reti e la loro sicurezza, e i dati associata a tali dispositivi.

6.3.

Infine, il CESE sottolinea l’importanza di istituire meccanismi di cooperazione e coordinamento tra gli Stati membri per un’applicazione efficiente e uniforme della normativa prevista, nonché per gli accordi che l’Unione europea dovrà concludere fuori dal suo territorio in ragione dell’ubicazione delle sedi delle imprese e dei fornitori, con particolare riferimento allo scambio di migliori pratiche. La politica internazionale sui flussi di dati transfrontalieri dovrà essere coordinata così che i paesi interessati possano dotarsi di norme di tutela ugualmente elevate nelle rispettive legislazioni nazionali, sia a livello sostanziale che procedurale.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2005) 229 final.

(2)  COM(2016) 180 final.

(3)  L’intelligenza artificiale — Le ricadute dell’intelligenza artificiale sul mercato unico (digitale), sulla produzione, sul consumo, sull’occupazione e sulla società (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 1).

(4)  Cfr. Khwaja Shaik, Why blockchain and IoT are best friends, https://www.ibm.com; sulle innovazioni nel settore finanziario europeo, cfr. (GU C 246 del 28.7.2017, pag. 8).

(5)  Secondo Digital McKinsey, l’impatto economico potenziale dell’IoT nel 2025 si collocherà tra 3 900 e 11 100 miliardi di dollari USA all’anno.

(6)  SWD(2018) 137.

(7)  COM(2018) 246 final.

(8)  In vigore dal 25 maggio 2018.

(9)  Cfr. COM(2017) 477 final.

(10)  Cfr. gruppo della Banca mondiale, Internet of Things: The New Government-to-Business Platform (Internet degli oggetti: la nuova piattaforma governo-impresa).

(11)  Cfr. https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/eu-and-eea-member-states-sign-cross-border-experiments-cooperative-connected-and-automated.

(12)  GU C 197 dell'8.6.2018, pag. 17.

(13)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 36.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo sugli «Indicatori più appropriati per valutare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS): il contributo della società civile»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 440/03)

Relatrice:

Brenda KING (UK-I)

Correlatore:

Thierry LIBAERT (FR-III)

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.2.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

5.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

194/2/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

È dal 2015, anno dell’adozione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile da parte delle istituzioni europee, che il CESE invita incessantemente la Commissione a elaborare una Strategia europea globale per lo sviluppo sostenibile con finalità, obiettivi e azioni a carattere concreto al fine di conseguire i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS). Nonostante il fatto che l’UE abbia svolto un ruolo guida nell’adozione dell’Agenda 2030 e che gli OSS rispecchino valori fondamentali dell’UE volti a promuovere una maggiore coesione sociale, politica, economica e ambientale, la Commissione non ha lavorato allo sviluppo di una strategia globale. Il documento di riflessione «Verso un’Europa sostenibile per il 2030» che sarà pubblicato entro la fine del 2018 costituisce un’occasione per sottolineare l’importanza di adottare una strategia globale a livello europeo.

1.2.

L’assenza al momento di una strategia europea per lo sviluppo sostenibile rappresenta un fattore di rischio per la coerenza nell’attuazione dell’Agenda 2030 a livello dell’UE e a livello nazionale. Possono verificarsi divergenze nell’approccio adottato per la realizzazione degli OSS, dato che diversi Stati membri stanno già preparando le loro strategie nazionali di sviluppo sostenibile, mentre non esiste alcun quadro strategico europeo oppure orientamenti di attuazione comuni.

1.3.

Il CESE accoglie con favore la prima relazione annuale di Eurostat di monitoraggio dei progressi in materia di OSS (1), pubblicata nel 2017 e basata su un insieme completo di 100 indicatori che utilizzano criteri rigorosi per i dati. Il CESE, tuttavia, ha individuato numerose carenze per quanto riguarda l’attuale serie di indicatori, carenze di cui le future pubblicazioni della relazione annuale di Eurostat di monitoraggio dei progressi in materia di OSS annuale devono tener conto.

1.4.

Il CESE chiede indicatori che possano fornire una base per il lavoro di pianificazione e di definizione delle politiche. La serie di indicatori attuale non è in grado di misurare la distanza rispetto alla realizzazione degli obiettivi o di fornire un esame appropriato dello stato dei progressi. Devono essere stabiliti obiettivi politici specifici dell’UE per gli OSS e gli indicatori devono essere in grado di verificare la loro realizzazione. In assenza di obiettivi politici specifici a livello dell’UE, l’UE potrebbe valutare i risultati nazionali misurandoli rispetto ai risultati migliori e a quelli medi.

1.5.

Il CESE individua inoltre determinati limiti tecnici che devono essere affrontati per far sì che siano utilizzati gli indicatori migliori. Per esempio, l’uso di indicatori trasversali non è tuttora sufficiente a fornire informazioni sulle sinergie e sulle scelte problematiche tra gli obiettivi. Neanche gli effetti indotti sullo sviluppo sostenibile dei paesi partner e il monitoraggio della coerenza politica tra obiettivi importanti di politica interna ed esterna sono pienamente presi in considerazione.

1.6.

Eurostat e gli istituti nazionali di statistica devono garantire l’applicazione di un quadro coerente di indicatori. Dovrebbe essere disponibile un sistema integrato e completo di indicatori per garantire che il lavoro di monitoraggio dell’attuazione degli OSS a livello europeo e nazionale sia affidabile.

1.7.

Eurostat e gli istituti nazionali di statistica dispongono di risorse umane e finanziarie limitate per la raccolta di nuovi dati e non è pertanto sempre possibile produrre indicatori nuovi e più mirati. Il CESE chiede risorse adeguate per superare tale limitazione di rilievo.

1.8.

Il CESE chiede un maggiore coinvolgimento della società civile nella definizione degli indicatori e nella valutazione dei progressi dell’UE verso il conseguimento degli obiettivi. La natura trasversale degli OSS richiede una cooperazione integrata multilaterale.

1.9.

Il CESE raccomanda che la serie di indicatori sia completata da una relazione ombra qualitativa, elaborata in stretta collaborazione con le organizzazioni della società civile per aumentare il senso di titolarità degli OSS da parte di tutti i portatori di interesse. Le informazioni qualitative possono evidenziare tendenze che altrimenti, impiegando solo indicatori quantitativi, non sarebbero rilevate. Il CESE si propone per assumere un ruolo guida nel coordinare la preparazione della relazione qualitativa complementare. Inoltre, il CESE propone che la Commissione europea collabori per l’organizzazione di un vertice europeo sugli OSS, che abbia il carattere di una valutazione effettuata con il coinvolgimento di tutte le parti interessate.

1.10.

Un quadro strategico organico richiede, inoltre, che altri indicatori dell’UE (per esempio gli indicatori inclusi nel quadro di valutazione della situazione sociale o gli indicatori europei della biodiversità) siano coerenti con il quadro dell’Agenda 2030. Una strategia globale dovrebbe fornire tale panoramica del collegamento tra gli OSS, le politiche dell’UE e le diverse serie di indicatori.

1.11.

Il CESE chiede che l’attuale sistema di governance dell’UE sia adattato all’attuazione dell’Agenda 2030. Una strategia globale dell’UE per lo sviluppo sostenibile pienamente in linea con l’Agenda 2030 assicurerebbe l’integrazione degli OSS in tutte le politiche dell’UE e fornirebbe il quadro per il coordinamento e il monitoraggio dell’attuazione degli OSS a livello dell’UE e a livello degli Stati membri. Per esempio, il dispositivo del semestre europeo dovrebbe monitorare gli OSS e contribuire alla loro attuazione. In aggiunta, la formulazione e la valutazione delle politiche dell’UE (per esempio il programma «Legiferare meglio») dovrebbero essere adattate per incorporare pienamente gli OSS nel ciclo politico. Un test di sostenibilità dovrebbe essere applicato a tutte le proposte legislative e politiche per valutarne l’impatto sugli OSS e decidere in merito alla loro pertinenza.

1.12.

Il CESE raccomanda di designare all’interno della Commissione un vicepresidente che, insieme con un gruppo dedicato, una dotazione di bilancio specifica e con una struttura di lavoro collegata con tutti i commissari e i dipartimenti della Commissione sia responsabile dell’integrazione degli OSS nelle politiche dell’UE. Inoltre, il presidente della Commissione europea dovrebbe presentare i progressi compiuti e delineare le altre azioni necessarie per realizzare gli OSS nel discorso annuale sullo stato dell’Unione europea.

1.13.

Infine, il CESE chiede un accordo su un bilancio dell’UE che faccia dello sviluppo sostenibile l’obiettivo centrale. Il CESE ricorda che la decisione finale sul quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo 2021-2027 costituirà un’indicazione della capacità o meno dell’UE di conseguire gli impegni da essa assunti in relazione all’Agenda 2030. La proposta della Commissione del maggio 2018 va nella giusta direzione, ma in ultima analisi non coglie l’opportunità di fare dell’Agenda 2030 la priorità del programma politico europeo.

2.   Assenza di una strategia dell’UE

2.1.

L’UE dovrebbe impegnarsi in misura maggiore nel suo ruolo di guida nel garantire e promuovere lo sviluppo sostenibile. In effetti, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite è perfettamente in linea con la finalità fondamentale dell’Unione europea, che è quella di promuovere una maggiore coesione sociale, politica, economica e ambientale, sia in Europa che in tutto il mondo. Tuttavia, sebbene l’UE e i suoi Stati membri abbiano firmato l’Agenda globale, l’Europa è in ritardo. A tutt’oggi l’UE e una serie di Stati membri non hanno ancora messo in atto una strategia di sviluppo sostenibile per garantire il conseguimento degli OSS.

2.2.

Nel quadro dell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea, un riferimento allo sviluppo sostenibile stabilisce: «Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione … Contribuisce … allo sviluppo sostenibile della Terra …». Nonostante vi siano sempre più alcuni elementi di sostenibilità in diverse politiche adottate a livello di UE, quali le politiche industriali e quelle in materia di trasporti ed energia, si rileva una mancanza di ambizione e di finanziamenti. In generale, il CESE si rammarica dell’evidente mancanza di strategia, di coerenza politica e di integrazione nel coordinamento politico complessivo dell’UE.

2.3.

Il CESE è l’unica istituzione a livello europeo ad aver fatto dello sviluppo sostenibile una priorità principale. Il Parlamento europeo non ha alcuna struttura dedicata allo sviluppo sostenibile, anche se alcuni gruppi politici stanno inserendo l’Agenda 2030 nelle loro priorità politiche per le elezioni del Parlamento europeo del maggio 2019. Nel frattempo la Commissione europea ha istituito la piattaforma multilaterale per l’attuazione degli OSS, che rappresenta un passo nella giusta direzione, m non è chiaro se la piattaforma esisterà ancora dopo la scadenza del mandato della Commissione attuale. Inoltre, il CESE ha chiesto in passato un forum più ambizioso e più ampio della società civile di quello che è stato alla fine creato (2).

2.4.

A livello nazionale, il grado di pianificazione e attuazione degli OSS è diverso (3). Alcuni Stati membri hanno già adottato strategie globali di sviluppo sostenibile nazionali e, in alcuni casi, enti locali e regionali come pure parti interessate hanno in corso iniziative in materia di OSS per fare opera di sensibilizzazione. Non esistendo un quadro europeo, vi è il rischio di incoerenza tra gli approcci nazionali. Il CESE chiede l’integrazione dello sviluppo sostenibile nelle politiche nazionali e il pieno coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nella loro progettazione e nella loro attuazione in linea con una strategia globale dell’UE.

3.   Prospettive

3.1.

Il 13 settembre 2017, il presidente Juncker ha annunciato un documento di riflessione intitolato «Verso un’Europa sostenibile per il 2030, per far seguito agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, compreso l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici», che sarà pubblicato nel corso dell’inverno 2018. Nella fase di preparazione, la Commissione sta valutando i pareri dei membri della piattaforma multilaterale per gli OSS. I membri della piattaforma stanno avanzando suggerimenti su come migliorare la governance dell’UE in relazione agli OSS (per esempio, attraverso l’adozione di una strategia globale), raccomandazioni politiche e proposte su come gli strumenti dell’UE dovrebbero evolversi per coordinare le politiche, il monitoraggio e l’assunzione di responsabilità.

3.2.

L’attuazione degli OSS comporta obiettivi economici, sociali, politici e ambientali che richiedono cambiamenti radicali nelle società europee e all’interno delle istituzioni dell’UE.

3.3.

I dibattiti sul futuro dell’Europa in preparazione delle elezioni europee del 2019 sono di cruciale importanza per sensibilizzare i cittadini allo sviluppo sostenibile. I partiti politici europei devono assumere una posizione e affrontare la questione dello sviluppo sostenibile nei loro programmi elettorali.

3.4.

Inoltre, il CESE ritiene che la Commissione europea e il nuovo Parlamento europeo che usciranno dalle elezioni europee del 2019 dovrebbero fare della migliore integrazione degli OSS nelle politiche dell’UE una priorità. Il CESE esorta il Parlamento europeo a rafforzare la propria capacità di esercitare il monitoraggio e la supervisione dei progressi in materia di OSS e ad assumersi la responsabilità per il conseguimento degli obiettivi. Per quanto riguarda la Commissione, si raccomanda anche di rafforzare la leadership del vicepresidente responsabile per lo sviluppo sostenibile e di ristrutturare i portafogli delle DG per chiarire chi è responsabile di ciascun OSS.

3.5.

La decisione finale sul quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo 2021-2027 costituirà un’indicazione della capacità o meno dell’UE di rispettare gli impegni da essa assunti in relazione all’Agenda 2030. Il QFP è fondamentale per garantire l’integrazione degli OSS. La proposta della Commissione pubblicata a maggio 2018 va nella giusta direzione, ma non coglie l’opportunità di fare dell’Agenda 2030 la priorità del programma politico europeo. Al di là della proposta limitata di aumentare l’obiettivo d’integrazione delle questioni climatiche, il nuovo QFP dovrebbe allocare risorse finanziarie rilevanti allo sviluppo sostenibile, nonché garantire che in nessun caso l’attuazione degli OSS sia compromessa per motivi finanziari. Occorre rendere disponibili per i responsabili dell’attuazione degli OSS, compresi gli Stati membri, gli enti locali, le imprese e le ONG, finanziamenti destinati a progetti innovativi e modulabili.

3.6.

L’UE sta attraversando una forte crisi politica e istituzionale e deve far fronte a sfide quali le crescenti disuguaglianze sociali, i problemi ambientali e la perdita di fiducia nei governi e nell’UE (4). Per ovviare a tale situazione, l’UE deve sviluppare una nuova narrazione che sia capace di fornire soluzioni tangibili alle sfide cui le nostre società sono confrontate. I dibattiti in corso sul futuro dell’Europa dovrebbero contribuire a questa nuova narrazione, tenendo conto dell’Agenda 2030 e del 6o scenario dell’Europa (5), affinché l’UE divenga un fattore trainante della sostenibilità. È necessaria una leadership più forte da parte dei capi di Stato europei per rendere gli OSS una parte centrale del loro discorso politico e della loro visione per l’Europa.

3.7.

L’Agenda 2030 si fonda sui valori europei fondamentali della democrazia e della partecipazione, della giustizia sociale, della solidarietà e della sostenibilità, del rispetto dello Stato di diritto e dei diritti umani in Europa e in tutto il mondo. La nuova narrazione sullo sviluppo sostenibile dovrebbe fornire ai cittadini risposte su come le amministrazioni pubbliche e la società civile organizzata intendano soddisfare la loro aspirazione al benessere economico, sociale e ambientale.

4.   La questione degli indicatori

4.1.

Il CESE ritiene che l’approccio adottato in rapporto agli indicatori dell’UE in materia di OSS debba andare oltre la semplice valutazione, contribuendo alla formulazione e alla definizione delle politiche, anziché essere solo uno strumento per elaborare relazioni. Gli indicatori dovrebbero aiutare i responsabili politici dell’UE nel definire le future politiche e nel pianificare le modalità migliori per conseguire gli OSS. Gli indicatori devono anche aiutare i responsabili politici a individuare deviazioni nei progressi verso gli OSS e introdurre tempestivamente i necessari cambiamenti di politica, al fine di conseguire gli obiettivi entro il 2030.

4.2.

Dal punto di vista del CESE, la pubblicazione Sustainable Development in the European Union: 2017 Monitoring Report of the Sustainable Development Goals in an EU context [Lo sviluppo sostenibile nell’Unione europea: Relazione di monitoraggio 2017 degli obiettivi di sviluppo sostenibile in un contesto UE], rappresenta un buon inizio nonostante vi siano margini di miglioramento. Essa deve essere sviluppata migliorando gli indicatori. In assenza di obiettivi quantificati a livello dell’UE, l’attuale metodo di valutazione dei progressi (ossia un cambiamento positivo dell’1 %) è potenzialmente fuorviante, in quanto non fornisce informazioni su quanto si è distanti dalla realizzazione degli OSS, a differenza di quanto accade con altre relazioni. Per esempio, mentre Eurostat conclude che sono stati compiuti progressi significativi in Europa in materia dell’OSS12 (6), altre fonti, come l’OCSE, giungono a conclusioni diverse (7). La relazione di monitoraggio deve impegnarsi per rendere chiara la natura integrata dell’Agenda, dove gli sforzi devono consolidare ogni obiettivo anziché comprometterli. Pur se valido, l’impiego di indicatori trasversali non è ancora sufficiente a fornire informazioni sulle sinergie e sulle scelte problematiche tra gli obiettivi. Inoltre, la relazione dovrebbe valutare gli effetti indotti sullo sviluppo sostenibile dei paesi partner e monitorare la coerenza politica tra obiettivi politici importanti esterni e interni. Infine, gli indicatori dovrebbero essere in grado di mostrare i confronti tra paesi europei, di individuare le divergenze in termini di attuazione degli Stati membri ed essere regolarmente aggiornati, in modo da basarsi sulle migliori conoscenze scientifiche/conoscenze generali/informazioni disponibili.

4.3.

Al fine di disporre di un insieme coerente di indicatori in grado di fornire un quadro chiaro dell’attuazione degli OSS a livello dell’UE, è essenziale creare un sistema globale di indicatori relativi al livello europeo e a quello nazionale. In primo luogo, gli attuali indicatori utilizzati per diversi settori politici a livello dell’UE devono essere armonizzati o almeno collegati con gli indicatori dell’UE per gli OSS. Per esempio, serie di indicatori pertinenti quali il quadro di valutazione della situazione sociale o gli indicatori europei della biodiversità devono essere collegati agli indicatori dell’UE in materia di OSS e il loro rapporto deve essere definito in modo chiaro. In secondo luogo, le strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile devono utilizzare gli stessi indicatori o almeno indicatori comparabili a quelli dell’UE per gli OSS. In caso contrario vi sarà un rischio elevato di incoerenza tra gli Stati membri in relazione ai diversi approcci adottati. In terzo luogo, l’UE deve garantire un processo globale per l’elaborazione di relazioni al Forum politico di alto livello sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. La Commissione europea dovrebbe essere in grado di fornire un quadro chiaro dell’attuazione degli OSS a livello dell’UE e in tutti gli Stati membri.

4.4.

Il CESE ritiene che, per quanto concerne il processo di definizione degli indicatori, sia opportuno prendere in esame alcune limitazioni. Eurostat e gli istituti nazionali di statistica dispongono di risorse umane e finanziarie limitate per la raccolta di nuovi dati e non è pertanto sempre possibile produrre indicatori nuovi e più mirati. Secondo la relazione annuale 2017 del Comitato consultivo europeo per la governance statistica al Parlamento europeo, il costo del sistema statistico europeo ammonta allo 0,02 % del PIL e, in seguito ai tagli alle risorse umane legati all’austerità di bilancio, l’organico non è ancora tornato ai livelli pre-crisi (8). Per migliorare la serie di indicatori, va assegnata maggiore priorità allo sviluppo di indicatori di sostenibilità e a Eurostat e agli istituti statistici nazionali vanno allocati finanziamenti adeguati per gli indicatori di sostenibilità, in linea con gli obiettivi relativi all’OSS17. Ciò renderà possibile l’aggiunta di nuovi indicatori che potrebbero richiedere la raccolta di dati supplementari.

4.5.

Per quanto concerne l’attuale insieme di indicatori di Eurostat, il CESE rileva una serie di carenze che devono essere risolte, idealmente, prima della pubblicazione della relazione di monitoraggio 2018 di Eurostat sui progressi verso gli OSS. Tra le aree da migliorare figurano:

una presentazione visiva più oggettiva dei risultati generali, per evitare la falsa impressione che l’Europa sia, per la maggior parte, sulla strada giusta per conseguire gli OSS, in contraddizione con altre ricerche qualitative o tematiche nonché con le percezioni dei cittadini;

un’attenzione maggiore agli effetti indotti dell’attuale modello di sviluppo dell’Europa, per esempio sviluppando il lavoro esistente di Eurostat sulle impronte ecologiche, nonché del contributo dell’Europa nel sostenere i paesi partner per quanto concerne il conseguimento degli OSS;

un approccio più innovativo alla presa di coscienza dell’indivisibilità dell’agenda degli OSS, al di là degli indicatori trasversali, che di per sé non indicano gli squilibri e le contraddizioni tra le diverse dimensioni della sostenibilità e mancano di un quadro adeguato per valutare la coerenza delle politiche;

ulteriori dati per quanto riguarda i risultati delle imprese, degli enti locali e delle ONG;

maggiori informazioni sui risultati degli Stati membri in materia di OSS, in quanto le medie danno un quadro incompleto. È anche importante fornire informazioni a livello nazionale, considerato che gli Stati membri hanno competenza esclusiva in merito a una serie di OSS;

migliori indicatori della responsabilità per la realizzazione degli OSS, in linea con gli OSS16 (9) e 17 (10), per esempio per quanto riguarda lo spazio della società civile in Europa (11) e i partenariati per l’innovazione;

una metodologia più solida per misurare i progressi compiuti in materia di OSS se non esiste un obiettivo europeo, per esempio confrontando i risultati medi con gli Stati membri che presentano i risultati migliori ovvero con obiettivi sostitutivi derivati da altri impegni internazionali oppure con la ricerca disponibile.

4.6.

Mentre le serie di lungo periodo sono utili, gli indicatori dovrebbero essere rivisti e migliorati sulla base dell’individuazione di nuove sfide principali e del progresso della conoscenza scientifica, ivi compresi i nuovi dati. Sebbene gli sforzi di Eurostat volti ad aggiungere nuovi indicatori nel 2018 vadano nella giusta direzione, la chiarezza in merito al processo e le tempistiche dell’inserimento di indicatori «in sospeso» sono fondamentali. Per esempio, vi dovrebbe essere un piano d’azione e un calendario per l’indicatore «Estensione del fenomeno dei senzatetto nell’UE», raccomandato dalla FEANTSA (European Federation of National Organisations Working with the Homeless — Federazione europea delle organizzazioni nazionali che si occupano dei senzatetto), attualmente elencato come «in sospeso».

4.7.

Occorre rafforzare il ruolo svolto dalla società civile organizzata in relazione agli indicatori. Eurostat si dovrebbe consultare maggiormente con la società civile sul processo di definizione degli indicatori e sulla valutazione dei progressi che essi misurano. In generale, la società civile deve essere consultata abbastanza presto nel corso del processo in modo che le sue raccomandazioni possano essere prese in considerazione ed Eurostat deve essere tenuto a spiegare il motivo per il quale le raccomandazioni della società civile sono state prese in considerazione oppure no.

4.8.

Ciò che è o non è monitorato, in particolare, la definizione e la scelta degli indicatori, ha notevoli implicazioni politiche (12). Pertanto, il processo attraverso il quale Eurostat prepara la relazione annuale dovrebbe permettere alla società civile di contribuire con un’interpretazione qualitativa degli indicatori. Ciò dovrebbe essere accompagnato da un sondaggio frequente di Eurobarometro, per valutare la percezione che i cittadini hanno dei progressi compiuti.

4.9.

Il CESE è consapevole della limitata capacità statistica della società civile, per quanto concerne la proposta di nuovi indicatori che possano soddisfare i requisiti di solidità statistica di Eurostat. Tuttavia, la società civile è in grado di definire indicatori utili che si avvalgono di altre fonti oltre ai dati di Eurostat. Un esempio è rappresentato dagli indicatori sviluppati dalla rete Sustainable Development Solutions Network. Ciò nonostante, il CESE ritiene che sia necessario sostenere le organizzazioni della società civile con misure di potenziamento delle capacità al fine di garantire che siano in grado di contribuire in modo migliore al dialogo con Eurostat.

4.10.

Infine, con l’obiettivo di garantire una nuova e forte narrazione basata sullo sviluppo sostenibile come menzionato sopra, il CESE chiede che sia migliorato il modo in cui la Commissione europea ed Eurostat comunicano i progressi in materia di OSS. La relazione di Eurostat non è sempre di facile lettura e non è stata diffusa ampiamente; per questo occorrerebbe esplorare nuovi modi al fine di aumentare la sensibilizzazione tra un pubblico non specializzato e i cittadini. Altri prodotti della ricerca e di comunicazione dovrebbero inoltre essere studiati come parte di un’ambiziosa strategia di sensibilizzazione. Per esempio, creare una sezione «monitoraggio della società civile» sul sito web di Eurostat dedicato agli OSS permetterebbe una cotitolarità del monitoraggio degli obiettivi.

4.11.

Il CESE prende atto che la relazione annuale di Eurostat non contiene e non può contenere informazioni qualitative. Al fine di colmare questa lacuna (e per migliorare la partecipazione della società civile), il CESE propone che il monitoraggio dell’attuazione degli OSS sia completato da una relazione ombra distinta, indipendente e qualitativa, elaborata in stretta collaborazione con le parti interessate della società civile. Questa relazione ombra dovrebbe rivolgere la sua attenzione in particolare agli aspetti seguenti: a) rendere disponibile una riflessione sulla relazione di Eurostat e analizzarla; b) integrare la relazione Eurostat con informazioni qualitative provenienti dalla società civile organizzata; c) mettere a disposizione l’interpretazione della società civile organizzata dei progressi verso l’attuazione degli OSS. Il CESE sta attualmente conducendo uno studio sulla partecipazione della società civile al monitoraggio degli OSS (dovrebbe essere concluso entro il novembre 2018), che in particolare esaminerà e proporrà un approccio metodologico per la preparazione di questa relazione complementare alla relazione annuale di Eurostat.

4.12.

La responsabilità è al centro dell’agenda degli OSS. L’ambiziosa strategia per gli OSS deve essere integrata da un solido quadro in materia di responsabilità dove la società civile organizzata deve svolgere un ruolo fondamentale. Per questo occorre sensibilizzare i cittadini di tutta l’Unione e avviare sondaggi di opinione e altri meccanismi di riscontro delle opinioni dei cittadini. A tale riguardo, la Commissione europea (in collaborazione con il CESE) dovrebbe organizzare un vertice in materia di OSS per realizzare un evento annuale destinato a fare un quadro della situazione con gli Stati membri, il Parlamento europeo, la società civile, le imprese e gli enti regionali e locali, e impegnarsi a favore di un dialogo inclusivo e regolare con le parti interessate. Infine, occorrerebbe promuovere lo scambio di buone pratiche in termini di coinvolgimento della società civile nella valutazione degli OSS. Il CESE potrebbe svolgere un ruolo chiave nel sostenere le organizzazioni della società civile nel quadro dello scambio di tali tipi di esperienze, della creazione di sinergie, dell’aumento delle conoscenze e della sensibilizzazione e della promozione della collaborazione.

5.   Integrazione degli OSS nella governance dell’UE

5.1.

L’attuale sistema di governance dell’UE dovrebbe essere adeguato in modo che contribuisca all’attuazione dell’Agenda 2030. A tal fine, tutte le istituzioni dell’UE dovrebbero adottare misure atte a garantire un’azione coordinata per progredire verso gli OSS.

5.2.

Nonostante la leadership del Vicepresidente della Commissione europea, è evidente che il livello di adesione alla politica in materia di OSS a livello di diverse DG è scarso, il che ostacola i progressi. Lo stesso vale per il Parlamento, che deve istituire un processo credibile nelle commissioni al fine di discutere l’attuazione degli OSS. Infine, il gruppo di lavoro sugli OSS del Consiglio europeo, che rappresenta uno sviluppo positivo, deve garantire un’integrazione adeguata degli OSS in tutte le questioni che interessano il Consiglio europeo, per esempio il futuro della PAC, la politica di coesione, la politica dei trasporti (13), le relazioni esterne (14) e il prossimo QFP per il periodo 2021-2027.

5.3.

Una strategia globale dell’UE per lo sviluppo sostenibile dovrebbe svolgere un ruolo cruciale nell’integrazione degli OSS in tutte le politiche dell’UE e fornirebbe il quadro per il coordinamento e il monitoraggio dell’attuazione degli OSS a livello dell’UE e a livello nazionale. Come menzionato, la strategia dovrebbe stabilire degli obiettivi, gli strumenti per realizzarli e una serie coerente di indicatori da usare per monitorare i progressi. Il CESE concorda con il Consiglio sulla necessità di creare un quadro di indicatori di riferimento (15).

5.4.

Come ricordato sopra, questo quadro di indicatori di riferimento dovrebbe integrare tutti i pertinenti indicatori europei attualmente utilizzati in vari settori d’intervento e definire le correlazioni tra gli indicatori esistenti e gli indicatori OSS. Per esempio, la Commissione europea dovrà far in modo che il quadro di valutazione della situazione sociale e gli indicatori dell’UE in materia di OSS siano perfettamente allineati e coerenti. Attualmente, dei 12 indicatori del quadro di valutazione della situazione sociale otto sono integrati completamente o parzialmente nell’insieme degli indicatori dell’UE relativi agli OSS.

5.5.

Il coordinamento e il monitoraggio degli OSS dovrebbero essere integrati nel processo del semestre europeo, come è già stato ripetutamente chiesto dal CESE (pareri del CESE NAT/693 (16), NAT/700 (17), SC/047 (18), SC/050 (19)). Ciò dovrebbe includere un processo di controllo dell’adeguatezza delle strategie di attuazione degli OSS a livello degli Stati membri. Le autorità nazionali dovrebbero ricevere orientamenti comuni e dovrebbero essere monitorate in modo tutti gli sforzi vadano nella stessa direzione. Inoltre, dovrebbe essere incentivato lo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri. Il semestre europeo dovrebbe estendere il suo ambito di applicazione oltre la tradizionale dimensione economica e includere totalmente le dimensioni sociale e ambientale allo stesso livello di importanza nel contesto di una futura strategia globale per lo sviluppo sostenibile. Di conseguenza, le raccomandazioni specifiche per paese dovrebbero essere coerenti con gli OSS e l’analisi effettuata nelle relazioni per paese nell’ambito del processo del semestre europeo.

5.6.

Il programma di sostegno alle riforme strutturali, di recente istituzione, mira ad assistere gli Stati membri nell’attuazione delle riforme istituzionali, strutturali e amministrative. Si prevede che detto programma svolgerà un ruolo di rilievo nei prossimi anni. Come già sottolineato dal CESE (20) e nella relazione Falkenberg (21), il programma di sostegno alle riforme strutturali dovrebbe partire dal presupposto che qualsiasi riforma sostenuta deve essere coerente con l’Agenda 2030 e gli OSS.

5.7.

Al fine di garantire che gli OSS siano integrati in tutte le politiche dell’UE, il programma «Legiferare meglio» deve essere corrispondentemente adattato per permettere un approccio esaustivo e globale in materia di OSS. Il CESE ritiene che sia opportuno fare esplicito riferimento ai principi degli OSS negli orientamenti e negli strumenti dell’iniziativa «Legiferare meglio». Occorre inoltre rivedere le metodologie relative all’iniziativa «Legiferare meglio» al fine di garantire che siano in grado di valutare gli obiettivi a lungo termine e misurare la distanza rispetto al conseguimento degli OSS. Infine, occorre prestare maggiore attenzione alla coerenza delle politiche come strumento per l’attuazione degli OSS mediante l’uso, per esempio, del quadro dell’OCSE sulla coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile.

5.8.

Quando propone nuove iniziative legislative o politiche, la Commissione europea dovrebbe indicare chiaramente quale sia l’OSS interessato ed eseguire un test di sostenibilità per valutare l’impatto previsto sugli OSS (come parte del processo di valutazione d’impatto, inteso a valutare le dimensioni economica, sociale e ambientale delle proposte). Occorre individuare i problemi principali nell’attuazione degli OSS che la politica proposta mira ad affrontare. Così, il monitoraggio e la valutazione delle attuali politiche dell’UE devono essere adattati per misurare i progressi verso il conseguimento degli OSS e per raccomandare le modifiche delle politiche che hanno un’incidenza maggiore sulla promozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

5.9.

Anche il programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT) della Commissione dovrebbe integrare la prospettiva dello sviluppo sostenibile. Il programma REFIT dovrebbe garantire che qualsiasi proposta di semplificazione e aggiornamento del diritto dell’UE sia coerente con gli OSS e contribuisca alla loro realizzazione.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  «Sustainable development in the European Union: Monitoring report on progress towards the SDGs in an EU context» (Sviluppo sostenibile nell’Unione europea: relazione di monitoraggio sui progressi in materia di OSS a livello dell’UE). Edizione 2017.

(2)  Parere del CESE sul tema Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe, (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 91).

Parere del CESE sul tema Forum europeo della società civile a favore dello sviluppo sostenibile, (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 73).

(3)  Il CESE sta elaborando una mappatura delle iniziative di sviluppo sostenibile a livello nazionale. Sintesi per paese elaborate per tutti gli Stati membri sono disponibili sul sito Internet del CESE.

(4)  Parere del CESE sul tema La transizione verso un futuro europeo più sostenibile — Una strategia per il 2050, SC/047, (GU C 81 del 2.3.2018, pag 44).

(5)  http://www.foeeurope.org/sites/default/files/other/2017/6th_scenario_future_of_europe.pdf.

(6)  OSS12. Consumo e produzione responsabili.

(7)  Cfr. per esempio OCSE. 2017 Measuring Distance to the SDG Targets: an assessment of where OECD countries stand (Misurare la distanza rispetto al conseguimento degli obietti di sviluppo sostenibile: una valutazione della posizione dei paesi OCSE).

(8)  ESGAB (European Statistical Governance Advisory Board) (Consiglio consultivo sulla governance statistica europea), Relazione annuale 2011, pagg. 25-26.

(9)  OSS16. Pace, giustizia e istituzioni forti.

(10)  OSS17. Partnership per gli obiettivi.

(11)  Basandosi su metodologie esistenti come CIVICUS monitor, https://civicus.org/index.php/what-we-do/innovate/civicus-monitor.

(12)  Parere del CESE sul tema Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe, NAT/700, (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 91).

(13)  Cfr. il parere del CESE sul tema Il ruolo dei trasporti nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e le implicazioni che ne derivano per la definizione delle politiche dell’UE, (GU C 367 del 10.10.2018, pag. 9).

(14)  Parere del CESE sul tema Un partenariato rinnovato con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico, REX/485, (GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 76).

(15)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-10370-2017-INIT/it/pdf.

(16)  Parere del CESE sul tema Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE, NAT/693, (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41).

(17)  Parere del CESE sul tema Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe, NAT/700, (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 91).

(18)  Parere del CESE sul tema La transizione verso un futuro europeo più sostenibile — Una strategia per il 2050, SC/047, (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 44).

(19)  Parere del CESE sul tema Analisi annuale della crescita 2018, SC/50, (GU C 227 del 28.6.2018, pag. 95).

(20)  Parere del CESE sul tema Il Programma di sostegno alle riforme strutturali per il periodo 2017-2020, ECO/398, (GU C 177 del 18.5.2016, pag. 47).

(21)  «Sustainability Now!» (Sostenibilità adesso!) Note strategiche del Centro europeo di strategia politica (EPSC), numero 18 (2016) https://www.eesc.europa.eu/sites/default/files/files/rapport_kff.pdf.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Il contributo delle zone rurali d’Europa all’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 a garanzia della sostenibilità e della coesione urbana/rurale»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 440/04)

Relatore:

Tom JONES

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.2.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

5.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

201/2/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Conclusioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene pienamente la designazione del 2018 quale Anno europeo del patrimonio culturale ed elogia tutti gli sforzi profusi dai promotori e dagli organizzatori a tutti i livelli per accrescere la visibilità e celebrare il ricco e diversificato patrimonio culturale d’Europa (1).

1.2.

Il CESE esorta tutte le parti in causa e i partecipanti ad adottare la definizione più ampia possibile di cultura e a includere tutti i cittadini.

1.3.

Lungi dal rappresentare solo una celebrazione del passato, questo Anno dovrebbe anche promuovere nuove e stimolanti espressioni di ispirazione e capacità umane in evoluzione, che spesso prendono forma nell’ambito delle tradizioni appartenenti al patrimonio culturale rurale dei singoli paesi.

1.4.

Dodici mesi sono un periodo di tempo limitato, ma si auspica che tale ulteriore profusione di impegno e investimenti stimolerà i cittadini a concentrarsi sulle opportunità relative al patrimonio culturale nelle zone rurali. Ciò dovrebbe consentire loro di creare una riserva preziosa di benessere estetico, sociale ed economico cui si infonde nuovo vigore per le generazioni presenti e future. A metà percorso, l’etichetta dell’Anno europeo del patrimonio culturale è stata conferita a oltre 3500 progetti, tra i quali la percentuale di progetti rurali varia da regione a regione.

1.5.

Il CESE appoggia l’invito dell’European Alliance for Culture and the Arts (Alleanza europea per la cultura e le arti), formulato nel gennaio 2018 e rivolto alle istituzioni europee e agli Stati membri, a garantire un sostegno consistente nell’ambito del quadro finanziario pluriennale (QFP) post 2020. Accoglie altresì con favore l’impegno proposto da parte della Commissione europea a favore della cultura nel suo progetto di bilancio del maggio 2018 e i suoi impegni concretizzati nella Nuova Agenda per la cultura (2).

Raccomandazioni

1.6.

Il patrimonio culturale rurale, con la sua ricchezza e diversità, dovrebbe essere formalmente riconosciuto per il suo valore artistico intrinseco e per il suo apporto economico e sociale al benessere di tutti i cittadini europei (3).

1.7.

Gli investimenti pubblici dovrebbero essere valutati alla luce del loro impatto sulle zone rurali, in modo che, quando vengono concepiti nuovi flussi di finanziamento, essi comprendano il sostegno per il contributo che le famiglie e i lavoratori dipendenti del settore agricolo apportano, come pure per le organizzazioni non governative che rappresentano artisti e gruppi folkloristici, gruppi di azione locale o aziende agricole di accoglienza a finalità terapeutica (care farm); in questo contesto vanno prese in considerazione le misure necessarie per migliorare l’infrastruttura del patrimonio rurale.

1.8.

I flussi di finanziamento dell’UE esistenti, incluso il programma di sviluppo rurale, dovrebbero sempre più considerare la cultura come un valore orizzontale e dovrebbero sostenere i progetti culturali, compresi quelli volti a proteggere, promuovere e potenziare paesaggi ricchi di biodiversità. Il recupero della pastorizia e il restauro di case rurali remote nei Pirenei, i vigneti a Santorini, la protezione del pascolo comune a Șeica Mare (Romania) sono buoni esempi, al pari del progetto culturale Leader a Lesbo (Grecia) per sostenere l’integrazione dei migranti. I programmi agroambientali dovrebbero continuare a creare habitat naturali nelle zone destinate all’attività agricola e l’ambiente edificato dovrebbe prevedere standard più elevati di progettazione, rispettosi dei modelli culturali tradizionali ma anche adeguati a un uso moderno.

1.9.

Le superfici boschive, le foreste e le vie navigabili sostenibili meritano misure di sostegno finalizzate a evitare il degrado e l’inquinamento. Si devono prevedere finanziamenti per la conservazione delle fasce protettive di arbusti e alberi create in passato nelle zone rurali (ad esempio in Polonia, secondo la concezione di Dezydery Chłapowski), che riducono l’erosione del suolo e le emissioni di CO2, accrescono la resa e arricchiscono il paesaggio.

1.10.

Le giornate porte aperte delle fattorie, le visite rurali da parte delle scolaresche, le mostre, le fiere dell’artigianato e altre manifestazioni e i festival culturali danno un contributo, permettendo agli abitanti delle città di capire meglio ed apprezzare maggiormente le aree rurali, e meritano un sostegno finanziario pubblico, al pari delle misure volte a creare ponti tra cittadini rurali e urbani mediante progetti culturali.

1.11.

Le misure finalizzate a presentare la cultura e le tradizioni rurali alle nuove generazioni tramite stili espressivi moderni e innovativi dovrebbero essere promosse e si dovrebbero misurare i vantaggi economici e sociali, condividendo e valorizzando le buone pratiche. Si dovrebbero sostenere artisti e altri stimolanti protagonisti della cultura, anche non locali, per aiutare le comunità a realizzare tutto il potenziale dei beni culturali locali.

1.12.

Occorre affrontare la grave perdita di abilità artigianali mediante maggiori investimenti nella formazione, in modo da realizzare trasferimenti tra generazioni che siano basati sulle conoscenze passate e incoraggino l’innovazione. Le scuole delle zone rurali dovrebbero insegnare le attività rurali potenzialmente portatrici di occupazione al pari di quelle che offrono opportunità di carriera esterne. Vi è una sfida specifica, non solo per i giovani agricoltori, ma per tutti i giovani che vivono nelle aree rurali, ad avere un atteggiamento imprenditoriale nell’appropriarsi del loro patrimonio culturale in un ruolo protettivo.

1.13.

Il patrimonio culturale rurale dovrebbe tra l’altro essere promosso in modo sostenibile a fini turistici, e per indurre i residenti delle città a ad apprezzare i valori culturali delle zone rurali, a scegliere in misura crescente di vivere in tali zone e a lavorare in località più distanti dai centri urbani.

1.14.

La commercializzazione di prodotti culturali rurali, compresi quelli del patrimonio gastronomico, dovrebbe essere incentivata e lo status di marchio geografico dovrebbe essere protetto, fornendo ai cittadini garanzie sulla qualità e sulla tracciabilità.

1.15.

È opportuno incoraggiare il mondo del volontariato, le comunità e le imprese sociali, nonché le aziende private rurali, a sviluppare e condividere le loro attività culturali, anche con la promozione della diversità di lingue e dialetti, a beneficio di tutti i cittadini. Le comunità rurali «intelligenti» dovrebbero far propri il valore e il potenziale del loro patrimonio culturale locale, e ricercare opportunità di collaborare con altri gruppi simili, per promuovere collegamenti, anche per aumentare i vantaggi economici di più ampie possibilità di attività turistiche.

1.16.

Se, da un lato, è probabile che i progetti che contraddistinguono l’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 proseguiranno in futuro, dall’altro lato è importante effettuare un chiaro inventario e una valutazione degli investimenti e dei risultati quantificabili, tenendo conto dei fattori economici, sociali e culturali. Circa 8 milioni di EUR sono stati allocati all’Anno europeo a seguito di negoziati del trilogo tra il Parlamento europeo e il Consiglio nel 2017. Sarebbe normale aspettarsi che una proporzione quantificabile di tale sostegno fosse disponibile per le zone rurali.

1.17.

È necessario svolgere maggiori ricerche per quantificare e misurare la qualità dei benefici del patrimonio e dell’attività culturale esistente per il benessere dei cittadini e dare una base solida a future iniziative. Gli instancabili difensori del patrimonio culturale hanno bisogno di sostegno per accogliere nuovi migranti e differenti tradizioni culturali.

1.18.

È necessaria un’azione urgente a favore della connettività delle infrastrutture di trasporto e delle infrastrutture digitali, connettività che è essenziale per l’insediamento nelle aree rurali e per lo sviluppo del turismo culturale.

2.   Introduzione

2.1.

Il presente parere si focalizza specificamente sull’ampio spettro di beni e talenti che presentano le zone rurali e i loro abitanti, sul loro contributo al patrimonio culturale d’Europa e sul modo in cui questa ampia definizione di cultura favorisce uno sviluppo rurale più prospero ed economicamente sostenibile. Il CESE condivide la Carta paneuropea del patrimonio rurale, che promuove uno sviluppo del territorio sostenibile (4) e il riferimento nella dichiarazione di Cork 2.0, del 2016: «La gestione del territorio svolge un ruolo essenziale nell’interfaccia tra i cittadini e l’ambiente. Le politiche devono incentivare la fornitura di beni pubblici ambientali, compresa la conservazione del patrimonio naturale e culturale dell’Europa».

2.2.

L’iniziativa dell’Anno europeo del patrimonio culturale deve essere sottoposta a un meccanismo di verifica per quanto riguarda le aree rurali (rural proofing); inoltre il CESE esprime preoccupazione circa il fatto che le informazioni sull’Anno europeo non raggiungeranno le piccole comunità sparse nei paesi e nelle città di piccole dimensioni in misura sufficiente e tempestiva per dar loro modo di preparare e celebrare l’ampio spettro di beni culturali nel loro territorio. Lungi dal rappresentare solo una celebrazione del passato, questo Anno dovrebbe anche promuovere nuove e stimolanti espressioni di ispirazione e capacità umane in evoluzione che spesso prendono forma nell’ambito delle tradizioni appartenenti al patrimonio culturale rurale dei singoli paesi.

2.3.

Elencare le attività culturali esistenti e apprendere dai progetti riusciti ha un valore concreto, ma le celebrazioni del 2018 dovrebbero anche includere nuovi eventi culturali innovativi che si sviluppino sulla base del passato e trasmettano il patrimonio culturale alle nuove generazioni con modalità attuali, creando così nuove opportunità per le zone rurali. Europa creativa ha due progetti rurali, «Roots and Roads» (Radici e Strade) e «Food is Culture» (Il cibo è cultura) che, in caso di successo, potrebbero contribuire all’apprendimento e allo sviluppo.

2.4.

Pur se è difficile quantificare i benefici sociali ed economici dell’attività culturale, (oltre 300 000 posti di lavoro direttamente collegati alla cultura europea), l’OCSE ritiene che la cultura dovrebbe essere utilizzata come indicatore di benessere, ed è importante che gli organizzatori dell’Anno europeo del patrimonio culturale 2018 incomincino a svolgere analisi che potrebbero giustificare futuri investimenti pubblici. Si dovrebbe disporre di un rendiconto preciso del successo dell’iniziativa nel raggiungere le zone rurali e remote e di come le buone pratiche eventualmente risultanti, quali quelle dell’iniziativa AlpFoodway (5) e dei progetti Terract (6) possano costituire la base per definire una futura priorità a livello regionale ed europeo.

3.   Osservazioni generali e particolari

3.1.

I paesaggi rurali, il mosaico di strutture geologiche naturali e l’impronta umana dell’agricoltura, la silvicoltura, i laghi, i fiumi e gli insediamenti edificati costituiscono, forse, il più grande patrimonio culturale che ci sia. Dai parchi nazionali e dai siti di Natura 2000, fino alle aree verdi urbane periferiche, vi è una variegata bellezza da apprezzare, una fonte di ispirazione per generazioni di artisti, musicisti, letterati, ballerini e per tutti coloro tra noi che non rientrano in nessuna di queste categorie. La Nuova Agenda per la cultura della Commissione si sofferma appena sulle prospettive rurali. Tuttavia, essa afferma che il recupero e la riqualificazione del patrimonio culturale e naturale contribuiscono alla crescita e alla sostenibilità. La gestione integrata del patrimonio culturale e naturale incoraggia i cittadini a scoprire entrambi e a occuparsene. I Mayangna del Nicaragua utilizzano un unico termine per parlare di natura e di cultura. È quella che si può chiamare cittadinanza ecologica.

3.2.

Anche le comunità rurali aggiungono valore ai paesaggi. Sono coloro che gestiscono le aziende agricole e i terreni boschivi, coloro che vi lavorano e gli artigiani, uomini e donne, ad aver plasmato questi paesaggi. Generazioni di persone forti delle loro conoscenze hanno messo a frutto terreno e acqua per produrre cibo, costruire alloggi e generare reddito. In Polonia, per esempio, è stata sviluppata nel 19o secolo l’idea della cintura di protezione, composta di spazi verdi e arbusti e intesa a preservare il suolo, che ha conferito al paesaggio attuale il suo carattere distintivo. Hanno disegnato i confini dei campi con pietre e rami, hanno eretto fienili e officine. Hanno allevato, nell’arco di generazioni successive, razze autoctone di animali idonei a suolo e clima e hanno gestito la vegetazione. Hanno sviluppato localmente specifiche tradizioni gastronomiche e folcloriche. Abbiamo anche ereditato un ricco patrimonio di edifici di grande valore estetico, ville, castelli, chiese, ma anche case contadine, piccole officine e botteghe rurali, come quelle attentamente restaurate del museo folclorico di Saint Fagan in Galles (St Fagan Folk Museum). Sono spesso investimenti privati a mantenere questa architettura storica, con un aiuto essenziale da parte di enti pubblici e fondazioni. Un progetto innovativo nel Galles settentrionale utilizza energia rinnovabile proveniente dai fondali marini per riscaldare e quindi ridurre i costi a Plas Newydd, una dimora signorile (7), che forma parte del National Trust. Nel celebrare il passato e il presente si dovrebbe cercare di equilibrare gli aspetti idealistici con la realtà dello sforzo e dell’impegno umani.

3.3.

Il CESE apprezza tutti gli sforzi, compresi quelli dell’European Heritage Alliance diretti a conservare in modo consapevole questo patrimonio. Ai fini del restauro serve tra l’altro il sostegno delle autorità competenti per la pianificazione urbanistica, per garantire conversioni edilizie realizzate con intelligenza e sensibilità. Il progetto REVAB (REuse and Valorisation of Agricultural Buildings through training based on real experiences), cofinanziato dal programma Erasmus, offre formazione per accrescere il potenziale di riutilizzo di fabbricati agricoli in disuso, impedendo in tal modo la loro scomparsa.

3.4.

Gli abitanti delle zone rurali hanno forgiato una propria cultura, specchio del loro lavoro, delle occupazioni del tempo libero e delle sfide sociali, in tutte le forme di attività artistica, sportiva di attività collettiva generale. Le zone rurali sono spesso importanti serbatoi per la varietà delle lingue delle minoranze e dei dialetti. I nomi dei villaggi, delle proprietà agricole e dei campi hanno un significato che deve essere conosciuto e rispettato. Hanno creato, e creano tuttora, un retaggio che ha un valore per la società in generale.

3.5.

Tuttavia, anche le loro attività economiche si evolvono e talvolta scompaiono. Non tutti i paesaggi sono incontaminati. Alcuni testimoniano lo sfruttamento industriale, guerre e saccheggi, danni causati da siccità, inondazioni e incendi, o anche l’eccessivo sfruttamento dovuto ad attività turistiche concentrate e troppo intensive. Tutti hanno una storia da raccontare e insegnamenti da impartire. La mitigazione dell’impatto dei cambiamenti climatici richiederà un intervento concreto per conservare la diversità e possibilità di scelta delle esperienze. Il mantenimento dei legami con il passato è etichettato come «fornitura di beni pubblici» e i paesaggi si degradano se non vi è una biodiversità sostenibile, una pianificazione capace di sensibilità e un accesso gestito. Anche l’espressione culturale artistica si affievolisce, poiché le popolazioni rurali scendono al di sotto dei livelli sostenibili.

3.6.

Dalla rilevazione di Eurostat per il 2017 emerge che oltre un terzo degli europei non partecipa ad attività culturali, ed è per questo che lo sviluppo del turismo culturale rurale, legato ad attività salutari e ricreative, è e continuerà a essere il principale ponte tra le popolazioni urbane e quelle rurali. La città di Galway è un buon esempio di partenariato culturale rurale-urbano e le capitali europee della cultura (per esempio Plovdiv, Bulgaria, e Matera, Italia, nel 2019) dovrebbero sempre evidenziare caratteristiche culturali sia rurali che urbane. Nel Galles, il CADW, l’ente che si occupa della tutela del patrimonio storico, artistico e culturale del paese, propone un’iniziativa «porte aperte», nel quadro di un progetto che coinvolge 50 paesi, per aiutare i cittadini a ripercorrere i cambiamenti, a comprendere meglio la loro esistenza, secondo il principio «per pianificare il proprio futuro occorre comprendere il proprio passato».

3.7.

In Grecia è presente un altro esempio di condivisione delle conoscenze, presso la «Art Farm» (fattoria dell’arte) (8), sviluppata da Sotiris Marinis. Nel paese di Megali Mantineia, nella parte occidentale della penisola di Mani, egli ha costruito delle case sugli alberi e un centro di formazione che opera in base al principio secondo cui un’esperienza in questo luogo istruisce in merito al suo patrimonio rurale e culturale.

3.8.

Il turismo culturale rurale rappresenta una fonte di risorse economiche e sociali che funziona ed è in crescita e fornisce la base per investimenti congiunti. La responsabilità di proteggere e sostenere il patrimonio culturale dell’Europa è una competenza nazionale, regionale e locale, e l’esistenza di un sentimento pubblico di orgoglio in tale patrimonio è fondamentale. Le istituzioni europee possono promuovere un senso di valori comuni europei e incentivare e promuovere le buone pratiche e lo scambio di esperienze (9). Le ricette culinarie, le birre e i vini, i costumi e la musica regionali tradizionali presentati in occasione della Settimana verde di Berlino (10), attirano migliaia di visitatori internazionali ogni anno e aiutano a unire il presente con il passato. Collegare direttamente i prodotti alimentari e artigianali di produttori rurali con i consumatori attraverso la vendita sui mercati agricoli e in Internet ha sempre più successo, si pensi per esempio ai gruppi di prodotti alimentari locali Reko in Finlandia.

3.9.

Luoghi dove stare in solitudine, ascoltare e osservare gli uccelli o scoprire aree boschive (diversità forestale e specie vegetali per usi medici) tutti contribuiscono ad accrescere la curiosità, l’esplorazione e il benessere dei cittadini. Ampliare la gamma di possibilità e di scoperte dovrebbe contribuire a evitare una concentrazione di visite a siti vulnerabili. Ciò crea un valore aggiunto in termini economici e di occupazione, sulla base dei beni rurali principali, nelle zone più remote, un valore già apprezzato dai paesi e dalle comunità intelligenti. Nelle zone di montagna della Lombardia il progetto AttivAree rafforza il senso di appartenenza dei cittadini rafforzando il patrimonio naturale attraverso l’arte. Esso si occupa inoltre di ristrutturare ostelli e promuovere la disponibilità in villaggi remoti come Lavenone (11). Le agenzie di viaggio dovrebbero essere incoraggiate a lavorare in partenariato con imprenditori e imprese sociali di zone geograficamente remote, per promuovere il turismo culturale sostenibile.

3.10.

Divulgare e illustrare le informazioni culturali utilizzando la tecnologia digitale ridurrà in modo creativo il divario finora crescente tra città e campagna, tra vecchie e nuove generazioni. Si accolgono con favore progetti quali YourAlps (12) tesi a riavvicinare i giovani al patrimonio della montagna. Vi sono numerosi esempi emergenti di modi innovativi di rappresentare le tradizioni culturali, come il progetto artistico utilizzato ad Aasted, in Danimarca, e nel paese di Pfyn, in Svizzera. Si tratta di progetti risultanti da iniziative locali e dall’individuazione di esigenze locali che ricorrono a processi partecipativi, i quali fanno anch’essi parte della tradizione culturale d’Europa. Dovrebbero essere disponibili risorse pubbliche e private a livello regionale, nazionale ed europeo per accelerare gli investimenti in iniziative analoghe.

3.11.

Cresce inoltre l’uso di nuovi strumenti digitali, ad esempio nei luoghi di conflitto passato o presente, per ricreare importanti siti storici distrutti a causa dell’abbandono o della guerra. La tecnologia è utilizzata per leggere con maggiore accuratezza le lapidi e manoscritti scarsamente decifrabili (13). Il CESE accoglie con favore i piani della Commissione per una strategia Digital4Culture e auspica che essa prenda in considerazione gli aspetti rurali pertinenti. Il progetto MEMOLA, ad esempio, usa scansioni tridimensionali delle vecchie zone irrigue per impostare i nuovi processi di irrigazione.

3.12.

Sono necessarie maggiori ricerche per comprendere in che misura l’attività culturale sia importante per le persone e quali benefici per la salute ne derivino, a tutte le età, e in particolare quando sono presenti malattie fisiche o mentali (14), mentre i programmi Erasmus Plus esistenti, quali il corso di master TEMA, finanziano al momento buone opportunità di ricerca. La conferenza ad alto livello relativa all’Anno europeo del patrimonio culturale nell’ambito del programma Orizzonte 2020, sul tema «Innovazione e patrimonio culturale» (15), ha invitato a profondere ulteriori sforzi per sviluppare attività di ricerca volte a individuare le priorità e le buone pratiche nella promozione di attività culturali.

3.13.

Le iniziative sostenute da fondazioni e da enti filantropici hanno contribuito in modo significativo a preservare i siti naturali e le attività di sostegno, spesso attraverso imprese sociali, che stimolano lo sviluppo delle zone rurali in modo sostenibile. La Fondazione culturale finlandese sostiene la ricerca sulle misure volte a prevenire i residui agricoli che incidono sulla qualità dell’acqua nel Mar Baltico. Collabora con gli agricoltori, con l’idea che una maggiore biodiversità corrisponda a un paesaggio più ricco. Si accolgono con favore le iniziative di fondazioni, quali l’Welsh Heritage Schools Initiative (iniziativa per le scuole) in Galles che promuove concorsi culturali tra le scuole per coinvolgere i giovani nella definizione e nella realizzazione della loro scelta in tema di attività culturali (16). Un esempio di un progetto che consente ai giovani di esplorare il loro patrimonio culturale è fornito dalla scuola di Piscu (17), in Romania, che è sia una scuola specializzata nel patrimonio culturale che un ente organizzatore di seminari e convegni. Nel marzo 2018, il CESE stesso ha accolto alunni provenienti da diverse scuole d’Europa per discutere in merito alle loro priorità culturali all’insegna del motto «La vostra Europa, la vostra opinione!» (18). Essi sono giunti alla conclusione di voler vivere in un’Europa che attribuisca valore a tutte le forme di cultura e le tuteli, di voler evitare l’elitismo e diffondere la cultura, ma di volere anche avere l’opportunità di creare una propria cultura. A Giffoni, un paese dell’Italia meridionale, circa 300 studenti hanno preparato film e video per promuovere la loro regione.

3.14.

Gli investimenti pubblici dovrebbero essere valutati alla luce del loro impatto sulle zone rurali, in modo che, quando vengono concepiti nuovi flussi di finanziamento, essi comprendano il sostegno per il contributo che le famiglie e i lavoratori dipendenti del settore agricolo apportano, come pure per le organizzazioni non governative che rappresentano artisti e gruppi folkloristici, gruppi di azione locale o aziende agricole di accoglienza a finalità terapeutica (care farm). In questo contesto vanno prese in considerazione le misure necessarie per migliorare l’infrastruttura del patrimonio rurale.

3.15.

Vi è margine e una domanda da parte di turisti culturali per maggiori collegamenti tematici e geografici. Sono benvenuti progetti che prevedono un marchio comune e un accesso condiviso. Le fiere agricole nei paesi e nelle città di piccole dimensioni ed eventi di portata nazionale come il Royal Welsh at Builth Wells (19), che attira circa 240 000 visitatori, e il festival letterario a Hay su Wye, che apporta circa 21 milioni di sterline a una piccola zona rurale, danno un contributo economico e sociale significativo. Le giornate porte aperte delle fattorie, le fiere, i festival culturali quali il Llangollen International Eisteddfod, i concerti, le processioni, come quella che si svolge a Furnes in Belgio, le ferrovie a vapore a scartamento ridotto, la camminata nordica e le compagnie di danze tradizionali: tutto questo contribuisce in modo considerevole al mantenimento e alla promozione del patrimonio culturale rurale. Il contributo fornito a questi eventi dai volontari, nell’arco di diverse generazioni, costituisce di per sé una parte significativa del nostro retaggio culturale. È da encomiare l’attività del Centro europeo per il volontariato e delle organizzazioni di volontari nazionali e regionali, volta a promuovere un volontariato culturale di qualità e si incoraggiano gli attori coinvolti a proseguire i loro sforzi preziosi, compresi quelli di offrire formazioni in tema di salute e sicurezza per garantire esperienze sicure e divertenti per i volontari e i turisti.

3.16.

Tuttavia, si fa più acuta la carenza di artigiani specializzati capaci di trasmettere le conoscenze e di formare una nuova generazione in modo tale da proteggere e sviluppare questo patrimonio variegato. L’iniziativa JEMA (Journées Européennes des Métiers d’Art(20), che ha avuto origine in Francia, promuove regolarmente il lavoro degli artigiani e insiste sulla necessità di fornire una formazione alle nuove generazioni. Confrontarsi con tale esigenza costituisce una buona opportunità per creare un legame intergenerazionale attraverso e per scopi culturali. È essenziale che vi sia una maggiore attività di formazione pratica e un riconoscimento delle competenze acquisite nell’ambito dei programmi nazionali/regionali e dell’UE esistenti, attività che si concentri non solo sulle attuali competenze artigianali e ambientali, ma anche sul tutoraggio, sullo sviluppo di nuove tecniche e sull’imprenditorialità culturale. È necessario fornire supporto agli artisti e ad altri soggetti affinché collaborino con le scuole urbane e rurali locali, sviluppando in modo inclusivo idee culturali tra le generazioni e tra i gruppi etnici.

3.17.

Il patrimonio culturale rurale è anche legato alla democrazia partecipativa. Esiste una forte tradizione europea di solidarietà comunitaria e di lotta contro l’isolamento e le condizioni svantaggiate mediante attività delle comunità, molte delle quali si basano sulla cultura. Creare una leadership locale sostenibile e dare compimento alle priorità locali mediante lo sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) e il metodo Leader va ad aggiungersi a un lascito di gruppi e movimenti civili organizzati. Le attività sociali e culturali aiutano a unire le persone in aree geografiche con una presenza scarsa di servizi pubblici e privati. Una tradizione di interventi del settore del volontariato, talvolta come ultima risorsa a cui ricorrere, sostiene paesaggi di sopravvivenza umana sensibili e vulnerabili. Il sostegno pubblico a favore di tali attività è di fondamentale importanza.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE sul tema Nuova agenda per la cultura (non ancora pubblicato in Gazzetta ufficiale).

(2)  https://ec.europa.eu/culture/news/new-european-agenda-culture_en.

(3)  Convegno del CESE, 20 e 21 giugno 2016.

(4)  Risoluzione n. 2 della Conferenza europea dei ministri responsabili della pianificazione territoriale/regionale del Consiglio d’Europa (CEMAT) sulla Carta paneuropea per il patrimonio rurale: Promuovere uno sviluppo territoriale sostenibile — «Il patrimonio rurale come fattore di coesione territoriale», adottata alla 15a sessione della CEMAT, Mosca, Federazione russa, 9 luglio 2010.

(5)  http://www.alpine-space.eu/projects/alpfoodway/en/home.

(6)  http://www.terract.eu/.

(7)  https://www.bangor.ac.uk/studentlife/studentnews/gift-s-marine-renewable-visit-to-plas-newydd-18421.

(8)  https://www.facebook.com/agroktima.artfarm/.

(9)  Parere del CESE sul tema Nuova agenda per la cultura (non ancora pubblicato in Gazzetta ufficiale).

(10)  https://www.gruenewoche.de/.

(11)  http://attivaree.fondazionecariplo.it/it/news/news-attivaree-al-miart-con-airbnb-per-la-presentazione-delle-installazioni-e-degli-artisti-che-hanno-collaborato-al-progetto-di-valorizzazione-dei-borghi-di-italian-villages.html AttivAree project in the Lombardy region.

(12)  http://www.alpine-space.eu/projects/youralps/en/home.

(13)  Progetto di Andrew Skerrett, presentato in occasione dell’audizione del gruppo di studio, il 24 luglio 2018, a Cardiff.

(14)  Innovate Trust — Risultati positivi del progetto giornate dell’orticoltura.

(15)  https://ec.europa.eu/info/events/innovation-and-cultural-heritage-2018-mar-20_en.

(16)  https://jamesprotheroe.wordpress.com/Darren Park Primary School, Ferndale.

(17)  http://piscu.ro/piscu-school/#.

(18)  https://www.eesc.europa.eu/en/our-work/civil-society-citizens-participation/your-europe-your-say.

(19)  http://www.rwas.wales/royal-welsh-show/.

(20)  Journées Européennes des Métiers d’Art https://www.journeesdesmetiersdart.fr/.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «L’impatto della sussidiarietà e della sovraregolamentazione sull’economia e l’occupazione»

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza austriaca)

(2018/C 440/05)

Relatore:

Dimitris DIMITRIADIS

Correlatore:

Wolfgang GREIF

Consultazione

Presidenza austriaca del Consiglio dell’UE, 12.2.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

192/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la richiesta della presidenza austriaca del Consiglio dell’Unione europea di elaborare un parere esplorativo sul tema «L’impatto della sussidiarietà e della sovraregolamentazione sull’economia e l’occupazione». Il presente parere arricchisce, e allarga ad altri aspetti, il dibattito in corso sui modi di migliorare la qualità della legislazione («legiferare meglio») al fine di garantire certezza del diritto e chiarezza normativa e far sì che «gli oneri normativi per le imprese, i cittadini e le pubbliche amministrazioni siano ridotti al minimo» (1). L’attuazione della normativa europea non deve indurre a mettere in discussione il livello di protezione dei cittadini, dei consumatori, dei lavoratori, degli investitori e dell’ambiente già garantito negli Stati membri.

1.2.

Il CESE ribadisce con forza che le questioni riguardanti il futuro, compresi i dibattiti sulle competenze e sul livello delle regolamentazioni, devono essere affrontate a livello nazionale ed europeo con il pieno coinvolgimento delle parti sociali e delle altre organizzazioni della società civile. Tale coinvolgimento è un’espressione fondamentale della democrazia partecipativa multilivello e deve pertanto essere rafforzato nell’UE e negli Stati membri.

1.3.

Il CESE sottolinea l’importanza capitale dei principi di sussidiarietà e proporzionalità al fine di garantire la completezza e la correttezza del processo legislativo europeo, e sottolinea che la Commissione europea dovrebbe concentrarsi sugli ambiti in cui l’intervento legislativo dell’UE apporta un significativo valore aggiunto. La Commissione dovrebbe pertanto individuare le questioni che, per essere trattate nel modo più efficiente, è veramente necessario siano affrontate a livello di Unione europea. Ogniqualvolta, per prendere una decisione, sia necessario tenere in debito conto le specificità nazionali, regionali e locali, le autorità dei relativi territori dovrebbero disporre di uno spazio di manovra per precisare tali aspetti, coinvolgendo attivamente i portatori di interessi pertinenti, comprese le parti sociali.

1.4.

In seno al CESE la «sovraregolamentazione» suscita opinioni diverse, che rispecchiano i differenti punti di vista dei vari attori in esso rappresentati. Benché manchi una definizione chiara e precisa di «sovraregolamentazione», questo termine viene in genere riferito alle situazioni in cui, nel recepire la normativa europea nel diritto nazionale, gli Stati membri introducono requisiti che vanno al di là di quelli stabiliti dagli atti legislativi (principalmente dalle direttive) dell’UE. La Commissione europea dovrebbe definire orientamenti che aiutino gli Stati membri a recepire correttamente i requisiti posti da un atto normativo osservando al contempo i principi di proporzionalità e di sussidiarietà nonché garantendo condizioni di concorrenza eque.

1.5.

Il CESE osserva che — in particolare alla luce dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, e in linea con il diritto europeo — gli Stati membri conservano la facoltà esclusiva di introdurre misure aggiuntive, rispetto a quelle previste dai requisiti (minimi) dell’UE, che rispecchino le caratteristiche specifiche di ciascuno di essi. Tali decisioni dovrebbero essere prese in modo trasparente, previa consultazione con le parti sociali e gli altri soggetti interessati, e dovrebbero essere conformi alla legislazione dell’UE. A tal proposito, il CESE non mette affatto in discussione la sovranità, la libertà e la responsabilità degli Stati membri nell’adottare leggi e pratiche nazionali.

1.6.

Il CESE invita le istituzioni europee e gli Stati membri a moltiplicare gli sforzi per ridurre gli oneri amministrativi inopportuni al fine di promuovere la crescita e la creazione di posti di lavoro sostenibili.

1.6.1.

Nell’ambito della preparazione del quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo 2021-2027, il CESE esorta la Commissione ad adottare rapidamente misure volte a eliminare gli oneri amministrativi non necessari che ostacolano gravemente gli investimenti finanziati dai fondi SIE — aiuti di Stato, adempimenti in materia di appalti, prassi in materia di audit e adozione tardiva o persino retroattiva di orientamenti dettagliati universali.

1.6.2.

Il CESE sottolinea che gli oneri normativi e amministrativi non necessari rappresentano un ostacolo alla massimizzazione dei benefici e alla riduzione al minimo dei costi di conformità per le imprese, i cittadini e gli enti pubblici; e ribadisce la necessità di una regolamentazione più semplice, coerente e di migliore qualità, che sia meglio compresa e meglio attuata, con il coinvolgimento, altrettanto indispensabile, di tutti e quattro i livelli di governance — europeo, nazionale, regionale e locale.

1.6.3.

Come ha già fatto in diversi altri pareri (2), il CESE raccomanda alla Commissione di condurre, nell’effettuare le sue valutazioni d’impatto, un test approfondito delle ripercussioni per le PMI («test PMI»).

1.7.

Il CESE ribadisce che le norme minime europee, in particolare nell’ambito delle politiche dell’UE in materia sociale, di consumatori e di ambiente, mirano al ravvicinamento delle condizioni di vita e di lavoro in tutta l’Unione europea nell’ottica di una convergenza verso l’alto. Le norme minime prescritte dalle direttive dell’UE non dovrebbero essere intese come un «livello massimo» da non superare mai nel corso del loro recepimento negli ordinamenti giuridici nazionali. A giudizio del CESE, peraltro, l’accettazione del processo di integrazione europea da parte dei cittadini non dovrebbe essere messa a repentaglio da una competizione normativa all’abbassamento degli standard. Tutte le decisioni devono essere prese in maniera trasparente e nel quadro di un dialogo aperto con le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile.

2.   Introduzione

2.1.

La presidenza austriaca del Consiglio dell’UE ha richiesto al CESE un parere esplorativo sul tema «L’impatto della sussidiarietà e della sovraregolamentazione sull’economia e l’occupazione».

2.2.

Il CESE osserva che tale richiesta riguarda sia il principio di sussidiarietà che la sovraregolamentazione e ha l’effetto di ampliare il dibattito in corso sul miglioramento della qualità normativa («legiferare meglio»), sul quale il CESE ha già espresso i suoi punti di vista in una serie di pareri adottati negli ultimi anni (3).

2.3.

Recentemente la questione della sussidiarietà ha acquisito nuova importanza, anche in seguito al Libro bianco sul futuro dell’Europa. La task force per la sussidiarietà e la proporzionalità, istituita nel novembre 2017 dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, ha presentato una relazione contenente raccomandazioni per migliorare l’applicazione dei principi di sussidiarietà (4).

Il CESE reputa che tale relazione sia per certi versi limitata, in ciò rispecchiando la composizione ristretta della task force, ragion per cui raccomanda vivamente che le iniziative che daranno seguito alla relazione siano aperte alla partecipazione attiva dei rappresentanti della società civile. Il CESE ritiene urgente affrontare la questione della proporzionalità dell’azione europea e quella — ancora più importante — degli ambiti in cui l’UE dovrebbe intensificare, ridurre o addirittura sospendere il proprio intervento in linea con gli interessi dei cittadini, dell’economia e delle altre componenti della società.

2.4.

Secondo il CESE, tali questioni, così legate al futuro dell’Europa, devono essere affrontate a livello nazionale e di Unione europea, con la partecipazione delle parti sociali e delle altre organizzazioni della società civile. Accordando a queste organizzazioni uno spazio pari a quello dei livelli locale e regionale nella preparazione e nell’attuazione delle politiche nazionali ed europee, si contribuirebbe direttamente all’esercizio visibile della sussidiarietà orizzontale.

2.5.

Il CESE accoglie con favore il riconoscimento, da parte della presidenza austriaca, dell’utilità di avvalersi delle ampie competenze delle parti sociali e delle altre organizzazioni della società civile nella concezione, nell’attuazione e nella valutazione degli interventi delle politiche nazionali ed europee. Tale coinvolgimento è un’espressione fondamentale della democrazia partecipativa multilivello e deve pertanto essere rafforzato nell’UE e negli Stati membri.

2.6.

A tal proposito, il CESE invita la suddetta task force a tenere nella dovuta considerazione i suoi pareri in materia di sussidiarietà e proporzionalità, che sono altresì alla base delle osservazioni e delle raccomandazioni formulate nel presente parere.

3.   Il principio di sussidiarietà

3.1.

I principi di sussidiarietà e di proporzionalità, come definiti all’articolo 5 del TUE, mirano a garantire che l’azione dell’UE non ecceda quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi del trattato e che l’UE intervenga nei settori che non sono di sua competenza esclusiva solo nel caso in cui gli obiettivi di una misura legislativa possano essere conseguiti in maniera più efficace a livello di Unione europea piuttosto che a livello nazionale, regionale o locale.

3.2.

Il CESE sottolinea l’importanza capitale di tali principi in una comunità sovranazionale come l’UE ed accoglie con grande favore gli strumenti istituiti dal trattato di Lisbona per garantire il rispetto del principio di sussidiarietà — dal controllo della sussidiarietà compiuto prima dell’adozione di un atto legislativo alla presentazione, anche a nome degli organi legislativi nazionali degli Stati membri, di ricorsi per violazione di tale principio mediante un atto legislativo già adottato.

3.3.

Il CESE sottolinea inoltre che in tutti i settori contemplati dal TFUE è necessaria un’Unione europea che funzioni bene, e reputa che il principio di sussidiarietà non debba essere sfruttato per contrastare le azioni dell’UE che abbiano un chiaro valore aggiunto europeo, per accordare a priori la precedenza alle impostazioni nazionali o addirittura per escludere in anticipo l’Unione europea da ambiti d’intervento di importanza cruciale. Dovrebbero essere adottate soltanto disposizioni che apportino un valore aggiunto europeo. Il CESE ritiene che le sfide a cui il nostro continente deve attualmente far fronte non richiedano una rinazionalizzazione delle politiche (direzione «meno Europa»), bensì iniziative coraggiose in direzione di un’Europa migliore e più vicina ai cittadini che promuova altresì la coesione.

3.4.

Il CESE riconosce che gli Stati membri svolgono un ruolo fondamentale nell’attuazione della legislazione dell’UE soprattutto nel caso del recepimento delle direttive, che sono vincolanti per quanto attiene al risultato da conseguire ma che lasciano alle autorità nazionali la scelta della forma e dei metodi di attuazione, nonché la decisione — in linea con il diritto dell’UE — di migliorare le norme minime quando ciò sia ritenuto utile. Al tempo stesso, tale recepimento non dovrebbe essere di ostacolo alla garanzia di condizioni di concorrenza eque per tutti gli operatori del mercato interno, che è un requisito importante per il corretto funzionamento di quest’ultimo.

3.5.

Sebbene gli Stati membri siano responsabili del tempestivo e accurato recepimento delle direttive, spetta alla Commissione europea, in qualità di custode dei Trattati, vigilare sulla corretta attuazione a livello nazionale. Tale «responsabilità condivisa» dovrebbe essere evidente fin dalle prime fasi del processo legislativo: il successo dell’attuazione di una nuova legislazione europea dipende dal fatto che questa si basi su una valutazione d’impatto chiara, trasparente e comprensiva, nonché su una proposta formulata in maniera semplice e chiara, e sia corredata di termini realistici per tale attuazione.

3.6.

Il CESE avverte che, anche laddove i suddetti requisiti siano soddisfatti, tuttavia l’attuazione a livello nazionale, regionale e locale può dimostrarsi insufficiente e/o inefficace; e a tal proposito ribadisce il suo appello alla Commissione europea affinché moltiplichi sistematicamente i suoi sforzi, conformemente alla sue competenze, per reagire in maniera più rapida e rigorosa — una volta esplorata ogni possibilità di cooperazione — nei casi in cui gli Stati membri non recepiscono in modo corretto la legislazione dell’UE o non la recepiscono affatto (5).

3.7.

Il CESE osserva che, in una serie di casi, gli impegni giuridici e politici chiesti dall’UE agli Stati membri sono stati percepiti come interventi che dilatano eccessivamente la competenza delle istituzioni europee e interferiscono con le prerogative e le scelte degli stessi Stati membri (è il caso, ad esempio, delle iniziative che incidono sulle relazioni industriali e sindacali nazionali, sui sistemi pensionistici, sanitari e di protezione sociale o sulla regolamentazione delle professioni, ad esempio riguardo ai criteri di qualificazione nel settore sanitario).

Alla luce di tali considerazioni, il CESE si oppone tanto a questa pratica delle istituzioni europee consistente nel dilatare eccessivamente le loro competenze quanto al trasferimento al livello nazionale, con il pretesto della sussidiarietà, di competenze normative assegnate dal TFUE all’UE in ambiti importanti quali la protezione dei consumatori, gli standard di protezione dell’ambiente e la politica sociale.

4.   Evitare gli oneri normativi e amministrativi non necessari: la sovraregolamentazione

4.1.   Il dibattito sulla sovraregolamentazione (gold-plating)

4.1.1.

Nel recepire la normativa europea, gli Stati membri introducono talora misure più rigorose o più avanzate rispetto a quelle stabilite da tale normativa (e in particolare dalle direttive) oppure non si avvalgono delle possibilità di semplificazione che essa offre. In numerosi documenti, questo fenomeno viene indicato con il termine «sovraregolamentazione» (gold-plating): nel primo caso si parla di «sovraregolamentazione attiva», nel secondo di «sovraregolamentazione passiva».

4.1.2.

In seno al CESE esistono opinioni diverse in merito alla «sovraregolamentazione», che rispecchiano altresì i diversi punti di vista dei vari attori in esso rappresentati. Alcuni portatori di interessi ravvisano in questo fenomeno un eccesso di norme, orientamenti e procedure accumulatisi ai livelli nazionale, regionale e locale che comporta oneri amministrativi non necessari e interferisce con gli obiettivi politici che ci si attende di conseguire con il recepimento della normativa. Altri portatori di interessi, invece, sono del parere che l’uso del termine stigmatizzato di «sovraregolamentazione» rischi di mettere in discussione alcune norme più avanzate adottate democraticamente dagli Stati membri e da questi introdotte nei loro ordinamenti giuridici, in particolare in materia di diritto del lavoro, dei consumatori e dell’ambiente nonché di libere professioni.

4.1.3.

Il CESE chiede di adottare un approccio pragmatico ed equilibrato, e, ai fini del presente parere, avrà cura di adoperare una terminologia neutra e più precisa, in linea con l’accordo interistituzionale «Legiferare meglio» del maggio 2016.

4.2.   Definire la sovraregolamentazione.

4.2.1.

Il CESE propone di definire la sovraregolamentazione in modo più accurato. Per i casi in cui gli Stati membri recepiscono il contenuto della legislazione dell’UE in modo più ambizioso (sul piano sostanziale o procedurale) o si sforzano di garantirne la coerenza con la loro legislazione nazionale, si potrebbero utilizzare espressioni quali «disposizioni più avanzate», «disposizioni più severe» o «requisiti più rigorosi». Il termine «sovraregolamentazione», invece, dovrebbe essere riservato ai casi di aggiunte inopportune e superflue alla legislazione dell’UE nel corso del suo recepimento nel diritto nazionale, per le quali non sia possibile trovare alcuna giustificazione alla luce di uno o più obiettivi della misura proposta o che comportino oneri amministrativi supplementari non necessari. In ogni caso, il termine «sovraregolamentazione» (in inglese: gold-plating) è molto generico, in molte lingue nazionali è tradotto in modo fuorviante e dovrebbe essere sostituito con un termine assai più preciso.

4.2.2.

Indipendentemente dal termine adottato (e anche quando si potrebbe parlare di «sovraregolamentazione»), il CESE ribadisce che occorrerebbe evitare di ricorrere a tale concetto per riferirsi in particolare ai seguenti casi:

innalzamento — nel corso del recepimento e dell’attuazione della legislazione europea — degli standard stabiliti in ambiti quali il diritto del lavoro, della protezione sociale, dei consumatori o dell’ambiente;

adozione di misure nazionali che non hanno alcun legame (oggettivo o temporale) con il recepimento del diritto dell’UE;

consolidamento di disposizioni generali del diritto dell’UE nel corso del relativo recepimento (per esempio introduzione di sanzioni giuridiche concrete per i casi di violazione);

applicazione di una tra le diverse opzioni esplicitamente disponibili per il recepimento del diritto dell’UE;

adozione di disposizioni nazionali avanzate, che vanno al di là delle norme minime europee, in virtù di «clausole di non regresso» contenute nel diritto dell’UE;

applicazione del contenuto di una direttiva a casi analoghi al fine di garantire la coerenza e l’omogeneità delle legislazioni nazionali.

4.2.3.

Il CESE ribadisce che il principio di sussidiarietà consente agli Stati membri di introdurre misure più rigorose in quanto ciò rientra nell’esercizio del loro diritto di garantire il conseguimento di obiettivi diversi (ad esempio economici, sociali o ambientali) e dimostrare il loro impegno ad assicurare un livello elevato di tutela, rispettando il carattere specifico di atti giuridici come le «direttive» nonché talune limitazioni di competenze. Il CESE sottolinea peraltro che questi impegni più stringenti dovrebbero essere assunti soltanto in seguito a un dibattito trasparente e inclusivo con le parti sociali e gli altri soggetti interessati, in uno spirito di comprensione reciproca e nel quadro di un processo decisionale equilibrato.

4.3.   Sovraregolamentazione e miglioramento della regolamentazione.

4.3.1.

Nell’ottica del programma «Legiferare meglio», la Commissione europea riconosce il diritto degli Stati membri di andare oltre le norme stabilite nella legislazione dell’UE (gold-plating = sovraregolamentazione), ma teme la mancanza di trasparenza in questo ambito. Il Regno Unito, i Paesi Bassi, il Belgio, la Germania e l’Austria hanno istituito dei propri sistemi per individuare i casi di sovraregolamentazione. Nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, in particolare, la sovraregolamentazione è soggetta a politiche ufficiali centralizzate, intese a promuovere la crescita economica.

4.3.2.

Il CESE non mette certo in discussione le disposizioni dei Trattati esistenti, e segnatamente le competenze dell’UE o degli Stati membri, bensì ribadisce l’importanza di rispettare «i principi generali del diritto dell’Unione quali la legittimità democratica, la sussidiarietà, la proporzionalità e la certezza del diritto». Ciò significa, tra l’altro, rispettare la sovranità democratica, la libertà e la responsabilità degli Stati membri di elaborare leggi e pratiche nazionali che tengano in debita considerazione il ruolo delle parti sociali al riguardo. Il CESE ha sempre chiesto di promuovere la semplicità, la chiarezza e la coerenza nella redazione delle normative dell’UE, nonché di garantire una maggiore trasparenza del processo legislativo.

4.3.3.

Il CESE ha sottolineato a più riprese che «la regolamentazione europea è un fattore fondamentale di integrazione e non costituisce affatto un onere o un costo da ridurre: se ben equilibrata, proporzionata e non discriminatoria, essa è anzi un’importante garanzia di protezione, di promozione e di certezza del diritto per tutti i cittadini e gli altri soggetti europei» (6). Il CESE ribadisce che, a suo avviso, la legislazione svolge un ruolo essenziale per realizzare gli obiettivi del trattato e per creare le condizioni di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, a vantaggio dei cittadini, delle imprese e dei lavoratori (7). Conformemente all’articolo 3 del TFUE, la legislazione contribuisce altresì a migliorare il benessere, a tutelare l’interesse generale e i diritti fondamentali, a promuovere un livello elevato di protezione sociale e ambientale e a garantire la certezza e la prevedibilità del diritto Inoltre, essa dovrebbe impedire le distorsioni di concorrenza e le pratiche di dumping sociale (8).

4.3.4.

Nel recepire le direttive nel diritto nazionale, gli Stati membri aggiungono talora degli elementi che non hanno alcuna relazione chiara con la legislazione europea in questione. Ebbene, il CESE reputa che tali aggiunte vadano messe in evidenza nell’atto di recepimento [NdT: per l’Italia, la «legge di delegazione europea»] oppure in altri atti giuridici pertinenti. In generale, la legittimità degli Stati membri ad integrare gli atti dell’UE volti a introdurre un’armonizzazione minima deve essere riconosciuta nella misura in cui tale integrazione sia effettuata in maniera trasparente e nel rispetto dei principi di non discriminazione e di proporzionalità. Vi sono molti esempi di recepimento non minimalista delle direttive negli Stati membri che possono essere considerati casi di sovraregolamentazione.

4.3.5.

Il CESE sottolinea che, laddove l’armonizzazione è minima, gli Stati membri conservano la facoltà di introdurre disposizioni che mirino a creare occupazione, a migliorare le condizioni di vita e di lavoro, a garantire una protezione sociale adeguata, a conseguire un tasso di occupazione elevato e sostenibile e a lottare contro l’emarginazione (articolo 151 TFUE), alla promozione e allo sviluppo delle PMI e a stabilire standard elevati in materia di salute e di protezione dei consumatori (articoli 168 e 169 TFUE) nonché di tutela dell’ambiente (articolo 191 TFUE), senza tuttavia introdurre oneri normativi o amministrativi non necessari.

4.4.

Il CESE ritiene che le seguenti misure contribuiranno a evitare gli oneri normativi e amministrativi non necessari:

la Commissione europea dovrebbe effettuare valutazioni d’impatto (VI) integrate della legislazione europea tenendo in debito conto gli oneri superflui e qualsiasi altro impatto che ogni testo normativo rilevante comporterebbe;

le normative europee devono essere valutate secondo i loro meriti, caso per caso, al fine di conseguire un’armonizzazione mirata che consenta, a seconda delle circostanze, una forma di armonizzazione più avanzata in alcuni settori e meno in altri. Spetta alla Commissione, mediante le valutazioni d’impatto, raccomandare il livello di armonizzazione più appropriato, tenuto conto dell’esigenza di un livello elevato di protezione;

nel recepire la legislazione dell’UE, gli Stati membri dovrebbero, a livello sia nazionale che regionale, dar prova di una completa trasparenza in relazione a qualsiasi requisito supplementare che potrebbe arrecare nocumento al mercato unico, alla competitività e alla crescita;

il fatto che un determinato Stato membro imponga norme meno rigorose rispetto a un altro non significa necessariamente che le norme di quest’ultimo siano sproporzionate e incompatibili con il diritto dell’UE. Spetta allo Stato membro valutare ogni singolo caso, tenendo conto dei punti di vista di tutte le parti interessate nonché dell’intero contesto normativo in cui la norma si colloca. E a tal fine la valutazione d’impatto potrebbe costituire uno strumento importante;

eventuali requisiti aggiuntivi introdotti nella fase di recepimento delle direttive dovrebbero essere accompagnati da documenti che spieghino chiaramente i motivi specifici di tali aggiunte.

4.5.

Onde evitare che le imprese e gli altri portatori di interessi subiscano uno svantaggio competitivo rispetto ai loro omologhi di altri Stati membri, la Commissione europea dovrebbe definire orientamenti che aiutino gli Stati membri a recepire correttamente i requisiti posti da un atto normativo osservando al contempo i principi di proporzionalità e di sussidiarietà nonché garantendo condizioni di concorrenza eque. In proposito il CESE ribadisce con forza il suo appello a coinvolgere il più possibile le parti sociali e gli altri portatori di interessi pertinenti nelle attività di recepimento nonché ad associare strettamente gli Stati membri e i loro parlamenti nazionali e regionali alle rispettive valutazioni ex post (9).

4.6.

Raccomandazioni del CESE per un recepimento efficiente

4.6.1.

Gli Stati membri dovrebbero prestare attenzione ai pertinenti termini per il recepimento, al fine di garantire che vi sia tempo sufficiente per consultare tutti i portatori di interessi:

nel preparare le posizioni quadro nazionali per i negoziati iniziali in seno agli organi di lavoro degli Stati membri, occorre prestare attenzione al termine per il recepimento;

in particolare si dovrebbe verificare se le direttive UE non prevedano due termini diversi, uno per l’adozione della normativa interna di attuazione e l’altro per la decorrenza degli effetti giuridici di tale normativa;

la disposizione che fissa il termine per il recepimento deve essere seguita e monitorata lungo l’intero processo legislativo;

i piani di attuazione della Commissione europea offrono sostegno e assistenza.

4.6.2.

Consultazioni:

a livello di Unione europea, l’assistenza fornita dalla Commissione nel corso del processo di attuazione, ad esempio con le raccomandazioni da essa formulate e con i dibattiti in seno ai gruppi di esperti, potrebbe essere utile e contribuire a un’interpretazione comune da parte degli Stati membri;

la Commissione europea dovrebbe adeguare la metodologia di recepimento esistente (orientamenti), non solo per evitare che il recepimento delle direttive abbia luogo in contrasto con il diritto europeo, ma anche per garantire l’efficacia del recepimento stesso;

iniziative della Commissione come quelle volte a mettere a disposizione piattaforme specializzate basate sul web (come l’attuale interfaccia per la notifica elettronica) o una banca dati elettronica dei singoli atti normativi dell’UE al fine di permettere la condivisione di buone pratiche potrebbero essere sviluppate ulteriormente. Occorrerebbe promuovere la governance multilivello e coinvolgere tutti i portatori di interesse pertinenti.

4.6.3.

Terminologia e atti delegati:

gli Stati membri sono invitati a verificare l’accuratezza e la concordanza delle formulazioni durante l’intero processo di negoziazione in seno al Consiglio;

i termini e le definizioni di base devono essere definiti con chiarezza il prima possibile nelle prime fasi dei negoziati;

i diversi significati dei termini e delle definizioni negli Stati membri devono essere tenuti in considerazione dalla Commissione;

le definizioni contenute in un atto legislativo specifico dovrebbero essere coerenti con quelle fornite in altre normative dell’UE;

gli atti delegati dovrebbe essere soggetti a requisiti, come sancito dall’articolo 290 TFUE, fornendo definizioni chiare ed esplicite nel testo legislativo di base;

si dovrebbe considerare la possibilità di ricorrere agli atti delegati solo per gli elementi non essenziali dell’atto legislativo, e dovrebbe essere possibile integrare o modificare solo queste parti (10).

5.   Settori sensibili specifici

5.1.   Fondi strutturali e d’investimento europei (fondi SIE)

5.1.1.

Gli strumenti della politica di coesione europea, ossia i fondi strutturali e in particolare il Fondo sociale europeo, sono attuati in un contesto amministrativo, istituzionale e normativo complesso e rappresentano un ambito specifico in cui un recepimento non necessario e oneroso potrebbe avere conseguenze negative sulle politiche dell’UE. In tale contesto, spesso le norme nazionali e/o regionali «si sommano» ai requisiti minimi (europei) anziché limitarsi a garantire che tali requisiti siano trasposti nel diritto interno. Molte di queste norme comportano oneri amministrativi supplementari. Occorre sottolineare che i requisiti supplementari spesso si basano sul presupposto che essi siano importanti, utili, necessari, nonché sul risultato di un processo democratico.

5.1.2.

Nel quadro della preparazione del QFP per il periodo 2021-2027, il CESE esorta la Commissione ad adottare rapidamente misure volte a eliminare gli oneri amministrativi non necessari che ostacolano gravemente gli investimenti finanziati dai fondi SIE — aiuti di Stato, adempimenti in materia di appalti, prassi in materia di audit e adozione tardiva o finanche retroattiva di orientamenti dettagliati universali. Quella di evitare — o quantomeno ridurre — gli oneri amministrativi non necessari è una responsabilità comune che incombe a tutti gli attori pertinenti.

5.1.3.

Pratiche inappropriate potrebbero generare sfiducia nel sistema di attuazione dei fondi SIE nel suo complesso. Tra queste, basti menzionare una generale avversione al rischio a tutti i livelli, la mancanza di coerenza nelle risposte interpretative delle diverse DG della Commissione, lacune persistenti nell’armonizzazione delle norme relative ai fondi SIE a livello nazionale, locale e regionale, il timore di violare le norme in materia di aiuti di Stato, diversità di impostazioni nei confronti della politica in materia di appalti pubblici tra il livello europeo (dove si pone l’accento sulla trasparenza) e quello nazionale (dove si pone l’accento sul rapporto costi-benefici) e culture amministrative nazionali divergenti.

5.1.4.

Pratiche inappropriate potrebbero inoltre recare pregiudizio sia ai beneficiari che agli organi preposti ai programmi e far lievitare i costi e gli oneri amministrativi dell’attuazione dei fondi SIE, rendendola meno attrattiva. L’assenza di sistemi alternativi per la risoluzione delle controversie potrebbe avere effetti negativi per le imprese, soprattutto se piccole e medie, costrette a fare i conti con pagamenti tardivi, sovraccarico di lavoro amministrativo, controlli non appropriati, progetti rifiutati, esclusione da azioni collettive ecc., ragion per cui il CESE esorta a mettere in atto sistemi specifici per la risoluzione delle liti.

5.1.5.

Raccomandazioni per interventi futuri nel periodo 2021-2027:

5.1.5.1.

Ridurre gli oneri amministrativi nell’ambito della gestione e del controllo:

occorre intervenire rapidamente, a livello europeo e nazionale, per individuare e, se possibile, eliminare le pratiche, i processi e le procedure ridondanti e per raccomandare soluzioni più efficaci sulla base delle buone prassi;

la «gestione condivisa» è una delle cause principali all’origine della complessità dei fondi SIE, ragion per cui occorrerebbe applicare un «approccio integrato» dove la gestione e il controllo di tali fondi sono eseguiti sulla base di norme nazionali («gestione decentrata»);

gli Stati membri dovrebbero esaminare essi stessi i propri sistemi di verifica, gestione e controllo al fine di individuare ed eliminare le ridondanze e le sovrapposizioni normative continuando al tempo stesso a garantire l’impiego corretto dei fondi europei;

la Commissione europea dovrebbe tenere maggiormente conto dell’intensità degli aiuti e delle caratteristiche specifiche dei diversi modelli e meccanismi di attuazione (ossia sovvenzioni, strumenti finanziari, semplificazione dei costi ecc.) al momento di elaborare le relative norme e procedure.

5.1.5.2.

Il CESE invoca la semplificazione e la razionalizzazione delle norme in materia di aiuti di Stato, anche mediante la rimozione di qualsiasi fonte di incertezza riguardo alla loro applicazione. Occorrerebbe considerare possibili modifiche, ove necessario anche alle norme applicabili, in modo che i progetti simili finanziati con fondi SIE siano trattati alla stregua di quelli finanziati mediante il FEIS e dei programmi gestiti direttamente dalla Commissione, come Orizzonte 2020. Nel contempo, il CESE avverte che è necessario porre un limite alle note interpretative e orientative e ai documenti basati su domande e risposte, in modo che non diventino di fatto un ulteriore strato di legislazione, e raccomanda di sostituirli con un’ampia opera di diffusione delle buone prassi, come anche di evitarne l’applicazione retroattiva. Inoltre, invita la Commissione ad astenersi dall’elaborare orientamenti che siano validi per tutti gli Stati membri in seguito a richieste — o segnalazioni di problematiche — riguardanti soltanto uno od alcuni Stati membri.

5.1.5.3.

Per affrontare il problema della diversità di impostazioni relativamente alle norme in materia di appalti pubblici, il CESE raccomanda di istituire una task force congiunta, composta dai rappresentanti delle DG competenti e dai responsabili dei fondi pertinenti, che interpreti le norme, laddove necessario, in maniera coerente e assicuri una consulenza omogenea e un approccio uniforme in merito alle correzioni finanziarie.

5.1.5.4.

Il CESE è dell’avviso che, nell’attuare i fondi SIE, la sussidiarietà debba essere applicata meglio, lasciando alle autorità nazionali il compito di verificare il rispetto delle norme nazionali; e invita gli Stati membri a sfruttare appieno le opzioni di semplificazione previste nel nuovo periodo di programmazione, ad astenersi dalla sovraregolamentazione — termine con cui si intendono qui tutte le norme, gli orientamenti e le procedure di attuazione che possono essere considerati non necessari ai fini degli obiettivi politici stabiliti dalle autorità preposte — e ad eliminare gli oneri amministrativi non necessari.

5.2.   Verso una normativa di migliore qualità

5.2.1.

Il CESE sottolinea che gli oneri normativi e amministrativi non necessari rappresentano un ostacolo per le imprese, i cittadini e gli enti pubblici; ribadisce la necessità di una regolamentazione più semplice, coerente e di migliore qualità, che sia compresa e attuata correttamente e in maniera trasparente, con il coinvolgimento, altrettanto indispensabile, di tutti e quattro i livelli di governance — europeo, nazionale, locale e regionale.

5.2.2.

Alcuni Stati membri dispongono di comitati nazionali di fronte ai quali i governi sono chiamati a giustificare i casi in cui introducono norme più rigorose rispetto ai requisiti minimi stabiliti dalla legislazione dell’UE («sovraregolamentazione»). Negli Stati membri in cui tali istanze non esistono non è necessario istituire nuovi organi amministrativi, purché in questi paesi ogni eventuale requisito superiore agli standard dell’UE sia adottato con un processo trasparente.

5.2.3.

Come già in precedenti pareri (11), il CESE raccomanda di eseguire in modo più efficiente i «test PMI» nelle valutazioni d’impatto relative alle proposte di nuovi atti legislativi europei. Chiede inoltre agli Stati membri di sfruttare le possibilità di accordare alle microimprese, nel rispetto del diritto dell’UE, esenzioni da determinati obblighi; e ribadisce la sua convinzione che gli obiettivi di riduzione dell’onere normativo debbano basarsi su una valutazione globale che includa il dialogo con la società civile e le parti direttamente interessate. L’attuazione della normativa europea non deve indurre a mettere in discussione il livello di protezione dei cittadini, dei consumatori, dei lavoratori, degli investitori e dell’ambiente già garantito nello Stato membro (12).

5.2.4.

Il CESE ribadisce la parità e l’omogeneità dei diversi obiettivi delle politiche dell’UE ai sensi del trattato, sottolineando in particolare quelli relativi a un’economia di mercato socialmente responsabile e fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, come pure a un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente.

5.2.5.

Il CESE invita la Commissione a considerare la possibilità di ricorrere, ove giustificato e opportuno, a modelli basati su incentivi e a norme e orientamenti internazionali.

6.   Impatto sugli standard in materia di lavoro, consumatori e ambiente

6.1.

Negli ultimi decenni, a livello di UE sono state stabilite numerose norme minime in materia di protezione dei consumatori, dell’ambiente e dei lavoratori il cui scopo è garantire una convergenza «verso l’alto» delle condizioni di vita e di lavoro all’interno dell’Unione, ossia quella maggiore convergenza sociale prescritta all’articolo 151 del TFUE.

6.2.

Il legislatore europeo ha deliberatamente lasciato agli Stati membri un certo margine di manovra nell’attuare le norme minime in conformità con i principi del trattato UE, pur e soprattutto nel rispetto del principio di proporzionalità. Di conseguenza, le direttive prevedono che, nel processo di attuazione, gli Stati membri tengano conto degli standard più elevati eventualmente presenti nei loro ordinamenti interni. Il CESE sottolinea che, ogni qual volta gli Stati membri decidano di optare per livelli di tutela più ambiziosi, si potrebbe tener conto, tra altre considerazioni, anche dei principi del miglioramento normativo (programma «Legiferare meglio»).

6.3.

Tali standard a livello nazionale sono il frutto di processi di negoziazione democratica cui hanno partecipato in larga misura le parti sociali europee e nazionali e vanno a vantaggio dei lavoratori, dei consumatori e delle imprese. In linea con gli obiettivi del trattato UE, l’adozione di tali norme minime dovrebbe puntare a garantire un funzionamento migliore del mercato interno e nel contempo non incidere negativamente sui livelli di tutela più elevati eventualmente già previsti a livello nazionale. In molti casi le norme minime di diritto dell’UE comprendono persino delle clausole esplicite di «non regresso», in base alle quali l’attuazione della direttiva in questione non può essere utilizzata per giustificare l’abbassamento al livello della norma europea di eventuali standard nazionali più elevati. Ciò non significa, tuttavia, che gli standard nazionali siano scolpiti nel marmo e non possano in alcun caso essere modificati.

6.4.

Nel recepire il diritto europeo nel proprio diritto nazionale, gli Stati membri potrebbero utilizzare valutazioni d’impatto per accertarne i possibili effetti sociali, economici e di altra natura.

6.5.

In materia di politica sociale, così come di protezione dei consumatori e dell’ambiente, il legislatore europeo si è assicurato che gli standard più elevati previsti negli Stati membri non risultassero compromessi ma venissero anzi salvaguardati, fermo restando il coinvolgimento nelle valutazioni d’impatto di tutte le parti interessate. A tal proposito, il CESE ha ripetutamente osservato che il programma «Legiferare meglio» dovrebbe sì garantire una produzione normativa europea di qualità, ma senza che ciò comprometta gli obiettivi fondamentali delle politiche o eserciti una pressione a favore della deregolamentazione per quanto concerne gli standard di protezione sociale e ambientale come anche i diritti fondamentali (13).

6.6.

Il CESE ribadisce che le norme minime europee, in particolare nell’ambito della politica sociale dell’Unione, mirano al ravvicinamento delle condizioni di vita e di lavoro in tutta l’UE nell’ottica di una convergenza sociale verso l’alto. Le norme minime prescritte dalle direttive dell’UE non dovrebbero essere intese come un «livello massimo» da non superare nel corso del loro recepimento negli ordinamenti giuridici nazionali.

6.7.

Il CESE sostiene il processo di miglioramento della regolamentazione («legiferare meglio») e ne riconosce il valore aggiunto. Nel contempo, però, il CESE avverte che tale processo non dovrebbe in alcun caso essere addotto come pretesto per un abbassamento degli standard, specialmente in ambiti quali la tutela dei consumatori o dell’ambiente, il diritto del lavoro, la promozione della prosperità, della crescita e della creazione di posti di lavoro sostenibili; e fa presente che, qualora ciò avvenisse, alimenterebbe il crescente euroscetticismo tra ampie fasce della popolazione dell’UE: a giudizio del CESE, infatti, l’accettazione del processo di unificazione europea da parte dei cittadini non dovrebbe essere messa a repentaglio da una competizione normativa all’abbassamento degli standard.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  https://ec.europa.eu/info/law/law-making-process/planning-and-proposing-law/better-regulation-why-and-how_it

(2)  GU C 197 dell'8.6.2018, pag. 1.

(3)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 11, GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192, GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45, GU C 487 del 28.12.2016, pag. 51, GU C 262 del 25.7.2018, pag. 22.

(4)  https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/report-task-force-subsidiarity-proportionality-doing-less-more-efficiently_1.pdf.

(5)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 22, GU C 18 del 19.1.2017, pag. 10.

(6)  Cfr., tra l’altro, il punto 1.2 del parere del CESE sul tema «REFIT» (GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45).

(7)  COM(2012) 746 final, pag. 2.

(8)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45, punto 2.1.

(9)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 22, punto 1.2.

(10)  CES248-2013 (relazione informativa); (GU C 13 del 15.1.2016, pag. 145).

(11)  GU C 197 dell'8.6.2018, pag. 1.

(12)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 22, punti 4.7.1 e 4.8.3.

(13)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 22 (punti 1.1 e 3.4), GU C 303 del 19.8.2016, pag. 45 (punti 2.1-2.2 e 2.5) e GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192 (punto 2.4).


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul «Divario digitale di genere»

[parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo]

(2018/C 440/06)

Relatrice:

Giulia BARBUCCI

Parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo

Lettera del 19.4.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

19.7.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

176/2/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le cause del divario digitale di genere sono molteplici e bisogna pertanto intervenire in diversi ambiti: il sistema di istruzione dall’infanzia all’età adulta, il mercato del lavoro, l’equilibrio tra vita professionale e vita privata, i servizi pubblici e il divario digitale in generale. Si raccomanda di ricorrere a un approccio multidisciplinare che riunisca diversi aspetti dell’innovazione (tecnologico, sociale, culturale ecc.).

1.2.

Il divario digitale di genere non si riduce a una questione tecnologica: si tratta di una questione economica, sociale e culturale, da affrontare con politiche con più livelli e complete, al fine di affrontare le disuguaglianze di genere alle loro radici sociali e culturali più profonde.

1.3.

È importante intraprendere azioni volte ad accrescere il numero delle donne nei settori della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM), poiché questo consente anche di migliorare le condizioni in altri settori, nonché nell’economia e nella società nel loro insieme. Allo stesso tempo è essenziale riconoscere la crescente importanza nell’era digitale e in tutti i settori dell’istruzione nel campo delle TIC, come anche delle competenze trasversali, imprenditoriali, digitali e generali (le cosiddette soft skills, come l’empatia, la creatività e la soluzione di problemi complessi). Saranno essenziali l’istruzione interdisciplinare e un insieme di competenze basate sulle capacità umane; i sistemi di istruzione dovrebbero tenere conto di questi aspetti.

1.4.

È essenziale garantire l’alfabetizzazione e l’istruzione digitale per tutti, rivolgendo una particolare attenzione alle ragazze, al fine di eliminare il divario digitale di genere alla radice. Per superare gli stereotipi è indispensabile sviluppare un maggior numero di modelli di ruolo digitali femminili.

1.5.

È necessario incoraggiare la partecipazione delle donne in posti di lavoro tecnici e di alto livello, superando ostacoli e stereotipi nel campo dell’istruzione e in quello professionale e assicurando l’apprendimento digitale lungo tutto l’arco della vita per impedire l’esclusione delle donne dal mercato del lavoro.

1.6.

È opportuno mettere a disposizione di insegnanti e formatori gli strumenti giusti per utilizzare le TIC a tutti i livelli nell’insegnamento, promuovendo la democrazia e sistemi di istruzione e formazione più inclusivi e personalizzati.

1.7.

Per prevenire la spirale della femminilizzazione della povertà occorre garantire condizioni di lavoro eque e l’accesso alla protezione sociale (1). Ciò è particolarmente vero per la cosiddetta «gig economy» (singola prestazione lavorativa attivata su richiesta tramite piattaforme online o applicazioni di cellulari, smartphone ecc.) (2). Il dialogo sociale e la contrattazione collettiva svolgono un ruolo fondamentale a questo riguardo.

1.8.

La presenza di donne tra coloro che sviluppano le TIC può contribuire a far superare i pregiudizi di genere che potrebbero introdursi nella concezione di una determinata tecnologia.

1.9.

L’imprenditorialità femminile deve essere sostenuta eliminando gli ostacoli all’accesso delle donne al lavoro autonomo e migliorando l’accesso alle misure di protezione sociale come pure la loro qualità (3).

1.10.

Il «lavoro agile» (smartworking) e il telelavoro vanno monitorati per evitare il rischio che rendano confusi i confini tra assistenza, lavoro e tempo libero.

1.11.

È importante rafforzare la partecipazione al mercato del lavoro delle donne con disabilità, attuando la Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) (4).

1.12.

La digitalizzazione del settore pubblico rappresenta una grande opportunità per agevolare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per aiutare le donne con responsabilità di assistenza, nonché per superare gli ostacoli di tipo burocratico e quelli legati all’accesso ai servizi pubblici.

1.13.

È essenziale affrontare il problema degli stereotipi di genere: la questione deve essere esaminata in ogni politica e in ogni settore e dovrebbe essere affrontata alle sue radici sociali e culturali più profonde.

1.14.

Uno dei principali ostacoli che le donne si trovano ad affrontare nella partecipazione alle attività online e alle reti sociali è il cyberbullismo. La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica deve essere ratificata ed applicata.

1.15.

Tutte le politiche a livello nazionale, europeo e internazionale dovrebbero tenere conto delle discriminazioni nei confronti delle donne nel settore digitale, discriminazioni che hanno anche ripercussioni negative sull’economia e sulla società in generale.

1.16.

Le politiche pubbliche dovrebbero essere concepite in un’ottica di genere (integrazione in tutte le politiche). Il bilancio di genere e la lente di genere possono costituire degli strumenti utili a tale fine.

1.17.

Il CESE incoraggia la Commissione europea a rafforzare la task force «Donne nel digitale» e l’iniziativa «Digital4Her». È importante creare e sviluppare reti europee di donne nel settore digitale per promuovere la partecipazione delle donne e delle ragazze agli studi e alle carriere in ambito digitale in tutta l’UE.

1.18.

La Commissione europea dovrebbe raccomandare agli Stati membri dell’UE di stabilire obiettivi e indicatori nazionali per monitorare la situazione (quadro di valutazione annuale). Occorrerebbe procedere alla misurazione di miglioramenti o peggioramenti, anche attraverso le ricerche condotte dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE). Nell’ambito del processo del semestre europeo si potrebbero indirizzare agli Stati membri raccomandazioni specifiche per paese in questo settore.

1.19.

Per colmare il divario digitale di genere le parti sociali, ai livelli più opportuni, si impegnano a rafforzare la parità di genere nell’istruzione e nel mercato del lavoro, svolgendo un ruolo fondamentale in questo contesto. In particolare, nell’ambito dell’apprendimento permanente e del mercato del lavoro, la funzione della contrattazione collettiva è fondamentale per affrontare la questione dei ruoli di genere, promuovere il ruolo della donna nel processo decisionale e in diversi organi, sostenere l’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata e risolvere il problema del divario retributivo (5).

1.20.

Il CESE raccomanda che il Parlamento europeo sostenga tali raccomandazioni per la prossima legislatura, dato che si tratta di un tema fondamentale per il futuro sviluppo dell’Europa.

2.   Introduzione

2.1.   Ineguaglianza di genere

2.1.1.

Nel suo discorso al Parlamento europeo sulle priorità politiche della Commissione europea, Jean-Claude Juncker ha affermato che nell’Unione europea non vi dovrebbe essere posto per la discriminazione e ha definito il settore della giustizia e dei diritti fondamentali una delle dieci priorità politiche del lavoro della Commissione. La parità di genere forma parte di questo settore, anche se la Carta dei diritti fondamentali svolge già un ruolo importante in questo campo, prevedendo che «la parità tra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione» (6). Mariya Gabriel, commissaria europea per l’Economia e la società digitali, ha di recente illustrato le azioni nel quadro della sua strategia per favorire un aumento nella partecipazione delle donne al settore digitale. È pertanto necessario assicurare il seguito della dichiarazione Digital4Her firmata dalle imprese informatiche, la quale promuove una cultura e un ambiente di lavoro inclusivi ed equilibrati sotto il profilo del genere.

2.1.2.

La discriminazione nei confronti delle donne persiste nel mercato del lavoro e nella società in generale. Secondo l’indice sull’uguaglianza di genere, che misura la disuguaglianza nei settori del lavoro, del tempo, del denaro, della conoscenza, del potere, della violenza e della salute, i progressi realizzati in questi ambiti sono lenti: l’indice è salito da 62 punti nel 2005 a 65 punti nel 2012, per arrivare a 66,2 punti nel 2017 (7). Le cause della discriminazione sono molteplici. Per superare gli squilibri derivanti da tale discriminazione, il capo I del pilastro europeo dei diritti sociali ha per oggetto le pari opportunità e l’accesso al mercato del lavoro, riconoscendo che la parità di genere e le pari opportunità sono i campi in cui la discriminazione è più comune.

2.1.3.

Il divario digitale di genere è una forma di diseguaglianza che deriva dalla discriminazione che colpisce le donne e che probabilmente rappresenta un ostacolo insormontabile alla loro partecipazione a livello europeo e globale. Esso rallenta anche la crescita dell’economia europea del futuro, caratterizzata dalla digitalizzazione. Attualmente il 68 % degli uomini e il 62 % delle donne usano il PC e Internet in modo regolare, il 33 % degli uomini e il 18 % delle donne installano software nei loro dispositivi e il 47 % degli uomini e il 35 % delle donne utilizzano servizi bancari online (8). Inoltre, sebbene rappresentino più della metà delle persone laureate, le donne continuano a essere sottorappresentate nei corsi di laurea in materie scientifiche e nelle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), costituendo circa un terzo dei dipendenti totali del settore, con percentuali diverse a seconda del particolare tipo di lavoro (8 % per il software, 54 % nelle posizioni di livello più basso tra gli operatori delle tecnologie dell’informazione). Il presente parere formula raccomandazioni e proposte al fine di superare gli squilibri in relazione al sistema di istruzione e al mercato del lavoro.

2.1.4.

Le donne devono inoltre far fronte a maggiori difficoltà online a causa del cyberbullismo: le molestie online sono molto più mirate alle ragazze (secondo i dati raccolti dall’EIGE, il 51 % delle donne sono vittime di molestie online rispetto al 42 % degli uomini) (9). La Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica deve essere ratificata ed applicata.

2.2.   La digitalizzazione e il divario digitale

2.2.1.

La digitalizzazione non è solo un processo tecnologico, ma anche economico, sociale, culturale e relativo alla società nel suo complesso.

2.2.2.

Secondo uno studio della Commissione europea (10), la digitalizzazione potrebbe aggiungere 415 miliardi di euro all’anno al PIL dell’UE e una maggiore presenza femminile nei posti di lavoro digitali potrebbe determinare uno stimolo annuale per il PIL dell’UE pari a 16 miliardi di euro. Al tempo stesso le imprese hanno difficoltà ad assumere specialisti delle TIC, per cui esistono margini per accrescere l’occupazione e migliorare l’istruzione in campo digitale.

2.2.3.

Il divario digitale non include soltanto un accesso limitato alla connessione Internet, ma anche la mancanza delle competenze di base necessarie per usare gli strumenti TIC. Uno degli aspetti del divario digitale è il divario digitale di genere. Secondo l’Unione internazionale delle telecomunicazioni, i dati disaggregati per genere relativi a 91 economie dimostrano che nel 2017 la diffusione dell’uso di Internet tra le donne era del 44,9 % e tra gli uomini del 50,9 %. Secondo i dati Eurostat, nel 2017 si è collegato quotidianamente ad Internet il 71 % delle donne rispetto al 74 % degli uomini, mentre il 49 % delle donne ha utilizzato i servizi bancari online rispetto al 54 % degli uomini (11). È importante inquadrare la questione sia dal lato del mercato del lavoro, posto che la digitalizzazione coinvolge tutti i lavoratori, che dal punto di vista degli utenti, dato che tutti utilizzano la tecnologia.

2.2.4.

Il divario digitale s’interseca spesso con altre tipologie di discriminazione, quali ad esempio la discriminazione dovuta all’appartenenza a una minoranza etnica, al fatto di risiedere in una zona rurale, alla condizione di migrante o di persona con disabilità o alla povertà ecc. Le tecnologie possono aiutare a superare questi ostacoli, rendendo il mondo più inclusivo per tutti, ma se il processo non è guidato dagli attori sociali esse possono anche aggravarli.

2.2.5.

Il divario digitale di genere è una questione economica, sociale, culturale e relativa alla società, da affrontare con politiche con più livelli e complete, in quanto esso determina una crescente disuguaglianza di genere. Inoltre, la disuguaglianza di genere deve essere presa in considerazione in ogni politica e in ogni settore e dovrebbe essere affrontata alle sue radici sociali e culturali più profonde.

2.2.6.

L’impatto qualitativo della digitalizzazione sulle esigenze in termini di competenze è interessante anche in una prospettiva di genere, in quanto le donne sono più rappresentate in alcuni posti di lavoro e sottorappresentate in altri, tra cui nei settori della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM). È necessario agire per aumentare il numero delle donne nel settore STEM.

2.2.7.

È anche fondamentale, tuttavia, riconoscere la crescente importanza nell’era digitale e in tutti i settori delle competenze generali (le cosiddette soft skills), perché, in effetti, il principale lineamento dell’intelligenza artificiale (AI) e dell’Internet degli oggetti è l’evoluzione delle macchine nel senso di una maggiore sensibilità e intelligenza e da ciò consegue che la forza lavoro umana diventa insostituibile solo se essa compete con le macchine sulla base di abilità veramente umane quali la capacità di adattarsi ai cambiamenti e di collaborare. Nella società attuale l’empatia, la creatività e la soluzione dei problemi complessi sono competenze che vengono più spesso insegnate alle ragazze piuttosto che ai ragazzi e che le ragazze tendono a sviluppare di più (12). Si raccomanda un approccio multidisciplinare che riunisca diversi aspetti dell’innovazione (tecnologico, sociale, culturale ecc.) nel tentativo non solo di contrastare i rischi ma anche di cogliere le opportunità della digitalizzazione per le donne.

2.2.8.

È necessario prestare particolare attenzione alle persone con disabilità, e in particolare alle donne, la cui «condizione è peggiore rispetto a quella delle donne non disabili» (13). Per questo è importante garantire «alle donne e alle ragazze con disabilità […] un pari accesso alle diverse componenti delle infrastrutture delle TIC e della società dell’informazione» (14).

3.   Il divario digitale di genere nel sistema di istruzione

3.1.

Il sistema di istruzione è il principale settore di cui occuparsi. Rispetto al 2011 si registra un calo del numero delle donne che intraprendono studi superiori nel settore delle TIC (15). Pertanto, migliorare l’alfabetizzazione e le competenze digitali delle donne a tutti i livelli è essenziale per permettere loro di partecipare attivamente allo sviluppo della società e di beneficiare delle opportunità derivanti dalla digitalizzazione, evitando di perdere terreno. Le donne con disabilità dovrebbero avere diritto a un’istruzione inclusiva e di qualità. È necessario affrontare risolutamente gli stereotipi culturali e linguistici, presentando alle ragazze modelli di ruolo differenti, in particolare nel settore dei media. Inoltre, gli strumenti TIC possono essere utilizzati nell’insegnamento e nelle attività in classe.

3.2.

Nell’istruzione primaria è essenziale garantire l’alfabetizzazione e l’istruzione digitale per tutti, al fine di garantire, in futuro, la capacità di adattamento di uomini e donne alla rapida evoluzione delle tecnologie. In base al Programma per la valutazione internazionale degli studenti (PISA), che misura i progressi in materia di istruzione compiuti dai giovani di 15 anni nei paesi OCSE, il numero dei ragazzi che aspirano a una carriera nelle discipline STEM è circa quattro volte superiore a quello delle ragazze (16). Secondo uno studio dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), in tutta l’Unione europea aspirano a lavorare come professionisti delle TIC dal 3 % al 15 % dei ragazzi adolescenti, mentre solo in quattro Stati membri aspirano a questo tipo di carriera dall’1 % al 3 % delle ragazze adolescenti. Inoltre, anche se nell’UE i ragazzi e le ragazze hanno le medesime competenze digitali, i ragazzi continuano a sentirsi più sicuri in questo campo: si tratta ancora una volta di un problema di errata percezione e di stereotipi di genere (17). «Il CESE ricorda agli Stati membri la necessità di investire in sistemi di istruzione non discriminatori e inclusivi» (18).

3.3.

È importante formare i formatori a utilizzare le TIC come strumento didattico. Per eliminare il divario digitale di genere alla radice e promuovere sistemi di istruzione e formazione più inclusivi e personalizzati, è fondamentale rivolgere un’attenzione particolare alle ragazze. Gli strumenti digitali possono anche essere utili per ridurre le trafile burocratiche per gli insegnanti e i formatori (19).

3.4.

Nell’istruzione secondaria e terziaria interdisciplinare il numero delle ragazze che scelgono corsi dell’area STEM è tuttora inferiore a quello dei ragazzi e meno di 1 laureato su 5 nel settore delle TIC è donna (20). Anche l’istruzione interdisciplinare e le competenze generali basate sulle capacità umane saranno essenziali.

3.5.

L’apprendimento di tipo duale e l’IFP (istruzione e formazione professionale) dovrebbero essere rafforzati e prendere in considerazione l’accesso delle ragazze all’apprendimento tecnico e sul posto di lavoro (21).

4.   Il divario digitale di genere nel mercato del lavoro

4.1.

È necessario incoraggiare la partecipazione delle donne in posti di lavoro tecnici e di alto livello, rovesciando ostacoli e stereotipi nel campo dell’istruzione e in quello professionale. Una maggiore presenza di donne nel settore delle TIC potrebbe beneficiare questo settore e l’economia e la società nel loro complesso.

4.2.

Per superare il divario digitale di genere nel mercato del lavoro, il ruolo delle parti sociali a livello aziendale, nazionale ed europeo è di fondamentale importanza. Dal dialogo sociale e dalla contrattazione collettiva possono provenire proposte di soluzioni accettabili, che tengano conto delle esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori (22). Un maggior numero di donne nei settori STEM e nei posti di lavoro ad alto livello può inoltre contribuire a ridurre il divario retributivo di genere.

4.3.

L’apprendimento lungo tutto l’arco della vita è essenziale per impedire l’esclusione dal mercato del lavoro e questo è ancora più importante per le donne. A questo proposito è fondamentale il ruolo delle parti sociali.

4.4.

Polarizzazione del mercato del lavoro e «gig economy»: anche se è tecnicamente possibile che le macchine sostituiscano lavori poco qualificati (manuali o intellettuali, grazie all’Internet degli oggetti, ai sensori e alle tecnologie dell’AI), se tali lavori sono precari e non conferiscono diritti, può essere più conveniente per le imprese assumere personale a basso costo invece di investire in nuove macchine. Ciò è quello che già avviene nella cosiddetta «gig economy» (singola prestazione lavorativa attivata su richiesta tramite piattaforme online o applicazioni di cellulari, smartphone ecc.). In tali contesti, non c’è nessuna protezione sociale analoga a quella garantita nelle forme di lavoro standard (23). Data la natura informale di questo tipo di lavoro, vi è il pericolo che le donne si spostino da occupazioni di tipo tradizionale che prevedono prestazioni sociali a lavori nel quadro della «gig economy», più prontamente disponibili e talvolta più facilmente gestibili sotto l’aspetto dell’orario di lavoro. Al fine di prevenire la spirale della femminilizzazione della povertà (24), devono essere garantite condizioni di lavoro eque e deve essere promosso da tutte le parti interessate un modello di sviluppo basato su un approccio «di alto profilo». Il ruolo delle parti sociali e della contrattazione collettiva è fondamentale in questo contesto (25).

4.5.

La tecnologia non è neutrale: se in teoria un software o un algoritmo dovrebbero ridurre la soggettività che contraddistingue un processo o una decisione umani, se vi si introduce un pregiudizio culturale (come i pregiudizi di genere), esso riprodurrà sempre questo tipo di discriminazione su base strutturale (invece che casuale). Per questo motivo le persone che contribuiscono alla concezione di questi sistemi dovrebbero essere quanto più possibile diverse. Attualmente le donne costituiscono solo il 17 % degli 8 milioni di persone che lavorano nelle TIC (26), inoltre, soltanto il 20 % delle donne di 30 anni e più che abbiano conseguito una laurea nel settore delle TIC decidono di rimanere nel settore delle tecnologie (27). Aumentare in questi posti di lavoro la presenza delle donne e, in tal modo, la diversità, può contribuire a far superare i pregiudizi che possono essere inclusi nella progettazione di una determinata tecnologia.

4.6.

Sfondare il soffitto di cristallo (glass ceiling) per un sistema economico più digitale: solo il 32 % dei leader economici sono donne (28) anche se è dimostrato che le imprese in cui le donne hanno responsabilità decisionali mostrano stili di governance migliori, che sono di solito più orizzontali e incoraggiano la diversità e il pensiero creativo ed innovativo. Di conseguenza, se le imprese sviluppano politiche di genere, al fine di promuovere la presenza di donne ai massimi livelli dell’organizzazione, ne trarranno vantaggi in termini di capacità di innovazione. Questo approccio applicato su vasta scala beneficerà, a sua volta, l’intero sistema economico.

4.7.

Il sistema produttivo europeo è costituito in gran parte da PMI che incontrano maggiori difficoltà al momento di investire in nuove tecnologie. Allo stesso tempo, le tecnologie digitali agevolano la microimprenditorialità, nella misura in cui alcuni strumenti digitali (per esempio l’e-commerce) permettono a micro e piccole e medie imprese di raggiungere i mercati globali e, in generale, di eliminare ostacoli all’accesso al lavoro autonomo. Secondo il 2o«European Start-up Monitor» solo il 14,8 % dei fondatori di start-up sono donne (29). Questo problema è legato a reti di imprese più deboli, a stereotipi e ad un sostegno finanziario insufficiente. La digitalizzazione può creare il contesto adatto per l’imprenditoria femminile. Devono essere garantiti istruzione e servizi di sostegno per consentire alle donne di avviare un’attività in proprio, utilizzando le tecnologie digitali disponibili.

5.   La digitalizzazione e l’equilibrio tra vita professionale e vita privata

5.1.

Secondo uno studio dell’EIGE, nel settore delle TIC gli orari di lavoro sono più lunghi rispetto ad altri settori (30). Pertanto il primo problema da affrontare è la ripartizione dei compiti di assistenza tra uomini e donne: è importante intervenire a favore di una più equa ripartizione dei compiti di assistenza tra i generi, anche adottando la proposta di direttiva relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza (31).

5.2.

Il lavoro agile e il telelavoro sono spesso considerati strumenti per conciliare vita professionale e vita privata tenendo conto sia dei rischi che delle opportunità. Se il lavoro agile può aiutare i lavoratori a gestire la loro vita privata (specialmente eliminando i tempi morti degli spostamenti da e verso il posto di lavoro), è anche vero che, se non è gestito correttamente, esso può contribuire a rendere confusi i confini tra assistenza, lavoro e tempo libero. Il lavoro agile deve essere gestito attraverso contratti collettivi specifici per l’impresa interessata al fine di adattarlo al contesto culturale, ai mezzi di produzione e all’organizzazione del lavoro. A lungo termine il lavoro agile potrebbe anche modificare lo stile di vita delle persone nei centri urbani (e nelle zone rurali) e negli spazi sociali.

5.3.

Gli strumenti digitali possono anche rappresentare un’opportunità per le persone escluse dal mercato del lavoro. Essi inoltre possono agevolare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. L’esclusione dal mercato del lavoro raggiunge livelli molto più alti per le donne con disabilità (32). Pertanto, è molto importante attuare la Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità (CRPD) (33).

6.   La digitalizzazione del settore pubblico

6.1.

La popolazione europea sta invecchiando a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita e dei bassi tassi di natalità, e il carico dei compiti di assistenza che grava sulle donne di mezza età è in aumento. Se, da un lato, è essenziale giungere a un’equa ripartizione del lavoro di assistenza tra uomini e donne, dall’altro è anche importante riconoscere che la digitalizzazione del settore pubblico, e la robotica in particolare, rappresenta una grande opportunità per agevolare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per aiutarle nei compiti di assistenza che esse possono dover assolvere.

6.2.

La robotica può automatizzare e, soprattutto, facilitare alcuni dei compiti più pesanti che la prestazione di assistenza può comportare (per esempio spostare una persona invalida), contribuire alla riabilitazione di persone infortunate, prevenire malattie ecc. Queste tecnologie possono migliorare la qualità di vita della società nel suo complesso, in particolare quella delle donne, nonché la loro partecipazione al mercato del lavoro, in due modi: da un lato, agevolando il lavoro nel settore dei servizi per la prestazione di assistenza alle persone, in cui le donne sono ampiamente rappresentate, e, dall’altro, aiutando le donne che prestano assistenza non retribuita, ma questo solo se tali tecnologie sono disponibili e garantite per tutti coloro che ne hanno bisogno.

6.3.

Le tecnologie digitali possono anche avere un impatto profondo su tutte le procedure amministrative legate ai servizi pubblici. Alcuni paesi stanno già applicando questo tipo di tecnologia su ampia scala, creando un’identità digitale unica per tutte le procedure relative al settore pubblico (imposte, assistenza sanitaria, istruzione ecc.). Ampliare questo processo consentirebbe di migliorare la qualità della vita, ma è anche importante conoscere (e prevenire) i rischi connessi a un controllo dei dati esercitato da un unico soggetto (anche se si tratta di un’amministrazione pubblica), nonché i rischi in materia di riservatezza, cibersicurezza e deontologia (34).

6.4.

Le amministrazioni pubbliche dovrebbero predisporre bilanci di genere per tutti i servizi e tutte le attività, al fine di promuovere la parità e di tenere conto dell’impatto delle politiche sulle donne. Tutte le decisioni in materia di investimento dovrebbero essere prese utilizzando la «lente di genere» in tre ambiti: la parità di genere sul posto di lavoro, l’accesso delle donne al capitale e prodotti e servizi utili per le donne.

6.5.

Mentre in alcuni paesi la digitalizzazione del settore pubblico è già in fase avanzata, in altri il processo è solo agli inizi e potrebbe quindi offrire un’opportunità per formare e assumere più donne nel settore pubblico, in una prospettiva di genere.

6.6.

Al fine di sviluppare la digitalizzazione, occorre mettere a disposizione le infrastrutture necessarie, quali la banda larga, la rete 5G ecc., senza discriminazioni geografiche.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  SOC/581 — Parere del CESE sul tema Accesso alla protezione sociale (Cfr. pag. 135 della presente Gazzetta ufficiale).

(2)  The Social Protection of Workers in the Platform Economy, European Parliament, 07.12.2017 (La protezione sociale dei lavoratori nell’economia delle piattaforme, Parlamento europeo, 7.12.2017).

(3)  GU C 173 del 31.05.2017, pag. 45.

(4)  Parere del CESE sul tema La condizione delle donne con disabilità (GU C 367 del 10.10.2018, pag.20).

(5)  A Toolkit for Gender Equality in Practice («Manuale per l’uguaglianza di genere nella pratica») a cura delle parti sociali europee, CES, BusinessEurope, CEEP e UEAPME.

(6)  Titolo III, articolo 23.

(7)  Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), Indice sull’uguaglianza di genere — Relazione 2017.

(8)  Cfr. risoluzione del PE del 17 aprile 2018.

(9)  EIGE, Youth, digitalisation and gender equality: opportunities and risks of digital technologies for girls and boys (Giovani, digitalizzazione e parità di genere: opportunità e rischi delle tecnologie digitali per le ragazze e i ragazzi), 2018 (di prossima pubblicazione).

(10)  Vessela Karloukovska, DG-CNECT, task force «Donne nel digitale», Commissione europea.

(11)  Dati Eurostat.

(12)  Martha Ochoa (UNI Global Union), The path to genderless digitalisation («Il cammino verso la digitalizzazione senza genere»).

(13)  Parere del CESE sul tema La condizione delle donne con disabilità (GU C 367 del 10.10.2018, pag. 20), punto 2.1.

(14)  Idem, punto 5.3.6.

(15)  «Le donne nell'era digitale», Commissione europea, 2018.

(16)  Konstantina Davaki, autrice dello studio The underlying causes of the digital gender gap and possible solutions for enhanced digital inclusion of women and girls («Le cause soggiacenti al divario digitale di genere e possibili soluzioni per una migliore inclusione digitale delle donne e delle ragazze»).

(17)  Lina Salanauskaite, Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE).

(18)  Parere del CESE sul tema Piano d’azione dell’UE per il 2017-2019 — Affrontare il problema del divario retributivo di genere, punto 4.4 (GU C 262 del 25.07.2018, pag. 101).

(19)  Ekaterina Efimenko, Comitato sindacale europeo degli insegnanti (CSEI).

(20)  Vessela Karloukovska, DG-CNECT, task force «Donne nel digitale», Commissione europea.

(21)  GU C 13 del 15.01.2016, pag. 161; GU C 434 del 15.12.2017, pag. 36.

(22)  Parere del CESE sul tema Concetti dell’UE per la gestione della transizione in un mondo del lavoro digitalizzato: un importante contributo a un Libro bianco dell’UE sul futuro del lavoro (GU C 367 del 10.10.2018, pag.15).

(23)  Pareri del CESE sul tema Per una direttiva quadro europea in materia di reddito minimo (adozione prevista nel corso della sessione plenaria di dicembre 2018) e sul tema Accesso alla protezione sociale (Cfr. pag. 135 della presente Gazzetta ufficiale).

(24)  Mary Collins, Lobby europea delle donne (EWL) (GU C 129 dell'11.04.2018, pag. 7).

(25)  Cfr. ad esempio gli accordi delle parti sociali europee, nonché la proposta di direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita privata e il pilastro europeo dei diritti sociali.

(26)  Vessela Karloukovska, DG-CNECT, task force «Donne nel digitale», Commissione europea.

(27)  Mary Collins, Lobby europea delle donne (EWL).

(28)  Vessela Karloukovska, DG-CNECT, task force «Donne nel digitale», Commissione europea.

(29)  «Women in the digital age», studio realizzato per la Commissione europea.

(30)  Lina Salanauskaite, Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE).

(31)  COM(2017) 253.

(32)  Parere del CESE sul tema La condizione delle donne con disabilità (GU C 367 del 10.10.2018, pag. 20), punto 5.4.1.

(33)  Parere del CESE sul tema La condizione delle donne con disabilità (GU C 367 del 10.10.2018, pag. 20), punto 1.2, Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità.

(34)  Servizi pubblici digitali (l'amministrazione e la sanità elettroniche).


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Bioeconomia: contribuire a realizzare gli obiettivi dell’UE in materia di clima e di energia e a conseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite»

(parere esplorativo)

(2018/C 440/07)

Relatrice:

Tellervo Kylä HARAKKA-RUONALA

Correlatore:

Andreas THURNER

Consultazione

Presidenza austriaca del Consiglio, 12.2.2018

Base giuridica

Articolo 302 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Parere esplorativo

Decisione dell’Assemblea plenaria

13.3.2018

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

5.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

180/1/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che la bioeconomia sia una forma di creazione di valore aggiunto per la società attraverso la produzione, la trasformazione e l’impiego di risorse biologiche naturali. Il passaggio a un’economia senza emissioni di carbonio e alla circolarità fungerà sempre più spesso da fattore trainante per la bioeconomia, in quanto una bioeconomia sostenibile ha il potenziale per generare simultaneamente benefici economici, sociali e climatici.

1.2.

Il CESE rileva che la bioeconomia contribuisce a mitigare i cambiamenti climatici in diverse maniere: attraverso la cattura del CO2 presente nell’atmosfera sotto forma di biomassa, mediante lo stoccaggio del carbonio in bioprodotti e con la sostituzione delle materie prime e dei prodotti fossili con quelli biologici.

1.3.

Il Comitato fa altresì notare che la bioeconomia contribuisce alla realizzazione degli obiettivi dell’UE in materia di clima e di energia, sostituendo i combustibili fossili con la bioenergia nella produzione di elettricità, nel riscaldamento e raffreddamento e nei trasporti. Essa contribuisce anche all’efficienza energetica e alla sicurezza dell’approvvigionamento energetico.

1.4.

Il CESE è convinto che la bioeconomia svolga un ruolo fondamentale nel conseguimento degli obiettivi economici, ambientali e sociali generali stabiliti nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite (obiettivi di sviluppo sostenibile o OSS). La bioeconomia è strettamente collegata con altri obiettivi inerenti all’industria, all’agricoltura e alla creazione di posti di lavoro in questi settori.

1.5.

Il Comitato chiede di adattare la strategia dell’UE per la bioeconomia al fine di creare, in linea con la sostenibilità economica, ambientale e sociale, le condizioni più favorevoli affinché la bioeconomia europea possa produrre un vantaggio competitivo per l’UE.

1.6.

Il CESE sottolinea che i responsabili politici devono promuovere una produzione e una mobilizzazione sostenibili di biomassa nell’UE e garantire un quadro stabile, affidabile e coerente per gli investimenti nella bioeconomia in ogni anello della catena di valore. Inoltre, i responsabili politici dovrebbero rafforzare la domanda di bioprodotti tramite gli appalti pubblici e adottare un quadro normativo coerente per quanto riguarda gli aspetti tecnici e di sicurezza, come anche gli aiuti di Stato, al fine di garantire condizioni di parità per questo tipo di prodotti.

1.7.

Il CESE ritiene che la ricerca e l’innovazione siano essenziali per lo sviluppo di una bioeconomia in grado di resistere alla prova del tempo. A tal fine, si dovrebbero portare avanti gli sforzi di innovazione promossi dalla strategia per la bioeconomia, e in particolare l’impresa comune Bioindustrie (IC Bioindustrie).

1.8.

Il Comitato mette in evidenza il ruolo fondamentale dell’istruzione, dei servizi di consulenza, del trasferimento di conoscenze e della formazione al fine di garantire che i lavoratori e gli imprenditori dispongano delle informazioni e delle competenze necessarie. I cittadini devono essere ben informati sulla bioeconomia e devono essere resi più consapevoli delle loro responsabilità, in modo da poter essere consumatori attivi e capaci di prendere decisioni di consumo sostenibili.

1.9.

Il CESE fa notare che l’esistenza di infrastrutture idonee è un prerequisito per la bioeconomia e richiede finanziamenti adeguati. Per consentire l’accesso alle materie prime e la distribuzione di prodotti ai mercati sono necessari sistemi di trasporto efficaci.

1.10.

L’UE raccomanda all’UE di adoperarsi per creare un sistema di tariffazione globale per le emissioni di carbonio, sistema che rappresenterebbe il modo più neutrale ed efficace di promuovere la bioeconomia e coinvolgere tutti gli attori del mercato negli sforzi volti ad attenuare i cambiamenti climatici.

1.11.

Il CESE è convinto che il coinvolgimento della società civile nelle iniziative e nei processi decisionali in materia di bioeconomia sia essenziale. Il Comitato sottolinea che è indispensabile garantire che il passaggio a un’economia a basse emissioni di carbonio si svolga in modo equo.

1.12.

Il CESE mette in risalto che una bioeconomia sostenibile può avere successo solo se si adotta un approccio intersettoriale. Occorre pertanto garantire la coerenza e il coordinamento tra le varie politiche e i diversi obiettivi dell’UE. È altresì importante garantire che vi sia uniformità tra le misure adottate a livello di Stati membri.

2.   Contesto generale

2.1.

La presidenza austriaca del Consiglio ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo (CESE) di formulare un parere esplorativo sul ruolo della bioeconomia nella realizzazione degli obiettivi dell’UE in materia di clima e di energia e nel conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite. Parallelamente, il CESE sta elaborando un parere di iniziativa sulle nuove opportunità che una bioeconomia sostenibile e inclusiva può creare per l’economia europea (CCMI/160).

2.2.

Allo stesso tempo, la Commissione europea sta lavorando all’aggiornamento della strategia europea per la bioeconomia del 2012. Per parte sua, il CESE sta monitorando tale processo e accoglie con favore gli sforzi della Commissione, la quale ha definito la bioeconomia come «la produzione di risorse biologiche rinnovabili e la trasformazione di tali risorse e dei flussi di rifiuti in prodotti a valore aggiunto quali alimenti, mangimi, bioprodotti e bioenergie».

2.3.

In termini generali, la bioeconomia comporta la sostituzione dei combustibili fossili e delle materie prime fossili con energia e materie prime di origine biologica. La bioeconomia include attività economiche basate sulla produzione, sull’estrazione, sulla trasformazione e sull’uso di risorse naturali biologiche. I flussi di rifiuti, sottoprodotti e residui possono rappresentare un’altra fonte principale per l’approvvigionamento di materie prime.

2.4.

L’agricoltura e la silvicoltura, unitamente alla pesca, rivestono un ruolo fondamentale nella produzione di biomassa per un uso ulteriore. Numerosi e diversi comparti industriali, quali i settori forestale, alimentare, chimico, energetico, tessile ed edile, trasformano la biomassa, comprese le materie prime secondarie, in beni di consumo o prodotti intermedi destinati ad altri settori di attività. La bioeconomia si basa di norma su catene di valore estensive, comprendenti i trasporti, il commercio e altri servizi connessi alle attività summenzionate. In aggiunta, formano parte della bioeconomia i servizi ecosistemici.

2.5.

L’UE si è impegnata a ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40 % entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 (1), fissando obiettivi e norme per i settori che rientrano nel sistema di scambio delle emissioni distinti da quelli per gli altri settori. Inoltre, l’uso del suolo, i cambiamenti di uso del suolo e la silvicoltura, ossia il settore LULUCF, sono stati integrati nel quadro 2030, stabilendo che tale settore non deve generare emissioni nette ma contribuire invece all’obiettivo di incrementare i pozzi di assorbimento del carbonio nel lungo periodo. Questo è in linea con gli impegni di cui all’articolo 4.1 dell’accordo di Parigi, che impone di «raggiungere un equilibrio tra le fonti di emissioni e gli assorbimenti antropogenici di gas ad effetto serra nella seconda metà del corrente secolo» (2).

2.6.

Conformemente agli obiettivi dell’UE in materia di energia per il 2030, l’efficienza energetica dovrebbe essere aumentata del 32,5 % rispetto alle proiezioni, e la quota di energie rinnovabili nel mix energetico complessivo dovrebbe essere pari al 32 %; entrambi i valori sono espressi in termini di obiettivi comuni dell’UE, piuttosto che come obiettivi a livello degli Stati membri (3).

2.7.

I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite coprono i diversi aspetti delle sfide economiche, sociali e ambientali che occorre affrontare a livello mondiale. Se è vero che nessun OSS si focalizza specificamente sulla bioeconomia, quest’ultima è comunque collegata a un buon numero di tali obiettivi.

3.   Contributo della bioeconomia alla realizzazione degli obiettivi dell’UE in materia di clima e di energia

3.1.

La transizione verso la neutralità in termini di emissioni di carbonio costituisce una sfida enorme e richiede una considerevole riduzione delle emissioni, nonché un aumento dello stoccaggio di carbonio. L’uso sostenibile delle risorse naturali a base biologica è un elemento chiave in questo senso.

3.2.

La bioeconomia contribuisce alla mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso diversi meccanismi: tramite la cattura del CO2 presente nell’atmosfera sotto forma di biomassa mediante fotosintesi, attraverso lo stoccaggio del carbonio in bioprodotti e con la sostituzione delle materie prime e dei prodotti fossili con quelli biologici.

3.2.1.

L’assorbimento efficace di CO2 richiede una crescita sostenibile della biomassa. La gestione attiva e sostenibile delle foreste e l’utilizzo del legname costituiscono elementi fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi sul clima (come già sottolineato nel parere NAT/655 (4) sull’impatto della politica del clima e dell’energia e nel parere NAT/696 (5) sulla condivisione degli sforzi e il settore LULUCF). Un m3 di legname cattura circa 1 000 kg di CO2. Poiché solo la biomassa in crescita ha la capacità di assorbire il CO2, è fondamentale non fissare limiti all’uso delle foreste, purché il ritmo di raccolta non superi quello di reimpianto e crescita dei prodotti forestali e si seguano pratiche di gestione forestale sostenibili.

3.2.2.

Esistono diversi tipi di bioprodotti e nuovi prodotti sono in fase di sviluppo. Tali prodotti sono in grado di stoccare il carbonio, sottraendolo così all’atmosfera. I prodotti di legno duraturi quali edifici e mobili di alta qualità costituiscono lo strumento più efficace per lo stoccaggio del carbonio e neanche i bioprodotti a vita più breve rilasceranno il loro contenuto di carbonio fintantoché vengono riciclati. Inoltre, al termine del loro ciclo di vita, i bioprodotti possono essere utilizzati come fonte di bioenergia e, quindi, sostituire fonti di energia fossili.

3.3.

La bioenergia contribuisce altresì all’obiettivo dell’UE riguardante l’efficienza energetica. Il teleriscaldamento nei centri abitati e la produzione industriale sostenibile combinata di calore e di elettricità (CHP) rappresentano un buon esempio. Gli edifici consumano una quantità considerevole di energia e quindi la loro efficienza energetica, unitamente alle fonti energetiche utilizzate, è molto importante.

3.4.

Al settore dei trasporti spetta un ruolo decisivo nel conseguimento degli obiettivi relativi al clima. Date le diverse esigenze e caratteristiche dei vari modi di trasporto (come indicato in vari pareri del CESE, come il parere TEN/609 (6) sulla decarbonizzazione dei trasporti), è pertanto necessario adottare tutti i tipi di misure che contribuiscono a ridurre le emissioni di gas a effetto serra.

3.4.1.

L’elettrificazione dei trasporti sembra essere una tendenza in crescita. Per avere un impatto positivo sul clima, l’elettricità deve essere prodotta utilizzando fonti energetiche che comportino basse emissioni di gas a effetto serra, compreso il ricorso alle fonti bioenergetiche sostenibili.

3.4.2.

I combustibili fossili nei trasporti sono in parte sostituiti dai biocarburanti sostenibili. Nonostante la crescente elettrificazione delle autovetture, l’aviazione, i trasporti marittimi, nonché il trasporto su strada con mezzi pesanti e le macchine mobili non stradali continuano a dipendere in larga misura dai carburanti fossili. In tale contesto, i biocarburanti avanzati sono particolarmente promettenti.

3.5.

Oltre ai vantaggi per il clima, l’utilizzo della bioenergia contribuisce a migliorare la disponibilità di energia e la sicurezza dell’approvvigionamento energetico. Pertanto, se gestita correttamente, la bioenergia svolgerà un ruolo significativo nel raggiungimento degli obiettivi di fondo definiti nella politica energetica europea.

4.   Contributo della bioeconomia al conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS)

4.1.

Le sfide degli OSS ci spingono a prendere in esame il ruolo della bioeconomia, non solo in un’ottica legata al clima e all’energia, ma da un punto di vista economico, sociale e ambientale generale, tenendo anche conto di una prospettiva globale a lungo termine. Dato il suo ampio orizzonte, la bioeconomia presenta relazioni con quasi tutti i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. Si può tuttavia affermare che essa contribuisce in modo particolare ai seguenti OSS: 1, 2, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14 e 15.

4.2.

La bioeconomia ha il potenziale per generare crescita economica e occupazione, non solo nelle aree urbane, ma anche nelle zone rurali. Essa ha pertanto un ruolo significativo da svolgere nel conseguimento dell’OSS n. 1 (porre fine a ogni forma di povertà).

4.3.

L’OSS n. 2 ambisce di porre fine alla fame. La biomassa è una risorsa limitata e vi è un collegamento tra la produzione di alimenti, mangimi e fibre. È necessario adottare un approccio responsabile in materia di bioeconomia sostenibile al fine di consentire una produzione sufficiente per i vari scopi, fra cui quello della disponibilità di prodotti alimentari è prioritario, e garantire ecosistemi sani. I principi dell’efficienza nell’impiego delle risorse e della circolarità, nonché il passaggio a regimi alimentari che privilegiano alimenti di origine vegetale sono tutti i modi per realizzare questi obiettivi.

4.4.

Una bioeconomia sostenibile contribuisce all’OSS n. 6 (disponibilità e gestione sostenibile delle risorse idriche e servizi igienico-sanitari per tutti), ad esempio attraverso il mantenimento di ecosistemi forestali sani che sono fondamentali per la disponibilità di acqua pulita.

4.5.

L’OSS n. 7 (accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni per tutti) è al centro della bioeconomia. L’utilizzo dei flussi collaterali e dei flussi di rifiuti fornisce energia pulita e riduce la dipendenza dalle risorse energetiche fossili.

4.6.

Nel complesso, la bioeconomia svolge un ruolo fondamentale nel rafforzamento degli obiettivi economici e sociali. Essa apporta un contributo importante al conseguimento dell’OSS n. 8 (crescita economica e lavoro dignitoso per tutti). Inoltre, la bioeconomia dell’UE può aiutare a ridurre in misura considerevole la dipendenza dalle importazioni di materie prime fossili, promuovendo così il valore aggiunto a livello interno e sostenendo le catene di valore locali.

4.7.

L’OSS n. 9 spinge a un incremento significativo della quota dell’occupazione industriale e del PIL, nonché a una riconfigurazione delle industrie che le renda sostenibili, accompagnata da una maggiore efficienza nell’uso delle risorse e da una maggiore applicazione di tecnologie e processi industriali puliti e compatibili con l’ambiente. La bioeconomia è strettamente connessa a tutti questi obiettivi, e l’uso sostenibile della biomassa può rafforzare la leadership industriale dell’UE. Essa offre anche un grande potenziale per favorire la crescita delle PMI e integrarle nelle catene di valore.

4.8.

La bioeconomia può svolgere un ruolo importante nel conseguimento dell’OSS n. 11 (città e insediamenti umani sostenibili). I concetti di città intelligente sotto il profilo climatico (7) e di benessere nelle aree urbane sono coerenti con le soluzioni fornite dalla bioeconomia (ad esempio, costruzioni in legno o trasporti a basse emissioni e teleriscaldamento).

4.9.

La bioeconomia è in buona posizione per contribuire all’OSS n. 12 (consumo e produzione responsabili). Ottimizzando l’uso delle materie prime, applicando la progettazione ecocompatibile e producendo prodotti riciclabili e durevoli, la bioeconomia svolge un ruolo notevole nel passaggio all’economia circolare. Tuttavia, la sensibilizzazione dei consumatori è considerata un importante prerequisito per modelli di consumo informato e responsabile e per promuovere modelli di produzione sostenibili.

4.10.

La bioeconomia può contribuire in modo significativo alla mitigazione dei cambiamenti climatici globali, come richiesto nell’OSS n. 13 (combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze) e come già indicato nel capitolo 3. In aggiunta alle misure interne, l’UE può avere un notevole impatto globale esportando bioprodotti, soluzioni per il clima e competenze.

4.11.

Infine, la bioeconomia ha un impatto sull’OSS n. 14 (preservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine) e sull’OSS n. 15 (uso sostenibile degli ecosistemi terrestri). Pertanto, l’utilizzo responsabile, efficiente e sostenibile delle risorse naturali deve essere al centro della bioeconomia.

5.   Prerequisiti per lo sviluppo della bioeconomia

5.1.

La bioeconomia contribuisce in molti modi alla realizzazione degli obiettivi in materia di clima e di energia e al conseguimento degli OSS, tuttavia, perché ciò avvenga, le condizioni devono essere propizie. Da un lato, gli OSS sostengono e migliorano le condizioni necessarie ad aiutare la bioeconomia a evolversi e, dall’altro lato, alcuni OSS impongono determinati requisiti che la bioeconomia deve soddisfare.

5.2.

La strategia dell’UE per la bioeconomia deve essere adattata ai nuovi mercati per fornire, in linea con la sostenibilità economica, ambientale e sociale, le condizioni più favorevoli alla bioeconomia europea, che si sta evolvendo ed espandendo rapidamente.

5.3.

In primo luogo, i responsabili politici devono promuovere la produzione e la mobilizzazione sostenibili di biomassa nell’UE, e la politica di sviluppo regionale dell’UE dovrebbe fornire un sostegno sufficiente a consentire lo sviluppo delle imprese rurali. I responsabili politici devono altresì garantire un quadro stabile, affidabile e coerente per gli investimenti nella bioeconomia in ogni anello della catena di valore.

5.4.

Essi dovrebbero adottare inoltre un quadro normativo coerente per quanto riguarda gli aspetti tecnici e di sicurezza, come anche gli aiuti di Stato, al fine di garantire condizioni di parità per i bioprodotti. Anche il settore pubblico, tramite gli appalti pubblici, svolge un ruolo importante nell’ambito della domanda di questo tipo di prodotti. Iniziative quali la «Settimana europea della bioeconomia» potrebbero contribuire a stimolare la penetrazione nel mercato e a incentivare la crescita di diversi progetti.

5.5.

La ricerca e l’innovazione sono essenziali per lo sviluppo di una bioeconomia resistente alla prova del tempo, la quale potrebbe costituire un vantaggio competitivo per l’UE. È un aspetto che dovrebbe essere considerato alla luce dell’enorme potenziale offerto dai nuovi tipi di bioprodotti, dai prodotti alimentari tradizionali e i prodotti in fibre a nuove tipologie di materiali da costruzione e di imballaggio, ai tessili, alle sostanze chimiche e alle plastiche di origine biologica. Lo stesso vale per quanto riguarda il potenziale delle specie vegetali risultanti da attività di selezione e di diverse sostanze di fungere da materie prime per i bioprodotti (ad esempio lignocellulosa, olio vegetale, amido, zucchero, proteine).

5.6.

A tal fine, si dovrebbero portare avanti gli sforzi di innovazione promossi dalla strategia dell’UE per la bioeconomia, e in particolare l’impresa comune Bioindustrie (8). Anche il Bioeconomy Knowledge Centre (Centro di conoscenze sulla bioeconomia) (9) dovrebbe svolgere un ruolo importante nell’individuazione di soluzioni su come utilizzare le conoscenze per favorire la crescita della bioeconomia. Le iniziative nel campo della ricerca e dell’innovazione dovrebbero inoltre essere rese più allettanti per le imprese.

5.7.

Il ruolo dell’istruzione, dei servizi di consulenza, del trasferimento di conoscenze e della formazione è decisivo al fine di garantire che lavoratori e imprenditori dispongano delle informazioni e delle competenze necessarie, con il risultato che la sostenibilità delle imprese attuali potrebbe essere accresciuta e si potrebbero sfruttare nuove opportunità nella bioeconomia.

5.8.

Al tempo stesso, i cittadini devono essere ben informati sulla bioeconomia e devono essere resi più consapevoli delle loro responsabilità, in modo da poter essere consumatori attivi e capaci di prendere decisioni di consumo sostenibili, tenendo conto dei diversi livelli di propensione all’adattamento e al cambiamento secondo le fasce d’età. A tal fine, dovrebbero essere organizzate campagne di informazione volte a rafforzare la fiducia dei consumatori nella bioeconomia e nei bioprodotti.

5.9.

L’accesso alle materie prime costituisce uno dei prerequisiti fondamentali per la bioeconomia. È pertanto necessario un contesto imprenditoriale adeguato per l’agricoltura e la silvicoltura per promuovere la disponibilità e la mobilizzazione di biomassa. La gestione sostenibile delle foreste, delle risorse terrestri e marine, come richiesto negli obiettivi n. 14 e n. 15, contribuisce in misura determinante alla sicurezza dell’approvvigionamento di materie prime. In tale contesto, nell’UE dovrebbe essere riconosciuto e promosso il quadro esistente legislativo e non legislativo per le materie prime sostenibili e rinnovabili. Il crescente utilizzo dei flussi e dei residui laterali come materia prima per nuovi usi contribuisce altresì a garantire la disponibilità di biomassa. In caso di strutture su piccola scala, le cooperative o le organizzazioni di produttori possono svolgere un ruolo importante.

5.10.

Un altro prerequisito per la bioeconomia è dato dall’esistenza di un’infrastruttura fisica idonea, e a tal fine sono necessari finanziamenti adeguati per l’energia, i trasporti e le infrastrutture digitali. Per consentire l’accesso alle materie prime e la distribuzione di prodotti ai mercati è essenziale disporre di sistemi di trasporto efficaci.

5.11.

In relazione ai mercati globali, la bioeconomia è strettamente connessa all’obiettivo n. 17, volto a rafforzare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile. Questo obiettivo richiede la promozione di un sistema multilaterale di scambi commerciali universale, regolamentato, aperto, non discriminatorio ed equo sotto il controllo dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Ciò è importante per gli scambi commerciali, sia dei prodotti della bioeconomia agricola sia per quelli della bioeconomia industriale. Nel frattempo, per promuovere lo sviluppo regionale, dovrebbe essere rafforzata la cooperazione lungo le catene di valore regionali.

5.12.

Al fine di stimolare lo sviluppo della bioeconomia in maniera neutrale, l’UE dovrebbe adoperarsi per creare un sistema di tariffazione globale per le emissioni di carbonio che coinvolga tutti gli attori del mercato e crei condizioni di parità.

5.13.

Coinvolgere la società civile nelle strutture delle iniziative e dei processi decisionali legati alla bioeconomia è di fondamentale importanza per rafforzare la cooperazione tra i diversi attori all’interno della società e per accrescere la consapevolezza pubblica in merito alla bioeconomia sostenibile.

5.14.

Poiché il passaggio a un’economia circolare e a basse emissioni di carbonio costituisce una sfida enorme e implica profondi cambiamenti strutturali per i posti di lavoro interessati, è importante garantire che la transizione avvenga in modo equo.

5.15.

Una bioeconomia sostenibile può avere successo solo se si adotta un approccio intersettoriale. Occorrono pertanto coerenza e coordinamento tra le diverse politiche e i vari obiettivi dell’UE, soprattutto per quanto concerne il clima, l’ambiente, gli alimenti, l’agricoltura, la silvicoltura, l’industria, l’energia, l’economia circolare e le attività di ricerca e innovazione. A tal fine, si dovrebbe istituire un gruppo multilaterale di alto livello sulla bioeconomia sostenibile sotto l’egida del presidente della Commissione.

5.16.

I progressi nel conseguimento degli OSS vengono misurati e monitorati mediante 232 indicatori, che includono indicatori relativi al clima e all’energia, ma non indicatori specifici per la bioeconomia. La Commissione dovrebbe pertanto sviluppare gli indicatori più pertinenti al fine di ottenere un quadro realistico e informativo dello sviluppo della bioeconomia dell’UE.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Cfr. il quadro per il clima e l’energia 2030, all’indirizzo https://ec.europa.eu/clima/policies/strategies/2030_it.

(2)  Cfr. l’articolo 4.1 dell’Accordo di Parigi, all’indirizzo https://unfccc.int/sites/default/files/paris_agreement_english_.pdf (in inglese).

(3)  Cfr. la dichiarazione della Commissione europea del 19 giugno 2018, all’indirizzo http://europa.eu/rapid/press-release_STATEMENT-18-3997_en.htm (in inglese).

(4)  Cfr. il parere esplorativo NAT/655 sul tema Impatto della politica del clima e dell'energia dell'UE sui settori agricolo e forestale, GU C 291 del 4.9.2015, pag. 1.

(5)  Cfr. il parere NAT/696 sul tema Ripartizione degli sforzi in relazione al quadro 2030 e uso del suolo, cambiamenti di uso del suolo e silvicoltura (LULUCF), GU C 75 del 10.3.2017, pag. 103.

(6)  Cfr. il parere TEN/609 sul tema Decarbonizzazione dei trasporti, GU C 173 del 31.5.2017, pag. 55.

(7)  http://www.climatesmartcities.org/.

(8)  https://www.bbi-europe.eu.

(9)  https://biobs.jrc.ec.europa.eu.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

537a sessione plenaria del CESE, 19.9.2018 – 20.9.2018

6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — L’intelligenza artificiale per l’Europa»

[COM(2018) 237 final]

(2018/C 440/08)

Relatore:

Giuseppe GUERINI

Correlatore:

Gonçalo LOBO XAVIER

Consultazione

Commissione europea, 12.7.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

199/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che l’intelligenza artificiale («IA») e i processi di automazione abbiano un enorme potenziale per migliorare la società europea in termini di innovazione e trasformazione positiva, ma che essi comportino delle sfide e dei rischi e siano fonte di preoccupazioni. È pertanto essenziale che le istituzioni europee si dedichino a sviluppare e disciplinare l’IA rapidamente e senza tralasciare alcun aspetto.

1.2.

Un approccio avanzato all’IA in Europa deve coprire diversi settori, tra cui i) gli investimenti pubblici e privati in R&S e in infrastrutture digitali avanzate, ii) l’applicazione di nuove norme legislative o l’adattamento di quelle esistenti, iii) lo sviluppo di una conoscenza e di una sensibilizzazione adeguate tra i cittadini e i consumatori, e iv) programmi di formazione ad hoc per i lavoratori.

1.3.

In particolare le sfide concernenti la responsabilità che sorgono nel contesto delle tecnologie digitali emergenti dovrebbero essere individuate e gestite a livello internazionale, dell’UE e degli Stati membri; e il CESE è pronto a collaborare strettamente con le istituzioni europee nell’analisi e nella valutazione di tutti gli atti legislativi dell’UE in materia di responsabilità, sicurezza dei prodotti e responsabilità civile che sia opportuno modificare di conseguenza.

1.4.

Il CESE concorda con l’obiettivo della comunicazione della Commissione, che è precisamente quello di rafforzare la capacità industriale e tecnologica dell’UE al fine di diffondere l’IA in tutto il mercato interno. L’entità dello sforzo necessario per competere con gli altri attori globali è tale da rendere fortemente necessario il coordinamento tra tutti gli strumenti e i finanziamenti disponibili ai livelli europeo e nazionale.

Ciò detto, i valori e i principi dell’UE non dovrebbero essere sacrificati sull’altare della competitività globale.

1.5.

Riguardo all’obiettivo della Commissione di portare l’IA a tutti i potenziali utilizzatori, con particolare attenzione per le imprese piccole e medie, il CESE pensa che, per affrontare la sfida della competitività globale, sia necessario che l’IA sia accessibile al più ampio numero di soggetti possibile. Per tale ragione, è cruciale mettere l’IA a disposizione di tutte le diverse forme di imprese attive nell’intero mercato unico europeo, comprese le PMI, le imprese agricole, le cooperative, le imprese sociali, le imprese individuali e le associazioni dei consumatori.

1.6.

La Commissione europea e gli Stati membri dovrebbero collaborare per mettere a punto orientamenti sull’etica dell’intelligenza artificiale e dovrebbero implicare in questo sforzo tutte le parti interessate pertinenti, pubbliche e private. Tali orientamenti dovranno includere i principi di trasparenza nell’utilizzo dei sistemi di IA per assumere lavoratori e valutarne o controllarne le prestazioni. In aggiunta ai principi etici, il CESE suggerisce di elaborare un quadro giuridico chiaro, armonizzato e obbligatorio a livello europeo per disciplinare nel modo dovuto l’intelligenza artificiale ed aggiornare le norme esistenti interessate dall’IA, con particolare riguardo a quelle relative alla responsabilità del produttore e alla protezione dei consumatori. Il CESE manifesta la propria volontà di collaborare strettamente con le istituzioni dell’UE nell’analisi e nella valutazione della pertinente legislazione dell’UE, che richiederà, in futuro, modifiche dovute allo sviluppo dell’IA.

1.6.1.

La Commissione europea dovrà anche effettuare un’attenta valutazione degli effetti dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro. Tale analisi deve tenere conto sia della possibile sostituzione di alcuni lavoratori da parte di dispositivi elettronici o robot, sia del fatto che alcune funzioni, anche se non saranno completamente automatizzate, risulteranno profondamente modificate dalle nuove tecnologie.

1.7.

Per questo motivo il CESE raccomanda che l’affermazione della volontà che «nessuno resti escluso» non rimanga allo stadio di proposta o di esortazione, ma si traduca in fatti concreti.

1.8.

È importante sottolineare il ruolo dei programmi di formazione nella protezione dei lavoratori europei operanti in un contesto che il progressivo emergere dell’IA sta cambiando profondamente. I cittadini europei dovrebbero avere accesso a informazioni adeguate che consentano loro di essere utilizzatori consapevoli e responsabili dei dispositivi e delle applicazioni resi disponibili dal rapido sviluppo tecnologico.

1.9.

Nei casi in cui nuove misure consentano alle amministrazioni di servirsi della tecnologia per adottare decisioni organizzative e operare scelte in modo più rapido, sarà necessario affrontare il problema dell’effettiva responsabilità legale di queste decisioni entro un quadro giuridico chiaro che garantisca la piena rendicontabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini.

1.10.

Un’attenzione particolare va riservata al ruolo delle organizzazioni della società civile e dell’economia sociale nell’espandere la partecipazione attiva delle persone ai processi economici e sociali, che, grazie all’intelligenza artificiale, consentiranno di aumentare la partecipazione nella nostra società. Le organizzazioni della società civile e le imprese sociali possono svolgere un ruolo importante nel promuovere la comprensione e l’accettazione delle tecnologie da parte delle persone, in particolare attraverso meccanismi di collaborazione che consentano il loro coinvolgimento nell’attuale trasformazione digitale.

1.11.

L’attuale rivoluzione tecnologica non può e non deve essere portata avanti senza il coinvolgimento significativo e attivo dei lavoratori, dei consumatori e delle organizzazioni sociali, e gli sviluppi tecnologici in corso devono essere indirizzati in un senso tale da assicurare una maggiore e più responsabile partecipazione di cittadini pienamente informati. Per questo motivo il CESE raccomanda che, al momento di istituire l’Alleanza europea per l’IA, la Commissione europea tenga conto della necessità di creare una piattaforma inclusiva, multiprofessionale e rappresentativa per le diverse parti interessate che rappresentano i cittadini europei, compresi i rappresentanti dei lavoratori che dovranno interagire con macchine intelligenti (1).

2.   Osservazioni generali

2.1.

I dispositivi digitali e le macchine intelligenti di grandi dimensioni espandono quotidianamente la capacità degli algoritmi di lavorare su enormi quantità di dati, e tale capacità aumenterà probabilmente ulteriormente in futuro grazie alle cosiddette «reti neuronali» (già utilizzate, per esempio, dagli smartphone per il riconoscimento visivo di oggetti, volti e immagini).

2.2.

Questi sviluppi stanno trasformando il tradizionale modo di «apprendimento» che le macchine dell’IA hanno utilizzato finora, in quanto esse non si limitano più a «imparare» soltanto estraendo regole dai dati, ma stanno anche sviluppando una capacità di apprendimento flessibile ed adattivo. Tale processo aumenterà la capacità dell’IA di apprendere ed eseguire azioni nel mondo reale.

2.3.

Di fronte ai rapidi mutamenti tecnologici in corso, è ora essenziale che la Commissione europea e gli Stati membri collaborino per condurre un esame approfondito delle sfide emergenti poste dal rapido sviluppo dell’IA e coinvolgano tutte le parti interessate pubbliche e private pertinenti in questo processo senza compromettere le opportunità di progresso e di sviluppo tecnologico.

2.4.

La comunicazione della Commissione COM(2018) 237 si propone di rafforzare la capacità tecnologica e industriale dell’UE e d’incoraggiare la diffusione dell’IA in tutta l’economia europea, sia nel settore privato che nella pubblica amministrazione. Come già sottolineato nel parere di iniziativa (2), il CESE supporta l’iniziativa della Commissione, che nella sua comunicazione ha recepito tutta una serie di suggerimenti proposti a suo tempo dal CESE stesso, ma la esorta ad agire con prontezza e con decisione.

2.5.

Adottare un approccio europeo efficace al tema dell’IA significa incoraggiare importanti investimenti in ricerca e innovazione, compresi quelli in infrastrutture digitali, che sono necessari per prepararsi alle grandi sfide socioeconomiche che il progresso delle nuove tecnologie porrà nei prossimi anni per la società e per i mercati europei.

2.6.

La Commissione europea e gli Stati membri dovrebbero collaborare per mettere a punto orientamenti sull’etica dell’intelligenza artificiale e coinvolgere nel processo tutte le parti interessate pertinenti, pubbliche e private.

2.7.

Allo stesso tempo, è necessario approvare un quadro giuridico armonizzato a livello europeo, in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell’UE e i principi sanciti nei Trattati dell’UE. Il nuovo quadro normativo dovrebbe contenere regole precise che tengano conto dei rischi che comportano le macchine intelligenti, quali la mancanza di trasparenza del mercato, la mancanza di concorrenza, la discriminazione, le pratiche commerciali sleali, le minacce alla cibersicurezza e alla sicurezza dei prodotti.

In particolare, le tutele normative dovrebbero essere stringenti quando i dati che orientano i sistemi d’intelligenza artificiale sono estratti automaticamente durante l’uso di dispositivi elettronici e di computer.

2.8.

Il CESE osserva che il documento di lavoro dei servizi della Commissione SWD (2018) 137 final, allegato alla comunicazione della Commissione, analizza debitamente le implicazioni dell’IA per la legislazione dell’UE e procede a una rilevazione delle sfide legate alla responsabilità che sorgono nel contesto delle tecnologie digitali emergenti.

2.9.

Inoltre, saranno necessari piani d’azione ad ampio raggio per i) sostenere la modernizzazione dei sistemi di istruzione e formazione coltivando le nuove professionalità richieste dal futuro assetto del mercato del lavoro e ii) garantire un alto livello di protezione per i cittadini e i lavoratori in relazione alle sfide attese (3).

2.10.

Il CESE incoraggia la Commissione a procedere in tempi brevi con ulteriori interventi sia sul piano della regolamentazione che su quello dell’incentivo agli investimenti, poiché la velocità del cambiamento in corso impone tempi di adattamento rapidi.

3.   La proposta della Commissione: un supporto europeo all’intelligenza artificiale e un investimento nell’IA

3.1.

Nella sua comunicazione, la Commissione annuncia che sosterrà la diffusione dell’IA per quanto riguarda sia la ricerca di base che le applicazioni industriali. A questo proposito, il CESE sottolinea l’importanza di coinvolgere tutti i tipi di attori in tale processo, incluse le PMI, le imprese di servizi, le imprese sociali, gli agricoltori, le cooperative, le associazioni dei consumatori e le associazioni rappresentative degli anziani.

3.2.

Riguardo all’obiettivo della Commissione di «portare l’IA a tutti i potenziali utilizzatori, con particolare attenzione per le imprese piccole e medie», il CESE pensa che, per affrontare la sfida della competitività globale, sia necessario che l’IA sia accessibile al più ampio numero di soggetti possibile. Per raggiungere tale obiettivo, oltre a quanto già previsto dalla Commissione per lo sviluppo di una «piattaforma di Intelligenza Artificiale a richiesta», è importante anche istituire adeguate forme di coinvolgimento e consultazione dei diversi portatori di interesse, incluse le PMI, le reti dell’economia sociale e le organizzazioni della società civile (queste ultime hanno un fondamentale ruolo da svolgere nel coinvolgere in modo consapevole e attivo i cittadini europei).

3.3.

La Commissione ha annunciato che sosterrà l’innovazione basata sull’intelligenza artificiale mediante un progetto pilota varato dal consiglio europeo per l’innovazione, che prevede uno stanziamento di 2,7 miliardi di euro per il 2018-2020.

3.4.

Il CESE ritiene che tale iniziativa possa essere utile per lo sviluppo dell’IA, ma sottolinea allo stesso tempo come il finanziamento della ricerca dovrebbe passare rapidamente dalla fase della sperimentazione a quella strutturale. È inoltre importante che la Commissione incoraggi i diversi centri di ricerca ubicati attualmente in tutti gli Stati membri al fine di sviluppare una rete collaborativa di livello europeo che si occupi specificamente di intelligenza artificiale.

3.5.

Il CESE prende atto che la Commissione intende incrementare a circa 1,5 miliardi di EUR entro la fine del 2020 gli investimenti riguardanti l’IA nell’ambito del programma Orizzonte 2020. Questo approccio, se adottato con rapidità nell’ambito dei partenariati pubblico-privati esistenti, potrebbe generare ulteriori investimenti per 2,5 miliardi entro due anni. Lo stesso approccio deve essere adottato anche dal futuro programma quadro Orizzonte Europa.

3.6.

Da un altro punto di vista, è positivo che la Commissione europea e il Fondo europeo per gli investimenti strategici, cui dovrebbe spettare un ruolo centrale d’indirizzo nel sostenere lo sviluppo dell’IA nell’UE, abbiano lanciato il programma Venture EU, un fondo di venture capital dotato di 2,1 miliardi di euro e destinato ad incrementare gli investimenti in imprese innovative in tutta Europa.

3.7.

Tuttavia, l’entità dello sforzo necessario per competere con gli altri attori globali è tale da rendere indispensabili il coordinamento e le sinergie tra tutti gli strumenti e i finanziamenti disponibili ai livelli europeo e nazionale. È infatti evidente che, per competere con gli investimenti di Cina e Stati Uniti nel settore dell’IA, occorre unire le forze di tutti i soggetti pubblici e privati attivi a livello europeo, in modo da assicurarsi che l’Unione europea svolga un ruolo di primo piano su scala globale.

3.8.

Al fine di lavorare in modo fruttuoso per garantire un ruolo competitivo dell’UE in materia di IA, sarà importante anche effettuare adeguati investimenti nelle attività di software e hardware informatici appropriate e nelle adeguate infrastrutture digitali che siano in grado di garantire un ruolo credibile all’UE.

3.9.

Gli investimenti nell’IA dovrebbero tener conto del fatto che le imprese europee sono particolarmente forti nei settori dell’automazione e della robotica. Tali settori, che formano parte dell’IA in senso lato, potrebbero pertanto dimostrarsi realmente importanti nel garantire un ruolo globale significativo all’UE per quanto riguarda l’attuale sviluppo tecnologico e meritano quindi un’attenzione specifica.

4.   L’intelligenza artificiale e il suo impatto sulle persone e sui lavoratori

4.1.

È innegabile che il ritmo di sviluppo dell’IA sia estremamente rapido. Per questo la valutazione di impatto riguardante ogni intervento di regolamentazione sul tema dell’intelligenza artificiale da parte delle istituzioni europee deve adottare un approccio multidisciplinare, che integri considerazioni non solo di ordine amministrativo, legale ed economico, ma anche considerazioni antropologiche, psicologiche, sociologiche e tecnologiche.

4.2.

Per sostenere queste innovazioni, ma soprattutto per orientarle in una direzione che garantisca che al centro rimanga sempre l’essere umano, è importante che l’Unione europea agisca per raggiungere un alto grado di competitività tecnologica, senza trascurare considerazioni etiche, sociali e umane irrinunciabili.

4.3.

Il CESE ritiene quindi che sia cruciale: i) tutelare la privacy delle persone e il garantire un trattamento responsabile dei loro dati personali tramite adeguati strumenti normativi, quali l’attuazione efficace del nuovo GDPR, che, se necessario, dovrà essere costantemente aggiornato per mantenere il passo del rapido sviluppo dell’IA, ii) valutare e, se necessario, adattare ai nuovi scenari indotti dall’IA parti importanti della legislazione dell’UE in vigore, e iii) sviluppare le competenze e le abilità di cui i cittadini, le amministrazioni e le imprese europee hanno bisogno per beneficiare in modo efficace dei vantaggi offerti dall’intelligenza artificiale.

4.4.

Come base di partenza dell’analisi, val la pena osservare che l’IA si basa sull’uso e sul trattamento di grandi quantità di dati, che sono alla base di ogni applicazione basata sulle nuove tecnologie. Stando così le cose, la sfida principale per il regolatore europeo consiste nel garantire un accesso trasparente e regolamentato ai dati degli utenti finali.

4.5.

Maggiore è la qualità dei dati trattati, migliore sarà l’accuratezza e la performance dei sistemi di IA. Tuttavia, non si deve dimenticare che i dati riguardanti le persone devono essere acquisiti in modo legale ed essere utilizzati con modalità che siano conosciute dai diretti interessati, in modo da assicurarsi che i dati personali siano usati per gli scopi prestabiliti e trasparenti per i quali l’utente abbia precedentemente dato un consenso adeguato e informato.

4.6.

Val la pena osservare che diverse parti importanti della legislazione europea (ad esempio quelle riguardanti la pubblicità online, le pratiche commerciali sleali, la sicurezza dei prodotti e la responsabilità in materia di prodotti, i diritti dei consumatori, clausole contrattuali abusive, vendite e garanzie, assicurazione e l’indicazione dei prezzi) possono dover essere modificate e debitamente adattate ai nuovi scenari innescati da un più ampio e perfezionato utilizzo dell’intelligenza artificiale al fine di tutelare i consumatori finali.

4.7.

La questione decisiva della sicurezza dei prodotti e della responsabilità in materia di prodotti è stata debitamente presa in considerazione dalla Commissione nel suo documento di lavoro (SWD (2018) 137) final mediante analisi di studi su casi e la predisposizione di un elenco di atti legislativi dell’UE che richiedono un’analisi e una valutazione ulteriori. Il CESE incoraggia con convinzione la Commissione a proseguire questo lavoro ed è pronto a dare il suo contributo in tal senso.

4.8.

È importante sottolineare il ruolo della formazione culturale, scolastica e accademica, da un lato, e di un’adeguata informazione generale all’opinione pubblica, dall’altro, al fine di tutelare i diritti dei cittadini europei nei confronti dell’avanzata dell’IA. In particolare, è importante garantire la trasparenza e la correttezza nella gestione degli algoritmi dell’IA e delle basi di dati su cui operano.

4.9.

È quindi cruciale che i cittadini europei ricevano un’adeguata formazione e informazioni semplici e comprensibili che permettano loro di essere utilizzatori consapevoli e responsabili dei dispositivi e delle applicazioni resi disponibili dal rapido sviluppo tecnologico che è in corso ed è sempre più diffuso ad ogni livello.

4.10.

Alla luce di tutte queste esigenze, l’Unione europea e gli Stati membri devono fornire soluzioni chiare ed efficaci, segnatamente promuovendo un sistema scolastico al passo coi tempi e diffondendo sempre più la formazione permanente nel mercato del lavoro e nella società civile.

4.11.

La Commissione europea dovrà effettuare un’attenta valutazione degli effetti dell’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro. Questa rappresenta una delle maggiori preoccupazioni per molti lavoratori europei già avanti nella loro carriera ma ancora lontani dall’età pensionabile, i quali guardano all’evoluzione in corso con diffidenza e timore. L’analisi deve tenere conto sia della possibile sostituzione di alcuni lavoratori da parte di dispositivi elettronici o robot, sia del fatto che alcune funzioni, anche se non saranno completamente automatizzate, risulteranno profondamente modificate da nuove tecnologie. Occorre quindi concentrare la valutazione e l’analisi non solo sull’inevitabile e attesa modifica delle linee di produzione, ma anche sul ripensamento dei processi organizzativi e degli obiettivi aziendali a seguito di un adeguato dialogo sociale con i lavoratori.

4.12.

In alcuni contesti, come accade ed è accaduto per molte altre tecnologie, sarà consigliabile testare l’IA per gradi e per approssimazioni successive prima di arrivare ad un utilizzo a pieno regime, in modo che le persone interessate si sentano sicure nell’usare le nuove tecnologie anche grazie a opportuni percorsi formativi, correggendo eventuali errori di adattamento in corso di processo (4).

4.13.

L’introduzione delle nuove tecnologie nelle imprese esige il dialogo sociale fra le varie parti coinvolte. In proposito, le organizzazioni dei lavoratori e i sindacati devono essere costantemente informati e consultati.

5.   Intelligenza artificiale, pubblica amministrazione e società civile

5.1.

L’IA è un’innovazione tecnologica e sociale in grado di trasformare radicalmente la società nel suo complesso e di modificare in modo positivo anche il settore pubblico e il rapporto fra i cittadini e la pubblica amministrazione. Le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale riguardano sia il possibile aumento di efficienza dell’organizzazione amministrativa, sia la soddisfazione dei cittadini per i servizi resi dalla pubblica amministrazione e per l’efficace esercizio della funzione pubblica.

5.2.

Per raggiungere questi obiettivi, è fondamentale che anche il personale delle pubbliche amministrazioni sia preparato ad affrontare i cambiamenti e le sfide che saranno il portato dell’IA nella società europea. I datori di lavoro pubblici e i responsabili delle amministrazioni, insieme con gli insegnanti, i formatori e il personale universitario succitati, dovranno essere in grado di comprendere appieno il fenomeno dell’IA e decidere quali nuovi strumenti integrare nei procedimenti amministrativi.

5.3.

L’introduzione dell’IA nei settori pubblico e privato richiede il disegno di processi che favoriscano la comprensione e l’accettazione delle tecnologie da parte degli utenti attraverso meccanismi di collaborazione che permettano al cittadino di contribuire, se possibile attraverso sistemi di governance partecipativa, allo sviluppo delle tecnologie basate sull’IA.

5.4.

Per ottenere risultati importanti in questo senso, potrebbe essere utile lo sviluppo di forme di cooperazione e partnership tra pubblico e privato sempre più affidabili che puntino a cogliere le opportunità derivanti dalle applicazioni tecnologiche, dall’intelligenza artificiale e dalla robotica.

5.5.

La sfida per le pubbliche amministrazioni si presenta particolarmente complessa sul piano legale e della legittimazione, giacché si dovrà raggiungere un adeguato bilanciamento tra interessi pubblici (che implicano l’esercizio di poteri pubblici) e interessi privati (estrinsecazione concreta della libertà del singolo). A questo proposito, per esempio, nell’ambito dell’utilizzo dell’IA da parte della pubblica amministrazione sarà necessario contemperare il principio di trasparenza e pubblicità degli atti amministrativi con la protezione dei dati personali e il diritto alla privacy del singolo all’interno di un quadro normativo chiaro ed esplicito.

5.6.

Nei casi in cui nuovi dispositivi consentano alla pubblica amministrazione di servirsi della tecnologia per adottare decisioni organizzative e compiere scelte più rapidamente, ad esempio per selezionare un contraente in una gara d’appalto, gestire liste di attesa per servizi specifici o assumere personale in un’amministrazione pubblica, sarà necessario affrontare il problema dell’effettiva responsabilità legale di queste decisioni entro un quadro giuridico chiaro, che garantisca una piena rendicontabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini.

5.7.

Alle organizzazioni della società civile e alle imprese sociali spetta un ruolo importante nel favorire la comprensione e l’accettazione delle tecnologie da parte delle persone, in particolare attraverso meccanismi di collaborazione che permettano il coinvolgimento nei processi di trasformazione digitale. A questo proposito è importante la possibilità di creare sistemi di governance partecipativa (per esempio in forma cooperativa) di questi strumenti, a cominciare dalle piattaforme digitali con le quali si stanno già strutturando nuove forme di relazione economica di gestione del lavoro.

5.8.

Le autorità amministrative preposte ai meccanismi di sorveglianza del mercato dovrebbero disporre delle competenze e dei poteri necessari per garantire la concorrenza leale e i diritti dei consumatori, nonché la sicurezza e i diritti dei lavoratori. La responsabilità dell’audit degli algoritmi dovrebbe essere posta in capo a enti pubblici o indipendenti. Al tempo stesso, le imprese dovrebbero introdurre meccanismi efficaci per controllare l’uso dei dati in relazione all’intelligenza artificiale.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Cfr. il parere CESE INT/845, già adottato, sul tema L'intelligenza artificiale: anticipare i suoi effetti sul lavoro per assicurare una transizione equa (parere d'iniziativa), relatrice: Salis-Madinier (Cfr. pagina 1 della presente Gazzetta ufficiale).

(2)  INT/806 del 31 maggio 2017 — L’intelligenza artificiale — Le ricadute dell’intelligenza artificiale sul mercato unico (digitale), sulla produzione, sul consumo, sull’occupazione e sulla società — (GU C 288 del 31.8.2017, pag. 1)

(3)  Il CESE ha adottato il parere SOC/578 — La gestione della transizione in un mondo del lavoro digitalizzato (GU C 367 del 10.10.2018, pag. 15).

(4)  Cfr. il parere d'iniziativa CESE INT/845, già adottato, sul tema L'intelligenza artificiale: anticipare i suoi effetti sul lavoro per assicurare una transizione equa, relatrice: Salis-Madinier (Cfr. pagina 1 della presente Gazzetta ufficiale).


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa alla trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza nel mercato unico digitale, alla responsabilizzazione dei cittadini e alla creazione di una società più sana»

[COM(2018) 233 final]

(2018/C 440/09)

Relatore:

Diego DUTTO

Correlatore:

Thomas KATTNIG

Consultazione

Commissione europea, 18.6.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

193/0/3

1.   Conclusioni

1.1.

Nel processo di cambiamento innescato dalla trasformazione digitale è necessario garantire che al centro dell’assistenza vi siano le persone.

1.2.

I processi di digitalizzazione devono aiutare gli operatori sanitari a dedicare più tempo ai pazienti. Occorre garantire che le professioni sanitarie siano adeguatamente dotate di personale qualificato e in possesso di competenze digitali appropriate.

1.3.

Il passaggio al digitale sta cambiando la natura del lavoro nel settore della sanità e dell’assistenza. Tutti i soggetti coinvolti dovrebbero affrontare tale trasformazione in modo professionale e con spirito di apertura per raggiungere elevati standard di qualità.

1.4.

Occorre rafforzare il dialogo sociale a livello europeo per quanto riguarda gli ospedali e i servizi di assistenza sanitaria e sociale. È necessario prevedere programmi adeguati di formazione e perfezionamento professionale, migliorare le condizioni di lavoro e la qualità dei posti di lavoro e rafforzare la protezione dei dati del personale.

1.5.

Il CESE è consapevole che sono gli Stati membri ad essere responsabili dell’organizzazione e della prestazione dell’assistenza sanitaria e sociale. Nel quadro della direttiva sull’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera (direttiva 2011/24/UE), è prevista l’istituzione di una rete di assistenza sanitaria online (rete eHealth) per far progredire l’interoperabilità delle soluzioni di sanità elettronica (eHealth).

1.6.

Gli strumenti digitali devono fungere da leva per sviluppare nuove forme di organizzazione nei sistemi sanitari e di assistenza. Essi rafforzano il potenziale degli individui, delle comunità locali e delle economie sociali. È necessario riaffermare, grazie ad investimenti pubblici adeguati, i valori della solidarietà e dell’universalità come fondamento di tali sistemi.

1.7.

I processi di digitalizzazione non devono essere travisati e usati come un pacchetto per risparmiare sui bilanci sanitari, né devono condurre a riduzioni del personale o a tagli dei servizi. L’assistenza va considerata come un servizio alla persona e, specialmente nella prospettiva dell’invecchiamento della popolazione, è necessario sviluppare nuovi concetti di assistenza a lungo termine.

1.8.

Il CESE concorda con la visione delineata nella comunicazione, che è quella di promuovere la salute, prevenire e combattere le malattie, aiutare a rispondere alle esigenze non soddisfatte dei pazienti e rendere più facile per i cittadini avere un accesso paritario ad un’assistenza di alta qualità attraverso un uso adeguato delle innovazioni digitali e dell’economia sociale.

1.9.

L’alfabetizzazione sanitaria in ambito sociale e digitale riguarda la capacità di una persona di acquisire, comprendere e utilizzare in modo responsabile le informazioni atte a promuovere il suo benessere e a mantenersi in salute.

1.10.

I cittadini dovrebbero avere il diritto di accesso ai propri dati sanitari e devono essere loro a decidere se e quando condividerli. È essenziale tenere conto del regolamento generale sulla protezione dei dati, che garantisce ai cittadini il controllo sull’utilizzo dei propri dati personali, specialmente i dati sanitari.

1.11.

Il CESE suggerisce che un «diritto alla copia (gratuita)» potrebbe essere una forma attiva di tutela. Ciò riguarda tutti i dati generati dagli utilizzatori nell’interazione con le piattaforme digitali e permette ai cittadini di riutilizzare i propri dati.

1.12.

I dati originali sono l’unico valore utile per gli algoritmi e le piattaforme; essi devono essere considerati come un prodotto originale generato dall’utilizzatore che va tutelato ai sensi delle normative sulla proprietà intellettuale.

1.13.

Il «diritto alla copia (gratuita)» è un aiuto anche ai fini della tutela e della promozione della concorrenza, che oggi viene messa a dura prova dai sistemi impiegati dalle piattaforme digitali per espropriare dati e tracce personali.

1.14.

Il CESE sostiene (1) il processo basato su quattro pilastri per le attività congiunte transfrontaliere sulla trasformazione digitale in materia di sanità e assistenza, che comprende le valutazioni cliniche congiunte, le consultazioni scientifiche congiunte, l’individuazione di nuove tecnologie emergenti e la cooperazione volontaria tra gli Stati membri.

1.15.

Il CESE propone di adottare misure adeguate per esaminare nuovi quadri etici, giuridici e sociali che tengano conto dei rischi associati all’estrazione dei dati.

1.16.

Il CESE raccomanda di promuovere la ricerca e l’innovazione sull’integrazione delle tecnologie digitali al fine di rinnovare i processi sanitari, ad esempio l’intelligenza artificiale, l’Internet degli oggetti e l’interoperabilità. Il CESE sostiene fermamente un accesso sicuro per i cittadini a dati sanitari affidabili a livello transfrontaliero per promuovere la ricerca e la prevenzione delle malattie.

1.17.

Il CESE approva inoltre il sostegno dell’UE alle piccole e medie imprese e alle imprese sociali che sviluppano soluzioni digitali per l’assistenza incentrata sulla persona e per i riscontri da parte dei pazienti.

1.18.

Il CESE sostiene la necessità di riequilibrare l’asimmetria socioeconomica nelle economie trainate dai dati promuovendo lo sviluppo di piattaforme sicure e sostenendo le organizzazioni cooperative senza scopo di lucro per archiviare, gestire e condividere le copie digitali di tutti i dati personali.

2.   Contesto e osservazioni generali

2.1.

Il 25 aprile 2018 la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione sulla trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza nel mercato unico digitale (2), che tratta delle riforme e delle soluzioni innovative per rendere più resilienti, accessibili ed efficaci i sistemi sanitari e assistenziali nell’erogazione di un’assistenza di qualità per i cittadini europei e per migliorare la salute della società nel suo complesso. Se correttamente concepite e attuate in modo efficiente sotto il profilo dei costi, le soluzioni digitali nel campo dell’assistenza e della sanità possono accrescere il benessere di milioni di cittadini e aumentare radicalmente l’efficacia dei servizi sanitari e di assistenza forniti ai pazienti. La digitalizzazione può supportare la continuità dell’assistenza transfrontaliera (direttiva 2011/24/UE), un aspetto importante per le persone che trascorrono un periodo di tempo all’estero per lavoro o per svago. La digitalizzazione può inoltre contribuire a promuovere la salute, anche quella legata alla professione nel luogo di lavoro, e a prevenire le malattie. Può fornire sostegno alla riforma dei sistemi sanitari e alla loro transizione verso nuovi modelli di assistenza, basati sulle esigenze delle persone, e consente il passaggio da sistemi incentrati sugli ospedali a strutture integrate e con un legame più stretto con le comunità. Durante il processo di cambiamento, occorre garantire che al centro dell’assistenza vi siano i cittadini. I processi di digitalizzazione dovrebbero aiutare gli operatori sanitari a dedicare più tempo ai pazienti. Occorre pertanto garantire che le professioni sanitarie siano adeguatamente dotate di personale qualificato e in possesso di competenze digitali appropriate.

2.2.

La transizione verso la sanità e l’assistenza digitali sta trasformando la natura del lavoro in tali settori. La trasformazione può realizzarsi con un elevato standard di qualità solo se tutti coloro che sono coinvolti l’affrontano in modo professionale e senza pregiudizi. Il dialogo sociale a livello europeo nel settore sanitario e dei servizi sociali deve pertanto essere ulteriormente rafforzato, in modo da elaborare programmi adeguati di formazione e di perfezionamento professionale e migliorare le condizioni di lavoro, in particolare l’equilibrio tra lavoro e vita privata, la protezione dei dati del personale e la qualità dei posti di lavoro.

2.3.

La Commissione europea fa notare che i sistemi sanitari e di protezione sociale europei devono affrontare importanti sfide, quali l’invecchiamento della popolazione, la multimorbilità, i vaccini, l’insufficiente disponibilità di operatori sanitari, a causa delle difficili condizioni di lavoro, e il crescente problema delle malattie non trasmissibili prevenibili, provocate da fattori di rischio quali il tabacco, l’alcol e l’obesità, e di altre malattie, comprese quelle neurodegenerative e le malattie rare. Un’ulteriore e crescente minaccia è rappresentata dalle malattie infettive dovute a un’accresciuta resistenza agli antibiotici e ad agenti patogeni nuovi o riemergenti. I costi pubblici collegati all’assistenza sanitaria a lungo termine sono in aumento negli Stati membri dell’UE e si pensa che questa tendenza sia destinata a proseguire. È particolarmente importante che i relativi costi vadano a coprire il miglioramento della qualità del lavoro degli operatori sanitari, evitando di promuovere un approccio che favorisca retribuzioni basse e condizioni di lavoro gravose. L’invecchiamento della popolazione rende necessario sviluppare nuovi concetti di assistenza a lungo termine.

2.4.

Anche quando sono disponibili, i dati sulla salute sono spesso legati a tecnologie che non sono interoperabili, fatto che ostacola la loro ampia utilizzazione.

2.5.

È per questo che i sistemi sanitari non dispongono di informazioni chiave per ottimizzare i propri servizi ed è anche questo il motivo per cui è difficile per i prestatori di servizi generare economie di scala e offrire così soluzioni sanitarie e assistenziali digitali efficienti, nonché sostenere il ricorso transfrontaliero ai servizi sanitari. I risultati quantificati sulla base di dati sanitari devono generare la comprensione dello stato di salute dei singoli individui ed essere accessibili ai medici generici, ai medici specialisti e ai ricercatori in modo tale che ne conseguano azioni volte a costruire raggruppamenti di dati (cluster) e modelli predittivi e a utilizzare le buone pratiche.

2.6.

Le conclusioni della relazione Stato di salute nell’UE: relazione di accompagnamento 2017 mostrano che l’uso dei dati sanitari incentrati sul paziente non è ancora sufficientemente sviluppato nell’UE.

2.7.

Sono gli Stati membri ad essere responsabili dell’organizzazione e della prestazione dell’assistenza sanitaria e sociale. In alcuni Stati membri, in particolare quelli con sistemi federali (regionali), gli enti regionali sono responsabili del finanziamento e della prestazione dell’assistenza sanitaria.

2.8.

Nel quadro della direttiva concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera (direttiva 2011/24/UE), è stata istituita una rete di assistenza sanitaria online (rete eHealth) per far progredire l’interoperabilità delle soluzioni di sanità elettronica (eHealth).

2.9.

Sono anche state create delle strutture di cooperazione, ad esempio il partenariato europeo per l’innovazione sull’invecchiamento attivo e in buona salute, il programma comune a sostegno di una vita attiva e autonoma (Active and Assisted Living) e partenariati pubblico-privati come l’impresa comune per l’iniziativa in materia di medicinali innovativi e quella intitolata Componenti e sistemi elettronici per la leadership europea. Anche le strategie di specializzazione intelligente regionali e nazionali svolgono un ruolo centrale nello sviluppo di ecosistemi regionali più forti nell’ambito dell’assistenza sanitaria. Dal 2004, due piani di azione relativi all’eHealth hanno fornito un contesto per l’azione politica degli Stati membri e della Commissione, e il gruppo di parti interessate nell’ambito della sanità elettronica (eHealth Stakeholders Group) ha svolto un ruolo importante.

2.10.

Con riferimento anche alle posizioni espresse in pareri precedenti (3), il CESE ritiene che l’azione proposta dalla Commissione in tre settori dovrebbe essere sostenuta. I settori in questione sono: accesso sicuro per i cittadini ai dati sanitari e condivisione transfrontaliera di tali dati; dati affidabili per promuovere la ricerca, la prevenzione delle malattie, la sanità e l’assistenza personalizzate; e strumenti digitali per responsabilizzare i cittadini e fornire un’assistenza incentrata sulle persone. Come indicato sopra, si deve garantire che i processi di digitalizzazione non siano travisati, usandoli come un pacchetto per risparmiare sui bilanci sanitari, e non conducano a riduzioni del personale o a tagli dei servizi. L’insufficiente disponibilità di personale ha come conseguenza una cattiva assistenza e un rischio accresciuto di morbilità. on va dimenticato che la trasformazione digitale è un fenomeno bidimensionale composto dalla dimensione della direzione e da quella del processo. In termini di direzione ci concentriamo sui fattori esterni per le organizzazioni, con un’attenzione continua a «cosa» sta affrontando la trasformazione digitale. In termini di processo ci si concentra sulla riflessione interna alle organizzazioni, con una particolare attenzione al «come» si realizza la trasformazione digitale. È quindi assolutamente necessario tener conto di questa impostazione nell’esame del tema del parere, al fine di garantire un approccio incentrato sul paziente.

2.11.

Proprio per questo motivo, il CESE ricorda, come ha già sottolineato nel suo precedente parere (4), che, per beneficiare della trasformazione digitale, le reti dell’UE e le misure di sostegno programmate dovrebbero utilizzare strumenti digitali per attuare e rafforzare, e non indebolire, i nostri diritti fondamentali in materia di sanità e assistenza. Gli strumenti digitali devono sostenere lo sviluppo del potenziale individuale, delle comunità locali e dell’economia sociale, operando come una leva potente a favore della promozione dei diritti e dello sviluppo di nuove forme di organizzazione e di governance per la sanità e l’assistenza e contribuendo a riaffermare i valori della solidarietà e dell’universalità che sono il fondamento del nostro sistema di assistenza sanitaria. Ciò dovrebbe essere garantito effettuando adeguati investimenti pubblici, come indicato in un precedente parere (5).

2.12.

In linea con i suoi precedenti pareri, il CESE ritiene che la parità di accesso all’assistenza sanitaria, che è uno degli obiettivi fondamentali delle politiche in materia, possa beneficiare della digitalizzazione se vengono soddisfatte alcune condizioni:

copertura territoriale omogenea, tenendo conto delle aree scarsamente servite dagli operatori digitali (accesso e velocità di trasferimento dei dati);

riduzione del divario digitale, in termini di utilizzo, tra cittadini, professionisti della sanità e operatori dei regimi di assicurazione malattia/sanitaria;

interoperabilità dell’intera architettura digitale (basi di dati e dispositivi medici) per facilitare la continuità delle cure tra le diverse strutture e in ciascuna di esse;

protezione dei dati sanitari, i quali non possono in alcun caso essere utilizzati a scapito dei pazienti;

diffusione elettronica delle informazioni sui prodotti approvati dalle agenzie del farmaco per migliorare l’accessibilità (come indicato in un precedente parere del CESE (6)).

2.13.

Il rapido sviluppo della telemedicina, degli oggetti connessi e delle nanotecnologie, delle biotecnologie, dell’informatica e delle scienze cognitive (NBIC) non deve indurre a considerare i pazienti come semplici corpi connessi, che possono essere analizzati, controllati e monitorati a distanza attraverso un programma informatico onnipotente. La tecnicizzazione della sanità incoraggia, in realtà, l’approccio contrario, ricollocando al centro dell’esercizio della medicina e della prestazione di assistenza i rapporti interpersonali e i legami sociali.

3.   Gli effetti della trasformazione digitale

3.1.   L’impatto della trasformazione digitale sulla sanità e l’assistenza

3.1.1.

La comunicazione della Commissione illustra come l’UE può aiutare a conseguire gli obiettivi delle conclusioni del Consiglio; propone di sviluppare la cooperazione e le infrastrutture necessarie nell’UE e, così facendo, di aiutare gli Stati membri ad adempiere al loro impegno politico in tali settori. Le azioni proposte sostengono inoltre l’impegno della Commissione nel conseguire l’obiettivo di sviluppo sostenibile «Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età» e nel realizzare i principi del pilastro europeo dei diritti sociali.

3.1.2.

Il CESE concorda con la visione delineata nella comunicazione, che è quella di promuovere la salute, prevenire e combattere le malattie, aiutare a rispondere alle esigenze non soddisfatte dei pazienti e rendere più facile per i cittadini avere un accesso paritario ad un’assistenza di alta qualità attraverso un uso adeguato delle innovazioni digitali e delle imprese sociali.

3.1.3.

Il CESE considera essenziale accrescere la sostenibilità dei sistemi sanitari e assistenziali europei, contribuendo a massimizzare il potenziale del mercato unico digitale con un maggiore impiego di prodotti e servizi digitali nei settori della sanità e dell’assistenza. Le azioni proposte devono poi mirare anche a stimolare la crescita e promuovere l’industria europea del settore, nonché le strutture, a scopo di lucro e non profit, che progettano e gestiscono i servizi sanitari e di assistenza.

3.1.4.

La trasformazione digitale permette, in particolare, l’accesso e lo sfruttamento dei dati che rendono possibile ridurre i costi dell’assistenza sanitaria legati alla crescita della popolazione e all’aumento dell’aspettativa di vita, sostenendo l’ottimizzazione dell’azione di governo a livello nazionale ed europeo.

3.1.5.

La digitalizzazione della salute contribuirà non solo ad accorciare i periodi di degenza ospedaliera, con un impatto positivo diretto sull’assistenza sanitaria in ospedale, ma anche a facilitare il ristabilimento dei pazienti stessi. Nel contesto di un riconoscimento internazionale, l’Organizzazione mondiale della sanità, in cooperazione con l’Unione internazionale delle telecomunicazioni (UIT), ha proposto il National eHealth Strategy Toolkit (Toolkit strategico per la sanità elettronica a livello nazionale), che fornisce sostanzialmente un metodo per perfezionare e sviluppare strategie, piani d’azione e quadri di monitoraggio nazionali in materia di sanità elettronica.

3.2.   L’impatto della trasformazione digitale sulle persone

3.2.1.

La trasformazione digitale offre ai cittadini ampie possibilità di accedere a conoscenze, infrastrutture e servizi personalizzati innovativi e più efficienti in materia di assistenza sanitaria, nonché di contribuire (in quanto prestatori di servizi, produttori di informazioni e fornitori di dati) a migliorare la salute degli altri.

3.2.2.

Si potrebbe anche considerare che i cittadini abbiano il diritto di accedere ai propri dati sanitari e di decidere se e quando condividerli. Il CESE ritiene, inoltre, che sia indispensabile tener conto del regolamento generale sulla protezione dei dati, che è entrato in vigore il 25 maggio 2018 e garantisce ai cittadini il controllo sull’utilizzo dei propri dati personali, tra cui i dati sanitari. Inoltre, si dovrebbe tener conto della dichiarazione di Taipei dell’Associazione medica mondiale (WMA) sulle considerazioni etiche per quanto riguarda le banche dati sanitarie e le biobanche, adottata dalla 53a assemblea generale dell’Associazione, a Washington D.C., Stati Uniti, nell’ottobre 2002, e riveduta dalla 67a assemblea generale a Taipei, Taiwan, nell’ottobre 2016.

3.2.3.

A questo riguardo è essenziale evitare il rischio di un divario sempre più ampio nei livelli di alfabetizzazione digitale della popolazione. L’alfabetizzazione sanitaria in ambito sociale e digitale riguarda la capacità di una persona di acquisire, comprendere e utilizzare in modo responsabile le informazioni atte a promuovere il suo benessere e a mantenersi in salute. A tal fine, è necessario garantire un livello di competenze e una familiarità con i nuovi strumenti tali da consentire alle persone di aumentare il loro benessere e quello della comunità attraverso misure volte a migliorare lo stile e le condizioni di vita.

3.2.4.

In quanto gli utilizzatori sono al centro della progettazione e del servizio, i dati che essi generano dovrebbero essere considerati fondamentali, con l’adozione di opportune normative riguardanti la proprietà dei dati e il diritto di usarli da parte dell’utilizzatore stesso e di altre parti. Si devono porre le seguenti domande: chi è il proprietario dei dati?», «chi ha il diritto di usarli?», «a quali condizioni altre parti che forniscono i servizi possono usare i dati?», «l’utilizzatore può usare i dati liberamente?» ecc. A tale proposito, bisognerebbe distinguere nettamente tra i tipi di dati: i dati grezzi, da un lato, e i dati generati dagli algoritmi e dai servizi di intelligenza artificiale, dall’altro. Se un’altra parte genera nuovi dati aggregati usando algoritmi privati, come si dovrebbe gestire la proprietà delle informazioni? In che modo sono progettati i modelli d’impresa per gestire la presenza di molteplici parti interessate, ognuna delle quali fornisce una parte fondamentale del servizio? È inoltre opportuno distinguere tra modelli d’impresa basati soltanto sui servizi (più tradizionali, ad esempio, sostegno alle ADL — attività di vita quotidiane — Activities of daily living) e quelli basati su dati incentrati sul paziente, con la possibilità di sviluppare nuovi servizi di salute a distanza (ad esempio servizi di prevenzione, di sostegno al trattamento e di adattamento).

3.2.5.

I dati autentici, cioè originali, di ogni utente sono l’unico valore utile per gli algoritmi/servizi/piattaforme, fatto che comporta che essi possono/devono essere considerati come un prodotto originale generato dall’utilizzatore (e solo da lui e dalle sue caratteristiche biologiche, cognitive, culturali, comportamentali), e in quanto tali sono un «contributo originale» che va tutelato secondo regole analoghe, anche se declinate ad hoc, basate sull’I.P. (intellectual property). Una proposta potrebbe essere una forma attiva di tutela attraverso un «diritto alla copia (gratuita)» di tutti i dati generati dagli utilizzatori nell’interazione con le piattaforme sanitarie digitali, in modo da permettere loro di riusarli, se si giudica opportuno, riaggregandoli attraverso altri servizi/algoritmi. Il «diritto alla copia (gratuita)» è un aiuto anche nell’affrontare un altro problema che riguarda la tutela e la promozione della concorrenza, che oggi viene messa a dura prova dai sistemi che le piattaforme digitali usano attualmente, su basi contrattuali o meno, per espropriare dati e tracce personali.

3.2.6.

La stessa UE ha affrontato in diverse occasioni il problema menzionato al punto 3.2.5 e in alcuni casi ha optato per un diritto alla messa a disposizione (copia) dei dati (cfr. la direttiva sull’efficienza energetica 2012/27/UE, articolo 9: «[gli Stati membri] provvedono affinché, se il cliente finale lo richiede, i dati del contatore relativi all’immissione e al prelievo di energia elettrica siano messi a sua disposizione o a disposizione di un terzo che agisce a suo nome in un formato facilmente comprensibile che possa essere utilizzato per raffrontare offerte comparabili»).

3.2.7.

Il CESE propone di creare un’infrastruttura informatica connessa in modo che i pazienti con malattie rare possano essere contattati rapidamente e possano mettere a disposizione i loro dati medici e sanitari per la ricerca globale senza scopo di lucro. L’Unione europea sta promuovendo la creazione di un sistema di cartelle cliniche elettroniche attraverso il sostegno allo scambio di informazioni e alla standardizzazione e allo sviluppo di reti per lo scambio di informazioni tra prestatori di assistenza sanitaria al fine di coordinare le azioni in caso di rischi per la salute pubblica.

3.2.8.

Ciò consentirebbe alle persone/cittadini/pazienti/utilizzatori di riassumere il pieno controllo della loro identità digitale e di partecipare all’acquisizione di conoscenze ottenute dai dati sanitari aggregati a fini di medicina e prevenzione personalizzate, nonché di godere dei notevoli benefici economici derivanti da tali dati aggregati.

3.3.   L’impatto della trasformazione digitale sui sistemi sociali e sanitari

3.3.1.

Il CESE sostiene (come già indicato in un suo parere (7)) il processo basato su quattro pilastri per le attività congiunte transfrontaliere sulla trasformazione digitale in materia di sanità e assistenza.

3.3.1.1.

La proposta istituisce un gruppo di coordinamento, composto di rappresentanti degli organismi di valutazione delle tecnologie sanitarie (HTA) degli Stati membri, e descrive i quattro pilastri della futura cooperazione. Le attività congiunte, che sarebbero guidate dagli Stati membri attraverso il gruppo di coordinamento, dovrebbero comprendere:

valutazioni cliniche congiunte;

consultazioni scientifiche congiunte;

individuazione di tecnologie sanitarie emergenti;

cooperazione volontaria tra gli Stati membri.

3.3.1.1.1.

Le valutazioni cliniche congiunte riguardano le tecnologie più innovative, che comprendono i) medicinali assoggettati alla procedura centralizzata di autorizzazione all’immissione in commercio; ii) talune categorie di dispositivi medici e dispositivi medico-diagnostici in vitro che rispondono a una serie di criteri quali bisogni medici insoddisfatti, potenziale impatto sui pazienti, sulla sanità pubblica o sui sistemi sanitari e dimensione transfrontaliera significativa. Tali valutazioni saranno elaborate e definite dagli organismi HTA degli Stati membri, da società farmaceutiche o fabbricanti dei dispositivi medici (gli «sviluppatori»), da pazienti, esperti clinici e altri soggetti interessati. Una volta verificata dalla Commissione, la relazione sarebbe pubblicata e successivamente utilizzata dagli Stati membri.

3.3.1.1.2.

Le consultazioni scientifiche congiunte, comunemente note come «dialoghi precoci», consentirebbero a uno sviluppatore di una tecnologia sanitaria di chiedere il parere degli organismi di valutazione delle tecnologie sanitarie sui dati e sulle evidenze che potrebbero essere richiesti nell’ambito di una potenziale futura valutazione clinica congiunta. Gli sviluppatori avrebbero la possibilità di chiedere una consultazione scientifica congiunta al gruppo di coordinamento. Una volta approvate dal gruppo di coordinamento, le relazioni sulle consultazioni scientifiche congiunte sarebbero trasmesse agli sviluppatori di tecnologie sanitarie, ma non sarebbero pubblicate.

3.3.1.1.3.

Un sistema di allerta precoce («horizon scanning»), ovvero l’individuazione di nuove tecnologie emergenti (tecnologie sanitarie che non sono ancora state adottate nel sistema sanitario), contribuirebbe a garantire l’individuazione, nelle fasi iniziali del loro sviluppo, delle tecnologie sanitarie che potrebbero avere un impatto di rilievo sui pazienti, sulla sanità pubblica o sui sistemi sanitari e la loro inclusione nelle attività congiunte.

3.3.1.1.4.

Gli Stati membri avrebbero la possibilità di continuare la cooperazione volontaria a livello dell’UE nei settori non coperti dalla cooperazione obbligatoria. Ciò consentirebbe, tra l’altro, di effettuare valutazioni di tecnologie sanitarie diverse dai medicinali o dai dispositivi medici (per esempio procedure chirurgiche), nonché valutazioni non cliniche (per esempio, l’impatto dei dispositivi medici sull’organizzazione dell’assistenza).

3.3.2.

La diffusione di nuove soluzioni di assistenza sanitaria rese possibili dalla trasformazione digitale solleva una serie di importanti questioni multidisciplinari, di carattere etico, giuridico e sociale. Anche se esiste già un quadro giuridico per la protezione dei dati e la sicurezza dei pazienti, devono essere affrontate altre questioni, come l’accesso alla banda larga, i rischi connessi con l’estrazione dei dati e il processo decisionale automatico, la garanzia di standard e di una legislazione adeguati per assicurare la qualità richiesta della sanità elettronica (eHealth) o dei servizi di sanità mobile (mHealth), l’accessibilità e la qualità dei servizi. Analogamente, a livello dei servizi, pur se vi sono norme a livello dell’UE e a livello nazionale che disciplinano gli appalti pubblici, la concorrenza e il mercato interno, è opportuno discutere e adottare nuovi approcci che tengano conto della trasformazione digitale.

3.3.3.

La trasformazione digitale comporterà una riorganizzazione del sistema sanitario, con nuovi metodi e standard di prestazione di servizi (ad esempio, l’uso di robot in collaborazione con i prestatori di assistenza). Inoltre, i prestatori di assistenza dovrebbero seguire programmi di formazione appropriati e specifici (comprendenti, ad esempio, una preparazione in campo sociale, sanitario o tecnico) ed essere preparati a nuovi profili professionali e a trasformazioni nell’ambiente di lavoro. Ciò porterà alla definizione di nuovi modelli di servizi, politiche di sostegno, certificazioni e standard idonei all’introduzione dei servizi e delle tecnologie digitali in contesti di assistenza e in mercati reali. La loro concezione e il loro sviluppo dovrebbero seguire i principi di progettazione incentrata sull’utilizzatore, di ingegneria delle caratteristiche utilizzative fin dalla progettazione, della progettazione universale ecc., ponendo gli utilizzatori e le loro esigenze al centro del processo ed evitando di creare un divario digitale e di escludere determinate persone dai servizi.

3.3.4.

Il CESE approva gli sforzi della Commissione volti a sostenere lo sviluppo e l’adozione del formato europeo di scambio delle cartelle cliniche elettroniche e a elaborare misure comuni di identificazione e autenticazione, come stabilito all’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2011/24/UE.

3.4.   L’impatto della trasformazione digitale sul mercato digitale

3.4.1.

La sfida è quella di riequilibrare l’asimmetria socioeconomica in un’economia trainata dai dati (8) attraverso:

un diritto riconosciuto per legge a una copia digitale di tutti i dati personali (medici e non medici); la portabilità dei dati (articolo 20, direttiva sulla protezione dei dati dell’UE);

una piattaforma affidabile e sicura in cui le persone possano conservare, gestire e condividere attivamente i dati secondo modalità da loro stesse decise;

una struttura organizzativa cooperativa senza scopo di lucro delle piattaforme di dati personali in modo che siano di proprietà di cittadini;

l’investimento dei proventi dell’uso secondario dei dati controllati dai cittadini in progetti e in servizi a beneficio di tutti i membri e della società in generale.

3.4.2.

Le valutazioni cliniche congiunte permetterebbero un accesso più rapido, eviterebbero sovrapposizioni a livello nazionale e garantirebbero un grado più elevato di coerenza, di chiarezza e di prevedibilità per tutti i soggetti coinvolti nel processo. L’industria dei dispositivi medici è in generale più scettica nei confronti della proposta. La cooperazione obbligatoria in materia di valutazioni cliniche delle tecnologie sanitarie può ritardare l’accesso al mercato per i dispositivi, piuttosto che semplificarlo.

3.4.3.

Con l’aumento della diffusione dei dispositivi mobili, le soluzioni eHealth o mHealth offriranno nuovi servizi con ottimizzazione delle procedure. Tali procedure comprenderanno l’agevolazione della mobilità per gli operatori in campo sanitario e assistenziale.

3.4.4.

La trasformazione digitale promuoverà lo sviluppo di nuovi modelli di impresa agili, favorirà la partecipazione a questa attività economica delle diverse parti interessate e recherà vantaggi derivanti dalla quantificazione delle esperienze degli utilizzatori. Il suo successo dipende dal fatto che è incentrata sul cliente (o sull’utilizzatore), per garantire che il punto di vista di quest’ultimo sia preso in considerazione fin dall’inizio del processo di progettazione (pensiero progettuale).

3.4.5.

La trasformazione digitale consentirà l’utilizzo diffuso dei dati sanitari e sociali, promuovendo l’integrazione dei sistemi e dispositivi con servizi di apprendimento automatico e aumentando la necessità dell’interoperabilità e della capacità di interazione da macchina a macchina (M2M), che deve tener conto della varietà di esigenze e preferenze, dello sviluppo di sistemi «a prova di futuro», della possibilità di integrazione con le infrastrutture esistenti e con i fornitori di servizi locali, nonché di eventuali e impreviste tecnologie dirompenti e di servizi con nuovi requisiti di standardizzazione.

3.4.6.

Nuove tecnologie abilitanti fondamentali, come il 5G, creeranno opportunità per migliorare i prodotti e i servizi mobili a banda larga, sostenendo in tal modo la diffusione di milioni di connessioni per dispositivi dell’Internet degli oggetti (IoT) su vastissima scala. Con la diffusione del 5G e dell’Internet degli oggetti, le strategie di trasformazione digitale sono essenziali per molte parti interessate che operano in ambito sanitario, in particolare in ragione del fatto che nuovi comportamenti e nuove esigenze dei consumatori richiederanno nuovi servizi digitalizzati.

3.4.7.

Il CESE sostiene i servizi collegati alle informazioni sanitarie, alla prevenzione delle malattie, allo sviluppo di sistemi di consultazione a distanza, alle prescrizioni, alle impegnative e al rimborso delle spese mediche online. Si può considerare che le piattaforme esistenti, quali Alfred, Big White Wall, Medicine Patient Portal, Empower ecc. consentano la trasformazione digitale nel mercato unico digitale. È interessante notare che il 29 maggio 2018 è stato annunciato che l’European Open Science Cloud avrebbe sostenuto i settori scientifici dell’UE leader mondiali creando un ambiente sicuro per lo stoccaggio e il trattamento dei dati della ricerca. Il Cloud dovrebbe essere un’ampia federazione paneuropea di infrastrutture d’eccellenza esistenti e emergenti che rispetta i meccanismi di governance e di finanziamento delle sue parti componenti; l’adesione alla federazione sarebbe volontaria e la struttura di governance comprenderebbe i ministri degli Stati membri, parti interessate e ricercatori.

3.5.   L’impatto della trasformazione digitale sui prestatori dei servizi

3.5.1.

In questo contesto il CESE conviene sui seguenti obiettivi:

una particolare attenzione ai prestatori di assistenza sanitaria;

una particolare attenzione ai pazienti al momento in cui entrano nel sistema sanitario;

un trasferimento di dati efficiente nell’ambito dell’assistenza di base (eHealth, fascicolo elettronico dei pazienti/EPD);

consenso dei pazienti per l’uso dei loro dati a fini di ricerca; incentivi a fornire dati aggiuntivi (mHealth);

riduzione degli ostacoli che si incontrano nel coinvolgere i pazienti nella ricerca.

3.5.2.

Recenti studi tecnologici, sociali ed economici rimarcano che l’intelligenza artificiale, l’Internet degli oggetti e la robotica renderanno possibile progettare e sviluppare nuovi approcci nei settori della medicina personalizzata e di precisione, della fragilità cognitiva e della robotica collaborativa. La loro adozione nell’assistenza sanitaria comporterà l’adattamento e lo sviluppo di tutte le procedure relative alla progettazione, alla fornitura e alla valutazione dei servizi. In tale contesto, la trasformazione digitale rappresenta un fattore fondamentale, ma anche abilitante (o «acceleratore»), nell’integrazione di tecnologie innovative nel settore dell’assistenza sanitaria.

3.5.3.

La trasformazione digitale ha il potenziale per rendere disponibile un grande volume di dati in grado di consentire lo studio e lo sviluppo di nuove e ambiziose soluzioni in materia di servizi basate sull’intelligenza artificiale. Ciò potrebbe costituire la base per la creazione di un quadro di riferimento per la quantificazione oggettiva delle malattie croniche e per l’individuazione di opportunità nel campo della diagnosi precoce e del monitoraggio delle terapie. In aggiunta, i recenti progressi nel campo dell’intelligenza artificiale trarrebbero vantaggio dalla disponibilità di dati per sviluppare sistemi in grado di imparare e di adattarsi ai modi in cui le malattie si evolvono.

3.5.4.

L’uso diffuso dei dati e la capacità delle parti interessate di usarli e trasformarli in base alle esigenze degli utenti aprono nuovi scenari per la condivisione di dati, di conoscenze e di competenze specifiche, come già avviene nel quadro delle Reti di riferimento europee (European Reference Networks), che forniscono una struttura di governance per lo scambio di conoscenze e il coordinamento dell’assistenza in tutta l’UE nel campo delle malattie rare. Se un territorio specifico (regione o paese) non ha alcuna competenza in una determinata malattia, la rete può aiutare i medici a ottenere conoscenze provenienti da altri centri di competenza specifica situati altrove. Allo stesso modo, gli ospedali di tutta Europa possono utilizzare i sistemi digitali di collegamento per scambiarsi conoscenze e fornirsi vicendevolmente sostegno.

3.5.5.

Una conseguenza ovvia dei punti precedenti è che la cibersicurezza è una priorità fondamentale. Come è stato sottolineato nella relazione ENISA (European Union Agency for Network and Information Security — Agenzia dell’Unione europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione) intitolata ENISA Threat Landscape Report 2017: 15 Top Cyber-Threats and Trends (Relazione Enisa 2017 sul panorama delle minacce: 15 principali minacce e tendenze informatiche), la complessità degli attacchi e la sofisticazione delle azioni dolose nel ciberspazio continueranno ad aumentare. Nel settore sanitario, dove molti sistemi diffusi sono collegati tra loro e sono in gioco beni significativi, per esempio la vita dei pazienti, dati personali sensibili, risorse finanziarie ecc., la sicurezza delle informazioni è una questione di fondamentale importanza. Nel contesto della trasformazione digitale, sono necessari nuovi metodi e orientamenti per la modellizzazione di quadri per la valutazione della sicurezza informatica, di contromisure organizzative e di conformità all’interoperabilità basata sulla sicurezza informatica.

3.5.6.

Il CESE approva inoltre il sostegno dell’UE alle piccole e medie imprese che sviluppano soluzioni digitali per l’assistenza incentrata sulla persona e per i riscontri da parte dei pazienti. La cooperazione coinvolgerà ovviamente i poteri pubblici e le altre parti interessate impegnati a promuovere principi condivisi o reciprocamente riconosciuti per la convalida e la certificazione di soluzioni digitali da adottare nei sistemi sanitari (per esempio, mHealth — sanità mobile — e vita autonoma).

3.5.7.

Il CESE ritiene inoltre che le precedenti iniziative intese a rilasciare tessere sanitarie degli Stati membri debbano proseguire, riflettendo la trasformazione digitale della sanità e dell’assistenza nel mercato digitale. Data la natura sensibile dei dati medici che possono essere memorizzati in tali tessere sanitarie elettroniche, queste devono offrire una robusta tutela della vita privata.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 283 del 10.8.2018, pag. 28.

(2)  COM(2018) 233 final.

(3)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 1, GU C 13 del 15.1.2016, pag. 14 e GU C 458 del 19.12.2014, pag. 54.

(4)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 1.

(5)  GU C 173 del 31.5.2017, pag. 33.

(6)  GU C 13 del 15.1.2016, pag. 14.

(7)  GU C 283 del 10.8.2018, pag. 28.

(8)  World Economic Forum (Forum economico mondiale) — Global Information Technology Report 2014 (Relazione sulla tecnologia dell’informazione a livello mondiale).


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla a) «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE»

[COM(2018) 184 final — 2018/0089 (COD)]

e sulla

b) «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993, la direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, la direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’UE relative alla protezione dei consumatori»

[COM(2018) 185 final — 2018/0090 (COD)]

(2018/C 440/10)

Relatore:

Jarosław MULEWICZ

Correlatore:

Antonio LONGO

Consultazione

a)

Parlamento europeo, 2.5.2018

a)

Consiglio, 22.5.2018

b)

Parlamento europeo, 2.5.2018

b)

Consiglio, 22. 5.2018

Base giuridica

Articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

20.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

154/1/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE prende atto della proposta della Commissione europea concernente una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’UE relative alla protezione dei consumatori e diretta inoltre ad aggiornare le norme esistenti (affinché tengano conto delle nuove abitudini di consumo) e ad adattarle all’evoluzione del mercato unico digitale. Tuttavia, come già raccomandato nel parere del CESE sulla vulnerabilità dei consumatori rispetto alle pratiche commerciali (1), devono ancora essere affrontate le preoccupazioni legate all’insufficiente attuazione delle norme esistenti.

1.2.

Il CESE concorda con la Commissione europea sulla necessità di modernizzare e semplificare la politica dei consumatori dell’UE, e reputa che il nuovo pacchetto legislativo possa contribuire a colmare il divario creato dalla crescita esponenziale del commercio elettronico, che mina la fiducia dei consumatori e causa distorsioni del mercato unico.

1.3.

In generale, il Comitato considera che l’armonizzazione delle norme in materia di protezione dei consumatori non dovrebbe ridurre il livello di protezione dei consumatori negli Stati membri, pur contemperando tale tutela con la garanzia della certezza del diritto per gli operatori commerciali. Il CESE prende atto delle conclusioni di REFIT secondo cui le disposizioni in materia di protezione dei consumatori rispondono allo scopo, ma osserva altresì che un numero crescente di consumatori è oggetto di azioni di marketing aggressive e di pratiche commerciali ingannevoli.

1.4.

Il CESE appoggia la proposta di estendere l’ambito di applicazione dei diritti dei consumatori a tutti i servizi digitali «apparentemente gratuiti» per ottenere i quali gli utenti forniscono dati personali e non personali; e sostiene inoltre le misure volte a garantire una maggiore trasparenza e responsabilità per le piattaforme online.

1.5.

Per quanto riguarda il riesame della direttiva 2011/83/UE relativa alla protezione dei diritti dei consumatori, in seno al Comitato sono emerse due diverse preoccupazioni. Gli operatori commerciali sono a favore dell’aggiornamento, della semplificazione e dell’adeguamento delle informazioni precontrattuali, mentre i consumatori ritengono che ciò potrebbe ridurre il loro livello di protezione.

1.6.

Il CESE reputa che le disposizioni in materia di contenuti e servizi digitali e di vendite online dovrebbero essere rese conformi alla normativa in materia di mercato unico digitale.

1.7.

Il CESE reputa che il diritto di recesso sia un efficace strumento di protezione dei consumatori che non dovrebbe essere messo a repentaglio. Le opinioni dei membri del Comitato in merito alla proposta della Commissione sono differenti. Gli operatori commerciali, in particolare le PMI, hanno bisogno di maggiore certezza giuridica in materia di merci provate dall’acquirente più del necessario e in materia di rimborso anticipato. I consumatori, invece, sono contrari alle modifiche proposte e chiedono il mantenimento dello status quo. Il Comitato invita la Commissione a riesaminare questa importante disposizione in modo da realizzare un compromesso tra questi interessi contrapposti.

1.8.

Il CESE ritiene che le misure volte a proteggere i consumatori nei confronti di «prodotti a doppio standard qualitativo» siano giustificate e sostiene la proposta della Commissione di garantire una maggiore trasparenza,

1.9.

Il Comitato è favorevole all’impiego di meccanismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie (REC) e di risoluzione online delle controversie (ROC), come la mediazione o l’arbitrato, il ricorso ai quali dovrebbe essere promosso a livello europeo e nazionale.

1.10.

Il CESE chiede alla Commissione di fare in modo che gli Stati membri applichino effettivamente le norme in materia di protezione dei consumatori e ne garantiscano il rispetto; di sostenere l’armonizzazione di tali norme; di promuovere la cooperazione transfrontaliera tra le autorità nazionali per il tramite del canale rappresentato dalla cooperazione per la protezione dei consumatori (CPC) e di lanciare una campagna di comunicazione per agevolare il rispetto della normativa in materia di protezione dei consumatori da parte delle piccole e medie imprese.

1.11.

Il CESE invita gli Stati membri a introdurre norme più severe per far rispettare la normativa in materia di protezione dei consumatori, per contrastare le infrazioni nazionali e transfrontaliere e per mantenere il livello attuale di protezione dei consumatori.

1.12.

Il CESE appoggia la proposta di introdurre criteri specifici per la determinazione delle sanzioni pecuniarie in quanto strumento efficace di protezione dei consumatori. È importante disporre di sanzioni realmente dissuasive per le imprese che violano le norme, sanzioni che corrispondano a una percentuale significativa del loro fatturato annuo e tengano conto delle infrazioni a livello di tutta l’UE.

1.13.

Il CESE prende atto della proposta di direttiva relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE. In proposito, tuttavia, si rammarica che, nell’elaborare tale proposta legislativa, le raccomandazioni da esso formulate nel parere su un quadro europeo per i ricorsi collettivi (2) non siano state tenute in considerazione.

1.14.

A tutti i cittadini dell’UE dovrebbe essere garantito un accesso semplice e veloce alla giustizia. I consumatori dovrebbero poter ottenere un risarcimento in caso di un pregiudizio subito in conseguenza di violazioni del contratto. È quindi accolta con favore l’introduzione di un ampio sistema di ricorsi specificamente concepito per i danni collettivi. Tale sistema dovrebbe essere pragmatico ed efficiente sul piano dei costi, fornire le garanzie pertinenti e tener conto dei sistemi giudiziari nazionali esistenti.

1.15.

Il CESE dà atto degli sforzi compiuti dalla Commissione per individuare gli enti legittimati a intentare un ricorso collettivo, nel rispetto del principio di sussidiarietà e della legislazione nazionale.

1.16.

Inoltre, gli Stati membri dovrebbero sostenere la creazione di fondi per le spese di contenzioso degli enti legittimati. Nei casi in cui i danni siano di modesta entità e quando sia impossibile rintracciare tutte le persone che li hanno subiti, il CESE è d’accordo con la proposta della Commissione di destinare gli importi corrispondenti a obiettivi d’interesse pubblico. Tuttavia, il Comitato chiede che si chiarisca la natura di tali obiettivi (per esempio assistenza ai consumatori, programmi d’informazione ed educazione, fondi per le spese di contenzioso).

1.17.

Infine, un’importante salvaguardia che dovrebbe essere inclusa nella direttiva è costituita dalla possibilità di scegliere se partecipare («opt in») o non partecipare («opt out») a una procedura di ricorso collettivo. Infatti, in linea con le raccomandazioni già formulate nel suo parere in merito a un quadro europeo per il ricorso collettivo (3), il CESE reputa che i consumatori dovrebbero essere liberi di decidere se aderire o rinunciare a un’azione collettiva.

2.   Contesto e introduzione

2.1.

L’11 aprile 2018, la Commissione europea ha pubblicato un pacchetto legislativo su un «New Deal» per i consumatori, consistente in una proposta di direttiva che modifica la direttiva 93/13/CEE (4), la direttiva 98/6/CE (5), la direttiva 2005/29/CE (6) e la direttiva 2011/83/UE (7) per quanto riguarda una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’UE relative alla protezione dei consumatori e in una proposta di direttiva sulle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori che abroga la direttiva 2009/22/CE.

Proposta di direttiva COM(2018) 185

2.2.

La proposta della Commissione COM (2018) 185 concernente una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’UE relative alla protezione dei consumatori mira a completare i meccanismi esistenti per tale protezione, per il contrasto alle infrazioni transfrontaliere e in materia di commercio elettronico, nonché a ridurre l’onere che grava sugli operatori commerciali. La proposta segue le conclusioni del controllo di adeguatezza condotto nell’ambito del programma REFIT in materia di diritti dei consumatori e di marketing (8) come anche quelle della valutazione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.

2.3.

In particolare, la proposta di direttiva in esame prevede:

2.3.1.

l’introduzione di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive in modo coordinato per infrazioni sia a livello nazionale che a livello transfrontaliero;

2.3.2.

una maggiore trasparenza nel mercato unico digitale, con obblighi in materia di trasparenza per le piattaforme online;

2.3.3.

l’estensione della protezione dei consumatori nell’ambito dei servizi digitali, in particolare quelli in cui i consumatori non pagano, ma forniscono dati personali e non personali che hanno un valore economico e che pertanto non possono essere considerati «gratuiti»;

2.3.4.

la riduzione degli oneri per le imprese, consentendo ai professionisti di impiegare nuovi mezzi di comunicazione online, come moduli online oppure chat in alternativa alla posta elettronica (e-mail);

2.3.5.

la revisione di taluni aspetti relativi al diritto di recesso. In particolare, si consente all’operatore di rimborsare il consumatore solo dopo aver ispezionato le merci ed essersi accertato che il consumatore non abbia «utilizzato» le merci, anziché essersi limitato a provarle;

2.3.6.

la possibilità per gli Stati membri di limitare le pratiche aggressive e ingannevoli indesiderate nell’ambito di vendite porta a porta, presso il domicilio del consumatore o in occasione di escursioni promozionali;

2.3.7.

disposizioni esplicite riguardo ai casi di «doppio standard qualitativo» dei prodotti e a tutte le azioni di marketing a ciò collegate, comprese le pratiche commerciali ingannevoli, particolarmente diffuse nel settore agroalimentare.

Proposta di direttiva relativa alle azioni rappresentative

2.4.

La proposta della Commissione COM (2018) 184 sulle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori getta le basi per un meccanismo europeo di ricorso collettivo contro le diffuse violazioni del diritto in materia di protezione dei consumatori. Questo strumento, finora disponibile in alcuni Stati membri dell’UE, dovrebbe ormai essere esteso a tutti. Tuttavia, si dovrebbe applicare il principio di sussidiarietà, permettendo agli Stati membri di precisare questo nuovo regime a livello nazionale mantenendo al contempo i sistemi già esistenti.

2.5.

Solo gli enti legittimati a livello nazionale dovrebbero poter agire per conto dei consumatori e sarebbero tenuti a rispettare alcuni requisiti minimi introdotti dalla Commissione europea.

2.6.

Il meccanismo di risarcimento è collegato a una decisione d’ingiunzione. Gli enti legittimati dovrebbero poter avviare una causa di ricorso collettivo solo dopo che un tribunale o un’autorità amministrativa abbia accertato una violazione dei diritti dei consumatori. La direttiva si applica alle violazioni commesse a livello nazionale e dell’UE, consentendo ricorsi collettivi transfrontalieri per i consumatori.

2.7.

In termini di risarcimento per il danno subito dai consumatori, la proposta opera una distinzione tra piccoli importi, nel qual caso il risarcimento è destinato a un obiettivo di interesse pubblico, e importi ingenti, nel qual caso i consumatori sono risarciti direttamente.

3.   Osservazioni generali sulla proposta di direttiva COM(2018) 185

3.1.

Il CESE prende atto della proposta della Commissione europea concernente una migliore applicazione e una modernizzazione delle norme dell’UE relative alla protezione dei consumatori e diretta ad aggiornare le norme esistenti (affinché tengano conto delle nuove abitudini di consumo) e ad adattarle all’evoluzione del mercato unico digitale. Tuttavia, come già raccomandato nel parere del CESE sulla vulnerabilità dei consumatori rispetto alle pratiche commerciali (9), devono ancora essere affrontate le preoccupazioni legate all’insufficiente attuazione delle norme esistenti.

3.2.

Il CESE rimanda qui a due sue relazioni informative (quella sul diritto europeo dei consumatori e del marketing (10), nella quale valuta i modi in cui le organizzazioni della società civile di tutta l’UE percepiscono l’attuazione di tale diritto, e quella riguardante la direttiva sui diritti dei consumatori (11), nella quale valuta l’attuazione di tale atto normativo) basate su tre diversi strumenti di raccolta di dati: un questionario, un’audizione di esperti e nove missioni conoscitive svolte rispettivamente a Riga, Roma, Varsavia, Madrid, Parigi, Atene, Vilnius, Lisbona e Bruxelles.

3.3.

Il CESE osserva che la proposta della Commissione tiene conto delle suddette relazioni informative, chiedendo di intensificare gli sforzi in materia di sensibilizzazione, formazione e coordinamento in relazione alla politica di protezione dei consumatori, alla regolamentazione delle piattaforme online e all’economia digitale; ma osserva altresì che, in tale proposta, le preoccupazioni espresse dal CESE riguardo alla politica di protezione dei consumatori (ovvero la necessità di finanziare campagne di sensibilizzazione, incoraggiare la formazione lungo tutto l’arco della vita, sostenere le PMI, rendere meglio comprensibili le informazioni giuridiche fornite ai consumatori e promuovere i sistemi di REC, l’autoregolamentazione e i codici di condotta) non sono prese nella dovuta considerazione.

3.4.

Il CESE riconosce che i consumatori possono trovarsi in situazioni nelle quali sono indotti in errore o spinti in modo aggressivo a concludere contratti. Problemi specifici sono stati segnalati in relazione a call center che vendono contratti di fornitura energetica, servizi di telecomunicazione o erogazione idrica che traggono in inganno i consumatori. Analogamente, sono state segnalate tecniche commerciali simili, ossia particolarmente pressanti, attuate nel corso di escursioni organizzate per vendere prodotti a determinate categorie di consumatori vulnerabili. In tali situazioni il consumatore dovrebbe avere il diritto di recedere dal contratto di compravendita e/o di essere risarcito per il danno subito.

3.5.

Il CESE reputa che, come ha già raccomandato nel suo parere sulla vulnerabilità dei consumatori rispetto alle pratiche commerciali, ai consumatori debbano essere offerte soluzioni individuali come il rimborso del prezzo, la sostituzione del bene o la risoluzione del contratto di compravendita. I rimedi, inoltre, dovrebbero essere adeguati alla situazione di ciascun consumatore, in modo da consentirgli di optare per soluzioni su misura.

3.6.

Il CESE ritiene altresì che occorra evitare di ridurre il grado di armonizzazione raggiunto dalla legislazione dell’UE in materia di protezione dei consumatori. Compiere un passo indietro in tal senso non significa creare condizioni uniformi nell’Unione europea e non sarà vantaggioso né per i consumatori né per gli operatori commerciali;

3.7.

Il CESE, sottolineando che le strategie di vendita aggressive e ingannevoli sono già oggi vietate dalla direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali, che in materia ha introdotto una piena armonizzazione, esorta la Commissione europea a garantire un’applicazione più rigorosa delle norme esistenti da parte degli Stati membri.

3.8.

In merito alla proposta della Commissione di limitare alcuni metodi di distribuzione, i membri del CESE manifestano opinioni divergenti. I rappresentanti degli operatori commerciali ritengono che tali misure non dovrebbero essere limitate alle vendite a domicilio, stigmatizzando così un intero settore economico, ma dovrebbero invece prendere di mira tutte le pratiche aggressive; i rappresentanti dei consumatori sono a favore della possibilità data agli Stati membri di limitare taluni metodi di vendita per categorie specifiche di prodotti (armi, medicinali e altri prodotti farmaceutici ecc.) per ragioni di salute e sicurezza.

3.9.

A tale riguardo, la cooperazione tra le autorità che, nei singoli Stati membri, sono preposte alla protezione dei consumatori nel quadro del regolamento sulla CPC è cruciale per contrastare in modo efficiente le pratiche abusive senza penalizzare gli operatori che agiscono in modo conforme alle norme. I consumatori dovrebbero avere accesso a informazioni sugli operatori commerciali, e dovrebbero essere promosse campagne di sensibilizzazione a livello nazionale e dell’UE.

3.10.

Per quanto concerne il riesame della direttiva 2011/83/UE relativa alla protezione dei diritti dei consumatori, in seno al Comitato sono emerse due diverse posizioni e preoccupazioni. Gli operatori commerciali sono a favore dell’aggiornamento, della semplificazione e dell’adeguamento delle informazioni precontrattuali, mentre i consumatori ritengono che ciò potrebbe ridurre il livello di protezione loro accordato. Il Comitato è a favore di un approccio che contemperi la protezione dei consumatori con la certezza del diritto per gli operatori commerciali. Il CESE reputa che le disposizioni in materia di contenuti e servizi digitali e di vendite online dovrebbero essere rese conformi alla normativa in materia di mercato unico digitale.

3.11.

Per quanto concerne le piattaforme online, la trasparenza riguardo alla loro identificazione e alla loro responsabilità dovrebbe essere l’elemento preminente. Il CESE ritiene essenziale che, al momento di stipulare un contratto, il consumatore riceva tutte le informazioni pertinenti sulla sua controparte. Inoltre, la trasparenza delle piattaforme online è un fattore cruciale per lo sviluppo del mercato unico digitale, sia per i consumatori che per le imprese (operazioni B2B) (12).

3.12.

Oltre a ciò, il CESE appoggia anche la proposta di estendere l’ambito di applicazione dei diritti dei consumatori a tutti i servizi digitali «gratuiti» per ottenere i quali gli utenti forniscono dati personali e non personali. Poiché tali dati hanno un valore commerciale, sarebbe iniquo nei confronti dei consumatori considerare tali servizi «gratuiti» e non fornire ai consumatori stessi la protezione pertinente. Il pacchetto di misure proposto dalla Commissione europea permette di riequilibrare, almeno in parte, il rapporto tra i principali attori globali delle piattaforme online e i singoli utenti.

3.13.

Il CESE è favorevole all’introduzione di moderni meccanismi di scambio di informazioni tra gli operatori e i consumatori (per esempio chatbot, moduli online). Il Comitato reputa che tali meccanismi dovrebbero semplificare il dialogo tra le parti, purché siano previste adeguate salvaguardie per i consumatori, come la possibilità di tracciare lo scambio di informazioni, di ottenere ulteriori informazioni e presentare reclami. In particolare, dovrebbe essere possibile utilizzare forme tradizionali di contatto (call center, per esempio).

3.14.

Il CESE condivide l’idea del diritto di recesso e ne riconosce l’importanza in quanto strumento efficace per la protezione dei consumatori — uno strumento che non dovrebbe essere messo a repentaglio. La proposta della Commissione rischia di limitare i diritti dei consumatori senza fornire prove adeguate di un abuso sistematico e diffuso di tali diritti. D’altro canto, gli operatori commerciali, e in particolare le PMI, hanno bisogno di maggiore certezza giuridica in materia di merci provate dall’acquirente più del necessario e in materia di rimborso anticipato. Il Comitato invita la Commissione a riesaminare questa importante disposizione per raggiungere un compromesso equilibrato.

3.15.

Il CESE accoglie con favore i chiarimenti apportati riguardo ai prodotti «a doppio standard qualitativo»; sembra infatti che alcuni prodotti, in particolare alimentari, siano etichettati in modo identico anche se la loro composizione è diversa, con il rischio di ingannare i consumatori. Se si vuole garantire la trasparenza, allora occorre vietare qualsiasi descrizione o etichettatura ingannevole dei prodotti.

3.16.

Il CESE appoggia la proposta di introdurre criteri specifici per la determinazione delle sanzioni pecuniarie in quanto strumento efficace di protezione dei consumatori. Come rilevato dal gruppo consultivo europeo dei consumatori, è importante disporre di sanzioni dissuasive, tali da corrispondere a una percentuale significativa del fatturato annuo delle imprese che violano le norme e da tener conto della dimensione europea dell’infrazione. La Commissione dovrebbe esaminare la possibilità di allineare la proposta alle disposizioni del regolamento generale sulla protezione dei dati.

3.17.

Il CESE è favorevole anche all’impiego di meccanismi di REC e di ROC (13), come la mediazione o l’arbitrato, il ricorso ai quali dovrebbe essere promosso a livello nazionale. La composizione amichevole delle controversie può essere un’opzione da considerare prima del ricorso al giudice; laddove pertinente, essa dovrebbe anzi essere sostenuta. Il ricorso agli organi giudiziari dovrebbe rimanere un’opzione di ultima istanza. La proposta della Commissione europea dovrebbe dare maggior spazio a queste possibilità alternative di risoluzione delle controversie in materia di protezione dei consumatori.

3.18.

In generale, secondo il CESE la sostenibilità e la qualità dovrebbero essere al centro della catena di approvvigionamento, in modo da assicurare la protezione dei consumatori durante l’intero ciclo di vita dei prodotti.

4.   Osservazioni specifiche sulle azioni collettive nell’UE

4.1.

Il CESE prende atto della proposta di direttiva relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e che abroga la direttiva 2009/22/CE (14). Tuttavia, si rammarica che, nell’elaborare tale proposta legislativa, nessuna delle raccomandazioni da esso formulate nei diversi pareri dedicati a un quadro europeo per i ricorsi collettivi (15) sia stata presa in considerazione.

4.2.

Le valutazioni di adeguatezza REFIT hanno dimostrato che il rischio di violazioni del diritto dell’UE che colpiscono gli interessi collettivi dei consumatori è in aumento, in conseguenza della globalizzazione dell’economia e della digitalizzazione. Inoltre, un certo numero di Stati membri non prevede meccanismi di ricorso collettivo di natura risarcitoria efficaci, adeguati alle situazioni di danno collettivo, e non ha attuato le garanzie suggerite dalla raccomandazione della Commissione del 2013 in materia di ricorso collettivo (16).

4.3.

A tutti i cittadini dell’UE dovrebbe essere garantito un accesso semplice e veloce alla giustizia. I consumatori dovrebbero poter ottenere un risarcimento in caso di un danno subito in conseguenza di violazioni del contratto. Lo stesso vale, tuttavia, anche per gli operatori commerciali, i quali non dovrebbero essere il bersaglio di azioni legali abusive. Le azioni collettive sono uno strumento giudiziale, un diritto procedurale fondamentale volto a permettere la tutela giurisdizionale degli interessi diffusi, collettivi o individuali omogenei ai sensi dell’articolo 81 del TFUE che dovrebbe essere neutrale e non circoscritto ai consumatori (bensì esteso alla tutela dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori e delle PMI, agli ambiti dell’energia, dell’economia collaborativa, dell’economia circolare e delle piattaforme, alla tutela di tutti i diritti digitali ecc.).

4.4.

È quindi accolta con favore l’introduzione di un ampio sistema di ricorsi specificamente concepito per i danni collettivi. Tale sistema dovrebbe essere pragmatico ed efficiente sul piano dei costi, fornire le garanzie pertinenti e tener conto dei sistemi giudiziari nazionali esistenti (ad esempio quello norvegese o quello danese). La direttiva UE dovrebbe definire gli orientamenti di massima per un’azione collettiva organizzata, precisando con chiarezza quali aspetti dovrebbero essere disciplinati da un atto normativo europeo e quali dovrebbero essere lasciati alla disciplina degli Stati membri, conformemente al principio di sussidiarietà; far sì che il nuovo sistema contribuisca a un’amministrazione della giustizia più efficiente, rapida, economicamente accessibile ed equa; creare le condizioni per una riparazione effettiva e integrale dei danni subiti e prevedere una copertura finanziaria adeguata a garantire la sostenibilità del sistema. L’attuale proposta della Commissione non risponde a questi obiettivi.

4.5.

Il CESE riconosce gli sforzi compiuti della Commissione per individuare gli enti legittimati a intentare un ricorso collettivo, nel rispetto del principio di sussidiarietà e della legislazione nazionale. Tuttavia, reputa che occorrerebbe anche indicare con chiarezza che il luogo di stabilimento dell’ente legittimato determina il foro competente e la legge applicabile. Inoltre, reputa che la Commissione dovrebbe specificare meglio tutta una serie di aspetti: il ruolo attribuito al giudice nel valutare la fondatezza della pretesa fatta valere in giudizio, l’onere della prova e la produzione di elementi probatori, l’efficacia soggettiva (inter partes o erga omnes) del giudicato e il regime delle impugnazioni.

4.6.

Per tutte le spese legali derivanti dai ricorsi collettivi dovrebbe essere previsto un sostegno, conformemente ai sistemi nazionali di assistenza giudiziaria.

4.7.

Le associazioni dei consumatori o le organizzazioni della società civile dovrebbero poter ricevere un sostegno finanziario e un’assistenza legale adeguati per intentare i ricorsi. fondi specifici dovrebbero aiutare gli enti legittimati a remunerare consulenti legali. Gli Stati membri dovrebbero sostenere la creazione di fondi per le spese di contenzioso degli enti legittimati.

4.8.

Per quanto concerne il risarcimento, la normativa proposta non fornisce una risposta esauriente all’esigenza che i consumatori ottengano un risarcimento effettivo per il danno subito. La proposta dovrebbe fare esplicito riferimento alla necessità di risarcire interamente la perdita subita dai consumatori, quale che sia il pregiudizio loro arrecato.

4.9.

Il CESE è preoccupato per la tutela dei diritti degli imprenditori, compresa la salvaguardia dei segreti aziendali. Senza che ciò comprometta la protezione dei consumatori che hanno subito un danno, il CESE accoglierebbe con favore l’introduzione di meccanismi che confermino la garanzia della riservatezza delle informazioni fornite, non solo nella fase del procedimento ma anche in quella delle decisioni finali.

4.10.

Analogamente, gli operatori commerciali dovrebbero accettare la possibilità di composizione delle controversie in tempi brevi, anche attraverso i suddetti meccanismi alternativi di risoluzione delle controversie.

4.11.

Il CESE invita la Commissione a inserire nella proposta relativa al ricorso collettivo una raccomandazione agli Stati membri a utilizzare le innovazioni tecnologiche, come fanno già adesso gli organi di REC e di ROC, in particolare per raccogliere le partecipazioni a un’azione collettiva. Tale misura dovrebbe consentire di realizzare risparmi significativi ai promotori delle azioni collettive e alle associazioni di consumatori che decidono di aderirvi. La Commissione dovrebbe inoltre incoraggiare la condivisione delle buone pratiche, con un’attenzione specifica per la raccolta dei dati concernenti tutti i casi che formano oggetto di un’azione collettiva.

4.12.

In linea con le raccomandazioni già formulate nel suo parere in merito a un quadro europeo per il ricorso collettivo (17), il CESE reputa che i consumatori dovrebbero essere liberi di decidere se desiderino partecipare o rinunciare a partecipare ad un’azione collettiva. In particolare, il CESE ritiene che una clausola di partecipazione (opt-in) sarebbe opportuna per i casi che comportino un numero limitato di danneggiati che hanno sofferto un pregiudizio considerevole, mentre una clausola di non partecipazione (opt-out) sarebbe più appropriata per i casi che coinvolgano un gran numero di danneggiati che hanno subito una perdita limitata.

Bruxelles, 20 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 12, pag. 15.1.2015, pag. 1.

(2)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 68.

(3)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 68.

(4)  Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95 del 21.4.1993, pag. 29).

(5)  Direttiva 98/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori (GU L 80 del 18.3.1998, pag. 27).

(6)  Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 149 dell'11.6.2005, pag. 22).

(7)  Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).

(8)  SWD(2017) 208 final (sintesi) e SWD(2017) 209 final (relazione), pubblicate il 23.5.2017.

(9)  GU C 12, pag. 15.1.2015, pag. 1.

(10)  Relazione informativa del CESE presentata alla sessione plenaria del 14.12.2016 (INT/796).

(11)  Relazione informativa del CESE presentata alla sessione plenaria del 14.12.2016 (INT/795).

(12)  Parere CESE TEN/662 — Equità e trasparenza per gli utenti dei servizi di intermediazione online e dei motori di ricerca (Cfr. pag. 177 della presente Gazzetta ufficiale).

(13)  Direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (Direttiva sull’ADR per i consumatori) (GU L 165 del 18.6.2013, pag. 63).

(14)  Direttiva 2009/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa a provvedimenti inibitori a tutela degli interessi dei consumatori (GU L 110, 1.5.2009, p. 30).

(15)  GU C 170, pag. 5.6.2014, pag. 68.

(16)  Raccomandazione 2013/396/UE della Commissione, dell’11 giugno 2013, relativa a principi comuni per i meccanismi di ricorso collettivo di natura inibitoria e risarcitoria negli Stati membri (GU L 201 del 26.7.2013, pag. 60).

(17)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 68.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una nuova agenda europea per la ricerca e l’innovazione — l’opportunità dell’Europa di plasmare il proprio futuro»

(Contributo della Commissione europea alla riunione informale sull’innovazione dei leader dell’UE, tenutasi a Sofia il 16 maggio 2018)

[COM(2018) 306 final]

(2018/C 440/11)

Relatore:

Ulrich SAMM

Correlatore:

Stefano PALMIERI

Consultazione

Commissione europea, 18.6.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

196/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore il fatto che, anche nel contesto del quadro finanziario pluriennale 2021-2027, la Commissione abbia chiarito che la ricerca e l’innovazione devono continuare ad essere una priorità fondamentale dell’UE.

1.2.

Il CESE è favorevole all’idea che l’innovazione dovrebbe avere un peso maggiore e ricorda la sua richiesta di impostare la futura politica di finanziamento su un sostegno equilibrato all’intera catena di ricerca e innovazione, dalla ricerca di base alla ricerca orientata al prodotto. L’innovazione è fondamentale per la crescita economica e i nuovi strumenti recheranno benefici in particolare alle PMI. Il CESE sottolinea ancora una volta l’importanza degli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo quale fattore chiave per generare e mantenere effetti indotti positivi sulle economie degli Stati membri.

1.3.

Inoltre, il CESE concorda con l’obiettivo di semplificare ulteriormente le norme sugli aiuti di Stato per agevolare la combinazione di diversi fondi, approccio che può essere determinante per superare le grandi disparità tra Stati membri e tra regioni in termini di numero di progetti di ricerca e innovazione che producono risultati positivi.

1.4.

Orizzonte Europa deve investire in settori in cui esiste un particolare valore aggiunto europeo. I progetti di ricerca collaborativa dovrebbero avere la priorità, dal momento che soddisfano tale condizione in un modo che non ha praticamente eguali in nessun altro programma.

1.5.

Il CESE è convinto che molte grandi sfide a livello della società possano essere risolte solo a livello europeo e necessitino di sforzi concertati di vari attori, che vanno al di là della portata di singoli progetti di ricerca collaborativa. Per questo motivo è favorevole all’idea delle missioni.

1.6.

Sostenere la mobilità dei ricercatori attraverso le azioni Marie Skłodowska-Curie (MSCA) è un altro elemento fondamentale per rafforzare ulteriormente lo Spazio europeo della ricerca, mentre le politiche dell’UE e quelle nazionali devono essere volte a creare condizioni di lavoro adeguate e attraenti per i professionisti al fine di evitare il fenomeno della fuga dei cervelli, che non giova all’obiettivo di un contesto coerente nell’UE.

1.7.

Il CESE ritiene che sia necessario aumentare il volume degli investimenti dell’UE per permettere ai lavoratori europei di tenersi aggiornati sugli sviluppi nelle professioni digitali e conseguire le qualifiche necessarie.

1.8.

Il CESE reputa, inoltre, che occorra sostenere più efficacemente le iniziative volte ad aiutare le PMI a valorizzare e mettere a frutto i risultati della ricerca e dell’innovazione.

2.   Introduzione

2.1.

Alla riunione informale dei leader dell’UE sull’innovazione tenutasi a Sofia il 16 maggio 2018, la Commissione europea ha invitato i presenti a discutere e a fornire un orientamento strategico in vista del prossimo quadro finanziario pluriennale, in generale, e delle priorità da dare alla ricerca e all’innovazione, in particolare. A tal fine, la Commissione europea ha proposto nuove iniziative e priorità nella sua comunicazione (1).

2.2.

La presente proposta serve anche come primo passo verso la definizione del prossimo programma quadro (9o PQ o Orizzonte Europa) che è diretto a dare continuità ai risultati positivi del programma Orizzonte 2020 e a migliorarli (2).

2.3.

Allo stesso modo, sono proposte attività per sostenere l’innovazione e promuovere la leadership a livello dell’industria sulla scia della nuova strategia di politica industriale dell’UE (3).

3.   Sintesi della proposta

3.1.

La proposta della Commissione europea è volta a fare in modo che la ricerca e l’innovazione continuino a figurare in futuro tra le politiche fondamentali e tra le priorità di finanziamento dell’UE, in tutti i diversi strumenti di bilancio. Si pone maggiormente l’accento sull’innovazione, al fine di rendere l’Europa leader nell’innovazione creatrice di nuovi mercati.

3.2.

La Commissione propone di aumentare gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione, stanziando circa 100 miliardi di EUR per il futuro programma Orizzonte Europa e per il programma Euratom di ricerca e formazione (4).

3.3.

Allo stesso modo, la Commissione ha proposto di mobilitare circa 11 miliardi di EUR per gli strumenti basati sul mercato, compresi gli strumenti finanziari e le garanzie di bilancio in un’apposita sezione nell’ambito del Fondo InvestEU, che a sua volta mobiliterà 200 miliardi di EUR di investimenti privati a sostegno della ricerca e dell’innovazione.

3.4.

Gli Stati membri sono invitati ad adottare le misure necessarie per aumentare la loro spesa in ricerca e innovazione per raggiungere l’obiettivo del 3 % del PIL.

3.5.

Si propone di avviare una prima serie di missioni di ricerca e innovazione a livello dell’UE con obiettivi audaci, ambiziosi e dal forte valore aggiunto europeo. Le missioni incoraggeranno gli investimenti, la partecipazione in molteplici settori lungo la rispettiva catena di valore e le politiche (ad esempio in materia di energia e clima, trasporti, tecnologie produttive avanzate, salute e nutrizione, digitale) in varie discipline scientifiche (comprese le scienze sociali e umanistiche).

3.6.

Si propone di applicare il principio di innovazione tutte le volte che si procede a un riesame della politica e della legislazione dell’UE e dei quadri normativi nazionali, e ciò per garantire una valutazione completa dell’impatto sull’innovazione.

3.7.

La Commissione propone di creare un Consiglio europeo per l’innovazione per individuare e potenziare l’innovazione rivoluzionaria e dirompente, concentrando l’attenzione sulle innovazioni in rapida evoluzione, ad alto rischio, che hanno un forte potenziale in termini di creazione di mercati interamente nuovi.

3.8.

Formula proposte di misure per aumentare gli investimenti privati nella ricerca e nell’innovazione e per potenziare le iniziative relative a:

l’attuazione di un programma paneuropeo di fondi di fondi di capitali di rischio (VentureEU);

la prioritarizzazione del recepimento della direttiva (5) riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti.

3.9.

La Commissione propone di semplificare ulteriormente le norme sugli aiuti di Stato per facilitare la combinazione di fondi diversi e migliorare l’uso di standard di valutazione comuni per progetti di ricerca e innovazione.

3.10.

Propugna un sistema fiscale (6) che sostenga l’innovazione, permetta di dedurre fiscalmente i costi degli investimenti in ricerca e innovazione e preveda agevolazioni supplementari per le giovani imprese.

3.11.

Propone poi l’introduzione di un marchio di «Scienza aperta» per le università e gli istituti pubblici di ricerca allo scopo di metterli in grado di diventare più imprenditoriali e interdisciplinari.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie con favore il fatto che, anche nel contesto del quadro finanziario pluriennale 2021-2027, la Commissione abbia chiarito che la ricerca e l’innovazione devono continuare ad essere una priorità fondamentale dell’UE. Un programma forte ed efficace che riunisca eccellenza, infrastrutture di ricerca comuni, collaborazione transfrontaliera e sinergie tra il mondo accademico, l’industria, le PMI e gli organismi di ricerca è uno strumento d’intervento fondamentale per conseguire una crescita sostenibile e la competitività dell’economia europea e per raccogliere le grandi sfide che la società europea si trova di fronte.

4.2.

Il CESE è favorevole all’idea che l’innovazione dovrebbe avere un peso maggiore e ricorda la sua richiesta di impostare la futura politica di finanziamento su un sostegno equilibrato all’intera catena di ricerca e innovazione, dalla ricerca di base alla ricerca orientata al prodotto (7). L’innovazione è fondamentale per la crescita economica e i nuovi strumenti recheranno beneficio in particolare alle PMI. Il CESE sottolinea ancora una volta l’importanza degli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo quale fattore chiave per generare e mantenere effetti indotti positivi sulle economie degli Stati membri.

4.3.

Per quanto riguarda le elevate aspettative in merito all’impatto di Orizzonte Europa e il suo ruolo nel garantire la competitività europea, il CESE raccomanda lo stanziamento di 120 miliardi di EUR, come proposto dal Parlamento europeo. Le istituzioni europee devono dimostrare di aver colto l’enorme importanza della ricerca e dell’innovazione per la competitività futura dell’UE.

4.4.

Il CESE ritiene che sia necessario aumentare il volume degli investimenti dell’UE per permettere ai lavoratori europei di tenersi aggiornati sugli sviluppi nelle professioni digitali e conseguire le qualifiche necessarie. Inoltre, il CESE reputa che occorra sostenere più efficacemente le iniziative volte ad aiutare le PMI a valorizzare e mettere a frutto i risultati della ricerca e dell’innovazione.

5.   Osservazioni particolari

5.1.   Ricerca lungo l’intera catena di valore

5.1.1.

I fondi strutturali e di investimento europei dovrebbero essere utilizzati per portare le regioni nell’economia dell’innovazione. Andrebbero create sinergie con il programma Orizzonte Europa, il Fondo InvestEU, il Fondo sociale europeo, il programma Erasmus+, il programma Europa digitale, la politica agricola comune e altri programmi.

5.1.2.

L’UE è la regione del mondo più aperta alla ricerca e all’innovazione. Non solo apre i suoi progetti a organizzazioni di ricerca di tutto il mondo, ma porta avanti un’estesa collaborazione con partner internazionali su programmi comuni. Orizzonte Europa deve investire in settori in cui esiste un particolare valore aggiunto europeo. È opportuno dare precedenza ai progetti di ricerca collaborativa (8), in quanto essi soddisfano tale requisito in un modo che non ha praticamente eguali in nessun altro programma: questi progetti riuniscono i migliori scienziati, oltre alle PMI e alle parti interessate dell’industria più innovative a livello europeo, al fine di realizzare progressi nella gestione di problemi che investono l’intera società e che non possono essere risolti a livello nazionale. Combinando le abilità e le competenze nelle diverse discipline di tutti i partecipanti, i progetti di ricerca collaborativa apportano benefici di grande valore per i cittadini europei.

5.1.3.

Il CESE è convinto che molte grandi sfide che interessano la società possano essere risolte solo a livello europeo e necessitino di sforzi concertati di vari attori, che vadano al di là della portata di singoli progetti di ricerca collaborativa. Per questo motivo sostiene l’idea delle missioni. Il CESE riconosce che obiettivi comuni ambiziosi hanno il potenziale di stimolare e creare una dinamica positiva, vale a dire la volontà di agire, nelle diverse comunità, e la popolazione in generale. Le missioni dovrebbero offrire una prospettiva di finanziamento a lungo termine per l’intero periodo coperto dal programma Orizzonte Europa. È essenziale che le missioni siano innanzitutto concepite come lavori di ricerca su vasta scala, anche se nei loro sottoprogetti coinvolgono varie parti interessate. Per realizzare i loro ambiziosi obiettivi, le missioni devono abbracciare l’intera catena dell’innovazione e comprendere attività di ricerca a tutti i livelli di maturità tecnologica. Il CESE esorta a non limitarsi a magnificare l’idea delle missioni, ma a dotare questi strumenti dei finanziamenti adeguati necessari a realizzare gli obiettivi che essi perseguono, e che dovrebbero essere raggiungibili e tangibili.

5.1.4.

Uno dei punti di forza dei programmi quadro di ricerca europei risiede nel loro impegno concreto su scala UE a promuovere uno Spazio europeo della ricerca che sia aperto a tutti gli Stati membri. Questa apertura potrebbe essere sostenuta rafforzando le sinergie tra il prossimo programma quadro e i fondi strutturali. Colmare più efficacemente il divario tra le regioni è una delle principali sfide politiche degli anni a venire, e lo sviluppo di partenariati efficaci tra gli istituti di ricerca può essere fondamentale in questo senso.

5.1.5.

Uno strumento importante in tale contesto è rappresentato dalle iniziative faro TEF (Tecnologie emergenti e future). Esse sono caratterizzate da una forte attenzione allo sviluppo di tecnologie innovative, un’attenzione che rappresenta un punto di forza unico. L’Europa deve poter permettersi di realizzare progetti su larga scala e a lungo termine, che possono comportare un determinato livello di incertezza ma che sono tanto innovativi quanto lungimiranti. Le iniziative faro TEF dovrebbero pertanto essere ben distinte dalle missioni. È essenziale che le future iniziative faro TEF siano avviate come previsto e continuino a essere finanziate in via prioritaria.

5.1.6.

Rendere le infrastrutture di ricerca accessibili in tutta l’UE e oltre è uno dei successi dei programmi quadro. Le infrastrutture di ricerca di altissimo livello attraggono senza dubbio gli scienziati migliori, e molto spesso è soltanto il fatto di poter accedere a una certa infrastruttura di ricerca che consente di raggiungere risultati innovativi. È quindi urgente incrementare a livello europeo i finanziamenti per le infrastrutture di ricerca e non ridurre la loro quota nel bilancio come la Commissione europea ha previsto nella sua proposta. Garantire l’accesso agli utenti dei paesi dell’UE-13 dovrebbe essere una preoccupazione prioritaria.

5.1.7.

Sostenere la mobilità dei ricercatori attraverso le azioni Marie Skłodowska-Curie (MSCA) è un altro elemento fondamentale per rafforzare ulteriormente lo Spazio europeo della ricerca e generare un impatto non ottenibile a livello nazionale. Il CESE accoglie con favore qualsiasi iniziativa volta a sostenere la mobilità dei ricercatori che lavorano nelle PMI. È tuttavia preoccupato per il fenomeno della fuga dei cervelli, che i finanziamenti a favore della mobilità potrebbero addirittura accentuare, e chiede pertanto che le politiche dell’UE e quelle nazionali siano volte a creare condizioni di lavoro adeguate e attraenti per i professionisti al fine di evitare tale tendenza, che non giova all’obiettivo di un contesto coerente nell’UE.

5.1.8.

Va rilevato che in molti Stati membri i soggetti direttamente interessati degli enti accademici finanziati con denaro pubblico non sono autorizzati a contrarre prestiti. Orizzonte Europa dovrebbe pertanto continuare a funzionare concentrandosi in primo luogo sul cofinanziamento, e non sui prestiti.

5.1.9.

Il CESE si unisce all’appello rivolto agli Stati membri affinché adottino le misure necessarie per aumentare la loro spesa in ricerca e innovazione fino a raggiungere l’obiettivo del 3 % del PIL.

5.2.   Ricerca e innovazione per dischiudere nuovi mercati e per rafforzare la coesione in Europa

5.2.1.

Come sottolineato nella 7a relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale, le attività di ricerca e innovazione nell’UE restano fortemente concentrate in un numero limitato di regioni. Negli Stati membri nordoccidentali, la qualità dei collegamenti interregionali, una forza lavoro altamente qualificata e un contesto imprenditoriale attrattivo hanno consentito di capitalizzare la ricerca e l’innovazione facendone fattori tangibili a sostegno della competitività economica e della coesione sociale. Negli Stati membri meridionali e orientali i risultati in termini di innovazione sono scarsi e le regioni vicine ai centri di innovazione, che sono prevalentemente le capitali, non traggono vantaggio da tale prossimità. Questa situazione richiede politiche che colleghino imprese, centri di ricerca e servizi specializzati alle imprese presenti nelle varie regioni. Il CESE ritiene che per realizzare questo obiettivo sia fondamentale semplificare ulteriormente le norme in materia di aiuti di Stato al fine di agevolare la combinazione di diversi fondi.

5.2.2.

I programmi di ricerca e innovazione per il periodo successivo al 2020 devono tener conto delle dimensioni economiche, sociali e territoriali che caratterizzano le regioni dell’UE, evitando l’attuazione di strategie che si applicano indistintamente a tutti. Questo approccio può essere sostenuto mettendo in atto strategie basate sull’«innovazione aperta». Per quanto riguarda la dimensione territoriale delle politiche in materia di ricerca e innovazione, è importante definire nuovi programmi e nuove priorità, tenendo conto degli aspetti economici e sociali che caratterizzano i territori nei quali l’azione sarà attuata.

5.2.3.

Le politiche e i programmi in materia di ricerca e innovazione per il periodo successivo al 2020 dovrebbero essere coerenti con gli obiettivi dell’«economia del bene comune», un modello economico sostenibile orientato alla coesione sociale. Questo tipo di economia costituisce un processo di «innovazione sociale» e di imprenditorialità positiva utile per promuovere e sostenere nuove idee che, oltre a rispondere ai bisogni sociali, creino nuovi rapporti sociali e rafforzino la creazione di valore economico.

5.2.4.

Nonostante l’impegno profuso nell’ambito dell’attuazione della programmazione 2014-2020, l’accesso delle PMI alle opportunità di crescita indotte dall’innovazione è scarsamente rilevante in termini di competitività e creazione di posti di lavoro. In alcune regioni il sistema di sostegno per la ricerca e l’innovazione è ancora troppo complesso e scoraggia quindi la partecipazione delle micro e piccole imprese, in particolare, ai progetti dell’UE. Il CESE accoglie pertanto con favore la creazione di un Consiglio europeo per l’innovazione, che dovrebbe accelerare la commercializzazione e l’espansione delle innovazioni di start-up che emergono da progetti condotti nell’ambito di Orizzonte Europa e che potrebbe rivelarsi un meccanismo più rapido per portare a termine il processo volto a colmare il divario in materia di innovazione.

5.2.5.

Per trasformare le opportunità offerte dalla ricerca e dall’innovazione in fattori di competitività e sviluppo economico è essenziale rafforzare le collaborazioni tra PMI e centri di ricerca, sviluppo e innovazione, sostenere le iniziative di start-up imprenditoriali fondate sul trasferimento di ricerca e innovazione e agevolare le attività di consulenza e di raccolta fondi. Il CESE ritiene che sia importante sostenere la diffusione e la valorizzazione del modello a «quintupla elica» (9) per promuovere i partenariati tra il settore pubblico e i privati.

5.2.6.

Le PMI potrebbero essere leader sul piano delle «innovazioni sociali aperte», nelle quali le capacità umane di costruire reti di contatti e di co-creare, co-progettare e co-innovare sono fondamentali per il pieno compimento dell’innovazione sociale in tutta Europa. È quindi necessario promuovere politiche di innovazione adeguate per le PMI sulle orme di ciò che viene già fatto dall’iniziativa Eureka. Di questo compito potrebbero farsi specificamente carico gli enti in grado di sostenere direttamente le PMI impegnate nello sviluppo dell’impresa e nell’attività di innovazione, quali ad esempio le camere di commercio.

5.2.7.

Sempre nel rispetto del principio di sussidiarietà e pur tenendo presente le notevoli capacità delle regioni e degli Stati membri in materia di sostegno alle PMI, il CESE esorta tuttavia a concentrarsi sul valore aggiunto europeo, valore aggiunto che può consistere nell’appoggiare ad esempio la collaborazione tra più di due attori europei dell’innovazione o nel fornire capitali ai soggetti innovatori con progetti eccessivamente rischiosi per essere sostenuti a livello nazionale. Inoltre, la razionalizzazione degli strumenti di cui sopra dovrebbe portare a una maggiore efficienza del quadro di finanziamento. Sarebbe quindi logico che il Consiglio europeo per l’innovazione richiedesse una minore quota del bilancio di Orizzonte Europa rispetto agli strumenti finanziari di Orizzonte 2020, anziché il considerevole aumento previsto nella proposta della Commissione. Nei programmi di ricerca e innovazione per il periodo successivo al 2020 deve essere maggiormente sostenuta la dimensione qualitativa degli obiettivi perseguiti.

5.2.8.

L’«intelligenza» di un sistema socioeconomico non può essere misurata solamente in base a indicatori di carattere quantitativo, come per esempio la spesa per la ricerca e l’innovazione, ma deve considerare anche indicatori di carattere qualitativo, quali la tipologia di innovazioni introdotte, così come il numero di nuovi posti di lavoro creati. Il CESE accoglie pertanto con favore questo approccio.

5.2.9.

Il CESE si compiace che, nell’ambito del nuovo quadro finanziario pluriennale, la Commissione abbia incluso l’accessibilità tra le «condizioni abilitanti». Tutti i finanziamenti dell’UE e degli Stati membri per la ricerca e l’innovazione devono rispettare appieno i criteri di accessibilità, in modo che i risultati vadano a beneficio di tutte le categorie sociali, comprese le persone con disabilità, che costituiscono il 15 % della popolazione dell’UE.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2018) 306 final.

(2)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 66 e Orizzonte 2020 (valutazione) (relazione informativa).

(3)  GU C 197 dell'8.6.2018, pag. 10.

(4)  La dotazione finanziaria proposta, pari a 100 miliardi di EUR per il periodo 2021-2027, prevede per il programma Orizzonte Europa 97,6 miliardi di EUR (di cui 3,5 miliardi di EUR stanziati a titolo del Fondo InvestEU) e per il programma Euratom di ricerca e formazione 2,4 miliardi di EUR.

(5)  COM(2016) 723 final.

(6)  Previsto nel quadro della base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB).

(7)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 66.

(8)  I progetti di ricerca collaborativa, come quelli concepiti e attuati da Eureka, con un numero minimo di tre partner di Stati membri differenti consentono di unire le forze per affrontare sfide che non possono essere raccolte da un paese da solo, e generano sinergie all’interno del panorama della ricerca dell’UE, creando in tal modo un valore aggiunto significativo dell’UE.

(9)  Quintuple Helix and how do knowledge, innovation and the environment relate to each other? A proposed framework for a trans-disciplinary analysis of sustainable development and social ecology [«La quintupla elica e come la conoscenza, l’innovazione e l’ambiente interagiscono tra loro. Proposta di un quadro per un’analisi transdisciplinare dello sviluppo sostenibile e dell’ecologia sociale»], International Journal of Social Ecology and Sustainable Development, vol. 1, n. 1, pagg. 41-69.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/79


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (UE) n. 596/2014 e (UE) 2017/1129 per quanto riguarda la promozione dell’uso dei mercati di crescita per le PMI»

[COM(2018) 331 final — 2018/0165 (COD)]

(2018/C 440/12)

Relatore:

Mihai IVAŞCU

Consultazione

Parlamento europeo, 11.6.2018

Consiglio, 21.6.2018

Base giuridica

Articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

04.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

196/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene la proposta della Commissione europea di trasformare i mercati di capitali in un’alternativa credibile per il finanziamento e ritiene che si debba trovare un equilibrio tra i tre obiettivi principali di questa proposta: lo sviluppo dei mercati di PMI, l’alleggerimento degli oneri amministrativi e l’aumento del livello di liquidità. La Commissione non deve eccedere nella regolamentazione, bensì deve mantenere degli ostacoli a un livello che scoraggi le imprese impreparate.

1.2.

Il CESE è convinto che la proposta attuale, pur costituendo un passo nella giusta direzione, non sia sufficiente per rimuovere gli ostacoli presenti sui mercati di crescita per le PMI. Sebbene vi sia effettivamente bisogno di un approccio globale, ogni singola fase deve avere il suo proprio peso.

1.3.

Rispetto alle imprese statunitensi, quelle europee che continuano a ricorrere ai prestiti bancari come opzione di finanziamento sono ben più numerose, anche se talvolta questo comporta costi aggiuntivi significativi. È necessario assicurare un’educazione finanziaria più approfondita dato che i mercati pubblici dell’UE hanno avuto difficoltà ad attrarre nuovi emittenti e il numero di offerte pubbliche iniziali (IPO) non è aumentato in maniera significativa.

1.4.

Il CESE conferma quanto affermato nei suoi precedenti pareri, vale a dire che le carenze di comunicazione (1) e l’approccio burocratico (2) costituiscono barriere significative e che occorre un maggiore impegno per superare questi ostacoli. La comunicazione da Bruxelles dev’essere sempre destinata ai livelli più bassi della catena, vale a dire alle PMI stesse, coinvolgendo le associazioni di PMI, le parti sociali, le camere di commercio ecc.

1.5.

Il CESE accoglie con grande favore la proposta di mantenere solo degli elenchi di persone aventi accesso permanente a informazioni privilegiate per le PMI e la proposta di prolungare di due giorni il termine per rendere pubbliche le operazioni effettuate dalle persone che esercitano funzioni di amministrazione, di controllo o di direzione. A tale proposito, il CESE non può che suggerire alla Commissione di esplorare altre soluzioni che permettano di eliminare gli oneri amministrativi per le PMI e di trasferirli verso altri portatori di interessi, come ad esempio le autorità nazionali competenti.

1.6.

Il prospetto semplificato permette effettivamente di ridurre significativamente gli oneri amministrativi, ma il CESE ritiene che si dovrebbero esaminare altre possibilità per semplificare progressivamente il prospetto di trasferimento per le imprese che hanno dimostrato la loro maturità dopo essere state quotate per diversi anni sui mercati di crescita per le PMI.

1.7.

Il CESE è favorevole alle modifiche proposte per il regime dei sondaggi di mercato e desidera mettere in guardia contro le richieste di chiarimenti eccessivamente dettagliati e/o prescrittivi da parte delle autorità nazionali competenti.

1.8.

Il CESE raccomanda alla Commissione di esaminare la possibilità di attrarre investitori istituzionali, come i fondi pensione privati, affinché investano nei mercati di crescita per le PMI, fornendo incentivi, soprattutto in materia di trattamento fiscale. Gli Stati membri dovrebbero studiare le possibilità di introdurre ulteriori regimi attraenti di sostegno agli investimenti a livello nazionale.

1.9.

Il CESE accoglie con particolare favore i contratti di liquidità, soprattutto per i mercati scarsamente sviluppati. Ritiene inoltre che il 29o regime in materia di contratti di liquidità elaborato dalla Commissione europea aprirà un’opzione supplementare per gli emittenti parallelamente alla legislazione nazionale.

1.10.

Il CESE desidera sottolineare che una valutazione d’impatto approfondita e regolare è giustificata. Effettuate con cadenza annuale, tali valutazioni potrebbero fornire informazioni preziose per eventuali modifiche future del quadro normativo.

2.   La proposta della Commissione europea

2.1.

La proposta di regolamento rientra nel quadro dell’Unione dei mercati dei capitali ed è incentrata su una serie di modifiche specifiche al funzionamento dei mercati di crescita per le PMI, che sono regolamentati dal gennaio 2018. L’Unione europea ha compiuto notevoli progressi per aumentare le fonti di finanziamento via via che le imprese si espandono ed aumentare la disponibilità di finanziamenti basati sul mercato in tutta l’UE. Sono già in vigore nuove norme per stimolare gli investimenti dei fondi UE per il capitale di rischio (EuVECA) nelle start-up e nelle piccole e medie imprese. Insieme al Fondo europeo per gli investimenti, la Commissione ha inoltre lanciato un programma paneuropeo di fondi di fondi di capitali di rischio (VentureEU).

2.2.

L’obiettivo principale della proposta è semplificare la possibilità per le piccole e medie imprese di essere quotate e di ricorrere ai mercati dei capitali per finanziare la loro crescita. La proposta prevede il perfezionamento del quadro iniziale che rappresenta un passo avanti verso una regolamentazione migliore e più efficace.

2.3.

La proposta si applicherà a tutte le imprese che sono quotate sui mercati di crescita per le PMI, indipendentemente dal fatto che siano o meno piccole o medie imprese. Ciò garantisce, in primo luogo, che le imprese in rapida crescita non siano penalizzate per i risultati economici conseguiti e, in secondo luogo, che tali mercati siano in grado di attirare anche le grandi imprese. Con l’introduzione di queste nuove norme, la Commissione si attende che un maggior numero di sistemi multilaterali di negoziazione (Multilateral Trading Facilities — MTF) si registrino come mercati di crescita per le PMI (finora solo 3 su 40 l’hanno fatto).

2.4.

La proposta prevede semplificazioni intese a:

ridurre gli oneri che gravano sulle PMI in relazione agli obblighi in materia di registrazione e di informativa, preservando nel contempo l’integrità del mercato e garantendo un flusso regolare di informazioni destinato agli investitori;

creare norme comuni per i contratti di liquidità sui mercati di crescita per le PMI, il che permetterà di aumentare la liquidità delle azioni;

consentire agli emittenti di elaborare un prospetto semplificato quando cercano di passare a un mercato regolamentato (una nuova categoria di «prospetto di trasferimento» permetterà agli emittenti quotati da almeno tre anni di spostarsi più agevolmente per accedere alle principali borse, al fine di accrescere la liquidità e il numero di investitori).

3.   Considerazioni generali

3.1.

Le PMI rappresentano il 99,8 % di tutte le imprese non finanziarie nell’UE, generano il 58 % circa del valore aggiunto totale e danno lavoro a oltre 90 milioni di persone. Tuttavia, circa 200 000 PMI falliscono ogni anno, con ripercussioni per oltre 1,7 milioni di lavoratori (3).

3.2.

Secondo l’indagine condotta dalla BEI sugli investimenti nel 2016/2017, in genere le PMI dipendono da fondi interni per gli investimenti (oltre il 60 %) (4). Per il resto dipendono per lo più da strumenti bancari. I finanziamenti basati sul mercato non realizzano appieno le loro potenzialità. Il CESE ritiene che lo sviluppo di tali possibilità sia fondamentale per le imprese innovative o per quelle che presentano un elevato profilo di rischio/rendimento.

Tabella 1

Fonte di finanziamento degli investimenti nel corso dell’ultimo esercizio finanziario, UE 28  (5)

%

 

Microimprese

Piccole imprese

Medie imprese

Grandi imprese

Fondi interni o utili non distribuiti

71

64

59

57

Finanziamenti esterni

28

35

38

38

Prestiti bancari

60

60

57

54

Altre forme di finanziamento bancario

11

8

10

11

Leasing

18

23

24

23

Factoring

2

3

3

4

Prestiti concessi da famiglia/amici

4

2

1

1

Sovvenzioni

4

3

4

3

Obbligazioni

0

0

1

4

Capitale proprio

0

0

0

1

Altri

1

1

1

1

Finanziamenti intragruppo

0

1

3

5

Nota: Tutte le imprese che hanno investito nell’ultimo esercizio finanziario (ad esclusione di quelle che hanno risposto «non so» o non hanno risposto)

3.3.

Il CESE sottolinea la riluttanza delle PMI a cercare finanziamenti provenienti dai mercati dei capitali e la loro disponibilità a sostenere i costi più elevati del finanziamento tramite crediti bancari. Questa caratteristica culturale costituisce una delle principali differenze rispetto ai più prosperi mercati dei capitali negli Stati Uniti e alla minore dipendenza delle imprese americane dai prestiti bancari. È fondamentale migliorare l’educazione finanziaria.

3.4.

Il CESE ha già fatto presente in altri pareri che «nelle politiche dell’UE per le PMI e nell’attuale meccanismo di sostegno continuano a prevalere un approccio burocratico e regole amministrative complesse, malgrado gli sforzi costanti a livello dell’UE per minimizzare l’onere amministrativo» (6).

3.5.

Il CESE ha già espresso il proprio sostegno ad altre proposte volte a ridurre gli oneri amministrativi inerenti alla redazione dei prospetti per tutti gli emittenti, in particolare per le PMI, che sono spesso emittenti di titoli e di emissioni secondarie (7). Per di più, il CESE ha chiarito che «mentre i prestiti bancari sono una realtà, l’accesso al capitale di rischio quale strumento finanziario, pur essendo necessario, non è sufficientemente sviluppato in Europa a causa di regimi fiscali dissuasivi, della mancanza di una cultura dell’investimento azionario, della scarsa alfabetizzazione finanziaria e della frammentazione dei regimi di insolvenza» (8).

3.6.

Il CESE è favorevole all’iniziativa della Commissione volta a ridurre gli oneri amministrativi per le PMI, consentendo loro di accedere più facilmente ai mercati dei capitali e a diversificare le loro fonti di finanziamento. Il CESE sostiene anche l’obiettivo dichiarato della proposta che consiste nell’aumentare la liquidità delle azioni emesse sul mercato di crescita per le PMI.

3.7.

Sebbene i vantaggi per le PMI di essere quotate sui mercati specializzati siano evidenti, e sebbene questo migliori e diversifichi le loro opportunità di finanziamento, in realtà i mercati pubblici dell’UE hanno difficoltà ad attirare nuovi emittenti e il numero di offerte pubbliche iniziali non vede alcun aumento significativo. Soltanto 3 000 degli oltre 20 milioni di PMI esistenti sono quotate e, rispetto al periodo precedente alla crisi finanziaria, solo la metà è stata oggetto di un’offerta pubblica iniziale. L’insufficiente liquidità su questi mercati si traduce in costi più elevati a carico degli emittenti per reperire capitali e nella riluttanza ad investire da parte dei detentori di capitale; di conseguenza gli intermediari del mercato sono meno inclini a sostenere le piccole società quotate.

3.8.

I finanziamenti di capitale di rischio sono fondamentali per le imprese innovative che creano valore e crescita e, in particolare, per le imprese che presentano un elevato profilo di rischio-rendimento. I finanziamenti di capitale di rischio nella fase di avviamento e in quella iniziale possono promuovere la creazione e lo sviluppo di nuove imprese, mentre altri strumenti di capitale, quali le piattaforme specializzate per la quotazione pubblica delle PMI, possono fornire risorse finanziarie alle PMI innovative e orientate alla crescita. Inoltre, il finanziamento con capitale di rischio può risultare più adatto del finanziamento tramite debito per le PMI che non dispongono di garanzie, hanno flussi di cassa negativi o irregolari, o hanno bisogno di scadenze più lunghe perché i loro investimenti diano frutti (9).

3.9.

I mercati dell’UE sono ancora frammentati e non sembrano in grado di sostenere un gran numero di offerte pubbliche iniziali. Apparentemente l’Europa occupa una posizione di forza in relazione alle imprese ad alta tecnologia innovative e in crescita; tuttavia, quando tali imprese necessitano di robusti investimenti di capitali, generalmente falliscono. Inoltre, le imprese in rapida crescita spesso abbandonano il mercato dell’UE per passare a quello statunitense, dato che sono alla ricerca di sistemi più accessibili di opzioni su azioni.

3.10.

Le società quotate sono meno dipendenti dal finanziamento bancario, possono accedere a una più ampia base di investimenti e presentano una maggiore visibilità pubblica. Ciononostante, occorre fare di più per sviluppare un quadro normativo più idoneo a favorire l’accesso ai finanziamenti pubblici da parte delle piccole e medie imprese (PMI), in particolare promuovendo la denominazione «mercato di crescita per le PMI». Occorre inoltre trovare il giusto equilibrio tra tutela degli investitori e integrità del mercato mediante un’adeguata regolamentazione.

3.11.

Le PMI che dispongono di fonti di finanziamento diversificate sono più solide e competitive, dato che beneficiano di costi ridotti e migliori prospettive di sviluppo. Ciò consente di rafforzare il mercato del lavoro e di offrire migliori opportunità ai cittadini in cerca di un posto di lavoro, indipendentemente dal loro livello di formazione.

3.12.

Il CESE raccomanda alla Commissione europea di prevedere un’ulteriore semplificazione delle norme e dei requisiti relativi ai mercati di crescita per le PMI, in modo da differenziarli maggiormente dai mercati regolamentati e da renderli più attraenti come mercati di ingresso.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il CESE sostiene pienamente gli attuali sforzi tesi a trasformare i mercati dei capitali in un’alternativa di finanziamento credibile, nel quadro del programma per l’Unione dei mercati dei capitali. Tuttavia, sembra poco probabile che tali sforzi siano sufficienti per ridurre i significativi ostacoli presenti sul mercato. Le PMI non sembrano modificare il loro comportamento in materia di finanziamento, pertanto molto deve ancora essere fatto in questo ambito. La Commissione ha riconosciuto che si tratta soltanto di un passo in avanti e non di una soluzione completa a tutti i problemi dei mercati finanziari.

Tabella 2

Tipi di finanziamento che le PMI vorrebbero fossero più frequenti nella combinazione di finanziamenti nei prossimi tre anni, UE-28 (10)

Image

4.2.

Il CESE ritiene che le misure proposte siano un passo nella direzione giusta, anche se resta ancora da vedere se saranno in grado di ridurre i costi di conformità, alleggerire gli oneri e favorire la liquidità di mercato, considerato che tutti questi obiettivi sono piuttosto ambiziosi.

4.3.

Il CESE ritiene che il numero limitato di PMI che ottengono l’accesso ai finanziamenti sul mercato sia dovuto anche alla mancanza di comunicazione destinata alla base. I messaggi e gli strumenti disponibili a livello di UE non raggiungono i livelli più bassi della catena, vale a dire le PMI alle quali sono destinati. Questo è dovuto a diverse ragioni, soprattutto all’insufficiente comunicazione e interazione proattiva tra Bruxelles e gli Stati membri, le associazioni di PMI, le parti sociali o le camere di commercio. Il CESE ha messo in guardia riguardo a questo problema in un precedente parere (11), ma finora non ha notato alcun miglioramento.

4.4.

D’altro canto, il basso numero di investitori istituzionali sui mercati delle azioni e obbligazioni delle PMI può essere dovuto alla mancanza di incentivi previsti per detti investitori, in particolare per quanto riguarda i trattamenti fiscali. Il CESE raccomanda alla Commissione di esaminare tale possibilità.

4.5.

Il CESE accoglie con favore la proposta di prolungare di due giorni il termine per rendere pubbliche le operazioni effettuate dalle persone che esercitano funzioni di amministrazione, di controllo o di direzione. Si tratta di uno strumento importante per preservare la trasparenza e la simmetria dei mercati junior, ma il termine di tre giorni costituiva un grave ostacolo per le PMI. Secondo il CESE, la modifica proposta permetterà di adottare una procedura più razionalizzata nei periodi più difficili o in quelli di punta per le imprese. Il CESE raccomanda alla Commissione di esplorare soluzioni che permettano di eliminare gli oneri amministrativi per le imprese e di trasferirli ad altri attori, come le autorità nazionali competenti.

4.6.

Il CESE ha già espresso il suo pieno sostegno alla semplificazione e alla razionalizzazione dei requisiti per i prospetti da pubblicare per l’offerta al pubblico dei titoli sui mercati regolamentati, rendendoli più efficienti sul piano dei costi e più utili agli investitori in termini di informazioni fornite (12). Ogni nuova proposta volta a realizzare questo obiettivo è molto apprezzata. Tenuto conto della grande quantità di informazioni che le imprese sui mercati di crescita per le PMI sono tenute a comunicare a norma del regolamento sugli abusi di mercato e della direttiva 2014/65/UE, il CESE ritiene che un prospetto di trasferimento semplificato sia sufficiente per le imprese che passano a un mercato regolamentato.

4.7.

Inoltre, il CESE sosterrebbe la semplificazione progressiva del prospetto in caso di trasferimento verso un mercato regolamentato di quelle imprese che risultano quotate per un numero ragionevole di anni su un mercato di crescita per le PMI.

4.8.

Il CESE accoglie con favore la proposta di mantenere solo degli elenchi di persone aventi accesso permanente a informazioni privilegiate per le imprese quotate sui mercati di crescita per le PMI, dato che il numero dei dipendenti che hanno accesso a informazioni privilegiate è limitato e subisce variazioni limitate. Questa misura consente di realizzare una notevole riduzione degli oneri amministrativi.

4.9.

Il CESE è favorevole a modificare il regime dei sondaggi di mercato, dato che le modifiche proposte agevoleranno l’emissione di obbligazioni societarie da parte degli emittenti dei mercati di crescita per le PMI. Per quanto riguarda le giustificazioni che gli emittenti dei mercati di crescita per le PMI dovranno fornire quando la comunicazione al pubblico di informazioni privilegiate avviene con ritardo, il CESE ritiene che i chiarimenti richiesti caso per caso dalle autorità nazionali competenti, a seguito della notifica da parte dell’emittente, non dovrebbero essere troppo dettagliati né troppo prescrittivi.

4.10.

Il regolamento sugli abusi di mercato è all’origine di costi amministrativi e legali e può essere considerato dagli emittenti di paesi terzi come un ostacolo alla quotazione sui mercati dell’UE. Il CESE raccomanda che siano apportate ulteriori modifiche per adeguare i requisiti per i mercati di crescita per le PMI.

4.11.

Benché i contratti di liquidità siano da accogliere favorevolmente, soprattutto per i mercati scarsamente sviluppati, una proposta a livello europeo creerebbe condizioni di parità che consentono di stabilire delle condizioni locali. Il CESE ritiene che il 29o regime in materia di contratti di liquidità, che la Commissione sta attualmente mettendo a punto, darà agli emittenti di mercato la possibilità di concludere contratti di liquidità sulla base o della legislazione nazionale, laddove esiste, o di una normativa a livello europeo.

4.12.

La proposta della Commissione costituisce un chiaro passo avanti. Tuttavia, il CESE suggerisce di prevedere periodicamente delle valutazioni d’impatto con un ampio accesso a dati non confidenziali e analisi basate su indicatori quantitativi.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 15.

(2)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 15.

(3)  Marcin Szczepanski, Helping European SMEs to grow: Start-up and scale-up initiatives for business ventures in the EU («Aiutare le PMI europee a crescere: le iniziative in materia di start-up e scale-up per le attività imprenditoriali nell’UE»).

(4)  EIBIS 2016/2017: Surveying Corporate Investment Activities, Needs and Financing in the EU («Indagine della BEI 2016/2017: Indagine sulle attività, le esigenze e i finanziamenti degli investimenti delle imprese nell'UE»), Banca europea per gli investimenti, 2017.

(5)  Apostolos Thomadakis, Developing EU Capital Markets for SMEs: Mission impossible? («Sviluppare i mercati dei capitali dell'UE per le PMI: una missione impossibile?»), Osservazioni dell'ECMI n. 46, 4 settembre 2017.

(6)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 15.

(7)  GU C 177 del 18.5.2016, pag. 9.

(8)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 20.

(9)  Iota Kaousar Nassr e Gert Wehinger, Opportunities and limitations of public equity markets for SMEs («Opportunità e limiti dei mercati pubblici di capitale per le PMI»), OECD Journal: Financial Market Trends 2015/1, pagg. 49-84.

(10)  Apostolos Thomadakis, Developing EU Capital Markets for SMEs: Mission impossible? («Sviluppare i mercati dei capitali dell'UE per le PMI: una missione impossibile?»), Osservazioni dell'ECMI n. 46, 4 settembre 2017.

(11)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 15.

(12)  GU C 177, del 18.5.2016, pag. 9.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/85


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2009/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità»

[COM(2018) 336 final — 2018/0168 (COD)]

(2018/C 440/13)

Relatore:

Christophe LEFÈVRE

Consultazione

Consiglio, 06/06/2018

Parlamento europeo, 11/06/2018

Base giuridica

Articolo 114, paragrafo 1, del TFUE

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

04/09/2018

Adozione in sessione plenaria

19/09/2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

191/0/6

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente le proposte presentate dalla Commissione attraverso la modifica della direttiva concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità. Il CESE, tuttavia, si rammarica che la Commissione non abbia colto questa opportunità per anticipare gli sviluppi relativi ai veicoli autonomi, nonostante le osservazioni formulate nella valutazione d’impatto (1) che accompagna la proposta.

1.2.

Per quanto riguarda il rafforzamento della protezione delle vittime di incidenti stradali in caso di insolvenza dell’assicuratore, il Comitato considera pertinente la proposta che prevede l’indennizzo delle persone lese da parte dell’organismo pertinente dello Stato membro di residenza delle stesse. Tuttavia, la Commissione esclude l’intervento di detto organismo qualora la vittima abbia presentato richiesta di indennizzo direttamente all’assicuratore o intrapreso un’azione legale contro lo stesso. Il Comitato raccomanda pertanto che tale esclusione non si applichi se nel frattempo l’assicuratore è soggetto a procedura di fallimento o di liquidazione o se la vittima autorizza l’organismo a subentrare in quanto beneficiario delle azioni di ricorso, al fine di ottenere più rapidamente il risarcimento. Il Comitato raccomanda che i livelli di indennizzo (poste di danno) applicati, tra quello del paese in cui si è verificato il sinistro e quello del paese di residenza, siano quelli più favorevoli alle vittime.

1.3.

Per quanto riguarda un miglior riconoscimento delle attestazioni di sinistralità passata, il Comitato raccomanda di specificare il nome del conducente interessato e il suo grado di responsabilità nel sinistro (totale, parziale o nulla). Il Comitato si interroga sul contenuto dell’attestazione nel contesto di una normativa nazionale che copra un veicolo indipendentemente dal conducente, rispetto a una normativa che preveda invece l’assicurazione di un veicolo con un conducente dichiarato e un premio stabilito in funzione del profilo individuale di rischio e di sinistralità, oppure del titolare della patente di guida, indipendentemente dal veicolo utilizzato. Il Comitato invita la Commissione a imporre l’obbligo di presentare certificati di assicurazione e attestazioni di sinistralità passata su supporti protetti e a consentire, al fine di verificarne la validità, l’uso di una banca dati interconnessa accessibile alle forze dell’ordine.

1.4.

Per quanto riguarda i controlli dell’assicurazione per contrastare la circolazione di veicoli non assicurati, il Comitato accoglie con favore la proposta di utilizzare le tecnologie di riconoscimento delle targhe nell’ambito di un sistema nazionale per controllare i veicoli senza doverli fermare. In caso di assenza di un contratto di assicurazione, il Comitato raccomanda il fermo del veicolo fino alla presentazione di un certificato di assicurazione valido.

1.5.

Per quanto riguarda l’armonizzazione degli importi minimi di copertura, il Comitato raccomanda alla Commissione di fissare un termine definitivo entro il quale completare l’istituzione di soglie minime di indennizzo.

1.6.

In merito al campo d’applicazione della direttiva, il Comitato accoglie con favore il chiarimento relativo al concetto di mezzo di trasporto su terreni pubblici o privati, fermo o in movimento, escluso un impiego esclusivamente agricolo dei veicoli in questione. Tuttavia, sarà opportuno garantire che i veicoli agricoli che circolano sulla pubblica via siano soggetti alla direttiva.

1.7.

Infine, per quanto riguarda la coerenza con le disposizioni vigenti nel settore normativo interessato, il Comitato considera inoltre che le proposte della Commissione sostengano la libera circolazione delle persone e dei beni e i principi del mercato interno, garantendo la libera prestazione di servizi, e la libertà di stabilimento da parte degli assicuratori.

2.   Contesto e introduzione

2.1.

La Commissione europea propone una modifica della direttiva 2009/103/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (2) concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità.

2.2.

L’obiettivo della Commissione è quello di accrescere la protezione (attualmente insufficiente) delle vittime di incidenti automobilistici, di ridurre le differenze di trattamento nell’UE per gli assicurati per quanto riguarda il bonus/malus e di integrare le sentenze emesse dalla Corte di giustizia dell’Unione europea dall’applicazione della prima direttiva dell’UE sull’assicurazione degli autoveicoli, adottata nel 1972.

2.3.

La direttiva costituisce uno strumento giuridico fondamentale che rafforza il corretto funzionamento del mercato unico in materia di libertà di circolazione, in quanto consente ai residenti di circolare ovunque nell’UE sulla base di un premio unico, senza la necessità di acquistare un’assicurazione aggiuntiva; essa è tesa inoltre a garantire un elevato livello di convergenza per quanto riguarda la protezione delle vittime di incidenti automobilistici.

2.4.

La legislazione dell’UE è fondata sul sistema della carta verde internazionale, che non dipende dall’Unione e che coinvolge 48 paesi. Gli elementi chiave della direttiva 2009/103/CE sono i seguenti:

l’obbligo per i veicoli a motore di disporre di una polizza di assicurazione della responsabilità civile autoveicoli, valida per tutte le parti dell’Unione europea, sulla base di un premio unico;

gli importi minimi obbligatori di copertura che tali polizze di assicurazione devono fornire (gli Stati membri possono richiedere una copertura più elevata a livello nazionale);

il divieto per gli Stati membri di svolgere controlli sistematici dell’assicurazione dei veicoli che stazionano abitualmente in un altro Stato membro;

l’obbligo per gli Stati membri di creare fondi di garanzia per il risarcimento delle vittime di incidenti causati da veicoli non assicurati o non identificati;

la protezione per le vittime di incidenti stradali in uno Stato membro diverso dal loro Stato membro di residenza («vittime che si trovano all’estero»);

il diritto per gli assicurati di ottenere una dichiarazione della sinistralità passata degli ultimi cinque anni dal loro assicuratore.

2.5.

Nel quadro del programma di lavoro della Commissione per il 2016 e del piano d’azione riguardante i servizi finanziari del marzo 2017, nello stesso anno si è svolta una valutazione (3) della direttiva 2009/103/CE, e sono state emesse due sentenze della CGUE. Detti elementi hanno indotto la Commissione a presentare la proposta in esame.

2.5.1.   Accrescere la protezione delle vittime di incidenti stradali in caso di insolvenza dell’assicuratore

2.5.1.1.

La Commissione propone di istituire in ciascuno Stato membro un organismo per indennizzare le parti lese che risiedono abitualmente all’interno del suo territorio, almeno entro i limiti dell’assicurazione obbligatoria, per i danni alle persone o i danni alle cose causati da un veicolo assicurato, in mancanza di una risposta motivata sugli elementi invocati nella richiesta d’indennizzo entro tre mesi, o in caso di fallimento o liquidazione dell’impresa di assicurazione o riassicurazione. Da tale indennizzo sono escluse le persone lese che abbiano già presentato una richiesta direttamente all’impresa di assicurazione o intrapreso un’azione legale contro la stessa, se tale richiesta o azione è ancora pendente.

2.5.1.2.

La Commissione prevede che questo organismo possa chiedere il rimborso dell’indennizzo da parte dell’organismo del paese ove ha sede l’impresa responsabile.

2.5.2.   Migliorare il riconoscimento delle attestazioni di sinistralità passata, in particolare in contesto transfrontaliero

2.5.2.1.

La direttiva vigente impone agli assicuratori di presentare un’attestazione della sinistralità passata relativa agli ultimi cinque anni, ma non vi è nessun obbligo di tenerne conto nel calcolo dei premi assicurativi.

2.5.2.2.

La Commissione raccomanda di uniformare contenuto e formato di tali attestazioni, che dovrebbero indicare in modo preciso gli elementi necessari all’adeguamento dei premi in funzione della sinistralità e a rendere sicure le attestazioni.

2.5.3.   Controlli dell’assicurazione per contrastare la circolazione di veicoli non assicurati

2.5.3.1.

La Commissione raccomanda l’impiego delle tecnologie di riconoscimento delle targhe per eseguire controlli senza ostacolare i veicoli, nel quadro di un sistema generale di controllo nazionale, procedura che non interferisce con la libera circolazione delle persone e dei veicoli.

2.5.3.2.

La Commissione precisa che tale verifica dell’assicurazione dei veicoli che entrano nel territorio nazionale comporta uno scambio di dati tra gli Stati membri.

2.5.4.   Armonizzazione degli importi minimi di copertura

2.5.4.1.

La Commissione rileva inoltre che i livelli minimi di indennizzo sono diversi a seconda dei paesi, per effetto in particolare del mancato adeguamento degli stessi durante il periodo di transizione, e raccomanda pertanto di armonizzare gli importi minimi di copertura, lasciando liberi gli Stati membri di imporre livelli più elevati.

2.5.5.   Campo di applicazione della direttiva

2.5.5.1.

Integrando tre sentenze della CGUE (4), la Commissione chiarisce il campo d’applicazione dell’obbligo di assicurazione della responsabilità civile autoveicoli, escludendo gli incidenti in cui il veicolo è stato utilizzato esclusivamente per uso agricolo: la direttiva si applica a qualsiasi attività coerente con la funzione abituale di un veicolo come mezzo di trasporto, che si trovi sulla pubblica via o su un terreno privato e che sia fermo o in movimento.

2.6.   Coerenza con le altre politiche dell’Unione

2.6.1.

La Commissione rileva che le sue proposte sostengono la libera circolazione delle persone e dei beni, i principi del mercato interno, garantendo la libera prestazione di servizi, e la libertà di stabilimento da parte degli assicuratori.

3.   Osservazioni

3.1.

Il CESE accoglie favorevolmente le proposte presentate dalla Commissione attraverso la modifica della direttiva concernente l’assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità. Esse si basano sull’esperienza acquisita, come previsto dal quadro legislativo, ma anche sulle valutazioni d’impatto e sulle consultazioni pubbliche, nonché sull’integrazione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.

3.2.   Accrescere la protezione delle vittime di incidenti stradali in caso di insolvenza dell’assicuratore

3.2.1.

Il Comitato considera pertinente la proposta di indennizzo delle vittime da parte dell’organismo dello Stato membro di residenza, per porre rimedio all’assenza di assicuratori, o in mancanza di una risposta motivata entro un periodo di tempo ragionevole, e accoglie con favore il fatto che l’organismo del paese di residenza della vittima possa chiedere il rimborso all’organismo del paese ove ha sede l’assicuratore responsabile.

3.2.2.

Considerando tuttavia che la proposta esclude che l’organismo di gestione sia tenuto a risarcire la vittima qualora essa abbia presentato richiesta di indennizzo direttamente all’assicuratore, o se è in corso un procedimento giudiziario, il Comitato raccomanda che tale esclusione non si applichi nei seguenti casi:

se nel frattempo l’assicuratore è soggetto a procedura di fallimento o di liquidazione;

in caso di revoca dell’autorizzazione delle autorità di controllo;

se la vittima autorizza l’organismo a subentrare in quanto beneficiario delle azioni di ricorso, in modo da essere indennizzata in tempi molto rapidi.

Il Comitato raccomanda che i livelli di indennizzo (poste di danno) applicati, tra quello del paese in cui si è verificato il sinistro e quello del paese di residenza, siano quelli più favorevoli alle vittime.

3.3.   Migliorare il riconoscimento delle attestazioni di sinistralità passata, in particolare in contesto transfrontaliero

3.3.1.

Il Comitato accoglie con favore l’obbligo di presentare sistematicamente un’attestazione contenente informazioni standardizzate, in cui si indichi l’esistenza o meno di sinistri, relativa agli ultimi cinque anni.

3.3.2.

Il Comitato raccomanda inoltre di specificare il nome del conducente interessato e il suo grado di responsabilità nel sinistro (totale, parziale o nulla).

3.3.3.

Il Comitato si interroga sul contenuto dell’attestazione nel contesto di una normativa nazionale che copra un veicolo indipendentemente dal conducente, rispetto a una normativa che preveda invece l’assicurazione di un veicolo con un conducente dichiarato e un premio stabilito in funzione del profilo individuale di rischio e di sinistralità, oppure del titolare della patente di guida, indipendentemente dal veicolo utilizzato.

3.3.4.

Tuttavia, il Comitato si interroga in merito alla situazione derivante dagli autoveicoli senza conducente, o eventualmente al concetto di «conducente» responsabile quando il veicolo a motore è comandato a distanza.

3.3.5.

Il Comitato constata che la Commissione non ha intenzione di legiferare in materia di frode documentale connessa alle attestazioni di sinistralità o ai certificati di assicurazione.

3.3.6.

Il Comitato invita la Commissione a imporre l’obbligo di presentare certificati di assicurazione e attestazioni di sinistralità passata su supporti protetti e a consentire, al fine di verificarne la validità, l’uso di una banca dati interconnessa accessibile alle forze dell’ordine.

3.3.7.

Il Comitato rileva che la Commissione non fa alcun riferimento al finanziamento della creazione dei sistemi di interconnessione transfrontaliera.

3.4.   Controlli dell’assicurazione per contrastare la circolazione di veicoli non assicurati

3.4.1.

Il Comitato accoglie con favore la proposta di utilizzare le tecnologie di riconoscimento delle targhe per controllare i veicoli senza ostacolarli, purché i controlli effettuati rientrino in un sistema nazionale generale di controllo, non siano discriminatori e non impongano di fermare il veicolo.

3.4.2.

Tuttavia, la Commissione non si pronuncia sulla sorte dei veicoli che in seguito a tali controlli risultino privi di protezione assicurativa. Il Comitato raccomanda il fermo del veicolo fino alla presentazione di un certificato di assicurazione valido o scaduto da meno di un mese.

3.4.3.

La Commissione precisa che la verifica dell’assicurazione dei veicoli che entrano nel territorio nazionale comporta lo scambio di dati tra gli Stati membri, e che è necessario salvaguardare i diritti, le libertà e l’interesse legittimo dell’interessato a norma del regolamento generale dell’UE sulla protezione dei dati (RGPD).

3.4.4.

Tuttavia, la Commissione nulla dice in merito all’ente incaricato della gestione, né al costo della creazione e della manutenzione di una banca dati interconnessa dei contratti di assicurazione validi o non validi.

3.5.   Armonizzazione degli importi minimi di copertura

3.5.1.

Il Comitato concorda con l’analisi della Commissione circa l’esistenza, in quasi la metà degli Stati membri, di livelli minimi diversi e in particolare non conformi, in quanto inferiori alle soglie previste dalla direttiva.

3.5.2.

Al di là della semplice raccomandazione di un’armonizzazione dei livelli (5), il Comitato esorta la Commissione di fissare un termine definitivo, per esempio la fine del 2019, entro il quale completare l’istituzione di soglie minime di indennizzo, anche se il termine è già decorso.

3.5.3.

Il Comitato raccomanda che i livelli di indennizzo (poste di danno) applicati, tra quello del paese in cui si è verificato il sinistro e quello del paese di residenza, siano quelli più favorevoli alle vittime.

3.6.   Campo di applicazione della direttiva

3.6.1.

Il Comitato accoglie con favore il chiarimento relativo al concetto di mezzo di trasporto su terreni pubblici o privati, fermo o in movimento, esclusi i veicoli a esclusivo uso agricolo. Tuttavia, sarà opportuno garantire che i veicoli agricoli che circolano sulla pubblica via siano soggetti alla direttiva.

3.7.   Coerenza con le disposizioni vigenti nel settore normativo interessato

3.7.1.

Il Comitato considera inoltre che le proposte della Commissione sostengano la libera circolazione delle persone e dei beni e siano conformi ai principi del mercato interno, garantendo la libera prestazione di servizi, e la libertà di stabilimento da parte degli assicuratori.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/10102/2018/EN/SWD-2018-247-F1-EN-MAIN-PART-1.PDF

(2)  GU L 261 del 7.10.2009, pag. 11.

(3)  https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/initiatives/com-2017-3714481_it

(4)  Sentenza Vnuk (2014 C-162/13), sentenza Rodrigues de Andrade (2017 C-514/16), sentenza Torreiro (2017 C-334/16).

(5)  Direttiva 84/5/CEE, modificata dalla direttiva 2005/14/CE.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/90


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai requisiti di omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, nonché di sistemi, componenti ed entità tecniche destinati a tali veicoli, per quanto riguarda la loro sicurezza generale e la protezione degli occupanti dei veicoli e degli altri utenti vulnerabili della strada, che modifica il regolamento (UE) 2018/… e abroga i regolamenti (CE) n. 78/2009, (CE) n. 79/2009 e (CE) n. 661/2009»

[COM(2018) 286 final — 2018/0145 (COD)]

(2018/C 440/14)

Relatore:

Raymond HENCKS

Consultazione

Parlamento europeo, 28.5.2018

Consiglio, 4.6.2018

Base giuridica

Articolo 114, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

193/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Nel corso degli ultimi decenni la sicurezza stradale nell'Unione europea è migliorata notevolmente grazie al rafforzamento del codice della strada, alla maggiore severità delle disposizioni riguardanti il comportamento dei conducenti e le condizioni di lavoro e di formazione dei conducenti professionali, al miglioramento delle infrastrutture stradali e delle prestazioni dei servizi di soccorso, nonché all'introduzione, da parte dell'UE, di requisiti legislativi più rigorosi in materia di sicurezza dei veicoli, requisiti ai quali l'industria automobilistica ha sempre trovato il modo di rispondere con soluzioni tecniche innovative.

1.2

Ciò nonostante, il numero di vittime di incidenti stradali nell'UE resta ben al di sopra dell'obiettivo che essa si è prefissa nel Libro bianco sui trasporti del 2011, che prevedeva, in particolare, di avvicinarsi al traguardo di «zero vittime» entro il 2050 e di dimezzare il numero di incidenti mortali sulle strade entro il 2020.

1.3

La maggior parte degli incidenti stradali è da ricondurre esclusivamente all'errore umano, legato perlopiù all'eccesso di velocità, alla distrazione oppure alla guida in stato di ebbrezza. Si dovrà quindi incoraggiare ulteriormente, se non addirittura costringere, i cittadini dell'Unione ad assumersi, adottando un comportamento appropriato, la responsabilità primaria della loro stessa sicurezza e di quella degli altri utenti della strada nell'UE.

1.4

È dunque opportuno adottare un approccio integrato alla sicurezza stradale, che riguardi i comportamenti dei conducenti, le condizioni di lavoro e le competenze dei conducenti professionisti e le infrastrutture. Anche i sistemi di sicurezza installati a bordo dei veicoli, in grado di prevenire o correggere alcuni errori umani, rappresentano un fattore decisivo per la sicurezza.

1.5

Il CESE accoglie con favore l'obiettivo della Commissione di rendere obbligatoria una nuova serie di misure avanzate di sicurezza come dotazione standard per tutti i veicoli stradali, e segnatamente sistemi di monitoraggio della pressione degli pneumatici, di adattamento intelligente della velocità, di monitoraggio dell'attenzione e della stanchezza del conducente, di riconoscimento della distrazione, di rilevamento in retromarcia, di segnalazione di arresto di emergenza e di frenata di emergenza.

1.6

Il CESE condivide altresì la scelta di imporre ad autocarri e autobus di munirsi di sistemi capaci di rilevare e segnalare la presenza di utenti vulnerabili della strada situati nelle immediate vicinanze della parte anteriore e del lato destro del veicolo, progettati e costruiti in modo da rendere più visibili gli utenti vulnerabili della strada dal sedile del conducente, con un sistema di avviso di deviazione dalla corsia; così come accoglie con favore l'obbligo supplementare di progettare e costruire autobus accessibili anche alle persone a mobilità ridotta, comprese le persone su sedia a rotelle.

1.7

Tuttavia, si chiede per quale motivo la Commissione non renda obbligatorio un dispositivo di tipo alcolock e si limiti a prevederne un'installazione semplificata. Il CESE ritiene infatti che l'installazione di un alcolock dovrebbe essere un obbligo, e non un'opzione.

1.8

Inoltre, il CESE raccomanda di prevedere un registratore di dati di evento (incidente) anche per gli autocarri e gli autobus, perché, sebbene i tachigrafi dei veicoli forniscano già alcuni dati relativi alla guida, essi non memorizzano i dati essenziali durante e dopo un incidente.

1.9

Infine, il CESE deplora che i sistemi di sicurezza più restrittivi di quelli imposti dalla legislazione europea, che alcuni fabbricanti installano su base volontaria, siano spesso limitati ai modelli di alta gamma, a scapito di altri veicoli meno costosi che sono privi dei dispositivi avanzati di sicurezza non obbligatori. Ne consegue che non tutti i cittadini dell'UE hanno accesso ad automobili con un livello di sicurezza equivalente. Per rimediare a questa situazione, il CESE raccomanda alla Commissione di imporre, per quanto riguarda il regolamento in esame così come regola generale, l'adeguamento delle norme europee agli sviluppi tecnologici in tempi più brevi.

1.10

Ciò vale anche per gli autocarri e gli autobus, in particolare per quanto riguarda il sistema di rilevamento e di segnalazione della presenza di utenti nelle immediate vicinanze della parte anteriore e del lato destro del veicolo (lato marciapiede), la cui installazione è prevista dal regolamento proposto, ma dovrebbe anch'essa diventare obbligatoria in tempi più brevi.

2.   Introduzione

2.1

Nel corso degli ultimi decenni la sicurezza stradale è migliorata in misura significativa, soprattutto grazie ai sistemi avanzati di sicurezza installati a bordo dei veicoli, al miglioramento delle infrastrutture stradali, al rafforzamento delle norme del codice della strada, alle campagne di sensibilizzazione e alla rapidità e competenza dei servizi di pronto intervento.

2.2

Tuttavia, permangono notevoli disparità tra gli Stati membri, e ciò nonostante l'impegno profuso dalla Commissione europea, la quale, attraverso i suoi vari programmi e orientamenti, mira ad armonizzare le norme di sicurezza in tutta l'Unione europea.

2.3

Così, ad esempio:

la segnaletica stradale e l'età minima per la guida non sono le stesse dappertutto;

in alcuni paesi è consentito l'uso di telefoni cellulari durante la guida con un kit «mani libere»;

il tasso massimo autorizzato di alcool nel sangue varia, a seconda degli Stati membri, tra la tolleranza zero e un'impostazione più permissiva;

i limiti di velocità sono differenti;

l'equipaggiamento di sicurezza necessario per i ciclisti (casco) e per gli automobilisti (giubbotto fluorescente, triangolo di segnalazione di pericolo, kit di pronto soccorso, estintore) non è lo stesso dappertutto.

2.4

Nel 2017 sulle strade dell'UE hanno perso la vita 25 300 persone, ossia il 2 % in meno rispetto al 2016 (1); un calo che, tuttavia, resta ampiamente insufficiente per ridurre in misura significativa il numero di decessi sulle strade (2), in modo da avvicinarsi all'obiettivo di zero vittime nel trasporto su strada entro il 2050.

2.5

L'anno scorso circa 135 000 persone hanno riportato lesioni gravi (3), e molte di queste persone erano pedoni, ciclisti e motociclisti, considerati dalla Commissione come utenti della strada particolarmente «vulnerabili».

2.6

Secondo la Commissione europea, il costo socioeconomico degli incidenti stradali (cure mediche, invalidità ecc.) si può stimare in 120 miliardi di EUR l'anno.

3.   Proposta della Commissione

3.1

L'iniziativa in esame fa parte del terzo pacchetto sulla mobilità intitolato «L'Europa in movimento», che mira a rendere più sicura e accessibile la mobilità europea, più competitiva l'industria europea e più sicuri i posti di lavoro in Europa, seguendo metodi più puliti e più adatti alla necessità di affrontare i cambiamenti climatici, in particolare tramite l'introduzione di requisiti più rigorosi per i dispositivi di sicurezza dei veicoli stradali.

3.2

Dato che le disposizioni attuali relative alla procedura di omologazione UE per tipo di veicolo nel contesto della protezione dei pedoni e della sicurezza dell'idrogeno sono in gran parte superate dagli sviluppi tecnologici, i regolamenti (CE) n. 78/2009 (protezione dei pedoni), (CE) n. 79/2009 (autoveicoli alimentati a idrogeno) e (CE) n. 661/2009 (requisiti dell'omologazione per la sicurezza generale dei veicoli a motore) sono abrogati e sostituiti dalle disposizioni equivalenti dei regolamenti della commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (regolamenti UNECE) e dalle relative modifiche cui l'Unione ha dato voto favorevole o che l'Unione applica, in conformità della decisione n. 97/836/CE.

3.3

In generale, l'ambito di applicazione del regolamento sulla sicurezza generale dei veicoli a motore (GSR) viene mantenuto; tuttavia, per quanto riguarda i dispositivi di sicurezza dei veicoli attualmente applicabili e le relative esenzioni, tale ambito è stato esteso fino a comprendere tutte le categorie di veicoli e ad eliminare le attuali esenzioni relative ai veicoli utilitari sportivi (SUV) e ai furgoni.

3.4

La proposta di regolamento in esame stabilisce i requisiti tecnici generali per l'omologazione di veicoli, sistemi, componenti ed entità tecniche, e contiene un elenco di aspetti relativi alla sicurezza per i quali sono ulteriormente elaborate (od occorre elaborare) norme dettagliate in sede di diritto derivato. Tutti i regolamenti di sicurezza stradale dell'UNECE che si applicano obbligatoriamente nell'UE sono elencati in un allegato della proposta di regolamento in esame.

3.5

La proposta prevede inoltre di conferire alla Commissione il potere di stabilire norme dettagliate e requisiti tecnici all'interno di atti delegati.

3.6

L'ambito di applicazione del requisito attualmente vigente che impone di montare sulle autovetture un sistema di monitoraggio della pressione degli pneumatici è esteso a tutte le categorie di veicoli.

3.7

Viene resa obbligatoria per tutti i veicoli una serie di dispositivi avanzati di sicurezza, come l'adattamento intelligente della velocità, i sistemi di monitoraggio dell'attenzione e della stanchezza del conducente o di riconoscimento della distrazione, il rilevamento in retromarcia, la segnalazione di arresto di emergenza, l'interfaccia di installazione di dispositivi di tipo alcolock e il sistema avanzato di frenata d'urgenza.

3.8

Le autovetture e i veicoli commerciali leggeri dovranno inoltre essere dotati di:

un registratore dei dati di evento (incidente),

un sistema di mantenimento della corsia e

un sistema di protezione frontale progettato e costruito in modo da offrire agli utenti vulnerabili della strada una protezione antiurto più ampia per la testa.

Gli autocarri (categorie N2 e N3) e gli autobus (categorie M2 e M3) devono:

essere dotati di un sistema di rilevamento e segnalazione della presenza di utenti vulnerabili della strada situati in prossimità della parte anteriore del veicolo o sul lato del marciapiede, ed essere progettati e costruiti in modo da migliorare la visibilità diretta degli utenti vulnerabili della strada dal posto di guida, e

essere muniti di un sistema di avviso di deviazione dalla corsia.

Gli autobus, inoltre, devono essere progettati e costruiti in modo da essere accessibili alle persone a mobilità ridotta come gli utenti di sedie a rotelle.

I veicoli alimentati a idrogeno devono essere conformi ai requisiti di cui all'allegato V del regolamento in esame.

In relazione ai veicoli automatizzati, è necessario elaborare ulteriori norme e requisiti tecnici dettagliati in materia di sicurezza, che fungano da base per la diffusione di tali veicoli.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE si congratula con la Commissione europea per la sua iniziativa volta a rendere obbligatoria una nuova serie di misure avanzate di sicurezza come dotazione standard per i veicoli stradali. Tuttavia, desidera ricordare che, oltre a rivedere le norme minime obbligatorie per le autovetture nuove vendute sul mercato europeo, è necessario incoraggiare ulteriormente, se non addirittura costringere, i cittadini dell'Unione ad assumersi, con un comportamento appropriato, la responsabilità primaria della loro stessa sicurezza e di quella degli altri utenti della strada nell'UE.

4.2

Di per sé, le nuove misure relative ai dispositivi di sicurezza a bordo dei veicoli rischiano, per quanto utili e necessarie, di avere soltanto un effetto limitato sulla riduzione degli incidenti stradali gravi perseguita, in assenza di altre misure complementari relative al comportamento degli utenti della strada, alle condizioni di lavoro e alle competenze dei conducenti professionisti e alle infrastrutture stradali. La persistenza di un numero elevato di incidenti stradali, che si traduce in un numero elevato di decessi e di lesioni gravi, esige un ulteriore adeguamento dinamico della politica di sicurezza stradale, nel cui ambito, oltre a rafforzare i requisiti relativi ai dispositivi di sicurezza nei veicoli stradali e ad attuare misure preventive, occorrerà adottare anche misure dissuasive contro tutti coloro che non rispettano le norme e mettono in pericolo la propria vita e quella degli altri.

4.3

Il CESE reputa che, anche se è necessario promuovere le tecnologie di interazione tra i conducenti, come pure i sistemi di trasporto intelligenti (STI), non ci si possa aspettare che la mobilità del futuro, e in particolare i sistemi di trasporto intelligente e di guida completamente automatizzata, riesca, a breve e medio termine, ad affrontare le sfide attuali.

4.4

Secondo la Commissione, il nuovo quadro sarà più adatto a migliorare la protezione degli utenti vulnerabili della strada. L'articolo 3, paragrafo 1, del regolamento proposto definisce l'utente vulnerabile come «un utente della strada che utilizza un veicolo a motore a due ruote o un utente della strada non motorizzato, quali pedoni o ciclisti». Il CESE ritiene che questa definizione non copra necessariamente tutte le categorie «ad alto rischio», tra cui le persone che presentano una fragilità intrinseca a causa della loro età (bambini, anziani) o in quanto portatori di una disabilità.

4.5

È noto che i rischi sostenuti dagli utenti della strada sono dovuti principalmente ai comportamenti dei conducenti (eccesso di velocità, abuso di alcol o di stupefacenti, uso di apparecchi elettronici portatili durante la guida di un veicolo, momenti di distrazione, condizioni fisiche, tempi di guida troppo lunghi, mancato rispetto dei tempi di riposo) e all'inadeguatezza delle infrastrutture (assenza di spazi riservati ai pedoni, mancanza di un'illuminazione adeguata alle situazioni).

4.6

Il CESE, pertanto, concorda sulla scelta della Commissione che, per prevenire una parte di tali rischi, impone di installare sistematicamente nei veicoli nuovi:

un sistema di regolazione reattivo e di adattamento intelligente della velocità, che, oltre all'aspetto della sicurezza, incoraggia uno stile di guida che favorisce il risparmio di carburante e quindi la riduzione dell'inquinamento,

un sistema di controllo della pressione degli pneumatici,

sistemi avanzati di monitoraggio dell'attenzione e della stanchezza del conducente e di riconoscimento della distrazione.

4.7

Tuttavia, si chiede per quale motivo la proposta di regolamento non imponga l'introduzione di un dispositivo di tipo alcolock e si limiti a prevederne un'installazione facilitata. Secondo uno studio dalla Verband der TÜV e.V. (4), infatti, nel 2016 l'11 % degli incidenti è stato causato da conducenti di cui è stato accertato lo stato di ebbrezza. Dato che il numero dei casi di guida in stato di ebbrezza non individuati si situa in un rapporto di 1 a 600, il numero di incidenti causati dall'abuso di alcol è stimato a oltre il 25 %. Il CESE reputa che l'installazione di un etilometro non dovrebbe essere limitata ai recidivi, la cui patente è stata sospesa dalla sentenza di un giudice per guida sotto l'influenza di alcol o droghe, bensì essere obbligatoria per tutti.

4.8

Il CESE raccomanda di prevedere un registratore di dati di evento (incidente) anche per gli autocarri e gli autobus, perché, sebbene i tachigrafi dei veicoli forniscano già alcuni dati relativi alla guida, essi non memorizzano i dati essenziali durante e dopo un incidente.

4.9

Secondo la valutazione d'impatto della Commissione allegata alla proposta di regolamento in esame, nell'arco di 16 anni l'introduzione dei nuovi dispositivi di sicurezza contribuirà a ridurre i decessi di 24 794 unità e le lesioni gravi di 140 740 unità. Il CESE si domanda se stime siffatte, quantificate fin quasi alla singola unità, non rischino di essere considerate poco credibili e dunque di compromettere il valore aggiunto dell'intera valutazione d'impatto.

4.10

Infine, il CESE richiama l'attenzione sul fatto che alcuni fabbricanti applicano, su base volontaria, delle norme di sicurezza più rigorose di quelle imposte dalla normativa europea. Purtroppo, questi miglioramenti si limitano spesso ai modelli di alta gamma venduti nei principali mercati degli Stati membri, a scapito dei veicoli più economici che sono privi dei dispositivi avanzati di sicurezza non obbligatori. Ne consegue che non tutti i cittadini dell'UE hanno accesso ad automobili con un livello di sicurezza equivalente. Per rimediare a questa situazione, il CESE raccomanda alla Commissione di imporre l'adeguamento delle norme europee agli sviluppi tecnologici in tempi più brevi.

Ciò vale anche per gli autocarri e gli autobus, in particolare per quanto riguarda il sistema di rilevamento e segnalazione della presenza di utenti vulnerabili della strada che si trovano nelle immediate vicinanze della parte anteriore del veicolo e sul lato destro (angolo cieco), la cui installazione dovrebbe anch'essa diventare obbligatoria in tempi più brevi.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Comunicato stampa della Commissione del 10 aprile 2018, IP/18/2761.

(2)  Comunicato stampa della Commissione del 10 aprile 2018, IP/18/2761.

(3)  Comunicato stampa della Commissione del 10 aprile 2018, IP/18/2761.

(4)  https://etsc.eu/wp-content/uploads/5_VdTÜV_DeVol_Brussels.PPT_17.06.18.pdf.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che integra la legislazione dell’UE in materia di omologazione in relazione al recesso del Regno Unito dall’Unione»

[COM(2018) 397 final — 2018/0220 (COD)]

(2018/C 440/15)

Relatore:

Séamus BOLAND

Consultazione

Parlamento europeo, 2.7.2018

Consiglio, 3.7.2018

Base giuridica

Articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

198/0/7

1.   Conclusioni

1.1.

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che è stata presentata dalla Commissione europea per integrare la legislazione dell’UE in materia di omologazione in relazione al recesso del Regno Unito dall’Unione.

1.2.

Il CESE ritiene che la proposta sia incentrata sulle misure concrete necessarie per affrontare le reali conseguenze, sia per l’industria della fabbricazione e distribuzione di veicoli che per i consumatori, derivanti dagli inevitabili cambiamenti giuridici nella certificazione dell’omologazione rilasciata dalle autorità britanniche sulla base della legislazione dell’UE.

1.3.

In tale contesto, il CESE reputa che la proposta in esame debba fungere da modello per molti altri accordi di natura simile che si renderanno necessari per effetto del recesso del Regno Unito.

1.4.

Il CESE raccomanda che nell’accordo sulla proposta in esame venga riconosciuta la necessità di prevedere un arco di tempo ragionevole prima di dare piena attuazione al nuovo sistema. Nel complesso, il termine del 29 marzo è veramente troppo limitativo e dovrebbe essere esteso di comune accordo tra il Regno Unito e l’UE.

1.5.

Il CESE accetta il fatto che, a seguito del recesso del Regno Unito dall’UE, le autorità britanniche incaricate dell’omologazione non potranno più certificare i veicoli ai sensi della legislazione dell’Unione, per cui i produttori con sede nel Regno Unito dovranno ottenere l’omologazione da un’autorità competente che abbia sede in uno dei 27 Stati membri dell’UE. Poiché il governo del Regno Unito ritiene che la sua autorità di omologazione debba essere riconosciuta come tale a livello internazionale, il CESE raccomanda di chiarire questo punto per evitare qualsiasi confusione.

1.6.

Il CESE rileva che la proposta in esame sarà attuata secondo i criteri fissati nell’accordo di recesso negoziato a livello generale e, di conseguenza, raccomanda che essa non venga snaturata in alcun modo.

1.7.

Il CESE osserva che, all’interno dell’UE, potranno rendersi necessari cambiamenti e modifiche delle direttive per effetto di nuove tecnologie, nuove informazioni e così via. Il Comitato raccomanda pertanto di prevedere la necessaria flessibilità nel quadro degli accordi pertinenti affinché sia possibile condurre gli opportuni negoziati.

1.8.

Il CESE raccomanda che tutti gli accordi commerciali globali, come anche quello relativo al recesso dall’UE, tengano conto del fatto che nell’UE e nel Regno Unito esiste un mercato di enormi proporzioni, e tutti gli accordi dovrebbero assicurare che questo mercato non subisca conseguenze negative.

1.9.

Il CESE raccomanda vivamente che i sistemi d’informazione e i servizi di formazione e consulenza del caso siano dotati delle risorse opportune, e siano a disposizione in modo trasparente di tutte le parti del settore, compresi i consumatori e i soggetti interessati in campo ambientale.

1.10.

Il CESE, pur riconoscendo che la proposta in esame non riguarda i «diritti fondamentali», ricorda che i diritti dei consumatori saranno sempre al centro delle preoccupazioni e raccomanda pertanto che se ne tenga conto in fase di attuazione.

2.   Contesto generale

2.1.

Il 23 giugno 2016, a seguito di un referendum sull’appartenenza all’UE, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha deciso di uscire dall’Unione europea. Questa decisione riguarda anche Gibilterra.

2.2.

Il 29 marzo 2017 il Regno Unito ha notificato l’intenzione di recedere dall’Unione a norma dell’articolo 50 del trattato sull’Unione europea. L’attivazione dell’articolo 50 ha dato avvio al negoziato per il recesso dall’UE, volto a gestire in modo efficace le nuove complesse disposizioni giuridiche.

2.3.

Una volta concluso il negoziato, è previsto che a decorrere dal 30 marzo 2019 il Regno Unito non sarà più uno Stato membro dell’UE e diventerà un paese terzo, a meno che l’accordo in materia non proponga una nuova data di decorrenza.

2.4.

È riconosciuto che il recesso dall’UE renderà necessario risolvere numerose questioni pratiche connesse alla regolamentazione europea sui beni e i servizi. In particolare, le autorità incaricate dell’omologazione che hanno sede nel Regno Unito non avranno più la funzione di autorità di regolamentazione dell’UE a partire dalla data del recesso e ciò, a sua volta, avrà delle conseguenze sulla regolamentazione attuale e futura dei beni, compresi quelli già omologati.

2.5.

Andrebbe tuttavia osservato che la posizione esatta del Regno Unito in rapporto alle autorità britanniche di omologazione sarà oggetto dell’accordo globale che è in corso di negoziazione.

2.6.

Tra le numerose implicazioni vanno ricordate le perturbazioni per le varie catene di approvvigionamento dei prodotti, che sono calibrate per consegnare le merci in modo efficiente sotto il profilo dei costi e tempestivamente in tutti gli Stati membri, tra cui la Gran Bretagna.

2.7.

La proposta tiene inoltre pienamente conto della necessità di mantenere tutti gli standard di qualità e di assicurare che le norme relative all’ambiente e ai consumatori non vengano snaturate.

2.8.

La proposta in esame potrebbe facilmente servire da modello per altri accordi simili e, in tale contesto, è essenziale che riceva il sostegno di tutte le parti interessate e del pubblico in generale.

2.9.

Nel testo della proposta si afferma che quest’ultima non ha conseguenze per la tutela dei diritti fondamentali. Il CESE fa tuttavia notare che le modifiche nei quadri normativi che disciplinano le merci avranno sempre delle implicazioni per i consumatori.

2.10.

Il presente parere verte sulla situazione relativa al sistema di omologazione per i motori, per i veicoli adibiti al trasporto di merci, nonché per i motori destinati a macchine non mobili.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

La proposta della Commissione è incentrata sul quadro legislativo dell’UE che disciplina il sistema di omologazione applicato a un certo numero di prodotti, sistema che non sarà più di applicazione nel Regno Unito quando il paese cesserà di essere uno Stato membro dell’Unione.

3.2.

In particolare, e fatte salve le eventuali disposizioni transitorie contenute nell’accordo di recesso, la proposta della Commissione elenca gli atti legislativi che saranno interessati dal recesso, ossia:

la direttiva 2007/46/CE, relativa all’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi (che sarà sostituita da un regolamento applicabile a partire dal 1o settembre 2020);

il regolamento (UE) n. 168/2013, relativo all’omologazione dei veicoli a motore a due o tre ruote e dei quadricicli;

il regolamento (UE) n. 167/2013, relativo all’omologazione dei veicoli agricoli e forestali, e

il regolamento (UE) 2016/1628, relativo all’omologazione dei motori a combustione interna destinati alle macchine mobili non stradali.

3.3.

La proposta chiarisce inoltre che l’attuale autorità britannica di omologazione non potrà più operare come autorità di omologazione ai sensi della legislazione dell’UE. Pertanto, per mantenere la conformità alla legislazione dell’UE e conservare l’accesso ai mercati europei, i produttori che hanno ottenuto l’omologazione nel Regno Unito dovranno ottenere una nuova omologazione da una delle autorità di omologazione dell’UE-27. Questo riguarda anche i prodotti già in produzione.

3.4.

Sebbene esistano notevoli implicazioni per il futuro ruolo dell’autorità britannica di omologazione, si nutrono gravi preoccupazioni circa il futuro dell’industria automobilistica nel Regno Unito e, specularmente, all’interno dell’UE. Queste preoccupazioni riguardano principalmente l’incertezza giuridica in rapporto alle omologazioni nel Regno Unito e lo snaturamento di uno dei principi fondamentali del regolamento, ossia quello di mantenere la coerenza normativa in tutta l’Unione europea.

3.5.

La proposta mira ad affrontare tali questioni attraverso la temporanea modifica delle norme esistenti, in modo che i costruttori interessati possono rivolgersi a una qualsiasi delle autorità di omologazione dell’UE-27 con il minimo disagio. In sostanza, la proposta:

consente espressamente ai costruttori interessati di rivolgersi a un’autorità di omologazione dell’UE-27 per ottenere nuove omologazioni per tipi di prodotti esistenti;

evita che le prove su cui si basano le omologazioni rilasciate nel Regno Unito debbano essere ripetute a causa del fatto che il servizio tecnico non è stato designato e notificato da un’autorità di omologazione dell’UE-27;

dispone che tali omologazioni possano essere rilasciate se sono soddisfatti i requisiti per i nuovi veicoli, sistemi, componenti ed entità tecniche indipendenti invece di quelli per i nuovi tipi;

contribuisce a individuare nuove autorità di omologazione per i prodotti già immessi nel mercato prima del recesso, onde evitare che non vi sia alcuna autorità competente ad eseguire controlli della conformità in servizio o a disporre eventualmente un successivo richiamo.

3.6.

La proposta della Commissione riconosce la necessità di proteggere i consumatori per quel che concerne la sicurezza dei veicoli e la conformità ai requisiti ambientali.

3.7.

La proposta chiarisce che il lavoro delle autorità di omologazione non si esaurisce con la produzione o con l’immissione sul mercato di un veicolo, sistema, componente o entità tecnica indipendente, ma si estende per diversi anni dopo l’immissione sul mercato di tali prodotti.

4.   Osservazioni

4.1.

I costruttori di automobili necessitano di nuovi certificati non solo per i nuovi modelli, che vengono immessi sul mercato all’incirca ogni sette anni, ma anche per le modifiche di rilievo apportate nella progettazione o ai motori, e tali modifiche possono essere introdotte con una frequenza maggiore. Questo fatto accresce chiaramente l’urgenza di assicurare, dopo il recesso del Regno Unito dall’UE, un regolare riallineamento dei meccanismi normativi richiesti per la produzione.

4.2.

Il Regno Unito esporta nel resto d’Europa circa il 56 % dei veicoli che produce, mentre soltanto il 7 % circa delle esportazioni di automobili da paesi del continente europeo è destinato al Regno Unito. Tuttavia, i dati che misurano il funzionamento del mercato in rapporto alla fornitura di pezzi di ricambio indicherebbero la necessità di un insieme più complesso di disposizioni che richiederebbero un regime normativo uniforme.

4.3.

Il CESE osserva che gli effetti della proposta in esame, anche se è stata pubblicata, non possono essere valutati a causa dell’enorme incertezza che pesa sui negoziati in corso tra l’UE e il Regno Unito.

4.4.

Il CESE ritiene che la proposta sia più adatta in caso di esito positivo dei negoziati per un accordo tra la Gran Bretagna e l’UE, sulla cui base raggiungere un’intesa sufficiente ad attuare misure che permettano lo svolgimento, in qualche forma, di scambi commerciali nel quadro di un’unione doganale e/o di un mercato unico.

4.5.

Il CESE concorda con la seguente dichiarazione, pubblicata dalla Camera dei comuni (quinta relazione della sessione 2017-2019, dal titolo The impact of Brexit on the automotive sector — «L’impatto della Brexit sul settore automobilistico»): «È difficile immaginare come per i grandi costruttori multinazionali, che rappresentano l’elemento di gran lunga preponderante del settore automobilistico nel Regno Unito, possa essere sensato sul piano economico basare la produzione nel Regno Unito in caso di uscita senza accordi o di uno scenario di dazi doganali in base all’OMC». Pertanto, qualora non si giunga ad alcun accordo, la proposta dovrà essere riveduta per garantire che sia abbastanza solida rispetto a uno scenario di questo tipo.

4.6.

L’esatta situazione per quanto riguarda il ruolo futuro dell’autorità di omologazione britannica non è stata ancora concordata tra il Regno Unito e l’Unione europea. Il CESE ritiene che la soluzione di tale questione sia essenziale per la riuscita del nuovo regime normativo.

5.   Sfide

5.1.

Il CESE accoglie con favore gli obiettivi della proposta, in particolare, l’intenzione di ridurre i costi per l’industria in termini di ritardi alla frontiera e di oneri burocratici superflui, assicurando al tempo stesso l’applicazione degli standard più elevati. Il CESE ritiene tuttavia che il conseguimento di questi obiettivi costituisca una sfida enorme, tenuto conto del fatto che adesso occorre concepire un sistema di regolamentazione del tutto nuovo.

5.2.

Il CESE rileva inoltre che il nuovo regime causerà inevitabilmente un aumento dei costi, soprattutto perché il Regno Unito diventerà un paese terzo e, come avviene con i paesi terzi, saranno necessariamente introdotte disposizioni differenti.

5.3.

Le materie oggetto di una regolamentazione dell’UE (come l’ambiente, i diritti dei consumatori, la qualità dei prodotti e così via) sono spesso soggette a modifiche o innovazioni legislative a livello UE e sono disciplinate da direttive. Secondo il CESE, sia l’UE che il Regno Unito dovranno assicurare che l’accordo sul regime di regolamentazione sia sufficientemente flessibile per gestire questa situazione, in modo da generare le minori perturbazioni possibili.

5.4.

All’interno dell’UE il processo di fabbricazione e distribuzione dei veicoli si è sviluppato in modo altamente integrato. Le catene di approvvigionamento esistenti e funzionanti sono numerose, complesse ed efficienti e, secondo le previsioni di tutti gli esperti e del CESE stesso, cambieranno notevolmente per effetto del recesso del Regno Unito dall’UE. Il CESE ritiene inoltre che le perturbazioni che ne seguiranno ridurranno l’efficienza di tali sistemi.

5.5.

Visto il numero elevato di veicoli fabbricati in Gran Bretagna ed esportati nell’UE, il CESE esprime particolare preoccupazione per il fatto che l’eventuale esclusione del Regno Unito da questo mercato si ripercuoterà negativamente sulla competitività generale, con la conseguenza di un aumento dei costi per tutti i settori dell’economia, oltre che per i consumatori. Pertanto, la proposta della Commissione, che raccomanda la protezione di tutti questi interessi, deve assicurare che venga preso un impegno permanente in questo senso, e che tale impegno trovi corrispondenza negli accordi futuri.

5.6.

La complessità delle modifiche proposte renderà necessario che le due parti si adoperino concretamente per fornire informazioni complete e programmi di formazione per l’industria, nonché per ciascuna delle autorità di omologazione. Questo rappresenta una sfida notevole in termini di risorse e richiederà parecchio tempo. I vincoli di tempo saranno particolarmente impegnativi, alla luce del calendario attualmente previsto per il recesso del Regno Unito così come stabilito dall’articolo 50.

5.7.

Tenuto conto del tempo che sta richiedendo la negoziazione dell’accordo e dei tempi necessari per conformarsi ai vari sistemi, il CESE ritiene che sia necessario un periodo di transizione dopo la fine del marzo 2019, data del recesso del Regno Unito.

5.8.

Dato che un risultato positivo sarebbe la prosecuzione dell’attuale sistema che disciplina il flusso commerciale dei veicoli e dei relativi prodotti tra il Regno Unito e l’UE, il CESE ritiene che i veicoli fabbricati nel Regno Unito debbano continuare a essere conformi alla regolamentazione dell’UE. Occorre pertanto far notare che (a meno che il Regno Unito non sia in qualche modo associato all’UE tramite un’unione doganale o il mercato unico, o entrambi) sarà molto difficile gestire la proposta in esame.

5.9.

Secondo il CESE, il nuovo status del Regno Unito quale paese terzo comporterà costantemente delle sfide per il regime normativo che disciplina i veicoli, le macchine mobili e quelle non mobili. Pertanto, l’incapacità ad affrontare rapidamente questi problemi obbligherà alla fine i costruttori a modificare la natura della loro catena di approvvigionamento, e questo potrebbe pregiudicare la continuità della disponibilità dei prodotti, oltre a incidere sui costi per i consumatori.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/100


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 469/2009 sul certificato protettivo complementare per i medicinali»

[COM(2018) 317 final — 2018/0161 (COD)]

(2018/C 440/16)

Relatore unico:

János WELTNER

Consultazione

Consiglio, 21.6.2018

Parlamento europeo, 2.7.2018

Base giuridica

Articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

20.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

167/2/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE prende atto del fatto che la Commissione, nel documento di lavoro dei suoi servizi, ha esaminato quattro opzioni per affrontare i problemi esistenti derivanti dall’attuale sistema del certificato protettivo complementare (supplementary protection certificate — SPC).

1.2.

Il CESE è giunto alla stessa conclusione della Commissione europea, che propone di apportare modifiche in linea con l’opzione n. 4 (1), ossia di regolamentare gli esoneri per l’esportazione e per lo stoccaggio modificando il regolamento (CE) n. 469/2009.

1.3.

Il CESE si compiace del fatto che la proposta lasci inalterata la protezione conferita dagli SPC per quanto riguarda l’immissione dei prodotti sul mercato dell’UE.

1.4.

Il CESE, inoltre, accoglie con favore l’esclusiva di mercato concessa ai titolari europei di un SPC negli Stati membri per tutta la durata di validità del certificato.

1.5.

Il CESE ritiene che sia di fondamentale importanza che, sui mercati dei paesi terzi nei quali la protezione non esista o sia scaduta, i produttori con sede nell’UE che immettono su tali mercati medicinali generici e biosimilari possano godere di condizioni di concorrenza eque.

1.6.

Il CESE appoggia risolutamente le misure di salvaguardia intese a garantire la trasparenza e a evitare la possibile diversione sul mercato dell’Unione di medicinali generici e biosimilari il cui prodotto originale è protetto da un SPC.

1.7.

Il CESE condivide la posizione della Commissione in merito alle PMI, dal momento che queste ultime svolgono un ruolo importante nella produzione di medicinali generici e nello sviluppo di medicinali biosimilari. L’entrata in vigore del nuovo SPC consentirà alle PMI di pianificare meglio le loro attività di mercato.

1.8.

Il CESE sostiene il piano della Commissione per una valutazione della legislazione relativa ai medicinali orfani e pediatrici, con un’ulteriore analisi nel periodo 2018-2019.

1.9.

Il CESE comprende la posizione della Commissione che per il momento non presenterà una proposta di SPC unitario, anche se potrebbe essere utile, in quanto il pacchetto sul brevetto unitario non è ancora entrato in vigore.

1.10.

Il CESE appoggia la modifica del regolamento (CE) n. 469/2009, secondo quanto proposto nel documento COM(2018) 317. Tuttavia, raccomanda alla Commissione di fare in modo che tale modifica consenta l’applicazione immediata dell’esonero dall’SPC.

2.   Contesto del parere

2.1.

Un SPC permette di allungare la durata della protezione effettiva dei brevetti relativi a nuovi prodotti medicinali, quando l’immissione in commercio di tali farmaci richiede un’autorizzazione.

2.2.

Il titolare che disponga contemporaneamente di un brevetto e di un SPC beneficia di un massimo di 15 anni di protezione a partire dalla prima autorizzazione all’immissione in commercio nell’UE del medicinale in questione.

2.3.

I vantaggi che un SPC offre al titolare sono considerevoli. Dal momento che un SPC conferisce gli stessi diritti attribuiti dal brevetto di base, il monopolio derivante da quest’ultimo (brevetto di riferimento) viene esteso e consente al titolare di impedire ai concorrenti di sfruttare l’invenzione (produrre il medicinale, commercializzarlo, immagazzinarlo ecc.) negli Stati membri nei quali l’SPC è stato rilasciato.

2.4.

Un SPC serve a compensare gli investimenti compiuti nella ricerca. Dovrebbe servire anche a ripagare le ulteriori attività di ricerca, il monitoraggio e il periodo di attesa che intercorre tra la presentazione della domanda di brevetto per un nuovo medicinale e il rilascio dell’autorizzazione di immissione in commercio dello stesso.

2.5.

Nell’UE, il certificato viene rilasciato se il prodotto risponde alle seguenti condizioni:

2.5.1.

alla data di presentazione della domanda di protezione complementare, il prodotto è protetto da un brevetto di base;

2.5.2.

il prodotto non è già stato oggetto di un certificato;

2.5.3.

per il prodotto in quanto medicinale è stata rilasciata un’autorizzazione amministrativa in corso di validità per l’immissione in commercio.

2.6.

Secondo le opinioni delle parti interessate (2), i certificati attuali pongono i fabbricanti di medicinali generici e biosimilari con sede nell’UE in una posizione di svantaggio rispetto ai fabbricanti in grado di produrre tali medicinali al di fuori dell’UE.

2.7.

Nella sua forma attuale, l’SPC dell’UE aumenta la dipendenza dalle importazioni di prodotti farmaceutici da paesi terzi.

2.8.

Il mercato farmaceutico mondiale è cambiato. Le economie in rapida crescita (con i loro mercati farmaceutici emergenti) e l’invecchiamento della popolazione nelle regioni tradizionalmente industrializzate hanno determinato una fortissima domanda di medicinali. La spesa mondiale in medicinali è passata dai 950 miliardi di EUR del 2012 a 1 100 miliardi di EUR nel 2017 (Stati Uniti 40 %, Cina 20 %, UE meno del 15 %). Entro il 2022 i medicinali biologici rappresenteranno il 25 % del valore del mercato farmaceutico. Questa tendenza è accompagnata da uno spostamento verso una quota di mercato sempre più larga per i medicinali generici e biosimilari, che entro il 2020 potrebbero rappresentare l’80 % dei farmaci in termini di volume e circa il 28 % in termini di vendite complessive.

2.9.

Secondo l’associazione Medicines for Europe, il 56 % dei farmaci attualmente commercializzati nell’UE in termini di volume è costituito da medicinali generici e biosimilari.

2.10.

L’esenzione Bolar (3) ha eliminato un effetto collaterale non intenzionale di forte tutela brevettuale, con la motivazione che non appena la protezione si estingue dovrebbe essere consentita la libera concorrenza. Si tratta di un esonero dall’SPC per prove e sperimentazioni cliniche, il cui scopo era quello di garantire che un medicinale generico potesse entrare in commercio subito dopo la scadenza della protezione conferita da un brevetto o da un SPC.

2.11.

Per quanto riguarda l’esonero dall’SPC, le imprese dell’UE si trovano ad affrontare una situazione simile a quella che esisteva prima dell’introduzione della clausola Bolar. Se, da un lato, l’obiettivo legittimo di un SPC è quello di impedire la produzione di prodotti concorrenti ai fini della commercializzazione sul mercato dell’UE durante il periodo di validità del certificato stesso, dall’altro esso comporta due conseguenze accidentali e impreviste, vale a dire:

2.11.1.

impedire che i medicinali generici e biosimilari siano fabbricati all’interno dell’UE ed esportati verso paesi terzi (nei quali non si applica alcuna tutela giuridica) durante la validità dell’SPC dell’UE; e

2.11.2.

impedire che tali farmaci siano prodotti (e successivamente immagazzinati) nell’UE con sufficiente anticipo per essere poi messi in commercio nell’Unione fin dal primo giorno successivo alla scadenza della protezione.

2.12.

I fabbricanti di medicinali generici e biosimilari (con sede in uno Stato membro nel quale è stata accolta la domanda di protezione SPC per il farmaco di riferimento) si trovano ad affrontare i seguenti problemi:

2.12.1.

durante il periodo di protezione conferita dal certificato al farmaco di riferimento nell’UE, i fabbricanti non possono produrre tale medicinale per nessun fine, compresa l’esportazione al di fuori dell’UE verso paesi nei quali la protezione dell’SPC per il farmaco di riferimento sia scaduta o non sia mai esistita, mentre possono invece farlo i fabbricanti con sede in tali paesi terzi.

2.12.2.

I fabbricanti nell’UE non sono pronti a commercializzare il farmaco sul mercato dell’Unione già dal primo giorno successivo alla scadenza del certificato, dal momento che fino a quella data il sistema dell’SPC dell’UE non ne consente la fabbricazione nell’Unione. Per contro, i fabbricanti con sede in paesi terzi nei quali la protezione conferita dall’SPC al medicinale di riferimento è scaduta prima, o non è mai esistita, possono prepararsi a entrare sul mercato dell’UE fin dal primo giorno con le esportazioni, acquisendo così un notevole vantaggio competitivo.

2.13.

Nel settore UE dei medicinali generici e biosimilari sono attualmente occupati 160 000 addetti (secondo i dati di Medicines for Europe). Per impedire la perdita di posti di lavoro, soprattutto nelle posizioni altamente qualificate, la perdita di know-how e la fuga dei cervelli verso paesi al di fuori dell’UE, in particolare quelli asiatici, occorre modificare al più presto il regolamento che disciplina l’SPC.

2.14.

L’UE ha svolto un ruolo pionieristico nello sviluppo di procedure di regolamentazione per l’approvazione dei biosimilari: l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha autorizzato il primo medicinale biosimilare nel 2006, mentre la corrispondente agenzia statunitense (la Food and Drug Administration) lo ha fatto solo nel 2015. Vi sono però chiari segni del fatto che l’Europa sta perdendo il suo vantaggio competitivo, mentre i suoi partner commerciali recuperano terreno. È quindi urgente che l’UE rilanci la competitività dei produttori di medicinali generici e biosimilari che hanno sede nel suo territorio. L’inazione o il rinvio di un intervento indebolirebbero ulteriormente questa industria dell’UE e annullerebbero l’effetto pionieristico e il vantaggio competitivo che l’attività dell’Unione ha conferito in particolare al settore dei biosimilari.

2.15.

In conformità con la strategia per il mercato unico, è necessaria una ricalibratura mirata di taluni aspetti dell’SPC, con l’obiettivo di affrontare i seguenti problemi:

2.15.1.

perdita di mercati di esportazione nei paesi terzi non coperti dal certificato;

2.15.2.

impossibilità per i produttori di medicinali generici e biosimilari che operano nell’UE di entrare sui mercati degli Stati membri fin dal primo giorno dopo la scadenza della protezione, attraverso l’introduzione di un «esonero dall’SPC» nella legislazione dell’UE in materia, in modo da consentire la fabbricazione di questo tipo di medicinali all’interno dell’Unione già durante il periodo di validità del certificato;

2.15.3.

frammentazione derivante dall’applicazione non uniforme dell’attuale regime SPC negli Stati membri, che potrebbe essere risolta nel quadro del futuro brevetto unitario e dell’eventuale successiva creazione di un titolo unitario SPC;

2.15.4.

attuazione frammentaria dell’esenzione Bolar per scopi di ricerca.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Cosa possiamo attenderci dalla nuova regolamentazione?

3.1.1.

Il rafforzamento e il mantenimento della capacità produttiva e del know-how all’interno dell’UE, riducendo in tal modo il ricorso a inutili delocalizzazioni o esternalizzazioni.

3.1.2.

Il miglioramento dell’accesso dei pazienti dell’UE ai farmaci grazie alla diversificazione delle fonti geografiche di approvvigionamento e quindi l’incremento della produzione interna.

3.1.3.

L’eliminazione degli impedimenti all’avvio di attività di produzione di medicinali generici e biosimilari nell’UE, in particolare per le PMI che incontrano maggiori difficoltà nel superare gli ostacoli e per le quali può essere difficile affrontare la concorrenza di paesi terzi.

3.1.4.

Poiché la capacità di produzione creata a fini di esportazione può essere utilizzata, prima della scadenza del certificato, per rifornire il mercato dell’UE fin dal primo giorno dopo tale scadenza, ciò dovrebbe anche, in certa misura, favorire l’accesso ai farmaci nell’Unione, facendo sì che i medicinali generici e biosimilari possano entrare sul mercato più rapidamente dopo la scadenza dei certificati e garantendo in questo modo la disponibilità di una più ampia scelta di medicinali a prezzi accessibili quando il periodo di protezione brevettuale e degli SPC giunge al termine. Questo dovrebbe avere un effetto positivo sui bilanci sanitari nazionali.

3.1.5.

La proposta migliorerà in certa misura l’accessibilità dei medicinali per i pazienti dell’UE, soprattutto negli Stati membri nei quali l’accesso a determinati medicinali di riferimento (ad esempio, alcuni prodotti biologici) è difficile, creando le condizioni affinché i medicinali generici e biosimilari collegati entrino più rapidamente nel mercato dell’Unione, una volta scaduti i certificati pertinenti. Le misure proposte diversificheranno inoltre l’origine geografica dei medicinali disponibili nell’UE, rafforzando così la catena di fornitura e la sicurezza dell’approvvigionamento.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

La Commissione può trovare un modo per utilizzare i fondi dell’UE onde sostenere la creazione di capacità di produzione negli Stati membri ai fini dell’esportazione durante il periodo di validità di un SPC. Ciò può consentire, per determinati prodotti, una più rapida espansione della produzione al fine di accedere tempestivamente al mercato dell’UE dopo la scadenza del certificato.

4.2.

La Commissione può sostenere le attività delle ONG interessate ai fini della definizione di indicatori di monitoraggio e della valutazione dei nuovi SPC per il futuro sviluppo della quota di mercato dell’UE dei medicinali generici e biosimilari prodotti nell’Unione.

Bruxelles, 20 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  SWD(2018) 240 final, pag. 29.

(2)  SWD(2018) 242 final.

(3)  Direttiva 2001/83/CE e direttiva 2001/82/CE.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/104


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica e rettifica il regolamento (UE) n. 167/2013 relativo all’omologazione e alla vigilanza del mercato dei veicoli agricoli e forestali»

[COM(2018) 289 final — 2018/0142 (COD)]

(2018/C 440/17)

Relatore:

Mindaugas MACIULEVIČIUS

Consultazione

Parlamento europeo, 28.5.2018

Consiglio, 1.6.2018

Base giuridica

Articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

4.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

190/2/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento che modifica e rettifica il regolamento (UE) n. 167/2013 (1). La proposta dà seguito ai riscontri ricevuti dai portatori di interessi e dagli Stati membri nel corso del primo periodo di attuazione e merita pertanto di essere sostenuta.

1.2.

Il CESE condivide la proposta di prorogare per altri cinque anni la facoltà della Commissione di adottare gli atti delegati necessari, considerato che è necessario continuare ad aggiornare vari elementi della procedura di omologazione.

1.3.

Il CESE apprezza il forte impegno della Commissione a consultare le varie parti interessate, comprese le parti sociali, in merito a ogni singola iniziativa in questo campo.

1.4.

Il CESE riconosce il lavoro svolto dalla Commissione a livello internazionale. Le nuove norme introdotte mediante atti delegati sono definite in stretta cooperazione con organi di lavoro internazionali quali l’UNECE e i gruppi di lavoro specifici dell’OCSE.

2.   La proposta della Commissione

2.1.

La proposta della Commissione adegua il regolamento (UE) n. 167/2013 al progresso tecnico mediante l’aggiornamento di talune prescrizioni e la correzione di alcuni errori di natura redazionale a seguito dei riscontri ricevuti dai portatori di interessi e dagli Stati membri durante il primo periodo di attuazione.

2.2.

Più precisamente, il regolamento proposto introduce chiarimenti in relazione a due definizioni di categorie di trattori e corregge sia alcuni termini importanti ai fini di un’applicazione uniforme del regolamento, che non dia adito a possibili interpretazioni, sia i riferimenti a un atto legislativo abrogato.

2.3.

Il regolamento oggi in vigore (regolamento (UE) n. 167/2013) conferisce alla Commissione il potere di definire, se del caso, prescrizioni tecniche dettagliate, metodi di prova e valori limite in quattro atti delegati riguardanti i) la sicurezza sul lavoro (prescrizioni in materia di costruzione dei veicoli), ii) la sicurezza funzionale, iii) la frenatura e iv) la compatibilità ambientale e le prestazioni di propulsione. Questa delega di poteri, tuttavia, è già scaduta il 21 marzo 2018.

2.4.

La proposta in esame proroga la facoltà conferita alla Commissione di adottare atti delegati per un ulteriore periodo di cinque anni e ne dispone il tacito rinnovo, salvo che il Consiglio o il Parlamento europeo non vi si oppongano espressamente.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento che modifica e rettifica il regolamento (UE) n. 167/2013. Essa, infatti, risponde alle preoccupazioni espresse dai portatori di interessi e dagli Stati membri e, aggiornando alcune disposizioni e rettificando una serie di errori di natura redazionale, migliora l’applicabilità e la chiarezza del testo normativo, il che, naturalmente, va a beneficio di tutte le parti interessate.

3.2.

Per quanto concerne la proroga per altri cinque anni della facoltà conferita alla Commissione di adottare atti delegati, il CESE concorda, in linea di principio, con la proposta in esame e si compiace del fatto che, come aveva sempre chiesto, la Commissione abbia ritenuto opportuno prorogare la delega per un periodo determinato, rinnovabile salvo obiezioni da parte del Consiglio e del Parlamento (2).

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU L 60 del 2.3.2013, pag. 1, GU C 54 del 19.2.2011, pag. 42.

(2)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 67.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/106


Parere sul Comitato economico e sociale europeo su «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un bilancio moderno al servizio di un’Unione che protegge, che dà forza, che difende. Quadro finanziario pluriennale 2021-2027»

[COM(2018) 321 final]

«Proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce il quadro finanziario pluriennale per il periodo 2021-2027»

[COM(2018) 322 final/2 — 2018/0166 (APP)]

«Proposta di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea»

[COM(2018) 325 final — 2018/0135 (CNS)]

«Proposta di regolamento del Consiglio concernente le modalità e la procedura di messa a disposizione delle risorse proprie basate sulla base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società, sul sistema di scambio di quote di emissioni dell’Unione europea e sui rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati, nonché le misure per far fronte al fabbisogno di tesoreria»

[COM(2018) 326 final — 2018/0131 (NLE)]

«Proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce misure di esecuzione del sistema delle risorse proprie dell’Unione europea»

[COM(2018) 327 final — 2018/0132 (APP)]

«Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CEE, Euratom) n. 1553/89 del Consiglio concernente il regime uniforme definitivo di riscossione delle risorse proprie provenienti dall’imposta sul valore aggiunto»

[COM(2018) 328 final — 2018/0133 (NLE)]

(2018/C 440/18)

Relatore:

Javier DOZ ORRIT

Consultazione

Commissione europea, 18.6.2018

Consiglio dell’Unione europea, 25.7.2018 e 5.9.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

7.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

140/3/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE riconosce l’alto valore aggiunto europeo dei programmi in cui la proposta della Commissione per il quadro finanziario pluriennale (QFP) 2021-2027 concentra i principali aumenti di spesa. Il Comitato esprime tuttavia dubbi per il fatto che tali aumenti sono realizzati apportando forti tagli alla politica di coesione (-10 %) e alla politica agricola comune (PAC, - 15 %), per effetto dello sforzo di riduzione del bilancio dell’UE, che passa dall’1,16 % del reddito nazionale lordo (RNL) dell’UE a 27 secondo gli attuali bilanci a solo l’1,11 % nel QFP post 2020.

1.2.

L’UE ha dinanzi a sé grandi sfide, tra cui il superamento delle conseguenze politiche e sociali negative della crisi, e i rischi esterni derivanti dall’instabilità geopolitica e dal nazionalismo economico. Essa dovrebbe ambire a dispiegare il suo notevole potenziale economico e politico per promuovere politiche economiche, occupazionali e sociali avanzate, orientate in funzione della crescita e tese a distribuirne equamente i vantaggi, per sostenere la necessaria e urgente lotta contro i cambiamenti climatici e per finanziare la transizione verso un’Europa sostenibile (nel contesto dell’articolo 3 del TUE), oltre che per cogliere le opportunità derivanti dallo sviluppo dell’intelligenza artificiale, della digitalizzazione e dell’Industria 4.0. Tutto ciò richiede uno sforzo di bilancio maggiore. Il CESE, in linea con la posizione del Parlamento europeo (1), propone che l’ammontare delle spese e delle entrate raggiunga l’1,3 % dell’RNL. Il livello di impegni proposto pari all’1,11 % dell’RNL dell’UE è troppo modesto per realizzare in modo credibile l’agenda politica dell’UE.

1.3.

In linea con il parere del CESE in merito al documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE (2), il CESE ribadisce che i cittadini europei hanno bisogno di più Europa (e di un’Europa migliore) se si vuole superare la crisi politica dell’UE. I poteri e le risorse finanziarie attualmente assegnati all’UE sono sempre più disallineati rispetto alle preoccupazioni e alle aspettative dei cittadini europei.

1.4.

Il CESE riconosce i miglioramenti che la proposta della Commissione introduce per quanto concerne la struttura, la flessibilità e la capacità di promuovere sinergie e prende atto dell’aumento della percentuale delle entrate provenienti da risorse proprie dell’UE. Tuttavia, tale aumento è insufficiente. Le entrate, secondo la proposta della Commissione per il QFP post-2020, rispecchiano solo parzialmente le proposte del gruppo ad alto livello sulle risorse proprie e del Parlamento europeo (PE), che raccomandano di ampliare il ventaglio delle fonti di risorse proprie.

1.5.

Pur comprendendo le ragioni sottese alla proposta della Commissione, il CESE esprime tuttavia il proprio disaccordo sulla riduzione, a prezzi costanti, sia del Fondo europeo di sviluppo regionale (- 12 %) che del Fondo di coesione (- 46 %), rispetto agli attuali bilanci, inserita nella proposta per il QFP 2021-2027.

1.6.

Il CESE esprime il proprio disaccordo sulla diminuzione in termini reali (- 6 %) dello stanziamento proposto per il Fondo sociale europeo (FSE+), soprattutto in considerazione della recente proclamazione interistituzionale del pilastro europeo dei diritti sociali e dell’obiettivo della creazione di posti di lavoro di qualità nel novembre 2017. In linea con il proprio recente parere sul finanziamento del pilastro europeo dei diritti sociali (3), il CESE si sarebbe aspettato che i principi del suddetto pilastro e la necessità di attuarlo, specie per quanto riguarda l’aspetto dell’occupazione, avrebbero figurato tra gli orientamenti che avrebbero informato la proposta di assegnazione degli impegni previsti nel prossimo QFP. Andrebbe istituito un programma specifico destinato ad aiutare gli Stati membri ad attuare la Dichiarazione di Göteborg sul pilastro europeo dei diritti sociali, allo scopo di sostenerli nei loro sforzi volti ad attuare riforme per stimolare la creazione di posti di lavoro di qualità nel contesto dello sviluppo sostenibile.

1.7.

Il CESE ritiene che il finanziamento delle politiche di coesione (l’insieme di FESR, FC e FSE) debba essere mantenuto, nel QFP 2021-2027, almeno con le stesse risorse, a prezzi costanti, dell’attuale quadro finanziario.

1.8.

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione faccia riferimento a investimenti strategici cruciali che sono la chiave per la prosperità futura dell’Europa e per il ruolo guida dell’Europa nell’ambito degli obiettivi globali di sviluppo sostenibile (OSS). È, tuttavia, fermamente convinto che si sarebbe dovuto insistere di più sugli obiettivi di sviluppo sostenibile e, più in particolare, sull’Agenda 2030, dato che quest’ultima costituisce, in definitiva, una strategia complessiva per l’UE per gli anni a venire.

1.9.

Il Comitato riconosce il sostanziale aumento degli impegni destinati all’azione per l’ambiente e il clima (+ 46 %). Tuttavia, il Comitato, che ha approvato il programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile all’orizzonte del 2030 e ha sostenuto gli impegni dell’UE a contribuire alla transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050, rileva anche la mancanza di ambizione della quota di bilancio destinata alla transizione verso lo sviluppo sostenibile e alla lotta contro i cambiamenti climatici.

1.10.

Secondo il CESE, anche se l’istituzione all’interno del bilancio dell’UE di un meccanismo di stabilizzazione degli investimenti per gli Stati membri dell’area dell’euro colpiti da shock specifici per paese rappresenta un passo nella giusta direzione, gli impegni previsti in termini sia di garanzie sui prestiti che di contributi per il pagamento degli interessi relativi ai suddetti prestiti sono troppo modesti per fare la differenza in caso di crisi. Questo programma, unico e limitato, del possibile bilancio per la zona euro non rientra in alcuna strategia di riforma dell’UEM menzionata nel QFP post 2020.

1.11.

Il CESE esprime dubbi sui tagli proposti (-15 % in termini reali, se si compara l’UE27, compreso il FES, tra il 2014-2020 e il 2021-2027) agli impegni previsti per la politica agricola comune (PAC). Questi tagli renderanno impossibile attuare un modello di sviluppo rurale sostenibile, che rappresenta un obiettivo globale della nuova riforma della PAC, nonché realizzare altri obiettivi inclusi nella recente comunicazione della Commissione sul futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura.

1.12.

Il CESE si congratula con la Commissione europea per la proposta di un paniere di nuove risorse proprie. Secondo il Comitato, però, non è probabile che le attuali proposte porteranno a un volume sufficientemente elevato di risorse proprie autonome, trasparenti ed eque. Il CESE, tuttavia, è favorevole a una rapida attuazione di una riforma coerente del sistema, in modo da aumentare la percentuale delle entrate proveniente da risorse proprie e assicurare che i metodi per raccogliere entrate siano complementari agli obiettivi politici dell’UE e li rafforzino. Questa riforma dovrebbe essere basata sulle raccomandazioni del gruppo ad alto livello sulle risorse proprie e su quelle del Parlamento europeo. Il Comitato richiama l’attenzione delle istituzioni europee sul fatto che sarà complesso rendere tutte queste risorse proprie operative nel periodo 2021-2027.

1.13.

Il CESE accoglie con soddisfazione la proposta di eliminare le correzioni (o rimborsi) per i paesi che versano contributi consistenti per il finanziamento del bilancio dell’UE.

1.14.

Il CESE sostiene la proposta che subordina il ricevimento dei fondi dell’UE da parte degli Stati membri al rispetto del principio dello Stato di diritto, un pilastro fondamentale dei valori dell’Unione ai sensi dell’articolo 2 del trattato sull’Unione europea (TUE), e ritiene che tale condizionalità possa essere estesa agli altri principi legati allo Stato di diritto sanciti nei trattati dell’UE. Chiede pertanto alla Commissione e al Parlamento europeo di studiare tale possibilità.

1.15.

Il Comitato accoglie con favore il sostegno agli investimenti fornito attraverso la garanzia InvestEU e il coinvolgimento previsto di altri partner, come le banche e gli istituti di promozione nazionali e le istituzioni finanziarie internazionali (per esempio la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo BERS), ma si rammarica del fatto che il livello delle risorse basti solo a garantire il mantenimento dei livelli passati dei prestiti della BEI (4) e non tenga conto del significativo divario di investimenti nell’UE. Il Comitato chiede inoltre che siano apportate modifiche al funzionamento di InvestEU, per assicurare che un volume relativamente maggiore di fondi sia destinato ai paesi con il reddito più basso. I programmi dell’UE dovrebbero comprendere tra gli obiettivi dichiarati lo stimolo della convergenza, e non della divergenza.

1.16.

Il Comitato teme che una rigida interpretazione delle clausole del Patto di stabilità e crescita e di altre condizioni macroeconomiche, nonché dei requisiti di cofinanziamento per i fondi della politica di coesione, renda difficile per gli Stati membri dell’UE più bisognosi l’accesso a questi finanziamenti nella misura necessaria.

1.17.

Il Comitato accoglie con favore i forti aumenti proposti per i programmi di ricerca e sviluppo relativi all’economia e alla società digitali, e sottolinea la necessità di una strategia ben definita per collegare l’innovazione a una politica industriale europea sostenibile, basata su posti di lavoro di alta qualità, anche attraverso l’agevolazione della collaborazione tra la ricerca accademica, il settore industriale, le parti sociali e le organizzazioni della società civile.

1.18.

Il CESE accoglie con favore le modifiche proposte relative ai significativi aumenti in termini reali per i programmi in materia di Migrazione e di gestione delle frontiere e per gli strumenti in materia di Vicinato e resto del mondo. L’adozione di una politica comune in materia di asilo, basata sul rispetto del diritto internazionale e sulla solidarietà nei confronti dei rifugiati e tra Stati, è assolutamente indispensabile ed è inoltre urgente stabilire una politica dell’UE in materia di migrazione. Il CESE insiste sulla necessità di prestare un’attenzione prioritaria a tali questioni nell’attuazione del QFP.

1.19.

Il Comitato ribadisce che il semestre europeo dovrebbe essere al centro dell’attuazione dei bilanci dell’UE, sfruttando per quanto possibile la flessibilità del nuovo QFP. Per un’attuazione più efficace e democratica degli orientamenti del semestre e per collegare la sfera nazionale e quella europea, sarà necessaria una partecipazione rafforzata delle parti sociali e della società civile al semestre europeo.

1.20.

Il CESE esorta le istituzioni dell’UE e i governi degli Stati membri a intensificare i lavori in relazione al QFP post 2020, in modo che possa essere approvato, secondo il calendario previsto, prima delle prossime elezioni europee.

2.   La proposta della Commissione per il quadro finanziario pluriennale 2021-2027

2.1.

Il presente parere del CESE verte sul pacchetto, presentato dalla Commissione europea il 2 maggio 2018, che comprende una comunicazione sul QFP (5), quattro proposte di regolamento del Consiglio (6) e una proposta di decisione del Consiglio sul sistema delle risorse proprie (7).

2.2.

Il massimale proposto per gli stanziamenti di impegno è stato fissato a 1,135 miliardi di EUR per il periodo 2021-2027 [a prezzi 2018 e compreso il Fondo europeo di sviluppo (FES)] ovvero all’1,11 % del reddito nazionale lordo (RNL), con un aumento rispetto agli 1,082 miliardi di EUR (escluso il contributo del Regno Unito) ovvero all’1,16 % dell’RNL (escluso il Regno Unito) per il periodo 2014-2020. Il massimale proposto per gli stanziamenti di pagamento per lo stesso periodo è stato fissato a 1,105 miliardi di EUR (a prezzi 2018 e compreso il FES) ovvero all’1,08 % dell’RNL, con un aumento rispetto agli 1,045 miliardi di EUR ovvero allo 0,98 % dell’RNL.

2.3.

Tra le modifiche proposte, vi sono aumenti significativi in termini reali rispetto al QFP del periodo 2014-2020 (UE-27 più FES) per i programmi delle rubriche Mercato unico, innovazione e agenda digitale (+ 43 %, un importo complessivo di 166,3 miliardi di EUR, pari al 14,7 % del bilancio totale, di cui 13,1 miliardi destinati al programma InvestEU), Migrazione e gestione delle frontiere (+ 210 %, un importo complessivo di 30,8 miliardi di EUR, pari al 2,72 % del bilancio totale) e Vicinato e resto del mondo (+ 14 %, un importo complessivo di 108,9 miliardi di EUR, pari al 9,6 % del bilancio totale). Sono previsti, tuttavia, tagli significativi in termini reali per le rubriche Coesione e valori (-12 %, un importo complessivo di 242,2 miliardi di EUR, per il gruppo di politiche Sviluppo regionale e coesione, e - 10 %, un importo complessivo di 330,6 miliardi di EUR, per la politica di coesione) e Risorse naturali e ambiente (-16 %, un importo complessivo di 336,6 miliardi di EUR, pari al 29,7 % del bilancio totale), segnatamente per la politica di coesione (-10 %) e la PAC (-15 %).

2.4.

Per quanto riguarda le entrate, il pacchetto comprende proposte di elementi aggiuntivi da prendere in considerazione nel quadro del sistema delle risorse proprie dell’Unione, mentre nella proposta di decisione del Consiglio l’idea è che il massimale delle richieste annuali di risorse proprie sia aumentato all’1,29 % dell’RNL per i pagamenti e all’1,35 % dell’RNL per gli impegni, al fine di soddisfare il maggiore fabbisogno di finanziamenti derivante dall’integrazione del Fondo europeo di sviluppo e dal finanziamento delle nuove priorità, garantendo al contempo un margine di sicurezza sufficiente a rispettare gli obblighi finanziari.

2.5.

Oltre agli aumenti proposti, la Commissione ha raccomandato modifiche alla struttura del finanziamento dell’UE. La quota delle risorse proprie tradizionali è destinata a diminuire leggermente, passando dal 15,8 % al 15 %, e i contributi nazionali scenderanno dall’83 % al 72 %, per la prevista riduzione dei contributi basati sul reddito nazionale lordo dal 71 % al 58 %. La riforma della riscossione della risorsa propria basata sull’imposta sul valore aggiunto è destinata a tradursi in un aumento della sua quota dall’11,9 % al 14 %. Saranno introdotte nuove risorse proprie, che comprendono contributi basati sul sistema di scambio delle quote di emissioni, sulla nuova base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società proposta — non appena potrà essere introdotta gradualmente — e un contributo nazionale basato sui rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati. Tali nuove risorse potrebbero rappresentare il 12 % del bilancio totale dell’UE.

2.6.

La Commissione europea propone che, al fine di ricevere fondi dal bilancio destinato alle politiche di coesione, gli Stati membri debbano rispettare talune condizioni macroeconomiche, realizzare riforme strutturali e soddisfare i requisiti del Patto di stabilità e crescita. L’ottenimento di aiuti dalla nuova Funzione di stabilizzazione degli investimenti è condizionato al soddisfacimento di tutti gli elementi summenzionati durante anni precedenti. Inoltre, per attenuare gli effetti dei significativi tagli alle risorse per le politiche di coesione e per la PAC raccomandati, la Commissione propone di aumentare la percentuale di cofinanziamento dei progetti da parte degli Stati membri.

2.7.

La proposta di regolamento sulla tutela del bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto mira a sanzionare le azioni in uno Stato membro che compromettono o minacciano di compromettere i principi di buona gestione finanziaria o la tutela degli interessi finanziari dell’Unione, in particolare le azioni derivanti da attacchi all’indipendenza della magistratura. Le sanzioni potrebbero determinare la riduzione e la sospensione dei pagamenti e degli impegni finanziari dell’UE nei confronti dello Stato membro interessato. Le sanzioni saranno adottate su proposta della Commissione, che il Consiglio può respingere a maggioranza qualificata.

3.   Osservazioni generali

Contesto politico e obiettivi generali

3.1.

In considerazione delle sfide e dei rischi, interni ed esterni, che l’UE dovrà affrontare nel prossimo decennio, l’Unione necessita di una chiara strategia politica e di un bilancio forte. In linea con il proprio precedente parere sul tema Documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE (8) e con la risoluzione del Parlamento europeo (9), il CESE propone pertanto che gli impegni per il periodo 2021-2027 raggiungano l’1,3 % dell’RNL.

3.1.1.

La crisi finanziaria ed economica e la sua gestione da parte dei responsabili politici europei hanno lasciato il segno in molti paesi europei in termini di perdita di competitività, rallentamento economico, povertà, disuguaglianza, rottura della coesione sociale e differenze tra paesi.

3.1.2.

La mancanza di fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche nazionali ed europee porta alla crescita di movimenti politici che mettono in discussione i valori e i principi democratici e la stessa UE. Alcuni di questi movimenti politici formano ora parte dei governi di alcuni Stati membri dell’UE (o è probabile che ne facciano parte in un prossimo futuro) e sono stati determinanti per il risultato del referendum sulla Brexit.

3.1.3.

I paesi limitrofi dell’Unione europea risentono pesantemente, tra l’altro, dei seguenti fattori: una crescente presenza di governi non democratici e/o autoritari; la guerra in Siria e le sue ripercussioni a livello regionale e globale; la grave instabilità politica e i conflitti armati nel Medio Oriente, nell’Africa settentrionale e nel Sahel; la pressione demografica in Africa e i flussi migratori verso l’Europa che ne derivano.

3.1.4.

Una delle conseguenze di tali fattori è il flusso di rifugiati e migranti verso l’Europa attraverso il Mediterraneo. L’adozione di una politica comune in materia di asilo, basata sul rispetto del diritto internazionale e sulla solidarietà nei confronti dei rifugiati e tra Stati, è indispensabile. È anche urgente la definizione di una politica di migrazione dell’UE. Tali questioni e il rafforzamento della cooperazione allo sviluppo, in particolare con i paesi dell’Africa, richiederanno un’attenzione speciale nell’ambito del QFP 2021-2027. Tali elementi sono ampiamente rispecchiati nella proposta della Commissione, anche se predominano gli aspetti legati alla sicurezza.

3.1.5.

Le decisioni e la rottura unilaterale di accordi internazionali molto importanti da parte dell’attuale governo degli USA stanno contribuendo all’instabilità geopolitica globale e al conflitto con molte delle politiche europee, compresa la politica commerciale, la politica ambientale e la lotta contro i cambiamenti climatici, la politica di vicinato e la promozione della pace e del divieto delle armi nucleari, il multilateralismo nelle relazioni internazionali e il sostegno al sistema delle Nazioni Unite.

3.1.6.

L’Europa deve affrontare questi rischi mettendo a profitto le sue capacità e sviluppando il suo potenziale in settori quali la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo tecnologico, il capitale umano, la competitività delle imprese e dell’economia, nonché le capacità di esportazione. Essa dovrebbe inoltre valorizzare al massimo, all’interno dell’UE e nei rapporti con i paesi terzi, i suoi valori democratici e il pieno rispetto dello Stato di diritto, i valori che caratterizzano le società giuste, egualitarie e basate sulla solidarietà, la difesa la pace e il multilateralismo nelle relazioni internazionali e darvi attuazione concreta-. È quindi necessario che l’UE disponga di bilanci consistenti anche per tutti questi obiettivi.

3.1.7.

La Commissione e il Parlamento europeo hanno avanzato proposte di riforma dell’UE e dell’UEM che, in misura maggiore o minore, promuovono maggiore integrazione. La fine di tale processo è incerta. Il mercato unico non è ancora completato e questa situazione, insieme con un rallentamento nelle innovazioni e ai crescenti squilibri tra la domanda e l’offerta di competenze, mette a rischio la competitività europea. Il Consiglio europeo ha approvato, a Göteborg, una dichiarazione sul pilastro europeo dei diritti sociali. Il conseguimento di tutti questi obiettivi richiederà un impegno finanziario significativo da parte dell’UE e dei suoi Stati membri, oltre a un impegno politico in termini di investimento efficace ed efficiente dei fondi disponibili. Il successo dipende dall’attivo coinvolgimento delle parti sociali e della società civile organizzata nel processo decisionale.

3.1.8.

Il principale rischio economico per il futuro dell’Europa è ravvisabile nel divario degli investimenti e nel ritardo accumulato rispetto ai leader mondiali in termini di innovazioni e della loro penetrazione nel mercato. Il rapporto investimenti/PIL è ben al di sotto del livello precedente la crisi.

3.1.9.

Promuovere gli investimenti per creare posti di lavoro sostenibili e di qualità, migliorare la produttività e modernizzare l’economia e le imprese, stimolare l’industria e le innovazioni, incentivare la convergenza fra gli Stati membri, affrontare la transizione verde e quella digitale, sviluppare il pilastro sociale, rafforzare la coesione sociale ed eliminare la povertà, conseguire gli obiettivi e mantenere gli impegni assunti con gli accordi di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite: questi dovrebbero essere gli obiettivi principali per la realizzazione di un modello europeo di sviluppo sostenibile. A tal fine è necessario un bilancio forte per il periodo 2021-2027 con programmi su misura che diano il massimo contributo al valore aggiunto europeo.

3.1.10.

Alla luce di questi ed altri aspetti, il CESE ritiene che l’UE abbia bisogno di bilanci ambiziosi, strumentali a politiche atte a sviluppare una chiara strategia di rafforzamento dell’Unione, con maggiore integrazione, più democrazia, maggiore sostegno non solo alle parti sociali e alle organizzazioni della società civile (sia all’interno che all’esterno dell’UE) ma anche alle imprese nell’affrontare le sfide ambientali e digitali, una dimensione sociale più forte e un maggior sostegno alla vita rurale. Solo in questo modo l’UE può contenere e battere le forze centrifughe interne e affrontare i rischi geopolitici esterni.

La spesa nel nuovo QFP

3.2.

Tuttavia, la proposta della Commissione appare eccessivamente orientata verso il mantenimento dello status quo, esprimendo uno sfasamento tra la natura e la dimensione delle nuove sfide che si presentano all’UE e le sue ambizioni e le risorse che essa ha a disposizione per superarle.

3.3.

L’articolo 3 del trattato sull’Unione europea (TUE) stabilisce che l’UE deve promuovere lo sviluppo sostenibile, tutelando l’ambiente. L’emergenza riguardante il clima è stata riconosciuta come una priorità assoluta, anche per il CESE, e si tratta di un quadro d’azione globale non solo per le autorità pubbliche ma anche per gli attori economici, i lavoratori e i cittadini. Di conseguenza, va organizzata e finanziata un’ampia transizione economica, sociale e ambientale (10).

3.4.

Il CESE accoglie con favore le modifiche alla struttura del bilancio, con la riorganizzazione delle rubriche, il consolidamento dei programmi e il potenziamento dei meccanismi di flessibilità che renderanno possibile un QFP più agile, preservando al contempo la sua stabilità.

3.5.

Pur comprendendo le ragioni sottese alla proposta della Commissione, il CESE esprime tuttavia il proprio disaccordo sulla riduzione, a prezzi costanti, sia del Fondo europeo di sviluppo regionale (- 12 %) che del Fondo di coesione (- 46 %), rispetto agli attuali bilanci, inserita nella proposta per il QFP 2021-2027.

3.5.1.

I dati suggeriscono che la crisi ha portato al riemergere di divergenze nel reddito pro capite, in particolare tra nord e sud (11). Nonostante la percentuale della popolazione dell’UE-27 che vive nelle regioni «meno sviluppate» (con un PIL pro capite inferiore al 75 % della media dell’UE) sia in calo dal 2010, la percentuale della popolazione dell’UE-27 che vive nelle regioni «in transizione» (con un PIL pro capite compreso tra il 75 % e il 90 % della media dell’UE) è in aumento. Tale risultato è tuttavia in parte dovuto al fatto che la percentuale della popolazione dell’UE-27 che vive nelle regioni «sviluppate» è diminuita in seguito agli effetti della crisi (12). Pertanto, la convergenza che si è verificata, non è sempre stata solo una convergenza dei redditi verso l’alto. Sono necessari ulteriori investimenti pubblici per la sanità, l’istruzione e l’inclusione sociale, specie a livello locale e regionale e dovrebbero essere possibili grazie all’applicazione della regola d’oro (golden rule), che il Comitato ha raccomandato in diversi dei suoi ultimi pareri: la spesa per investimenti, in particolare quella destinata a promuovere una crescita sostenibile a lungo termine, non va contabilizzata ai fini del rispetto degli obiettivi di disavanzo del Patto di stabilità e crescita, che continuerà ad assicurare, in questo modo, la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche.

3.5.2.

In tale contesto, il CESE osserva che le condizioni economiche e sociali variano in misura significativa tra le regioni, e talvolta, negli ultimi anni, mostrano tendenze divergenti persino nei paesi relativamente più ricchi. La politica di coesione dovrebbe tener conto di questa situazione mediante l’introduzione di nuovi indicatori sociali di tipo alternativo, come il tasso di occupazione e quello di attività di particolari gruppi, nonché di misure della povertà e dell’inclusione sociale, in aggiunta al PIL pro capite relativo.

3.6.

Il CESE esprime il proprio disaccordo sui tagli in termini reali proposti in rapporto agli impegni per il Fondo sociale europeo Plus (-6 % in termini reali per il periodo 2021-2027 rispetto al 2014-2020). La riduzione reale sarà maggiore in quanto la garanzia per i giovani rientrerà nell’FSE +. Tale fondo, in realtà, dovrebbe rimanere quantomeno stabile, in termini reali, ai valori del 2020, dato che fornisce i mezzi finanziari fondamentali con cui l’UE può sostenere l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali, un fattore chiave per rafforzare la dimensione sociale dell’UE e promuovere la convergenza verso l’alto delle norme sociali. I tassi minimi nazionali di cofinanziamento non dovrebbero aumentare, perché ciò impedirebbe a taluni Stati membri di investire in certe regioni, sprecando così le opportunità offerte dal valore aggiunto europeo. L’attuazione del suddetto pilastro può inoltre incentivare una maggiore resilienza tra gli Stati membri della zona euro e, di conseguenza, migliorare il funzionamento dell’Unione economica e monetaria. A questo fine, le azioni congiunte delle parti sociali a livello europeo, nazionale e regionale rappresentano uno strumento indispensabile. Il CESE deplora pertanto che, a differenza dell’attuale periodo di programmazione, tali azioni non siano esplicitamente menzionate nel progetto di regolamento e invita la Commissione europea a reinserire la pertinente disposizione.

3.7.

Il CESE ritiene che il finanziamento delle politiche di coesione (l’insieme di FESR, FC e FSE) debba essere mantenuto, nel QFP 2021-2027, almeno con le stesse risorse, a prezzi costanti, dell’attuale quadro finanziario.

3.8.

Il CESE, in linea con quanto affermato nel parere sul tema Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura (13), ritiene necessario procedere a una nuova riforma della PAC che, pur mantenendo i suoi due pilastri, li riorienti incanalando gli aiuti diretti in misura notevolmente maggiore verso gli agricoltori e gli allevatori, le piccole e medie imprese e le aziende agricole a conduzione familiare; ritiene inoltre che i fondi per lo sviluppo rurale debbano essere impiegati per promuovere un modello sostenibile che tenga conto degli impegni assunti con gli accordi di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Il finanziamento delle infrastrutture sociali nelle comunità rurali attraverso il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale ha costituito un aspetto molto importante delle politiche attive dell’UE contro lo spopolamento delle campagne e ha servito gli interessi degli abitanti delle zone rurali, dagli agricoltori fino alle piccole imprese e alle comunità locali. I significativi tagli proposti dalla Commissione per la PAC (-15 %) rendono difficile procedere in tale direzione o conseguire gli obiettivi formulati nella comunicazione della Commissione dal titolo «Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura».

3.9.

Il CESE si compiace della proposta di istituire un meccanismo di stabilizzazione per la zona euro nell’ambito del bilancio dell’UE. Lo scopo di tale meccanismo sarà quello di proteggere la spesa per gli investimenti negli Stati membri della zona euro nel caso di shock specifici per paese che esercitano pressioni sui loro bilanci pubblici. Si tratta di una riforma necessaria a rendere l’UEM più resiliente e a impedire dinamiche divergenti tra gli Stati membri.

3.9.1.

Il Comitato ritiene tuttavia che il meccanismo, così come proposto, non determinerà un livello di stabilizzazione sufficiente in caso di crisi, in quanto consente esclusivamente prestiti limitati back-to-back agli Stati membri interessati. L’ammontare di 30 miliardi di EUR è insufficiente a rendere possibile la simultanea erogazione di credito a più di un paese (14). Analogamente, il sostegno al pagamento degli interessi mediante un importo annuale fino a 600 milioni di EUR per questi prestiti offrirebbe un sollievo trascurabile agli Stati membri e quindi una stabilizzazione insufficiente alla zona euro. Un margine più ampio relativo agli impegni di pagamento, che richiederebbe un massimale di contributi più elevato, rappresenterebbe un primo passo verso una maggiore capacità di stabilizzazione.

3.9.2.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che le proposte della Commissione relative al prossimo QFP non contengano disposizioni riguardo alla riforma dell’UEM e della sua governance e alle relative implicazioni in termini di bilancio, in particolare in merito alla creazione del Fondo monetario europeo, ovvero a servizi o vantaggi diretti ai cittadini, quali un’assicurazione contro la disoccupazione, complementare a quella fornita dagli Stati membri, in periodi di crisi.

3.10.

Il Fondo InvestEU si basa sul precedente Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), con lo stesso contributo annuale e le stesse stime riguardo ai suoi effetti sugli investimenti totali. I suoi investimenti si inquadreranno in quattro settori d’intervento (infrastrutture sostenibili; ricerca, innovazione e digitalizzazione; imprese piccole e medie; e poi, investimenti sociali e competenze) che puntano tutti nella giusta direzione. Il CESE accoglie con particolare favore la quarta, in quanto può agevolare il finanziamento di progetti in settori cruciali quali le competenze, l’istruzione, la formazione, gli alloggi sociali, l’innovazione sociale, e l’integrazione di migranti, rifugiati e persone vulnerabili. Questo impegno a garantire i crediti erogati dalla BEI e, se possibile, da altri istituti bancari pubblici è apprezzabile, ma sarà sufficiente soltanto a permettere di mantenere i precedenti livelli di credito, mentre è possibile che alcuni Stati membri con reddito pro capite relativamente basso continuino a non beneficiarne. Saranno necessari maggiori sforzi per colmare il divario di investimenti dell’UE.

3.11.

L’obiettivo principale delle politiche di coesione consiste nel promuovere la convergenza economica e sociale verso l’alto tra gli Stati membri. La fissazione di condizionalità rigide può ostacolare l’accesso ai fondi a valere sulla dotazione per le politiche di coesione da parte degli Stati membri e delle regioni che più ne hanno bisogno, ossia quelli con redditi inferiori o quelli più indebitati. Rimane valido quanto affermato dal CESE nel suo parere sul QFP 2014-2020 (15): «… il CESE è invece contrario ad applicare una condizionalità macroeconomica nell’erogazione di fondi destinati alle politiche di coesione». Il CESE raccomanda tuttavia l’attuazione della politica di coesione secondo gli orientamenti stabiliti dal semestre europeo, che prevedono una partecipazione rafforzata delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, a livello sia nazionale che europeo.

3.12.

I requisiti di cofinanziamento del FESR, del FC e dell’FSE, applicati rigidamente, hanno impedito l’utilizzo di questi fondi durante la politica di estrema austerità adottata da alcuni paesi tra quelli più bisognosi di finanziamento e hanno così favorito la divergenza. Attualmente, essi continuano a limitare, in alcuni paesi, l’accesso a tali fondi, e possono farlo in misura maggiore in futuro, se il QFP post 2020 aumenta la percentuale di cofinanziamento a carico degli Stati membri. Il CESE chiede che i criteri per il cofinanziamento diventino più flessibili, in modo da tener conto non solo della situazione economica e finanziaria di ogni Stato membro, ma anche di quanto affermato nel capitolo del presente parere che è dedicato alla spesa per investimenti in rapporto agli obiettivi del Patto di stabilità e crescita.

3.13.

Dopo l’esperienza maturata con alcune delle riforme strutturali imposte o promosse nel periodo di massima austerità, sembra logico nutrire sospetti circa un accesso ai fondi della politica di coesione subordinato all’attuazione delle suddette riforme senza maggiori precisazioni in merito. Il CESE non si oppone alle riforme, ma ritiene essenziale specificare a quale tipo di riforme si fa riferimento. In vari pareri, e da ultimo in quello sulla politica economica della zona euro 2018 (16), il CESE ha difeso le riforme strutturali che aumentano la produttività, la sicurezza del posto di lavoro e la protezione sociale, favorendo nel contempo gli investimenti e rafforzando la contrattazione collettiva basata sull’autonomia delle parti sociali e sul dialogo sociale.

3.14.

Il Comitato si compiace delle proposte relative ai notevoli incrementi nei programmi per la ricerca e l’innovazione e lo sviluppo dell’economia e della società digitali, in quanto essi possono gettare le basi per aumenti sostenibili e robusti in termini di produttività, retribuzioni e tenore di vita. È fondamentale elaborare una strategia ben definita atta a collegare l’innovazione e la politica industriale europea, della quale tutti gli Stati membri possano beneficiare, in particolare quelli che presentano livelli più bassi di sviluppo. La partecipazione delle parti sociali e della società civile è essenziale per la definizione e l’attuazione di una politica industriale efficiente che sia ben connessa ai sistemi di innovazione. Inoltre, l’attuale contesto richiede altresì un’attenzione forte e costante per la ricerca incentrata sulle società, la democrazia, la cultura e la trasformazione sociale.

3.15.

È altresì necessario porre l’accento sull’aumento del 92 % del finanziamento del programma Erasmus + (per raggiungere un totale di 26 368 milioni di EUR per il periodo 2021-2027), uno dei programmi che hanno maggiormente contribuito all’identità europea.

3.16.

Il CESE accoglie con favore l’aumento dei fondi per la cooperazione internazionale e gli aiuti umanitari, ma esprime preoccupazione per la riconfigurazione dell’azione esterna verso i temi della sicurezza e della pressione migratoria (allontanandosi da un approccio più di lungo periodo, determinato dal basso, mosso dalle necessità e guidato dagli Stati membri), e per la definizione delle priorità, che potrebbero escludere le regioni più vulnerabili. Il CESE chiede un impegno a sostegno degli sforzi dei paesi partner volti ad attuare i loro piani per realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS).

Finanziamento e risorse proprie nel nuovo QFP

3.17.

Nell’ambito del nuovo QFP, la Commissione propone alcune modifiche al modo in cui è finanziato il bilancio dell’UE, ma esse risultano modeste se confrontate con le proposte del gruppo ad alto livello sulle risorse proprie e con quelle del Parlamento europeo, e se paragonate all’esigenza di finanziare la spesa necessaria. La nuova proposta prevede un movimento graduale in direzione di una cessazione della dipendenza dell’UE dai contributi degli Stati membri e in modo molto graduale verso l’autosufficienza finanziaria. A tal fine si propone un numero limitato di nuove fonti di entrate.

3.18.

Il QFP proposto è modesto e poco ambizioso, mentre c’è bisogno di uno sforzo deciso imperniato su un’agenda coerente. Il punto di partenza dovrebbe essere rappresentato dalle proposte avanzate dal gruppo ad alto livello sulle risorse proprie e dal Parlamento europeo relative all’ampliamento del ventaglio delle fonti di risorse proprie, che dovrebbero portare a uno spostamento significativo in direzione di un QFP per il prossimo periodo che faccia affidamento sulle risorse proprie.

3.19.

Il CESE ribadisce quanto affermato nel parere in merito al documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE (17), in cui ha segnalato di concordare con l’analisi contenuta nella relazione finale sul futuro finanziamento dell’UE che è stata elaborata dal gruppo ad alto livello sulle risorse proprie (18) presieduto da Mario Monti. È particolarmente importante che nel QFP per il periodo successivo al 2020 le nuove entrate siano prevalentemente costituite da risorse proprie autonome, trasparenti ed eque. Queste arriverebbero direttamente al bilancio dell’UE senza passare per gli Stati membri, ma senza aumentare la pressione fiscale e gravare ulteriormente sui cittadini più svantaggiati e sulle piccole e medie imprese.

3.20.

Come affermato nel proprio parere in merito al documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE, alcune delle nuove risorse proposte in tale rapporto avrebbero un valore aggiunto europeo dal lato delle entrate, essendo riscosse al livello più adeguato sia per intercettare basi imponibili transnazionali, sia per contrastare gli effetti globali sull’ambiente: l’imposizione fiscale sulle società (CCCTB) (19), e in particolare sulle multinazionali, le transazioni finanziarie, i carburanti e le emissioni di anidride carbonica.

3.21.

Come sostenuto dal gruppo ad alto livello sulle risorse proprie, una risorsa propria basata sull’imposta sul reddito delle società ha «il vantaggio di migliorare il funzionamento del mercato unico». Al tempo stesso, con la base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società vengono semplificate e armonizzare le norme in tutta l’UE, e viene limitata la possibilità che la concorrenza fiscale abbia effetti dannosi.

3.22.

Un’imposta sui servizi digitali, se concepita in modo adeguato, potrebbe rispecchiare il valore aggiunto a livello europeo, dato che il luogo utilizzato a fini fiscali può essere ben distinto dal luogo delle transazioni, ma si tratta di una soluzione temporanea.

3.23.

Il Comitato richiama l’attenzione delle istituzioni europee sul fatto che sarà complesso rendere tutte queste risorse proprie operative nel periodo 2021-2027.

3.24.

I contributi basati sul miglioramento delle norme ambientali e sulla lotta ai cambiamenti climatici promettono anch’essi un valore aggiunto europeo e sono strettamente correlati all’obiettivo strategico dell’UE di un modello di sviluppo sostenibile. Inoltre, solo imposte comuni in materia di energia e danni ambientali possono garantire una concorrenza leale all’interno del mercato unico. In questo contesto la Commissione propone contributi basati sui rifiuti di plastica non riciclati e sul sistema di scambio delle quote di emissioni (UE-ETS). È opportuno ricercare fonti di entrate in tributi riscossi per altri settori dell’inquinamento ambientale che determinano costi che si ripercuotono al di là del singolo Stato membro. Ne sono un esempio, tra l’altro, le imposte sui biglietti aerei e sui carburanti per il trasporto stradale, come proposto dal Parlamento europeo e dal gruppo ad alto livello sulle risorse proprie e l’introduzione di una tassa del carbonio. Bisogna compiere rapidamente dei passi avanti in merito alla decisione su tali nuove fonti di entrate e all’attuazione di questa decisione, in linea con il contesto più ampio dell’agenda politica dell’UE.

3.25.

La Commissione propone inoltre una semplificazione della risorsa propria basata sull’imposta sul valore aggiunto, che è attualmente complessa, in quanto rispecchia le differenze di aliquote IVA tra i vari paesi. Sarebbe auspicabile una semplificazione a un’unica aliquota in tutti gli Stati membri. L’attuale proposta offre un aumento esiguo in termini di entrate. Tuttavia, il contributo IVA rimarrà fondamentalmente analogo a quello basato sul reddito nazionale lordo, in quanto rispecchia l’attività economica generale in uno Stato membro piuttosto che gli obiettivi strategici specifici dell’UE.

3.26.

L’uscita del Regno Unito dall’UE offre l’opportunità di eliminare gradualmente in via definitiva il sistema di correzioni che si è ampliato anche per ridurre i versamenti da parte del Regno Unito e di alcuni altri Stati membri. Si tratta di una misura positiva, così come il 90 % delle entrate doganali che ritorna ad essere destinato al bilancio dell’UE, in linea con i ridotti costi di riscossione dei diritti doganali negli Stati membri. Un ulteriore contributo di piccola entità potrebbe provenire dagli utili della BCE (signoraggio). Complessivamente, tuttavia, queste nuove forme di risorse proprie rimangono troppo modeste e incerte perché vi siano speranze fondate di una riduzione significativa dei contributi basati sull’RNL.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il CESE sostiene la proposta che subordina il ricevimento di finanziamenti dell’UE da parte degli Stati membri al rispetto del principio dello Stato di diritto, un pilastro fondamentale dei valori dell’Unione ai sensi dell’articolo 2 del trattato sull’UE, a condizione che la sua attuazione non penalizzi i cittadini o singole imprese che stanno attualmente beneficiando di fondi dell’UE. Dato che il bilancio costituisce il principale strumento di attuazione di tutte le politiche dell’Unione, il Comitato ritiene che tale condizionalità possa essere estesa agli altri principi legati allo Stato di diritto sanciti nei trattati dell’UE, e invita la Commissione e il Parlamento europeo ad esaminare tale possibilità.

4.2.

È opportuno impiegare un livello massimo di flessibilità per promuovere le interconnessioni dei programmi di spesa, al fine di recare benefici sia alle politiche che ai fondi. Per esempio: la PAC e il programma Orizzonte per la modernizzazione tecnologica dell’agricoltura in zone rurali vitali e l’attività agricola sostenibile; i programmi per la ricerca, sviluppo e innovazione (RSI), le università, Erasmus+ e altri programmi per i giovani; politiche di investimento e coesione, il Fondo sociale europeo e un nuovo programma di sviluppo relativo al pilastro europeo dei diritti sociali che il CESE propone nel presente parere, al fine di promuovere la convergenza tra gli Stati membri ecc. Il CESE deplora pertanto la proposta di sostituire la regola «n+3» con la regola «n+2» (20) e invita la Commissione a riesaminare la questione.

4.3.

Le valutazioni in corso sull’attuazione del piano Juncker (Piano d’investimenti per l’Europa) mettono in dubbio le affermazioni che ne rivendicano i suoi effetti nel far aumentare gli investimenti ai livelli inizialmente previsti, e tanto meno ai livelli necessari a ridurre in modo significativo il divario degli investimenti rispetto al periodo precedente il 2008. Diversi Stati membri con redditi più bassi ancora non traggono benefici sufficienti dal piano. Devono essere istituiti meccanismi adeguati per correggere tale tendenza, che aumenta le divergenze tra gli Stati membri. Si dovrebbe promuovere la possibilità di combinare i finanziamenti provenienti da diversi fondi, ad esempio il Fondo di coesione e InvestEU.

4.4.

Il rafforzamento della coesione sociale va di pari passo con il ripristino della fiducia dei cittadini europei. Lo sviluppo del pilastro europeo dei diritti sociali (PEDS) potrebbe contribuire in larga misura al perseguimento di entrambi gli obiettivi fornendo, tra l’altro, sostegno e orientamenti agli Stati membri che stanno attuando riforme per creare posti di lavoro sostenibili e di qualità elevata con un elevato valore aggiunto. Il CESE propone di istituire un programma specifico per il PEDS all’interno del QFP per il periodo 2021-2027 sulla base degli impegni assunti dagli Stati membri che hanno sottoscritto la Dichiarazione di Göteborg. Il Fondo sociale europeo+ potrebbe contribuire a finanziare, secondo un sistema di indicatori che includerebbe, tra l’altro, i tassi di disoccupazione e di attività, i tassi di scolarizzazione e di insuccesso scolastico, il PIL pro capite, gli indicatori di povertà e d’inclusione sociale, sia quelli di carattere generale, come gli indicatori regionali, sia quelli riferiti a taluni gruppi sociali svantaggiati.

4.5.

Il semestre europeo dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale nell’esecuzione dei bilanci dell’UE, sfruttando al massimo la flessibilità del nuovo QFP, ad esempio per garantire una solida relazione tra la politica di coesione e altre politiche, come quelle per l’innovazione, gli investimenti e la creazione di posti di lavoro. A tal fine devono essere adeguatamente attuati i meccanismi per la partecipazione delle parti sociali e della società civile al semestre europeo, affinché esse sappiano come collegare la rispettiva sfera nazionale a quella europea. Sostenendo l’attuazione del semestre europeo, la Commissione e il Consiglio verrebbero direttamente coinvolti nelle questioni politiche nazionali. Occorre garantire che né i diritti sociali, né quelli dei lavoratori e dei consumatori verranno lesi dalle misure sostenute dai fondi dell’UE.

4.6.

Deve essere data precedenza agli sforzi che le istituzioni europee e i governi nazionali, affiancati dalle organizzazioni della società civile, devono compiere affinché il QFP post 2020 disponga di maggiori finanziamenti e per riequilibrare le loro priorità secondo le modalità che il CESE propone nel presente parere. Il CESE li invita a intensificare i lavori, in modo che il QFP possa essere approvato, secondo il calendario previsto, prima delle prossime elezioni europee.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2018 sul tema Il prossimo QFP: preparazione della posizione del Parlamento in merito al QFP per il periodo successivo al 2020 [2017/2052(INI)] (correlatori: Jan Olbrycht, Isabelle Thomas), punto 14.

(2)  GU C 81 dell'2.3.2018, pag. 131.

(3)  GU C 262 dell'25.7.2018, pag. 1.

(4)  Banca europea per gli investimenti.

(5)  COM(2018) 321 final.

(6)  COM(2018) 322 final/2, COM(2018) 326 final, COM(2018) 327 final, COM(2018) 328 final.

(7)  COM(2018) 325 final.

(8)  GU C 81 dell'2.3.2018, pag. 131.

(9)  Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2018 sul tema Il prossimo QFP: preparazione della posizione del Parlamento in merito al QFP per il periodo successivo al 2020 [2017/2052(INI)] (correlatori: Jan Olbrycht, Isabelle Thomas), punto 14.

(10)  Cfr. anche i pareri del CESE NAT/735 sul tema Patto europeo finanza-clima, relatore Rudy De Leeuw, e ECO/456 sul tema Piano d'azione per finanziare la crescita sostenibile, relatore Carlos Trias Pinto, non ancora pubblicati.

(11)  ETUI/ETUC (2018), Benchmarking Working Europe, Brussels: ETUI, (Istituto sindacale europeo (2018), Parametro di riferimento dell’Europa che lavora, Bruxelles: ETUI).

(12)  Darvas, Z. e Moes, N. (2018), How large is the proposed decline in EU agricultural and cohesion spending? (Qual è l’entità della riduzione proposta per la spesa dell’UE destinata alla coesione e all’agricoltura?) Post del Bruegel Blog, del 4 maggio 2018.

(13)  GU C 283 del 10.8.2018, pag. 69.

(14)  Cfr. Claeys, G. (2018), New EMU stabilisation tool within the MFF will have minimal impact without deeper EU budget reform, («Un nuovo strumento di stabilizzazione dell’UEM all’interno del QFP avrà un effetto minimo senza una riforma più incisiva del bilancio dell’UE»), Bruegel Blog, 9 maggio 2018. Secondo questa analisi, 30 miliardi di EUR equivalgono a circa un terzo dell’importo prestato all’Irlanda durante la crisi.

(15)  GU C 229 del 31.7.2012, pag. 32.

(16)  GU C 197 dell'8.6.2018, pag. 33.

(17)  GU C 81 del 2.3.2018, pag. 131.

(18)  Futuro finanziamento dell'UEFuturo finanziamento dell’UE.Sintesi e raccomandazioni del Gruppo ad alto livello sulle risorse proprieSintesi e raccomandazioni del gruppo ad alto livello sulle risorse proprie, dicembre 2016.

(19)  Giudicata positivamente dal CESE già nel 2011 con il parere Base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società, in GU C 24, del 28.1.2012, pag. 63 e nel 2017 con il parere Base imponibile (consolidata) comune per l’imposta sulle società, GU C 434 del 15.12.2017, pag. 58.

(20)  Una parte dell’impegno di bilancio è automaticamente disimpegnata dalla Commissione se essa non è stata utilizzata o se nessuna domanda di pagamento è pervenuta entro la fine del secondo anno successivo all’anno dell’impegno di bilancio (N + 2). Fonte: Commissione europea.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/116


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni specifiche per l’obiettivo “Cooperazione territoriale europea” (Interreg) sostenuto dal Fondo europeo di sviluppo regionale e dagli strumenti di finanziamento esterno»

[COM(2018) 374 final — 2018/0199 (COD)]

(2018/C 440/19)

Relatore:

Henri MALOSSE

Consultazione

Parlamento europeo, 11.6.2018

Consiglio dell’Unione europea, 19.6.2018

Base giuridica

Articoli 178 e 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

7.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

196/2/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La cooperazione territoriale europea (CTE) è uno strumento unico della politica di coesione e rappresenta uno dei rari contesti in cui operatori nazionali, regionali e locali di diversi Stati membri sono sistematicamente indotti a realizzare azioni comuni e a scambiare pratiche e strategie di intervento. Possiamo dire che in quest’ambito si ritrova, in una certa misura, l’«anima» dello spirito europeo. Nonostante i numerosi casi di valore aggiunto e di investimenti a favore della crescita riscontrati nei progetti attuati sinora, i risultati delle valutazioni ex post hanno di fatto evidenziato diverse carenze. La nuova proposta di regolamento deve tenerne conto in diversi ambiti di intervento:

1.1.1.

Semplificazione delle procedure — Il CESE chiede un’azione radicale di semplificazione in relazione alla dimensione dei progetti. La cooperazione riguarda principalmente attività locali. È pertanto indispensabile che vengano apportate le semplificazioni necessarie ai formulari e ai metodi di valutazione dei progetti, e che le procedure forfettarie siano applicate come elemento chiave della nuova programmazione.

1.1.2.

Quadro finanziario — La politica di coesione è un elemento fondamentale del sostegno alla strategia Europa 2021-2027, e va sostenuta tecnicamente e finanziariamente in modo prioritario. Il CESE mette in guardia contro una dotazione di bilancio indebolita, che pregiudicherebbe l’efficacia, la visibilità e la reputazione di tale programma d’azione. Chiede pertanto al Parlamento europeo di proporre un aumento degli stanziamenti per la politica di coesione, in particolare di quelli destinati alla cooperazione territoriale europea.

1.1.3.

Addizionalità — Il CESE è preoccupato per le nuove norme che potrebbero portare al 70 % il tasso di finanziamento massimo dell’UE, che oggi è pari all’85 %. Chiede di mantenere il tasso dell’85 % per i progetti di piccole dimensioni, le regioni più vulnerabili e le azioni della società civile. Il CESE sostiene inoltre un maggiore ricorso alla partecipazione del settore privato e all’ingegneria finanziaria europea del fondo InvestEU per le azioni a sostegno del settore produttivo.

1.1.4.

Integrazione degli strumenti finanziari — Il CESE chiede alla Commissione di attuare una vera e propria strategia volta a coordinare e integrare i diversi strumenti finanziari disponibili nell’ambito del QFP 2021-2027, e la invita a presentare in tempi rapidi una comunicazione in tal senso. La cooperazione territoriale europea deve costituire un ambito privilegiato per attuare questo indispensabile coordinamento.

1.1.5.

Per un autentico partenariato con la società civile — La Commissione deve imporre l’obbligo di coinvolgere le parti sociali e le organizzazioni della società civile, sia nel processo di consultazione che nell’attuazione delle azioni, poiché i risultati migliori dei progetti osservati sono stati ottenuti grazie all’impegno della società civile. Il CESE raccomanda di obbligare ogni autorità operativa a presentare un progetto di partenariato per il coinvolgimento della società civile, corredato di un meccanismo di allerta.

1.1.6.

Continuazione e sviluppo della concentrazione tematica — Il CESE constata con favore la tendenza ad una concentrazione tematica delle priorità di intervento e di investimento, ma resta da chiarire in che modo:

tenere conto delle particolarità delle zone di cui all’articolo 174 del TFUE (isole, zone di montagna, zone rurali, agglomerati ecc.) senza perdere di vista la necessità di concentrazione, garanzia di visibilità ed efficacia per evitare la dispersione;

porre al centro di tutte le problematiche lo sviluppo sostenibile e le azioni per il clima;

mettere veramente l’Europa alla portata dei cittadini, agendo maggiormente a livello locale.

1.1.7.

Settore marittimo e territori insulari — Dato che il settore marittimo è il solo ambito in cui si collocano i territori insulari, il CESE chiede che essi possano continuare a presentare progetti nel quadro della cooperazione frontaliera oltre che territoriale. Se del caso, andrebbe fissata una nuova priorità «territori insulari» con una dotazione specifica.

1.1.8.

Strategie macroregionali (SMR) — Il CESE ritiene indispensabile estendere lo sviluppo delle SMR a nuove aree geografiche (Mediterraneo, Balcani, Carpazi ecc.) e garantire loro una maggiore integrazione dei nuovi strumenti finanziari europei.

1.1.9.

Cooperazione con i paesi vicini — Il CESE accoglie con favore la creazione di un quadro unico di attuazione con i paesi vicini e/o terzi. Sottolinea ancora una volta la fondatezza dell’approccio che fa intervenire, al tempo stesso, gli stanziamenti della CTE e quelli dei fondi europei esterni. Il CESE invita la Commissione ad aprire, in questo contesto, i programmi di cooperazione territoriale alle regioni dei paesi del vicinato, anche se tali regioni non si trovano alle frontiere dell’UE, in modo da evitare di creare discontinuità nei paesi interessati.

1.1.10.

Innovazione — Il CESE sostiene la proposta di un asse prioritario sull’innovazione con un bilancio autonomo e procedure che consentano l’accesso diretto agli attori non statali. Sottolinea tuttavia che l’innovazione va intesa anche a livello socioculturale e sociale.

1.1.11.

La componente digitale della cooperazione territoriale europea — Una delle principali sfide che si pongono oggi agli attori della cooperazione territoriale europea è quella di essere «connessi». Occorre prevedere risorse ed iniziative per ridurre il divario digitale tra i territori, come pure tra le componenti territoriali urbane e rurali delle regioni: sviluppare gli scambi di esperienze e ridurre il divario digitale, da un lato tra le regioni, e dall’altro tra territori urbani e rurali.

1.1.11.1.

Pertanto il CESE raccomanda, per il periodo 2021-2027, di integrare nell’architettura globale dei programmi di CTE anche la necessità di tenere conto della trasformazione digitale e delle esigenze di miglioramento delle competenze.

1.1.12.

Tenere conto dei giovani — Il coinvolgimento dei giovani d’Europa è fondamentale. Il CESE raccomanda di utilizzare i metodi Erasmus+ per lo scambio dei giovani: studenti, apprendisti, disoccupati, persone in difficoltà, in modo che la cooperazione territoriale si estenda anche ai giovani grazie a programmi specifici di mobilità, alla formazione professionale e all’apprendimento delle lingue. Il CESE propone di includere nei programmi di cooperazione, transfrontalieri e transnazionali, degli assi di proposte e di interventi specifici, proposti dai giovani e ad essi rivolti.

1.1.13.

Azioni a favore dei gruppi vulnerabili e rispetto dei criteri orizzontali — Il CESE sottolinea l’importanza di stabilire regole precise sui livelli di obbligo da rispettare per quanto concerne i principi orizzontali comunitari e di fissare una soglia minima al riguardo (10 % degli aiuti per l’azione).

1.1.14.

Protezione civile e lotta contro i grandi rischi — Il CESE invita la Commissione a valutare la possibilità di includere questo elemento come un asse principale della cooperazione territoriale e di collegarlo con il nuovo fondo «Difesa e protezione civile» proposto dalla Commissione per il QFP 2021-2027.

1.1.15.

Pubblicità — Data l’importanza dei programmi finanziati nel quadro della CTE, il CESE sosterrà tutte le iniziative che consentano di aumentarne la visibilità, al fine di rafforzare lo spirito di cittadinanza europea e la conoscenza delle azioni concrete realizzate con il sostegno dell’UE. In particolare, raccomanda di istituire, nelle regioni che beneficiano dei programmi di cooperazione, delle antenne d’informazione situate di preferenza presso organizzazioni della società civile.

2.   Introduzione

2.1.   La cooperazione territoriale e frontaliera, l’anima dello spirito europeo

2.1.1.

Al centro della costruzione di uno spazio comune europeo, la cooperazione territoriale europea (CTE) (Interreg), in tutte le sue componenti transfrontaliere, transnazionali, interregionali e di apertura ai paesi vicini, rappresenta il fondamento dell’integrazione europea: essa contribuisce a garantire che le frontiere non si trasformino in barriere, avvicina gli europei, aiuta a risolvere problemi comuni, facilita la condivisione delle idee e dei punti di forza e incoraggia la iniziative strategiche con obiettivi condivisi.

2.1.2.

L’articolo 174 e l’articolo 24 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) costituiscono il quadro giuridico che autorizza l’attuazione della politica di coesione economica, sociale e territoriale, definendo come obiettivi la riduzione delle disparità tra i livelli di sviluppo delle regioni e, di conseguenza, la cooperazione territoriale europea.

2.1.2.1.

L’articolo 174 precisa che «tra le regioni interessate, un’attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna». Il CESE ritiene che tale articolo giustifichi ampiamente che la cooperazione territoriale europea presti particolare attenzione a tali regioni, e chiede alla Commissione e agli Stati membri di provvedere in tal senso.

2.1.3.

Obiettivo prioritario della politica di coesione, la CTE (Interreg) è il quadro nel cui ambito operatori pubblici e privati, nazionali, regionali e locali degli Stati membri conducono iniziative collettive, scambiano buone pratiche ed elaborano delle politiche di sviluppo all’interno e all’esterno dell’Europa. Tuttavia, nonostante i numerosi casi di valore aggiunto e di investimenti a favore della crescita riscontrati nei progetti attuati sinora, alcune imperfezioni legate a delle carenze nell’inquadramento dei vari programmi non sono senza conseguenze e meritano di essere analizzate nelle nuove prospettive 2021-2027.

2.1.4.

Dai risultati delle valutazioni ex post, infatti, emergono diversi elementi:

un’insufficiente definizione funzionale delle regioni in relazione all’articolo 174 del TFUE;

notevoli difficoltà per definire e attuare una strategia di intervento coerente dovute alla scelta di un approccio dal basso verso l’alto (bottom-up) nell’individuazione dei progetti da sostenere;

praticamente nessuna sinergia tra i programmi Interreg e altri programmi comunitari in grado di rafforzarne gli effetti di sviluppo, in particolare Erasmus+, Orizzonte 2020, il Fondo europeo per gli investimenti strategici (EFSI), Connect-Europe, COSME e, in generale, un impatto troppo limitato e una scarsa visibilità di queste azioni per la società civile e per tutte le categorie di cittadini, in particolare le donne, i giovani, le famiglie, le persone con disabilità e gli anziani.

2.1.5.

Alcuni di questi aspetti sono presi in considerazione nella nuova proposta di regolamento che rafforza le procedure volte a ridurre le priorità regionali in tutte le regioni europee, comprese le più remote, sviluppa nuove strategie macroregionali e concentrazioni tematiche, dà maggiore risalto alle iniziative per l’innovazione come pure a molte altre iniziative che, pertanto, sono oggetto di analisi e osservazioni specifiche. Tuttavia, la proposta della Commissione deve essere migliorata e chiarita in diversi punti importanti.

3.   Temi prioritari per le raccomandazioni del CESE alla Commissione

3.1.

Semplificazione delle procedure — Verso una semplificazione radicale — La Commissione propone numerose disposizioni specifiche volte a semplificare le regole di posizionamento e di gestione dei programmi per tutti i livelli interessati: beneficiari, Stati membri, autorità di gestione, paesi terzi partecipanti e la stessa Commissione. Il CESE non può che condividere tale approccio. Si tratta, tuttavia, di un’iniziativa che viene presentata a ogni nuova programmazione. La Commissione non si è spinta abbastanza oltre in tale procedura.

3.1.1.

Per quanto riguarda la semplificazione e l’approccio forfettario, il regolamento stabilisce il trattamento forfettario di talune spese come uno degli elementi chiave del prossimo periodo di programmazione e sviluppa ulteriormente alcune variabili come i costi del personale (per ogni progetto inferiore a 200 000 EUR: un finanziamento forfettario e nessun obbligo di presentare fatture). In tal modo, la Commissione riconosce l’esigenza di una semplificazione amministrativa e sottolinea la necessità di un accordo generalizzato.

3.1.2.

La cooperazione riguarda principalmente attività locali, ed è quindi necessario che il programma sia molto più aperto alla società civile, con una semplificazione radicale delle procedure e la creazione di piccole unità di informazione e assistenza.

3.1.3.

Il CESE auspica che sia garantita la coerenza in relazione alla dimensione dei progetti, in modo che vengano apportate le semplificazioni necessarie nei formulari e nei metodi di valutazione dei progetti e si ricorra alle procedure forfettarie con un importo minimo per le attività amministrative e gestionali. Tale semplificazione radicale è essenziale per aiutare i promotori dei progetti a concentrarsi sui risultati delle azioni piuttosto che su attività amministrative dispendiose in termini di tempo.

3.1.4.

Infatti, come auspica la Commissione, occorre seguire fino in fondo la logica della valutazione del progetto tramite i «risultati» ed esonerare gli operatori dall’obbligo di presentare costantemente delle relazioni di attività (attualmente ogni 6 mesi).

3.2.

Quadro finanziario — La Commissione ritiene che la politica di coesione e il suo corollario (la CTE) debbano rimanere un elemento essenziale del pacchetto finanziario. Il CESE condivide questo punto di vista. Una dotazione di bilancio indebolita pregiudicherebbe l’efficacia, la visibilità e anche la reputazione di cui gode attualmente tale programma d’azione. L’opzione scelta ad oggi è quella di mantenere un bilancio stabile rispetto al periodo precedente, il tutto in un contesto di tagli di bilancio pari a circa il 10 % del bilancio dell’UE. Ciò dovrebbe consentire di mantenere — come minimo — l’attuale sostegno ai programmi Interreg, ma il CESE esorta il Parlamento europeo a proporre un aumento sostanziale poiché tali azioni, a condizione che vengano loro assegnate risorse significative, possono avere un impatto molto forte a livello politico e sui cittadini.

3.2.1.

Nel nuovo regolamento sulla cooperazione territoriale europea il tasso di cofinanziamento passa al 70 % (dall’attuale 85 %). Secondo la Commissione, ciò dovrebbe tradursi in un rafforzamento dell’intervento finanziario degli Stati e migliorare le condizioni per la titolarità dei progetti. Il CESE teme che questa misura, nota come «addizionalità», scoraggi la partecipazione dei soggetti privati e delle regioni meno favorite. Chiede pertanto di mantenere questo tasso all’85 % per le regioni più vulnerabili ai sensi dell’articolo 174 del TFUE. Inoltre, resta il fatto che una concentrazione degli interventi dell’Europa garantisce loro una maggiore visibilità.

3.2.2.

Nuove regole per i «piccoli progetti» — Il nuovo regolamento introduce una definizione chiara, accompagnata da nuove misure e regole semplificate: ridefinizione dell’assistenza tecnica, abolizione dell’obbligo di presentare relazioni annuali, approccio forfettario per molte voci di spesa e condizioni per un avvio più rapido per il prossimo periodo. Il CESE ritiene che tali iniziative vadano nella giusta direzione.

3.2.3.

Riguardo agli oneri amministrativi per i «piccoli progetti», il CESE valuta molto positivamente anche la prospettiva di creare un organismo transfrontaliero che gestisca l’intera amministrazione per una serie di «piccoli progetti», in aggiunta al finanziamento forfettario.

3.2.4.

Il CESE apprezza l’impegno assunto dalla Commissione di massimizzare la partecipazione privata ai programmi di cooperazione territoriale. Il CESE propone di rafforzare tale posizione mediante la definizione di una soglia minima per la partecipazione degli attori non statali (escluse le autorità regionali), come le aziende private, le parti sociali, il settore associativo, le strutture dell’economia sociale e solidale e le associazioni di categoria.

3.3.

Partenariato con la società civile — Il CESE rammenta che il partenariato è lo strumento chiave per il rispetto dei principi orizzontali. È opportuno attuarlo ovunque con la società civile, le parti sociali, gli enti locali e gli organismi per l’inclusione sociale. In tale contesto, il regolamento prevede che la società civile faccia parte dei comitati di sorveglianza. È altresì previsto che nei siti web che forniscono le informazioni sull’esecuzione e i risultati dei programmi vengano pubblicate anche delle informazioni sugli insuccessi e sui progetti che non rendono conto degli impegni assunti.

3.3.1.

È evidente che le autorità locali, una volta designate, tendono a ignorare tutto il resto.

3.3.2.

La partecipazione dei soggetti della società civile non dovrebbe essere limitata al processo di consultazione. È invece fondamentale coinvolgerli nell’attuazione delle azioni e affidare loro delle responsabilità al riguardo, anche scegliendo delle organizzazioni della società civile come autorità di gestione.

3.3.3.

Il CESE propone che, per ogni programma di CTE, l’Autorità di gestione presenti un progetto di partenariato che dimostri la partecipazione della società civile a tutte le fasi di preparazione, attuazione e valutazione delle azioni. Questo sistema dovrebbe includere un meccanismo di allerta per consentire ai soggetti della società civile di adire l’autorità competente nei casi in cui il principio di partenariato non sia rispettato.

3.4.

Nuova ripartizione delle risorse per la cooperazione territoriale — Il nuovo regolamento CTE/Interreg descrive il futuro programma d’azione articolandolo in cinque componenti della cooperazione: transfrontaliera, transnazionale e marittima, delle regioni ultraperiferiche, interregionale, nonché la nuova componente per gli investimenti interregionali in materia di innovazione. Questo approccio è coerente, anche se la scelta di rimuovere dalle cooperazioni transfrontaliere quelle riguardanti il settore marittimo solleva dei dubbi e suscita parecchie inquietudini negli operatori delle regioni interessate. La Commissione giustifica questa scelta spiegando che possono verificarsi, soprattutto nel contesto della cooperazione marittima, delle sovrapposizioni tra diversi programmi transfrontalieri e si impegna a definire un approccio globale per i programmi destinati alle zone marittime, compresa la cooperazione bilaterale, per la quale verrà previsto un maggiore impatto.

3.5.

La questione del settore marittimo e il caso dei territori insulari — Il CESE ritiene che tale orientamento relativo alla dimensione marittima sia comprensibile nel caso dei territori continentali, ma non sia giustificato nel caso dei territori insulari i quali, per definizione, hanno soltanto frontiere marittime. Inoltre, il CESE ha spesso invitato la Commissione a prestare particolare attenzione al problema delle isole che presentano svantaggi strutturali evidenti, riconosciuti dall’articolo 174 del TFUE. Il CESE propone pertanto di reinserire le azioni di cooperazione europea tra le isole nella cooperazione transfrontaliera e/o di farne una componente 6 dotata di un bilancio specifico, in particolare a favore di un insieme di isole appartenenti allo stesso bacino marittimo, al fine di promuovere gli scambi di esperienze.

3.6.

Un’apertura specifica sull’innovazione — Una nuova linea specifica che funziona tramite inviti a presentare proposte è prevista per lo sviluppo di progetti in tutta l’UE, in modo da andare oltre la semplice prassi dello scambio di buone pratiche e progredire verso dispositivi completi di ricerca-azione (l’11 % del bilancio Interreg). Il CESE accoglie con favore questo approccio, a condizione che esso comprenda anche le innovazioni socioculturali e sociali per le quali le cooperazioni tra i territori possono avere un impatto considerevole sulle persone interessate e permetta la partecipazione diretta degli attori non statali (ricercatori, imprese, società civile).

3.7.

Un’apertura alle regioni ultraperiferiche (RUP) — La Commissione propone di adottare nuove misure per consentire a tali regioni, tenuto conto della loro situazione specifica, di cooperare nel quadro della comunicazione della Commissione «Un partenariato strategico rinnovato e rafforzato con le regioni ultraperiferiche dell’UE» (1). Si tratterà di un settore di cooperazione per le RUP, tra di esse e con i paesi vicini (3,2 % del bilancio Interreg). Questa disposizione chiaramente identificata è interessante, ma bisognerebbe anche che le risorse dell’UE destinate ai paesi terzi vicini delle RUP (principalmente il Fondo europeo per lo sviluppo (FES)] possano essere facilmente mobilitate per integrare tali iniziative, cosa che attualmente non avviene. Il CESE chiede un’interazione coordinata tra Interreg e il FES, che sia formalizzata e pianificata.

3.8.

Cooperazione con i paesi terzi — Il CESE ritiene positivo che d’ora in poi, in un contesto internazionale perturbato, un quadro identico venga adottato per le attività che coinvolgono paesi vicini al di fuori dell’Unione europea. Per quanto riguarda i paesi del vicinato, si dovrebbe sfruttare meglio la possibilità esistente per le regioni non frontaliere di tali paesi di partecipare alle azioni di cooperazione transnazionale, evitando così di accentuare le differenze, all’interno di questi paesi, che avvantaggiano le regioni frontaliere dell’UE.

4.   Nuovi spunti di riflessione

4.1.

Sviluppo della concentrazione tematica — Il CESE raccomanda di incentrare correttamente i programmi sulle azioni articolate con le priorità dell’Unione europea definite nel progetto di QFP 2021-2027 (innovazione, ricerca, Europa più verde — energia, economia circolare ecc. —, Europa interconnessa — trasporti, agricoltura ecc. —, Europa più sociale — FSE, FESR, istruzione, sanità ecc. —, Europa più locale tramite strategie di sviluppo a livello locale), senza dimenticare gli obiettivi specifici enunciati nel regolamento in materia sociale, di istruzione e assistenza sanitaria. Un’attenzione particolare dovrebbe essere quindi rivolta alle strategie di sviluppo locale che coinvolgono tutti i soggetti della società civile.

4.1.1.

Nel quadro della concentrazione tematica, è essenziale che la questione dello sviluppo sostenibile e delle azioni per il clima, delle economie circolari e delle energie rinnovabili sia posta al centro di tutte le problematiche e venga presa in considerazione in maniera esplicita.

4.2.

Strategie macroregionali (SMR) — Le strategie macroregionali (mar Baltico, Danubio, arco alpino, mare Adriatico e Ionio) sono generalmente considerate un successo. La CTE presenta un valore particolare poiché è in grado di creare le condizioni per realizzare strategie macroregionali di sviluppo basate su:

l’esistenza di un grado elevato di interazioni transfrontaliere;

la coerenza tra i finanziamenti e le priorità strategiche di intervento.

4.2.1.

Tali dispositivi permetteranno di rafforzare i programmi di cooperazione, in particolare transnazionale e marittima. Potrebbe essere utile lanciare una sperimentazione nel quadro di una strategia macroregionale per il Mediterraneo (occidentale e orientale), in collegamento con le strategie per i bacini attuate nell’ambito delle azioni marittime dell’UE, nonché una SMR riguardante i massicci montuosi dell’Europa sudorientale (Carpazi e Balcani): due iniziative che interessano entrambe anche dei paesi terzi.

4.3.

La componente digitale della cooperazione territoriale europea — Una delle principali sfide che si pongono oggi alla cooperazione territoriale europea è quella di essere «connessa». È necessario prevedere i mezzi e le iniziative per ridurre il divario digitale tra i territori, come pure tra le componenti territoriali urbane e quelle rurali delle regioni. Lo sviluppo del digitale presenta diverse sfide:

4.3.1.

Una sfida tecnica ed economica per lo sviluppo territoriale. Le tecnologie digitali offrono notevoli capacità di sviluppo dei territori nel quadro di nuovi sviluppi industriali, di una società collaborativa, dell’emergere di nuove cooperazioni sul lavoro e di nuovi meccanismi di valorizzazione delle risorse locali.

4.3.2.

Una sfida sociale fondamentale che incide sullo sviluppo delle competenze delle popolazioni e dei territori. Sviluppare gli investimenti nelle competenze e nella capacità di utilizzo, e non lasciare che aumenti il divario sociale digitale. L’evoluzione digitale sta creando una nuova serie di discriminazioni, che derivano in particolare dalla capacità di accesso alle attrezzature per le popolazioni povere, per ragioni legate al tenore di vita e ad aspetti culturali come il livello di istruzione e l’età.

4.3.3.

Occorre tener conto del fatto che il «digitale» è in grado di facilitare l’accesso ai diritti ma, nella stessa misura, può invece costituire un ulteriore fattore di esclusione per talune categorie di cittadini. Già di per sé, questa constatazione induce il CESE a chiedere alla Commissione di adottare, nelle azioni in materia di CTE, un approccio pedagogico coordinato con i soggetti del territorio.

4.3.4.

Il CESE propone inoltre che una parte significativa delle azioni innovative sia destinata al digitale, con inviti a presentare proposte specifiche comprendenti lo scambio di esperienze e la cooperazione nei territori in questi settori, dando la priorità all’inclusione dei gruppi più svantaggiati e vulnerabili. Tale inclusione è essenziale per i territori nel quadro di nuovi sviluppi industriali, di una società collaborativa, dell’emergere di nuove cooperazioni sul lavoro e di nuovi meccanismi di valorizzazione delle risorse locali. La Commissione ha presentato un progetto di bilancio per il periodo 2021-2027. Tale progetto copre in misura sufficiente questo aspetto digitale? Se non lo fa, non è adeguato.

4.3.5.

Digitale e intelligenza artificiale — È indispensabile che la Commissione si doti degli strumenti del digitale e dell’intelligenza artificiale per lo sviluppo e la valutazione dei programmi futuri (Big Data, nuove tecnologie e investimenti dei fondi).

4.3.6.

Secondo la stessa Commissione, la valutazione dell’impatto delle azioni e dei programmi dell’UE è riconducibile ad un certo «stato d’animo». I risultati di un progetto sarebbero talvolta meno importanti rispetto al modo di ottenerli, ed è difficile trovare gli indicatori (non solo quantitativi, ma qualitativi) per valutare tali aspetti.

4.3.7.

Il CESE incoraggia vivamente la Commissione a cercare indicatori migliori per valutare i risultati immediati e l’impatto dei programmi e dei progetti.

4.4.

Tenere conto della dimensione dei giovani — Il coinvolgimento dei giovani d’Europa è un elemento fondamentale. Il CESE raccomanda di utilizzare i metodi Erasmus+ per lo scambio dei giovani: allievi di scuole superiori, studenti, apprendisti, disoccupati, persone in difficoltà, in modo che la cooperazione territoriale si estenda anche ai giovani grazie a programmi specifici di mobilità, in particolare per la formazione professionale e l’apprendimento delle lingue. La riflessione del CESE verte su diverse possibilità non contraddittorie, affinché il territorio acquisti un senso per i giovani.

4.4.1.

Il CESE propone di riservare una percentuale delle dotazioni della CTE per azioni proposte dai giovani e ad essi rivolte. In parallelo, nel quadro del futuro programma Erasmus+ post 2021, la Commissione potrebbe scegliere di destinare una parte di tale programma ad iniziative incentrate su spazi territoriali delimitati.

4.4.2.

D’altra parte, il 10 % di una o più componenti di Interreg dovrebbe essere destinato alla mobilità di tipo Erasmus, e una percentuale identica alla dotazione dei progetti gestiti nell’ambito di Erasmus+ che sono organizzati in spazi europei. Una priorità potrebbe essere riservata alle regioni che iniziano ad avere un’esistenza reale, una macroregione MED ad esempio, e/o in via sperimentale a regioni in corso di definizione e sviluppo, come ad esempio una macroregione Mediterraneo orientale (Est MED).

4.4.3.

È pertanto necessario includere nei programmi di cooperazione transfrontalieri e transnazionali uno o più aspetti di proposte e interventi specifici rivolti ai giovani e da essi proposti. Tali assi dovrebbero consentire e sostenere il passaggio da semplici scambi culturali alla valorizzazione di azioni riguardanti categorie diverse da quelle tradizionalmente beneficiarie di Erasmus+: movimenti giovanili e creazione di associazioni per la lotta alle esclusioni e alle disuguaglianze sociali, per l’integrazione delle persone più vulnerabili (disabilità), azioni per il clima, iniziative per contribuire all’accoglienza dei rifugiati migranti, o qualsiasi altro tema nei settori dell’istruzione e della solidarietà.

4.5.

Azioni a favore dei gruppi vulnerabili e rispetto dei criteri orizzontali — Riguardo all’inclusione dei gruppi vulnerabili a tutti i livelli dell’elaborazione e dell’attuazione dei programmi di cooperazione, in particolare nella selezione dei progetti, la Commissione esprime una posizione chiara sull’obbligo assoluto di rispettare i principi orizzontali comunitari.

4.5.1.

Si pone tuttavia la questione della regolamentazione di questo ambito nel quadro della CTE, che non stabilisce delle quote. Il CESE propone che si definisca una soglia minima per quanto riguarda le cooperazioni frontaliere (10 %).

4.6.

La protezione civile e la lotta contro i grandi rischi — Questa componente, che è parte del nuovo Fondo europeo per la difesa e la protezione civile proposto dalla Commissione per il QFP 2021-2027, è un fattore importante che ha implicazioni per la cooperazione territoriale. Si pensi, ad esempio, alla prevenzione e alla lotta contro gli incendi boschivi nel bacino del Mediterraneo o alle inondazioni nelle regioni più settentrionali. Si tratta di ambiti per i quali è evidente la necessità di una cooperazione al di là delle frontiere nazionali, e che incidono direttamente sulla vita dei cittadini.

4.6.1.

Il CESE raccomanda quindi che la CTE presti una particolare attenzione a questi temi, con la possibilità di coordinamento tra più fondi, e chiede che siano formulate delle raccomandazioni precise per le autorità di programma al fine di accrescere la loro consapevolezza delle sfide e delle opportunità per i loro territori. Si potrebbero lanciare degli inviti a presentare proposte per progetti di dimostrazione al riguardo, in modo da promuovere l’emulazione tra le regioni.

4.7.

Integrazione dei diversi strumenti europei — Il CESE ritiene che la proposta non tenga sufficientemente conto delle opportunità di sinergie tra la CTE e gli altri strumenti finanziari esistenti o futuri dell’UE, in particolare per quanto riguarda gli scambi di giovani, le reti e l’agenda digitale, le attività di ricerca e sviluppo, gli investimenti, la protezione civile e la lotta contro i grandi rischi. Invita la Commissione a porre rimedio a questa lacuna.

4.7.1.

La CTE costituisce un quadro adeguato per assicurare una complementarità tra i vari strumenti dell’UE sulla base delle esigenze dei territori:

gli investimenti delle piccole e medie imprese, se si riescono a combinare efficacemente gli interventi di Interreg con quelli del nuovo fondo InvestEU proposto dalla Commissione nell’ambito del QFP 2021-2027;

le reti (infrastrutturali, digitali, energetiche) con il Meccanismo per collegare l’Europa;

le azioni esterne (FES, politica di vicinato);

i fondi per la protezione civile;

Erasmus+;

Orizzonte Europa (attualmente Orizzonte 2020);

LIFE (Ambiente e azione per il clima);

Fondo sociale europeo;

4.7.2.

Le proposte della Commissione restano vaghe al riguardo. Il CESE invita la Commissione, nell’ambito delle proposte sul QFP 2021-2027, a presentare una comunicazione sull’integrazione dei suoi strumenti finanziari.

4.8.

Pubblicità — Interreg costituisce uno degli strumenti principali per rafforzare lo spirito di cittadinanza europea. Bisogna ora ottenere una maggiore visibilità per far conoscere le azioni dell’UE. La Commissione deve pubblicare informazioni chiare e lanciare una promozione pubblicitaria semplice sull’uso e sui risultati del programma Interreg, in modo che i cittadini prendano conoscenza delle azioni concrete realizzate con il sostegno dell’UE. Data l’importanza di questo tema, il CESE propone la creazione di antenne d’informazione e di cooperazione frontaliera o territoriale incaricate di svolgere tale compito, insediate di preferenza presso organizzazioni della società civile.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2017) 623 final.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/124


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un meccanismo per eliminare gli ostacoli giuridici e amministrativi in ambito transfrontaliero»

[COM(2018) 373 final — 2018/0198 (COD)]

(2018/C 440/20)

Relatore:

Etele BARÁTH

Consultazione

Parlamento europeo, 11.6.2018

Consiglio dell’Unione europea, 19.6.2018

Base giuridica

Articoli 175 e 304 del TFUE

 

 

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

7.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

195/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione relativa a un meccanismo per eliminare gli ostacoli giuridici e amministrativi in ambito transfrontaliero (nel seguito: «meccanismo»). A giudizio del CESE la proposta rispecchia un nuovo approccio, è in grado di rafforzare le possibilità di cooperazione tra i singoli Stati membri sulla base della sussidiarietà e può contribuire a uno sviluppo socioeconomico sostenibile e più equilibrato delle regioni frontaliere e alla crescita del PIL dell’Unione.

1.2.

Il CESE considera fondata l’argomentazione della proposta, perché, sebbene tali territori abbiano oggi a disposizione vari strumenti istituzionali di sostegno (ad esempio Interreg e il GECT), essi non dispongono delle competenze necessarie per servirsene.

1.3.

Il CESE ritiene che il progetto di regolamento in esame possa contribuire alla rimozione di ostacoli storici, alla diffusione della pratica quotidiana dell’europeismo e al rafforzamento del senso di cittadinanza europea.

1.4.

Il CESE incoraggia la Commissione europea a chiarire tutte le questioni che creano incertezza giuridica, in modo che la procedura, che si presenta complessa e soggetta a vincoli eccessivi, non scoraggi gli utilizzatori potenziali della normativa. È essenziale chiarire in quali modi si possano incoraggiare alla cooperazione due Stati membri limitrofi quando essi divergano quanto alla loro concezione del progetto o in generale al loro approccio.

1.5.

Il CESE sottolinea che è importante monitorare costantemente l’applicazione del regolamento, poiché questo non disciplina le soluzioni, bensì la procedura stessa, e può offrire un quadro per innumerevoli possibilità di cooperazione.

1.6.

Il vantaggio della proposta di regolamento è che opera un’armonizzazione e non già un’uniformazione, e pertanto la definizione del suo ambito di applicazione territoriale è un elemento importante della sua attuabilità (v. più avanti il punto 2.7.4).

1.7.

Inoltre, la proposta di regolamento presuppone che l’applicazione della legislazione in vigore dal lato opposto della frontiera offra una soluzione a un determinato problema. Ma in molti casi ciò non è possibile: può verificarsi che dall’uno e dall’altro lato della frontiera manchi la legislazione che potrebbe contribuire ad affrontare il problema, e la soluzione possa essere individuata, per esempio, sulla base del modello di un terzo paese. Occorre predisporre un meccanismo per far fronte a questa evenienza.

1.8.

Il CESE accoglie con favore il coordinamento reso disponibile dalla Commissione europea, e conta sui punti di coordinamento transfrontalieri per la diffusione delle «buone pratiche» preesistenti (programmi transfrontalieri ecc.) e l’integrazione delle iniziative nel contesto territoriale (ad esempio la coerenza con le strategie macroregionali integrate di sviluppo urbano); e raccomanda di avvalersi della competenza specifica e del potenziale di coordinamento delle organizzazioni della società civile (v. più avanti il punto 2.14.2).

1.9.

Il regolamento proposto può contribuire a rafforzare ulteriormente una pubblica amministrazione europea innovativa e responsabile, ma il CESE ritiene necessario, al fine di mettere in luce le possibilità di cooperazione transfrontaliera, imporre un obbligo di informazione nei confronti delle parti interessate, e raccomanda di agevolare l’accesso alle procedure grazie alle possibilità offerte dall’amministrazione elettronica, nonché di rendere più attraente la partecipazione a tali processi.

1.10.

Il CESE fa osservare che fra i potenziali autori delle iniziative può esservi un significativo divario di risorse, per bilanciare il quale occorre fornire un sostegno alla partecipazione dei partner inizialmente svantaggiati.

1.11.

Nel caso delle iniziative o pratiche giuridiche transfrontaliere occorre evitare ogni possibile regressione. Bisogna vigilare in particolare affinché nessuna delle parti sia penalizzata o subisca conseguenze sfavorevoli a causa della cooperazione.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE accoglie con favore le iniziative che promuovono l’eliminazione degli ostacoli al mercato unico e contribuiscono alla realizzazione delle sue quattro libertà fondamentali (1). Il CESE ritiene che la proposta di un meccanismo transfrontaliero, che riflette l’efficace lavoro della presidenza lussemburghese, rappresenti un ulteriore passo in tale direzione.

2.2.

L’UE conta 40 regioni transfrontaliere terrestri interne, che rappresentano il 40 % del territorio dell’Unione e il 30 % della sua popolazione. Ogni giorno nell’UE 1,3 milioni di persone attraversano la frontiera per lavorare (2).

2.3.

L’attraversamento delle frontiere può causare problemi, anche in futuro, per quanto riguarda l’occupazione, una migliore assistenza sanitaria, l’accesso ai servizi forniti dalle istituzioni pubbliche o all’assistenza di emergenza. Il mancato riconoscimento dei regimi fiscali, dei diritti pensionistici, degli altri diritti e delle norme, così come la mancanza di servizi pubblici di emergenza, possono comportare un problema serio. La maggior parte dei rimanenti ostacoli derivano da norme nazionali divergenti dai due lati della frontiera, da procedure amministrative incompatibili o semplicemente dalla mancanza di pianificazione territoriale comune (3).

2.4.

Tuttavia, le regioni frontaliere sono in genere meno efficienti sul piano economico rispetto alle regioni interne dello stesso Stato membro. L’accesso a ospedali, università e altri servizi pubblici analoghi è in genere meno agevole nelle regioni frontaliere. Le persone che vivono in queste regioni, come pure le imprese e le autorità che vi operano, si trovano ad affrontare difficoltà specifiche, dovute all’esigenza di orientarsi tra i diversi sistemi amministrativi e giuridici vigenti nei due lati della frontiera. Ricercatori del Politecnico di Milano hanno dimostrato che eliminare gli ostacoli amministrativi esistenti consentirebbe di aumentare il PIL dell’UE di circa l’8 % (4).

2.5.

In considerazione dell’aspetto sociale di questa sfida, il CESE giudica particolarmente importante istituire dei meccanismi che, con la rimozione degli ostacoli amministrativi, consentano ai cittadini di scegliere liberamente la loro occupazione e favoriscano lo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi di interesse generale.

2.6.

Anche dal punto di vista economico l’impostazione adottata dalla proposta va accolta con favore, dato che un’ulteriore riduzione degli oneri amministrativi è nell’interesse sia delle imprese che dei lavoratori.

2.7.

A causa della loro posizione periferica, le aree transfrontaliere sono spesso svantaggiate sul piano sia economico che sociale (5). Una iniziativa come quella in esame può dare un contributo positivo al rafforzamento della coesione territoriale, il cui obiettivo è garantire uno sviluppo armonioso di tutti i territori e consentire ai cittadini di utilizzare in modo ottimale i punti di forza specifici di tali territori. In linea con il trattato di Lisbona (6), il CESE ritiene che tale varietà possa tradursi in un vantaggio per tutti, contribuendo allo sviluppo sostenibile dell’UE nel suo insieme.

2.7.1.

Il CESE si rammarica del fatto che la Commissione non abbia avviato un processo partecipativo che sfociasse nell’adozione di una strategia generale e integrata per un’Europa sostenibile per il 2030 e oltre (7). È quindi particolarmente importante collocare il nuovo meccanismo nel suo contesto: il CESE ritiene che il compito dei nuovi punti di coordinamento transfrontalieri, al di là dell’armonizzazione normativa, consista nell’integrazione delle iniziative nei differenti processi territoriali.

2.7.2.

Tra i suddetti processi territoriali figurano, tra l’altro, le strategie territoriali di differenti livelli (ad esempio strategie macroregionali o strategie integrate di sviluppo urbano) e l’integrazione delle esperienze legate ai programmi europei di cooperazione territoriale, con particolare attenzione per le esperienze e i risultati dei programmi transfrontalieri.

2.7.3.

Un particolare punto di forza del testo attuale, rispetto alle concezioni precedenti, consiste nel fatto che non esclude le possibilità di una cooperazione marittima (rendendo quindi applicabile lo strumento proposto a cooperazioni dinamiche nel settore marittimo, come quelle instaurate nella regione della grande Copenaghen e tra Helsinki e Tallinn o come le relazioni, oggi in pieno sviluppo, tra Italia e Croazia).

2.7.4.

Benché il suo ambito di applicazione territoriale si collochi al livello NUTS 3, la proposta in esame prevede che il meccanismo si applichi al territorio giustificabilmente minore possibile, il che va accolto con favore. Tuttavia, è importante che il regolamento si applichi ai casi in cui l’ambito di applicazione territoriale deve estendersi al di là dei confini amministrativi proposti (ad esempio la frequenza radio delle ambulanze deve funzionare, secondo le circostanze, in una zona più vasta).

2.8.

Come dimostra anche la nuova proposta di bilancio dell’UE, la tutela dell’ambiente rappresenta oramai una priorità indiscutibile: la Commissione europea propone infatti di aumentare i finanziamenti destinati alla protezione dell’ambiente e alla politica per il clima (8). È evidente che tutti gli sforzi volti a garantire un approccio coerente all’ecosistema europeo, e quindi a offrire opportunità di protezione della natura, vanno accolti con favore.

2.9.

Il CESE, in linea con la comunicazione della Commissione europea Rafforzare la crescita e la coesione nelle regioni frontaliere dell’UE (9) (che attraverso 10 proposte mostra come l’UE e i suoi Stati membri possano ridurre la complessità, la lunghezza e i costi delle interazioni transfrontaliere e promuovere la condivisione di servizi lungo le frontiere interne), ritiene che la cooperazione debba andare oltre l’armonizzazione giuridica (sostegno al multilinguismo ecc.).

2.10.

Tuttavia, è da temere che l’introduzione del meccanismo su base volontaria porterà a un’ulteriore frammentazione nella prassi giuridica e nell’assetto amministrativo europei, e che potrebbe comportare differenze considerevoli tra le pratiche degli Stati membri più sviluppati e quelle degli Stati membri meno avanzati. Questi ultimi, infatti, fanno fronte non solo ad ostacoli giuridici diversi, ma anche a sfide, per esempio economiche, di maggiore entità.

2.11.

Il CESE è consapevole del dispendio di tempo che l’armonizzazione giuridica, per sua natura, comporta, ma incoraggia gli Stati membri a sviluppare una struttura quanto più omogenea possibile. Nel complesso, si può concludere che la proposta in esame miri ad abbreviare i termini delle procedure al fine di tutelare gli attori locali. Tuttavia, considerate la complessità del meccanismo e la lunghezza delle procedure burocratiche, per poter rispettare le scadenze prescritte deve esservi una forte volontà di cooperazione.

2.12.

Solleva una serie di questioni anche la creazione di nuove strutture multilivello. È importante che il quadro operativo di tali strutture sia definito in modo tale che gli ostacoli incontrati non si ripercuotano sulle autorità pubbliche (carenza di capacità ecc.).

2.13.

In questo senso, il CESE accoglie con favore il ruolo di coordinamento della Commissione europea, reso possibile dalla creazione, nel settembre 2017, del punto di contatto transfrontaliero (10).

2.13.1.

IL CESE, tuttavia, manifesta preoccupazione per la mancanza di finanziamenti europei, che potrebbe risultare particolarmente problematica per gli Stati membri meno avanzati, ragion per cui considera importante prevedere una possibilità di connessione tra i diversi fondi di finanziamento e il meccanismo.

2.14.

Il CESE valuta con particolare favore il carattere «dal basso verso l’alto» dell’iniziativa, che consente agli attori locali, i quali sperimentano e affrontano effettivamente gli ostacoli in questione, di avviare la procedura di armonizzazione.

2.14.1.

Le organizzazioni della società civile coinvolgono i soggetti locali interessati, e proprio per questo sono particolarmente adatte a individuare i problemi locali e a formulare proposte. Il CESE considera quindi particolarmente importante il loro coinvolgimento, e raccomanda di avvalersi della loro competenza specifica e del loro potenziale di coordinamento (ad esempio avvalendosi degli indicatori interregionali delle camere di commercio o appoggiandosi alle cooperazioni esistenti tra i sindacati e tra le altre rappresentanze di interessi); e ritiene che vada preso in considerazione anche il lavoro dei consigli economici e sociali nazionali e regionali.

2.14.2.

È inoltre importante che gli Stati membri sostengano ampiamente la società civile, in modo che anche i soggetti meno favoriti economicamente siano informati delle opportunità e possano sfruttarle.

2.14.3.

A questo proposito, il CESE raccomanda di sostenere il lavoro delle organizzazioni create dalle regioni frontaliere (come la Comunità di lavoro delle regioni europee di confine, la Mission Opérationnelle Transfrontalière o il Servizio dell’Europa centrale per le iniziative transfrontaliere) al fine di promuovere gli interessi delle zone transfrontaliere, i contatti e gli scambi di esperienze e di favorire le opportunità di cooperazione.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE sul tema Minacce e ostacoli al mercato unico, GU C 125 del 21.4.2017, pag. 1.

(2)  http://ec.europa.eu/regional_policy/it/information/publications/communications/2017/boosting-growth-and-cohesion-in-eu-border-regions.

(3)  http://ec.europa.eu/regional_policy/it/policy/cooperation/european-territorial/cross-border/review/.

(4)  Camagni e altri, Quantification of the effects of legal and administrative border obstacles in land border regions, CE, Bruxelles, 2017.

(5)  http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docoffic/official/reports/cohesion7/7cr_it.pdf.

(6)  GU C 306 del 17.12.2017.

(7)  Parere del CESE Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe, GU C 345 del 13.10.2017, pag. 91.

(8)  http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-4002_it.htm.

(9)  http://ec.europa.eu/regional_policy/it/information/publications/communications/2017/boosting-growth-and-cohesion-in-eu-border-regions.

(10)  http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-3270_it.htm.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/128


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Autorità europea del lavoro»

[COM(2018)131 final — 2018/0064 (COD)]

(2018/C 440/21)

Relatore:

Carlos Manuel TRINDADE

Consultazione

Consiglio, 6.4.2018

Parlamento europeo, 16.4.2018

Base giuridica

articoli 46, 91, paragrafo1, e 304 del TFUE

Organo competente

Sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

19.7.2018

Adozione in sessione plenaria

20.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

189/16/29

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La situazione del mercato del lavoro transfrontaliero presenta considerevoli problemi per le imprese, per i lavoratori e per gli Stati membri, in particolare la concorrenza sleale, il dumping sociale, nonché illegalità e frodi di diversi tipi sul piano fiscale e della sicurezza sociale. Inoltre, l'insufficiente informazione per le imprese e i lavoratori, la scarsa cooperazione tra gli Stati membri e la limitata capacità della maggior parte degli ispettorati del lavoro hanno acutizzato i problemi e i conflitti esistenti. Sebbene alcune misure siano state adottate, le istituzioni dell'UE, il Presidente della Commissione, il CESE, le parti sociali e le organizzazioni della società civile si sono pronunciati sulla necessità di fare di più e meglio per superare questa situazione.

1.2

La proposta di regolamento della Commissione volta a istituire un'Autorità europea del lavoro, se adeguatamente attuata, costituisce costituisce un passo importante nella giusta direzione per il miglioramento della mobilità transfrontaliera, il rispetto della legislazione europea e nazionale, per la promozione della cooperazione tra le autorità del mercato del lavoro nazionali e il miglioramento dell'accesso a informazioni adeguate e aggiornate, la lotta alle illegalità e il rafforzamento del mercato interno, a condizione che l'Autorità rispetti le competenze nazionali ed europee e che gli Stati membri cooperino e diano il loro sostegno.

1.3

Questa iniziativa della Commissione tesa a contribuire alla risoluzione dei problemi di mobilità transfrontaliera ha l'appoggio del CESE. Il CESE osserva che la Commissione propone un regolamento inteso a istituire un'Autorità europea del lavoro e sottolinea che la cooperazione strutturata tra gli Stati membri poggia su una base equilibrata, allo scopo di cercare soluzioni innovative e con un valore aggiunto a beneficio di imprese, lavoratori, autorità e ispettorati nazionali del lavoro, nel rispetto del principio di sussidiarietà.

1.4

In linea generale, il CESE è d'accordo con gli sforzi della Commissione volti a migliorare la cooperazione transfrontaliera e a evitare pratiche illegali. Nello specifico, il CESE presenta i punti d'intesa (cfr. 4.1), formula osservazioni (cfr. 4.2.) e avanza alcune proposte (cfr. punto 4.3) che si augura saranno prese in considerazione per migliorare l'efficacia dell'azione dell'Autorità.

1.5

Il CESE raccomanda alla Commissione grande attenzione al momento di procedere all'integrazione dei vari organismi nell'Autorità europea del lavoro, in modo che si faccia buon uso dell'esperienza e del know-how maturati e in modo da garantire che non vi sia sovrapposizione con altri strumenti e strutture, al fine in ultima analisi, di far sì che l'azione dell'Autorità europea del lavoro sia più efficace. L'indipendenza dell'Autorità europea del lavoro deve essere garantita assegnandole risorse proprie perché possa assolvere la sua missione. Il CESE mette tuttavia in guardia contro una possibile scarsità delle risorse a disposizione dell'Autorità, una situazione che potrebbe comprometterne l'efficacia. Pertanto, prendendo atto di tali preoccupazioni e di alcune preoccupazioni che sono state espresse sull'efficacia rispetto ai costi dell'Autorità europea del lavoro, è importante garantire che le sue risorse siano gestite correttamente.

1.6

Tra le varie proposte presentate, il CESE richiama specialmente l'attenzione su quella relativa al coinvolgimento delle parti sociali (cfr. 4.3.3). Le soluzioni per il problema della mobilità transfrontaliera potranno essere trovate con maggiore facilità nel quadro di un coinvolgimento più attivo delle parti sociali a livello europeo, nazionale e settoriale, e questo è l'obiettivo della proposta che il CESE presenta in appresso. Il CESE propone che il gruppo dei portatori di interessi dell'Autorità europea del lavoro sia trasformato in un consiglio consultivo dell'Autorità e che, all'interno di tale organismo, venga rafforzata la presenza delle parti sociali.

2.   Contesto

2.1

Negli ultimi anni è stato osservato un aumento molto significativo della mobilità lavorativa: tra il 2010 e il 2017 il numero di cittadini che vivevano o lavoravano in uno Stato membro diverso da quello in cui erano nati è passato da 8 a 17 milioni, mentre il numero di lavoratori distaccati è aumentato del 68 % a partire dal 2010, arrivando a 2,3 milioni nel 2016. Vi sono inoltre più di 2 milioni di lavoratori del settore dei trasporti su strada che ogni giorno attraversano i confini interni dell'Unione per portare a destinazione merci o passeggeri (1).

2.2

Un aspetto importante della realtà sociale europea è legato all'incidenza della povertà, che non è diminuita in modo significativo e che colpisce il 23,5 % della popolazione dell'Unione europea (2). Tra le persone colpite figurano lavoratori inattivi scoraggiati, cittadini con disabilità, immigrati di paesi terzi, Rom e senzatetto. Parte di queste persone vive in uno Stato membro diverso da quello di origine e per loro si potranno trovare più facilmente delle soluzioni se i mercati del lavoro transfrontalieri funzioneranno in modo più efficiente, dato che si presenteranno maggiori opportunità di lavoro.

2.3

Le istituzioni europee hanno espresso il loro punto di vista sulla questione della mobilità lavorativa. La Commissione afferma che "permangono tuttavia preoccupazioni per quanto riguarda il rispetto e l'applicazione efficace ed efficiente della normativa dell'UE: il rischio è di compromettere l'equità del mercato interno e la fiducia in esso. In particolare, sono state espresse preoccupazioni in relazione alla vulnerabilità dei lavoratori mobili, che sono esposti ad abusi o al rischio di vedere negati i loro diritti, e alla difficoltà per le imprese di operare in un contesto imprenditoriale incerto o poco chiaro e non equo (3). Il Parlamento europeo ha sottolineato «la necessità di rafforzare i controlli degli Stati membri e il coordinamento tra di loro, anche intensificando lo scambio di informazioni tra gli ispettorati del lavoro, e di sostenere attivamente l'esercizio dei diritti di libera circolazione» (4). Quanto al Consiglio, ha evidenziato «la necessità di migliorare la cooperazione amministrativa, l'assistenza e lo scambio di informazioni nel contesto della lotta alle frodi relative al distacco dei lavoratori, sottolineando l'importanza (per i prestatori di servizi e i lavoratori) della chiarezza e della trasparenza delle informazioni» (5).

2.4

Il discorso sullo stato dell'Unione pronunciato dal Presidente Jean-Claude Juncker il 13 settembre 2017 riassume bene la posizione delle istituzioni europee: «Dobbiamo fare in modo che all'applicazione equa, semplice ed efficace di tutte le norme dell'UE sulla mobilità dei lavoratori provveda un organo europeo di ispezione e controllo. È assurdo avere un'autorità bancaria che sovrintende alle norme bancarie, ma non un'autorità del lavoro comune, garante dell'equità nel nostro mercato unico» (6).

2.5

Anche lo stesso CESE ha già elaborato vari pareri (7) su questo tema.

2.6

Negli ultimi anni, per promuovere una mobilità equa dei lavoratori, la sua concreta attuazione e il relativo controllo, sono state adottate varie iniziative e proposte che, tuttavia, sono ancora insufficienti.

2.7

La situazione attuale, caratterizzata da abusi e pratiche illegali in alcuni Stati membri, non è estranea al populismo e ha alimentato i sentimenti antieuropei e il crescente protezionismo che negli ultimi anni si sono diffusi in molti Stati membri.

2.8

Da queste osservazioni risulta chiaro che i diritti sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea non sono rispettati, in particolare gli articoli 15, 16, 21, 29, 31, 34, 35 e 45.

2.9

Inoltre, il riconoscimento di questa realtà ha costituito una delle argomentazioni principali a favore dell'istituzione di un pilastro europeo dei diritti sociali che si articola in «pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque, e protezione e inclusione sociali» (8).

2.10

Queste osservazioni delle istituzioni dell'UE sono in linea con gli ammonimenti e gli avvertimenti che le parti sociali europee, i sindacati e le imprese, oltre a varie autorità nazionali, hanno formulato nel corso degli anni, chiedendo politiche che trovino una soluzione per questo fenomeno.

2.11

Vengono riconosciute le differenze significative esistenti tra gli Stati membri in termini di attribuzioni e risorse degli ispettorati del lavoro; in molti casi, l'organico degli ispettori è inferiore a quello raccomandato dall'OIL (9). D'altro canto, la diminuzione dei mezzi assegnati all'ispettorato del lavoro, le difficoltà linguistiche e i differenti livelli di digitalizzazione hanno messo in evidenza la scarsa conoscenza di quel che avviene a livello di mobilità lavorativa transfrontaliera, rendendo quindi necessarie attività a livello dell'UE e un'assistenza agli Stati membri per ovviare a tali carenze e consentire loro di essere più efficienti e proattivi nel cooperare e nell'aderire volontariamente a iniziative congiunte.

2.12

I risultati delle consultazioni pubbliche in Internet (10) e quelli delle consultazioni interne mostrano che esistono lacune, in particolare per quanto concerne l'inadeguatezza del sostegno e dell'orientamento per i lavoratori e le imprese in situazioni transfrontaliere, nonché per quanto riguarda l'incompletezza e la dispersione delle informazioni a disposizione del pubblico in merito ai suoi diritti e obblighi, il livello insufficiente di cooperazione e coordinamento tra le autorità pubbliche nazionali, nonché l'inefficace applicazione e attuazione delle norme. Le consultazioni mirate hanno prodotto risultati non univoci. La maggior parte dei soggetti appoggia l'istituzione di una nuova autorità con il compito di migliorare la cooperazione tra le autorità nazionali grazie all'agevolazione dello scambio di informazioni e di buone pratiche. Allo stesso tempo, sottolineano che la nuova Autorità dovrà rispettare pienamente le competenze nazionali previste dai Trattati e non dovrà imporre obblighi informativi addizionali. Sono state mosse anche delle critiche circa le possibili duplicazioni delle strutture amministrative esistenti.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE sostiene gli sforzi della Commissione volti a combattere le illegalità e le frodi nella mobilità transfrontaliera. A tal fine, la creazione di un'Autorità europea del lavoro s'inserisce nella scia degli orientamenti politici del luglio 2014 per la costruzione di un'Europa più sociale.

3.2

Il CESE appoggia il punto di vista della Commissione in merito alla necessità di una cooperazione efficace tra le autorità nazionali e di un'azione amministrativa concertata, per gestire un mercato del lavoro di respiro sempre più europeo e per fornire, possibilmente attraverso l'Autorità europea del lavoro, con un mandato chiaro e nel rispetto della sussidiarietà e della proporzionalità, una risposta equa, semplice ed efficace alle sfide importanti che riguardano la mobilità transfrontaliera (11).

3.3

Il CESE appoggia il punto di vista della Commissione secondo cui «la mobilità transfrontaliera dei lavoratori nell'UE costituisce un beneficio per gli individui, per le economie e per le società nel loro complesso» e tali benefici «dipendono da regole chiare ed eque in tema di mobilità transfrontaliera dei lavoratori e di coordinamento della sicurezza sociale e dalla loro effettiva applicazione (12)».

3.4

Il CESE dopo aver esaminato la proposta della Commissione per verificarne il rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, dell'accordo del Parlamento europeo e del Consiglio sulla razionalizzazione delle agenzie europee decentrate, del principio «legiferare meglio», nonché della relazione tra l'iniziativa proposta e la piattaforma sul lavoro sommerso, ritiene che essa sia conforme a tali requisiti.

3.5

Secondo il CESE, tra le varie ipotesi considerate (13), la scelta della Commissione, vale a dire una soluzione operativa consistente nell'istituzione di una nuova agenzia che si basa sulla cooperazione tra gli Stati membri e fa leva sulle strutture esistenti, è adeguata e fornisce una risposta, nel contesto attuale, alle necessità esistenti. Il Comitato condivide inoltre il punto di vista della Commissione secondo cui la forma scelta per attuare l'Autorità europea del lavoro (ossia un regolamento, se verrà adottato) potrebbe assicurare una maggiore certezza del diritto ed è pertanto la più adeguata.

3.6

Secondo il CESE, la creazione dell'Autorità europea del lavoro, con la cooperazione e l'appoggio di tutti gli Stati membri, permetterebbe di colmare le considerevoli lacune sinora individuate. Il CESE sottolinea che l'Autorità europea del lavoro dovrà incentrare la sua attenzione sul miglioramento della mobilità dei lavoratori, sull'applicazione delle regole, sulla lotta alle illegalità e sul rafforzamento del mercato interno attraverso il potenziamento della cooperazione transfrontaliera tra gli Stati membri. Quanto più l'Autorità europea del lavoro si concentrerà sulla sua missione, senza perdere di vista i suoi obiettivi, tanto più riuscirà a evitare eventuali travisamenti o interpretazioni negative della sua pertinenza.

3.7

Il CESE sostiene in linea generale la proposta di regolamento della Commissione, vale a dire, gli obiettivi (art. 2), i compiti (art. 5), le informazioni relative alla mobilità transfrontaliera dei lavoratori (art. 6), l'accesso ai servizi per la mobilità transfrontaliera dei lavoratori (art. 7), la cooperazione e lo scambio di informazioni tra Stati membri (art. 8) e la cooperazione in caso di perturbazioni transfrontaliere del mercato del lavoro (art. 14). Vengono così definiti i compiti dell'Autorità europea del lavoro, che potrà quindi contribuire ad assicurare il rispetto dei diritti lavorativi e sociali su un piano di parità nel paese ospitante, la lotta contro il dumping sociale, una sana concorrenza tra le imprese e la lotta alla frode nella mobilità transfrontaliera, problemi questi che gli Stati membri non possono risolvere da soli.

3.8

Il CESE ritiene che tali obiettivi e compiti possano dissipare i dubbi legittimi sollevati in merito alle funzioni effettive e al ruolo dell'Autorità europea del lavoro.

3.9

Secondo il CESE, esistono tutti i presupposti perché l'Autorità europea del lavoro svolga un'azione positiva, nella misura in cui contribuirà a fornire agli Stati membri e alle parti sociali un sostegno operativo e tecnico efficace per combattere le illegalità, gli abusi e le frodi nell'ambito della mobilità dei lavoratori. Il rispetto dei diritti dei lavoratori e dei cittadini alla parità di trattamento, all'accesso alle opportunità di occupazione e alla sicurezza sociale sarà assicurato mediante la fornitura di informazioni e servizi pertinenti ai lavoratori e ai datori di lavoro, la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità nazionali, la realizzazione di ispezioni congiunte e concertate, nonché la collaborazione in caso di controversie e perturbazioni del mercato del lavoro con ripercussioni al di là delle frontiere, come le ristrutturazioni aziendali che interessano più Stati membri.

3.10

Il CESE auspica che l'Autorità europea del lavoro rappresenti una fonte di ispirazione e incoraggiamento per il potenziamento della capacità delle autorità nazionali, in particolare per quel che concerne gli ispettorati del lavoro e il relativo personale, oltre che per la fornitura di informazioni e consulenza tese ad aiutare le imprese e i lavoratori a conoscere le regole applicabili in situazioni transfrontaliere.

3.11

Il CESE richiama l'attenzione sull'importanza delle nuove forme di lavoro derivanti dalle innovazioni tecnologiche e digitali nelle imprese e nel mercato del lavoro, che hanno naturalmente delle ripercussioni sulle situazioni di mobilità transfrontaliera. L'Autorità europea del lavoro dovrà quindi tenere conto di questa nuova realtà.

3.12

Il CESE auspica che le potenziali sinergie derivanti sia dalla concentrazione di esperienze, capacità e compiti che dalla cooperazione prevista nel quadro dell'Autorità europea del lavoro si rivelino efficaci, evitando duplicazioni e mancanza di chiarezza, visto che:

3.12.1

l'Autorità europea del lavoro ingloberà varie strutture esistenti, in particolare la rete europea di servizi per l'impiego (EURES), il comitato tecnico per la libera circolazione dei lavoratori, il comitato di esperti sul distacco dei lavoratori, la commissione tecnica, la commissione di controllo dei conti, il comitato di conciliazione della commissione amministrativa per il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e la piattaforma per contrastare il lavoro sommerso;

3.12.2

coopererà con le agenzie europee esistenti nel settore del lavoro, Cedefop (14), ETF (15), EU-OSHA (16), Eurofound (17), la commissione amministrativa per il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, il comitato consultivo per il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e il comitato consultivo per la libera circolazione dei lavoratori.

3.12.3

Il CESE, tuttavia, auspica e si attende che questa integrazione e cooperazione rafforzata costituiscano un reale passo avanti in termini di efficacia, e che le buone pratiche e le attività condotte nei vari settori non ne risentano. Il CESE prende atto degli esempi positivi registrati nei paesi del Benelux, di quelli rappresentati dalla piattaforma contro il lavoro sommerso e dalla creazione di una carta d'identità europea nel settore dell'edilizia, esperienze che dovranno essere salvaguardate e replicate per quanto possibile. Con le capacità a disposizione andranno inoltre lanciate altre iniziative innovative dello stesso tipo. Un esempio di questo tipo di iniziative è la creazione del numero di sicurezza sociale europeo, da attuare dopo l'aggiornamento in corso del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (18) e la conclusione dei lavori per il sistema di scambio elettronico di informazioni sulla sicurezza sociale (EESSI).

3.13

Il CESE evidenzia l'importanza del coinvolgimento delle parti sociali, che è previsto nel quadro del funzionamento e della governance dell'Autorità europea del lavoro (art. 24). Il CESE sottolinea tuttavia che le modalità previste per tale partecipazione sono chiaramente insufficienti. Il CESE auspica che le condizioni effettive di questa partecipazione siano tali da apportare un reale valore aggiunto alla soluzione dei problemi concreti riguardanti la mobilità dei lavoratori.

3.14

Secondo il CESE, l'Autorità europea del lavoro deve rispettare il principio di sussidiarietà e non potrà interferire con il funzionamento dei mercati del lavoro degli Stati membri, in particolare con i loro sistemi di relazioni industriali e di contrattazione collettiva (a tutti i livelli), l'autonomia delle parti sociali e gli ispettorati del lavoro.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il CESE constata e appoggia quanto segue:

4.1.1

la promozione di ispezioni congiunte e concertate con le autorità nazionali ogniqualvolta si verifichino casi di mancata conformità, frode o abuso, fatto salvo il rispetto della legislazione degli Stati membri interessati. Queste ispezioni dovranno essere realizzate su base volontaria, per rispettare le competenze degli Stati membri. Ciononostante, si richiama l'attenzione sul fatto che l'eventuale mancata partecipazione di uno Stato membro — che dovrà essere sempre motivata — può compromettere l'efficacia dell'azione dell'Autorità europea del lavoro.

4.1.2

Il fatto che l'Autorità europea del lavoro non ha il potere di iniziativa per la realizzazione di ispezioni congiunte e concertate, che sono di competenza delle autorità nazionali, ma può proporre agli Stati membri di realizzarle quando rilevi casi di inosservanza giuridica, abusi o frodi a livello transfrontaliero.

4.1.3

L'Autorità europea del lavoro deve assumersi la responsabilità del portale europeo della mobilità professionale, in interazione con lo sportello digitale unico, nell'ambito del sistema di informazione del mercato interno (IMI) e del sistema di scambio elettronico di informazioni sulla sicurezza sociale (EESSI).

4.1.4

L'Autorità europea del lavoro deve riconoscere e valorizzare l'autonomia della contrattazione collettiva e delle parti sociali, in particolare l'importanza della loro attiva partecipazione alla realizzazione dei suoi obiettivi.

4.1.5

È importante che l'Autorità europea del lavoro fornisca sostegno, specialmente in campo informativo e tecnico, ai sindacati e alle imprese e anche in caso di controversie transfrontaliere in materia di lavoro, riconoscendo in tal modo il ruolo fondamentale che essi svolgono per il rispetto della legislazione.

4.1.6

Bisogna chiarire il ruolo di mediazione che l'Autorità europea del lavoro può svolgere nei conflitti di competenza tra autorità nazionali, in particolare nel quadro delle controversie in materia di sicurezza sociale.

4.1.7

I funzionari nazionali di collegamento, che rappresentano l'anello di congiunzione con gli Stati membri, conferiranno certamente una maggiore efficacia all'Autorità europea del lavoro. Andranno tuttavia chiarite le loro relazioni funzionali con gli Stati membri di origine, non solo con l'amministrazione di appartenenza ma anche con le parti sociali nazionali;

4.1.8

L'indipendenza dell'Autorità europea del lavoro deve essere garantita assegnandole risorse proprie perché possa assolvere la sua missione. Il CESE mette tuttavia in guardia contro una possibile scarsità delle risorse a disposizione dell'Autorità, una situazione che potrebbe comprometterne l'efficacia. Vi sono inoltre preoccupazioni sull'efficacia rispetto ai costi dell'Autorità europea del lavoro ed è pertanto importante garantire che le sue risorse siano gestite correttamente.

4.2

Tenuto conto delle funzioni attribuite all'Autorità europea del lavoro, il CESE formula le seguenti osservazioni:

4.2.1

Le controversie tra le amministrazioni nazionali riguardanti la mobilità lavorativa e il coordinamento della sicurezza sociale potranno essere risolte attraverso la mediazione dell'Autorità europea del lavoro su richiesta delle autorità nazionali degli Stati membri, e in accordo con esse.

4.2.2

La possibilità di tale mediazione non potrà pregiudicare la possibilità di ricorso di una qualsiasi delle parti in causa alle giurisdizioni competenti.

4.2.3

È necessario chiarire le interazioni e la cooperazione tra l'Autorità europea del lavoro e le agenzie e gli altri organismi dell'UE competenti in materia di diritto del lavoro, oltre che di rispetto e applicazione della legislazione.

4.2.4

L'istituzione dell'Autorità europea del lavoro non deve comportare un aumento dei costi amministrativi già a carico delle imprese e dei lavoratori.

4.3

Tenuto conto della necessità di conseguire gli obiettivi sottesi alla creazione dell'Autorità europea del lavoro, propone che la proposta di regolamento della Commissione europea preveda quanto segue.

4.3.1

L'obbligo degli Stati membri di cooperare con l'Autorità europea del lavoro, offrendo informazioni e assistenza e fornendo accesso alle banche dati nazionali per quanto concerne la normativa, la sicurezza sociale e la fiscalità va affermato in modo più esplicito. Andrà inoltre chiarito in che modo saranno ripartiti i costi tra i vari Stati membri, in particolare per quel che riguarda le ispezioni congiunte.

4.3.2

L'attività dell'Autorità europea del lavoro dovrà contribuire a combattere le frodi, attraverso una stretta collaborazione, ove pertinente, con Europol ed Eurojust.

4.3.3

L'articolo 24 del regolamento (dedicato al coinvolgimento delle parti sociali), viste le sue palesi lacune, deve essere modificato nella maniera seguente:

i.

è istituito un consiglio consultivo dell'Autorità europea del lavoro al posto del «gruppo dei portatori di interessi» indicato;

ii.

oltre a quanto già disposto nel suddetto articolo, questo consiglio consultivo avrà il compito di esprimere un parere sul piano d'azione annuale e relativo al mandato, sulla relazione d'attività e sulla proposta del consiglio d'amministrazione in merito alla nomina del direttore esecutivo;

iii.

il consiglio consultivo dovrà comporsi di 17 membri, di cui 12 in rappresentanza delle parti sociali europee (compresi i settori pertinenti dell'edilizia, dell'agricoltura e dei trasporti) e 3 in rappresentanza della Commissione, più il presidente del consiglio di amministrazione, che presiederà il consiglio consultivo, e il direttore esecutivo;

iv.

il consiglio consultivo si riunirà almeno tre volte l'anno.

4.3.4

L'Autorità europea del lavoro dovrà, con le informazioni fornite dagli Stati membri, creare una banca dati aggiornata sulle imprese che commettono illegalità a livello di mobilità transfrontaliera.

4.3.5

L'Autorità europea del lavoro dovrà occuparsi della creazione del numero di sicurezza sociale europeo, anche se il potere di iniziativa in questo campo spetta alla Commissione.

4.3.6

L'Autorità europea del lavoro dovrà elaborare una relazione annuale sulla mobilità transfrontaliera che comprenda una valutazione dei rischi e delle opportunità, in particolare nelle aree geografiche e/o nei settori più vulnerabili.

Bruxelles, 20 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  SWD(2018) 68 final, pag. 7.

(2)  People at risk of poverty and social exclusion 2016 (Persone a rischio di povertà e di esclusione sociale nel 2016) (Eurostat, 2018).

(3)  COM(2018) 131 final, pag. 1.

(4)  COM(2018) 131 final, pagg. 1 e 2, 2015/2255 (INI), 2013/2112 (INI), 2016/2095 (INI)).

(5)  COM(2018) 131 final, pag. 2.

(6)  Il discorso sullo stato dell'Unione 2017 è disponibile al seguente indirizzo: https://ec.europa.eu/commission/state-union-2017_it.

(7)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 81; GU C 264 del 20.7.2016, pag. 11; GU C 345 del 13.10.2017, pag. 85; GU C 197, 8.6.2018, pag. 45.

(8)  COM(2017) 250, pag. 4.

(9)  Conformemente alla convenzione n. 81 dell'OIL, l'organico raccomandato è di 1 ispettore ogni 10 mila lavoratori nelle economie di mercato industrializzate (297a sessione dell'OIL del novembre 2006).

(10)  COM(2018) 131 final.

(11)  La Commissione europea ha fatto un elenco delle sfide individuate: l'esistenza di casi di dumping sociale, la mancata applicazione della legislazione vigente e le pratiche fraudolente in situazioni transfrontaliere; l'inadeguatezza dell'informazione, del sostegno e dell'orientamento a beneficio dei lavoratori e dei datori di lavoro in situazioni transfrontaliere con riferimento ai diritti e agli obblighi; l'insufficienza in termini di accesso alle informazioni e di scambio delle medesime tra le autorità nazionali competenti per diversi aspetti della mobilità dei lavoratori e del coordinamento della sicurezza sociale; l'insufficiente capacità delle autorità nazionali di organizzare la cooperazione con le autorità di altri Stati membri; la debolezza o l'assenza di meccanismi di azione transfrontaliera per imporre l'applicazione o il rispetto della legislazione; l'assenza di un meccanismo di mediazione transfrontaliera tra gli Stati membri valido per tutti i settori della mobilità dei lavoratori e del coordinamento della sicurezza sociale.

(12)  COM(2018) 131 final.

(13)  SWD(2018)68 final e SWD(2018)69 final, , capitolo B).

(14)  Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale.

(15)  Fondazione europea per la formazione professionale.

(16)  Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro.

(17)  Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

(18)  GU L 166 del 30.4.2004, pag. 1, rettifica GU L 200 del 7.6.2004, pag. 1.


ALLEGATO

I seguenti emendamenti sono stati respinti nel corso del dibattito, ma hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi (articolo 39, paragrafo 2, del Regolamento interno):

Punto 1.1

Modificare come segue:

1.1

La situazione del mercato del lavoro transfrontaliero presenta considerevoli problemi per le imprese, per i lavoratori e per gli Stati membri, in particolare la concorrenza sleale, il dumping sociale, nonché illegalità e frodi di diversi tipi sul piano fiscale e della sicurezza sociale. Inoltre, l'insufficiente informazione per le imprese e i lavoratori, la scarsa cooperazione tra gli Stati membri e la limitata capacità della maggior parte degli ispettorati del lavoro hanno acutizzato i problemi e i conflitti esistenti. Sebbene alcune misure siano state adottate, le istituzioni dell'UE, il Presidente della Commissione, il CESE, le parti sociali e le organizzazioni della società civile si sono pronunciati sulla necessità di fare di più e meglio per superare questa situazione.

Esito della votazione:

Favorevoli:

93

Contrari:

124

Astensioni:

13

Punto 3.7

Modificare come segue:

3.7

Il CESE sostiene in linea generale la proposta di regolamento della Commissione, vale a dire, gli obiettivi (art. 2), i compiti (art. 5), le informazioni relative alla mobilità transfrontaliera dei lavoratori (art. 6), l'accesso ai servizi per la mobilità transfrontaliera dei lavoratori (art. 7), la cooperazione e lo scambio di informazioni tra Stati membri (art. 8) e la cooperazione in caso di perturbazioni transfrontaliere del mercato del lavoro che interessano i lavoratori frontalieri (art. 14). Vengono così definiti i compiti dell'Autorità europea del lavoro, che potrà quindi contribuire ad assicurare il rispetto dei diritti lavorativi e sociali su un piano di parità nel paese ospitante, la lotta contro le pratiche illegali il dumping sociale, una sana concorrenza tra le imprese e la lotta alla frode nella mobilità transfrontaliera, problemi questi che gli Stati membri non possono risolvere da soli.

Esito della votazione:

Favorevoli:

96

Contrari:

121

Astensioni:

11


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/135


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di raccomandazione del Consiglio sull'accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi»

[COM(2018) 132 final]

(2018/C 440/22)

Relatrice:

Giulia BARBUCCI

Consultazione

Commissione europea, 14.5.2018

Base giuridica

Articolo 292, in combinato disposto con gli articoli 153, paragrafo 1, lettera c), paragrafo 2, terzo comma, e 352 del TFUE

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

19.7.2018

Adozione in sessione plenaria

20.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

148/39/32

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE, in linea con gli strumenti internazionali fondamentali, ritiene che ogni persona debba avere il diritto a una vita dignitosa, alla protezione sociale e alla protezione contro tutti i principali rischi sul luogo di lavoro e durante l'intero arco della vita, ivi compresi l'assistenza sanitaria e il diritto a una pensione dignitosa durante la vecchiaia. Un'adeguata copertura dei lavoratori che svolgono forme atipiche di lavoro e dei lavoratori autonomi potrebbe contribuire a tale obiettivo in linea con i principi sanciti nel pilastro europeo dei diritti sociali, che ora devono tradursi in realtà. Dovrebbero essere garantiti il loro accesso e il loro contributo all'assistenza sanitaria, alle prestazioni di maternità, parentali, di disabilità e di vecchiaia.

1.2

Il CESE ricorda che l'accesso ai sistemi di protezione sociale è un elemento chiave per pervenire a società più giuste e costituisce una componente essenziale di una forza lavoro attiva, sana e produttiva. Ripristinare la sostenibilità sociale (1) in quanto principio alla base della definizione e dell'attuazione delle politiche dell'UE, con la finalità più ampia di creare condizioni di parità in ambito sociale, per cui ogni individuo possa godere dell'accesso alla protezione sociale secondo le stesse norme e a condizioni comparabili, dovrebbe essere un obiettivo condiviso delle istituzioni a tutti i livelli, della società civile organizzata e delle parti sociali.

1.3

Il CESE raccomanda agli Stati membri di attuare la raccomandazione ove necessario e di riferire, attraverso piani d'azione specifici, tenendo conto, tra l'altro, delle lacune evidenziate dalla valutazione d'impatto della Commissione europea (che accompagna la raccomandazione) e con la piena partecipazione delle parti sociali e della società civile organizzata.

1.4

Il CESE si compiace per i principali effetti che l'attuazione della raccomandazione dovrebbe produrre, in quanto saranno positivi per i cittadini, per i lavoratori e per le imprese: si prevedono, tra l'altro, un incremento della mutualizzazione del rischio, della sicurezza del reddito e del dinamismo del mercato del lavoro, un miglioramento della produttività e della distribuzione delle risorse e una riduzione della precarietà e della povertà per le persone.

1.5

«Secondo il CESE, una soluzione globale ai problemi relativi al riconoscimento dei diritti di previdenza sociale per i lavoratori impegnati nelle nuove forme di occupazione potrebbe venire da una riforma generale delle modalità di finanziamento del sistema. Il CESE invita gli Stati membri a cercare soluzioni per il finanziamento dei sistemi di sicurezza sociale attraverso strumenti che non solo ne assicurino la sostenibilità, ma forniscano anche una risposta alla necessità di permettere che a tali sistemi accedano anche coloro che svolgono un'attività lavorativa nel quadro delle nuove forme di occupazione» (2).

1.6

Il CESE raccomanda che le iniziative intraprese nel quadro della raccomandazione servano a garantire prestazioni e disposizioni adeguate, ivi compresi gli ammortizzatori per coloro che non sono in grado di raggiungere le soglie minime di diritto, in particolare per le persone che non sono in grado di lavorare e per le loro famiglie. Il CESE si rammarica che il reddito di base sia stato stralciato dalla raccomandazione, come indicato nel documento di lavoro dei servizi della Commissione — Valutazione d'impatto (3). Già nel 2013 il CESE aveva chiesto una direttiva europea che introducesse un reddito minimo europeo, ritenendo che ciò potesse «contribuire a garantire la coesione economica e territoriale, a tutelare i diritti umani fondamentali, a garantire un equilibrio tra gli obiettivi economici e quelli sociali e a ridistribuire equamente le risorse e i redditi» (4).

1.7

L'età e il genere hanno un peso significativo nell'esclusione delle persone dai regimi di protezione sociale: al momento di definire le azioni da intraprendere nel contesto della raccomandazione, occorre prestare particolare attenzione a tali fattori.

1.8

Il CESE osserva che è necessario prevedere e perseguire l'effettività della copertura e dell'accesso dei sistemi, soprattutto al momento di definire e attuare le azioni a livello nazionale; nei casi in cui i lavoratori passano da un tipo di rapporto di lavoro a un altro e cambiano quindi regimi e sistemi di cumulo dei diritti, dovrebbe essere presa in considerazione la trasferibilità dei diritti sociali.

1.9

Il CESE ritiene necessario apportare miglioramenti sul piano della complessità della regolamentazione e di altri aspetti amministrativi al fine di garantire la piena trasparenza e migliorare così la consapevolezza e la conoscenza, da parte dei lavoratori, riguardo ai propri obblighi e ai propri diritti; ciò può essere realizzato anche attraverso il miglioramento della qualità dei dati statistici (disaggregati per tipo di rapporto di lavoro, età, genere, stato di disabilità, nazionalità ecc.).

2.   Introduzione

2.1

La raccomandazione sulla protezione sociale è una delle iniziative intraprese dalla Commissione nel quadro del pilastro europeo dei diritti sociali. La raccomandazione e i suoi principi guida sono coerenti e conformi con diversi dei venti principi chiave del pilastro e del relativo documento di lavoro dei servizi della Commissione. In particolare, il principio 12 del pilastro recita: «Indipendentemente dal tipo e dalla durata del rapporto di lavoro, i lavoratori e, a condizioni comparabili, i lavoratori autonomi hanno diritto a un'adeguata protezione sociale» (5).

2.2

L'obiettivo principale dell'iniziativa è quello di garantire a tutti i lavoratori, in particolare a quelli impiegati in forme di lavoro atipiche e ai lavoratori autonomi, un accesso concreto ed efficace alle misure di protezione sociale. Essa è volta altresì a sostenere e a integrare le azioni degli Stati membri destinate a colmare i divari e a garantire un accesso equo e proporzionato alla protezione sociale a tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro status occupazionale (6).

2.3

In primo luogo, la raccomandazione è tesa a «eliminare o ridurre gli ostacoli che impediscono ai sistemi di protezione sociale di fornire alle persone un'adeguata protezione sociale indipendentemente dai loro rapporti di lavoro o dalla loro condizione lavorativa, rispettando nel contempo le competenze degli Stati membri per quanto riguarda la definizione dei loro sistemi di protezione sociale» (7).

2.4

La raccomandazione mira inoltre ad assicurare che un livello di protezione sociale adeguato sia accessibile a tutti: «le soglie di reddito e temporali (periodi contributivi minimi, periodi di attesa, periodi lavorativi minimi, durata delle prestazioni) possono rappresentare un ostacolo indebitamente alto all'accesso alla protezione sociale per determinati gruppi di lavoratori atipici e per i lavoratori autonomi» (8).

2.5

Il CESE si rammarica che il reddito di base sia stato stralciato dalla raccomandazione del Consiglio. Secondo un recente studio dell'OCSE (9), in considerazione dei rapidi cambiamenti nel mercato del lavoro, le discussioni in corso su un reddito di base generano tuttavia un prezioso impulso riguardo al tipo di protezione sociale che le società vogliono. Il CESE ha già affermato (10) che «l'introduzione di un reddito minimo europeo può contribuire a combattere l'esclusione sociale, a garantire la coesione economica e territoriale, a tutelare i diritti umani fondamentali, a trovare un equilibrio tra gli obiettivi economici e quelli sociali e a ridistribuire equamente le risorse e i redditi»; il Comitato ha chiesto inoltre che venga adottata una direttiva quadro e ha invitato a «esaminare le possibilità di finanziare un reddito minimo europeo».

2.6

Le misure e i principi di cui alla raccomandazione punteranno da un lato a garantire l'accesso alla protezione sociale per tutti gli occupati (in particolare per i lavoratori che svolgono forme atipiche di lavoro e i lavoratori autonomi), e dall'altro a far sì che in ogni circostanza sia garantita un'adeguata protezione sociale.

2.7

Nel quadro di precedenti accordi e dichiarazioni congiunte, nonché della contrattazione collettiva nazionale, le parti sociali europee e nazionali hanno affrontato approfonditamente la questione di come garantire un accesso adeguato alla protezione sociale a tutti i lavoratori. Ad esempio, nei preamboli degli accordi tra le parti sociali europee sui contratti a tempo determinato e sul lavoro a tempo parziale si rileva la necessità di «garantire che i sistemi di protezione sociale siano adattati alle forme flessibili di lavoro in evoluzione». Nel loro programma di lavoro 2015-2016 (11), le parti sociali europee hanno evidenziato l'esigenza di «garantire la sostenibilità e l'accessibilità dei sistemi di protezione sociale per tutti i cittadini».

2.8

Le parti sociali europee hanno espresso preoccupazioni nella loro Analisi approfondita dell'occupazione, negoziata nel 2015 (12), nella quale raccomandavano agli Stati membri e alla Commissione europea di collaborare maggiormente per combattere la corruzione, la frode e l'evasione fiscale, che hanno effetti negativi sui sistemi di protezione sociale, sulle imprese responsabili e sui singoli cittadini. Inoltre, raccomandavano agli Stati membri di valutare, in collaborazione con le parti sociali, se i loro sistemi di protezione sociale presentano carenze in termini di sostenibilità e adeguatezza e di adoperarsi affinché in futuro questi sistemi continuino a soddisfare le esigenze delle persone, in particolare di quelle più vulnerabili e a rischio di esclusione sociale (13).

3.   Osservazioni generali: contesto

3.1

Un mondo del lavoro in evoluzione: la digitalizzazione, i cambiamenti demografici, la transizione energetica, la globalizzazione e le nuove forme di lavoro possono comportare sia opportunità che sfide per i governi, la società civile organizzata e le parti sociali.

3.2

Mercati del lavoro in evoluzione: le riforme strutturali del mercato del lavoro hanno diversificato i mercati del lavoro, e alcune fattispecie contrattuali sono al momento escluse dalle misure di protezione sociale di base di taluni Stati membri. Vi sono una crescente varietà nelle fattispecie contrattuali e importanti differenze nazionali sul piano del contesto e dei sistemi: nel 2016 il 14 % delle persone occupate nell'UE era costituito da lavoratori autonomi, l'8 % da lavoratori subordinati a tempo pieno e determinato, il 4 % da lavoratori subordinati a tempo parziale e determinato, il 13 % da lavoratori subordinati a tempo parziale e indeterminato (14).

3.3

Nei vari paesi esistono sistemi di protezione sociale diversi, che tuttavia devono affrontare problemi analoghi: trasformazione del mercato del lavoro e modifiche della legislazione; invecchiamento della forza lavoro e tendenza all'innalzamento dell'età pensionabile legale; scarsa partecipazione dei giovani e delle donne al mercato del lavoro, in termini di qualità e di quantità; inclusione delle persone più lontane dai mercati del lavoro e di quelle a maggior rischio di rimanere escluse da tali mercati; digitalizzazione e nuove forme di lavoro. Alcuni sistemi di protezione sociale sono costruiti in modo tale che i contributi fanno parte dello stipendio del lavoratore, un aspetto da prendere in considerazione al momento di affrontare queste nuove sfide.

3.4

È necessario valutare l'impatto del genere sull'accesso e sulla permanenza nel mercato del lavoro, nonché l'inclusione/esclusione nell'accesso alla protezione sociale. Assieme ai giovani e ai migranti, le donne sono spesso sovrarappresentate nelle nuove forme di occupazione (15), con effetti a catena sui diritti a prestazioni di protezione sociale.

3.5

Anche l'età è un fattore importante in termini di accesso alla protezione sociale: le generazioni più giovani sono generalmente più spesso impiegate in forme di lavoro atipico («i lavoratori più giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni con accordi contrattuali a tempo determinato o con altri tipi di contratto o privi di contratto sono il doppio rispetto a quelli in altre fasce d'età» (16)). La transizione dall'istruzione a forme di occupazione tipiche richiede ormai tempi più lunghi e può produrre un «effetto cicatrice» in termini sia di accesso alla protezione sociale che di futuri diritti a pensione, anche per effetto dell'estrema frammentazione della carriera lavorativa (17).

3.6

I divari nell'accesso alla protezione sociale, dovuti alla condizione lavorativa e al tipo di rapporto di lavoro, possono rendere difficile cogliere opportunità di passaggio da una situazione lavorativa a un'altra, se ciò comporta una perdita di diritti a prestazioni, fino a portare a una flessione della crescita della produttività del lavoro. Di conseguenza essi possono anche essere sfavorevoli all'attività imprenditoriale e ostacolare la competitività e la crescita sostenibile.

3.7

Tali divari possono inoltre causare un abuso delle condizioni lavorative e dar luogo a una concorrenza sleale tra le imprese che continuano a contribuire alla protezione sociale e quelle che non contribuiscono.

3.8

A lungo termine è in gioco la sostenibilità economica e sociale dei sistemi nazionali di protezione sociale, in particolare alla luce delle attuali tendenze demografiche e dei tassi di disoccupazione.

4.   Osservazioni particolari: sintesi della raccomandazione

4.1

Il CESE osserva che la precedente normativa a livello europeo (fra le altre, le direttive 2010/41/UE, 2014/50/UE e (UE) 2016/2341) ha cercato di colmare i divari esistenti nei sistemi di protezione sociale, ma i risultati preliminari — ad esempio per quanto riguarda la direttiva 2010/41/UE — dimostrano che in taluni casi non è riuscita a garantire ai lavoratori autonomi un accesso effettivo alla protezione sociale (18).

4.2

Il CESE rileva altresì che la Commissione, nell'Analisi annuale della crescita 2018, insiste sul fatto che la sostituzione del reddito attraverso la protezione sociale è essenziale per porre rimedio alle disuguaglianze, promuovere la coesione sociale e favorire una crescita inclusiva (19).

4.3

Negli ultimi anni il numero complessivo dei lavoratori autonomi in Europa è leggermente diminuito (20), tra l'altro per effetto dell'insufficienza o inadeguatezza della protezione di questi lavoratori in caso di malattia e di altri motivi connessi alla vita privata (maternità, paternità, assistenza familiare ecc.). Un adeguato livello di protezione potrebbe pertanto tradursi in un miglioramento sia quantitativo che qualitativo del lavoro autonomo. Tuttavia, è assolutamente indispensabile che le istituzioni a tutti i livelli contrastino tutte le forme di lavoro autonomo fittizio, in particolare a livello transnazionale.

4.4

A tale riguardo, il CESE accoglie con favore e sostiene la decisione inclusa nella raccomandazione che prevede di andare oltre quanto proposto inizialmente nella valutazione d'impatto, ossia di raccomandare di estendere la copertura formale su base obbligatoria a tutti i lavoratori e di garantire l'accesso dei lavoratori autonomi alla protezione sociale estendendo la loro copertura formale su base obbligatoria alle prestazioni per malattia e all'assistenza sanitaria, alle prestazioni di maternità e di paternità, alle pensioni di vecchiaia e di invalidità, nonché alle prestazioni in caso di infortuni sul lavoro e malattie professionali, e su base volontaria unicamente alle prestazioni di disoccupazione. Il CESE ritiene che i bassi tassi di iscrizione a regimi volontari da parte dei lavoratori autonomi (da meno dell'1 % al 20 %), laddove essi esistano, giustifichino un'azione più incisiva per promuovere una copertura e una protezione più ampie.

4.5

Sono pertanto da accogliere con favore le misure tese a garantire la piena copertura dei lavoratori autonomi, ivi compresi — ove necessario — i coniugi coadiuvanti, ossia i coniugi o partner che esercitano un lavoro autonomo, qualora contribuiscano in maniera regolare e attiva all'attività del lavoratore autonomo secondo modalità che consentano di considerare tale lavoro come la principale attività del coniuge coadiuvante.

4.6

Tutti i cittadini dovrebbero avere accesso a sistemi di protezione sociale in grado di fornire prestazioni adeguate. I regimi possono essere a base contributiva e/o assicurativa, ossia sistemi ai quali i lavoratori contribuiscono in misura equa e proporzionale alle loro capacità (o sono esentati da tali contributi) e dei quali beneficiano a seconda delle loro necessità, almeno per quanto riguarda prestazioni minime adeguate e usufruendo degli ammortizzatori sociali.

4.7

Nell'accompagnare le trasformazioni dei mercati del lavoro (21) devono essere garantiti la sostenibilità e il finanziamento dell'accesso a un'adeguata protezione sociale, al fine di rendere possibili l'inclusività, l'adeguatezza, l'equità e l'uguaglianza in una prospettiva più ampia di crescita sociale ed economica.

4.8

Le azioni a livello nazionale e dell'UE dovrebbero essere concepite fin dall'inizio per conseguire la parità di trattamento e di opportunità: la spesa pubblica sociale in Europa è «parte integrante del modello sociale europeo»; l'Europa è sempre stata un continente molto attrattivo, grazie all'elevato livello di sicurezza sociale che garantisce rispetto ad altre regioni del mondo.

4.9

I regimi di protezione sociale devono fondarsi sulla solidarietà e sull'eguaglianza, senza che sia possibile discriminare sulla base delle diverse condizioni personali, del contesto di provenienza e/o dello status occupazionale.

4.10

La definizione delle misure di protezione sociale per le persone con disabilità dovrebbe avvenire attraverso un approccio basato sui diritti umani, alla lue della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CRDP). Le persone con disabilità che non sono in grado di lavorare e le loro famiglie dovrebbero essere protette dal rischio di povertà e vedersi garantire un tenore di vita adeguato (22).

4.11

Il CESE chiede che la raccomandazione sia pienamente attuata dagli Stati membri, di modo che i lavoratori con contratti atipici e i lavoratori autonomi possano godere di una migliore protezione. I regimi di protezione sociale dovrebbero essere (ri)concepiti per essere sempre più inclusivi, anche per coerenza con le raccomandazioni formulate nell'analisi annuale della crescita 2018, secondo cui «una migliore complementarità tra il mercato del lavoro e i sistemi di integrazione sociale agevolerà tutti i gruppi vulnerabili, genererà una maggiore prosperità per tutti i cittadini e creerà una più forte coesione sociale».

4.12

La lotta alla concorrenza sleale nell'Unione europea e il contrasto del lavoro sommerso (anche in linea con le azioni della Piattaforma europea contro il lavoro sommerso) andranno a vantaggio delle imprese, poiché una maggiore protezione sociale e una riduzione della concorrenza sleale potrebbero avere effetti positivi sulla produttività.

4.13

L'accesso universale all'assistenza sanitaria è un altro elemento chiave della raccomandazione, in linea con il principio 16 del pilastro europeo dei diritti sociali (23). Come dimostrato dalla valutazione d'impatto della Commissione, è possibile che in alcuni paesi, a causa degli accordi contrattuali vigenti o della regolamentazione del mercato del lavoro, i lavoratori con contratti atipici e i lavoratori autonomi abbiano un accesso limitato all'assistenza sanitaria. L'accesso all'assistenza sanitaria per tutti i lavoratori subordinati e autonomi dovrebbe essere obbligatorio.

4.14

Il CESE accoglie inoltre con favore l'annuncio di una maggiore collaborazione con Eurostat per la definizione di indicatori appropriati atti a monitorare i progressi compiuti verso il conseguimento della trasparenza e della copertura formale ed effettiva ecc., nonché i lavori che verranno intrapresi dalla Commissione in seno al comitato per la protezione sociale al fine di istituire un quadro di valutazione comparativa per la protezione sociale. Ciò contribuirà a porre rimedio alla mancanza di una solida base di dati e a una valutazione più precisa dell'impatto delle politiche attuate in relazione alla raccomandazione.

Bruxelles, 20 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 237 del 6.7.2018, pag. 1.

(2)  GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 7.

(3)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione — Valutazione d'impatto che accompagna il documento.

(4)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 23.

(5)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.

(6)  Cfr. anche la raccomandazione n. 202 dell'OIL, che fornisce orientamenti per l'istituzione e il mantenimento di sistemi di protezione sociale di base in quanto elemento fondamentale dei sistemi nazionali di sicurezza sociale.

(7)  Cfr. la raccomandazione sulla protezione sociale, pagg. 8, 15 (punto 10), 17 (considerando 4) e 26 (punti 8 e 10).

(8)  Cfr. la raccomandazione sulla protezione sociale, pagina 17 (considerando 18).

(9)  Basic income as a policy option: Technical Background Note Illustrating costs and distributional implications for selected countries («Il reddito di base come opzione strategica: nota tecnica che illustra i costi e le implicazioni sul piano della distribuzione per determinati paesi»), OCSE, 2017.

(10)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 23.

(11)  http://resourcecentre.etuc.org/EU-social-dialogue-5.html.

(12)  Analisi approfondita dell'occupazione 2015 — CES, BusinessEurope, CEEP, Ueapme.

(13)  Cfr. nota 12.

(14)  Eurostat, 2016.

(15)  ILO: INWORK Issue Brief No 9, May 2017.

(16)  Cfr. la raccomandazione sull'accesso alla protezione sociale, pagg. 2 e 3.

(17)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 15.

(18)  Cfr. Barnard C. e Blackham A. (2015), The implementation of Directive 2010/41 on the application of the principle of equal treatment between men and women engaged in an activity in a self-employed capacity («Attuazione della direttiva 2010/41 sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma»), relazione della rete europea di esperti giuridici nel settore della parità di genere commissionata dalla direzione generale della Giustizia della Commissione europea; cfr. la proposta di raccomandazione del Consiglio sull'accesso alla protezione sociale per i lavoratori subordinati e autonomi, pag. 9.

(19)  Semestre europeo 2018: analisi annuale della crescita

(20)  Cfr. Eurofound: The many faces of self-employment in Europe.

(21)  Cfr. il documento di sintesi di BusinessEurope sulla raccomandazione del Consiglio sull'accesso alla protezione sociale, pag. 1, punto 1 (19 aprile 2018).

(22)  Cfr. la Risoluzione per promuovere l'occupazione e l'inclusione sociale delle persone con disabilità, Forum europeo sulla disabilità (EDF), 6 novembre 2017, http://www.edf-feph.org/newsroom/news/social-pillar-edf-adopts-resolution-promote-employment-social-inclusion-persons.

(23)  «Ogni persona ha il diritto di accedere tempestivamente a un'assistenza sanitaria preventiva e terapeutica di buona qualità e a costi accessibili».


ALLEGATO

I seguenti emendamenti ai punti 1.6 e 2.5, pur avendo ricevuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni:

Punto 1.6

Modificare come segue:

1.6

Il CESE raccomanda che le iniziative intraprese nel quadro della raccomandazione servano a garantire prestazioni e disposizioni adeguate , ivi compresi gli ammortizzatori per coloro che non sono in grado di raggiungere le soglie minime di diritto, in particolare per le persone che non sono in grado di lavorare e per le loro famiglie. Il CESE si rammarica prende atto del fatto che il reddito di base sia è stato stralciato dalla raccomandazione, come indicato nel documento di lavoro dei servizi della Commissione — Valutazione d'impatto (1) , per una serie di motivi, quali i criteri di copertura o la preferenza ad affrontare i problemi nel quadro dei sistemi di sicurezza sociale esistenti negli Stati membri. Tuttavia, il CESE accoglie con favore il dibattito in corso negli Stati membri in materia di reddito di base e altre reti di sicurezza per l'inclusione attiva nel mercato del lavoro e nella società in generale . Già nel 2013 il CESE aveva chiesto una direttiva europea che introducesse un reddito minimo europeo, ritenendo che ciò potesse «contribuire a garantire la coesione economica e territoriale, a tutelare i diritti umani fondamentali, a garantire un equilibrio tra gli obiettivi economici e quelli sociali e a ridistribuire equamente le risorse e i redditi» (2).

Motivazione

Sarà esposta oralmente.

Esito della votazione

Favorevoli

91

Voti contrari

112

Astensioni

10

Punto 2.5

Modificare come segue:

2.5

Il CESE prende atto del fatto che il reddito di base sia stato stralciato dalla raccomandazione, come indicato nel documento di lavoro dei servizi della Commissione — Valutazione d'impatto, per una serie di motivi, quali i criteri di copertura o la preferenza ad affrontare i problemi nel quadro dei sistemi di sicurezza sociale esistenti negli Stati membri. Il CESE si rammarica che il reddito di base sia stato stralciato dalla raccomandazione del Consiglio. Secondo un recente studio dell'OCSE, in considerazione dei rapidi cambiamenti nel mercato del lavoro, le discussioni in corso su un reddito di base generano tuttavia un prezioso impulso riguardo al tipo di protezione sociale che le società vogliono. Il CESE ha già affermato che «l'introduzione di un reddito minimo europeo può contribuire a combattere l'esclusione sociale, a garantire la coesione economica e territoriale, a tutelare i diritti umani fondamentali, a trovare un equilibrio tra gli obiettivi economici e quelli sociali e a ridistribuire equamente le risorse e i redditi»; il Comitato ha chiesto inoltre che venga adottata una direttiva quadro e ha invitato a «esaminare le possibilità di finanziare un reddito minimo europeo».

Motivazione

Il campo di applicazione della raccomandazione non riguarda le prestazioni di minimo vitale. L'obiettivo principale è quello di facilitare l'accesso alla previdenza sociale per quelle categorie di lavoratori che rischiano di non essere incluse nei sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri. Di conseguenza, non vi è alcuna necessità di «rammaricarsi» del fatto che la nozione del reddito di base sia stata stralciata dalla proposta della Commissione. Tuttavia, il Comitato potrebbe prendere atto del dibattito in corso negli Stati membri e in altre sedi, quali l'OCSE. Per quanto riguarda il precedente parere del CESE sul reddito minimo, sarebbe opportuno inoltre inserire un link alla dichiarazione del gruppo Datori di lavoro, per indicare chiaramente la divergenza di vedute sull'argomento. Il riferimento alla dichiarazione del gruppo Datori di lavoro è stato utilizzato precedentemente, ad esempio nei pareri del CESE SOC/542 (Pilastro europeo dei diritti sociali) e SOC/564 (Impatto della dimensione sociale e del pilastro europeo dei diritti sociali sul futuro dell'Unione europea).

Esito della votazione

Favorevoli

92

Voti contrari

113

Astensioni

13


(1)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione — Valutazione d'impatto che accompagna il documento.

(2)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 23.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/142


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio “Adattare la politica comune in materia di visti alle nuove sfide”»

[COM(2018) 251 final]

e la «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 810/2009 che istituisce un codice comunitario dei visti (codice dei visti)»

[COM(2018) 252 final — 2018/0061 (COD)]

(2018/C 440/23)

Relatore:

Ionuț SIBIAN

Consultazione

Parlamento europeo, 16.4.2018

Consiglio, 2.5.2018

Commissione europea, 18.6.2018

Base giuridica

Articolo 304 del TFUE

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

19.7.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

168/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce che il codice dei visti è un elemento centrale della politica comune in materia di visti, in quanto istituisce un corpus comune di disposizioni giuridiche e di istruzioni operative.

1.2.

Il CESE appoggia le procedure armonizzate proposte e le condizioni stabilite dal codice dei visti, dato che consente di eliminare le situazioni in cui casi simili sono trattati in modo diverso a seconda degli Stati membri dell’Unione europea e, al tempo stesso, permette un trattamento differenziato in base al «registro passato relativo ai visti». Il CESE ritiene altresì che occorra impegnarsi per istituire procedure di ricorso armonizzate per i casi di rifiuto del visto.

1.3.

Il CESE accoglie con favore la soluzione di armonizzazione dei visti per ingressi multipli, che consentono ai loro titolari di recarsi più volte nell’UE durante il loro periodo di validità, in quanto questo apporterebbe un contributo sia alla crescita economica che allo sviluppo e agli scambi di tipo sociale e culturale, oltre a rafforzare il sostegno e la comprensione tra le persone.

1.4.

I visti per un solo ingresso da rilasciare alle frontiere esterne, che sono stati introdotti nel codice dei visti per promuovere il turismo a breve termine, sono un indice della flessibilità e dell’approccio pragmatico adottato dagli Stati membri, e il CESE incoraggia l’adozione di tale approccio nella gestione di vari altri aspetti connessi al rilascio dei visti, allo scopo di assicurare l’offerta dei servizi di uno sportello unico.

1.5.

Poiché l’UE dovrebbe perseguire in modo proattivo il rispetto della piena reciprocità in materia di visti nelle sue relazioni con i paesi terzi, il CESE raccomanda alla Commissione europea di condurre una consultazione rapida e di avanzare un chiaro insieme di proposte praticabili che tengano conto degli aspetti legati sia all’agevolazione che alla sicurezza.

1.6.

Tuttavia, il CESE appoggia pienamente la proposta secondo cui la Commissione, prima di adottare qualsiasi decisione relativa alla temporanea sospensione dell’esenzione dall’obbligo del visto per i cittadini di un paese terzo, dovrebbe tener conto della situazione dei diritti umani in quel paese terzo e delle possibili conseguenze della sospensione in rapporto a tale situazione.

1.7.

Al tempo stesso, il CESE raccomanda che vengano compiuti tutti gli sforzi per raccogliere dati attendibili, pertinenti e uniformi/comparabili (per quanto possibile) riguardo non solo ai paesi terzi, ma anche alle situazioni che permettono agli Stati membri di decidere di sospendere temporaneamente l’esenzione dall’obbligo del visto per i cittadini di un paese terzo che figura nell’allegato II del regolamento, contenente l’elenco sia dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne che di quelli i cui cittadini sono esenti da tale obbligo.

1.8.

Il CESE raccomanda prudenza al momento di decidere sulla periodica (ogni due anni) revisione al rialzo dei diritti per il rilascio di un visto. Tale revisione non dovrebbe essere automatica, dato che il costo proposto è già alto per il livello di crescita/sviluppo di alcuni dei paesi terzi interessati.

1.9.

Il CESE appoggia le modifiche al codice dei visti che riguardano la possibilità supplementare di compilare e firmare il modulo di domanda in formato elettronico, allo scopo di stare al passo con lo sviluppo tecnologico. Al tempo stesso, il CESE chiede a tutti gli Stati membri di esprimere parere favorevole all’introduzione online delle domande di visto e di realizzare i necessari sviluppi/cambiamenti per rendere possibile questa procedura online; il Comitato chiede altresì alla Commissione di includere/presentare una scadenza realistica per l’adozione generalizzata, da parte degli Stati membri, di procedure per la presentazione online delle domande di visto.

1.10.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di abolire il principio della «presentazione di persona»; sostiene e, quindi, chiede l’introduzione di norme e regolamentazioni che consentano la presentazione online delle domande di visto. Il CESE ritiene che occorra puntare a rendere possibile la presentazione delle domande di visto nel modo più opportuno e più rapido possibile a partire dal luogo di residenza del richiedente, anche consentendo un più ampio ricorso a prestatori esterni di servizi (se necessario) e fornendo servizi di rappresentanza migliori, nonché intensificando la cooperazione tra le missioni diplomatiche degli Stati membri dell’UE.

1.11.

Il CESE raccomanda alla Commissione di rivedere le attuali categorie di richiedenti che beneficiano di un’esenzione dal visto e di definirle in modo più chiaro. Raccomanda altresì di prendere in considerazione l’esenzione dal pagamento del diritto per il rilascio del visto ad anziani e rappresentanti di organizzazioni senza fini di lucro che partecipano a seminari, conferenze e manifestazioni sportive, culturali o educative a cura di organizzazioni senza fini di lucro, indipendentemente dall’età del richiedente, oppure di valutare almeno la possibilità di un innalzamento del limite di età.

1.12.

Poiché le disposizioni del regolamento «si applicano ai cittadini di paesi terzi che devono essere in possesso di un visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne degli Stati membri […], fermi restando: a) i diritti di libera circolazione di cui godono i cittadini di paesi terzi che sono familiari di cittadini dell’Unione», il CESE desidera sottolineare l’importanza di stabilire una prassi comune per evitare discriminazioni in rapporto alla definizione di «legami familiari», tenuto conto dei recenti sviluppi negli Stati membri dell’UE per quanto concerne la nozione di «famiglia».

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE prende atto della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla necessità di adeguare la politica comune in materia di visti alle nuove sfide e, alla luce di ciò, appoggia le due proposte di regolamento riguardanti un codice comunitario dei visti e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e di quelli i cui cittadini sono esenti da tale obbligo.

2.2.

Il CESE riconosce pertanto che il codice dei visti produce effetti che vanno al di là dell’obiettivo di stabilire norme giuridiche e procedure di domanda comuni e, oltre a facilitare la libera circolazione per scopi legittimi e a combattere l’immigrazione illegale, ha un effetto sulla crescita economica e sulla creazione di posti di lavoro, anche se questo obiettivo non è stato assegnato al codice dei visti sin dall’inizio. Nel 2017, presso i consolati degli Stati Schengen, sono stati presentati 16,1 milioni di domande di visto uniforme e la tendenza è in crescita. Di questo numero totale di domande, in più del 50 % dei casi sono stati rilasciati visti per ingressi multipli, mentre il numero di visti rifiutati è stato di 1,3 milioni, pari all’8 % di tutte le domande (1).

2.3.

Il CESE accoglie favorevolmente le modifiche proposte volte a semplificare il trattamento delle domande di visto sia per i richiedenti che per i consolati, vale a dire: la possibilità di presentare una domanda sei mesi prima del viaggio previsto (e nove mesi prima nel caso dei lavoratori marittimi), i chiarimenti e l’ampliamento delle categorie di soggetti che possono presentare una domanda per conto del richiedente, nonché l’armonizzazione dei documenti giustificativi. Accoglie con grande favore anche l’applicazione del principio secondo cui il richiedente non può essere obbligato a presentarsi di persona in più di una sede per presentare la domanda di visto.

2.4.

Tuttavia, il CESE riconosce anche che l’accesso ai consolati continua ad essere problematico, soprattutto nei paesi terzi in cui la maggior parte degli Stati membri è presente solo nella capitale e, quindi, le persone che richiedono un visto devono sostenere i costi (in termini sia di tempo che di denaro) connessi alle lunghe distanze da percorrere per raggiungere il consolato. Il CESE, quindi, accoglie con favore la proposta di abolire il principio della «presentazione di persona» e invita gli Stati membri ad attuare i necessari aggiustamenti per la presentazione online delle domande di visto. Al tempo stesso, il CESE accoglie con favore ogni tipo di misura introdotta che renda possibile la presentazione delle domande di visto nel modo più opportuno e più rapido possibile a partire dal luogo di residenza del richiedente, anche consentendo un più ampio ricorso a prestatori esterni di servizi (se necessario) e fornendo servizi di rappresentanza migliori, nonché intensificando la cooperazione tra le missioni diplomatiche degli Stati membri dell’UE.

2.5.

Tenuto conto della recente entrata in vigore delle nuove norme in materia di protezione dei dati e della vita privata (regolamento generale sulla protezione dei dati), il CESE ribadisce la necessità che i prestatori esterni di servizi siano in grado di rispettare/garantire la sicurezza dei dati personali raccolti. Gli Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure necessarie per assicurare che le imprese che offrono servizi per il rilascio dei visti (ai cittadini europei o a cittadini non europei per visti d’ingresso in paesi europei) modifichino le loro politiche in materia di protezione dei dati in modo da renderle conformi al regolamento.

2.6.

Le nuove scadenze abbreviate per presentare una domanda di visto e per decidere in merito a tale domanda, e l’armonizzazione della possibilità di rilasciare visti uniformi (specialmente per quanto riguarda la decisione di rilasciare visti per ingressi multipli) sono due aspetti che il CESE ritiene positivi, così come il nuovo articolo 25 bis proposto sulla cooperazione in materia di riammissione, che è volto ad accrescere la cooperazione dei paesi terzi per la riammissione dei migranti irregolari attraverso l’introduzione della possibilità di adottare un’applicazione restrittiva e temporanea di alcune disposizioni chiaramente specificate. Bisogna definire un approccio armonizzato sulle modalità per agevolare la procedura di domanda di visto per i richiedenti che hanno già viaggiato all’interno dell’UE.

2.7.

Il CESE riconosce che andrebbe assicurata e resa sostenibile la coerenza tra la politica in materia di visti e gli impegni assunti in altri settori politici (ad esempio, gli accordi commerciali). Per quanto riguarda gli accordi di esenzione dall’obbligo del visto conclusi dagli Stati membri con taluni paesi terzi, andrebbe adottata la soluzione generalmente accettata. L’UE dovrebbe perseguire in modo proattivo il rispetto della piena reciprocità in materia di visti nelle sue relazioni con i paesi terzi.

2.8.

Pur comprendendo la motivazione alla base della proposta di revisione dell’articolo 16 del codice dei visti, vale a dire l’aumento di 1/3 dei diritti per il rilascio di un visto, il CESE è preoccupato per i possibili ostacoli derivanti da questo aumento nel caso di cittadini di alcuni paesi terzi il cui livello di sviluppo/ricchezza sia notevolmente inferiore a quello degli Stati membri dell’UE. Il confronto tra l’importo del diritto per il rilascio di un visto e gli altri costi, compresi quelli per il viaggio, che le persone richiedenti un visto devono sostenere non è favorevole, perché le soluzioni ormai diffuse di viaggio e alloggio a basso costo potrebbero portare a una situazione in cui il costo dell’intero viaggio è inferiore o uguale al diritto per il visto.

2.9.

Il CESE ritiene che la proposta di revisione biennale dell’importo del diritto per il rilascio del visto debba prendere in considerazione la possibilità di diminuire questo importo, sulla base della possibile introduzione di procedure elettroniche per le domande di visto (che potrebbero comportare spese minori, in termini di personale e amministrazione, per gli Stati membri). Secondo la comunicazione della Commissione Adattare la politica comune in materia di visti alle nuove sfide, la maggior parte degli Stati membri apprezza i vantaggi derivanti dall’utilizzo di visti digitali (tra cui i costi più bassi per i consolati, oltre all’introduzione di una procedura di domanda efficace e più semplice rispetto ai sistemi basati su domande in formato cartaceo).

2.10.

Tenuto conto dell’attuale importo del diritto per il rilascio di un visto e dell’importo proposto, il CESE reputa che vada presa in considerazione la possibilità di un’esenzione dal pagamento del diritto per i rappresentanti di organizzazioni senza fini di lucro che partecipano a seminari, conferenze e manifestazioni sportive, culturali o educative a cura di organizzazioni senza fini di lucro, indipendentemente dall’età del richiedente, oppure che occorra valutare almeno la possibilità di un innalzamento del limite di età (l’attuale normativa tiene conto dell’età del richiedente, che deve avere non più di 25 anni). Inoltre, anche agli anziani dovrebbe essere offerta l’esenzione dal pagamento dei diritti per il visto, per sostenere la loro integrazione attiva nella società e contribuire a una loro maggiore qualità di vita.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Statistiche sui visti per i consolati, 2017 (https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/policies/borders-and-visas/visa-policy#stats).


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/145


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro»

[COM(2018) 171 final — 2018/0081 (COD)]

(2018/C 440/24)

Relatore

János WELTNER

Consultazione

Parlamento europeo, 16/04/2018

Consiglio, 23/04/2018

Base giuridica

Articolo 153 (paragrafi 1 e 2) e articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza

17/04/2018

Sezione competente

Sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

19/07/2018

Adozione in sessione plenaria

19/09/2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

191/4/11

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di modifica della direttiva sugli agenti cancerogeni e mutageni (direttiva ACM) poiché presenta dati obiettivi per garantire condizioni di lavoro più sicure.

1.2.

Come ha già fatto in un precedente parere (1), il CESE esorta la Commissione a realizzare una valutazione d’impatto su un’eventuale estensione dell’ambito di applicazione della direttiva ACM per includervi sostanze che sono nocive per la riproduzione.

1.3.

Alla luce degli effetti tossici per la riproduzione di numerosi agenti cancerogeni e mutageni, il CESE ritiene importante che le revisioni e le modifiche della direttiva ACM nel prossimo futuro prestino maggiore attenzione alle esposizioni professionali che interessano gli aspetti riproduttivi per quanto riguarda donne e uomini, e (nel caso delle donne) segnatamente durante il primo trimestre di gravidanza.

1.4.

Il CESE accoglie con favore il fatto che, nella presente modifica, i valori limite di esposizione professionale vincolanti siano stati definiti sulla base di prove concrete di carattere scientifico e statistico. Un approccio basato sui rischi, come quello riscontrabile nei documenti di riferimento, è di semplice comprensione per i portatori di interessi e, di conseguenza, fornisce una base solida per un compromesso sociale.

1.5.

Il CESE accoglie con favore la procedura basata su dati concreti, in virtù della quale la Commissione ha chiesto la consulenza sia del comitato scientifico per i limiti dell’esposizione professionale agli agenti chimici (SCOEL) (2), sia del comitato per la valutazione dei rischi (RAC) (3) dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) (4).

1.6.

Il CESE ritiene necessario elaborare dei programmi pilota in materia di ricerca e, in una seconda fase, programmi a livello di UE che attuino, nell’ambito del regime nazionale di sicurezza sociale o dei sistemi sanitari pubblici, una sorveglianza sanitaria lungo tutto l’arco della vita per tutte le persone che sono state esposte ai composti cancerogeni, mutageni e tossici per la riproduzione. In conformità con il regolamento generale sulla protezione dei dati (5), tale sorveglianza sanitaria deve essere realizzata in forma anonima.

1.7.

Il CESE sottolinea che, al fine di migliorare la protezione dei lavoratori dagli agenti cancerogeni, mutageni e tossici per la riproduzione durante il lavoro, gli Stati membri dovrebbero garantire che gli ispettorati del lavoro dispongano di risorse umane e finanziarie sufficienti per svolgere i loro compiti.

1.8.

Il CESE raccomanda che tutti i composti sospettati di essere cancerogeni, mutageni e/o tossici per la riproduzione siano sottoposti ad analisi scientifica e, se opportuno, inclusi nella direttiva ACM.

2.   Contesto

2.1.

Il presente parere è correlato al parere del CESE sul tema Protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro (6), che è stato elaborato in concomitanza con la modifica della direttiva ACM nel 2017 (7). Tutte le raccomandazioni del CESE, a eccezione di quelle che sono state inserite nella modifica in esame, sono ancora di attualità (8).

2.2.

Gli obiettivi della proposta sono coerenti con l’articolo 2 (diritto alla vita) e l’articolo 31 (condizioni di lavoro giuste ed eque) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

2.3.

Garantire un ambiente di lavoro sano e sicuro è un obiettivo strategico della Commissione europea, come menzionato nel «Quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro 2014-2020» (9).

2.4.

Il cancro costituisce la principale patologia di origine professionale nell’UE-28 e causa quasi altrettanti danni alla salute e alla vita dei lavoratori dell’effetto combinato dei due gruppi di patologie successivi (patologie muscoloscheletriche e malattie del sistema circolatorio). Il suo impatto negativo è altresì ben superiore a quello degli infortuni sul lavoro (10). Per i lavoratori, le loro famiglie e i loro amici può comportare sofferenze, causare una scarsa qualità della vita, compromettere il benessere e, nei casi peggiori, portare alla morte (11).

2.5.

La Commissione ha avviato un processo continuo di aggiornamento della direttiva ACM (12) al fine di mantenersi al passo con i nuovi sviluppi scientifici e tecnici. Tale processo è in linea con la strategia per lo sviluppo sostenibile dell’UE che prevede, tra gli altri obiettivi, quello di garantire che entro il 2020 le sostanze chimiche siano prodotte, manipolate e utilizzate in modo da non che non comportare rischi significativi per la salute umana e l’ambiente. L’obiettivo è, a termine, di sostituire le sostanze che destano maggiori preoccupazioni con sostanze o tecnologie alternative idonee (13).

3.   La proposta della Commissione

3.1.

In linea con tale processo e sulla base dei documenti di lavoro SWD(2018) 87 e 88, la Commissione europea ha proposto la modifica successiva della «direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro» nel suo documento COM(2018) 171 (14). Precedentemente nel 2017, il CESE si era espresso a favore della modifica di tale direttiva. Cinque sostanze sono state inserite nell’attuale modifica (15):

3.1.1.

Il cadmio e i suoi composti inorganici nell’ambito di applicazione della direttiva ACM: le attività professionali nelle quali i lavoratori sono esposti a tali sostanze includono la produzione e la raffinazione del cadmio, la fabbricazione di batterie nichel-cadmio, la fabbricazione e la formulazione di pigmenti di cadmio, la produzione di leghe di cadmio, la galvanoplastica meccanica, la fusione di zinco e rame, l’estrazione di minerali metallici non ferrosi, la brasatura mediante lega d’apporto di argento-cadmio-argento, la composizione di cloruro di polivinile e il riciclaggio di rottami metallici e di batterie al nichel-cadmio. La Commissione stima che all’incirca 10 000 lavoratori siano esposti a questo rischio.

3.1.2.

Il berillio e i composti inorganici del berillio nell’ambito di applicazione della direttiva ACM: sono stati individuati dieci settori industriali, quali quelli delle fonderie, del vetro e dei laboratori, in cui i lavoratori sono a rischio di esposizione al berillio. Il rame, l’alluminio, il magnesio e il nichel sono largamente utilizzati nelle leghe con il berillio. L’80 % circa di tutto il berillio è usato nelle leghe di rame. L’esposizione al berillio causa tumore ai polmoni e berilliosi, che è una patologia cronica e incurabile. La Commissione stima che 54 000 lavoratori siano esposti a questo rischio.

3.1.3.

L’acido arsenico e i suoi sali e i composti inorganici dell’arsenico nell’ambito di applicazione della direttiva ACM: l’esposizione ai composti dell’arsenico avviene, per esempio, nella produzione del rame e dello zinco, nonché nei settori del vetro, dell’elettronica e della chimica. La Commissione stima che tra i 7 900 e i 15 300 lavoratori siano esposti a questo rischio.

3.1.4.

Formaldeide: presente nella produzione della formaldeide e in una vasta gamma di prodotti (adesivi e sigillanti, prodotti di rivestimento, polimeri, biocidi e sostanze chimiche da laboratorio); l’esposizione può altresì avvenire durante attività quali la costruzione e la produzione di cuoio e pellicce, pasta da carta, carta e prodotti di carta, nonché nei settori tessile, del legno e dei prodotti di legno. La formaldeide è altresì usata per la conservazione dei tessuti e come disinfettante nei reparti di patologia e nelle sale per autopsie. La Commissione stima che circa 1 milione di lavoratori siano esposti a questo rischio.

3.1.5.

Il 4,4’-metilenbis(2-cloroanilina) («MOCA»): i lavoratori esposti operano nel settore della plastica, dove il MOCA è usato per lo stampaggio di parti in elastomero al poliuretano in 89 siti in tutta l’UE. La Commissione stima che 350 lavoratori siano esposti a questo rischio.

3.2.

Gli Stati membri adottano approcci diversi. Alcuni hanno stabilito valori limite di esposizione professionale vincolanti per un elevato numero di sostanze chimiche cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione, altri solo per alcune di tali sostanze. Nella presente proposta sono menzionate cinque sostanze; per nessuna di queste esiste un valore limite di esposizione professionale a livello di UE. Dodici Stati membri (Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica ceca, Germania, Estonia, Spagna, Ungheria, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Svezia) non hanno stabilito alcun valore limite di esposizione professionale per una delle cinque sostanze. Tre Stati membri non dispongono di alcun valore limite di esposizione professionale per nessuna delle cinque (Italia, Lussemburgo, Malta). Il livello di questi valori limite può variare da un paese all’altro. Il CESE si compiace quindi della proposta recante modifica della direttiva 2004/37/CE, che stabilisce valori limite di esposizione professionale vincolanti minimi a livello europeo e che, una volta entrata in vigore, garantirà pari condizioni di lavoro a tutti i lavoratori di qualsiasi Stato membro esposti a queste sostanze nocive.

3.3.

Le stime basate su uno studio condotto da Risk & Policy Analysts Limited (RPA 2018) mostrano che la proposta, se adottata, permetterebbe di migliorare, nel lungo termine, le condizioni di lavoro di oltre 1 milione di lavoratori nell’UE e di prevenire oltre 22 000 casi di patologie di natura professionale (16). Il carico di malattia attuale, valutato sulla base delle cifre degli ultimi 40 anni, include oltre 24 770 casi di patologie di natura professionale. Se non si interviene per rimediare alla situazione, il carico di malattia futuro comprenderà 24 689 nuovi casi nell’arco dei prossimi 60 anni.

3.4.

Secondo il documento di lavoro dei servizi della Commissione è pertanto opportuno prevedere l’aggiornamento della direttiva ACM sulla base delle informazioni di cui sopra. I principi sono gli stessi di quelli indicati nella direttiva ACM e nella modifica precedente. La presente modifica amplia il precedente elenco di cui all’allegato della direttiva ACM aggiungendovi i cinque composti sopraelencati.

3.5.

Pareri scientifici sono stati forniti dal comitato scientifico per i limiti dell’esposizione professionale agli agenti chimici (SCOEL) per il cadmio, il berillio e la formaldeide, e dal comitato di valutazione dei rischi (RAC) per l’acido arsenico e il MOCA. Il comitato consultivo tripartito per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro ha adottato pareri su tutte e cinque le sostanze.

3.6.

I valori limite per queste cinque sostanze carcinogene e mutagene sono definiti sulla base di dati scientifici e con riferimento alle future conseguenze per la salute. Vengono altresì prese in considerazione diverse conseguenze economiche.

4.   Osservazioni generali

4.1.

La modifica proposta si prefigge, come principale obiettivo e portata, di ampliare l’elenco della direttiva ACM, che al momento è limitato agli agenti cancerogeni e mutageni. In seguito sarà opportuno prendere in considerazione un’eventuale estensione dell’ambito della direttiva al fine di includervi anche le sostanze tossiche per la riproduzione o per altre funzioni fisiologiche, come menzionato nel precedente parere del CESE sull’argomento (17).

4.2.

Tale parere è corroborato dal documento di Eurostat del 2017 intitolato Monitoring report on progress towards the SDGs in an EU context («Relazione di monitoraggio sui progressi in materia di OSS in ambito UE») (18): «Nel 2015, il consumo di sostanze chimiche nell’UE ammontava a 350 milioni di tonnellate, di cui 127 milioni di tonnellate classificate come sostanze pericolose per l’ambiente e 221 milioni di tonnellate come sostanze potenzialmente nocive per la salute umana. Benché il consumo di sostanze chimiche tossiche sia diminuito tanto a breve come a lungo termine, la quota di sostanze chimiche maggiormente tossiche sul totale dei consumi di sostanze chimiche è rimasta sostanzialmente immutata.» (Quota di sostanze «cancerogene, mutagene e tossiche per la riproduzione» sul totale del consumo di sostanze chimiche nell’UE: 2004: 10,7 %, 2015: 10,3 %.)

4.3.

La strategia dell’UE per combattere i tumori connessi all’attività professionale dovrebbe prestare maggiore attenzione alle donne.

4.3.1.

I modelli di esposizione e di localizzazione dei tumori possono variare a seconda del sesso. Ad esempio, il tumore alla mammella è molto raro nell’uomo, mentre è il cancro più diffuso nella donna. Vari tipi di esposizione sul luogo di lavoro possono contribuire a questa forma tumorale. Per raccogliere dati pertinenti ai fini del processo decisionale, l’incidenza dei tumori maggiormente legati al genere andrebbe analizzata separatamente per le donne e gli uomini e non facendo riferimento alla popolazione totale dei dipendenti.

4.3.2.

Il CESE esorta la Commissione a considerare in modo maggiormente sistematico le esposizioni cancerogene delle donne sul luogo di lavoro in occasione delle prossime revisioni della direttiva. Numerosi tipi di attività in cui la presenza femminile è maggiore (sanità, pulizia, parrucchieria ecc.) comportano un’esposizione a sostanze cancerogene. Occorre adottare misure preventive vincolanti in materia (per esempio cappe a pressione negativa per la preparazione di prodotti citostatici a fini di iniezione da parte del personale degli istituti sanitari).

4.4.

Per quanto concerne il mercato unico, il CESE ritiene che sia importante che la Commissione definisca, nella direttiva ACM, una metodologia per l’adozione di valori limite di esposizione professionale vincolanti. A tal fine andrebbe condotta un’ampia consultazione con le parti sociali, gli Stati membri e altri portatori di interessi, tra cui le ONG. Il CESE è del parere che due elementi richiedano una particolare attenzione: anzitutto, la coerenza tra i valori limite di esposizione professionale vincolanti e il livello di rischio dei diversi composti; in secondo luogo, il bisogno di definire tali valori limite sulla base di dati scientifici, ivi compreso il monitoraggio dei cambiamenti nell’incidenza delle malattie legate al lavoro. Essi devono tener conto di diversi fattori, quali la fattibilità e la possibilità di misurare i livelli di esposizione. Per aiutare i datori di lavoro a stabilire il grado di priorità delle loro misure preventive, i valori limite dovrebbero menzionare esplicitamente il livello di rischio associato al livello di esposizione.

4.5.

Per la maggior parte dei composti, vi è un periodo di latenza prolungato tra la prima esposizione e l’insorgenza del tumore. Il CESE ritiene che sia necessario tutelare i lavoratori offrendo, nell’ambito del regime nazionale di sicurezza sociale o dei sistemi sanitari pubblici, una sorveglianza sanitaria lungo tutto l’arco della vita a tutti i lavoratori che sono a rischio di esposizione. Tali dati possono essere trasmessi da Eurostat al fine di contribuire ad affinare la strategia per lo sviluppo sostenibile.

4.6.

La gestione della sanità pubblica deve essere affidata esclusivamente a normative basate su prove concrete, le quali si possono ricavare da un’analisi scientifica fondata su dati di qualità e valutabili sotto il profilo statistico. Tale requisito è confermato dallo stesso regolamento generale sulla protezione dei dati (19), all’articolo 9 relativo al trattamento di categorie particolari di dati personali (20). Occorre inoltre tener conto anche di altri aspetti giuridici, conformemente alla direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (21).

4.7.

Il CESE raccomanda nuovamente di concentrare maggiormente gli sforzi sugli studi scientifici e statistici. Il tumore professionale può insorgere per diversi motivi. Occorre dedicare maggiore attenzione e più fondi alla ricerca delle conseguenze e delle potenziali interazioni dell’esposizione combinata a diversi fattori.

4.8.

Il CESE sottolinea che uno dei compiti principali al fine di garantire la protezione dei lavoratori dagli agenti cancerogeni, mutageni e tossici per la riproduzione sul posto di lavoro consiste nel rafforzare il controllo dell’attuazione e dell’applicazione della direttiva ACM. Gli Stati membri dovrebbero garantire che gli ispettorati del lavoro dispongano di risorse umane e finanziarie sufficienti per svolgere i loro compiti e aiutare al contempo le imprese, in particolare le PMI, a conformarsi a queste disposizioni. Essi dovrebbero rafforzare la propria collaborazione con l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro. L’uso diffuso della piattaforma web per la valutazione dei rischi interattiva online (Online Interactive Risk Assessment — OiRA) può contribuire positivamente alla valutazione dei rischi in tale ambito.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Oltre all’obbligo fondamentale di prevenzione e di protezione della salute sul lavoro e alla necessità di adattare il lavoro all’uomo, sanciti entrambi dalla legislazione europea, il CESE richiama l’attenzione sul fatto che una prevenzione inefficace dell’esposizione agli agenti cancerogeni, mutageni e tossici per la riproduzione potrebbe comportare delle conseguenze negative per le imprese, quali costi più elevati e una minore produttività causata dall’assenteismo, costi per l’indennizzo per i danni subiti, una perdita di competenze e una distorsione della concorrenza, nonché per gli Stati membri, in ragione dell’aumento dei costi della sicurezza sociale e della perdita di gettito fiscale.

5.2.

Le autorità degli Stati membri e gli organi di rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori facenti parte del comitato consultivo tripartito per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro accoglierebbero con estremo favore la chiarezza giuridica e la maggiore protezione che deriverebbero dall’abbassamento dei valori limite di esposizione professionale a tali sostanze.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 56.

(2)  Salute e sicurezza sul luogo di lavoro — SCOEL, Commissione europea, 30.6.2018.

(3)  Comitato per la valutazione dei rischi (RAC), 30.6.2018.

(4)  Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA).

(5)  GU L 119 del 4.5.2016, pag. 33, articolo 4, e cfr. anche i considerando 35, 45, 52, 53 e 155.

(6)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 56.

(7)  COM(2017) 11 final.

(8)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 56.

(9)  COM(2014) 332 final.

(10)  EU-OSHA (2017).

(11)  COM(2017) 11 final.

(12)  Direttiva 2004/37/CE.

(13)  Eurostat, «Sustainable development in the EU» (Sviluppo sostenibile nell'UE), pag. 189.

(14)  Procedura 2018/0081 (COD).

(15)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 56.

(16)  Terza modifica della direttiva sugli agenti cancerogeni e mutageni (direttiva ACM).

(17)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 56.

(18)  Eurostat 2017: Sustainable Development in the European Union — Monitoring report on progress towards the SDGs in an EU context («Sviluppo sostenibile nell'Unione europea: relazione di monitoraggio sui progressi in materia di OSS in ambito UE»), pag. 246.

(19)  GU L 119 del 4.5.2016, pag.1.

(20)  GU L 119 del 4.5.2016, articolo 9, lettera h): «il trattamento è necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente […] sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri o […]».

(21)  GU L 88 del 4.4.2011, pag. 45. Cfr. anche GU C 354 del 31.12.2008, pag. 70, articolo 2.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/150


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di raccomandazione del Consiglio relativa al rafforzamento della cooperazione nella lotta contro le malattie prevenibili da vaccino»

[COM(2018) 244 final — SWD(2018) 149 final]

(2018/C 440/25)

Relatrice:

Renate HEINISCH

Consultazione

Commissione europea, 17/04/2018

Base giuridica

Articolo 29 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

17/04/2018

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

19/07/2018

Adozione in sessione plenaria

19/09/2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

136/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   A livello europeo

1.1.1.

La cooperazione tra gli Stati membri in materia di vaccini dovrebbe comprendere un’analisi della funzione dei vaccini nell’arco della vita di una persona e affrontare specificamente le vaccinazioni destinate a bambini, adolescenti, adulti e anziani in un’ottica transfrontaliera. I dati forniti dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) indicano che malattie come il morbillo, un tempo considerate malattie infantili, ora colpiscono gli adolescenti e i giovani adulti a seguito di un calo delle difese immunitarie. Questo fenomeno, unito alla presenza di flussi migratori transfrontalieri e alla disponibilità di nuovi vaccini destinati a classi di età specifiche (HPV, meningococco, herpes zoster ecc.), rende necessario un approccio alla vaccinazione sull’intero arco della vita.

1.1.2.

L’esitazione dei genitori di fronte alla somministrazione dei vaccini costituisce uno dei pericoli più gravi per il benessere dei bambini di oggi — il risultato di prove scientifiche ormai consolidate nel tempo che, però, sono messe ora in discussione per promuovere un movimento contrario ai vaccini. Questa tendenza, oggi più diffusa, a diffidare degli esperti e del consenso scientifico va contrastata tramite una comunicazione basata sui fatti e una maggiore trasparenza e sensibilizzazione, onde evitare il ripetersi di fatti come l’epidemia di morbillo che ha colpito l’Unione europea e i decessi per difterite verificatisi di recente. Il coinvolgimento del pubblico nei programmi di ricerca e innovazione, come Scienza con e per la società, è uno degli strumenti a cui la Commissione dovrebbe ricorrere per educare ai benefici della vaccinazione.

1.1.3.

Il CESE invita la Commissione a sensibilizzare il pubblico alla funzione di protezione da malattie debilitanti che svolgono i vaccini, celebrando la Giornata europea della vaccinazione. In tale occasione si dovrebbe ricorrere a una comunicazione mirata per fare opera di educazione dei cittadini europei, in particolare i genitori, i minori, gli operatori sanitari, i migranti, i gruppi minoritari e altre fasce della popolazione maggiormente esposte al rischio di subire gravi conseguenze dovute a malattie prevenibili da vaccino. Tutti i canali di comunicazione, compresi i mezzi di informazione tradizionali e i social media, dovrebbero essere utilizzati per fornire informazioni accessibili e scientificamente provate ai cittadini e alle organizzazioni. L’adozione di un approccio intergenerazionale all’apprendimento nell’opera di comunicazione in materia di vaccini contribuirebbe altresì a promuovere le vaccinazioni da una generazione all’altra e a dissipare i relativi dubbi.

1.1.4.

In un’epoca in cui l’informazione e la comunicazione avvengono sempre più di frequente per via digitale e in cui nuove tecnologie forniscono molteplici opportunità di migliorare l’accesso alle vaccinazioni e la copertura vaccinale, l’UE deve adoperarsi per migliorare l’alfabetizzazione dei cittadini europei in materia di vaccini al fine di affrontare convenientemente la loro esitazione. Occorre migliorare l’alfabetizzazione digitale in campo sanitario per consentire l’accesso alle informazioni sui vaccini e il trattamento di tali informazioni in formato digitale.

1.1.5.

Non va mai dimenticato che la salute umana e quella animale sono indissolubilmente legate tra loro. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare stima che il 75 % (1) delle malattie infettive che colpiscono gli esseri umani abbia origine animale. La minaccia, in continuo aumento, della resistenza antimicrobica (AMR) indica anch’essa un collegamento tra salute umana e animale. In tale contesto, i vaccini non si limitano a prevenire le malattie, ma contribuiscono anche alla lotta contro l’AMR, riducendo l’impiego non necessario di antimicrobici. Questo valore sociale non trova però riscontro nei meccanismi di sostegno dell’UE, e non esiste un incentivo di mercato per indurre gli agricoltori a preferire i vaccini a prodotti più economici che aggravano l’AMR. Il CESE raccomanda che, nel quadro della prossima riforma della politica agricola comune, la Commissione introduca anche delle sovvenzioni alle aziende agricole che dimostrano di applicare l’elevato livello di copertura vaccinale necessario per contrastare le minacce poste dall’AMR sul piano economico e sanitario.

1.2.   A livello nazionale

1.2.1.

Occorre garantire che le malattie prevenibili (appartenenti al nostro passato lontano) o quelle che oggigiorno possono essere debellate con i vaccini di nuova generazione non si ripresentino più in futuro. Gli operatori sanitari, compresi i farmacisti, gli infermieri, i dottori e i servizi medici nelle scuole e sul posto di lavoro, sono i primi a lottare contro l’esitazione vaccinale, in quanto svolgono un ruolo determinante di orientamento e consulenza dei pazienti. Il CESE esorta gli Stati membri ad investire nell’erogazione di formazione continua al fine di consentire agli operatori sanitari, e ai farmacisti in particolare, di diventare «ambasciatori» della vaccinazione e un baluardo contro le terribili conseguenze del movimento antivaccini per la salute pubblica. La vaccinazione, inoltre, potrebbe essere eseguita dal personale medico per garantire che eventuali reazioni acute o shock anafilattici siano trattati senza rischi per la salute.

1.2.2.

Anche gli operatori sanitari sono a rischio di esposizione a una vasta gamma di malattie. In quanto organo consultivo che rappresenta i lavoratori, i datori di lavoro e altri gruppi di interesse, il CESE invita gli Stati membri ad assicurare la piena ed efficace attuazione della direttiva 2000/54/CE. Questa stabilisce che, in presenza di «un rischio per la sicurezza e la salute dei lavoratori a causa della loro esposizione ad agenti biologici contro i quali esistono vaccini efficaci, i datori di lavoro dovrebbero offrire la vaccinazione ai lavoratori».

1.2.3.

Gli Stati membri devono intensificare gli sforzi per raggiungere (oltre ai professionisti del settore sanitario) i gruppi maggiormente a rischio di gravi effetti derivanti da malattie specifiche prevenibili da vaccino. Si considerino ad esempio i bambini, le donne incinte, gli anziani, i gruppi minoritari e le popolazioni che presentano rischi di specifiche patologie comuni o sono esposte a malattie a trasmissione sessuale, come il papillomavirus umano (HPV) e l’epatite A e B. I controlli di routine, come le visite pediatriche o le visite mediche di controllo sul posto di lavoro, associati a programmi di vaccinazione potrebbero contribuire a innalzare i livelli di copertura non ottimali.

1.2.4.

L’Europa si trova attualmente in una fase storica difficile, nel senso che la struttura per età della sua popolazione ha iniziato a regredire. Tra gli strumenti per far fronte a questa sfida, andrebbero previste misure preventive come la vaccinazione degli adulti, contribuendo nel contempo all’obiettivo europeo di un invecchiamento attivo e in buona salute.

1.2.5.

Il CESE, tuttavia, osserva con preoccupazione che l’obiettivo, fissato dal Consiglio per il 2009, di raggiungere una copertura vaccinale del 75 % contro l’influenza stagionale tra le fasce di età più avanzata è stato conseguito da un solo Stato membro. Dal momento che l’influenza negli anziani ha effetti, nel migliore dei casi, debilitanti e, nel peggiore, mortali, gli Stati membri dovrebbero puntare a raddoppiare i loro sforzi verso il raggiungimento di questo obiettivo.

1.2.6.

Le sfide cui devono far fronte attualmente gli Stati membri vanno dall’esitazione vaccinale ai cambiamenti demografici, legati all’invecchiamento della popolazione e all’incremento della circolazione di cittadini, che hanno un impatto sui rischi di esposizione ad agenti patogeni in tutta l’UE. Il CESE invita gli Stati membri a condividere le migliori pratiche e le competenze acquisite nel reagire a queste sfide.

2.   Considerazioni generali

2.1.

Il CESE sostiene l’approccio su tre pilastri adottato dalla Commissione per rafforzare la cooperazione nella lotta contro le malattie prevenibili da vaccino quale risposta tempestiva alle minacce sanitarie urgenti cui deve far fronte oggi l’UE, vale a dire l’esitazione vaccinale, il calo della copertura vaccinale da malattie specifiche, le epidemie senza precedenti di malattie prevenibili da vaccino, le discordanze tra i programmi nazionali di vaccinazione e le scorte insufficienti di vaccini.

2.2.

Il CESE accoglie con favore le attività proposte per accrescere le sinergie tra la vaccinazione e le politiche correlate, comprese quelle in materia di preparazione alle crisi, sanità elettronica, valutazione delle tecnologie sanitarie, ricerca & sviluppo e industria farmaceutica, a livello nazionale, europeo e internazionale. Uno sforzo concertato è indispensabile per far fronte ai problemi che attualmente ostacolano l’efficacia dei programmi di vaccinazione in tutta l’UE.

2.3.

La vaccinazione, che costituisce il principale strumento di prevenzione primaria, è riuscita a debellare la poliomielite in Europa e a sconfiggere altre malattie come il vaiolo, impedendo l’attecchire della malattia nel singolo individuo e interrompendo nel contempo la propagazione del virus. Al di fuori dell’Europa, la globalizzazione ha portato a un aumento dei flussi transfrontalieri di virus, agenti patogeni e malattie, oltre che di persone. I recenti flussi migratori hanno accelerato questa tendenza. La vaccinazione contribuisce in misura significativa alla salute mondiale dal momento che il diffondersi delle malattie non si arresta ai confini nazionali o regionali.

2.4.

Nell’UE i programmi di vaccinazione rientrano nella sfera di competenza degli Stati membri. Di conseguenza, all’interno dell’UE coesistono strategie diverse di vaccinazione: alcuni Stati membri hanno per esempio attuato programmi avanzati rivolti a malattie specifiche per tutto il ciclo di vita della popolazione e/o mirati a condizioni geografiche specifiche. Considerando che la diffusione delle malattie non conosce confini, il CESE sostiene la proposta della Commissione di sviluppare orientamenti relativi a un calendario vaccinale comune a livello dell’UE per agevolare la compatibilità dei calendari nazionali.

2.5.

La mancanza di armonizzazione dei calendari vaccinali all’interno dell’UE costituisce altresì un ostacolo alla libertà di circolazione e di soggiorno, che è uno dei diritti fondamentali dei cittadini dell’UE e dei loro familiari. Infatti, come segnalato nella raccomandazione della Commissione, può essere difficile per i cittadini, soprattutto i bambini, riprendere un ciclo di vaccinazioni quando si trasferiscono da un paese all’altro. Tale armonizzazione non dovrebbe tuttavia comportare una riduzione della gamma di vaccini disponibili.

2.6.

Nelle sue conclusioni del dicembre 2014 (2), il Consiglio ha riconosciuto che, sebbene le vaccinazioni siano uno strumento efficace per la salute pubblica, le malattie infettive riemergenti quali la tubercolosi, il morbillo, la pertosse e la rosolia, che possono provocare un elevato numero di infezioni e decessi, rappresentano ancora una minaccia per la salute pubblica. Questi sviluppi recenti rendono ancora più urgente la cooperazione tra gli Stati membri al fine di contrastare le malattie a prevenzione vaccinale.

2.7.

Alla luce di quanto precede, la raccomandazione del Consiglio sul rafforzamento della cooperazione tra gli Stati membri, l’industria e le parti interessate a livello dell’UE costituisce un passo nella giusta direzione. Il CESE appoggia pienamente un’azione più decisa in materia di vaccinazioni.

3.   Osservazioni particolari

3.1.

Il CESE condivide la posizione della Commissione secondo cui strumenti digitali come una tessera delle vaccinazioni comune per i cittadini dell’UE, accessibile tramite i sistemi informativi sulla vaccinazione, e un portale web di sensibilizzazione ai benefici e alla sicurezza delle vaccinazioni potrebbero contribuire a conseguire gli obiettivi delineati nella raccomandazione. A tale proposito la Commissione dovrebbe collaborare con gli Stati membri ad incrementare l’alfabetizzazione digitale dei cittadini europei in campo sanitario, al fine di massimizzare i benefici di questi strumenti digitali.

3.2.

Di fronte allo spostamento dell’onere delle malattie tradizionalmente pediatriche verso fasi successive della vita, e data la disponibilità di nuovi vaccini che possono prevenire malattie sia negli adulti che nei gruppi di età più avanzata, gli Stati membri sono incoraggiati a prendere in considerazione programmi di vaccinazione che coprono l’intero ciclo di vita, tenendo conto delle strategie di vaccinazione più efficaci sotto il profilo dei costi per la prevenzione di malattie in funzione delle esigenze dei diversi gruppi di età (ad esempio gli adolescenti, le donne incinte, i malati cronici, i gruppi minoritari e quelli in età più avanzata).

3.3.

Come sottolineato dal presidente Juncker nel suo discorso sullo stato dell’Unione nel 2017, in Europa vi sono ancora bambini che muoiono di malattie come il morbillo, che sono prevenibili con un vaccino. Il rischio derivante dalla presenza in classe di bambini non vaccinati costituisce una minaccia significativa per i compagni di scuola. Per garantire un elevato livello di copertura vaccinale, può essere necessario subordinare l’accettazione di uno studente in un istituto d’istruzione alla certificazione delle vaccinazioni ricevute. In tale contesto, le scuole e gli educatori dovrebbero essere informati meglio riguardo al ruolo dei vaccini per essere in grado di comunicare con genitori e bambini in materia di vaccinazione. Questo aspetto educativo è un fattore fondamentale poiché le scuole svolgono un ruolo centrale nel processo decisionale dei genitori.

3.4.

I tumori a prevenzione vaccinale minacciano di gravare sugli adolescenti di oggi, tramutandosi, con il raggiungimento dell’età adulta, in tumori maligni. Di fronte all’incidenza crescente dei tumori, gli Stati membri dell’UE hanno fatto della lotta contro il cancro una priorità assoluta della loro agenda politica. L’esperienza dimostra che le campagne di vaccinazione condotte in modo corretto possono debellare quasi completamente malattie come le infezioni da HPV. La somministrazione del vaccino contro l’HPV agli adolescenti dovrebbe essere considerata un aspetto importante dei programmi di lotta contro il cancro, in quanto l’HPV costituisce una categoria unica di tumori a prevenzione vaccinale.

3.5.

La vaccinazione in età adulta è spesso l’unica soluzione preventiva esistente per far fronte a una malattia specifica, come l’influenza o l’herpes zoster, debellandola completamente o riducendone la gravità. Nell’UE una persona su quattro è destinata a soffrire di herpes zoster nel corso della propria vita, e fino a quasi 40 000 morti premature l’anno sono dovute a cause associate all’influenza. Queste cifre possono essere ridimensionate solo grazie alla vaccinazione.

3.6.

Di fronte all’esitazione riscontrata anche tra gli operatori sanitari, nonché ai casi e ai focolai di malattie prevenibili da vaccino trasmesse dal personale sanitario, l’attuazione e il rispetto dei programmi di vaccinazione per gli operatori sanitari dovrebbero essere attentamente monitorati e accompagnati da un’adeguata formazione, nell’interesse della sicurezza dei pazienti, ma anche per il bene degli stessi operatori sanitari, in linea con la direttiva 2000/54/CE.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Autorità europea per la sicurezza alimentare «How do animal diseases affect humans?» [Effetti delle malattie animali sull’essere umano].

(2)  Conclusioni del Consiglio sulle vaccinazioni quale strumento efficace per la sanità pubblica, 1o dicembre 2014.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/154


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 767/2008, il regolamento (CE) n. 810/2009, il regolamento (UE) 2017/2226, il regolamento (UE) 2016/399, il regolamento (UE) 2018/XX [regolamento sull’interoperabilità] e la decisione 2004/512/CE, e che abroga la decisione 2008/633/GAI del Consiglio»

[COM(2018) 302 final]

(2018/C 440/26)

Relatore generale:

Ionuţ SIBIAN

Consultazione

Parlamento europeo, 2.7.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Decisione dell’Ufficio di presidenza

10.7.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

97/3/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene una politica dei visti che è, e dovrebbe rimanere, uno strumento per agevolare il turismo e gli affari, prevenendo al tempo stesso i rischi per la sicurezza e il rischio di migrazione irregolare nell’UE.

1.2.

Il CESE sostiene l’ulteriore sviluppo del sistema di informazione visti (VIS) quale migliore soluzione tecnologica che agevola la procedura relativa ai visti per soggiorni di breve durata e aiuta le autorità competenti per i visti, le frontiere, l’asilo e la migrazione a verificare in modo rapido ed efficace le informazioni necessarie sui cittadini di paesi terzi che necessitano del visto per recarsi nell’UE.

1.3.

Il Comitato ritiene che un obiettivo d’azione fondamentale in questo campo dovrebbe essere l’armonizzazione delle procedure, delle pratiche e dei risultati degli Stati membri dell’Unione relativamente alla politica dei visti.

1.4.

Quanto alla messa a punto di indicatori di rischio specifici per il trattamento dei visti, il CESE è del parere che ciò potrebbe limitare i diritti dei richiedenti. Esorta dunque le istituzioni dell’UE e le autorità degli Stati membri a informare e formare adeguatamente il personale, sia quello che opera in prima linea che quello in posizione dirigenziale, onde evitare l’eventuale profilazione sulla base della razza, del genere, dell’origine etnica, della religione, dell’orientamento sessuale e di ogni altra caratteristica personale.

1.5.

Il Comitato sostiene l’obiettivo di agevolare l’identificazione delle persone scomparse; tuttavia, l’abbassamento dell’età per il rilevamento delle impronte digitali dei minori richiedenti da 12 a 6 anni può rivelarsi problematico. La proposta, peraltro, non includeva i contributi e i pareri delle agenzie e organizzazioni competenti per la protezione dei minori, il che impedisce al CESE di valutare pienamente l’impatto della stessa sui minori e sulla loro tutela.

1.6.

Riguardo allo stesso obiettivo, mentre la conservazione di una copia della pagina anagrafica del documento di viaggio del richiedente nel VIS è accettabile e necessaria, l’intenzione di utilizzare questo nuovo strumento relativo ai dati, come indicato nella proposta, a sostegno delle procedure di rimpatrio è opinabile. Il CESE ritiene che le modifiche proposte non si tradurrebbero necessariamente nel rimpatrio dei cittadini di paesi terzi. Detto strumento dovrebbe invece incoraggiare gli Stati membri ad agire tenendo debitamente conto sia della regolarità del soggiorno che dell’interesse e del benessere delle persone coinvolte. I cittadini dei paesi terzi dovrebbero essere incoraggiati e assistiti dalle autorità affinché regolarizzino il loro soggiorno e prendano in considerazione un ritorno al loro paese d’origine.

1.7.

Quanto all’obiettivo secondario della proposta, ossia concedere l’accesso, a condizioni rigorose, delle autorità nazionali di contrasto e di Europol ai dati del VIS, a fini di contrasto, il Comitato richiama l’attenzione sull’importanza di garantire condizioni di accesso rigorose. Tale accesso, idealmente, dovrebbe essere subordinato alla decisione di un organo giurisdizionale, assicurando così che esso costituisca una limitazione necessaria del principio di tutela dei dati personali.

1.8.

Il CESE elogia la portata delle consultazioni organizzate in relazione alla proposta. Al contempo, tuttavia, ritiene che il Comitato stesso, altre istituzioni e il pubblico in generale avrebbero tratto grandi vantaggi dall’inclusione, nella proposta, di maggiori contributi e punti di vista delle parti consultate. Non è chiaro che tipo di contributo sia stato fornito e in che misura abbia influenzato la versione definitiva della proposta.

1.9.

Quanto alla protezione dei diritti fondamentali, il Comitato si compiace dell’accento posto dalla Commissione su questo punto, e raccomanda di prestare maggiore attenzione a come gli Stati membri utilizzano i dati personali dei richiedenti il visto. Come già sottolineato, sono necessarie ulteriori salvaguardie dalle pratiche che potrebbero comportare la discriminazione dei cittadini dei paesi terzi che presentano domanda di soggiorno di breve o lunga durata e di residenza.

1.10.

Sarebbero stati inoltre utili, per la proposta, dati più dettagliati e specifici sui visti per soggiorni di breve e lunga durata e sui permessi di soggiorno, paese per paese, sia degli Stati membri dell’Unione che dei paesi terzi. Inoltre, ulteriori informazioni sui soggiorni fuori termine sarebbero state estremamente utili ai fini del contrasto della tratta di minori. I dati sono indispensabili per valutare la natura e la struttura della mobilità e l’adeguatezza degli strumenti utilizzati.

1.11.

Il CESE raccomanda altresì un impegno più fermo a collaborare con i governi e la società civile dei paesi terzi così da informare, preparare e assistere i cittadini di questi paesi nell’intera procedura relativa alla domanda di visto.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il CESE sostiene una politica dei visti che è, e dovrebbe rimanere, uno strumento per agevolare il turismo e gli affari, prevenendo al tempo stesso i rischi per la sicurezza e il rischio di migrazione irregolare nell’UE.

2.2.

Pur riconoscendo le sfide poste negli ultimi anni dalla migrazione e dai rischi per la sicurezza, il CESE incoraggia gli Stati membri e le istituzioni dell’UE ad adottare un approccio consensuale, equilibrato e proporzionato affinché l’Unione europea resti quanto più possibile aperta, responsabile, stimolante e innovativa.

2.3.

Il CESE sostiene l’ulteriore sviluppo del sistema di informazione visti (VIS) quale migliore soluzione tecnologica che agevola la procedura relativa ai visti per soggiorni di breve durata e aiuta le autorità competenti per i visti, le frontiere, l’asilo e la migrazione a verificare in modo rapido ed efficace le informazioni necessarie sui cittadini di paesi terzi che necessitano del visto per recarsi nell’UE.

2.4.

Il Comitato sostiene gli obiettivi generali della presente iniziativa: migliorare la sicurezza all’interno dell’UE e ai suoi confini, agevolare il diritto dei viaggiatori in regola di attraversare le frontiere esterne, circolare liberamente e stabilirsi nello spazio senza controlli alle frontiere interne e facilitare la gestione delle frontiere esterne dello spazio Schengen.

2.5.

Il CESE sostiene anche gli obiettivi specifici dell’iniziativa: agevolare la procedura relativa alla domanda di visto, agevolare e rafforzare le verifiche ai valichi di frontiera esterni e all’interno del territorio degli Stati membri e migliorare la sicurezza interna dello spazio Schengen agevolando lo scambio di informazioni fra gli Stati membri sui cittadini di paesi terzi titolari di visti per soggiorni di lunga durata e permessi di soggiorno.

2.6.

Il Comitato, inoltre, sostiene la volontà di colmare il vuoto informativo sulle frontiere e sulla sicurezza, includendo nel VIS i visti per soggiorni di lunga durata e i documenti di soggiorno.

2.7.

Quanto al miglioramento dei controlli nel trattamento dei visti sfruttando l’interoperabilità, la verifica e la valutazione delle informazioni presentate dai richiedenti e le interrogazioni automatiche del VIS per ciascuna domanda rispetto a tutti i singoli sistemi disponibili, il CESE ritiene che tale misura rappresenti uno sviluppo procedurale e tecnologico estremamente positivo.

2.8.

Per quanto riguarda la messa a punto di indicatori di rischio specifici per il trattamento dei visti, il CESE è del parere che ciò potrebbe limitare i diritti dei richiedenti. Pur non contenendo dati personali, questi indicatori di rischio si baserebbero sulle statistiche e sulle informazioni trasmesse dagli Stati membri in relazione alle minacce, a tassi anormali di rifiuto o di soggiorno fuori termine per precise categorie di cittadini di paesi terzi, e ai rischi per la salute pubblica. Vi è un rischio significativo che questi dati e indicatori siano utilizzati dalle autorità preposte al trattamento dei visti per respingere le domande di visto sulla base dei profili inseriti nel sistema e non delle caratteristiche individuali del richiedente. Il Comitato esorta dunque le istituzioni dell’UE e le autorità degli Stati membri a informare e formare adeguatamente il personale, sia quello che opera in prima linea che quello in posizione dirigenziale, onde evitare l’eventuale profilazione sulla base della razza, del genere, dell’origine etnica, della religione, dell’orientamento sessuale e di ogni altra caratteristica personale.

2.9.

Il CESE sostiene l’obiettivo di agevolare l’identificazione delle persone scomparse; tuttavia, l’abbassamento dell’età per il rilevamento delle impronte digitali dei minori richiedenti da 12 a 6 anni può rivelarsi problematico. La proposta, peraltro, non includeva i contributi e i pareri delle agenzie e organizzazioni competenti per la protezione dei minori, il che impedisce al CESE di valutare pienamente l’impatto della stessa sui minori e sulla loro tutela.

2.10.

Riguardo allo stesso obiettivo, mentre la conservazione di una copia della pagina anagrafica del documento di viaggio del richiedente nel VIS è accettabile e necessaria, l’intenzione di utilizzare questo nuovo strumento relativo ai dati, come indicato nella proposta, a sostegno delle procedure di rimpatrio è opinabile. Il CESE ritiene che le modifiche proposte non si tradurrebbero necessariamente nel rimpatrio dei cittadini di paesi terzi. Detto strumento dovrebbe invece incoraggiare gli Stati membri ad agire tenendo debitamente conto sia della regolarità del soggiorno che dell’interesse e del benessere delle persone coinvolte. I cittadini dei paesi terzi dovrebbero essere incoraggiati e assistiti dalle autorità affinché regolarizzino il loro soggiorno e prendano in considerazione un ritorno al loro paese d’origine.

2.11.

Quanto all’obiettivo secondario della proposta, ossia concedere l’accesso, a condizioni rigorose, delle autorità nazionali di contrasto e di Europol ai dati del VIS, a fini di contrasto, il Comitato richiama l’attenzione sull’importanza di garantire condizioni di accesso rigorose. Tale accesso, idealmente, dovrebbe essere subordinato alla decisione di un organo giurisdizionale, assicurando così che esso costituisca una limitazione necessaria del principio di tutela dei dati personali.

2.12.

Il CESE si compiace degli sforzi profusi dalla Commissione nel commissionare tre studi indipendenti: uno sulla fattibilità, sulla necessità e sulla proporzionalità di abbassare l’età per il rilevamento delle impronte digitali dei minori nella procedura di rilascio dei visti e di conservare nel VIS copia del documento di viaggio dei richiedenti il visto, e due sulla fattibilità, sulla necessità e sulla proporzionalità di estendere il VIS al fine di includervi i dati sui visti per soggiorni di lunga durata e sui documenti di soggiorno.

2.13.

Il Comitato elogia altresì la portata delle consultazioni mirate di tutte le parti interessate, tra cui le autorità nazionali che inseriscono, modificano, cancellano oppure consultano i dati del VIS, le autorità nazionali competenti per la migrazione, il rimpatrio, la protezione dei minori, le autorità di polizia e di contrasto alla tratta di esseri umani, le autorità competenti per gli affari consolari e le autorità nazionali incaricate delle verifiche ai valichi di frontiera esterni. Sono state consultate anche varie autorità di paesi terzi e organizzazioni non governative attive nel settore dei diritti dei minori. Al contempo, tuttavia, ritiene che il Comitato stesso, altre istituzioni e il pubblico in generale avrebbero tratto grandi vantaggi dall’inclusione, nella proposta, di maggiori contributi e punti di vista delle parti consultate. Non è chiaro che tipo di contributo sia stato fornito e in che misura abbia influenzato la versione definitiva della proposta.

2.14.

Relativamente alla protezione dei diritti fondamentali, il Comitato si compiace dell’attenzione che la Commissione ha riservato a questo punto. Il CESE accoglie inoltre con favore le ulteriori salvaguardie introdotte dalla proposta per tutelare le esigenze specifiche delle nuove categorie di dati, trattamento di dati e soggetti interessati coperte dal VIS: esse rientrano infatti in un’azione più ampia tesa a tutelare i diritti individuali di accesso, rettifica, cancellazione e ricorso in relazione ai dati personali, e raccomanda di prestare maggiore attenzione a come gli Stati membri utilizzano i dati personali dei richiedenti il visto. Come già sottolineato, sono necessarie ulteriori salvaguardie dalle pratiche che potrebbero comportare la discriminazione dei cittadini dei paesi terzi che presentano domanda di soggiorno di breve o lunga durata e di residenza.

2.15.

Sarebbero stati inoltre utili, per la proposta, dati più dettagliati e specifici sui visti per soggiorni di breve e lunga durata e sui permessi di soggiorno, paese per paese, sia degli Stati membri dell’Unione che dei paesi terzi. Inoltre, ulteriori informazioni sui soggiorni fuori termine sarebbero state estremamente utili ai fini del contrasto della tratta di minori. I dati sono indispensabili per valutare la natura e la struttura della mobilità e l’adeguatezza degli strumenti utilizzati.

2.16.

Il CESE raccomanda altresì un impegno più fermo a collaborare con i governi e la società civile dei paesi terzi così da informare, preparare e assistere i cittadini di questi paesi nell’intera procedura relativa alla domanda di visto.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/158


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla trasparenza e alla sostenibilità dell’analisi del rischio dell’Unione nella filiera alimentare, che modifica il regolamento (CE) n. 178/2002 (sulla legislazione alimentare generale), la direttiva 2001/18/CE (sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati), il regolamento (CE) n. 1829/2003 (sugli alimenti e mangimi geneticamente modificati), il regolamento (CE) n. 1831/2003 (sugli additivi per mangimi), il regolamento (CE) n. 2065/2003 (sugli aromatizzanti di affumicatura), il regolamento (CE) n. 1935/2004 (sui materiali a contatto con gli alimenti), il regolamento (CE) n. 1331/2008 (sulla procedura uniforme di autorizzazione per gli additivi, gli enzimi e gli aromi alimentari), il regolamento (CE) n. 1107/2009 (sui prodotti fitosanitari) e il regolamento (UE) 2015/2283 (sui nuovi alimenti)»

[COM(2018) 179 final — 2018/0088 (COD)]

(2018/C 440/27)

Relatore:

Antonello PEZZINI

Correlatrice:

Ester VITALE

Consultazione

Consiglio, 22.5.2018

Parlamento europeo, 28.5.2018

Base giuridica

Articoli 43, 114, 168(4)(b) e 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza

13.2.2018

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

5.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

176/2/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è da sempre fautore di una politica dell’UE di salvaguardia della salute lungo tutta la catena alimentare, in ogni fase del processo produttivo: dall’agricoltore al consumatore, evitando contaminazioni e rischi alimentari, così da promuovere sicurezza e igiene e un’informazione chiara, trasparente e sicura sui prodotti.

1.2.

Il CESE appoggia le iniziative della Commissione, volte ad affrontare le sfide della trasparenza, della sostenibilità e dell’efficacia di tutto il sistema di controllo della filiera alimentare, per favorire una miglior percezione di affidabilità e di sicurezza da parte dei cittadini, dei media e di tutta la società civile.

1.3.

Il CESE sostiene con forza l’esigenza del rafforzamento dell’EFSA, al fine di assicurare la migliore consulenza scientifica possibile ai responsabili della gestione del rischio, attraverso una comunicazione chiara e trasparente, e una più intensa cooperazione con gli Stati membri e con altri organismi che operano nel sociale, per garantire un sistema di sicurezza alimentare coerente, sicura e affidabile.

1.4.

Il CESE ha avuto modo di evidenziare che, nel corso della sua esistenza, «l’EFSA ha dimostrato la propria competenza e ricopre un ruolo molto importante nel campo della prevenzione dei rischi sanitari in Europa» (1).

1.5.

Il Comitato ritiene indispensabile garantire il mantenimento di un elevato livello di indipendenza da condizionamenti esterni e la migliore competenza scientifica nell’EFSA, massimizzando le capacità di analisi del rischio, per garantire la sostenibilità del sistema di valutazione dell’UE, che è considerato tra i più elevati, a livello mondiale.

1.6.

Secondo il CESE, l’EFSA e gli Stati membri, in rete, devono essere messi in grado di sviluppare, nel miglior modo possibile, un’adeguata comunicazione del rischio — in modo indipendente ma coerente tra loro e coordinato tra valutatori e gestori del rischio — affinché gli utenti possano cogliere i risultati e le conclusioni in una prospettiva chiara e interattiva, assicurando, al contempo, adeguati livelli di riservatezza e di salvaguardia dei diritti di proprietà intellettuale.

1.7.

Il CESE è decisamente favorevole alla creazione di un registro degli studi, facilmente accessibile online, comprensivo dell’identificazione di esperti e di laboratori certificati, delle dichiarazioni giurate di assenza di conflitto d’interessi, della descrizione degli scopi, delle risorse tecniche e finanziarie dedicate e delle fonti.

1.8.

Secondo il Comitato occorre migliorare sensibilmente la percezione che i consumatori hanno del rischio cui sono soggetti nel rapporto con gli alimenti, attraverso una mirata cultura alimentare e nutrizionale e una capacità d’analisi selettiva, in relazione al rischio.

1.9.

Secondo il CESE, il futuro piano strategico generale europeo di comunicazione del rischio rappresenta — se formulato in piena sintonia e nel rispetto dell’indipendenza dell’EFSA — l’elemento chiave su cui impegnare le capacità dei soggetti responsabili di dare risposte: efficaci, univoche, tempestive, interattive e adeguate alle esigenze dei cittadini, in termini di sicurezza, trasparenza e affidabilità della catena alimentare.

1.10.

Il CESE suggerisce di rafforzare un dialogo strutturato e sistematico con la società civile, nel cui ambito il CESE, con le sue strutture dedicate ai Sistemi Alimentari Sostenibili potrebbe assicurare un utile e concreto contributo.

1.11.

Quanto alla governance dell’EFSA, il CESE appoggia con convinzione la proposta di un maggiore coinvolgimento degli Stati membri e della società civile nella struttura di gestione e nei gruppi di esperti scientifici, allineando la composizione del Consiglio di gestione agli standard stabiliti dal Common Approach on Decentralized Agencies.

1.12.

Secondo il CESE, occorre dar seguito all’accordo tra l’EFSA ed il Centro Comune di Ricerca, specie per quanto riguarda attività congiunte su alimenti e mangimi e per sviluppare una metodologia scientifica di analisi armonizzata di qualità, che garantisca trasparenza, comparabilità, inclusività ed equità nei confronti di tutte le parti interessate.

2.   Introduzione

2.1.

La legislazione alimentare generale (la normativa dell’UE sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi lungo la catena di produzione) è la pietra angolare del quadro normativo dell’UE relativo all’intera catena alimentare: «dal produttore al consumatore».

2.2.

La legge prevede che le norme sui mangimi e gli alimenti abbiano un fondamento scientifico. Ciò è noto come il principio dell’analisi del rischio, che consta di tre componenti distinte ma interconnesse: valutazione gestione e comunicazione del rischio.

2.3.

Il regolamento (CE) n. 178/2002 ha istituito l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), un’agenzia scientifica indipendente, incaricata di fornire i pareri scientifici, che costituiscono la base delle misure adottate dall’UE nella catena alimentare.

2.4.

Il 6 ottobre 2017 è stata ufficialmente inoltrata alla CE una European Citizens’ Initiative basata su un totale di 1 070 865 dichiarazioni di sostegno provenienti da 22 Stati membri. L’iniziativa «Ban Glyphosate and Protect People and the Environment from Toxic Pesticides» (2) ha invitato la CE a proporre agli Stati membri dell’UE varie misure. Tra le quali: «garantire che la valutazione scientifica dei pesticidi per l’approvazione regolamentare dell’UE si basi unicamente su studi pubblicati, che siano commissionati dalle autorità pubbliche competenti anziché dall’industria dei pesticidi». La CE si è impegnata a presentare la presente proposta legislativa entro maggio 2018, per migliorare la trasparenza delle valutazioni scientifiche e qualità e indipendenza degli studi scientifici.

2.5.

La verifica dell’adeguatezza del regolamento sulla legislazione alimentare generale, (GFL) n. 178/2002 (3), è stata completata il 15 gennaio 2018.

2.6.

La valutazione indica che il regolamento GFL rimane ancora determinante e adeguato per affrontare la maggior parte delle tendenze attuali.

2.6.1.

Nel complesso, sono stati raggiunti gli obiettivi principali della GFL, vale a dire un elevato livello di protezione della salute umana, gli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti e l’efficace funzionamento del mercato interno.

2.6.2.

La creazione dell’EFSA ha migliorato la base scientifica delle misure dell’UE. Sono stati apportati importanti miglioramenti all’aumento della capacità scientifica di competenza dell’EFSA, alla qualità dei suoi risultati scientifici, alla raccolta di dati scientifici e allo sviluppo e all’armonizzazione delle metodologie di valutazione del rischio.

2.6.3.

L’EFSA ha rafforzato la cooperazione con organismi scientifici nazionali e internazionali, nonché lo scambio di informazioni tra Stati membri.

2.6.4.

Nessuna incongruenza sistemica nell’applicazione del principio di analisi del rischio in quanto tale è stata individuata a livello dell’UE.

2.6.5.

Le rigorose politiche dell’EFSA, in materia di indipendenza e trasparenza, sono state regolarmente raffinate e rafforzate. Tuttavia, poiché non tutti gli Stati membri sono rappresentati nel consiglio di amministrazione dell’EFSA, la governance dell’EFSA non sembra essere in linea con l’approccio comune sulle agenzie decentrate dell’UE.

2.6.6.

Il quadro sulla sicurezza alimentare istituito dal regolamento GFL è anche servito, in alcuni casi, come fonte di ispirazione per i paesi non UE che sviluppano la loro legislazione nazionale.

2.6.7.

Per quanto riguarda la valutazione dei rischi, nel contesto dei fascicoli di autorizzazione, l’EFSA è vincolata da regole di riservatezza e a procedure di analisi che suggeriscono di prendere in considerazione ogni studio o evidenza disponibile. Di conseguenza, nei suoi pareri l’EFSA non prende in considerazione solo gli studi dell’industria, ma fonda i propri risultati scientifici su un esame il più possibile completo della letteratura. L’industria, d’altra parte, ha l’obbligo di consegnare i propri studi, come parte del dossier, quando richiede un’autorizzazione.

2.6.8.

Secondo valutazioni recenti (4), sarebbero stati riscontrati alcuni limiti nell’attuale sistema dell’EFSA:

difficoltà incontrate nell’attirare nuovi membri a far parte del panel;

le competenze scientifiche provengono solo da pochi Stati membri;

la tendenza attuale della diminuzione del bilancio dell’amministrazione pubblica;

i bassi finanziamenti dedicati all’esternalizzazione dei compiti dell’EFSA.

2.6.9.

Inoltre, le lunghe procedure di autorizzazione, in alcuni settori, rallentano il processo di ingresso di nuovi prodotti nel mercato. Ciò nonostante, il sistema centralizzato di autorizzazioni produce ancora vantaggi, in termini di efficienza, rispetto all’utilizzo di più sistemi nazionali di autorizzazione per il cibo.

2.7.

Il CESE ha avuto modo di evidenziare «che, nel corso della sua esistenza, l’EFSA ha dimostrato la propria competenza e che ricopre incontestabilmente un ruolo molto importante nel campo della prevenzione dei rischi sanitari in Europa» (5).

2.8.

In un suo precedente parere il CESE, tenuto conto delle influenze dei pareri scientifici, non sempre concordi e univoci, ha raccomandato all’EFSA di «rivolgere un’attenzione particolare a questo fenomeno, dal momento che la letteratura scientifica è un riferimento importante della procedura di valutazione» (6) ed ha chiesto alla CE di pubblicare sistematicamente sul sito web dell’agenzia gli studi obbligatori utilizzati e i relativi dati grezzi, che hanno portato alle conclusioni accettate.

2.9.

Il CESE ha anche evidenziato (7) che la valutazione EFSA si basa su uno studio scientifico che dovrebbe dimostrare l’innocuità di un determinato prodotto. Secondo la legislazione attuale, tale studio di riferimento deve essere presentato dalla società che intende immettere il prodotto sul mercato. Ed è questo l’aspetto più delicato, dal momento che i risultati degli studi scientifici possono essere talvolta differenti, a seconda della fonte da cui provengono i finanziamenti e delle metodologie utilizzate.

2.10.

Su un piano più generale, il CESE ha di recente chiesto una politica alimentare adatta al XXI secolo che soddisfi tutta una serie di criteri: «qualità degli alimenti; salute; ambiente; valori sociali e culturali; principi economici solidi; posti di lavoro dignitosi; costi pienamente internalizzati; buona governance» (8).

2.11.

Il Mediatore europeo ha svolto indagini e attività relative al modello di valutazione del rischio dell’UE nella catena alimentare, evidenziando, in una lettera alla CE del 15 marzo 2018, alcuni principi guida per migliorare il modello di valutazione del rischio dell’UE nella catena alimentare, e cioè:

indipendenza e trasparenza;

impegno a pubblicare gli «studi orientativi», quando svolge le sue valutazioni scientifiche;

un maggiore controllo pubblico delle proprie funzioni di valutazione del rischio, in una fase precoce del processo;

capacità di coinvolgere il pubblico e le parti interessate nel processo di valutazione del rischio (9);

consentire alle parti interessate di prendere parte alle riunioni, non solo come attualmente avviene, attraverso le «Plenarie aperte», nel rispetto, evidentemente, della confidenzialità.

2.12.

Il Mediatore europeo ha inoltre sottolineato che «gli strumenti di informazione pubblica che l’EFSA utilizza per sensibilizzare sui rischi associati a determinate sostanze o prodotti dovrebbero essere disponibili in tutte le 24 lingue ufficiali dell’UE… e che i diritti delle persone con disabilità siano rispettati e che la comunicazione del rischio tenga conto delle loro esigenze» (10).

3.   Le proposte CE

3.1.

La CE propone una revisione del regolamento sulla legislazione alimentare generale e la revisione di otto norme legislative settoriali, per renderle compatibili con le norme generali, per rafforzare la trasparenza, per aumentare le garanzie di affidabilità, obiettività e indipendenza degli studi.

3.2.

Per assicurare migliore governance, si propone un maggiore coinvolgimento degli Stati membri nella struttura di gestione e nei gruppi di esperti scientifici dell’EFSA; un maggiore contributo degli organismi scientifici nazionali nella fornitura dei dati e studi scientifici.

3.3.

Infine, attraverso il varo di un piano generale di comunicazione, si mira ad una migliore e maggiore comunicazione del rischio ai cittadini, con azioni comuni per aumentare la fiducia dei consumatori e per favorire maggiore consapevolezza e comprensione da parte del pubblico.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE è da sempre fautore di una politica UE di salvaguardia della salute lungo tutta la catena alimentare, in ogni fase del processo di produzione, evitando contaminazioni e rischi alimentari, così da promuovere sicurezza e igiene alimentare, un’informazione trasparente e veritiera sui prodotti, la salute delle piante e la salute e il benessere degli animali.

4.1.1.

Il CESE sostiene con forza l’esigenza che l’UE garantisca la massima sicurezza della catena alimentare europea fornendo attraverso l’EFSA la migliore consulenza scientifica possibile ai responsabili della gestione del rischio, comunicando i rischi al pubblico in modo chiaro e trasparente e cooperando con gli Stati membri e altri soggetti per garantire un sistema di sicurezza alimentare coerente e affidabile. Sarebbe utile:

riesaminare le modalità delle procedure di autorizzazione, per migliorane coerenza ed efficienza e per accelerare l’accesso al mercato;

riesaminare esenzioni e norme semplificate per le microimprese, in linea con un elevato livello di protezione della salute pubblica;

rivalutare l’impatto delle autorizzazioni esistenti, che gravano sul carico di lavoro dell’EFSA;

semplificare i processi per assicurare più trasparenza.

4.2.

Il CESE ritiene indispensabile garantire il mantenimento di un elevato livello di indipendenza da condizionamenti esterni e di massima competenza scientifica nell’EFSA, massimizzando la sua capacità di valutazione del rischio, per garantire la sostenibilità del sistema di valutazione dell’UE.

4.3.

Il CESE ricorda che, grazie alla normativa dell’UE, i cittadini europei godono di uno dei più elevati standard di sicurezza alimentare a livello mondiale. Per questo, secondo il CESE è assolutamente indispensabile non solo garantire alti e affidabili livelli di analisi scientifiche indipendenti, una piena trasparenza e una comunicazione interattiva nel corso dell’intero processo di valutazione del rischio con il pieno coinvolgimento e la condivisione di responsabilità di tutti i paesi membri, ma anche e soprattutto agire in maniera forte e determinata sui meccanismi di percezione del rischio da parte della società civile.

4.4.

Secondo il CESE, è fondamentale offrire cibo sicuro ai consumatori e mantenere la fiducia: per assicurare il mantenimento di un rapporto positivo e affidabile con i cittadini e ripercussioni positive sul mercato agroalimentare.

4.5.

La comunità scientifica deve aver fiducia nel ruolo dell’EFSA in materia di sicurezza alimentare e i pareri devono rappresentare riferimenti chiave, per garantire che il cibo immesso sul mercato sia sicuro.

4.6.

Secondo il CESE, l’EFSA è nella posizione migliore per sviluppare un’adeguata comunicazione del rischio, con comunicazioni facili da comprendere, perché gli utenti siano in grado di cogliere i risultati e le conclusioni in una prospettiva chiara e trasparente assicurando al contempo adeguati livelli di riservatezza e di salvaguardia dei diritti di proprietà intellettuale per non ostacolare l’innovazione e la competitività.

4.7.

Condizione necessaria ma non sufficiente per garantire che la comunicazione sul rischio di specifici alimenti sia comprensibile, appropriata, tempestiva e coerente per i diversi destinatari, è il rafforzamento del coordinamento tra il valutatore del rischio, il gestore del rischio, gli Stati membri e le parti interessate sulla base di principi di comunicazione concordati.

4.7.1.

Secondo il CESE occorre migliorare sensibilmente la percezione che i consumatori hanno del rischio cui sono soggetti nel consumare un prodotto alimentare, in termini di nocività diffuse, orientamenti culturali d’ alimentazione, e di modelli di consumo alimentare.

4.7.2.

Il CESE ritiene che il futuro piano strategico generale europeo di comunicazione del rischio rappresenti — se accompagnato da un ventaglio di misure operative adeguate ai singoli contesti — l’elemento chiave su cui valutare la capacità di tutti i soggetti responsabili ai vari livelli, per dare risposte efficaci, tempestive e adeguate alle attese dei cittadini, in termini di sicurezza, trasparenza e affidabilità della catena alimentare.

4.7.3.

Le incertezze devono essere riconosciute e descritte, segnalando eventuali lacune nei dati o nelle questioni legate alle metodologie d’analisi non armonizzate. A tal proposito è fondamentale che i comunicatori trasmettano messaggi coerenti tra loro e che i canali di comunicazione siano interattivi e verificabili con un monitoraggio continuo della loro efficacia.

4.7.4.

Il CESE ritiene altresì indispensabile che le misure di comunicazione siano accompagnate da campagne di lotta alla disinformazione e alle false credenze, per evitare che le giuste analisi dei rischi siano proditoriamente utilizzate per bloccare le innovazioni, specie delle PMI.

4.7.5.

È importante intensificare il coordinamento con le autorità e le agenzie nazionali per un efficace sistema di allerta e per garantire coerenza di comunicazione e instaurare un dialogo strutturato e sistematico con la società civile, nel cui ambito il CESE, con le sue strutture dedicate ai Sistemi Alimentari Sostenibili, potrebbe assicurare un utile e concreto contributo.

4.7.6.

Occorre infine potenziare il coordinamento e la cooperazione a livello internazionale con i nostri maggiori partner commerciali, specie nell’ambito degli Accordi di Libero Scambio, per assicurare linee guida comuni di risk assessment e sviluppare criteri metodologici di valutazione armonizzati, coerentemente con la copertura dei rischi globali attraverso il Codex Alimentarius.

4.8.

Parimenti, è necessario che l’EFSA si incarichi di fornire indicazioni e informazioni chiare che possano guidare con certezza e prevedibilità le imprese che inoltrano le richieste.

4.9.

A tal proposito, per disporre di tutti gli elementi chiave su uno specifico dossier, l’EFSA dovrebbe aprirsi ulteriormente al dialogo con le imprese nell’analisi di uno specifico dossier fornendo dati di partenza a sua disposizione e completandoli con le indicazioni delle imprese coinvolte.

4.10.

Occorre, secondo il CESE, rafforzare l’indipendenza dei regolatori, che affiancano l’azione dell’EFSA, per ricordare ai decisori e al pubblico l’importanza di dati di buona qualità, indipendentemente dalla fonte. Un maggiore controllo pubblico delle funzioni di valutazione del rischio dell’EFSA, sin da una fase precoce del processo, come avviene attraverso lo Stakeholder Engagement Approach, garantisce, attualmente, un migliore rapporto con tutte le parti interessate.

4.11.

Il CESE chiede procedure sempre più snelle e trasparenti garantendo, nel contempo, un giusto equilibrio con le sfide da affrontare in termini di esigenze dei diritti di proprietà intellettuale dei proprietari dei dati.

4.12.

Il CESE sostiene la recente richiesta del foro consultivo EFSA di maggiori investimenti pubblici nella ricerca sulla sicurezza alimentare, per evitare che la ricerca sponsorizzata dall’industria possa favorire interessi diversi dall’interesse pubblico e per assicurare la piena fiducia dei consumatori nella valutazione del rischio alimentare UE.

4.13.

Quanto alla governance EFSA, il CESE sostiene la proposta tesa a un maggiore coinvolgimento degli Stati membri nella struttura di gestione e nei gruppi di esperti scientifici dell’EFSA allineando la composizione del Consiglio di gestione EFSA agli standard stabiliti dal Common Approach on Decentralized Agencies, parallelamente al rafforzamento di un dialogo strutturato con la società civile.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di un registro degli studi purché sia facilmente accessibile online e comprenda l’identificazione degli esperti e dei laboratori certificati interessati, le dichiarazioni giurate di assenza di conflitto d’interessi, la descrizione degli scopi e della complessità dello studio, le risorse tecniche e finanziarie dedicate e le loro fonti, la tempistica e le modalità di comunicazione interattiva adottate, nonché gli eventuali studi di verifica richiesti.

5.2.

La normativa di riferimento per gli standard di laboratorio è la 2004/10/CE, per gli standard di Good Laboratory Practice-GLP, elaborati dall’OCSE (11). La normativa e il funzionamento dei laboratori di sicurezza alimentare (12) dovrebbero essere accompagnati da sistemi di audit sul trattamento dati, per assicurarsi che gli studi siano aderenti alle realtà.

5.3.

Secondo il CESE, occorre dar seguito all’accordo tra l’EFSA ed il Centro Comune di Ricerca, specie per quanto riguarda attività congiunte su alimenti e mangimi, metodi alternativi per proteggere gli animali, l’esposizione combinata a sostanze e miscele chimiche e la raccolta dei dati di base per le valutazioni del rischio. Soprattutto l’EFSA ed il CCR dovrebbero sviluppare metodologie scientifiche di analisi armonizzate, che garantiscano, qualità, trasparenza, comparabilità, inclusività ed equità nei confronti di tutte le parti interessate.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 268 del 14.8.2015, pag. 1.

(2)  Cfr. http://ec.europa.eu/citizens-initiative/public/initiatives/successful/details/2017/000002

(3)  Cfr. Executive Summary of the Refit Evaluation of the General Food Law (Regulation (EC) No 178/2002){SWD(2018) 38 final}

(4)  V. SWD (2018) 37 final del 15.1.2018.

(5)  GU C 268 del 14.8.2015, pag. 1.

(6)  GU C 268 del 14.8.2015, pag. 1.

(7)  Ibidem.

(8)  GU C 129 del 11.4.2018, pag. 18.

(9)  Letter of the European Ombudsman https://www.ombudsman.europa.eu/cases/correspondence.faces/en/91373/html.bookmark

(10)  Ibidem.

(11)  OECD Principles of Good Laboratory Practice.

(12)  V. regolamento (CE) n. 882/2004.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/165


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera alimentare»

[COM(2018) 173 final]

(2018/C 440/28)

Relatore:

Peter SCHMIDT

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 30.4.2018

Parlamento europeo, 2.5.2018

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2 e articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza

22.5.2018

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

5.9.2018

Data dell’adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

172/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare sono il risultato di uno squilibrio di potere tra gli operatori lungo tutta la filiera, e comportano conseguenze negative sul piano economico, sociale e ambientale. Il CESE si rallegra della proposta della Commissione volta a ridurre il verificarsi di tali pratiche, in quanto essa rappresenta un primo passo necessario per proteggere gli operatori più deboli, in particolare gli agricoltori, i lavoratori e alcuni operatori, e migliorare la governance della filiera alimentare. Un approccio normativo e un quadro legislativo con meccanismi di attuazione solidi ed efficaci rappresentano la soluzione per affrontare in modo efficace le pratiche commerciali sleali al livello dell’UE.

1.2.

Il CESE si rammarica, tuttavia, che la Commissione abbia introdotto solo un livello minimo di protezione comune a tutta l’UE vietando solo un numero specifico di pratiche commerciali sleali, mentre sarebbe necessario vietarle tutte.

1.3.

Per quanto riguarda la limitazione della protezione contro le pratiche commerciali sleali solo ai fornitori che sono PMI e relativamente alle loro vendite ad acquirenti che non lo sono, il CESE ritiene che ciò non sia sufficiente per affrontare in modo efficace il problema degli squilibri di potere, e che non avrà alcun impatto significativo. La protezione dovrebbe essere estesa a tutti gli operatori, piccoli e grandi, all’interno come al di fuori dell’UE. Anche quando i grandi operatori sono vittime di pratiche commerciali sleali, gli effetti economici vengono frequentemente trasferiti ai soggetti più deboli della filiera.

1.4.

Per quanto riguarda l’attuazione, il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di creare un quadro armonizzato UE delle autorità competenti. Sarebbe tuttavia opportuno rafforzare anche i meccanismi di attuazione, per esempio mediante una procedura specifica relativa al Mediatore, le azioni collettive e l’applicazione della legge da parte delle autorità, per tutelare l’anonimato dell’autore della denuncia. Tali meccanismi dovrebbero essere accompagnati anche dalla possibilità di introdurre sanzioni. Al fine di agevolare la procedura di denuncia, i contratti scritti dovrebbero essere obbligatori, e garantirebbero una maggiore equità nel corso dei negoziati.

1.5.

Oltre al contrasto delle pratiche commerciali sleali, il CESE raccomanda alla Commissione di incoraggiare e sostenere modelli commerciali che contribuiscano a rendere sostenibile la filiera alimentare (ad esempio, accorciarla, aumentarne la trasparenza), riequilibrandola e migliorandone l’efficienza, in modo da rafforzare l’equilibrio di potere.

1.6.

Infine, il CESE ribadisce che la promozione di pratiche commerciali più leali dovrebbe fare parte di una politica alimentare globale dell’UE, tesa a garantire che la filiera alimentare sia più sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale, al fine di attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

2.   Introduzione

2.1.

Le pratiche commerciali sleali sono definite quali pratiche che si discostano nettamente dalle buone pratiche commerciali, sono in contrasto con i principi di buona fede e correttezza e sono imposte unilateralmente da un partner commerciale alla sua controparte (1). La filiera alimentare è particolarmente vulnerabile a tali pratiche, dati i forti squilibri tra piccoli e grandi operatori. Le pratiche commerciali sleali possono verificarsi in tutte le fasi della filiera, e quelle che hanno origine ad un livello della filiera possono produrre effetti in altre parti della stessa a seconda del potere di mercato degli attori coinvolti (2).

2.2.

Come illustrato dettagliatamente nel parere del CESE su una filiera agroalimentare più equa, adottato nell’ottobre 2016 (3), la concentrazione del potere di contrattazione ha portato ad abusi di posizione dominante che hanno reso gli operatori più deboli sempre più vulnerabili alle pratiche commerciali sleali. In tal modo si trasferisce il rischio economico dal mercato verso i segmenti più a monte della filiera, con un impatto particolarmente negativo sui consumatori e su taluni operatori, per esempio gli agricoltori, i lavoratori e le PMI. Il problema delle pratiche commerciali sleali è stato riconosciuto da tutte le parti interessate della filiera alimentare ed è stato riferito che la maggioranza degli operatori ha avuto esperienza di tali pratiche (4).

2.3.

In particolare, occorre mettere in risalto l’impatto sui consumatori. Le pressioni sui prezzi costringono l’industria della trasformazione a produrre al minor costo possibile, il che può incidere sulla qualità degli alimenti disponibili per i consumatori e sulla loro sicurezza. Per ridurre i costi, in alcuni casi le aziende utilizzano materie prime più economiche, che incidono sulla qualità e sul valore dei prodotti alimentari: un esempio di ciò è costituito dall’utilizzo di acidi grassi trans in sostituzione di oli e grassi più sani di origine europea in molti prodotti (5).

2.4.

Le pressioni sugli operatori più deboli della filiera alimentare sono in aumento. Secondo recenti dati di Eurostat, la quota del valore aggiunto lordo dei dettaglianti è ancora in crescita. Ciò deriva da una più alta concentrazione del settore della trasformazione della filiera alimentare, a causa di un’errata interpretazione della normativa antitrust. Il funzionamento della filiera alimentare deve pertanto essere migliorato al fine di garantire un’equa ripartizione delle entrate al suo interno. È importante tuttavia non sottovalutare il valore dei dettaglianti, dato il loro ruolo nel fornire generi alimentari su base quotidiana.

2.5.

La lotta alle pratiche commerciali sleali costituisce, unitamente alla riduzione della volatilità dei prezzi sui mercati e al rafforzamento del ruolo delle organizzazioni di produttori, un fattore chiave per assicurare un migliore funzionamento della filiera alimentare. Nel giugno 2016, una risoluzione del Parlamento europeo (6) ha invitato la Commissione a proporre un quadro giuridico in materia di pratiche commerciali sleali, un invito ribadito nell’ottobre 2016 dal CESE e nel novembre 2016 dalla task force per i mercati agricoli.

2.6.

In 20 Stati membri esistono già varie iniziative legislative per affrontare le suddette pratiche. Unitamente all’attuale Supply Chain Initiative (SCI — Iniziativa della catena di approvvigionamento), esse hanno accresciuto la consapevolezza dell’esistenza di uno squilibrio di potere nella filiera alimentare, ma solo alcuni degli approcci nazionali o volontari esistenti sono riusciti finora a risolvere la questione. La Commissione ha deciso di presentare una proposta legislativa specifica nell’aprile 2018, che riconosce che il mosaico di norme in materia di pratiche commerciali sleali negli Stati membri o la loro assenza potrebbe compromettere l’obiettivo del trattato di assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola (7).

3.   La proposta della Commissione

3.1.

Con la direttiva proposta, la Commissione mira a ridurre le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare mediante l’introduzione di un livello minimo di tutela comune a tutta l’UE, comprendente un elenco specifico di pratiche commerciali sleali vietate, ovvero: ritardi di pagamento dei prodotti deperibili, annullamento di ordini all’ultimo minuto, modifiche unilaterali o retroattive dei contratti e l’obbligo per i fornitori di pagare i prodotti sprecati. Altre pratiche saranno invece autorizzate solo se previste in termini chiari ed univoci nell’accordo di fornitura iniziale fra le parti, quali: l’acquirente restituisce al fornitore prodotti alimentari rimasti invenduti; l’acquirente impone al fornitore un pagamento per garantire o mantenere un accordo di fornitura di prodotti alimentari; e infine il fornitore paga i costi di promozione o di commercializzazione dei prodotti alimentari venduti dall’acquirente.

3.2.

La protezione contro le pratiche commerciali sleali si applica esclusivamente alle vendite di prodotti alimentari da parte di fornitori che sono piccole e medie imprese ad acquirenti che non sono PMI (8).

3.3.

Inoltre, la proposta della Commissione impone agli Stati membri di designare un’autorità pubblica incaricata di garantire l’applicazione delle nuove norme. In caso di accertata violazione, l’autorità responsabile sarà competente per imporre una sanzione proporzionata e dissuasiva. L’autorità di contrasto avrà la facoltà di avviare indagini di propria iniziativa o a seguito di una denuncia. In questo caso, le parti che presentano la denuncia potranno richiedere che siano garantiti loro la riservatezza e l’anonimato per tutelare la loro posizione nei confronti del partner commerciale. Sarà altresì istituito un meccanismo di coordinamento tra le autorità di contrasto con il sostegno della Commissione, al fine di consentire lo scambio delle migliori pratiche.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, quale primo passo fondamentale per l’avvio di un processo legislativo volto a regolamentare le pratiche commerciali sleali in tutta l’UE, come raccomandato vivamente nel suo parere del 2016. Si tratta di uno sviluppo necessario per proteggere gli operatori più deboli della filiera alimentare, ossia gli agricoltori e i lavoratori, e per rendere il loro reddito meno volatile e più stabile. La proposta contribuisce in particolare ad affrontare la mancanza di potere contrattuale, migliorando così la governance della filiera alimentare.

4.2.

Nel suo documento, la Commissione riconosce che è improbabile che la Supply Chain Initiative (SCI) a livello europeo si trasformi in un quadro di governance complessivo che renda superflue le misure legislative, compresa l’applicazione delle norme (9). In tale contesto, il CESE ribadisce che la SCI e altri regimi nazionali volontari possono effettivamente rivelarsi utili solo in aggiunta a meccanismi di applicazione giuridica solidi ed efficaci a livello degli Stati membri (10), non in loro sostituzione.

4.3.

Il CESE si compiace inoltre della promozione di una rete di autorità di contrasto armonizzata al livello dell’UE, come raccomandato nel suo parere precedente. Garantire una cooperazione efficace tra le autorità di contrasto è fondamentale per fronteggiare le pratiche commerciali sleali a livello transnazionale, che potrebbero altrimenti rimanere indisturbate.

4.4.

Il CESE si rammarica tuttavia che la Commissione abbia adottato un approccio armonizzato minimo, non sufficiente ad affrontare tutte le pratiche abusive che si verificano nella filiera alimentare. In particolare, il Comitato si rammarica vivamente del fatto che solo gli acquirenti possano essere all’origine di pratiche abusive e soltanto un numero limitato di pratiche commerciali sleali vietate in tale quadro, come spiegato più in dettaglio nel capitolo 5.

4.5.

Il CESE esprime inoltre dubbi riguardo alla proposta della Commissione di limitare la protezione dalle suddette pratiche esclusivamente ai fornitori che sono PMI riguardo alle loro vendite ad acquirenti che non lo sono. Per essere efficace e avere esito positivo, la protezione contro le pratiche commerciali sleali dovrebbe applicarsi a tutti gli attori della filiera, indipendentemente dalle loro dimensioni, al fine di avere un impatto su tutte le relazioni commerciali. Il CESE riconosce tuttavia la vulnerabilità delle PMI. La proposta, inoltre, non affronta la questione della disparità di potere negoziale e della dipendenza economica, che non coincide necessariamente con la dimensione economica degli operatori.

4.6.

Il campo di applicazione della proposta non è sufficientemente ampio, ed essa dovrebbe coprire anche i prodotti agricoli non alimentari, quali i prodotti orticoli e i mangimi.

4.7.

La lotta alle pratiche commerciali sleali costituisce, unitamente alla riduzione della volatilità del mercato e al rafforzamento del ruolo delle organizzazioni di produttori, un fattore chiave per rendere la filiera alimentare più sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale. Il CESE ribadisce che la promozione di pratiche commerciali più eque dovrebbe rientrare nella politica alimentare generale dell’UE al fine di attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite. In particolare, tale politica dovrebbe garantire prezzi equi per i produttori, in modo che la produzione agricola continui ad essere redditizia (11).

4.8.

Anche se ciò va oltre il campo di applicazione della proposta della Commissione, il CESE sottolinea nuovamente la necessità di promuovere un apprezzamento maggiore degli alimenti da parte della società nel suo insieme e sosterrebbe l’avvio di una campagna di informazione e di sensibilizzazione su scala europea sul «valore degli alimenti» (12) e sulla riduzione degli sprechi alimentari, in collaborazione con le organizzazioni interessate.

5.   Osservazioni particolari

Elenco delle pratiche commerciali sleali vietate

5.1.

Le pratiche commerciali sleali possono essere definite in generale come quelle che si distanziano in modo significativo da una condotta commerciale corretta e sono in contrasto con i principi di buona fede e correttezza (13). Ciò comprende inoltre tutte le pratiche in cui si verifica un trasferimento di rischio ingiustificato o sproporzionato verso una parte contraente.

5.2.

La proposta della Commissione ha proibito unicamente un numero specifico di pratiche commerciali sleali. Il CESE ribadisce che è necessario vietare tutte le pratiche sleali, ad esempio (ma non esclusivamente) le seguenti, come già raccomandato nel suo parere precedente:

trasferimento sleale del rischio commerciale;

condizioni contrattuali poco chiare o non specificate;

modifiche unilaterali e retroattive ai contratti, compreso il prezzo;

riduzione della qualità dei prodotti o delle informazioni ai consumatori senza comunicazione, consultazione o consenso degli acquirenti;

contributi ai costi promozionali e di commercializzazione;

pagamenti ritardati;

commissioni per l’inclusione nell’assortimento o di fidelizzazione;

oneri per la collocazione di prodotti sugli scaffali;

richieste per i prodotti smaltiti o invenduti;

uso di specifiche cosmetiche per respingere partite di prodotti alimentari o ridurre il prezzo pagato;

pressioni esercitate per ottenere riduzioni dei prezzi;

oneri per servizi fittizi;

cancellazioni di ordini e riduzioni dei volumi previsti effettuate all’ultimo minuto;

minacce di esclusione dall’assortimento;

tariffe forfettarie che le aziende impongono ai fornitori per inserirli nel loro elenco («pay to stay»).

Gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di estendere l’elenco in linea con la situazione specifica dei rispettivi paesi.

5.3.

Chiede che sia vietata in modo efficace la vendita sottocosto da parte delle aziende alimentari al dettaglio (14). In particolare, il CESE raccomanda che ai fornitori, e in particolare agli agricoltori, sia pagato un prezzo equo e giusto che consenta loro di ricevere un reddito che sia adeguato per gli investimenti, l’innovazione e la produzione sostenibile.

5.4.

Tutte le pratiche commerciali sleali esplicitamente vietate dalla proposta della Commissione si riferiscono a situazioni in cui vi è un contratto preesistente. Sono tuttavia molto più frequenti i casi in cui sono esercitate pressioni sugli operatori prima della stipula di un contratto. Gli esempi dovrebbero pertanto essere estesi e comprendere i casi in cui un’impresa (con potere di mercato) richieda a un’altra impresa di concederle vantaggi senza alcuna giustificazione oggettiva (cfr. anche l’articolo 19, paragrafo 2, punto 5, della legge tedesca sulle restrizioni della concorrenza (Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen, GWB)]. Questa disposizione della normativa tedesca antitrust si è dimostrata un mezzo adeguato di combattere gli abusi di potere d’acquisto. La decisione della Corte federale di giustizia tedesca (Bundesgerichtshof, BGH) nella causa «Hochzeitsrabatte» (sconti di matrimonio) fornisce un esempio lampante al riguardo nel contesto della relazione tra una potente azienda alimentare al dettaglio tedesca e i suoi fornitori (15).

Definizione di PMI

5.5.

La limitazione della protezione dalle pratiche commerciali sleali ai soli fornitori che sono PMI non è sufficiente ad affrontare in modo efficace il problema degli squilibri all’interno della filiera alimentare. Il CESE pone l’accento sull’«effetto domino» che si viene a creare quando operatori di grandi dimensioni sono vittime di tali pratiche. Le pratiche commerciali sleali hanno un effetto negativo manifesto indipendentemente da chi ne è responsabile. Inevitabilmente, gli effetti economici vengono trasferiti ai soggetti più deboli della filiera, cioè gli agricoltori, i lavoratori, alcuni operatori e anche i consumatori.

5.6.

Un altro argomento a favore di un’estensione della protezione è che i grandi operatori in particolare possono discriminare le PMI ed escluderle dalla filiera per evitare il rischio di essere denunciati. In questo contesto, il CESE riconosce ancora una volta la vulnerabilità delle PMI.

Applicazione

5.7.

Ai fini di un’efficace applicazione della legge, occorre effettuare una distinzione tra l’applicazione del diritto privato (non ancora prevista dalla proposta della Commissione) e l’applicazione delle norme da parte delle autorità. Va sottolineato sin dall’inizio che si dovrebbe tenere adeguatamente conto del diritto della parte interessata all’anonimato, dato che molte imprese esiterebbero a intervenire contro gli abusi per paura di rappresaglie quali la cancellazione dell’elenco fornitori (il «fattore paura»).

5.7.1.

Applicazione del diritto privato

In relazione all’applicazione del diritto privato, la parte interessata dovrebbe avere accesso ad azioni inibitorie e di rimozione e ad azioni di risarcimento dei danni. Tuttavia, a causa del «fattore paura», tali misure correttive tendono ad avere poca importanza. Inoltre, tutte le associazioni commerciali interessate dovrebbero poter richiedere azioni inibitorie e di rimozione, il che garantirebbe una protezione speciale in termini di anonimato della parte interessata nel caso in cui la pratica commerciale sleale sia diretta a diverse imprese (ad esempio un operatore alimentare che richieda a tutti i suoi fornitori/acquirenti di contribuire a eventuali costi aggiuntivi).

La parte o l’associazione commerciale interessata dovrebbe avere l’opzione di presentare tali azioni di ricorso davanti a un tribunale o a un Mediatore. La procedura relativa al Mediatore presenterebbe il vantaggio che la controversia non avrebbe luogo in pubblico. Dovrebbe essere istituita una procedura specifica relativa al Mediatore, al quale dovrebbero inoltre essere conferiti poteri decisionali specifici. I procedimenti volontari in molti casi non si rivelerebbero efficaci o non fornirebbero reali azioni correttive.

Oltre a ciò, il CESE incoraggia gli operatori ad avviare iniziative tese a promuovere un cambiamento culturale e a migliorare l’equità nella filiera.

5.7.2.

Applicazione della legge da parte delle autorità

In ragione del «fattore paura», l’applicazione delle norme da parte delle autorità svolge un ruolo particolarmente importante in quest’ambito e di conseguenza deve essere regolamentata. Si dovrebbero pertanto conferire ampi poteri di indagine e applicazione ad autorità quali la Commissione e le autorità nazionali competenti. Le norme in materia di concorrenza stabilite dal regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 (ora 101) e 82 (ora 102) del trattato potrebbero fungere da esempio al riguardo. (L’articolo 6 della proposta di direttiva è in confronto molto meno incisivo). In particolare l’articolo 17 del regolamento prevede indagini per settore economico e per tipo di accordi. Se le autorità avessero il potere di effettuare prelievi sui profitti, ciò avrebbe un ulteriore effetto deterrente.

Filiere agroalimentari alternative

5.8.

Il CESE ribadisce che occorre incoraggiare e sostenere i modelli commerciali alternativi che contribuiscono ad accorciare la catena di approvvigionamento tra i produttori e i consumatori finali di alimenti, ivi comprese le piattaforme digitali, e che si dovrebbero rafforzare il ruolo e la posizione delle cooperative e delle organizzazioni dei produttori per ristabilire l’equilibrio di potere (16). Questo dovrebbe essere il tema di un futuro parere del CESE.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Commissione europea, 2014.

(2)  Relazione della task force per i mercati agricoli, novembre 2016: https://ec.europa.eu/agriculture/sites/agriculture/files/agri-markets-task-force/improving-markets-outcomes_en.pdf.

(3)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 130.

(4)  Comunicazione della Commissione europea, del 15 luglio 2014, Affrontare le pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare tra imprese.

(5)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 130.

(6)  Risoluzione del Parlamento europeo, del 7 giugno 2016, sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare [2015/2065(INI)].

(7)  COM(2018) 173 final.

(8)  Definizione di PMI ai sensi del regolamento (UE) n. 1308/2013.

(9)  COM(2018) 173 final.

(10)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 130.

(11)  GU C 129 del 11.4.2018, pag. 18.

(12)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 130.

(13)  COM(2014) 472 final.

(14)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 130.

(15)  Cfr.: Bundesgerichtshof (BGH), 23.01.2018, KVR 3/17, Wirtschaft und Wettbewerb (WuW) 2018, 209 — Hochzeitsrabatte [Corte federale di giustizia (BGH), 23.01.2018, rif. 3/17, economia e concorrenza 2018, 209 — sconti di matrimonio].

(16)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 130.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/171


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un piano pluriennale per gli stock nelle acque occidentali e nelle acque adiacenti e per le attività di pesca che sfruttano questi stock, modifica il regolamento (UE) 2016/1139 che istituisce un piano pluriennale per il Mar Baltico e abroga i regolamenti (CE) n. 811/2004, (CE) n. 2166/2005, (CE) n. 388/2006, (CE) n. 509/2007 e (CE) n. 1300/2008»

[COM(2018) 149 final — 2018/0074 (COD)]

(2018/C 440/29)

Relatore unico:

Gabriel SARRÓ IPARRAGUIRRE

Consultazione da parte del Consiglio

12.4.2018

Consultazione da parte del Parlamento europeo

16.4.2018

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, e articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

17.4.2018

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

5.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

182/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che istituire un piano pluriennale rappresenti una misura adeguata per la gestione delle acque occidentali, anche se si dovrebbe tener conto delle specificità della pesca nelle acque nordoccidentali e sudoccidentali.

1.2.

Il Comitato ritiene che il regolamento in oggetto debba essere in linea con gli obiettivi della politica comune della pesca (PCP), e quindi menzionare l’importanza della componente socioeconomica nell’assegnazione delle possibilità di pesca.

1.3.

Il CESE chiede che, nel quadro della regionalizzazione, vengano aggiornati gli elenchi delle specie interessate dal regolamento, giacché alcune di esse, per il loro basso livello di catture, o perché vengono considerate oggetto di catture accessorie, o anche perché in alcuni Stati membri non vi sono contingenti per esse, ostacolano la gestione della pesca multispecifica, a maggior ragione nel contesto dell’imminente entrata in vigore dell’obbligo di sbarco e dell’emergere del fenomeno delle specie a contingente limitante (choke species), che potrebbe portare in alcuni casi alla paralisi delle attività di pesca.

1.4.

Il Comitato sottolinea la necessità di accrescere, attraverso il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP), gli sforzi per la ricerca scientifica diretta a far progredire la conoscenza della situazione attuale degli stock ittici, in modo da evitare per quanto possibile l’applicazione dell’approccio precauzionale, e pervenire a uno sfruttamento sostenibile delle risorse nel lungo periodo.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1.

La proposta di regolamento in oggetto è intesa a definire un piano di gestione unico degli stock di pesci demersali, compresi quelli di acque profonde, pescati nelle acque occidentali.

2.2.

Detto piano garantirà che tali stock siano sfruttati conformemente al principio del rendimento massimo sostenibile (RMS), applicando un approccio basato sugli ecosistemi e l’approccio precauzionale. L’obiettivo è offrire possibilità di pesca stabili, sulla base delle più recenti conoscenze scientifiche, e facilitare l’introduzione dell’obbligo di sbarco.

2.3.

Gli stock dovrebbero essere gestiti in linea con gli intervalli FMSY (dove F rappresenta la mortalità per pesca), formulati dal Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare (CIEM), in modo che le possibilità di pesca di una determinata specie saranno fissate all’interno dell’intervallo FMSY più basso disponibile, sebbene possano essere stabilite anche possibilità di pesca a livelli inferiori a tali intervalli o — a determinate condizioni e purché lo stock interessato sia al di sopra di MSY Btrigger (valore di riferimento della biomassa riproduttiva dello stock) — in linea con l’intervallo FMSY più alto disponibile in quel momento.

2.4.

Le possibilità di pesca saranno determinate, in ogni caso, garantendo che vi sia una probabilità inferiore al 5 % che la biomassa riproduttiva scenda al di sotto del valore di riferimento della biomassa limite (Blim).

2.5.

Nell’assegnazione di queste possibilità di pesca gli Stati membri tengono conto della composizione probabile delle catture effettuate dalle navi che partecipano alle attività di pesca.

2.6.

Alla Commissione è conferito il potere di adottare, mediante atti delegati, misure tecniche relative alle caratteristiche o a limitazioni degli attrezzi da pesca, intese a migliorarne la selettività, ridurre le catture indesiderate o limitare il loro impatto sull’ecosistema, come pure di fissare le taglie minime per la conservazione e di stabilire disposizioni sull’obbligo di sbarco.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE considera l’elaborazione di un piano pluriennale come una misura adeguata per garantire a medio e lungo termine lo sfruttamento delle risorse della pesca nelle acque occidentali.

3.2.

Tuttavia, il Comitato ritiene che nell’iter legislativo relativo al piano si dovrebbero tenere in considerazione le specificità e le differenze che contraddistinguono le zone di pesca nordoccidentali e quelle sudoccidentali, in funzione delle diverse caratteristiche delle flotte, della loro attività di pesca (modalità) e della durata delle bordate di pesca.

3.3.

Il CESE ribadisce che il piano deve contribuire all’attuazione di tutti gli obiettivi della politica comune della pesca e che pertanto, nel determinare le possibilità di pesca, occorre considerare gli studi socioeconomici di impatto e la soglia di sostenibilità economica per ciascuna modalità oggetto della regolamentazione. Tale componente risulta però assente nell’articolato della proposta di regolamento.

3.4.

Il Comitato esprime preoccupazione per le conseguenze derivanti dall’applicazione dell’approccio precauzionale in caso di mancanza di dati scientifici circa alcune attività di pesca, con una conseguente riduzione diretta delle possibilità di pesca. Il CESE invita pertanto gli Stati membri e la Commissione a intensificare gli sforzi di ricerca, per approfondire le conoscenze sugli stock in questione. Ritiene inoltre che, qualora le valutazioni scientifiche degli stock ittici non siano analitiche, non si dovrebbe diminuire in misura significativa il totale ammissibile di catture fino a quando le valutazioni non migliorino.

3.5.

Nel caso di attività di pesca multispecifica nel cui contesto siano individuati problemi legati a specie a contingente limitante comprese nel piano, tali da comportare il blocco dell’attività di pesca diretta alle principali specie bersaglio, il CESE ritiene che sarebbe necessario valutare la possibilità di escludere dette specie dal sistema del totale ammissibile di catture, e proporre, nel quadro della regionalizzazione, misure di gestione alternative che garantiscano il buono stato dei loro stock.

3.6.

Le specificità di determinate specie e zone di attività fanno sì che, per essere efficace, la gestione della pesca deve agevolare l’istituzione di sottozone di gestione in una stessa divisione CIEM. Il Comitato esorta la Commissione a includere questa possibilità nel regolamento.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

L’articolo 1 contiene un elenco di specie che causerà difficoltà nella gestione della pesca multispecifica, giacché include specie di acque profonde, per le quali esiste già una disciplina, per di più biennale, di totali ammissibili di catture e di contingenti differenziati. Il Comitato ritiene pertanto che la loro inclusione generi confusione. In alcuni Stati membri le catture di tali specie sono scarse o inesistenti, e vengono considerate accessorie, come nel caso dei berici (Beryx spp). Inoltre, l’occhialone (Pagellus bogaraveo) della zona IXa ha particolarità legate alle zone di pesca (versanti atlantico e mediterraneo, dove non ci sono totali ammissibili di catture né contingenti) ed è oggetto dell’attività delle flotte da pesca di paesi terzi, ragion per cui il CESE ritiene che non abbia senso inserirlo nell’elenco, non essendo chiaro in che misura tali paesi terzi siano disposti ad allineare la loro gestione con i principi e gli interessi dell’UE.

4.2.

Vi sono inoltre specie, quali la spigola (Dicentrarchus labrax) e il merlano (Merlangius merlangus) della zona IXa, che non formano oggetto di un sistema di totali ammissibili di catture e di contingenti, e il Comitato ritiene che andrebbero depennati dall’elenco. Per altre specie — come il merluzzo bianco (Gadus morhua), il merlano (Merlangius merlangus) della zona VII, e l’eglefino (Melanogrammus aeglefinus) — alcuni Stati membri dispongono di contingenti molto limitati, e dette specie possono essere quindi nettamente limitanti per talune flotte da pesca, al punto di essere considerate specie a contingente limitante. Anche per esse il Comitato ritiene necessaria la rimozione dall’elenco.

4.3.

Si constatano inoltre degli errori nella definizione e nella portata delle unità funzionali dello scampo (Nephrops norvegicus), e il CESE reputa necessaria la loro revisione.

4.4.

Il Comitato ritiene che la valutazione delle possibilità di pesca in linea con il rendimento massimo sostenibile, di cui agli articoli 3, 4 e 5, consideri solo le variabili legate alla conservazione degli stock. Il piano deve contribuire al conseguimento di tutti gli obiettivi della politica comune della pesca, in linea con l’articolo 2 del regolamento (UE) n. 1380/2013, evitando di concentrarsi solo sulle variabili ambientali, e considerando invece quelle sociali ed economiche, onde evitare brusche variazioni delle possibilità di pesca da un anno all’altro.

4.5.

Per evitare che la gestione annuale delle possibilità di pesca ostacoli l’avvio di una gestione pluriennale, e per incoraggiare la partecipazione delle parti interessate al processo decisionale, i colegislatori dovrebbero modificare l’articolo 4 della proposta di piano di gestione, inserendovi una base giuridica per l’adozione di norme di sfruttamento in linea con i principi della politica comune della pesca, attraverso la regionalizzazione.

4.6.

L’articolo 5, paragrafo 2, stabilisce che, in assenza di informazioni scientifiche adeguate, si applichi l’approccio precauzionale in materia di gestione della pesca. Il CESE propone di istituire nell’ambito del piano, attraverso il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, meccanismi efficaci volti ad accrescere la raccolta di informazioni scientifiche entro una scadenza e con una frequenza tali da evitare la chiusura delle attività di pesca.

4.7.

L’articolo 9 dispone che al momento dell’assegnazione delle possibilità di pesca gli Stati membri tengano conto della composizione probabile delle catture effettuate dai pescherecci che partecipano alle attività di pesca multispecifica. Il Comitato ritiene che tale principio vada ben al di là di quanto stabilisce l’articolo 17 del regolamento (UE) n. 1380/2013 sui criteri per l’assegnazione delle possibilità di pesca da parte degli Stati membri.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/174


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a un piano pluriennale di ricostituzione del pesce spada del Mediterraneo e recante modifica dei regolamenti (CE) n. 1967/2006 e (UE) 2017/2107»

[COM(2018) 229 final — 2018/0109 (COD)]

(2018/C 440/30)

Relatore unico:

Gabriel SARRÓ IPARRAGUIRRE

Consultazione da parte del Parlamento europeo

2.5.2018

Consultazione da parte del Consiglio

14.5/2018

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, e articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

22.5.2018

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

5.9/2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

181/1/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE appoggia, in linea generale, la proposta della Commissione europea volta a recepire nel diritto dell’UE la raccomandazione 16-05 della Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell’Atlantico (ICCAT), che istituisce un piano pluriennale di ricostituzione del pesce spada del Mediterraneo e il cui obiettivo è raggiungere una biomassa di tale stock corrispondente al rendimento massimo sostenibile (MSY) entro il 2031, con una probabilità di conseguire tale obiettivo pari almeno al 60 %.

1.2.

Il CESE constata che la Commissione europea non si è limitata a recepire la suddetta raccomandazione ICCAT, ma ha inserito nella sua proposta una serie di punti che vanno al di là di quanto previsto nella raccomandazione e che possono porre la flotta europea in condizioni di svantaggio competitivo rispetto alle flotte dei paesi terzi che si affacciano sul Mediterraneo, come Marocco, Algeria, Tunisia e Turchia, anch’esse dedite a questo tipo di pesca. Di conseguenza, e onde evitare che gli imprenditori e i lavoratori europei subiscano ripercussioni socioeconomiche più gravi rispetto ai loro omologhi degli altri paesi, il CESE invita i colegislatori a tenere conto delle osservazioni particolari formulate più avanti in questo parere.

1.3.

Il CESE esorta la Commissione, gli Stati membri e i paesi che si affacciano sul Mediterraneo a mettere a disposizione tutte le risorse necessarie per ottenere l’eliminazione totale delle reti da posta derivanti, il cui uso è vietato dal 1998, al fine di evitare la cattura e la vendita illegali del pesce spada del Mediterraneo, il suo impatto sul mercato e la concorrenza sleale che comporta per le flotte pescherecce che rispettano le norme.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1.

Considerata la situazione allarmante in cui si trova il pesce spada del Mediterraneo (Xiphias gladius), l’ICCAT ha adottato, nella sua riunione annuale del 2016, la raccomandazione 16-05, che istituisce un piano di ricostituzione di tale specie di durata quindicennale. Tale raccomandazione stabilisce norme per la conservazione, la gestione e il controllo dello stock di pesce spada del Mediterraneo al fine di raggiungere una biomassa corrispondente al rendimento massimo sostenibile entro il 2031, con una probabilità di conseguire tale obiettivo pari almeno al 60 %.

2.2.

La proposta di regolamento oggetto del presente parere recepisce nel diritto dell’UE la suddetta raccomandazione, che è direttamente applicabile dal 2017, per consentire all’Unione di rispettare i suoi obblighi internazionali e garantire certezza giuridica agli operatori per quanto riguarda le norme e gli obblighi a cui sono sottoposti.

2.3.

Gli elementi principali del piano di ricostituzione sono i seguenti: la determinazione di un totale ammissibile di catture (TAC) pari a 10 500 tonnellate, che sarà progressivamente ridotto; la determinazione di una taglia minima di riferimento per la conservazione pari a 100 cm di lunghezza alla forca (misurata dalla mascella inferiore) o di un peso vivo pari a 11,4 kg o eviscerato e senza branchie pari a 10,2 kg; la determinazione di un numero massimo di 2 500 ami che possono essere utilizzati o portati a bordo; un periodo di divieto di tre mesi dal 1o gennaio al 31 marzo di ogni anno; la limitazione del numero di navi da pesca autorizzate; e misure di controllo analoghe a quelle vigenti per il tonno rosso.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE concorda sulla necessità di recepire la raccomandazione ICCAT 16-05 nel diritto dell’Unione e, di conseguenza, appoggia l’iniziativa della Commissione europea.

3.2.

Ciò nonostante, il CESE rileva che la proposta della Commissione europea si spinge oltre la stessa raccomandazione ICCAT e introduce nuovi requisiti che in essa non sono presenti. Considerato il fatto che lo stock in questione non è sfruttato solo dalla flotta dell’UE, ma anche da quella di tutti gli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo, nell’ambito di attività di pesca diretta, come nel caso di Marocco, Algeria, Tunisia e Turchia, o sotto forma di catture accidentali, il CESE non ritiene opportuno introdurre le suddette misure supplementari in maniera unilaterale, dato che potrebbero dare adito a situazioni discriminatorie nei confronti della flotta unionale e produrre per gli operatori dell’UE conseguenze socioeconomiche diverse che per gli operatori degli altri paesi dediti a tale attività alieutica.

3.2.1.

In attesa dei futuri negoziati, il CESE invita la Commissione europea a cooperare più strettamente con i paesi terzi nell’ambito dell’ICCAT al fine di giungere ad accordi che, senza falsare la concorrenza tra pescatori, accelerino la ricostituzione della biomassa e la relativa transizione verso il livello di rendimento massimo sostenibile.

3.3.

Il CESE ricorda alla Commissione che l’utilizzo delle reti da posta derivanti per la cattura del pesce spada nel Mediterraneo è vietato dal 1998. In considerazione dell’impatto sullo stato dello stock di pesce spada del Mediterraneo provocato dall’utilizzo illegale, da parte di alcuni operatori, di tale attrezzo vietato, nonché della concorrenza sleale che ciò comporta per gli operatori che rispettano le norme, il CESE invita la Commissione, gli Stati membri e i paesi terzi che si affacciano sul Mediterraneo a mettere a disposizione tutte le risorse necessarie per ottenere l’eradicazione totale di tale pratica.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

L’articolo 8 del regolamento proposto, che stabilisce un limite di capacità per tipo di attrezzo, non si limita a recepire quanto contenuto nel punto 6 della raccomandazione ICCAT, a norma del quale si applica un limite di capacità per la durata del piano di ricostituzione. Secondo tale punto, infatti, nel 2017 le parti contraenti della convenzione ICCAT (PCC) (1) limitano il numero delle loro navi da pesca autorizzate a praticare la pesca del pesce spada del Mediterraneo al numero medio annuo di loro navi che hanno pescato, detenuto a bordo, trasbordato, trasportato o sbarcato pesce spada del Mediterraneo nel periodo 2013-2016. Tuttavia, le PCC possono decidere di utilizzare il numero di loro navi da pesca che hanno pescato, detenuto a bordo, trasbordato, trasportato o sbarcato pesce spada del Mediterraneo nel 2016, se questo numero è inferiore al numero medio annuo delle navi nel periodo 2013-2016. Questo limite si applica per tipo di attrezzo per le navi da cattura. L’articolo 8 del regolamento proposto, invece, circoscrive tale disposizione all’opzione che comporta il numero più basso di navi da pesca. Di conseguenza, il CESE raccomanda di riprodurre la formulazione letterale del punto 6 della raccomandazione ICCAT 16-05.

4.2.

Il CESE reputa che la formulazione dell’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento proposto possa causare confusione, dato che può essere interpretata nel senso di imporre un divieto totale ai palangari, mentre in realtà la raccomandazione ICCAT mira a evitare la cattura del novellame di pesce spada con i piccoli ami utilizzati dai pescherecci che praticano la pesca del tonno bianco del Mediterraneo. Di conseguenza, il CESE raccomanda di adottare la seguente formulazione: «al fine di proteggere il pesce spada del Mediterraneo, si applica un periodo di divieto alla cattura del tonno bianco del Mediterraneo (Thunnus alalunga) dal 1o ottobre al 30 novembre di ogni anno».

4.3.

L’articolo 14, paragrafo 2, è una delle norme del regolamento proposto in cui la Commissione è più restrittiva rispetto alla raccomandazione ICCAT, dato che stabilisce che «sono autorizzati 2 500 ami di ricambio non armati a bordo delle navi da pesca per bordate di durata superiore a 2 giorni», mentre il punto 18 della raccomandazione permette che tali ami siano armati. La proposta della Commissione creerebbe un problema operativo per gli equipaggi delle navi, costretti a rispettare un numero sempre maggiore di obblighi. Di conseguenza, il CESE raccomanda di eliminare da tale articolo l’espressione «non armati» e di utilizzare la disposizione della raccomandazione stessa, secondo cui una seconda serie di ami armati può essere consentita a bordo per bordate di durata superiore a 2 giorni, a condizione che essi siano debitamente legati e stivati sottocoperta in modo da non risultare agevolmente utilizzabili.

4.4.

L’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento proposto stabilisce che, «a fini di controllo, la trasmissione di dati VMS (2) dalle navi da cattura autorizzate a pescare pesce spada del Mediterraneo non è interrotta durante la permanenza in porto della nave». Il CESE reputa che tale proposta possa generare inutili costi aggiuntivi per i pescatori e, di conseguenza, propone che, a norma dell’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione (UE) n. 404/2011 della Commissione, dell’8 aprile 2011, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio che istituisce un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca, si permetta il disinserimento del VMS quando il peschereccio è ormeggiato in porto, a condizione che si garantisca che il disinserimento e l’inserimento di tale dispositivo avvengano con il peschereccio nella stessa posizione.

4.5.

All’articolo 20, paragrafo 2, del regolamento proposto la Commissione si spinge nuovamente oltre quanto stabilito dalla raccomandazione ICCAT 16-05. Infatti, la Commissione propone che sia garantita la presenza di osservatori scientifici a bordo di almeno il 20 % delle navi con palangari pelagici dedite alla cattura del pesce spada del Mediterraneo. Il punto 44 della raccomandazione ICCAT, invece, stabilisce che ogni PCC deve assicurarsi che gli osservatori scientifici siano imbarcati su almeno il 5 % delle proprie navi con palangari pelagici oltre i 15 m di lunghezza fuori tutto dedite alla cattura del pesce spada del Mediterraneo. Il CESE ritiene ingiustificato e sproporzionato l’aumento della copertura fino al 20 %, dato che le navi in questione sono imbarcazioni di piccole dimensioni, con problemi di spazio e di costi, che avrebbero notevoli difficoltà a soddisfare tale requisito. Inoltre, le flotte dei paesi terzi continuerebbero a potersi limitare al 5 %. Di conseguenza, il CESE raccomanda di mantenere il 5 % obbligatorio richiesto dall’ICCAT.

4.6.

L’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento proposto stabilisce che, almeno quattro ore prima dell’ora prevista di arrivo in porto, i comandanti delle navi da pesca dell’Unione di lunghezza fuori tutto inferiore a 12 metri devono notificare una serie di informazioni alle autorità competenti dello Stato membro. Considerati i problemi che tale requisito può causare alla flotta su piccola scala in determinati momenti, il CESE propone di aggiungere a questa disposizione una formula che permetta allo Stato membro di modificare il preavviso di quattro ore in circostanze eccezionali. Si potrebbe adottare, per esempio, una formulazione simile a quella dell’articolo 31, paragrafo 3, del regolamento (UE) 1627/2016 relativo a un piano di ricostituzione del tonno rosso: «se gli Stati membri sono autorizzati, in base alla legislazione dell’Unione applicabile, ad applicare un termine di notifica più breve di quello di cui ai paragrafi 1 e 2, i quantitativi stimati di tonno rosso detenuti a bordo possono essere notificati entro il termine per la notifica preventiva di arrivo conseguentemente applicabile. Se i luoghi di pesca sono situati a meno di quattro ore dal porto, i quantitativi stimati di tonno rosso detenuti a bordo possono essere modificati in qualsiasi momento precedente all’arrivo».

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parti contraenti della convenzione ICCAT.

(2)  Sistema di controllo dei pescherecci.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/177


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online»

[COM(2018) 238 final — 2018/0112 (COD)]

(2018/C 440/31)

Relatore:

Marco VEZZANI

Consultazione

Parlamento europeo, 28.5.2018

Consiglio dell’Unione europea, 22.5.2018

Base giuridica

Articoli 114 e 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

6.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

190/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta di regolamento della Commissione e la considera un importante primo passo per promuovere l’equità e la trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online. Il CESE, in particolare, ritiene questa proposta molto importante poiché per la prima volta regola i rapporti B2B relativi all’e-commerce, e ne raccomanda una pronta approvazione in modo da coprire un evidente vuoto normativo.

1.2.

Il Comitato, tuttavia, ritiene che detto regolamento da solo non risolva tutti i problemi del mercato unico digitale e «non chiuda il cerchio». L’asse portante del regolamento, infatti, è la «trasparenza», ma questa da sola non è sufficiente a regolare un mercato estremamente dinamico e complesso come quello digitale, in cui la sproporzione di forze tra player globali e utenti commerciali (soprattutto le PMI) è colmabile solo stabilendo confini e rapporti più chiari tra le parti e contrastando gli abusi da posizione dominante. Il CESE raccomanda inoltre, di affrontare quanto prima il tema della dimensione sociale della digitalizzazione, attivando i processi di dialogo sociale. Altrettanta attenzione meritano le questioni legate al dumping fiscale, all’economia e alla proprietà dei dati attraverso una visione d’insieme, come d’altronde la Commissione sta già facendo su altri dossier.

1.3.

Il CESE raccomanda l’introduzione nel regolamento del divieto di clausole di parità di prezzo, che ad oggi ostacolano la concorrenza, danneggiano aziende e consumatori, e rischiano di creare posizioni di oligopolio o monopolio delle grandi piattaforme online. È fondamentale infatti che i consumatori siano messi in condizione di acquistare beni e servizi a prezzi più bassi, che le aziende possano sviluppare con efficacia i propri affari attraverso il proprio sito web e che le nuove piattaforme online possano crescere ed entrare in un regime di leale concorrenza con quelle già esistenti.

1.4.

Il CESE ritiene necessario che eventuali trattamenti differenziati (es: ranking) a vantaggio di determinate aziende (in particolare quelli dietro pagamento) non solo siano esplicitati contrattualmente agli utenti commerciali, ma siano anche chiaramente riconoscibili per i consumatori al momento della ricerca di prodotti o servizi online con la dicitura «annuncio sponsorizzato», «annuncio a pagamento» o similari. Altrettanto fondamentale è informare utenti commerciali e consumatori sui principali parametri di costruzione delle classifiche che determinano il posizionamento degli utenti commerciali.

1.5.

Il Comitato sostiene l’introduzione di meccanismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie, raccomandando l’individuazione di criteri armonizzati che garantiscano l’indipendenza dei mediatori. Il CESE ritiene che le Camere di commercio, che già svolgono efficacemente su scala nazionale detta attività, possano rappresentare un’opzione valida. Altrettanto importante è che i meccanismi per porre in essere le azioni di natura inibitoria, volte a prevenire o impedire il perpetrarsi di pregiudizi a danno degli utenti commerciali, siano semplici, chiari e poco costosi.

1.6.

Il CESE ritiene che l’Osservatorio UE sull’economia delle piattaforme online avrà un ruolo cruciale sia nell’implementazione del regolamento in oggetto sia di tutte le altre iniziative legislative ad esso collegate. Ciò conferisce a detto organismo una valenza politica di alto profilo, oltre che tecnica. Il Comitato, forte di un percorso di riflessione basato su numerosi pareri in materia, offre la sua disponibilità a supportare i lavori del gruppo di esperti con un proprio delegato in qualità di osservatore, contribuendo ad apportare la visione della società civile organizzata.

2.   Introduzione

2.1.

Le piattaforme online ed i motori di ricerca sono un elemento fondamentale dell’ecosistema digitale e ne influenzano sensibilmente l’organizzazione e il funzionamento. Negli ultimi anni, queste hanno assunto un ruolo centrale nello sviluppo della rete, proponendo nuovi «modelli sociali ed economici» con i quali orientano le scelte e le azioni di cittadini e imprese.

2.2.

L’e-commerce sta crescendo esponenzialmente in Europa. Il volume di affari per la vendita al dettaglio nel 2017 era stimato in 602 miliardi di euro (+ 14 % rispetto al 2016). Questo dato era perfettamente in linea con i trend di crescita dell’anno precedente, con vendite pari a 530 miliardi di euro (+ 15 % rispetto al 2015) (1).

2.3.

Secondo Eurostat (2), nel 2016 il 20 % delle aziende UE-28 erano attive nell’e-commerce. Questo dato nasconde grandi differenze a seconda delle dimensioni dell’azienda. Infatti, commerciano online il 44 % delle aziende di grandi dimensioni, il 29 % di medie dimensioni e solo il 18 % di quelle piccole.

2.4.

L’85 % delle aziende attive nell’e-commerce si avvale del proprio sito web, ma è in costante crescita l’utilizzo di piattaforme online, utilizzato dal 39 % delle imprese (utenti commerciali(3). Ciò è dovuto a due fattori: il crescente interesse verso l’e-commerce da parte delle PMI, che vedono nelle piattaforme online uno strumento strategico per la penetrazione nel mercato digitale, e la crescita esponenziale delle piattaforme collaborative (social network) nello scandire i tempi di vita reale e virtuale degli utenti.

2.5.

Sebbene oltre un milione di PMI europee si avvalgano di servizi di intermediazione online, le piattaforme che forniscono tali servizi sono relativamente poche. Tale condizione rende, da un lato, le PMI completamente dipendenti da piattaforme online e motori di ricerca, e dall’altro, conferisce a questi ultimi il potere di compiere azioni unilaterali che ledono gli interessi legittimi di aziende e consumatori.

2.6.

Secondo un altro studio della Commissione, quasi il 50 % delle imprese europee che operano su piattaforme online incontra problemi. Inoltre, nel 38 % dei casi, i problemi connessi a relazioni contrattuali restano irrisolti, mentre nel 26 % dei casi vengono risolti ma con difficoltà (4).

2.7.

I consumatori, in particolare, subiscono indirettamente gli effetti della limitazione di una piena e leale concorrenza. Questa si manifesta in molteplici situazioni: dal posizionamento non trasparente di beni e servizi, fino alla mancanza di scelta dovuta alla scarsa fiducia delle aziende verso il mercato digitale.

2.8.

I meccanismi di ricorso per le aziende sono limitati, poco accessibili e spesso inefficaci. Non a caso, la grande maggioranza delle aziende si concentra nella vendita online dei loro prodotti all’interno del territorio nazionale (93 %), principalmente a causa della frammentazione legislativa che rende lunga e difficile la risoluzione delle controversie transfrontaliere (5).

2.9.

Fino ad oggi, la legislazione europea si è concentrata a definire il rapporto tra aziende e consumatori nel commercio online (B2C), mentre non è stato mai affrontato con decisione il rapporto tra aziende e piattaforme online (B2B).

2.10.

Per questa ragione la Commissione ha inserito nella proposta di revisione della strategia per il mercato unico digitale (6) l’iniziativa di completare questo aspetto della legislazione europea al fine di garantire equità e trasparenza, evitando gli abusi dovuti al vuoto normativo o la frammentazione generata dalle diverse legislazioni nazionali.

3.   Sintesi della proposta

3.1.

La proposta ha l’obiettivo di regolare i servizi di intermediazione offerti da piattaforme online e motori di ricerca alle aziende. Questo include anche i servizi delle applicazioni online dei software (app store) e i servizi online delle piattaforme collaborative (social network).

3.2.

Il regolamento si applica a tutti i fornitori di servizi di intermediazione online (con sede dentro o fuori i confini UE), a patto che gli utenti commerciali o gli utenti titolari dei siti web aziendali abbiano sede nell’UE e che questi offrano i loro prodotti o servizi a consumatori europei almeno per parte della transazione. In particolare, i consumatori devono trovarsi nell’UE, ma non è necessario che il luogo di residenza o la loro cittadinanza sia europea.

3.3.

Al fine di garantire l’equità e la trasparenza, le piattaforme devono informare le aziende in modo semplice e chiaro su termini e condizioni del contratto. Eventuali modifiche dovranno essere comunicate con un anticipo minimo di 15 giorni. In modo particolare dovranno essere comunicate le modalità di pubblicazione degli annunci e i criteri previsti per la sospensione e cessazione del servizio.

3.4.

La proposta prevede altresì che i parametri che determinano il posizionamento delle inserzioni o dei siti web siano resi noti alle aziende, anche quando questi sono a pagamento. Eventuali trattamenti differenziati che avvantaggino prodotti o servizi offerti ai consumatori dal fornitore di servizi stesso o da utenti commerciali da esso controllati devono essere esplicitati nei termini e condizioni del contratto.

3.5.

Per meglio tutelare i diritti delle piccole aziende, la Commissione prevede la creazione da parte dei fornitori di servizi online di un sistema interno di gestione dei reclami. I reclami dovranno essere gestiti in tempi brevi e comunicati senza ambiguità agli utenti. Inoltre, i fornitori saranno tenuti a pubblicare relazioni periodiche su numero, oggetto e tempistica dei reclami così come sulle decisioni adottate.

3.6.

Si prevede altresì un sistema di risoluzione extragiudiziale delle controversie. In tal modo, un’azienda potrà ricorrere ad un Mediatore indicato preventivamente dal fornitore di servizi nei termini e condizioni contrattuali.

3.7.

I mediatori dovranno essere soggetti imparziali e indipendenti. I fornitori sono incoraggiati a promuovere la formazione di associazioni di mediatori, soprattutto per risolvere controversie di natura transfrontaliera.

3.8.

I costi di conformità riguarderanno principalmente i fornitori di servizi, mentre le PMI saranno escluse (7). Le suddette misure non impediscono il ricorso alla via giudiziale, ma sono finalizzate ad affrontare e risolvere le controversie in modo efficace e con tempi certi.

3.9.

Il nuovo impianto normativo sarà sottoposto a monitoraggio. A tal fine è prevista la creazione di un Osservatorio UE sull’economia delle piattaforme online (8) che fornirà supporto alla Commissione sia per analizzare l’evoluzione del mercato digitale, sia per valutare lo stato di implementazione e l’impatto del regolamento. I risultati raccolti contribuiranno a definire la revisione della proposta di regolamento con cadenza triennale.

3.10.

La proposta sancisce il diritto delle organizzazioni rappresentative, associazioni o organismi pubblici di promuovere un’azione inibitoria per far cessare o vietare qualsiasi inadempienza delle prescrizioni contenute nel regolamento da parte dei fornitori di servizi d’intermediazione online.

3.11.

La Commissione invita i fornitori di servizi online e le organizzazioni che li rappresentano a redigere codici di condotta per contribuire alla corretta applicazione del regolamento, tenendo in particolare considerazione le esigenze delle PMI.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE è stato tra i primi sostenitori dello sviluppo digitale e dei processi economici e sociali ad esso connessi. In particolare, il Comitato, consapevole dei rischi e delle opportunità connessi alla digitalizzazione, ha sempre stimolato la Commissione a definire un quadro sicuro, chiaro, trasparente ed equo del mercato unico digitale.

4.2.

Il CESE, in linea con i suoi precedenti pareri (9), accoglie favorevolmente la proposta della Commissione per promuovere l’equità e la trasparenza dei servizi di intermediazione online. Il Comitato, in particolare, valuta positivamente l’approccio flessibile della proposta in quanto dovrà stabilire un quadro di riferimento chiaro per un settore in costante evoluzione, garantendo al contempo una concorrenza leale.

4.3.

Il Comitato ritiene che questa iniziativa sia fondamentale per tutelare le PMI, in quanto prime utilizzatrici di tali servizi (10), e creare un quadro legislativo che garantisca la leale ed effettiva concorrenza. È altresì fondamentale che le PMI siano messe in condizione di massimizzare le proprie opportunità di crescita nel mercato unico digitale, sia attraverso il proprio sito Internet sia attraverso piattaforme online.

4.4.

A tal proposito è importante tenere presente che l’ingresso nel mercato digitale è una sfida estremamente complessa per le PMI. Infatti, queste necessitano di modificare il loro sistema di produzione e distribuzione, acquisire nuove professionalità e competenze specializzate, effettuando adeguati investimenti, senza i quali sarebbero automaticamente espulse da tale mercato, con ricadute negative anche in termini di immagine. Per questo è necessario porre in essere ulteriori strumenti, anche finanziari, per accompagnare tale transizione.

4.5.

Il CESE ritiene che le «clausole di parità di prezzo» (anche dette «clausole di cliente favorito») rappresentino ad oggi un serio ostacolo allo sviluppo di una concorrenza leale e aperta nel mercato unico digitale. Tali clausole, infatti, obbligano un utente commerciale a fissare su una determinata piattaforma online la propria tariffa più bassa, sia rispetto ad altre piattaforme online sia rispetto al proprio sito web. Questo genera una seria distorsione del mercato, poiché facilita il rafforzamento delle poche piattaforme online esistenti (impedendo lo sviluppo di nuove piattaforme), limita le opportunità per i consumatori di poter accedere a prezzi più bassi e vincola l’utente commerciale alla piattaforma senza poter sviluppare una propria rete di distribuzione diretta con i consumatori. Tale pratica è già stata messa al bando in numerosi Paesi UE (11) su iniziativa delle rispettive autorità garanti della concorrenza, con risultati positivi per il funzionamento del mercato, avvantaggiando sia le imprese sia i consumatori. Per tali ragioni, il CESE auspica la pronta messa al bando di tali clausole in tutta l’UE, possibilmente nell’ambito del suddetto regolamento.

4.6.

Il CESE evidenzia che ad oggi la gran parte del mercato dei servizi di intermediazione online è in mano a pochi grandi player, molti dei quali extra-europei. È importante, quindi, che nella fase di implementazione normativa sia monitorata e garantita anche una competizione leale tra piattaforme online, nonché la possibilità per nuove piattaforme, europee in particolare, di farsi spazio nel mercato.

4.7.

Il CESE riscontra con piacere che numerose richieste e raccomandazioni avanzate nei suoi precedenti pareri sono state incluse nel regolamento. In particolare, il Comitato riscontra forti analogie e continuità con quanto concerne la trasparenza e chiarezza dei termini e condizioni contrattuali, l’esplicitazione dei parametri di posizionamento e di eventuali trattamenti differenziati, la definizione di meccanismi certi di reclamo e risoluzione extragiudiziale delle controversie, la responsabilizzazione delle piattaforme online (codici di condotta) ed il monitoraggio dei processi (12). In modo particolare, si evidenzia che eventuali trattamenti differenziati che avvantaggino prodotti o servizi offerti (spesso dietro pagamento) vanno comunicati ai consumatori in modo chiaro e riconoscibile.

4.8.

Il Comitato ritiene che la proposta si inserisca correttamente nel quadro legislativo più ampio del mercato unico digitale, che tuttavia è ancora lontano dall’essere completato. L’Unione europea, infatti, ha livelli di performance inferiori a quelle dei principali competitor mondiali in termini di numero di utenti, aziende e transazioni online. Il CESE, pertanto, invita la Commissione e gli Stati membri a fare ulteriori sforzi per completare il regolamento di tutto il settore dell’e-commerce ed in senso lato della e-democracy, al fine di rendere Internet ed il mercato digitale un luogo sicuro e generatore di opportunità per tutti.

4.9.

L’economia dei dati rappresenta un elemento cruciale del mercato digitale. Il CESE, in particolare, ritiene che la proprietà dei dati non possa essere solamente relegata ad un accordo risolto contrattualmente tra due soggetti. Inoltre, la trasparenza informativa prevista dalla proposta oggetto di parere non risolve una questione cruciale, legata all’uso che può essere fatto di tali dati una volta che un soggetto privato ne entra in possesso. Per tali ragioni, il CESE raccomanda alla Commissione di affrontare urgentemente questo tema e regolarlo, nell’interesse primario degli utenti e del concetto stesso di economia dei dati (13).

4.10.

Il CESE ritiene che il mercato unico digitale debba garantire parità di condizioni a tutti gli attori economici coinvolti, siano essi europei o extra-europei. Per tale ragione il Comitato raccomanda alla Commissione di contrastare tutte le pratiche commerciali sleali come il dumping fiscale digitale, stabilendo che l’imposta sui profitti debba essere versata dove si svolge l’attività economica corrispondente (14) e debba essere congrua rispetto all’effettivo volume di attività (15). Si segnala, come esempio, il fatto che la piattaforma «Airbnb» abbia versato in Francia nell’anno 2015 solo 69 mila euro di tasse, a fronte dei circa 5 miliardi di euro dell’intero settore alberghiero (16).

4.11.

Il Comitato ritiene imprescindibile completare quanto prima il quadro legislativo di tutta la filiera dell’e-commerce, al fine di creare adeguate garanzie e tutele per tutti i soggetti coinvolti nel mercato unico digitale (17). Il CESE, in particolare, considera fondamentale affrontare gli aspetti più controversi della dimensione sociale della digitalizzazione, tra cui: salari, contratti, condizioni e tempi di lavoro di coloro che sono impiegati presso piattaforme digitali (18) o nell’erogazione di servizi ad esse connesse (19). A tal fine, si raccomanda la pronta attivazione dei processi di dialogo sociale europeo (20). Inoltre, data la crescente mole di atti legislativi volti a normare il settore, si raccomanda la redazione di un «codice dei diritti online dei cittadini» (21).

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Il CESE è favorevole ad una definizione estensiva del concetto di fornitori di servizi di intermediazione online. Questo principio è motivato dalla rapida ed imprevedibile evoluzione di Internet e dell’e-commerce. Per questa ragione il CESE ritiene fondamentale normare le modalità e i tempi di gestione di tali servizi piuttosto che i soggetti digitali che li forniscono, in quanto questi potrebbero cambiare a breve la loro natura o funzioni per effetto del rapido ed imprevedibile sviluppo della rete (22).

5.2.

Il Comitato ritiene che la proposta oggetto di esame copra un importante vuoto legislativo e sia fondamentale per superare la frammentazione generata con le legislazioni nazionali che ad oggi rappresenta una delle prime fonti di criticità nelle controversie transfrontaliere. Il Comitato, inoltre, ritiene che la proposta si collochi correttamente nel quadro normativo già esistente del mercato unico digitale e delle poche normative che già oggi regolano, in modo più o meno diretto, il rapporto B2B. L’ampio quadro giuridico costruito sui valori fondanti dell’UE appare idoneo a garantire un’ampia libertà di manovra per le istituzioni chiamate a vigilare sul rispetto delle norme, assicurando loro un’efficace capacità di intervento.

5.3.

Il CESE è favorevole alla pubblicazione da parte dei fornitori di servizi online dei principali parametri per il posizionamento di annunci e siti web. Il Comitato, tuttavia, fa notare che questa iniziativa necessita di essere gestita con cautela poiché potrebbe favorire truffe da parte degli utenti commerciali a danno di altre imprese o consumatori, generando distorsioni del mercato.

5.4.

I mediatori avranno un ruolo chiave nella risoluzione delle controversie extragiudiziali. Il CESE ritiene che non siano completamente chiare le caratteristiche dei mediatori e le modalità di reclutamento degli stessi, evidenziando le differenze esistenti tra i diversi Stati membri e raccomandando la definizione di criteri armonizzati che ne garantiscano l’indipendenza. Il Comitato propone di valutare la possibilità di creare un albo professionale europeo al fine di rafforzare la fiducia degli utenti commerciali. Contestualmente, si propone di avvalersi della professionalità delle Camere di commercio e dell’attività da esse già svolta con successo su scala nazionale.

5.5.

Il CESE accoglie con favore l’introduzione di azioni di natura inibitoria a tutela degli utenti commerciali. Questo strumento ha un valore cruciale per superare il «fattore paura», che spesso frena le piccole aziende nei confronti delle grandi multinazionali del settore. Il Comitato, in particolare, ritiene che i meccanismi posti in essere per avviare tali azioni siano chiari, semplici e poco costosi.

5.6.

L’osservatorio sarà fondamentale per monitorare le evoluzioni del mercato digitale e la corretta e completa implementazione del regolamento stesso. Il CESE, in particolare, ritiene che gli esperti debbano essere selezionati con estrema attenzione garantendo la loro indipendenza e terzietà. Il CESE, inoltre, offre la sua disponibilità a supportare i lavori del gruppo di esperti con un proprio delegato in qualità di osservatore, contribuendo ad apportare la visione della società civile organizzata (23).

5.7.

Sebbene lo strumento del regolamento, accompagnato da un sistema armonizzato di sanzioni, sia considerato più idoneo, il CESE accoglie con favore l’invito ai fornitori di servizi online affinché elaborino codici di condotta per garantire la piena e corretta implementazione della normativa.

5.8.

Il Comitato evidenzia che ad oggi sono in atto, principalmente negli Stati Uniti, pratiche commerciali da parte delle grandi piattaforme volte a mettere fuori mercato altri soggetti, come nel caso delle spedizioni a costo zero ai danni delle ditte di consegna pacchi. Aspetti come questo, nel medio periodo, potrebbero generare situazioni di oligopolio che andrebbero a danno di aziende e consumatori. Per questo il CESE invita la Commissione a vigilare attentamente su questi processi.

5.9.

Il CESE ritiene che questa proposta avrà effetti indiretti molto importanti sia sui consumatori, offrendo loro una maggiore gamma di prodotti e aumentando la concorrenza tra le aziende, sia sull’occupazione generata dal maggior numero di aziende attive sul mercato digitale. A tal fine è importante che anche le piccole piattaforme digitali (es: piattaforme di cooperative), possano trovare una propria nicchia nel mercato online.

5.10.

Il CESE rinnova l’invito alla Commissione e agli Stati membri a sostenere i processi di innovazione digitale con adeguate strategie di alfabetizzazione digitale accompagnate da percorsi mirati di educazione e formazione con particolare attenzione ai minori e ai soggetti più vulnerabili (24). Inoltre, per rafforzare la consapevolezza degli utenti commerciali, ritiene fondamentale coinvolgere le organizzazioni di categoria per sensibilizzare e supportare le specifiche attività di formazione, con particolare attenzione alle PMI, per cogliere appieno l’opportunità offerta dal mercato unico digitale.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  European E-commerce Report 2017.

(2)  Eurostat, Digital economy and society statistics — enterprises, 2018.

(3)  Eurostat, Web sales of EU enterprises, 2018.

(4)  europa.eu/rapid/press-release_IP-18-3372_it.pdf

(5)  Eurostat, E-commerce statistics, 2017.

(6)  COM(2017) 228 final.

(7)  Raccomandazione 2003/361/CE.

(8)  L’Osservatorio sarà costituito ai sensi della decisione C(2018)2393 della Commissione. Esso sarà composto da un minimo di 10 a un massimo di 15 esperti indipendenti selezionati attraverso concorso pubblico. Gli esperti resteranno in carica due anni e svolgeranno tale incarico a titolo gratuito.

(9)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 119; GU C 81 del 2.3.2018, pag. 102; GU C 12 del 15.1.2015, pag. 1 e GU C 271 del 19.9.2013, pag. 61.

(10)  GU C 389 del 21.10.2016, pag. 50.

(11)  Germania, Francia, Italia, Svezia, Belgio, Austria.

(12)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 119; GU C 81 del 2.3.2018, pag. 102.

(13)  GU C 345 del 13.10.2017, pag. 130; GU C 345 del 13.10.2017, pag. 138.

(14)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 119.

(15)  GU C 367 del 10.10.2018, pag. 73.

(16)  http://www.lastampa.it/2016/08/11/esteri/airbnb-in-francia-riscoppia-il-caso-tasse-KfgawDjefZxFdSNydZs8XP/pagina.html.

(17)  INT/845, Intelligenza artificiale/effetti sul lavoro, Salis Madinier e Samm, 2018 (cfr. pagina 1 della presente GU).

(18)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.

(19)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 119.

(20)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(21)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 127.

(22)  GU C 75 del 10.3.2017, pag. 119.

(23)  Decisione C(2018)2393 della Commissione, articolo 10.

(24)  GU C 173 del 31.5.2017, pag. 45; GU C 173 del 31.5.2017, pag. 1.


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/183


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo»

[COM(2018) 236 final]

(2018/C 440/32)

Relatore:

Martin SIECKER

Consultazione

Commissione europea, 18.6.2018

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione

Adozione in sezione

6.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

121/16/34

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La libertà di informazione e di espressione costituisce un diritto inviolabile nell'UE; tuttavia, tale libertà viene utilizzata per negare i principi che ne sono alla base, in modo da rendere impossibili il dibattito e la riflessione critica, e non come strumento d'informazione e persuasione, bensì come arma. La disinformazione è utilizzata come una forma estrema di abuso dei mezzi di comunicazione che mira a influenzare i processi politici e sociali ed è particolarmente efficace quando è sponsorizzata dai governi e utilizzata nelle relazioni internazionali. In casi più gravi sono (tra gli altri) è la disinformazione di Stato finanziata dalla Russia, la campagna Brexit che può essere classificata solo come un attacco frontale contro l'UE e l'ingerenza nell'elezione presidenziale degli Stati Uniti. Tutte queste azioni di destabilizzazione sollevano gravi preoccupazioni per la società civile europea.

1.2

Attualmente tutta una gamma di metodi e di strumenti viene impiegata per minare i valori europei e le azioni esterne dell'UE, nonché suscitare e sviluppare atteggiamenti nazionalistici e separatisti, manipolare l'opinione pubblica e interferire nella politica interna di paesi sovrani e dell'UE nel suo insieme. Inoltre, si osserva una crescente influenza delle capacità di offensiva informatica e del maggiore utilizzo delle tecnologie come armi per conseguire obiettivi politici. L'impatto di tali azioni viene spesso sottovalutato (1).

1.3

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) concorda con la Commissione europea riguardo all'invito a una maggiore responsabilità da parte delle piattaforme dei social media. Tuttavia, nonostante i numerosi studi e documenti orientativi elaborati sull'argomento in questi ultimi anni da esperti europei, la comunicazione in esame non propone alcuna misura pratica obbligatoria da intraprendere a tal fine.

1.4

Sulla base delle ricerche disponibili, l'UE dovrebbe garantire che si continui a studiare costantemente l'impatto della disinformazione in Europa, anche mediante il monitoraggio, nelle future indagini Eurobarometro, della resilienza degli europei nei confronti di tale fenomeno. Detti sondaggi, oltre a includere dati generici circa le notizie false, dovrebbero anche rilevare lo «stato di salute» effettivo del «sistema immunitario» degli europei nei confronti della disinformazione. La Commissione, per mancanza di urgenza e di ambizione, non affronta una serie di questioni fondamentali: ad esempio, adottare misure di sostegno ai media tradizionali affinché sia garantito il diritto fondamentale dei cittadini a un'informazione affidabile e di qualità, valutare la possibilità di costituire partenariati pubblico-privati per creare piattaforme online a pagamento che offrano servizi online sicuri e a prezzi accessibili, esplorare opportunità di garantire una maggiore trasparenza e un maggiore controllo riguardo agli algoritmi sottesi a tali sistemi online e di un maggiore controllo di tali algoritmi e studiare la possibilità di smantellare i monopoli per ristabilire condizioni di concorrenza equa al fine di prevenire la crescente corruzione della società.

1.5

Il CESE si rammarica che sia la comunicazione della Commissione sia la relazione del gruppo di esperti ad alto livello non menzionino la Russia quale importante fonte di disinformazione ostile nei confronti dell'UE. Eppure, il primo passo verso la risoluzione di qualsiasi problema è quello di ammetterne l'esistenza.

1.6

Prendendo spunto dalla risoluzione del Parlamento europeo del 15 giugno 2017 sulle piattaforme online e il mercato unico digitale (2), la Commissione fa riferimento agli inviti formulati dal CESE ad applicare adeguatamente la legislazione esistente in materia di piattaforme online. Il CESE invita inoltre la Commissione a portare a termine la discussione sul regime di responsabilità giuridica per le piattaforme online e ad applicare una regolamentazione mirata alle piattaforme online per quanto riguarda la loro definizione e le loro caratteristiche. Le piattaforme online e i social network dovrebbero impegnarsi a favore di tali misure in modo da garantire la trasparenza, spiegando in che modo gli algoritmi selezionano le notizie portate in primo piano, ed essere incoraggiati ad adottare misure efficaci per migliorare la visibilità delle notizie attendibili e degne di fede e facilitare l'accesso degli utenti ad esse.

1.7

Uno dei problemi della disinformazione è costituito dal fatto che è impossibile verificare l'identità delle fonti che diffondono queste notizie attraverso Internet. Nel ciberspazio è fin troppo facile agire sotto falsa identità, e ed è proprio quel che fanno in genere le persone che operano online con intento doloso. La Commissione presenta al riguardo numerose proposte, enunciate nella comunicazione congiunta sulla cibersicurezza pubblicata nel settembre 2017. Il problema è che tali proposte non sono vincolanti. Se si vuole veramente lasciare un segno nella lotta alla disinformazione, potrebbero essere necessarie misure più rigorose in materia di identificazione delle persone che utilizzano Internet in modo proattivo. È così, del resto, che operano i mezzi di informazione di qualità, conformemente al «codice d'onore internazionale del giornalista», elaborato dalla Federazione internazionale dei giornalisti a Bordeaux nel 1954, il quale stabilisce principi molto chiari e rigorosi su come lavorare con le fonti. Nomi e indirizzi delle fonti devono sempre essere noti ai membri della redazione.

1.8

Il CESE concorda con la Commissione sul fatto che i membri della comunità dei verificatori di fatti dovrebbe lavorare insieme a stretto contatto tra loro. Reti di questo tipo esistono già, compresa una che opera nell'ambito della task force East StratCom. Il problema è costituito dal fatto che esse mancano di un finanziamento adeguato, attualmente non disponibile. Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a sostenere senza esitazione gli sforzi della task force East StratCom, A tal fine andrebbe prevista non soltanto una dotazione adeguata, ma anche la partecipazione attiva di tutti gli Stati membri alle sue attività, basata sul distacco di esperti presso la task force e sulla creazione di punti di contatto. Il sito web che illustra i risultati conseguiti da questa task force (3) dovrebbe essere pubblicizzato in modo più proattivo al fine di sensibilizzare l'opinione pubblica nell'UE alla presenza di minacce.

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1

Per un sano dibattito democratico è indispensabile un ecosistema dell'informazione ben funzionante, libero e pluralistico, basato su standard professionali elevati. La Commissione europea considera con attenzione le minacce che la disinformazione pone per le nostre società aperte e democratiche.

2.2

La Commissione intende presentare un approccio globale che mira a rispondere a tali minacce promuovendo ecosistemi digitali (4) fondati sulla trasparenza e che privilegiano l'informazione di elevata qualità, offrendo ai cittadini gli strumenti per riconoscere la disinformazione e proteggendo le nostre democrazie e i nostri processi di definizione delle politiche.

2.3

La Commissione invita tutti i soggetti interessati a intensificare notevolmente gli sforzi per affrontare in modo adeguato il problema della disinformazione. A suo avviso, le azioni proposte, se attuate in modo efficace, contribuiranno concretamente a contrastare la disinformazione online.

2.4

La Commissione individua tre principali cause del problema (creazione di disinformazione, amplificazione tramite i social media e altri mezzi di informazione online, diffusione da parte degli utenti delle piattaforme online) e presenta una serie di proposte per farvi fronte, in cinque settori d'intervento diversi:

creazione di un ecosistema online più trasparente, affidabile e responsabile;

garanzia di processi elettorali sicuri e solidi;

promozione dell'istruzione e alfabetizzazione mediatica;

sostegno al giornalismo di qualità come elemento essenziale di una società democratica;

contrasto delle minacce interne ed esterne poste dalla disinformazione grazie a una comunicazione strategica.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il fenomeno crescente della diffusione organizzata di notizie false provenienti da svariate fonti statali e non statali costituisce una vera e propria minaccia per la democrazia. Tra queste forze destabilizzanti figurano i governi di nazioni più grandi di qualunque Stato membro dell'UE. L'UE è il partner più appropriato per agire contro tale minaccia: a differenza di ogni singolo Stato membro, infatti, essa dispone di una massa critica e di risorse tali da collocarla in una posizione ideale per elaborare e attuare strategie e politiche al fine di fronteggiare questo complesso problema.

3.2

Affinché una democrazia funzioni correttamente, occorre che i cittadini siano bene informati, in grado di effettuare scelte consapevoli basate su fatti attendibili e su opinioni degne di fiducia. Perché ciò accada, è fondamentale un sistema di imprese mediatiche indipendenti, affidabili e trasparenti, che riservi una posizione speciale alle emittenti pubbliche e impieghi personale professionale in numero considerevole per raccogliere, controllare, valutare, analizzare e interpretare le fonti di informazione al fine di garantire un certo livello di qualità e di solidità alle storie pubblicate.

3.3

Tra la diffusione di notizie false e la disinformazione vi è una differenza. Le notizie false sono sempre esistite nella storia dell'umanità: si tratta di un termine generale che comprende le voci incontrollate, la propaganda di guerra, l'incitamento all'odio, il sensazionalismo, le notizie menzognere, l'utilizzo selettivo dei fatti ed altro ancora. L'invenzione della stampa nel XV secolo ha reso possibile la diffusione di notizie (false) su più vasta scala, e la loro portata geografica si è ulteriormente ampliata con l'introduzione del francobollo nel 1840. La tecnologia digitale e Internet hanno abbattuto gli ultimi ostacoli alla diffusione illimitata.

3.4

Per disinformazione, invece, si intende un'informazione rivelatasi falsa o fuorviante, che è concepita, presentata e diffusa a scopo di lucro o con l'intenzione di ingannare il pubblico, può arrecare pregiudizio ai processi politici democratici e influenzare le elezioni, e costituisce una grave minaccia per la società (5).

3.5

Alla catena della disinformazione partecipano molteplici attori che, rispettivamente, creano o consumano tali notizie, nonché piattaforme online che svolgono un ruolo generale nell'intero processo agevolando la diffusione di tali informazioni.

Chi crea la disinformazione (ad esempio governi, istituzioni religiose, gruppi di imprese, partiti politici, organizzazioni ideologiche, ecc.) è mosso da motivi diversi (influenzare e manipolare l'opinione pubblica, confermare la propria presunta superiorità, ricavare dei vantaggi od ottenerne di più, acquisire potere, instillare l'odio, giustificare l'esclusione, ecc.).

Chi la diffonde (in particolare le piattaforme online, ma anche i media tradizionali) è mosso da motivi diversi, tra cui i benefici finanziari o la manipolazione intenzionale.

Chi la consuma (utente di Internet) spesso non è sufficientemente critico nel farlo ed è quindi manipolato intenzionalmente dalle piattaforme online. Le aziende tecnologiche intermediarie, come Twitter, Google e Facebook (per citarne solo alcune), facilitano la condivisione illimitata e incontrollata di contenuti sulle piattaforme online e, in cambio, raccolgono dati privati che consentono a tali piattaforme di creare enormi profitti tramite una pubblicità accuratamente mirata che produce messaggi promozionali su misura per gruppi di destinatari individuati con estrema precisione. L'ignoranza dei consumatori rispetto alla protezione digitale dei propri dati contribuisce ad aggravare il problema.

3.6

Le aziende tecnologiche interessate sono tra i principali responsabili, in quanto svolgono un ruolo globale in questo processo. Esse non ritengono di pubblicare del materiale, ma di essere «soltanto» piattaforme online che diffondono informazioni e altri contenuti creati da mezzi di informazione ufficialmente riconosciuti, senza dover sostenere i costi derivanti dalla creazione di contenuti da parte di una redazione vera e propria. I contenuti provenienti da altre fonti vengono distribuiti senza controllare, valutare, analizzare o interpretare il materiale che viene pubblicato. Google non è «soltanto» una piattaforma, perché inquadra, modella e distorce il nostro modo di vedere il mondo. È questa una delle conclusioni a cui giunge l'articolo The great Brexit robbery: how our democracy was hijacked [«La grande rapina della Brexit: come la nostra democrazia è stata hackerata»] pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian. Nell'articolo si analizza in che modo l'esito del referendum sul recesso del Regno Unito dall'UE sia stato influenzato da un'operazione dai lati oscuri e condotta su scala globale dalle forze di diversa natura che hanno animato la campagna a favore della Brexit. Dal momento che la disinformazione e le notizie attendibili sono presentate senza distinzione, gli utenti hanno a loro volta difficoltà a scindere le une dalle altre. Le aziende tecnologiche dovrebbero dunque porsi la priorità di diventare trasparenti riguardo alle regole e ai dati. In proposito assume particolare rilievo la trasparenza dei rapporti tra le politiche in materia di entrate pubblicitarie delle piattaforme e la diffusione della disinformazione. (In tale contesto andrebbero seguiti da vicino i negoziati in corso sul codice di buone pratiche dell'UE sulla disinformazione, che avrebbe dovuto essere pubblicato entro la fine di luglio 2018).

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Al di là della diversità dei messaggi, dei canali, degli strumenti, dei livelli, delle ambizioni e degli obiettivi tattici delle sue campagne, nonché della sua capacità di adattarsi ai cambiamenti, la disinformazione persegue l'obiettivo strategico di minare le basi della democrazia liberale e di seminare e amplificare la sfiducia verso le fonti attendibili di informazione, l'orientamento geopolitico assunto da un paese e l'attività delle organizzazioni intergovernative. La disinformazione è utilizzata per sfruttare e approfondire le divisioni tra i diversi gruppi socioeconomici basate sull'appartenenza nazionale, l'origine etnica, il reddito, l'età, l'istruzione e l'occupazione. Oltre che in forme ormai ben conosciute come gli organi di «informazione», l'uso delle piattaforme online, l'invio di email di massa ecc., essa opera anche attraverso varie altre forme: ad esempio agenzie di pubbliche relazioni, lobbisti, think tank, organizzazioni non governative, gruppi di influenza, partiti politici, comunità di esperti, attività culturali e movimenti europei di estrema destra e di estrema sinistra, che ricevono finanziamenti tramite vari fondi fiduciari pubblici «indipendenti», conti offshore o altri canali.

4.2

Il governo russo sta impiegando un'ampia gamma di strumenti e meccanismi nelle sue campagne di disinformazione, come hanno già rilevato il Parlamento europeo (6), la Commissione europea (7) e il Consiglio europeo (8). Queste campagne di disinformazione dovrebbero essere prese con la massima serietà. Esse formano parte integrante della dottrina militare russa e sono bene accette all'alta dirigenza dei più importanti media russi di proprietà statale. Queste campagne sono direttamente intese a ledere la democrazia liberale, lo Stato di diritto e i diritti umani e a tacitare le istituzioni, le organizzazioni intergovernative, gli esponenti politici e le altre persone che difendono tali diritti e tali valori (9).

4.3

Viviamo in un'epoca caratterizzata da relazioni politiche e democratiche fortemente polarizzate. A quanto affermano gruppi di riflessione come Freedom House, l'unità Intelligence del settimanale britannico The Economist ed altri ancora, la democrazia è soggetta a pressioni crescenti fin dalla crisi economica mondiale del 2008. Uno dei risultati di tale fenomeno è la presenza di un nuovo tipo di leadership politica con un profilo che segna una rottura con la tradizione democratica che abbiamo costruito in Europa negli ultimi 70 anni. Invece di una leadership liberale scelta secondo criteri democratici, siamo in presenza di un numero sempre più elevato di «uomini forti», la cui elezione è permeata da interrogativi insistenti sulla correttezza delle relative procedure. Eravamo abituati a vedere questo tipo di leader al di fuori della sfera d'influenza dell'UE, ad esempio in Russia e in Cina. Di fronte a rappresentanti del genere di Trump e Erdoğan e alla presenza di «democratici illiberali» negli Stati membri dell'UE — tutti divenuti celebri per la loro preferenza per la disinformazione, il loro disprezzo per la democrazia e il loro difficile rapporto con lo Stato di diritto — il fenomeno sta assumendo toni molto forti e comincia a interessarci incredibilmente da vicino.

4.4

Affinché una democrazia funzioni correttamente, occorre che i cittadini siano ben informati ed effettuino scelte consapevoli basate su fatti attendibili e su opinioni degne di fiducia, ma nella nostra società di oggi l'«affidabilità» e la «fiducia» non sono più concetti scontati. In questo tipo di clima sociale fortemente polarizzato e in presenza di un eccesso di informazioni, la gente è molto vulnerabile alla disinformazione, e diventa così relativamente facile manipolarne il comportamento. A queste operazioni di destabilizzazione ampiamente riuscite abbiamo già assistito in occasione delle elezioni politiche in diversi Stati membri, ed anche nel corso di eventi diversi, come la campagna per la Brexit, le campagne di disinformazione relative agli attacchi perpetrati contro la Crimea e l'Ucraina e l'abbattimento del volo MH17 della compagnia aerea Malaysia Airlines, colpito da un missile antiaereo Buk delle milizie russe, che ha provocato la morte di tutte le 298 persone presenti a bordo. La Commissione è incoraggiata a cercare modi più proattivi per istruire il pubblico riguardo alle minacce poste dalle campagne di disinformazione, dagli attacchi informatici e dall'impatto complessivo delle influenze straniere sulla società — magari traendo spunto dagli sviluppi osservati di recente in altri paesi — informazioni accessibili e attraenti su problemi della cibersicurezza, dando loro consigli pratici e suggerendo loro buone pratiche sui modi migliori di proteggere, nella vita di ogni giorno, l'ambiente digitale che li circonda.

4.5

Il CESE conviene con la Commissione sul fatto che, data la complessità della materia e la sua rapida evoluzione nel contesto digitale, qualunque risposta politica debba essere globale, valutare costantemente il fenomeno della disinformazione e adeguare gli obiettivi politici alla luce di tale evoluzione. Non esiste una soluzione unica che possa far fronte a tutti i problemi, ma l'inazione non è un'opzione praticabile. Le proposte della Commissione rappresentano un passo nella direzione giusta, ma occorre fare di più e meglio. La trasparenza, la diversità, la credibilità e l'inclusività dovrebbero orientare l'azione volta a contrastare la disinformazione, tutelando al contempo la libertà di parola e altri diritti fondamentali.

4.6

La Russia sembra particolarmente attiva nel campo della disinformazione e della guerra ibrida condotta contro l'Occidente e in particolare l'UE. Per contrastare tale fenomeno, occorre al più presto un ecosistema online più trasparente, affidabile e responsabile. Il CESE raccomanda di utilizzare il Prague Manual (manuale di Praga), uno studio finanziato dal ministero degli Affari esteri dei Paesi Bassi e dal Fondo internazionale di Visegrad che fornisce un quadro chiaro dell'opera sovversiva condotta dalla Russia nell'UE a fini ostili e della minaccia che essa rappresenta per la democrazia. Pur essendovi ancora alcuni Stati membri che mettono in dubbio l'esistenza stessa di questa forma di minaccia o che addirittura contribuiscono alla sua diffusione, lo studio è molto chiaro nel concludere che l'UE deve assolutamente prendere provvedimenti. Esso presenta alcune proposte concrete su come progettare e attuare strategie per contrastare le influenze ostili e sovversive.

4.7

Il ruolo svolto dalle piattaforme online in termini di disinformazione è moralmente deplorevole. In tempi relativamente brevi queste piattaforme hanno acquisito in sostanza una sorta di funzione di servizio pubblico simile a quella svolta, in passato, dalle aziende di telefonia, dalle emittenti radiotelevisive e dai giornali. Per utilizzare «liberamente» i servizi offerti dalle piattaforme online, gli utenti pagano con dati personali che consentono a queste piattaforme di vendere un'enorme quantità di pubblicità estremamente mirata, come mostra la vicenda di Cambridge Analytica. Questo modello di guadagno distorto (in termini di privacy) è troppo redditizio perché tali piattaforme decidano di abolirlo su base volontaria. C'è chi ha suggerito che le piattaforme come Facebook dovrebbero anche offrire un servizio credibile e ben funzionante sulla falsariga di Facebook, per il quale gli utenti dovrebbero pagare un importo ragionevole in cambio della garanzia che la loro vita privata sarà tutelata. Vi è però da chiedersi se i potenziali utenti nutrano ancora un grado di fiducia sufficiente nella credibilità e nell'integrità di portali come Facebook, dopo aver visto come l'azienda che gestisce il portale ha giustificato il suo comportamento di fronte al Senato degli Stati Uniti. Per accrescere la fiducia del pubblico nelle piattaforme online e proteggere i cittadini contro questa forma di abuso, compresi il trattamento scorretto e la condivisione dei dati personali, tali piattaforme devono essere regolamentate, come precedentemente indicato, dal codice di condotta per contrastare i discorsi illeciti incitanti all'odio online del 2016, dal regolamento generale sulla protezione dei dati o dalla direttiva sulla sicurezza delle reti e dell'informazione (direttiva NIS). Tuttavia l'autoregolamentazione proposta dalla Commissione è solo un primo passo in questa direzione e dovrebbe essere accompagnata da ulteriori misure da parte di questa istituzione.

4.8

Lo scrittore e imprenditore britannico Andrew Keen, noto come l'Anticristo di Silicon Valley, ha pubblicato quattro libri fortemente critici riguardo allo sviluppo di Internet. Keen non si dice contrario a Internet o ai social media, ma ritiene che il vero problema siano le attività delle grandi aziende del settore tecnologico, che puntano a raccogliere informazioni sensibili sulle persone. La privacy è un bene molto prezioso, perché definisce la nostra identità. Il modello commerciale cosiddetto gratuito — in cui paghiamo non in denaro, ma rinunciando alla nostra vita privata — finirà per distruggere la nostra privacy. Keen traccia un parallelo con il XIX secolo, quando la rivoluzione industriale creò un cambiamento comparabile, per la sua portata, con il cambiamento che la rivoluzione digitale sta producendo in questo momento. Quando il cambiamento viene definito rivoluzionario, solitamente porta con sé problemi enormi. Nel XIX secolo l'uomo è riuscito a risolvere questi problemi con strumenti come l'innovazione, la regolamentazione, le scelte dei consumatori, l'azione civile e l'istruzione. Il messaggio di Keen è che l'intelligenza umana — non quella artificiale — può farcela di nuovo e che dobbiamo attingere a tutte le risorse già utilizzate per contenere la rivoluzione precedente, allo scopo — questa volta — di garantire il controllo della rivoluzione digitale e impedire che sia quest'ultima a dominarci.

4.9

Sulla base delle ricerche disponibili, l'UE dovrebbe garantire che si continui a studiare costantemente l'impatto della disinformazione in Europa, anche mediante il monitoraggio, nelle future indagini Eurobarometro, della resilienza degli europei nei confronti di tale fenomeno. Detti sondaggi, oltre a includere dati generici circa le notizie false, dovrebbero anche rilevare lo «stato di salute» effettivo del «sistema immunitario» degli europei nei confronti della disinformazione. La Commissione, per mancanza di urgenza e di ambizione, non affronta una serie di questioni fondamentali: ad esempio, adottare misure di sostegno ai media tradizionali affinché sia garantito il diritto fondamentale dei cittadini a un'informazione affidabile e di qualità, valutare la possibilità di costituire partenariati pubblico-privati per creare piattaforme online a pagamento che offrano servizi online sicuri e a prezzi accessibili, esplorare opportunità di garantire una maggiore trasparenza e un maggiore controllo riguardo agli algoritmi sottesi a tali sistemi online e di un maggiore controllo di tali algoritmi e studiare la possibilità di smantellare i monopoli per ristabilire condizioni di concorrenza equa al fine di prevenire la crescente corruzione della società.

4.10

Potrebbe essere utile valutare, ad esempio, l'opportunità di creare una piattaforma online basata su un partenariato pubblico-privato che garantisca la tutela della vita privata degli utenti. Una piattaforma europea di questo tipo, in cui la Commissione figurerebbe come partner pubblico co-finanziatore, potrebbe essere una proposta molto interessante e promettente in alternativa allo strumento di manipolazione di Mark Zuckerberg e ad altri grandi monopoli privati e commerciali provenienti dagli Stati Uniti e dalla Cina. Una simile piattaforma dovrebbe garantire il rispetto della vita privata dei suoi utenti.

4.11

In un'economia di mercato c'è sempre un prezzo da pagare per tutto, ma, grazie a questa alternativa, stavolta il mezzo di pagamento sarebbe il denaro e non la privacy. Gran parte della dotazione finanziaria necessaria per questo servizio semipubblico potrebbe essere finanziata con il denaro dei contribuenti, come avviene per tutti i servizi pubblici. Per coprire il resto delle spese, gli utenti pagherebbero un importo relativamente modesto per proteggere la loro vita privata dall'insaziabile fame di dati privati delle attuali piattaforme «sociali». Se l'UE e i governi nazionali degli Stati membri dichiarassero ufficialmente che tale piattaforma costituisce il loro partner di elezione, utilizzandola come alternativa agli attuali predatori di dati, si realizzerebbe l'economia di scala necessaria per avere una possibilità di competere con gli operatori del mercato attuale. L'UE potrebbe inoltre scegliere come partner di elezione i motori di ricerca che garantiscono attualmente assoluta riservatezza, installarli per impostazione predefinita su tutti i computer utilizzati dalle istituzioni dell'UE e raccomandarne l'installazione per impostazione predefinita negli uffici pubblici degli Stati membri. La Commissione potrebbe inoltre svolgere un ruolo più proattivo e valutare eventuali possibilità di regolamentazione in materia di algoritmi e smantellamento dei monopoli.

4.12

Pur senza costituire la soluzione al problema, la verifica dei fatti riveste comunque una grande importanza. Essa costituisce il primo passo verso la comprensione, la denuncia e l'analisi della disinformazione, che è necessario prima di poter mettere a punto ulteriori contromisure. È inoltre richiesto un notevole sforzo per ottenere l'attenzione di un pubblico più ampio, dal momento che non tutti utilizzano le piattaforme dei social media o addirittura Internet. Gli abitanti delle regioni remote possono essere particolarmente difficili da raggiungere. La visibilità nei mezzi di comunicazione è importante. La televisione rimane la fonte di informazioni più diffusa tra i cittadini, e una trasmissione che, con cadenza periodica, tratti i casi di disinformazione nelle rispettive lingue nazionali può contribuire in modo significativo a sensibilizzare l'opinione pubblica al problema. È importante che il processo di verifica dei fatti sia effettuato da professionisti onde evitare gli errori che hanno segnato, di recente, il primo tentativo compiuto dalla Commissione. La cooperazione con gli editori e le organizzazioni dei media i cui giornalisti sono coinvolti nella verifica dei fatti può evitare questo genere di problemi.

4.13

Uno dei problemi della disinformazione è costituito dal fatto che è impossibile verificare l'identità delle fonti che diffondono queste notizie attraverso Internet. Nel ciberspazio è fin troppo facile agire sotto falsa identità, e ed è proprio questo che fanno in genere le persone che operano online con intento doloso. La Commissione presenta al riguardo numerose proposte, enunciate nella comunicazione congiunta sulla cibersicurezza pubblicata nel settembre 2017. Il problema consiste nel fatto che queste proposte non sono vincolanti; ad esempio, l'utente potrebbe scegliere di aderire solo alle piattaforme online in cui gli altri interlocutori si sono registrati fornendo la loro identità; la Commissione, da parte sua, promuoverà il ricorso a sistemi online volontari che consentono di identificare la fonte delle informazioni, ecc. In questo caso, si configura, naturalmente, un potenziale conflitto di interessi tra il diritto alla privacy e il pieno controllo, e dovrebbe essere consentito mantenere l'anonimato quando si naviga su Internet da utente passivo. Tuttavia, se si vuole veramente lasciare un segno nella lotta alla disinformazione, potrebbero essere necessarie misure più rigorose in materia di identificazione delle persone che utilizzano Internet in modo proattivo. È così, del resto, che operano i mezzi di informazione di qualità, in conformità con il «codice d'onore internazionale del giornalista», elaborato dalla Federazione internazionale dei giornalisti a Bordeaux nel 1954, il quale stabilisce principi molto chiari e rigorosi su come lavorare con le fonti. A volte esistono valide ragioni per cui le agenzie di informazione di qualità tradizionali pubblicano storie fornite da fonti anonime, precisando però sempre che i membri della redazione conoscono il nome e l'indirizzo della fonte.

4.14

Le tecnologie non sono né buone né cattive. Sono neutre. Possono essere utilizzate bene o male, a seconda delle scelte effettuate da chi le usa. Le nuove tecnologie emergenti, come quelle attualmente utilizzate nell'arte della disinformazione, hanno anche il potenziale per svolgere un ruolo centrale nella lotta alla disinformazione stessa. Il CESE accoglie pertanto con favore l'intenzione della Commissione di trarre pieno vantaggio dal programma di lavoro di Orizzonte 2020 e dal suo successore Orizzonte Europa per mobilitare la ricerca e tecnologie come l'intelligenza artificiale, la catena di blocchi (blockchain) e gli algoritmi, al fine di individuare meglio le fonti, verificare l'affidabilità delle informazioni e valutare la qualità e l'accuratezza delle fonti di dati in futuro. Tuttavia, reputa di cruciale importanza analizzare in dettaglio altre possibilità di finanziare le misure di contrasto alla disinformazione, considerato che la maggior parte delle iniziative in tal senso non è ammissibile ai programmi Orizzonte.

4.15

Processi elettorali sicuri e solidi sono alla base della democrazia nell'UE, ma questi due attributi non sono più garantiti. Negli ultimi anni sono state scoperte tattiche di manipolazione e di disinformazione online, in un contesto elettorale, in almeno 18 paesi, e le tattiche di disinformazione hanno contribuito per il settimo anno consecutivo a un declino generale della libertà in Internet. Il CESE accoglie con favore le iniziative adottate dalla Commissione per individuare le migliori pratiche in materia di identificazione, mitigazione e gestione dei rischi che gli attacchi informatici e la disinformazione comportano per il processo elettorale, in vista delle elezioni del Parlamento europeo nel 2019.

4.16

Le competenze mediatiche e digitali e l'educazione civica sono elementi fondamentali per accrescere la resilienza della società, considerato in particolare che i giovani, fortemente presenti sulle piattaforme online, sono molto sensibili alla disinformazione. La politica in materia di istruzione rappresenta una responsabilità dei governi e, di conseguenza, l'organizzazione di iniziative in tal senso a tutti i livelli dei sistemi di istruzione nazionali e la formazione degli insegnanti in materia rientrano tra i compiti dei governi nazionali. Spesso, purtroppo, questi ultimi dimenticano di attribuire una posizione di primo piano, nei loro programmi politici, ai corsi di alfabetizzazione mediatica e informatica nei sistemi di istruzione nazionali. Prima di tutto bisognerebbe rimediare a tale situazione, anche se l'alfabetizzazione mediatica e informatica va anche al di là dei sistemi di istruzione. Essa va promossa e migliorata tra tutti i gruppi della società, indipendentemente dalla fascia d'età. In questi campi le organizzazioni non governative (ONG) dovrebbero svolgere una funzione ben precisa. Molte ONG sono già attive su tutto il territorio europeo, ma per lo più operano su scala ridotta e non garantiscono la copertura necessaria. Iniziative di cooperazione nazionale tra le ONG e i governi nazionali potrebbero colmare questa lacuna.

4.17

Mezzi di informazione di qualità e un giornalismo affidabile svolgono un ruolo essenziale nel fornire al pubblico informazioni solide e diversificate. Questi mezzi di informazione tradizionali attraversano attualmente problemi finanziari, in quanto le piattaforme diffondono contenuti prodotti dai media tradizionali senza rimborsarli delle spese da questi sostenute e poi sottraggono loro gli introiti derivanti dalla vendita di pubblicità. Per migliorare la posizione degli editori e garantire ai titolari dei diritti una compensazione per il loro lavoro se il frutto di tale lavoro viene sfruttato da altri a fini commerciali, sarebbe auspicabile un accordo, in tempi brevi, sulla riforma del diritto d'autore dell'UE. Inoltre, si raccomanda di cercare soluzioni per ampliare l'iniziativa, annunciata nel settembre 2018 dal Parlamento europeo, relativa a un fondo europeo specificamente rivolto a sostenere il giornalismo investigativo nell'UE. Una stampa forte e affidabile conduce a una democrazia resiliente e facile da difendere, dove rimangono saldi i valori della verità e della responsabilità. Un sostegno finanziario è particolarmente importante per i piccoli organi di informazione, che devono spesso affrontare azioni legali e cause vessatorie intese a costringerli alla chiusura.

4.18

Per contrastare le minacce interne ed esterne di disinformazione, nel 2015 la Commissione ha istituito la task force East StratCom con il compito di puntare a una comunicazione strategica proattiva sulle politiche dell'UE, al fine di contrastare i tentativi di destabilizzazione da parte della Russia. Il CESE sarebbe lieto se la Commissione riuscisse a mostrarsi maggiormente proattiva nel diffondere il lavoro della task force presso il grande pubblico, rimandandolo alle informazioni fornite dall'apposito sito web al fine di sensibilizzarlo maggiormente alle minacce per la democrazia europea e di accrescere la sua resistenza a tali minacce. È inoltre necessario aumentare la dotazione finanziaria della task force. Il Parlamento europeo aveva approvato nell'ottobre 2017 uno stanziamento di 1 milione di euro, che regge a stento il confronto con le risorse finanziarie investite da altri interlocutori, ad esempio la Federazione russa. (Secondo le stime del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, la sofisticata campagna condotta dal Cremlino per esercitare la propria influenza prevede uno strumento di propaganda interna ed esterna del valore di 1,4 miliardi di dollari l'anno, che sostiene di poter raggiungere circa 600 milioni di persone in 130 paesi e in 30 lingue).

4.19

Accanto alle altre iniziative, la Commissione dovrebbe prestare attenzione al fatto che, negli Stati membri, le istituzioni e le normative nazionali che si occupano della sicurezza dell'informazione sono spesso poco sviluppate. Il contesto normativo è obsoleto, il che impedisce agli organi competenti di effettuare i dovuti controlli sul rispetto delle norme di legge da parte dei canali di disinformazione. La cooperazione tra le istituzioni è insufficiente e vi è un'evidente carenza di strategie nazionali a lungo termine per contrastare le campagne di disinformazione orchestrate da paesi terzi e produrre narrazioni coerenti rivolte ai settori della popolazione più vulnerabili. Una revisione approfondita della direttiva UE sui servizi di media audiovisivi, che attualmente permette a un'impresa di mezzi di informazione di stabilire la sua sede in qualsiasi Stato membro a condizione che uno dei membri del consiglio di amministrazione dell'impresa risieda in tale paese, è altrettanto cruciale, perché oggi tale normativa consente di raggiungere il pubblico nei paesi europei sfruttando le lacune nella legislazione dell'UE.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Relazione informativa REX/432 L'uso dei media per influenzare i processi politici e sociali nell'UE e nei paesi del vicinato orientale.

(2)  2016/2276(INI).

(3)  https://euvsdisinfo.eu.

(4)  La Commissione usa il termine «ecosistemi» nel suo documento. Nel contesto della comunicazione, potrebbe essere meglio utilizzare il termine «infrastrutture».

(5)  Comunicazione della Commissione COM(2018) 236 final.

(6)  http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+TA+P8-TA-2017-0272+0+DOC+PDF+V0//IT.

(7)  http://ec.europa.eu/newsroom/dae/document.cfm?doc_id=50271http://ec.europa.eu/newsroom/dae/document.cfm?doc_id=50271.

(8)  http://www.consilium.europa.eu/en/meetings/european-council/2015/03/19-20/; http://www.consilium.europa.eu/media/33457/22-euco-final-conclusions-en.pdf; https://www.consilium.europa.eu/media/35936/28-euco-final-conclusions-en.pdf.

(9)  EEAS, The Strategy and Tactics of the Pro-Kremlin Disinformation Campaign [«La strategia e la tattica della campagna di disinformazione a favore del Cremlino»].


ALLEGATO

Il seguente emendamento, pur avendo ricevuto almeno un quarto dei voti espressi, è stato respinto nel corso delle deliberazioni:

Punto 4.3

4.3.

Viviamo in un'epoca caratterizzata da relazioni politiche e democratiche fortemente polarizzate. A quanto affermano gruppi di riflessione come Freedom House, l'unità Intelligence del settimanale britannico The Economist ed altri ancora, la democrazia è soggetta a pressioni crescenti fin dalla crisi economica mondiale del 2008. Uno dei risultati di tale fenomeno è la presenza di un nuovo tipo di leadership politica con un profilo che segna una rottura con la tradizione democratica che abbiamo costruito in Europa negli ultimi 70 anni. Invece di una leadership liberale scelta secondo criteri democratici, siamo in presenza di un numero sempre più elevato di «uomini forti», la cui elezione è permeata da interrogativi insistenti sulla correttezza delle relative procedure. Eravamo abituati a vedere questo tipo di leader al di fuori della sfera d'influenza dell'UE, ad esempio in Russia e in Cina. Di fronte a rappresentanti del genere di Trump e Erdoğan e alla presenza di «democratici illiberali» negli Stati membri dell'UE — tutti divenuti celebri per la loro preferenza per la disinformazione, il loro disprezzo per la democrazia e il loro difficile rapporto con lo Stato di diritto — il fenomeno sta assumendo toni molto forti e comincia a interessarci incredibilmente da vicino.

Esito della votazione

Voti favorevoli:

68

Voti contrari:

82

Astensioni:

24


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/191


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il meccanismo per collegare l’Europa e abroga i regolamenti (UE) n. 1316/2013 e (UE) n. 283/2014»

[COM(2018) 438 final — 2018/0228 (COD)]

(2018/C 440/33)

Relatore:

Aurel Laurenţiu PLOSCEANU

Correlatore:

Graham WATSON

Consultazione

Parlamento europeo, 14.6.2018

Consiglio dell’Unione europea, 3.7.2018

Base giuridica

articoli 172, 194 e 304 del TFUE

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

6.9.2018

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

144/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede che venga rafforzato il bilancio del meccanismo per collegare l’Europa (CEF) per il periodo dopo il 2020, e che le sovvenzioni rimangano la componente principale. Vari progetti di infrastrutture di trasporto, energetiche e digitali sono vitali per la competitività dell’UE, ma non generano la redditività degli investimenti necessaria per attrarre gli investitori privati. In tal senso è necessario un forte impegno delle autorità pubbliche nazionali e dell’UE.

1.2.

Il CESE raccomanda che la Commissione europea e gli Stati membri incoraggino ulteriormente le sinergie a livello di progetto tra i tre settori, che sono attualmente limitate a causa della rigidità del quadro di bilancio per quanto riguarda l’ammissibilità dei progetti e dei costi.

1.3.

Il CESE raccomanda che la Commissione continui a fornire assistenza tecnica (azione di sostegno al programma CEF) per promuovere l’ammissibilità di progetti maturi e di elevata qualità e favorire la continuità nel fornire questo tipo di assistenza, oltre ad aggiornare i criteri di valutazione per agevolare l’individuazione del valore aggiunto dei progetti. Bisognerebbe adottare ulteriori misure per semplificare i requisiti amministrativi, non solo per le sovvenzioni di importo limitato.

1.4.

Il CESE esorta i colegislatori a mantenere l’impegno, presente nel precedente regolamento sul CEF, a destinare a progetti per l’elettricità la «maggior parte» del bilancio relativo all’energia. Ciò è essenziale per garantire che il CEF sia in linea con la politica climatica ed energetica dell’UE ed evitare che divenga un’importante fonte di finanziamento per i progetti relativi alle energie fossili nell’ambito del quadro finanziario pluriennale. È importante che, nel CEF 2021-2027, questo impegno sia rafforzato piuttosto che indebolito.

1.5.

Il CESE ritiene che i criteri di attribuzione per i progetti di cui all’articolo 13 dovrebbero essere ampliati, includendovi la sicurezza dell’approvvigionamento di tutti i tipi di energia (elettricità, gas, riscaldamento ecc.) e la specifica riduzione delle emissioni di carbonio garantita da ciascun progetto.

1.6.

Il CESE sottolinea che il CEF deve puntare su progetti nel settore dell’energia in grado di assicurare all’UE maggiore indipendenza e sicurezza energetica. Bisogna anche realizzare, con il sostegno del CEF, nuovi impianti di stoccaggio dell’elettricità.

1.7.

Il CESE raccomanda di aumentare, nel prossimo quadro finanziario pluriennale, la capacità finanziaria del programma CEF. Per quanto riguarda la distribuzione dei finanziamenti tra i tre settori, il CESE raccomanda di considerare le esigenze finanziarie di ciascun settore, tra l’altro in termini di intensità di capitale e di rendimento degli investimenti, dando la preferenza a investimenti che non possono essere finanziati dal mercato, al fine di mantenere elevata la credibilità e l’attrattiva per gli investitori.

1.8.

Chiede pertanto di aumentare la dotazione di bilancio complessiva del CEF, in considerazione della grande importanza di tali settori per il mercato interno.

1.9.

Il CESE sottolinea che la Commissione e gli Stati membri devono mantenere il loro impegno riguardo ai principali obiettivi di politica dei trasporti del CEF: completamento entro il 2030 della rete centrale della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) e transizione verso una mobilità pulita, competitiva, innovativa e connessa, compresa, entro il 2025, una dorsale dell’infrastruttura di ricarica dell’UE per i carburanti alternativi. A tal fine sono estremamente importanti i collegamenti multimodali e transfrontalieri.

1.10.

Il CESE chiede che i colegislatori garantiscano una concorrenza ampia ed equa riguardo ai progetti che beneficiano di finanziamenti a titolo del CEF, rispettando la reciprocità nella pratica e utilizzando condizioni contrattuali che combinano efficienza e un’equa ripartizione dei rischi.

1.11.

Il CESE raccomanda ai colegislatori di garantire che la partecipazione alle corrispondenti procedure di gara sia aperta solo alle imprese di paesi in cui i mercati corrispondenti sono aperti, nel rispetto di un’effettiva reciprocità, e che la forma di contratto standard utilizzata sia adeguata agli obiettivi e alle circostanze del progetto. Le condizioni contrattuali dovrebbero essere formulate in modo da ripartire equamente i rischi associati al contratto, con l’obiettivo prioritario di conseguire il prezzo più economico e l’esecuzione più efficiente del contratto stesso. Questo principio dovrebbe essere applicato indipendentemente dal fatto che vengano utilizzate forme di appalto standard nazionali o internazionali (in base all’articolo 3.21 delle Politiche e delle norme della BERS in materia di appalti, del 1o novembre 2017).

1.12.

Il CESE sostiene con forza la proposta di includere nel CEF 2021-2027 la cooperazione transfrontaliera in materia di generazione di energia rinnovabile. Il CESE suggerisce che la prospettiva generale delle azioni in materia di energia rinnovabile nell’ambito del CEF dovrebbe essere quella di creare una rete su scala europea per l’elettricità di fonte rinnovabile, che consenta un’integrazione più efficace delle tecnologie delle energie rinnovabili e rispecchi meglio il potenziale di tecnologie disponibile in tutto il continente.

1.13.

Il CESE accoglie con favore l’inclusione degli impianti a energie rinnovabili tra i progetti ammissibili alla componente energetica del CEF, e raccomanda una modifica volta a includere sia i grandi progetti che portafogli di progetti su piccola scala per garantire una competizione equa di tutte le tecnologie per i finanziamenti.

1.14.

Il CESE raccomanda di ampliare l’elenco degli obiettivi del CEF di cui all’articolo 3, includendovi espressamente non solo l’agevolazione della cooperazione transfrontaliera in tema di energia rinnovabile, ma anche la diffusione dell’energia rinnovabile.

1.15.

Il CESE osserva che l’articolo 15, lettera c), esclude dai costi ammissibili l’acquisto di terreni, ed esorta i colegislatori a valutare se ciò possa avvantaggiare o svantaggiare determinati progetti e tecnologie. Per settori quali i trasporti e le energie rinnovabili l’acquisto di terreni costituisce una parte non trascurabile dell’investimento.

1.16.

Il CESE ricorda alla Commissione che gli interconnettori energetici transfrontalieri sono fattori cruciali per l’integrazione delle energie rinnovabili, non soltanto perché permettono la trasmissione a lunga distanza dell’elettricità da fonti rinnovabili, promuovendo l’uso di fonti di energia meno inquinanti e più economiche in tutta Europa, ma anche perché contribuiscono alla essenziale flessibilità del sistema.

1.17.

Il CESE raccomanda di avvalersi pienamente delle opportunità di integrazione delle energie rinnovabili offerte dalla digitalizzazione delle reti dell’energia e dalla creazione di reti intelligenti, e invita la Commissione a valutare in che modo possano essere sfruttate a questo scopo le sinergie tra il settore dell’energia e quello digitale del CEF. Il CESE rileva la mancanza di progetti di reti intelligenti nel CEF 2014-2020, dovuta in parte a ostacoli concernenti il finanziamento di progetti ai livelli più bassi della rete di distribuzione, a differenza dei progetti di reti di trasmissione ad alta tensione.

1.18.

Il CESE raccomanda che il CEF garantisca anche, là dove viene utilizzata elettricità rinnovabile per applicazioni nei trasporti, il ricorso a meccanismi di certificazione, ad esempio certificati di garanzia di origine rinnovabile.

1.19.

Il CESE sottolinea la necessità di dare priorità a grandi progetti su scala dell’UE per la digitalizzazione dei trasporti, come ERTMS (sistema europeo di gestione del traffico ferroviario), SESAR (progetto di ricerca sulla gestione del traffico aereo nel cielo unico europeo) e la guida autonoma. Per equipaggiare la rete centrale con il sistema ERTMS entro il 2030 occorrerà investire 15 miliardi di euro. Un progetto su vasta scala a livello dell’UE sarà finanziato con risorse provenienti dai differenti cluster del CEF, fondi privati, e una combinazione di componenti di InvestEU.

1.20.

Il CESE invoca la copertura 5G della rete TEN-T, che è una misura di importanza fondamentale.

1.21.

Il CESE chiede che siano adottate misure quali controlli efficaci, sistemazioni moderne per i pernottamenti e aree di parcheggio sufficienti dotate di attrezzature adeguate.

1.22.

Il CESE ritiene inoltre che si dovrebbero prendere in considerazione metodi di comunicazione migliori per quanto riguarda i risultati del CEF. A questo proposito potrebbe essere utile un bilancio dedicato alla comunicazione. e si potrebbe altresì considerare la possibilità di introdurre una maggiore prevedibilità.

1.23.

Il CESE raccomanda di considerare azioni ulteriori volte a dispiegare pienamente il potenziale del programma, tenendo conto del ruolo decisivo dell’intervento del CEF nel lancio della maggior parte dei progetti e della sua importanza in quanto catalizzatore di investimenti pubblici e privati. Per evitare sovrapposizioni e ottimizzare le risorse di bilancio, bisogna rafforzare la complementarità tra il CEF e altri programmi (ad esempio Orizzonte Europa, InvestEU e il Fondo di coesione).

1.24.

Il CESE ritiene che la dotazione per la coesione sia fondamentale per il completamento delle parti delle reti centrali negli Stati membri beneficiari del Fondo di coesione, e raccomanda che nel prossimo quadro finanziario pluriennale la Commissione e gli Stati membri mantengano la quota del Fondo di coesione sotto la gestione diretta del CEF. Le priorità nel settore dei trasporti devono essere sostenute dal Fondo europeo di sviluppo regionale. In ogni caso, i fondi dovranno rimanere nello Stato membro ammissibile.

1.25.

Il CESE propone di adeguare il metodo di valutazione, perché il successo del CEF non è garantito solamente dalla somma di denaro assegnata e dal numero di progetti sostenuti.

Il CESE propone di perfezionare il metodo di valutazione del CEF. Alla fine del periodo 2014-2020 si dovrebbe eseguire una vera e propria valutazione qualitativa e quantitativa dei progetti completati e di quelli in fase avanzata di realizzazione. Il CESE chiede che siano riesaminati, tra le altre cose, i progressi nello sviluppo della rete TEN-T e i cambiamenti nei flussi di traffico dei passeggeri e delle merci. Il CESE chiede inoltre che sia condotta un’analisi costi-benefici dei progetti TEN-T che tenga conto dei costi e dei benefici sociali, economici, climatici e ambientali pertinenti.

1.26.

Il CESE invita a portare a compimento misure specifiche volte a conseguire gli obiettivi generali di protezione del clima.

1.27.

Il CESE chiede che nei principali progetti infrastrutturali si tenga conto anche delle metropoli, a prescindere dalla loro ammissibilità ai finanziamenti del Fondo di coesione.

1.28.

Il CESE raccomanda misure concrete per garantire l’attrattiva dell’adeguamento, del ripotenziamento o della ristrutturazione dell’infrastruttura esistente, che rimane la spina dorsale della rete esistente e della capacità installata.

1.29.

Il CESE sostiene lo sviluppo, nel quadro del CEF, di infrastrutture a duplice uso, civile e militare, per quanto riguarda infrastrutture sia fisiche che tecnologiche (quali ERTMS e SESAR), e raccomanda un approccio aperto e proattivo nel nuovo contesto geopolitico internazionale (Iniziativa tre mari ecc.).

1.30.

Il CESE raccomanda che il CEF dia la priorità agli investimenti nelle infrastrutture transfrontaliere della rete TEN-T al fine di ottenere una capacità coerente ed evitare le strozzature in tutti i modi di trasporto, in modo da realizzare una rete di trasporti pienamente integrata.

2.   Presentazione della proposta della Commissione

2.1.

La proposta mira a istituire la base giuridica del CEF per il periodo successivo al 2020 ed è presentata per un’Unione di 27 Stati membri.

2.2.

La proposta della Commissione (1) del 2 maggio 2018, per il quadro finanziario pluriennale successivo al 2020, prevede per il CEF un importo di 42 265 milioni di EUR, ripartiti come segue:

Meccanismo per collegare l’Europa 2021-2027

Cifre a prezzi correnti, in EUR

Trasporti,

Sono compresi:

30 615 493 000

Dotazione generale

Contributo del Fondo di coesione

Sostegno alla mobilità militare

12 830 000 000

11 285 493 000

6 500 000 000

Energia

8 650 000 000

Digitale

3 000 000 000

TOTALE

42 265 493 000

2.3.

La visione per l’Europa consiste in una transizione verso la mobilità a zero decessi, zero emissioni e zero carta, per diventare un leader mondiale nel settore delle energie rinnovabili e porsi all’avanguardia nel campo dell’economia digitale.

2.4.

Il CEF sostiene gli investimenti nel settore dei trasporti, dell’energia e delle infrastrutture digitali attraverso lo sviluppo delle reti transeuropee (TEN) e inoltre promuove la cooperazione transfrontaliera in materia di generazione di energia da fonti rinnovabili. Le reti e la cooperazione transfrontaliera di cui sopra sono fondamentali per il funzionamento del mercato unico, e hanno un ruolo strategico nell’attuazione dell’Unione dell’energia e del mercato unico digitale e nello sviluppo di modi di trasporto sostenibili.

2.5.

Il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 fissa un obiettivo più ambizioso di integrazione del clima in tutti i programmi dell’UE, stabilendo che il 25 % della spesa dell’UE deve contribuire a obiettivi in materia di clima. Il CEF dovrebbe recare un importante contributo, visto che il 60 % della sua dotazione dovrebbe essere destinato ad iniziative connesse al clima.

2.6.

Le future esigenze di decarbonizzazione e digitalizzazione comporteranno una crescente convergenza dei settori dei trasporti, dell’energia e digitale. Le sinergie tra i tre settori dovrebbero pertanto essere sfruttate pienamente, così che ne risultino massimizzate l’efficacia e l’efficienza del sostegno dell’UE. Per incentivare le proposte intersettoriali e stabilirne la priorità, nell’ambito dei criteri di aggiudicazione saranno valutate le possibilità di sinergie insite nelle iniziative proposte.

2.7.

Nel settore dei trasporti, il CEF mira a contribuire al completamento dei due livelli della rete transeuropea dei trasporti TEN-T (la rete centrale entro il 2030 e il suo livello più esteso entro il 2050). Si stima che il completamento della rete centrale TEN-T genererà, tra il 2017 e il 2030, 7,5 milioni di posti di lavoro all’anno, con un aumento aggiuntivo dell’1,6 % del PIL dell’Unione europea per il 2030.

2.8.

Il CEF dovrebbe attuare, per la prima volta in assoluto, il finanziamento dell’Unione per l’attuazione di progetti di trasporto a duplice uso civile e militare.

2.9.

Per quanto riguarda il settore dell’energia, l’obiettivo principale consiste nel completare le reti energetiche transeuropee attraverso lo sviluppo di progetti di interesse comune relativi a un’ulteriore integrazione del mercato interno dell’energia e all’interoperabilità transfrontaliera e intersettoriale delle reti, oltre a perseguire lo sviluppo sostenibile creando le condizioni per la decarbonizzazione, in particolare attraverso l’integrazione delle fonti di energia rinnovabile, e la sicurezza dell’approvvigionamento, rendendo tra l’altro intelligenti e digitali le infrastrutture.

2.10.

Per quanto concerne il settore digitale, il CEF massimizza i vantaggi che tutti i cittadini, le imprese e le amministrazioni pubbliche possono ottenere dal mercato unico digitale.

2.11.

Le infrastrutture dei trasporti, dell’energia e digitali saranno supportate, in varia misura, da una serie di programmi e strumenti finanziari dell’UE, tra cui il CEF, il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), il Fondo di coesione, Orizzonte Europa, InvestEU e LIFE.

2.12.

Le azioni del programma dovrebbero essere utilizzate per porre rimedio alle carenze del mercato o alle situazioni di investimento non ottimali, in modo proporzionato, senza duplicare o soppiantare i finanziamenti privati, e dovrebbero apportare un chiaro valore aggiunto europeo.

2.13.

Il 13 febbraio 2018 la Commissione europea ha adottato le conclusioni della valutazione ex post (2), condotta in base a cinque criteri: efficacia, efficienza, rilevanza, coerenza e valore aggiunto dell’UE. Seguono alcuni estratti:

il CEF è uno strumento efficace e mirato di investimento nelle reti transeuropee (TEN), nei settori dei trasporti, dell’energia e digitale. Dal 2014 ha investito 25 miliardi di EUR, stimolando circa 50 miliardi di EUR di investimenti nelle infrastrutture nell’UE.

Il CEF apporta un elevato valore aggiunto europeo per tutti gli Stati membri, sostenendo progetti di connettività con una dimensione transfrontaliera.

Per la prima volta l’esecuzione di una quota del bilancio destinato alla coesione (11,3 miliardi di EUR per i trasporti) ha avuto luogo in gestione diretta nel quadro del CEF.

Il CEF ha continuato a utilizzare e a sviluppare strumenti finanziari innovativi. Tuttavia, la loro diffusione è stata limitata a causa delle nuove possibilità offerte dal Fondo europeo per gli investimenti strategici.

Il CEF ha anche sperimentato sinergie intersettoriali, ma è stato frenato dai vincoli imposti dall’attuale quadro giuridico e/o di bilancio. Gli orientamenti settoriali e lo strumento CEF dovrebbero essere resi più flessibili per agevolare le sinergie ed essere più sensibili ai nuovi sviluppi tecnologici e a priorità quali la digitalizzazione, accelerando al contempo la decarbonizzazione e affrontando sfide comuni per la società quali la sicurezza informatica.

2.14.

La Commissione propone di proseguire l’attuazione del nuovo programma, per i tre settori del CEF, con la gestione diretta ad opera della stessa Commissione e della sua Agenzia esecutiva per l’innovazione e le reti (Innovation and Networks Executive Agency — INEA).

2.15.

Il bilancio proposto coprirà tutta la spesa operativa necessaria per l’attuazione del programma, nonché il costo delle risorse umane e altre spese amministrative connesse alla gestione del programma.

2.16.

Rispetto al CEF 2014-2020 sarà utilizzato un quadro di riferimento dei risultati più semplice ma più solido per monitorare il raggiungimento degli obiettivi e il suo contributo agli obiettivi strategici dell’UE. Gli indicatori da utilizzare per rendere conto dell’attuazione e dei progressi riguarderanno, in particolare, i seguenti elementi:

reti e infrastrutture efficienti e interconnesse per una mobilità intelligente, sostenibile, inclusiva e sicura, unitamente all’adeguamento alle esigenze della mobilità militare;

contributo all’interconnettività e all’integrazione dei mercati, sicurezza dell’approvvigionamento energetico e sviluppo sostenibile attraverso azioni volte a consentire la decarbonizzazione; contributo alla cooperazione transfrontaliera nel campo dell’energia rinnovabile;

contributo allo sviluppo dell’infrastruttura per la connettività digitale in tutta l’UE.

3.   Osservazioni generali e particolari

3.1.

Il CESE sottolinea l’importanza strategica del programma CEF nell’ottica dell’integrazione del mercato interno, della mobilità intelligente e della possibilità di fornire, attraverso il programma, un concreto valore aggiunto ai cittadini, alla coesione sociale e alle imprese nonché prosperità e valore aggiunto all’Unione europea nel suo insieme.

Alla fine del 2017 il CEF — Trasporti aveva già assegnato 21,3 miliardi di EUR in sovvenzioni per progetti TEN-T, stimolando investimenti per un totale di 41,6 miliardi di EUR.

3.2.

Nel corso del 2018 saranno firmate ulteriori convenzioni di sovvenzione per un invito a presentare proposte di finanziamento misto, che unisce sovvenzioni del CEF e finanziamenti privati, anche a titolo del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS). Si stima che ogni miliardo di euro investito nella rete centrale TEN-T creerà fino a 20 000 posti di lavoro.

3.3.

Il CESE accoglie in generale con favore la proposta, presentata dalla Commissione europea, di un regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il meccanismo per collegare l’Europa e abroga i regolamenti (UE) n. 1316/2013 e (UE) n. 283/2014, relativamente al periodo 2021-2027.

3.4.

Il CESE constata che il CEF è uno dei programmi di maggior successo dell’UE e sottolinea l’importanza strategica di tale meccanismo per l’integrazione del mercato interno, il completamento dell’Unione dell’energia, la mobilità intelligente e la possibilità per l’UE di fornire un valore concreto ai cittadini, alla coesione sociale e alle imprese.

3.5.

Il CESE ritiene che nel prossimo quadro finanziario pluriennale si dovrebbe aumentare la capacità finanziaria del programma CEF, equilibrandola meglio per mantenere elevate la sua credibilità e la sua attrattiva per gli investitori. Un bilancio insufficiente metterebbe a rischio il completamento delle reti TEN-T e TEN-E, svalutando di fatto gli investimenti di fondi pubblici già effettuati.

3.6.

Il CESE sottolinea che gli investimenti in progetti di trasporto digitali, innovativi e sostenibili devono essere accelerati per procedere verso un sistema di trasporti più ecologico, realmente integrato, moderno, accessibile a tutti, più sicuro ed efficiente. Bisogna rafforzare la coesione sociale a livello dell’UE aumentando gli investimenti pubblici in progetti a valore aggiunto a livello di UE e regionale.

3.7.

Il CESE ritiene che le sinergie a livello di progetto tra i tre settori siano attualmente limitate a causa della rigidità del quadro di bilancio per quanto riguarda l’ammissibilità dei progetti e dei costi.

3.8.

Il CESE si compiace dell’assistenza tecnica fornita per promuovere l’ammissibilità di progetti maturi e di elevata qualità, ed è favorevole a un’erogazione continua di questo tipo di assistenza e a un aggiornamento dei criteri di valutazione per individuare più facilmente il valore aggiunto dei progetti. Bisognerebbe adottare ulteriori misure per semplificare i requisiti amministrativi, non solo per le sovvenzioni di importo limitato.

3.9.

Il CESE sottolinea che la Commissione e gli Stati membri devono mantenere il loro impegno riguardo ai principali obiettivi del CEF: completamento entro il 2030 della rete centrale TEN-T e transizione verso una mobilità pulita, competitiva, innovativa e connessa, compresa, entro il 2025, una dorsale dell’infrastruttura di ricarica dell’UE per i carburanti alternativi. A tal fine assumono grande importanza i collegamenti multimodali e transfrontalieri.

3.10.

Il CEF deve puntare su progetti nel settore dell’energia in grado di assicurare all’UE maggiore indipendenza e sicurezza energetica. Bisogna anche realizzare, con il sostegno del CEF, impianti di stoccaggio dell’elettricità.

3.11.

Il CESE ritiene che gli interconnettori energetici transfrontalieri siano fattori chiave per l’integrazione delle energie rinnovabili, non solo perché permettono la trasmissione a lunga distanza dell’elettricità da fonti rinnovabili, ma anche perché contribuiscono alla essenziale flessibilità del sistema.

3.12.

Bisogna rafforzare il ruolo dei coordinatori europei allo scopo di realizzare una valutazione approfondita dei progetti completati o in fase avanzata di costruzione, delle realizzazioni effettive e delle residue strozzature. La Commissione deve garantire che le priorità degli inviti riflettano la loro valutazione.

3.13.

Il CESE ritiene che il settore dei trasporti debba sfruttare appieno le opportunità offerte dalle tecnologie digitali e innovative, e riconosce che le infrastrutture di trasporto nuove e innovative sono più attraenti per gli investimenti, specialmente quelli del settore privato.

3.14.

Il CESE ritiene che gli investimenti nei trasporti, e in particolare nella rete transeuropea dei trasporti (TEN-T), siano fondamentali per la crescita e l’occupazione. Chiede pertanto che venga rafforzato il bilancio del CEF per il periodo dopo il 2020, e che le sovvenzioni rimangano la componente principale. Vi sono infatti alcuni progetti di infrastrutture di trasporto che hanno un’importanza vitale per la competitività dell’UE, ma non generano la redditività degli investimenti necessaria per attrarre gli investitori privati. È quindi necessario un forte impegno in tal senso da parte dell’opinione pubblica dell’UE e degli Stati membri.

3.15.

La Commissione europea deve preservare integra la capacità finanziaria del CEF e non operare ulteriori tagli a favore di altri programmi (FEIS — Fondo europeo per gli investimenti strategici, EDIDP — Programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa).

3.16.

Il CESE sottolinea la necessità di accordare la priorità a grandi progetti su scala europea per la digitalizzazione dei trasporti, come ERTMS, SESAR e la guida autonoma. Per realizzare questi progetti, è necessaria una combinazione di risorse: fondi pubblici dal CEF e fondi privati garantiti da InvestEU. La copertura 5G della rete TEN-T sarebbe altrettanto fondamentale. Solo l’8 % dei 51 000 km dei corridoi della rete centrale è stato dotato dell’ERTMS tra il 1995 e il 2016; al ritmo attuale ci vorranno più di 200 anni perché tale sistema sia applicato all’intera rete centrale. Il completamento entro il 2030 richiederebbe 15 miliardi di euro di investimenti e un’enorme accelerazione del programma, e darebbe luogo ad un traffico ferroviario senza interruzioni in Europa, con un aumento della capacità, della sicurezza e della puntualità.

3.17.

La mobilità elettrica è una parte essenziale della transizione verso sistemi di trasporto sostenibili e offre inoltre la possibilità di realizzare scambi tra veicolo e rete, in cui la capacità di stoccaggio delle batterie dei veicoli elettrici è utilizzata come fonte di flessibilità per la rete. L’interoperabilità delle interfacce tra veicoli e rete elettrica dovrebbe essere una priorità fondamentale in tutta l’UE. Il CEF dovrebbe anche garantire, là dove viene utilizzata elettricità rinnovabile per applicazioni nei trasporti, il ricorso a meccanismi di certificazione, ad esempio certificati di garanzia di origine rinnovabile.

3.18.

Un fattore cruciale per un’attuazione ben riuscita del CEF è costituito dalle sinergie: ad esempio punti di ricarica dei veicoli elettrici alimentati con energia elettrica da fonti rinnovabili, parcheggi dotati di energia solare fotovoltaica e sviluppo di tecnologie di interfaccia veicolo-rete.

3.19.

Andrebbe poi considerata anche l’elettrificazione dei trasporti su strada. Sarebbero necessari 10 miliardi di euro per elettrificare, nel periodo di riferimento, circa 7 000 km di autostrade per autocarri e autobus.

3.20.

Lo sviluppo e il risanamento delle infrastrutture dei trasporti nell’UE sono ancora piuttosto frammentari e rappresentano una grande sfida in termini di capacità e di finanziamento, ma rivestono importanza strategica per assicurare la crescita sostenibile, l’occupazione, la competitività e la coesione sociale e territoriale dell’UE.

3.21.

Il settore delle infrastrutture dei trasporti occupa 11,2 milioni di persone, le cui esigenze e le cui condizioni di lavoro devono, in linea generale, essere prese in considerazione nel quadro del meccanismo per collegare l’Europa. Il CESE chiede che siano adottate misure quali controlli efficaci, sistemazioni moderne per i pernottamenti e aree di parcheggio sufficienti dotate di attrezzature adeguate.

3.22.

Il CESE osserva che, nella sua forma attuale, la proposta della Commissione rappresenta un indebolimento del precedente impegno a impiegare la «maggior parte» delle risorse destinate al settore energetico in progetti riguardanti l’elettricità. Il CESE apprezza il fatto che la Commissione si aspetti che tale impegno sarà onorato, nell’attuale CEF, entro la fine del periodo di programmazione. Adempiere tale impegno è essenziale per garantire che il CEF sia in linea con la politica climatica ed energetica dell’UE.

3.23.

Per quanto riguarda l’inclusione degli impianti a energie rinnovabili tra i progetti ammissibili alla componente energetica del CEF, occorrerebbe una modifica volta a includere sia i grandi progetti che portafogli di progetti su piccola scala. Ciò costituisce una parte cruciale del maggiore impiego dei fondi dell’UE per le energie rinnovabili, come indicato nella rifusione della direttiva sulle energie rinnovabili.

3.24.

Il CESE constata che, a prezzi costanti, la dotazione del CEF per il periodo 2021-2027 e il contributo del Fondo di coesione rappresentano tagli del 12-13 %. È necessario che tale aspetto venga riesaminato. Al tempo stesso, è importante rispettare le priorità del CEF nel settore dei trasporti. La quota del Fondo europeo di sviluppo regionale non impegnata dagli Stati membri beneficiari nei primi tre anni verrà assegnata allo stesso paese in base a tali priorità.

3.25.

La valutazione intermedia del CEF si è concentrata principalmente sugli aspetti quantitativi, malgrado la natura assai tangibile della maggior parte dei progetti.

3.26.

Alla fine del periodo 2014-2020 si dovrebbe eseguire una vera e propria valutazione qualitativa e quantitativa dei progetti completati e di quelli in fase avanzata di realizzazione.

3.27.

La proposta non comprende una valutazione dell’efficacia dei progetti — una lacuna criticata dalla Corte dei conti europea nella sua relazione 2018. Pertanto, il CESE chiede che siano riesaminati, tra le altre cose, i progressi nello sviluppo della rete TEN-T e i cambiamenti nei flussi di traffico dei passeggeri e delle merci. Inoltre, il CESE chiede che sia condotta un’analisi socioeconomica dei costi-benefici dei progetti TEN-T che tenga conto dei costi e dei benefici sociali, economici, climatici e ambientali pertinenti.

3.28.

Il CESE fa osservare che il successo del CEF non è garantito solamente dalla somma di denaro assegnata e dal numero di progetti sostenuti. Occorre adeguare il metodo di valutazione.

3.29.

Il CESE ritiene inoltre che si dovrebbero prendere in considerazione metodi di comunicazione migliori per quanto riguarda i risultati del CEF. È inoltre necessario introdurre una maggiore prevedibilità.

3.30.

Nell’UE le metropoli sono le regioni in cui si concentra la maggior parte del traffico: la quasi totalità dei trasporti ha la sua origine o la sua destinazione in una metropoli. Il CESE chiede pertanto che nei principali progetti infrastrutturali si tenga conto anche delle agglomerazioni urbane, a prescindere dalla loro ammissibilità ai finanziamenti del Fondo di coesione.

3.31.

Il CESE si compiace del fatto che, per la prima volta in assoluto, il CEF sosterrà con 6,5 miliardi di euro le infrastrutture di trasporto a duplice uso civile-militare al fine di migliorare la mobilità militare nell’UE, in linea con la comunicazione congiunta del novembre 2017 (3) e con il piano d’azione del marzo 2018 (4).

3.32.

Il CESE accoglie con favore gli obiettivi stabiliti nel Piano d’azione sulla mobilità militare, e sostiene un’Unione della difesa in termini sia di miglioramento delle infrastrutture che di creazione di sinergie. Bisogna sviluppare infrastrutture a duplice uso civile e militare lungo la rete TEN-T e nelle regioni più esposte a rischi militari.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2018) 321 final.

(2)  COM(2018) 66 final.

(3)  Comunicazione congiunta al Parlamento europeo e al Consiglio — Miglioramento della mobilità militare nell’Unione europea [JOIN(2017) 41 final].

(4)  Comunicazione congiunta al Parlamento europeo e al Consiglio relativa al piano d’azione sulla mobilità militare [JOIN(2018) 5 final].


6.12.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 440/199


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma di azione in materia di scambi, assistenza e formazione per la protezione dell'euro contro la contraffazione monetaria per il periodo 2021-2027 (programma “Pericle IV”)»

[COM(2018) 369 final — 2018/0194(CNS)]

(2018/C 440/34)

Consultazione

Commissione europea, 18.6.2018

Base giuridica

Articoli 133 e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sessione plenaria

19.9.2018

Sessione plenaria n.

537

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

207/0/1

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 537a sessione plenaria dei giorni 19 e 20 settembre 2018 (seduta del 19 settembre 2018), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 207 voti favorevoli e 1 astensione.

Bruxelles, 19 settembre 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER