ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 367

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

61° anno
10 ottobre 2018


Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

536a sessione plenaria del CESE, 11.7.2018 – 12.7.2018

2018/C 367/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Gli effetti di una nuova struttura di approvvigionamento energetico senza emissioni di carbonio, decentrata e digitalizzata sui posti di lavoro e sulle economie regionali (parere d’iniziativa)

1

2018/C 367/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Il ruolo dei trasporti nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e le implicazioni che ne derivano per la definizione delle politiche dell’UE (parere d’iniziativa)

9

2018/C 367/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sui Concetti dell’UE per la gestione della transizione in un mondo del lavoro digitalizzato: un importante contributo a un Libro bianco dell’UE sul futuro del lavoro (Parere esplorativo richiesto dalla presidenza austriaca del Consiglio)

15

2018/C 367/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo su La condizione delle donne con disabilità[parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo]

20


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

536a sessione plenaria del CESE, 11.7.2018 – 12.7.2018

2018/C 367/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 924/2009 per quanto riguarda talune commissioni applicate sui pagamenti transfrontalieri nell’Unione e le commissioni di conversione valutaria[COM(2018) 163 final — 2018/0076 (COD)]

28

2018/C 367/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 168/2013 per quanto riguarda l’applicazione della norma Euro 5 per l’omologazione dei veicoli a motore a due o tre ruote e dei quadricicli[COM(2018) 137 final — 2018/0065 (COD)]

32

2018/C 367/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’immissione sul mercato e all’uso di precursori di esplosivi, che modifica l’allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 e abroga il regolamento (UE) n. 98/2013 relativo all’immissione sul mercato e all’uso di precursori di esplosivi[COM(2018) 209 final — 2018/0103 (COD)]

35

2018/C 367/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 952/2013 che istituisce il codice doganale dell’Unione[COM(2018) 259 final — 2018/0123 (COD)]

39

2018/C 367/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda la copertura minima delle perdite sulle esposizioni deteriorate[COM(2018) 134 final — 2018/0060 (COD)] e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai gestori di credito, agli acquirenti di credito e al recupero delle garanzie reali[COM(2018) 135 final — 2018/0063 (COD)]

43

2018/C 367/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla legge applicabile agli effetti patrimoniali delle operazioni su titoli[COM(2018) 89 final] e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento collettivo[COM(2018) 92 final — 2018/0041 (COD)] e sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile all’opponibilità ai terzi della cessione dei crediti[COM(2018) 96 final — 2018/0044 (COD)] e sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio per facilitare la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento collettivo e che modifica i regolamenti (UE) n. 345/2013 e (UE) n. 346/2013[COM(2018) 110 final — 2018/0045 (COD)]

50

2018/C 367/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda le esposizioni sotto forma di obbligazioni garantite[COM(2018) 93 final — 2018/0042 (COD)] e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’emissione di obbligazioni garantite e alla vigilanza pubblica delle obbligazioni garantite e che modifica la direttiva 2009/65/CE e la direttiva 2014/59/UE[COM(2018) 94 final — 2018/0043 (COD)]

56

2018/C 367/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione per le tecnologie finanziarie: per un settore finanziario europeo più competitivo e innovativo[COM(2018) 109 final]

61

2018/C 367/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari[COM(2018) 99 final — 2018/0047 (COD)] e sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese[COM(2018) 113 final — 2018/0048 (COD)]

65

2018/C 367/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce norme per la tassazione delle società che hanno una presenza digitale significativa[COM(2018) 147 final — 2018/0072 (CNS)] e sulla Proposta di direttiva del Consiglio relativa al sistema comune d’imposta sui servizi digitali applicabile ai ricavi derivanti dalla fornitura di taluni servizi digitali[COM(2018) 148 final — 2018/0073 (CNS)]

73

2018/C 367/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento della sicurezza delle carte d’identità dei cittadini dell’Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che esercitano il diritto di libera circolazione[COM(2018) 212 final — 2018/0104 (COD)]

78

2018/C 367/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che reca disposizioni per agevolare l’uso di informazioni finanziarie e di altro tipo a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati reati e che abroga la decisione 2000/642/GAI del Consiglio[COM(2018) 213 final — 2018/0105 (COD)]

84

2018/C 367/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli ordini europei di produzione e di conservazione di prove elettroniche in materia penale[COM(2018) 225 final — 2018/0108 (COD)] e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme armonizzate sulla nomina di rappresentanti legali ai fini dell’acquisizione di prove nei procedimenti penali[COM(2018) 226 final — 2018/0107 (COD)]

88

2018/C 367/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli inquinanti organici persistenti (rifusione)[COM(2018) 144 final — 2018/0070 (COD)]

93

2018/C 367/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa al quadro di monitoraggio per l’economia circolare[COM(2018) 29 final]

97

2018/C 367/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un piano pluriennale per le attività di pesca demersale nel Mediterraneo Occidentale[COM(2018) 115 final — 2018/0050 (COD)]

103

2018/C 367/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano (rifusione)[COM(2017) 753 final — 2017/0332(COD)]

107

2018/C 367/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla messa in opera e al funzionamento del nome di dominio di primo livello .eu e che abroga il regolamento (CE) n. 733/2002 e il regolamento (CE) n. 874/2004 della Commissione[COM(2018) 231 final — 2018/0110 (COD)]

112

2018/C 367/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica alle Direttive 2006/112/CE e 2008/118/CE per quanto riguarda l’inclusione del comune italiano di Campione d’Italia e delle acque nazionali del Lago di Lugano nel territorio doganale dell’Unione e nell’ambito di applicazione territoriale della direttiva 2008/118/CE[COM(2018) 261 final — 2018/0124 (CNS)]

117

2018/C 367/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto con riguardo al periodo di applicazione del meccanismo facoltativo di inversione contabile alla cessione di determinati beni e alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi e del meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA[COM(2018) 298 final — 2018/0150(CNS)]

118

2018/C 367/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 110/2008 per quanto riguarda le quantità nominali per l’immissione sul mercato dell’Unione di shochu prodotto mediante distillazione singola in alambicco e imbottigliato in Giappone[COM(2018) 199 final — 2018/0097 COD]

119

2018/C 367/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 2003/17/CE del Consiglio per quanto riguarda l’equivalenza delle ispezioni in campo effettuate in Brasile sulle colture di sementi di piante foraggere e di cereali e l’equivalenza delle sementi di piante foraggere e di cereali prodotte in Brasile, e per quanto riguarda l’equivalenza delle ispezioni in campo effettuate in Moldova sulle colture di sementi di piante di cereali, di ortaggi e di piante oleaginose e da fibra e all’equivalenza delle sementi di piante di cereali, di ortaggi e di piante oleaginose e da fibra prodotte in Moldova[COM(2017) 643 final — 2017/0297 (COD)]

120


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

536a sessione plenaria del CESE, 11.7.2018 – 12.7.2018

10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Gli effetti di una nuova struttura di approvvigionamento energetico senza emissioni di carbonio, decentrata e digitalizzata sui posti di lavoro e sulle economie regionali»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 367/01)

Relatore:

Lutz RIBBE

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.2.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

28.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

123/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La trasformazione del sistema energetico con il passaggio a una struttura di approvvigionamento senza emissioni di carbonio, decentrata e digitalizzata offre grandi opportunità, in particolare per le regioni europee in ritardo di sviluppo e per quelle rurali. La diffusione delle energie rinnovabili (in prosieguo le «rinnovabili») può avere notevoli ricadute positive sull’occupazione e può essere realizzata in maniera tale da far scaturire impulsi del tutto nuovi per l’economia regionale.

1.2.

Le rinnovabili offrono in particolare il potenziale di consentire agli effetti positivi prodotti dalla politica energetica e dalla politica di coesione dell’UE di rafforzarsi reciprocamente. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) deplora il fatto che né la Commissione né gli Stati membri abbiano ancora sufficientemente riconosciuto tale potenziale, né tanto meno lo abbiano attivato.

1.3.

Il CESE valuta positivamente il fatto che la politica di coesione, dopo il suo riorientamento, contribuisca a promuovere le rinnovabili e l’efficienza energetica. Finora, invece, la politica energetica europea non ha sostenuto la politica di coesione se non in misura del tutto marginale. Manca la consapevolezza che le rinnovabili potrebbero favorire in maniera sostanziale lo sviluppo economico proprio delle regioni svantaggiate. In questo modo viene sprecato un grande potenziale politico per la crescita regionale.

1.4.

Per mettere a frutto tale potenziale, le regioni devono essere messe nella condizione di approfittare dello sviluppo delle rinnovabili e delle infrastrutture di rete specifiche che vi sono connesse (e devono essere sostenute in questo processo) per ricavare stimoli di crescita per l’economia regionale e per consentire alla società di partecipare in larga misura a tale crescita. Una forma di partecipazione particolarmente importante per la creazione di valore a livello regionale è rappresentata dal rafforzamento del ruolo dei consumatori, i quali, in veste di prosumatori, potrebbero assumere, anche grazie alla digitalizzazione, una responsabilità del tutto nuova nell’ambito dell’economia energetica, raggiungendo la partecipazione economica e sostenendo obiettivi politici di maggiore portata in un’ottica di «protezione del clima dal basso».

1.5.

Per lo sviluppo delle rinnovabili è importante adottare un approccio economico regionale onnicomprensivo. Ciò significa coordinare sul territorio la produzione e l’utilizzo delle rinnovabili, coinvolgendo in particolare i settori dell’elettricità, del riscaldamento e della mobilità. L’intelligenza artificiale e le reti intelligenti potrebbero fornire un importante contributo al riguardo.

1.6.

Per comprendere in che misura ciò sia possibile per le regioni è necessario esaminare il rapporto tra la domanda di energia a livello regionale e le rinnovabili prodotte o producibili nella regione. Il CESE raccomanda di condurre, nel quadro di «piani per un’economia circolare regionale dell’energia», analisi che consentano di effettuare una valutazione differenziata del potenziale economico regionale delle rinnovabili per ogni singola regione. Tali piani dovrebbero rispecchiare anche gli effetti occupazionali che possono derivare per la regione. Perché, se in generale si può affermare che la transizione energetica consente di creare maggiore occupazione rispetto a quella che vi era nel sistema precedente, è anche vero che ci saranno regioni che beneficeranno di questo effetto più di altre.

1.7.

I piani per un’economia circolare regionale dell’energia potrebbero fungere da base per un dialogo strutturato e differenziato con le comunità sul territorio, importante per: a) mantenere o ottenere l’accettazione locale delle rinnovabili, e b) rafforzare i poli economici regionali. Il CESE è sorpreso dal fatto che sinora tali analisi e piani siano stati realizzati solo in pochi casi isolati.

1.8.

Un approccio economico regionale onnicomprensivo nei confronti dello sviluppo delle rinnovabili potrebbe non solo fornire un importante contributo alla politica di coesione europea. Esso è utile anche per diversi motivi nel quadro della politica energetica: ridurre la dipendenza energetica e la povertà energetica, favorire l’integrazione settoriale, sfruttare il potenziale di innovazione offerto dalla digitalizzazione e alleggerire la rete.

1.9.

In tale contesto, il CESE invita la Commissione e gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per realizzare un approccio economico regionale onnicomprensivo per lo sviluppo delle rinnovabili: definizione delle regioni energetiche, sostegno nell’analisi empirica del rapporto tra domanda di energia a livello regionale e rinnovabili prodotte o producibili nella regione, istruzione e formazione mirate, incentivi all’attuazione, ad esempio sostenendo il potenziamento dell’infrastruttura per le rinnovabili, aprendo le reti e applicando un’adeguata tariffazione dei costi della rete.

2.   Contesto

2.1.

L’Unione europea si trova ad affrontare profondi cambiamenti del suo approvvigionamento energetico e della sua politica energetica. Tali cambiamenti non riguardano solo la produzione (abbandono dei combustibili fossili contenenti carbonio e sviluppo di energie rinnovabili), ma comporteranno anche enormi trasformazioni strutturali, per quanto riguarda sia il luogo di produzione dell’energia (accento su strutture più decentrate rispetto a un modello basato su grandi impianti centrali), sia la struttura dell’offerta e del consumo (nuovi attori e nuovi modelli di consumo e di distribuzione, anche per effetto della digitalizzazione).

2.2.

Il CESE si è già occupato, in diversi pareri, degli effetti della transizione energetica sulle regioni che ne stanno subendo le conseguenze negative, ad esempio le regioni carbonifere (1). In tali regioni, sono già parecchie le persone che hanno perso il posto di lavoro e sarà difficile evitare che il loro numero aumenti ancora. È quanto mai importante riconoscere tempestivamente le trasformazioni strutturali e accompagnarle sul piano politico in modo da ridurne il più possibile al minimo e mitigarne le conseguenze economiche e sociali. Il CESE accoglie con favore le prime iniziative al riguardo adottate dalla Commissione (2).

2.3.

Il CESE constata tuttavia che i cambiamenti positivi, derivabili, ad esempio, in termini di creazione di valore aggiunto e di posti di lavoro a livello regionale, sono stati finora oggetto di discussione solo in modo marginale. Nei considerando della direttiva vigente sulle rinnovabili (2009/28/CE), la Commissione sottolinea in diversi punti l’importanza delle rinnovabili per lo sviluppo economico regionale. Tuttavia il CESE, nelle sue ricerche, ha dovuto costatare che: a) esistono pochissimi studi sulle possibili conseguenze dello sviluppo delle rinnovabili per le economie regionali, e b) in seno alla Commissione, ma anche negli Stati membri, non si ravvisa alcuna strategia tesa ad associare in modo effettivamente più mirato la politica energetica e lo sviluppo regionale. Non si può dunque parlare di una strategia politica riconoscibile per il pieno sfruttamento del suddetto potenziale.

2.4.

Nondimeno, in Europa esistono già oggi numerosissimi esempi positivi di iniziative avviate «dal basso» per quanto riguarda lo sviluppo delle rinnovabili a livello locale e regionale. Per citare solo uno dei tanti esempi, a Langres, un comune (di 10 000 abitanti) della Francia orientale, è stata costruita una centrale termica alimentata a legna che attraverso una rete di distribuzione lunga 5 km rifornisce 22 impianti di produzione di acqua calda, tra cui, indirettamente, un albergo, un parco acquatico e una casa di ricovero per anziani, consentendo un risparmio annuo di 3 400 tonnellate di CO2. È interessante notare che per molte di queste iniziative solo raramente viene realizzata una valutazione sistematica sul piano della loro rilevanza per l’economia regionale. In tal senso occorre osservare una grave mancanza di conoscenze statistiche.

2.5.

A Feldheim, nei pressi di Berlino, le risorse locali vengono investite da circa 20 anni in modo sistematico per la produzione e l’approvvigionamento di energia a livello locale, e le ricadute che ne derivano per l’economia della regione sono analizzate in dettaglio. Il fabbisogno termico del comune è completamente coperto, mentre quello di energia elettrica è ormai soddisfatto in media addirittura più volte. Oltre alle entrate dirette generate dalla vendita di energia, sono notevoli anche i risparmi di spesa: per l’energia elettrica gli abitanti pagano una tariffa di appena 0,166 EUR/kWh, pari a poco più del 50 % del prezzo medio dell’elettricità in Germania. In questa gestione coerente dell’economia circolare dell’energia la popolazione locale è coinvolta in maniera intensiva come «forza trainante» (3).

Per il CESE è importante tracciare un bilancio complessivo che metta a confronto queste potenziali ricadute positive per l’economia regionale con gli effetti negativi descritti che accompagnano la trasformazione energetica.

2.6.

Il presente parere di iniziativa è inteso a contribuire ad avviare finalmente un dibattito approfondito che metta in luce le potenzialità e gli approcci esemplari, come anche le carenze esistenti.

3.   L’importanza delle rinnovabili per lo sviluppo economico e sociale dell’Europa e delle sue regioni

3.1.

L’UE è il maggiore importatore di energia al mondo: importa infatti il 53 % del suo fabbisogno di energia primaria per un ammontare complessivo superiore ai 400 miliardi di EUR l’anno. La dipendenza energetica dell’UE costituisce un grave problema sul piano macroeconomico e geopolitico.

3.2.

L’obiettivo dell’Unione europea dell’energia è quello di: a) accrescere la sicurezza energetica dell’Europa riducendo le importazioni di energia, b) favorire la protezione del clima e c) creare posti di lavoro. Il CESE ritiene che la definizione di tali obiettivi macroeconomici a livello europeo sia sensata e dovrebbe essere applicata anche a livello regionale.

3.3.

In tale contesto, la promozione delle rinnovabili come fonti di energia «autoctone» che, a differenza delle risorse fossili, sono disponibili in tutte le regioni dell’Unione, deve essere discussa non solo per motivi di protezione del clima, bensì deve anche essere considerata un obiettivo importante a livello economico regionale: la produzione di energia potrebbe e dovrebbe stimolare le economie regionali.

3.4.

Quanto più si riuscirà a realizzare una partecipazione economica degli attori regionali — siano essi cittadini, imprese regionali o i comuni stessi — alla promozione delle rinnovabili, tanto maggiore sarà l’accettazione necessaria per il potenziamento dell’infrastruttura per le rinnovabili. Il valore aggiunto regionale apportato dalle rinnovabili aumenta quanto più sono coinvolte attivamente le parti interessate a livello regionale.

3.5.

Per comprendere quale forma dovrebbe assumere nel dettaglio tale partecipazione economica è necessario uno sguardo differenziato alla catena del valore delle rinnovabili.

Innanzitutto va considerato l’investimento vero e proprio negli impianti per le rinnovabili: gli impianti stessi in genere vengono «importati» da altre regioni. Lo stesso vale per il processo di pianificazione che, soprattutto per i progetti di maggiori dimensioni, viene spesso realizzato da studi di progettazione e sviluppo, che altrettanto spesso non hanno sede nella regione; l’impatto sull’economia regionale è dunque piuttosto limitato.

La creazione di valore direttamente a livello regionale si ha invece con i costi di esercizio e manutenzione degli impianti. Negli impianti per le rinnovabili le somme in gioco sono però relativamente modeste. Effetti positivi possono derivare, ad esempio nel caso di parchi eolici o solari, dal pagamento di canoni di locazione ai proprietari locali dei terreni, cui si aggiunge un eventuale gettito fiscale per i comuni.

Il beneficio economico reale connesso agli impianti per le rinnovabili deriva dall’utilizzo e dalla vendita dell’energia prodotta. Per l’economia regionale è di conseguenza determinante chi gestisce gli impianti e chi è in grado di conseguire utili dalla loro attività.

3.6.

Una forma di partecipazione economica trova espressione nei posti di lavoro regionali che lo sviluppo delle rinnovabili può creare nel settore dell’energia. Numerosi studi, tra cui una recente ricerca realizzata nei Paesi Bassi (4), dimostrano che gli effetti netti della trasformazione del sistema energetico sull’occupazione sono chiaramente positivi. È importante sottolineare che secondo il suddetto studio tutte le province dei Paesi Bassi trarranno vantaggio da tali effetti positivi.

Affinché tali sviluppi positivi possano manifestarsi in tutte le regioni d’Europa è necessario investire quanto prima nella qualificazione dei lavoratori.

3.7.

È evidente che non in tutti i casi tali effetti positivi sono in grado di compensare pienamente tutti gli svantaggi arrecati dalla trasformazione strutturale, ad esempio nel caso delle regioni carbonifere. Il passaggio alle rinnovabili offre tuttavia grandi opportunità per uno sviluppo positivo nelle numerose regioni europee che oggi sono mere importatrici di energia.

3.8.

Un’altra forma di partecipazione economica regionale consiste nella partecipazione diretta agli investimenti negli impianti per le rinnovabili e dunque nella loro gestione. Negli impianti per le rinnovabili, il costo del capitale rappresenta la parte più consistente dei costi complessivi. Per la creazione di valore a livello regionale è pertanto ancora più importante che gli attori regionali possano investire negli impianti per le rinnovabili. Secondo uno studio realizzato per il Land tedesco dell’Assia, la creazione di valore a livello regionale può risultare fino a otto volte più elevata se un parco eolico viene gestito da attori regionali (5).

3.9.

In alcune regioni europee i responsabili politici hanno riconosciuto tale importanza e hanno avviato iniziative volte a rafforzare la partecipazione regionale alle rinnovabili, ad esempio: Community Empowerment Bill (Scozia), Lov om fremme af vedvarende energi (Danimarca), Bürger- und Gemeindenbeteiligungsgesetz (Land tedesco del Meclemburgo-Pomerania anteriore) o National Energy Independence Strategy (Lituania).

3.10.

Una terza possibile forma di partecipazione consiste nel consentire ai consumatori di acquistare direttamente l’energia generata dagli impianti nella loro regione, ad esempio attraverso i cosiddetti «accordi per l’acquisto di energia elettrica» (power purchase agreements — PPA). La digitalizzazione renderà disponibili i PPA anche ai consumatori di energia più piccoli e l’evoluzione dei costi lascia prevedere che il costo dell’energia eolica o solare generata localmente sarà sempre più spesso inferiore al prezzo di acquisto sul mercato all’ingrosso.

3.11.

Vi è un altro possibile effetto di rilievo: se, attraverso i risparmi e gli utili generati dalle rinnovabili, un’economia circolare regionale dell’energia crea nuovo valore aggiunto in una regione e riduce il deflusso di finanze dovuto all’importazione di energia, si rende disponibile capitale che può essere investito anche in altri ambiti economici, anche al di fuori del settore dell’energia. Occorre dunque prendere in considerazione non solo gli effetti «diretti» sull’occupazione (ad esempio la creazione di posti di lavoro nel settore delle rinnovabili), ma anche gli effetti «indiretti» che possono avere origine da nuovi flussi di capitali nella regione.

4.   Le rinnovabili come politica regionale: un esempio positivo dalla Polonia (Podlachia)

4.1.

Il voivodato della Podlachia, in Polonia, offre un esempio che illustra in maniera particolarmente chiara come si possano tradurre in pratica a livello regionale le considerazioni formulate nel capitolo 3. L’esempio dimostra come lo sviluppo delle rinnovabili in una regione in ritardo di sviluppo consenta di attuare la politica regionale con buoni risultati, sebbene gli obiettivi nazionali siano tutt’altro che ottimali. La condizione è tuttavia quella di adottare l’approccio sistematico descritto qui di seguito.

4.2.

Nel 2012 il parlamento regionale («sejmik») ha adottato un piano di sviluppo regionale che ha gettato le basi per l’attuazione dei programmi operativi per l’utilizzo dei fondi strutturali europei.

4.3.

La Podlachia, una delle regioni più deboli d’Europa da un punto di vista strutturale e del reddito, importa ogni anno energia per un valore di circa 5,2 miliardi di PLN (pari a 1,25 miliardi di EUR). La regione non dispone di risorse fossili proprie.

4.4.

La strategia di sviluppo punta su una «rivoluzione» incentrata su quattro obiettivi: 1) indipendenza dalle importazioni di elettricità, 2) innalzamento della quota di rinnovabili sul totale dei consumi energetici, 3) riduzione delle emissioni di CO2 e 4) aumento del potenziale economico della regione grazie alla sostituzione delle fonti di energia importate (che producono emissioni di carbonio) con fonti energetiche regionali (pulite).

4.5.

Nella Podlachia ci si è resi conto che una «politica energetica regionale» può dare buoni risultati soltanto se si tiene conto anche della struttura degli operatori del mercato dell’energia. L’intento, ad esempio, è quello di fare in modo che i cittadini e gli imprenditori di questa regione diventino proprietari delle fonti energetiche decentrate.

4.6.

Dalla fine del 2016 il comune di Turośń Kościelna, nella Podlachia, ha organizzato per conto dei suoi abitanti l’acquisto di 38 pompe di calore, 77 impianti fotovoltaici e 270 impianti solari termici utilizzando finanziamenti provenienti dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). Il comune coordina i calcoli, gli ordini e l’installazione facendosi carico di tutte le operazioni giuridiche e tecniche. Gli investimenti sono stati finanziati per l’85 % dai fondi strutturali dell’UE. In futuro, circa il 25 % delle abitazioni sul territorio del comune sarà dotato di moderne tecnologie che sfruttano le rinnovabili.

4.7.

Sulla base dei sistemi di misurazione del consumo netto applicabili in Polonia per i piccoli impianti fotovoltaici, i cittadini possono produrre la loro energia elettrica «verde» a una tariffa (comprensiva di tutti i costi connessi) di circa 0,18 PLN/kWh (circa 0,043 EUR/kWh). A titolo di confronto, per l’energia elettrica prelevata dalla rete (prodotta principalmente a partire dal carbone) si pagano attualmente 0,65 PLN/kWh (ossia 0,155 EUR/kWh). Ciò equivale a una riduzione del costo dell’elettricità di circa il 75 %, e il denaro risparmiato va a beneficio dell’economia regionale.

4.8.

La presidenza del voivodato ha fatto proprio questo approccio e nel 2017 ha consentito di realizzare progetti simili in altri 62 comuni. Le domande di finanziamento presentate sono state complessivamente circa 4 700 per gli impianti solari termici e 2 250 per gli impianti fotovoltaici su tetto con una capacità totale leggermente superiore a 7 mWp; la realizzazione avverrà nel corso del 2018.

4.9.

Da tempo si sta riflettendo però anche in altre direzioni, ad esempio verso l’elettromobilità. Dei 5,2 miliardi di PLN che la Podlachia spende ogni anno per le importazioni di energia, ben circa 1,5 miliardi di PLN sono assorbiti dall’importazione di benzina e gasolio per autovetture.

4.9.1.

Al riguardo la Podlachia ha fatto la seguente riflessione: le autovetture immatricolate nella regione percorrono circa 5,2 miliardi di km l’anno. Se tutti i veicoli fossero elettrici, con un consumo medio di 15 kWh/100 km, ci vorrebbero circa 800 000 MWh di elettricità. Alle tariffe attuali di 0,63 PLN/kWh per l’energia prelevata dalla rete, il costo complessivo sarebbe di circa 500 milioni di PLN, contro gli 1,5 miliardi di PLN attualmente spesi per i carburanti fossili. In questo modo ben circa 1 miliardo di PLN rimarrebbe nella regione e potrebbe contribuire a rafforzare l’economia.

4.9.2.

La quantità di energia elettrica necessaria potrebbe essere prodotta da circa 70 impianti eolici (installati nella regione). L’elettricità generata da un unico impianto di questo tipo è sufficiente ad alimentare circa 7 000 autovetture e ha un costo che va da 0,06 a 0,07 EUR/kWh. Se 7 000 conducenti si unissero in una cooperativa per gestire un impianto di questo tipo, il costo per il funzionamento dei veicoli elettrici potrebbe essere ancora notevolmente ridotto. A tal fine sarebbe però necessario disporre di un quadro giuridico e amministrativo adeguato che apra, ad esempio, le reti alla distribuzione tra privati (peer-to-peer); la digitalizzazione offre possibilità in questo senso, ma la realtà politica le ostacola.

4.10.

In Podlachia si sta anche prendendo in considerazione di utilizzare l’energia eolica prodotta nella regione al posto del carbone per la produzione di calore. L’energia elettrica di origine eolica verrebbe utilizzata nelle pompe di calore industriali e negli accumulatori termici. Questa soluzione appare estremamente conveniente, ma le riflessioni sono ancora ferme alla fase di progettazione preliminare. Non sono reperibili risorse finanziarie nemmeno per uno studio di fattibilità.

5.   Più valore aggiunto per le regioni attraverso l’utilizzo regionale delle rinnovabili prodotte a livello regionale

5.1.

L’«esempio della Podlachia» dimostra che un effetto significativo delle rinnovabili è rappresentato dal potenziale aumento del potere di acquisto regionale. Per conseguire tale effetto è importante valutare innanzitutto le potenzialità nel quadro di un’«economia circolare regionale dell’energia», e in particolare nei settori sia dell’energia elettrica sia del riscaldamento e dei trasporti.

5.2.

Il potenziale di un approccio economico regionale può essere illustrato in maniera chiara con l’esempio dell’energia termosolare. La creazione di valore a livello regionale derivante dall’installazione e dalla gestione degli impianti fotovoltaici è modesta, tanto più se si tiene conto anche degli effetti negativi in termini, ad esempio, di posti di lavoro a rischio nel settore del commercio in seguito all’abbandono del riscaldamento a gasolio. In realtà, l’impatto che l’energia termosolare ha sui consumatori è estremamente positivo in quanto più è elevata la percentuale di calore prodotto dall’energia solare rispetto al loro fabbisogno termico totale, tanto minore sarà la necessità di importare materie prime energetiche quali il carbone, il petrolio o il gas naturale, che comporta un deflusso di potere di acquisto dalla regione verso i paesi esportatori di combustibili fossili o le grandi imprese multinazionali attive in questo settore.

5.3.

In generale appare necessario determinare, nel quadro di un bilancio energetico regionale, in che misura le rinnovabili prodotte (e in alcuni casi accumulate a breve periodo) nella regione riescano o possano riuscire a soddisfare il fabbisogno energetico regionale. Il bilancio deve tenere conto di quattro aspetti:

1.

occorre stabilire l’entità del fabbisogno energetico di una regione nei settori dell’energia elettrica, del riscaldamento e della mobilità. Tenere conto dei settori del riscaldamento e della mobilità è importante per due motivi: da un lato questi settori sono responsabili del 75 % del consumo di energia, dall’altro le applicazioni nei settori del riscaldamento e della mobilità rappresentano importanti opzioni di flessibilità, che spesso sono disponibili solo sul posto;

2.

occorre capire in che misura le rinnovabili provenienti dalla regione possono consentire di coprire questo fabbisogno. A tal fine è necessario stabilire anche in che misura ciò determina effettivamente una deviazione del flusso di capitale verso la regione. Ciò dipende, nel caso della bioenergia, dalla provenienza della biomassa e, nel caso delle tecnologie per le rinnovabili, dalla provenienza degli impianti e delle imprese incaricate dell’installazione e della manutenzione. Inoltre, in base alla struttura dell’impresa ed eventualmente al volume del consumo intraregionale di energia elettrica occorre determinare se gli utili generati dall’impresa rimangono nella regione e in che misura gli attori regionali vi partecipano economicamente;

3.

la differenza tra il fabbisogno regionale di energia e la quota di tale fabbisogno che può essere coperta con le rinnovabili regionali indica la quantità di energia che deve essere importata da altre regioni (flusso di capitale che esce dalla regione). Anche in futuro, numerose regioni europee non potranno fare a meno di importare energia, perché risulta per loro inefficiente, antieconomico o semplicemente impossibile sul piano tecnico coprire tutto il loro fabbisogno di energia a livello regionale;

4.

qualora in una regione sia prodotta più energia rispetto a quella consumata, occorre determinare chi partecipa agli utili derivanti dalla vendita dell’energia elettrica.

5.4.

Per ogni regione europea dovrebbe essere elaborato un bilancio della produzione e del consumo regionali di energia, senza che a tal fine debba essere previsto un obbligo legale. Ogni regione dovrebbe piuttosto avere un interesse diretto a redigere tali bilanci su base volontaria. Occorre verificare se possa essere utilizzata a tale scopo la categoria consolidata delle regioni NUTS 3. In alcuni casi sembrano interessanti anche regioni energetiche transfrontaliere, anche nell’ottica dell’«Europa delle regioni». In tale contesto, il Servizio europeo di informazione in materia di energia, che il CESE ha chiesto di istituire in suo precedente parere (6), potrebbe assumere una funzione di coordinamento.

6.   Il potenziale di un bilancio energetico equilibrato o positivo per la politica energetica e regionale

6.1.

Migliorando il bilancio, descritto al capitolo 5, delle rinnovabili prodotte e utilizzate a livello regionale si contribuisce a ridurre la dipendenza energetica dell’Europa.

6.2.

Se agli attori regionali fosse consentita una partecipazione economica più ampia alle rinnovabili, si rafforzerebbe la coesione regionale. Ciò dipende dal fatto che le regioni più deboli a livello strutturale sono spesso quelle che possiedono le maggiori superfici potenzialmente disponibili per le rinnovabili, ed è quindi in esse che queste fonti di energia esplicano i maggiori effetti a livello di economia regionale.

6.3.

L’elaborazione di bilanci energetici regionali specifici consentirebbe di valutare il grado di importanza che la transizione energetica riveste per una determinata regione, fornirebbe una base solida al dibattito sulla transizione strutturale in talune regioni e consentirebbe di definire meglio di quanto non si possa fare oggi gli interventi di politica regionale necessari, dato che al momento si tende a parlare in maniera piuttosto generica di «regioni carbonifere» o di «isole energetiche».

6.4.

Il fatto che una regione sia esportatrice o importatrice di energia o presenti un bilancio energetico equilibrato ha un impatto tangibile sui suoi abitanti. Al riguardo è necessario condurre un dialogo con le parti interessate regionali. Non esiste una soluzione perfetta, adatta in egual misura a tutte le regioni. Al contrario, è necessario individuare soluzioni più eque a livello delle singole regioni, anche in considerazione della giustizia territoriale, vale a dire della questione di quali superfici destinare a determinati usi. I rappresentanti della politica e dell’amministrazione regionali devono acquisire competenze adeguate in tal senso.

6.5.

Quanto più si riuscirà a soddisfare il fabbisogno energetico regionale attraverso le rinnovabili prodotte a livello regionale, tanto maggiore sarà il grado di indipendenza dei consumatori che vivono e lavorano nella regione rispetto all’andamento dei prezzi sui mercati internazionali, in particolare del petrolio e del gas naturale. Questo è il presupposto migliore per ridurre la povertà energetica e la vulnerabilità dei consumatori finali. Inoltre, poiché i prezzi dell’energia sono destinati a rappresentare un fattore sempre più importante nelle decisioni di investimento, un bilancio energetico equilibrato o positivo può concorrere ad aumentare l’attrattività di un territorio sul piano economico e industriale.

6.6.

La futura integrazione dei settori del riscaldamento e della mobilità nel sistema dell’energia elettrica potrebbe essere favorita in maniera mirata mediante incentivi all’utilizzo regionale delle rinnovabili prodotte nella regione e quindi al relativo rafforzamento.

6.7.

La digitalizzazione del settore energetico offre grandi opportunità. Anche a questo riguardo, gli incentivi volti a migliorare l’utilizzo regionale delle rinnovabili prodotte nella regione potrebbero portare a sfruttare il potenziale della digitalizzazione e a promuovere in tal modo l’innovazione.

6.8.

L’obiettivo dell’Unione europea dell’energia è quello di rafforzare il ruolo dei cittadini e dei consumatori di energia nella transizione energetica. Tuttavia, esistono notevoli barriere all’ingresso nei mercati sovraregionali dell’energia, e le economie di scala svolgono un ruolo importante (7). In ultima analisi ciò è la conseguenza di strutture di mercato monopolistiche sviluppatesi nel corso del tempo. Il nuovo ruolo più attivo dei cittadini e dei consumatori su scala regionale, vale a dire all’interno di un’economia circolare regionale dell’energia, è molto più semplice da esercitare.

6.9.

Un maggiore utilizzo regionale delle rinnovabili prodotte nella regione avrebbe l’effetto di alleggerire la rete e in determinate circostanze ridurrebbe la necessità di potenziare considerevolmente le reti europee di trasmissione dell’elettricità [cfr. anche il considerando n. 52 della proposta di direttiva sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (COM(2016) 767 final)].

7.   Esigenze relative a un’economia circolare regionale dell’energia

7.1.

Il CESE incoraggia le istituzioni dell’UE a includere tra gli obiettivi della politica europea dell’energia, come anche di quella di coesione, l’utilizzo regionale delle rinnovabili prodotte a livello regionale e a utilizzare il bilancio del fabbisogno energetico regionale e della produzione regionale di rinnovabili come indicatore per la misurazione del grado di raggiungimento di tale obiettivo. Ciò comporta che nell’ulteriore elaborazione di misure di promozione delle rinnovabili siano tenute in considerazione le particolari caratteristiche dell’energia prodotta dai cittadini e degli altri attori regionali che non beneficiano delle economie di scala (8). L’obiettivo deve essere in particolare quello di eliminare le barriere che impediscono l’accesso al mercato e che pregiudicano le opportunità commerciali dei piccoli attori (regionali). In tale contesto si rende utile anche un programma europeo per l’acquisizione di competenze da parte degli attori regionali e per uno maggiore scambio di buone pratiche.

7.2.

Ciò implica la decisione strategica di inquadrare la politica energetica in un’ottica di decentramento. A tale riguardo, nel pacchetto «Energia pulita per tutti gli europei» sussistono ancora, con evidenza, troppe contraddizioni tra una politica energetica piuttosto decentrata e un’impostazione chiaramente centralizzata. Sarebbe opportuno conferire alle regioni e ai comuni europei il potere di regolamentare direttamente la partecipazione degli attori regionali all’utilizzo delle rinnovabili regionali. Ciò sarebbe inoltre in linea con la tradizione, sviluppatasi in numerosi Stati membri europei, della fornitura di servizi comunali di interesse generale.

7.3.

Il CESE invita la Commissione a presentare una proposta di misure relative al mix energetico a livello europeo, nazionale e subnazionale, capaci di contribuire a promuovere l’energia regionale. Tale proposta può prevedere, tra l’altro, la pertinente definizione del diritto di vendita e acquisto dell’energia. Inoltre sarebbe opportuno formulare una metodologia che consenta alle regioni di elaborare il proprio bilancio energetico specifico. Sarebbe auspicabile un’applicazione online per i rappresentanti politici e le parti interessate regionali in grado di fornire quantomeno risultati approssimativi.

7.4.

Una ristrutturazione dei corrispettivi di accesso alle reti, ed eventualmente anche di altri prelievi e imposte, potrebbe contribuire a conseguire gli effetti economici regionali descritti nello sviluppo delle rinnovabili. I prezzi dell’energia esportata e soprattutto di quella importata dovrebbero essere fissati tenendo conto almeno delle spese di trasporto.

7.5.

Una riscossione differenziata dei corrispettivi di accesso alle reti (ossia la tariffazione di un’operazione di scambio di energia sulla base del numero di livelli di rete utilizzati per lo svolgimento dell’operazione), unitamente a un maggior soddisfacimento del fabbisogno energetico della regione mediante rinnovabili prodotte a livello regionale, renderebbe più semplice determinare l’effettiva necessità di potenziare le reti sulla base di un approccio orientato al mercato. È vero che sarà importante collegare in modo efficace le regioni energetiche europee, ma ciò non significa che in ogni caso dovrà essere attribuita priorità assoluta al potenziamento delle reti, operazione che ancora oggi viene compiuta sin troppo spesso senza che ciò sia giustificabile sotto il profilo economico (9).

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 1.

(2)  https://ec.europa.eu/info/news/no-region-left-behind-launch-platform-coal-regions-transition-2017-dec-08_en.

(3)  Per ulteriori dettagli cfr. lo studio di un caso presentato all’audizione del CESE sul tema Transizione energetica nelle regioni d’Europa — Valutazione degli effetti economici regionali della transizione verso un approvvigionamento energetico intelligente e a basse emissioni di carbonio svoltasi il 31 maggio 2018, https://www.eesc.europa.eu/en/news-media/presentations/presentation-michael-knape.

(4)  Weterings, A. et al. (2018). Effecten van de energietransitie op de regionale arbeidsmarkt — een quickscan [Effetti della transizione energetica sul mercato regionale del lavoro], PBL, L’Aia, pag. 36.

(5)  Institut für dezentrale Energietechnologien (2016). Regionale Wertschöpfung in der Windindustrie am Beispiel Nordhessen [Il valore aggiunto regionale nel settore dell’energia eolica: l’esempio dell’Assia settentrionale].

(6)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 86.

(7)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 91.

(8)  GU C 246 del 28.7.2017, pag. 55.

(9)  Cfr. Peter, F.; Grimm, V. & Zöttl, G. (2016). Dezentralität und zellulare Optimierung — Auswirkungen auf den Netzausbaubedarf [Decentramento e ottimizzazione cellulare — Conseguenze per la necessità di potenziamento delle reti]. https://www.fau.de/files/2016/10/Energiestudie_Studie.pdf.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Il ruolo dei trasporti nella realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e le implicazioni che ne derivano per la definizione delle politiche dell’UE»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 367/02)

Relatrice:

Tellervo KYLÄ-HARAKKA-RUONALA

Decisione dell’Assemblea plenaria

15.2.2018

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

28.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

136/0/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

I trasporti sono un fattore essenziale per il conseguimento di diversi obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS). Essi contribuiscono in misura notevole alla realizzazione degli OSS riguardanti lo sviluppo economico, l’industria e le PMI, nonché il commercio e gli investimenti. Di conseguenza, essi contribuiscono anche a conseguire quegli OSS che puntano a promuovere l’occupazione e il benessere e a ridurre le disparità e l’esclusione. Al tempo stesso, i trasporti presentano numerose sfide per quanto riguarda gli OSS, come la necessità di ridurre l’impatto ambientale e climatico, migliorare i sistemi di trasporto e la sicurezza del traffico, nonché gestire le problematiche connesse all’occupazione e al lavoro dignitoso.

1.2.

Il CESE invita la Commissione a elaborare un nuovo quadro strategico integrato per la prossima generazione della politica dei trasporti, con l’obiettivo di creare i presupposti per migliorare i trasporti e la mobilità, contribuendo al tempo stesso alla realizzazione degli obiettivi sociali e ambientali.

1.3.

A tal fine, la definizione delle politiche dell’UE deve creare condizioni favorevoli perché i trasporti rispondano alle esigenze di mobilità delle persone e delle imprese. Ciò richiede, in linea con gli OSS, notevoli investimenti in infrastrutture adeguate, nell’innovazione e in sistemi di trasporto efficienti, compresi i trasporti pubblici.

1.4.

Occorre inoltre compiere degli sforzi per rispondere agli OSS collegati agli aspetti sociali dei trasporti, come la promozione di un’occupazione piena e produttiva, il lavoro dignitoso e lo sviluppo delle competenze, nonché la realizzazione della parità di genere e un’attenzione particolare alle necessità delle persone in situazioni vulnerabili, come i minori, le persone con disabilità e gli anziani. Il dialogo sociale dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale nella corretta gestione dei cambiamenti strutturali.

1.5.

L’obiettivo riguardante i cambiamenti climatici pone una sfida considerevole al settore dei trasporti e richiede intense attività di sviluppo dei sistemi di trasporto, l’introduzione di un’ampia gamma di misure di decarbonizzazione e approcci nuovi e innovativi alla mobilità.

1.6.

La digitalizzazione e la robotizzazione figurano tra le grandi tendenze che incidono sullo sviluppo dei trasporti, e richiedono un’adeguata gestione delle opportunità e sfide. La digitalizzazione contribuisce alla sostenibilità dei trasporti rendendo più efficiente la logistica, contribuendo a fornire ai passeggeri migliori informazioni sui trasporti e rafforzando la sicurezza stradale.

1.7.

Poiché il tema dei trasporti riguarda l’intera società, è essenziale coinvolgere la società civile nella preparazione e nell’attuazione della politica dei trasporti. Benché il ruolo del settore pubblico sia essenziale, si dovrebbero anche facilitare delle azioni dal basso e dei partenariati per trovare le migliori soluzioni possibili in materia di trasporti.

1.8.

Il CESE invita inoltre la Commissione a valutare gli indicatori degli OSS dal punto di vista dei trasporti e a potenziare lo sviluppo di indicatori che siano pertinenti, diano un quadro realistico e informativo degli sviluppi e siano in linea con l’approccio integrato.

2.   Contesto

2.1.

Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite coprono in termini generali aspetti diversi delle sfide economiche, sociali e ambientali cui siamo confrontati a livello mondiale. Nessuno degli OSS riguarda specificamente i trasporti e la mobilità, ma i trasporti sono implicitamente correlati a diversi OSS. Inoltre, alcuni dei 169 sottobiettivi che integrano gli OSS sono direttamente connessi ai trasporti, in particolare quelli relativi alle infrastrutture, ai sistemi di trasporto locali e alla sicurezza stradale. Di conseguenza, tre dei 232 indicatori utilizzati per monitorare i progressi sono connessi ai trasporti, ossia la misura dei volumi trasportati, l’accesso ai trasporti pubblici e il tasso di mortalità per incidente stradale.

2.2.

I trasporti assumono una duplice valenza in relazione agli OSS. Gli OSS offrono delle opportunità e pongono delle sfide ai trasporti, i quali svolgono un ruolo al contempo di facilitazione e di adattamento nell’attuazione degli OSS. Per «trasporti» si intendono qui i trasporti di merci e di passeggeri, comprendenti tutti i modi di trasporto.

2.3.

Scopo del presente parere d’iniziativa è:

individuare in che modo i trasporti contribuiscono al raggiungimento degli OSS, ma anche in che modo questi obiettivi possono avvantaggiare o dare forma ai trasporti,

analizzare le possibili implicazioni dei collegamenti fra i trasporti e gli OSS per le politiche dell’UE in materia di trasporti, sia a livello di singoli Stati membri che nel contesto globale,

presentare il punto di vista e le proposte del CESE su come questi collegamenti dovrebbero essere presi in considerazione nelle politiche dell’UE e nel loro processo di definizione, al fine di cogliere adeguatamente le opportunità e gestire i rischi.

Il ruolo dei trasporti quale elemento facilitatore per realizzare gli OSS viene analizzato nelle sezioni 3 e 4. La sezione 5 analizza in che modo gli OSS avvantaggino i trasporti rafforzandone le basi. Le sezioni 6 e 7 analizzano le sfide e aspettative che gli OSS creano per i trasporti. Partendo da queste analisi, la sezione 8 ne riassume i risultati sotto forma di conclusioni e raccomandazioni per l’elaborazione delle politiche.

3.   Trasporti e OSS: creare le condizioni per lo sviluppo economico e l’occupazione

3.1.

Il settore dei trasporti è uno dei principali motori dello sviluppo economico sia nell’UE che nel contesto globale e merita quindi un posto centrale nell’agenda dell’UE. Esso svolge un ruolo essenziale nel contribuire al conseguimento dell’obiettivo 8, che mira a promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti.

3.2.

Sebbene la digitalizzazione sia in espansione in tutti gli ambiti dell’economia e della società, essa non pone fine alla produzione e al consumo di beni materiali. La logistica combina le diverse parti delle catene di approvvigionamento, che riguardano il trasporto di materie prime, prodotti intermedi e prodotti finali per i clienti. I trasporti sono quindi necessari per l’industria, l’agricoltura e il commercio.

3.3.

Un settore dei trasporti adeguatamente gestito può inoltre contribuire a realizzare il sottobiettivo dell’obiettivo 8 che chiede la definizione di politiche volte a promuovere il turismo sostenibile, al fine di creare posti di lavoro e promuovere la cultura e i prodotti locali.

3.4.

Oltre a servire altre attività, il trasporto costituisce già di per sé un importante settore economico, che fornisce milioni di posti di lavoro e contribuisce notevolmente all’economia. Inoltre, i trasporti danno vita a industrie manifatturiere, come i settori automobilistico, ferroviario, marittimo e aeronautico.

3.5.

Nel complesso, i trasporti contribuiscono al raggiungimento del sottobiettivo dell’obiettivo 9, che chiede di aumentare in modo significativo la quota di occupazione e il PIL dell’industria. Dato che tra le imprese collegate al settore dei trasporti figurano numerose piccole e medie imprese, i trasporti contribuiscono anche all’integrazione delle PMI nelle catene del valore e nei mercati e alla promozione della loro crescita, come richiesto dagli obiettivi 9 e 8.

3.6.

Di conseguenza, i trasporti contribuiscono alla creazione di posti di lavoro, come previsto dall’obiettivo 8, nei settori ad essi collegati. Inoltre i trasporti consentono di assicurare una migliore corrispondenza geografica tra posti di lavoro e manodopera, e quindi un aumento dell’occupazione. Esistono tuttavia anche delle sfide, come la transizione prodotta dalla digitalizzazione e dall’automazione, a seguito della quale si prevedono profondi cambiamenti in termini di posti di lavoro e mansioni da svolgere.

3.7.

Nel contesto globale, i trasporti contribuiscono al conseguimento dell’obiettivo 17, che mira a rafforzare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile. Questo obiettivo richiede la promozione di un sistema multilaterale di scambi commerciali universale, basato su regole, aperto, non discriminatorio ed equo nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Dal momento che i trasporti sono la spina dorsale del commercio, essi presentano un potenziale significativo per la promozione di tale obiettivo.

3.8.

L’obiettivo 9 invita a sviluppare infrastrutture resilienti e sostenibili nei paesi in via di sviluppo. Esso è collegato all’obiettivo 10, che prevede di ridurre le disuguaglianze all’interno dei paesi e tra di essi, ed esorta a destinare gli aiuti per lo sviluppo e gli investimenti esteri diretti agli Stati che ne hanno più bisogno.

3.9.

Contribuendo a generare sviluppo economico e posti di lavoro dignitosi attraverso la produzione, il commercio e gli investimenti, i trasporti svolgono un ruolo anche nel conseguimento dell’obiettivo 1, che chiede di porre fine alla povertà in tutte le sue forme e in tutto il mondo.

4.   Trasporti e OSS: permettere l’accesso ai beni e ai servizi

4.1.

I consumatori utilizzano i trasporti per avere accesso alle merci, che si tratti di prodotti alimentari, contemplati dall’obiettivo 2, o di altri prodotti di base o più di lusso. Inoltre, le persone hanno bisogno dei trasporti anche per raggiungere diversi servizi, come quelli collegati al turismo e al tempo libero oppure i sistemi di protezione sociale.

4.2.

Il settore dei trasporti è uno dei principali elementi di collegamento dei mercati, che si tratti del mercato unico o del commercio internazionale. I mercati collegati consentono di realizzare l’efficienza e di ottenere vantaggi di scala, contribuendo in tal modo all’accessibilità dei prodotti a un prezzo abbordabile per i consumatori.

4.3.

I trasporti sono essenziali anche per la fornitura e l’utilizzo dei servizi di assistenza sanitaria, sia nell’UE che a livello mondiale. Il settore dei trasporti è quindi un fattore che contribuisce a realizzare l’obiettivo 3, che mira a prevenire e a curare le malattie, e garantire una vita sana e il benessere per tutti.

4.4.

Lo stesso vale per quanto riguarda la possibilità di fornire servizi di istruzione e di parteciparvi. Il settore dei trasporti contribuisce quindi al conseguimento dell’obiettivo 4, che punta a garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e a promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti.

5.   Trasporti e OSS: porre le basi per la mobilità

5.1.

I trasporti devono essere accessibili, abbordabili, agevoli ed efficaci, nonché sicuri e protetti, per consentire la mobilità delle persone e delle merci. È quindi fondamentale che l’UE favorisca gli investimenti in infrastrutture e tecnologie adeguate, e promuova sistemi di trasporto efficienti.

5.2.

L’obiettivo 9 determina un effetto positivo diretto sui trasporti, in quanto raccomanda di costruire «infrastrutture di qualità, affidabili, sostenibili e resilienti» per supportare lo sviluppo economico e il benessere umano.

5.3.

L’attraversamento agevole delle frontiere nel mercato interno, come pure nei trasporti e nei viaggi internazionali, è essenziale per il buon funzionamento dei mercati e per il flusso delle merci e delle persone. L’obiettivo 9 promuove questo obiettivo sottolineando il ruolo delle infrastrutture transfrontaliere.

5.4.

L’obiettivo 11 punta a rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili. Chiede che sia dato a tutti l’accesso a sistemi di trasporto sicuri, abbordabili, accessibili e sostenibili, dedicando un’attenzione particolare alle necessità delle persone in situazioni vulnerabili, come le donne, i minori, le persone con disabilità e gli anziani. Ciò richiede una corretta pianificazione dell’uso del suolo e dei sistemi di gestione del traffico, nonché adeguati investimenti pubblici nelle infrastrutture. Lo sviluppo dei trasporti pubblici svolge un ruolo importante in tale contesto, sia nelle aree urbane che nelle zone rurali.

5.5.

Per quanto riguarda l’innovazione, l’obiettivo 9 sostiene lo sviluppo della ricerca scientifica e il potenziamento delle capacità tecnologiche dei settori industriali. Questo aspetto è importante anche dal punto di vista dello sviluppo dei trasporti e dei settori ad essi collegati.

5.6.

Inoltre, l’obiettivo 7 chiede che la cooperazione internazionale faciliti l’accesso alla ricerca e alle tecnologie per l’energia pulita nonché la promozione degli investimenti nelle infrastrutture dell’energia e nelle tecnologie energetiche pulite. Tali misure, comprese le infrastrutture per i combustibili alternativi e per la ricarica dei veicoli elettrici, favoriscono anche la decarbonizzazione dei trasporti.

5.7.

Con la crescente digitalizzazione e robotizzazione dei trasporti, si dovrebbe rivolgere un’attenzione ancora maggiore al fabbisogno d’infrastrutture digitali, compresi i sistemi automatizzati di gestione e controllo del traffico. L’obiettivo 9 menziona la necessità di aumentare in modo significativo l’accesso alle TIC e di adoperarsi per fornire un accesso a Intenet universale e alla portata di tutti. L’obiettivo 17 chiede, a sua volta, di rafforzare l’uso delle tecnologie abilitanti, in particolare le TIC. La digitalizzazione rende più efficiente la logistica e, ad esempio, contribuisce a fornire ai passeggeri migliori informazioni sui trasporti.

6.   Trasporti e OSS: rispondere alle aspettative sociali

6.1.

Benché i trasporti contribuiscano all’assistenza sanitaria e al benessere, essi causano anche dei rischi per la salute dovuti all’inquinamento (come il particolato nell’aria) e agli incidenti stradali. L’obiettivo 3 mira a conseguire una riduzione sostanziale di tali rischi. Sistemi efficaci di gestione del traffico, regolamentazione e applicazione sono tutti strumenti necessari per migliorare la sicurezza stradale. Grazie alla riduzione dell’errore umano, l’automazione avanzata aumenterà da parte sua la sicurezza dei trasporti, nonostante le preoccupazioni legate alla tecnologia.

6.2.

L’istruzione e la formazione previste dall’obiettivo 4 sono fondamentali per garantire le competenze necessarie per i lavoratori e gli imprenditori nei settori collegati ai trasporti. Le modifiche delle mansioni causate, ad esempio, dalla digitalizzazione, comportano un notevole cambiamento nella domanda di competenze. L’obiettivo 4 è quindi un importante facilitatore dello sviluppo dei trasporti.

6.3.

L’obiettivo 5 chiede il raggiungimento della parità di genere e l’emancipazione di tutte le donne e ragazze. I trasporti possono rafforzare la parità di genere incoraggiando più donne ad entrare nel settore in veste di imprenditrici o lavoratrici, liberando così il potenziale delle persone di entrambi i generi. Il settore dei trasporti, in particolare il trasporto pubblico, deve anche essere reso sicuro per le donne che ne fanno uso.

6.4.

L’obiettivo 8 mira a garantire un’occupazione piena e produttiva, la prevenzione dell’esclusione dei giovani, un lavoro dignitoso per tutti e la tutela dei diritti dei lavoratori. In questi ambiti si riscontrano situazioni diverse. Nei paesi in via di sviluppo, l’attuazione dei diritti fondamentali dei lavoratori potrebbe costituire l’obiettivo più pertinente, mentre nell’UE le principali cause di preoccupazione per il futuro sono collegate alla promozione della piena occupazione e di un lavoro dignitoso per tutti.

6.5.

Per gestire i cambiamenti strutturali cui l’UE è confrontata a causa della digitalizzazione e della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, occorrono strategie globali riguardanti le modalità per assicurare una transizione equa e agevole, ridurre le ripercussioni sociali negative e rispondere alla carenza di competenze.

6.6.

Inoltre, l’obiettivo 10 chiede di promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, e di adottare politiche volte a realizzare una maggiore uguaglianza. Queste politiche rafforzano anche l’obiettivo 1, l’eliminazione della povertà. Per quanto riguarda i trasporti, l’obiettivo 9 chiede un accesso equo e a prezzi sostenibili per tutti. Consentendo l’accesso al lavoro, ai beni e ai servizi, i trasporti (in particolare i trasporti pubblici) svolgono un ruolo importante nel prevenire l’esclusione delle persone.

6.7.

L’obiettivo 10 chiede inoltre di facilitare una migrazione e una mobilità ordinate, sicure, regolari e responsabili. Ciò si ricollega ai trasporti in due modi: da un lato, essi svolgono un ruolo nel prevenire la perdita di vite umane e nel contribuire alla circolazione sicura e legale dei rifugiati e dei migranti e, dall’altro, il settore dei trasporti fornisce ai migranti delle opportunità per integrarsi nei mercati del lavoro.

7.   Trasporti e OSS: conseguire gli obiettivi ambientali

7.1.

Oltre a rispondere alle esigenze di mobilità dei cittadini e delle imprese, i trasporti devono soddisfare i requisiti ambientali e climatici. L’obiettivo 13 sottolinea la necessità di un’azione urgente per combattere i cambiamenti climatici e i loro effetti. Dato che i trasporti costituiscono una delle principali fonti di emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale e un settore in cui le emissioni sono ancora in crescita, la realizzazione di quest’obiettivo pone notevoli difficoltà. A tale fine occorre intensificare gli sforzi per conseguire gli obiettivi definiti dalle politiche dell’UE e avviare una cooperazione globale per quanto riguarda il settore dei trasporti aerei e marittimi internazionali.

7.2.

Anche la dissociazione della crescita economica dal degrado ambientale, prevista dall’obiettivo 8, costituisce un’enorme sfida dal punto di vista dei trasporti, poiché vi è una forte correlazione fra i trasporti e la crescita economica. Adoperarsi per realizzare tale dissociazione richiede quindi uno sviluppo intensivo di sistemi di trasporto sostenibili con un impatto ambientale minimo, l’introduzione di tecnologie avanzate e approcci nuovi e innovativi alla mobilità. Questo risponde anche all’obiettivo 12, riguardante modelli di consumo e produzione responsabili.

7.3.

Le infrastrutture svolgono un ruolo importante per quanto riguarda l’impatto dei trasporti sull’ambiente. L’obiettivo 15 è teso a proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, un aspetto che va considerato nella pianificazione dei suoli e nella costruzione di infrastrutture. Lo stesso vale per l’obiettivo 11, che affronta la necessità di intensificare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale mondiale.

7.4.

Dato che l’energia è un elemento necessario per i trasporti, l’obiettivo 7, che riguarda appunto l’energia, si applica direttamente anche a tale settore. Esso raccomanda un aumento sostanziale della quota di energia rinnovabile nel mix energetico mondiale e un notevole miglioramento in termini di efficienza energetica. L’obiettivo 12, a sua volta, comprende un sottobiettivo volto a eliminare gradualmente le sovvenzioni a favore dei combustibili fossili nocivi, e, considerato il diffuso utilizzo dei combustibili fossili nei trasporti, esso ha un impatto evidente su tale settore e sui suoi utilizzatori.

7.5.

L’obiettivo 14 riguarda la conservazione e l’uso sostenibile degli oceani, dei mari e delle risorse marine. Oltre che per le attività terrestri, esso costituisce una sfida per il trasporto marittimo affinché si migliori la gestione dei rifiuti e si riducano le emissioni.

7.6.

Gli impatti ambientali non riguardano solo i trasporti in quanto tali, ma anche il ciclo di vita dei veicoli, degli aeromobili e delle navi, dalla fabbricazione alla fine del ciclo di vita. Tali impatti possono essere ridotti mediante una maggiore efficienza nell’uso delle risorse e l’utilizzo di tecnologie pulite nei processi industriali, oltre al riciclaggio e al riutilizzo, come richiesto dagli obiettivi 9 e 12.

7.7.

Anche le misure volte a migliorare i flussi di traffico contribuiscono alla riduzione delle emissioni. A tal fine, un ruolo fondamentale spetta ad infrastrutture di elevata qualità e all’attraversamento agevole delle frontiere, all’utilizzo del suolo e alla pianificazione urbana, a trasporti pubblici efficienti e ad alternative di trasporto multimodale di merci.

7.8.

Lo sviluppo del trasporto autonomo può aumentare l’utilizzo delle automobili private grazie alla maggiore comodità per i passeggeri. Il car-sharing, invece, assieme all’uso dei mezzi pubblici, mira a diminuire il numero di veicoli privati. Nel complesso, la digitalizzazione e la robotizzazione danno luogo a trasporti e soluzioni logistiche più efficienti, che hanno un impatto positivo sugli effetti climatici e ambientali dei trasporti.

7.9.

Al di là della necessità di ridurre le emissioni da essi causate, i trasporti contribuiscono anche a prevenire e a risolvere i problemi climatici e ambientali, consentendo la diffusione di tecnologie, prodotti e soluzioni a basse emissioni di carbonio e rispettosi dell’ambiente, come richiesto dall’obiettivo 17.

8.   Trasporti e OSS: implicazioni per la definizione delle politiche

8.1.

L’analisi condotta nelle precedenti sezioni dimostra chiaramente che i trasporti sono correlati a un gran numero di OSS. Dato che il settore dei trasporti è un facilitatore essenziale di vari OSS, il ruolo dei trasporti dovrebbe essere pienamente riconosciuto nell’attuazione di tali obiettivi a livello dell’UE, degli Stati membri e degli enti locali.

8.2.

Al tempo stesso, la politica europea dei trasporti dovrebbe considerare gli OSS in modo integrato, con l’obiettivo di creare i presupposti per migliorare i trasporti e la mobilità contribuendo, al tempo stesso, a realizzare gli obiettivi sociali e ambientali.

8.3.

Affrontare il tema dei trasporti dai diversi punti di partenza di diversi ambiti politici («una questione alla volta») non permette di conseguire soluzioni ottimali. È pertanto essenziale che la politica dei trasporti venga sviluppata nel suo insieme. Di conseguenza, il CESE invita la Commissione ad elaborare un nuovo quadro strategico integrato per la prossima generazione della politica dei trasporti. Tale quadro dovrebbe a sua volta orientare le decisioni più dettagliate in materia di trasporti.

8.4.

Il quadro strategico dovrebbe comprendere anche una dimensione globale, intesa ad integrare gli OSS nella cooperazione internazionale e nell’azione esterna dell’UE in materia di trasporti.

8.5.

Poiché il tema dei trasporti riguarda l’intera società, è importante coinvolgere la società civile nella preparazione e nell’attuazione della politica dei trasporti. Ciò risponderebbe all’obiettivo 16, che chiede un processo decisionale reattivo, inclusivo, partecipativo e rappresentativo a tutti i livelli. Per quanto riguarda le questioni relative al mercato del lavoro e i processi di transizione, il dialogo sociale dovrebbe svolgere un ruolo chiave.

8.6.

L’obiettivo 17, a sua volta, raccomanda di incoraggiare e promuovere partenariati efficienti pubblici, pubblico-privati e della società civile, basandosi sull’esperienza dei partenariati e sulle loro strategie di gestione delle risorse. Benché il ruolo del settore pubblico sia essenziale, il CESE chiede ai responsabili politici dell’UE di riconoscere pienamente il ruolo fondamentale dell’azione dal basso e dei partenariati, in quanto contribuiscono a trovare, da un lato, le migliori soluzioni possibili alle sfide legate ai trasporti e, dall’altro, i modi per coglierne le opportunità, ad esempio attraverso nuovi modelli di produzione e consumo sviluppati dalle imprese e dai cittadini.

8.7.

Il CESE invita inoltre la Commissione a valutare gli indicatori degli OSS dal punto di vista dei trasporti e a potenziare lo sviluppo di indicatori che siano pertinenti, diano un quadro realistico e informativo degli sviluppi e siano in linea con l’approccio integrato, come indicato più sopra.

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo sui «Concetti dell’UE per la gestione della transizione in un mondo del lavoro digitalizzato: un importante contributo a un Libro bianco dell’UE sul futuro del lavoro»

(Parere esplorativo richiesto dalla presidenza austriaca del Consiglio)

(2018/C 367/03)

Relatrice:

Franca SALIS-MADINIER

Correlatore:

Ulrich SAMM

Consultazione da parte della presidenza austriaca del Consiglio

Lettera del 12.2.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Articolo 29, paragrafo 1, del Regolamento interno

Parere esplorativo

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

13.3.2018

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

6.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

152/1/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene una transizione digitale equa, radicata nel rispetto dei valori europei, che promuovono la piena occupazione, il progresso sociale, un elevato livello di tutela e la riduzione della povertà e delle disuguaglianze.

1.2.

Il CESE chiede che le enormi opportunità offerte dalle nuove tecnologie vadano a beneficio di tutti: lavoratori, cittadini, imprese. In questa evoluzione non devono esservi perdenti. Le politiche devono essere orientate in via prioritaria al potenziamento dei percorsi individuali — sì da dotare tutti i cittadini delle giuste competenze — e dei sistemi di sicurezza sociale organizzati collettivamente per favorire l’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, come previsto nella Carta dei diritti fondamentali, dalle priorità sancite a Göteborg dalle autorità europee nel quadro del pilastro europeo dei diritti sociali e dalle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL).

1.3.

L’occupazione è soggetta ai cambiamenti indotti dall’automazione, dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale. Il CESE considera prioritario l’aggiornamento delle competenze dei lavoratori europei e in particolare di coloro ai quali il livello delle qualifiche possedute e l’obsolescenza delle competenze acquisite non consentono di occupare i posti di lavoro venutisi a creare ex novo o di mantenere quelli trasformati dalla tecnologia. Reputa inoltre urgente adottare, al livello dell’UE e degli Stati membri, una politica che promuova una formazione (sia iniziale che lungo tutto l’arco della vita) di tipo nuovo, favorendo le opportune soluzioni pedagogiche in grado di sviluppare le capacità creative e le competenze digitali, sempre più necessarie nei nuovi posti di lavoro.

1.4.

Le pari opportunità devono essere una priorità; e ciò vale in particolare per le filiere a forte componente digitale, dove la situazione è decisamente allarmante, dato lo scarso numero di lavoratrici (1). È importante monitorare e misurare queste tendenze e promuovere l’occupazione femminile in questi settori.

1.5.

Il CESE rileva che nell’Unione europea solo lo 0,3 % della spesa pubblica totale (2) è destinato agli investimenti nelle politiche sociali. È quindi necessario che, in particolare nel quadro del prossimo quadro finanziario pluriennale (3), siano rese disponibili risorse sufficienti per rafforzare tali politiche e accompagnare la trasformazione digitale nel mondo del lavoro, a beneficio dei lavoratori, delle imprese e della società nel suo insieme.

1.6.

Risorse supplementari possono essere reperite grazie agli incrementi di produttività resi possibili dalla digitalizzazione. Il CESE raccomanda che il dialogo sociale basato sulla condivisione del valore aggiunto sia organizzato al livello della filiera e dell’impresa per concordare delle modalità di utilizzazione.

1.7.

Affinché tutte le forme flessibili di impiego rese possibili dalla digitalizzazione vengano coperte e nessun lavoratore sia ridotto in mezzo a una strada (4), il CESE pone tra le sue priorità il mantenimento della qualità e della sostenibilità finanziaria dei sistemi di protezione sociale; ed esorta la Commissione europea e gli Stati membri a organizzare con le parti sociali la concertazione necessaria per adeguare i regimi di protezione sociale, in particolare a beneficio dei lavoratori che, a causa del loro status giuridico, non sono coperti in misura sufficiente da quei regimi.

1.8.

Di fronte all’introduzione di nuove tecnologie come i robot o le macchine intelligenti, nel suo studio il CESE ricorda l’importanza di informare e consultare «a monte» i rappresentanti dei lavoratori e la necessità della contrattazione collettiva per accompagnare i cambiamenti (5) indotti da queste tecnologie; e ricorda inoltre come tale consultazione sia obbligatoria ai sensi della direttiva concernente i comitati aziendali europei (6).

1.9.

Riguardo all’intelligenza artificiale (IA), il CESE sottolinea che la mancanza di trasparenza del funzionamento degli algoritmi e il modo in cui essi operano scelte che sfuggono al controllo umano pongono una sfida enorme all’UE nonché degli interrogativi fondamentali riguardo alla società in cui desideriamo vivere. Il CESE ha già avuto modo di sottolineare che, nel nuovo mondo del lavoro, è essenziale definire il rapporto dell’uomo con la macchina. Un approccio incentrato sul controllo dell’uomo sulla macchina assume quindi un rilievo fondamentale (7).

1.10.

Il CESE è favorevole a quadri strategici universali in materia di IA che conferiscano all’UE un vantaggio competitivo (8), e incoraggia lo sviluppo di un’IA socialmente responsabile e al servizio del bene comune. Sottolinea che l’UE deve sostenere la ricerca nel nuovo campo di ricerca denominato «ergonomia cognitiva», volto all’adozione di misure atte a favorire un uso delle tecnologie intelligenti che ponga al centro il fattore umano.

2.   Introduzione

2.1.

Il CESE si è già pronunciato (in tre pareri esplorativi richiesti dalle presidenze estone e bulgara del Consiglio) in merito alle nuove forme di occupazione e al futuro del lavoro (9). I tre pareri sono stati integrati da una riflessione più ampia sul tema Un concetto socialmente sostenibile per l’era digitale, sviluppata nel quadro di un altro parere esplorativo richiesto dalla presidenza bulgara (10).

2.2.

Il CESE ritiene inaccettabile partire dal presupposto che «la digitalizzazione vedrà dei vincitori e dei vinti». Pertanto, nel presente parere avanza delle proposte volte a far sì che essa sia proficua per tutti i cittadini e che nessuno sia lasciato in disparte.

2.3.

Onde evitare di ridurre sul lastrico una parte dei lavoratori e dei cittadini, occorre rendere più consistente la spesa destinata agli investimenti nelle politiche sociali, che rappresenta oggi appena lo 0,3 % della spesa pubblica totale nell’UE (11). È quindi necessario che, in particolare nel quadro del prossimo quadro finanziario pluriennale (12), siano messe a disposizione risorse sufficienti per accompagnare la trasformazione digitale nel mondo del lavoro.

2.4.

Il CESE sottolinea che, affinché l’automazione procuri vantaggi alla società nel suo insieme, l’UE ed i suoi Stati membri devono poter fare affidamento su un sistema di formazione lungo tutto l’arco della vita efficace e di qualità, su un dialogo sociale costante tra le parti interessate, su una contrattazione collettiva pertinente e su un regime fiscale appropriato.

2.5.

È urgente agire fin d’ora per garantire la disponibilità di competenze adeguate per il futuro, in modo che l’UE e tutti i suoi Stati membri restino competitivi e siano in grado di creare nuove imprese e nuovi posti di lavoro, di fare in modo che le persone continuino a potersi inserire nel mercato del lavoro nel corso di tutta la loro carriera professionale e di garantire il benessere di tutti.

3.   Un’IA al servizio dell’uomo per una transizione equa e di qualità

3.1.

Il CESE richiama l’attenzione sulle sfide poste all’UE dall’intelligenza artificiale, intesa come l’insieme delle tecnologie che rendono possibile eseguire con mezzi informatici dei compiti cognitivi tradizionalmente svolti dall’uomo.

3.2.

Affinché sia la digitalizzazione che un’IA sempre più potente e performante apportino benefici ai lavoratori, ai cittadini, alle imprese, agli Stati membri e all’UE, è necessario che esse siano poste sotto il controllo dell’uomo e che i loro potenziali effetti negativi siano anticipati e regolamentati.

3.3.

Il CESE ravvisa nella nuova generazione dei cosiddetti «robot collaborativi» un’opportunità che può produrre benefici per tutta la società. Tali robot possono diventare veri e propri partner dei lavoratori, alleviando il loro lavoro quotidiano così da renderlo meno stressante, ma possono altresì aiutare le persone con disabilità fisiche o cognitive e ancor più le persone a mobilità ridotta.

3.4.

Il CESE pone ancora una volta (13) l’accento sulla necessità di adottare, riguardo a tutte le parti del processo di digitalizzazione, un’impostazione basata sul controllo dell’uomo sulla macchina («human-in-command»). La nostra società deve ormai fare i conti con il timore che in particolare i sistemi di IA possano un giorno decidere in merito ad aspetti importanti della nostra vita senza più alcun intervento da parte dell’uomo. L’impostazione human-in-command si basa sul principio secondo cui le macchine svolgono inequivocabilmente una funzione servente nei confronti degli esseri umani, i quali devono sempre mantenere il controllo sugli aspetti con implicazioni umane più complessi, quali l’assunzione di responsabilità, il giudizio su questioni etiche e/o controverse o i comportamenti irrazionali. Ed è proprio questo principio generale a poter fungere da principio guida per le regolamentazioni future.

3.5.

Come già ricordato dal CESE nel suo parere d’iniziativa sull’intelligenza artificiale (14), il controllo degli algoritmi e la loro trasparenza rappresentano una sfida enorme per le nostre democrazie e le nostre libertà fondamentali, anche nel mondo del lavoro. Garantire una trasformazione digitale socialmente ed eticamente responsabile deve essere un preciso obiettivo dell’Unione europea. Il CESE è favorevole a quadri strategici universali in materia di IA che conferiscano all’UE un vantaggio competitivo, e sottolinea che l’Unione deve sostenere la ricerca nel nuovo campo di ricerca denominato «ergonomia cognitiva», volto all’adozione di misure atte a favorire un uso delle tecnologie intelligenti che ponga al centro il fattore umano.

3.6.

Se basate su algoritmi sbilanciati, le decisioni e le scelte effettuate nelle imprese (ad esempio nelle pratiche di assunzione e in generale nelle politiche di gestione delle risorse umane) possono accentuare le discriminazioni (15). Per contro, una buona programmazione dei dati e degli algoritmi può contribuire a rendere tali pratiche e tali politiche più «intelligenti» e più giuste.

3.7.

I ricercatori, gli ingegneri e gli imprenditori europei che contribuiscono alla concezione, allo sviluppo e alla commercializzazione di sistemi di IA devono agire secondo criteri di responsabilità etica e sociale. L’integrazione dell’etica e delle scienze umane nei programmi di formazione degli ingegneri può essere una valida risposta a tale imperativo (16). Potrebbe inoltre essere opportuno adottare un codice di condotta per l’intelligenza artificiale.

3.8.

Il CESE tiene a richiamare l’attenzione sulla minaccia che l’intelligenza artificiale pone in materia di cibersicurezza e di rispetto della vita privata. Questa nuova tecnologia, infatti, rende assai più facile produrre immagini, filmati, discorsi e testi contraffatti di elevata qualità. La gravità di tale minaccia impone all’UE di accordare la massima priorità al suo contrasto.

4.   Osservazioni generali

4.1.   Impatto sull’occupazione

4.1.1.

La questione dell’impatto che l’automazione, la digitalizzazione e l’introduzione dell’IA nei vari processi di produzione avranno sul volume dell’occupazione è molto controversa. Le previsioni sulla perdita di posti di lavoro, infatti, variano enormemente a seconda del metodo adottato — analisi delle mansioni oppure direttamente dei posti di lavoro (17).

4.1.2.

Tuttavia, a prescindere da tali variazioni, è certo che la grande maggioranza dei posti di lavoro subirà l’impatto della digitalizzazione. Talune professioni saranno più colpite di altre e potrebbero scomparire già a breve termine (18), mentre altre ne saranno trasformate e richiederanno una riqualificazione.

4.1.3.

L’impatto dell’automazione sui posti di lavoro varia notevolmente da un paese all’altro dell’Unione europea (19). Secondo uno studio dell’OCSE, in linea generale nel Regno Unito, nei paesi nordici e nei Paesi Bassi i posti di lavoro sono meno soggetti all’automazione che negli Stati membri dell’Europa orientale e meridionale (20). Un divario, questo, riconducibile a svariati fattori: anzitutto differenze nell’organizzazione dei compiti all’interno dei vari settori economici, nella struttura dei settori stessi e negli investimenti (nei paesi che non hanno ancora adottato — e investito in — tecnologie in grado di sostituire la manodopera, la struttura delle mansioni professionali si presta maggiormente all’automazione), ma anche nell’organizzazione del luogo di lavoro in generale oppure ancora nei livelli di istruzione dei lavoratori.

4.2.   Garantire le competenze chiave di tutti i cittadini

4.2.1.

Stando così le cose, competenze adeguate possono aiutare gli Stati membri dell’UE a inserirsi meglio nei mercati globalizzati e a specializzarsi nelle tecnologie più avanzate, con imprese più innovative in grado di restare competitive. Per far ciò, tutti i settori hanno bisogno di lavoratori che possiedano non solo competenze creative e cognitive elevate (umanistiche, matematiche e di risoluzione di problemi complessi), ma anche capacità gestionali e di comunicazione e una propensione all’apprendimento.

4.2.2.

I lavoratori per i quali occorre intervenire in via prioritaria e con un accompagnamento più robusto sono quelli occupati in attività a bassa qualificazione e ad alto potenziale di automazione, dove le mansioni possono essere trasformate o sostituite, quando non addirittura destinate a scomparire.

4.2.3.

Nell’Unione, il divario tra le competenze attuali e le professioni del futuro va allargandosi in misura preoccupante. Negli Stati membri dell’UE, il 22 % dei lavoratori rischia di non avere le competenze digitali richieste dall’evoluzione della propria professione (21). Dal 2008 ad oggi, soprattutto tra i lavoratori con un basso livello di qualificazione si è allungata la durata media della disoccupazione sia di breve che di lungo periodo.

4.2.4.

Di fronte alla difficoltà per questi disoccupati di trovare un impiego, il CESE ribadisce quanto già affermato in un recente parere: che è necessario affrontare con urgenza, attraverso il dialogo sociale a livello settoriale, territoriale, nazionale ed europeo, la questione della formazione e delle competenze (22), così da garantire a tutti i lavoratori la possibilità di accedere a un impiego di qualità e progredire nel loro percorso professionale.

4.3.   Trasformare la formazione iniziale e incoraggiare la formazione lungo tutto l’arco della vita

4.3.1.

Di fronte alle sfide summenzionate, il CESE reputa urgente adottare, a livello dell’UE e dei singoli Stati membri, una politica mirata che promuova una formazione (sia iniziale che lungo tutto l’arco della vita) di tipo nuovo, favorendo le opportune soluzioni pedagogiche in grado di sviluppare le capacità creative che assumono un rilievo sempre più cruciale.

4.3.2.

Una politica unica e uniforme a livello europeo rischia di essere inefficace, in quanto gli Stati membri soffrono di problemi diversi, ma una politica che punti a ridurre il divario tra le competenze oggi disponibili e le professioni del futuro è ovunque e senz’altro necessaria (23).

4.4.   Vigilanza sui rischi di discriminazione nel lavoro e nella società

4.4.1.

Tra uomini e donne — I posti di lavoro del futuro, i più prestigiosi e meglio retribuiti, saranno quelli nel campo delle STEM (scienze, tecnologie, ingegneria e matematiche) e in particolare nel settore delle tecnologie dell’informazione (TI). Le pari opportunità devono essere una priorità; e ciò vale in particolare per le filiere a forte componente digitale, dove la situazione è decisamente allarmante, dato lo scarso numero di lavoratrici (24). Se si vuole evitare che il futuro mondo del lavoro continui a presentare queste disuguaglianze, è importante monitorare e misurare queste tendenze e promuovere l’occupazione femminile in tali settori (25).

4.4.2.

Tra lavoratori di fasce di età diverse — I cambiamenti nel mondo del lavoro si ripercuotono sulle condizioni occupazionali dei lavoratori di qualunque età, e possono incidere sulla possibilità di avere un lavoro duraturo lungo tutto l’arco della vita professionale. Ad esempio, il ricorso a contratti a tempo determinato, oggi riservato perlopiù (e piuttosto ingiustamente) ai lavoratori giovani (26), potrebbe estendersi a lavoratori più anziani, con possibili conseguenze in tal senso. Nel contempo, però, lo sviluppo tecnologico associato alla digitalizzazione può offrire nuove opportunità ai lavoratori più anziani. È necessario dedicare degli studi al monitoraggio di questi sviluppi.

5.   Un dialogo sociale e civile innovativo e anticipatore

5.1.

Il dialogo sociale a tutti i livelli (europeo, nazionale, settoriale, territoriale e aziendale) deve tener pienamente conto delle sfide digitali e sviluppare politiche lungimiranti basate su dati pertinenti riguardo alle professioni interessate dai cambiamenti così come ai nuovi posti di lavoro che si vengono a creare e alle competenze da sviluppare per occuparli.

5.2.

Il dialogo sociale deve affrontare in modo più completo la questione delle condizioni di lavoro nell’era dell’automazione al fine di tener conto dei nuovi rischi e delle nuove opportunità. Gli accordi che il dialogo sociale ha permesso di concludere nei diversi Stati membri e settori dell’UE dovrebbero essere oggetto di analisi da parte della Commissione europea in vista dell’applicazione dei risultati così raggiunti (diritto di disconnessione (27), accordi in materia di telelavoro, diritti trasferibili legati alla persona, accordo collettivo firmato con le piattaforme (28) ecc.) (29).

5.3.

Affinché tutte le forme flessibili di impiego rese possibili dalla digitalizzazione vengano coperte e nessun lavoratore sia ridotto in mezzo a una strada (30), il CESE pone tra le sue priorità il mantenimento della qualità e della sostenibilità finanziaria dei sistemi di protezione sociale, coerentemente con il pilastro europeo dei diritti sociali. Il Comitato esorta la Commissione europea e gli Stati membri a organizzare con le parti sociali la concertazione necessaria per adeguare i regimi di protezione sociale alle nuove forme di occupazione.

5.4.

Risorse supplementari possono essere reperite grazie agli incrementi di produttività resi possibili dalla digitalizzazione. Il dialogo sociale relativo alla condivisione del valore aggiunto e alla sua ridistribuzione deve aver luogo a livello di filiera e di singola impresa.

5.5.

Riguardo poi agli aspetti fiscali, occorrerà valutare con attenzione delle riforme dei regimi d’imposta al fine di garantire livelli di tassazione equivalenti per ogni forma di reddito, sia esso generato in settori organizzati sulla base di contratti collettivi o nell’ambito dell’economia collaborativa.

5.6.

Le parti interessate della società civile dovrebbero essere attivamente coinvolte in questi sviluppi. La necessità di adottare politiche di formazione a favore dei gruppi particolarmente vulnerabili ai rapidi cambiamenti tecnologici, nonché il fatto che gli effetti delle politiche di sviluppo dell’IA e della digitalizzazione riguardino tutti i cittadini, legittimano l’attribuzione di un ruolo di rilievo alle organizzazioni della società civile.

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Commissione europea, Women in the Digital Age, 2018.

(2)  COM(2017) 206 final, pag. 28.

(3)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 1.

(4)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 54 e GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 7.

(5)  CESE, Impatto della digitalizzazione e dell'economia a richiesta sui mercati del lavoro e conseguenze per l'occupazione e le relazioni industriali, 2017.

(6)  GU L 122 del 16.5.2009, pag. 28.

(7)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 1.

(8)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 1.

(9)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30 e 36 e GU C 237 del 6.7.2018, pag. 8.

(10)  GU C 237 del 6.7.2018, pag. 1.

(11)  Unione europea (2017).Documento di riflessione sulla dimensione sociale dell’Europa, 2017, pag. 24.

(12)  GU C 262 del 25.7.2018, pag. 1.

(13)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 1.

(14)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 1.

(15)  OIL (2018). Impact des technologies sur la qualité et la quantité des emplois; cfr. C. Villani, Donner un sens à l'intelligence artificielle: Pour une stratégie nationale et européenne, 2018.

(16)  Cfr. la relazione sull’intelligenza artificiale del deputato dell’Assemblea nazionale francese Cédric Villani (marzo 2018).

(17)  L. Nedelkoska e G. Quintini, Automation, skills use and training, Documenti di lavoro dell’OCSE sulle questioni sociali, il lavoro e le migrazioni, n. 202, Edizioni OCSE, Parigi, 2018.

(18)  France Stratégie, Intelligence artificielle et travail: rapport à la ministre du travail et au secrétaire d'État auprès du premier ministre, chargé du numérique, 2018.

(19)  Cedefop, Insights into skill shortages and skill mismatch: learning from Cedefop's European skills and job survey, 2018.

(20)  L. Nedelkoska e G. Quintini, Automation, skills use and training, Documenti di lavoro dell’OCSE sulle questioni sociali, il lavoro e le migrazioni, n. 202, Edizioni OCSE, Parigi, 2018.

(21)  Cedefop, Insights into skill shortages and skill mismatch: learning from Cedefop's European skills and job survey, 2018.

(22)  GU C 237 del 6.7.2018, pag. 8.

(23)  Cedefop, Insights into skill shortages and skill mismatch: learning from Cedefop's European skills and job survey, 2018.

(24)  Commissione europea, Women in the Digital Age, 2018.

(25)  Commissione europea, Monitoring the digital economy & society 2016-2021, 2015.

(26)  Eurofound, Non-standard forms of employment: Recent trends and future prospects, 2017, pag. 7, e Working conditions of workers at different ages, 2017.

(27)  GU C 237 del 6.7.2018, pag. 8.

(28)  Cfr. l’accordo concluso in Danimarca.

(29)  GU C 434 del 15.12.2017, pag. 30.

(30)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 54 e GU C 129 dell'11.4.2018, pag. 7.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «La condizione delle donne con disabilità»

[parere esplorativo richiesto dal Parlamento europeo]

(2018/C 367/04)

Relatrice:

Gunta ANČA

Consultazione

Parlamento europeo, 3.4.2018

Base giuridica

Articolo 29 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

13.3.2018

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

6.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

187/2/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le donne e le ragazze con disabilità devono costantemente far fronte ad una discriminazione multipla e intersezionale, dovuta sia al loro genere che alla loro disabilità. Le donne con disabilità non godono di pari opportunità di partecipazione, a parità di condizioni con gli altri, a tutti gli aspetti della società, ma sono invece troppo spesso escluse, tra l’altro, da un’istruzione e una formazione inclusive, dall’occupazione, dall’accesso a programmi di riduzione della povertà, dall’accesso ad un alloggio adeguato nonché dalla partecipazione alla vita politica e alla vita pubblica, e in aggiunta taluni atti legislativi impediscono loro di prendere decisioni in merito alla loro vita, anche per quanto riguarda i loro diritti sessuali e riproduttivi. Vari ostacoli si frappongono inoltre all’esercizio dei loro diritti di cittadine dell’UE (1).

1.2.

Il presente parere invita l’UE e tutti i suoi Stati membri ad attuare la Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità (2), le raccomandazioni rivolte dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità all’UE nel 2015 sulle donne e le ragazze con disabilità, nonché l’osservazione generale n. 3 sull’articolo 6 della Convenzione elaborata dal suddetto Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

1.3.

Il CESE esorta l’UE e i suoi Stati membri a includere la dimensione della disabilità nelle loro future strategie, politiche e programmi per la parità di genere, e ad integrare una prospettiva di genere nelle loro strategie in materia di disabilità, tra cui la futura strategia europea sulla disabilità 2020-2030 e il pilastro europeo dei diritti sociali (3). La strategia che sostituirà la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva dovrebbe inoltre includere una prospettiva per le donne con disabilità, la cui partecipazione all’economia e alla società è essenziale per la riuscita della strategia europea globale in campo sociale ed economico (4).

1.4.

Sia in ambito UE che a livello nazionale, si dovrebbe fare il necessario per avviare un dialogo strutturato, creando una linea di bilancio a parte sufficiente ad assicurare una consultazione e una partecipazione significative — tramite le loro organizzazioni di rappresentanza — delle persone con disabilità, compresi donne, ragazze e ragazzi con disabilità, nell’attuazione e nella verifica del rispetto della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità (5).

1.5.

Si dovrebbe far ricorso agli strumenti di finanziamento dell’UE, sia quelli esistenti che quelli futuri, in particolare i fondi strutturali e il Fondo sociale europeo, in quanto meccanismi essenziali per aiutare gli Stati membri a promuovere l’accessibilità e la non discriminazione nei confronti delle donne e delle ragazze con disabilità (6).

1.6.

L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero aderire in tempi rapidi alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), poiché questo segnerebbe un passo avanti nel contrastare la violenza contro le donne e le ragazze con disabilità (7). Tra le misure da adottare, si dovrebbe introdurre nel codice penale il reato specifico di violenza sessuale e di violenza di altro tipo contro le donne e le ragazze con disabilità, ponendo fine tra l’altro alla loro sterilizzazione forzata (8).

1.7.

L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure necessarie per garantire alle donne e alle ragazze con disabilità pari accesso a servizi di assistenza sanitaria specificamente concepiti per le persone con disabilità, nonché a servizi di carattere più generale che siano accessibili. Tutte le donne e le ragazze con disabilità devono poter esercitare la loro capacità giuridica assumendo decisioni autonome, usufruendo di un’assistenza qualora lo desiderino, per quanto riguarda le cure mediche e/o i trattamenti terapeutici, comprese le decisioni sul mantenimento della propria fertilità e autonomia riproduttiva (9).

2.   Introduzione

2.1.

Le donne con disabilità rimangono tuttora ai margini della società. Infatti, non solo la loro condizione è peggiore rispetto a quella delle donne non disabili, ma lo è anche rispetto a quella degli uomini con disabilità (10).

2.2.

Le donne con disabilità costituiscono il 16 % della popolazione femminile totale in Europa: la percentuale si basa sul dato che attualmente le donne in Europa sono poco meno di 250 milioni, il che significa che nell’Unione europea (UE) si contano circa 40 milioni di donne e ragazze con disabilità (11).

2.3.

Sia in Europa che nel mondo il numero di persone anziane è in aumento, il che significa che il numero di persone con disabilità crescerà allo stesso ritmo. Dal momento che l’aspettativa di vita femminile è più lunga, il numero di donne con disabilità aumenterà in misura sproporzionata (12).

2.4.

Il presente parere invita l’UE e tutti i suoi Stati membri ad attuare la Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità (13), le raccomandazioni rivolte da detta Convenzione all’UE nel 2015 sulle donne e le ragazze con disabilità, nonché l’osservazione generale n. 3 sull’articolo 6 della Convenzione elaborata dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero adottare senza indugi un piano d’azione e un calendario, oltre che mettere in campo le risorse necessarie, per l’attuazione della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità.

3.   Osservazioni generali

Quadro giuridico internazionale ed europeo

3.1.

L’UE, insieme ai suoi 28 Stati membri, è uno Stato parte della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. L’UE e i 28 Stati membri sono attualmente vincolati al rispetto della Convenzione dal diritto internazionale, il che significa che essi si impegnano a promuovere, proteggere e garantire congiuntamente i diritti delle persone con disabilità sanciti dalla Convenzione stessa, compresi quelli delle donne e delle ragazze con disabilità. L’Unione europea e i suoi Stati membri dovrebbero dare l’esempio, dal momento che l’UE è la sola organizzazione per l’integrazione regionale al mondo che sia anche Stato parte della Convenzione, e si trova inoltre in una posizione unica per assicurare una protezione armonizzata e paritaria delle donne e delle ragazze con disabilità in tutta l’Europa.

3.2.

A norma dell’articolo 6 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, gli Stati parti della Convenzione riconoscono che «le donne e le minori con disabilità sono soggette a discriminazioni multiple e, a questo riguardo, adottano misure per garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte delle donne e delle minori con disabilità. Gli Stati parti adottano ogni misura idonea ad assicurare il pieno sviluppo, progresso ed emancipazione delle donne, allo scopo di garantire loro l’esercizio ed il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali enunciati nella presente Convenzione».

3.3.

Nel 2015 il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha rivolto all’UE importanti raccomandazioni su come migliorare la condizione di queste persone nell’Unione europea, incluse le donne e le ragazze con disabilità.

3.4.

Nel 2016 il medesimo Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha adottato l’osservazione generale n. 3 sull’articolo 6 della Convenzione, in cui si sottolinea che gli Stati parti della Convenzione, compresa l’UE, dovrebbero mettere in campo le misure sopra ricordate al fine di promuovere i diritti delle donne e delle ragazze con disabilità.

3.5.

Tutti gli Stati membri dell’UE sono anche Stati parti della Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (UN Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women — CEDAW), che costituisce lo strumento giuridico internazionale dalla portata più estesa per far progredire il pari riconoscimento, il godimento e l’esercizio di tutti i diritti umani delle donne in campo politico, economico, sociale, culturale, civile e domestico. Le donne e le ragazze con disabilità dovrebbero anche trarre pieno giovamento dagli sforzi intrapresi a livello nazionale per attuare la CEDAW, e dovrebbero anche esservi coinvolte.

3.6.

Gli articoli 10 e 19 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) stabiliscono che — nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, e tramite l’adozione di iniziative adeguate — l’UE deve combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale. L’articolo 8 del TFUE sancisce che «[n]elle sue azioni l’Unione mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità, tra uomini e donne».

3.7.

Gli articoli 20 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE vietano la discriminazione fondata sulla disabilità e sanciscono il diritto delle persone con disabilità a beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità. La Carta sancisce inoltre la parità tra uomini e donne e la non discriminazione per tutta una serie di motivi, compreso il genere.

4.   Raccomandazioni generali

4.1.

Contrariamente a quanto sancito dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, dalla CEDAW, dal TFUE e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, l’Unione europea non ha sistematicamente integrato la dimensione della disabilità nel ventaglio delle sue politiche, dei suoi programmi e delle sue strategie in materia di genere, né ha adottato una prospettiva di genere nelle sue strategie in materia di disabilità. Oggi l’UE e i suoi Stati membri non dispongono di un quadro giuridico solido atto a tutelare, promuovere e garantire l’insieme dei diritti umani a tutte le donne e le ragazze con disabilità. Il CESE esorta l’UE e i suoi Stati membri a includere la dimensione della disabilità nelle loro future strategie, politiche e programmi per la parità di genere, e ad integrare una prospettiva di genere nelle loro strategie in materia di disabilità, tra cui la futura strategia europea sulla disabilità 2020-2030 e il pilastro europeo dei diritti sociali. La strategia che sostituirà la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva dovrebbe inoltre includere una prospettiva per le donne con disabilità, la cui partecipazione all’economia e alla società è essenziale per la riuscita della strategia europea globale in campo sociale ed economico (14).

4.2.

L’UE e i suoi Stati membri non consultano a sufficienza né finanziano in misura adeguata le organizzazioni rappresentative di donne e ragazze con disabilità. Sia in ambito UE che a livello nazionale, si dovrebbe fare il necessario per avviare un dialogo strutturato, creando una linea di bilancio a parte sufficiente ad assicurare una consultazione e una partecipazione significative — tramite le loro organizzazioni di rappresentanza — delle persone con disabilità, compresi donne, ragazze e ragazzi con disabilità, nell’attuazione e nella verifica del rispetto della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità (15).

4.3.

Ancora oggi le donne e le ragazze con disabilità restano ai margini di tutte le organizzazioni per i diritti umani. Le relazioni periodiche elaborate dagli organi convenzionali delle Nazioni Unite competenti in materia di diritti umani per l’Unione europea e i singoli Stati membri devono presentare sistematicamente informazioni sulle donne con disabilità. Questa prassi andrebbe estesa a tutte le istituzioni impegnate nella difesa dei diritti umani a livello sia europeo che nazionale, comprese le organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità e delle loro famiglie, le organizzazioni femminili in generale e quelle che rappresentano le donne con disabilità (16).

4.4.

L’UE e i suoi Stati membri non dispongono di dati omogenei e comparabili né di indicatori del rispetto dei diritti umani per quanto riguarda le donne e le ragazze con disabilità, e neppure di studi/ricerche sulla condizione di queste due particolari categorie nell’Unione (17). Il CESE raccomanda che le agenzie europee — in particolare la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound), il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop), l’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali (FRA) e l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) — adottino un approccio più sistematico nelle loro attività in relazione alle persone con disabilità e alla condizione di queste persone nel mercato del lavoro e nella società. Tale approccio dovrebbe tenere conto in particolare della situazione delle donne e del fatto che l’intersezionalità può portare a molteplici forme di discriminazione. Il CESE raccomanda inoltre che questo tema sia espressamente indicato nei programmi di lavoro di dette agenzie europee. Tanto a livello dell’UE come a livello nazionale, le tematiche relative alle donne e alle ragazze con disabilità dovrebbero essere integrate nella raccolta di dati e statistiche sul genere e le fasce di età, oltre che nelle serie statistiche e nelle indagini statistiche, conformemente ai principi della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. Per fornire orientamenti alla pianificazione strategica, si dovrebbe introdurre un meccanismo destinato a monitorare i progressi compiuti e a finanziare la raccolta dati, gli studi e le ricerche sulle donne e le ragazze con disabilità e sulla discriminazione intersezionale di cui esse sono oggetto, anche ad opera dei gruppi sociali più emarginati come le minoranze etniche e religiose. Le attività complessive di ricerca sui diritti delle persone con disabilità dovrebbero tener conto di una prospettiva di genere, e d’altro canto la ricerca sulle donne e le ragazze dovrebbe tener presente la dimensione della disabilità.

4.5.

Si dovrebbe far ricorso agli strumenti di finanziamento dell’UE, sia quelli esistenti che quelli futuri, in particolare i fondi strutturali e il Fondo sociale europeo, in quanto meccanismi essenziali per aiutare gli Stati membri a promuovere l’accessibilità e la non discriminazione nei confronti delle donne e delle ragazze con disabilità (18), nonché per sensibilizzare l’opinione pubblica e dare maggiore visibilità alle possibilità di finanziamento di misure di questo tipo nel quadro dei programmi per il periodo successivo al 2020. Alle organizzazioni delle persone con disabilità dovrebbero essere garantite informazioni in formato accessibile e un aiuto per accedere alle opportunità di finanziamento.

4.6.

In Europa le donne e le ragazze con disabilità sono più esposte al rischio di diventare vittime di discriminazione multipla e intersezionale. L’intersezione di fattori quali la razza, l’origine etnica, l’estrazione sociale, l’età, l’orientamento sessuale, la nazionalità, la religione, il sesso, la disabilità, lo status di profugo o di migrante, e altri ancora, ha un effetto moltiplicatore che rafforza la discriminazione di cui sono oggetto le donne e le ragazze con disabilità (19). Questa discriminazione nasce dal modo in cui le persone costruiscono le loro identità: esse non riescono a riconoscere la diversità che esiste tra le donne con disabilità e tendono ad avere una visione uniforme di queste donne in tutti gli spazi sociali e a percepirne la realtà da un punto di vista esclusivo (20). L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero abrogare tutte le leggi, le politiche e le pratiche discriminatorie, e bandire qualsiasi discriminazione basata sul genere e sulla disabilità e tutte le forme di discriminazione intersezionale, tra l’altro adottando una normativa europea solida e di vasta portata che protegga le donne con disabilità dalla discriminazione intersezionale in tutti gli aspetti della vita (21).

4.7.

La Storia, gli atteggiamenti e i pregiudizi delle comunità di appartenenza, anche all’interno della cerchia familiare, hanno creato un’immagine stereotipata negativa delle donne e delle ragazze con disabilità, contribuendo così ad isolarle ed emarginarle dalla società. Queste donne e ragazze sono pressoché ignorate dai mezzi di informazione, e quando sono oggetto di attenzione mediatica l’approccio consiste nel considerarle da una prospettiva medico-sanitaria asessuata, passando sotto silenzio le loro capacità e il loro contributo all’ambiente in cui vivono (22). Le donne e le ragazze con disabilità non sono sufficientemente consapevoli dei loro diritti sanciti dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, dalla CEDAW e dalla legislazione dell’UE. L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero elaborare una campagna di sensibilizzazione ad ampio raggio sulla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità e sulla CEDAW, dare maggiore visibilità alla condizione delle donne con disabilità e lottare contro i pregiudizi di cui sono oggetto le donne e le ragazze con disabilità (23). Si dovrebbero incoraggiare i media a consultare e coinvolgere le donne con disabilità, preferibilmente le esponenti indicate dalle loro organizzazioni di rappresentanza, e tali organizzazioni dovrebbero inoltre partecipare a presentazioni e monitorare i programmi. Le organizzazioni delle persone con disabilità dovrebbero ricevere i finanziamenti necessari per informare e formare le donne e le ragazze con disabilità, come pure le loro famiglie, sui diritti di cui godono in forza della Convenzione dell’ONU sui diritti delle persone con disabilità.

4.8.

In quanto pubblica amministrazione, l’Unione europea ha il dovere di attuare la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità all’interno delle sue istituzioni. L’UE dovrebbe garantire che gli eventi e riunioni, oltre che le iniziative di comunicazione, informazione e consultazione delle sue istituzioni, e le politiche europee in materia di occupazione e di sicurezza sociale siano interamente rispettose e tengano pienamente conto delle problematiche delle donne e delle ragazze con disabilità, e dovrebbe anche fare in modo che la sensibilità alle questioni di genere venga presa in considerazione al momento della formazione dei suoi bilanci. Andrebbero adottate azioni positive per assicurare che le donne con disabilità partecipino, a parità di condizioni con altre categorie, alle attività e al funzionamento delle istituzioni dell’UE.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.   Violenze

5.1.1.

Le donne con disabilità sono più esposte al rischio di subire violenze e abusi o di essere sfruttate rispetto alle altre donne. La violenza subìta può essere di natura interpersonale, istituzionale e/o strutturale. Con violenza istituzionale e/o strutturale si intende qualsiasi forma di ineguaglianza strutturale o di discriminazione istituzionale che mantiene la donna in posizione subordinata, materialmente o ideologicamente, rispetto ad altri familiari, membri della famiglia allargata o della comunità (24). Secondo uno studio realizzato nel 2014 dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, le donne e le ragazze con disabilità sono più esposte al rischio (da 3 a 5 volte di più rispetto alle altre donne) di diventare vittime di violenza, in particolare di violenza domestica (25).

5.1.2.

La normativa UE e la legislazione degli Stati membri sulla prevenzione dello sfruttamento, della violenza e degli abusi spesso non riserva nessuna particolare attenzione alla categoria delle donne e delle ragazze con disabilità. L’UE dovrebbe prendere i provvedimenti necessari per integrare sistematicamente la dimensione della disabilità in tutte le normative, le politiche e le strategie di lotta contro la violenza, gli abusi e lo sfruttamento (26). Nel codice penale si dovrebbe introdurre il reato specifico di violenza contro le donne. L’Unione dovrebbe adottare tutte le misure legislative, amministrative, sociali ed educative atte a proteggere le donne e le ragazze con disabilità, sia all’interno che all’esterno delle mura domestiche, da tutte le forme di sfruttamento, violenza e abuso e ad agevolare il loro accesso alla giustizia grazie a un’assistenza e a un sostegno adeguati in seno alla comunità, tenendo in considerazione le loro esigenze specifiche, tra cui quella di avere dispositivi di assistenza, per evitare l’isolamento e la segregazione in casa (27).

5.1.3.

L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero aderire in tempi rapidi alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), poiché questo segnerebbe un passo avanti nel contrastare la violenza contro le donne e le ragazze con disabilità. Tra le misure da adottare, si dovrebbe introdurre nel codice penale il reato specifico di violenza sessuale e di violenza di altro tipo contro le donne e le ragazze con disabilità, ponendo fine tra l’altro alla loro sterilizzazione forzata (28).

5.2.   Salute sessuale e riproduttiva e relativi diritti, compreso il rispetto del domicilio e quello del diritto di fondare una famiglia

5.2.1.

Gli stereotipi pregiudizievoli relativi alla disabilità e al genere costituiscono una forma di discriminazione con conseguenze particolarmente gravi sulla possibilità di godere di una salute sessuale e riproduttiva e dei relativi diritti, oltre che sull’esercizio del diritto di fondare una famiglia. Tra le immagini stereotipate che danneggiano le donne con disabilità citiamo la convinzione che siano asessuate, prive di capacità, irrazionali e/o ipersessuate (29).

5.2.2.

Spesso le scelte delle donne con disabilità, in particolare di quelle con disabilità intellettive o psicosociali, vengono ignorate, e in molti casi a decidere al posto loro sono terzi, tra cui i loro rappresentanti legali, prestatori di servizi, tutori e familiari, in violazione dei loro diritti sanciti dall’articolo 12 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (30). In troppi casi le donne e le ragazze con disabilità sono costrette a subire sterilizzazioni e aborti forzati, o altre forme di controllo della fertilità. È opportuno che l’UE e gli Stati membri adottino ogni provvedimento idoneo a garantire che tutte le donne con disabilità possano esercitare la loro capacità giuridica assumendo decisioni autonome, usufruendo di un’assistenza qualora lo desiderino, per quanto riguarda cure mediche e/o trattamenti terapeutici, comprese le decisioni sul mantenimento della propria fertilità e autonomia riproduttiva, esercitando il loro diritto di stabilire quanti bambini vogliono e a che intervallo tra una gravidanza e l’altra, di decidere in merito alla propria sessualità e di esercitare il diritto di intrecciare relazioni, in totale assenza di coercizioni, discriminazioni e violenza. La sterilizzazione forzata e l’aborto forzato sono una forma di violenza nei confronti delle donne e dovrebbe essere perseguiti penalmente, come sancito all’articolo 39 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (31).

5.2.3.

Alle donne con disabilità può inoltre essere negato l’accesso all’informazione, alla comunicazione e all’educazione sulla loro salute sessuale e riproduttiva e sui relativi diritti, a causa dello stereotipo pregiudizievole secondo cui sarebbero asessuate e, quindi, non avrebbero bisogno di ricevere tali informazioni al pari di tutti gli altri. Per di più, le informazioni possono anche non essere disponibili in formati accessibili. Le strutture e le attrezzature per l’assistenza sanitaria, comprese le apparecchiature per la mammografia e i lettini per gli esami ginecologici, presentano spesso problemi di accessibilità fisica per le donne con disabilità (32). L’UE e i suoi Stati membri dovrebbero adottare tutte le misure necessarie per garantire alle donne e alle ragazze con disabilità pari accesso a servizi di assistenza sanitaria specificamente concepiti per le persone con disabilità, nonché a servizi accessibili di natura generale, come cure dentistiche e oculistiche, servizi per la salute sessuale e riproduttiva e servizi di medicina preventiva, comprese consultazioni ginecologiche, esami medici, pianificazione familiare e un’assistenza adattata durante la gravidanza.

5.2.4.

Si dovrebbero prendere i necessari provvedimenti in merito alla formazione dei professionisti, e prima di tutto degli operatori del settore dell’assistenza sanitaria e degli operatori del settore giuridico, per far sì che prestino ascolto alla voce delle donne e delle ragazze con disabilità nel corso delle indagini e dei procedimenti giudiziari. Queste misure andrebbero adottate in stretta cooperazione con le organizzazioni di rappresentanza delle persone con disabilità.

5.3.   Istruzione e formazione

5.3.1.

I perniciosi stereotipi sul genere e sulla disabilità hanno l’effetto combinato di alimentare le mentalità, le politiche e le pratiche discriminatorie, ad esempio: utilizzare materiale educativo che perpetua gli stereotipi pregiudizievoli in materia di genere e di disabilità, svolgere attività familiari basate sul genere, attribuire compiti di assistenza e cura a donne e ragazze e, in alcuni ambiti, considerare più importante l’istruzione dei ragazzi rispetto a quella delle ragazze, incoraggiare il matrimonio precoce di ragazze minori con disabilità, e, infine, non installare servizi igienico-sanitari accessibili nelle scuole per consentire a donne e ragazze di gestire in modo igienicamente sicuro il periodo delle mestruazioni. A sua volta, tutto questo è causa di tassi più elevati di analfabetismo, insuccesso scolastico, tassi disomogenei di frequenza giornaliera in classe, assenteismo e abbandono scolastico (33).

5.3.2.

Un’analisi comparativa condotta nell’UE mostra che nel 2011 solo il 27 % delle persone con disabilità di età compresa tra i 30 e i 34 anni aveva completato il livello di istruzione terziaria o un livello equivalente (34). Non sono però disponibili dati specifici riguardo alle donne e alle ragazze con disabilità. Nelle scuole europee e in vari Stati membri dell’UE molte donne e ragazze con disabilità non possono accedere a un’istruzione inclusiva e di qualità, conformemente a quanto sancito dalla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità. È dimostrato che la crisi finanziaria ha avuto ripercussioni negative sugli sforzi volti ad offrire un’istruzione inclusiva.

5.3.3.

L’offerta di un’istruzione generale inclusiva alle ragazze e alle donne con disabilità va vista attraverso il paradigma di un’istruzione di qualità, delle pari opportunità, di un sostegno e di un alloggio a prezzi ragionevoli (35), nonché di un’accessibilità universale lungo tutto l’arco della vita, garantendo alle donne con disabilità l’accesso ad un’istruzione permanente quale strumento per rafforzare la loro autonomia personale e il libero sviluppo della loro personalità oltre che per migliorarne l’inserimento sociale, mentre al tempo stesso esercitano in ogni momento il diritto di decidere per sé stesse e di scegliere il proprio stile di vita. I genitori di alunni e studenti con disabilità dovrebbero ricevere le informazioni del caso sui vantaggi che apporta un’istruzione generale inclusiva.

5.3.4.

L’UE e gli Stati membri dovrebbero valutare la situazione attuale e adottare misure volte a facilitare l’accesso e il beneficio di un’istruzione inclusiva e di qualità per tutti gli studenti con disabilità, in linea con la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, promuovendo il ricorso agli strumenti di finanziamento europei; inoltre, nel perseguire la realizzazione dell’obiettivo stabilito in materia di istruzione, dovrebbero includere specifici indicatori sulla disabilità nella strategia Europa 2020.

5.3.5.

Negli ultimi anni sono stati introdotti dei miglioramenti nei regolamenti UE e nei programmi di scambio di studenti (ad esempio Erasmus+) pertinenti nel campo dell’istruzione, compreso un sostegno finanziario per la mobilità degli studenti con disabilità. Resta però il fatto che, all’atto pratico, gli studenti con disabilità devono affrontare un gran numero di ostacoli quando cercano di avere accesso ai servizi di istruzione del paese di destinazione del programma di scambio (ad esempio, barriere dovute all’atteggiamento, barriere fisiche, in materia di comunicazione e di informazione, o ancora la scarsa flessibilità dei programmi di studio) (36). I programmi dell’UE per l’istruzione superiore, la formazione e l’apprendimento permanente dovrebbero prevedere aiuti a favore delle donne con disabilità. Il programma europeo di scambio destinato agli imprenditori («Erasmus per giovani imprenditori») dovrebbe prevedere un aiuto finanziario a favore dei giovani con disabilità, una misura che è attualmente assente dal programma. Sarebbe opportuno condividere le buone pratiche e le sfide che emergono nei programmi di scambio destinati agli studenti e ai giovani imprenditori, e si dovrebbe prevedere una formazione per i professionisti del settore dell’istruzione, le parti sociali e i mezzi d’informazione.

5.3.6.

Alle donne e alle ragazze con disabilità andrebbe garantito un pari accesso alle diverse componenti delle infrastrutture delle TIC e della società dell’informazione. Per consentire l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione alle donne e alle ragazze con disabilità a rischio di esclusione sociale o di povertà, nell’elaborazione e nello sviluppo di tali TIC si dovrebbero prendere in considerazione fattori economici, il fabbisogno di formazione e le pari opportunità, indipendentemente dall’età.

5.4.   Occupazione

5.4.1.

La partecipazione generale delle donne al mercato del lavoro continua ad essere molto inferiore a quella degli uomini (46,6 % a fronte del 61,9 %). In tutti gli Stati membri i mercati del lavoro mostrano una persistente e significativa segregazione di genere. L’esclusione dal mercato del lavoro delle donne con disabilità è tuttavia molto più forte: secondo l’indice sull’uguaglianza di genere per il 2015 pubblicato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), nell’UE solo il 18,8 % delle donne con disabilità ha un lavoro, mentre per gli uomini con disabilità la percentuale sale al 28,1 %. Rimane inaccettabile che tra le donne con disabilità si registri un elevato tasso di disoccupazione, che tra l’altro le espone maggiormente al rischio di vivere in condizioni di povertà e di esclusione sociale. Le donne e le ragazze con disabilità incontrano maggiori difficoltà ad accedere al mercato del lavoro, il che complica ulteriormente la loro possibilità di condurre una vita indipendente. Spesso, inoltre, le donne e le ragazze con disabilità sono sottopagate. Gli ostacoli alla mobilità e la maggiore dipendenza dai familiari e dai prestatori di assistenza sono altrettante barriere che impediscono loro di partecipare attivamente all’istruzione, al mercato del lavoro e alla vita sociale ed economica della comunità (37).

5.4.2.

Considerati gli alti tassi di disoccupazione e di inattività sul mercato del lavoro che si registrano tra le donne con disabilità, l’UE e i suoi Stati membri devono mettere a punto azioni, sia di carattere generale che positive, mirate a questa specifica categoria e intese a promuovere la formazione, i collocamenti al lavoro, l’accesso all’occupazione, il mantenimento del posto di lavoro, la parità di retribuzione per uno stesso lavoro, le pari opportunità di percorso professionale, gli adattamenti sul posto di lavoro e l’equilibrio tra vita professionale e vita privata. Le donne con disabilità devono avere il diritto, alla pari con tutti gli altri, a condizioni di lavoro eque e favorevoli, incluse le pari opportunità e la parità di retribuzione per uno stesso lavoro (38).

5.4.3.

Tenendo presenti lo strumento dell’UE per il microfinanziamento e il Fondo sociale europeo per stimolare l’occupazione e favorire l’inclusione sociale, sarebbe opportuno promuovere le opportunità di lavoro autonomo, l’imprenditorialità delle donne con disabilità, la parità di rappresentanza nei consigli di amministrazione delle aziende, la creazione di imprese sociali o l’avvio di attività economiche in proprio. Le donne con disabilità dovrebbero godere di pari diritti a ricevere un aiuto finanziario durante l’intero ciclo di vita di un’impresa ed essere considerate come imprenditrici competenti. A tale proposito, si dovrebbero adottare azioni positive a favore delle donne imprenditrici con disabilità, incluse quelle che risiedono nelle aree rurali, con la concessione di prestiti a tassi agevolati, microcredito e sovvenzioni a fondo perduto.

5.4.4.

L’aumento del numero di persone con disabilità accrescerà l’onere che grava sui prestatori di cure e assistenza, in particolare quelli che prestano tale attività tra i familiari: si tratta in prevalenza di donne costrette a lavorare a orario ridotto o persino ad abbandonare il mercato del lavoro per prendersi cura dei familiari non autosufficienti (39).

5.4.5.

L’UE e gli Stati membri dovrebbero favorire un migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata delle donne con disabilità e dei prestatori di assistenza alle persone con disabilità adottando misure efficaci pensate «su misura» per le esigenze specifiche di queste categorie. Tra le opzioni percorribili per raggiungere questo obiettivo figurano la trasparenza salariale, le procedure di assunzione e le indennità della sicurezza sociale, l’orario di lavoro flessibile o il telelavoro a tempo parziale, l’equilibrio tra le spese associate alla disabilità in relazione alla maternità e alla prestazione di assistenza ad altre persone fortemente bisognose di accudimento, la promozione dell’accesso universale a servizi di assistenza economicamente abbordabili e di qualità in diversi momenti della giornata, come asili nido o servizi di assistenza per anziani ed altre persone fortemente bisognose di accudimento (40).

5.4.6.

L’UE e gli Stati membri dovrebbero inserire la categoria delle donne con disabilità e le famiglie delle persone con disabilità tra i soggetti contemplati dalla proposta di direttiva della Commissione sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, nonché in altre misure di politica volte a migliorare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata dei lavoratori e dei prestatori di assistenza (41).

5.4.7.

Le donne con disabilità devono anche affrontare una serie di ostacoli che le riguardano in modo esclusivo e impediscono la loro eguale partecipazione sul luogo di lavoro, tra cui molestie sessuali, disparità di retribuzione e una mancanza di accesso a mezzi di ricorso, a causa di atteggiamenti discriminatori di chi respinge le loro richieste o rimostranze. L’UE e gli Stati membri dovrebbero altresì garantire condizioni di sicurezza e di salute sul lavoro alle donne con disabilità e ai prestatori di assistenza delle persone con disabilità, tra cui la protezione dalle molestie e la garanzia di ottenere soddisfazione in caso di ricorsi. La prevenzione delle molestie sul luogo di lavoro dovrebbe essere assicurata dall’adozione di protocolli antimolestie efficaci, in applicazione delle disposizioni della direttiva 2000/78/CE (42).

5.5.   Partecipazione alla vita politica e alla vita pubblica

5.5.1.

Storicamente la voce delle donne e delle ragazze con disabilità è sempre stata soffocata, il che spiega perché sono sottorappresentate in modo sproporzionato nell’ambito del processo decisionale pubblico. Nella maggior parte degli Stati membri dell’UE un cittadino con disabilità che venga privato della capacità giuridica perde al contempo anche il diritto di voto. Un ostacolo all’esercizio del diritto di voto da parte delle persone con disabilità è costituito anche da procedure per il voto che non consentono l’accessibilità, tra cui seggi elettorali non accessibili (43). L’UE dovrebbe garantire la piena partecipazione delle donne con disabilità alla vita pubblica e alla vita politica, e in particolare alle prossime elezioni al Parlamento europeo del 2019.

5.5.2.

Per via di squilibri di potere e delle discriminazioni dalle molteplici forme che subiscono, queste donne hanno avuto meno possibilità di dar vita o aderire a organizzazioni che si facciano portavoce delle loro esigenze in quanto donne, minori o, in generale, persone con disabilità. L’UE dovrebbe adottare provvedimenti per incoraggiare le donne con disabilità ad assumere ruoli guida all’interno degli organi decisionali pubblici a tutti i livelli e per consentire loro di dar vita e aderire a organizzazioni e reti di donne con disabilità (44). Le donne con disabilità dovrebbero poter fruire di programmi di formazione e di tutoraggio che le rendano autonome e capaci di fare il loro ingresso nella vita politica e nella vita pubblica.

Bruxelles, 11 luglio 2018

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  UNCRPD (Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità), Osservazione generale n. 3 (CRPD/C/GC/3), pag. 1; European Disability Forum — EDF (Forum europeo sulla disabilità) Relazione alternativa indirizzata al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, pag. 57

(2)  Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità

(3)  UNCRPD (Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità), Osservazioni conclusive sulla relazione iniziale dell'UE, Nazioni Unite (Articolo 6 CRPD/C/EU/CO/1)

(4)  Relazione sulle donne disabili, Parlamento europeo, 14 ottobre 2013, pag. 6

(5)  Cfr. nota 3, articolo 4.3.; Cfr. nota 1, pag. 17

(6)  Cfr. nota 4, pag. 9

(7)  Cfr. nota 3, Articolo 16

(8)  European Disability Forum (EDF — Forum europeo sulla disabilità), Relazione Ending forced sterilisation against women and girls with disabilities (Mettere fine alla sterilizzazione forzata subita dalle donne e dalle ragazze con disabilità), 2018

(9)  European Disability Forum (EDF — Forum europeo sulla disabilità), Secondo Manifesto sui diritti delle donne e delle ragazze con disabilità nell'Unione europea, 2011, pagg. 18 e 34

(10)  Cfr. nota 9, pag. 4

(11)  Indagine sulla forza lavoro nell’UE, Modulo ad hoc sulle persone con disabilità e con problemi di salute cronici, 2002

(12)  Cfr. nota 4, pag. 24

(13)  Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità

(14)  Cfr. nota 3, Articolo 6; Cfr. nota 4, pag. 6

(15)  Cfr. nota 3, Articolo 4.3; Cfr. nota 1, pag. 17

(16)  Cfr. nota 9, pag. 47

(17)  Cfr. nota 4, pag. 16

(18)  Cfr. nota 4, pag. 9

(19)  Cfr. nota 1, pag. 2

(20)  Cfr. nota 9, pag. 52

(21)  Cfr. nota 1, pag. 15

(22)  Cfr. nota 9, pag. 11

(23)  Cfr. nota 3, Articolo 8

(24)  Cfr. nota 1, pag. 8

(25)  Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali, Indagine sulla violenza contro le donne, 2014, pag. 186

(26)  Cfr. nota 3, Articolo 16

(27)  Cfr. nota 9, pag. 21

(28)  Cfr. nota 3, Articolo 16; Cfr. nota 8, pag. 49

(29)  Cfr. nota 1, pag. 10

(30)  Cfr. nota 1, pag. 11

(31)  European Disability Forum (EDF — Forum europeo sulla disabilità), Relazione Ending forced sterilisation against women and girls with disabilities (Mettere fine alla sterilizzazione forzata subita dalle donne e dalle ragazze con disabilità), 2018, pagg. 49-50

(32)  Cfr. nota 1, pag. 11; Cfr. nota 9, pag. 34

(33)  Cfr. nota 1, pag. 14

(34)  UE-SILC (Statistiche UE sul reddito e sulle condizioni di vita), 2011.

(35)  Cfr. nota 9, pag. 32

(36)  Relazione alternativa indirizzata al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, pag. 43

(37)  Cfr. nota 4, pag. 7

(38)  Cfr. nota 9, pag. 41

(39)  Cfr. nota 9, pag. 45; Cfr. nota 4, pag. 6

(40)  Cfr. nota 4, pag. 14; Cfr. nota 9, pag. 43

(41)  Cfr. nota 3, Articolo 23

(42)  Cfr. nota 4, pag. 25

(43)  Relazione alternativa indirizzata al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità

(44)  Cfr. nota 1, pag. 16.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

536a sessione plenaria del CESE, 11.7.2018 – 12.7.2018

10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 924/2009 per quanto riguarda talune commissioni applicate sui pagamenti transfrontalieri nell’Unione e le commissioni di conversione valutaria»

[COM(2018) 163 final — 2018/0076 (COD)]

(2018/C 367/05)

Relatore:

Daniel MAREELS

Consultazione

Parlamento europeo, 19.4.2018

Consiglio europeo, 3.5.2018

Base giuridica

Articolo 114 del TFUE

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

7.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

116/0/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato accoglie con favore la proposta in esame, che consentirà di ridurre le commissioni per i pagamenti transfrontalieri in euro negli Stati membri non appartenenti alla zona euro e di aumentare la trasparenza delle commissioni di conversione valutaria. Il CESE chiede che la proposta sia attuata il più rapidamente possibile.

1.2.

Gli effetti diretti di tale proposta si faranno sentire in un primo tempo negli Stati membri che non fanno parte della zona euro. Le elevate commissioni applicate in tali paesi per i pagamenti transfrontalieri in euro all’interno dell’UE sono destinate a scomparire, poiché dovranno essere allineate a quelle, più basse, che si applicano alle operazioni nazionali nella valuta del paese. Il Comitato accoglie con favore questa riduzione dei costi, che avvantaggerà soprattutto i consumatori e le imprese, in particolare le PMI.

1.3.

A sua volta, tale riduzione dei costi comporterà indubbiamente un aumento dei movimenti transfrontalieri e del libero scambio in tutta l’UE, a beneficio di tutti gli Stati membri dell’Unione. Il Comitato ritiene che tale approfondimento del mercato unico e l’impatto economico positivo che ne deriverà rivestano una notevole importanza.

1.4.

Il CESE si rallegra del fatto che tale misura contribuirà anche a raggiungere l’obiettivo iniziale della SEPA, che è quello di considerare tutti i pagamenti in euro nell’UE come pagamenti nazionali. Allo stesso tempo, permetterà di realizzare concretamente il mercato unico dei servizi finanziari al dettaglio, eliminando il divario esistente su questo mercato tra gli utilizzatori all’interno e all’esterno della zona euro. I costi meno elevati pagati dagli utilizzatori all’interno della zona euro saranno dunque accessibili anche agli utilizzatori che non fanno parte di tale zona.

1.5.

Sulla scia dei ripetuti appelli che ha lanciato per la salvaguardia della «biodiversità» del settore bancario (una garanzia della stabilità e dell’efficienza del sistema), e al fine di tenere conto degli sviluppi e delle sfide future, il CESE chiede che venga rivolta maggiore attenzione alla questione dei costi che le banche interessate dovranno sostenere a seguito di tale proposta.

1.6.

Gli operatori del mercato sono tenuti a comunicare il costo totale di una conversione valutaria all’estero e di informarne le persone interessate prima che queste ultime effettuino le loro operazioni. Secondo il Comitato, questi nuovi ulteriori obblighi di trasparenza sono opportuni, in quanto dovrebbero consentire ai consumatori di compiere una scelta informata al momento di effettuare tali operazioni, a un prezzo adeguato. Ma, anche in questo caso, è importante tenere conto della grande complessità tecnica della questione e dei costi che ne derivano per gli operatori.

1.7.

Infine, il Comitato sottolinea inoltre che, benché la questione sia molto tecnica, si tratta indubbiamente di un’ottima opportunità per comunicare con efficacia e chiarezza con tutti i cittadini dell’Unione. Le modifiche realizzate in questo settore possono essere utilizzate per dimostrare che l’UE apporta cambiamenti positivi a vantaggio di tutti e offre soluzioni ai problemi di ogni giorno.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Sin dall’inizio degli anni 2000 sono stati compiuti degli sforzi per armonizzare il sistema dei pagamenti alternativi ai contanti in Europa. Dopo l’introduzione dell’euro è stata avviata la creazione di un’area unica dei pagamenti in euro (SEPA, Single Euro Payments Area(1). In tale contesto si è passati gradualmente da un sistema nazionale di pagamento a un sistema europeo: tale processo si è concluso nel 2014.

2.2.

Grazie a tale sistema, i governi, le imprese e i commercianti possono effettuare facilmente i loro pagamenti in tutta la zona euro e all’interno dell’Unione europea (2) utilizzando gli stessi mezzi di pagamento: carte, bonifici e addebiti diretti. Non viene più effettuata alcuna distinzione in funzione del paese di residenza: in Europa, tutti i pagamenti sono «pagamenti interni».

2.3.

Inoltre, sono state avviate diverse altre iniziative non solo per rendere le commissioni sui pagamenti più trasparenti, ma anche per ridurle. Su tale base, le commissioni applicabili ai pagamenti transfrontalieri in euro all’interno dell’Unione sono state in particolare allineate a quelle vigenti per i pagamenti nazionali nella stessa valuta. Ciò è avvenuto con il regolamento (CE) n. 2560/2001, successivamente sostituito dal regolamento (CE) n. 924/2009.

2.4.

Nella pratica, questo sviluppo ha prodotto degli effetti soltanto negli Stati membri della zona euro (3). Esso ha tuttavia interessato anche la Svezia, la quale si è avvalsa della facoltà (4), concessa agli altri Stati membri, di estendere tale regime alla rispettiva moneta nazionale.

2.5.

Nel quadro del «piano d’azione riguardante i servizi finanziari destinati ai consumatori: prodotti migliori, maggiore scelta» del marzo 2017, la Commissione si è impegnata a proporre delle misure per ridurre i costi delle operazioni transfrontaliere in tutti gli Stati membri e a riesaminare le pratiche di conversione dinamica della valuta (5).

2.6.

La proposta in esame (6) che modifica il summenzionato regolamento (CE) n. 924/2009 mira a estendere i vantaggi apportati dal regime in questione per le operazioni in euro all’interno dell’UE ai cittadini e alle imprese degli Stati membri non appartenenti alla zona euro. In questo modo, le commissioni applicabili ai pagamenti transfrontalieri nell’UE potrebbero essere ridotte allineandole alle commissioni praticate per le operazioni nazionali nella moneta dello Stato membro.

2.7.

Nello stesso tempo (7) vengono imposti ulteriori obblighi di trasparenza per quanto riguarda le pratiche di conversione valutaria: si prevede infatti che, in futuro, i costi di un’operazione transfrontaliera saranno resi pubblici.

2.8.

Il Comitato si compiace del fatto che un certo numero di obblighi ulteriori di trasparenza siano imposti anche agli operatori del mercato in caso di operazioni di conversione valutaria. Gli interessati potranno quindi conoscere il costo totale di un’operazione transfrontaliera prima di effettuarla.

3.   Commenti e osservazioni

3.1.

Il CESE accoglie con favore le proposte intese ad estendere i vantaggi della SEPA ai cittadini e alle imprese degli Stati membri non appartenenti alla zona euro. In tal modo, si ridurrà in generale il costo dei pagamenti transfrontalieri in euro all’interno dell’UE, in particolare nei suddetti Stati membri. Inoltre, e allo stesso tempo, saranno rafforzati gli obblighi di trasparenza riguardanti le commissioni di conversione valutaria.

3.2.

Queste proposte contribuiscono così alla creazione di un mercato unico dei servizi finanziari al dettaglio, eliminando la divisione oggi esistente sul mercato dei pagamenti transfrontalieri in euro all’interno dell’UE. Gli utilizzatori della zona euro, infatti, possono beneficiare pienamente dei vantaggi della SEPA per questo tipo di pagamento, mentre attualmente ciò non è possibile per gli utilizzatori degli Stati membri la cui moneta non è l’euro.

3.3.

La maggior parte degli utilizzatori della zona euro può effettuare i pagamenti in questione a un costo contenuto, se non addirittura trascurabile. Ciò non vale invece per gli utilizzatori al di fuori della zona euro, i quali, come regola generale, devono pagare commissioni elevate su tali operazioni. È giusto, e molto importante, porre fine a tale situazione. I prestatori di servizi di pagamento di tali Stati membri dovranno allineare le commissioni applicate sulle operazioni transfrontaliere in euro a quelle, in genere inferiori, praticate per le operazioni effettuate nella moneta nazionale all’interno dello Stato membro.

3.4.

Tale riduzione dei costi dovrebbe avere un impatto positivo sulla libera circolazione e sugli scambi transfrontalieri all’interno dell’UE, in tutti gli Stati membri. Essa permetterà ai consumatori all’esterno della zona euro di accedere più facilmente ai mercati di tale zona e di trarne vantaggio. Le imprese, in particolare le PMI, saranno avvantaggiate da questo accesso più agevole, che consentirà loro di migliorare la rispettiva posizione sul mercato e di diventare più competitive, con tutti i vantaggi che ne conseguono.

3.5.

Il CESE sostiene la decisione di incentrare il regime proposto sulle operazioni in euro. Infatti, nel proprio parere sul «piano d’azione riguardante i servizi finanziari destinati ai consumatori», il Comitato «si compiace che, in questa fase, la Commissione europea si astenga dall’adottare misure di regolamentazione» (8). Allo stesso tempo, si tratta di un importante passo avanti per gli Stati membri interessati, che da tempo avevano l’occasione di adottare essi stessi tale iniziativa, ma non l’hanno fatto (9).

3.6.

Indipendentemente da una serie di altri motivi (10), tale scelta si colloca anche a metà strada tra le richieste più esigenti sia dei prestatori di servizi di pagamento (11) che degli utilizzatori di tali servizi (12). Inoltre, la scelta proposta è più conforme all’idea di una soluzione «su misura». Essa consente di tenere conto delle caratteristiche e delle situazioni specifiche degli Stati membri interessati, in particolare a livello di sistemi di pagamento e di prestatori di servizi.

3.7.

Alcuni ulteriori obblighi di trasparenza vengono imposti anche agli operatori del mercato, al fine di consentire ai consumatori di fare la scelta giusta quando effettuano delle conversioni valutarie all’estero: un’operazione, questa, che oggi reputano difficile perché non sempre dispongono di informazioni corrette in tempo utile. Di conseguenza, il costo totale di un’operazione transfrontaliera verrà reso pubblico e sarà noto agli interessati prima che essi effettuino le operazioni.

3.8.

Il CESE ritiene che tale obbligo di trasparenza a vantaggio degli utilizzatori e dei consumatori sia molto importante, almeno quanto lo è la sicurezza delle operazioni. Altrettanto importante è anche la fissazione di un tetto per le commissioni applicabili a tali servizi, in attesa dell’elaborazione delle misure concrete definitive di attuazione (13). Per i prestatori di servizi di pagamento si tratta di una questione molto complessa e difficile, ed è quindi opportuno rivolgere una certa attenzione all’aspetto dei costi che ne derivano.

3.9.

I costi e le mancate entrate che le suddette proposte comportano per i prestatori di servizi di pagamento non sono trascurabili (14). Anche se la situazione attuale può non essere del tutto soddisfacente e le perdite possono, in una certa misura, essere attenuate a lungo termine, sembra necessario dedicare un’attenzione sufficiente a questo aspetto dei costi.

3.10.

Come il Comitato ha recentemente sottolineato nel suo appello a favore della «biodiversità» del contesto bancario (15), occorre prestare attenzione alla questione dei costi per garantire la stabilità e l’efficacia del sistema (16). Occorre inoltre tenere presente che oggi le banche si trovano confrontate a numerose sfide di rilievo, in particolare per quanto riguarda il quadro di regolamentazione e vigilanza, alcune prospettive di sviluppi futuri (17), la persistenza di bassi tassi d’interesse e una serie di altre questioni (18).

3.11.

Infine, il Comitato sottolinea inoltre che, benché la questione sia molto tecnica, si tratta indubbiamente di un’ottima opportunità per comunicare con efficacia e chiarezza con tutti i cittadini dell’Unione. Infatti, le modifiche realizzate in questo settore potrebbero essere utilizzate per dimostrare che l’UE apporta cambiamenti positivi nella vita degli imprenditori, dei cittadini e dei consumatori e offre soluzioni a problemi che si incontrano tutti i giorni, ad esempio quando si è in viaggio.

Bruxelles, 11 luglio 2018

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Riguardo alla SEPA, cfr. il sito Internet del Consiglio europeo per i pagamenti: https://www.europeanpaymentscouncil.eu/.

(2)  Sul piano geografico, il sistema SEPA copre 34 paesi e territori: i 28 Stati membri, l’Islanda, la Norvegia, il Liechtenstein, la Svizzera, Monaco e San Marino. Cfr. il sito web indicato nella nota 1.

(3)  E, di conseguenza, sui pagamenti in euro.

(4)  Opzione prevista per tutti gli Stati membri nel regolamento (CE) n. 2560/2001 e nel suo successore, il regolamento (CE) n. 924/2009 relativo ai pagamenti transfrontalieri.

(5)  Cfr. COM(2017) 139 final, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52017DC0139&from=IT. Cfr., in particolare, le azioni proposte 1 e 2.

(6)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 924/2009 per quanto riguarda talune commissioni applicate sui pagamenti transfrontalieri nell’Unione e le commissioni di conversione valutaria. Cfr. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1524213305690&uri=CELEX:52018PC0163.

(7)  Nella stessa proposta di regolamento.

(8)  Cfr. GU C 434 del 15.12.2017, pag. 51, punto 1.1.

(9)  Cfr. l’opzione di cui al punto 2.4.

(10)  Alcune di queste richieste sono sintetizzate nelle Frequently asked questions: Cross-border payments, pubblicate contemporaneamente al comunicato stampa sulle proposte in esame. Cfr. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-2424_en.htm (disponibile solo in EN, FR e DE).

(11)  I primi chiedevano di mantenere lo status quo precedente.

(12)  I secondi erano piuttosto favorevoli alla regolamentazione di un numero ancora maggiore di operazioni.

(13)  Data la tecnicità che contraddistingue la conversione valutaria in un contesto in rapida evoluzione, viene fissato un termine per tale tetto temporaneo, vale a dire al più tardi 36 mesi dopo l’entrata in vigore del regolamento modificato.

(14)  Nella relazione della proposta viene indicato un importo annuo di 900 milioni di EUR per quanto riguarda le operazioni transfrontaliere in euro.

(15)  Cfr. GU C 434 del 15.12.2017, pag. 51, parere INT/822, punto 3.6.

(16)  Cfr. GU C 251 del 31.7.2015, pag. 7, punto 1.1, e GU C 451 del 16.12.2014, pag. 45, punto 1.11.

(17)  Ad esempio, per quanto riguarda la tecnologia finanziaria e a catena di blocchi, nonché il finanziamento dell’economia sostenibile. In relazione al piano d’azione della Commissione per finanziare la crescita sostenibile, cfr. COM(2018) 97 final (http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52018DC0097&from=it).

(18)  In particolare la strategia dell’Unione europea in materia di crediti deteriorati (https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/banking-and-finance/financial-supervision-and-risk-management/managing-risks-banks-and-financial-institutions/non-performing-loans-npls_en).


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/32


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 168/2013 per quanto riguarda l’applicazione della norma Euro 5 per l’omologazione dei veicoli a motore a due o tre ruote e dei quadricicli»

[COM(2018) 137 final — 2018/0065 (COD)]

(2018/C 367/06)

Relatore:

Gerardo LARGHI

Consultazione

Parlamento europeo, 16.4.2018

Consiglio, 4.4.2018

 

 

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

7.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

125/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la proposta di regolamento COM(2018) 137 final in quanto apporta modifiche puntuali al regolamento n. (UE) 168/2013, volte a bilanciare la necessità dello sviluppo di tecnologie a basso impatto ambientale (omologazione Euro 5) e le capacità effettive di talune imprese di implementarle nei tempi previsti (fattibilità tecnologica). Le deroghe, quindi, dovrebbero evitare ripercussioni negative sul mercato e sui livelli occupazionali, pur garantendo il raggiungimento di migliori standard di emissioni in tempi rapidi.

1.2.

Il CESE sottolinea che le modifiche proposte dalla Commissione sono in linea con le raccomandazioni del precedente parere CESE in materia (1). Tra queste si evidenziano: l’applicazione graduale e flessibile del regolamento in funzione dell’effettiva fattibilità tecnologica, costi ragionevoli per imprese e consumatori, l’esclusione dei veicoli di categoria L1 e L2 dall’utilizzo del sistema diagnostico di bordo (OBD) (2). Il Comitato prende altresì atto di un ampio sostegno alla proposta dato dagli Stati membri e da tutti gli stakeholders coinvolti.

1.3.

Il CESE ritiene che la normativa avrà effetti positivi sui costi sostenuti dalle imprese e, di conseguenza, su quelli sostenuti dai consumatori. In tale contesto, va rimarcato il ruolo sociale dei veicoli di categoria L nelle aree rurali, ove sono spesso un’alternativa alla carenza di mezzi pubblici, e nelle città, in quanto aiutano a ridurre la congestione dovuta al traffico.

1.4.

Il CESE è favorevole a rinnovare alla Commissione il potere di adottare atti delegati per altri cinque anni. Il Comitato ritiene che questa condizione sia decisiva per adeguare tempestivamente la normativa vigente in funzione delle costanti evoluzioni tecnologiche e di mercato che riguardano il settore.

1.5.

Il CESE riscontra che lo studio della Commissione (3) non tiene conto del costo, della fattibilità tecnica e riproducibilità del test di consumo energetico (tipo di prova VII) per i cicli omologati a propulsione elettrica (L1e-A) e i cicli omologati a pedalata assistita (L1e-B). Il suddetto studio, infatti, si concentra sull’analisi dei soli veicoli con motore a combustione. Il Comitato, quindi, raccomanda alla Commissione di avviare quanto prima uno studio supplementare sul consumo energetico dei veicoli di categoria L1e-A e L1e-B al fine di offrire un quadro normativo certo alle imprese del settore.

1.6.

Il CESE condivide la proposta della Commissione di posticipare l’applicazione dei limiti di emissioni Euro 5 per i veicoli a quattro ruote leggeri (minicar — L6e-B), i ciclomotori a tre ruote (L2eU), i motocicli trial (L3e-AxT) e enduro (L3e-AxE). Tuttavia, trattandosi di produzioni di nicchia (4) realizzati da piccole e micro imprese, il CESE raccomanda di estendere tale deroga al 2024, come inizialmente ipotizzato dalla valutazione d’impatto. Tale misura dovrebbe consentire alle imprese del settore una transizione meno traumatica, favorendo il mantenimento dei livelli occupazionali.

2.   Introduzione

2.1.

Il settore dei «veicoli di categoria L» è caratterizzato da un’ampia gamma di veicoli leggeri a due, tre e quattro ruote. Questa comprende sette categorie di veicoli: biciclette con pedalata assistita e ciclomotori a due (L1e) e tre ruote (L2e), motocicli a due (L3e) e tre ruote (L4e — sidecar), tricicli a motore (L5e), e quadricicli leggeri (L6e) e pesanti (L7e — quad). Ciascuna categoria è ulteriormente suddivisa al suo interno, per un totale di 25 sottocategorie.

2.2.

La diversità di modelli, sistemi di propulsori e utilizzi, rendono la categoria L tra le più variegate e versatili nel settore dei veicoli. Si stima che siano oltre 35 milioni i veicoli di categoria L circolanti in UE.

2.3.

Dal 1o gennaio 2016 le prescrizioni di omologazione per i «veicoli di categoria L» (5) sono stabilite dal regolamento (UE) n. 168/2013 e dai suoi quattro atti delegati e di esecuzione (6).

2.4.

La Commissione, prendendo spunto dalle criticità evidenziate dallo «Studio sull’impatto della norma ambientale Euro 5 per i veicoli di categoria L», propone di modificare o integrare taluni articoli del regolamento (UE) n. 168/2013 al fine di chiarirne i principi e facilitarne l’attuazione.

2.5.

Tale proposta, auspicata anche dalle stesse aziende del settore (7), è stata elaborata dopo la consultazione formale di tutti gli stakeholders interessati (aziende produttrici, autorità di omologazione, parti sociali).

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.   Sistema diagnostico di bordo

3.1.1.

L’OBD (8) serve a controllare il funzionamento generale del veicolo ed in particolare segnala guasti o malfunzionamenti che abbiano ripercussioni in termini di emissioni nocive. Già esistente nell’Euro 4, l’OBD sarà ulteriormente sviluppato nell’Euro 5. Per effetto della normativa Euro 5 l’OBD interverrà sui sensori e gli attuatori dei veicoli, per monitorare il buon funzionamento non solo del motore ma anche del trattamento dei gas di scarico, così come del catalizzatore.

3.1.2.

La Commissione propone di posticipare al 2025 taluni aspetti relativi all’obbligo di installazione dell’OBD fase II ed in particolare per quanto concerne il controllo del catalizzatore. Tale misura è prevista solo per alcuni tipi di veicoli, poiché detta strumentazione non potrà essere disponibile nel 2020 per motivi tecnici. La modifica di questa disposizione dovrebbe garantire alle imprese un tempo sufficiente per applicare la normativa.

3.1.3.

La Commissione, inoltre, chiarisce che sono esclusi dal sistema OBD-fase II i ciclomotori (categorie L1 e L2), così come i quadricicli leggeri (categoria L6e) e i motocicli delle sottocategorie enduro (L3e-AxE) e trial (L3e-AxT).

3.2.   Metodo controllo emissioni (procedura di durata matematica)

3.2.1.

Lo studio sull’impatto ambientale dell’Euro 5 mette in evidenza che il metodo di sottoporre a prova i veicoli dopo «100 km di uso» non consente di valutare la reale degradazione del sistema di controllo delle emissioni del veicolo durante il suo ciclo di vita (9).

3.2.2.

La Commissione propone di eliminare gradualmente tale metodo entro il 2025. Nel frattempo, si propone di aumentare la distanza percorsa dal veicolo prima di sottoporlo a prova, al fine di assicurare una maggiore affidabilità del dato. Pertanto, la proposta prevede che i veicoli immatricolati tra il 1o gennaio 2020 e il 31 dicembre 2024 dovranno essere sottoposti a prova delle prestazioni ambientali dopo 2500 km se il veicolo ha velocità massima inferiore a 130 km/h e dopo 3500 km se ha velocità massima uguale o superiore a 130 km/h.

3.3.   Applicazione limiti Euro 5

3.3.1.

Lo studio sull’impatto Euro 5 conferma che la tecnologia necessaria a soddisfare i nuovi limiti ambientali è già disponibile, eccetto per alcune tipologie di veicoli di categoria L (L6e-B, L2e-U, L3e-AxT e L3e-AxE).

3.3.2.

La Commissione, quindi, propone di posticipare l’applicazione di tali limiti dal 2020 al 2022 per le suddette sottocategorie. Questa misura consentirà ai produttori, soprattutto alle PMI, di rispettare i tempi previsti per la transizione verso sistemi di propulsione a emissioni zero, peraltro con un impatto positivo sotto il profilo dei costi a vantaggio dei consumatori.

3.3.3.

La Commissione inoltre riscontra che i limiti del livello sonoro Euro 5 necessitano di essere ulteriormente chiariti. Pertanto, propone di derogare la validità degli attuali limiti di emissione Euro 4 finché non saranno stabiliti i nuovi limiti Euro 5.

3.4.   Atti delegati

3.4.1.

Il regolamento (UE) n. 168/2013 conferisce alla Commissione il potere di adottare atti delegati per un periodo di cinque anni, scaduto lo scorso 21 marzo 2018. Data la necessità di aggiornare costantemente la normativa in funzione del progresso tecnologico, la Commissione chiede di rinnovare il potere di adottare atti delegati per altri cinque anni, con possibilità di proroga tacita.

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 84 del 17.3.2011, pag. 30.

(2)  GU C 84 del 17.3.2011, pag. 30, punti 4.1, 4.3, 5.3.

(3)  Relazione dello studio: «Effect study of the environmental step Euro 5 for L-category vehicles», EU-Books, ET-04-17-619-EN-N.

(4)  Tali sottocategorie di veicoli rappresentano meno dell’1 % della produzione globale dei veicoli di categoria L.

(5)  GU L 60 del 2.3.2013, pag. 52 — Regolamento (UE) n. 168/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2013, relativo all’omologazione e alla vigilanza del mercato dei veicoli a motore a due o tre ruote e dei quadricicli.

GU L 53 del 21.2.2014, pag. 1 — Regolamento delegato (UE) n. 134/2014 della Commissione, del 16 dicembre 2013, che integra il regolamento (UE) n. 168/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni relative alle prestazioni ambientali e delle unità di propulsione e che ne modifica l’allegato V.

GU L 25 del 28.1.2014, pag. 1 — Regolamento delegato (UE) n. 44/2014 della Commissione, del 21 novembre 2013, che integra il regolamento (UE) n. 168/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto concerne la costruzione dei veicoli e i requisiti generali di omologazione dei veicoli a due o tre ruote e dei quadricicli.

GU L 7 del 10.1.2014, pag. 1 — Regolamento delegato (UE) n. 3/2014 della Commissione, del 24 ottobre 2013, che completa il regolamento (UE) n. 168/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio in merito ai requisiti di sicurezza funzionale del veicolo per l’omologazione dei veicoli a motore a due o tre ruote e dei quadricicli.

(6)  Cfr. nota 3.

(7)  https://www.acem.eu/newsroom/press-releases/329-stefan-pierer-acem-president-we-urgently-need-clarity-from-the-ec-regarding-the-implementation-of-euro-5.

(8)  On board technology. Regolamento (UE) n. 168/2013, articolo 21 e allegato IV 1.8.1, 1.8.2, 1.8.3.

(9)  Articolo 23, paragrafo 3, lett. C.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’immissione sul mercato e all’uso di precursori di esplosivi, che modifica l’allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 e abroga il regolamento (UE) n. 98/2013 relativo all’immissione sul mercato e all’uso di precursori di esplosivi»

[COM(2018) 209 final — 2018/0103 (COD)]

(2018/C 367/07)

Relatore:

David SEARS

Consultazione

Parlamento europeo, 28.5.2018

Consiglio, 31.5.2018

Base giuridica

Articolo 114 del TFUE

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

7.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

128/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore il regolamento proposto, basato su quello attualmente vigente, che è destinato a sostituire e sul quale il Comitato ha espresso il proprio parere nel gennaio 2011 (1). La nuova proposta cerca di trarre insegnamento dalle esperienze acquisite a livello nazionale e dell’UE da quando l’attuale regolamento è entrato in vigore nel 2013 ed è diventato pienamente efficace (o avrebbe dovuto esserlo) nel settembre 2014.

1.2.

Il CESE osserva che il tempo concesso per la preparazione del nuovo regolamento è stato limitato da fattori procedurali, compreso il breve periodo ora a disposizione prima della fine dell’attuale mandato sia della Commissione che del Parlamento europeo. Ciò è da deplorare, data la breve vita e la lentezza nell’attuazione del regolamento in vigore e la necessità di un serio sostegno e di una piena adesione, per la sua sostituzione, da parte degli Stati membri e di tutti i soggetti della catena di approvvigionamento. Le ragioni di questa lentezza nell’attuazione, in particolare per i principali paesi vittima di gravi atti terroristici contro la propria popolazione, devono essere oggetto di un esame più approfondito.

1.3.

Il CESE mette in risalto una serie di ambiti in cui si dovrebbe puntare a una maggiore chiarezza sul campo di applicazione e sull’attuazione del regolamento; nei prossimi mesi tali ambiti dovranno inoltre essere oggetto di discussioni più approfondite con gli Stati membri. Occorrerà riflettere ulteriormente sulle disposizioni in materia di vendite via Internet se si vuole che abbiano un effetto reale, ed è difficile immaginare come dette disposizioni possano essere efficaci unicamente al livello degli Stati membri.

1.4.

Infine, il CESE si interroga ancora una volta sull’efficacia di raggruppare tali sostanze molto eterogenee in un unico quadro normativo. Ciò rende difficile l’elaborazione della legislazione e ancora più difficile la sua attuazione o comprensione da parte degli utilizzatori professionali o dei privati. Si raccomanda pertanto di adottare un approccio diverso, specifico per sostanza. A tal fine la legislazione dell’UE in materia di precursori di droghe può rappresentare un utile modello (2).

2.   Introduzione

2.1.

Gli ordigni esplosivi improvvisati (Improvised explosive devices, IED), che impiegano una varietà di esplosivi artigianali (home-made explosives, HME), sono utilizzati da terroristi e da altri attori non statali per compiere attentati statici, con veicoli o con la partecipazione di persone contro obiettivi militari ed economici, principalmente per seminare il terrore tra la popolazione civile in nome di ideali politici o religiosi.

2.2.

Le conoscenze necessarie per costruire, conservare e trasportare tali ordigni sono facilmente reperibili su Internet, e le materie prime possono essere di uso corrente (farina, zucchero, gasolio, fertilizzanti). Esplosivi e detonatori più potenti (TATP, PETN, HMTD) si ottengono per sintesi chimica da altre sostanze disponibili sul mercato al dettaglio per fini legittimi. Gli esplosivi commerciali (tra i quali la dinamite, la polvere nera e il TNT) sono già oggetto di uno stretto controllo e sono ormai utilizzati raramente, almeno nei paesi sviluppati.

2.3.

La maggior parte degli atti terroristici viene compiuta, spesso con cadenza quotidiana e senza essere sempre riportata integralmente nei mezzi d’informazione, nei paesi meno sviluppati: a tali attentati va attribuito quasi il 99 % di tutti i decessi legati al terrorismo. Anche i paesi più ricchi — e quindi più stabili e meglio protetti — sono tuttavia esposti a questi attacchi, che in caso di successo possono avere conseguenze gravissime, come possono testimoniare i cittadini di alcune grandi città dell’UE (e degli Stati Uniti).

2.4.

Nonostante ciò, il rischio quotidiano reale rimane basso (almeno rispetto ad altri pericoli naturali o generalmente accettati) e le risposte dei governi tendono a variare in base alla loro esperienza locale e prassi nazionale. Naturalmente è probabile che i regimi autoritari non siano (ancora) stati considerati come obiettivi; i paesi più liberali vengono attaccati con maggiore frequenza, ma si preoccupano anche della salvaguardia dei diritti umani. Come sempre, non esistono risposte semplici.

2.5.

Tali questioni sono state trattate in due precedenti pareri del CESE: quello del 2008 (3) sull’immissione sul mercato e l’uso di talune sostanze e preparati pericolosi, tra cui il nitrato di ammonio, che viene utilizzato in massicce quantità come fertilizzante azotato, ma costituisce anche un componente efficace e poco costoso per la fabbricazione di esplosivi sia commerciali che artigianali; e quello del 2011 (4), relativo al primo regolamento sul controllo dei precursori di esplosivi, che sarà ora abrogato e sostituito alla luce dell’esperienza acquisita. Anche i precursori di droghe illecite e la deviazione dal loro uso lecito sono stati oggetto di parere, e le relative norme possono costituire un modello valido da seguire in questo caso.

3.   Le proposte della Commissione

3.1.

La nuova proposta di regolamento sul controllo dei precursori di esplosivi (15 pagg.), accompagnata da una relazione (17 pagg.), 3 allegati (1 pag. ciascuno) e una valutazione d’impatto (VI) (188 pagg.), si basa sull’articolo 114 del TFUE, riguardante il funzionamento del mercato interno. Essa impone nuovi obblighi agli Stati membri e a tutte le parti interessate al commercio delle sostanze elencate negli allegati I (precursori «soggetti a restrizioni») e II (precursori «soggetti a segnalazione»), oltre a definire il formato richiesto per una licenza per gli «utilizzatori professionali» nell’allegato III. Si prevede che il regolamento entrerà in vigore 20 giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e si applicherà a partire da un anno dopo tale data.

3.2.

L’impostazione generale rimane quindi immutata: un certo numero di sostanze (nove) figura nell’elenco di quelle la cui vendita al pubblico è soggetta a restrizioni in base alla concentrazione (e pertanto al valore e all’utilizzabilità nella fabbricazione di HME). Un ulteriore gruppo di sostanze (sempre nove) possono essere vendute liberamente ma è obbligatorio segnalare le transazioni «sospette» ai punti di contatto designati a livello nazionale.

3.3.

Il nitrato d’ammonio (NA) è stato spostato dal secondo elenco al primo (con una corrispondente modifica dell’allegato XVII del regolamento REACH sulla registrazione delle sostanze chimiche) e nel secondo sono stati inclusi tre nuove sostanze o gruppi (polveri di alluminio, polveri di magnesio e nitrato di magnesio esaidrato) che erano stati aggiunti mediante atti delegati della Commissione nel novembre 2016. Le altre 14 sostanze già elencate rimangono invariate, e la valutazione d’impatto espone le motivazioni delle modifiche apportate (anche se le 3 sostanze aggiunte non sono discusse nel dettaglio e non viene fornita alcuna informazione nel documento in esame o nel quadro degli atti delegati in merito alle catene di approvvigionamento interessate, ai potenziali impatti sul mercato, oppure alle quantità che saranno probabilmente acquistate dagli utilizzatori professionali o dai privati).

3.4.

Il regolamento fornisce inoltre gli indispensabili chiarimenti circa i diversi ruoli nell’ambito delle varie catene di approvvigionamento, in particolare introducendo definizioni chiare di «operatore economico», «utilizzatore professionale», «agricoltore» e «privato».

3.5.

Poiché l’attuale regolamento rientra nel campo di applicazione del programma REFIT della Commissione, la nuova proposta è tesa a ridurre i costi e ad accrescere l’efficienza (e si spera l’efficacia), limitando il numero delle opzioni a disposizione degli Stati membri. I privati (ossia gli utilizzatori non professionali) saranno tenuti a ottenere una licenza per utilizzare i precursori soggetti a restrizioni in determinate concentrazioni superiori ai valori limite di cui all’allegato I, e il processo di autocertificazione meno rigoroso attualmente in vigore non sarà più sufficiente. Le licenze esistenti potranno essere rinnovate solo se considerate conformi ai requisiti del nuovo regolamento.

3.6.

È riconosciuta la necessità di informare e tenere informati delle nuove misure tutti i soggetti delle pertinenti catene di approvvigionamento, sia fisiche che online, anche se le modalità effettive rimangono poco chiare. Le schede di dati di sicurezza, ad esempio, sono destinate a garantire la sicurezza dei lavoratori e dei consumatori che debbano manipolare le sostanze in questione, non a impedirne l’uso illecito. Gli indispensabili valori limite indicati nell’allegato I sono di difficile interpretazione per alcune delle sostanze indicate e potrebbero necessitare di revisione, in particolare in quanto ciascuno di essi si riferisce a una diversa catena di approvvigionamento e a un diverso gruppo di operatori economici. Se al livello degli Stati membri esistono buone pratiche in materia, sarà ovviamente opportuno condividerle nella misura più ampia possibile.

3.7.

Gli Stati membri potranno proporre controlli più rigorosi (tra cui la riduzione dei livelli di concentrazione o divieti totali), e la Commissione potrà aggiungere nuove sostanze agli allegati qualora ciò si rivelasse necessario per contrastare il terrorismo.

3.8.

Gli Stati membri saranno tenuti a presentare alla Commissione sintesi annuali che riportino il numero di transazioni sospette, le richieste di licenza e i motivi del rifiuto, le azioni di sensibilizzazione e i dettagli delle ispezioni realizzate sulle attività online e offline.

3.9.

Infine, non prima di sei anni dalla data in cui diventa applicabile, la Commissione procederà a un riesame dell’efficacia del regolamento e riferirà in merito al Parlamento europeo, al Consiglio e al CESE.

4.   Osservazioni generali e particolari

4.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta di nuovo regolamento e appoggia con fermezza gli obiettivi proposti. Le sostanze soggette a controllo sono generalmente in linea con gli elenchi di priorità esistenti in altre parti del mondo sviluppato, e le nuove definizioni dovrebbero garantire chiarezza a coloro che intendono conformarsi al regolamento stesso. Vi saranno alcuni costi supplementari per i governi, ma sembrano proporzionati ai benefici legati a un’ulteriore riduzione delle attività terroristiche. Un regime regolamentare comune in tutti gli Stati membri dovrebbe apportare vantaggi ai fornitori e agli altri operatori economici. Sembra che si sia trovato un equilibrio ragionevole tra la necessità di ridurre i rischi per i privati cittadini (e per altri, tra i quali personalità di alto profilo, la polizia e il personale militare) e quella di consentire la libera circolazione delle merci a fini leciti.

4.2.

Il CESE concorda altresì sulla necessità di un’azione urgente e coordinata da parte degli Stati membri e condivide le preoccupazioni della Commissione riguardo alla risposta lenta e non uniforme al regolamento in vigore.

4.3.

Questo aspetto, tuttavia, desta preoccupazioni per quanto riguarda le procedure seguite nella preparazione della sua sostituzione, e in particolare il contenuto e la qualità dei documenti allegati. La valutazione d’impatto, elaborata dalla Commissione sulla base del lavoro svolto dalla società di consulenza Ernst & Young, si fonda in larga misura su statistiche al livello dell’UE disponibili al pubblico, che potrebbero non essere adeguate o complete. Il formato, che segue orientamenti interni, non facilita la lettura e la chiarezza. La consultazione pubblica aperta ha fornito solo 83 risposte di importanza variabile. Entrambi i documenti sono stati elaborati in un breve periodo tra Natale e Capodanno 2017-18, con poco tempo per colmare le lacune esistenti nei dati presentati. La disponibilità di prodotti online è stata verificata attraverso ricerche su Amazon, senza fare menzione alcuna di fonti meno limpide reperibili per mezzo del «dark web».

4.4.

Il CESE è consapevole del fatto che la questione chiave del campo di applicazione del regolamento — vale a dire, quali prodotti debbano essere soggetti a controllo — è stata valutata dalla Commissione nella fase iniziale, ma ciò non è precisato nella valutazione d’impatto. Come già rilevato, non sembra esserci stata alcuna analisi del mercato per le 3 sostanze aggiunte nel 2016 mediante atti delegati. L’assenza di controlli sull’acido cloridrico, che era stato incluso nella valutazione d’impatto preparata per il regolamento vigente ma che è stato poi stralciato all’ultimo momento dall’elenco attuale, rimane senza spiegazioni. Altri precursori di media priorità — come il permanganato di potassio, il nitrito di sodio, l’urea e la polvere di zinco — figuranti in altri elenchi di prodotti a potenziale duplice uso, dovrebbero per lo meno essere oggetto di discussione. Sarebbe utile compiere passi avanti verso un elenco riconosciuto a livello mondiale, almeno per quanto riguarda i paesi industrializzati.

4.5.

Il CESE concorda con l’elenco delle possibili misure di controllo che sono state eliminate nella fase iniziale. Esprime tuttavia una certa preoccupazione per la limitata gamma di controlli ora proposta, soprattutto in considerazione della natura estremamente diversificata dei prodotti in questione. Le dimensioni degli imballaggi, i codici a barre e l’insistenza sul pagamento mediante carte tracciabili o bonifici bancari effettuati da conti personali o aziendali sono tutti elementi che possono contribuire alla limitazione o al controllo delle vendite. Le pratiche in vigore negli Stati membri possono certo differire, ma questo non è un argomento valido nel contesto della guerra al terrore.

4.6.

Le differenze nell’applicazione del regolamento esistente, tuttavia, incideranno sui costi per alcuni Stati membri e per quelli coinvolti nella distribuzione e utilizzazione per fini leciti dei prodotti soggetti a restrizioni. Dato che per garantire l’azione nel quadro del regime attuale sono state necessarie numerose procedure di infrazione, vi potrà essere una certa riluttanza ad accettare un approccio basato esclusivamente sulle licenze, indipendentemente dai vantaggi a lungo termine. I controlli sulle vendite via Internet sono menzionati ma, trattandosi di un aspetto di competenza nazionale, non sono oggetto di ulteriori valutazioni.

4.7.

La proposta comprende una lunga analisi della sua compatibilità e legalità rispetto ad altre normative dell’UE, tra cui quella generale sulla protezione dei dati (RGPD) appena entrata in vigore. Si affronta inoltre la questione dei limiti dell’attuale sistema di codici NC, utilizzati per identificare i movimenti transfrontalieri delle sostanze e delle miscele, limiti già esaminati otto anni fa quando è stato redatto il precedente parere. Dal momento che le sostanze attualmente elencate sono solo 18, e quelle che potrebbero essere aggiunte non sono probabilmente più di 12, dovrebbe essere possibile mettere a punto codici doganali specificamente pensati per l’utilizzo nell’ambito del regolamento in esame e garantire che le altre normative dell’UE adottate per altri scopi non contrastino con gli obiettivi fondamentali della sicurezza e protezione dei cittadini dell’UE.

4.8.

Il CESE osserva inoltre che i prodotti elencati differiscono notevolmente per quanto riguarda i volumi di produzione, le catene di approvvigionamento e gli usi finali legittimi sia per gli utilizzatori professionali che per i privati. La sola cosa che hanno in comune è la loro potenziale utilità ai terroristi, e la finalità della normativa è pertanto quella di interrompere le catene di approvvigionamento indesiderate avvalendosi di tutte le misure disponibili.

4.9.

Queste misure non saranno uguali per tutti i prodotti; inserirle a forza in un unico sistema di controllo non garantirebbe l’efficacia necessaria. Un approccio preferibile potrebbe essere quello di una semplice direttiva quadro che stabilisca gli obiettivi generali, con consultazioni, analisi, valutazioni d’impatto e regolamenti specifici applicabili a ciascuna delle sostanze elencate. Nel complesso, tale approccio consentirebbe di risparmiare tempo e di salvare vite umane, e permetterebbe certamente di soddisfare meglio i requisiti del programma REFIT.

4.10.

Nel lungo periodo esso permetterebbe inoltre una più stretta collaborazione e lo scambio di informazioni con i produttori e gli altri soggetti interessati, tutti favorevoli a misure volte a ridurre l’uso illecito dei loro prodotti. I volumi dirottati verso usi illegali sono insignificanti in confronto al danno alla propria reputazione o al rischio di vedersi imporre restrizioni più severe. Gli sforzi compiuti a livello mondiale per controllare le piccolissime quantità di anidride acetica necessarie per la produzione di droghe illecite, compresa l’eroina, costituiscono un utile esempio di ciò che si può realizzare a tale riguardo. Il CESE ha pubblicato il proprio parere sulla proposta riguardo ai precursori di droghe nel gennaio 2013 (5). Molte delle idee in esso espresse si applicano anche ai precursori di esplosivi soggetti a restrizioni o a segnalazione oggetto della proposta in esame.

4.11.

Infine, pur soddisfatto di essere stato costantemente coinvolto nell’elaborazione e nell’applicazione del regolamento, il CESE, soprattutto alla luce del calendario serrato seguito durante l’elaborazione della proposta, ritiene che un successivo riesame da parte della Commissione debba avvenire entro sei anni dalla data di applicazione, piuttosto che non prima di sei anni come proposto.

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 84 del 17.3.2011, pag. 25.

(2)  GU C 76 del 14.3.2013, pag. 54.

(3)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 13.

(4)  GU C 84 del 17.3.2011, pag. 25.

(5)  GU C 76 del 14.3.2013, pag. 54.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) n. 952/2013 che istituisce il codice doganale dell’Unione»

[COM(2018) 259 final — 2018/0123 (COD)]

(2018/C 367/08)

Relatore:

Antonello PEZZINI

Consultazione

Parlamento europeo, 28.5.2018

Consiglio, 29.5.2018

Base giuridica

Articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sessione plenaria

12.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

147/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha sempre sostenuto che una unione doganale efficiente rappresenti una «conditio sine qua non» del processo di integrazione europea, per assicurare una libera circolazione delle merci efficiente, sicura e trasparente; con la massima tutela dei consumatori e dell’ambiente, con la migliore occupazione, e una efficace lotta contro frodi e contraffazioni.

1.2.

Il CESE sottolinea l’importanza di assicurare un quadro regolamentare chiaro, trasparente e univoco a tutti gli operatori e attori pubblici e privati, che agiscono sul territorio doganale dell’Unione, avvalendosi di definizioni, procedure e termini certi, applicabili alle merci che entrano nel territorio doganale dell’UE o ne escono, consentendo all’unione doganale stessa di funzionare efficacemente e in coerenza con l’attuazione della politica commerciale comune.

1.3.

Il CESE sostiene quindi il quadro regolamentare proposto, cioè:

modifiche delle norme e regole tecniche del codice doganale dell’Unione (CDU),

rettifiche degli errori tecnici e delle omissioni, allineando il codice con l’accordo internazionale tra l’UE e il Canada (CETA),

l’inclusione, nel territorio doganale dell’Unione, delle enclave del Comune di Campione e delle acque territoriali del Lago di Lugano, come richiesto dallo Stato membro interessato.

1.4.

Il Comitato ritiene fondamentale, per l’Unione e per i paesi con cui ha concluso accordi di libero scambio, sostenere questo impegno comune, volto a favorire un commercio libero ed equo, in una società dinamica e lungimirante, con lo scopo di stimolare l’attività economica e di promuovere i valori e le idee condivise, che hanno trovato concreta espressione nell’Atto unico europeo del 1986, nel codice doganale del 1992, perfezionato nel CDU del 2013, e che sono inseriti come proposta nel bilancio a lungo termine per il 2021-2027, come sostegno per una più efficiente cooperazione fiscale e doganale dell’Unione.

1.5.

Per quanto attiene all’inclusione delle «enclavi territoriali», il Comitato raccomanda particolare attenzione affinché vengano apportate, contemporaneamente, le necessarie modifiche alle direttive 2008/118/CE (direttiva Accise) e direttiva 2006/112/CE (direttiva IVA).

1.6.

Il CESE chiede che gli venga trasmesso dalla Commissione, nel 2021, il previsto rapporto di valutazione intermedia del quadro giuridico del CDU, con lo scopo di valutarne l’adeguatezza alle modifiche apportate con il presente regolamento, e l’efficienza dei sistemi digitali comuni, che dovrebbero essere attivati per tale data.

2.   Introduzione

2.1.

L’Unione doganale (UD) è di competenza esclusiva dell’Unione europea, ai sensi dell’articolo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), e il Codice doganale dell’Unione (CDU) ha consentito:

l’armonizzazione delle precedenti, diverse norme,

l’applicazione di trattamenti paritari,

la legittima imposizione di sanzioni.

2.2.

Dal 1o maggio 2016 sono entrate in vigore nuove norme doganali, con lo scopo di semplificare la vita delle imprese che operano in Europa e con l’obiettivo di perseguire una maggiore tutela dei consumatori. Con il nuovo codice doganale dell’Unione si è realizzato un importante rinnovamento della legislazione doganale dell’UE, entrata in vigore nel 1992.

2.3.

Con l’Atto unico europeo del 1986, entrato in vigore nel luglio del 1987, si è iniziato un percorso che, attraverso tre fasi — nel 1990 per i capitali, nel 1993 per le merci e nel 1999 con la moneta unica — ha portato a quanto sancito dall’articolo 28 del trattato di funzionamento dell’Unione europea, cioè: «Il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all’importazione e all’esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente».

2.4.

Dopo il codice del 1992 e il regolamento del 2008, si è arrivati all’attuale CDU del 2013 — integrato da vari regolamenti delegati e di esecuzione — che rappresenta una pietra miliare nell’Unione doganale europea: il CDU è il quadro che consente a beni, per oltre 3 000 miliardi di euro, di entrare e di uscire dall’UE, ogni anno.

2.5.

In seguito all’entrata in vigore delle nuove disposizioni sostanziali del regolamento (UE) n. 952/2013, che istituisce il CDU, il processo di consultazione con gli Stati membri e le aziende ha reso possibile individuare errori e anomalie tecniche, che devono essere corrette per garantire certezza e coerenza del diritto.

2.6.

In effetti, il territorio doganale dell’UE non coincide esattamente con la somma dei territori che fanno parte del territorio geofisico dell’UE. Infatti, alcune zone rientranti nei diversi territori nazionali sono escluse dal territorio doganale comunitario, mentre altri territori che non fanno parte del territorio geofisico unionale sono considerati, a tutti gli effetti, all’interno del territorio doganale.

2.7.

Mentre fanno parte del territorio doganale dell’UE i territori austriaci di Jungholz e Mittelberg, del Principato di Monaco, della Repubblica di San Marino, dei dipartimenti d’oltremare francesi (DOM — Martinica, Guadalupa, Guyana francese e Reunion), dell’Isola di Man e delle Isole Canarie, alcuni territori che fanno parte del territorio geofisico dell’UE ne sono esclusi, come le Isole Faeroer, l’Isola di Helgoland e il territorio di Busingen, Ceuta e Melilla, i territori d’oltremare francesi (TOM — Polinesia francese, Wallis e Futuna, Nuova Caledonia, le isole antartiche ed australi francesi e le Collettività territoriali di Mayotte, di St. Pierre e Miquelon), Livigno. Ne erano escluse, finora, anche Campione d’Italia e le acque nazionali italiane del Lago di Lugano, tra Ponte Tresa e Porto Ceresio, di questi territori l’Italia ha chiesto l’inclusione.

2.8.

I negoziati per un accordo economico e commerciale globale UE-Canada (CETA) sono stati conclusi nel settembre 2014, con la decisione (UE) n. 2017/37 del Consiglio, del 28 ottobre 2016. L’accordo, entrato in vigore il 21 settembre 2017, ha abolito il 99 % dei dazi doganali e molti altri ostacoli che, fino ad oggi, hanno pesato sugli operatori commerciali.

2.9.

L’accordo CETA — su cui il CESE ha avuto modo di pronunciarsi a più riprese (1) — contiene numerosi aspetti di forte interesse doganale, in considerazione del fatto che, come previsto dal suo articolo 1.4, istituisce — fra il Canada e l’Unione europea — una zona di libero scambio, conformemente all’articolo XXIV del GATT (1994) (2) e dell’articolo V del GATS (3). L’accordo, in ogni caso, non incide sugli ulteriori diritti ed obblighi già esistenti fra le parti contraenti ai sensi dell’accordo OMC, né, tantomeno, sugli altri accordi di cui le stesse sono rispettivamente parti (4).

2.10.

La zona di libero scambio comprende, salvo che sia diversamente indicato (5):

per il Canada: la sua porzione terrestre, il suo spazio aereo, le sue acque interne e territoriali marittime, così come la sua zona economica esclusiva, come definita dalla legislazione nazionale canadese, coerentemente con la parte V della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, conclusa a Montego Bay il 10 dicembre 1982 («Convenzione UNCLOS (6)»); la sua piattaforma continentale, come definita dalla legislazione nazionale canadese, coerentemente con la parte VI della Convenzione UNCLOS;

per l’Unione europea, i territori in cui trovano applicazione il TUE ed il TFUE, alle condizioni nei medesimi stabilite e, per quanto concerne le disposizioni riguardanti il trattamento tariffario delle merci, anche alle zone del territorio doganale dell’Unione europea non ricomprese in questi.

2.10.1.

L’UE e il Canada hanno firmato, insieme al CETA, uno strumento interpretativo comune (7) che avrà forza giuridica e che descrive chiaramente e senza ambiguità i contenuti di quanto concordato tra Canada e Unione europea in una serie di articoli del CETA, quali quelli che riguardano il nuovo sistema giudiziario per la protezione degli investimenti, il diritto di legiferare, i servizi pubblici e la protezione ambientale e del lavoro.

2.10.2.

Il processo di consultazione periodica con gli Stati membri e le imprese ha permesso di identificare alcuni errori e anomalie tecniche, che devono essere rettificati, al fine di garantire la certezza del diritto e la coerenza. In tale contesto si inseriscono le proposte della Commissione, compresi l’allineamento del CDU con un accordo internazionale, non in vigore al momento dell’adozione del codice, e la richiesta di inclusione di una parte di territorio, da parte dell’Italia.

3.   Le proposte della Commissione

3.1.

La Commissione propone di modificare il codice doganale UE per:

correggere gli errori tecnici e le omissioni, compresa l’armonizzazione del CDU con le disposizioni di accordi internazionali non ancora in vigore al momento della adozione del codice, quale l’accordo economico e commerciale globale (CETA) tra l’Unione e il Canada,

modificare la definizione del territorio doganale dell’Unione, al fine di includere il comune italiano di Campione d’Italia e le acque italiane del Lago di Lugano,

prevedere specifiche e aggiunte per le decisioni e per i termini procedurali, in tema di informazioni tariffarie vincolanti (ITV), dichiarazioni sommarie di entrata, dichiarazioni per la custodia temporanea, dichiarazione sommaria o di una notifica di riesportazione, esenzioni dai dazi all’import, in regime di perfezionamento passivo.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE condivide pienamente l’obiettivo della Commissione di apportare modifiche tecniche al codice doganale nell’Unione (CDU) per garantire che il codice soddisfi gli obiettivi volti a migliorare la competitività delle imprese europee, ma anche a proteggere meglio gli interessi finanziari ed economici dell’Unione, la migliore occupazione, e la sicurezza dei consumatori dell’Unione.

4.2.

Il CESE sottolinea l’importanza attribuita al commercio e allo sviluppo sostenibile dal CETA, e i pertinenti impegni assunti dalle parti contraenti, nell’ambito dello strumento interpretativo comune, per rafforzarne le disposizioni, così come la positiva impostazione del nuovo modello che è stato adottato, per la risoluzione delle controversie in materia di investimenti.

4.3.

Il Comitato ritiene quindi positivo l’intento di allineare le normative regolamentari unionali agli accordi sottoscritti con il Canada, in tema di:

informazioni tariffarie vincolanti,

custodia temporanea,

dichiarazione sommaria di entrata e di indicazioni da inserire in caso di mancata presentazione di informazioni pre-arrivo, relative a merci non unionali,

invalidazione di dichiarazione di custodia temporanea,

esenzione totale dai dazi all’importazione in taluni casi,

termini esatti di invalidamento, in casi di dichiarazione di custodia temporanea, di dichiarazione sommaria di uscita o notifica di riesportazione.

4.4.

Il Comitato appoggia il recepimento della richiesta del governo italiano di includere nel territorio doganale unionale, a partire dal 1o gennaio 2019, il comune italiano di Campione d’Italia e le acque nazionali italiane del Lago di Lugano.

4.5.

Il Comitato raccomanda che avvengano, parallelamente a tale processo d’inclusione, le necessarie modifiche della direttiva 2008/118/CE (direttiva Accise) e della direttiva 2006/112/CE (direttiva IVA) da applicarsi alla medesima data del 1o gennaio 2019.

4.6.

Il Comitato chiede che, nel 2021, la Commissione presenti al CESE il previsto rapporto di valutazione sull’efficacia, coerenza e correttezza del nuovo quadro giuridico del CDU, così come modificato dalle attuali normative proposte.

Bruxelles, 12 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 87; GU C 332 del 8.10.2015, pag. 45; GU C 227 del 28.6.2018, pag. 27.

(2)  General Agreement on Tariffs and Trade.

(3)  General Agreement on Trade in Services.

(4)  Cfr. articolo 1.5 CETA.

(5)  Cfr. articolo 1.3 CETA.

(6)  United Nations Convention on the Law of the Sea.

(7)  Approvato dal Consiglio al momento della firma il 28 ottobre 2016, che fornisce un’interpretazione vincolante del CETA a norma dell’articolo 31 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-13541-2016-INIT/en/pdf.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda la copertura minima delle perdite sulle esposizioni deteriorate»

[COM(2018) 134 final — 2018/0060 (COD)]

e sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai gestori di credito, agli acquirenti di credito e al recupero delle garanzie reali»

[COM(2018) 135 final — 2018/0063 (COD)]

(2018/C 367/09)

Relatore:

Juan MENDOZA CASTRO

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 24.4.2018;

Parlamento europeo, 19.4.2018

Base giuridica

Articolo 114 e articolo 53, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

27.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

145/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Pacchetto crediti deteriorati

1.1.

Il CESE accoglie con favore il pacchetto della Commissione, che rappresenta un elemento centrale degli sforzi messi in campo dall’UE per affrontare il persistente problema dei crediti deteriorati, oltre a essere una tappa fondamentale verso l’Unione bancaria.

1.2.

Le istituzioni finanziarie dell’UE hanno compiuto progressi sia nella qualità dei portafogli prestiti che nel volume totale dei crediti deteriorati, ma servono ulteriori azioni a livello dell’UE per impedire che tali crediti si accumulino in futuro.

1.3.

Qualsiasi confronto tra i livelli dei crediti deteriorati dovrebbe tener conto del fatto che in alcuni paesi le banche hanno beneficiato di ingenti aiuti di Stato nelle fasi iniziali della crisi (2008-2012), mentre in altri ciò non è stato possibile a causa di cambiamenti nelle norme in materia di aiuti di Stato.

1.4.

Il CESE richiama l’attenzione sulle conseguenze sociali della crisi finanziaria in termini di esclusione, giustizia sociale e ostacoli al completamento del mercato interno.

1.5.

Eliminare dai conti delle istituzioni finanziarie i crediti il cui valore è diminuito è di fondamentale importanza per evitare le conseguenze di un indebitamento eccessivo in futuro. Il CESE esorta a esercitare senso di responsabilità nell’ambito dell’attività di prestito.

Sostegni prudenziali normativi

1.6.

Il CESE approva l’introduzione di sostegni prudenziali previsti per legge come misura preventiva per assicurare che vi siano accantonamenti sufficienti per coprire perdite su crediti deteriorati futuri.

1.7.

Il CESE prende atto della logica alla base della proposta della Commissione, aggiungendo che i sostegni sono giustificati dai diversi obiettivi perseguiti dal quadro della disciplina contabile rispetto alla normativa prudenziale.

1.8.

Il CESE ritiene tuttavia opportuno precisare che:

l’approccio generale («unico per tutti»), non prende in considerazione le differenze ancora esistenti nelle disposizioni di diritto civile dei singoli Stati membri e la lunghezza dei procedimenti nelle cause civili;

è possibile che il calendario per gli accantonamenti di nuovi crediti deteriorati costringa le banche a venderli rapidamente, piuttosto che attendere che la situazione della società/impresa in difficoltà finanziarie diventi di nuovo sostenibile.

1.9.

La Commissione dovrebbe valutare, ove possibile, la situazione specifica delle imprese più piccole e specializzate, con una struttura degli attivi meno complessa.

1.10.

Il CESE ritiene che l’IFRS 9 dovrebbe essere considerato obbligatorio per tutte le banche dell’UE.

1.11.

Il CESE propone di avviare un’analisi d’impatto specifica volta a stimare il potenziale impatto della proposta di regolamento sulle banche, sulla concessione dei crediti alle famiglie, sulle PMI e sulla crescita del PIL.

1.12.

Il CESE prende atto del fatto che la BCE ha già pubblicato il suo addendum, senza tenere conto delle norme del primo pilastro che verranno elaborate da Parlamento/Consiglio/Commissione e senza attendere le linee guida dell’Autorità bancaria europea (ABE).

Sviluppo di mercati secondari

1.13.

Il CESE prende atto della risposta fornita dalla Commissione a molti dei problemi di frammentazione dei mercati secondari dei crediti deteriorati nell’UE e pone l’accento sulle proposte specifiche formulate in questo ambito. Tuttavia, ritiene che le autorità di regolamentazione non debbano incoraggiare la vendita di tali crediti.

1.14.

Il CESE formula le seguenti raccomandazioni in merito alle conseguenze dei trasferimenti dei crediti:

protezione dei consumatori: nel complesso, le proposte della Commissione vengono accolte con favore. Le autorità devono prestare attenzione alle misure e alle raccomandazioni specifiche volte a tutelare i diritti dei debitori;

protezione dei lavoratori: le autorità competenti devono tenere conto della mobilità e della protezione dei lavoratori delle imprese coinvolte nei trasferimenti di imprese, conformemente alla normativa europea e nazionale.

Escussione extragiudiziale accelerata delle garanzie (AECE)

1.15.

Il CESE sottolinea positivamente il diritto a un processo equo dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali qualora ciò risulti necessario e qualora l’applicazione di questa procedura come proposto nella direttiva sia soggetta a restrizioni.

1.16.

In molti Stati membri la procedura di escussione risulta già efficiente. La soluzione del problema dei crediti deteriorati risiede fondamentalmente nel rafforzamento delle procedure giudiziarie nell’insieme dell’UE.

2.   Proposte della Commissione europea

2.1.

Il 14 marzo, la Commissione ha presentato una proposta di regolamento (1) che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda la copertura minima delle perdite sulle esposizioni deteriorate, unitamente a una proposta di direttiva (2) relativa ai gestori di credito, agli acquirenti di credito e al recupero delle garanzie reali.

2.2.

Entrambe le proposte sono accompagnate da valutazioni d’impatto e da documenti di lavoro dei servizi della Commissione. Inoltre, lo stesso giorno la Commissione ha pubblicato la sua Seconda relazione sui progressi compiuti nella riduzione dei crediti deteriorati in Europa (3) e un documento (AMC Blueprint (4)) contenente orientamenti tecnici sulla costituzione di società nazionali di gestione di attivi.

2.3.

Tali proposte rappresentano componenti importanti del lavoro della Commissione volto al rafforzamento dell’Unione economica e monetaria (UEM) europea e sono essenziali per il completamento dell’Unione bancaria. Affrontare la questione degli stock elevati di crediti deteriorati e di esposizioni deteriorate e del loro possibile accumulo in futuro è un elemento integrante degli sforzi dell’Unione per ridurre ulteriormente i rischi nel sistema bancario e consentire alle banche di concentrarsi sulla concessione di prestiti alle imprese e ai cittadini.

2.4.

Nella proposta di regolamento, la Commissione prevede di introdurre un sostegno prudenziale stabilito per legge mediante la fissazione di livelli minimi comuni di copertura applicabili ai nuovi crediti concessi che potrebbero successivamente rientrare nella categoria dei crediti deteriorati, con l’obiettivo di evitare un’eccessiva accumulazione di crediti deteriorati in futuro senza una copertura sufficiente delle perdite nei bilanci delle banche e di rendere più facile la risoluzione delle banche interessate.

2.5.

Con la proposta di direttiva, la Commissione mira a rendere più efficiente le procedure di recupero del credito mettendo a disposizione una specifica procedura comune accelerata di escussione extragiudiziale delle garanzie (Accelerated Extrajudicial Collateral Enforcement, AECE). La proposta incoraggia inoltre lo sviluppo dei mercati secondari per i crediti deteriorati, armonizzando i requisiti e creando un mercato unico per le attività di gestione dei crediti e il trasferimento dei prestiti bancari a soggetti terzi in tutta l’UE.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie con favore il pacchetto della Commissione, che rappresenta un elemento centrale degli sforzi messi in campo dall’UE per affrontare il persistente problema dei crediti deteriorati (5), oltre a essere una tappa fondamentale verso l’Unione bancaria.

3.2.

Poiché la solvibilità e la stabilità del sistema finanziario sono di fondamentale importanza per l’UE, l’elevato volume di crediti deteriorati accumulati nelle banche di alcuni Stati membri durante la crisi e la recessione che l’ha seguita è dannoso per l’intero sistema finanziario e per l’economia e, in alcuni casi, ha comportato costi ingenti per i contribuenti.

3.3.

In questi ultimi anni, le istituzioni finanziarie dell’UE hanno compiuto progressi sia nella qualità dei portafogli prestiti che nel volume totale dei crediti deteriorati; tuttavia, questi ultimi restano a un livello elevato, pari a un importo lordo di 813 miliardi di EUR (6). Sebbene le banche e le autorità di vigilanza dispongano degli strumenti necessari per ridurre il volume di crediti in stato di default o che hanno subito una riduzione di valore, occorrono misure supplementari a livello UE per impedire che tali crediti si accumulino in futuro.

3.4.

Il CESE fa notare che in alcuni paesi le banche hanno beneficiato di ingenti aiuti di Stato nelle fasi iniziali della crisi (2008-2012), mentre in altri ciò non è stato possibile a causa delle modifiche apportate alle norme sugli aiuti di Stato nel settore finanziario. Per questo motivo, qualsiasi confronto tra i livelli dei crediti deteriorati dovrebbe tener conto di tali differenze.

3.5.

Il CESE richiama l’attenzione sulle conseguenze sociali della crisi finanziaria in termini di esclusione, giustizia sociale e ostacoli al completamento del mercato interno. In alcuni Stati membri, i crediti deteriorati sono un’indicazione di quanto duro sia stato l’impatto della crisi sulle famiglie e sui piccoli e medi imprenditori, impatto che per alcuni ha voluto anche dire il rischio di perdita della casa o di esecuzione forzata.

3.6.

Eliminare dai conti delle istituzioni finanziarie i crediti il cui valore è diminuito è di fondamentale importanza per evitare le conseguenze di un indebitamento eccessivo in futuro e il piano dell’Ecofin deve contribuire alla realizzazione di tale obiettivo. Il CESE esorta a esercitare senso di responsabilità nell’ambito dell’attività di prestito, approccio che richiederà una maggiore attenzione da parte degli enti creditizi alle necessità e alle condizioni dei loro clienti e alla ricerca degli strumenti finanziari più adeguati alle circostanze di ciascuno di loro (7).

4.   Osservazioni particolari

4.1.    Sostegni prudenziali normativi

4.1.1.

Il CESE approva l’introduzione di sostegni prudenziali previsti per legge come misura preventiva per assicurare che vi siano accantonamenti sufficienti per coprire perdite su crediti deteriorati futuri.

4.1.2.

Per ridurre i crediti deteriorati e le esposizioni deteriorate (8), la proposta di modifica del regolamento sui requisiti patrimoniali (CRR) comprende un calendario graduale per i crediti garantiti (fino a otto anni) e per quelli non garantiti (due anni).

4.1.3.

La logica della proposta della Commissione è la seguente (9):

la contabilizzazione delle perdite sui crediti potrebbe non sempre risultare adeguata secondo una prospettiva prudenziale, che presenta un ambito di applicazione, un obiettivo e uno scopo diversi;

l’IFRS 9 (10) dovrebbe garantire un allineamento decisamente migliore con le norme prudenziali, rispetto all’IAS 39 (11), e contribuire ad affrontare il problema degli accantonamenti tardivi e insufficienti, in quanto opera in base all’approccio delle «perdite attese». Tuttavia, la nuova norma lascia ancora un margine di discrezionalità nella valutazione dei crediti deteriorati e delle garanzie sottostanti e, di conseguenza, nella determinazione degli accantonamenti;

la normativa prudenziale consente alle autorità di vigilanza di influire sul livello di accantonamenti di un ente creditizio (anche per quanto riguarda i crediti deteriorati), nel rispetto della disciplina contabile applicabile, e di imporre rettifiche specifiche per il calcolo dei fondi propri di tale ente. Requisiti e misure vincolanti sono tuttavia applicabili dall’autorità di vigilanza solo caso per caso, in funzione della specifica situazione dell’ente (misure del secondo pilastro);

le misure di vigilanza individuali mirate, basate su una valutazione caso per caso da parte dell’autorità di vigilanza competente, risultano adatte per affrontare i rischi specifici connessi con i crediti deteriorati di singoli istituti.

4.1.4.

Il CESE desidera aggiungere che i sostegni sono giustificati dai diversi obiettivi perseguiti dal quadro della disciplina contabile in rapporto alla normativa prudenziale.

4.1.5.

Il CESE ritiene tuttavia opportuno precisare che:

la proposta di regolamento, che segue un approccio generale («unico per tutti»), non prende in considerazione le differenze ancora esistenti nelle disposizioni di diritto civile dei singoli Stati membri e la lunghezza dei procedimenti nelle cause civili;

è possibile che il calendario per gli accantonamenti di nuovi crediti deteriorati costringa le banche a venderli rapidamente, piuttosto che attendere che la situazione della società/impresa in difficoltà finanziarie diventi di nuovo sostenibile. Ciò ridurrebbe la possibilità che venga approvata una ristrutturazione del debito e offerta un’altra opportunità agli imprenditori, con un impatto sociale negativo potenzialmente elevato e effetti negativi sull’occupazione;

secondo un’analisi condotta da Eurofinas (12), è probabile che saranno le imprese più piccole e specializzate, con una struttura degli attivi meno complessa, a risentire maggiormente della concomitante introduzione dell’IFRS 9 e dei sostegni prudenziali per le esposizioni deteriorate. La Commissione dovrebbe valutare la necessità di calibrare meglio la proposta per ovviare a questo problema.

4.1.6.

Sebbene i sostegni proposti siano in grado di ridurre le differenze in termini di accantonamenti, derivanti dall’adozione di diverse discipline contabili (IFRS 9 rispetto ai GAAP nazionali (13)), il CESE ritiene che l’IFRS 9 dovrebbe essere obbligatorio per tutte le banche dell’UE.

4.1.7.

Il CESE consiglia di avviare un’analisi specifica volta a stimare il potenziale impatto della proposta di regolamento sulle banche, sulla concessione di crediti alle famiglie, sulle PMI e sulla crescita del PIL.

4.1.8.

Altri rischi possono presentare problemi analoghi a quelli dei crediti deteriorati: in particolare, i rischi derivanti dall’alta esposizione a strumenti derivati complessi e ad attività recuperate di livello 2 e 3. A questo proposito, il CESE è del parere che tali rischi dovrebbero essere inclusi nell’elenco delle priorità per la riduzione dei rischi.

4.1.9.

Il CESE prende atto del fatto che la BCE ha già pubblicato il suo addendum, senza tenere conto delle norme del primo pilastro che verranno elaborate da Parlamento/Consiglio/Commissione e senza attendere la versione definitiva delle linee guida dell’ABE (ancora in discussione). Ciò potrebbe comportare una violazione dei principi di una migliore regolamentazione. L’addendum della BCE sui crediti deteriorati dovrebbe pertanto essere adattato al futuro quadro del pilastro 1 sui crediti deteriorati, in modo da assicurare la coerenza costante delle norme europee.

4.2.    Misure per un maggiore sviluppo dei mercati secondari per i crediti deteriorati

4.2.1.

Nell’UE, le operazioni sui mercati secondari sono piuttosto limitate (14). Tra le cause di questa situazione figurano: la frammentazione della regolamentazione; limitazioni legislative sui titolari di alcune classi di attivi, sulla portata del coinvolgimento delle imprese di gestione del credito e sui tipi di investitori (in alcuni casi l’acquisto o la gestione dei crediti deteriorati è possibile solo da parte di altre banche); e interpretazioni divergenti delle prospettive economiche tra banche locali e investitori stranieri. Il CESE ritiene che la proposta della Commissione offra una risposta a molti di questi problemi.

4.2.2.

Una delle sfide principali per il mercato dei crediti deteriorati è la mancanza di dati di elevata qualità sui crediti deteriorati, fatto che comporta asimmetrie informative. Il CESE accoglie con favore i modelli di dati volti a fornire dati uniformi e standardizzati per i contratti di credito deteriorati.

4.2.3.

Il CESE ritiene, tuttavia, che le autorità di regolamentazione non debbano incoraggiare la vendita di crediti deteriorati, poiché la gestione in seno alle banche stesse dei crediti che hanno subito una riduzione di valore potrebbe avere come risultato, in seguito al loro recupero, un valore più elevato rispetto ai prezzi ottenuti dalla loro vendita.

4.2.4.

Il CESE desidera sottolineare e sostenere i seguenti aspetti della proposta della Commissione:

Gestori di crediti. Le norme UE prevedono procedure e requisiti specifici per il rilascio, il rifiuto o la revoca dell’autorizzazione (articoli da 5 a 7), che comprendono le seguenti caratteristiche: «sufficiente buona reputazione», «certificato penale che non riporta condanne» e nessuna «procedura di insolvenza in corso». Inoltre disciplinano i seguenti aspetti: il registro (articolo 8), il rapporto contrattuale tra il gestore di crediti e il creditore (articolo 9), le attività di esternalizzazione (articolo 10) e la gestione di crediti transfrontaliera (articoli 11 e 12).

Acquirenti di crediti. Il creditore fornisce tutte le informazioni necessarie relative al contratto di credito (articolo 13) in base a norme tecniche che saranno elaborate dall’ABE (articolo 14) e che non possono essere soggette ad alcun requisito aggiuntivo oltre a quelli previsti dalle norme nazionali di recepimento della direttiva (articolo 15). Gli acquirenti di crediti possono eseguire direttamente (articolo 18) o trasferire (articolo 19) un contratto di credito.

Gestori di credito, enti creditizi o loro filiazioni. Svolgono un ruolo attivo nelle operazioni relative ai crediti deteriorati e sono descritti nell’articolo 16.

Vigilanza. Si tratta di un aspetto fondamentale, poiché si sollecitano l’applicazione delle stesse norme in tutta l’UE, un ruolo di vigilanza delle autorità nazionali competenti e sanzioni amministrative (articoli da 20 a 22).

Protezione dei dati. Una condizione per il trasferimento di un prestito è il «rispetto dei diritti del debitore e il rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali, in conformità delle leggi che disciplinano il contratto di credito» (articolo 5, paragrafo 1, lettera c)].

4.2.5.   Protezione dei consumatori

Il CESE ritiene importante assicurare un livello elevato di protezione dei consumatori nel settore dei servizi finanziari.

A questo proposito, condivide il principio generale della proposta che consiste nel «garantire lo stesso livello di protezione, a prescindere da chi sia il titolare o il gestore del credito e a prescindere dal regime giuridico vigente nello Stato membro dell’acquirente o del gestore del credito»; in particolare, vanno osservate le direttive sul credito ipotecario (15), sul credito al consumo (16) e sulle clausole contrattuali abusive (17).

Il CESE desidera inoltre sottolineare gli obblighi del creditore nei confronti del consumatore in caso di modifica del contratto di credito (articolo 34).

Il CESE osserva che il trasferimento di un credito implica che il debitore si trovi a dover interagire con una società non finanziaria con personale, metodi di lavoro e obiettivi diversi. È quindi opportuno che le autorità nazionali prestino attenzione alle misure e raccomandazioni volte a tutelare i diritti dei debitori, sul modello dell’Ufficio federale statunitense per la protezione finanziaria dei consumatori (Consumer Financial Protection Bureau(18).

4.2.6.   Protezione dei lavoratori

In tutti i casi di trasferimenti di crediti a imprese esterne, le autorità competenti devono tenere conto della mobilità e della protezione dei lavoratori delle imprese coinvolte in tali trasferimenti, conformemente alla normativa europea e nazionale.

4.3.    Escussione extragiudiziale accelerata delle garanzie (AECE)

4.3.1.

Il CESE sottolinea positivamente l’obbligo per gli Stati membri di garantire il diritto per l’impresa debitrice di impugnare il ricorso a queste procedura dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali (articolo 28). Ciò dovrebbe tutelare adeguatamente il diritto fondamentale di cittadini e imprese a un giudice imparziale (19), in particolare in caso di clausole contrattuali inique o abusive.

4.3.2.

Il CESE prende tuttavia atto delle riserve espresse da alcuni Stati membri riguardo alla capacità di tale strumento di accelerare significativamente la procedura di escussione negli Stati membri in cui le procedure giudiziali si svolgono già in tempi brevi; sebbene le procedure extragiudiziali possano rivelarsi vantaggiose per i creditori, la soluzione del problema dei crediti deteriorati risiede fondamentalmente nel rafforzamento delle procedure giudiziarie nell’insieme dell’UE.

4.3.3.

Ad ogni modo, il CESE pone positivamente in evidenza le restrizioni riguardanti l’applicazione dell’AECE indicate nella proposta. In primo luogo, sono inclusi solo contratti conclusi tra un creditore e un’impresa debitrice. Inoltre, sono espressamente esclusi:

i consumatori che svolgono attività non professionali (20);

le imprese senza fini di lucro;

i contratti di garanzia finanziaria (21), e

i beni immobili residenziali che costituiscono la residenza principale del debitore (22).

4.4.    Società di gestione di attivi (AMC Blueprint)

Norme in materia di aiuti di Stato

4.4.1.

Il CESE concorda con la Commissione nel ritenere che le società di gestione di attivi (AMC) rappresentino una parte importante delle soluzioni adottate per ripulire i bilanci delle banche in alcuni Stati membri, soprattutto a seguito della crisi finanziaria. Concorda tuttavia anche sul fatto che, nel caso di veicoli finanziati o garantiti pubblicamente, esse possono altresì contribuire ad alimentare rischi per la stabilità finanziaria, anche attraverso il potenziale rafforzamento del cosiddetto «circolo vizioso del debito sovrano».

4.4.2.

Il CESE è quindi favorevole alla coerenza con il quadro giuridico dell’UE, e in particolare con la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche (BRRD) (23) e con il regolamento concernente il meccanismo di risoluzione unico (SRMR) (24).

4.4.3.

In pratica, quasi tutte le AMC nazionali hanno beneficiato di un sostegno pubblico che ha assunto varie forme, tra le quali: garanzie per far fronte ad eventuali perdite o garantire finanziamenti alle AMC (che possono comportare l’attribuzione alle AMC di rating «sovrani», cosicché i titoli delle AMC divengono, ad esempio, ammissibili come garanzie reali, per operazioni pronti contro termine); acquisto di attività da parte delle AMC al di sopra del loro valore di mercato (ovvero il valore che pagherebbe un investitore), a seguito dell’adozione di una prospettiva a più lungo termine del valore economico (l’eccesso di valore economico rispetto al valore di mercato rappresenta un aiuto di Stato e richiede un’approvazione a livello bancario da parte della Commissione europea); ricapitalizzazione da parte del governo di banche che partecipano a sistemi di AMC (25).

4.4.4.

Anche laddove sono state autorizzate forme di sostegno pubblico, le più recenti norme UE stabiliscono in linea di principio che almeno il debito subordinato di una banca sia sottoposto al bail-in (cancellato o convertito in capitale), in modo che ogni onere di ricapitalizzazione venga se non altro ripartito tra settore pubblico e privato.

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2018) 134 final — Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda la copertura minima delle perdite sulle esposizioni deteriorate.

(2)  COM(2018) 135 final — Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai gestori di credito, agli acquirenti di credito e al recupero delle garanzie reali.

(3)  COM(2018) 133 final — Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea — Seconda relazione sui progressi compiuti nella riduzione dei crediti deteriorati in Europa.

(4)  SWD(2018) 72 final — Documento di lavoro dei servizi della Commissione AMC Blueprint che accompagna la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio e alla Banca centrale europea — Seconda relazione sui progressi compiuti nella riduzione dei crediti deteriorati in Europa.

(5)  Conclusioni del Consiglio sul piano d’azione per affrontare la questione dei crediti deteriorati in Europa (11 luglio 2017).

(6)  Quadro dei rischi dell’ABE, dati relativi al quarto trimestre 2017.

(7)  Parere del CESE Credito ed esclusione sociale in una società opulenta (GU C 44 del 16.2.2008, pag. 74).

(8)  Definizione dell’Autorità bancaria europea (ABE): «Per esposizione si intende ogni esposizione che è scaduta da novanta giorni, o che è improbabile che venga rimborsata senza realizzo delle garanzie reali, anche qualora non sia riconosciuta come esposizione che ha subito una riduzione di valore o che si trova in stato di default. Le esposizioni che si trovano in stato di default e che hanno subito una riduzione di valore, in conformità, rispettivamente, dell’articolo 178 del CRR e della disciplina contabile applicabile, sono sempre considerate deteriorate. Inoltre, nei casi in cui l’ente abbia in bilancio esposizioni verso un debitore scadute da oltre 90 giorni le quali rappresentano più del 20 % del totale delle esposizioni in bilancio verso il medesimo debitore, tutte le esposizioni verso detto debitore sono considerate deteriorate. L’importo complessivo delle esposizioni deteriorate si ottiene sommando i crediti deteriorati, i titoli di debito deteriorati e gli elementi fuori bilancio deteriorati».

(9)  Documento di consultazione sui sostegni normativi.

(10)  Principio internazionale d’informativa finanziaria (in vigore dall’1.1.2018).

(11)  Principio contabile internazionale.

(12)  European Federation of Finance House Associations (Federazione europea delle società finanziarie). European Commission consultation on statutory prudential backstops. Eurofinas response («Consultazione della Commissione europea sui sostegni prudenziali regolamentari: La risposta di Eurofinas»).

(13)  Principi contabili generalmente accettati.

(14)  100 miliardi di EUR, ovvero meno del 10 % degli stock in circolazione (fonte: KPGM).

(15)  Direttiva 2014/17/UE (GU L 60 del 28.2.2014, pag. 34).

(16)  Direttiva 2011/83/UE (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64).

(17)  Direttiva 93/13/CE (GU L 95 del 21.4.1993, pag. 29).

(18)  https://www.consumerfinance.gov/about-us/newsroom/consumer-financial-protection-bureau-reminds-mortgage-servicers-of-legal-protections-for-consumers-when-transferring-loans.

(19)  Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, articolo 47.

(20)  Direttiva 2008/48/CE relativa a contratti di credito ai consumatori, articolo 3, lettera a).

(21)  Direttiva 2002/47/CE relativa ai contratti di garanzia finanziaria, articolo 2, paragrafo 1, lettera a).

(22)  «La crisi finanziaria, che ha provocato l’insolvenza di tanti mutuatari costretti a rivendere a prezzi irrisori gli immobili che avevano acquistato, […]». Parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in merito ai contratti di credito relativi ad immobili residenziali (GU C 318 del 29.10.2011, pag. 133).

(23)  Direttiva 2014/59/UE.

(24)  Regolamento (UE) n. 806/2014 (GU L 225 del 30.7.2014, pag. 1).

(25)  Fonte: KPGM.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla legge applicabile agli effetti patrimoniali delle operazioni su titoli»

[COM(2018) 89 final]

e sulla

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2009/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 2011/61/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento collettivo»

[COM(2018) 92 final — 2018/0041 (COD)]

e sulla

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile all’opponibilità ai terzi della cessione dei crediti»

[COM(2018) 96 final — 2018/0044 (COD)]

e sulla

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio per facilitare la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento collettivo e che modifica i regolamenti (UE) n. 345/2013 e (UE) n. 346/2013»

[COM(2018) 110 final — 2018/0045 (COD)]

(2018/C 367/10)

Relatore:

Petr ZAHRADNÍK

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 12.4.2018

Parlamento europeo, 16.4.2018

Base giuridica

Articoli 53, paragrafo 1, 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

27.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

152/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE appoggia gli sforzi sistematici compiuti per mettere in atto, entro il 2019, tutti gli elementi costitutivi essenziali dell’Unione dei mercati dei capitali, e attende i benefici previsti in termini di espansione delle opportunità di investimento, maggiore efficienza del processo di intermediazione finanziaria, diversificazione degli investimenti e miglioramento della capacità di affrontare i rischi.

1.2.

Il CESE ritiene importante che, nell’offrire nuove opportunità per la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento, si crei un rapporto equilibrato tra le esigenze di tutela degli investitori, che in questa circostanza rappresentano il principio guida, e la garanzia di uno spazio sufficiente per la creatività degli ideatori e dei distributori di prodotti d’investimento.

1.3.

Il CESE è d’accordo con la Commissione sul fatto che i principali ostacoli regolamentari alla distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento siano attualmente i requisiti per la commercializzazione, le spese e gli oneri regolamentari, le procedure di notifica e gli obblighi amministrativi a livello nazionale. È consapevole, al tempo stesso, dell’esistenza di ulteriori ostacoli, che però non vengono affrontati dalle misure proposte: è il caso, ad esempio, della diversità delle norme fiscali, la cui armonizzazione appare realizzabile piuttosto nel lungo periodo.

1.4.

Tuttavia, il CESE ritiene nel contempo che le cause principali degli ostacoli esistenti alla distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento non risiedano tanto nella formulazione degli attuali regolamenti e direttive, quanto soprattutto nella mancanza di orientamenti e istruzioni dettagliate dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), da cui consegue che ogni giurisdizione nazionale applica norme diverse. La maggior parte delle proposte dovrebbe quindi essere corredata di istruzioni dettagliate ed esplicative dell’ESMA, e la proposta di un nuovo regolamento dovrebbe limitarsi a definire un quadro generale che garantisca un approccio unitario alla regolamentazione.

1.5.

Il CESE ritiene che, per realizzare delle economie di scala, sia necessario limitare le manifestazioni di «creatività nazionale» nella definizione delle strutture delle spese e degli oneri e si debba invece seguire la via di disposizioni nazionali chiaramente definite e univocamente interpretabili, con un contenuto coerente in tutta l’UE.

1.6.

Il CESE accoglie con favore e sostiene l’intenzione di aumentare la trasparenza degli oneri regolamentari, in quanto ciò può contribuire ad accelerare notevolmente il processo di distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento. In tale ambito l’ESMA svolge un ruolo cruciale.

1.7.

Il CESE chiede che siano introdotte delle regole di notifica sistematica delle comunicazioni di marketing sufficientemente rigorose da impedire che continuino ad essere attuate delle pratiche capaci di frammentare il mercato dell’UE.

1.8.

Il CESE accoglie con favore la creazione della banca dati dell’ESMA, ma osserva che, in tale contesto, non dovrebbe esservi alcuna imposizione di obblighi supplementari di notifica per i gestori di attività e che tali requisiti dovrebbero riguardare esclusivamente le autorità nazionali competenti.

1.9.

Riguardo alle norme proposte per la cessazione della commercializzazione e del marketing dei fondi di investimento, il CESE è incline a ritenere che la decisione in materia debba essere facoltativa e spettare al gestore di attività.

1.10.

Il CESE raccomanda di definire norme più dettagliate per garantire la verifica delle qualifiche e delle capacità delle persone che forniscono servizi di investimento.

2.   Premesse e contesto: attuare tutti gli elementi dell’Unione dei mercati dei capitali entro il 2019

2.1.

L’Unione dei mercati dei capitali costituisce un progetto a lungo termine dell’UE volto a rafforzare l’efficienza e l’efficacia del processo di intermediazione finanziaria. Il suo impatto dovrebbe farsi sentire dopo il 2019 (quando si prevede che vengano attuati tutti i suoi elementi costitutivi oggi previsti) con la creazione di un contesto favorevole, nel lungo periodo, agli investimenti, che contribuirà a una crescita economica forte, alla competitività e all’occupazione.

2.2.

In simbiosi con l’Unione bancaria, un’Unione dei mercati dei capitali funzionante sostiene l’ambiente del mercato interno e unico, e rafforza l’Unione economica e monetaria. Al tempo stesso, contribuisce ad aumentare la capacità dell’UE di attirare investimenti a livello globale. È molto importante rafforzare l’aspetto della diversificazione in quanto strumento di ripartizione transfrontaliera dei rischi del settore privato. Affinché tale presupposto funzioni, è necessario impedire la diffusione di attivi di cattiva qualità, altrimenti il rischio aumenterebbe ulteriormente.

2.3.

Le proposte della Commissione si inseriscono nel solco delle misure adottate per creare l’Unione dei mercati dei capitali dal suo lancio nel 2015, al fine di mobilitare e distribuire il capitale efficacemente in funzione della sua redditività, in modo tale da renderlo disponibile per le imprese di ogni tipo, comprese le PMI.

2.4.

Le attuali proposte della Commissione riguardano specificamente il sostegno al mercato transfrontaliero di fondi di investimento e si concentrano sul mercato delle obbligazioni garantite all’interno dell’UE in quanto fonte di finanziamento a lungo termine, come pure sulla garanzia di una maggiore certezza giuridica per le operazioni transfrontaliere in titoli e crediti. Le misure proposte vanno considerate nelle loro interrelazioni. In tale contesto, è altresì necessario rispettare il contenuto del piano d’azione in materia di tecnologie finanziarie e del piano d’azione sul finanziamento sostenibile, poiché anch’essi rivestono una grande importanza per la realizzazione di un vera e propria Unione dei mercati dei capitali.

2.5.

L’obiettivo è quello di compiere maggiori progressi in materia di Unione dei mercati dei capitali entro il 2019 in almeno tre ambiti: rafforzamento del ruolo dei «marchi e passaporti europei» dei prodotti finanziari; armonizzazione e semplificazione delle norme per approfondire e uniformare i mercati dei capitali a livello transfrontaliero; garanzia di una vigilanza più coerente ed efficace su tali mercati.

2.6.

La finalità delle misure proposte è quella di raggiungere un grado più elevato di integrazione e omogeneità nel mercato dei fondi di investimento collettivo, ridurre i costi a livello transfrontaliero, aumentare notevolmente l’offerta per gli investitori e realizzare una migliore tutela degli investitori sulla base di norme comuni. In questo spirito, l’apertura dei mercati alla distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento rappresenta un’opportunità, che tuttavia implica la necessità di rimuovere gli ostacoli, legislativi e di altro genere, a livello nazionale.

3.   L’obiettivo delle misure volte a facilitare la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento collettivi

3.1.

I fondi di investimento collettivi sono uno strumento importante del processo di intermediazione finanziaria, che consente di distribuire le attività finanziarie sia pubbliche che private e di investirle in progetti imprenditoriali concreti e in progetti di investimenti pubblici produttivi. Il volume dei fondi di investimento collettivi nell’UE è pari a 14 300 miliardi di euro, quindi molto vicino al valore del PIL dell’Unione.

3.2.

Tuttavia, il loro potenziale non è stato ancora pienamente realizzato in un contesto transfrontaliero, se si considera che circa il 37 % degli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari e circa il 3 % dei fondi di investimento alternativi sono registrati per la vendita in più di tre Stati membri.

3.3.

Oltre alle barriere naturali ancora esistenti, una delle cause di tale situazione risiede anche nelle restrizioni regolamentari che impediscono una più ampia distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento. Le proposte della Commissione europea puntano a ridurre il numero di tali restrizioni per tutti i tipi di fondi di investimento e a semplificarne la distribuzione transfrontaliera, il che potrebbe rendere tale distribuzione più rapida e ridurre il costo dei prodotti distribuiti grazie alla realizzazione di economie di scala. Si possono individuare degli ostacoli normativi innanzitutto in materia di requisiti per la commercializzazione, spese e oneri regolamentari, procedure di notifica e obblighi amministrativi a livello nazionale. Tali ostacoli potrebbero essere eliminati garantendo la trasparenza e l’armonizzazione. Le misure proposte sono essenzialmente di carattere tecnico.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE ritiene che attualmente i principali ostacoli alla distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento dipendano non tanto dai regolamenti e dalle direttive vigenti in materia, quanto piuttosto dalla mancanza di orientamenti dettagliati o istruzioni da parte dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) e quindi dalla diversità delle norme applicate nelle varie giurisdizioni europee. Il nuovo regolamento dovrebbe dunque essere adottato per un minimo di casi, mentre la maggior parte delle proposte dovrebbe concentrarsi su istruzioni dettagliate ed esplicative dell’ESMA (che dovrebbero fornire una spiegazione chiara delle norme esistenti) piuttosto che sull’adozione di nuove norme, collegandosi così al contributo positivo apportato finora dall’ESMA all’allineamento delle norme.

4.2.

Il CESE ritiene che le misure proposte nel presente parere siano importanti, per quanto molte di esse siano soluzioni essenzialmente di sostegno e di natura tecnica. Considerate globalmente, peraltro, tali misure costituiscono un importante contributo anche per il funzionamento dell’UEM. Al tempo stesso, il CESE raccomanda di inserire il contenuto di tutti e quattro i documenti in esame in una nuova proposta di regolamento complessiva.

4.3.

Il CESE reputa che, nell’introdurre le nuove regole del gioco, sia necessario rispettare un equilibrio tra la necessità di tutelare gli investitori e la garanzia di uno spazio sufficiente per la creatività degli ideatori e dei distributori di prodotti d’investimento. L’effetto di tutela degli investitori è rafforzato da un’educazione finanziaria impartita in modo sistematico.

4.4.

La legislazione UE di qualità elevata, ad esempio le disposizioni sugli organismi d’investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) e la direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi, dovrebbe prevalere sulle norme generali come la direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID), poiché l’esperienza concreta dimostra che le prime hanno instaurato un quadro normativo di qualità per i fondi di investimento, mentre la direttiva MiFID, ad avviso del CESE, dà luogo, oltre che a una serie di vantaggi, anche a diverse incertezze, e dunque, paradossalmente, ha prodotto un’ulteriore frammentazione del mercato unico e ampliato le disparità tra i paesi UE.

4.5.

Il CESE riconosce che, per rispondere alle esigenze della distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento, è necessario garantire la stabilità del regime fiscale, che crea i presupposti per un clima imprenditoriale sostenibile. L’esigenza di un’armonizzazione generale dei regimi fiscali, comprese le aliquote, non è oggi considerata all’ordine del giorno. Si può tuttavia supporre che, in futuro, uno sforzo di armonizzazione fiscale potrebbe contribuire alla creazione di condizioni di tassazione uniformi in questo campo in tutta l’UE. Gli attuali sforzi intesi a ravvicinare i parametri d’imposta sono tuttavia rivolti ad altri strumenti fiscali.

4.6.

Il CESE è del parere che, per conseguire l’effetto desiderato di economie di scala, sia auspicabile seguire la via che limita la «creatività nazionale» nella messa a punto delle strutture degli oneri e delle spese (che spesso vanno al di là del quadro normativo europeo per coprire i costi necessari) e che porta invece all’adozione di normative nazionali chiaramente definite, univocamente interpretabili e coerenti.

4.7.   Comunicazione della Commissione sulla legge applicabile agli effetti patrimoniali delle operazioni in titoli

4.7.1.

Il CESE condivide l’obiettivo di introdurre delle misure volte a ridurre l’incertezza giuridica riguardo alle operazioni transfrontaliere in titoli e crediti. Reputa importante garantire la chiarezza e la prevedibilità della legge nazionale che si applica per determinare il proprietario delle attività sottostanti all’operazione, in quanto i rischi giuridici derivanti dall’incertezza possono dare luogo ad ulteriori perdite. È pertanto fondamentale e necessario chiarire la terminologia giuridica per precisare l’elemento patrimoniale e l’elemento contrattuale.

4.8.   Regolamento sulla legge applicabile all’opponibilità ai terzi della cessione dei crediti

4.8.1.

A seguito della suddetta comunicazione, il CESE accoglie con favore l’obiettivo di eliminare l’incertezza giuridica sopra descritta, proponendo norme uniformi per stabilire quale legge nazionale si applichi alla titolarità del credito in una situazione in cui esso sia stato ceduto nel quadro di un’operazione transfrontaliera. La cessione transfrontaliera di crediti è un processo attraverso il quale le imprese, avvalendosi di società specializzate, possono ottenere liquidità e avere accesso al credito. Il CESE riconosce che la certezza giuridica in questo campo contribuirà a rafforzare gli investimenti transfrontalieri, anche per quanto concerne la partecipazione delle piccole e medie imprese. Ciò riguarda il factoring, la costituzione di garanzie (collateralizzazione) e la cartolarizzazione.

4.9.   Direttiva sulla distribuzione transfrontaliera di fondi di investimento collettivo

4.9.1.

Il CESE è favorevole alla creazione di condizioni che permettano di sfruttare maggiormente il potenziale di distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento, rendendo i requisiti nazionali per l’immissione sul mercato più trasparenti a livello nazionale e dell’UE, facendo sì che la struttura delle spese e degli oneri regolamentari sia più trasparente a livello UE e garantendo che, nella determinazione di tali oneri, vengano rispettati alcuni principi generali comuni.

4.9.2.

Il CESE ritiene preferibile che la scelta dei mezzi per sostenere gli investitori locali sia lasciata ai gestori dei fondi di investimento.

4.9.3.

Il CESE accoglie con favore l’armonizzazione delle procedure per l’uso del «passaporto» che consente la distribuzione dei fondi di investimento in un contesto transfrontaliero.

4.9.4.

Il CESE è favorevole all’adozione di norme armonizzate in materia di comunicazioni di marketing.

4.9.5.

Il CESE approva l’introduzione di un sistema in base al quale gli Stati membri assicurano che le disposizioni legislative che disciplinano la commercializzazione transfrontaliera dei fondi di investimento nel loro territorio siano facilmente accessibili (in forma elettronica e in una lingua comunemente utilizzata negli ambienti della finanza internazionale).

4.10.   Regolamento per facilitare la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento collettivo

4.10.1.

Il CESE accoglie con favore l’obiettivo fondamentale del regolamento, ossia giungere ad un’intesa comune sulla definizione dei requisiti per le comunicazioni di marketing e sulle misure volte a garantire la trasparenza delle norme nazionali relative ai requisiti per la commercializzazione dei fondi.

4.10.2.

Il CESE approva la pratica proposta secondo cui le spese e gli oneri devono essere proporzionati ai compiti di vigilanza svolti; attende con interesse il contributo proveniente dalla gestione della banca dati online che censirà le spese e gli oneri imposti nonché i relativi metodi di calcolo, e ritiene che tale iniziativa rappresenti una grande sfida, ma raccomanda che tale contributo sia valutato in relazione ai costi sostenuti e che vengano individuati i possibili rischi associati al funzionamento della banca dati; e si attende la messa a punto di norme tecniche di attuazione relative alle informazioni sulle spese, nonché sulla pubblicazione e la gestione da parte dell’ESMA, della banca dati online delle spese e degli oneri regolamentari.

4.10.3.

Il CESE accoglie con favore l’introduzione di requisiti specifici per i flussi di informazioni e per la loro standardizzazione e semplificazione, così come la regolamentazione del processo di pre-commercializzazione, nel cui ambito viene sondato l’interesse degli investitori per future opportunità e strategie di investimento.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Riguardo alle spese e agli oneri imposti dalle autorità nazionali competenti e alla loro trasparenza, il CESE appoggia l’intenzione della proposta di migliorare la trasparenza di tali spese e oneri regolamentari, compresa la definizione del ruolo dell’ESMA nella raccolta delle informazioni necessarie. Secondo il CESE, questa misura può contribuire a facilitare ulteriormente la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento.

5.2.

Si propone di introdurre, a livello delle autorità nazionali competenti, delle norme per la notifica sistematica delle comunicazioni di marketing ai fini della verifica ex ante della documentazione commerciale. Tuttavia, secondo il CESE, la diversità delle norme applicate dalle autorità nazionali competenti può creare una frammentazione del mercato dell’UE, mentre non dovrebbero esservi differenze nell’ambito del mercato unico. In proposito, il CESE raccomanda che su tale questione non sia consentito alle autorità nazionali competenti di adottare un approccio differenziato.

5.3.

Pur accogliendo con favore la creazione della banca dati dell’ESMA riguardante i gestori di fondi di investimento alternativi, le società di gestione di OICVM, i fondi di investimento alternativi (FIA) e gli OICVM, il CESE aggiunge che non è auspicabile imporre obblighi aggiuntivi di notifica per i gestori di attività. A giudizio del CESE, dovrebbe essere chiaro che gli obblighi di notifica di cui agli articoli 10 e 11 del regolamento proposto dovrebbero riguardare tutte le autorità nazionali competenti, e che queste ultime non dovrebbero imporre ulteriori obblighi di notifica a carico degli operatori di mercato.

5.4.

Il CESE osserva che la proposta di definizione della pre-commercializzazione non dovrebbe essere basata su quella contenuta nella direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi, poiché è necessario apportare ulteriore certezza giuridica e coerenza, e l’esperienza pratica mostra che le risorse e gli strumenti non legislativi rappresentano il modo migliore, se non l’unico, per conseguire tale obiettivo. Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che la proposta potrebbe comportare un’ulteriore frammentazione del mercato unico, laddove essa rischia di dar luogo ad interpretazioni esplicative nazionali.

5.5.

In relazione alle norme per la cessazione della commercializzazione e del marketing di fondi di investimento, il CESE ritiene che le regole proposte possano causare distorsioni del mercato unico dal punto di vista di tali fondi. La decisione di cessare la commercializzazione delle quote/azioni di qualunque fondo di investimento in qualsiasi giurisdizione dovrebbe essere esclusivamente una decisione commerciale della società che effettua la gestione delle attività. Dal punto di vista della protezione degli investitori, le seguenti misure appaiono (sulla base dell’esperienza pratica) come una tutela sufficiente:

pubblicazione delle decisioni;

garanzia di informazioni agli investitori;

possibilità per gli investitori di ritirarsi gratuitamente dal fondo in un periodo di tempo stabilito.

5.6.   Ulteriori ostacoli alla distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento

5.6.1.

Uno degli altri ostacoli che si frappongono attualmente alla distribuzione transfrontaliera è costituito dalle norme per la verifica delle qualifiche dei prestatori di servizi d’investimento. Il CESE è del parere che si dovrebbero adottare norme più dettagliate riguardanti, ad esempio:

i servizi ai quali si applicano le norme vigenti;

i tipi di attività, nell’ambito di tali servizi, alle quali le norme si applicano;

in che modo si debbano controllare le qualifiche quando le autorità di regolamentazione locali (nazionali) non hanno la possibilità di introdurre procedure nazionali;

il riconoscimento dei metodi diversi di verifica delle qualifiche a livello UE, avvalendosi di soluzioni paneuropee o mondiali, per esempio gli esami CFA.

5.6.2.

Il CESE raccomanda l’adozione di norme univoche e dettagliate per stabilire quale legislazione si applichi alla distribuzione dei fondi di investimento: attualmente infatti non è chiaro, in pratica, quali norme (direttive MiFID, OICVM o GEFIA) si applichino alla distribuzione dei fondi. Se ciascuna autorità di regolamentazione applica un approccio diverso, questo è, a giudizio del CESE, uno dei principali ostacoli alla distribuzione transfrontaliera. Dovrebbe essere chiaramente stabilito che la distribuzione dei fondi rientra esclusivamente nell’ambito di applicazione delle norme sugli OICVM o della direttiva sui GEFIA (per i fondi propri, i fondi gestiti e i fondi di terzi), ai sensi delle quali la società di gestione non ha bisogno di un’autorizzazione MiFID né di un’autorizzazione a fornire servizi ai sensi di quest’ultima direttiva.

5.6.3.

Il CESE è convinto che non dovrebbe essere richiesta alcuna relazione a livello locale (nazionale). Le autorità di regolamentazione non dovrebbero avere la possibilità di imporre una rendicontazione sui fondi locali (nazionali), che sia sotto forma di relazioni regolamentari in rapporto alle autorità di regolamentazione o di qualsiasi obbligo di pubblicare dai dati, ad esempio sulla stampa.

5.6.4.

A giudizio del CESE, la banca dati interattiva ESMA relativa a spese e oneri dovrebbe essere estesa, in prospettiva, anche ai requisiti riguardanti:

il tempo necessario per qualsiasi tipo di autorizzazione/registrazione;

le informazioni dettagliate necessarie per la rendicontazione locale (nazionale);

le norme di distribuzione locali (nazionali).

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/56


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda le esposizioni sotto forma di obbligazioni garantite»

[COM(2018) 93 final — 2018/0042 (COD)]

e sulla

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’emissione di obbligazioni garantite e alla vigilanza pubblica delle obbligazioni garantite e che modifica la direttiva 2009/65/CE e la direttiva 2014/59/UE»

[COM(2018) 94 final — 2018/0043 (COD)]

(2018/C 367/11)

Relatore:

Daniel MAREELS

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 28.3.2018

Parlamento europeo, 16.4.2018

Base giuridica

Articoli 53, 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

27.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

165/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Per i motivi esposti qui di seguito, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie molto favorevolmente le proposte in materia di obbligazioni garantite (cfr. il punto 1.2 e seguenti). Il CESE chiede che si compia ogni sforzo per giungere a un’attuazione e a risultati concreti in tempi rapidi. A tale riguardo, formula altresì una serie di proposte (cfr. il punto 1.7 e seguenti).

1.2.

In primo luogo, tali proposte si inseriscono in un contesto più ampio e contribuiscono al conseguimento di obiettivi che stanno a cuore al CESE, quali la rapida istituzione di un’Unione dei mercati dei capitali (UMC) e il completamento dell’Unione economica e monetaria (UEM). Inoltre le obbligazioni garantite facilitano le operazioni transfrontaliere di finanziamento e favoriscono quindi una maggiore ripartizione dei rischi sul mercato privato.

1.3.

Infine, un certo numero di Stati membri dell’UE detiene per tradizione una posizione molto forte sui mercati internazionali e globali. L’approccio europeo in materia di trattamento prudenziale delle obbligazioni garantite serve da guida in tutto il mondo. Le proposte in esame dovrebbero essere utilizzate non solo per mantenere questa posizione di punta, ma, se possibile, anche per rafforzarla. Soprattutto in considerazione dei diversi spostamenti di forze e di equilibri di potere in atto a livello mondiale tra Oriente e Occidente, è di fondamentale importanza che l’UE assuma una posizione decisa ed efficace.

1.4.

L’opportunità offerta da queste proposte dovrebbe essere colta per promuovere l’ampia diffusione di obbligazioni garantite e sviluppare mercati per tali obbligazioni in tutta l’UE. Occorre compiere ogni sforzo per conseguire successi in questo campo, in particolare negli Stati membri in cui tali strumenti e mercati sono ancora sconosciuti.

1.5.

Inoltre, il CESE accoglie con grande favore sia l’approccio scelto dell’armonizzazione minima sulla base dei regimi nazionali sia il contenuto delle proposte, per le quali, peraltro, il Parlamento europeo, le autorità di vigilanza e altre parti interessate avevano creato solide basi. Tutto ciò ha consentito di ottenere un risultato di qualità senza falsare i mercati esistenti e a costi ragionevoli.

1.6.

È molto importante che le obbligazioni garantite consentano alle banche di creare risorse supplementari per il finanziamento a lungo termine dell’economia. Questi nuovi fondi devono allora essere utilizzati per erogare ulteriori finanziamenti ai governi, alle imprese e alle famiglie. Eventualmente, questa proposta potrebbe contribuire a ripristinare la fiducia nel settore bancario e finanziario.

1.7.

Il CESE si compiace in particolare del fatto che la proposta sia volta anche a mettere le obbligazioni garantite alla portata delle banche più piccole. Ciononostante il CESE chiede che si consideri ulteriormente come garantire appieno tale possibilità. Senza derogare dalle norme generalmente applicabili, si potrebbe considerare, ad esempio, quali obblighi amministrativi e di altra natura potrebbero essere adattati per le banche più piccole.

1.8.

Inoltre, il CESE raccomanda vivamente che l’utilizzo del marchio «obbligazioni garantite europee» sia reso obbligatorio e non facoltativo, come previsto attualmente. A tal fine è necessaria una visione globale e lungimirante. L’obbligo di utilizzare in modo generalizzato il marchio europeo rafforzerà inevitabilmente la posizione di punta dell’Europa a livello mondiale e creerà nuove opportunità per gli Stati membri (soprattutto quelli più piccoli) che desiderino avvalersi pienamente delle possibilità offerte dal nuovo sistema. Tale marchio garantirebbe ai loro prodotti di poter essere distribuiti sul mercato e il suo utilizzo obbligatorio potrebbe anche avere un impatto positivo sulla fiducia degli investitori.

1.9.

Visto che le obbligazioni garantite sono generalmente percepite come sicure e liquide e offrono una protezione aggiuntiva in quanto non soggette a bail-in, il CESE invita ad esaminare quali ulteriori misure adottare per stimolare anche l’interesse dei risparmiatori privati e dei consumatori per tali obbligazioni. In quanto strumenti a lungo termine, le obbligazioni garantite paiono particolarmente adatte per i programmi pensionistici; a tale riguardo si potrebbero prendere in considerazione le proposte relative al prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP).

1.10.

Il CESE si compiace del fatto che sia prevista una valutazione del nuovo sistema, ma la proposta di effettuare tale valutazione dopo tre anni sembra offrire un lasso di tempo troppo breve. Dal momento che si tratta di una questione di mercato e che per acquisire esperienze utili con il nuovo regime occorre un certo tempo, il CESE chiede che il periodo proposto sia prolungato, ad esempio, a cinque anni. Naturalmente gli Stati membri possono seguire la questione da vicino a livello nazionale.

2.   Contesto del parere

2.1.

All’inizio del suo mandato, nel 2014, la Commissione Juncker ha elaborato un «piano di investimenti per l’Europa» per l’attuazione delle sue priorità assolute: la crescita, l’occupazione e gli investimenti (1). Uno dei principali obiettivi di questo piano è la creazione progressiva di un’Unione dei mercati dei capitali (UMC) (oltreché di un mercato unico digitale e dell’Unione dell’energia) al fine di realizzare un’UMC ben funzionante e integrata, estesa a tutti gli Stati membri.

2.2.

Con il Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali (2), la Commissione si è impegnata a mettere in campo entro il 2019 tutti gli elementi necessari a tal fine. In totale sono state previste oltre 33 iniziative e azioni.

2.3.

Dopo alcuni appelli a realizzare progressi in tempi rapidi (3)(4), già nel 2017 è stata condotta una revisione intermedia del piano di azione, la quale ha portato all’adozione di una serie di nuove azioni prioritarie, volte a tener conto delle sfide in evoluzione e del mutare delle circostanze, tra cui la «Brexit».

2.4.

In tale occasione la Commissione ha sottolineato peraltro che «dobbiamo aspirare a obiettivi più ambiziosi, per rimuovere gli ostacoli ma, soprattutto, per trarre vantaggio da queste nuove opportunità» (5). È in tale contesto che l’8 marzo 2018 la Commissione ha pubblicato una comunicazione intitolata Completare l’Unione dei mercati dei capitali entro il 2019 — È tempo di accelerare la realizzazione, annunciando un pacchetto di misure.

2.5.

Le nuove proposte in materia di obbligazioni garantite, presentate nel quadro di questo pacchetto (6), comprendono due testi, riguardanti in particolare:

2.5.1.

una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’emissione di obbligazioni garantite e alla vigilanza pubblica delle obbligazioni garantite e che modifica la direttiva 2009/65/CE e la direttiva 2014/59/UE (7) e

2.5.2.

una proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda le esposizioni sotto forma di obbligazioni garantite (8).

2.6.

Tali proposte sono volte a creare un quadro a sostegno delle obbligazioni garantite a livello dell’UE che comprende, in particolare, la definizione di tali obbligazioni, l’utilizzo del marchio «obbligazioni garantite europee» sul mercato, i requisiti prudenziali per la concessione di un trattamento patrimoniale preferenziale, nonché taluni obblighi a carico delle autorità competenti.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE accoglie molto favorevolmente le proposte in esame che fanno parte delle iniziative volte a creare un’UMC, e insiste perché si compia ogni sforzo per giungere a un’attuazione e a risultati concreti in tempi rapidi.

3.2.

Tali proposte contribuiscono innanzitutto a una serie di obiettivi di più ampio respiro cui il CESE tiene in modo particolare e a favore dei quali si è già pronunciato in precedenza (9). Al riguardo si possono menzionare:

3.2.1.

la costruzione dell’UMC, accompagnata da una maggiore convergenza economica e sociale e dall’integrazione economica e finanziaria, deve portare a maggiore sicurezza, stabilità e resilienza del sistema finanziario ed economico grazie all’ampliamento e alla diversificazione delle fonti di finanziamento dell’economia. La rapida realizzazione di questo obiettivo deve rimanere in cima alle priorità.

3.2.2.

Il regime proposto in materia di obbligazioni garantite facilita le operazioni transfrontaliere di finanziamento e favorisce quindi una maggiore ripartizione dei rischi sul mercato privato. Queste misure sono di fondamentale importanza per gli Stati membri al fine di prevenire gli shock asimmetrici in caso di crisi o per ridurne gli effetti. L’UMC offrirà anche un importante contributo alla crescita convergente tra gli Stati membri dell’UE, in modo che le economie più deboli siano in grado di mettersi più rapidamente al passo con quelle più forti.

3.2.3.

La realizzazione dell’UMC è indispensabile anche per il completamento dell’Unione economica e monetaria (UEM). Associata a un’unione bancaria a pieno titolo, l’UMC deve portare a una vera e propria unione finanziaria, la quale costituisce uno dei quattro pilastri dell’UEM.

3.2.4.

L’Europa è tradizionalmente molto forte in materia di obbligazioni garantite (10). Queste proposte dovrebbero essere considerate come un’opportunità per consolidare ulteriormente la posizione di punta dell’Europa a livello mondiale. Più in generale, e da un punto di vista internazionale, è importante che l’UE agisca con determinazione e assuma una posizione forte, tanto più se si considerano gli spostamenti di forze e di equilibri di potere in atto a livello mondiale tra Oriente e Occidente.

3.3.

Queste proposte contribuiscono a creare risorse supplementari per il finanziamento a lungo termine dell’economia. Infatti, l’emissione di obbligazioni garantite consente alle banche di ottenere un finanziamento economicamente conveniente e a lungo termine. Nel complesso, il potenziale in termini di emissioni aggiuntive di obbligazioni garantite può salire a 342 miliardi di EUR, con un conseguente risparmio annuale per i debitori europei che andrebbe da 1,5 a 1,9 miliardi di EUR (11).

3.4.

È comunque importante che le nuove risorse vadano a vantaggio dell’economia. Questi fondi supplementari dovrebbero essere utilizzati dalle banche per la concessione di ulteriori prestiti ai governi, alle famiglie e alle imprese. Eventualmente, questa proposta potrebbe contribuire a ripristinare la fiducia nel settore bancario e finanziario.

3.5.

Nell’interesse della stabilità e della sicurezza del sistema finanziario, è importante che queste nuove risorse siano reperite mediante strumenti che sono liquidi e sicuri in qualsiasi circostanza. Le proposte in esame contengono una serie di misure di salvaguardia in tal senso. Un regime solido in materia di obbligazioni garantite deve andare a vantaggio anche degli investitori, aumentando e migliorando le possibilità di scelta a loro disposizione sui mercati. Per tali investitori, il duplice diritto di credito (12) (o doppia rivalsa) di cui dispongono è essenziale, per cui è importante che le autorità insistano sul fatto che le attività sottostanti siano valutate adeguatamente dagli emittenti.

3.6.

In quest’ottica, la proposta di creare un quadro che faciliti lo sviluppo delle obbligazioni garantite e dei mercati per tali strumenti in tutta l’UE merita pieno sostegno da parte del CESE. Occorre compiere ogni sforzo per conseguire successi in questo campo, in particolare negli Stati membri (13) in cui tali strumenti e mercati sono ancora sconosciuti. È importante completare gli ultimi tasselli rimasti vuoti nel mosaico dei paesi, assicurando l’esistenza di un quadro per le obbligazioni garantite in tutti gli Stati membri.

3.7.

Con questo sostegno, il CESE rende omaggio e si unisce agli sforzi messi in campo ormai da diversi anni dalla Commissione, dal Parlamento europeo, dall’Autorità bancaria europea e da altri organismi a favore di un regime in materia di obbligazioni garantite a livello europeo. Al riguardo si sono espressi positivamente anche la maggior parte degli Stati membri e altri soggetti direttamente interessati, ad esempio l’associazione di categoria European Covered Bond Council (14).

3.8.

Anche il CESE condivide pienamente la scelta di optare per un’armonizzazione minima a livello europeo sulla base dei regimi nazionali, dal momento che essa consente di realizzare diversi obiettivi a un costo ragionevole, prevenendo nel contempo eventuali distorsioni dei mercati attuali e riducendo i costi di transizione. Tuttavia è essenziale che i sistemi esistenti a livello nazionale si allineino all’obiettivo della proposta europea al fine di stimolare il mercato delle obbligazioni garantite. È quindi auspicabile che a livello nazionale non sussistano ostacoli o limitazioni in tal senso.

3.9.

Come detto sopra, diversi Stati membri sono particolarmente forti su questo mercato ma, allo stesso tempo, recenti sviluppi mostrano che anche in altre parti del mondo sta aumentando l’interesse verso le obbligazioni garantite. Per questo, il CESE ritiene che sia anche importante garantire che si consolidi ulteriormente l’attuale leadership europea in questo settore nel panorama internazionale e che ci si adoperi per promuovere l’approccio europeo come parametro di riferimento a livello mondiale.

3.10.

Il CESE si compiace anche del fatto che nelle proposte sia prevista una valutazione dei risultati e del grado di successo di questo nuovo regime. Dal momento che si tratta di una questione di mercato e che per acquisire esperienze utili occorre un certo tempo, soprattutto negli Stati membri per i quali tale regime costituisce una novità, il CESE ritiene che il periodo proposto di tre anni sia troppo breve e raccomanda di prolungarlo, ad esempio a cinque anni. Gli Stati membri sono naturalmente liberi di seguire la questione da vicino e in qualsiasi momento.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Nel complesso, il CESE condivide l’approccio della Commissione di creare un quadro chiaro e completo, che fornisca in particolare una definizione di riferimento e una descrizione delle caratteristiche strutturali, preveda una speciale vigilanza pubblica e disciplini l’utilizzo del marchio «obbligazioni garantite europee». Il CESE approva altresì il trattamento prudenziale di tale strumento.

4.2.

È però importante che questo regime sia accessibile e possa essere utilizzato efficacemente da tutte le banche. A tale riguardo, il CESE accoglie con favore il fatto che si presti particolare attenzione alle difficoltà e ai problemi che le banche più piccole possono incontrare nell’emissione di obbligazioni garantite. Per il CESE è importante garantire la massima accessibilità possibile. Senza derogare alle norme generalmente applicabili, si potrebbe esaminare, ad esempio, quali obblighi amministrativi e di altra natura potrebbero essere adattati per le banche più piccole.

4.3.

L’utilizzo del marchio «obbligazioni garantite europee» è previsto soltanto a titolo facoltativo, in modo da consentire agli Stati membri di continuare a utilizzare le loro denominazioni e i loro sistemi di marchi nazionali già esistenti (15). Il CESE non condivide questa posizione, e sarebbe invece decisamente favorevole all’utilizzo obbligatorio del marchio europeo. A tal fine è necessaria una visione globale e lungimirante. L’utilizzo obbligatorio del marchio europeo rafforzerà inevitabilmente la posizione di punta dell’Europa a livello mondiale e creerà nuove opportunità per gli Stati membri (soprattutto i più piccoli) che desiderino avvalersi pienamente delle possibilità offerte dal nuovo sistema. Il marchio europeo garantirebbe ai loro prodotti di poter essere distribuiti sui mercati. Il suo utilizzo obbligatorio potrebbe anche avere un impatto positivo sulla fiducia degli investitori.

4.4.

Attualmente il mercato delle obbligazioni garantite è per la maggior parte nelle mani di investitori professionali e istituzionali (16). Il CESE chiede che si esaminino le ulteriori misure necessarie e auspicabili per stimolare in modo più attivo anche l’interesse dei risparmiatori privati e dei consumatori per tali obbligazioni. Diversi fattori depongono infatti in tal senso: le obbligazioni garantite sono, per tradizione, considerate, anche in tempi di crisi, attività sicure e liquide, e va inoltre tenuto conto del contributo che le proposte in esame offrono in questa direzione. Inoltre, questo tipo di obbligazioni non è soggetto a bail-in, il che non è irrilevante ai fini della tutela dei risparmiatori privati. Esse paiono quindi più adatte rispetto ad altri prodotti (17). In quanto strumenti a lungo termine, le obbligazioni garantite sembrano di certo utili per i programmi pensionistici. A tale riguardo si potrebbero menzionare le proposte relative al prodotto pensionistico individuale paneuropeo (PEPP).

Bruxelles, 11 luglio 2018

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Cfr. il sito web della Commissione europea.

(2)  Piano di azione adottato nel settembre 2015. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali. Cfr. COM(2015) 468 final.

(3)  Il Consiglio europeo ha chiesto ad esempio «progressi rapidi e decisi» riguardo al piano «per garantire alle imprese un accesso più facile ai finanziamenti e sostenere gli investimenti nell'economia reale».

(4)  Inoltre, la Commissione ha adottato una comunicazione in cui auspicava essa stessa un’accelerazione delle riforme. Cfr. COM(2016) 601 final.

(5)  Cfr. la comunicazione della Commissione Completare l’Unione dei mercati dei capitali entro il 2019 — È tempo di accelerare la realizzazione, COM(2018) 114 final.

(6)  Oltre alla proposta di cui sopra, il pacchetto contiene anche una proposta per facilitare la distribuzione transfrontaliera dei fondi di investimento collettivo, una proposta per un quadro a sostegno dei fornitori europei di servizi di finanziamento collettivo (crowdfunding) per le imprese, nonché una proposta sulla legge applicabile all’opponibilità ai terzi della cessione dei crediti e una comunicazione sulla legge applicabile agli effetti patrimoniali delle operazioni su titoli.

(7)  Cfr. la Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'emissione di obbligazioni garantite e alla vigilanza pubblica delle obbligazioni garantite e che modifica la direttiva 2009/65/CE e la direttiva 2014/59/UE.

(8)  Cfr. la Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda le esposizioni sotto forma di obbligazioni garantite.

(9)  Cfr. in particolare il parere sul tema Unione dei mercati dei capitali: riesame intermedio (ECO/437), GU C 81 del 2.3.2018, pag. 117.

(10)  Circa il 90 % delle obbligazioni garantite sui mercati mondiali è emesso da nove paesi europei. Cfr. anche i dati pubblicati dallo European Covered Bond Council [Consiglio europeo delle obbligazioni assicurate — ECBC] nel suo rapporto European Covered Bond Fact Book, 12a edizione (2017). A livello mondiale, l’importo in essere delle obbligazioni garantite è pari a 2500 miliardi di EUR, di cui 2100 miliardi di EUR sono stati emessi da istituti situati in Europa (cfr. il documento di lavoro dei servizi della Commissione dal titolo Impact Assessment [Valutazione d’impatto], SWD (2018) 50 final).

(11)  Cfr. il documento di lavoro dei servizi della Commissione dal titolo Impact Assessment [Valutazione d’impatto] (SWD (2018) 50 final) riguardo alle proposte qui in esame.

(12)  Il duplice diritto di credito dei titolari di obbligazioni garantite si applica, da un lato, all’aggregato di copertura e, dall’altro, all’emittente.

(13)  Attualmente, una dozzina di Stati membri dell’UE non dispone ancora di un quadro legislativo per le obbligazioni garantite.

(14)  Per una panoramica al riguardo, cfr. i capitoli 3 della proposta di direttiva e della proposta di regolamento.

(15)  Cfr. il considerando 33 della proposta di direttiva.

(16)  In base alle informazioni fornite oralmente dai rappresentanti della Commissione, il mercato è detenuto per 1/3 da banche, per 1/3 dalla Banca centrale europea e per 1/3 da altri soggetti quali i fondi di investimento e i fondi pensione.

(17)  Si potrebbe anche fare riferimento alle proposte relative al crowdfunding e ai prestiti tra pari (peer-to-peer). In questo caso vengono offerti essenzialmente strumenti finanziari negoziabili sotto forma di capitale proprio (es. azioni) o di debito (es. obbligazioni), e la tutela offerta ai risparmiatori e agli investitori si può considerare molto limitata.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/61


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d’azione per le tecnologie finanziarie: per un settore finanziario europeo più competitivo e innovativo»

[COM(2018) 109 final]

(2018/C 367/12)

Relatore:

Petru Sorin DANDEA

Consultazione

Commissione europea, 10.4.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

27.6.2018

Adozione in sessione plenaria

12.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

126/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia il piano della Commissione e ritiene che lo sviluppo delle tecnologie finanziarie (FinTech) nel settore finanziario europeo possa generare una serie di benefici non solo per le imprese europee, ma anche per i loro clienti.

1.2.

Il Comitato ritiene che il piano presentato dalla Commissione possa costituire un incentivo sia per lo sviluppo dei mercati dei capitali che per le piccole e medie imprese che operano nel settore finanziario.

1.3.

Il Comitato reputa che le misure contenute nel piano d’azione sul miglioramento della sicurezza informatica e della resilienza del settore finanziario siano importanti, ma vadano completate con regolamentazioni che assicurino l’uniformità nello sviluppo delle tecnologie finanziarie all’interno dell’UE. Il Comitato ritiene inoltre che per gli operatori del settore delle tecnologie finanziarie debbano valere le stesse regole che si applicano a quelli del settore finanziario, in particolare per quanto riguarda la resilienza, la vigilanza e la sicurezza informatica.

1.4.

Secondo il Comitato, per assicurare la parità di condizioni per quanto riguarda l’accesso ai dati dei clienti conformemente alla seconda direttiva sui servizi di pagamento (Second Payment Services Directive, PSD2) e al regolamento generale sulla protezione dei dati (RGPD), è essenziale che il diritto alla portabilità dei dati personali sia applicato secondo modalità compatibili con la direttiva PSD2.

1.5.

Alla luce dell’andamento delle criptovalute e della loro elevata volatilità, il CESE raccomanda alla Commissione di seguire da vicino e in modo permanente la situazione in questo ambito, in collaborazione con le autorità europee di vigilanza. Se del caso, vanno adottate a livello dell’UE tutte le misure necessarie a garantire che la sicurezza e la stabilità del sistema economico e finanziario non siano mai e in alcun modo messe a repentaglio.

1.6.

Studi recenti hanno messo in evidenza che l’introduzione delle tecnologie finanziarie porta alla perdita di numerosi posti di lavoro negli istituti finanziari. Il CESE raccomanda agli Stati membri di elaborare e attuare programmi di misure attive per il mercato del lavoro che consentano ai lavoratori interessati dall’introduzione di tecnologie innovative nel settore finanziario di trovare il prima possibile un nuovo posto di lavoro.

1.7.

Il CESE raccomanda alla Commissione di definire, per le imprese che offrono servizi di cloud computing, possibili regolamentazioni che abbiano per oggetto la responsabilità di tali imprese in rapporto alla protezione dei dati che custodiscono. Esse dovrebbero rispettare le stesse regolamentazioni sulla protezione dei dati personali cui sono soggette le imprese che esternalizzano certi tipi di servizi.

2.   La proposta della Commissione

2.1.

L’8 marzo 2018 la Commissione europea ha presentato un piano d’azione sul modo per cogliere le opportunità offerte dall’innovazione basata sulla tecnologia nel settore dei servizi finanziari (FinTech), allo scopo di rendere il mercato finanziario più competitivo e innovativo.

2.2.

L’obiettivo del piano d’azione presentato dalla Commissione consiste nel permettere al settore finanziario di fare propri e di sfruttare i rapidi progressi realizzati dalle nuove tecnologie, come la tecnologia block-chain (1), l’intelligenza artificiale o i servizi di cloud computing. Secondo la Commissione, l’Europa dovrebbe diventare un centro di attrazione mondiale nel settore delle tecnologie finanziarie, con imprese e investitori in grado di trarre profitto dai vantaggi offerti dal mercato unico in questo settore dinamico.

2.3.

Sulla base dei risultati della consultazione pubblica che è stata realizzata nel periodo compreso tra marzo e giugno 2017, la Commissione ritiene che la necessità di una riforma legislativa o regolamentare a livello dell’UE sia limitata in questa fase. È tuttavia necessario adottare una serie di iniziative specifiche volte a fare in modo che l’Unione integri la digitalizzazione del settore finanziario.

2.4.

Il piano d’azione per le tecnologie finanziarie prevede l’adozione delle misure necessarie affinché i modelli di business innovativi acquisiscano una dimensione europea, il sostegno alla diffusione dell’innovazione tecnologica nel settore finanziario, nonché il miglioramento della sicurezza e della resilienza in questo settore.

2.5.

Nel quadro del piano d’azione, oltre alla comunicazione in esame, la Commissione ha presentato anche una proposta di regolamento dell’UE sui fornitori di servizi di crowd-funding, attraverso investimenti o prestiti, per le imprese.

2.6.

Per quel che concerne la concessione delle licenze per le imprese di tecnologia finanziaria, la Commissione ha invitato le autorità europee di vigilanza a esaminare le attuali procedure per la concessione delle licenze e a proporle, se del caso, un adeguamento della legislazione dell’UE nel campo dei servizi finanziari. Inoltre, nel corso del 2018 la Commissione continuerà a monitorare gli sviluppi nel settore delle cripto-attività in collaborazione con le autorità europee di vigilanza (ossia, la Banca centrale europea e il Consiglio per la stabilità finanziaria). Sulla base della valutazione dei rischi, la Commissione individuerà le eventuali necessità di regolamentazione a livello dell’UE.

2.7.

Per quel che riguarda gli standard comuni e le soluzioni di interoperabilità per le tecnologie finanziarie, la Commissione collaborerà con il Comitato europeo di normazione e con l’Organizzazione internazionale per la standardizzazione, anche in rapporto alla tecnologia block-chain. Per lo sviluppo di modelli di business innovativi a livello dell’UE, la Commissione intende invitare le autorità competenti degli Stati membri ad adottare iniziative volte a promuovere l’innovazione. La Commissione invita inoltre le autorità europee di vigilanza a facilitare la cooperazione in materia di vigilanza, anche per quel che concerne il coordinamento e lo scambio di informazioni sulle tecnologie innovative, l’istituzione di centri di innovazione e la creazione di spazi di sperimentazione normativa.

2.8.

Per sostenere l’innovazione tecnologica nel settore finanziario, la Commissione istituirà un gruppo di esperti con il compito di esaminare gli ostacoli normativi esistenti che si frappongono all’innovazione finanziaria. La Commissione invita le autorità europee di vigilanza a valutare la necessità di emanare orientamenti in materia di esternalizzazione rivolti ai fornitori di servizi di cloud computing. La Commissione faciliterà l’elaborazione di clausole contrattuali standard per l’esternalizzazione, da parte degli istituti finanziari, di servizi di cloud computing.

2.9.

Secondo la Commissione, il quadro di regolamentazione e vigilanza a livello europeo dovrebbe permettere alle imprese che operano nel mercato unico di beneficiare delle innovazioni finanziarie e, quindi, di offrire ai clienti prodotti di qualità superiore.

2.10.

La Commissione intende avviare una consultazione pubblica sull’ulteriore digitalizzazione delle informazioni regolamentate sulle società quotate operanti nei mercati regolamentati dell’UE, anche in merito all’eventuale creazione di un portale europeo di trasparenza finanziaria basato sulla tecnologia di registro distribuito (RegTech).

2.11.

Per quel che concerne le tecnologie block-chain, nel febbraio 2018 la Commissione ha inaugurato un Osservatorio e un forum dell’UE in materia, e ha avviato uno studio sulla fattibilità di un’infrastruttura di block-chain pubblica dell’UE per lo sviluppo di servizi transfrontalieri. La Commissione intende valutare in che misura la tecnologia block-chain possa essere sviluppata come infrastruttura per i servizi digitali nel quadro del meccanismo per collegare l’Europa. La Commissione ospiterà inoltre un laboratorio dell’UE per le tecnologie finanziarie.

2.12.

Per migliorare la sicurezza e la resilienza del settore finanziario, la Commissione organizzerà un seminario pubblico-privato per valutare gli ostacoli che impediscono lo scambio di informazioni sulle minacce informatiche tra i partecipanti ai mercati finanziari, e per individuare possibili soluzioni. La Commissione invita inoltre le autorità europee di vigilanza a valutare i costi e i benefici connessi allo sviluppo di un quadro coerente per l’esecuzione dei test sulla resilienza informatica destinato ai partecipanti al mercato importanti e alle infrastrutture di rilievo dell’intero settore finanziario dell’UE.

3.   Osservazioni generali e particolari

3.1.

Il Comitato appoggia il piano della Commissione in quanto ritiene che lo sviluppo delle tecnologie finanziarie (FinTech) nel settore finanziario europeo possa generare una serie di benefici rilevanti a vantaggio sia delle imprese che dei consumatori.

3.2.

Il CESE ritiene che il piano d’azione per le tecnologie finanziarie sia di estrema importanza non solo per l’approfondimento e l’ampliamento dei mercati dei capitali attraverso l’integrazione della digitalizzazione, ma anche per l’Unione dei mercati dei capitali, che rappresenta una delle priorità in cima all’agenda europea. Secondo il CESE, inoltre, il piano d’azione per le tecnologie finanziarie può rappresentare un incentivo fondamentale per il settore delle PMI — che rappresentano il 99 % di tutte le imprese a livello dell’UE — grazie alle maggiori opportunità di finanziamento, che permettono a tali imprese di adottare soluzioni più semplici e accessibili.

3.3.

Il Comitato reputa che le misure contenute nel piano d’azione sul miglioramento della sicurezza informatica e della resilienza del settore finanziario siano importanti, ma vadano completate con regolamentazioni che assicurino l’uniformità nello sviluppo delle tecnologie finanziarie all’interno dell’UE.

3.4.

Il CESE condivide il giudizio della Commissione secondo cui il quadro di regolamentazione e vigilanza a livello europeo dovrebbe permettere alle imprese che operano nel mercato unico di beneficiare delle innovazioni finanziarie e, quindi, di offrire ai clienti prodotti di qualità superiore. Il Comitato ritiene tuttavia che questo non possa avvenire a discapito della sicurezza. È necessario garantire condizioni di parità per tutti gli operatori, indipendentemente dal loro modo di operare (2).

3.5.

Le regolamentazioni che hanno per oggetto gli istituti finanziari a livello europeo, ma anche a livello nazionale negli Stati membri, sono state rafforzate a seguito dell’ultima crisi finanziaria. Esse riguardano anche la sicurezza informatica e stabiliscono norme e standard di sicurezza vincolanti per gli istituti del settore finanziario. Il CESE ritiene che gli standard di sicurezza informatica debbano essere applicati a livello dell’UE anche per le imprese che offrono servizi di tecnologia finanziaria. Per assicurare un’applicazione uniforme, questi standard dovrebbero essere regolamentati a livello europeo, se non persino estesi a livello mondiale.

3.6.

Il CESE ricorda che, in genere, gli attacchi informatici sono mossi a livello transfrontaliero. Attualmente, però, lo scambio d’informazioni tra le autorità nazionali competenti in materia di minacce o attacchi informatici è piuttosto limitato dalle disposizioni delle normative degli Stati membri. È quindi di vitale importanza aumentare il livello di coordinamento, regolamentazione e vigilanza in ambito UE.

3.7.

Per quel che concerne le cripto-attività e, in particolare, le criptovalute, l’Europa è stata testimone della loro diffusione e della volatilità ad esse associata. Alla luce di questi sviluppi, della mancanza di trasparenza che le caratterizza e degli alti rischi che comportano, il Comitato raccomanda alla Commissione di seguire da vicino e in maniera permanente la situazione in questo ambito, in collaborazione con le autorità europee di vigilanza Vanno adottate tutte le misure necessarie a garantire che la sicurezza e la stabilità del sistema economico e finanziario non siano mai e in alcun modo messe a repentaglio. Tali misure dovrebbero innanzitutto riguardare l’intera UE e, quindi, essere adottate a questo livello.

3.8.

Nel campo delle cripto-attività è stato osservato che le innovazioni basate sulla tecnologia possono sfuggire alla regolamentazione, anche se le operazioni sono condotte in un mercato altamente regolamentato. Tenuto conto della notevole volatilità delle cripto-attività, dell’assenza di trasparenza in questo campo e dei grandi rischi che le cripto-attività possono comportare per gli investitori, il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di esaminare i metodi che andrebbero previsti per vigilare sulle operazioni in cripto-attività.

3.9.

La Commissione ha proposto la creazione di un Osservatorio nel campo delle tecnologie block-chain. Secondo il CESE, a causa della rapida dinamica di sviluppo delle applicazioni nel campo delle tecnologie finanziarie, il mandato dell’Osservatorio andrebbe esteso a tutto il settore della tecnologia finanziaria. Inoltre, le applicazioni di tipo block-chain sollevano problemi di giurisdizione e di responsabilità in rapporto alla legge applicabile. Il CESE appoggia l’idea della Commissione di lanciare un’iniziativa in materia di block-chain a livello dell’Unione che possa chiarire il modo di utilizzo di questa tecnologia e contrastare l’attuale frammentazione.

3.10.

È stato osservato che l’introduzione delle tecnologie finanziarie porta alla perdita di numerosi posti di lavoro negli istituti finanziari. Il CESE raccomanda agli Stati membri di elaborare e attuare programmi di misure attive per il mercato del lavoro che consentano ai lavoratori interessati dall’introduzione di tecnologie innovative nel settore finanziario di trovare il prima possibile un nuovo posto di lavoro.

3.11.

La Commissione nutre preoccupazioni in rapporto all’esternalizzazione di servizi, da parte degli istituti finanziari, alle imprese che offrono servizi di cloud computing, in quanto una quantità eccessiva di informazioni e dati verrebbe trasferita, in modo concentrato, a un piccolo numero di imprese partecipanti a questo mercato, le quali — in genere — non sono europee. Il CESE raccomanda alla Commissione di definire, per le imprese che offrono servizi di cloud computing, possibili regolamentazioni che abbiano per oggetto la responsabilità di tali imprese in rapporto alla protezione dei dati che custodiscono.

Bruxelles, 12 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Con il termine «block-chain» si intende una catena in costante espansione di documenti, chiamati «blocchi», che sono legati tra loro e resi sicuri per mezzo della crittografia. Per definizione, una «catena di blocchi» resiste a ogni tentativo di modificare i dati in essa contenuti. Si tratta di «un registro aperto e distribuito che può memorizzare le transazioni tra due parti in modo sicuro, verificabile e permanente». Una volta registrati, i dati contenuti in un determinato blocco non possono essere retroattivamente modificati senza alterare tutti i blocchi successivi, un’azione che richiede il consenso della maggior parte della rete (fonte: Wikipedia).

(2)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 63.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari»

[COM(2018) 99 final — 2018/0047 (COD)]

e sulla

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese»

[COM(2018) 113 final — 2018/0048 (COD)]

(2018/C 367/13)

Relatore:

Daniel MAREELS

Consultazione

Parlamento europeo, 16.4.2018

Consiglio dell’Unione europea, 27.3.2018

Base giuridica

Articolo 114 e articolo 53, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

27.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

146/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE (Comitato economico e sociale europeo) accoglie con grande favore le proposte di creare un quadro a sostegno delle operazioni di crowdfunding (finanziamento collettivo), in particolare per mezzo di un 29o regime. Il Comitato auspica pertanto che si avanzi rapidamente su questa strada per giungere a un buon risultato, soprattutto perché queste misure si inseriscono in un quadro più ampio cui il Comitato tiene in modo particolare (1).

1.2.

Il CESE si compiace che vi sia attenzione per il finanziamento delle imprese piccole, giovani e innovative. Nell’ambito della cosiddetta «scala dei finanziamenti» (funding escalator), il crowdfunding è particolarmente importante per queste imprese soprattutto nel passaggio dalla fase di avvio a quella di espansione, quando non sempre è facile ricorrere alle forme di finanziamento tradizionali. Il crowdfunding consente inoltre di aumentare e migliorare le opportunità di investimento per gli investitori.

1.3.

È molto positivo che a tal fine si ricorra a prodotti e soluzioni innovativi, sostenuti dalle moderne tecnologie, per cui le lungimiranti proposte in esame si collegano anche alla realizzazione di un mercato unico digitale. Tali misure aggiungono anche una dimensione transfrontaliera che contribuisce a integrare e approfondire con efficacia i mercati dei capitali. In questo quadro deve essere prioritario realizzare un mercato unico armonizzato nell’UE, in cui valgano le medesime regole per gli imprenditori e per gli investitori.

1.4.

Tuttavia, tenuto conto del fatto che l’introduzione di questo quadro innovativo non deve essere rallentata da ostacoli artificiosi e in un’ottica complessiva e globale, il CESE raccomanda di rafforzare, almeno nella fase di avvio, determinati aspetti delle proposte e delle misure supplementari (cfr. il punto 1.5 e seguenti). In tale valutazione, il CESE si ispira in particolare ai principi di «credibilità», «chiarezza» e «fiducia», che comportano anche sicurezza e protezione per tutte le parti coinvolte.

1.5.

Innanzitutto, il Comitato accoglie con favore l’attenzione rivolta agli aspetti del rischio associati alle operazioni e ai mercati di crowdfunding, ma al tempo stesso ritiene che (almeno in un primo tempo) a tali aspetti si debba prestare un’attenzione ancora maggiore, in modo da poterli individuare meglio o, laddove possibile, circoscrivere. Questa considerazione riguarda in particolare i seguenti aspetti:

1.5.1.

la trasparenza e la protezione degli investitori. Il Comitato reputa che la stima del rischio per progetti specifici sulle piattaforme di crowdfunding sia eccessivamente affidata ai mercati e agli investitori. A giudizio del Comitato è opportuno adottare misure adeguate per individuare meglio o circoscrivere tutti i rischi, sia finanziari che di altra natura. Quello che conta in definitiva è una migliore protezione degli investitori. Al riguardo si potrebbe far riferimento all’approccio adottato con la direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID). Del resto, in questo settore vi è il rischio che si vengano a creare condizioni di disparità rispetto agli operatori tradizionali, quali gli istituti finanziari, che nei loro rapporti con i clienti devono invece applicare rigorose norme di protezione;

1.5.2.

possibili aree di tensione a livello dello statuto degli operatori e dei servizi che essi prestano. La possibilità di stipulare contratti di «potere discrezionale» con gli investitori per ottenere il migliore risultato a loro vantaggio può portare a situazioni delicate per i fornitori di questo tipo di servizi, che dovrebbero agire in primo luogo da «intermediari neutrali»;

1.5.3.

la vigilanza. Il compito dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) appare chiaro, ma non si può dire altrettanto del ruolo delle autorità nazionali di vigilanza. Il Comitato ritiene che al riguardo occorra fare maggiore chiarezza e si chiede se alle autorità nazionali di vigilanza non debba essere affidato un ruolo più sostanziale, dal momento che esse sono più vicine ai mercati nazionali e sono in grado di valutare meglio i contesti locali. Per il Comitato è importante anche, e in ogni caso, che i governi e le autorità di vigilanza a livello nazionale ed europeo si consultino e cooperino in modo permanente e coerente, sia per una maggiore armonizzazione e integrazione dell’Unione, che per il buon esito delle proposte in esame.

1.6.

Inoltre, visto che, per effetto delle scelte effettuate, il 29o regime e i sistemi nazionali coesisteranno in parallelo, i soggetti interessati potranno trovarsi, nello stesso tempo e su uno stesso mercato, di fronte a differenze di legislazione e di condizioni e a disparità di protezione, che possono dare adito a confusione e ambiguità. Ai fini di una maggiore chiarezza conviene adottare misure supplementari:

1.6.1.

secondo il Comitato è opportuno prevedere degli obblighi aggiuntivi a carico dei governi e delle autorità di vigilanza per mettere a disposizione di tutti gli utilizzatori, nella loro lingua, informazioni precise e facilmente accessibili atte a creare certezza.

1.6.2.

Alle piattaforme di crowdfunding si potrebbe imporre l’obbligo di menzionare il «marchio UE» in modo chiaro ed esplicito in tutte le situazioni in cui esse si rivolgono al pubblico e in tutta la loro comunicazione esterna.

1.7.

Il Comitato ritiene inoltre che le disposizioni proposte in materia di lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo rimangano piuttosto limitate e sostanzialmente indirette. Le norme volte ad assoggettare le piattaforme di crowdfunding a queste regole dovrebbero essere estese e rafforzate. Per il CESE non è ammissibile che tale possibilità esista una sola volta e che solo la Commissione abbia il potere di proporre l’assoggettamento a tali regole. Per tale decisione occorre anche prevedere criteri e condizioni chiari.

1.8.

Il Comitato osserva altresì che nelle proposte non vengono affrontate le questioni del trattamento fiscale dei proventi derivanti dal crowdfunding e degli obblighi fiscali per i debitori, sebbene si possa ragionevolmente ritenere che il regime fiscale svolga anch’esso un ruolo decisivo nella buona riuscita di questa iniziativa. Il Comitato raccomanda pertanto di includere questi aspetti nella discussione. Se necessario, occorre mettere a punto un regime adeguato e al giusto livello.

1.9.

Dal momento che si tratta di una questione di mercato, il Comitato ritiene che sia della massima importanza che queste proposte incontrino il consenso di tutti gli interessati affinché l’iniziativa possa essere attuata con successo. È essenziale che le imprese e gli investitori utilizzino il 29o regime in modo ampio ed effettivo. Dal punto di vista del mercato, viene da chiedersi se la limitazione a 1 milione di EUR per progetto non rappresenti un impedimento.

1.10.

Infine, per garantire il futuro e il successo duraturo delle piattaforme di crowdfunding bisognerebbe anche, secondo il Comitato, assicurare con cadenza periodica il monitoraggio, la valutazione e la misurazione del grado di successo del 29o regime. In questo quadro sono altrettanto fondamentali la consultazione e il dialogo con tutti gli interlocutori e le parti interessate.

2.   Contesto del parere

2.1.

All’inizio del suo mandato, nel 2014, la Commissione Juncker ha elaborato un «piano di investimenti per l’Europa» per l’attuazione delle sue priorità assolute: la crescita, l’occupazione e gli investimenti (2). Uno dei principali obiettivi di questo piano è la realizzazione progressiva di un’Unione dei mercati dei capitali (oltreché di un mercato unico digitale e dell’Unione dell’energia) con l’obiettivo di realizzare un’Unione dei mercati dei capitali ben funzionante e integrata, estesa a tutti gli Stati membri.

2.2.

Con il Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali (3), la Commissione si è impegnata a mettere in campo entro il 2019 tutti gli elementi necessari a raggiungere questo obiettivo. In totale sono state previste oltre 33 iniziative e azioni.

2.3.

Dopo alcuni appelli a realizzare progressi in tempi rapidi (4)(5), già nel 2017 è stata condotta una revisione intermedia del piano di azione, la quale ha portato all’adozione di una serie di nuove azioni prioritarie, volte a tener conto delle sfide in evoluzione e del mutare delle circostanze, tra cui la «Brexit». È altresì importante compiere dei progressi effettivi nella realizzazione dell’unione bancaria e dell’Unione dei mercati dei capitali. A tal fine, devono essere prioritarie la coesione e la coerenza.

2.4.

In tale occasione la Commissione ha sottolineato peraltro che «dobbiamo aspirare a obiettivi più ambiziosi, per rimuovere gli ostacoli ma, soprattutto, per trarre vantaggio da queste nuove opportunità» (6). È in tale contesto che l’8 marzo 2018 la Commissione ha pubblicato una comunicazione nella quale presenta due piani di azione (7).

2.5.

Con il piano di azione per la tecnologia finanziaria (fintech), la Commissione intende dar corpo all’ambizione di trasformare l’Europa in un polo mondiale per le tecnologie finanziarie, consentendo agli investitori e alle imprese dell’UE di trarre il massimo beneficio dai vantaggi offerti dal mercato unico in questo settore in rapida evoluzione (8).

2.6.

La promozione del crowdfunding e del prestito tra pari (peer-to-peer) è una delle misure fondamentali di tale piano di azione. L’iniziativa è incentrata sia sullo sviluppo di nuovi servizi e marchi che sull’integrazione dei mercati dei capitali.

2.7.

Più concretamente, le idee della Commissione sono presentate nelle due comunicazioni seguenti:

2.7.1.

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese (9) e

2.7.2.

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (10).

2.8.

Queste proposte sono finalizzate a creare un marchio europeo per le piattaforme di crowdfunding che consenta l’operatività transfrontaliera. Lo scopo è quello di permettere ai servizi di crowdfunding di espandere le loro attività sviluppandole a livello dell’UE e, allo stesso tempo, di ampliare l’accesso ai finanziamenti per gli imprenditori e le imprese, in particolare quelle piccole, giovani e innovative. Le proposte si applicano solo in relazione a valori mobiliari negoziabili per servizi di crowdfunding basati su investimenti.

2.9.

Contemporaneamente, l’obiettivo è quello di assoggettare tali piattaforme a una regolamentazione e a una vigilanza appropriate e adeguate, che non dovrebbero soltanto consentire di mantenere la stabilità economica e finanziaria all’interno dell’Unione ma anche e soprattutto di rafforzare la fiducia degli investitori, in particolare in un contesto transfrontaliero.

3.   Osservazioni generali

In linea generale, un’iniziativa positiva

3.1.

Il CESE accoglie molto favorevolmente le proposte in esame volte a istituire un 29o regime in materia di crowdfunding, e insiste perché si compia ogni sforzo per giungere a un buon risultato in tempi rapidi.

3.2.

Tali proposte contribuiscono innanzitutto a una serie di obiettivi di più ampio respiro cui il CESE tiene in modo particolare e a favore dei quali si è già pronunciato in precedenza (11). Al riguardo si possono menzionare:

3.2.1.

la realizzazione dell’Unione dei mercati dei capitali, accompagnata da una maggiore convergenza economica e sociale e dall’integrazione economica e finanziaria, deve portare a maggiore sicurezza, stabilità e resilienza del sistema finanziario ed economico grazie all’ampliamento e alla diversificazione delle fonti di finanziamento dell’economia. La rapida realizzazione di questo obiettivo deve rimanere in cima alle priorità.

3.2.2.

Un marchio UE unificato per le piattaforme di crowdfunding facilita le operazioni transfrontaliere di finanziamento e favorisce quindi una maggiore ripartizione dei rischi sul mercato privato. Questa misura è importante per prevenire gli shock asimmetrici in caso di crisi o per ridurne gli effetti e offrirà anche un considerevole contributo alla crescita convergente tra gli Stati membri dell’Unione. In tal modo le economie più deboli saranno in grado di mettersi più rapidamente al passo con quelle più forti.

3.2.3.

La realizzazione dell’Unione dei mercati dei capitali è indispensabile anche per l’ulteriore approfondimento e il completamento dell’Unione economica e monetaria (UEM). Associata a un’unione bancaria a pieno titolo, l’Unione dei mercati dei capitali deve portare a una vera e propria unione finanziaria, la quale costituisce uno dei quattro pilastri dell’UEM.

3.2.4.

Dato che nell’UE il crowdfunding è ancora poco sviluppato rispetto ad altre grandi economie, anche in questo settore si potrà rafforzare la posizione dell’UE nei confronti del resto del mondo. L’Unione europea deve assumere una posizione forte e agire con determinazione, tanto più se si considerano i diversi spostamenti di forze e di equilibri di potere ora in atto a livello mondiale tra Oriente e Occidente.

3.3.

In precedenti pareri (12), il CESE ha espresso preoccupazioni e si è interrogato riguardo alla pertinenza e all’efficacia dell’Unione dei mercati dei capitali per le PMI. Il Comitato giudica ora positivamente questo inizio di soluzione. Il crowdfunding si rivolge, in particolare, a un determinato gruppo di PMI in un preciso ambito della scala dei finanziamenti. Il CESE accoglie con favore le proposte in esame che migliorano e facilitano il finanziamento delle piccole imprese giovani e innovative e, al tempo stesso, aumentano e migliorano le opportunità di investimento per gli investitori.

3.4.

Infine, il Comitato si compiace per la lungimiranza delle proposte in relazione al piano di azione per la tecnologia finanziaria (fintech) volto a concretizzare l’ambizione di fare dell’Europa un polo mondiale delle tecnologie finanziarie. Consentendo la messa a punto di prodotti e soluzioni innovativi, sostenuti dalle moderne tecnologie, la proposta in esame si inquadra perfettamente anche nella realizzazione di un mercato unico digitale.

Le proposte: una buona base, ma sono auspicabili misure di protezione supplementari

3.5.

Il CESE è dell’avviso che occorra fare tutto il possibile per garantire la riuscita di queste proposte. Il Comitato attribuisce grande importanza al fatto che il nuovo regime sia caratterizzato da «credibilità», «chiarezza» e «fiducia». Il crowdfunding deve essere proposto in un quadro che offra certezza e tutela a tutte le parti coinvolte.

3.6.

Il Comitato accoglie con particolare favore la scelta del «29o regime» con cui, grazie all’impiego di tecnologie nuove e orientate al futuro, vengono poste le basi per la realizzazione di un mercato unico e armonizzato nel quale vigano le stesse regole sia per i giovani imprenditori alla ricerca di finanziamenti transfrontalieri che per gli investitori interessati a opportunità aggiuntive di investimento.

3.7.

Il fatto che per realizzare questo obiettivo sia stata scelta la forma del regolamento è quindi del tutto pertinente. La proposta in esame può essere considerata un esempio di integrazione e approfondimento efficaci dei mercati dei capitali.

3.8.

Fatte salve le osservazioni esposte qui di seguito, il Comitato si compiace altresì che la Commissione abbia fin dall’inizio riservato attenzione agli aspetti del rischio associati alle operazioni e ai mercati di crowdfunding. Le condizioni che devono soddisfare le piattaforme di crowdfunding e i servizi che esse offrono (13), come anche la vigilanza prevista, incontrano il sostegno del Comitato. Nella proposta si raccomanda inoltre agli investitori di limitare i loro rischi (14).

3.9.

Allo stesso tempo e in una prospettiva globale, il Comitato ritiene che, almeno in un primo tempo, debba essere riservata ancora più attenzione a questi aspetti del rischio. Il Comitato ritiene che sia necessario individuare ancora meglio, e possibilmente limitare, tutti i rischi, sia finanziari che di altra natura. Dovrebbe essere inoltre prestata maggiore attenzione a una serie di altri «fattori ambientali» che sono importanti per il buon esito delle proposte in esame.

3.10.

La scelta strategica a favore di una soluzione complementare basata sul servizio (15) comporterà la coesistenza e l’applicazione in parallelo della normativa nazionale e di quella dell’UE. I soggetti interessati potranno trovarsi, nello stesso tempo e su uno stesso mercato, ad avere a che fare con operatori che seguono regole differenti, ad esempio fornitori con marchio UE che operano a livello transfrontaliero e altri che operano a livello locale, e fornitori che rientrano in regimi nazionali (già in vigore) o nel quadro di autorizzazioni esistenti (16). Questa situazione può determinare differenze a livello di legislazione e di condizioni, e disparità di protezione (17). Il Comitato chiede di rivolgere maggiore attenzione a queste circostanze che possono dar luogo a incertezza e confusione (18). Nel prosieguo del parere il Comitato presentata una serie di proposte concrete al riguardo.

Fornitori di servizi di crowdfunding

3.11.

Per esercitare le loro attività su tutto il territorio dell’Unione, i fornitori di servizi di crowdfunding avranno bisogno di una sola autorizzazione, il che consentirà loro di ampliare le proprie attività. Si tratta di un’innovazione importante e di un notevole passo avanti rispetto alla situazione attuale in cui l’esercizio di attività transfrontaliere è quasi impossibile.

3.12.

Fermo restando quanto precede (19), il CESE chiede che si presti maggiore attenzione alle possibili aree di tensione nello statuto degli operatori e dei servizi che essi offrono. Ad esempio, il fatto che sia loro consentito di stipulare contratti di «potere discrezionale» con gli investitori può dar luogo a situazioni delicate. In qualità di intermediari, dovrebbero avere una posizione «neutrale», mentre sono contrattualmente tenuti a «ottenere il miglior risultato possibile per i clienti» (20). Secondo il Comitato, l’obbligo di neutralità non dovrebbe essere messo in discussione in nessuna circostanza. Al riguardo è necessario adottare ulteriori misure. Le piattaforme devono offrire servizi di qualità.

3.13.

Per tutti gli utilizzatori potenziali, siano essi imprenditori o investitori, è indispensabile e fondamentale essere chiaramente consapevoli, in qualsiasi momento, della piattaforma con cui si ha a che fare. Questo è ancora più importante in considerazione del fatto che, come osservato sopra, coesisteranno e saranno applicabili in parallelo la normativa nazionale e quella dell’UE (21). A tal riguardo si ritiene che la tenuta, da parte dell’ESMA, dei registri delle piattaforme operanti nell’UE non sia un sufficiente strumento di pubblicità. Secondo il Comitato è opportuno prevedere degli obblighi supplementari a carico dei governi e delle autorità di vigilanza per mettere a disposizione di tutti gli utilizzatori, nella loro lingua, informazioni precise e facilmente accessibili atte a creare certezza.

3.14.

Il Comitato è dell’avviso che anche alle piattaforme debbano essere imposti obblighi in materia di pubblicità. Concretamente si può prevedere che le piattaforme debbano menzionare il «marchio UE» in modo chiaro ed esplicito in tutte le situazioni in cui esse si rivolgono al pubblico di interessati (22) e in tutta la loro comunicazione esterna (23).

3.15.

Il ruolo e la responsabilità dell’ESMA in materia di vigilanza appaiono scontati, ma allo stesso tempo ci si può chiedere se un qualche ruolo non debba essere affidato anche alle autorità nazionali di vigilanza in virtù della loro maggiore prossimità ai mercati nazionali e della loro migliore conoscenza dei contesti locali. In ogni caso, al riguardo è opportuno che vi sia chiarezza. Questo è importante anche per altri soggetti, in particolare gli imprenditori che desiderano far ricorso al crowdfunding.

3.16.

Più in generale, dato che (come osservato sopra) le normative nazionali e quella dell’UE coesisteranno e saranno applicabili in parallelo, il Comitato ritiene che sia in ogni caso (24) essenziale che i diversi governi e le diverse autorità di vigilanza a livello nazionale ed europeo si consultino e cooperino in modo permanente e coerente, nell’ottica di una maggiore armonizzazione e integrazione dell’Unione. Essi hanno inoltre un ruolo importante da svolgere anche in relazione al fattore «fiducia», che è indispensabile per il successo del crowdfunding.

3.17.

Contro eventuali sanzioni irrogate dall’ESMA nel quadro del suo ruolo di vigilanza bisognerà presentare ricorso, se del caso, dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Oltre a trattarsi di una procedura pesante, questo solleva l’interrogativo se tale compito rientri o meno nelle competenze della Corte di giustizia.

Imprese che ricorrono al crowdfunding

3.18.

Il crowdfunding si rivolge principalmente alle imprese in fase di avvio o giovani che hanno minori possibilità di accesso al finanziamento bancario o che sono alle prese con progetti innovativi e più rischiosi, nel periodo iniziale della loro attività, in particolare quando passano dalla fase di avvio a quella di espansione. Il Comitato si compiace che le nuove proposte creino per questo tipo di (piccole e medie) imprese ulteriori possibilità di finanziamento, più ampie e più facilmente accessibili, tra l’altro con una dimensione transfrontaliera.

3.19.

Inoltre, il Comitato condivide la considerazione (25) in base alla quale, oltre ai vantaggi di cui sopra, il crowdfunding può rappresentare per il titolare del progetto una convalida del suo concetto e della sua idea, permettergli di entrare in contatto con un gran numero di persone che possono fornire all’imprenditore elementi e informazioni ed essere uno strumento di marketing se la campagna di crowdfunding si svolge con successo.

3.20.

Le imprese hanno la possibilità di far finanziare i loro progetti per un importo fino a 1 milione di EUR su un periodo di 12 mesi. Al riguardo ci si chiede se tale soglia non sia eccessivamente bassa, soprattutto quando il crowdfunding comporta «partecipazioni di capitale proprio» (26). In tali casi, la trasferibilità obbligatoria degli strumenti finanziari costituisce una garanzia importante per gli investitori che intendono uscire dal progetto (27). Ci si chiede se la prevista soglia di 1 milione di EUR non rappresenti un ostacolo alla creazione e al buon funzionamento dei mercati per questo tipo di titoli. Inoltre, le normative nazionali sembrano consentire soglie più elevate (28).

Investitori (potenziali)

3.21.

Il Comitato si compiace del fatto che venga aperto un nuovo canale per gli investitori, funzionante tra l’altro a livello transfrontaliero, che amplierà le possibilità e il ventaglio di scelte a loro disposizione.

3.22.

È certamente positivo che venga prevista una prima valutazione dell’adeguatezza di un potenziale investitore, tramite un test delle conoscenze ai fini dell’ammissione e la simulazione della capacità di sostenere perdite (29), ma lo stesso non si può dire del fatto che il rischio (e la sua valutazione) sia lasciato interamente al mercato e agli investitori potenziali.

3.23.

Il fatto che non sia prevista nessuna approvazione «ex ante» (30) della «scheda contenente le informazioni chiave sull’investimento» da parte delle autorità competenti, né alcun obbligo di notifica (31) non favorisce la tutela dei potenziali investitori. In questo senso non contribuiscono nemmeno i limitati obblighi relativi alla traduzione dei documenti essenziali (32). Tale situazione appare insoddisfacente. Il Comitato ritiene pertanto che, almeno nella fase di avvio di questo regime, sia opportuno adottare misure appropriate per individuare meglio o, ove possibile, circoscrivere i rischi a carico degli investitori. Lo stesso vale per le informazioni che essi ricevono.

3.24.

Se si tiene conto anche delle modalità più tradizionali di offerta di titoli, in particolare attraverso il canale delle banche e delle società finanziarie, la limitata tutela degli investitori prevista nelle proposte in esame rischia di creare condizioni di disparità tra i diversi fornitori (33). Secondo il Comitato occorre prevenire eccessive divergenze in questo ambito che potrebbero compromettere la fiducia in determinati operatori, creando incertezza e margini di arbitraggio regolamentare. Una situazione di questo tipo potrebbe, in ultima analisi, avere delle conseguenze anche per la stabilità finanziaria dell’UE.

Altre osservazioni

3.25.

Per quanto riguarda la lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, le disposizioni proposte sembrano poco efficaci, soprattutto alla luce dei rischi e pericoli specifici in materia già messi in evidenza dall’ESMA (34). Il Comitato si interroga sulla relativa limitatezza delle disposizioni in questo ambito (35) e sul potere conferito alla Commissione di assoggettare eventualmente i fornitori di servizi di crowdfunding a obblighi per la conformità alle disposizioni in materia (36). Al riguardo, ci si chiese se tale decisione spetti alla Commissione. In caso affermativo, quali criteri si applicano per tale valutazione (37)? Inoltre, perché questa possibilità di assoggettare i fornitori di servizi di crowdfunding a tali obblighi è prevista per una sola volta (38)? Secondo il Comitato, questa opzione dovrebbe essere possibile in qualsiasi momento e non dovrebbe essere competenza esclusiva della Commissione. Inoltre, dovrebbero essere indicati chiaramente i criteri e le condizioni ai quali è possibile tale assoggettamento.

3.26.

In particolare, alla luce degli obiettivi perseguiti, va rilevato che nelle proposte (39) in esame non vengono affrontate le questioni del trattamento fiscale dei proventi derivanti dal crowdfunding e degli obblighi in capo ai debitori (40) a tal riguardo. Questo sebbene si possa ragionevolmente ritenere che il regime fiscale svolga anch’esso un ruolo decisivo nella buona riuscita di questa iniziativa. Il Comitato raccomanda pertanto di includere questi aspetti nella riflessione. Se necessario, occorre mettere a punto un regime adeguato al giusto livello.

Iniziare con prudenza, creare credibilità e guardare al futuro

3.27.

Il Comitato ritiene che sia della massima importanza che queste proposte collegate al mercato incontrino il consenso di tutti gli interessati affinché l’iniziativa possa essere attuata con successo. Questo può avvenire soltanto se le imprese e gli investitori utilizzano in modo effettivo e ampio il quadro di sostegno che le proposte in esame sono volte a realizzare. Solo in tali condizioni potrà nascere un vero mercato in cui la domanda e l’offerta di credito si incontrano. Per il CESE, è importante che nella fase di avvio si crei credibilità, si parta con prudenza e si riservi maggiore attenzione alla gestione del rischio e ai fattori ambientali.

3.28.

Il Comitato ritiene che sia assolutamente opportuno prevedere il monitoraggio, la valutazione e la misurazione periodici del grado di successo di questo 29o regime, al fine di garantirne il futuro. In tale esercizio devono essere coinvolti anche gli altri regimi di crowdfunding esistenti negli Stati membri. È importante trarre insegnamento dalle buone pratiche di mercato e integrarle nel regime europeo. In questo quadro sono altrettanto fondamentali la consultazione e il dialogo con tutti gli interlocutori e le parti interessate.

Bruxelles, 11 luglio 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Cfr. i punti da 3.1 a 3.4.

(2)  Cfr. il sito della Commissione europea: https://ec.europa.eu/commission/priorities/jobs-growth-and-investment/investment-plan-europe-juncker-plan_it.

(3)  Piano di azione adottato nel settembre 2015. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano di azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali, COM(2015) 468 final. Cfr. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1447000363413&uri=CELEX:52015DC0468.

(4)  Il Consiglio europeo ha chiesto ad esempio «progressi rapidi e decisi […] per garantire alle imprese un accesso più facile ai finanziamenti e sostenere gli investimenti nell’economia reale». Cfr. http://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2016/06/28-euco-conclusions/.

(5)  Inoltre, la Commissione ha adottato una comunicazione in cui auspicava essa stessa un’accelerazione delle riforme. Cfr. COM(2016) 601 final.

(6)  Cfr. la comunicazione della Commissione Completare l’Unione dei mercati dei capitali entro il 2019 — È tempo di accelerare la realizzazione. Cfr. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX:52018DC0114.

(7)  Il piano di azione di cui al punto 2.5 del presente parere e il piano di azione per la finanza sostenibile.

(8)  Comunicato stampa dell’8 marzo 2018Fintech: la Commissione interviene per rendere più competitivo e innovativo il mercato finanziario. Cfr. http://europa.eu/rapid/press-release_IP-18-1403_it.htm.

(9)  Cfr. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52018PC0113.

(10)  Cfr. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52018PC0099.

(11)  Cfr. il parere del CESE Unione dei mercati dei capitali: riesame intermedio (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 117).

(12)  Cfr. in particolare i pareri del CESE Piano di azione per l’Unione dei mercati dei capitali (GU C 133 del 14.04.2016, pag. 17), e Unione dei mercati dei capitali: riesame intermedio (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 117).

(13)  Cfr. la relazione e gli articoli da 1 a 9 del progetto di regolamento.

(14)  Cfr. l’articolo 16 del progetto di regolamento. La scheda contenente le informazioni chiave sull’investimento che deve essere messa a disposizione degli interessati contiene, in particolare, la seguente raccomandazione: «[…] e non si dovrebbe investire più del 10 % del proprio patrimonio netto in progetti di crowdfunding».

(15)  Nella valutazione d’impatto sono state esaminate quattro opzioni di intervento. Cfr. il progetto di regolamento, capitolo 3, «Valutazione d’impatto».

(16)  Comprese quelle rilasciate sulla base della direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID II), della direttiva sui servizi di pagamento e della direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (direttiva sui GEFIA).

(17)  A seconda che l’interessato sia un imprenditore o un investitore.

(18)  Questo è uno dei «fattori ambientali» su cui viene richiamata l’attenzione al punto 3.9.

(19)  Cfr. il punto 3.8.

(20)  Cfr. il considerando 16 del progetto di regolamento.

(21)  Cfr. il punto 3.10.

(22)  Ad esempio, sul loro sito web.

(23)  Ad esempio, in tutti i documenti destinati agli interessati.

(24)  A prescindere dalla regolamentazione in materia di vigilanza e dalla questione di cui al punto 3.15.

(25)  Cfr. il considerando 4 del progetto di regolamento.

(26)  Ad esempio azioni o titoli assimilati.

(27)  Cfr. il considerando 11 del progetto di regolamento.

(28)  Il regolamento relativo al prospetto (che entra in vigore nel luglio 2018) non contiene alcuna deroga specifica per il crowdfunding. Molti Stati membri, tra cui il Belgio, hanno previsto un proprio regime di deroga. Questo è ammesso per le operazioni inferiori a 8 milioni di EUR che non sono armonizzate (al di sopra di questo importo, il prospetto informativo è in ogni caso obbligatorio). Il risultato è che ciascuno Stato membro sta elaborando un proprio regime di esenzione dalla pubblicazione del prospetto informativo per le operazioni di crowdfunding, creando una frammentazione del mercato. Le piattaforme che intendono operare in più Stati membri devono quindi verificare e rispettare il regime nazionale vigente in ciascuno di essi. La proposta è attualmente limitata alle operazioni inferiori a 1 milione di EUR e dà quindi scarso contributo al mercato di crowdfunding per quelle di importo superiore a tale cifra.

(29)  Cfr. l’articolo 15 del progetto di regolamento.

(30)  Cfr. l’articolo 16 del progetto di regolamento.

(31)  In particolare, le autorità nazionali competenti. Cfr. l’articolo 16, paragrafo 8, del progetto di regolamento.

(32)  Secondo quanto previsto, la «scheda è redatta in almeno una delle lingue ufficiali dello Stato membro interessato o in una lingua comunemente utilizzata nell’ambito della finanza internazionale». Un investitore può chiedere al fornitore di «provvedere alla traduzione della [summenzionata] scheda […] in una lingua di sua scelta», ma per il fornitore non sembra esservi alcun obbligo assoluto di provvedere in tal senso. Cfr. l’articolo 16 del progetto di regolamento.

(33)  Le banche e le società finanziarie sono assoggettate al regime MiFID, mentre le piattaforme di crowdfunding ne sono esentate (cfr. il progetto di direttiva). A queste ultime si applica un regime specifico, come indicato nel progetto di regolamento.

(34)  L’ESMA ha segnalato che «il crowdfunding basato su investimenti comporta il rischio di abusi finalizzati al finanziamento del terrorismo, in particolare quando le piattaforme esercitano una diligenza limitata o addirittura nulla nei confronti dei titolari di progetti e di questi ultimi, in relazione alla raccolta, palese o occulta, di fondi per il finanziamento di terroristi» (fonte: ESMA, Questions and Answers Investment-based Crowdfunding: Money Laundering/Terrorist Financing). Cfr. https://www.esma.europa.eu/sites/default/files/library/2015/11/esma_2015_1005_qa_crowdfunding_money_laundering_and_terrorist_financing.pdf.

(35)  Cfr. il progetto di regolamento: «In particolare, l’articolo 9 prevede che i pagamenti per le operazioni di crowdfunding avvengano tramite istituti autorizzati ai sensi della direttiva sui servizi di pagamento e, pertanto, soggetti alla quarta direttiva antiriciclaggio, sia nel caso in cui il pagamento venga effettuato dalla piattaforma sia nel caso in cui venga effettuato da un terzo. A norma dell’articolo 9, inoltre, i fornitori di servizi di crowdfunding garantiscono che i titolari di progetti accettano finanziamenti alle offerte di crowdfunding o altri pagamenti solo tramite un soggetto autorizzato ai sensi della direttiva sui servizi di pagamento. L’articolo 10 introduce requisiti per valutare l’“onorabilità” dei dirigenti, che comprendono l’assenza di precedenti penali nell’ambito della normativa antiriciclaggio. L’articolo 13 prevede che le autorità nazionali competenti, comprese le autorità nazionali competenti designate a norma delle disposizioni della direttiva (UE) 2015/849, informino l’ESMA di tutte le questioni pertinenti nel quadro della quarta direttiva antiriciclaggio e connesse a una piattaforma di crowdfunding. Sulla base di tali informazioni l’ESMA può, in un secondo momento, revocare la licenza.»

(36)  Cfr. l’articolo 38 del progetto di regolamento.

(37)  Cfr. l’articolo 38 del progetto di regolamento, il quale, in sintesi, stabilisce che la Commissione presenti, entro un periodo di tempo da precisare (2 anni), al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull’applicazione del regolamento. Tale relazione deve contenere una valutazione della necessità e della proporzionalità di assoggettare i fornitori di servizi di crowdfunding a obblighi per la conformità alle disposizioni nazionali (in materia di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo). Se del caso, tale relazione deve essere corredata di una proposta legislativa.

(38)  Cfr. la nota precedente; sulla base del succitato articolo 38, questo sembra essere quindi l’unico periodo di tempo durante il quale può essere deciso questo assoggettamento.

(39)  Questo riguarda un altro dei «fattori ambientali» su cui viene richiamata l’attenzione al punto 3.9.

(40)  A tal riguardo si fa riferimento, nello specifico, agli obblighi imposti ai debitori di (in particolare) interessi e dividendi sulla base dei requisiti di trasparenza, per quanto concerne ad esempio gli obblighi di trattenuta e di comunicazione.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce norme per la tassazione delle società che hanno una presenza digitale significativa»

[COM(2018) 147 final — 2018/0072 (CNS)]

e sulla

«Proposta di direttiva del Consiglio relativa al sistema comune d’imposta sui servizi digitali applicabile ai ricavi derivanti dalla fornitura di taluni servizi digitali»

[COM(2018) 148 final — 2018/0073 (CNS)]

(2018/C 367/14)

Relatore:

Krister ANDERSSON

Correlatore:

Petru Sorin DANDEA

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 11.4.2018

Base giuridica

Articoli 113 e 115 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

27.6.2018

Adozione in sessione plenaria

12.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

175/6/3

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace del fatto che la Commissione stia adottando iniziative in materia di tassazione dell’economia digitale, dal momento che sta dando ulteriore impulso al dibattito internazionale fornendo un chiaro esempio di come gli attuali principi fiscali potrebbero essere trasformati.

1.2.

Il CESE ritiene che oggi l’intera economia sia digitalizzata e, al pari della Commissione, è fermamente convinto che la soluzione debba essere messa a punto, in ultima analisi, a livello mondiale, onde gestire meglio i vantaggi della globalizzazione attraverso una governance mondiale e norme mondiali adeguate. Il CESE accoglie pertanto con favore la stretta cooperazione tra la Commissione, gli Stati membri e l’OCSE per sostenere l’elaborazione di una soluzione internazionale.

1.3.

A giudizio del CESE, è estremamente importante elaborare nuovi principi su come attribuire gli utili delle imprese a un paese dell’UE e tassarli, nel dialogo con i partner commerciali, al fine di evitare qualsiasi inasprimento delle tensioni commerciali e fiscali tra i principali attori economici del mondo. Il CESE sottolinea la necessità di soluzioni eque e basate sul consenso,

1.4.

Il CESE ritiene che la valutazione d’impatto dovrebbe essere integrata da un’analisi dell’impatto che la misura provvisoria avrà sugli investimenti, le start-up, l’occupazione e la crescita, e dovrebbe anche indicare quali conseguenze avrà la proposta per le PMI.

1.5.

La misura temporanea proposta dalla Commissione per tassare taluni servizi digitali non tassa gli utili delle imprese, ma il loro fatturato. Il CESE sottolinea che questo approccio è diverso dal sistema globale di imposta sulle società, che è fondato sull’imposizione degli utili, ma riconosce che, per le imprese digitali che non hanno una presenza fisica, il paese di vendita non riscuoterà l’imposta sugli utili delle società.

1.6.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che un tale trasferimento della pressione fiscale andrà a vantaggio delle economie di maggiori dimensioni, che vantano numerosi consumatori, a scapito delle economie esportatrici più piccole. Il CESE sottolinea che qualsiasi soluzione, a breve o a lungo termine, al problema della tassazione dei modelli di impresa digitali deve portare a un risultato economico giusto ed equo per tutte le economie dell’UE.

1.7.

Nel valutare il livello effettivo di tassazione del settore digitale, il CESE sottolinea la necessità di tenere conto delle future modifiche delle normative fiscali in conseguenza della progressiva attuazione delle norme BEPS (erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili — Base Erosion and Profit Shifting), e, in particolare, di considerare il sostanziale aumento dell’imposizione fiscale negli Stati Uniti a carico delle imprese digitali statunitensi che operano nell’UE, a causa delle modifiche al codice tributario statunitense.

1.8.

Il CESE prende atto che non è prevista una clausola di cessazione dell’efficacia o altro meccanismo volto a garantire la revoca della misura fiscale temporanea qualora sia individuata una soluzione a più lungo termine. Il CESE incoraggia vivamente il Consiglio a elaborare questo genere di norme, qualora la misura temporanea dovesse essere introdotta.

1.9.

Il CESE sottolinea che la proposta di introdurre un’imposta sul fatturato ha dato il via a un intenso dibattito internazionale, il che costituiva uno degli obiettivi dell’iniziativa. Ora l’Europa deve pervenire a una posizione comune nel quadro delle discussioni in corso in sede OCSE.

2.   Introduzione e contesto

2.1.

Con la comunicazione dal titolo È giunto il momento di istituire norme fiscali moderne, eque ed efficaci per l’economia digitale, pubblicata il 21 marzo 2018, la Commissione ha presentato il suo pacchetto legislativo per una riforma armonizzata delle norme dell’UE in materia di imposta sulle società per le attività digitali. Il pacchetto contiene due direttive del Consiglio, accompagnate da una raccomandazione non vincolante relativa alla tassazione delle società che hanno una presenza digitale significativa.

2.2.

La Commissione ha proposto, in particolare, due nuove direttive: i) una proposta a lungo termine, che stabilisce norme e disposizioni per la «presenza digitale» (stabile organizzazione digitale) (1), intesa a riformare le norme in materia di imposta sulle società, in modo che gli utili siano registrati e tassati nel luogo in cui le imprese hanno un’interazione significativa con gli utenti attraverso i canali digitali, piuttosto che nel luogo in cui realizzano detti utili; e ii) una proposta a breve termine riguardo a un’imposta temporanea sul fatturato in relazione alla fornitura di determinati tipi di servizi digitali (2). Il mercato unico dell’UE necessita di un quadro stabile in materia di tassazione che sia al passo con i modelli d’impresa digitali. Ciò dovrebbe stimolare l’innovazione fornendo un contesto stabile nel quale le imprese possano investire e siano in grado di crescere. Al pari di tutte le altre imprese, le imprese che forniscono servizi digitali devono contribuire alle finanze pubbliche e al gettito fiscale necessario per finanziare i servizi pubblici (3).

2.3.

Nello specifico, la proposta a lungo termine definisce norme intese a stabilire un nesso imponibile per le imprese digitali operanti a livello transfrontaliero che hanno una presenza commerciale non fisica, nonché i principi per l’attribuzione degli utili a un’impresa digitale, tali da permettere di cogliere con maggiore precisione il valore generato da modelli d’impresa digitali. Tali misure verrebbero applicate alle imprese che soddisfano uno dei seguenti criteri: i) soglia superiore ai 7 milioni di EUR di ricavi annuali in uno Stato membro; ii) più di 100 000 utenti in uno Stato membro in un esercizio fiscale considerato; oppure iii) oltre 3 000 contratti commerciali per servizi digitali conclusi tra l’impresa e gli utenti aziendali in un esercizio fiscale considerato.

2.4.

La proposta a breve termine, riguardante l’imposta temporanea sul fatturato, si applicherebbe, come imposta indiretta, alle attività i cui ricavi sono generati: i) dalla vendita di spazi pubblicitari online; ii) da attività di intermediazione digitale che permettono agli utenti di interagire con altri utenti e che possono facilitare la vendita di beni e servizi tra di essi; e iii) dalla vendita di dati generati da informazioni fornite dagli utenti. L’imposta si applicherebbe solo alle imprese con ricavi annui complessivi a livello mondiale pari a 750 milioni di EUR e ricavi nell’UE pari a 50 milioni di EUR all’anno. Secondo le stime, se sarà applicata a un’aliquota del 3 %, l’imposta potrà generare entrate per gli Stati membri dell’ordine di 5 miliardi di EUR all’anno.

2.5.

La Commissione propone di integrare le nuove direttive con le modifiche della base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società (CCCTB), per far sì che i regimi di tassazione societaria degli Stati membri e la CCCTB proposta dispongano di norme che affrontano il problema della tassazione dell’economia digitale (4).

2.6.

In prospettiva, la Commissione è fermamente convinta che la soluzione debba essere messa a punto a livello mondiale e collabora strettamente con l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) per sostenere l’elaborazione di una soluzione internazionale, in linea con la relazione intermedia dell’OCSE sulla tassazione dell’economia digitale, pubblicata il 16 marzo 2018.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE ritiene che oggi l’intera economia sia digitalizzata. Tenuto conto della rapida evoluzione dei modelli d’impresa, in modo particolare nel settore dei servizi digitali, è della massima importanza che evolvano anche i nostri sistemi fiscali. L’economia digitale travalica i confini e si evidenzia la crescente necessità di un quadro in materia di tassazione che sia al passo con i modelli d’impresa digitali.

3.2.

Il CESE, al pari della Commissione, è fermamente convinto che la soluzione debba essere messa a punto, in ultima analisi, a livello mondiale, onde gestire meglio i vantaggi della globalizzazione attraverso una governance mondiale e norme mondiali adeguate. Il CESE accoglie pertanto con favore la stretta cooperazione tra la Commissione, gli Stati membri e l’OCSE per sostenere l’elaborazione di una soluzione internazionale.

3.3.

Parallelamente alle discussioni internazionali e facendo seguito alla sua comunicazione (5), pubblicata nel settembre 2017, la Commissione propone ora soluzioni a livello dell’UE. Come afferma la Commissione (6), tali proposte imprimeranno nuovo slancio alle discussioni internazionali fornendo un chiaro esempio di come sia possibile trasformare i principi attualmente discussi a livello internazionale in un quadro moderno, equo ed efficace per la tassazione delle imprese, adeguato all’economia digitale.

3.4.

Il CESE ritiene che sia estremamente importante garantire condizioni di parità in materia di tassazione delle imprese. Negli ultimi anni, in taluni Stati membri, singole imprese sono riuscite a servirsi di norme fiscali specifiche, riducendo quasi a zero la loro aliquota fiscale effettiva. La mancanza di trasparenza ha contribuito a tale risultato. Alcuni casi hanno interessato multinazionali attive nel settore dei servizi digitali. Il Comitato condivide pertanto l’ambizione della Commissione di continuare ad affrontare il problema della pianificazione fiscale aggressiva e della mancanza di trasparenza da parte degli Stati membri, al fine di garantire la parità di trattamento delle imprese e promuovere la competitività europea.

3.5.

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione stia adottando iniziative in materia di tassazione dell’economia digitale, dal momento che sta dando ulteriore impulso al dibattito internazionale fornendo un chiaro esempio di come gli attuali principi fiscali potrebbero essere trasformati. La proposta di introdurre un’imposta sul fatturato ha dato il via a un intenso dibattito internazionale, il che costituiva uno degli obiettivi dell’iniziativa. Ora l’Europa deve pervenire a una posizione comune nel quadro delle discussioni in corso in sede OCSE.

3.6.

Il CESE concorda con la Commissione sul fatto che qualunque soluzione proposta a livello dell’UE debba tenere conto anche della dimensione mondiale e riconosce, al pari della Commissione, che «queste proposte rappresentano il contributo della Commissione all’elaborazione della soluzione basata sul consenso che l’OCSE intende conseguire entro il 2020. Esse offrono un esempio di come sia possibile rendere operativi i principi che sono attualmente oggetto di discussione a livello internazionale» (7).

3.7.

È estremamente importante elaborare nuovi principi su come attribuire gli utili delle imprese a un paese dell’UE e tassarli, nel dialogo con i partner commerciali, al fine di evitare qualsiasi inasprimento delle tensioni commerciali e fiscali tra i principali attori economici del mondo. Il CESE sottolinea la necessità di soluzioni eque e basate sul consenso.

3.8.

Gli attuali sistemi di tassazione delle imprese nel mondo si basano sulla valutazione degli utili delle imprese attribuibili a ciascuna giurisdizione pertinente. La tassazione dovrebbe basarsi sul luogo in cui è creato il valore. Data la difficoltà di stabilire in che punto della catena del valore si realizzi l’utile, occorre individuare principi universali sui modi per valutare dove viene creato il valore. Tali norme sono state elaborate nell’ambito della vasta attività svolta dall’OCSE, che formula principi e definizioni fiscali per la determinazione dei prezzi di beni e servizi (norme in materia di prezzi di trasferimento) per le società appartenenti a un gruppo d’imprese.

3.9.

Il CESE ritiene che le norme fiscali internazionali debbano essere riviste periodicamente in funzione dell’evoluzione dei modelli d’impresa. Le attuali norme sono state recentemente riviste in relazione all’accordo sull’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili (Base Erosion and Profit Shifting — BEPS) (8). Le nuove norme e definizioni sono ora in fase di attuazione e ci si aspetta che riducano in modo sostanziale le possibilità di pianificazione fiscale aggressiva ed erosione delle basi imponibili (9).

3.10.

È importante che gli altri sviluppi nel settore della tassazione delle imprese siano in linea con i risultati già conseguiti nel quadro dell’accordo BEPS. Uno dei principi dell’accordo BEPS è quello di attribuire gli utili ai paesi in funzione del luogo di creazione del valore.

3.11.

Il CESE intende porre l’accento sulla necessità di adeguate valutazioni d’impatto, poiché ritiene che la valutazione d’impatto realizzata non sia sufficientemente esauriente. La Commissione non ha valutato quale sarà l’impatto della misura temporanea su investimenti, start-up, occupazione e crescita, e la valutazione d’impatto non indica quali conseguenze avranno le proposte per le PMI.

3.12.

Occorre inoltre esaminare l’impatto sulle entrate per le economie di minori e di maggiori dimensioni, nonché l’effetto derivante dai provvedimenti che si affiancano all’attuazione del sistema BEPS nei diversi paesi e dalla riforma fiscale statunitense.

3.13.

Il CESE teme che la tassazione del fatturato, con i negativi effetti a cascata espressamente riconosciuti dalla Commissione, possa nuocere allo sviluppo dei servizi digitali, e in particolare a quello delle start-up. L’effetto a cascata si verifica quando i servizi sono venduti più volte e tassati in ciascuna occasione.

3.14.

Il CESE ritiene che sarebbe opportuno aumentare la soglia dei 7 milioni di EUR per la costituzione di una stabile organizzazione, a partire dalla quale si applicherebbe il nuovo regime. L’auspicio è che le deliberazioni del Consiglio portino a un risultato che non rischi di ostacolare la digitalizzazione, ma che piuttosto migliori il funzionamento del mercato unico. Nel valutare il livello effettivo di tassazione del settore digitale, il CESE sottolinea la necessità di tenere conto delle future modifiche delle normative fiscali in conseguenza della progressiva attuazione delle norme BEPS, e, in particolare, di considerare il sostanziale aumento dell’imposizione fiscale negli Stati Uniti a carico delle imprese digitali statunitensi che operano nell’UE, a causa delle modifiche al codice tributario statunitense (10).

3.15.

La tassazione del fatturato al posto dell’utile e l’imposizione nel luogo di vendita anziché nel luogo di creazione del valore costituiscono un sostanziale cambiamento rispetto agli attuali principi della fiscalità. Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che un tale trasferimento della pressione fiscale andrà a vantaggio delle economie di maggiori dimensioni, che vantano numerosi consumatori, a scapito delle economie esportatrici più piccole. Il CESE sottolinea che qualsiasi soluzione, a breve o a lungo termine, al problema della tassazione dei modelli di impresa digitali deve portare a un risultato economico giusto ed equo per tutte le economie dell’UE.

3.16.

La misura temporanea proposta implica che verrebbero tassate anche le imprese non redditizie. Il CESE sottolinea che l’attuale sistema globale di imposta sulle società è fondato sull’imposizione degli utili ma riconosce che, per le imprese digitali che non hanno una presenza fisica, il paese di vendita non riscuoterà l’imposta sugli utili delle società.

3.17.

Il CESE prende atto che non è prevista una clausola di cessazione dell’efficacia o altro meccanismo volto a garantire la revoca della misura fiscale temporanea qualora sia individuata una soluzione a più lungo termine. Il CESE incoraggia vivamente il Consiglio a elaborare questo genere di norme, qualora la misura temporanea dovesse essere introdotta.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

L’aliquota fissa del 3 % per l’imposta, che è uno degli elementi definiti nella proposta della Commissione europea, può essere presa in considerazione solo in via provvisoria, e con un’indispensabile e adeguata valutazione in proposito. Inoltre, si dovrebbe prendere in considerazione l’idea di una certa progressività, per tener conto della capacità contributiva delle singole imprese.

4.2.

La mancanza di una compensazione transfrontaliera dei profitti e delle perdite e il gran numero di controversie all’interno dell’UE in materia di prezzi di trasferimento e di stabile organizzazione comportano spesso una doppia imposizione internazionale, perciò i due fattori sopra citati costituiscono notevoli ostacoli al mercato unico. L’introduzione di un’imposta sul fatturato sui servizi digitali che non sarebbe detratta dalle imposte sul reddito in altri paesi rafforzerebbe ulteriormente la doppia imposizione, aggiungendo così un ulteriore ostacolo al mercato unico. Il CESE ritiene che sia importante evitare di introdurre misure che portino a qualsiasi forma di doppia imposizione.

4.3.

Il metodo utilizzato dall’OCSE per formulare la definizione di stabile organizzazione è una procedura dinamica in cui i cambiamenti di principio sono stati accettati a livello mondiale. Il fatto di discostarsi da questa procedura con la proposta di una definizione unilaterale aumenta la complessità del sistema fiscale internazionale, come pure l’incertezza per gli investitori. Anche nell’improbabile eventualità che l’OCSE adotti la stessa definizione nel suo previsto rapporto definitivo sull’economia digitale nel 2020, non ci vorrà molto prima che i due sistemi divergano (11).

4.4.

Il CESE esprime preoccupazione per la scelta del numero di utenti dei servizi digitali come criterio per stabilire un nesso imponibile. Il numero di click su un sito web può essere facilmente manipolato e le società rischiano di non avere più il controllo in merito alla giurisdizione in cui si considera che operino.

Bruxelles, 12 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2018) 147 final.

(2)  COM(2018) 148 final.

(3)  COM(2018) 146 final.

(4)  COM(2018) 146 final. Per ulteriori informazioni, cfr. ECO/419, GU C 434, 15.12.2017, pag. 58.

https://www.eesc.europa.eu/it/node/53903.

(5)  COM(2017) 547 final.

(6)  COM(2018) 146 final, pag. 6.

(7)  COM(2018) 146 final, pag. 8.

(8)  OCSE (2015).

(9)  La Commissione ha precisato che nell’UE l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili da parte delle imprese ammontano a 50-70 miliardi di EUR, pari allo 0,4 % del PIL [COM(2018) 81 final].

(10)  «Tax Cuts and Jobs Act», 22 dicembre 2017.

(11)  Il motivo è dato dal fatto che la definizione di stabile organizzazione adottata dall’UE attraverso una direttiva sarebbe elaborata tramite le sentenze della Corte di giustizia europea, mentre la definizione dell’OCSE applicata nel resto del mondo si evolverebbe attraverso il consenso internazionale espresso dalla stessa OCSE tramite le sue continue revisioni.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento della sicurezza delle carte d’identità dei cittadini dell’Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che esercitano il diritto di libera circolazione»

[COM(2018) 212 final — 2018/0104 (COD)]

(2018/C 367/15)

Relatore generale:

Jorge PEGADO LIZ

Consultazione

Parlamento europeo, 28.5.2018

Consiglio, 18.6.2018

Base giuridica

Articoli 21, paragrafo 2, e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Decisione dell’Ufficio di presidenza

22.5.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

155/8/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE valuta molto positivamente l’iniziativa in esame, che considera necessaria e urgente, concorda con la base giuridica adottata, appropriata ai termini limitati della proposta, e con la scelta dello strumento legislativo, conferma che la proposta rispetta i principi di sussidiarietà e di proporzionalità e i diritti fondamentali, e chiede di procedere con urgenza alla sua adozione.

1.2.

Il Comitato concorda altresì con l’inclusione obbligatoria dell’immagine del volto del titolare e di due impronte digitali in formati interoperabili, nonché con il requisito della separabilità dei dati biometrici da tutti gli altri dati eventualmente contenuti in tali documenti.

1.3.

A suo giudizio, tuttavia, la Commissione europea non giustifica pienamente la propria scelta legislativa e non spiega le ragioni che le hanno impedito di presentare una proposta basata su una più ampia armonizzazione legislativa, che creasse un autentico sistema unico di documenti di identità, con innegabili benefici sul piano della sicurezza, della semplicità e rapidità dei controlli e dell’omogeneità delle procedure, e con vantaggi indiscutibili per i cittadini; non si comprende per quale motivo non siano stati stabiliti, come fatto nel caso dei permessi di soggiorno per i cittadini dell’Unione, gli elementi obbligatori di cui all’allegato della valutazione d’impatto della proposta in esame, e precisamente titolo del documento, nome, sesso, nazionalità, data e luogo di nascita, luogo di emissione, firma e data di scadenza del documento.

1.4.

Il CESE ritiene inoltre che la proposta non sia sufficiente ambiziosa rispetto alle conclusioni del REFIT e della consultazione dei cittadini, dalle quali è emersa l’esistenza di situazioni che ostacolano chiaramente la libera circolazione all’interno dello spazio europeo, poiché lascia agli Stati membri la facoltà di introdurre carte d’identità nei rispettivi territori nazionali e di definirne la portata, le informazioni minime e il tipo.

1.5.

Il CESE avrebbe apprezzato se la Commissione europea avesse esaminato anche la possibilità di creare una carta d’identità europea in grado di conferire ai cittadini europei la possibilità di esercitare il diritto di voto attraverso tale documento, anche se fosse stato necessario a questo fine utilizzare un’altra base giuridica.

1.6.

Il CESE teme che i costi della conformità delle nuove carte vengano trasferiti ai cittadini in modo poco trasparente, inadeguato e non proporzionale, in quanto tali costi dipendono interamente dalle amministrazioni degli Stati membri.

1.7.

A giudizio del CESE, si sarebbero potuti trattare e, ove appropriato, standardizzare, anche altri elementi aggiuntivi che gli Stati membri associano alle carte d’identità, per quanto riguarda sia la loro inclusione che il loro uso da parte degli interessati o di terzi.

1.8.

Secondo il CESE è essenziale che l’attuazione della proposta in esame sia seguita e monitorata dalla Commissione europea, in modo da garantire il chiaro riconoscimento dei documenti oggetto della proposta non solo in quanto elementi di identificazione, ma anche come strumenti che consentono al titolare di compiere una serie di azioni in qualsiasi Stato membro, in particolare circolare nello spazio Schengen e acquistare beni e servizi, soprattutto per quanto riguarda i servizi finanziari e l’accesso ai servizi pubblici e privati.

1.9.

Data la necessità e l’urgenza di questo regolamento, il CESE raccomanda di abbreviare tutti i termini per la sua entrata in vigore e per il futuro monitoraggio.

1.10.

Il CESE invita la Commissione, il Parlamento europeo e gli Stati membri a prendere in considerazione le proposte che formula, in particolare per quanto riguarda gli elementi che considera essenziali, nonché relativamente a determinate norme per l’uso dei documenti in oggetto da parte di terzi, che si sono dimostrate essenziali in alcuni Stati membri.

2.   Breve sintesi del contenuto della proposta e delle relative motivazioni

2.1.

Nella sua Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio — Quattordicesima relazione sui progressi compiuti verso un’autentica ed efficace Unione della sicurezza (1), tra le altre riflessioni sull’evoluzione in corso per quanto riguarda due pilastri fondamentali della difesa europea (la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata e i relativi mezzi di sostegno, e il rafforzamento delle nostre difese e della nostra resilienza contro tali minacce), la Commissione presenta, tra altre misure (2), una proposta legislativa volta a migliorare la sicurezza delle carte d’identità e dei permessi di soggiorno, che «renderà molto più difficile per i terroristi e altri criminali abusare di tali documenti o falsificarli per entrare o spostarsi nell’UE».

2.2.

Nella comunicazione si segnala in particolare che, come dimostrano le statistiche dell’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera sui documenti falsi, «le carte d’identità nazionali con elementi di sicurezza più deboli sono i documenti di viaggio usati più spesso in modo fraudolento all’interno dell’UE». Nell’ambito della risposta europea alle frodi riscontrate nei documenti di viaggio delineata nel piano d’azione del dicembre 2016, la Commissione presenta, insieme alla relazione, una proposta di regolamento volto a rafforzare la sicurezza delle carte d’identità rilasciate ai cittadini dell’Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari. «Il rafforzamento degli elementi di sicurezza delle carte d’identità e dei titoli di soggiorno renderà più difficile per i criminali abusare di tali documenti o falsificarli al fine di spostarsi all’interno dell’UE o attraversarne le frontiere esterne. Documenti d’identità più sicuri contribuiranno a potenziare la gestione delle frontiere esterne dell’UE (anche per quanto riguarda i problemi inerenti al rimpatrio di combattenti terroristi stranieri e dei loro familiari) e al contempo documenti più sicuri e affidabili agevoleranno i cittadini dell’UE nell’esercizio dei loro diritti di libera circolazione.» — si legge nel documento.

2.3.

La proposta della Commissione, basata su una valutazione d’impatto e su una consultazione pubblica, stabilisce norme minime sugli elementi di sicurezza dei documenti per le carte d’identità nazionali, segnatamente l’obbligo di inserire una fotografia biometrica e le impronte digitali in un chip nella carta d’identità. Prevede inoltre l’obbligo di fornire informazioni minime sui titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini mobili dell’UE e la piena armonizzazione delle carte di soggiorno di familiari che non sono cittadini dell’UE. La Commissione esorta i colegislatori a esaminare senza indugio la proposta legislativa per raggiungere rapidamente un accordo.

2.4.

È in tale contesto generale che si dovrebbe valutare e considerare la proposta di regolamento, tra i cui obiettivi si distinguono:

a)

migliorare e rafforzare la gestione delle frontiere esterne;

b)

lottare contro il terrorismo e la criminalità organizzata e costruire un’autentica Unione della sicurezza;

c)

agevolare la mobilità dei cittadini dell’UE nell’esercizio del loro diritto alla libera circolazione e comprovare la loro identità a soggetti pubblici e privati, quando esercitano il diritto di residenza in un altro paese dell’UE;

d)

rafforzare la risposta europea alle frodi riguardanti i documenti di viaggio e ridurre il rischio di falsificazioni e frodi documentali;

e)

prevenire gli abusi e le minacce alla sicurezza interna derivanti dalle carenze di sicurezza dei documenti;

f)

impedire i viaggi verso paesi terzi per partecipare ad attività terroristiche e il successivo ritorno incontrollato nell’UE.

2.5.

Per conseguire i suddetti obiettivi la Commissione ha presentato la proposta di regolamento in esame, che considera lo strumento giuridico adeguato sulla base dell’articolo 21, paragrafo 2, del TFUE, e che a suo giudizio rispetta il principio di sussidiarietà e rimane entro i limiti del principio di proporzionalità.

2.6.

Tra le 3 opzioni valutate — mantenere lo status quo, procedere a un’ampia armonizzazione o adottare un sistema che definisca norme minime di sicurezza per le carte d’identità e requisiti minimi comuni per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini dell’UE e, nel caso di permessi di soggiorno di familiari di cittadini dell’UE provenienti da paesi terzi, l’uso del modello uniforme comune di permesso di soggiorno rilasciato ai cittadini di paesi terzi — è stata scelta quest’ultima opzione, considerata rispettosa dei diritti fondamentali e in particolare della protezione dei dati e della vita privata.

2.7.

La proposta sarà accompagnata inoltre da misure non vincolanti (come azioni di sensibilizzazione e formazione) tese a garantirne un’attuazione armoniosa e adeguata alla situazione e alle esigenze specifiche di ciascun Stato membro e tra le quali si segnalano:

a)

un programma per monitorare le realizzazioni, i risultati e gli effetti del regolamento;

b)

la comunicazione da parte degli Stati membri alla Commissione, un anno dopo l’entrata in vigore e successivamente ogni anno, di informazioni ritenute essenziali per un efficace controllo dell’applicazione del regolamento;

c)

la valutazione da parte della Commissione dell’efficacia, dell’efficienza, della pertinenza, della coerenza e del valore aggiunto europeo del quadro giuridico introdotto, ma solo sei anni dopo l’entrata in vigore, al fine di garantire che vi siano dati sufficienti e che le parti interessate siano state adeguatamente consultate al fine di raccogliere pareri sugli effetti delle modifiche legislative e delle misure non vincolanti applicate.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE valuta molto positivamente l’iniziativa in esame, sulla cui necessità si era già espresso in altri pareri, concorda con la base giuridica adottata, adeguata ai termini limitati della proposta, e con la scelta dello strumento legislativo, conferma che la proposta è conforme ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità e rispettosa dei diritti fondamentali, e chiede di procedere con urgenza alla sua adozione.

3.2.

Il Comitato concorda altresì con l’inclusione obbligatoria dell’immagine del volto del titolare e di due impronte digitali in formati interoperabili, nonché con le esenzioni previste e con il requisito della separabilità dei dati biometrici da tutti gli altri dati eventualmente contenuti in tali documenti per decisione dei singoli Stati membri.

3.3.

In effetti, il CESE ricorda le conclusioni del programma REFIT e le consultazioni dei cittadini, dalle quali è emersa l’esistenza di situazioni che ostacolano chiaramente la libera circolazione all’interno dello spazio europeo, soprattutto nel caso di carte d’identità non riconosciute dalle autorità come documenti di viaggio validi, di periodi di validità diversi che ne ostacolano il riconoscimento da parte degli Stati membri e di difficoltà di accesso a beni e servizi da parte dei cittadini.

3.4.

Ritiene tuttavia che la proposta non sia sufficiente ambiziosa rispetto a quelle stesse conclusioni, poiché lascia agli Stati membri la facoltà di introdurre carte d’identità nei rispettivi territori nazionali e di definirne la portata, le informazioni minime e il tipo.

3.5.

Il CESE ricorda che di norma le carte d’identità sono emesse come principale documento comprovante l’identità del titolare e garantiscono ai cittadini l’accesso a servizi finanziari — in particolare l’apertura di un conto bancario — a prestazioni sociali, all’assistenza sanitaria e all’istruzione, nonché l’esercizio dei diritti giuridici e politici.

3.6.

Inoltre, analogamente a quanto concluso nello studio del Parlamento europeo The Legal and Political Context for setting a European Identity Document («Il contesto giuridico e politico per la creazione di un documento d’identità europeo»), il CESE avrebbe apprezzato se la Commissione europea avesse esaminato anche la possibilità di creare una carta d’identità europea in grado di conferire ai cittadini europei la possibilità di esercitare il diritto di voto solo attraverso tale documento, anche se fosse stato necessario a questo utilizzare un’altra base giuridica.

3.7.

Il CESE teme inoltre che i costi per garantire la conformità delle nuove carte vengano trasferiti ai cittadini in modo poco trasparente, in quanto tale procedura dipende interamente dalle amministrazioni degli Stati membri. A tal fine, ritiene necessario che i costi che deriveranno dall’attuazione della proposta in esame siano valutati in anticipo in modo da essere adeguati e proporzionati.

3.8.

Il CESE constata che, secondo la valutazione d’impatto allegata alla proposta, molti Stati membri che rilasciano carte d’identità (Italia, Francia, Romania, Croazia, Repubblica ceca, Finlandia, Malta, Slovacchia e Slovenia) non consentono ancora il rilevamento di dati biometrici; sarà pertanto importante valutare e tenere in considerazione l’impatto finanziario e tecnologico di tali misure per i cittadini e per le rispettive pubbliche amministrazioni.

3.9.

Il CESE sottolinea inoltre la necessità che la presente proposta chiarisca la legittimità della carta d’identità come strumento che consente al titolare di compiere una serie di azioni in qualsiasi Stato membro, in particolare circolare nello spazio Schengen e acquistare beni e servizi, soprattutto per quanto riguarda i servizi finanziari.

3.10.

D’altro canto, il CESE non può esimersi dal mettere in evidenza i problemi che si sono verificati relativamente ai documenti di soggiorno, in particolare la molteplicità dei documenti esistenti e il rifiuto di ingresso negli Stati membri, nonché per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi fondamentali, e teme che la proposta non sia sufficiente per porre rimedio a tali situazioni.

3.11.

Sottolinea nondimeno la necessità di rispettare il principio della riduzione al minimo del trattamento dei dati, garantendo che le finalità del rilevamento dei dati biometrici siano chiare e abbiano obiettivi leciti, limitati e trasparenti.

3.12.

A giudizio del CESE, la Commissione europea non giustifica pienamente la propria scelta legislativa e non spiega le ragioni che le hanno impedito di presentare una proposta basata su una più ampia armonizzazione legislativa, che creasse un autentico sistema unico di documenti di identità, con innegabili benefici sul piano della sicurezza, della semplicità e rapidità dei controlli e dell’omogeneità delle procedure, e con vantaggi indiscutibili per i cittadini, o, quanto meno, di indicare tale armonizzazione come obiettivo auspicabile nel medio periodo. Inoltre, come indicato esplicitamente nel documento di lavoro dei servizi della Commissione (SWD (2018) 111 final (3)), questa opzione era quella preferita dalla maggioranza dei cittadini dell’UE consultati, che sostiene la più ampia armonizzazione delle carte d’identità nazionali (ID 2) ed è favorevole a titoli di soggiorno standardizzati a livello europeo (RES 3).

3.13.

Non è infatti chiaro per quale motivo non siano stati stabiliti, come fatto nel caso dei permessi di soggiorno per i cittadini dell’Unione, gli elementi obbligatori di cui all’allegato della valutazione d’impatto della proposta in esame, e precisamente titolo del documento, nome, sesso, cittadinanza, data e luogo di nascita, luogo di rilascio, firma e validità del documento.

3.14.

Il CESE sottolinea la necessità di rafforzare la politica controllo delle situazioni di frode, con particolare attenzione per i trasporti, in particolare aerei, terrestri e marittimi, e di dotare le autorità di frontiera di competenze umane, logistiche e tecniche tali da garantire non solo il riconoscimento dei documenti di tutti gli Stati membri, ma anche il rafforzamento del loro controllo.

3.15.

A tal fine è essenziale che l’attuazione della proposta in esame sia seguita e monitorata dalla Commissione europea, in modo da garantire il chiaro riconoscimento dei documenti oggetto della proposta come documenti di viaggio e di accesso a servizi pubblici e privati.

3.16.

A giudizio del CESE, si sarebbero potuti trattare e standardizzare, ove necessario, anche altri elementi aggiuntivi che gli Stati membri associano alle carte d’identità, per quanto riguarda sia la loro inclusione che il loro uso da parte degli interessati o di terzi.

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Articolo 1 — Tenendo conto della portata della proposta in esame, il CESE ritiene che il suo oggetto debba fare riferimento ai requisiti minimi d’informazione.

Il CESE sottolinea la necessità di stabilire chiaramente che il regolamento rispetta il principio di legalità, nonché i principi dell’autenticità, della veridicità, dell’univocità e della sicurezza dei dati d’identificazione dei cittadini.

4.2.

Articolo 2 — Oltre all’ambito di applicazione e, fatta salva la direttiva 2004/38/CE, il CESE richiama l’attenzione sulla necessità che la proposta definisca il concetto di «carta d’identità rilasciata dagli Stati membri ai loro cittadini» in modo tale da garantire che si tratti di un documento armonizzato in tutti gli Stati membri.

4.3.

Articolo 3, paragrafo 2 — Il CESE si interroga sulla necessità di includere una «seconda lingua ufficiale», a meno che non sia adatta e appropriata per facilitare il riconoscimento della carta d’identità in ambito transfrontaliero.

4.4.

Articolo 3, paragrafo 10 — Il CESE ritiene che i periodi di validità di questi documenti dovrebbero essere fissati in modo uniforme nel regolamento, in funzione di classi di età uniformi.

4.5.

Articolo 5 — Il periodo per l’eliminazione delle carte non conformi dovrebbe essere di 3 anziché di 5 anni.

4.6.

Articolo 6

4.6.1.

I permessi di soggiorno dovrebbero riportare anche le seguenti informazioni:

i nomi dei genitori

la cittadinanza

il luogo di nascita

il sesso

l’altezza

il colore degli occhi

la firma

4.6.2.

Per quanto riguarda il nome e cognome del titolare, al fine di garantire l’identificazione dei cittadini, il nome da presentare dovrebbe essere completo e conforme a quello riportato sul certificato di nascita, e rispettare l’ortografia ufficiale.

4.7.

Articolo 8, paragrafo 2 — Il periodo per l’eliminazione delle carte non conformi dovrebbe essere di 3 anziché di 5 anni.

4.8.

Articolo 10 — Fatta salva l’applicazione del regolamento (UE) 2016/679, il CESE ritiene che la proposta dovrebbe includere norme specifiche riguardanti: le finalità della banca dati, la modalità di raccolta e aggiornamento dei dati, la loro comunicazione e consultazione, l’accesso ai dati e la conservazione dei dati personali.

4.9.

Articolo 12, paragrafo 1 — Il termine per la presentazione della relazione in merito all’attuazione del regolamento dovrebbe essere di 3 anziché di 4 anni, come indicato al considerando 21.

4.10.

Articolo 12, paragrafo 2 — Il termine per la presentazione della relazione in merito alla valutazione dovrebbe essere di 5 e non di 6 anni.

4.11.

Il CESE ritiene opportuno che il regolamento fissi il termine per la richiesta di rilascio della carta di identità dopo la nascita (ad esempio 30 giorni).

4.12.

Il regolamento dovrebbe altresì stabilire che la verifica dell’identità da parte di qualsiasi soggetto pubblico o privato, all’atto della presentazione della carta d’identità valida dovrebbe limitarne il trattenimento o la conservazione al minimo necessario per preservare la sicurezza e la difesa degli Stati membri. Dovrebbe inoltre essere vietata la riproduzione della carta mediante fotocopia o qualsiasi altro mezzo senza l’esplicito consenso del titolare, salvo decisione dell’autorità giudiziaria, per ragioni evidenti di sicurezza, di prevenzione di frodi o abusi e per motivi di protezione dei dati e della vita privata.

4.13.

Dovrà infine prevedere espressamente l’immediata cancellazione dei dati in caso di smarrimento, furto, sottrazione o sostituzione della carta d’identità, per evitare l’uso fraudolento di documenti ufficiali.

Bruxelles, 11 luglio 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  COM(2018) 211 final del 17.4.2018.

(2)  Tra le misure proposte vanno segnalate in particolare: nuove regole per ottenere prove elettroniche nei procedimenti penali; semplificazione dell’uso delle informazioni finanziarie a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di reati gravi; norme rafforzate contro i precursori di esplosivi usati per fabbricare esplosivi artigianali; migliore controllo dell’importazione e dell’esportazione delle armi da fuoco per impedirne il traffico illecito; lotta contro i contenuti terroristici online, interoperabilità dei sistemi di informazione e un migliore scambio di informazioni; protezione dai rischi chimici, biologici, radiologici e nucleari e protezione degli spazi pubblici; lotta contro la criminalità informatica e rafforzamento della cibersicurezza.

(3)  Sintesi della valutazione d’impatto che accompagna il documento Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sul rafforzamento della sicurezza delle carte d’identità dei cittadini dell’Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che esercitano il diritto di libera circolazione.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/84


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che reca disposizioni per agevolare l’uso di informazioni finanziarie e di altro tipo a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati reati e che abroga la decisione 2000/642/GAI del Consiglio»

[COM(2018) 213 final — 2018/0105 (COD)]

(2018/C 367/16)

Relatore generale:

Victor ALISTAR

Consultazione

Parlamento europeo, 28.5.2018

Base giuridica

Articolo 87, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

22.5.2018

Data dell’adozione in sessione plenaria

12.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

176/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) osserva che l’intervento dell’Unione si propone di generare valore aggiunto fornendo un approccio armonizzato che rafforzi la cooperazione nelle indagini su reati gravi e reati di terrorismo a livello sia nazionale che transfrontaliero. Inoltre, l’azione al livello dell’UE contribuirà a garantire l’applicazione di norme armonizzate, anche in materia di protezione dei dati, al fine di garantire in modo efficace uno spazio comune di sicurezza e giustizia.

1.2.

Per raggiungere questo obiettivo, il quadro normativo delle unità di informazione finanziaria (Financial Intelligence Units, FIU), la cui base giuridica è l’articolo 114, deve essere completato con uno strumento giuridico avente come base giuridica l’articolo 87, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). L’opzione scelta consiste nel mettere in correlazione l’accesso alle informazioni finanziarie conformemente alla quinta direttiva antiriciclaggio (1) con i meccanismi di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri.

1.3.

La proposta di direttiva in esame è uno strumento che rafforza la capacità di indagine e di repressione dei reati in tutta l’Unione europea, garantendo alle autorità competenti degli Stati membri un accesso più diretto alle informazioni finanziarie ai fini del reperimento dei proventi di reato e dell’individuazione delle tipologie di reati.

1.4.

L’ambito di applicazione dichiarato dalla Commissione per la proposta di direttiva in esame concerne le indagini sui reati e la loro repressione attraverso meccanismi di cooperazione giudiziaria e per la definizione «reati gravi» rimanda, all’articolo 2, lettera l), della medesima proposta di direttiva, all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/794 relativo a Europol (2). Su questo aspetto, il CESE ritiene necessario circoscrivere in modo più preciso e restrittivo l’elenco dei reati per i quali è possibile ricorrere a questo meccanismo di cooperazione giudiziaria.

1.5.

La proposta di direttiva dovrebbe trovare un migliore equilibrio tra i diritti fondamentali della persona, sanciti dal trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e la necessità di una più efficace attività di contrasto e di repressione dei reati, allo scopo di garantire un clima di sicurezza e di giustizia nel territorio dell’Unione europea.

1.6.

Ai fini dell’equilibrio tra l’accesso alle informazioni finanziarie dei cittadini europei e il principio della «necessità di conoscenza», è necessario che i fondamenti su cui si basa la direttiva siano esclusivamente limitati all’accertamento e alla repressione dei reati e non siano invece estesi, in linea di principio, a fini eccessivamente generici di prevenzione, in quanto si raccomanda di applicare il principio del «caso debitamente motivato».

1.7.

Per completare i registri centralizzati dei conti bancari, vi si potrebbero inserire anche le informazioni finanziarie relative ai conti di investimento dei gestori di collocamenti sul mercato azionario, dal momento che è noto che oggigiorno il riciclaggio di denaro e l’occultamento dei proventi di reato prendono anche la forma di collocamenti sui mercati di capitali. Il CESE invita inoltre la Commissione a valutare se sia possibile collegare tra loro i dati raccolti grazie all’applicazione della quinta direttiva antiriciclaggio (3), della proposta di direttiva in esame e della quarta direttiva DAC (direttiva sulla cooperazione amministrativa nel settore fiscale) (4): per quel che riguarda quest’ultima direttiva, solamente a fini di documentazione dei reati gravi, e con l’unico obiettivo di individuare eventuali discrepanze tra i dati raccolti nel corso delle indagini e le informazioni trattate.

1.8.

In quanto elementi di tecnica legislativa, il CESE raccomanda di integrare l’articolo 17 della proposta di direttiva con disposizioni procedurali che rimandino ad altre normative europee in materia di cooperazione giudiziaria e scambio di informazioni finanziarie con i paesi terzi.

1.9.

Il CESE chiede alla Commissione di rivedere le definizioni di cui all’articolo 2, lettera f) («informazioni in materia di contrasto») e lettera l) («reati gravi»), in modo da garantire la chiarezza, la prevedibilità e la proporzionalità delle disposizioni che istituiscono i meccanismi per l’accesso alle informazioni finanziarie dei cittadini dell’UE.

1.10.

Inoltre, il CESE invita la Commissione a regolamentare la finalità dell’accesso ai dati contenuti nei vari registri nazionali centralizzati dei conti bancari a scopo di prevenzione, restringendo tale accesso ai soli dati relativi a reati che incidono sulla sicurezza, sia collettiva che individuale, dei cittadini europei, vale a dire: reati di terrorismo, tratta di esseri umani e traffico di stupefacenti, nonché al campo dell’accertamento, dell’indagine o del perseguimento di reati, o del recupero dei proventi di reato, per tutti i reati gravi.

2.   Contesto del parere

2.1.

I gruppi criminali, compresi i terroristi, operano in vari Stati membri e i loro beni, tra cui i conti bancari, sono generalmente situati in tutta l’UE o anche al di fuori di essa. Questi gruppi si avvalgono di tecnologie di punta grazie alle quali, nel giro di poche ore, possono trasferire fondi tra conti bancari e da una valuta all’altra.

2.2.

Il CESE osserva che l’intervento dell’Unione si propone di generare valore aggiunto fornendo un approccio armonizzato che rafforzi la cooperazione nelle indagini su reati gravi e reati di terrorismo a livello sia nazionale che transfrontaliero. Inoltre, l’azione al livello dell’UE contribuirà a garantire l’applicazione di norme armonizzate, anche in materia di protezione dei dati, mentre se gli Stati membri legiferano gli uni indipendentemente dagli altri sarà difficile raggiungere un livello di garanzie armonizzato.

2.3.

La quinta direttiva antiriciclaggio (direttiva AML/CFT) (5) istituisce registri nazionali centralizzati dei conti bancari che migliorano le capacità di trattamento dei dati e l’efficienza delle unità di informazione finanziaria (UIF). Tuttavia per una maggiore efficienza delle attività di indagine e di perseguimento dei reati è necessario che le autorità giudiziarie competenti possano accedere in tempi più rapidi alle informazioni finanziarie. A tal fine, il quadro normativo delle UIF, la cui base giuridica è l’articolo 114, deve essere completato con uno strumento giuridico avente come base giuridica l’articolo 87, paragrafo 2, del TFUE.

2.4.

Le autorità competenti avranno così un accesso diretto ai registri nazionali centralizzati dei conti bancari, il che agevolerà il lavoro delle autorità giudiziarie, delle autorità fiscali e delle autorità incaricate della lotta alla corruzione, che dispongono di poteri di indagine stabiliti dalla legislazione nazionale. Tra queste autorità figurano gli uffici per il recupero dei beni, i quali sono incaricati del reperimento e dell’identificazione dei proventi di reato nell’eventualità di un loro congelamento o confisca, al fine di garantire che i criminali siano privati dei proventi dei loro reati.

2.5.

L’ambito di applicazione dichiarato dalla Commissione per la proposta di direttiva in esame concerne le indagini sui reati e la loro repressione attraverso meccanismi di cooperazione giudiziaria e per la definizione «reati gravi» rimanda, all’articolo 2, lettera l), della medesima proposta di direttiva, all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2016/794 relativo a Europol (6). Su questo aspetto, il CESE ritiene necessario circoscrivere in modo più preciso e restrittivo l’elenco dei reati per i quali è possibile ricorrere a questo meccanismo di cooperazione giudiziaria.

2.6.

Inoltre, anche i procuratori europei sono autorizzati ad accedere ai registri nazionali centralizzati dei conti bancari ai sensi del regolamento (UE) 2017/1939 (7), il che determinerà un rafforzamento della capacità di indagine sulle frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE riconosce l’importanza dei meccanismi di cooperazione tra le autorità incaricate dell’applicazione della legge (o «autorità di contrasto») degli Stati membri e accoglie con favore l’iniziativa della Commissione volta a creare meccanismi per un accesso più tempestivo e diretto delle autorità nazionali competenti alle informazioni finanziarie conservate presso altri Stati membri dell’Unione.

3.2.

La proposta di direttiva in esame è uno strumento che rafforza la capacità di indagine e di repressione dei reati in tutta l’Unione europea, garantendo alle autorità competenti degli Stati membri un accesso più diretto alle informazioni finanziarie ai fini del reperimento dei proventi di reati e dell’individuazione delle tipologie di reato.

3.3.

La proposta di direttiva dovrebbe trovare un migliore equilibrio tra i diritti fondamentali della persona, sanciti dal trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e la necessità di una più efficace attività di contrasto e di repressione dei reati.

3.4.

Pertanto, il diritto al rispetto e alla protezione della vita privata deve essere limitato unicamente se tale limitazione è proporzionata all’interesse pubblico consistente nel garantire un clima di sicurezza e di giustizia nel territorio dell’Unione europea.

3.5.

Ai fini dell’equilibrio tra l’accesso alle informazioni finanziarie dei cittadini europei e il principio della «necessità di conoscenza», è necessario che nella direttiva l’accesso sia esclusivamente limitato all’accertamento e alla repressione dei reati e non venga invece esteso, in linea di principio, a fini eccessivamente generici di prevenzione, in quanto si raccomanda di applicare il principio del «caso debitamente motivato».

3.6.

L’accesso alle informazioni finanziarie deve essere consentito solamente alle autorità competenti per le indagini sui reati e la loro repressione, nonché agli uffici per il recupero dei beni, in casi debitamente motivati, in modo da non creare degli insiemi di metadati detenuti da organismi nazionali o europei che non dispongono di poteri propri in materia di accertamento e di indagine.

3.7.

Per completare i registri centralizzati dei conti bancari, vi si potrebbero inserire anche le informazioni finanziarie relative ai conti di investimento dei gestori di collocamenti sul mercato azionario, dal momento che è noto che oggigiorno il riciclaggio di denaro e l’occultamento dei proventi di reato prendono anche la forma di collocamenti sui mercati di capitali.

3.8.

La proposta di direttiva potrebbe inoltre essere completata con disposizioni procedurali che rimandino ad altre normative europee in materia di cooperazione giudiziaria e scambio di informazioni finanziarie con i paesi terzi, per rispondere ai seguenti due imperativi: da un lato, la definizione di norme giuridiche generali relative alle procedure giudiziarie per la raccolta valida di prove allorché intervengono in modo complementare anche altri strumenti legislativi; dall’altro, la realizzazione in misura più ampia degli obiettivi di politica pubblica esposti nella relazione introduttiva alla proposta di direttiva e nell’analisi ex post realizzata dalla Commissione.

3.9.

Il CESE prende atto e si compiace del fatto che la proposta di direttiva della Commissione contenga disposizioni molto chiare sulla protezione dei diritti fondamentali; osserva tuttavia che l’ambito di tali disposizioni è limitato alla protezione dei dati personali trasferiti tramite il meccanismo introdotto dalla direttiva e all’accesso ai registri centralizzati dei conti bancari, ma che la proposta non contiene regolamentazioni specifiche di protezione dei diritti fondamentali per quanto riguarda la tutela della vita privata e l’assicurazione di garanzie procedurali relative alla limitazione di detta tutela della vita privata.

4.   Osservazioni particolari e raccomandazioni

4.1.

Per garantire che, con l’applicazione degli strumenti di cooperazione previsti dalla proposta di direttiva in esame, la limitazione dei diritti fondamentali alla tutela della vita privata rimanga legittima e proporzionata, occorre eliminare la finalità di prevenzione contenuta nella definizione delle informazioni finanziarie [di cui all’articolo 2, lettera e), della proposta di direttiva], senza che questo pregiudichi la definizione di cui alla quinta direttiva antiriciclaggio (8), le cui disposizioni rimangono immutate ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della proposta di direttiva in esame. Si eliminano così i rischi di violazione delle disposizioni sui diritti fondamentali stabilite nel TFUE.

4.2.

Dall’analisi della definizione di «reati gravi» di cui all’articolo 2, lettera l), della proposta di direttiva in esame, che contiene un rimando all’allegato I del regolamento (UE) 2016/794 su Europol (9), analisi corroborata dallo spirito del testo della proposta di direttiva e dalla regolamentazione dell’accesso ai dati a fini di prevenzione dei reati gravi, risulta un accesso sproporzionato rispetto alla finalità generale perseguita. Ad esempio, potrebbe essere consentito l’accesso alle informazioni finanziarie dei cittadini al fine di prevenire la commissione di reati quali incidenti stradali mortali, atti di razzismo e xenofobia o ricatti.

4.3.

Il CESE raccomanda di modificare come segue la definizione di cui all’articolo 2, lettera l), della proposta di direttiva: «reati gravi»: le forme di criminalità concernenti il terrorismo, la criminalità organizzata, il traffico di stupefacenti, la tratta di esseri umani, la corruzione, le attività di riciclaggio di denaro, i reati in relazione a materiali nucleari e radioattivi, il traffico di migranti (immigrants smuggling), il traffico illecito di organi e tessuti, i rapimenti, i sequestri di persona e le prese di ostaggi, le rapine e i furti aggravati, il traffico illecito di opere d’arte, antichità e beni culturali, i reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione, l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato finanziario (insider dealing and financial market manipulation), il racket (racketeering), la contraffazione e la pirateria, la falsificazione di monete e di strumenti di pagamento, il traffico di armi, munizioni ed esplosivi, i reati ambientali, compreso l’inquinamento provocato dalle navi, gli abusi sessuali, lo sfruttamento sessuale, compresi materiali contenenti abusi su minori o la corruzione di minori a fini sessuali, il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra.

4.4.

Nello stesso ordine di idee, al fine di chiarire l’oggetto della regolamentazione e di garantirne la coerenza con gli obiettivi dichiarati di politica pubblica, l’accesso ai registri nazionali centralizzati dei conti bancari deve essere consentito solamente a fini di prevenzione dei reati di terrorismo, traffico di stupefacenti o tratta di esseri umani, nonché a scopo di accertamento, indagine, perseguimento, repressione e risarcimento dei danni, sia per i reati summenzionati che per tutti gli altri reati così come vengono definiti nella proposta di direttiva in esame.

4.5.

All’articolo 5 della proposta di direttiva occorre inserire un nuovo paragrafo 3, che stabilisca le garanzie di proporzionalità e legittimità dell’accesso ai dati relativi alla vita privata, incluse le informazioni finanziarie, da parte delle autorità incaricate dell’applicazione della legge (o «autorità di contrasto»). In questo senso, è necessario che il nuovo paragrafo 3 regolamenti l’obbligo di esaminare le richieste di accesso caso per caso in base al principio del «caso debitamente motivato», in modo tale che (nella misura in cui si trasformano in un secondo momento in prove giudiziarie) tali accessi ai dati rispettino le condizioni di legalità del recupero e dell’utilizzo delle prove, nonché i diritti e le libertà fondamentali, compreso il diritto a un processo equo, come stabilito dalla prassi consolidata della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) di Strasburgo, e affinché i giudici nazionali possano avvalersi con successo di tali accessi/prove giudiziarie per la repressione dei reati.

4.6.

A tale proposito, non è sufficiente stabilire che l’accesso alle informazioni finanziarie delle persone fisiche debba avvenire nel rispetto delle garanzie procedurali nazionali di cui agli articoli 7 e 8 della proposta di direttiva, dal momento che a questi dati possono accedere anche organismi che non dispongono di poteri di indagine propri, come sarebbe invece il caso di Europol, di cui all’articolo 10 della proposta.

4.7.

All’articolo 7, paragrafo 1, della proposta di direttiva in esame è necessario introdurre una correlazione con le considerazioni esposte sopra, al punto 4.1 del presente parere, in merito all’articolo 2, lettera e), della proposta di direttiva. Si propone quindi di modificare come segue l’articolo 7, paragrafo 1), della proposta di direttiva: «[…] siano necessarie […] a fini di prevenzione dei reati di terrorismo, tratta di esseri umani e traffico di stupefacenti, nonché a fini di accertamento, indagine o perseguimento di tali reati e di altri reati gravi». Si propone di modificare allo stesso modo, per coerenza e simmetria, anche la formulazione dell’articolo 7, paragrafo 2, della proposta di direttiva.

4.8.

Il CESE si compiace che l’articolo 9, paragrafo 4, della proposta di direttiva stabilisca che, in caso di guasto o malfunzionamento tecnico della rete FIU.NET, i meccanismi alternativi utilizzati per la trasmissione dei dati debbano soddisfare le stesse condizioni di sicurezza di quelle previste per la rete FIU.NET. Pertanto, il CESE ritiene che i meccanismi alternativi utilizzati per la trasmissione delle informazioni finanziarie debbano ugualmente essere in grado di conservare una traccia scritta in condizioni che permettano di verificarne l’autenticità, così come previsto per la rete FIU.NET.

4.9.

Quanto all’articolo 10 della proposta di direttiva, che prevede l’accesso ai dati da parte di Europol parallelamente all’accesso da parte delle autorità competenti di cui all’articolo 3, il CESE chiede che tale diritto di accesso sia stabilito in relazione ai poteri di indagine propri di Europol e corredato delle necessarie garanzie per quel che riguarda l’analisi dei metadati.

Bruxelles, 12 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE (GU L 156 del 19.06.2018, pag. 43).

(2)  Regolamento (UE) 2016/794 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2016, che istituisce l’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione nell’attività di contrasto (Europol) e sostituisce e abroga le decisioni del Consiglio 2009/371/GAI, 2009/934/GAI, 2009/935/GAI, 2009/936/GAI e 2009/968/GAI (GU L 135 del 24.5.2016, pag. 53).

(3)  Cfr. nota 1.

(4)  Direttiva (UE) 2016/881 del Consiglio, del 25 maggio 2016, recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale (GU L 146 del 3.6.2016, pag. 8).

(5)  Cfr. nota 1.

(6)  Cfr. nota 2.

(7)  Regolamento (UE) 2017/1939 del Consiglio, del 12 ottobre 2017, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea («EPPO») (GU L 283 del 31.10.2017, pag. 1).

(8)  Cfr. nota 1.

(9)  Cfr. nota 2.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli ordini europei di produzione e di conservazione di prove elettroniche in materia penale»

[COM(2018) 225 final — 2018/0108 (COD)]

e sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme armonizzate sulla nomina di rappresentanti legali ai fini dell’acquisizione di prove nei procedimenti penali»

[COM(2018) 226 final — 2018/0107 (COD)]

(2018/C 367/17)

Relatore generale:

Christian BÄUMLER

Consultazione

Parlamento europeo, 31.5.2018

Base giuridica

Articolo 82, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Decisione dell’Ufficio di presidenza

22.5.2018

Adozione in sessione plenaria

12.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

157/2/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ravvisa nel crescente ricorso ai servizi d’informazione una sfida per l’azione penale. Mancano a tutt’oggi la trasparenza e una cooperazione affidabile con i fornitori di servizi, e vi è incertezza giuridica circa la competenza giurisdizionale per gli atti di indagine («competenza di esecuzione»).

1.2.

Il CESE si compiace del fatto che il proposto regolamento sugli ordini europei di produzione e di conservazione di prove elettroniche introduca strumenti europei vincolanti per l’acquisizione e la consultazione di dati.

1.3.

Il CESE constata con soddisfazione che l’ordine europeo di produzione e l’ordine europeo di conservazione sono atti di indagine, che possono essere emessi solo nell’ambito di un’indagine penale o di un procedimento penale per un reato concreto.

1.4.

Il CESE apprezza il fatto che l’ordine europeo di produzione si applicherà soltanto ai reati più gravi. Il CESE fa osservare che questo obiettivo potrebbe essere conseguito orientandosi verso un livello di pena che va da un minimo di 3 mesi a un massimo di 3 anni.

1.5.

Il Comitato sottolinea che il regolamento deve rispettare i diritti fondamentali e osservare i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalle costituzioni degli Stati membri.

1.6.

Il CESE fa osservare che vi sono spesso differenze nelle risposte nazionali alle domande circa le condizioni in cui avviene un accesso ai dati nel quadro di un procedimento penale e chi decida in materia. Il CESE sostiene lo sviluppo di standard uniformi in tutta Europa per quanto riguarda i presupposti di un accesso ai dati.

1.7.

Il CESE valuta favorevolmente il fatto che entrambi gli ordini debbano essere emessi o confermati da un’autorità giudiziaria di uno Stato membro. Tuttavia, il CESE considera problematico che l’ordine di produzione di dati relativi agli abbonati o agli accessi possa essere emesso anche da un pubblico ministero, ed è favorevole a un’estensione dell’autorità del giudice alla raccolta di tutti i dati personali.

1.8.

Al pari della Commissione, il CESE ravvisa un problema nel fatto che paesi terzi potrebbero imporre ai fornitori di servizi dell’UE obblighi di reciprocità incompatibili con i diritti fondamentali dell’UE. Il CESE constata con soddisfazione che la proposta contiene solide garanzie e riferimenti espliciti alle condizioni e garanzie già previste dall’acquis dell’UE.

1.9.

Il CESE considera appropriato che la proposta della Commissione riconosca al destinatario di un ordine di produzione la possibilità di contestarne la legalità, la necessità o la proporzionalità, e che lo Stato di emissione debba rispettare i privilegi e le immunità che proteggono i dati richiesti nello Stato membro del fornitore di servizi.

1.10.

Il CESE prende atto con compiacimento che la proposta della Commissione rende obbligatorio per i fornitori di servizi designare un rappresentante legale nell’Unione, incaricato di ricevere decisioni volte ad acquisire prove, ottemperare a tali decisioni e farle eseguire.

1.11.

Il CESE ritiene che i fornitori di servizi dovrebbero in ogni caso avere diritto a un rimborso delle spese, ove ciò sia previsto dal diritto dello Stato di emissione.

2.   Contesto della proposta

2.1.

Oltre metà delle indagini penali comprende oggigiorno una richiesta di accesso transfrontaliero a prove elettroniche quali testi, e-mail o applicazioni per lo scambio di messaggi. La Commissione propone pertanto nuove norme intese a rendere più facile e più rapido l’accesso delle autorità di polizia e giudiziarie al materiale probatorio elettronico che ritengono necessario per le indagini finalizzate all’arresto e alla condanna di criminali e terroristi.

2.2.

Nel 2016 il Consiglio (1) ha esortato a intraprendere azioni concrete, sulla base di un approccio comune dell’UE, per rendere più efficiente l’assistenza giudiziaria, migliorare la cooperazione tra le autorità degli Stati membri e i fornitori di servizi aventi sede in paesi terzi e proporre soluzioni in materia di determinazione della responsabilità e di competenza di esecuzione nel ciberspazio.

2.3.

Anche il Parlamento europeo (2) ha messo in rilievo le sfide che l’attuale quadro giuridico frammentato può creare per i fornitori di servizi che intendono soddisfare le richieste dei servizi di contrasto. Il parlamento ha invitato a mettere a punto un quadro giuridico europeo che comprenda anche garanzie per i diritti e le libertà di tutti gli interessati.

2.4.

Per trattare i casi in cui le prove si trovano in un altro paese o il fornitore di servizi ha sede in un altro paese, vari decenni fa sono stati elaborati meccanismi per la cooperazione tra paesi. Nonostante le riforme periodiche, tali meccanismi di cooperazione subiscono una pressione crescente a causa della sempre maggiore necessità di accedere tempestivamente alle prove elettroniche a livello transfrontaliero. Per risolvere tale problema un certo numero di Stati membri e di paesi terzi ha deciso di ampliare gli strumenti nazionali. Il CESE ritiene che la frammentazione che ne consegue si traduca in incertezza giuridica e obblighi contrastanti, e sollevi dubbi circa la tutela dei diritti fondamentali e le garanzie procedurali per le persone interessate da tali richieste.

2.5.

Il CESE ritiene che il crescente uso dei servizi dell’informazione rappresenti una sfida per le autorità di contrasto, che sono spesso male equipaggiate per trattare prove online. Uno dei principali ostacoli è la lunghezza dell’iter per ottenere le prove. Mancano a tutt’oggi la trasparenza e una cooperazione affidabile con i fornitori di servizi, e vi è incertezza giuridica circa la competenza di esecuzione. Il CESE è favorevole alla cooperazione transfrontaliera diretta tra le autorità di contrasto e i fornitori di servizi digitali nelle indagini penali.

2.6.

L’attuale quadro giuridico dell’UE si compone, da un lato, degli strumenti di cooperazione dell’Unione in materia penale, quali la direttiva 2014/41/UE relativa all’ordine europeo di indagine penale (3) (direttiva OEI), la convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea (4), la decisione 2002/187/GAI del Consiglio che istituisce l’Eurojust (5), il regolamento (UE) 2016/794 su Europol (6), la decisione quadro 2002/465/GAI del Consiglio relativa alle squadre investigative comuni (7) e, dall’altro, degli accordi bilaterali tra l’Unione e paesi terzi.

3.   Ordini di conservazione e di produzione

3.1.

Il CESE si compiace del fatto che il proposto regolamento sugli ordini europei di produzione e di conservazione di prove elettroniche in materia penale (COM(2018) 225) introduca strumenti europei vincolanti per l’acquisizione e la consultazione di dati. I destinatari sono i fornitori di servizi di comunicazione elettronica, le reti sociali, i mercati del commercio elettronico, i fornitori di servizi di hosting e i fornitori di infrastrutture Internet quali i registri degli indirizzi IP e dei nomi di dominio.

3.2.

La direttiva sull’ordine europeo di indagine penale copre qualsiasi atto di indagine transfrontaliero nell’UE, compreso l’accesso alle prove elettroniche, ma non contiene disposizioni specifiche sulla raccolta di questo tipo di prove. Il CESE si compiace pertanto del fatto che la Commissione proponga nuove norme che consentiranno alle autorità giudiziarie e di polizia un accesso semplice e rapido alle prove elettroniche.

3.3.

Il CESE constata con soddisfazione che l’ordine europeo di produzione e l’ordine europeo di conservazione sono atti di indagine, che possono essere emessi solo nell’ambito di un’indagine penale o di un procedimento penale per un reato concreto. Il nesso con un’indagine concreta distingue tali ordini dalle misure preventive e dagli obblighi di conservazione dei dati stabiliti dalla legge, e garantisce l’applicazione dei diritti procedurali applicabili nei procedimenti penali.

3.4.

Il CESE constata che gli ordini per la produzione di dati relativi agli abbonati o agli accessi possono essere emessi per qualsiasi reato, mentre quelli per la produzione di dati relativi alle operazioni o al contenuto dovranno essere emessi solo per reati punibili nello Stato di emissione con una pena detentiva della durata massima di almeno 3 anni o per specifici reati precisati nella proposta, e se vi è un collegamento specifico con gli strumenti elettronici e i reati rientranti nel campo di applicazione della direttiva (UE) 2017/541 sulla lotta contro il terrorismo. Il criterio della pena massima di 3 anni garantirà che, in relazione a tali dati, l’ordine europeo di produzione sia usato solo per i reati più gravi. Il CESE fa osservare che questo obiettivo, che il CESE condivide, potrebbe essere conseguito orientandosi piuttosto verso un livello di pena minimo di 3 mesi.

3.5.

La base giuridica a sostegno delle misure in campo giudiziario è costituita dall’articolo 82, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’UE, il quale dispone che possano essere adottate, secondo la procedura legislativa ordinaria, misure intese a definire norme e procedure per assicurare il riconoscimento in tutta l’Unione di qualsiasi tipo di sentenza e di decisione giudiziaria.

3.6.

I nuovi strumenti si basano su questi principi di riconoscimento reciproco per agevolare la raccolta di prove elettroniche a livello transfrontaliero. Non è necessario che nella notifica e nell’esecuzione dell’ordine sia direttamente coinvolta un’autorità pubblica del paese in cui ha sede il destinatario della decisione. Il CESE fa presente che in conseguenza di ciò un cittadino dell’UE sarà esposto all’accesso ai dati da parte di un’autorità di un altro Stato membro dell’UE in base alla normativa di quest’ultimo.

3.7.

Il Comitato sottolinea che il regolamento deve rispettare i diritti fondamentali e osservare i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalle costituzioni degli Stati membri. Figurano tra essi il diritto alla libertà e alla sicurezza, il rispetto della vita privata e della vita familiare, la protezione dei dati personali, la libertà d’impresa, il diritto di proprietà, il diritto a un ricorso effettivo e a un equo processo, la presunzione di innocenza e il diritto alla difesa, i principi di legalità e proporzionalità, e il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato. Il CESE segnala che la tutela di tali diritti dipende anche dalle condizioni in cui possono verificarsi interferenze nella loro fruizione, e da chi decida in materia.

3.8.

Il CESE fa osservare che vi sono spesso differenze nelle risposte nazionali alle domande circa le condizioni in cui avviene un accesso ai dati nel quadro di un procedimento penale e chi decida in materia. La polizia, il pubblico ministero o il giudice possono avere la competenza di effettuare un accesso ai dati. Sussistono differenze anche circa lo stadio di un’indagine in cui sia giuridicamente ammissibile effettuare un accesso ai dati, e in merito al grado di sospetto che giustifichi tale accesso. Il CESE sostiene la necessità di sviluppare norme uniformi a livello europeo circa la questione di quando possa essere effettuato un accesso ai dati.

3.9.

Il CESE valuta favorevolmente il fatto che entrambi gli ordini debbano essere emessi o confermati da un’autorità giudiziaria di uno Stato membro. All’emissione di un ordine europeo di produzione o di conservazione deve sempre partecipare un’autorità giudiziaria in veste di autorità di emissione o di autorità di convalida. L’ordine di consegna di dati riguardanti operazioni o contenuti dev’essere emesso da un giudice o da un tribunale. La proposta della Commissione aumenterebbe il livello generale di tutela giuridica in Europa.

3.10.

Tuttavia, il CESE considera problematico che, per i dati relativi agli abbonati o agli accessi, l’ordine di produzione possa essere spiccato anche da un pubblico ministero, dal momento che si tratta di dati personali, e la tutela giuridica ex post in caso di accesso ai dati da un altro Stato membro risulta difficile. Il CESE raccomanda di estendere l’autorità del giudice alla raccolta di tutti i dati personali.

3.11.

Il CESE è favorevole alla possibilità, prevista dalla proposta della Commissione, che il destinatario di un ordine di produzione di dati possa contestarne la legalità, la necessità o la proporzionalità. I diritti riconosciuti dalla legge dello Stato di esecuzione sono pienamente rispettati nella proposta della Commissione, poiché i privilegi e le immunità che proteggono i dati ricercati nello Stato membro del fornitore di servizi devono essere rispettati nello Stato di emissione. È il caso, in particolare, di quando, in base alla proposta, la legge dello Stato di esecuzione garantisce una protezione maggiore rispetto a quella garantita dalla legge dello Stato di emissione.

3.12.

Il CESE fa osservare che l’ordine incide anche sui diritti dei fornitori di servizi, in particolare sulla libertà d’impresa. Il CESE si compiace del fatto che la proposta comprenda il diritto del fornitore di servizi di sollevare obiezioni nello Stato membro di emissione, ad esempio se l’ordine non è stato emesso o convalidato da un’autorità giudiziaria. Se l’ordine è trasmesso allo Stato di esecuzione per esecuzione, l’autorità di esecuzione può decidere, previa consultazione dell’autorità di emissione, di non riconoscere o non eseguire l’ordine qualora i motivi di opposizione sollevati siano evidenti.

3.13.

La proposta della Commissione prevede che i fornitori di servizi possano, a norma della legislazione dello Stato di emissione, ottenere da detto Stato il rimborso delle spese sostenute, a condizione che il diritto nazionale dello Stato di emissione preveda tale rimborso per gli ordini nazionali in casi nazionali analoghi. Il CESE ritiene che i fornitori di servizi dovrebbero in ogni caso avere diritto a un rimborso delle spese, ove ciò sia previsto dal diritto dello Stato di emissione.

4.   Conflitti di obblighi

4.1.

Il CESE individua, al pari della Commissione, un problema nella possibilità che paesi terzi impongano ai fornitori di servizi dell’UE obblighi incompatibili con le condizioni dei diritti fondamentali dell’Unione, tra cui l’alto livello di protezione dei dati garantito dall’acquis dell’UE.

4.2.

La proposta affronta questo problema prevedendo una misura che contiene solide garanzie e riferimenti espliciti alle condizioni e garanzie già previste dall’acquis dell’UE. Il CESE condivide il punto di vista della Commissione secondo cui ciò potrebbe fungere da modello per la normativa dei paesi terzi.

4.3.

Inoltre, il CESE accoglie con favore il fatto che, nella proposta in esame, sia prevista una specifica clausola in materia di «contrasto di obblighi» che consente ai fornitori di servizi di identificare e segnalare eventuali obblighi contrastanti e far scattare un controllo giurisdizionale. Tale clausola dovrebbe garantire il rispetto di due tipi di legislazione: da un lato, le disposizioni di legge generali di divieto (blocking statutes), come per esempio la Electronic Communications Privacy Act (legge sulla riservatezza delle comunicazioni elettroniche) statunitense, che vieta, in assenza di specifici requisiti, la comunicazione di dati relativi ai contenuti nella sua zona geografica di applicazione; dall’altro, le leggi che vietano la comunicazione di dati non in modo generale, ma solo eventualmente in singoli casi.

4.4.

Il Comitato condivide il giudizio della Commissione secondo cui gli accordi internazionali con altri partner di primaria importanza potrebbero ridurre ulteriormente il rischio di conflitto di leggi. Sarebbe il modo migliore per evitare conflitti.

5.   Direttiva sulla nomina di rappresentanti

5.1.

La proposta della Commissione sugli ordini europei di produzione e di conservazione sarà integrata da una direttiva recante norme armonizzate sulla nomina di rappresentanti legali nei procedimenti penali (COM(2018) 226). Attualmente gli Stati membri seguono approcci diversi per quanto riguarda gli obblighi imposti ai fornitori di servizi. Questa frammentazione è particolarmente evidente nel caso delle prove elettroniche. Tale lacunosità crea incertezza giuridica per i soggetti coinvolti e può sottoporre i fornitori di servizi a obblighi e regimi sanzionatori differenti e talvolta in conflitto tra loro a tale riguardo, a seconda del fatto che forniscano i loro servizi a livello nazionale, a livello transnazionale all’interno dell’Unione o al di fuori di essa.

5.2.

La direttiva proposta dalla Commissione rende obbligatorio per i fornitori di servizi designare un rappresentante legale nell’Unione, incaricato di ricevere decisioni volte ad acquisire prove emesse dalle autorità nazionali competenti nei procedimenti penali, ottemperare a tali decisioni e farle eseguire.

5.3.

A giudizio del CESE, tale regolamentazione migliorerebbe il funzionamento del mercato interno in modo coerente con lo sviluppo di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. L’obbligo di designare un rappresentante legale per tutti i fornitori di servizi che operano nell’Unione garantirebbe che gli atti di indagine abbiano sempre un destinatario chiaro. Ciò a sua volta renderebbe più semplice per i fornitori di servizi conformarsi a tali ordini, in quanto i rappresentanti legali sarebbero competenti per ricevere tali ordini, ottemperare agli stessi e farli eseguire per conto del fornitore di servizi.

Bruxelles, 12 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Conclusioni del Consiglio dell’Unione europea sul miglioramento della giustizia penale nel ciberspazio, ST9579/16.

(2)  P8_TA(2017)0366.

(3)  Direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all’ordine europeo di indagine penale (GU L 130 dell'1.5.2014, pag. 1).

(4)  Atto del Consiglio, del 29 maggio 2000, che stabilisce, conformemente all’articolo 34 del trattato sull’Unione europea, la convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea.

(5)  Decisione 2002/187/GAI del Consiglio, del 28 febbraio 2002, che istituisce l’Eurojust per rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità.

(6)  Regolamento (CE) n. 2016/794 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2016, che istituisce l’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell’informazione (Europol).

(7)  Decisione quadro 2002/465/JHA del Consiglio, del 13 giugno 2002.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/93


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli inquinanti organici persistenti (rifusione)»

[COM(2018) 144 final — 2018/0070 (COD)]

(2018/C 367/18)

Relatore:

Brian CURTIS

Consultazione da parte del Consiglio

Consultazione da parte del Parlamento europeo

13.4.2018

16.4.2018

Base giuridica

Articolo 192, paragrafo 1, e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza

19.9.2017 (in previsione della consultazione)

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

26.6.2018

Adozione in sessione plenaria

12.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

157/0/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta della Commissione, intesa a rifondere il regolamento sugli inquinanti organici persistenti (Persistent Organic Pollutants — POP) al fine di garantire un’attuazione coerente ed efficace degli obblighi che incombono all’UE in virtù della convenzione di Stoccolma.

1.2.

Il Comitato fa notare che già adesso, nell’Unione europea, la maggior parte dei POP non è più immessa in commercio né utilizzata. Tuttavia, data l’estrema pericolosità degli effetti dei POP sugli esseri umani e sull’ambiente, la produzione di tali sostanze deve essere vietata, salvo esenzioni limitate ad applicazioni specifiche. Per tale motivo, il CESE incoraggia la Commissione a introdurre misure di controllo più rigorose, in linea con l’approccio precauzionale (anche detto cautelativo) e con la dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo.

1.3.

Il CESE condivide la proposta di trasferire alcuni compiti della Commissione all’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) al fine di fornire sostegno amministrativo, scientifico e tecnico all’attuazione della normativa in una sede più idonea. Nondimeno, sottolinea la necessità di stabilire un solido metodo di lavoro che implichi il coinvolgimento della Commissione, dell’ECHA, degli Stati membri e delle parti direttamente interessate.

1.4.

Il CESE raccomanda di fare un uso corretto e limitato degli atti delegati, in modo da mantenere aperto il dialogo con tutte le parti interessate, con un’attenzione specifica alla sensibilizzazione dei cittadini e alla trasparenza.

1.5.

Il CESE esorta l’UE a essere un leader mondiale nella lotta contro i POP. L’azione dell’UE dovrebbe concentrarsi sull’armonizzazione delle strategie e delle normative nazionali in materia di monitoraggio e controllo dei POP. In particolare, il Comitato reputa che l’Unione europea dovrebbe promuovere la sostenibilità e il rispetto delle disposizioni sui POP negli accordi commerciali bilaterali e multilaterali.

1.6.

Il Comitato appoggia la proposta di organizzare un’ampia campagna di sensibilizzazione sui POP a livello di Unione europea, nel quadro delle iniziative a favore dello sviluppo sostenibile; e reputa che una banca dati aperta sui POP potrebbe costituire uno strumento utile per le imprese e per i consumatori.

1.7.

Il CESE osserva che i corsi di formazione in materia di POP dovrebbero essere obbligatori e disponibili per tutti i lavoratori europei le cui attività abbiano direttamente o indirettamente a che fare con tali sostanze. In particolare, il CESE raccomanda che le iniziative di istruzione e formazione siano armonizzate e considerate parte integrante della stessa strategia, seguendo un’impostazione basata sull’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.

2.   Introduzione

2.1.

Gli inquinanti organici persistenti (Persistent Organic Pollutants — POP) sono composti organici resistenti alla degradazione ambientale mediante processi chimici, biologici e fotolitici. A causa di questa loro persistenza, i POP sono soggetti a bioaccumulo, con potenziali effetti negativi sulla salute umana e sull’ambiente. Molti inquinanti organici persistenti sono stati o sono tuttora impiegati come pesticidi, solventi, prodotti farmaceutici e prodotti chimici per l’industria. Benché alcuni POP siano già presenti in natura, ad esempio nei vulcani e in esito a svariati percorsi di biosintesi, la maggior parte di essi è il risultato di una sintesi totale realizzata dall’uomo.

2.2.

Gli effetti degli inquinanti organici persistenti sulla salute umana e sull’ambiente sono stati discussi dalla comunità internazionale nel corso della conferenza delle parti della convenzione di Stoccolma sui POP svoltasi nel 2001 (1). Tale convenzione, ratificata da 180 parti e basata sul principio di precauzione, è un trattato globale che fornisce un quadro giuridico inteso ad evitare la produzione, l’uso, l’importazione e l’esportazione di inquinanti organici persistenti. La convenzione di Stoccolma, che all’epoca comprendeva un elenco di 12 sostanze (compreso il DDT), è stata firmata dall’UE nel 2005.

2.3.

L’impegno sottoscritto dall’Unione europea consisteva nell’adozione di misure volte a ridurre l’emissione di inquinanti organici persistenti nell’ambiente al fine di ridurre l’esposizione dell’uomo e della flora e della fauna selvatiche. L’UE è stata molto attiva nel proporre l’aggiunta di nuove sostanze all’elenco contenuto nella convenzione (2). Il regolamento (CE) n. 850/2004regolamento POP») è lo strumento giuridico che attua l’impegno assunto dall’UE e dai suoi Stati membri con la ratifica della convenzione di Stoccolma.

2.4.

Una seconda convenzione, riguardante l’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza, è stata ampliata da una serie di protocolli, tra i quali quello di Aarhus sugli inquinanti organici persistenti (modificato da ultimo nel 2009). Il protocollo di Aarhus vieta direttamente la produzione di alcune di tali sostanze e fissa una scadenza per l’eliminazione di altre. Ad oggi l’elenco allegato al protocollo di Aarhus comprende 22 sostanze.

3.   Sintesi della proposta

3.1.

La proposta della Commissione all’esame mira a rifondere il regolamento POP. Questa iniziativa non modifica la legislazione attuale in termini di principi (principio di precauzione) e di obiettivi (tutela dell’ambiente e della salute umana), ma risponde piuttosto alla necessità di un pieno allineamento legislativo e di una migliore attuazione.

3.2.

In particolare, la proposta affronta le seguenti sfide:

allineare il regolamento POP, che fa riferimento alle direttive 67/548/CEE e 75/442/CEE, al regolamento (CE) n. 1907/2006, al regolamento (CE) n. 1272/2008 e alla direttiva 2008/98/CE. Specificamente, il regolamento POP fa riferimento a un comitato di regolamentazione che non esiste più (3) e inoltre deve essere allineato alle modifiche introdotte dal trattato di Lisbona (ossia al TFUE). Infine, occorre specificare quali norme del regolamento debbano formare oggetto di atti di esecuzione e quali condizioni si applichino all’adozione di atti delegati,

trasferire alcuni compiti della Commissione all’Agenzia europea per le sostanze chimiche (4) al fine di fornire sostegno amministrativo, scientifico e tecnico all’attuazione della normativa in una sede più idonea. Si propone inoltre di sostenere l’applicazione del regolamento POP da parte degli Stati membri affidando un ruolo di coordinamento al Forum per lo scambio di informazioni sull’applicazione istituito dal regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio («regolamento REACH») (5),

includere alcune modifiche tecniche alle disposizioni operative, ad esempio per rendere più chiare le definizioni esistenti e per aggiungervi le definizioni dei termini «fabbricazione», «uso» e «prodotto intermedio all’interno del sito produttivo e in un sistema chiuso», al fine di migliorare e semplificare le procedure attuali.

3.3.

La proposta pone una particolare enfasi sulla trasparenza e sull’accesso dei cittadini alle informazioni. Riguardo ai POP dovrebbero essere promossi e agevolati programmi di sensibilizzazione — rivolti in special modo ai gruppi particolarmente vulnerabili — e la formazione di lavoratori, scienziati ed insegnanti nonché del personale tecnico e dirigente. Inoltre, i cittadini dovrebbero avere l’opportunità di partecipare all’elaborazione, all’attuazione e all’aggiornamento di piani di attuazione a livello nazionale.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, intesa a rifondere il regolamento POP al fine di garantire un’attuazione coerente ed efficace degli obblighi che incombono all’UE in virtù della convenzione di Stoccolma. Le norme proposte sono fondamentali per instaurare un quadro giuridico comune nell’ambito del quale possano essere adottate misure volte a porre fine alla fabbricazione, all’immissione sul mercato e all’uso di POP prodotti intenzionalmente nonché a introdurre controlli annuali effettuati dai singoli Stati membri e a elaborare dati comparativi per l’UE.

4.2.

Il Comitato fa notare che già adesso, nell’Unione europea, la maggior parte dei POP non è più immessa in commercio né utilizzata. Ciò nonostante, al fine di ridurre al minimo il rilascio di inquinanti organici persistenti, la fabbricazione di tali sostanze deve essere vietata, e le esenzioni previste devono essere limitate alle sostanze che svolgono una funzione essenziale in un’applicazione specifica. Per tale motivo, il CESE incoraggia la Commissione a introdurre misure di controllo più rigorose di quelle prescritte dalla convenzione di Stoccolma, in linea con l’approccio precauzionale (anche detto cautelativo) alla protezione dell’ambiente concordato nella dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo (6).

4.3.

Il Comitato è ben consapevole del fatto che la decisione della Commissione di fare a meno di qualsiasi consultazione formale con le parti direttamente interessate e con gli Stati membri è motivata da un accordo generale consolidato con tutte le parti interessate, pubbliche e private, in merito alle misure da intraprendere per la rifusione del regolamento POP; nondimeno, raccomanda alla Commissione di adottare un approccio efficace ed inclusivo per le prossime fasi di attuazione.

4.4.

Il CESE condivide la proposta di trasferire alcuni compiti della Commissione all’Agenzia europea per le sostanze chimiche al fine di fornire sostegno amministrativo, scientifico e tecnico all’attuazione della normativa in una sede più idonea. Nondimeno, sottolinea la necessità di stabilire un solido metodo di lavoro che implichi il coinvolgimento della Commissione, degli Stati membri e dell’ECHA onde assicurare una cooperazione efficace e migliori risultati; e reputa che una pietra angolare di questo nuovo quadro di lavoro dovrebbe essere la consultazione delle parti direttamente interessate.

4.5.

Il CESE considera che alcuni aspetti della rifusione in esame siano di natura esclusivamente tecnica; e nel contempo, in linea con i suoi pareri precedenti (7), ritiene che i POP costituiscano una grave minaccia per l’ambiente e per la salute pubblica. Di conseguenza, raccomanda di fare un uso corretto e limitato degli atti delegati (adottandone solo se strettamente necessario) in modo da mantenere aperto il dialogo con tutte le parti interessate, con un’attenzione specifica alla sensibilizzazione dei cittadini e alla trasparenza.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Il Comitato invita la Commissione a definire in modo più accurato la proposta in base alla quale gli Stati membri dovrebbero offrire ai cittadini l’opportunità di partecipare all’elaborazione, all’attuazione e all’aggiornamento di piani di attuazione nazionali. In particolare, ad avviso del CESE le modalità di tale partecipazione dovrebbero essere chiare e comuni a tutti gli Stati membri. Il Comitato è convinto che, ancor più delle singole persone, la società civile organizzata stessa possa svolgere un ruolo importante in questo campo. Inoltre, la proposta in esame non chiarisce se e in che modo tali iniziative otterranno un sostegno finanziario dalla Commissione né le modalità con cui questa opportunità importante sarà fatta conoscere.

5.2.

I POP costituiscono una minaccia globale e attualmente, a livello mondiale, la sfida principale consiste nell’armonizzare le strategie e le normative dei singoli paesi in materia di monitoraggio e controllo dei POP. Per questo motivo, il CESE appoggia la proposta della Commissione di attribuire all’UE un ruolo più proattivo nei confronti dei paesi terzi per lottare contro le emissioni di POP.

5.3.

Nondimeno, il CESE reputa che le proposte avanzate a questo scopo, come lo «scambio di informazioni» (8) con i paesi terzi che non sono parti della convenzione di Stoccolma o la «fornitura di assistenza tecnica adeguata e puntuale» per l’attuazione della convenzione «su richiesta e nei limiti delle risorse disponibili» (9), siano misure ancora troppo vaghe per poter eradicare i POP. In particolare, ad avviso del CESE l’UE dovrebbe promuovere la sostenibilità e il rispetto delle disposizioni relative ai POP negli accordi commerciali bilaterali e multilaterali (10). Al riguardo, anche gli organi internazionali facilitatori, come il comitato per l’attuazione e l’osservanza istituito dalla convenzione di Minamata, potrebbero costituire un punto di riferimento importante (11). Il CESE è fermamente convinto che l’UE possa assumere una posizione di avanguardia nel campo dell’innovazione sostenibile.

5.4.

Il Comitato appoggia la proposta di organizzare un’ampia campagna di sensibilizzazione sui POP a livello di Unione europea. Nel contempo, però, reputa che l’Europa dovrebbe essere più attiva nel promuovere l’educazione alla sostenibilità e nel diffondere informazioni sulle buone pratiche in materia (12). In particolare, il CESE raccomanda la creazione di una banca dati aperta sui POP al fine di offrire uno strumento utile per le imprese e per i consumatori.

5.5.

Il Comitato reputa che i corsi di formazione in materia di POP dovrebbero essere obbligatori e disponibili per tutti i lavoratori europei la cui attività abbia direttamente o indirettamente a che fare con tali sostanze. Il CESE fa notare che questi aspetti sono già presenti nella normativa attuale, ma che la sua applicazione incerta e non rigorosa rende necessario individuare nuovi strumenti che assicurino un’attuazione più efficace. In particolare, il CESE raccomanda che le iniziative di informazione, istruzione e formazione siano armonizzate e considerate parte integrante della stessa strategia, seguendo un’impostazione basata sull’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.

Bruxelles, 12 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  http://chm.pops.int/.

(2)  Negli ultimi anni l’elenco iniziale della convenzione si è arricchito di altre 16 sostanze. http://chm.pops.int/TheConvention/ThePOPs/TheNewPOPs/tabid/2511/Default.aspx.

(3)  Dal 1o giugno 2015.

(4)  Regolamento (CE) n. 1907/2006.

(5)  concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH).

(6)  Dichiarazione di Rio del 1992, il cui principio 15 recita: «Al fine di tutelare l’ambiente, gli Stati adotteranno ampiamente un approccio cautelativo in conformità alle proprie capacità. Qualora sussistano minacce di danni gravi o irreversibili, la mancanza di una completa certezza scientifica non potrà essere addotta come motivo per rimandare iniziative costose in grado di prevenire il degrado ambientale».

(7)  Parere del CESE sugli inquinanti organici persistenti (GU C 32 del 5.2.2004, pag. 45).

(8)  COM(2018) 144 final, considerando 18.

(9)  COM(2018) 144 final, considerando 21.

(10)  Parere del CESE sul tema La transizione verso un futuro europeo più sostenibile — Una strategia per il 2050 (GU C 81 del 2.3.2018, pag. 44).

(11)  La convenzione di Minamata sul mercurio è un trattato mondiale inteso a proteggere la salute umana e l’ambiente dagli effetti nocivi del mercurio. Concordata a Ginevra il 19 gennaio 2013, la convenzione è stata adottata il 10 ottobre di quello stesso anno nel corso di una conferenza diplomatica svoltasi a Kumamoto (Giappone) ed è entrata in vigore il 16 agosto 2017. Essa riflette un approccio innovativo e globale, dettando disposizioni in merito all’intero ciclo di vita del mercurio, dall’estrazione alla gestione dei rifiuti. http://www.mercuryction.org/. Cfr. in particolare l’articolo 15.

(12)  Parere del CESE Rio+20: verso un’economia verde e una migliore governance (GU C 376 del 22.12.2011, pag. 102), cfr. punto 4.13.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/97


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa al quadro di monitoraggio per l’economia circolare»

[COM(2018) 29 final]

(2018/C 367/19)

Relatore:

Cillian LOHAN

Correlatrice:

Tellervo KYLÄ-HARAKKA-RUONALA

Consultazione

Commissione europea, 12.2.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

19.9.2017

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

26.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

172/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione sul monitoraggio dell’attuazione dell’economia circolare, che offre un seguito significativo al piano d’azione per l’economia circolare ed è in linea con le raccomandazioni formulate dal CESE nel parere sul pacchetto Economia circolare (NAT/676).

1.2.

La comunicazione in esame è un buon punto di partenza, ma manca di un certo numero di indicatori pertinenti ed essenziali:

progettazione ecocompatibile

sviluppo di (nuovi) modelli di impresa

economia collaborativa

indicatori sociali

dati sulle emissioni.

1.3.

Il CESE osserva che, pur essendo un organo consultivo delle istituzioni dell’Unione europea, non è stato coinvolto nel processo di consultazione volto ad elaborare tali indicatori.

1.4.

Dal momento che l’economia circolare è collegata all’economia a basse emissioni di carbonio e agli obiettivi di sviluppo sostenibile, gli indicatori di monitoraggio dovrebbero tener conto di questi aspetti.

1.5.

L’attenzione del monitoraggio non deve più essere rivolta esclusivamente ai rifiuti.

1.6.

La definizione dei «settori dell’economia circolare» è ristretta e dovrebbe essere ulteriormente sviluppata, in quanto si ripercuote su numerosi indicatori.

1.7.

La mancanza di dati in un determinato campo non dovrebbe essere un motivo di esclusione. Le lacune in termini di dati dovrebbero essere indicate esplicitamente, e andrebbero individuate delle strategie per garantire che tali lacune siano colmate. Se continueremo ad accontentarci dei soliti dati tradizionali, non otterremo una misurazione accurata della transizione verso un nuovo modello economico.

1.8.

Le politiche e i regolamenti presentano delle incongruenze che ostacolano la transizione delle imprese verso un modello di economia circolare. Tali incongruenze dovrebbero essere localizzate nell’ambito del quadro di monitoraggio.

1.9.

L’utilizzo di fondi pubblici dovrebbe essere monitorato tramite un indicatore specifico. Gli investimenti destinati specificamente alle iniziative di economia circolare dovrebbero presentare in sé dei dati da poter utilizzare per definire tale indicatore. È importante monitorare anche il «denaro speso», al pari di quello «investito».

1.10.

La piattaforma delle parti interessate per l’economia circolare europea dovrebbe servire da strumento per garantire il coinvolgimento dei soggetti attivi in questo campo. A tal fine si dovrebbe elaborare ed attuare una strategia di comunicazione dotata di obiettivi concreti.

1.11.

Si dovrebbe valutare il grado di sensibilizzazione e di educazione del consumatore e dell’utilizzatore per garantire una comprensione migliore del ruolo del consumatore nell’economia circolare e nei flussi dei materiali. Andrebbero promosse e valutate le misure di supporto infrastrutturale che consentono al consumatore di migliorare il suo comportamento in termini di uso efficiente delle risorse e le attività a sostegno della trasformazione del singolo cittadino da «consumatore» a «utilizzatore».

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione della Commissione europea. Il monitoraggio dei progressi compiuti verso il conseguimento degli scopi ed obiettivi del piano d’azione per l’economia circolare costituisce una parte essenziale del processo.

2.2.

La consultazione che ha preceduto lo sviluppo del quadro di monitoraggio ha dato priorità alle parti interessate, tra le quali avrebbe dovuto figurare anche il CESE, visto che il suo ruolo di organo consultivo è sancito dai Trattati e che al suo interno figurano molte delle pertinenti categorie di interessati.

2.3.

Perché un sistema di monitoraggio sia efficace è essenziale che i parametri si basino su dati solidi, comparabili tra i diversi Stati membri.

2.4.

Monitorare i progressi compiuti verso un’economia circolare è indubbiamente un compito impegnativo. Sarà di fondamentale importanza misurare tutti gli elementi della transizione verso l’economia circolare e garantire che le lacune in termini di dati siano chiaramente identificate.

2.5.

Andrebbero stanziate delle risorse per garantire che le eventuali lacune in termini di dati siano colmate stabilendo urgentemente dei criteri e raccogliendo dati al fine di fissare delle cifre di riferimento. Si raccomanda di condurre costantemente attività di ricerca e di monitoraggio dei criteri, delle misure e degli indicatori.

2.6.

La definizione dei «settori dell’economia circolare» è piuttosto ristretta e meriterebbe di essere ulteriormente sviluppata. Come conseguenza, essa ha un effetto restrittivo sui parametri utilizzati per valutare l’attività economica, la creazione di posti di lavoro, l’innovazione e altri indicatori.

Figura 1: Flussi dei materiali nell’economia (UE a 28, 2014)

Image

Figura 1: Disponibile al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/eurostat/web/circular-economy/material-flow-diagram

2.7.

Dalla figura 1 sui flussi dei materiali risulta che ogni anno nell’UE 8 miliardi di tonnellate di materiali sono trasformati in energia o prodotti. Di questi, 0,6 miliardi di tonnellate sono successivamente esportati, mentre la maggior parte rimane sotto il controllo di operatori all’interno dell’UE. Questa analisi, però, è selettiva dal punto di vista dei materiali considerati, perché esclude flussi importanti come ad esempio i prodotti alimentari e quelli tessili. Si dovrebbe tener conto dell’impatto della produzione rispetto a quello del consumo, considerando come e cosa si produce, si esporta e si importa.

2.8.

La comunicazione dovrebbe tenere conto del fatto che gli autori della ricerca suggeriscono che le cifre per il riciclaggio sono ottimistiche e costituiscono verosimilmente una sovrarappresentazione di quanto avviene nella realtà.

2.9.

È essenziale collegare l’economia circolare all’economia a basse emissioni di carbonio. Questo tipo di collegamento dovrebbe figurare nel quadro di monitoraggio al fine di potenziare l’azione ed evitare una duplicazione degli sforzi, incrementando l’efficienza del processo di transizione.

2.10.

La comunicazione dedica molta attenzione ai rifiuti, e ciò è giustificato in parte dal fatto che, per i rifiuti, sono disponibili dati sicuri, coerenti e comparabili. Tuttavia, qualsiasi attività di monitoraggio dovrà in futuro andare oltre i rifiuti e il riciclaggio, e rivolgere la propria attenzione sulla progettazione, la produzione e il consumo.

2.11.

Si dovrebbe valutare il grado di sensibilizzazione e di educazione del consumatore e dell’utilizzatore per garantire che vi sia una comprensione migliore del ruolo del consumatore nell’economia circolare e nei flussi dei materiali. Andrebbero introdotte soluzioni pratiche basate sui fatti — a questo proposito svolge un ruolo significativo l’impegno della società civile e riveste grande importanza la cultura circolare, basata sul ripensamento dei valori e sul cambiamento dei modelli di consumo esistenti.

2.12.

Si rende necessaria la redazione di un dizionario, approvato dall’UE, che raccolga le definizioni relative all’economia circolare. L’attuale monitoraggio dei settori dell’economia circolare è troppo ristretto, per definizione, per riuscire ad individuare il tipo di cambiamento sistemico previsto nel piano d’azione per l’economia circolare e auspicato dalla società. Occorre inoltre ridefinire cosa si intende con il termine «rifiuti».

3.   I dieci indicatori

3.1.

I dieci indicatori sono raggruppati, nella comunicazione, sotto le voci 1) produzione e consumo, 2) gestione dei rifiuti, 3) materie prime secondarie e 4) competitività e innovazione.

3.2.

Non esistono indicatori per valutare le emissioni nell’aria, tra cui le emissioni di gas a effetto serra, associate all’attuale modello di economia lineare. Tale valutazione è essenziale, invece, per poter collegare l’economia circolare con un’economia a basse emissioni di carbonio, gli obiettivi dell’UE per il clima e l’energia, e l’accordo di Parigi.

3.3.

I dieci indicatori sono fortemente incentrati sui rifiuti. Andrebbe invece condotta un’analisi più ampia, in modo da coprire l’intera catena del valore dei prodotti e dei materiali, ivi compresi la progettazione ecocompatibile, i nuovi modelli imprenditoriali, i cambiamenti dei sistemi gestionali e la simbiosi industriale, nonché nuovi tipi di modelli di consumo.

3.4.

In generale, gli indicatori dovrebbero, da un lato, misurare i risultati e i vantaggi dell’economia circolare e, dall’altro, esaminare la circolarità delle risorse.

3.5.

In un’economia circolare, i circuiti più brevi, di dimensioni minori, sono preferibili, mentre l’attenzione per l’autosufficienza, presa isolatamente rispetto ad altri indicatori, non è di per sé indice di circolarità. Il tasso di recupero delle materie prime e di utilizzo delle materie prime secondarie possono incrementare l’autosufficienza. Ponendo l’accento sull’autosufficienza quale indicatore, si rischia di trasformarla senza volere in un obiettivo, distogliendo inavvertitamente l’attenzione dall’uso più efficiente delle materie prime e dei prodotti. In questo caso occorre un approccio sistemico.

3.6.

È comprensibile che si sia tenuto conto della disponibilità dei dati al momento di scegliere i dieci indicatori. Le lacune nei dati dovrebbero però essere individuate in modo chiaro ed esplicito e, quale parte integrante del quadro di monitoraggio, si dovrebbe elaborare al più presto un piano per far fronte a tali lacune.

3.7.

L’attuale piano per migliorare la base di conoscenze, che è tuttora fortemente incentrato sui rifiuti, dovrebbe essere ampliato al fine di abbracciare gli altri aspetti dell’economia circolare.

3.8.

La piattaforma delle parti interessate per l’economia circolare europea, un’iniziativa congiunta della Commissione e del CESE, dovrebbe servire da strumento per individuare le lacune nei dati, comprendere quali tendenze prevalgono tra le parti interessate e contribuire a individuare gli ostacoli alla transizione.

4.   Prime conclusioni

4.1.   Produzione e consumo

4.1.1.

Gli indicatori relativi alla sezione «produzione e di consumo» sono troppo incentrati sui rifiuti.

4.1.2.

In mancanza di dati pertinenti, si misura l’autosufficienza nell’approvvigionamento di materie prime. L’autosufficienza non è di per sé indice di un’economia circolare (cfr. punto 3.4). Andrebbe chiarita la distinzione tra le materie prime vergini e le materie prime secondarie o terziarie. Sarebbe utile, altresì, monitorare gli sviluppi in modo più disaggregato, misurando per esempio il ricorso alle risorse rinnovabili rispetto a quelle non rinnovabili, il recupero di risorse essenziali, come i metalli rari, nonché l’impatto della produzione, delle importazioni e delle esportazioni (cfr. punto 2.8).

4.1.3.

Gli appalti pubblici verdi sono un buon indicatore dell’utilizzo dei fondi pubblici e possono essere un incentivo a favore della circolarità. L’attuazione dei piani per gli appalti pubblici verdi negli Stati membri potrebbe essere agevolata da una comunicazione chiara e dallo stanziamento di risorse a favore della formazione sui collegamenti tra gli appalti verdi e la circolarità, gli obiettivi di sviluppo sostenibile e gli obiettivi dell’accordo di Parigi per un’economia a basse emissioni di carbonio.

4.1.4.

In fase di valutazione dei piani nazionali e regionali in materia di appalti pubblici verdi, andrebbero monitorati i programmi di formazione destinati agli acquirenti pubblici per poi condividere le informazioni raccolte. Occorre far fronte alla scarsa comprensione delle evidenti contraddizioni tra appalti circolari o appalti verdi, da un lato, e le regole del mercato unico, dall’altro.

4.1.5.

Occorre trovare strumenti appositi per analizzare la complessa questione del punto, nella catena di approvvigionamento, in cui gli alimenti vengono sprecati. Non basta individuare gli sprechi alimentari a livello del consumatore, visto che è necessario un cambiamento sistemico per affrontare questo problema di portata enorme.

4.1.6.

Tuttavia gli sprechi alimentari sono solo uno degli aspetti che giustificano l’introduzione della circolarità nel settore agroalimentare. Sono necessarie definizioni chiare per individuare le pratiche agricole circolari. Queste vanno elaborate con urgenza in consultazione con le parti interessate (cfr. 2.13). Gli sprechi alimentari dovrebbero essere monitorati in quanto parte integrante di un sistema, in modo da tener conto delle interdipendenze tra la produzione alimentare, gli sprechi alimentari e altri settori quali l’energia, la mobilità e la gestione delle risorse idriche.

4.1.7.

Alcuni aspetti fondamentali della transizione verso un’economia circolare, che non sono stati affrontati nella comunicazione in esame, dovrebbero invece essere inseriti nella sezione «produzione e consumo» del quadro di monitoraggio. Tra questi figurano la progettazione ecocompatibile, i nuovi modelli di proprietà, gli accordi volontari, le informazioni ai consumatori, il comportamento dei consumatori, le infrastrutture di supporto, la mappatura delle sovvenzioni che possono favorire attività contrarie alla circolarità e i collegamenti a un’economia a basse emissioni di carbonio e agli obiettivi di sviluppo sostenibile.

4.2.   Gestione dei rifiuti

4.2.1.

Una ridefinizione della gestione dei rifiuti e dei rifiuti stessi, la promozione della ricerca e dell’innovazione nel campo del riciclaggio, i nuovi modelli imprenditoriali, le nuove catene del valore e il superamento del riciclaggio sono elementi fondamentali per l’economia circolare. In tale contesto dovrebbe figurare il passaggio dalla gestione dei rifiuti alla gestione delle risorse.

4.2.2.

Il quesito più importante da porre nel monitoraggio dei rifiuti urbani e delle percentuali di riciclaggio è: dove, lungo la catena del valore, avviene la misurazione: a monte o valle della raccolta differenziata? Questo aspetto è menzionato nel documento di lavoro dei servizi della Commissione, ma non trova riscontro esplicito nella comunicazione. Il CESE ha mantenuto, in modo coerente, la posizione secondo cui il punto più preciso in cui effettuare la misurazione è a valle della raccolta differenziata.

4.2.3.

Il monitoraggio dei rifiuti urbani dovrebbe interessare anche le acque reflue. I rifiuti umani si trasformano in una valida fonte energetica se sono trattati nei digestori anaerobici. Così si può contribuire anche a una riduzione delle emissioni provenienti da altre fonti energetiche.

4.3.   Materie prime secondarie

4.3.1.

Di vitale importanza è il ruolo di un mercato vivace e funzionale delle materie prime secondarie nell’ambito dell’economia circolare.

4.3.2.

In un’economia circolare, i concetti legati ai flussi dei materiali non devono fermarsi al riciclaggio, ma estendersi al monitoraggio dei flussi dei materiali sottoposti a riutilizzo e a riparazione, ivi comprese le attività di rigenerazione. Le definizioni si rivelano ancora una volta essenziali, in quanto i rifiuti prodotti da un settore dovrebbero costituire una potenziale risorsa per un altro settore.

4.3.3.

Si dovrebbe riconoscere che esiste una differenza tra la fine del ciclo di vita di un prodotto (con cui si intende la fine del suo funzionamento) e la fine del ciclo di vita dei componenti e dei materiali utilizzati per costruirlo.

4.3.4.

Il flusso dei materiali all’interno di un’economia circolare dovrebbe anche tener traccia dei passaggi di proprietà in un modello imprenditoriale basato sui servizi.

4.3.5.

Questa sezione della comunicazione è dedicata alla gestione dei rifiuti attualmente in produzione, e sottolinea l’opportunità di creare, grazie a questo processo, materie prime secondarie. Si tratta di un’iniziativa positiva che però è limitata dal fatto che sono escluse dalla valutazione importanti categorie di flussi di materiali, tra cui i prodotti alimentari e quelli tessili.

4.3.6.

È essenziale monitorare la programmazione degli stock di infrastrutture e prodotti, al fine di assicurare che le materie prime utilizzate in questo spazio siano recuperabili una volta venuta meno la funzionalità o la necessità di questi stock in particolare. In tal modo aumenterebbero di più del doppio le potenzialità di gestire i flussi dei materiali. La digitalizzazione può rivelarsi un utile facilitatore per questa attività di monitoraggio.

4.3.7.

La comunicazione potrebbe essere maggiormente trasparente e chiara riguardo a quali materiali figurano negli stock di infrastrutture e prodotti, nonché alle modalità di misurazione e di monitoraggio di tali scorte.

4.4.   Competitività e innovazione

4.4.1.

L’innovazione, gli investimenti e gli scambi sono le principali operazioni con le quali le imprese contribuiscono ai progressi verso l’economia circolare. Dal momento che l’economia circolare è rilevante per tutti i settori economici e, più importante ancora, richiede la cooperazione tra settori, essa ha bisogno di un approccio di più ampia portata.

4.4.2.

Andrebbero seguiti da vicino gli sviluppi specifici della progettazione ecocompatibile nonché l’affermarsi di nuovi modelli imprenditoriali basati sui servizi e di forme flessibili di proprietà. Andrebbero sottoposte a monitoraggio, ad esempio, l’elaborazione e l’applicazione di norme correlate alla progettazione ecocompatibile pertinenti per l’economia circolare.

4.4.3.

Alcune imprese si stanno indirizzando verso il settore della rigenerazione, aggiudicandosi parti significative dei mercati. Questo fenomeno merita di essere inserito in un quadro di monitoraggio.

4.4.4.

Anche l’utilizzo di fondi pubblici dovrebbe essere monitorato ricorrendo a indicatori specifici. Gli investimenti destinati in modo specifico alle iniziative dell’economia circolare dovrebbero essere dotati di dati propri da poter utilizzare per la definizione di questo indicatore, in modo da poter misurare non soltanto il denaro speso, ma anche l’impatto conseguito.

4.4.5.

Gli investimenti privati svolgono anch’essi un ruolo fondamentale nella transizione verso un’economia circolare a basse emissioni di carbonio. I settori degli investimenti, delle assicurazioni e delle banche hanno già messo a punto strumenti e modelli di valutazione. Gli investimenti privati, al pari delle finanze pubbliche, dovrebbero, in quanto tali, essere quantificati nel sistema di monitoraggio.

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/103


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un piano pluriennale per le attività di pesca demersale nel Mediterraneo Occidentale»

[COM(2018) 115 final — 2018/0050 (COD)]

(2018/C 367/20)

Relatore:

Gabriel SARRÓ IPARRAGUIRRE

Consultazione

Parlamento europeo, 15.3.2018

Consiglio, 20.3.2018

Base giuridica

Articoli 43, paragrafo 2, 114, paragrafo 1, e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

13.2.2018 (in previsione della consultazione)

Sezione competente:

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

26.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

165/0/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE condivide il giudizio della Commissione secondo cui è opportuno adottare un piano pluriennale per la pesca demersale nel Mediterraneo occidentale, comprendente misure per ribaltare la situazione di sfruttamento eccessivo della maggior parte degli stock di specie demersali per i quali sono disponibili dati. In tale ottica, il Comitato ritiene che l’uso di un regime di gestione dello sforzo di pesca basato sui giorni di pesca e le unità di gestione (GSA) sia adeguato per le reti da traino, e accoglie con favore la possibilità di attuare un sistema di totali ammissibili di catture (TAC) in caso di fallimento della gestione in base allo sforzo di pesca.

1.2.

Il Comitato ritiene che il piano debba perseguire una pesca sostenibile in una triplice prospettiva, ambientale, sociale ed economica. Le misure adottate devono pertanto essere proporzionate, affinché il loro impatto socioeconomico sia accettabile e sostenibile per i pescatori del Mediterraneo. A questo proposito, in previsione della data di adozione e di entrata in vigore della proposta (non prima della metà del 2019), sarà difficile raggiungere il rendimento massimo sostenibile (MSY) per tutti gli stock ittici entro il 2020. Il Comitato sostiene comunque l’impegno internazionale dell’UE per il raggiungimento dell’MSY entro il 2020 e la sua importanza nel quadro di questo piano pluriennale è centrale, in particolare per le specie più soggette allo sfruttamento eccessivo e a rischio di esaurimento biologico Sarebbe pertanto opportuno poter realizzare il rendimento massimo sostenibile di tutti gli stock entro scadenze più realistiche e ragionevoli.

1.3.

Il CESE, pur riconoscendo le specificità regionali delle attività di pesca, ritiene che il carattere «particolare» del Mediterraneo renda necessario passare all’azione in materia di riforma della pesca, e raccomanda ai colegislatori di sostenere un sistema di gestione adeguato, in grado di garantire condizioni eque tra regioni marittime europee e di consentire alla regione mediterranea di realizzare appieno gli obiettivi della politica comune della pesca.

1.4.

Il Comitato riconosce la significativa riduzione del numero di navi da pesca negli ultimi anni, ma deplora tuttavia che tali sforzi del settore della pesca non abbiano permesso di ridurre la mortalità effettiva a causa della pesca per gli stock fondamentali, mortalità che non ha smesso di aumentare anno dopo anno, in particolare in ragione della sovraccapacità strutturale di alcuni segmenti della flotta, specie di quella che pratica la pesca al traino, e degli incrementi di efficienza dell’attività di pesca attraverso motori, attrezzi e tecnologie di pesca più moderni.

1.5.

Il CESE invita la Commissione a tener conto anche degli altri fattori e attività umane, menzionati al punto 3.5 del presente parere, che hanno un impatto sullo stato degli stock ittici e degli ecosistemi del Mediterraneo, e propone di adottare opportune misure per ridurre tale impatto.

1.6.

In considerazione del fatto che il Mediterraneo è un mare semichiuso, con ventidue paesi costieri, per lo più non europei, il Comitato esorta la Commissione a fare il massimo sforzo per coordinare con gli altri paesi, in particolare nell’ambito della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM), le misure di gestione per le specie condivise.

1.7.

Il CESE riconosce, nel contesto di un alto livello di attività di pesca eccessiva nella regione, la necessità di adottare misure di restrizione spazio-temporale specifica per il traino, principale attrezzo da pesca utilizzato per le attività di pesca oggetto del piano, al fine di ridurre sostanzialmente, quando ciò risulti necessario in base ai rapporti scientifici, il suo impatto sulle catture accidentali di specie demersali, in particolare del novellame, nonché sugli habitat ittici essenziali (zone di riproduzione e vivai).

1.8.

Per i motivi illustrati nel punto 4.3 del presente parere, il CESE raccomanda ai colegislatori di eliminare il divieto di utilizzare reti da traino, all’interno dell’isobata di 100 metri, tra il 1o maggio e il 31 luglio di ogni anno.

1.9.

Il Comitato raccomanda alla Commissione di proporre l’inserimento di misure di accompagnamento straordinarie per compensare le perdite subite dai pescatori con la riduzione dello sforzo di pesca e della mortalità per pesca. In tale contesto, sarebbe opportuno estendere gli aiuti per l’arresto temporaneo e considerare nuovamente degli aiuti per l’arresto definitivo.

1.10.

Infine, il Comitato raccomanda alla Commissione di tener conto di tutti i commenti formulati nelle osservazioni generali e specifiche del presente parere.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1.

La Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento che istituisce un piano pluriennale per la pesca demersale nel Mediterraneo occidentale, concernente la pesca del gambero viola, del gambero rosa, del gambero rosso, del nasello, dello scampo e della triglia di fango, da parte della flotta, principalmente da traino, di Italia, Francia e Spagna.

2.2.

Gli obiettivi generali della proposta sono: raggiungere il rendimento massimo sostenibile per gli stock menzionati, applicare l’approccio ecosistemico e precauzionale e facilitare l’attuazione dell’obbligo di sbarco, affinché le attività di pesca siano sostenibili dal punto di vista ambientale nel lungo termine e siano gestite in modo da conseguire vantaggi a livello economico, sociale e occupazionale.

2.3.

La Commissione ha presentato la proposta perché ritiene che il regolamento (CE) n. 1967/2006 del Consiglio (1) e i piani nazionali di gestione non abbiano funzionato adeguatamente dato che, secondo la comunità scientifica europea e internazionale, in questa subregione oltre l’80 % degli stock valutati è sovrasfruttato, e subisce livelli di catture molto superiori agli intervalli di mortalità per pesca compatibili con il conseguimento dell’obiettivo del massimo rendimento sostenibile.

2.4.

La proposta delinea una serie di misure, tra le quali la definizione di obiettivi in termini di valori di mortalità per pesca (FMSY), di valori di riferimento per la conservazione, di misure di emergenza e di un numero massimo di giorni di pesca, con una riduzione considerevole dello sforzo nel corso del primo anno. Qualora tali misure non dessero i risultati sperati, viene proposto di adottare totali ammissibili di catture (TAC) e, mediante atti delegati, un’ampia gamma di misure tecniche di conservazione. La proposta prevede inoltre un fermo spazio-temporale inteso a vietare l’uso di reti da traino all’interno dell’isobata di 100 metri dal 1o maggio al 31 luglio di ogni anno in tutta l’area geografica di applicazione.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Alla luce degli studi scientifici pubblicati in materia, il CESE riconosce l’estensione del problema della pesca eccessiva e la grave crisi ecologica che ne deriva, e concorda sulla necessità di adottare misure di gestione aggiuntive per ridurre lo sforzo di pesca e la mortalità per pesca, al fine di ripristinare i principali stock di pesci demersali sovrasfruttati nel Mediterraneo occidentale.

3.2.

Considera tuttavia che ciò debba essere fatto in modo proporzionato, senza mettere a rischio il sostentamento dei pescatori del Mediterraneo, che hanno già subito negli ultimi anni una notevole riduzione del numero di pescherecci e dunque dell’occupazione.

3.3.

Ritiene inoltre che, data la situazione degli stock e in previsione della data di adozione e di entrata in vigore della proposta (non prima della metà del 2019), sarà difficile raggiungere il rendimento massimo sostenibile (MSY) per tutti gli stock ittici entro il 2020. A tal fine il Comitato chiede che venga data particolare attenzione alle specie più sovrasfruttate e a rischio di esaurimento biologico (ad esempio il nasello e la triglia di fango) affinché tali obiettivi non vengano mancati. Sarebbe pertanto opportuno poter realizzare il rendimento massimo sostenibile di tutti gli stock entro scadenze più realistiche e ragionevoli.

3.4.

Il Comitato osserva inoltre che, nell’analizzare lo stato degli stock ittici e nel proporre misure rivolte a migliorarlo, la Commissione sembra dimenticare altri fattori e attività umane che incidono su detti stock, tra cui il cambiamento climatico, l’acidificazione, l’inquinamento, le attività connesse al petrolio e al gas, il trasporto marittimo, i rifiuti marini, la cattiva gestione delle attività sulla costa e altro ancora. Il CESE ritiene pertanto che non si possa attribuire al solo settore della pesca la responsabilità dello stato degli stock ittici, e che si dovrebbe effettivamente applicare un approccio basato sugli ecosistemi, tenendo conto di tutti i fattori e le attività di cui sopra.

3.5.

D’altro canto, il CESE è favorevole a riconoscere l’importanza della rete da traino dal punto di vista socioeconomico nel Mediterraneo. Circa il 75 % delle catture di specie demersali deriva dalla pesca con reti da traino. Bisogna quindi impegnarsi per un’adeguata regolamentazione di tale attività (misure spazio-temporali), e per un aumento della loro selettività. La rete da traino è l’unico attrezzo da pesca che consenta nel Mediterraneo la cattura in grande quantità di specie quali, tra l’altro, il gambero rosa, il gambero viola, lo scampo, la pannocchia, il melù, la musdea, il gattuccio, il totano, il calamaretto e la seppiolina. Nondimeno, per talune specie esistono tecniche più selettive e meno invasive, con l’impiego di ceste, nasse, reti da imbrocco o tramagli, ad esempio.

3.6.

Il CESE riconosce l’importanza di proteggere efficacemente le zone funzionali per le risorse alieutiche e gli habitat sensibili nelle zone profonde, in particolare quando i pareri scientifici indicano concentrazioni di novellame, o zone di riproduzione di specie demersali come il nasello, lo scampo o i gamberi. Tali zone importanti per la ricostituzione degli stock devono essere definitivamente o temporaneamente chiuse alla pesca, come dispone l’articolo 8 del regolamento 1380/2013, relativo alla politica comune della pesca, che prevede l’istituzione di riserve di ricostituzione degli stock ittici. Il Comitato è favorevole ad inserire nel piano in esame varie zone, tra cui il delta dell’Ebro, il Golfo del Leone o le secche di Carloforte.

3.7.

Il Comitato ritiene che la Commissione europea proponga ancora una volta un ricorso eccessivo agli atti delegati. Molte delle misure che essa propone dovrebbero rientrare nell’ambito della codecisione (articoli 13, 16 e 18).

4.   Osservazioni particolari

4.1.

Il Comitato prende atto del parere (17-02) del comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca (CSTEP), secondo cui la gestione basata sullo sforzo di pesca è relativamente inefficace ai fini di una effettiva riduzione della mortalità per pesca, e per ricostituire gli stock a livelli di sostenibilità sarebbero necessarie riduzioni drastiche. Il CESE desidera pertanto incoraggiare, in linea con i pareri scientifici, la transizione verso un approccio di gestione basato sui limiti di cattura (TAC), l’unico approccio che consenta un effettivo controllo della mortalità per pesca.

4.2.

Il CESE ritiene che il considerando 5, riguardante gli obiettivi della politica comune della pesca, dovrebbe menzionare la sostenibilità sociale ed economica, in aggiunta a quella ambientale.

4.3.

Per quanto riguarda il considerando 26, connesso all’articolo 8, il Comitato propone di mantenere il riferimento all’adozione di misure di gestione basate sui totali ammissibili di catture, come aspirazione a lungo termine della gestione delle zone di pesca del Mediterraneo caratterizzate da una varietà di specie. Sarebbe auspicabile che il Comitato scientifico, tecnico ed economico per la pesca potesse fornire informazioni sui principali stock che possono essere oggetto di pareri scientifici circa il TAC precauzionale ai fini del rendimento massimo sostenibile.

4.4.

Il considerando 28 e l’articolo 11, paragrafo 1, propongono di vietare l’uso di reti da traino all’interno dell’isobata di 100 metri dal 1o maggio al 31 luglio di ogni anno. Il CESE considera questa misura sproporzionata e ingiustificata. La legislazione dell’UE e quelle nazionali garantiscono già in misura sufficiente che la pesca da traino non venga praticata su fondali vulnerabili. Ci sono inoltre zone del Mediterraneo in cui il fondale è piano e poco profondo, e il divieto proposto impedirebbe l’attività di molte imbarcazioni per la pesca da traino. Il Comitato ritiene che occorrerebbe invece istituire specifiche zone di divieto, con adeguate giustificazioni scientifiche, come quelle che lo stesso settore della pesca sta proponendo in vari paesi dell’UE.

4.5.

Per quanto riguarda il considerando 37, connesso all’articolo 19 e riguardante il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP), in cui viene proposto di ricorrere a misure di arresto temporaneo, il CESE invita la Commissione europea a includere anche provvedimenti di arresto definitivo, che possono essere finanziati dal FEAMP, e entrerebbero in vigore nel 2021, dato che sarà richiesta una riduzione dello sforzo e della capacità di pesca, la quale richiederà misure di compensazione per gli armatori e i lavoratori.

4.6.

Come già detto al punto 3.3, il Comitato considera che sarà difficile raggiungere entro il 2020, senza ripercussioni socioeconomiche inaccettabili per la flotta da pesca, gli intervalli di FMSY per gli stock interessati, come prevede l’articolo 4, paragrafo 1. Per cause indipendenti dal settore della pesca, la presentazione dei piani pluriennali è avvenuta con notevole ritardo rispetto all’entrata in vigore del regolamento (UE) n. 1380/2013 relativo alla politica comune della pesca e, pertanto, il Comitato ritiene che non si possa pretendere adesso di raggiungere obiettivi irrealizzabili.

4.7.

Riguardo all’articolo 7, paragrafo 1, il Comitato ritiene adeguato applicare alla pesca da traino un regime di gestione dello sforzo di pesca basato sui giorni di pesca. Il Comitato non è, invece, favorevole all’idea di operare una distinzione per categorie di lunghezza, come previsto dall’allegato I, o per gruppi di sforzo in funzione delle specie oggetto dell’attività di pesca, siano esse il gambero viola e il gambero rosso nelle acque profonde, o la triglia di fango, il nasello, il gambero rosa e lo scampo sulla piattaforma continentale e sul versante superiore. Il CESE ritiene più opportuno gestire l’insieme dei pescherecci da traino per unità di gestione (GSA), senza operare una distinzione in funzione della lunghezza e delle profondità, che risulterebbe artificiosa e irrilevante, poiché nella pratica un peschereccio da traino, nel corso della stessa bordata, può catturare specie che si trovano sia sulla piattaforma continentale che in acque profonde. È inoltre importante che la gestione sia effettuata in modo indipendente per ciascuna GSA, con misure specifiche per ripristinare la specie di ogni GSA, senza tener conto della situazione delle diverse specie di altre GSA.

4.8.

Con riferimento all’articolo 7, paragrafo 4, il Comitato ritiene che, per evitare di raggiungere un punto di non ritorno nella redditività delle imprese, sarebbe opportuno prevedere una soglia minima di giorni al di sotto della quale non si dovrebbero operare riduzioni ulteriori.

4.9.

Il Comitato è d’accordo che, in linea generale, l’attività sia limitata a 12 ore per giorno di pesca e a cinque giorni di pesca alla settimana, o a una durata equivalente, come previsto dall’articolo 9, paragrafo 3, ma raccomanda che vengano consentite alcune eccezioni, debitamente giustificate e soggette a un’autorizzazione specifica, per l’attività in acque lontane o in zone di alto mare nel Mediterraneo, in modo da consentire un aumento dei tempi di viaggio (e non delle ore di pesca), come avviene già in alcuni paesi.

4.10.

Il CESE ritiene che l’articolo 9, paragrafo 5, dovrebbe lasciare aperta la possibilità di scambiare la capacità tra le diverse zone di gestione, ove ciò sia consentito dal miglioramento dello stato delle risorse, in conformità con i criteri già stabiliti dalla legislazione sui massimali totali di capacità.

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Regolamento (CE) n. 1967/2006 del Consiglio, del 21 dicembre 2006, relativo alle misure di gestione per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nel Mar Mediterraneo e recante modifica del regolamento (CEE) n. 2847/93 e che abroga il regolamento (CE) n. 1626/94 (GU L 409 del 30.12.2006, pag. 9).


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/107


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano (rifusione)»

[COM(2017) 753 final — 2017/0332(COD)]

(2018/C 367/21)

Relatore:

Gerardo LARGHI

Consultazione

Parlamento europeo, 8.2.2018

Consiglio, 28.2.2018

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

13.2.2018

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

26.6.2018

Adozione in sessione plenaria

12.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

161/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta della Commissione volta ad aggiornare la direttiva sulle acque potabili, condividendone in ampia parte la struttura, gli obiettivi e le misure. Il Comitato evidenzia con soddisfazione che per la prima volta un percorso legislativo avviato con un’iniziativa dei cittadini europei viene portato a compimento, rispettandone gli auspici generali. Il Comitato sottolinea inoltre che più del 99 % dell’acqua potabile dell’UE è conforme alla vigente direttiva 98/83/CE.

1.2.

In linea con i suoi pareri precedenti (1), il CESE si rammarica che la proposta di direttiva non preveda esplicitamente il riconoscimento del diritto universale di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, così come richiesto dall’iniziativa Right2Water e contenuto negli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (2).

1.3.

Il Comitato ritiene che il modello dell’OMS, basato su quantità minime di acqua al giorno per persona, potrebbe rappresentare una valida opzione. È importante che su questo tema si mantenga un approccio olistico (3), integrando le normative in materia di sostenibilità ed economia circolare così come le dimensioni ambientale, economica e sociale (4).

1.4.

Il CESE ritiene che la Commissione debba: accogliere i valori parametrici suggeriti dall’OMS; mantenere il meccanismo delle deroghe così come esso è oggi normato; rivedere l’automatismo previsto dall’articolo 12 della direttiva. Questa proposta è finalizzata a garantire i migliori standard di qualità unitamente all’individuazione di protocolli che si attivino nei momenti di reale rischio per gli utenti.

1.5.

Il CESE è favorevole a introdurre misure a carico degli Stati membri per favorire l’accesso all’acqua potabile ai soggetti vulnerabili o che vivono in località isolate, o in aree rurali svantaggiate o periferiche. Tuttavia l’attuazione dettagliata delle misure andrebbe effettuata, in linea con il principio di sussidiarietà, in accordo con gli Stati membri.

1.6.

Il CESE è felice di riscontrare l’adozione dei principi di precauzione e «chi inquina paga» (5), ed è favorevole all’organizzazione di campagne di comunicazione per favorire un uso più diffuso e consapevole dell’acqua pubblica, raccomandando l’utilizzo di tutti gli strumenti disponibili e non solo di quelli online.

1.7.

Il CESE riconosce che la direttiva contiene significative novità in tema di monitoraggio e trasparenza delle informazioni. Tuttavia, al fine di rafforzare la consapevolezza degli utenti sull’importanza di consumare acqua del rubinetto, si raccomanda che le informazioni veicolate siano chiare e comprensibili. Il CESE sottolinea l’importanza del ruolo delle PMI nella distribuzione dell’acqua. Al fine di evitare oneri burocratici per le PMI, i ruoli devono essere proporzionati.

1.8.

Il CESE ritiene importante monitorare le fonti di approvvigionamento dell’acqua conformemente alla direttiva 2000/60/CE, creando — là dove necessario — riserve idriche con cui rispondere alle emergenze; studiando nuovi approcci a fonti alternative come l’acqua piovana; pensando un uso più razionale delle falde freatiche al fine di limitare gli sprechi.

1.9.

Il CESE ritiene che l’acqua per uso domestico rientri nell’economia circolare e che sia importante che la direttiva della Commissione la inserisca in quel contesto, stabilendo nuove regole per la produzione, il recupero e la riutilizzazione delle acque reflue.

1.10.

Il CESE è preoccupato del fatto che i maggiori costi previsti per i controlli e per gli interventi di ammodernamento e messa a norma della rete possano ricadere solo sui consumatori finali e non vengano invece ripartiti anche tra le amministrazioni pubbliche e le aziende fornitrici.

1.11.

Il CESE auspica che gli Stati membri creino una tariffazione adattata dell’acqua per i cittadini meno abbienti o al di sotto della soglia di povertà, così come per coloro che vivono nelle zone rurali svantaggiate. Contestualmente il Comitato raccomanda misure volte a scoraggiare un uso sproporzionato dell’acqua, incentivando così i comportamenti virtuosi. Ciò dovrebbe valere anche per gli usi industriali e agricoli. Il CESE sottolinea la necessità di un’efficiente manutenzione della rete di approvvigionamento idrico. Questa misura dovrebbe ridurre il divario tra i volumi immessi nella rete e i volumi fatturati, al fine di combattere gli sprechi. È altresì fondamentale, per assicurare la solidarietà con le fasce di popolazione a basso reddito, mantenere tariffe decrescenti per i grandi utilizzatori, che potrebbero contribuire a ridurre gli oneri fissi.

1.12.

Il CESE ritiene che l’acqua sia un bene pubblico primario. Per questa ragione falde acquifere, bacini idrogeologici e grandi riserve naturali di acqua non dovranno più essere privatizzati, o comunque dovranno rimanere nella pubblica disponibilità. Al fine di garantire la disponibilità di acqua potabile per tutti, uno Stato membro può coinvolgere operatori privati nella distribuzione dell’acqua per uso domestico o industriale. I soggetti privati dovrebbero tuttavia svolgere un ruolo di supporto e non preponderante rispetto alla presenza di soggetti di diritto pubblico.

1.13.

Il CESE chiede, per il futuro, che vi sia una differenziazione tra il riconoscimento del diritto all’acqua e quello della tutela della salute.

2.   Contesto

2.1.

L’acqua potabile è un bene primario, fondamentale per la salute, il benessere e la dignità di ogni essere umano. La qualità della vita di ogni individuo, così come le attività economiche e produttive, sono sensibilmente influenzate dalla disponibilità di acqua o dalle perturbazioni del ciclo idrogeologico.

2.2.

Ad oggi circa il 40 % della popolazione mondiale dipende da bacini transfrontalieri per l’approvvigionamento idrico, ed entro il 2030 circa 2 miliardi di persone potrebbero vivere in aree colpite da carenza di acqua.

2.3.

Il territorio dell’UE è senza dubbio uno dei più virtuosi nella gestione dell’acqua potabile ma ancora due milioni di cittadini europei non fruiscono di risorse idriche sicure, pulite e a buon mercato, per quanto oltre il 99 % dell’acqua potabile corrisponda ai requisiti di cui alla direttiva 98/83/CE.

2.4.

La qualità dell’acqua ha un impatto sulla catena alimentare e, conformemente al regolamento (CE) 178/2002, occorre garantire l’accesso ad acqua pulita in tutti i segmenti della catena alimentare.

2.5.

Numerosi fattori, quali ad esempio l’aumento della popolazione mondiale, la crescente necessità di acqua ad uso domestico, industriale e agricolo, l’inquinamento e il cambio climatico stanno generando nuove sfide in merito all’approvvigionamento, accesso, gestione e riciclo delle acque. Ciò incita ad aggiornare la normativa vigente e, tra le altre, la direttiva 98/83/CE.

2.6.

Nel 2013 l’Iniziativa dei cittadini europei denominata Right2Water ha raccolto oltre 1,8 milioni di adesioni proprio con l’obiettivo di aggiornare la legislazione vigente alle nuove sfide, chiedendo alla base il riconoscimento del diritto universale di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari (6).

2.7.

Il Parlamento europeo (7) e il CESE (8) hanno fortemente sostenuto questa iniziativa, la quale ha trovato il suo fondamento nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (9).

2.8.

Per effetto dell’iniziativa Right2Water, la Commissione ha lanciato una pubblica consultazione (10) seguita da una consultazione formale di tutti gli stakeholder pertinenti, che ha portato tra l’altro alla revisione della direttiva 98/83/CE nel contesto del programma REFIT. L’accesso all’acqua potabile e di qualità così come la sua gestione efficiente rappresentano uno degli assi del Pilastro sociale europeo, della prevenzione sanitaria e dell’approvvigionamento di prodotti alimentari di buona qualità e, assieme al riutilizzo dell’acqua, possono essere parte del Piano di azione per l’economia circolare (11).

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

I pilastri che la direttiva individua sono: l’aggiornamento dell’elenco dei parametri; l’introduzione dell’approccio basato sul rischio; il miglioramento delle regole sulla trasparenza e sull’accesso dei consumatori a informazioni aggiornate; una maggiore trasparenza e accesso ai dati; il miglioramento del libero commercio di materiali a contatto con l’acqua potabile; l’accesso all’acqua potabile da parte di tutti.

3.2.

La proposta prevede un innalzamento dei parametri applicabili alle acque destinate all’uso umano parzialmente in linea con le specifiche raccomandazioni dell’OMS (12) per garantirne la salubrità; maggiori controlli su agenti patogeni e legionella; nuovi parametri chimici e sugli interferenti endocrini; limiti più restrittivi per il piombo e il cromo.

3.3.

Gli Stati membri provvedono affinché la fornitura, il trattamento e la distribuzione di acqua destinata al consumo umano siano improntati a un approccio basato sul rischio dei pericoli attinenti ai corpi idrici utilizzati per l’estrazione di acqua, la fornitura, la distribuzione domestica (per quest’ultima le valutazioni saranno triennali, mentre quelle per il rischio connesso alla fornitura saranno ogni 6 anni).

3.3.1.

Gli Stati dispongono della facoltà di adottare controlli supplementari per sostanze o microorganismi per i quali non siano stati fissati parametri.

3.3.2.

Il nuovo approccio basato sul rischio si affianca al principio «chi inquina paga».

3.4.

La proposta introduce disposizioni per ridurre le differenze esistenti ed armonizzare gli standard relativi ai materiali a contatto con l’acqua, che ad oggi rappresentano un ostacolo al libero commercio.

3.5.

Gli Stati membri sono chiamati a garantire l’accesso all’acqua a tutti, con particolare attenzione ai soggetti vulnerabili ed emarginati; a migliorare la qualità del servizio ove questo sia già offerto; a garantire costi accessibili per l’acqua domestica; ad avviare campagne per incentivare l’uso dell’acqua potabile, per informarli sulla qualità dell’acqua potabile nel proprio territorio, sulle misure adottate per il controllo, la raccolta e lo smaltimento delle acque reflue.

3.6.

I nuovi costi saranno per la maggior parte a carico dei gestori dell’acqua, mentre i consumatori dovrebbero veder lievitare marginalmente le loro bollette; in ogni caso la direttiva esclude il rischio di un costo proibitivo dell’acqua potabile. La spesa per famiglia potrebbe aumentare tra 0,73 % e 0,76 %, cioè tra 7,90 e 10,40 EUR l’anno, ma la migliore qualità dell’acqua domestica potrebbe convincere ad abbandonare il consumo di acqua in bottiglia.

3.7.

Le eventuali perdite di posti di lavoro potrebbero essere compensate da un aumento di occupazione nel comparto dell’erogazione dell’acqua e da risparmi in tema di imballaggi e riciclo della plastica. I posti di lavoro dovranno essere creati anzitutto là dove sono le fonti di approvvigionamento.

3.8.

È prevista una ricaduta positiva per le PMI, in particolare quelle legate all’analisi e al trattamento delle acque. I costi amministrativi per le autorità nazionali sono considerati trascurabili o in calo.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE ha dedicato grande attenzione alla proposta della Commissione volta ad aggiornare la direttiva sulle acque potabili. In modo particolare, il Comitato esprime soddisfazione per il fatto che per la prima volta un percorso legislativo avviato con un’Iniziativa dei cittadini europei sia portato a compimento, rispettandone gli auspici generali. Il Comitato sottolinea tuttavia che più del 99 % dell’acqua potabile dell’UE è conforme alla vigente direttiva 98/83/CE ed è di ottima qualità (13).

4.2.

Tuttavia, il Comitato si duole che la direttiva non preveda chiaramente il riconoscimento del diritto universale di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, così come richiesto dall’Iniziativa dei cittadini europei Right2Water, contenuto nella risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 25 settembre 2015«Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development», nonché tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (ob. n.o 6 «Ottenere l’accesso universale ed equo all’acqua potabile che sia sicura ed economica per tutti»).

4.3.

Il CESE condivide la scelta della Commissione di ricorrere allo strumento della direttiva, in quanto, secondo il principio di sussidiarietà, risponde meglio alle specifiche esigenze e problematiche esistenti a livello nazionale e locale, a condizione però che sia sempre mantenuto un approccio olistico che coinvolga in particolare tutte le altre normative in tema di sviluppo sostenibile ed economia circolare, al fine di garantire un approvvigionamento idrico di qualità.

4.4.

Il CESE propone che, in linea con il principio di sussidiarietà, gli Stati membri possono adottare misure specifiche volte a facilitare l’accesso all’acqua potabile per i soggetti vulnerabili ed emarginati. Tuttavia, il Comitato esprime forti perplessità sul combinato disposto tra l’eliminazione dell’attuale sistema di deroghe vigenti a livello nazionale e l’introduzione di meccanismi automatici ai sensi dall’articolo12 della direttiva. Tali misure, infatti, non tengono adeguatamente in considerazione le specificità territoriali e potrebbero generare improvvise interruzioni delle forniture senza un reale pericolo per la salute umana. In tale ottica, si invita a dare maggiore importanza alle tendenze rilevate nella composizione dell’acqua, piuttosto che a singoli dati episodici.

4.5.

Il Comitato è favorevole all’organizzazione di vaste campagne di comunicazione per informare i cittadini sulle nuove norme a tutela della salute e per favorire un uso più diffuso e consapevole dell’acqua pubblica. Dette campagne dovrebbero essere realizzate anche con strumenti non digitali in modo da coinvolgere tutte le fasce della popolazione. È opportuno che la Commissione valuti misure economiche a favore delle campagne di riciclo nonché a finanziamento di coloro che acquistino elettrodomestici a basso consumo di acqua.

4.6.

Il CESE sostiene la proposta di omogeneizzare le normative esistenti in tema di materiali a contatto con l’acqua potabile. Il Comitato, in particolare, ritiene che tale misura potrebbe favorire la generazione di importanti economie di scala nel mercato interno e progressi in campo sanitario.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Il CESE considera l’esperienza rappresentata dall’iniziativa Right2Water un importante caso di studio che la Commissione dovrà considerare nell’ottica di un rafforzamento dello strumento dell’Iniziativa dei cittadini europei. In particolare, il Comitato evidenzia che questa è la prima e unica iniziativa che ha completato il suo iter, certificando un’eccessiva complessità dello strumento sia nella fase di presentazione e di raccolta delle adesioni per il Comitato promotore, nonché di follow-up da parte della Commissione (14), come in parte già riconosciuto dalla recente proposta di regolamento COM(2017) 482.

5.2.

Il Comitato ritiene che il modello dell’OMS, basato su quantità minime di acqua al giorno per persona, potrebbe rappresentare una valida opzione (15). Il CESE considera fondamentale che l’UE sia a capo della battaglia contro la povertà idrica globale.

5.3.

In accordo con quanto previsto dalle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), è importante prevedere politiche verso gli utenti per migliorare l’accesso all’acqua potabile sulla base dei seguenti indicatori:

sicura: eventuali tracce di microrganismi patogeni e sostanze chimiche non devono eccedere la soglia di tollerabilità o generare rischi radiologici,

accettabile: l’acqua deve avere un colore, un odore e un sapore accettabili,

accessibile: tutti hanno il diritto a un servizio idrico e igienico-sanitario che sia fisicamente accessibile all’interno o nelle immediate vicinanze della famiglia, dell’istituto scolastico, del luogo di lavoro o dell’istituto sanitario,

conveniente: il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) suggerisce che i costi dell’acqua non dovrebbero superare il 3 % del reddito delle famiglie.

5.4.

Il CESE esprime preoccupazione per il rischio dell’aumento dei costi per i consumatori e rinnova la richiesta che tutti i cittadini possano vedere riconosciuto il proprio diritto all’acqua potabile a prezzi accessibili. Pertanto, si invitano gli Stati membri e la Commissione a vigilare, in un’ottica di maggiore trasparenza, sull’evoluzione dei prezzi.

5.5.

Il CESE ritiene che l’aggiornamento della direttiva potrebbe generare opportunità e nuovi posti di lavoro in molte PMI, soprattutto quelle impegnate nel campo delle analisi e dei controlli sull’acqua, delle manutenzioni e dei nuovi impianti. Tuttavia, il Comitato nota scarsa attenzione da parte della Commissione all’esistenza di un numero congruo di lavoratori dotati di adeguate competenze e capaci di sostenere le nuove sfide del settore. Il CESE sottolinea l’importanza del ruolo delle PMI nella distribuzione dell’acqua. Al fine di evitare oneri burocratici per le PMI, i ruoli devono essere proporzionati.

5.6.

Il CESE denuncia i rischi che la direttiva potrebbe generare nel settore della produzione di acque minerali, con forti ricadute sull’occupazione. Tale rischio non viene adeguatamente sviluppato dalla Commissione sia per quanto concerne il supporto alle aziende per eventuali riconversioni industriali, sia per i lavoratori per l’eventuale sostegno nelle fasi di non lavoro e rimodulazione delle loro competenze finalizzate al reinserimento lavorativo. Il CESE ritiene che tali problematiche necessitino di essere gestite a livello europeo attivando tutti gli strumenti previsti, tra cui il dialogo sociale.

5.7.

Il CESE ritiene importante monitorare le fonti di approvvigionamento dell’acqua conformemente alla direttiva 2000/60/CE, creando — là dove necessario — riserve idriche con cui rispondere alle emergenze; studiando nuovi approcci a fonti alternative come l’acqua piovana o la desalinizzazione; pensando un uso più razionale delle falde freatiche al fine di limitare gli sprechi.

Bruxelles, 12 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  Parere del CESE sul tema Acqua potabile e servizi igienico-sanitari: un diritto umano universale! (GU C 12 del 15.1.2015, pag. 33). Punto 1.8

(2)  Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 25 settembre 2015, Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development. Obiettivo no6: ottenere l’accesso universale ed equo all’acqua potabile che sia sicura ed economica per tutti.

(3)  Parere del CESE sul tema Partenariato europeo per l’innovazione relativo all’acqua (GU C 44 del 15.2.2013, pag. 147). Punto 1.2.

(4)  Cfr. parere CESE sul tema Integrazione della politica dell’acqua nelle altre politiche europee (GU C 248 del 25.8.2011, pag. 43). Punto 1.1.

(5)  Parere del CESE Piano per la salvaguardia delle risorse idriche europee (GU C 327 del 12.11.2013, pag. 93). Punto 1.5.

(6)  www.right2water.eu.

(7)  Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 settembre 2015 sul seguito all’Iniziativa dei cittadini europei «Right2Water» («L’acqua è un diritto»).

(8)  Parere del CESE sul tema Acqua potabile e servizi igienico-sanitari: un diritto umano universale! (GU C 12 del 15.1.2015, pag. 33).

(9)  Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 25 settembre 2015, Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development. Obiettivo no6: ottenere l’accesso universale ed equo all’acqua potabile che sia sicura ed economica per tutti.

(10)  La Commissione ha ricevuto oltre 5 900 risposte, e successivamente ha organizzato riunioni formali per discutere della trasparenza e dell’analisi comparativa.

(11)  COM(2017) 614 final.

(12)  Progetto di cooperazione sui parametri dell’acqua potabile dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’OMS «Sostegno alla revisione dell’allegato I della 98/83/CE del Consiglio concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano (direttiva sull’acqua potabile) — Raccomandazione», 11 settembre 2017.

(13)  COM 2016/666

(14)  Parere del CESE sul tema L’iniziativa dei cittadini europei (GU C 237 del 6.7.2018, pag. 74).

(15)  http://www.ohchr.org/Documents/Publications/FactSheet35en.pdf.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/112


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla messa in opera e al funzionamento del nome di dominio di primo livello .eu e che abroga il regolamento (CE) n. 733/2002 e il regolamento (CE) n. 874/2004 della Commissione»

[COM(2018) 231 final — 2018/0110 (COD)]

(2018/C 367/22)

Relatore:

Philippe DE BUCK

Consultazione

Parlamento europeo, 28.5.2018

Consiglio, 05.6.2018

Base giuridica

Articolo 172, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

28.6.2018

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

133/1/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE approva gli obiettivi della proposta di regolamento relativo alla messa in opera e al funzionamento del nome di dominio di primo livello .eu e che abroga il regolamento (CE) n. 733/2002 e il regolamento (CE) n. 874/2004 della Commissione. La finalità è, da un lato, quella di risolvere il problema di disposizioni datate e, dall’altro lato, quella di essere in grado di reagire più rapidamente agli sviluppi futuri.

1.2.

Il CESE desidera sottolineare il fatto che, data l’importanza di un identificatore relativo alla rete Internet per i cittadini, le imprese e le organizzazioni dell’UE, il nome di dominio .eu deve essere considerato come un servizio di interesse generale (SIG). Questo è il motivo per cui si dovrebbe prendere in considerazione la necessità che il registro sia un’organizzazione senza scopo di lucro, responsabile solo della gestione operativa del nome di dominio, e che l’eventuale utile sia trasferito al bilancio dell’UE.

1.3.

Il CESE, pur prendendo atto che la designazione del registro avviene in seguito a una procedura di selezione aperta, desidera sottolineare che si dovrebbe fare tutto il possibile per mantenere operativo il dominio .eu, senza perturbazioni del servizio. Una procedura di selezione aperta potrebbe avere un effetto negativo sulla stabilità del personale coinvolto, su quella delle relazioni con i numerosi conservatori del registro (registrar) e sulla fiducia riposta nel nome di dominio e sulla sua reputazione. Tutti i criteri di selezione devono pertanto essere precisamente definiti in anticipo, in particolare se il registro possa o no essere una società commerciale. In ogni caso, il CESE chiede che l’intero processo sia perfettamente trasparente.

1.4.

La Commissione dovrebbe stabilire se il registro debba essere o no un’organizzazione senza scopo di lucro.

1.5.

Il CESE appoggia la creazione di un Consiglio multilaterale e auspica di esservi rappresentato.

1.6.

Il CESE accoglie con favore l’ampliamento delle condizioni alle quali è possibile per le persone fisiche ottenere un nome di dominio .eu. La residenza in uno Stato membro dell’Unione europea non è più un prerequisito. Permettere a ogni cittadino di uno Stato membro, qualunque sia il suo paese di residenza, di ottenere un nome di dominio .eu non solo aumenterà la visibilità dell’Unione, ma segnalerà esplicitamente un’affinità con l’UE.

1.7.

La Brexit avrà conseguenze per i criteri di ammissibilità quando, e se, il Regno Unito uscirà dall’Unione europea, o quando un eventuale periodo di transizione giungerà a termine. Tutti gli organi che si occupano di governance e delle responsabilità operative del nome di dominio .eu dovrebbero prepararsi alle nuove circostanze e i proprietari interessati del nome di dominio .eu. dovrebbero essere informati in tempo utile in merito alla revoca dei loro diritti. Si dovrebbero fissare scadenze realistiche.

1.8.

Il CESE chiede un periodo di transizione senza scosse con riferimento all’attuale operatore. Poiché il contratto dell’attuale registro, vale a dire EURid, viene a scadenza nell’ottobre 2019 ed è probabile che il nuovo regolamento e gli atti di esecuzione della Commissione non saranno integralmente applicabili a tale data, sarà necessario un periodo di transizione, il che significa che il contratto con EURid dovrà essere prorogato o rinegoziato. Il CESE ritiene che, poiché il contratto può dover essere modificato, tali negoziati dovrebbero essere avviati al più presto al fine di evitare perturbazioni nel funzionamento del nome di dominio .eu.

2.   Introduzione

2.1.

Il dominio di primo livello (TLD) .eu è il nome di dominio dell’Unione europea e dei suoi cittadini. Esso è assegnato all’UE ed è gestito dalla Commissione europea. È stato istituito dal regolamento (CE) n. 733/2002 relativo alla messa in opera e al funzionamento del dominio di primo livello .eu. È inoltre disciplinato dalle norme del regolamento (CE) n. 874/2004 della Commissione, del 28 aprile 2004, e successive modifiche, che stabilisce le disposizioni applicabili alla messa in opera e alle funzioni del dominio di primo livello .eu e i principi relativi alla registrazione. Il dominio TLD .eu è stato delegato (cioè pubblicato nel database della zona root) dall’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) nel marzo 2005 ed è stato lanciato nell’aprile 2006 dopo un cosiddetto sunrise period (periodo in cui la registrazione dei nomi di dominio è riservata esclusivamente ai loro titolari e organismi pubblici) nel dicembre 2005.

2.2.

Il TLD .eu è stato istituito con l’obiettivo di rafforzare l’identità online dell’Unione europea e dei suoi cittadini, promuovendo l’immagine dell’Unione europea nelle reti globali dell’informazione e migliorando la visibilità del mercato interno dell’UE al livello del mercato virtuale di Internet.

2.3.

In linea con gli obiettivi della strategia per il mercato unico digitale, il dominio di primo livello .eu consente alle imprese e ai cittadini europei di partecipare al commercio elettronico e fa crescere la loro presenza nel mercato unico online.

2.4.

Il registro del TLD .eu è un’organizzazione scelta dalla Commissione europea sulla base di una procedura di selezione aperta per un periodo di cinque anni. Sin dall’inizio, esso è stato gestito da EURid, un organismo senza scopo di lucro che opera sotto contratto per la Commissione europea. L’attuale contratto con EURid scade nell’ottobre 2019. Fino a ora il nome di dominio .eu è stato ben gestito. EURid ha ricevuto un premio come miglior registro sulla base di un sondaggio sulla soddisfazione dei registrar.

2.5.

È possibile registrare nomi di dominio .eu attraverso una rete di «conservatori del registro (registrar) accreditati». Attualmente, il dominio .eu può essere registrato solo da una persona fisica, da un’impresa o da un’organizzazione («registrante») residenti o stabilite nell’Unione europea, in Islanda, Liechtenstein o Norvegia (restrizione relativa alla residenza).

2.6.

Alcuni nomi geografici sono riservati. Possono procedere a riservare tali nomi le istituzioni dell’UE, gli Stati membri, i paesi del SEE e i paesi che hanno in corso negoziati per l’adesione all’UE, nonché l’EURid. Il regolamento (CE) n. 1654/2005 stabilisce l’elenco dei nomi riservati (per esempio «republicaportuguesa», «hrvatska») e precisa che i nomi nell’elenco di cui all’allegato del regolamento possono essere riservati o registrati solo come nomi di dominio di secondo livello direttamente nel dominio di primo livello .eu.

2.7.

Il TLD .eu è uno dei principali domini di primo livello a livello internazionale. Secondo i dati della Commissione, vi sono oltre 3,8 milioni di registrazioni. Dopo i nomi di dominio .de, .uk e .nl è il quarto maggiore TLD a livello europeo. Vi sono oltre 700 registrar accreditati in tutto il mondo. L’aumento delle registrazioni del dominio .eu dalla sua introduzione è significativo, ma negli ultimi anni la sua curva di crescita si è appiattita. Il tasso medio di rinnovo (80 %) è superiore al tasso medio generale di rinnovo (70-75 %). Inoltre, l’utilizzo di applicazioni mobili, motori di ricerca e social media per accedere a contenuti online riduce la visibilità dei nomi di dominio, esercitando una pressione sui nomi di dominio tradizionali.

2.8.

Dall’adozione dei regolamenti relativi al TLD .eu il contesto politico e legislativo dell’Unione e l’ambiente e il mercato online sono cambiati notevolmente. Con il rapido sviluppo di nuovi domini di primo livello generici (ad esempio, .top, .trade, .club o .xyz), la concorrenza nel settore dei nomi di dominio è considerevolmente cresciuta. Ciò ha avuto un impatto sulla dinamica registri-registrar. Questi ultimi hanno ora più potere per decidere su quali registri ottenere una migliore visibilità quando offrono nomi di dominio ai loro clienti. Al tempo stesso, la governance di Internet e la dinamica dell’ecosistema TLD hanno subito importanti modifiche tecniche. L’operatore del registro del TLD .eu deve soddisfare requisiti di qualità sempre più complessi.

2.8.1.

Inoltre, l’avvento e l’espansione delle piattaforme dei social media hanno cambiato la domanda di identificatori unici on line. Gli identificatori unici online sono qualsiasi tipo di stringhe (domini, nomi di utenti), che consentono una presenza online. Le persone fisiche e le PMI hanno alternative convenienti e comode per stabilire la loro presenza online. Ciò ha un impatto significativo sul mercato dei nomi di dominio.

2.9.

Secondo la Commissione, i principali problemi da risolvere dell’attuale quadro di riferimento sono i seguenti:

2.9.1.

Il TLD .eu è disciplinato da un quadro ormai datato e rigido, poiché i) comprende disposizioni obsolete o rigide che non possono essere facilmente aggiornate. Il regolamento contiene disposizioni molto dettagliate, che potrebbero non essere più pertinenti, con effetti sulla gestione quotidiana del dominio .eu, e non ha la flessibilità necessaria per tenere il passo in modo efficiente con un mercato del sistema dei nomi di dominio (DNS) in costante evoluzione.

2.9.2.

L’attuale assetto normativo non fornisce una struttura di governance ottimale in termini di sorveglianza e responsabilità, in relazione all’operatore del registro, non tiene conto della pluralità di partecipanti nel quadro della governance di Internet e non offre alla Commissione sufficienti poteri di vigilanza nei confronti dell’operatore del registro.

2.9.3.

Le norme attuali non consentono al registro TLD .eu di vendere nomi di dominio .eu direttamente ai clienti. Ciò può ridurre la sua capacità di commercializzare i propri servizi in modo efficace.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1.

Gli elementi fondamentali della proposta sono:

3.1.1.

Un quadro giuridico che comprende:

norme basate su un approccio di principio, flessibili e adeguate alle esigenze future;

procedure di comitato limitate agli aspetti chiave della gestione del TLD .eu, come i criteri di selezione per l’operatore del registro o i nomi di dominio riservati;

un contratto tra la Commissione e l’operatore del registro che contiene in dettaglio tutti i principi e le procedure pertinenti, incluso un allegato con le politiche e le procedure relative alla gestione dei nomi di dominio. Ciò significherebbe che qualsiasi modifica tecnica in futuro richiederebbe una revisione del contratto.

3.1.2.

Miglioramenti per quanto riguarda la governance e la gestione del TLD .eu, mediante:

un organo consultivo il Consiglio multipartecipativo, per assistere e consigliare la Commissione sulla corretta attuazione del regolamento e sul funzionamento del dominio .eu;

nuovi poteri di supervisione della Commissione nei confronti del registro, con l’obiettivo di una migliore supervisione dell’organizzazione, dell’amministrazione e della gestione del TLD .eu da parte del registro e della verifica della conformità con il regolamento. Il registro sarà oggetto di una valutazione ogni due anni da parte di un revisore esterno.

3.1.3.

Ampliamento degli attuali criteri di ammissibilità per la registrazione di nomi di dominio .eu:

Avranno facoltà di registrare un dominio .eu i cittadini dell’UE residenti in paesi terzi come pure le persone fisiche e le imprese di paesi terzi con base nell’Unione europea (residenti/stabilite, rispettivamente).

3.1.4.

Rimozione dei divieti rigorosi sulla separazione verticale:

La Commissione potrebbe estendere l’ambito dei servizi forniti dal registro (vendita dei nomi di dominio agli utenti finali; registrazioni dirette dei nomi di dominio nel sito web del registro) fatta salva l’applicazione delle regole di concorrenza leale.

3.2.

La Commissione provvederà a monitorare l’applicazione del regolamento e presenterà una relazione sulla sua valutazione al più tardi cinque anni dopo la data della sua entrata in vigore. L’evoluzione del TLD .eu sarà poi regolarmente monitorata tramite la presentazione di una relazione sull’attuazione, l’efficacia e il funzionamento del nome di dominio tre anni dopo la presentazione della relazione di valutazione di cui sopra e in seguito ogni tre anni.

3.3.

La proposta è coerente con gli obiettivi della strategia per il mercato unico digitale, tra cui la promozione dell’imprenditorialità e delle nuove imprese europee, rafforzando nel contempo la sicurezza e la fiducia nell’ambiente online. Il regolamento dovrebbe essere attuato nel rispetto dei diritti fondamentali in materia di protezione dei dati, della privacy, della sicurezza e del multilinguismo. La protezione dei dati personali fin dalla progettazione e la protezione dei dati per impostazione predefinita dovrebbero essere integrate in tutti i sistemi di elaborazione e in tutte le basi di dati sviluppate e/o oggetto di manutenzione.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE approva gli obiettivi della proposta di regolamento relativo alla messa in opera e al funzionamento del nome di dominio di primo livello .eu e che abroga il regolamento (CE) n. 733/2002 e il regolamento (CE) n. 874/2004 della Commissione. L’obiettivo è, da un lato, quello di risolvere il problema di disposizioni datate e, dall’altro lato, quello di essere in grado di reagire più rapidamente agli sviluppi futuri.

4.2.

Il CESE desidera sottolineare il fatto che, data l’importanza di un identificatore relativo alla rete Internet per i cittadini, le imprese e le organizzazioni dell’UE, il nome di dominio .eu deve essere considerato come un servizio di interesse generale (SIG). Questo è il motivo per cui si dovrebbe prendere in considerazione la necessità che il registro sia un’organizzazione senza scopo di lucro, responsabile solo della gestione operativa del nome di dominio, e che l’eventuale utile sia trasferito al bilancio dell’UE.

4.3.

Il CESE, pur prendendo atto che la designazione del registro avviene in seguito a una procedura di selezione aperta, desidera sottolineare che si dovrebbe fare tutto il possibile per mantenere operativo il dominio .eu, senza perturbazioni del servizio. Una procedura di selezione aperta potrebbe avere un effetto negativo sulla stabilità del personale coinvolto, su quella delle relazioni con i numerosi conservatori del registro (registrar) e sulla fiducia riposta nel nome di dominio e sulla sua reputazione. Tutti i criteri di selezione devono pertanto essere precisamente definiti in anticipo, in particolare se il registro possa o no essere una società commerciale.

4.4.

L’ambiente e il mercato del nome di dominio sono effettivamente in evoluzione a causa di nuove parti interessate nell’ambito di Internet, della moltiplicazione dei nomi di dominio generici e del rapido sviluppo della comunicazione via Internet da parte delle imprese e degli utenti privati.

4.5.

Il CESE appoggia il fatto che il nuovo regolamento sia basato su un approccio di principio, il che significa che le norme fissano solo i grandi principi di base. Ciò comporta che una serie di elementi normativi specifici, quali i nomi di dominio riservati e i criteri per la selezione del registro, saranno definiti dettagliatamente dalla Commissione tramite atti di esecuzione e la procedura di comitato. Altre specifiche, più dettagliate, imposte al registro selezionato saranno oggetto di trattative e stabilite come elementi del contratto.

4.6.

Sebbene il CESE sia favorevole a un approccio più flessibile nei negoziati sul regolamento e sul contratto, chiede che l’intero processo della procedura di selezione aperta e della negoziazione del contratto sia interamente trasparente fin dall’inizio e per tutta la sua durata. I registri candidati dovrebbero avere ben chiari gli obblighi, le condizioni e i diritti nel momento in cui preparano le loro risposte alla procedura di selezione nonché al momento di preparare le trattative contrattuali.

4.6.1.

Rispetto all’attuale regolamento, il nuovo regolamento non esclude l’integrazione verticale, il che significa che i registri possono anche fungere da registrar e offrire il nome di dominio .eu al mercato. Il CESE potrebbe accettare quest’innovazione, specialmente nei paesi o nelle regioni i cui i registranti hanno una limitata scelta di conservatori del registro (registrar). Ciò stimolerebbe un aumento della penetrazione nel mercato del nome di dominio .eu, in particolare per le sue varianti in altri caratteri.

4.6.2.

Analogamente, in base alla nuova proposta, il registro designato non dovrà essere obbligatoriamente un’organizzazione senza scopo di lucro. Se la Commissione lo conferma, questo approccio costituirà, secondo il CESE, un cambiamento importante che avrà conseguenze significative. Questo deriva dal fatto che le organizzazioni commerciali agiranno in modo diverso, poiché dovranno ricavare un profitto dal nome di dominio .eu e gli utili generati dal registro non saranno più trasferiti al bilancio dell’UE. Il CESE chiede alla Commissione di chiarire questo punto il prima possibile, in modo tale che il processo legislativo possa svilupparsi disponendo di tutte le informazioni pertinenti.

4.6.3.

Come indicato nella valutazione d’impatto, è opportuno mettere in evidenza il fatto che l’Unione europea ha beneficiato della struttura del registro attuale perché tale struttura ha permesso alla Commissione di sostenere una serie di progetti e di iniziative quali le riunioni di EuroDIG e dell’ICANN a Bruxelles.

4.7.

Un nuovo importante elemento sarà la creazione di un Consiglio multipartecipativo, che, secondo il considerando 20, sarà basato su una serie coerente di principi di governance di Internet globale e inclusiva. Il Consiglio multipartecipativo .eu sarà costituito, a norma dell’articolo 14, paragrafo 2, dai seguenti sei gruppi: rappresentanti degli Stati membri del settore privato, della società civile e del mondo accademico, delle organizzazioni internazionali e della comunità tecnica.

4.7.1.

Il CESE condivide pienamente tale approccio in quanto, per quel che riguarda Internet, tali parti interessate saranno in grado di consigliare le istituzioni dell’UE sui principi, norme, regole, procedure decisionali e programmi condivisi che determinano l’uso e lo sviluppo di Internet. Tuttavia, il CESE sottolinea che è importante precisare più chiaramente che il ruolo del Consiglio multipartecipativo non sarà quello di intervenire nella gestione operativa del dominio .eu. Pertanto chiede alla Commissione di chiarire il ruolo e la portata di detto Consiglio. Devono essere fornite risorse finanziarie sufficienti perché tale Consiglio possa di funzionare adeguatamente.

4.7.2.

Sembra logico affermare che il Comitato, in quanto rappresentante della società civile organizzata, e tenendo conto degli importanti lavori che esso ha prodotto (anche su temi pertinenti quali la digitalizzazione dell’economia e l’evoluzione del commercio elettronico), ha le credenziali necessarie per essere rappresentato in seno al Consiglio.

4.8.

Il CESE si compiace anche del fatto che la supervisione del rispetto degli obblighi giuridici di tutti i processi eseguiti dal registro sarà rafforzata dall’imposizione di una valutazione esterna da effettuare ogni due anni. Inoltre, il Consiglio multipartecipativo fornirà consulenza sulle modalità e la portata della valutazione.

4.9.

Il CESE accoglie con favore l’ampliamento delle condizioni alle quali è possibile per le persone fisiche ottenere un nome di dominio .eu. La residenza in uno Stato membro dell’Unione europea non è più un prerequisito. Permettere a ogni cittadino di uno Stato membro, qualunque sia il suo paese di residenza, di ottenere un nome di dominio .eu non solo aumenterà la visibilità dell’Unione, ma segnalerà esplicitamente un’affinità con l’UE.

5.   Osservazioni particolari

5.1.

Poiché il contratto dell’attuale registro, vale a dire EURid, viene a scadenza nell’ottobre 2019 ed è probabile che il nuovo regolamento e gli atti di esecuzione della Commissione non saranno integralmente applicabili a tale data, sarà necessario un periodo di transizione, il che significa che il contratto con EURid dovrà essere prorogato o rinegoziato. Il CESE ritiene che, poiché il contratto può dover essere modificato, tali negoziati dovrebbero essere avviati al più presto al fine di evitare perturbazioni nel funzionamento del nome di dominio .eu.

5.2.

Il CESE si compiace del fatto che le procedure per la risoluzione alternativa delle controversie (ADR) siano completate da meccanismi di risoluzione delle controversie online (ODR).

5.3.

In base al considerando 16 e all’articolo 11, lettera f) le autorità competenti possono avere accesso ai dati del registro a fini di prevenzione, accertamento e perseguimento di reati. L’attuale formulazione lascia intendere che le autorità incaricate dell’applicazione della legge possono avere libero accesso ai dati di registrazione. Qualsiasi obbligo giuridico di cooperazione con le autorità competenti dovrebbe altresì evidenziare il sistema di controllo e di equilibrio (checks and balances) e i limiti relativi a tali obblighi.

5.4.

L’articolo 12, paragrafo 1, stabilisce che «Il registro istituisce e gestisce un database WHOIS al fine di fornire informazioni di registrazione precise e aggiornate circa i nomi di dominio sotto il TLD .eu». Garantire la precisione delle informazioni nel database WHOIS è problematico nel Sistema di nomi di dominio (DNS) in cui i dati sono introdotti per opera di più soggetti, sui quali il registro ha scarsi poteri di controllo effettivo. Per esempio, in genere è il registrar che è titolare del contratto concluso con l’utente finale (registrante). Mentre alcuni registri attuano controlli a posteriori per verificare l’accuratezza dei dati, non è possibile per un registro di nomi di dominio garantire che le informazioni nel database WHOIS siano precise o aggiornate al 100 %. Vi è il rischio che una tale disposizione stabilisca un livello di precisione non realistico e irraggiungibile.

5.5.

La definizione del termine «registro» (articolo 2, lettera a)], comprende la seguente formulazione «e la distribuzione dei file di zona relativi ai domini di primo livello». Il linguaggio è ambiguo e potrebbe essere interpretato nel senso di un obbligo da parte del registro di pubblicare i suoi file di zona. La maggior parte dei domini di primo livello geografici non pubblica i propri file di zona per ragioni di tutela della vita privata e di sicurezza informatica. La formulazione della definizione dovrebbe chiarire che la pubblicazione dei file di zona non è richiesta.

5.6.

La Brexit avrà conseguenze per i criteri di ammissibilità quando, e se, il Regno Unito uscirà dall’Unione europea, o quando un eventuale periodo di transizione giungerà a termine. Tutti gli organi che si occupano di governance e delle responsabilità operative del nome di dominio .eu dovrebbero prepararsi alle nuove circostanze e i proprietari interessati del nome di dominio .eu. dovrebbero essere informati in tempo utile in merito alla revoca dei loro diritti. Si dovrebbero fissare scadenze realistiche.

Bruxelles, 11 luglio 2018

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/117


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica alle Direttive 2006/112/CE e 2008/118/CE per quanto riguarda l’inclusione del comune italiano di Campione d’Italia e delle acque nazionali del Lago di Lugano nel territorio doganale dell’Unione e nell’ambito di applicazione territoriale della direttiva 2008/118/CE»

[COM(2018) 261 final — 2018/0124 (CNS)]

(2018/C 367/23)

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 29.5.2018

Base giuridica

Articolo 113 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

174/0/2

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato decide all’unanimità di rinunciare alla discussione generale e di passare direttamente alla votazione (articolo 50, paragrafo 4, e articolo 56, paragrafo 3, del Regolamento interno).

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/118


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto con riguardo al periodo di applicazione del meccanismo facoltativo di inversione contabile alla cessione di determinati beni e alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi e del meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA»

[COM(2018) 298 final — 2018/0150(CNS)]

(2018/C 367/24)

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 11.6.2018

Base giuridica

Articolo 113 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

175/1/3

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente ed essendosi già pronunciato al riguardo nel proprio parere adottato il 31 maggio 2017 (1), il Comitato, nel corso della 536a sessione plenaria dei giorni 11 e 12 luglio 2018 (seduta dell’11 luglio 2018), ha deciso, con 175 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(1)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 52.


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/119


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 110/2008 per quanto riguarda le quantità nominali per l’immissione sul mercato dell’Unione di shochu prodotto mediante distillazione singola in alambicco e imbottigliato in Giappone»

[COM(2018) 199 final — 2018/0097 COD]

(2018/C 367/25)

Consultazione

Parlamento europeo, 2.5.2018

Consiglio dell'Unione europea, 30.4.2018

Base giuridica

Articolo 114, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

170/0/5

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 536a sessione plenaria dei giorni 11 e 12 luglio 2018 (seduta dell’11 luglio 2018), ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 170 voti favorevoli, 0 voti contrari e 5 astensioni.

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


10.10.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 367/120


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 2003/17/CE del Consiglio per quanto riguarda l’equivalenza delle ispezioni in campo effettuate in Brasile sulle colture di sementi di piante foraggere e di cereali e l’equivalenza delle sementi di piante foraggere e di cereali prodotte in Brasile, e per quanto riguarda l’equivalenza delle ispezioni in campo effettuate in Moldova sulle colture di sementi di piante di cereali, di ortaggi e di piante oleaginose e da fibra e all’equivalenza delle sementi di piante di cereali, di ortaggi e di piante oleaginose e da fibra prodotte in Moldova»

[COM(2017) 643 final — 2017/0297 (COD)]

(2018/C 367/26)

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 18.6.2018

Base giuridica

Articolo 43, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sessione plenaria

11.7.2018

Sessione plenaria n.

536

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

166/0/4

Il 18 giugno 2018 il Consiglio ha deciso di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al testo di compromesso 9299/18, approvato dal Comitato dei Rappresentanti permanenti nella riunione del 27 aprile 2018 a seguito della modifica della base giuridica volta a fare riferimento all’articolo 43, paragrafo 2, del TFUE.

Essendosi già pronunciato sul contenuto della proposta originaria nel proprio parere EESC 2018/00043 (NAT/726) adottato il 14 febbraio 2018 (*1), il Comitato, nel corso della 536a sessione plenaria, dei giorni 11 e 12 luglio 2018 (seduta dell’11 luglio 2018), ha deciso, con 166 voti favorevoli, 0 voti contrari e 4 astensioni, di non procedere all’elaborazione di un nuovo parere in merito e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel suddetto parere.

Bruxelles, 11 luglio 2018.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Luca JAHIER


(*1)  GU C 227 del 28.6.2018, pag. 76.