ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 129

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

61° anno
11 aprile 2018


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

530a sessione plenaria del CESE dei giorni 6 e 7 dicembre 2017

2018/C 129/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Distribuzione ineguale della ricchezza in Europa: disparità tra gli Stati membri in termini di ripartizione profitti-lavoro [parere d’iniziativa]

1

2018/C 129/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sui sistemi sostenibili di sicurezza e protezione sociale nell’era digitale (parere d’iniziativa)

7

2018/C 129/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo su Cooperare con la società civile per impedire la radicalizzazione dei giovani [parere d’iniziativa]

11

2018/C 129/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il contributo della società civile allo sviluppo di una politica alimentare globale dell’UE (parere d’iniziativa)

18

2018/C 129/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo fondamentale del commercio e degli investimenti nel conseguire e attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (parere d'iniziativa)

27

2018/C 129/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Vantaggi di un approccio di sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) per lo sviluppo locale e rurale integrato (parere esplorativo)

36


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

530a sessione plenaria del CESE dei giorni 6 e 7 dicembre 2017

2018/C 129/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Un’iniziativa per sostenere l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare di genitori e prestatori di assistenza che lavorano[COM(2017) 252 final] e sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio[COM(2017) 253 final – 2017/0085 (COD)]

44

2018/C 129/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Programma europeo di sviluppo industriale nel settore della difesa[COM(2017) 294 final]

51

2018/C 129/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Istituzione del Fondo europeo per la difesa[COM(2017) 295 final]

58

2018/C 129/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione del 28 aprile 2017 — Comunicazione della Commissione sull’accesso alla giustizia in materia ambientale[C(2017) 2616 final]

65

2018/C 129/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2006/1/CE, relativa all’utilizzazione di veicoli noleggiati senza conducente per il trasporto di merci su strada[COM(2017) 282 final - 2017/0113 (COD)]

71

2018/C 129/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche dei trasporti ferroviari[COM(2017) 353 final - 2017/0146 (COD)]

75

2018/C 129/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Un partenariato rinnovato con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico[JOIN(2016) 52 final]

76

2018/C 129/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Iniziativa per lo sviluppo sostenibile dell'economia blu nel Mediterraneo occidentale[COM(2017) 183]

82

2018/C 129/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un piano d’azione per la natura, i cittadini e l’economia[COM(2017) 198 final]

90

2018/C 129/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE, Euratom) n. 1141/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee[COM(2017) 481 final – 2017/0219 (COD)]

96

2018/C 129/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1303/2013 per quanto riguarda le modifiche alle risorse per la coesione economica, sociale e territoriale e alle risorse per l’obiettivo Investimenti in favore della crescita e dell’occupazione e per l’obiettivo Cooperazione territoriale europea[COM(2017) 565 final – 2017/0247 (COD)]

98


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

530a sessione plenaria del CESE dei giorni 6 e 7 dicembre 2017

11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Distribuzione ineguale della ricchezza in Europa: disparità tra gli Stati membri in termini di ripartizione profitti-lavoro»

[parere d’iniziativa]

(2018/C 129/01)

Relatore:

Plamen DIMITROV

Decisione dell’Assemblea plenaria

22.9.2016

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno

 

Parere di iniziativa

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sezione

7.9.2017

Adozione in sessione plenaria

6.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

188/30/23

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che la distribuzione ineguale del reddito e della ricchezza nell’Unione europea costituisca oggi una sfida economica e sociale che dovrebbe essere affrontata con provvedimenti adeguati, tanto a livello nazionale quanto con il sostegno di un’azione in ambito UE. Il Comitato ritiene che le disparità più importanti siano quelle di reddito, nel nostro continente così come a livello mondiale. Sottolinea comunque che occorre richiamare l’attenzione anche sulle disparità di ricchezza, in quanto queste ultime sono legate a molte più variabili e hanno ripercussioni assai più durature. Questo comporta la necessità di chiarire le ragioni di queste diseguaglianze e i fattori che ne sono alla base, nonché l’esigenza di mettere a punto soluzioni strategiche per affrontare le une e gli altri.

1.2.

Occorre procedere a un’attenta analisi e valutazione dell’esatta natura della distribuzione della ricchezza nell’UE, e adottare in tempo utile misure preventive per evitare conseguenze negative quali la rapida scomparsa della «classe media» e il passaggio di un numero sempre maggiore di persone nella categoria dei «lavoratori poveri» o di coloro che sono a rischio di povertà e di esclusione sociale. L’economia di mercato dovrebbe essere considerata non solo come uno strumento atto a realizzare una robusta crescita economica, ma anche come uno dei meccanismi necessari a raggiungere importanti obiettivi in campo sociale.

1.3.

Lo strumento più importante a disposizione degli Stati membri per promuovere un’equa ridistribuzione del valore aggiunto per la società nel suo insieme è la politica di bilancio. Dovrebbero inoltre rivestire un ruolo centrale politiche attive del mercato del lavoro volte ad agevolare i vari passaggi dall’istruzione alla formazione e infine alla vita lavorativa, unitamente alle politiche che regolamentano la fiscalità e i trasferimenti sociali. Il CESE raccomanda agli Stati membri di attuare quanto prima misure atte a ridurre le disuguaglianze e a garantire un’equa ridistribuzione del nuovo valore aggiunto nell’intera società.

1.4.

Il CESE ritiene indispensabile un sistema ben funzionante di trasferimenti sociali e assistenza sociale. La ridistribuzione in quanto meccanismo di compensazione dovrebbe in larga misura colmare le lacune del sistema basato sul mercato. I beni pubblici (infrastrutture sociali, strutture per la fornitura di servizi di interesse pubblico ecc.) dovrebbero essere sviluppati e, per la funzione che essi svolgono, andrebbero considerati uno strumento per lottare contro le disuguaglianze. La base imponibile dovrebbe essere modificata alleggerendo la pressione fiscale sul lavoro e aumentandola sulla ricchezza con l’introduzione di una tassazione sulle successioni e sui redditi da capitale.

1.5.

La concentrazione della ricchezza determina poi una concentrazione di potere immenso, che assume molteplici forme, inclusa quella della distorsione della concorrenza. Il CESE ritiene che un’intensa crescita economica sia di fondamentale importanza per ridurre la povertà e le disparità di ricchezza. Tale crescita dovrebbe essere incentivata utilizzando in modo più efficace i fondi strutturali e di coesione, promuovendo l’imprenditorialità, tutelando la concorrenza, introducendo programmi di sostegno delle PMI e attuando politiche di lotta alla discriminazione delle donne e delle persone in condizioni svantaggiate.

1.6.

Il Comitato nutre timori circa l’efficacia dell’attuale politica dell’UE nel quadro della strategia Europa 2020, che pone un accento particolare sulla povertà. Detta politica necessita di un sostegno politico più idoneo al fine di fornire un aiuto sufficiente agli Stati membri nel far fronte al peggioramento delle tendenze in materia di disuguaglianza. È necessaria un’azione più incisiva per contrastare la povertà, che negli ultimi anni è aumentata in termini assoluti (1). Occorre elaborare, a livello sovranazionale europeo, politiche atte a promuovere una crescita più inclusiva attraverso un approccio integrato. Il pilastro europeo dei diritti sociali e il semestre europeo dovrebbero avere collegamenti molto più stretti tra loro, ed entrambi questi strumenti dovrebbero essere allineati alla strategia Europa 2020 per poter conseguire efficacemente gli obiettivi fissati da quest’ultima a livello sia nazionale che europeo.

1.7.

Oltre a questi elementi, sono necessarie anche misure mirate per il mercato del lavoro connesse alla protezione sociale. Dal momento che non è sempre possibile tutelare i posti di lavoro — i quali oggi vanno trasformandosi con grande rapidità — è necessario concentrarsi sulla promozione dell’occupazione e sulla protezione dei lavoratori. È molto importante disporre di norme sociali minime che garantiscano retribuzioni e condizioni di lavoro dignitose. L’accento dovrebbe essere posto sull’agevolazione delle transizioni nel corso della vita lavorativa, garantendo nel contempo diritti del lavoro e sociali comuni, ivi compreso il diritto di aderire a un sindacato e il diritto alla contrattazione collettiva.

1.8.

Il CESE ritiene che debba essere messo in atto un meccanismo trasparente per monitorare sistematicamente i dati relativi a tutte le entrate e sul patrimonio, nonché per offrire la possibilità di consolidare tali dati. Ciò contribuirà da un lato a migliorare la gestione amministrativa, dall’altro a facilitare la raccolta di dati statistici sulla distribuzione della ricchezza negli Stati membri. In questo ambito un passo importante consisterà nell’istituire un registro delle società azioniste su scala europea.

2.   Contesto

2.1.

Il fenomeno della distribuzione ineguale della ricchezza in Europa ha radici molto antiche; si tratta di un processo iscritto nella storia e che non è scomparso con la creazione della zona euro, per via del persistente insorgere di squilibri interni ed esterni imputabili alle differenze di livello tra i fattori che influiscono sulla competitività economica. Questi ultimi comprendono gli aspetti di costo/prezzo, e attualmente sono inoltre aggravati dalle importanti sfide di natura politica cui è l’UE è posta di fronte, come il terrorismo, il populismo, gli appuntamenti elettorali nazionali, nonché — sul piano economico — il basso livello di investimenti, la crescita ridotta, l’elevata disoccupazione, il cambiamento demografico e la posizione dell’Europa nell’arena dei nuovi rapporti di forza a livello mondiale, il tutto visto attraverso il prisma degli scambi commerciali e del processo di digitalizzazione.

2.2.

Occorre operare una chiara distinzione tra le disparità di reddito e le disuguaglianze in termini di ricchezza, perché queste ultime hanno ripercussioni a più lungo termine, il che rende essenziale sottoporle a un esame più approfondito. La ricchezza è sistematicamente distribuita in modo più diseguale rispetto al reddito. Molto spesso, gli operatori economici possono avere redditi relativamente simili ma essere separati da consistenti differenze di ricchezza dovute a fattori non monetari, come un comportamento altruistico, un’eredità o per altri motivi. Di conseguenza, l’attenzione alle sperequazioni in termini di ricchezza ci offre un quadro più obiettivo delle reali disparità monetarie tra i cittadini dell’UE.

2.3.

Il CESE ritiene che gli sviluppi economici in Europa siano sempre più dinamici e rappresentino quindi una sfida per le istituzioni, di cui mettono a dura prova la capacità di tenere il passo dei cambiamenti. Si tratta di un tema particolarmente attuale nell’ottica del dibattito sulle disparità di sviluppo tra gli Stati membri dell’UE. Vi sono differenze sostanziali tra i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo, tra l’Europa occidentale e quella orientale, tra gli Stati membri all’interno e all’esterno della zona euro e, infine, tra gli Stati membri appartenenti allo spazio Schengen e quelli che non ne fanno parte.

2.4.

Il CESE osserva che le disparità di reddito e di ricchezza in Europa sono progressivamente aumentate a partire dal 1970. Nel complesso, la globalizzazione dovrebbe svolgere un ruolo positivo per quanto riguarda la riduzione delle differenze di reddito e materiali tra i paesi, ma negli ultimi anni la tendenza si è invertita. Infatti, nell’UE-28 non solo il 10 % delle famiglie più ricche guadagna circa il 31 % del reddito complessivo, ma detiene anche oltre il 50 % della ricchezza totale. La crescita della ricchezza ha superato quella del PIL in numerosi paesi, causando enormi disparità (2), con gravi ripercussioni economiche, sociali e politiche che richiedono un serio dibattito pubblico e una discussione tra esperti e responsabili politici sul modo di affrontare la questione, e che necessitano anche di un’azione politica.

2.5.

Secondo il CESE, vi è il rischio reale che il problema delle disuguaglianze possa aggravarsi su scala mondiale, perché il ritmo dello sviluppo economico in Europa è estremamente rapido e sta diventando sempre più difficile mettere in atto una politica macroeconomica tempestiva. La crescente disuguaglianza di reddito e di ricchezza negli ultimi decenni è confermata dall’incremento del coefficiente di Gini, che in tutti i paesi OCSE è aumentato in media dallo 0,29 della metà degli anni ottanta allo 0,32-0,35 del 2013-2015. La tendenza è più o meno la stessa nei singoli paesi dell’UE (3). Tuttavia, va osservato che in paesi come la Bulgaria, la Lituania e la Romania il coefficiente di Gini ha già raggiunto valori critici (al di là dello 0,37) (4). Benché disponiamo di una grande quantità di dati e studi sulle disparità di reddito, vi sono molte meno prove conclusive della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza delle famiglie, sia all’interno dei singoli paesi che tra i paesi stessi. A tutt’oggi, in effetti, non esistono norme internazionali che gli istituti nazionali di statistica e altri produttori di dati possano utilizzare per la raccolta di dati sulla distribuzione della ricchezza (5).

2.6.

È preoccupante che, per effetto della generale mancanza di fiducia in molte economie europee, gli utili accumulati non siano reinvestiti, determinando così una diminuzione della concorrenza, un netto calo degli investimenti e la mancata creazione di nuovi posti di lavoro. Nel suo saggio (6), Thomas Piketty fornisce una serie di dati empirici sulla questione, esaminando in particolare l’economia europea. Quando i profitti vengono semplicemente accumulati e ricapitalizzati, essi non contribuiscono a produrre valore aggiunto o ad incrementare la redditività delle risorse nell’economia reale. È logico quindi che nell’UE il divario tra ricchi e poveri si vada allargando ormai da decenni.

2.7.

A giudizio del CESE, vi è il rischio che a medio termine il ceto medio dell’UE cominci a sentirsi sotto pressione. Nei prossimi anni sempre più posti di lavoro scompariranno a causa della digitalizzazione e dell’automazione. Non solo, ma anche alcuni tipi di professione sono in via di estinzione, sebbene sia in passato che oggi vi siano indicazioni che queste tendenze sono ugualmente in grado di generare nuovi posti di lavoro e nuove professioni. È probabile che questi cambiamenti, se non gestiti correttamente, contribuiranno ad aumentare le disuguaglianze. Il CESE ritiene che sia necessario intervenire tempestivamente per contrastare le conseguenze negative di processi di rinnovamento tecnologico che, per altri versi, sono innovativi e in generale arrecano benefici alla società.

2.8.

Il CESE esprime preoccupazione per la crescente sproporzione nel rapporto tra il tasso di profitto e il valore aggiunto prodotto dal fattore lavoro negli Stati membri, che accresce le disuguaglianze in Europa, in termini sia di ricchezza che di reddito.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Le disparità in termini di ricchezza tendono a essere di gran lunga maggiori rispetto alle diseguaglianze di reddito (7). Il CESE sottolinea il fatto che sono in primo luogo e principalmente gli Stati membri ad avere a disposizione gli strumenti appropriati — ad esempio programmi di investimento e a favore della crescita economica e della creazione di occupazione, nonché la fiscalità e i trasferimenti sociali — per lottare contro le disparità economiche e sociali. Esiste tuttavia un margine di manovra anche a livello europeo, e le istituzioni dell’UE dovrebbero affrontare più seriamente la questione, perché gli effetti sul ciclo economico reale generati da un loro intervento sarebbero complessi e assai più duraturi. Le politiche esistenti continuano a concentrarsi sul reddito più che sulla ricchezza.

3.2.

Il problema principale, a giudizio del CESE, è che l’economia europea genera una crescita dalla quale chi è svantaggiato in termini finanziari non trae alcun beneficio. L’intenzione non è assolutamente quella di opporsi al funzionamento dell’economia di mercato, che offre opportunità di generare ricchezza attraverso l’innovazione, la costituzione di imprese e la creazione di posti di lavoro, contribuendo così alla crescita economica, all’occupazione e al finanziamento della sicurezza sociale. Tuttavia, le persone che sono alla base della piramide di ridistribuzione della ricchezza e del reddito non beneficiano, nel complesso, dei nuovi posti di lavoro che vengono a crearsi. Ne consegue che la società sarà più equa sul piano finanziario se la politica dell’Unione europea si concentrerà su misure che consentano a un numero sempre maggiore di persone di accedere al mercato del lavoro e di condividere i benefici di una crescita economica inclusiva. In questo senso, la riduzione delle disuguaglianze in termini di ricchezza e il consolidamento della crescita economica a lungo termine sono due facce della stessa medaglia.

3.3.

Il CESE esprime preoccupazione per il rischio che il crescente accumulo di ricchezza possa creare nella società una mentalità basata sulla rendita, col risultato che la ricchezza non viene reinvestita e, pertanto, non contribuisce allo sviluppo dell’economia reale e all’incremento del PIL potenziale. Questo è il problema centrale che Piketty affronta nel suo libro, frutto di quindici anni di ricerca e raccolta di dati empirici sulle disparità di reddito e di ricchezza nelle società capitaliste. I risultati finali, sebbene i suoi metodi siano in parte contestati da alcuni, mettono in risalto notevoli differenze all’interno dell’UE. Secondo i dati di Piketty, il tasso annuo di rendimento del capitale è compreso tra il 4 % e il 5 %, mentre la crescita annuale del reddito nell’Europa centrale si aggira tra l’1 % e l’1,5 % a seconda del paese considerato, date le evidenti differenze tra i paesi in questione.

3.4.

A giudizio del CESE sono necessarie ulteriori misure ai livelli adeguati in settori quali la finanziarizzazione eccessiva e l’approfondimento del coordinamento e dell’armonizzazione delle politiche fiscali, nonché le misure di lotta ai paradisi fiscali, alla frode e all’evasione fiscali, per contrastare i fenomeni presenti da lunga data nell’economia sommersa (ossia, dichiarazioni dei redditi mendaci, dipendenti non iscritti o nascosti, salari versati «in nero»), e servono anche provvedimenti volti ad ottimizzare la combinazione delle misure fiscali e la loro importanza relativa nel gettito fiscale degli Stati membri. Il gettito fiscale derivante dalla tassazione del lavoro dovrebbe diminuire in parallelo con l’aumento del gettito basato sulla tassazione della ricchezza.

3.5.

Nel corso degli ultimi due decenni, la concorrenza fiscale tra gli Stati membri ha indotto molti governi ad attuare misure che hanno alterato la natura redistributiva della politica fiscale e contribuito all’aumento delle disuguaglianze. Il CESE raccomanda agli Stati membri di valutare le conseguenze negative delle politiche in materia di fiscalità e di porvi rimedio al più presto.

3.6.

Il CESE ritiene che il piano Juncker debba essere destinato in via prioritaria ai paesi con le maggiori disuguaglianze, di qualunque tipo esse siano. È essenziale incoraggiare gli investimenti sia esteri che nazionali, e tutti questi elementi devono essere applicati in maniera uniforme in conformità con la legislazione europea e in sintonia con le specificità nazionali, monitorando attentamente l’impiego dei fondi.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

La Germania e l’Austria sono i paesi dell’area euro in cui le disparità di ricchezza sono più pronunciate. In Germania, il 5 % più ricco della popolazione possiede il 45,6 % delle ricchezze del paese; in Austria tale percentuale è persino superiore, arrivando al 47,6 % (8)  (9). Il problema esiste anche in paesi come Cipro, Portogallo, Francia, Finlandia, Lussemburgo e Paesi Bassi, dove si osserva la medesima tendenza (10). Ciò dimostra la notevole diversità nella distribuzione delle risorse all’interno di singoli paesi. In essi si registrano, da un lato, bassi livelli di disparità di reddito, ma anche, dall’altro, una distribuzione della ricchezza fortemente ineguale.

4.2.

Nel 1910 il 10 % della popolazione europea possedeva il 90 % della ricchezza, e l’1 % più ricco ne deteneva il 50 %. Successivamente, per effetto delle due guerre mondiali e della Grande depressione — che hanno azzerato buona parte del capitale finanziario — e delle varie politiche pubbliche segnate da una tassazione fortemente progressiva sui redditi e sulle successioni, da limitazioni alle speculazioni finanziarie, dall’incremento dei salari a spese dei redditi da capitale e così via, la disuguaglianza è diminuita notevolmente. Negli anni settanta e ottanta del 1900, l’1 % più ricco deteneva il 20 % della ricchezza, il successivo 9 % ne possedeva il 30 %, e una classe media pari al 40 % ne controllava il 40 %. Anche le disparità di reddito sono diminuite in misura significativa (11). A partire dal 1980, tuttavia, le disuguaglianze hanno ripreso a crescere. Oggi il capitale privato nei paesi sviluppati dell’UE-28 è compreso tra il 500 % e il 600 % del PIL, e raggiunge l’800 % in Italia.

4.3.

A giudizio del CESE, un altro problema fondamentale è rappresentato dalla distribuzione della ricchezza per sesso. Paesi come la Slovacchia e la Francia sono i più gravemente colpiti da tale problema, seguiti da Austria, Germania e Grecia. In Slovacchia e in Francia, gli uomini possiedono più del 75 % della ricchezza e le donne solo il 25 %, nonostante equilibri di genere molto diversi nei due paesi. In Austria, Germania e Grecia appartiene agli uomini circa il 55 % della ricchezza (12). È importante valutare i motivi di tali tendenze e decidere se questo aspetto debba essere considerato nel quadro della politica UE in materia di parità di genere.

4.4.

Secondo il CESE, è estremamente importante il modo in cui la ricchezza è distribuita sotto il profilo della soddisfazione delle esigenze in termini di istruzione e formazione professionale, gamma dei servizi sanitari offerti, edilizia abitativa e così via. Coerentemente con il modello sociale europeo, occorre rispettare alcuni principi fondamentali quali le pari opportunità e la parità di trattamento, la parità di genere, la non discriminazione e l’equità tra le generazioni. Le riforme strutturali volte ad accrescere il capitale umano sono importanti per il miglioramento delle condizioni di vita e potrebbero anche contribuire alla riduzione delle disparità sul piano dei redditi da lavoro e della ricchezza.

4.5.

Circa il 44 % dei cittadini nell’area euro è, in un modo o nell’altro, indebitato nei confronti delle banche o degli istituti finanziari. La situazione è migliore che negli Stati Uniti, ad esempio, dove questa percentuale arriva al 75 %, ma negli ultimi anni l’indebitamento è aumentato ad un ritmo allarmante (13). La responsabilità del sistema bancario è altresì molto grande, in quanto potrebbe occuparsi della prevenzione primaria contro il crescente indebitamento generale della società. Un comportamento responsabile deve essere considerato prioritario.

4.6.

L’accelerazione della globalizzazione negli ultimi tre decenni ha incrementato la pressione fiscale sul lavoro e ha invertito la quota dei salari e del capitale in rapporto al prodotto interno lordo. Di conseguenza, in quasi tutti i paesi aderenti all’OCSE, tra il 1980 e il 2006 i salari sono diminuiti ogni anno in media dello 0,3 % in percentuale del PIL. Nel corso dello stesso periodo, nell’UE-15 la quota degli utili in rapporto al PIL è passata dal 31 % circa al 47 % (14). Il CESE ritiene che gli Stati membri e l’Unione europea debbano attuare con urgenza politiche dirette a invertire questa tendenza.

4.7.

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che in paesi come il Regno Unito e la Francia più del 50 % della ricchezza è concentrato nel patrimonio immobiliare. Da un lato, questo dato suggerisce una mancanza di diversificazione della ricchezza; dall’altro, significa che un’elevata percentuale di persone accumula ricchezza grazie a redditi fondiari. Questa ricchezza non viene successivamente reinvestita, ed è la ricapitalizzazione stessa ad accumularsi. Ciò solleva la questione del capitale, che viene accumulato ad un ritmo ben superiore rispetto a quello del valore aggiunto. Un recente rapporto di Oxfam (15) ha rivelato che la ricchezza delle otto persone più ricche del mondo è pari a quella del 50 % più povero, il che suscita una forte e diffusa inquietudine presso l’opinione pubblica. Il capitale è stato un fattore importante nel periodo industriale, ma se si trasforma in un fine in sé perde il suo scopo primario.

Bruxelles, 6 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Un esempio è dato da Salverda et al. 2013 (tavole 2.3 e 5.2).

(2)  Thomas Piketty, Capital in the Twenty-First Century, Harvard University Press, 2014, ISBN 978-0674430006 (Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, 2014).

(3)  Economic Inequality («Disuguaglianza economica»), Parlamento europeo, commissioni Affari economici e monetari e Occupazione e affari sociali, informativa del luglio 2016.

(4)  Еurostat, SILC 2015.

(5)  Statistiche dell’OCSE, giugno 2015, n. 21.

(6)  Thomas Piketty, Capital in the Twenty-First Century, Harvard University Press, 2014, ISBN 978-0674430006 (Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, 2014).

(7)  In termini quantitativi.

(8)  Indagine di Eurosystem Household Finance and Consumption, 2010.

(9)  Vermeulen 2016 (gruppo di lavoro BCE), stime fondate sulla lista Forbes.

(10)  HFCS 2010; Sierminska e Medgyesi 2013; Holzner, Jestl e Leitner 2015.

(11)  Thomas Piketty, Capital in the Twenty-First Century, Harvard University Press, 2014, ISBN 978-0674430006 (Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, 2014).

(12)  Rehm, M., Schneebaum, A., Mader, K. Hollan, K., The Gender Gap Wealth Across European Countries («La ricchezza considerata in termini di disparità di genere nei paesi europei»), Università di economia e gestione aziendale di Vienna, Dipartimento di economia, documento di lavoro 232, settembre 2016.

(13)  HFCS 2010; Sierminska e Medgyesi 2013; Holzner, Jestl e Leitner 2015.

(14)  OCSE, In it together: why less inequality benefits all («Tutti coinvolti: perché meno diseguaglianza è meglio per tutti»), Parigi 2015.

(15)  An Economy for the 99 % («Un’economia per il 99 %») (Oxfam, 2017).


Allegato

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Nel corso della discussione del parere, il seguente emendamento è stato respinto ma ha ottenuto almeno un quarto dei voti espressi:

Punto 1.4.

Modificare come segue:

Il CESE ritiene indispensabile un sistema ben funzionante di trasferimenti sociali e assistenza sociale. La ridistribuzione in quanto meccanismo di compensazione dovrebbe in larga misura colmare le lacune del sistema basato sul mercato. I beni pubblici (infrastrutture sociali, strutture per la fornitura di servizi di interesse pubblico ecc.) dovrebbero essere sviluppati e, per la funzione che essi svolgono, andrebbero considerati uno strumento per lottare contro le disuguaglianze. La base imponibile dovrebbe essere modificata alleggerendo la pressione fiscale sul lavoro e aumentandola sulla ricchezza con l’introduzione di una tassazione sulle successioni e sui redditi da capitale. Gli Stati membri dovrebbero rimodulare le loro priorità in materia di gettito fiscale riducendo la pressione fiscale sul fattore lavoro.

Motivazione

Nel rispetto del principio di sussidiarietà e in considerazione delle differenze esistenti tra gli Stati membri, dei cambiamenti derivanti dall’evoluzione digitale della società, e della necessità di garantire uno sviluppo sostenibile, agli Stati membri dovrebbe essere attribuito un ruolo maggiore nella riforma dei sistemi di imposizione. Invece di modificare la tassazione come descritto nel punto, si potrebbe concentrare l’attenzione sull’imposizione ambientale, sulla tassazione delle emissioni di CO2 oppure su forme del tutto nuove di tassazione (tassazione dei macchinari).

L’emendamento è stato respinto con 95 voti favorevoli, 116 voti contrari e 24 astensioni.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo sui «sistemi sostenibili di sicurezza e protezione sociale nell’era digitale»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 129/02)

Relatore:

Petru Sorin DANDEA

Decisione dell’Assemblea plenaria

26.1.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

8.11.2017

Adozione in sessione plenaria

6.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

157/3/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La digitalizzazione genera nuove forme di occupazione che esercitano una grande pressione sui sistemi di sicurezza sociale. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) raccomanda agli Stati membri, oltre che alle istituzioni europee, di regolamentare queste nuove forme di occupazione, in modo che sia possibile identificare chiaramente sia il datore di lavoro che il lavoratore. In quest’ottica, il CESE raccomanda di fare riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha riconosciuto lo status di lavoratore alle persone che, seppure prive di un contratto standard di lavoro, svolgevano un’attività remunerata sulla base di un rapporto di dipendenza.

1.2.

In numerosi casi il contratto individuale di lavoro è alla base del finanziamento dei sistemi attuali di sicurezza sociale. Molte nuove forme di attività economica e di occupazione emerse con lo sviluppo della tecnologia digitale sembrano non rientrare nell’ambito del contratto di lavoro. Il CESE ritiene che questa situazione sia estremamente pericolosa per i lavoratori che svolgono la loro attività in queste condizioni, in quanto non sono più protetti dalle normative in materia di retribuzioni, condizioni di lavoro o previdenza sociale.

1.3.

Secondo il CESE, gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione l’introduzione, nelle rispettive legislazioni che disciplinano i regimi pensionistici, dell’obbligatorietà del pagamento dei contributi per tutte le persone che percepiscono un reddito da prestazione lavorativa. Questa misura è assolutamente necessaria dato che, in molte situazioni, i lavoratori connessi alle nuove forme di occupazione create dalla digitalizzazione non sono adeguatamente inquadrabili nelle attuali disposizioni delle normative sui regimi pensionistici.

1.4.

Secondo il CESE, gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione l’idea di collegare i sistemi elettronici dell’amministrazione competente per il regime pensionistico nazionale, oppure i sistemi dell’amministrazione competente per il sistema di assicurazione sanitaria, con quelli dell’amministrazione fiscale. Questo permetterebbe agli Stati membri di individuare rapidamente le persone che, pur dichiarando redditi da prestazione lavorativa, non hanno lo status di assicurato nel quadro del sistema pensionistico pubblico o del regime di assicurazione sanitaria.

1.5.

Gli Stati membri, nel quadro dei loro sistemi nazionali di protezione sociale, hanno disciplinato anche altri benefici, che danno diritto ai beneficiari di tali sistemi di ricevere delle indennità. Tra queste figurano il congedo parentale, gli assegni familiari, gli assegni per i figli a carico e altri tipi di indennità. Anche se questi diritti spesso non sono di natura contributiva, le relative indennità sono concesse sulla base di criteri di ammissibilità i quali, in molti casi, presuppongono che il potenziale beneficiario abbia lo status di lavoratore dipendente. Il CESE raccomanda agli Stati membri di cercare soluzioni per inquadrare adeguatamente i lavoratori riconducibili alle nuove forme di occupazione nei sistemi che assicurano la concessione di queste indennità.

1.6.

Secondo il CESE, una soluzione globale ai problemi relativi al riconoscimento dei diritti di previdenza sociale per i lavoratori impegnati nelle nuove forme di occupazione potrebbe venire da una riforma generale delle modalità di finanziamento del sistema. Il CESE invita gli Stati membri a cercare soluzioni per il finanziamento dei sistemi di sicurezza sociale attraverso strumenti che non solo ne assicurino la sostenibilità, ma forniscano anche una risposta alla necessità di permettere che a tali sistemi accedano anche coloro che svolgono un’attività lavorativa nel quadro delle nuove forme di occupazione. Per assicurare anche in futuro la sostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale e per ridurre l’onere sul fattore lavoro si potrebbe pensare di utilizzare una parte dei dividendi della digitalizzazione per questo obiettivo.

1.7.

Il CESE ritiene che, nel quadro dei dibattiti avviati dalla Commissione europea sulla definizione del pilastro europeo dei diritti sociali, si debba obbligatoriamente prendere in considerazione anche la situazione dei lavoratori riconducibili alle nuove forme di occupazione e, in particolare, il modo per riconoscere il loro status nonché per garantirne un adeguato accesso ai regimi di sicurezza e protezione sociale.

2.   Contesto — la digitalizzazione e i suoi effetti sui sistemi di sicurezza e protezione sociale

2.1.

La digitalizzazione induce cambiamenti profondi nell’economia, nei mercati del lavoro e nella società in generale a livello nazionale, regionale e globale. Pur riconoscendo gli evidenti benefici apportati dalla digitalizzazione, è chiaro che questo fenomeno metterà alla prova numerose strutture della società e dell’economia e potrà avere un impatto negativo su certi settori, se questi non si adatteranno al nuovo contesto. Uno dei settori in cui la digitalizzazione potrebbe produrre un impatto negativo è il sistema di sicurezza sociale.

2.2.

I sistemi di sicurezza sociale in Europa, così come li conosciamo oggi, sono stati concepiti più di un secolo fa. Essi sono basati in larga misura su una relazione diretta con il mercato del lavoro e sono finanziati, in gran parte, con i contributi versati dai lavoratori e dai datori di lavoro e, in misura variabile, con gettito fiscale. In numerosi Stati membri, la condizione fondamentale da cui il lavoratore dipendente deriva lo status di assicurato — secondo i tre pilastri principali del sistema di sicurezza sociale, ossia, pensione, sanità e disoccupazione — è l’esistenza di un contratto individuale di lavoro registrato ufficialmente.

2.3.

La digitalizzazione ha prodotto e continua a produrre grandi trasformazioni nel mercato del lavoro. Questi mutamenti sono evidenti nell’eterogeneità delle forme di assunzione, che sono distinte da quelle basate sul contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato, il quale è stato per decenni la forma predominante nei rapporti di lavoro. In effetti, queste nuove forme di occupazione, celate sotto denominazioni quali «contraente indipendente» o «associato», sono state create, in alcuni casi, proprio per aggirare i concetti tradizionali di «lavoratore dipendente», «imprenditore» o «lavoratore autonomo» (1). In tale contesto, i sistemi di sicurezza sociale dovranno adattarsi per continuare a essere sostenibili e adeguati nel lungo termine.

2.4.

La sicurezza sociale e i sistemi di protezione sociale saranno sottoposti a pressione man mano che migliaia di lavoratori della generazione del cosiddetto «baby boom» usciranno dal mercato del lavoro e saranno sostituiti, fino a una certa misura, da lavoratori inquadrabili nelle nuove forme di occupazione, come i contratti a zero ore, i contratti a chiamata o i contratti di diritto civile. Tale pressione aumenterà con l’accentuarsi del fenomeno dell’invecchiamento demografico in Europa.

2.5.

In tale contesto è evidente che i sistemi di sicurezza e protezione sociale andranno adattati in funzione dei cambiamenti che la digitalizzazione sta già producendo nel mercato del lavoro. In alcuni Stati membri le parti sociali hanno avviato il dialogo necessario per individuare le opzioni politiche e le misure che bisogna attuare allo scopo di preservare la sostenibilità e l’adeguatezza del sistema di assistenza sociale nel nuovo contesto della digitalizzazione. Sono inoltre necessari degli orientamenti per chiarire le eventuali zone grigie legate allo status professionale dei lavoratori per quel che concerne la tassazione e la previdenza sociale.

2.6.

È possibile che una quota crescente di lavoratori non versi contributi ai vigenti dispositivi di sicurezza sociale — come i sussidi di disoccupazione, l’assicurazione sanitaria e la pensione — e non ne benefici. Questa situazione deve essere esaminata in modo approfondito dalle parti sociali e dai governi degli Stati membri. Le discussioni devono estendersi a tutta l’UE e coinvolgere gli enti locali, altri attori della società civile, le associazioni e i prestatori di servizi, allo scopo di definire misure politiche e legislative realizzabili e sostenibili, oltre che provvedimenti complementari, che assicurino la partecipazione di tutti i lavoratori, compresi i lavoratori autonomi, a livelli adeguati di protezione sociale.

3.   Politiche per la sostenibilità dei sistemi di sicurezza e protezione sociale nell’era digitale

3.1.

La digitalizzazione ha prodotto e continua a produrre grandi trasformazioni nel mercato del lavoro. Attualmente esistono numerose forme di assunzione che non rientrano nel quadro di una relazione tradizionale «datore di lavoro/lavoratore dipendente», ad esempio quelle dei lavoratori delle piattaforme online, che sono spesso considerati dei lavoratori autonomi. Questo fenomeno esercita una grande pressione sui sistemi di sicurezza sociale. Il CESE raccomanda agli Stati membri di affrontare la questione di queste nuove forme e, se necessario, di regolamentarle al momento di introdurre delle riforme dei loro mercati del lavoro e sistemi di sicurezza sociale.

3.2.

La normativa in vigore nella maggior parte degli Stati membri relativa specificamente al mercato del lavoro stabilisce che, alla base del rapporto lavorativo, vi è il contratto individuale di lavoro. Per molte nuove forme di occupazione emerse con lo sviluppo della tecnologia digitale, il contratto di lavoro non viene più utilizzato. Il CESE ritiene necessario chiarire la situazione dei lavoratori impegnati in queste nuove forme di occupazione, in modo che sia possibile offrire loro un inquadramento adeguato, in linea con i principi fondamentali dei sistemi in vigore negli Stati membri, per quanto riguarda il mercato del lavoro e la sicurezza sociale. La perdita del posto di lavoro farebbe immediatamente ricadere questi lavoratori nella categoria delle persone bisognose, dal momento che non sono tutelati dai sistemi di protezione sociale.

3.3.

I regimi pensionistici pubblici degli Stati membri sono basati sul principio della solidarietà intergenerazionale. Ciononostante, l’ammontare della pensione aziendale o professionale è calcolato, in genere, in funzione dell’importo dei contributi versati dal dipendente e dal suo datore di lavoro per l’intero periodo della vita lavorativa attiva. Questo significa che i lavoratori impegnati in attività atipiche, che non sono basate su un contratto di lavoro regolare, dovranno in molti casi affrontare e superare delle difficoltà per poter accumulare adeguati diritti pensionistici per questi periodi. Se i periodi di attività durante i quali non disponevano di un contratto di lavoro sono lunghi, sicuramente percepiranno una pensione di ammontare molto ridotto, ed esiste quindi il rischio che queste persone scendano al di sotto della soglia di povertà. Secondo il CESE, gli Stati membri dovrebbero introdurre, nelle rispettive legislazioni che disciplinano i regimi pensionistici, l’obbligatorietà del pagamento dei contributi per tutte le persone che percepiscono un reddito da prestazione lavorativa.

3.4.

Nel quadro della rispettiva legislazione in materia pensionistica, la maggior parte degli Stati membri prevede l’obbligo per i lavoratori autonomi di versare i contributi per la pensione. La definizione di lavoro autonomo e quella relativa al lavoro dipendente sono fissate nella normativa fiscale o nella legislazione sul lavoro. In molti casi, tuttavia, per le autorità competenti è difficile individuare il tipo di attività, in particolare nelle situazioni riguardanti lavoratori impegnati nelle nuove forme di occupazione. Il CESE raccomanda agli Stati membri di chiarire la legislazione, ove necessario, affinché sia possibile individuare più facilmente le forme di attività dipendente. In questo modo, i lavoratori online oppure quelli impegnati in altre nuove forme di occupazione potranno essere individuati con maggiore facilità, e gli Stati membri potranno assicurare una migliore protezione dell’accumulo dei diritti pensionistici maturati da tali lavoratori.

3.5.

Secondo il CESE, per individuare più facilmente i lavoratori che non hanno lo status di assicurato nel quadro del regime pensionistico pubblico per il fatto che, in un dato momento, sono impegnati in una nuova forma di occupazione, gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione l’idea di collegare i sistemi elettronici dell’amministrazione competente per il regime pensionistico nazionale con quelli dell’amministrazione fiscale. Questo permetterebbe agli Stati membri di individuare rapidamente le persone che, pur dichiarando redditi da prestazione lavorativa, non hanno lo status di assicurato nel quadro del sistema pensionistico pubblico. In questo modo sarebbe possibile inquadrare rapidamente questi lavoratori tra gli assicurati.

3.6.

Per quanto riguarda le indennità di disoccupazione, il CESE raccomanda di riesaminare, tra le altre cose, l’attuale proposta relativa all’istituzione di un’assicurazione valida a livello dell’UE (2), qualora un regime assicurativo del genere venisse finanziato con contributi versati da tutte le imprese dell’UE. Inoltre, occorre valutare la possibilità di introdurre standard minimi a livello UE nei regimi nazionali di disoccupazione per garantire, tra l’altro, a qualsiasi persona in cerca di lavoro la possibilità di beneficiare di un sostegno finanziario, inclusi i lavoratori che hanno prestato i propri servizi nel quadro delle nuove forme di occupazione.

3.7.

I regimi di assicurazione sanitaria degli Stati membri dell’UE sono sistemi che offrono una copertura quasi universale. Sovente i lavoratori autonomi hanno l’obbligo giuridico di versare contributi al regime pubblico di assicurazione sanitaria e, di conseguenza, hanno lo status di assicurato o, se del caso, di beneficiario. Ciononostante, nel caso di alcuni lavoratori che svolgono la loro attività nel quadro di una delle nuove forme di occupazione e che non dichiarano ufficialmente di percepire redditi da prestazione lavorativa, esiste il rischio che non beneficino dello status di assicurato nel quadro del regime pubblico di assicurazione sanitaria. Il CESE invita gli Stati membri ad adottare i necessari provvedimenti per offrire un inquadramento alle persone che si trovano in questa situazione.

3.8.

Oltre ai diritti di previdenza sociale che sono basati sul versamento di contributi da parte del lavoratore dipendente e del suo datore di lavoro, alcuni Stati membri, nel quadro dei loro sistemi nazionali di protezione sociale, hanno disciplinato anche altri benefici, che danno diritto ai beneficiari di tali sistemi di ricevere delle indennità. Tra queste figurano il congedo parentale, gli assegni familiari, gli assegni per i figli a carico e altri tipi di indennità. Anche se questi diritti non sono di natura contributiva, le relative indennità sono concesse sulla base di criteri di ammissibilità i quali, in alcuni Stati membri e in taluni casi, presuppongono che il potenziale beneficiario abbia lo status di lavoratore dipendente. Questa situazione esclude de facto i lavoratori inquadrabili nelle nuove forme di occupazione, con la conseguenza che questi non possono beneficiare del riconoscimento di tali diritti.

3.9.

Il CESE ritiene che le istituzioni europee e gli Stati membri debbano adoperarsi per trovare delle soluzioni affinché sia riconosciuto lo status di lavoratore per le persone che forniscono prestazioni professionali nel quadro di nuove attività specifiche relative alle tecnologie digitali. In quest’ottica, il CESE raccomanda di fare riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ha riconosciuto lo status di lavoratore alle persone che, seppure prive di un contratto standard di lavoro, svolgevano un’attività remunerata sulla base di un rapporto di dipendenza. Il riconoscimento dello status di lavoratore per queste persone potrebbe rappresentare una soluzione per quanto riguarda il loro accesso ai benefici connessi al sistema di sicurezza e protezione sociale, come nel caso dei lavoratori di tipo tradizionale.

3.10.

Il CESE ha accolto con favore l’avvio, da parte della Commissione europea, delle discussioni sulla definizione del pilastro europeo dei diritti sociali. Queste discussioni dovrebbero obbligatoriamente prendere in considerazione anche la situazione dei lavoratori riconducibili alle nuove forme di occupazione e, in particolare, il modo per riconoscere il loro status, oltre che le modalità per assicurare loro l’accesso a benefici adeguati, offerti nel quadro di sistemi di sicurezza e protezione sociale.

3.11.

Il CESE raccomanda agli Stati membri di istituire delle piattaforme, con la partecipazione delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, che formulino proposte per adattare il mercato del lavoro al contesto della digitalizzazione. Per rispondere alle sfide poste dall’era della digitalizzazione, il CESE ritiene che il mercato del lavoro debba adattarsi alle nuove realtà, assicurando sia la libera circolazione dei lavoratori che il loro inquadramento nei regimi di sicurezza sociale e nelle normative sulle condizioni di lavoro.

3.12.

Tenuto conto della complessità della situazione in cui si trovano i lavoratori impegnati nelle nuove forme di occupazione che sono specifiche dell’era digitale, il CESE ritiene che una soluzione globale ai problemi relativi al riconoscimento dei diritti di previdenza sociale per queste persone possa venire da una riforma generale delle modalità di finanziamento del sistema. Il CESE invita pertanto gli Stati membri a cercare soluzioni per il finanziamento dei sistemi di sicurezza sociale attraverso strumenti che non solo ne assicurino la sostenibilità, ma forniscano anche una risposta alla necessità di permettere che a tale sistemi accedano anche coloro che svolgono un’attività lavorativa nel quadro delle nuove forme di occupazione. Per assicurare anche in futuro la sostenibilità dei sistemi di sicurezza sociale e per ridurre l’onere sul fattore lavoro si potrebbe pensare di utilizzare una parte dei dividendi della digitalizzazione per questo obiettivo.

Bruxelles, 6 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Convegno, organizzato congiuntamente dal CESE e dall’OIL, sul tema The future of work we want («Il futuro del lavoro: le nostre aspettative») (Bruxelles, 15 e 16 novembre 2016).

(2)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 24.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo su «Cooperare con la società civile per impedire la radicalizzazione dei giovani»

[parere d’iniziativa]

(2018/C 129/03)

Relatore: Christian MOOS

Consultazione

27/4/2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

 

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

8/11/2017

Adozione in sessione plenaria

6/12/2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

138/0/12

1.   Conclusioni

1.1.

Prevenire la radicalizzazione dei giovani richiede un impegno a lungo termine da parte di diversi attori, e in questo processo un ruolo importante è svolto dalle organizzazioni della società civile. Quest’ultima, infatti, contribuisce a rendere la società più resiliente, sulla base di valori condivisi, nei confronti della radicalizzazione.

1.2.

Gli Stati membri e le istituzioni dell’UE devono considerare gli attori della società civile come partner piuttosto che utilizzarli come strumenti nella lotta contro l’estremismo violento. In tutti i settori della prevenzione della radicalizzazione esistono già buone pratiche, programmi e altre iniziative, ma tutte queste misure non godono di un sostegno adeguato e a lungo termine e possono essere penalizzate dai tagli di bilancio.

1.3.

Nella prevenzione della radicalizzazione, il CESE è favorevole ad adottare un approccio multiagenzia, il quale richiede un sostanziale rafforzamento delle capacità in tutti i settori pertinenti. Si tratta di un approccio che riunisce i decisori politici, gli organi pubblici quali le forze di polizia e le amministrazioni penitenziarie, gli operatori sociali (e specialmente gli animatori socioeducativi), la comunità accademica e dei mezzi di comunicazione e il mondo delle imprese, come anche i rappresentanti della società civile organizzata, comprese le organizzazioni che rappresentano le famiglie, le organizzazioni delle parti sociali e soprattutto le organizzazioni giovanili.

1.4.

Occorre rafforzare il sostegno a livello nazionale ed europeo alle organizzazioni della società civile, incrementare in maniera durevole e a lungo termine le risorse di bilancio su questo fronte e intensificare il coordinamento, la creazione di reti e l’attuazione delle politiche a livello UE. La «strategia dell’Unione europea volta a combattere la radicalizzazione e il reclutamento nelle file del terrorismo» deve pertanto prestare ancora più attenzione a coinvolgere e sostenere gli attori della società civile, in quanto la politica e la società condividono certamente la responsabilità di contrastare tale fenomeno. In questo contesto, il programma di responsabilizzazione della società civile, istituito nell’ambito del Forum dell’UE su Internet, potrebbe rappresentare un’iniziativa incoraggiante (1).

1.5.

Le strutture della società civile e delle parti sociali devono essere maggiormente coinvolte nella Rete di sensibilizzazione al problema della radicalizzazione (Radicalisation Awareness Network — RAN) (2). Gli Stati membri dovrebbero essere più proattivi nell’incoraggiare le strutture simili a tale rete a livello regionale o locale.

1.6.

La rete RAN e gli strumenti messi a disposizione dalla Commissione vanno nella direzione giusta, ma devono essere maggiormente orientati verso le strutture locali della società civile e devono essere dotati di maggiori risorse umane e materiali, in modo da consentire agli esperti del settore pubblico e alle organizzazioni della società civile di lavorare insieme in maniera efficace.

1.7.

Gli Stati membri dovrebbero sfruttare appieno gli strumenti e i programmi dell’UE per la prevenzione della radicalizzazione e in particolare la Rete europea per le comunicazioni strategiche (European Strategic Communications Network — ESCN), una rete collaborativa di 26 Stati membri che condividono analisi, buone pratiche e idee sull’utilizzo delle comunicazioni strategiche nella lotta contro l’estremismo violento (3).

1.8.

I sindacati svolgono un ruolo importante, in quanto rappresentano i lavoratori di tutti i settori pubblici pertinenti. Questi operatori in prima linea devono essere particolarmente preparati in materia di prevenzione della radicalizzazione, e lavorare in stretta cooperazione con gli organismi specializzati della società civile.

1.9.

Il CESE si compiace per la creazione del gruppo ad alto livello di esperti della Commissione, incaricato di assistere quest’ultima nel rafforzamento della risposta alla radicalizzazione e all’estremismo violento mediante un miglior coordinamento delle politiche e il coinvolgimento di tutti i soggetti pertinenti, in particolare della società civile.

1.10.

Bisogna garantire che non soltanto il personale dei servizi pubblici come le scuole, ma anche le famiglie possano accedere a servizi specifici di consulenza e di sostegno e a reti che aiutino a individuare i segnali di radicalizzazione, evitando nel contempo qualsiasi tipo di discriminazione.

1.11.

Il CESE sottolinea l’importanza di un’istruzione formale e non formale inclusiva — fattore assolutamente essenziale per la partecipazione attiva in una società eterogenea — che insegni a pensare in modo critico, garantisca un’adeguata alfabetizzazione mediatica e contribuisca ad accrescere la resilienza della società nei confronti delle tendenze antidemocratiche, xenofobe e populiste che, in alcuni paesi, influenzano sempre di più la retorica politica prevalente, particolarmente ricettiva a sentimenti e punti di vista xenofobi.

1.12.

Negli sforzi volti a prevenire la radicalizzazione dei giovani è necessario concentrare l’attenzione e investire sulle attività socioeducative portate avanti dalle organizzazioni della società civile, in particolare quelle giovanili, che forniscono strutture e possibilità di identificazione alternative, come anche uno spazio sicuro di dialogo, incentrato sull’ascolto attivo, e di espressione personale.

1.13.

Gli investimenti nella lotta agli altissimi tassi di disoccupazione giovanile e alle condizioni di lavoro precarie che si registrano in numerosi Stati membri vanno considerati anche come una misura preventiva contro la radicalizzazione. Inoltre, il CESE chiede di accordare una più alta priorità all’aumento degli investimenti nella lotta alla povertà e all’integrazione dei giovani nella società, nei sistemi di istruzione e nel mercato del lavoro.

1.14.

Il CESE sottolinea il ruolo fondamentale e la responsabilità sociale delle comunità religiose nella prevenzione del radicalismo, e chiede maggiore impegno strategico nel difendere le regole e i valori della democrazia liberale e nel promuovere il dialogo interculturale basato su valori condivisi, la pace e la non violenza.

1.15.

I partenariati attivi con le imprese possono contribuire a prevenire la radicalizzazione, e bisogna coinvolgere anche gli operatori dei social media affinché contrastino l’incitamento all’odio, i «fatti alternativi» e la retorica estremistica sulle loro piattaforme di comunicazione.

1.16.

L’UE dovrebbe dimostrare un forte interesse nella prevenzione della radicalizzazione e cooperare più strettamente con le organizzazioni della società civile nei paesi terzi.

1.17.

È importante arrestare i flussi finanziari che sostengono le strutture estremiste provenienti sia dall’interno dell’UE che da paesi terzi e che vanificano gli sforzi messi in campo dalle autorità pubbliche e dalla società civile per prevenire la radicalizzazione.

2.   Contesto del parere

2.1.

Il presente parere verte su misure, da adottare precocemente ed efficaci a lungo termine, di prevenzione della radicalizzazione dei giovani. Nel quadro del presente parere, per «radicalizzazione» si intende il processo attraverso cui singoli soggetti o gruppi abbracciano l’estremismo (4) arrivando a ricorrere, istigare o incitare alla violenza per raggiungere i loro scopi. La radicalizzazione che porta all’estremismo violento è un processo specifico che non va confuso con il radicalismo politico o con idee e azioni radicali non violente, oppure ancora con una legittima opposizione democratica. Essa è indissolubilmente legata all’estremismo violento, come indicato nella risoluzione del Parlamento europeo del 2015, e può fare la sua comparsa in vari contesti sociali. Il testo mette in evidenza i contributi importanti forniti attraverso i progetti della società civile e attraverso la cooperazione tra questa, gli organismi del settore pubblico e le parti sociali, e raccomanda di proseguire i lavori su un concetto coerente a livello dell’UE, che preveda un sostegno, un finanziamento e un coordinamento sostenibili ed efficaci a livello europeo.

2.2.

Il CESE desidera sottolineare che, in tutti gli Stati membri e all’interno del mondo accademico, è necessario impegnarsi per definire di comune accordo e comprendere i fenomeni inquadrabili come radicalizzazione, azione violenta antidemocratica o terrorismo nonché i legami fra questi concetti. Pertanto, il CESE intende continuare a esaminare tali questioni dal punto di vista della società civile, allo scopo di fornire nuove prospettive al riguardo.

2.3.

L’estremismo violento motivato da ideologie radicali ha numerosi volti, ma molti di essi sono volti giovani. In molti casi vengono infatti reclutate persone giovani, della più varia estrazione socioeconomica, dei più diversi livelli di istruzione e, sempre più spesso, anche di sesso femminile.

2.4.

I giovani sui quali può far presa la radicalizzazione capace di portare all’estremismo violento sono spesso soggetti che si sentono esclusi ed emarginati dalla società o sono confusi da questioni identitarie e dal cambiamento. Spesso, infatti, le ideologie radicali offrono a queste persone, sia pure in maniera illusoria, un punto di riferimento, una guida e un sostegno nella vita di tutti i giorni e compensano il senso di inferiorità che esse provano per vari motivi. È qui che la società civile può svolgere un ruolo importante fornendo alternative e può, più in generale, contribuire a rafforzare una capacità durevole di resilienza sociale, ispirata a valori condivisi, contro la radicalizzazione.

2.5.

Il processo di radicalizzazione può compiersi assai rapidamente, in molti casi persino in pochi mesi o poche settimane. I social media svolgono un ruolo importante in quanto si prestano a essere delle piattaforme anonime e veloci per il reclutamento e la propaganda.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Gli Stati membri sono i principali responsabili della loro sicurezza interna. Tuttavia, il coordinamento e l’attuazione di misure appropriate a livello europeo sono resi difficili dalla mancanza di chiarezza riguardo al coordinamento a livello interistituzionale e dall’assenza di un approccio a tutto tondo. Ciò risulta sempre più problematico, dal momento che il terrorismo e la radicalizzazione sono fenomeni transnazionali e, per combatterli, vi è bisogno di rafforzare il coordinamento, la messa in rete e l’attuazione delle politiche a livello di Unione europea.

3.2.

Fin dal 2005 tutte le iniziative contro la radicalizzazione messe in campo a livello europeo sono adottate conformemente alla strategia dell’UE volta a combattere la radicalizzazione e il reclutamento nelle file del terrorismo, strategia che è stata aggiornata nel 2008 e da ultimo nel 2014. La strategia dell’UE si riflette anche nelle due comunicazioni del 2014 (5) e del 2016 (6), nonché in diverse conclusioni del Consiglio (7), nella relazione del Parlamento europeo del 2015 e nel parere del Comitato delle regioni del 2016 (8). Ebbene, in tale strategia il coinvolgimento e il sostegno degli attori della società civile devono avere una considerazione ancora maggiore. Affrontare con decisione il problema dello scontento dei giovani rispetto ai valori della democrazia liberale e impedirne la radicalizzazione è una responsabilità comune della politica e della società.

3.3.

Alla Commissione europea va riconosciuto il merito di aver compreso molto presto l’importanza di un approccio globale alla prevenzione della radicalizzazione. In particolare, essa ha dichiarato di sostenere lo scambio di esperienze e la condivisione di buone pratiche in tutta l’Unione europea attraverso la rete RAN. Nella sua agenda europea sulla sicurezza del 28 aprile 2015 (9), la Commissione ha previsto la creazione di un Centro di eccellenza della rete RAN, poi istituito il 1o ottobre 2015. Merita inoltre una menzione particolare anche il Forum dell’UE su Internet, inaugurato il 3 dicembre 2015. Le esperienze e le raccomandazioni della rete RAN trovano più forte riscontro negli orientamenti riveduti, del 24 maggio 2017, per la strategia dell’UE volta a combattere la radicalizzazione e il reclutamento nelle file del terrorismo (10); tali orientamenti sono anche intesi ad aumentare il coinvolgimento della società civile in un approccio multiagenzia.

3.4.

Nella sua comunicazione sulla prevenzione della radicalizzazione che porta all’estremismo violento (11), la Commissione europea ha annunciato che avrebbe presentato una proposta di raccomandazione del Consiglio sulla promozione dell’inclusione sociale. Il CESE appoggia questo proposito e incoraggia la Commissione europea a elaborare e presentare prossimamente una proposta in tal senso.

3.5.

Al fine di intensificare gli sforzi per prevenire e contrastare la radicalizzazione che porta all’estremismo violento e al terrorismo e di migliorare il coordinamento e la cooperazione tra tutti i soggetti interessati, la Commissione ha istituito un gruppo di esperti ad alto livello in materia di prevenzione e lotta alla radicalizzazione (gruppo di esperti ad alto livello in materia di radicalizzazione). Tale gruppo fornirà consulenza sull’ulteriore definizione di politiche dell’UE in materia di prevenzione della radicalizzazione che porta all’estremismo violento e al terrorismo, nonché sulle opzioni riguardanti l’avvio, in futuro, di una cooperazione più strutturata tra i diversi soggetti interessati, in particolare gli operatori del settore e gli Stati membri.

3.6.

Ciò nonostante, il CESE reputa che le misure adottate dall’UE e dagli Stati membri per prevenire la radicalizzazione, come anche la loro attuazione concreta, non siano ancora sufficienti. Molte delle attuali politiche dell’UE attribuiscono eccessiva attenzione al ruolo delle organizzazioni della società civile quali strumenti (anziché partner) nella lotta contro l’estremismo violento (ad esempio, vedendo in esse strumenti per sviluppare delle contro-narrazioni online). Il Comitato ritiene inoltre che tali misure siano state indotte principalmente da eventi di crisi acuta quali gli attentati terroristici degli ultimi anni, cosicché sembrano concentrarsi soprattutto sul terrorismo di matrice islamica e su una politica di sicurezza a breve termine e repressiva (12), mentre in realtà le minacce estremiste che utilizzano la religione come giustificazione e provengono da gruppi politici estremisti sono molteplici. Occorre quindi investire in sforzi di prevenzione duraturi e a lungo termine. Il CESE ha già avuto modo di sottolineare nel suo parere sulla politica antiterrorismo dell’UE (del 2011) (13) e in quello sull’Agenda 2030 dell’UE (14) la necessità di coinvolgere maggiormente e di sostenere a livello istituzionale la società civile e gli attori locali (15), in quanto tutti insieme svolgono un ruolo importante nella promozione della fiducia, dell’impegno sociale e dell’inclusione democratica a livello locale, regionale e nazionale.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

Nella prevenzione della radicalizzazione, il CESE sostiene con forza l’adozione di un approccio multiagenzia che richiede un sostanziale rafforzamento delle capacità in tutti i settori pertinenti. Tale approccio riunisce i decisori politici, gli organi pubblici quali le autorità di contrasto e le amministrazioni penitenziarie, gli operatori sociali, la comunità accademica, il mondo dei media e i rappresentanti della società civile organizzata, come anche le organizzazioni delle parti sociali che operano nel settore, quali i sindacati delle forze di polizia, del personale penitenziario e degli insegnanti.

4.2.

Il CESE sottolinea il ruolo della società civile nella lotta contro la radicalizzazione e osserva che tale contributo comune non deve essere ostacolato da aspetti legati alla politica di sicurezza. Nel parere vengono menzionati esempi di attività e di progetti attraverso i quali la società civile organizzata contribuisce alla sostenibilità e all’inclusione sociali. Si tratta di uno dei diversi contributi importanti che la società civile offre, che va ben al di là di ogni possibile misura di politica di sicurezza.

4.3.

Il CESE accoglie pertanto con favore il fatto che nel febbraio 2017 la Commissione abbia istituito una rete di responsabili politici della prevenzione a livello nazionale intesa a rafforzare la condivisione di competenze tecniche ed esperienze in materia negli Stati membri e a realizzare una più intensa partecipazione di questi ultimi alle attività della rete RAN. Il nuovo gruppo di esperti ad alto livello della Commissione in materia di radicalizzazione rappresenta un ulteriore passo verso l’intensificazione di questo scambio tra tutti i soggetti interessati.

4.4.

Gli Stati membri dovrebbero utilizzare appieno gli strumenti e i programmi messi a disposizione dall’UE per la prevenzione della radicalizzazione e dovrebbero garantire risorse di bilancio adeguate — che mancano quasi ovunque. In fatto di prevenzione della radicalizzazione, se si vogliono ottenere risultati duraturi, occorre un’azione di ampio respiro.

4.5.

I sindacati svolgono un ruolo importante, in quanto rappresentano, fra l’altro, il personale in prima linea di tutti i settori pubblici pertinenti e possono fornire formazione e servizi ai loro iscritti. Il CESE chiede quindi anche che i servizi pubblici, compresi gli operatori sociali, siano dotati di risorse adeguate sia in termini di personale che di mezzi materiali a tutti i livelli, e in particolare a livello locale. Una maggiore presenza delle forze di polizia nei luoghi più esposti alla criminalità può impedire, ad esempio, che si formino «santuari» dove non vige la legge dello Stato e imperversa la violenza.

4.6.

Un’istruzione formale e informale inclusiva ha un’importanza determinante per la partecipazione attiva alla vita sociale. Essa può inculcare modelli di società tolleranti e pluralistici, promuovendo l’adesione ai valori liberali e umanistici e il rispetto delle regole democratiche dello Stato di diritto. La scuola, gli istituti di formazione generale e professionale ma anche le strutture di animazione socioeducativa sono istituzioni di cruciale importanza per la prevenzione precoce della radicalizzazione, in quanto stimolano il pensiero critico e forniscono alfabetizzazione mediatica (16) e, se abbinate a mercati del lavoro che funzionano, favoriscono l’integrazione sociale offrendo buone prospettive, in particolare ai giovani. Per quanto possano essere validi, i sistemi di istruzione e formazione non possono da soli escludere la possibilità di radicalizzazione, ma possono consentire di resistere assai meglio alle sue lusinghe.

4.7.

L’azione educativa deve essere intensificata anche al di fuori delle scuole pubbliche, e l’offerta della società civile in questo campo deve ricevere un sostegno ancora maggiore, per sensibilizzare al multiculturalismo e, allo stesso tempo, per favorire lo sviluppo di un chiaro impegno in favore della libertà, della democrazia liberale e dello Stato di diritto. La diffusione della consapevolezza delle diverse culture e regioni del mondo, in particolare nel contesto della crisi migratoria, nonché la promozione di una comprensione dei valori non negoziabili della nostra società quali i ruoli di genere, fondata sulla parità di diritti e di opportunità, possono contribuire attivamente ai fini della prevenzione.

4.8.

Più in particolare, bisognerebbe aumentare gli investimenti nell’opera socioeducativa portata avanti dalle organizzazioni della società civile, in particolare quelle giovanili, che con le loro attività culturali, sportive e ricreative forniscono strutture e possibilità di identificazione alternative, come anche spazi sicuri di dialogo e di espressione personale.

4.9.

Un contributo sostanziale in tal senso viene recato, oltre che dall’istruzione pubblica, anche dalla società civile organizzata, sviluppando — come il CESE ha già avuto occasione di sottolineare (17) — narrazioni e argomentazioni di qualità che si oppongano alla propaganda dei gruppi radicali. Fungendo da modelli, le comunità religiose e soprattutto i testimoni della nostra epoca, le vittime e i sopravvissuti delle regioni insanguinate da conflitti, come anche coloro che hanno abbandonato l’estremismo, possono essere dei preziosi alleati in questa battaglia. È proprio per questo loro ruolo cruciale nel prevenire la radicalizzazione che occorre aiutare, sostenere e finanziare nel lungo periodo — assai più di quanto si sia fatto finora — i sistemi di istruzione, la società civile e gli enti locali.

5.   Raccomandazioni di azioni concrete

5.1.

I CESE appoggia in particolare l’iniziativa di promuovere il dialogo con i responsabili politici a livello europeo e nazionale, e chiede l’istituzionalizzazione di uno scambio costante a tutti i livelli che consenta alla rete RAN di fornire raccomandazioni di azioni concrete agli Stati membri e alle istituzioni europee. Una diffusione più sistematica delle raccomandazioni e dei risultati di tale rete potrebbe massimizzarne l’impatto a tutti i livelli. Il gruppo di esperti ad alto livello in materia di radicalizzazione fornirà raccomandazioni al riguardo.

5.2.

Il Comitato accoglie con favore l’idea di delineare un quadro d’insieme dei programmi di prevenzione e disimpegno esistenti in ogni Stato membro, rendendo tale quadro disponibile anche a livello europeo, ad esempio attraverso la rete RAN, al fine di migliorare il dialogo tra gli organismi pubblici e gli attori della società civile, creare sinergie ed evitare la sovrapposizione dei programmi. Occorre migliorare in modo sostanziale in tutta l’UE le informazioni disponibili in merito a tali iniziative.

5.3.

Le strutture della società civile e delle parti sociali che sono interessate alla prevenzione della radicalizzazione o sono già attive in questo campo dovrebbero essere maggiormente coinvolte nella rete RAN. Gli Stati membri devono pertanto incoraggiare ulteriormente le strutture simili a tale rete attive a livello regionale o locale.

5.4.

Gli attori della società civile e gli organismi pubblici, le associazioni, in particolare le società sportive e le organizzazioni che rappresentano le famiglie, le scuole, le organizzazioni e le attività giovanili, le comunità religiose, i servizi sociali e le forze di polizia devono cooperare nel quadro di reti interdisciplinari, in modo da poter avviare strategie di prevenzione della radicalizzazione già in una fase precoce. Di conseguenza, in particolare gli operatori in prima linea di tutti i settori pubblici pertinenti devono essere preparati in materia di prevenzione della radicalizzazione, e lavorare in stretta cooperazione con le strutture specializzate della società civile. Tali operatori devono inoltre poter accedere agli organi consultivi e alle reti pertinenti, in modo da essere più facilmente in grado di riconoscere i segnali di radicalizzazione, evitando nel contempo qualsiasi tipo di discriminazione.

5.5.

Gli enti locali e le loro amministrazioni svolgono un ruolo particolarmente importante ai fini della prevenzione, in quanto possono riunire tutti gli attori presenti sul campo. Occorre rafforzare i meccanismi di finanziamento esistenti a livello UE e nazionale, renderli più accessibili riducendone le formalità burocratiche e integrarli con risorse consistenti e durature.

5.6.

Il CESE raccomanda di aumentare gli investimenti nei sistemi di istruzione e formazione, nelle strutture socioeducative e ricreative che promuovono l’integrazione e i valori democratici condivisi in tutta l’UE.

5.7.

Gli investimenti degli Stati membri sono di gran lunga insufficienti per offrire ai giovani le migliori opportunità e contrastare in questo modo la radicalizzazione, che può essere favorita dall’emarginazione sociale e dalla mancanza di prospettive, risultato ad esempio dell’abbandono scolastico. Nel complesso, occorre considerare la lotta agli altissimi tassi di disoccupazione giovanile e alle condizioni di lavoro precarie che si registrano in numerosi Stati membri anche come una misura preventiva contro la radicalizzazione.

5.8.

Temi come l’identità, i conflitti di ruolo legati al genere e alla cultura, i potenziali elementi di conflitto socioeconomico, l’immigrazione, la discriminazione, l’esclusione sociale e il bullismo, che possono essere strumentalizzati dalla propaganda estremista e dai gruppi estremisti, devono essere maggiormente presenti nei programmi scolastici e nella formazione del personale specializzato degli organismi pubblici, ad esempio i servizi di contrasto e gli istituti di pena. I programmi didattici di molti Stati membri riservano però uno spazio insufficiente a materie che in questo senso sono fondamentali, quali l’educazione civica. Continua inoltre ad essere essenziale sviluppare le competenze in materia di media nell’uso di Internet e dei social media tra i giovani, i genitori e gli insegnanti.

5.9.

Se, da un lato, è vero che la radicalizzazione può far presa non soltanto tra i giovani in situazioni di povertà o di disoccupazione, dall’altro è innegabile che la deprivazione materiale e la mancanza di prospettive e di partecipazione attiva possono portare all’esclusione sociale, la quale, a sua volta, può servire da breccia ai reclutatori radicali. Oltre a maggiori investimenti nella lotta alla povertà, il CESE (18) chiede di accordare una più alta priorità all’integrazione dei giovani nella società, nei sistemi di istruzione e nel mercato del lavoro. Il Comitato rinnova la sua richiesta di creare solidi sistemi di integrazione negli Stati membri, che consentano l’accesso al mercato del lavoro, il riconoscimento delle qualifiche e la formazione professionale e linguistica quali strumenti di integrazione, e rifiuta qualsiasi forma di discriminazione per motivi etnici o religiosi (19).

5.10.

È fondamentale che le famiglie di giovani in via di radicalizzazione possano disporre concretamente di servizi di consulenza e di sostegno. Quando nei loro giovani ravvisano cambiamenti che fanno pensare a una radicalizzazione, queste famiglie devono poter rivolgersi a interlocutori e a reti competenti. A tal fine, le strutture e le iniziative della società civile risultano particolarmente utili, in quanto sono facilmente accessibili, e hanno quindi particolare bisogno di sostegno nella definizione dei programmi di dialogo e di scambio di conoscenze con i giovani emarginati e le loro famiglie.

5.11.

I programmi contro la violenza domestica contribuiscono a prevenire la radicalizzazione perché le esperienze di violenza domestica possono creare modelli sbagliati e un’errata visione dei ruoli, favorendo spesso la criminalità. Anche questi programmi hanno bisogno di maggiore sostegno istituzionale e finanziario.

5.12.

I partenariati attivi con le imprese possono contribuire alla prevenzione. E ciò vale in particolare per il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Gli strumenti innovativi, offerti anche dai social media e da Internet, possono aiutare a diffondere una contro-narrazione attraverso formule a tariffe convenienti o, meglio ancora, gratuite. Le imprese possono mettere a disposizione delle organizzazioni della società civile e degli operatori del settore competenze professionali in materia di comunicazione e di media, e sostenere l’elaborazione di pubblicità e di campagne mirate.

5.13.

Al tempo stesso, i fornitori di servizi online devono essere coinvolti nella lotta contro l’incitamento all’odio, contro i «fatti alternativi» e contro la retorica estremistica sulle loro piattaforme di comunicazione e dovrebbero essere obbligati a bandire dai loro siti i contenuti illeciti di carattere estremistico. Il controllo sulle comunicazioni non deve però trasformarsi in uno strumento che può condizionare la vita privata dei cittadini (20).

5.14.

A questo riguardo, gli Stati membri sono chiamati a promuovere le competenze comunicative e mediatiche dei soggetti della società civile, in modo da porli in condizione di elaborare misure idonee a contrastare la diffusione di contenuti radicali che incitano alla violenza e di mettere tali misure a disposizione anche di altri operatori del settore e di altri progetti. Per realizzare questo obiettivo, gli Stati membri potrebbero, ad esempio, contribuire in maniera durevole al programma di responsabilizzazione della società civile.

5.15.

Il CESE raccomanda di incrementare i finanziamenti per la ricerca che l’UE già consente di realizzare grazie ai suoi programmi sul fronte della radicalizzazione, ad esempio nel quadro del Centro di eccellenza della rete RAN, e invita a intensificare l’attività di rete tra il mondo accademico e gli esperti della società civile in materia.

5.16.

La radicalizzazione si sviluppa molto spesso negli istituti di reclusione. L’ambiente carcerario unisce infatti una serie di fattori di rischio, quali elevata concentrazione di persone, situazioni individuali di esclusione, eccessiva disponibilità di tempo ecc. È quindi necessario intervenire in maniera proattiva per agevolare la corretta formazione del personale carcerario e porlo in grado di individuare le situazioni di rischio. In questo campo si possono trovare esperienze positive e buoni meccanismi per prevenire le situazioni di questo tipo. In tale ottica, le carceri devono essere di dimensioni adeguate e dotate di personale qualificato, e il rapporto tra il numero degli agenti e quello dei detenuti deve essere tale da favorire la reintegrazione sociale. Il ruolo dei sindacati in questo campo potrebbe essere ulteriormente rafforzato, ad esempio, organizzando attività di formazione e diffondendo gli insegnamenti tratti attraverso la rete RAN.

5.17.

Nel quadro di un approccio multiagenzia che vada oltre le misure repressive, i funzionari delle autorità di sicurezza, degli istituti di pena, dei servizi sociali, delle scuole e di altre istituzioni pubbliche pertinenti che hanno numerosi punti di contatto con la società civile organizzata, devono essere maggiormente preparati e sensibilizzati in materia di prevenzione. A tal fine si possono mettere a disposizione competenze e risorse a livello europeo e si può promuovere in maniera mirata la cooperazione con la società civile.

5.18.

Occorre intensificare la cooperazione tra enti governativi e non governativi per il reinserimento degli ex detenuti, al fine di garantire la reintegrazione sociale di queste persone. Le biografie di numerosi giovani radicalizzati presentano analogie con il percorso dei criminali comuni.

5.19.

L’inserimento degli ex detenuti nel mercato del lavoro è reso difficile dalla stigmatizzazione spesso associata al fatto di essere stati in carcere, ma rappresenta comunque un passo importante nel prevenire la radicalizzazione. Le parti sociali, e in particolare i datori di lavoro, sono sollecitate a contribuire in tal senso offrendo a queste persone una seconda possibilità, che spesso è la prima opportunità nella loro vita.

5.20.

L’UE dovrebbe dar prova di un forte impegno nel prevenire la radicalizzazione e cooperare più strettamente con le organizzazioni della società civile nei paesi terzi che presentano un elevato rischio di radicalizzazione e che potrebbero essere o diventare anch’essi dei focolai di radicalizzazione.

5.21.

Più specificamente, l’azione esterna dell’UE in materia di antiterrorismo e di resilienza degli Stati e delle società, come delineata nella strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, sottolinea la necessità di promuovere il dialogo interculturale e interreligioso, allargando i partenariati con la società civile, le organizzazioni sociali, le comunità religiose e il settore privato di tali paesi. Esiste però un forte rischio che gli sforzi della società civile possano rivelarsi vani, vista la notevole influenza esercitata da soggetti esterni di paesi terzi, ad esempio attraverso il loro sostegno finanziario ai movimenti estremisti violenti negli Stati membri dell’UE e nei paesi vicini. Tali flussi finanziari devono essere bloccati.

Bruxelles, 6 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  L’invito a presentare progetti è stato pubblicato il 4 ottobre 2017: http://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/opportunities/isfp/topics/isfp-2017-ag-csep.html.

(2)  La Rete di sensibilizzazione al problema della radicalizzazione è un progetto finanziato dall’UE che riunisce operatori di tutta Europa impegnati nella prevenzione della radicalizzazione. Per maggiori informazioni consultare il sito (in inglese): https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/networks/radicalisation_awareness_network_en.

(3)  L’obiettivo della rete ESCN è quello di agevolare gli Stati membri nella condivisione delle buone pratiche e di idee in merito all’impiego delle comunicazioni strategiche nella lotta contro l’estremismo violento e di assisterli fornendo loro consulenza gratuita, personalizzata e riservata su come applicare un approccio di comunicazione strategica affinché sviluppino proprie capacità interne per contrastare l’influenza dell’estremismo violento nei tempi e nella misura necessari.

(4)  Questo termine dovrebbe essere utilizzato con cautela, in quanto fa riferimento a una pluralità di fenomeni — come l’estremismo di destra o di sinistra oppure l’integralismo religioso — che si prefiggono di commettere azioni illecite o violente. Inoltre, il termine può prestarsi a interpretazioni erronee e a strumentalizzazioni politiche. Infine, le posizioni estremistiche possono essere sostenute anche da persone o gruppi che non sono ai margini della società.

(5)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=COM:2013:0941:FIN.

(6)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=COM%3A2016%3A379%3AFIN.

(7)  Ad esempio, sulla risposta di giustizia penale (novembre 2015), sulla radicalizzazione dei giovani (giugno 2016), sullo sviluppo dell’alfabetizzazione mediatica e del pensiero critico (giugno 2016) e sulla prevenzione della radicalizzazione che porta all’estremismo violento (novembre 2016).

(8)  GU C 17 del 18.1.2017, pag. 33.

(9)  COM(2015) 185 final e COM(2013) 941 final.

(10)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-9646-2017-INIT/it/pdf.

(11)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52016DC0379.

(12)  Cfr. anche http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2017/583124/IPOL_STU(2017)583124_EN.pdf.

(13)  GU C 218 del 23.7.2011, pag. 91 e GU C 211 del 19.8.2008, pag. 61.

(14)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 58.

(15)  Sul rafforzamento delle misure a livello locale, cfr. il parere del Comitato delle regioni Combattere la radicalizzazione e l’estremismo violento: meccanismi di prevenzione a livello locale e regionale, (GU C 17 del 18.1.2017, pag. 33).

(16)  Dichiarazione di Parigi sulla promozione della cittadinanza e dei valori comuni di libertà, tolleranza e non discriminazione attraverso l’istruzione.

(17)  GU C 211 del 19.8.2008, pag. 61.

(18)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 23.

GU C 173 del 31.5.2017, pag. 15.

(19)  GU C 125 del 21.4.2017, pag. 40.

(20)  GU C 218 del 23.7.2011, pag. 91.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/18


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il contributo della società civile allo sviluppo di una politica alimentare globale dell’UE»

(parere d’iniziativa)

(2018/C 129/04)

Relatore:

Peter SCHMID

Decisione dell’Assemblea plenaria

23.2.2017

Base giuridica

articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

21.11.2017

Adozione in sessione plenaria

6.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

131/3/7

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ribadisce l’invito a sviluppare una politica alimentare globale dell’UE, con l’obiettivo di fornire un’alimentazione sana a partire da sistemi alimentari sostenibili, di collegare l’agricoltura all’alimentazione e ai servizi ecosistemici, nonché di garantire catene di approvvigionamento che tutelino la salute pubblica per tutti i settori della società europea. Una politica alimentare globale dell’UE dovrebbe aumentare la coerenza tra gli ambiti politici legati all’alimentazione, ripristinare il valore del cibo e promuovere una transizione a lungo termine dal produttivismo e consumismo alimentare alla cittadinanza alimentare.

1.2.

L’attuale quadro politico dell’UE non è adatto a permettere quella transizione verso sistemi alimentari più sostenibili che è necessaria per garantire l’efficace attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (OSS) come pure del diritto all’alimentazione e degli altri diritti umani. Sebbene gli attuali quadri politici possano avere ottenuto dei risultati nell’affrontare problemi singoli, essi non offrono la coerenza generale necessaria per rispondere alla grande varietà di sfide che i sistemi alimentari globali e dell’UE dovranno affrontare in futuro. Il CESE sottolinea che gli attuali strumenti politici dell’UE devono essere riallineati e armonizzati per produrre sistemi alimentari sostenibili sul piano ambientale, economico e socioculturale. Inoltre, il CESE ribadisce che una politica alimentare globale dovrebbe essere complementare, e non alternativa, ad una PAC riformata in profondità (1).

1.3.

Il CESE sottolinea la necessità di mantenere una cultura che tenga conto dell’importanza nutrizionale e culturale degli alimenti, nonché del loro impatto sociale ed ambientale. A tale riguardo, la grande varietà di alimenti e specialità regionali/locali disponibili nell’UE è una vera e propria risorsa e, in quanto tale, dovrebbe essere ulteriormente valorizzata. Una politica alimentare globale dovrebbe favorire un maggiore apprezzamento degli alimenti da parte dei consumatori, promuovere la prevenzione e la riduzione degli sprechi alimentari, e aiutare a reintegrare e riallineare il prezzo dei prodotti alimentari con altri valori. In particolare, essa dovrebbe garantire prezzi equi per i produttori, in modo che la produzione agricola continui ad essere redditizia.

1.4.

Il CESE sottolinea che tutte le parti interessate della catena di approvvigionamento (o filiera) alimentare devono partecipare allo sviluppo di un quadro globale che consenta di ottenere una distribuzione equa lungo la filiera. Nessun settore individuale è in grado di raggiungere da solo questo risultato. Una politica alimentare globale dovrebbe sfruttare il potere dell’industria e del commercio al dettaglio per accelerare il passaggio dei consumatori alla sostenibilità. La transizione verso sistemi alimentari sostenibili richiede anche che i consumatori impegnati diventino cittadini attivi in campo alimentare. Ciò significa anche che una politica alimentare globale deve garantire che il settore agroalimentare europeo sia in grado di vendere a livelli qualitativi atti a mantenere la sua posizione di scelta preferita dalla maggior parte dei consumatori.

1.5.

Il CESE riconosce il crescente numero di iniziative attuate a livello regionale e locale per sostenere sistemi alimentari alternativi. Queste iniziative instaurano legami più stretti tra produttori e consumatori, creano opportunità per le imprese locali e nuovi posti di lavoro, e ristabiliscono il rapporto delle comunità con i loro alimenti. Il CESE sottolinea anche il ruolo delle città nello sviluppo di politiche alimentari più integrate. Una politica alimentare globale dovrebbe basarsi su una governance comune a tutti i livelli (locale, regionale, nazionale ed europeo), nonché stimolarla e svilupparla. Ciò consentirebbe di creare un quadro di sostegno che permetta a queste iniziative di avere successo, a prescindere dalle loro dimensioni.

1.6.

Il CESE chiede l’adozione di un nuovo sistema intelligente per l’etichettatura sostenibile dei prodotti alimentari. Finora le diverse politiche si sono concentrate sugli aspetti nutrizionali e su altre indicazioni per la salute, ma il CESE rileva crescenti preoccupazioni circa la mancanza di informazione dei consumatori sull’impatto ambientale e sociale dei prodotti alimentari. L’industria alimentare sa di poter contrastare in una certa misura gli impatti ambientali ma, in ultima analisi, occorre coinvolgere i consumatori e fornire loro le informazioni necessarie.

1.7.

Al fine di sostenere l’instaurazione di un quadro globale che riunisca le politiche in materia alimentare dell’UE, il CESE propone, nel breve/medio termine, di creare una task force intersettoriale e interistituzionale, con la partecipazione di diverse direzioni generali della Commissione e di altre istituzioni dell’UE. La task force avrà il compito di elaborare un piano d’azione sulla sostenibilità alimentare al fine di aiutare l’UE ad attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile legati all’alimentazione. Il piano d’azione dovrebbe essere messo a punto attraverso un processo partecipativo che coinvolga le parti interessate di tutta la filiera alimentare, la società civile e i ricercatori. Il CESE suggerisce di organizzare e sviluppare uno spazio per consentire alla società civile di impegnarsi e partecipare attivamente a questo processo.

1.8.

In particolare, il CESE raccomanda di definire un quadro di valutazione della sostenibilità alimentare nell’UE, che consentirebbe di affrontare le sfide relative ai sistemi alimentari attraverso un approccio pluriennale, promuovendo in tal modo l’allineamento delle politiche attuate ai diversi livelli di governo. Il quadro di valutazione fornirebbe degli indicatori e, pertanto, incoraggerebbe e monitorerebbe i progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi fissati.

1.9.

A più lungo termine, e in funzione delle conclusioni della task force, il CESE incoraggia la Commissione a valutare l’opportunità di creare una DG specificamente dedicata all’alimentazione, che accentrerebbe le responsabilità dell’UE per tutte le politiche in materia alimentare e, a seconda dei casi, svolgerebbe compiti di regolazione, legislazione ed attuazione. Una struttura analoga potrebbe essere creata in tutti gli Stati membri dell’UE sotto forma di un ministero specificamente dedicato all’alimentazione.

2.   Introduzione

2.1.

Nel parere esplorativo sul tema Sistemi alimentari più sostenibili, elaborato su richiesta della presidenza neerlandese dell’UE nel 2016, il CESE chiedeva l’adozione di una politica alimentare globale intesa a promuovere una transizione verso sistemi alimentari più sostenibili e a garantire una maggiore coerenza tra gli obiettivi delle politiche legate all’alimentazione (come ad esempio una produzione agricola sostenibile, un’alimentazione sana, la tutela dell’ambiente, relazioni commerciali più eque ecc.). Il presente parere si basa su tali raccomandazioni per sviluppare ulteriormente la logica e la visione alla base di un quadro globale.

2.2.

Nel frattempo, è diventata più forte la spinta ad adottare un approccio più completo alla politica alimentare. Le Nazioni Unite hanno proclamato l’attuale decennio «Decennio di azione sulla nutrizione», riconoscendo la necessità di ridefinire i sistemi alimentari per conseguire un’alimentazione più sana e una migliore nutrizione. Il gruppo di esperti ad alto livello del Comitato per la sicurezza alimentare mondiale ha messo ulteriormente in luce questo imperativo nella relazione del settembre 2017 (2). A livello dell’UE, il Comitato delle regioni ha recentemente adottato un parere in cui chiedeva una politica alimentare dell’UE globale e sostenibile, capace di collegare diverse politiche relative al settore alimentare. Il gruppo intergovernativo di esperti sui sistemi alimentari sostenibili (IPES Food) ha lanciato un processo partecipativo triennale con l’obiettivo di elaborare una visione per una politica alimentare comune entro il 2018, coinvolgendo gruppi scientifici, parti interessate, organizzazioni della società civile e responsabili politici. Una grande quantità di iniziative intersettoriali lanciate a livello nazionale, regionale e locale sta già trasformando i sistemi alimentari europei con la partecipazione attiva della società civile.

2.3.

Il CESE è convinto che l’attuazione degli OSS in Europa rappresenti un fattore chiave per promuovere un approccio globale comprendente diversi settori (agricoltura, sanità, ambiente, commercio, sviluppo, innovazione ecc.) e livelli di governance (europeo, nazionale, locale), nonché per realizzare una produzione alimentare e modelli di consumo più sostenibili. Anche il dibattito in corso sulla politica agricola comune (PAC) post 2020 è un’occasione importante per garantire la coerenza tra una politica agricola riformata e altri obiettivi politici legati all’alimentazione (3).

2.4.

Alcuni Stati membri (ad esempio la Finlandia, la Francia, la Germania, i Paesi Bassi e la Svezia) stanno diventando sempre più attivi nelle politiche che sono in relazione con i prodotti alimentari per quanto riguarda la salute, l’ambiente e la sostenibilità. Il CESE mette in guardia contro l’adozione di approcci diversi nei diversi Stati membri, poiché tale situazione rischierebbe di danneggiare i consumatori e le imprese. Il CESE ritiene che questa sia un’ulteriore ragione per chiedere un quadro globale a livello dell’UE.

3.   Diagnosi — che cosa non funziona nell’attuale quadro politico

3.1.

La mole di dati scientifici che dimostrano l’impatto dell’alimentazione sulla salute, sull’ambiente e sulla società in generale è sempre più consistente. Il «mondo alimentare» per il quale la PAC era stata concepita è diventato più complesso. L’Europa non soffre di scarsità di prodotti alimentari, e questo è un risultato dovuto alla PAC e all’aumento dei redditi nonché al miglioramento dei metodi di produzione nel settore agricolo. L’occupazione e la creazione di valore nel settore alimentare si sono spostate dalla terra e dal mare agli stabilimenti industriali, al commercio al dettaglio e alla ristorazione. Le questioni sanitarie non si limitano più al sottoconsumo; se ancora oggi si registrano regimi alimentari inadeguati dovuti alle diseguaglianze sociali e alla «nuova» povertà alimentare, il loro impatto è ampiamente superato dalla massiccia diffusione di malattie non trasmissibili. Tra queste si contano le malattie cardiache, gli ictus, il diabete e l’obesità. Le malattie cardiovascolari provocano la morte di 1,8 milioni di persone ogni anno nell’UE, il 37 % di tutti i decessi (4). Nel 2015, nell’UE, circa 49 milioni di persone soffrivano di malattie cardiovascolari.

3.2.

Le tendenze in atto nella società europea hanno inoltre profondamente trasformato gli alimenti, i gusti e le abitudini culinarie. I modelli di consumo e gli stili di vita sono cambiati rispetto all’epoca di creazione della PAC. La transizione culinaria ha interessato in modo particolare le donne, dato che storicamente esse hanno assunto, e spesso lo fanno ancora, gran parte dei compiti relativi al cibo in ambito domestico. Le trasformazioni delle tecnologie alimentari hanno avuto effetti sociali sia positivi che negativi. È vero che le possibilità di scelta si sono ampliate, ma il risultato è stato, talvolta, l’indebolimento del retaggio culturale vario e ricco dell’Europa. I consistenti bilanci che le grandi imprese alimentari investono nel marketing hanno in genere incoraggiato i consumatori ad acquistare alimenti «ultra-trasformati». Dati del settore indicano che i cittadini belgi, ad esempio, assumono i due terzi del loro apporto calorico da prodotti preconfezionati, una proporzione superiore anche a quella dei britannici (5). Gli organismi preposti alla sanità pubblica hanno espresso preoccupazione per l’eccessivo consumo di prodotti alimentari trasformati ad alto contenuto di sale, zucchero e grassi. Questi prodotti possono essere molto economici, il che costituisce un incentivo per le persone a basso reddito, il cui livello di salute è già inferiore alla media. In questo modo, l’alimentazione contribuisce alle diseguaglianze sociali in Europa (6). Durante e dopo la grande recessione, in Europa vi è stato un aumento dei doni alimentari di beneficenza. Tuttavia, l’offerta di tali aiuti alimentari di emergenza non deve sostituire l’impegno dell’Europa ad affrontare le disuguaglianze sociali che creano problemi sanitari legati all’alimentazione.

3.3.

L’impatto ambientale dei prodotti alimentari è documentato e ammesso. I cambiamenti climatici sono una minaccia riconosciuta, e l’UE ha sostenuto con forza la convenzione quadro sui cambiamenti climatici adottata a Parigi nel 2015. L’UE ha inoltre garantito una migliore regolamentazione in campo ambientale e di prevenzione dei danni, ad esempio attraverso la direttiva quadro in materia di acque. Tuttavia, i gusti alimentari in Europa stanno favorendo modelli di consumo che comportano livelli elevati di utilizzo, nascosto o «integrato», di acqua, modelli che creano delle minacce per gli Stati membri (7) e richiedono un approccio più integrato alla terra, all’agricoltura e alle risorse idriche (8). Anche la fragilità dei suoli europei costituisce un motivo di preoccupazione. I modelli elaborati dal Centro comune di ricerca dell’UE indicano che l’erosione dei suoli per azione dell’acqua ha interessato 130 milioni di ettari della superficie totale dell’UE-27; circa il 20 % di queste aree subisce ogni anno una perdita di suolo superiore a 10 tonnellate per ettaro (9). La perdita di biodiversità si riscontra sia sulla terraferma che in mare, dove si valuta che la diversità degli stock sia a rischio (10). Ciò nonostante, gli Stati membri continuano a raccomandare ai consumatori di mangiare pesce per motivi nutrizionali, senza rendersi conto delle conseguenze ambientali.

3.4.

Dal punto di vista economico, gli ultimi 60 anni sono stati giudicati un successo. Il cibo è presente ovunque. La percentuale media della spesa alimentare delle famiglie è crollata dal 30 % al 15 %. I prezzi al consumo sono calati grazie all’emergere delle grandi catene di distribuzione al dettaglio di prodotti alimentari. Oggi, tuttavia, gli economisti chiedono se i prezzi degli alimenti rispecchino i costi reali di produzione o se, invece, omettano di tenere pienamente conto di alcuni di tali costi. Il CESE prende atto con interesse dei lavori svolti attualmente dalla FAO per una contabilizzazione dei costi agricoli totali (11). Anche gli squilibri di potere nella filiera di approvvigionamento alimentare sono aumentati, il che ha portato a pratiche commerciali sleali e alle conseguenze che ne derivano (12) e a una diminuzione della quota del prezzo al consumo che va agli agricoltori.

3.5.

La tendenza alla sovrapproduzione ha abbassato i prezzi, ma ha anche istituzionalizzato gli sprechi alimentari. Considerando che, secondo le stime, i consumatori nei paesi del mondo a basso reddito sprecano circa l’8 % dei prodotti alimentari, i consumatori nell’UE sprecano circa un terzo di ciò che acquistano. Stando alle stime effettuate nel quadro del progetto Fusions, finanziato dall’UE, 88 milioni di tonnellate di cibo vengono sprecate ogni anno nell’UE, con un costo di 143 miliardi di EUR (13). Questa dimensione culturale dello spreco alimentare non viene affrontata appieno dall’approccio dell’economia circolare, né dalla tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, che rappresentano un valido contributo per considerare il cibo come un elemento materiale, ma non tengono conto del suo valore per i consumatori o sul piano culturale. L’Europa si trova dunque di fronte alla sfida di costruire un nuovo concetto di cittadinanza alimentare intorno all’idea di «mangiare per la sostenibilità».

3.6.

Dati e studi forniti sia dal mondo accademico che dall’industria alimentare hanno migliorato la nostra comprensione degli effetti che i sistemi alimentari europei producono sulla società, sull’ambiente e sui livelli di salute. Considerati insieme, essi indicano la necessità di un approccio più integrato. Sebbene gli attuali quadri politici possano avere ottenuto dei risultati nell’affrontare problemi singoli, essi non offrono la coerenza generale necessaria per rispondere alla grande varietà di sfide che i sistemi alimentari globali e dell’UE dovranno affrontare in futuro. Le politiche in materia alimentare vengono per lo più elaborate in modo isolato le une dalle altre e sono spesso prive di coerenza. Anche le politiche condotte a diversi livelli di governance non sono collegate tra loro. Un esempio che illustra la necessità di un approccio più integrato è la resistenza antimicrobica, che si è diffusa per via dell’uso di antibiotici nell’allevamento di animali e che ora costituisce una minaccia per la salute umana. L’importanza di una politica alimentare integrata in relazione a questa tematica è stata sottolineata anche dal commissario Andriukaitis in un discorso pronunciato di recente. Un altro esempio è il conflitto tra l’uso dei terreni per la produzione di alimenti e per la produzione di energia, per l’edilizia abitativa o per altre esigenze. Anche gli sprechi alimentari sono, in parte, il prodotto di una maggiore efficienza nella produzione; vi è un flusso costante e massiccio di alimenti che attraversa l’intero sistema. Per risolvere questo problema, fare appello a un comportamento razionale da parte dei consumatori non è d’aiuto.

3.7.

Se l’UE «rinascesse» oggi, essa adotterebbe una politica alimentare globale intesa a creare regimi alimentari (diete) sostenibili a partire da sistemi alimentari sostenibili, collegando la produzione agricola alla nutrizione e ai servizi ecosistemici, e garantendo catene di approvvigionamento atte a tutelare la salute pubblica per tutti i settori della società europea (14). La sfida politica consiste nell’innescare i cambiamenti necessari. Storicamente, la politica dell’UE si è sviluppata attraverso un processo di trasformazione democratica, con cambiamenti più repentini per rispondere a situazioni di crisi, com’è avvenuto nel caso della sicurezza alimentare nel 2000 e dello scandalo della carne equina nel periodo 2013-2015.

4.   Il ruolo della società civile nell’elaborazione di politiche alimentari più sostenibili

4.1.

Il CESE osserva che ampi settori della società europea riconoscono le nuove sfide strutturali per la governance alimentare dell’UE. L’UE potrebbe passare da una politica di adeguamento e reazione alle situazioni all’adozione di un approccio proattivo. Il CdR ha stabilito importanti precedenti nel suo recente parere. L’emergere di un nuovo interesse per la creazione di una migliore politica alimentare per le città dell’UE dovrebbe ora essere preso in considerazione nel valutare i problemi delle zone rurali. Molte città europee hanno lanciato delle azioni attraverso consigli di politica alimentare, reti urbane per la sostenibilità e/o per l’azione in materia di cambiamenti climatici e il programma «Città sane» dell’OMS. Tale interesse ha trovato riscontro nella firma, nel 2015, del Patto di Milano per una politica alimentare urbana («Urban Food Policy Pact»).

4.2.

Recentemente sono comparse diverse forme di riorganizzazione della filiera alimentare intese a ristabilire il rapporto tra produttori e consumatori e a ritornare a una produzione agricola e alimentare di prossimità. Si tratta in particolare dell’agricoltura sostenuta dalle comunità, delle filiere corte, delle reti alimentari alternative, dei sistemi agricoli locali e delle vendite dirette. Anche le cooperative di consumatori possono svolgere un ruolo fondamentale garantendo uno stretto rapporto con la comunità nonché un’attenzione per gli aspetti sociali, educativi e ambientali. Alcune istituzioni pubbliche si avvalgono di programmi che fanno anch’essi parte di tale processo, ad esempio quelli relativi agli appalti pubblici per le scuole e gli ospedali intesi a incoraggiare la fornitura di alimenti locali e biologici, come in Danimarca e a Malmö, in Svezia. Ciò è coerente con l’approccio dell’Unione in materia di economia circolare.

4.3.

Instaurando legami più stretti tra produttori e consumatori, la creazione di sistemi alimentari più legati al territorio e il lancio di iniziative dal basso potrebbero svolgere un ruolo essenziale nel favorire un consumo alimentare più sano e più sostenibile. Il coinvolgimento della società civile e delle comunità locali rafforza questi collegamenti, come si evince dalle numerose iniziative alimentari sostenibili lanciate in città, grandi e piccole, di tutta Europa. Per il momento, tuttavia, le politiche a livello dell’UE non dispongono degli strumenti per poter apprendere da queste esperienze, e ancor meno per sostenerle quando sono promettenti. Una politica alimentare globale potrebbe pertanto contribuire sia a stimolare che a sviluppare una governance comune per tali iniziative. Le aziende agricole si adattano alla domanda dei mercati, ma subiscono i vincoli dovuti alla natura della produzione agricola; cambiare i sistemi di produzione richiede tempo.

4.4.

L’economia alimentare deve far fronte ad importanti sfide tecniche, finanziarie e sociali (15) che sono state riconosciute dai principali programmi di investimento per l’innovazione e il progresso tecnologico. In Europa vi sono circa 289 000 imprese di produzione alimentare, ma 3 000 da sole rappresentano quasi la metà del mercato dell’UE (16). Alcuni studi suggeriscono che, per ottenere sistemi alimentari resilienti, occorre mantenere un insieme eterogeneo di imprese agricole grandi e piccole. Esistono profonde disparità tra le principali imprese alimentari europee e il settore delle PMI. Queste ultime potrebbero essere meglio integrate con l’Europa sociale. L’economia digitale offre delle opportunità per la creazione di legami più stretti tra i consumatori e i produttori. Le imprese accolgono con favore una leadership progressiva sulle questioni di sostenibilità, e chiedono la definizione di quadri chiari.

4.5.

I cittadini europei hanno un chiaro interesse a garantire che i loro alimenti provengano da fonti sostenibili. I sistemi di etichettatura non sono in grado di assicurare chiarezza, semplicemente per via della complessità della questione. In una recente relazione elaborata da Karl Falkenberg, è stato raccomandato che il «marchio» degli alimenti europei sia incentrato sulla sostenibilità, ovvero sul concetto di «vivere bene e condividere equamente entro i limiti del pianeta» (17). Ciò suggerisce un’enfasi tanto sugli aspetti sociali quanto su quelli ambientali ed economici. Alcune questioni culturali esulano dalle competenze delle istituzioni europee, come la contrapposizione tra il lavoro in campo alimentare retribuito (nelle catene di approvvigionamento) e non retribuito (nelle cucine domestiche), ma vi sono elementi del sistema alimentare europeo che sono fondamentali per il concetto europeo di alimento (o «marchio»). L’Europa è rinomata per la diversità culinaria e della sua produzione. Questo aspetto deve essere non solo protetto, ma anche attivamente rafforzato. Il sistema del marchio qualità dell’UE (IGP, DOP, STG) è utile, ma copre soltanto le specialità alimentari e non riguarda le tendenze dell’alimentazione di massa. Il suggerimento di Falkenberg, secondo cui bisogna aspirare all’equità, dovrebbe indubbiamente comportare un «New Deal» in materia di salari e condizioni eque per i lavoratori migranti nelle imprese alimentari dell’UE. Si tratta di questioni sensibili ma importanti, attraverso le quali una politica alimentare globale può contribuire concretamente all’armonia sociale in Europa.

4.6.

Una particolare preoccupazione per i genitori e le agenzie attive in campo sanitario è la disparità di investimenti finanziari nei messaggi riguardanti gli alimenti destinati ai bambini. L’OMS ritiene che si tratti di una questione prioritaria, dal momento che una percentuale estremamente elevata di tali messaggi riguarda alimenti ad alto contenuto di sale, zucchero e grassi (18). Con il passaggio dai mezzi di comunicazione tradizionali a quelli digitali, si fa sentire ancora di più la necessità di un approccio globale. Si stima che, nel 2016, 37 miliardi di dollari USA siano stati spesi per la sola pubblicità alimentare digitale nell’Europa occidentale (19). Il CESE prende atto della richiesta, rivolta di recente dai consumatori alle imprese alimentari e al settore della vendita al dettaglio, di non utilizzare più le «mascotte» del loro marchio nelle campagne pubblicitarie e di marketing per i prodotti alimentari ad elevato contenuto di grassi, sale e zucchero. In assenza di interventi adeguati da parte dell’industria, i governi dovrebbero considerare la possibilità di adottare misure di regolamentazione (20).

4.7.

L’obiettivo della politica alimentare dell’UE nei prossimi cinquant’anni dovrebbe essere quello di promuovere la transizione dal consumismo alimentare (caratterizzato dagli sprechi) alla cittadinanza alimentare (caratterizzata da attenzione e responsabilità). La transizione verso regimi alimentari sostenibili basati su sistemi alimentari sostenibili richiede anche che i consumatori impegnati diventino cittadini attivi in campo alimentare. Il CESE ribadisce la proposta di avviare una campagna di informazione e di sensibilizzazione su scala europea sul «valore degli alimenti», che sarà necessaria per garantire un cambiamento a lungo termine del comportamento dei consumatori (21).

5.   Visione — obiettivi e struttura di una politica alimentare globale dell’UE

5.1.

La politica alimentare è una politica trasversale, che organizza e finanzia il quadro dei sistemi alimentari, dalla produzione primaria (agricoltori) attraverso la fase di produzione (trasformazione) fino al consumo. Essa chiarisce ed esplicita tutti quegli aspetti che sono spesso celati e occulti. Dato che il cibo ha relazioni con così tanti ambiti dell’esistenza, come l’istruzione, la sanità, l’ambiente, il commercio, le relazioni sociali e la cultura, l’utilità di disporre di una politica alimentare globale risiede nel fatto che la società può chiarire che cosa vuole e che cosa può ottenere dal suo sistema alimentare. Essa collega gli elementi che altrimenti rischiano di essere troppo facilmente staccati e frammentari. La questione di ciò che mangiamo, di come mangiamo e di come produciamo oggi i nostri alimenti e a quali costi ha delle conseguenze per il futuro.

5.2.

La politica alimentare ha una forte influenza sullo sviluppo delle zone rurali e urbane. Essa crea posti di lavoro in tutti i settori collegati, come ad esempio l’agricoltura e le sue infrastrutture tecniche, la trasformazione, il trasporto, il commercio, l’imballaggio, la distribuzione e la ristorazione ecc., e ha un impatto sui mezzi di sussistenza di milioni di cittadini dell’UE. L’industria alimentare dell’UE dà lavoro a 4,25 milioni di persone; ha un fatturato di 1 098 miliardi di EUR; spende 2,5 miliardi di EUR in ricerca e sviluppo e ha un avanzo di 25,2 miliardi di EUR nel commercio di alimenti trasformati (22). Nonostante l’importanza degli alimenti per l’economia dell’UE, attualmente non esiste una politica alimentare dell’UE in quanto tale. Invece, i sistemi alimentari sono modellati da una moltitudine di quadri politici distinti, come indicato in precedenza.

5.3.

Una politica alimentare adatta al XXI secolo deve soddisfare tutta una serie di criteri: qualità degli alimenti (ad esempio gusto, gradevolezza, aspetto e autenticità); salute (ad esempio sicurezza, valore nutrizionale, disponibilità e conoscenza); ambiente (ad esempio CO2, acqua, uso del territorio, suolo, biodiversità, qualità dell’aria e resilienza sistemica), valori sociali e culturali (ad esempio identità, parità di accesso, fiducia, scelta e competenze); principi economici solidi (ad esempio una vera concorrenza e retribuzioni eque, posti di lavoro dignitosi, costi pienamente internalizzati e prezzi ragionevoli e competitivi); e buona governance (ad esempio rendicontabilità democratica, trasparenza, processi etici e utilizzo di dati scientifici comprovati). Tutte le politiche in materia alimentare dell’UE già esistenti possono essere esaminate facendo riferimento a tali ambiti di intervento.

5.4.

Una politica alimentare globale deve rafforzare la resilienza degli ecosistemi e garantire che tutti i soggetti interessati e i partecipanti alla filiera alimentare abbiano un reddito dignitoso, sia all’interno che all’esterno dell’UE. I prezzi dei prodotti alimentari non rispecchiano la totalità dei costi di produzione, e i costi sanitari, ambientali e sociali sono in gran parte esternalizzati. La ricerca di alimenti più economici, più «accessibili», non deve andare a scapito di altre caratteristiche ed effetti della produzione e del consumo alimentari. Una politica alimentare globale potrebbe contribuire a reintegrare e riallineare il prezzo dei prodotti alimentari con altri valori.

5.5.

Una politica alimentare globale dovrebbe integrare le politiche esistenti e quelle nuove, con l’obiettivo ultimo di produrre sistemi alimentari sostenibili e regimi alimentari sani. Ciò non significa però che si debba reinventare la ruota, creando una politica completamente nuova o conferendo nuove competenze all’UE, in quanto l’obiettivo non è quello di imporre uno standard unico. Piuttosto, ciò implica l’adozione di riforme a livello dell’UE volte a incoraggiare interventi nuovi e più sostenibili a tutti i livelli (locale/comunale, regionale, nazionale e delle imprese), nonché a rafforzare le iniziative che sono già in atto, in modo tale da garantire una maggiore coerenza. Si tratta di integrare le misure adottate a livello dell’UE con le azioni che possono essere realizzate al meglio ad altri livelli di governance. Si potrebbe prendere in considerazione l’idea di introdurre regimi fiscali atti a favorire l’accesso a un’alimentazione sana attraverso la pianificazione urbanistica e gli appalti pubblici, sostenendo in tal modo i mercati locali e l’occupazione.

5.6.

Una politica alimentare globale dovrebbe anche diventare la base per porre fine alle pratiche commerciali sleali per quanto riguarda le differenze di qualità dei prodotti — ovvero, la produzione e la vendita, in alcuni Stati membri, di alimenti di qualità inferiore rispetto a quella di altri paesi, nonostante la confezione sia identica (23).

5.7.

Per raggiungere tali obiettivi, occorre coordinare le misure politiche sia sul lato della domanda che su quello dell’offerta. Ciò significa che la disponibilità e l’accessibilità economica degli alimenti mediante una produzione alimentare sostenibile devono essere coordinate anche con un maggiore accesso e responsabilizzazione dei consumatori affinché scelgano un’alimentazione sana e gustosa. Bisogna mettere a punto una combinazione di modifiche legislative, per eliminare gli ostacoli normativi e offrire incentivi fiscali, e cambiamenti di comportamento indotti da una migliore informazione, educazione e sensibilizzazione dei consumatori e delle imprese di trasformazione. L’obiettivo principale consiste nel sensibilizzare sul valore degli alimenti e sostenerlo a tutti i livelli nonché nel promuovere una trasformazione graduale ma significativa. Ad esempio, sebbene la riduzione del consumo di sale dia risultati migliori se attuata lentamente ma in modo sistematico, non vi sono incentivi affinché le imprese riformulino i loro prodotti.

5.8.

Dal lato dell’offerta, perché una politica europea alimentare globale sia veramente rilevante per i consumatori europei, è essenziale che gli alimenti prodotti in modo sostenibile nell’UE siano competitivi. Ciò presuppone che il settore agroalimentare europeo sia in grado di fornire ai consumatori prodotti alimentari a prezzi in cui sono incorporati i costi aggiuntivi relativi a criteri quali la sostenibilità, il benessere degli animali, la sicurezza alimentare e la nutrizione, ma anche un giusto compenso per gli agricoltori e, al tempo stesso, mantenga la sua posizione come opzione preferita dalla vasta maggioranza dei consumatori.

5.9.

L’attuazione degli OSS fornisce un quadro di riferimento cruciale per l’azione comune, con l’obiettivo di nutrire il mondo in modo sostenibile entro il 2030. Le questioni relative ai prodotti alimentari e all’agricoltura interessano tutti i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. In particolare, l’OMS afferma che 12 degli OSS richiedono un’azione nel campo dell’alimentazione. Per sua stessa natura, l’attuazione degli OSS richiede soluzioni collaborative e complete che coinvolgano i vari dipartimenti, ministeri, settori e l’intera filiera alimentare. Si tratta di una grande opportunità per la leadership dell’UE a livello continentale.

5.10.

Una politica alimentare globale dovrebbe contemplare approcci diversi al fine di attuare gli OSS e includere le modalità esistenti di governance multilivello e multisettoriale per mettere in atto un processo di elaborazione delle politiche ancora più integrato. L’Europa sta sviluppando delle posizioni sui diversi pilastri del sistema alimentare, vale a dire:

agricoltura (PAC riformata (24), sviluppo accelerato di modelli di produzione sostenibili, rinnovo generazionale, redditi dignitosi per gli agricoltori, beni pubblici per denaro pubblico, benessere degli animali)

sviluppo territoriale equilibrato/sviluppo rurale (Cork 2.0 (25))

trasformazione sostenibile (riformulazione dei prodotti)

economia circolare (26) (sprechi alimentari, efficienza energetica)

consumo sostenibile di alimenti (scelte alimentari a tutela della salute e dell’ambiente, ruolo guida svolto dal settore del commercio al dettaglio)

impatto sociale (equa distribuzione dei salari e dei redditi, protezione sociale)

impatto culturale (identità regionale/locale)

salute, nutrizione (alimentazione più sana/sicurezza alimentare)

protezione dell’ambiente (suolo (27), biodiversità, qualità dell’acqua e dell’aria)

istruzione (istruzione scolastica, valore degli alimenti, come cucinare, che cosa vuol dire buona alimentazione)

commercio, anche internazionale (pratiche commerciali più eque nella catena di approvvigionamento alimentare (28), sovranità alimentare)

sviluppo (coerenza delle politiche per lo sviluppo).

5.11.

Questo nuovo approccio globale dovrebbe essere dinamico e coinvolgere le parti interessate dell’intera catena di approvvigionamento alimentare e la società civile nel suo complesso, garantendo una «democrazia alimentare» responsabile e trasparente.

5.12.

In sintesi, una politica alimentare globale dovrebbe essere: 1. sostenibile sul piano ambientale, socioculturale ed economico; 2. integrata tra tutti i settori e livelli di governo; 3. inclusiva di tutti i settori della società; 4. in grado di rafforzare condizioni eque di lavoro a tutti i livelli.

6.   Tabella di marcia — Quali sono le misure necessarie per realizzare una politica alimentare globale?

6.1.

Così come i fondatori del mercato comune negli anni ‘50 considerarono i prodotti alimentari un elemento centrale per un’Europa migliore e più pacifica, oggi, sessant’anni dopo, il CESE sottolinea la necessità di avviare la creazione di un sistema alimentare più sostenibile per l’Europa. Le pressioni sono ormai note e sono state dimostrate. Tali questioni devono essere, e saranno, affrontate a livello locale e degli Stati membri. Tuttavia, vi è anche la necessità di un’azione transeuropea.

6.2.

Il CESE propone di istituire una task force intersettoriale e interistituzionale, con la partecipazione di diverse direzioni generali della Commissione europea e di altre istituzioni dell’UE, incaricata di mettere a punto un piano d’azione sulla sostenibilità per aiutare l’Unione europea a realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile legati all’alimentazione. Il piano d’azione dovrebbe essere messo a punto attraverso un processo partecipativo che coinvolga le parti interessate di tutta la filiera alimentare, la società civile e i ricercatori.

6.3.

Il CESE ravvisa un’opportunità di creazione e di sviluppo di uno spazio che consenta alla società civile di impegnarsi e partecipare attivamente a questo processo, sulla base dell’impulso impresso dalle audizioni di esperti tenute dal CESE su questo tema.

6.4.

Il CCR, la DG Ricerca e le agenzie di ricerca degli Stati membri sono invitati a mettere a punto un «quadro di valutazione dell’alimentazione sostenibile dell’UE» per incoraggiare e monitorare i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Sarà necessaria una combinazione di indicatori vecchi e nuovi per includere e tradurre gli OSS legati all’alimentazione e altri obiettivi internazionali (come le emissioni di gas serra) nei contesti europei.

6.5.

Si invitano la Commissione, il Parlamento e il Consiglio a esaminare la fattibilità della creazione di una DG specificamente dedicata all’alimentazione, che migliorerebbe il coordinamento dei compiti e delle responsabilità riguardanti tutte le politiche in materia alimentare, dalle metodologie comuni per l’analisi del ciclo di vita ai megadati in materia di alimenti e nutrizione sostenibile. La nuova DG fornirebbe il quadro necessario per definire le priorità in materia alimentare e, a seconda dei casi, svolgerebbe compiti di regolazione, legislazione e controllo dell’attuazione.

6.6.

Dovrebbe essere istituito un nuovo Consiglio europeo per la politica alimentare. Alcuni Stati membri già dispongono di organismi di questo tipo (ad esempio, i Paesi Bassi e il Laboratorio per la politica alimentare dei paesi nordici). Esso dovrebbe offrire consulenza sulle transizioni che la scienza reputa necessarie per realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile e rispettare l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.

6.7.

La transizione verso sistemi alimentari europei sostenibili richiede una migliore integrazione delle indicazioni relative alla salute, all’alimentazione, all’ambiente e all’economia. Il CESE sostiene lo sviluppo di linee guida UE per un’alimentazione sostenibile sulla base di iniziative già lanciate in Germania, Paesi Bassi, Svezia e Francia, per offrire ai consumatori e all’industria indicazioni più chiare su come trovare un equilibrio tra una buona nutrizione e un minore impatto ambientale e su come e impedire le false affermazioni in materia ambientale e sanitaria, pur tenendo conto delle preferenze culturali. Tutto questo dovrebbe riflettersi in un nuovo sistema intelligente per l’etichettatura sostenibile dei prodotti alimentari.

Bruxelles, 6 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE sul tema Un’eventuale riforma in profondità della PAC, GU C 288 del 31.8.2017, pag. 10.

(2)  HLPE, 2017, Nutrition and food systems (Nutrizione e sistemi alimentari).

(3)  Cfr. nota 1.

(4)  http://www.ehnheart.org/cvd-statistics.html.

(5)  Euromonitor International, Passport Nutrition 2017.

(6)  Oxfam (2015) A Europe for the many, not the few (Un’Europa per i molti, e non per i pochi).

(7)  Ad esempio, Hoekstra & Mekonnen (2016).

(8)  OCSE (2014).

(9)  https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/indicators/soil-erosion-by-water-1/assessment.

(10)  https://www.eea.europa.eu/highlights/fish-to-fork-a-need.

(11)  www.fao.org/nr/sustainability.

(12)  Parere CESE sulla Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle pratiche commerciali sleali nella filiera alimentare, GU C 34, del 2.2.2017, pag. 130.

(13)  http://ec.europa.eu/food/safety/food_waste_en.

(14)  Mason & Lang (2017), Sustainable Diets (Regimi alimentari sostenibili), Abingdon: Routledge.

(15)  Freibauer, Mathijs et al. (2011), 3a relazione del comitato permanente della ricerca agricola (SCAR) alla CE.

(16)  http://www.fooddrinkeurope.eu/publication/data-trends-of-the-european-food-and-drink-industry-2016/.

(17)  Falkenberg K. (2016), Sustainability Now! A European Vision for Sustainability (Sostenibilità adesso! Una visione europea della sostenibilità), EPSC, numero 18, 20 luglio.

(18)  Regione europea dell’OMS (2013) http://www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0019/191125/e96859.pdf.

(19)  https://www.statista.com/statistics/237928/online-advertising-spending-in-western-europe/.

(20)  Cartoon characters and food: just for fun? (Personaggi dei disegni animati e alimenti: solo per divertire?), documento di sintesi, BEUC, 2017.

(21)  Cfr. nota 12.

(22)  http://www.fooddrinkeurope.eu/uploads/publications_documents/Data_and_trends_Interactive_PDF_NEW.pdf.

(23)  Risultati dello studio effettuato dall’Università di chimica e tecnologia di Praga, 2015 (http://www.sehnalova.cz/soubory/rozdily-potravin/Prezentace.pdf).

(24)  Cfr. nota 1.

(25)  Parere del CESE Dalla dichiarazione di Cork 2.0 a iniziative concrete, G.U. C 345, 13.10.2017, pag. 37.

(26)  Parere del CESE in merito a L’anello mancante — Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare, GU C 264 del 20.7.2016, pag. 98.

(27)  Parere sul tema Uso del suolo per la sostenibilità della produzione alimentare e dei servizi ecosistemici adottato il 18.10.2017 (non ancora pubblicato nella GU).

(28)  Cfr. nota 12.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ruolo fondamentale del commercio e degli investimenti nel conseguire e attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile»

(parere d'iniziativa)

(2018/C 129/05)

Relatore:

Jonathan PEEL (UK-I)

Correlatore:

Christophe QUAREZ (FR-II)

Decisione dell’Assemblea plenaria

26.1.2017

Base giuridica

Articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

REX

Adozione in sezione

7.11.2017

Adozione in sessione plenaria

7.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

163/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’attuazione e la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) sono considerate priorità assolute a livello mondiale. A partire da adesso è essenziale mantenere lo slancio se si vuole rispettare la scadenza del 2030.

1.1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che gli obiettivi di sviluppo sostenibile, insieme all’accordo di Parigi (COP21) (1), provocheranno un mutamento radicale dell’agenda relativa al commercio mondiale, in particolare per quanto riguarda gli scambi di prodotti industriali e agricoli. La necessità di attuare questi accordi di vasta portata dev’essere al centro di tutti i futuri negoziati commerciali dell’UE.

1.2.

L’UE si trova in una posizione privilegiata per promuovere la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Essa ha la credibilità necessaria per svolgere un’efficace funzione di ponte tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. Occorre attribuire una priorità più elevata all’elaborazione delle politiche delineate nella comunicazione della Commissione Prossime tappe  (2) e dare maggiore rilievo alla piena integrazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile «nel quadro strategico europeo e nelle attuali priorità della Commissione», ove necessario in cooperazione con gli Stati membri.

1.2.1.

Constata che l’UE è tenuta a fare quanto sopra in virtù del trattato di Lisbona (3). Dovrebbe esservi una stretta sinergia tra, da un lato, la promozione e l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e, dall’altro, la promozione dei valori europei nel mondo.

1.3.

Negli obiettivi di sviluppo del Millennio (4) il commercio è citato una sola volta, ma negli OSS esso viene espressamente menzionato nove volte. Il CESE invita l’UE a prevedere, accanto all’azione diretta per il conseguimento degli OSS, anche politiche commerciali e di investimento favorevoli a tali obiettivi. Esistono molti modi in cui gli scambi e gli investimenti possono contribuire utilmente, benché a volte indirettamente, agli OSS.

1.4.

L’obiettivo n. 17 (rilanciare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile) prevede, come traguardo specifico, un sistema di scambi commerciali multilaterali universale, basato su norme, aperto, non discriminatorio ed equo, nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Da molto tempo ormai l’UE pone un forte accento sul multilateralismo e sul ruolo cruciale dell’OMC: essa deve continuare ad agire concretamente a sostegno di tale posizione.

1.5.

Il CESE osserva che, non essendo gli OSS giuridicamente vincolanti, e mancando un meccanismo di risoluzione delle controversie, per promuovere la realizzazione di tali obiettivi l’UE deve operare attraverso le proprie politiche e le proprie attività.

1.5.1.

Il CESE apprezza l’intenzione dell’UE di fornire aggiornamenti annuali, ma continua a essere preoccupato per il fatto che l’UE appare più interessata a mostrare come le politiche esistenti coincidano e si sovrappongano con gli OSS che a massimizzare le sinergie, focalizzando e adattando tali politiche e attività. Un’attenzione più mirata dell’UE alla realizzazione degli OSS otterrebbe risultati migliori.

1.5.2.

E, per garantire una completa sinergia con gli OSS, l’UE deve, ad avviso del CESE, condurre una serie di azioni in una serie di ambiti di intervento strategici, quali il rinnovo dell’accordo di partenariato ACP-UE (accordo di Cotonou) e più in generale la propria interazione con le regioni interessate da tale accordo. Tale interazione dovrebbe riguardare in modo specifico sia lo sviluppo mirato di capacità per sostenere l’accordo sull’agevolazione degli scambi e favorirne l’attuazione, sia la più ampia strategia congiunta UE/Stati membri in materia di aiuti al commercio. Si tratta di un contributo fondamentale all’iniziativa di aiuti al commercio dell’OMC, nonché di una parte essenziale di tale iniziativa, che è intesa a rafforzare la capacità dei paesi in via di sviluppo di sfruttare le opportunità offerte dagli accordi commerciali. Sarà importante contribuire al sesto riesame globale degli aiuti al commercio da parte dell’OMC con un apporto incentrato sugli obiettivi di sviluppo sostenibile.

1.5.3.

Occorrerebbe inoltre fornire un sostegno più specifico all’uso degli scambi commerciali come mezzo per promuovere l’integrazione regionale e gli OSS, specie nelle regioni in cui non sono ancora stati raggiunti accordi di partenariato economico, malgrado il fatto che tali accordi non abbiano ancora realizzato appieno le aspettative iniziali.

1.5.4.

Nella misura in cui le sue competenze glielo consentano, l’UE dovrebbe anche cercare di sviluppare maggiori sinergie tra le 27 convenzioni fondamentali rilevanti per il suo programma di preferenze commerciali SPG+ e gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

1.6.

Il CESE invita inoltre l’UE a promuovere ovunque possibile, attraverso le sue relazioni bilaterali, l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Un ottimo esempio in questo campo è l’interazione con la Cina in merito all’iniziativa One Belt, One Road (la nuova Via della seta), la cui attuazione, come è stato sottolineato nella recente riunione della Tavola rotonda UE-Cina (5), dovrebbe contribuire alla realizzazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

1.7.

Il CESE sottolinea il ruolo essenziale della condotta responsabile delle imprese per contribuire a realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile. In tale contesto il settore privato avrà un impatto cruciale e profondo. Il Comitato per il commercio e lo sviluppo delle Nazioni Unite (Unctad) stima (6) che serviranno altri 2 500miliardi di dollari USA all’anno, e ci si aspetta che il settore privato fornisca un terzo di tali risorse. Molte imprese hanno già la loro strategia in materia di obiettivi di sviluppo sostenibile, ma tutte devono essere incoraggiate ad assumersi la responsabilità dell’impatto che esse hanno sulla società, attraverso un’analisi approfondita (due diligence) basata sul rischio. Il CESE rileva che la mobilitazione delle risorse è agevolata anche da politiche fiscali internazionali dirette a sostenere gli investimenti per realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (7).

1.8.

L’obiettivo n. 17 stabilisce inoltre specificamente che un’agenda efficace per lo sviluppo sostenibile necessita di partenariati tra i governi, il settore privato e la società civile. Il CESE chiede pertanto che in tutti i futuri mandati negoziali relativi a capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile nell’ambito di accordi commerciali e di partenariato dell’UE sia inserita una specifica clausola che impone a entrambe le parti di ciascun meccanismo di monitoraggio ad opera della società civile di lavorare insieme per promuovere gli OSS e monitorare i relativi effetti.

1.8.1.

A tali capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile dovrà (specie in quanto coprono gli OSS, l’accordo di Parigi e il rispetto delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro) essere riconosciuta un’importanza pari a quella dei capitoli relativi alle questioni commerciali, tecniche o tariffarie.

1.9.

Il CESE, infine, ricorda all’UE la raccomandazione (8), già formulata in precedenza, di effettuare una valutazione completa del probabile impatto che l’attuazione degli OSS e dell’accordo di Parigi avrà sulla politica commerciale dell’UE, compresa l’agricoltura. Le buone politiche iniziano con una buona analisi.

2.   Contesto: gli obiettivi di sviluppo sostenibile

2.1.

L’attuazione dell’ampia Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, e in particolare del suo elemento centrale, ossia gli OSS, continuerà a rappresentare una grande priorità globale fino alla sua scadenza. I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile sono accompagnati da altre 169 finalità specifiche.

2.1.1.

Gli OSS hanno carattere globale e sono universalmente applicabili e interconnessi: tutti i paesi devono condividere la responsabilità del loro conseguimento. Gli OSS stanno già cambiando la maniera di cooperare a livello globale — la cooperazione si fa più ampia e partecipativa e ci si consulta di più: oltre 90 paesi hanno chiesto ad altri firmatari, e in special modo all’UE, di aiutarli a conseguire tali obiettivi.

2.2.

L’importanza degli OSS è stata notevolmente rafforzata dall’accordo di Parigi, che è già entrato in vigore. Nel frattempo, la minaccia del governo statunitense di recedere dall’accordo e le possibili conseguenze pratiche hanno suscitato parecchia incertezza. Ciò apre la strada all’assunzione, da parte dell’UE, di un ruolo guida globale nel garantire che sia gli OSS che l’accordo di Parigi rimangano priorità assolute, facendo leva sul forte interesse che la Cina e altre economie in crescita hanno dimostrato per tali accordi. A tutt’oggi numerose economie in rapida espansione non hanno ancora compiuto alcun altro sforzo significativo per aiutare altri paesi meno sviluppati.

2.3.

La comunicazione della Commissione Il futuro sostenibile dell’Europa: prossime tappe — L’azione europea a favore della sostenibilità, pubblicata nel novembre 2016, prevede la piena integrazione degli OSS nel «quadro strategico europeo e nelle attuali priorità della Commissione», come in effetti imposto dal trattato di Lisbona (9). Tale iniziativa, attualmente in fase di realizzazione, è stata accolta con soddisfazione dal Comitato nel suo parere sull’agricoltura nei negoziati commerciali  (10), che contiene anche la raccomandazione di effettuare una valutazione d’impatto completa delle loro probabili ripercussioni sulla politica commerciale dell’UE.

2.3.1.

Nella summenzionata comunicazione si afferma che gli OSS «rappresenteranno una dimensione trasversale» ai fini dell’attuazione della strategia globale dell’UE, e che l’UE «ha svolto un ruolo determinante» nella definizione di tale agenda. Dovrebbe esservi una stretta sinergia tra la promozione e l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e la promozione dei valori europei in tutto il mondo, anche se gli OSS non promuovono direttamente la buona governance e lo Stato di diritto.

2.4.

Gli OSS e l’accordo di Parigi modificano radicalmente l’agenda del commercio mondiale, in particolare per quanto riguarda gli scambi di prodotti industriali e agricoli. Adesso la necessità di attuare questi accordi dev’essere al centro di tutti i futuri negoziati commerciali dell’UE.

2.4.1.

L’UE ha la credibilità necessaria per svolgere efficacemente il ruolo di ponte tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. Il CESE ha già avuto occasione di sottolineare (11) che l’UE si trova in una posizione unica per guidare l’attuazione di questo programma; essa, infatti:

può esercitare il peso che le deriva dall’essere uno dei maggiori esportatori e importatori del mondo,

non è più vista come arroccata su posizioni principalmente difensive in materia di agricoltura,

ha dato prova di un interesse costante per i temi del commercio e dello sviluppo, e

soprattutto ha dimostrato, alla conferenza ministeriale dell’OMC svoltasi a Nairobi nel 2015, di avere la capacità di apportare un contributo con proposte nuove ed equilibrate.

3.   OSS: un ruolo importante per gli scambi e gli investimenti

3.1.

Il 1o maggio scorso la United Nations Foundation  (12) ha affermato via Twitter che «se si garantiscono a tutti un’istruzione e una sanità di qualità e il buongoverno, i conflitti diventano meno probabili. Per riuscirci, l’ONU (@UN) ha stabilito 17 obiettivi globali (#GlobalGoals) http://bit.ly/UN2030». Si tratta di condizioni essenziali per la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, mentre la guerra e la corruzione continuano a costituire i principali ostacoli.

3.2.

Tuttavia, se si vogliono attuare gli obiettivi di sviluppo sostenibile, il commercio e gli investimenti devono svolgere un ruolo di grande rilievo. Il commercio è menzionato soltanto una volta negli obiettivi di sviluppo del Millennio, ma nove volte negli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il sito web dell’OMC richiama l’attenzione specificamente sugli obiettivi 2 (Porre fine alla fame, conseguire la sicurezza alimentare e una nutrizione migliore e promuovere un’agricoltura sostenibile), 3 (Garantire una vita in buona salute e promuovere il benessere di tutti a ogni età), 8 (Promuovere una crescita economica inclusiva e sostenibile, l’occupazione e un lavoro dignitoso per tutti), 10 (Ridurre l’ineguaglianza all’interno dei paesi e tra essi), 14 (Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine) e 17 (Rivitalizzare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile). Ad essi bisognerebbe aggiungere gli obiettivi 7 (Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni) e 9 (Costruire infrastrutture resilienti, promuovere un’industrializzazione sostenibile e incoraggiare l’innovazione). Questi ultimi devono inoltre essere in totale sinergia anche con altre azioni pertinenti, in particolare in materia di sviluppo.

3.2.1.

Anche gli scambi nel settore agricolo svolgeranno un ruolo fondamentale nella realizzazione della maggior parte degli OSS, e in particolare degli obiettivi 12 (Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo) e 15 (Gestire le foreste in modo sostenibile, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado dei suoli e fermare la perdita di diversità biologica), ma anche 1 (Porre fine alla povertà ovunque e in tutte le sue forme), 13 (Intraprendere azioni urgenti per combattere i cambiamenti climatici e le loro conseguenze) e 5 (Realizzare la parità di genere ed emancipare tutte le donne di ogni età).

3.2.2.

A differenza degli obiettivi di sviluppo del Millennio, gli OSS individuano espressamente i propri «strumenti di attuazione» attraverso l’indicazione di ben 169 finalità specifiche: un numero tale da rendere difficile stabilire priorità o raccogliere sostegno. Nondimeno, una considerazione fondamentale dev’essere la garanzia che gli obiettivi rimangano inclusivi e che nessun segmento della società sia lasciato indietro.

3.3.

Il CESE teme che non siano ancora state effettivamente definite politiche e misure sufficienti, e che non siano state ancora completamente individuate le principali lacune da colmare.

3.3.1.

Sarà essenziale verificare in maniera dettagliata quale contributo il commercio possa apportare di per sé. E a tal fine si dovrebbero prendere in considerazione, oltre all’azione diretta, anche gli scambi e gli investimenti «propizi agli OSS», ad esempio quelli che si avvalgono di tecnologie pulite. Gli scambi e gli investimenti possono infatti contribuire utilmente, seppure indirettamente, in molti modi, anche se non possono sempre costituire il principale fattore propulsivo della realizzazione degli OSS, né possono offrire un approccio sistematico.

3.4.

Il commercio dovrebbe essere, per definizione, sostenibile, benché di fatto non sempre lo sia, specie se lo si valuta alla luce degli attuali criteri di sostenibilità, compresa l’impronta di carbonio. In passato in Europa venivano scambiati prodotti alimentari e di altro tipo che una determinata regione non poteva produrre da sola (13). Altri due fattori erano importanti: le competenze essenziali di base nell’attività di trasformazione dei prodotti, sviluppate in un lungo arco di tempo, e la facilità di trasporto. L’accesso all’acqua era fondamentale, poiché il trasporto via terra era molto più costoso e assai meno affidabile.

3.4.1.

Questi fattori rimangono importanti. Le politiche di sostituzione delle importazioni sono sistematicamente fallite. Per ridurre al minimo o evitare del tutto inutili barriere alle importazioni, negli scambi internazionali è fondamentale la fiducia. E a tal fine è essenziale che vi sia un sistema globale di scambi commerciali, sostenuto da un sistema internazionale di regolamentazione e di risoluzione delle controversie. In questo contesto l’OMC mantiene un ruolo cruciale, malgrado le potenziali sfide poste dall’attuale amministrazione degli Stati Uniti.

3.4.2.

Una finalità specifica dell’obiettivo 17 consiste nel promuovere, nel quadro dell’OMC, un sistema di scambi commerciali multilaterali universale, basato su norme, aperto, non discriminatorio ed equo: all’OMC, quindi, viene assegnato un ruolo fondamentale. L’UE deve continuare a incoraggiare e sostenere tale ruolo.

3.4.3.

La dichiarazione ministeriale di Nairobi dell’OMC precisa che il commercio internazionale può svolgere un ruolo importante nella realizzazione di una crescita sostenibile, solida ed equilibrata per tutti (14), e ribadisce che questo risultato sarebbe assai più difficile da raggiungere senza un meccanismo commerciale multilaterale efficace, e sottolinea l’importanza dell’iniziativa Aiuti al commercio, che dovrebbe svolgere un ruolo chiave nel contribuire al conseguimento di numerosi obiettivi di sviluppo sostenibile.

3.4.4.

L’impegno dell’OMC, assunto a Nairobi, di abolire le sovvenzioni all’esportazione per le derrate agricole, risponde a una finalità fondamentale per l’OSS 2 (Fame zero). I negoziati attualmente in corso in sede OMC in materia di sovvenzioni alla pesca sono pertinenti rispetto alla finalità dell’OSS 14 (Oceani, mari e risorse marine) di vietare, entro il 2020, le sovvenzioni che contribuiscono alla sovraccapacità e alla pesca eccessiva. Il CESE auspica che nella prossima riunione ministeriale dell’OMC, in programma a Buenos Aires, si raggiunga un accordo in tal senso.

3.4.5.

Sin dal 1947, prima il GATT e adesso l’OMC perseguono la rimozione delle barriere commerciali. Fatta eccezione per i prodotti alimentari, agricoli e tessili, l’abbigliamento, le calzature e la ceramica, l’accento si è ormai spostato dall’eliminazione delle tariffe doganali alla gestione delle barriere non tariffarie. Come il CESE aveva già osservato (15), «gli scambi commerciali contribuiscono a correggere gli squilibri nella domanda e nell’offerta, possono migliorare in misura considerevole la sicurezza alimentare e la nutrizione, grazie alla crescente disponibilità di alimenti, e promuovere un impiego efficiente delle risorse, oltre che incrementare gli investimenti, aumentare le opportunità di mercato e stimolare la crescita economica, generando quindi occupazione, reddito e prosperità».

3.5.

Di pari passo con il reddito globale aumenta anche la domanda di alimenti e altri beni di consumo, disponibili in una scelta e una varietà senza precedenti. Tra essi figurano prodotti in cotone, grano e carni bovine, la cui produzione richiede una notevole quantità di acqua — un bene, questo, che scarseggia in molti luoghi del pianeta. L’uso sostenibile dell’acqua e del suolo (e la prevenzione dell’inquinamento atmosferico) sono essenziali per il conseguimento di molti OSS. Razionalizzare la produzione diventerà un tema sempre più importante: ad esempio, l’Uzbekistan (che non è ancora membro dell’OMC) dipende fortemente dalla produzione di cotone, malgrado sia un paese arido e la coltivazione del cotone richieda ingenti quantità di acqua e un considerevole impiego di pesticidi.

3.6.

Anche l’accordo sull’agevolazione degli scambi, entrato in vigore all’inizio del 2017, dovrebbe in particolare aumentare la sostenibilità nel commercio internazionale, eliminando i ritardi e gli ostacoli inutili alle frontiere. In questo campo l’UE è chiamata a svolgere un ruolo cruciale in termini di creazione di capacità.

3.7.

Il commercio e gli investimenti hanno un impatto significativo sul cambiamento climatico. I negoziati per la conclusione di un accordo multilaterale sui beni ambientali preludono a un importante passo in avanti verso l’inserimento della questione dei cambiamenti climatici nella politica commerciale multilaterale, ma è ancora necessaria un’ulteriore azione multilaterale volta a promuovere una maggiore coerenza.

3.8.

Anche gli investimenti svolgono un ruolo fondamentale nella realizzazione degli OSS, in particolare in Africa, attraverso la fornitura di infrastrutture adeguate (obiettivo 9), di impianti di trasformazione secondaria commisurati ai bisogni e di una capacità rafforzata di trasportare i prodotti così trasformati ai nodi della rete di trasporto e al mercato.

3.8.1.

Come affermato dal CESE nel parere sugli accordi di investimento autonomi  (16), «l’agevolazione degli investimenti attraverso la fornitura delle infrastrutture sostenibili necessarie rappresenterà una competenza fondamentale per le parti contraenti di un accordo d’investimento. I governi hanno il compito di fornire una solida base normativa per le infrastrutture, […] oppure per assicurare reti efficaci ed efficienti per l’energia, le risorse idriche e i trasporti, attraverso un sistematico lavoro preparatorio. I sistemi e le reti per l’energia e l’acqua richiedono una progettazione complessa e, per renderli pienamente operativi, possono essere necessari dieci anni o più».

4.   Il ruolo dell’Unione europea e le questioni di sua competenza

4.1.

Come si è detto, la comunicazione della Commissione Prossime tappe mira alla piena integrazione degli OSS «nel quadro strategico europeo e nelle attuali priorità della Commissione».

4.1.1.

Nella comunicazione del 2006 Europa globale: competere nel mondo, la Commissione ha affermato che era essenziale garantire che i benefici derivanti dalla liberalizzazione degli scambi commerciali arrivassero fino ai cittadini. «Siccome perseguiamo la giustizia sociale e la coesione all’interno dell’UE, dovremmo adoperarci anche per promuovere i nostri valori, compresi gli standard in materia sociale e ambientale e la diversità culturale, in tutto il mondo (17)».

4.1.2.

Il trattato di Lisbona (18) prevede che tutte le attività dell’UE nel settore del commercio, dello sviluppo e della più vasta azione esterna siano integrate tra loro. Il CESE ha già espresso rammarico (19) per il fatto che gli OSS siano appena menzionati nella comunicazione della Commissione Commercio per tutti  (20), pubblicata poco dopo la loro adozione da parte dell’ONU. Nell’attuare la strategia Commercio per tutti, l’UE deve aver cura di garantire che i futuri accordi commerciali e di partenariato rispettino le norme fondamentali dell’OIL e gli impegni della COP21, e garantiscano la tutela dei consumatori.

4.1.3.

Tuttavia, come indicato dalla Corte di giustizia (21) in una recente sentenza concernente l’accordo di libero scambio UE-Singapore, l’UE, pur avendo piena competenza in materia commerciale, dispone di una competenza limitata in materia di investimenti.

4.2.

Gli OSS non sono di per sé giuridicamente vincolanti, e non sono supportati da un meccanismo di risoluzione delle controversie. Il loro successo dipenderà dalle politiche e dai programmi di sviluppo sostenibile dei vari paesi. Le Nazioni Unite sottolineano l’esigenza di partenariati tra i governi, il settore privato e la società civile. Il loro sito web (22) elenca anche una serie di azioni che possono essere intraprese dai singoli cittadini.

4.3.

L’UE deve continuare a considerare le proprie politiche e attività per stabilire come contribuire nel modo migliore all’attuazione degli OSS, non da ultimo attraverso il commercio. Il CESE è preoccupato per il fatto che l’UE appare spesso più propensa a mostrare che le sue politiche attuali coincidono e si sovrappongono alle finalità degli OSS che ad adattare tali politiche per ottenere la massima sinergia. Inoltre, non è persuaso che la Commissione abbia messo a punto un approccio alle questioni cruciali che sia pienamente trasversale a tutte le sue direzioni generali. Un’attenzione più mirata alla realizzazione degli OSS, anche nell’ambito della politica commerciale, consentirebbe di ottenere risultati migliori.

4.3.1.

Tra le misure da adottare a questo scopo dovrebbero rientrare il prossimo rinnovo dell’accordo di partenariato ACP-UE (accordo di Cotonou) e una maggiore interazione dell’UE con le regioni interessate da tale accordo. Oltre che di uno sviluppo mirato delle capacità per sostenere l’accordo sull’agevolazione degli scambi, ciò dovrebbe essere alla base anche di qualsiasi revisione in corso della strategia congiunta UE/Stati membri in materia di aiuti al commercio (23), un elemento chiave dell’iniziativa Aiuti al commercio dell’OMC. Concepita per rafforzare la capacità dei paesi in via di sviluppo di sfruttare le opportunità offerte dagli accordi commerciali, essa sarà a sua volta essenziale per il conseguimento di molti degli obiettivi.

4.3.2.

Occorrerebbe inoltre fornire un sostegno più mirato all’uso degli scambi commerciali come mezzo per sostenere sia l’integrazione regionale che gli OSS, specie nelle regioni in cui non sono ancora stati raggiunti accordi di partenariato economico, benché il CESE si rammarichi anche del fatto che le ormai lontane promesse in materia di accordi di partenariato economico non siano ancora state del tutto mantenute.

4.3.3.

Nella misura in cui le sue competenze glielo consentono, l’UE dovrebbe anche cercare di sviluppare maggiori sinergie tra gli OSS e le 27 convenzioni obbligatorie in materia ambientale e nell’ambito dell’OIL che hanno rilevanza per il suo programma SPG + (nonché i requisiti per il programma «tutto fuorché le armi» per i paesi meno sviluppati).

4.3.4.

Nella dichiarazione finale del 14o incontro degli ambienti economici e sociali ACP-UE, svoltosi a Yaoundé (24), si afferma che occorre fare ricorso a tutte le risorse finanziarie disponibili per realizzare gli OSS, nel quadro di una gestione di bilancio sana e trasparente e con il coinvolgimento del settore privato.

4.4.

Il Comitato ritiene inoltre che l’UE dovrebbe promuovere la realizzazione degli OSS ovunque possibile attraverso le sue relazioni bilaterali. Un ottimo esempio in questo campo è l’interazione con la Cina riguardo alla sua iniziativa One Belt, One Road, la cui attuazione, come è stato sottolineato nella recente riunione della Tavola rotonda UE-Cina (25), dovrebbe contribuire alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e all’attuazione dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Questa constatazione riflette recenti, analoghe osservazioni del segretario generale delle Nazioni Unite.

4.4.1.

Il CESE, tuttavia, ribadisce il proprio fermo convincimento circa l’importanza del rispetto delle convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro da parte della Cina e di altri paesi.

4.5.

Il CESE ritiene inoltre che l’UE debba integrare la strategia Europa 2020 con i traguardi comuni degli OSS al fine di creare le condizioni per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

4.6.

Nel parere Sviluppo sostenibile: una mappatura delle politiche interne ed esterne dell’UE  (26), il CESE afferma che «l’Agenda 2030 dell’ONU dovrebbe essere convertita in una narrazione proattiva, trasformazionale e positiva per l’Europa e tale processo deve essere guidato a livello politico da una volontà e una determinazione forti di plasmare un’Unione europea sostenibile, avviando le nostre economie verso uno sviluppo resiliente, competitivo, efficiente nell’uso delle risorse, a basso tenore di carbonio e socialmente inclusivo. Questa narrazione lungimirante contribuirebbe inoltre a far fronte alla sfiducia senza precedenti mostrata dai cittadini dell’UE nel progetto europeo, e in particolare a conquistare il sostegno dei giovani per tale progetto. L’UE dovrebbe quindi utilizzare l’Agenda 2030 dell’ONU per presentare ai suoi cittadini una nuova visione per l’Europa: il contratto sociale del ventunesimo secolo».

5.   Il ruolo del settore privato

5.1.

Secondo stime dell’Unctad (27), per attuare i 17 OSS (e le 169 finalità specifiche che li accompagnano) occorrerà reperire altri 2 500miliardi di dollari USA all’anno. Almeno un terzo di tali risorse dovrebbe essere fornito dal settore privato, il cui ruolo è evidenziato nell’obiettivo 17 insieme a quello della società civile.

5.2.

La maggior parte di tali risorse proverrà da un aumento degli scambi e degli investimenti, considerata in particolare la necessità di realizzare opere di nuova urbanizzazione e costruire di conseguenza infrastrutture, scuole, ospedali e strade. Ciò è già implicito nel progetto cinese denominato One Belt, One Road.

5.3.

Come si è detto, la costruzione di infrastrutture, specie in Africa, rivestirà una particolare importanza. Il commercio interno africano è modesto, e rappresenta solo una quota del 10-15 % degli scambi commerciali complessivi di tale continente. Come il CESE ha già avuto modo di osservare, «un rafforzamento della capacità dei paesi africani di espandere gli scambi commerciali nel settore agricolo — associato agli OSS relativi alle infrastrutture, all’integrazione regionale e all’approfondimento dei mercati interni, anche attraverso un aumento della trasformazione secondaria dei prodotti alimentari — sarà essenziale per consentire all’Africa di partecipare con risultati positivi al commercio agricolo e di migliorare la sicurezza alimentare» (28).

5.4.

Il CESE ha inoltre affermato che il quadro normativo dev’essere programmato a lungo termine. «Le imprese hanno anche bisogno di pianificare a lungo termine, soprattutto per consentire agli investimenti di dare i frutti sperati. Il fallimento di una qualsiasi delle parti in causa non giova ad alcuna di esse. Nuove sinergie devono essere sviluppate da attori — statali o privati — solidi e questi devono apprendere nuove forme di partecipazione. Anche in questo caso il contributo della società civile dovrebbe avere una funzione cruciale, specialmente a livello delle parti sociali» (29).

5.5.

Come sottolineato dal CESE nel parere Lavoro dignitoso nelle catene di globali di approvvigionamento  (30), sarà cruciale gestire in modo efficace le catene globali del valore e di approvvigionamento. Le catene globali del valore coprono tutte le attività dalla concezione del prodotto fino al consumatore finale, mentre una catena globale di approvvigionamento è la parte di una catena globale del valore finalizzata all’acquisizione del prodotto, ma non alla sua concezione o distribuzione.

5.5.1.

Al riguardo il CESE ha indicato l’obiettivo di «istituire una politica graduale, coerente e sostenibile per la gestione responsabile delle catene globali di approvvigionamento» e di «promuovere approcci basati sul rischio pratici e appropriati, che prenderanno in considerazione la natura specifica della catena globale del valore e della catena globale di approvvigionamento (lineare o modulare, semplice o complessa, con organizzazione breve o lunga)».

5.5.2.

L’impatto del settore privato sarà profondo. Esso può essere un importante catalizzatore di rinnovamento sociale, economico e culturale, in particolare attraverso la promozione e lo sviluppo di competenze chiave e una maggiore diversificazione. Molte imprese già dispongono di proprie strategie in materia di OSS. In ogni caso, però, una condotta aziendale responsabile sarà importante per contribuire a realizzare gli OSS, tra l’altro incoraggiando tutte le imprese ad assumersi la responsabilità del loro impatto sulla società. Per far ciò, occorrerebbe prendere le mosse da un’analisi approfondita (due diligence) basata sul rischio, in particolare nelle catene globali del valore e di approvvigionamento, che valuti sia gli effetti negativi che i rischi e promuova attivamente i benefici, garantendo che nessuno sia lasciato indietro. A sua volta, ciò dovrebbe accrescere il margine di azione delle imprese, ottimizzando nel contempo sia l’innovazione che una crescita economica sostenibile.

5.6.

Garantire una maggiore sinergia tra gli OSS e il settore privato significherà:

promuovere la responsabilità sociale delle imprese, la norma ISO 26000 e lo sviluppo di accordi quadro internazionali tra le grandi imprese multinazionali e le organizzazioni sindacali internazionali (in tutti i settori, e in particolare in quelli industriali);

sviluppare il rating non finanziario (sociale e ambientale) delle imprese e incoraggiare gli investimenti socialmente responsabili;

integrare la responsabilità sociale e ambientale nella catena del valore tra contraente e subcontraente.

5.6.1.

Il CESE ritiene che qualsiasi futuro accordo commerciale o di partenariato dell’UE dovrebbe mirare a includere la promozione dei principi e degli standard di responsabilità sociale delle imprese, e perseguire lo sviluppo di una legislazione nazionale in questo campo, specie in materia di rendicontazione extrafinanziaria. Tali accordi dovrebbero impegnare ciascun contraente ad incoraggiare attivamente le imprese a conformarsi agli orientamenti dell’OCSE per le imprese multinazionali (31) e al patto mondiale (Global Compact) delle Nazioni Unite, a garantire il diritto alla contrattazione collettiva e a promuovere il dialogo sociale.

5.6.2.

Nella sua relazione informativa sulla responsabilità sociale delle imprese (32), il Comitato ha anche sottolineato l’importanza dei Principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani (33), adottati nel 2011, quale passo fondamentale nel campo della responsabilità delle imprese, grazie al rilievo dedicato ai diritti umani nell’ambito del pilastro sociale. Le Nazioni Unite stanno adesso sviluppando ulteriormente tale documento per farne un trattato vincolante per le società transnazionali e altre imprese in materia di diritti umani.

5.6.3.

Tra gli altri pertinenti pareri del CESE figurano quello sul ruolo del settore privato nello sviluppo (34) e quello sull’istituzione della garanzia del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (EFSD) e del fondo di garanzia EFSD (35).

5.7.

Ai fini dell’attuazione dell’obiettivo 17, sia le amministrazioni aggiudicatrici degli appalti pubblici che i governi dovrebbero operare a fianco del settore privato. L’UE dovrebbe collaborare strettamente con l’Unctad e l’UNECE, che ha promosso il ruolo dei partenariati pubblico-privati. Pur sostenendo in generale i partenariati pubblico-privati, il CESE (36) ha segnalato alcune preoccupazioni, affermando che essi «possono diventare uno strumento essenziale per attuare le strategie di sviluppo, a condizione che vi siano giusta proporzione e una buona comunicazione tra le parti interessate».

5.8.

Il Comitato ha già sottolineato che il commercio elettronico riveste un enorme potenziale per le PMI e le altre imprese più specializzate, consentendo ad esse e alle imprese locali di entrare in mercati finora inaccessibili. Poiché le PMI sono motori fondamentali dell’innovazione, essenziale per mantenere e sviluppare la sostenibilità, e creano il 70-80 % dell’occupazione, il CESE chiede alla Commissione di dedicare particolare attenzione a sostenere il contributo di tali imprese all’attuazione degli OSS.

6.   Il ruolo della società civile

6.1.

L’OSS n. 17 menziona specificamente il ruolo della società civile, asserendo che «un’agenda efficace per lo sviluppo sostenibile necessita di partenariati tra i governi, il settore privato e la società civile. Tali partenariati globali […] sono necessari a livello globale, regionale, nazionale e locale». Vengono quindi menzionati «quadri di monitoraggio e riesame». Per la prima volta nella storia delle Nazioni Unite, gli obiettivi di sviluppo sostenibile specificano che i governi sono responsabili nei confronti dei cittadini. L’attuazione degli OSS richiederà il coinvolgimento diretto della società civile, in particolare perché tale coinvolgimento dovrebbe promuovere lo Stato di diritto e contribuire a contrastare la corruzione. Quando la società civile non osa contribuire, si verifica l’opposto. In una società aperta la sua voce è un potente fattore di importanti cambiamenti interni, apertura e pluralismo.

6.1.1.

Fin dall’accordo di libero scambio UE-Corea del Sud del 2011, in tutti gli accordi di partenariato commerciale ed economico dell’UE si punta ad includere capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile (37) che prevedano meccanismi di monitoraggio da parte della società civile. Questi capitoli sono attualmente oggetto di riesame. Essi devono essere rafforzati e, se possibile, adattati, affinché sostengano l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile. I futuri mandati negoziali dell’UE devono includere, nei capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile, un riferimento specifico agli OSS.

6.2.

Questi meccanismi hanno un forte potenziale di promozione dei valori dell’UE, comprese le norme sociali e ambientali. Essi possono fornire risultati concreti, e costituiscono un importante canale per la cooperazione con la società civile dei paesi partner e la responsabilizzazione di quest’ultima.

6.2.1.

Tali meccanismi congiunti della società civile devono essere in grado di intervenire per promuovere la realizzazione degli OSS e per contrastare eventuali sviluppi negativi. Riteniamo che tali capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile debbano essere applicabili allo stesso modo di altre clausole commerciali. Al riguardo, si invita la Commissione europea a negoziare, in tutti i futuri accordi, misure che consentano il pieno monitoraggio dell’attuazione dei capitoli sul commercio e lo sviluppo sostenibile, e, ove necessario, a intraprendere azioni in questo senso.

6.3.

Il Comitato accoglie inoltre con soddisfazione il fatto che sia riconosciuta l’importanza dell’«economia sociale per la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo sostenibile» nel documento Un nuovo partenariato mondiale per l’eliminazione della povertà e lo sviluppo sostenibile dopo il 2015, adottato dal Consiglio nel maggio 2015 (38). Anche le organizzazioni dell’economia sociale possono essere soggetti determinanti nell’attuazione degli OSS. Nel suo recente parere sull’economia sociale (39), il CESE sottolinea che essa ha un ruolo prominente nella vita quotidiana e nell’attività produttiva di vaste regioni dell’Africa, dell’America e dell’Asia, e fornisce un importante contributo globale al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

Bruxelles, 7 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  La 21a Conferenza delle parti (COP) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), che si è tenuta a Parigi.

(2)  COM(2016) 739 final.

(3)  Articolo 21, paragrafo 3, del TFUE.

(4)  L’obiettivo di sviluppo del Millennio n. 8 prevede la creazione di un «partenariato mondiale per lo sviluppo».

(5)  Pechino, 29 e 30 giugno 2017 (punto 25).

(6)  Unctad, Comunicato stampa, Ginevra, 2014. La stima è stata in seguito ribadita a più riprese.

(7)  REX/487 — Parere d’iniziativa del CESE sul tema I partenariati di sviluppo dell’UE e la sfida posta dagli accordi fiscali internazionali, relatore: Alfred Gajdosik, correlatore: Thomas Wagnsonner (non ancora pubblicato nella GU).

(8)  Parere del CESE Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile, relatore: Jonathan Peel (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 123).

(9)  Articolo 21, paragrafo 3, del TFUE

(10)  Parere d’iniziativa del CESE Il ruolo dell’agricoltura negli accordi commerciali multilaterali, bilaterali e regionali alla luce della riunione ministeriale dell’OMC a Nairobi, relatore: Jonathan Peel (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 20).

(11)  Ibidem.

(12)  @UNFoundation.

(13)  Il Nord offriva lana, pellicce, legno e grano, il Sud tessuti di cotone, olio d’oliva, sughero, vino, prodotti alimentari e frutta.

(14)  https://www.wto.org/english/thewto_e/minist_e/mc10_e/mindecision_e.htm.

(15)  Cfr. nota 9.

(16)  Parere del CESE sul tema Ruolo dello sviluppo sostenibile e partecipazione della società civile nel quadro degli accordi di investimento autonomi dell’UE con paesi terzi, relatore: Jonathan Peel (GU C 268 del 14.8.2015, pag. 19).

(17)  COM(2006) 567 final, 4 ottobre 2006, punto 3.1, iii).

(18)  Articolo 3, paragrafo 5.

(19)  Parere del CESE Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile, relatore: Jonathan Peel (GU C 264 del 20.7.2016, pag. 123).

(20)  COM(2015) 497 final.

(21)  Corte di giustizia dell’Unione europea, comunicato stampa n. 52/17.

(22)  http://www.un.org/sustainabledevelopment/takeaction.

(23)  Pur nella consapevolezza del contributo record di 12 miliardi di euro fornito dall’UE in questo campo nel 2014.

(24)  Come stabilito dall’accordo di Cotonou.

(25)  Cfr. la nota 5.

(26)  GU C 487 del 28.12.2016, pag. 41.

(27)  Unctad, Comunicato stampa, Ginevra, 2014. La stima è stata in seguito ribadita a più riprese.

(28)  Cfr. il parere del CESE Il ruolo dell’agricoltura negli accordi commerciali multilaterali, bilaterali e regionali alla luce della riunione ministeriale dell’OMC a Nairobi, ibidem, nota 9 (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 20).

(29)  Cfr. nota 15.

(30)  GU C 303 del 19.8.2016, pag. 17.

(31)  Orientamenti dell’OCSE per le imprese multinazionali, edizione 2011.

(32)  Relazione informativa del CESE Responsabilità sociale delle imprese, relatrice: Evelyne Pichenot.

(33)  http://www.ohchr.org/Documents/Publications/GuidingPrinciplesBusinessHR_En.pdf.

(34)  Parere del CESE Finanziamento dello sviluppo — la posizione della società civile, relatore: Ivan Voleš (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 49).

(35)  Parere del CESE sull’istituzione della garanzia del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (EFSD) e del fondo di garanzia EFSD (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 62).

(36)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 1.

(37)  La sola eccezione è costituita dall’accordo di partenariato economico con la Comunità di sviluppo dell’Africa australe.

(38)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-9241-2015-INIT/it/pdf.

(39)  Parere d’iniziativa del CESE sul tema La dimensione esterna dell’economia sociale, relatore: Miguel Ángel Cabra De Luna (GU C 345 del 13.10.2017, pag. 58).


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/36


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Vantaggi di un approccio di sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) per lo sviluppo locale e rurale integrato»

(parere esplorativo)

(2018/C 129/06)

Relatore:

Roman HAKEN

Consultazione

Presidenza estone del Consiglio, 08/08/2017

Base giuridica

Articolo 302 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Parere esplorativo

Decisione dell’Ufficio di presidenza

19/09/2017

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

21/11/2017

Adozione in sessione plenaria

07/12/2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

152/3/0

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’Unione europea si accinge ad avviare i negoziati sulle politiche da adottare dopo il 2020. La Commissione europea e gli Stati membri stanno iniziando a discutere del futuro quadro di finanziamento dei fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE).

1.2.

Cosa può fare l’Unione europea per rafforzare i suoi legami con gli Stati membri e riconquistare la fiducia dei cittadini (1)?

1.3.

La risposta potrebbe essere quella di attuare correttamente un approccio di sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) che consenta lo sviluppo locale integrato e il coinvolgimento dei cittadini e delle loro organizzazioni a livello di base. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che il CLLD possa essere uno strumento europeo efficace di sviluppo locale, in grado di offrire numerosi vantaggi.

Il CESE formula le seguenti raccomandazioni:

1.4.

definire una visione chiara relativamente all’attuazione obbligatoria multifondo del CLLD nell’Unione europea, facendo in modo che sia applicato un approccio CLLD a tutti i tipi di territorio: rurale (incluse le zone remote, montane e insulari), urbano e costiero;

1.5.

procedere in tempi brevi da parte della Commissione europea a uno studio e un’analisi approfondita delle possibilità di creare un fondo di riserva per il CLLD a livello dell’UE. Indipendentemente da tali possibilità, la Commissione europea dovrà garantire che tutti gli Stati membri dispongano di un fondo nazionale per il CLLD, con contributi a valere su tutti e quattro i fondi SIE (FEASR, FESR, FSE e FEAMP);

1.6.

definire un quadro armonizzato di tutti i fondi SIE e istituire regole semplici di attuazione del fondo CLLD a livello dell’UE;

1.7.

riconoscere che il CLLD, che costituisce un rafforzamento del metodo Leader, offre agli Stati membri un’opportunità unica di sviluppare le loro regioni in una maniera più inclusiva, sostenibile e integrata in partenariato con le parti interessate. Allo scopo di conseguire un maggiore impatto, devono essere messi a disposizione mezzi finanziari sufficienti per l’attuazione del CLLD nel periodo di programmazione 2021-2027. A tal fine, il CESE sollecita la Commissione a imporre agli Stati membri l’obbligo di destinare almeno il 15 % della dotazione di ciascun fondo SIE al fondo CLLD e di integrare tale stanziamento con risorse nazionali sufficienti;

1.8.

evitare ogni interruzione tra i periodi di programmazione e garantire un migliore avvio del periodo 2021-2027;

1.9.

un quadro giuridico complicato e lungaggini procedurali hanno causato una crescita significativa degli oneri burocratici per tutti gli attori del CLLD. Per una migliore efficienza nella futura attuazione del CLLD multifondo, il CESE chiede di semplificare in misura sostanziale il quadro giuridico per il CLLD, le relative procedure di attuazione e il modello per il periodo di programmazione 2021-2027. Bisognerebbe approfittare del nuovo contesto politico ed economico per ridurre gli oneri burocratici e introdurre un quadro semplice, incentrato sulle opportunità e sulla fiducia. Un sistema semplice è stato creato, ad esempio, nell’evoluzione delle sovvenzioni globali. Invece di concentrarsi sulla prevenzione degli errori, bisogna mettere a punto una normativa atta a sostenere realmente i gruppi di azione locale (GAL) e i beneficiari locali (fruitori finali) nell’attuazione delle loro strategie e dei loro progetti di sviluppo locale;

1.10.

consentire uno stretto dialogo tra tutti gli attori dello sviluppo locale di tipo partecipativo, sia a livello europeo che a livello nazionale, regionale e locale nel quadro della preparazione del prossimo periodo di programmazione, per creare un clima di fiducia e attuare un approccio integrato multifondo di CLLD. Devono essere intensificati i collegamenti tra l’UE, i cittadini e le comunità;

1.11.

consentire il continuo sviluppo delle capacità di tutti gli attori (autorità pertinenti, gruppi di azione locale, reti Leader e rurali, organismi pagatori ecc.) in relazione al CLLD multifondo;

1.12.

sfruttare il potenziale offerto dalle soluzioni informatiche al fine di semplificare e automatizzare la raccolta dei dati a livello nazionale e locale. Bisogna diffondere le buone pratiche nell’impiego di tali sistemi presso le autorità di gestione e i gruppi di azione locale (come avviene, ad esempio, in Estonia). Le soluzioni informatiche devono essere sviluppate coinvolgendo realmente tutte le parti interessate e con l’obiettivo di contribuire alla strategia globale di semplificazione dei fondi SIE;

1.13.

adottare un approccio partecipativo allineando e adattando le strategie di sviluppo locale all’evolversi delle condizioni locali (coesione sociale, migrazione, distretti produttivi regionali, economia verde, cambiamenti climatici, soluzioni intelligenti, tecnologie ecc.), e trarre vantaggio dalla rivoluzione delle nuove tecnologie e delle tecnologie dell’informazione;

1.14.

il valore principale dei gruppi di azione locale, oltre che nella capacità di selezionare progetti validi, consiste nel loro ruolo di mediatori territoriali, in particolare per quanto riguarda la cooperazione interterritoriale e transnazionale. Essi devono essere facilitatori attivi e lavorare a cavallo di diversi settori, coinvolgendo tutte le parti interessate nella loro area;

1.15.

è importante dare visibilità e ampia diffusione ai risultati conseguiti dai gruppi di azione locale; occorre inoltre effettuare una valutazione costante dell’attuazione delle strategie di sviluppo locale e spostare l’attenzione dai meccanismi di controllo dell’ammissibilità verso l’ottenimento di risultati e la valutazione delle prestazioni e degli effetti a lungo termine;

1.16.

il CLLD nelle aree urbane e periurbane costituisce la sfida per il futuro dello sviluppo locale nell’UE. Il CESE raccomanda di raccogliere i dati relativi ai progetti pilota con esiti positivi e di organizzare campagne di informazione e motivazione per dare loro più ampia diffusione. Sarà necessario predisporre dei corsi di formazione per gli attori che operano in ambito urbano e per la pubblica amministrazione a livello locale. Il CLLD nelle zone urbane può essere utilizzato come strumento per attuare l’agenda urbana dell’UE ed essere combinato con il programma Urbact.

2.   L’introduzione e l’attuazione del CLLD negli Stati membri — il contesto

2.1.

Lo sviluppo locale di tipo partecipativo costituisce l’aggiornamento del metodo Leader che risale a oltre 26 anni fa. La differenza principale riguarda l’approccio più strettamente integrato e il modello di finanziamento diversificato. Ora alcuni gruppi di azione locale nelle zone rurali hanno anche accesso ai finanziamenti del Fondo europeo di sviluppo regionale, del Fondo sociale e del Fondo per la pesca. A partire dall’attuale periodo di programmazione (2014-2020), l’utilizzo del CLLD multifondo è stato esteso alla dimensione urbana.

2.2.

In base ai dati della Commissione europea, venti Stati membri hanno adottato l’approccio multifondo nell’attuale periodo di programmazione 2014-2020: Austria, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. Otto paesi (Belgio, Cipro, Croazia, Estonia, Irlanda, Lussemburgo, Malta e Paesi Bassi) hanno deciso invece di non farlo per il periodo in corso. Grazie a un esito positivo dei negoziati, il contributo degli altri fondi è prossimo al 50 % in alcuni paesi (Portogallo, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria). L’introduzione di un approccio multifondo richiede la volontà politica, la consapevolezza dei benefici offerti dal CLLD a livello nazionale e una buona collaborazione tra i ministeri. La Commissione europea si prefigge di eliminare le barriere tra i fondi, aumentando in tal modo la sinergia e la coerenza a livello locale e regionale.

2.3.

Il metodo Leader è stato rafforzato per il periodo 2014-2020. In considerazione del ruolo delle comunità locali nel contribuire alla coesione territoriale e agli obiettivi della strategia Europa 2020, l’UE, con il forte sostegno del Parlamento europeo, ha deciso di facilitare e rafforzare l’utilizzo del metodo CLLD per tutti i tipi di territori (rurali, urbani e costieri) e per vari tipi di esigenze delle comunità (in particolare sociali, culturali, ambientali ed economiche). Nel periodo 2014-2020, le iniziative CLLD rientrano tra quelle che possono ricevere il sostegno di tutti i fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE), fatta eccezione per il Fondo di coesione, e sono soggette a un quadro comune stabilito nel regolamento recante disposizioni comuni (RDC) che disciplina tali fondi. Ciò garantisce una maggiore coerenza e un maggior coordinamento dei finanziamenti UE e una maggiore efficienza nel loro utilizzo. Le norme comuni sono integrate da dispositivi specifici (per esempio, almeno il 5 % dei fondi del FEASR deve essere destinato al metodo CLLD, mentre il sostegno per lo sviluppo locale di tipo partecipativo è facoltativo per gli altri fondi). Il requisito del finanziamento obbligatorio ha garantito un’efficace attuazione del metodo Leader.

2.4.

Nel periodo di programmazione in corso, il metodo è stato accompagnato dallo strumento ITI (investimenti territoriali integrati), orientato essenzialmente ai territori di vaste dimensioni (livello NUTS III, metropolitano ecc.) e ai macroprogetti. La società civile organizzata è coinvolta in minor misura in tale processo rispetto al microsistema CLLD (2).

2.5.

Lo sviluppo locale di tipo partecipativo è imperniato su tre elementi interconnessi: i gruppi di azione locale (rappresentanti degli interessi socioeconomici locali pubblici e privati), le strategie di sviluppo locale integrato e territori ben circoscritti. Tutti e tre gli elementi sono soggetti alle prescrizioni fissate nel regolamento recante disposizioni comuni, per esempio: il territorio interessato deve avere una popolazione compresa tra i 10 000 e i 150 000 abitanti e le strategie devono includere gli obiettivi perseguiti, un’analisi delle necessità e del potenziale dell’area, piani d’azione e finanziari.

2.6.

Il CESE si meraviglia che, negli anni ‘90, il programma Leader fosse di più semplice e facile attuabilità rispetto ad oggi. Ora disponiamo di computer, Internet, software e telefoni cellulari, ma il lavoro è in realtà divenuto più difficile. Il CESE sollecita quindi una vera semplificazione perché altrimenti questa nuova «tecnoburocrazia» neutralizzerà gli strumenti dell’UE che hanno dato buoni risultati.

3.   Principali vantaggi dello sviluppo locale di tipo partecipativo multifondo nell’attuazione di strategie di sviluppo locale

3.1.

L’approccio multifondo CLLD offre agli Stati membri la possibilità di potenziare le capacità di sviluppo integrato degli enti locali e regionali. Le esperienze pratiche negli Stati membri hanno dimostrato che lo sviluppo locale integrato influenza un ampio spettro di attività e ha un forte impatto sulle economie locali e sulla creazione di posti di lavoro, specialmente al di fuori della produzione primaria in agricoltura.

3.2.

Inoltre, lo sviluppo locale integrato ha un grande effetto positivo sull’inclusione sociale, a causa del coinvolgimento e della partecipazione di diverse parti interessate (vari tipi di attori, gruppi d’età, generi). Il CLLD consente di coinvolgere un numero di soggetti regionali e locali maggiore rispetto al metodo Leader, il quale era sostenuto soltanto dal FEASR. Con il CLLD lo sviluppo regionale assume un’importanza superiore.

3.3.

La politica di coesione dell’UE mira a realizzare la coesione territoriale, che è anche lo scopo del metodo CLLD. Tale metodo include tutti i tipi di territorio (rurali, urbani e costieri), diversi bisogni della comunità (sociali, culturali, ambientali ed economici) e differenti meccanismi di finanziamento (sono coinvolti quattro fondi SIE). La possibilità di impiegare il metodo CLLD in tutti i tipi di territorio contribuisce a costruire coesione tra le zone rurali, quelle periurbane e quelle urbane, il che a sua volta aiuta a superare o a far cessare l’«effetto periferia».

3.4.

La metodologia CLLD svolge un ruolo importante nello stimolare lo sviluppo locale integrato in ragione degli elementi che la compongono: approccio dal basso, strategie di sviluppo locale basate sul territorio specifico, partenariati pubblico-privati, innovazione, un approccio integrato e multisettoriale, collegamento in rete e cooperazione e amministrazione decentrata. Per favorire la corretta applicazione del metodo CLLD occorre promuovere lo scambio di informazioni, la divulgazione e una maggiore visibilità del metodo stesso e dei suoi vantaggi.

3.5.

Più di 26 anni di esperienza nell’attuazione del programma Leader hanno dimostrato che il metodo Leader/CLLD funziona, che è un modo efficiente e sostenibile per aiutare lo sviluppo dei territori e che ha un impatto a lungo termine sullo sviluppo locale. Il metodo CLLD ha ampliato adesso il suo potenziale con un approccio maggiormente integrato, che può essere considerato ancora più efficace grazie al suo modello di attuazione diversificato.

3.6.

Tale modello di attuazione diversificato del CLLD aiuta gli Stati membri e i territori locali a ridurre i rischi e a migliorare la trasparenza.

3.7.

Il CESE sostiene con forza il processo decisionale dal basso, che garantisce che gli investimenti siano in linea con le necessità reali e potenziali delle aree locali. Il CLLD vuole essere ancora più flessibile, comprendendo tutte le possibili esigenze delle comunità e consentendo alla popolazione dell’area di scegliere gli aspetti più rilevanti per la sua strategia di sviluppo locale.

3.8.

Il coinvolgimento e lo sviluppo delle capacità degli attori locali è uno dei vantaggi principali del metodo CLLD. Lo sviluppo locale integrato è il modo migliore per creare collegamenti e sinergie tra le varie parti interessate e i diversi aspetti dello sviluppo locale.

3.9.

Il CESE si compiace del fatto che il CLLD sia un processo che comporta la partecipazione e la formazione continue delle popolazioni locali. Il suo approccio maggiormente integrato offre alle comunità locali più opportunità di aumentare le loro capacità e le loro conoscenze. I vincoli tra territori rurali-urbani-costieri permettono ai soggetti coinvolti di imparare gli uni dagli altri e di trovare le risposte a sfide importanti in un modo più inclusivo. La cooperazione, il collegamento in rete e la formazione continui stimolano la buona governance.

3.10.

L’importanza dell’economia verde, dell’inclusione sociale, della riduzione della povertà, delle questioni legate alla migrazione, dei distretti produttivi regionali, dei collegamenti rurali-urbani-costieri, delle soluzioni intelligenti e delle tecnologie dell’informazione è crescente nell’ambito dello sviluppo locale. Il CLLD crea opportunità per tutti i diversi tipi di territori (rurali, urbani e costieri) consentendo alle comunità di lavorare insieme su tali problematiche. L’approccio multifondo del CLLD rappresenta un ottimo strumento per sostenere il concetto dei «piccoli comuni intelligenti» attraverso lo sviluppo delle capacità, gli investimenti, il sostegno all’innovazione e il collegamento in rete, nonché grazie alla messa a disposizione di strumenti di finanziamento innovativi per migliorare i servizi e le infrastrutture (3).

3.11.

Il CESE spera che una coerenza e un coordinamento maggiori dei finanziamenti UE renderanno più agevole per gli attori locali definire strategie multisettoriali, sostenute da una combinazione di fondi e più adatte a territori misti (ad esempio rurali-urbani-costieri). Ai fini della semplificazione nell’ambito delle strategie multifondo, ad oggi deve essere designato un fondo «capofila» per coprire tutti i costi di gestione a livello nazionale. Una regolamentazione in merito al CLLD con un regime unificato per tutti i fondi SIE a livello dell’UE sarebbe ancora più efficace nel ridurre gli oneri burocratici.

3.12.

Il CESE è convinto che l’inclusione di tutti i tipi di settori prioritari dei quattro fondi SIE per l’attuazione delle strategie di sviluppo locale crei numerosi vantaggi per tutti i tipi di gruppi di azione locale (4).

3.13.

Il CLLD è un approccio di sviluppo dal basso radicato nella dimensione europea che può contribuire a controbilanciare le tendenze antieuropee in atto nelle comunità locali, favorendo l’inclusione sociale e lo sviluppo economico sostenibile nei territori in cui viene applicato.

4.   Principali esigenze/difficoltà nell’attuazione del CLLD multifondo 2014-2020

4.1.

La debole coesione tra i diversi fondi e una fragile coesione territoriale, oltre che la scarsa comprensione dei vantaggi del CLLD tra i responsabili delle decisioni, hanno dimostrato di essere i principali ostacoli a livello nazionale. Una reale sinergia tra i vari fondi e territori (rurali, urbani e costieri) è stata difficile da realizzare a causa delle «frontiere» ancora esistenti tra i fondi a livello nazionale. Ogni fondo ha diverse regole e norme e vi è scarsa cooperazione tra le autorità di gestione e una mancanza di un chiaro coordinamento nella maggior parte dei paesi che stanno attuando il CLLD multifondo. Solo la Svezia attua il CLLD multifondo in tutto il paese e ha reso disponibili tutti e quattro i fondi SIE per tutti i tipi (rurali-urbani-costieri) di gruppi di azione locale.

4.2.

Gli Stati membri non dovrebbero aggiungere ulteriori regole e obblighi che pregiudicano la semplificazione. La semplificazione deve essere reale e in linea con le regole proposte dalla Commissione europea. Sono necessarie la formazione e una chiara comprensione di tali modelli. Secondo la Corte dei conti europea, non si riscontra un numero maggiore di errori nei progetti Leader rispetto ad altri progetti nel quadro di misure differenti.

4.3.

Gli Stati membri non dovrebbero trasformare il CLLD in un modo per erogare finanziamenti a destinazione specifica all’interno di un ventaglio di misure nazionali. Il CLLD dovrebbe essere uno strumento di sviluppo «a largo spettro» con misure definite a livello locale.

4.4.

L’avvio del periodo di programmazione ha subito lunghi ritardi. Non tutti i paesi sono stati in grado di assicurare la continuità tra i periodi di programmazione e un’attuazione scorrevole, fatto che ha causato molta incertezza e la perdita di motivazione e delle conoscenze esistenti. Ciò deve essere evitato in futuro.

4.5.

Il CESE è consapevole che una mancanza di fiducia tra gli attori del CLLD impedisce di sfruttare il potenziale di questo metodo. Vi deve essere un costante processo di costruzione di tale fiducia. Un’imposizione continua di sanzioni durante il processo di attuazione mina la fiducia e il buon dialogo. Le autorità di gestione, compresi gli organismi pagatori, dispongono del potere discrezionale di non imporre sanzioni ed esso deve essere utilizzato con maggiore frequenza.

4.6.

Non è stato realizzato il potenziale reale di semplificazione attraverso lo sviluppo di soluzioni informatiche. Non tutti gli attori del CLLD sono stati coinvolti nel processo di sviluppo di strumenti informatici e ciò ha causato difficoltà nell’utilizzo di tali sistemi. Si deve aver fiducia nella conoscenza pratica dei gruppi di azione locale al momento di disegnare gli strumenti informatici per l’attuazione. Le piattaforme informatiche sviluppate dalle autorità di gestione devono corrispondere alle esigenze di tutti gli attori del CLLD. Ai gruppi di azione locale devono essere fornite piattaforme flessibili e aperte per consentire l’attuazione delle loro strategie di sviluppo locale in linea con le specificità della loro area. Occorre evitare la standardizzazione.

4.7.

Il CESE rileva delle discrepanze tra le aspettative, gli sforzi e i mezzi finanziari in molti Stati membri. Se si vogliono raggiungere dei risultati concreti, bisogna anche investire denaro sufficiente per rendere realistiche le nostre aspettative. Per avere un impatto bisogna essere realistici nell’assegnazione di mezzi finanziari sufficienti per il CLLD a partire da ciascun fondo SIE. Esistono alcuni esempi molto positivi in tal senso nell’UE (ad esempio in Sassonia e nelle Asturie, rispettivamente con il 40 % e il 17 % provenienti dai loro programmi di sviluppo regionale).

4.8.

La mancanza di dialogo tra tutti gli attori del CLLD (autorità di gestione, gruppi di azione locale, organismi pagatori, reti Leader — quali l’Associazione europea Leader per lo sviluppo rurale (ELARD) e le reti Leader e rurali a livello nazionale) ha causato un aumento della burocrazia ed enormi ritardi nell’avvio del periodo di programmazione e nell’erogazione dei fondi ai progetti. È necessario un coordinamento efficace e trasparente tra le diverse autorità e i vari ministeri a livello nazionale, nonché uno stretto dialogo con i gruppi di azione locale. Inoltre, deve essere rafforzato il dialogo diretto tra la Commissione europea e questi ultimi, e il CESE potrebbe fornire un sostegno in tal senso.

4.9.

La mancanza di sviluppo delle capacità delle autorità e dei gruppi di azione locale per aiutarli ad attuare il CLLD multifondo è stata riconosciuta nella maggior parte degli Stati membri. Devono essere possibili un apprendimento continuo e una visione condivisa dell’attuazione multifondo del CLLD al fine di potenziare la capacità degli attori dello sviluppo locale di tipo partecipativo. Lo spirito collegiale deve essere rafforzato. I gruppi di azione locale e le autorità pertinenti devono essere adeguatamente formati e resi consapevoli delle rispettive realtà. Tale obiettivo può essere realizzato facendo in modo che funzionari pubblici, membri dei gruppi di azione locale e soggetti locali partecipino a missioni conoscitive, formazioni, scambi di personale ecc. Il CESE propone che un programma di questo tipo sia finanziato attraverso un’estensione del programma Erasmus.

4.10.

Il CESE è convinto che, dal lato dell’UE, il valore aggiunto dell’approccio multifondo CLLD e i possibili modelli di attuazione non siano stati ben spiegati. È mancata una chiara visione del modo in cui gli Stati membri dovrebbero applicare nella pratica il CLLD multifondo. È necessario fornire agli Stati membri modelli semplici, strutture e buone pratiche.

4.11.

Il potenziale reale dei gruppi di azione locale in qualità di facilitatori per i loro territori non è stato adeguatamente utilizzato. Occorre creare le condizioni per consentire a tali gruppi di concentrarsi sul loro ruolo consistente nel mobilitare l’area e nell’aiutare le migliori idee a emergere e a essere realizzate. La ricerca indica che il sostegno ai gruppi di azione locale, nella loro funzione di mediatori, è necessario per favorire lo sviluppo locale integrato. I gruppi di azione locale hanno la capacità di lavorare in tutti i settori e di riunire parti interessate diverse. Il compito dei gruppi di azione locale è non soltanto quello di essere la fonte di finanziamento e di agire come un ulteriore livello amministrativo, bensì quello di operare come una vera e propria organizzazione di sviluppo che avvia progetti di cooperazione e rende possibili attività di formazione e messa in rete, con adeguato sostegno finanziario e organizzativo.

4.12.

Fanno spesso difetto modelli di valutazione e monitoraggio delle strategie di sviluppo locale chiari e semplici. La valutazione deve essere parte di un processo di apprendimento della comunità e pertanto è molto importante che i gruppi di azione locale continuino a raccogliere informazioni e a valutare l’attuazione delle loro strategie. Bisognerebbe introdurre delle soluzioni informatiche avanzate per la raccolta e l’analisi di dati, le quali andrebbero abbinate a processi partecipativi e analisi qualitative, in linea con i principi del CLLD. A livello dell’UE bisognerebbe investire in strumenti coerenti di monitoraggio e valutazione per il CLLD. In Svezia è stata impiegata con buoni risultati la metodologia della narrazione («metodologia dello storytelling»).

4.13.

In alcuni Stati membri sono stati riscontrati casi di abuso di potere da parte delle autorità di gestione, casi in cui non vi è stato dialogo tra gli attori Leader/CLLD e i gruppi di azione locale non hanno avuto l’opportunità di partecipare alle discussioni su un piede di parità. Il CESE mette inoltre in guardia contro lo strapotere di alcune amministrazioni locali tendenti a realizzare i loro obiettivi politici mediante le risorse destinate al CLLD. Occorre garantire l’indipendenza operativa e decisionale dei gruppi di azione locale, in modo che possano agire senza pressioni, ufficiali o ufficiose, da parte delle amministrazioni locali.

5.   Proposte del CESE per il periodo di programmazione 2021-2027 sia a livello dell’UE che a livello nazionale, regionale e locale

A livello europeo

5.1.

Definire una visione chiara, a livello dell’UE, relativamente all’attuazione obbligatoria multifondo del CLLD, al fine di fornire al più presto modelli e orientamenti semplici, e presentare le buone pratiche sul modo di attuare al più presto (entro il 2018) questo metodo multifondo negli Stati membri.

5.2.

Pensare fuori dagli schemi esplorando e analizzando in modo approfondito le possibilità di creare un fondo di riserva per il CLLD a livello dell’UE. Indipendentemente da tali possibilità, la Commissione europea dovrà garantire che tutti gli Stati membri dispongano di un fondo nazionale per il CLLD.

5.3.

Definire un quadro armonizzato per tutti i fondi SIE e istituire regole semplici di attuazione del fondo CLLD a livello dell’UE.

5.4.

Introdurre l’obbligo di creare una fonte speciale di finanziamento del CLLD (fondo CLLD), con contributi provenienti da tutti e quattro i fondi SIE corrispondenti a tutti i settori di intervento dei diversi fondi per i territori rurali, urbani e costieri a livello nazionale (sulla base del modello proposto qui di seguito).

5.5.

Istituire l’obbligo per gli Stati membri di destinare almeno il 15 % del bilancio di ciascun fondo SIE al fondo CLLD e di allocare risorse nazionali sufficienti.

5.6.

Rafforzare il dialogo tra tutti gli attori del CLLD a ogni livello (europeo, nazionale, regionale e locale).

5.7.

Trovare una denominazione di maggiore impatto e accettabile: visto il successo di Leader, potrebbe essere utile mantenere, ad esempio, tale acronimo anche per questo strumento.

5.8.

Condividere le buone pratiche nell’utilizzo del nuovo CLLD nelle aree urbane e raccoglierle in un unico sito (ad esempio: www.clld-u.eu), in modo da non doverle cercare presso le diverse direzioni generali.

A livello nazionale o (nelle amministrazioni decentrate) a livello regionale

5.9.

Garantire l’applicazione dell’approccio multifondo CLLD per tutti i tipi di territori (rurali, urbani e costieri) e beneficiare dei vantaggi dello sviluppo locale integrato.

5.10.

Destinare almeno il 15 % della dotazione di ciascun fondo SIE al fondo nazionale per il CLLD e integrare tale stanziamento con risorse nazionali sufficienti a garantire che questo metodo possa esplicare realmente il suo potenziale.

5.11.

Istituire un programma operativo per il CLLD che consenta di utilizzare tale fondo per sostenere lo sviluppo locale integrato nei territori rurali, urbani e costieri. Il fondo CLLD in ciascuno Stato membro dovrebbe essere destinato alla realizzazione degli obiettivi fissati da strategie di sviluppo locale, senza alcuna distinzione o demarcazione netta tra i diversi fondi SIE. L’utilizzo del fondo dovrebbe avvenire in maniera decentrata tramite i gruppi di azione locale, in modo che le strategie possano rispondere alle esigenze e alle sfide locali.

5.12.

Istituire un organo di gestione per l’attuazione del CLLD a livello nazionale.

5.13.

Evitare ogni interruzione tra i periodi di programmazione e garantire una partenza senza scosse al periodo di programmazione 2021-2027.

5.14.

Consentire uno stretto dialogo tra tutti gli attori del CLLD a livello nazionale e con i gruppi di azione locale al fine di definire un programma operativo su scala nazionale per lo sviluppo locale di tipo partecipativo.

5.15.

Permettere il continuo sviluppo delle capacità delle autorità pertinenti e dei gruppi di azione locale.

5.16.

Sfruttare il potenziale di sviluppo di soluzioni informatiche complete per rendere più agevole il processo di attuazione del CLLD. Tutti gli attori del CLLD devono essere coinvolti nel processo di sviluppo di strumenti informatici e tutti gli attori devono beneficiare delle soluzioni informatiche sviluppate.

5.17.

Continuare con la cooperazione nel quadro dello strumento degli investimenti territoriali integrati (ITI), utilizzato per territori più vasti e macroprogetti.

5.18.

Preparare la campagna per l’introduzione del CLLD, in quanto strumento di sinergia, al fine di garantire efficacia, partenariato, sussidiarietà e sostegno finanziario.

Livello regionale e locale

5.19.

Garantire l’effettivo valore aggiunto dello sviluppo locale integrato e costi ragionevoli. Beneficiare della coesione territoriale che crea sinergie e permette di utilizzare nuove risorse e creare nuove opportunità.

5.20.

Se del caso e allo scopo di migliorare la coesione dei territori e aumentare la capacità amministrativa dei gruppi di azione locale, prendere in seria considerazione l’inclusione di tutti i diversi tipi di territori (rurali, urbani e costieri) in uno stesso gruppo di azione locale o instaurare legami solidi tra le strategie di sviluppo locale portate avanti nei diversi tipi di territori. Al tempo stesso, occorre fare attenzione affinché i gruppi di azione locale non divengano troppo grandi e perdano il contatto con le organizzazioni di base.

5.21.

Allineare e adattare le strategie di sviluppo locale di tipo partecipativo all’evoluzione delle condizioni di vita e di lavoro, compresi tutti gli aspetti pertinenti (coesione sociale, riduzione della povertà, migrazione, distretti produttivi regionali, economia verde, cambiamenti climatici, soluzioni intelligenti, tecnologie ecc.) e trarre vantaggio dalla rivoluzione delle nuove tecnologie e delle tecnologie dell’informazione.

5.22.

Essere promotori attivi e lavorare a cavallo di diversi settori, coinvolgendo tutte le parti interessate nel territorio di un determinato gruppo di azione locale. Prestare particolare attenzione all’elaborazione e attuazione di processi partecipativi.

5.23.

Essere attivi nella cooperazione interterritoriale e transnazionale.

5.24.

Rendere possibili la formazione continua, la creazione di reti e la cooperazione degli attori locali e del personale dei gruppi di azione locale.

5.25.

Organizzare la valutazione continua dell’attuazione delle strategie di sviluppo locale e trovare il modo di coinvolgere le comunità nel processo di valutazione.

Image

Bruxelles, 7 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  In linea con la Priorità 10: un’Unione di cambiamento democratico.

(2)  Parere del CdR COTER VI/031 — Gli investimenti territoriali integrati: una sfida per la politica di coesione dell’UE dopo il 2020, relatore: Petr Osvald (non ancora pubblicato in GU).

(3)  Pareri del CESE sui temi Dalla dichiarazione di Cork 2.0 a iniziative concrete (GU C 345, del 13.10.2017, pag. 37), I piccoli centri rurali e urbani come catalizzatori dello sviluppo rurale (adottato il 18.10.2017, non ancora pubblicato in GU), e la relazione informativa sul tema Valutazione ex post dei programmi di sviluppo rurale 2007-2013, adottata il 18.10.2017.

(4)  Dai risultati del seminario sul tema Mettere a frutto le esperienze in materia di sviluppo locale di tipo partecipativo: costruire comunità locali resilienti, Ungheria, 8 - 10 novembre 2017, organizzato dalla Commissione europea (con il sostegno delle DG Politica regionale e urbana, Occupazione, affari sociali e inclusione, Agricoltura e sviluppo rurale e Affari marittimi e pesca).


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

530a sessione plenaria del CESE dei giorni 6 e 7 dicembre 2017

11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Un’iniziativa per sostenere l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare di genitori e prestatori di assistenza che lavorano»

[COM(2017) 252 final]

e sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio»

[COM(2017) 253 final – 2017/0085 (COD)]

(2018/C 129/07)

Relatrice:

Erika KOLLER

Correlatrice:

Vladimíra DRBALOVÁ

Consultazione

Consultazione da parte della Commissione, 17.11.2017

Consultazione da parte del Consiglio dell’Unione europea, 10.5.2017

Consultazione da parte del Parlamento europeo, 15.5.2017

Base giuridica

Articoli 153, paragrafo 1, punto i), e 153, paragrafo 2, punto b) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’assemblea plenaria

8.12.2015

Sezione competente

Occupazione, affari sociali, cittadinanza

Adozione in sezione

8.11.2017

Adozione in sessione plenaria

6.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

182/11/4

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore l’iniziativa della Commissione europea volta a incrementare la partecipazione delle persone con figli, e in particolare delle donne, al mercato del lavoro, aiutandole a conseguire un migliore equilibrio tra attività professionale e vita familiare, in modo da liberare pienamente il loro potenziale di competenze.

1.2.

Inoltre, il CESE ritiene che le proposte contenute nel pacchetto meritino di essere oggetto di un ulteriore lavoro di analisi, alla luce dell’effettiva situazione esistente in ciascuno Stato membro, nonché dei costi e del lavoro organizzativo che comportano per le imprese e in particolare per le PMI. Si dovrebbero inoltre adottare misure dirette ad affrontare gli stereotipi, diffondere le buone pratiche e mettere a punto piani d’azione nazionali in materia di equilibrio tra attività professionale e vita privata.

1.3.

Le moderne politiche in materia di equilibrio tra vita professionale e vita privata dovrebbero offrire alle famiglie la possibilità di scegliere fra opzioni appropriate, tenendo conto nel contempo delle esigenze delle imprese. Il CESE incoraggia le parti sociali in tutta Europa ad esaminare ulteriori soluzioni pratiche per promuovere un equilibrio tra vita professionale e vita privata che sia adeguato alle specificità dello specifico luogo di lavoro (1).

1.4.

Pur riconoscendo che l’attuazione delle proposte comporterà dei costi per gli Stati membri e le imprese, il CESE è certo che i benefici a lungo termine saranno superiori ai costi aggiuntivi a breve termine. Il CESE ritiene che le misure atte a sostenere le piccole e medie imprese dovrebbero essere oggetto di un ulteriore esame.

1.5.

Il CESE considera importante che sia le donne che gli uomini possano esercitare il diritto individuale al congedo. Riconosce tuttavia che le imprese, in particolare le PMI, possono incontrare difficoltà organizzative a causa dell’estensione del diritto. Qualsiasi difficoltà derivante dall’applicazione della presente disposizione deve essere risolta secondo le leggi, i contratti collettivi e le prassi nazionali.

1.6.

Il CESE è del parere che il pacchetto sull’equilibrio tra attività professionale e vita privata rappresenti un passo nella giusta direzione, ma ritiene opportuno migliorarlo in futuro, alla luce di adeguate valutazioni d’impatto.

1.7.

Il CESE sottolinea la necessità di investire maggiormente nei servizi e nelle strutture di assistenza di alta qualità, a prezzi accessibili e disponibili per ogni famiglia, e invita la Commissione a utilizzare le raccomandazioni specifiche per paese (RSP) nel quadro del semestre europeo, nonché i fondi destinati allo sviluppo regionale, per incoraggiare gli Stati membri a intensificare i loro sforzi.

1.8.

Sebbene la proposta di direttiva riguardi in una certa misura i sistemi fiscali, il CESE si rammarica del fatto che essa non sia sufficientemente ambiziosa in tale ambito. Il modo in cui sono concepiti i sistemi fiscali può influire sulla scelta delle persone di entrare o meno nel mercato del lavoro. Dovrebbe essere valutata l’opportunità di introdurre detrazioni fiscali per aiutare i genitori che lavorano a continuare a lavorare.

2.   Introduzione

2.1.

La parità tra donne e uomini costituisce un valore e un principio fondamentale dell’Unione europea (2). Nel corso degli ultimi sessant’anni, l’Unione europea ha compiuto grandi progressi grazie all’adozione di una serie di direttive in materia di uguaglianza e lotta alla discriminazione, nonché di programmi strategici e strumenti di finanziamento volti a promuovere la parità di genere nell’Unione europea (3). Il quadro giuridico dell’UE in materia di formule di congedo e di lavoro flessibili per motivi familiari è stato istituito negli anni ‘90 ed è stato costantemente aggiornato: la più recente direttiva è quella sul congedo parentale, adottata nel 2010 (4). Al di fuori del quadro legislativo, hanno un ruolo importante le raccomandazioni formulate nel contesto del semestre europeo (5), i finanziamenti dell’UE e gli orientamenti politici (6).

2.2.

Tuttavia, i progressi compiuti nel corso dei decenni precedenti si sono quasi arrestati (7), come dimostrano il persistente divario retributivo di genere, pari al 16,3 %, le differenze nel ruolo e nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in cui il 31 % delle donne lavora a tempo parziale rispetto all’8,2 % degli uomini, mentre la partecipazione generale delle donne al mercato del lavoro continua a essere inferiore di oltre 12 punti percentuali rispetto a quella degli uomini (8). Nel contempo, gli studi dimostrano che il divario pensionistico di genere arriva fino al 40 %. Tutti questi elementi evidenziano l’esigenza di essere ancora più proattivi per garantire la parità tra donne e uomini in tutti i settori della vita, con particolare attenzione alla femminilizzazione della povertà.

2.3.

La partecipazione diseguale delle donne al mercato del lavoro è strettamente connessa all’ineguale ripartizione delle responsabilità familiari. Anche la mancanza di servizi di assistenza adeguati, accessibili, di qualità e a prezzi ragionevoli, dall’assistenza all’infanzia a servizi di assistenza basati sulla comunità per i familiari anziani e persone con disabilità, contribuisce a far incrementare questo divario (9).

2.4.

Oltre a essere stati individuati come fattori che impediscono alle donne di partecipare pienamente al mercato del lavoro, gli ostacoli e le barriere all’equilibrio tra vita professionale e vita privata hanno con un impatto sulle tendenze demografiche, sull’economia e sul ruolo degli uomini come responsabili su un piano di parità della cura dei figli. Per quanto riguarda l’impatto economico, secondo le stime di un recente studio di Eurofound (10) la perdita economica dovuta al divario occupazionale tra i sessi è pari a 370 miliardi di euro l’anno. In alcuni Stati membri, più del 25 % di donne è economicamente inattivo a causa delle responsabilità familiari. Sebbene di questi tempi quella di rimanere a casa sia, per motivi economici, raramente una scelta possibile, sono ancora forti le aspettative sociali basate su stereotipi secondo i quali le donne sono le principali responsabili dell’assistenza mentre sono gli uomini a essere il sostegno economico della famiglia. I dati dimostrano che le madri che decidono di restare a casa per la totalità o parte della loro vita attiva sono meno indipendenti sotto il profilo economico, hanno minori possibilità di avere una carriera professionale e sono più a rischio di povertà in età avanzata. Le politiche in materia di equilibrio tra vita professionale e vita privata sono strumenti atti a consentire alle donne e agli uomini di effettuare le loro scelte a parità di condizioni. Il CESE sottolinea che le disposizioni sui tempi di riposo dei lavoratori e in materia di equilibrio tra vita familiare e vita professionale dovrebbero tenere conto, eventualmente, di un giorno di riposo settimanale comune riconosciuto dalla tradizione e dagli usi del paese o della regione, rispettando altresì i pertinenti contratti collettivi (settoriali) e le prassi consolidate a livello locale o nelle singole imprese.

2.5.

La Commissione europea ha annunciato la sua iniziativa New start to address the challenges of work-life balance faced by working families  (11) («Un nuovo inizio per affrontare le sfide poste dall’equilibrio tra vita professionale e vita privata alle famiglie che lavorano») in una tabella di marcia presentata nell’agosto 2015. Nel novembre 2015, conformemente all’articolo 154, paragrafo 2, del TFUE, la Commissione ha lanciato una consultazione in due fasi (12) con le parti sociali per conoscere il loro punto di vista sull’iniziativa. Le parti sociali non hanno avviato negoziati. Mentre i datori di lavoro europei ritengono che l’attuale quadro giuridico dell’UE sia sufficiente, i sindacati hanno chiesto un quadro legislativo più robusto. La Commissione ha lanciato inoltre una consultazione pubblica, dalla quale è emerso che il 60 % degli intervistati auspicava un quadro legislativo dell’UE in materia di equilibrio tra vita professionale e vita privata. Il 26 aprile 2017 la Commissione ha adottato la proposta relativa a un pilastro europeo dei diritti sociali, che comprende una proposta di direttiva a sostegno dell’equilibrio tra attività professionale e vita privata dei genitori e dei prestatori di assistenza che lavorano, unitamente ad una serie di proposte non legislative.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE concorda con la necessità di politiche proattive volte a promuovere la condivisione delle responsabilità della cura dei figli tra uomini e donne. Gli studi dimostrano inoltre che da un maggiore coinvolgimento degli uomini in dette responsabilità trarrebbero giovamento sia le famiglie che l’economia e la competitività europee. Promuovere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro consentirebbe inoltre di migliorare l’accesso delle imprese a lavoratori qualificati e di talento, contribuendo a liberare tutto il potenziale delle donne in un momento in cui la forza lavoro dell’UE è in calo, la popolazione sta invecchiando e la curva demografica resta un grave problema per le finanze pubbliche. Dette politiche dovrebbero inoltre concentrarsi sulla creazione di incentivi ai datori di lavoro affinché accrescano l’offerta di lavoro, sulla fornitura di sostegno per l’assistenza all’infanzia e su vari tipi di congedo e regimi di lavoro flessibili.

3.2.

Il CESE desidera sottolineare il ruolo fondamentale della Commissione e degli Stati membri (di concerto con le parti sociali e la società civile nel suo insieme) nella lotta contro gli stereotipi (anche attraverso campagne di educazione e di sensibilizzazione pubblica), nella riduzione della segregazione del mercato del lavoro e nelle azioni volte a dotare i lavoratori di competenze più aggiornate e più elevate adatte alle future esigenze del mercato del lavoro.

3.3.

Il CESE accoglie con favore il pacchetto della Commissione in materia di equilibrio tra attività professionale e vita privata, che propone una più equa ripartizione dei compiti al fine di eliminare alcune delle più importanti barriere strutturali all’incremento dell’occupazione femminile.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.   Congedo di paternità

4.1.1.

A giudizio del CESE, la decisione della Commissione di affrontare la scarsa utilizzazione del congedo di paternità, introducendo un diritto individuale e non trasferibile al congedo di paternità di almeno dieci giorni lavorativi e con una retribuzione non inferiore al livello delle attuali prestazioni per malattia, decisione accompagnata da un’analisi costi-benefici a livello nazionale, costituisce un passo nella direzione giusta. Il CESE fa tuttavia notare che le «prestazioni per malattia» in Europa presentano differenze notevoli e variano da importi forfettari molto al di sotto del salario a un importo che copre il 100 % del salario di riferimento. Sottolinea che la compensazione salariale dovrebbe essere adeguata, dovrebbe essere tale da incoraggiare i padri ad assumersi le loro responsabilità e dovrebbe dare ai genitori maggiori possibilità di scelta, sia prima che dopo la nascita del figlio, tenendo conto delle prassi nazionali in materia di indennità di maternità.

4.1.2.

Pur constatando che disposizioni per il congedo di paternità esistono già in 21 Stati membri, con una durata media di due giorni e mezzo (13), il CESE ritiene che si tratti di un congedo molto breve e si rammarica del fatto che il ricorso a tale congedo sia in gran parte ancora insufficiente, aspetto che dovrebbe essere ulteriormente esaminato. Il CESE ritiene pertanto che la proposta della Commissione soddisfi la necessità di offrire incentivi ai padri affinché decidano di avvalersi del congedo di paternità, tenendo conto delle buone pratiche esistenti in alcuni Stati membri (14) e rilevando il ruolo paritario attribuito ai padri nelle responsabilità familiari.

4.1.3.

Tuttavia, il CESE sottolinea che il diritto a un periodo di congedo di 10 giorni a tal fine, come previsto nella proposta di direttiva, è a suo giudizio un primo passo nella giusta direzione per conseguire l’obiettivo di incrementare sostanzialmente la partecipazione dei padri. Il Comitato ritiene, tuttavia, che per conseguire l’obiettivo della proposta sarebbe più appropriato un periodo più lungo, per esempio fino a un mese, da concordare tra i datori di lavoro e i lavoratori.

4.2.   Congedo parentale

4.2.1.

La percentuale di uomini che si avvalgono del congedo parentale varia dal 40 % a un modesto 2 % in alcuni Stati membri (15). Il quadro vigente e l’attuale mentalità riguardo al congedo parentale non hanno affrontato adeguatamente le ragioni dello scarso ricorso a questa forma di congedo da parte degli uomini.

4.2.2.

Il CESE riconosce che le imprese, in particolare le PMI e le microimprese, possono incontrare difficoltà organizzative dovute all’estensione del limite di età dei bambini da otto a dodici anni ai fini del congedo parentale.

4.2.3.

Il CESE accoglie con particolare favore la proposta della Commissione per l’individualizzazione dei diritti al congedo parentale e la loro non trasferibilità. Rileva la necessità di una compensazione salariale dignitosa, pari almeno al livello della prestazione malattia, che può essere soggetta a un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali (16), accompagnata da un’analisi costi-benefici a livello nazionale, e di disposizioni in materia di non discriminazione, in quanto tutto ciò può avere un impatto positivo sul ricorso al congedo parentale da parte dei padri.

4.2.4.

Inoltre, il CESE è dell’avviso che nel quadro del negoziato sulla proposta si dovrebbe puntare a mantenere un equilibrio tra le esigenze dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro. Secondo la valutazione d’impatto della Commissione, l’impatto della proposta varia in funzione del periodo di tempo. Il costo delle misure proposte (derivante principalmente dalla perdita di produzione a causa degli oneri amministrativi connessi con il trattamento delle domande e della necessità di sostituire temporaneamente il personale) aumenterà nel breve e medio periodo, mentre a più lungo termine il pacchetto comporterà solo costi limitati per le imprese (17).

4.3.   Congedo per i prestatori di assistenza

4.3.1.

Il CESE rileva che anche la mancanza di disposizioni adeguate riguardanti i congedi concessi al fine di fornire assistenza ai familiari che ne necessitino contribuisce all’ineguale ripartizione delle responsabilità familiari, in quanto spesso sono esclusivamente ad le donne assumersi l’onere dell’assistenza. Ciò danneggia la loro salute fisica e mentale, ne ostacola l’inclusione sociale e la partecipazione al mercato del lavoro e, di conseguenza, contribuisce a rendere inadeguati i loro diritti pensionistici.

4.3.2.

Sebbene le norme in materia di accesso ai congedi per assistenza siano state adottate in quasi tutti gli Stati membri dell’UE, l’ammissibilità, la durata, il livello delle prestazioni e i diritti alle prestazioni della sicurezza sociale variano notevolmente tra i vari paesi (18). Il CESE accoglie pertanto con favore la proposta di creare un livello minimo comune europeo introducendo un diritto individuale al congedo per assistenza di almeno cinque giorni all’anno, pagato allo stesso livello dell’indennità di malattia. Tuttavia, si tratta solo di un primo passo e la Commissione dovrà fare di più per sostenere e integrare le iniziative degli Stati membri tese ad aiutare le famiglie a fronteggiare meglio le crescenti responsabilità di assistenza. L’introduzione di tale diritto individuale dovrebbe essere accompagnata dalla messa a punto di meccanismi di sostegno per i prestatori di assistenza.

4.3.3.

Il CESE accoglie con favore l’approccio adottato dalla Commissione, vale a dire quello di proporre misure di equilibrio tra lavoro e vita privata che accompagnino i lavoratori lungo l’intero arco della vita, incluse le donne appartenenti alla «generazione sandwich», vale a dire quelle che hanno responsabilità di assistenza nei confronti di familiari appartenenti più generazioni diverse. La carenza di prestazioni assistenziali spesso costringe questi lavoratori, in particolare le donne, ad abbandonare il lavoro retribuito solo pochi anni prima del pensionamento e ad affrontare gli ostacoli al reinserimento nel mercato del lavoro dopo i 50 anni di età.

4.3.4.

Il CESE sottolinea inoltre che i congedi per i singoli prestatori di assistenza non devono fungere da surrogato di servizi di assistenza di prossimità professionali, accessibili, a prezzi contenuti e di elevata qualità, che permettono tra l’altro di dare un notevole contributo al futuro sviluppo economico.

4.3.5.

Il Comitato, inoltre, rileva che i diversi tipi di congedi per assistenza non possono essere oggetto di un confronto pieno ed esatto; l’assistenza agli anziani infatti, oltre a essere diversa, per natura, dalla cura dei figli, può coinvolgere anche la famiglia allargata, per esempio al momento di prendere decisioni.

4.3.6.

Un aspetto importante dell’assistenza alle persone con disabilità consiste nella separazione tra l’assistenza professionali e quella prestata dai familiari, al fine di creare una situazione in cui gli oneri per le famiglie possano essere ridotti il più possibile. Tuttavia, indipendentemente dalla forma di assistenza in questione, chi la presta deve avere accesso al sistema di sicurezza sociale.

4.4.   Regimi di lavoro flessibili

4.4.1.

La flessibilità nell’organizzazione del lavoro è essenziale per consentire alle imprese di adattare la loro forza lavoro a un contesto economico in continuo mutamento. Essa costituisce inoltre uno strumento utile per migliorare il rendimento e la produttività (19), nonché per consentire ai lavoratori di gestire il loro equilibrio tra attività professionale e vita privata. È quindi importante che il dialogo sociale a livello locale e settoriale affronti questi aspetti per mettere a punto forme di lavoro che rendano possibile un equilibrio corretto tra vita privata e lavoro.

4.4.2.

Regimi di lavoro flessibili possono contribuire ad alleviare le responsabilità di assistenza, ma non dovrebbero avere un impatto negativo sulla situazione occupazionale degli interessati. La proposta di direttiva prevede il diritto di chiedere orari di lavoro flessibili per i genitori che lavorano o per chi abbia parenti bisognosi di assistenza o sostegno.

4.4.3.

La proposta introduce la possibilità per i lavoratori di avvalersi di: i) una riduzione dell’orario di lavoro, ii) un calendario di lavoro flessibile e iii) possibilità di lavoro a distanza. Il CESE fa notare che tali regimi di lavoro flessibili devono soddisfare le esigenze della maggior parte dei lavoratori e integrare un approccio basato sul ciclo di vita. Queste questioni dovrebbero essere affrontate attraverso il dialogo sociale e la contrattazione collettiva al livello più vicino alla situazione specifica. Deve essere inoltre garantito il diritto al ritorno alla modalità di lavoro originaria. Nel contempo, va rispettato i diritto dei datori di lavoro di esaminare le richieste di regimi di lavoro flessibili tenendo in considerazione tanto le proprie esigenze quanto quelle dei lavoratori. Qualsiasi difficoltà derivante dall’applicazione della presente disposizione deve essere risolta secondo le leggi, i contratti collettivi e le prassi nazionali.

4.4.4.

È possibile che l’impatto della digitalizzazione del mondo del lavoro e dei rapporti di lavoro arrivi a ridisegnare i modelli di lavoro tradizionali. A tale riguardo, è necessario riflettere ulteriormente sul modo in cui il congedo per assistenza è visto per tradizione come la scelta fondamentale per le famiglie al fine di conciliare attività lavorativa e vita familiare. Sono troppo spesso le donne a ricorrere ai regimi di lavoro flessibili per assumersi le responsabilità dell’assistenza pur continuando a lavorare, e ciò ostacola i loro progressi in ambito lavorativo, in termini sia di retribuzione che di sviluppo di carriera. Inoltre, il CESE desidera sottolineare che i regimi di lavoro flessibili non dovrebbero essere considerati come una «questione che riguarda le donne», concentrandosi sulle madri e sulle donne che devono prendersi cura dei familiari dipendenti. Le imprese devono incoraggiare formule di lavoro flessibili sia per gli uomini che per le donne e contribuire a un’evoluzione culturale che sia in linea con le aspirazioni degli uomini e delle donne e che promuova inoltre una maggiore uguaglianza professionale. I regimi di lavoro flessibili devono inoltre essere totalmente reversibili, favorevoli ai lavoratori e disponibili in tutti i tipi di contratti. In questo contesto assume particolare importanza un’efficace attuazione del diritto al ritorno alla modalità di lavoro originaria.

4.4.5.

Inoltre, sebbene possa agevolare i regimi di lavoro flessibili, consentendo ai dipendenti di lavorare a distanza, la digitalizzazione può presentare anche problemi e rischi.

4.5.   Iniziative non legislative

La proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza e che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio è accompagnata da una serie di iniziative non legislative che completano il pacchetto sull’equilibrio tra attività professionale e vita privata. Il CESE accoglie con favore le nuove proposte non legislative, quali ad esempio:

4.5.1.   Cura dei figli e assistenza di lunga durata

4.5.1.1.

La carenza di servizi di assistenza all’infanzia disponibili e l’elevato costo degli stessi sono tra i principali disincentivi al rientro al lavoro per le persone che costituiscono la seconda fonte di reddito familiare. Nel 2014 soltanto il 28 % dei bambini dell’UE di età compresa tra 0 e 3 anni è stato affidato a servizi di assistenza formali, mentre per i bambini di età compresa tra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico la percentuale era dell’83 %. Queste cifre sono al di sotto degli obiettivi di Barcellona stabiliti nel 2001, che avrebbero dovuto essere raggiunti entro il 2010. Per tali motivi, il CESE si rammarica del mancato conseguimento degli obiettivi di Barcellona in materia di assistenza all’infanzia, volti a fornire servizi di assistenza all’infanzia sufficienti, accessibili, a prezzi contenuti e di elevata qualità al livello degli Stati membri.

4.5.1.2.

I costi elevati per i genitori e gli orari di apertura delle strutture, che sono incompatibili con un lavoro a tempo pieno, continuano a costituire un problema. La relazione della Commissione evidenzia la necessità di non interrompere gli investimenti nei servizi di alta qualità. Il Parlamento europeo rileva inoltre che la mancanza di infrastrutture e la qualità dei servizi disponibili li rende di difficile accesso (20) per il 27 % degli europei.

4.5.1.3.

Il CESE osserva che la Commissione propone di rivedere gli obiettivi in materia di istruzione e formazione, ma non menziona il conseguimento degli obiettivi di Barcellona. L’obiettivo dell’istruzione e della formazione in materia di educazione e cura per la prima infanzia (ECEC) ha invece una portata più limitata in quanto si concentra soltanto sui minori dai 4 anni all’età scolare. Il CESE chiede pertanto una revisione urgente dell’obiettivo dell’istruzione e della formazione per l’ECEC al fine di allinearlo con gli obiettivi di Barcellona estendendo il suo campo di applicazione (ad esempio, fissando obiettivi per i bambini di età inferiore a 4 anni). I nuovi obiettivi risultanti da tale revisione dovrebbero essere più ambiziosi degli attuali obiettivi di Barcellona. Inoltre, il CESE chiede l’elaborazione di parametri di riferimento a livello di UE per i servizi di assistenza extrascolastica e assistenza di lunga durata.

4.5.1.4.

Il CESE accoglie con favore i piani della Commissione tesi a intensificare l’assistenza e il monitoraggio della prestazione di servizi di assistenza negli Stati membri nell’ambito del semestre europeo e a promuovere lo scambio di buone pratiche. Il Comitato raccomanda inoltre il miglioramento della raccolta di dati al livello dell’UE e appoggia l’intento della Commissione di rivedere gli obiettivi in materia di istruzione e formazione per l’istruzione nella prima infanzia, fissati per il 2020. Inoltre, il CESE considera particolarmente importante che l’impiego dei vari strumenti europei di finanziamento sia adattato alle esigenze specifiche degli Stati membri. In questo contesto, il CESE ha invocato in varie occasioni una promozione molto più ambiziosa degli investimenti sociali, considerando in particolare i «dividendi multipli» degli investimenti nelle strutture di assistenza all’infanzia (21).

4.5.1.5.

Il Comitato ritiene che i seminari per lo sviluppo delle capacità e per l’informazione, con la piena partecipazione di tutte le parti interessate, siano molto importanti come misure di accompagnamento, ma sottolinea la necessità di realizzarli su una scala molto più ampia rispetto a quanto attualmente proposto. C’è bisogno, in particolare, di seminari di informazione in materia di protezione contro il licenziamento dopo il ritorno dal congedo di maternità.

4.5.2.   L’equilibrio tra attività professionale e vita privata e la politica fiscale

4.5.2.1.

Sebbene la proposta di direttiva riguardi in una certa misura i sistemi fiscali, il CESE si rammarica del fatto che essa non sia sufficientemente ambiziosa in tale ambito. I sistemi fiscali possono avere un impatto diretto sulla partecipazione al mercato del lavoro, in particolare per le persone che costituiscono la seconda fonte di reddito familiare, che sono in maggioranza donne. Il modo in cui sono concepiti i sistemi fiscali può influire sulla scelta delle persone di entrare o no nel mercato del lavoro. Dovrebbe essere valutata l’opportunità di introdurre detrazioni fiscali per aiutare i genitori che lavorano a continuare a lavorare.

4.5.2.2.

Il CESE ritiene che la proposta della Commissione europea diretta ad affrontare i disincentivi fiscali consentirà di integrare e sostenere le altre misure del pacchetto. Il Comitato sostiene in particolare l’attività volta a individuare gli ostacoli specifici per paese risultanti da regimi di agevolazione fiscale che discriminano sulla base del genere e propone che la questione sia affrontata attraverso le raccomandazioni formulate nel contesto del semestre europeo.

4.5.3.   Il ruolo dei soggetti della società civile

4.5.3.1.

Oltre alla necessità di servizi pubblici di elevata qualità, accessibili e a prezzi abbordabili, compresi i servizi di assistenza per i bambini, i familiari anziani e altre persone dipendenti, anche l’economia sociale e il settore non governativo possono apportare un utile contributo alla fornitura di servizi a sostegno dell’equilibrio tra attività professionale e vita privata. Senza le loro iniziative, in molti casi la prestazione di servizi non sarebbe garantita.

4.5.3.2.

Le parti sociali hanno un ruolo particolare da svolgere nell’attuazione delle politiche tese a promuovere l’equilibrio tra attività lavorativa e vita privata nei luoghi di lavoro, in particolare attraverso la negoziazione dei contratti collettivi. Il CESE si rallegra dell’attenzione che le parti sociali europee hanno attribuito alla parità di genere nei loro programmi di lavoro nel corso degli anni, con l’obiettivo di produrre risultati tangibili.

Bruxelles, 6 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. Eurofound, Work-life balance and flexible working arrangements in the EU («L’equilibrio tra vita professionale e vita privata e i regimi di lavoro flessibile nell’UE»), Consiglio EPSCO, Tallinn, 19-20 luglio 2017.

(2)  Articoli 19 e 159 del TFUE; articoli 23 e 33 della Carta dei diritti fondamentali.

(3)  Direttive 2006/54/CE, 2014/124/UE, 79/7/CEE, 2004/113/CEE, 92/85 CEE e 2010/18/UE.

(4)  Cfr. le direttive 2010/18/UE (GU L 68 del 18.3.2010), 2006/54/CE (GU L 204 del 26.7.2006), 92/85/CEE (GU L 348 del 28.11.1992) e 97/81/CE (GU L 14 del 20.1.1998). La direttiva sul congedo di maternità (direttiva 92/85/CEE) è stata adottata nel 1992 e non è mai stata modificata. La direttiva sul congedo parentale, adottata nel 1996, è stata rivista e migliorata nel 2010.

(5)  Per maggiori informazioni consultare il sito https://ec.europa.eu/info/strategy/european-semester_it.

(6)  Già nel 1992 il Consiglio ha emanato una raccomandazione sulla custodia dei bambini (92/241/CEE (GU L 123 dell’8.5.1992).

(7)  Eurostat, divario retributivo di genere:

http://ec.europa.eu/eurostat/tgm/table.do?tab=table&init=1&language=en&pcode=tsdsc340&plugin=1.

(8)  Eurostat, Indagine sulle forze di lavoro 2016.

(9)  Cfr. i seguenti pareri del CESE: OJ C 21, 21.1.2011, p. 39, OJ C 218/7, 23.07.2011, OJ C 12, 15.1.2015, p. 16, OJ C 332, 8.10.2015, p. 1, OJ C 487, 28.12.2016, p. 7.

(10)  Eurofound (2016), The gender employment gap: Challenges and solutions («Il divario retributivo di genere: problemi e soluzioni»), Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo.

(11)  http://ec.europa.eu/smart-regulation/roadmaps/docs/2015_just_012_new_initiative_replacing_maternity_leave_directive_en.pdf.

(12)  Lettera rif. Ares(2015)5003207-11/11/2015 inviata da Michel Servoz alle parti sociali europee.

(13)  http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2016/593543/EPRS_ATA(2016)593543_EN.pdf.

(14)  RAND Europe, documento strategico di Janna van Belle, Paternity and parental leave policies across the European Union («Le politiche in materia di congedo parentale e di paternità nell’Unione europea»).

(15)  http://www.oecd.org/social/parental-leave-where-are-the-fathers.pdf.

(16)  Articolo 11, paragrafo 3, della direttiva 92/85/CE.

(17)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione: Valutazione d’impatto pubblicata unitamente alla comunicazione Un nuovo inizio per sostenere l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare di genitori e prestatori di assistenza che lavorano.

(18)  Bouget, D., Spasova, S. e B. Vanhercke (2016), Work-life balance measures for persons of working age with dependent relatives in Europe. A study of national policies («Misure per favorire l’equilibrio tra attività professionale e vita privata per le persone in età lavorativa con familiari a carico in Europa»), Rete europea per la politica sociale (ESPN), Bruxelles: Commissione europea https://webgate.ec.europa.eu/emplcms/social/BlobServlet?docId=16325&langId=en.

(19)  Chung, H., (2017) Work Autonomy, Flexibility and Work LIFE Balance («Autonomia e flessibilità del lavoro ed equilibrio tra attività professionale e vita privata»): relazione finale accessibile all’indirizzo web: http://wafproject.org/research-outputs/final-report/.

(20)  Cfr. la risoluzione del Parlamento europeo del 13 settembre 2016 sulla creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale (2016/2017(INI)).

(21)  Cfr., tra l’altro, i pareri del CESE GU C 271 del 19.9.2013, pag. 91, GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21, GU C 125 del 21.4.2017, pag. 10.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Programma europeo di sviluppo industriale nel settore della difesa»

[COM(2017) 294 final]

(2018/C 129/08)

Relatore:

Antonello PEZZINI

Corrrelatore:

Éric BRUNE

Consultazione

7.6.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

16.11.2017

Adozione in sessione plenaria

7.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

133/2/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo sostiene con forza il lancio di un Programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa (EDIDP), con l’obiettivo di realizzare un sistema inter-operativo integrato di difesa comune, quanto mai urgente, visto l’attuale scenario geopolitico, potenziando l’autonomia strategica di difesa (1) dell’Europa e sviluppando una solida base industriale e tecnologica comune.

1.2.

Il CESE ritiene essenziale un nuovo approccio che vede nel quadro di una Cooperazione strutturale permanente (CPS\PESCO) il dispositivo principe del trattato di Lisbona, in grado di agire come incubatore politico, in cui costruire un’Europa della difesa, per catalizzare disponibilità e impegni degli Stati membri, in conformità agli artt. 42, paragrafo 6, e 46 del TUE e al protocollo 10 del trattato.

1.3.

Secondo il Comitato, solo una CPS\PESCO «inclusiva ed ambiziosa» (2), in grado di stabilire una lista di criteri e impegni vincolanti, può generare un processo verso il superamento della frammentazione della domanda e dell’offerta e la progressiva creazione di un mercato europeo trasparente e aperto.

1.4.

Il CESE ritiene che il regolamento EDIDP debba essere inquadrato in una visione strategica industriale comune, che sappia procedere verso una integrazione effettiva di produttori e utilizzatori europei, con almeno tre Stati membri, nei progetti finanziati e negli acquisti dei prodotti e servizi.

1.5.

Il Comitato sostiene con forza la necessità di un dialogo strutturato a livello europeo, in sinergia e coordinamento con la NATO (3), e un Consiglio dei ministri della difesa, in grado di fornire una guida politica duratura e un forum per la consultazione e l’adozione di decisioni veramente europee.

1.6.

Il CESE ritiene indispensabile assicurare una governance dell’EDIDP in grado di definire obiettivi condivisi e concreti, attraverso:

un comitato consultivo di esperti industriali, per le scelte prioritarie da inserire nel programma di lavoro, e un comitato di gestione con la presenza degli Stati membri.

1.7.

Nel regolamento dovrebbe essere assicurato:

un adeguato equilibrio geografico tra paesi europei;

una quota consistente di partecipazione delle imprese minori;

il superamento della precarietà dei lavoratori della base industriale e tecnologica di difesa europea (BITDE) per confermare la validità dei finanziamenti UE;

il rispetto di norme sociali e ambientali, specie in tema di eco-concezione e sicurezza del lavoro (4), al fine di garantire la sicurezza delle competenze dell’industria;

tutte le imprese UE indipendentemente dalla loro ubicazione e dalla loro taglia devono avere trasparenti opportunità di partecipare al programma EDIPD.

1.8.

Il CESE conviene sul fatto che l’intervento dell’EDIPD dovrebbe insistere sullo sviluppo di prodotti e servizi e sulla prototipazione.

1.9.

Il CESE ritiene prodromico alla realizzazione di un quadro comune di difesa europea lo sviluppo di una cultura europea diffusa di difesa e sicurezza, volta a dare un senso compiuto alla cittadinanza europea.

2.   Introduzione

Il tentativo di una difesa comune europea ha rappresentato, storicamente, un tema costante, ma estremamente delicato, nella costruzione europea.

2.1.

Il primo tentativo fu il lancio della Comunità europea di Difesa (CED) nel 1954, fallito il 30 agosto 1954. Il secondo fu il lancio della politica di sicurezza e di difesa comune nel 2000, seguita dalla creazione dell’Agenzia europea della Difesa-EDA nel 2004. L’azione successiva fu l’elaborazione della Strategia globale dell’UE (EUGS) (5), fino alla Dichiarazione congiunta UE-NATO del 2016 (6).

2.2.

Un ulteriore sviluppo del settore industriale della difesa, oltre ad apportare notevoli vantaggi all’economia europea, può rappresentare, se gestito con lungimiranza, la «chiave di volta» per una più ampia e opportuna visione, che abbia come obiettivo la nascita di una difesa veramente europea.

2.3.

Il lento ma necessario superamento della visione nazionale della difesa, che contrasta, fra l’altro, con la presenza di forti aggregazioni politico militari nel mondo, e che ha mostrato la fragilità e debolezza politica dell’Europa nei grandi avvenimenti mondiali, può, opportunamente, prendere le mosse dall’iniziativa del Parlamento e del Consiglio e, grazie all’azione della Commissione, tale iniziativa può promuovere l’industria e il mercato europeo della difesa.

2.3.1.

Il settore delle industrie europee della difesa — inteso come il complesso dell’industria che sviluppa, produce e fornisce beni e servizi alle forze armate, di polizia e di sicurezza degli Stati membri dell’UE — riveste caratteristiche peculiari sotto vari aspetti: i cambiamenti tecnologici stanno trasformando radicalmente la natura e la fisionomia della difesa e della sicurezza con un forte impatto sull’industria europea a cominciare dall’utilizzo dei «big data»), come dei veicoli e apparati senza pilota, all’intelligenza artificiale.

2.3.2.

Dal punto di vista dell’economia europea: con un fatturato di 100 miliardi di EUR all’anno e 1,4 milioni di dipendenti altamente qualificati (7) rappresenta un settore di punta dell’Unione, con forti ricadute su altri settori, come quelli dell’elettronica, dell’aviazione, dei cantieri navali, dello spazio o del tessile tecnico.

2.3.3.

Dal punto di vista tecnologico: lavorando costantemente all’avanguardia della tecnologia, si rafforza la competitività dell’Unione, perché si generano spin-off d’eccellenza che devono essere sostenuti per integrare tecnologie civili in sistemi complessi, che si adattino alle singole specificità difensive.

2.3.4.

Dal punto di vista del mercato interno: il mercato della difesa è tradizionalmente rimasto escluso dal processo di costituzione del mercato unico europeo e il mantenimento di 27 mercati, divisi da programmi nazionali, ha impedito lo sfruttamento di economie di scala nella produzione (8).

2.3.5.

Dal punto di vista della domanda: il settore industriale della difesa dipende in modo preponderante dalle domande dei singoli Stati e dai loro bilanci nazionali. Nell’ultimo decennio i bilanci della difesa nell’UE sono diminuiti di circa 2 miliardi di euro all’anno e gli Stati membri UE27 investono mediamente l’1,32 % del PIL nella difesa.

2.3.6.

Dal punto di vista strategico: se l’Europa è tenuta a garantire adeguati livelli di sicurezza dei propri cittadini e delle proprie imprese, a salvaguardare l’integrità territoriale dei propri confini e ad assumersi responsabilità nel mondo, deve assicurare capacità di difesa credibili, garantendo un livello adeguato di autonomia strategica e uno sviluppo tecnologico e industriale, con una base comune europea.

2.4.

L’attuale situazione rischia anche di pregiudicare la capacità dell’Europa di far fronte alle nuove sfide in materia di sicurezza, di fronte alla crescente velocità di obsolescenza degli apparati e ai costi crescenti delle attrezzature (9).

2.4.1.

L’investimento nella difesa dell’area europea, nel suo complesso, rappresenta, oggi, meno della metà di quello americano nel settore.

2.5.

Mentre l’industria europea della difesa ha saputo compensare, almeno in parte, la riduzione degli ordini interni con le esportazioni, globalizzando la produzione e le vendite, il mantenimento della frammentazione della politica di difesa ha dato luogo ad inefficienze e debolezze sempre più visibili in termini di:

perdite di economie di scala;

aumenti costanti dei costi per unità di prodotto;

assenza di concorrenza tra imprese nei paesi di produzione;

standard tecnico-normativi divergenti;

tassi di innovazione più lenti;

crescenti divari tecnologici nei confronti delle imprese leader extra-UE;

livelli elevati di dipendenza da fornitori esteri.

2.6.

Questa situazione rischia anche di pregiudicare la capacità dell’Europa di far fronte alle nuove sfide, dati gli impegni di spesa relativamente bassi, combinati con livelli ridotti di coordinamento delle politiche nazionali.

2.6.1.

Inoltre l’80 % degli appalti della difesa resta su basi puramente nazionali, con evidenti costi di duplicazione.

2.7.

Le forze armate dei paesi europei hanno acquisito un elevato livello di integrazione, dal punto di vista operativo, e una lunga esperienza di cooperazione, ma rimangono completamente distinte in 27 strutture, con servizi di supporto rigorosamente nazionali, anche se ricorrono sempre più spesso ad iniziative di vario genere, che ricadono sotto l’ombrello del cosiddetto «pooling and sharing» (10).

2.8.

Con vari documenti della Strategia Globale-EUGS sono stati stabiliti cinque obiettivi specifici particolarmente importanti per la difesa europea:

1)

avere capacità militari a tutto campo (full-spectrum) terrestri, aeree, spaziali e marittime;

2)

assicurare i mezzi tecnologici ed industriali per acquisire e mantenere le capacità militari necessarie per agire autonomamente;

3)

investire in Aeromobili a Pilotaggio Remoto (APR);

4)

investire in comunicazioni satellitari, accesso autonomo allo spazio, osservazione permanente della Terra;

5)

dotare e assistere gli Stati membri di una capacità di difesa contro le minacce cibernetiche.

2.9.

Il Pacchetto di iniziative di cui fanno parte la proposta di regolamento che istituisce il Programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa e la proposta di creazione di un Fondo europeo per la difesa per sostenere gli investimenti congiunti nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie e materiali mira ad avviare un processo teso a riformare il settore della difesa e della sicurezza nel senso di:

rafforzare la cooperazione tra Stati membri e generare nuovi programmi cooperativi;

ridurre le barriere fra i mercati nazionali;

aiutare l’industria europea della difesa a diventare più competitiva;

promuovere sinergie tra ricerca civile e militare;

identificare settori, quali l’energia, lo spazio e le tecnologie a duplice uso, affinché possano contribuire a rafforzare le capacità di difesa dell’Europa.

2.9.1.

Per far fronte alle sfide globali del settore, occorre sviluppare le potenzialità dell’Agenzia europea della Difesa per identificare campi d’azione operativi comuni da sottoporre alla decisione degli Stati membri.

2.10.

Il Consiglio europeo del 15 dicembre 2016 ha invitato a «formulare, nel primo semestre del 2017, proposte per l’istituzione di un Fondo europeo per la difesa, anche riguardo allo sviluppo congiunto di capacità convenuto di comune accordo dagli Stati membri» (11). Il Consiglio europeo del marzo 2017, in occasione di un Consiglio congiunto Affari esteri e Difesa, ha auspicato, nelle conclusioni, l’istituzione di una forza militare di pianificazione e condotta (MPCC) e una nuova struttura, per migliorare la capacità dell’UE di reagire in maniera più rapida, efficace e omogenea.

2.11.

Il Consiglio europeo del 22-23 giugno 2017 ha convenuto «sulla necessità di avviare una cooperazione strutturata permanente CPS\PESCO inclusiva e ambiziosa» con una lista comune di criteri e impegni vincolanti, in piena conformità dell’articolo 42, paragrafo 6, e dell’articolo 46 del TUE, nonché del protocollo 10 del trattato, in coerenza con le pianificazioni nazionali della difesa ed i relativi impegni concordati in ambito NATO e ONU dagli Stati membri interessati (12).

2.12.

Dal canto suo, il Parlamento ha continuato a chiedere una cooperazione rafforzata tra gli Stati membri dell’UE nel settore della difesa, nonché la piena attuazione del trattato di Lisbona per quanto riguarda la sicurezza e la difesa. Il Parlamento europeo, in una sua risoluzione del 22 novembre 2016 sull’Unione europea della Difesa (13), ha incoraggiato «il Consiglio europeo a promuovere la graduale definizione di una politica di difesa comune a livello dell’Unione» e a fornire ulteriori risorse finanziarie per assicurarne l’attuazione.

2.12.1.

Il Parlamento europeo ha inoltre evidenziato la necessità, per i paesi europei, di disporre di capacità militari credibili, ha incoraggiato gli Stati membri perché intensifichino i loro sforzi in chiave collaborativa e ha ribadito il suo invito a coordinare sistematicamente i requisiti militari in un processo armonizzato di pianificazione, coordinato con il processo di pianificazione della difesa della NATO (14).

2.13.

Il Comitato, da parte sua, ha avuto modo di pronunciarsi a più riprese sulle politiche della difesa (15), chiedendo «che si compia un importante passo avanti qualitativo nella cooperazione europea in materia di difesa, visto che «il mercato e l’industria della difesa dell’UE sono eccessivamente frammentati» (16).

3.   La proposta della Commissione europea

3.1.

La CE propone di istituire un programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa con una dotazione di 500 milioni di EUR, per il periodo dal 1o gennaio 2019 al 31 dicembre 2020. Esso si prefigge i seguenti obiettivi:

rafforzamento della competitività e capacità d’innovazione dell’industria della difesa UE con sostegno delle azioni nella loro fase di sviluppo e promozione di ogni forma di innovazione;

ottimizzazione della cooperazione tra imprese quanto allo sviluppo di prodotti e tecnologie;

sostegno alla R&S soprattutto nello sviluppo dei risultati della ricerca;

spinta alla collaborazione tra imprese per ridurre i doppioni e le dispersioni e generare economie di scala.

3.2.

L’intervento finanziario dell’Unione assume la forma di sovvenzioni, di strumenti finanziari o di appalti pubblici, per sostegno alla concezione, definizione delle specifiche tecniche, prototipazione e prove, qualificazione e certificazione di prodotti e componenti e delle tecnologie.

3.3.

I criteri di eligibilità proposti sono: proposte di cooperazione di almeno 3 imprese di 2 Stati membri differenti; i tassi di finanziamento sono limitati al 20 % del costo totale dell’azione, nel caso di prototipazione, mentre in tutti gli altri casi potrebbe essere finanziata la totalità dei costi.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE plaude alle iniziative volte ad affrontare le sfide di domani e a proteggere la sicurezza — inclusa la cyber-sicurezza — dei suoi cittadini, potenziando l’autonomia strategica dell’industria della difesa dell’Europa, sviluppando una solida base industriale e tecnologica comune.

4.2.

Il Comitato sostiene con forza il lancio di un Programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa con un progetto di regolamento, quale primo passo, perfettibile e da potenziare, rispetto ai fondi ora assegnati, con l’obiettivo di realizzare un sistema di difesa comune soprattutto in campo di R&S, quanto mai urgente, visto l’attuale scenario geopolitico.

4.3.

Secondo il CESE, è giunto il momento per la creazione di un effettivo, completo, efficace e competitivo mercato unico europeo della difesa UE-27, con queste caratteristiche:

più aperto e senza segmentazioni anche in termini di norme, specifiche tecniche e certificazioni CE;

migliore accesso alle materie prime;

sostegno specifico alle piccole imprese e intermedie;

un accesso agevolato ai finanziamenti, alle informazioni e agli altri mercati;

una forte specializzazione dei ruoli;

un uso efficiente delle infrastrutture energetiche e spaziali;

una migliore protezione delle frontiere e una indispensabile sicurezza marittima;

attività di foresight, per una visione comune partecipata in tutta l’UE;

lo sviluppo sostenibile e socialmente accettabile contro la precarietà occupazionale;

favorire l’interscambio intra-UE delle filiere di prodotto semplificando import temporanei tra imprese per operatori AEOs (17).

4.3.1.

Il CESE è convinto che solo la lotta contro la precarietà dei lavoratori della base industriale e tecnologica della difesa europea consenta di assicurare l’acquisizione di competenze da parte delle aziende e permetta il raggiungimento degli obiettivi che si prefigge il programma EDIDP.

4.4.

Il Comitato ritiene che la dotazione finanziaria del programma EDIDP sia estremamente contenuta, e dovrebbe poter beneficiare anche del sostegno dell’EFSI-FEIS «per ottimizzarne l’impatto occupazionale, comprese le tecnologie a duplice uso relative alle industrie della sicurezza e della difesa, a sostegno dell’avvio di una base unitaria industriale e tecnologica di difesa europea (EDITB) forte e meglio definita» (18).

4.5.

Il CESE ritiene altresì insufficienti i criteri di eligibilità indicati per assicurare una effettiva dimensione europea della base tecnologica e industriale delle azioni: si dovrebbero prevedere almeno tre imprese indipendenti di almeno treStati membri differenti, oltre a gruppi di utenza, formate da piccole imprese.

4.5.1.

Inoltre dovrebbe essere assicurato un adeguato equilibrio trai vari paesi europei, così come una quota significativa di partecipazione delle imprese minori.

4.6.

Il CESE auspica che il finanziamento europeo garantisca che le attività di sviluppo rechino beneficio in via prioritaria alle imprese europee.

4.7.

Il Comitato auspica altresì che le norme in materia di esportazione di armi di difesa siano armonizzate a livello europeo, in linea con le norme del trattato sul commercio delle armi (ATT) firmato e ratificato da tutti gli Stati membri dell’Unione europea, al fine di eliminare una possibile causa di distorsione della concorrenza tra le imprese europee che complicherebbe l’accesso al mercato di esportazione.

4.8.

Quanto alle tipologie d’azione, il CESE ritiene fondamentale lottare contro la precarietà del lavoro del personale dell’industria europea della difesa. Lo scopo dei finanziamenti europei è quello di rafforzare le competenze della base industriale e tecnologica della difesa. Poiché le competenze dell’industria si basano sui lavoratori, bisogna che vi sia una collaborazione duratura e sicura tra questi ultimi e le imprese in cui essi sono impiegati.

4.9.

Altrettanto dicasi, secondo il CESE, per quanto attiene ai criteri di selezione dei progetti, tra i quali dovrebbero essere inseriti come qualificanti:

l’impatto previsto dal punto di vista del rafforzamento quantitativo e qualitativo delle competenze dei lavoratori;

la presenza aggiuntiva qualificante delle piccole e medie imprese;

il rispetto di norme sociali e ambientali (19).

4.9.1.

Secondo il CESE dovrebbe essere prevista una quota (per esempio 10 %) di bandi dedicati a piccoli progetti aperti no-stop e rivolti a imprese minori che permetterebbe una partecipazione più equilibrata al programma di tutte le componenti attive nello sviluppo tecnologico-innovativo di prodotti e servizi nel settore della difesa.

4.10.

Il CESE ritiene indispensabile affiancare, alle competenze di esecuzione della Commissione, una governance dell’EDIDP in grado di definire obiettivi condivisi e concreti, attraverso:

un comitato consultivo di esperti industriali degli Stati membri per proporre tematiche prioritarie,

un comitato di gestione del programma, con rappresentanti degli Stati membri, per un equilibrio geopolitico nell’insieme dell’Unione.

5.   Azioni da intraprendere:

5.1.

evidenziare il ruolo fondamentale della difesa europea nella salvaguardia degli interessi europei sotto il profilo della sicurezza, e degli impegni internazionali assunti, per la democrazia e per lo Stato di diritto;

5.2.

evidenziare le capacità e la professionalità degli eserciti di difesa, visti quale comparto tradizionalmente promotore di ricerca e innovazione, nonché traino per la ripresa imprenditoriale ed economica del sistema produttivo europeo;

5.3.

consolidare il senso identitario e di appartenenza all’Unione europea, attraverso la condivisione del medesimo quadro di valori tra i cittadini di paesi diversi;

5.4.

rafforzare la conoscenza, la consapevolezza e il sostegno dei cittadini europei all’organizzazione militare e alle attività istituzionali della difesa;

5.5.

rafforzare la conoscenza, la consapevolezza e il sostegno dei cittadini alle attività dello sviluppo tecnologico degli strumenti della difesa, che abbiano dirette ricadute sulla società civile e sullo sviluppo del paese;

5.6.

sviluppare la dimensione comunicativa del nuovo approccio comune per disporre di personale sempre più preparato e qualificato nel settore della comunicazione europea. Le attività saranno improntate al principio guida del «qualificare e coordinare», sviluppato secondo l’approccio del coordinamento europeo, in sintonia con la NATO.

5.7.

Cybersecurity e cyberdifesa, settori nei quali la Difesa è un attore di riferimento in ambito europeo, legato all’emergere del cyber space quale nuovo dominio accanto a quelli tradizionali militari.

Bruxelles, 7 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 62.

(2)  V. Consiglio 22-23 giugno 2017.

(3)  V. Dichiarazione Congiunta 8 luglio 2016.

(4)  ISO 14000 e ISO 18000, ISO14006 e ISO 45001, ISO 14006.

(5)  Unione europea, Visione condivisa, azione comune, giugno 2016.

https://europa.eu/globalstrategy/sites/globalstrategy/files/eugs_review_web.pdf

(6)  Dichiarazione congiunta, Varsavia, 8 luglio 2016, http://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_133163.htm.

(7)  Aerospace and Defence Industries Association of Europe (Associazione europea delle industrie aerospaziali e della difesa), 2017.

(8)  SWD(2017) 228 final, paragrafo 2.2.

(9)  Cfr. il punto 9.

(10)  Cfr. per esempio i programmi Eurofighter Thypoon o l’A400M.

(11)  Conclusioni del Consiglio Affari esteri, 15 novembre 2016.

(12)  V. nota 2.

(13)  http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2016-0435+0+DOC+XML+V0//IT

(14)  http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2012-0456+0+DOC+XML+V0//IT

(15)  GU C 288, 31.8.2017, p. 62; GU C 67, 6.3.2014, p. 125; GU C 299, 4.10.2012, p. 17; GU C 100, 30.4.2009, p. 114; GU C 100, 30.4.2009, p. 109.

(16)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 62.

(17)  AEOS — Operatore Economico Autorizzato con adeguati standard idonei a garantire la sicurezza della catena di approvvigionamento internazionale.

(18)  FEIS: Fondo europeo per gli investimenti strategici — v. parere GU C 75, 10.3.2017, p. 57.

(19)  Cfr. la nota 4.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema

«Istituzione del Fondo europeo per la difesa»

[COM(2017) 295 final]

(2018/C 129/09)

Relatore:

Mihai IVAŞCU

Correlatore:

Fabien COUDERC

Consultazione

Commissione europea, 4.8.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza del Comitato

16.6.2017

Organo competente

Commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI)

Adozione in CCMI

16.11.2017

Adozione in sessione plenaria

7.12.2018

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

179/2/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che l’Unione europea debba assumere maggiori responsabilità in ordine alla sua difesa e debba essere pronta e in grado di scoraggiare qualsiasi minaccia esterna nei confronti dei suoi cittadini e del suo stile di vita.

1.2.

Il piano d’azione europeo in materia di difesa e la strategia globale evidenziano quanto sia importante che l’industria della difesa dell’UE raggiunga l’autonomia strategica in modo da diventare un attore importante e credibile nel settore della difesa. Il Fondo europeo per la difesa (nel prosieguo, anche «il fondo») persegue il preciso obiettivo di incentivare la cooperazione tra gli Stati membri nel campo della ricerca e tecnologia (R&T), come anche lo sviluppo e l’acquisizione strategica di capacità militari. Una particolare attenzione dovrebbe essere riservata ai collegamenti tra le attività di R&T e lo sviluppo di capacità.

1.3.

Il CESE ritiene che l’industria della difesa, da cui dipendono 1,4 milioni di posti di lavoro, svolga un ruolo importante nell’economia europea. L’assenza di coordinamento ci costa ogni anno tra 25 e 100 miliardi di EUR: un onere inaccettabile in un contesto concorrenziale mondiale.

1.4.

Il CESE raccomanda vivamente che gli Stati membri e la Commissione europea utilizzino il fondo per mantenere sul suolo europeo capacità industriali chiave e garantire che le risorse finanziarie dell’Unione siano impiegate nelle attività europee di ricerca e sviluppo (R&S) e nell’acquisto di sistemi d’arma europei.

1.5.

Il Comitato appoggia l’orientamento alla competitività del Fondo europeo per la difesa, che porterà sia a garantire l’accesso a tutti gli Stati membri sia a finanziare progetti destinati a produrre valore aggiunto e tecnologie di punta.

1.6.

Il CESE ritiene che, oltre a finanziare l’industria, la Commissione europea dovrebbe sviluppare il contesto adatto per una più intensa comunicazione fra gli attori dell’industria di tutte le dimensioni e in tutti gli Stati membri.

1.7.

Il Comitato apprezza la particolare attenzione rivolta dalla proposta in esame alle piccole e medie imprese (PMI), a prescindere dal loro paese di origine. Le PMI sono spesso fonte di innovazione in settori di punta come la tecnologia dell’informazione, le comunicazioni e la cibersicurezza. Il CESE sarebbe inoltre favorevole a meccanismi di coinvolgimento delle PMI, quali ad esempio un sistema di bonus, che intensificherebbero la cooperazione transfrontaliera tra le piccole e medie imprese.

1.8.

Il Comitato è fermamente convinto che sia necessario sviluppare capacità fondamentali forti a sostegno degli interessi europei. Queste devono essere definite dagli Stati membri nel rispetto delle politiche nazionali di difesa, degli obiettivi europei e degli obblighi previsti dal partenariato con la NATO.

1.9.

Il CESE ritiene che l’accento vada posto sulle tecnologie che potrebbero essere decisive per consentire all’UE di porsi all’avanguardia in ambito tecnologico. Tale obiettivo può essere conseguito attraverso la pianificazione comune in materia di difesa e l’introduzione di un piano per le capacità fondamentali.

1.10.

Il CESE raccomanda che, nell’ambito degli inviti a presentare proposte, la procedura di aggiudicazione tenga conto di rigorosi standard obbligatori in materia sociale e ambientale.

1.11.

Il CESE è dell’avviso che i meccanismi di finanziamento non possano essere identici a quelli di altri settori di attività, stanti le peculiarità del settore della difesa e i sospetti e i timori legati alla condivisione delle conoscenze tra imprese o Stati membri.

1.12.

Il Comitato reputa che la governance del Fondo europeo per la difesa debba essere decisa al più presto e che ne debbano far parte, oltre all’industria, l’Unione europea, l’Agenzia europea per la difesa (AED) e gli Stati membri. La Commissione dovrebbe individuare nuove opzioni per limitare il livello di burocrazia necessario all’attuazione del fondo. Il CESE raccomanda altresì di consentire al Parlamento europeo di accedere regolarmente alle relazioni per poter valutare il funzionamento del fondo.

1.13.

Il CESE raccomanda di esaminare la possibilità di portare a tre il numero minimo dei paesi partecipanti a un progetto ammissibile in una fase di evoluzione successiva del fondo.

1.14.

Il CESE ritiene che ampliando al massimo il numero degli Stati membri attivi nel Fondo europeo per la difesa si ridurranno le ridondanze e si promuoverà la standardizzazione della logistica e dei sottosistemi. Sarà evitata inoltre la duplicazione degli attuali standard NATO e sarà ridotta la frammentazione dei sistemi d’arma. Per ogni progetto vincitore, pertanto, l’AED e il consorzio industriale selezionato dovrebbero collaborare strettamente nelle prime fasi di sviluppo al fine di definire norme e standard comuni.

1.15.

Il CESE nutre dubbi sul fatto che «si possa ragionevolmente prevedere che lo sviluppo porti all’acquisizione», considerato che nella ricerca militare abbondano esempi di progetti sviluppati e in seguito non acquisiti dagli Stati. Il Comitato chiede regole chiare in merito all’impegno di acquisto delle capacità sviluppate con successo.

1.16.

Il CESE raccomanda che sia data la possibilità di ricorrere a programmi di formazione cofinanziati dall’Unione europea nelle prime fasi di sviluppo dei progetti finanziati nell’ambito della sezione capacità. Una forza lavoro qualificata è un elemento essenziale per lo sviluppo di tecnologie all’avanguardia nel campo della difesa.

1.17.

Inoltre, il Comitato, in quanto organo rappresentativo della società civile organizzata, è pronto a fornire competenze e consulenza in merito a tutte le questioni concernenti gli aspetti economici e sociali del Fondo europeo per la difesa.

2.   Contesto del parere, e in particolare della proposta legislativa in esame

2.1.

Sul piano geopolitico, l’Europa si trova di fronte a una serie di circostanze straordinarie. La crescente instabilità sulla scena internazionale ha creato una situazione di volatilità sul piano della sicurezza che è portatrice di numerose minacce, sia convenzionali che non convenzionali. I cittadini europei chiedono che siano utilizzati tutti i mezzi a disposizione per rispondere a tali sfide.

2.2.

Per riaffermare il proprio ruolo sulla scena internazionale, l’Europa deve essere in grado di rispondere alle minacce esterne in maniera efficace e autonoma. Nell’attuale contesto geopolitico, disporre di una forza di proiezione nel Medio Oriente e in Africa è essenziale per la sicurezza e il benessere dei cittadini europei.

2.3.

Nel 2014 l’UE-27 ha speso circa 2 miliardi di EUR per la R&T nel settore della difesa, dopo un calo costante del 27 % dal 2006, e la spesa per la R&T nell’ambito di un quadro di collaborazione è diminuita di oltre il 30 %. Nello stesso periodo, gli Stati Uniti hanno speso 9 miliardi di euro l’anno per la R&T, tra il 2012 e il 2014 la Russia ha raddoppiato la sua spesa per le attività di R&S nel settore della difesa, e dati recenti indicano che anche la Cina ha incrementato i suoi investimenti in R&S (1).

2.4.

Il ruolo del fondo, nel quadro del piano d’azione europeo in materia di difesa (2), consiste nell’aiutare gli Stati membri a coordinare e a impiegare meglio le risorse finanziarie che sono disposti a destinare alla difesa, evitando duplicazioni, in ambiti che vanno dalla ricerca e sviluppo fino all’acquisizione delle capacità di difesa. Il CESE ha già manifestato il suo sostegno alla creazione dell’Unione europea della difesa e ha accolto positivamente l’istituzione del Fondo europeo per la difesa (3).

2.5.

Il Fondo europeo per la difesa consta di due sezioni distinte ma complementari: la sezione ricerca e la sezione capacità, entrambe coordinate da un consiglio di coordinamento. La sezione ricerca sarà interamente finanziata dal bilancio dell’UE e promuoverà progetti collaborativi per lo sviluppo di capacità di difesa, a seguito dell’accordo raggiunto dagli Stati membri. La sezione capacità sarà finanziata principalmente da contributi degli Stati membri.

2.6.

Il CESE riconosce che nell’attuale contesto di sicurezza, dominato dagli attacchi terroristici che avvengono sul suolo europeo, dalla guerra ibrida e dagli attacchi informatici, è sempre più difficile distinguere tra sicurezza interna e sicurezza esterna, vista la crescente interdipendenza tra le due.

3.   Rapporti tra il fondo e l’industria europea della difesa: particolarità

3.1.

Le capacità di difesa e la capacità di difendere i nostri confini esterni sono saldamente connesse alla presenza di una base industriale forte. Il CESE raccomanda quindi che le azioni intraprese a livello europeo a sostegno della difesa collettiva permettano all’industria di rimanere sul suolo europeo. Strategie imprenditoriali potrebbero spingere le industrie della difesa a scegliere subappaltatori esterni all’UE e, quindi, ad avere parte della loro catena di approvvigionamento all’estero. Il CESE è convinto che l’impiego di denaro europeo a favore di appaltatori esterni dovrebbe essere quanto più limitato possibile e che le scelte imprenditoriali non dovrebbero andare a scapito dell’autonomia strategica.

3.2.

Il Fondo europeo per la difesa dovrebbe continuare a perseguire come massima priorità l’incremento della competitività industriale europea e, nel contempo, lo sviluppo di tecnologie che sono indispensabili per l’esistenza e l’autosufficienza del settore della difesa dell’UE.

3.3.

Intelligenza artificiale, big data e tecnologie cloud, attacchi informatici, veicoli senza equipaggio, minacce ibride e transnazionali e via discorrendo stanno rivoluzionando completamente il settore della difesa. I nuovi tipi di tecnologie e minacce richiedono nuovi tipi di contromisure. Una cosa è certa: possiamo rispondere meglio a queste sfide e prevenirle attraverso un lavoro di squadra. Serve una cooperazione più sistematica, insieme a sforzi congiunti per lo sviluppo delle tecnologie e un’azione coordinata in relazione alle capacità di acquisto.

3.4.

Il CESE sottolinea il forte incentivo economico conseguibile con una maggiore cooperazione. Più di 1,4 milioni di persone altamente qualificate sono impiegate, direttamente o indirettamente, nell’industria della difesa e ogni euro investito genera un rendimento pari a 1,6. L’assenza di coordinamento in questo campo costa all’Europa tra 25 e 100 miliardi di EUR l’anno (4).

3.5.

Questa assenza di cooperazione si traduce in un numero elevato di sistemi d’arma ridondanti, nella mancanza di economie di scala nell’industria della difesa e in una minore capacità di dispiegamento delle forze armate. Nell’UE vi sono 178 sistemi d’arma diversi contro i 30 degli Stati Uniti. Vi sono 17 tipi diversi di carri armati nell’UE, ma solo uno negli Stati Uniti. Questa situazione è indice di chiare inefficienze nell’impiego delle dotazioni riservate alla difesa e di un’assenza di interoperabilità del materiale militare.

3.6.

Il CESE ricorda che una R&T efficiente in materia di difesa si basa su una forza lavoro qualificata. Una formazione e un’istruzione professionale ambiziose e solide nelle industrie della difesa sono essenziali per il successo dei progetti finalizzati al conseguimento di margini di vantaggio in campo tecnologico.

3.7.

Il CESE segnala che vi sono già stati in passato esempi di cooperazione militare congiunta andati a buon fine nel campo della ricerca e dell’acquisizione. L’aereo da caccia Eurofighter Typhoon, il missile Meteor, il cacciatorpediniere classe Orizzonte e la fregata FREMM sono solo alcuni esempi di progetti di questo tipo.

3.8.

Non risulta chiaro al CESE come sia possibile assolvere l’onere in capo agli Stati membri coinvolti in un progetto di sviluppo di dimostrare che «si possa ragionevolmente prevedere che lo sviluppo porti all’acquisizione», dal momento che nella ricerca militare abbondano esempi di progetti sviluppati e in seguito non acquisiti dagli Stati (5). La possibilità di cofinanziare la fase iniziale dello sviluppo di nuove capacità tramite il bilancio dell’UE è mirata a ridurre i rischi industriali, ma questo obiettivo può essere conseguito soltanto se i clienti si impegnano ad acquistare le capacità sviluppate con successo.

3.9.

I 28 Stati membri considerati nel loro complesso occupano il secondo posto nel mondo in termini di spesa per la difesa. Tuttavia, mentre tutte le maggiori potenze hanno incrementato questa dotazione, l’UE27 l’ha ridotta di quasi l’11 % nel periodo dal 2005 al 2015 (6). Solo 4 dei 28 Stati membri raggiungono l’obiettivo di spesa della NATO del 2 % del PIL. Le spese per la ricerca e la tecnologia (R&T) in ambito di difesa hanno subito una netta riduzione nei bilanci nazionali. Tra il 2006 e il 2013 la spesa di R&T per la difesa nei 27 Stati membri che partecipano all’AED è diminuita del 27 % (7).

3.10.

Il CESE ritiene che si debba affrontare in una fase iniziale il problema delle imprese britanniche del settore della difesa, visti il loro interesse per i programmi di sviluppo europei e il ruolo di spicco svolto dal Regno Unito nel campo della difesa. L’UE è interessata a conservare le competenze tecniche britanniche.

3.11.

Anche se i finanziamenti per la sezione ricerca provengono dalla Commissione europea, saranno gli Stati membri a decidere in merito all’acquisizione delle capacità e a investire in tal senso. In tutto questo sistema è in realtà l’industria a portare avanti sia la R&S che lo sviluppo delle capacità di difesa. Il CESE ritiene che, oltre a finanziare l’industria, la Commissione dovrebbe sviluppare il contesto adatto per una più intensa comunicazione tra tutti gli attori dell’industria coinvolti nel settore della difesa dell’UE.

4.   Beneficiari: grandi attori e PMI

4.1.

Il CESE è del parere che gli Stati membri continueranno ad avere un ruolo centrale nel dispiegamento della sicurezza e che nessuna delle attuali iniziative a livello europeo cambierà questo fatto.

4.2.

Il Comitato ritiene che il Fondo europeo per la difesa dovrebbe limitarsi a essere un programma orientato alla competitività che finanzia i progetti più pertinenti e competitivi a prescindere da considerazioni di tipo geografico o sociale. Tuttavia, occorre prendere provvedimenti per garantire un accesso equo a tutti gli Stati membri e per incoraggiare le PMI a unire le forze nella cooperazione transfrontaliera.

4.3.

Il CESE è convinto che le PMI svolgano un ruolo cruciale nella nostra economia, e l’incoraggiamento delle PMI e delle altre imprese a media capitalizzazione operanti nel settore della difesa deve essere accolto con favore. Inoltre, le start-up e le piccole imprese sono spesso fonte di innovazione in settori di punta come la tecnologia dell’informazione, le comunicazioni e la cibersicurezza. Il Comitato sostiene con vigore questa impostazione e ritiene estremamente importante fissare come obiettivo principale le pari opportunità per tutte le PMI a prescindere dal loro paese di origine.

4.4.

Al CESE risulta che il Fondo europeo per la difesa sia stato concepito per sostenere la competitività dell’industria europea della difesa. Per quanto la Commissione europea sia tenuta a promuovere un approccio inclusivo nella gestione del fondo, sarebbe da evitare un suo utilizzo come fondo di sviluppo regionale. Un simile impiego potrebbe comportare la dispersione delle risorse e non sarebbe efficace nel contrastare la frammentazione dei sistemi di difesa europei.

4.5.

Per quanto riguarda l’inclusività, il fondo non dovrebbe essere concepito solo per i grandi attori. Una quota significativa di esso dovrebbe essere riservata alle PMI, ad esempio attraverso l’individuazione di progetti di minori dimensioni. Il CESE, inoltre, sarebbe favorevole a meccanismi sulla falsariga dei sistemi di bonus, che intensificherebbero la cooperazione transfrontaliera tra le PMI.

4.6.

Il CESE comprende la logica per cui l’UE dovrebbe finanziare al 100 % la R&T nel campo delle attività di difesa, diversamente da quanto avviene tradizionalmente con il cofinanziamento delle attività civili da parte dell’Unione. Dato il numero estremamente limitato di clienti (per lo più ministeri nazionali della difesa), le industrie hanno maggiore difficoltà ad ammortizzare i rischi associati allo sviluppo di un nuovo prodotto in un mercato più prevedibile. Nel prossimo quadro finanziario pluriennale, il futuro fondo potrebbe essere raggruppato con altri fondi per la ricerca; che ciò avvenga o meno, occorrerà in ogni caso affrontare le suddette specificità.

4.7.

Il Comitato è fermamente convinto che il Fondo europeo per la difesa incentiverà fortemente gli Stati membri ad «acquistare prodotti europei» nei futuri appalti in materia di difesa, garantendo in tal modo lo sviluppo economico e salvaguardando le competenze tecniche e la base industriale necessarie per sostenere una capacità militare globale. Il CESE sostiene l’idea secondo cui gli Stati membri dovrebbero impegnarsi ad acquisire le tecnologie e le capacità generate dai progetti di R&T finanziati con successo dal fondo.

5.   La pianificazione comune in materia di difesa e un piano per le capacità fondamentali

5.1.

Il CESE raccomanda che gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione europea e l’AED, adottino una pianificazione comune in materia di difesa e un piano per le capacità fondamentali al fine di individuare le priorità di R&T e le necessarie capacità militari sia per gli Stati membri che per la difesa europea.

5.2.

Avendo alle spalle un’esperienza molto limitata in questo tipo di programma (essenzialmente, solo il progetto pilota e l’avvio dell’azione preparatoria), l’Unione europea ha formulato la propria proposta senza basarsi su indicatori chiari e non dispone ancora di un piano preciso per le capacità fondamentali. Questo piano sarà elaborato nel 2018.

5.3.

Il piano per le capacità fondamentali dovrebbe garantire il traghettamento dell’UE verso l’autonomia strategica e definire le tecnologie che occorrerà sviluppare per consentire all’Unione di mantenere la sua leadership nei settori delle capacità chiave e porre fine alla sua dipendenza dagli attori esterni. Il CESE reputa essenziale per il successo del fondo lo sviluppo di tecnologie e di capacità che vadano oltre le esigenze individuali degli Stati membri.

5.4.

Il CESE è uno strenuo sostenitore di un approccio alla ricerca incentrato sulle capacità. Di conseguenza, il Comitato ritiene che tutte le attività di ricerca intraprese nell’ambito del Fondo europeo per la difesa debbano focalizzarsi sulle capacità fondamentali che occorrono all’Europa per poter agire e decidere liberamente.

5.5.

La superiorità tecnologica è essenziale nell’attuale contesto di sicurezza. Pertanto, il CESE ritiene che il Fondo europeo per la difesa, e in particolare il programma europeo di ricerca nel settore della difesa, debbano far sì che l’Europa rimanga all’avanguardia della ricerca militare. Potrebbe essere utile, a tal fine, destinare risorse ai dimostratori tecnologici che sosterranno i futuri programmi congiunti.

5.6.

Il CESE è dell’avviso che, in sede di definizione del piano per le capacità fondamentali, sia indispensabile pianificare e tenere in considerazione l’intero ciclo di vita del settore tecnologico. Occorre inoltre che la R&S e lo sviluppo delle capacità siano pianificati congiuntamente e coordinati dall’UE e dagli Stati membri, anche nel rispetto degli obblighi previsti dal partenariato con la NATO.

6.   Settori d’investimento e meccanismi di finanziamento

6.1.

La Commissione europea propone un finanziamento ambizioso per entrambe le sezioni del Fondo europeo per la difesa:

90 milioni di EUR dal 2017 al 2020 per l’azione preparatoria;

500 milioni di EUR l’anno per il programma europeo di ricerca nel settore della difesa;

500 milioni di EUR nel 2019 e nel 2020 per il programma europeo di sviluppo del settore industriale della difesa;

1 miliardo di EUR l’anno a decorrere dal 2021, nell’ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale.

6.2.

Il CESE ritiene che gli investimenti debbano essere orientati verso le tecnologie di importanza cruciale per la difesa dell’UE, nelle quali l’Europa sia già dipendente da fornitori esterni o lo stia diventando. Il CESE ritiene inoltre che l’accento vada posto sulle tecnologie che potrebbero essere decisive per consentire all’UE di porsi all’avanguardia in diversi ambiti tecnologici.

6.3.

Il CESE è favorevole al finanziamento separato delle due sezioni: finanziamento dell’UE per la sezione ricerca e risorse di bilancio degli Stati membri per la sezione capacità. Il Comitato ha già espresso il suo punto di vista in passato dichiarando che «finché l’Unione non disporrà di entrate proprie variabili, l’acquisizione delle capacità militari delle forze armate continuerà a spettare agli Stati membri. […] Il CESE ricorda che, ai sensi dell’articolo 41 del TUE, le operazioni militari non possono essere finanziate attingendo dal bilancio dell’UE. Derogare a tale principio significherebbe anche venire meno al carattere specifico della politica di sicurezza e di difesa di taluni Stati membri (articolo 42, paragrafo 1, del TUE)» (8).

6.4.

Il Comitato raccomanda che il Fondo europeo per la difesa sia utilizzato come strumento finanziario per sostenere lo sviluppo di capacità nei settori in cui l’industria della difesa europea dipende attualmente da fonti esterne. Il fatto di sviluppare tali capacità in Europa permetterà di disporre di un maggior numero di opzioni strategiche e, allo stesso tempo, arricchirà il settore di conoscenze, tecnologia e posti di lavoro preziosi.

6.5.

Il CESE è convinto che il livello di finanziamento proposto per la sezione ricerca del Fondo europeo per la difesa consentirà di incentivare ampiamente la ricerca innovativa. Ciò farà dell’UE il quarto maggiore finanziatore della ricerca nel settore della difesa in Europa; questo fondo, tuttavia, non dovrebbe pregiudicare altri progetti europei di sviluppo di importanza cruciale.

6.6.

Il CESE reputa che la configurazione dei meccanismi di finanziamento del Fondo europeo per la difesa sia estremamente importante per garantire il pieno impegno dell’industria e incoraggiare la creazione di consorzi produttivi con il coinvolgimento del maggior numero possibile di Stati membri. I meccanismi di finanziamento non possono essere identici a quelli di altri settori di attività, stanti le peculiarità del settore della difesa e i sospetti e i timori legati alla condivisione delle conoscenze tra imprese o Stati membri.

7.   Governance

7.1.

Dalla proposta della Commissione europea non risulta chiara la forma di governance che assumerà il Fondo europeo per la difesa. Il CESE ritiene che vada precisata quanto prima e che debba comprendere, oltre all’industria, l’Unione europea, l’Agenzia europea per la difesa e gli Stati membri.

7.2.

Il CESE ritiene che sia opportuno intensificare le discussioni tra gli Stati membri al fine di raggiungere un accordo sul modello di governance del Fondo europeo per la difesa, con riferimento alle due sezioni nonché al prossimo quadro finanziario pluriennale. Sebbene il fondo sia presentato come un altro programma di ricerca e sviluppo, il CESE sottolinea che il settore della difesa è unico e denso di particolarità che dovrebbero essere disciplinate da regole diverse ma precise. Tali regole devono essere concordate quanto prima possibile.

7.3.

Il CESE richiama altresì l’attenzione sul fatto che le due sezioni andrebbero strettamente coordinate con altri programmi nazionali e internazionali che vedono coinvolti gli Stati membri.

7.4.

Sebbene il criterio delle tre società da due Stati membri appaia adeguato per il momento, il CESE ritiene che in una fase più matura del programma il requisito minimo dovrebbe essere di tre paesi, al fine di promuovere maggiori sinergie tra gli Stati membri.

7.5.

I progetti finanziati dal Fondo europeo per la difesa, sia nell’ambito della sezione ricerca che della sezione capacità, implicano l’impiego di fondi pubblici. La Commissione europea dovrebbe garantire che la procedura di gara selezioni soltanto i progetti più competitivi, tenendo conto nel contempo di elevati standard sociali e ambientali, basati su criteri oggettivi.

7.6.

Il CESE teme che l’eccessiva burocrazia possa ostacolare l’applicazione pratica del Fondo europeo per la difesa e raccomanda di esaminare ulteriori opzioni al riguardo nel corso dell’evoluzione del fondo.

7.7.

Il CESE, in quanto organo rappresentativo della società civile organizzata, sottolinea la sua disponibilità a essere consultato in merito all’attuazione del Fondo europeo per la difesa e a tutte le questioni relative agli aspetti economici, sociali e di ricerca della nuova politica di difesa europea.

8.   Standardizzazione

8.1.

Il CESE ritiene che i programmi congiunti incentrati su fabbisogni reciprocamente riconosciuti non solo ridurranno il numero dei sistemi ridondanti, ma promuoveranno anche una maggiore standardizzazione dei sottosistemi e della logistica.

8.2.

Per quanto concerne i parametri di riferimento, è importante guardare al quadro complessivo, vale a dire non solo ai programmi nazionali di ricerca degli Stati membri, ma anche agli sviluppi realizzati dai nostri partner NATO in tutti gli ambiti.

8.3.

Il CESE consiglia vivamente che la Commissione, insieme all’Agenzia europea per la difesa e agli Stati membri, definisca gli ambiti prioritari di sviluppo congiunto. Tale obiettivo può essere raggiunto solo trovando un accordo su una definizione comune dei fabbisogni e su una maggiore standardizzazione.

8.4.

L’obiettivo del fondo è quello di incrementare l’efficienza e la razionalità della spesa nazionale per la difesa, non di sostituirla. Ciò avverrà solo se il Fondo europeo per la difesa dimostrerà il proprio valore aggiunto, consentendo di portare a termine progetti che gli Stati membri da soli non sarebbero in grado di realizzare con maggiore efficacia e a un costo inferiore. Il fondo dovrebbe fungere da incentivo a una migliore cooperazione. Solo in questo modo consentirà di evitare la moltiplicazione di sistemi d’arma diversi.

8.5.

Il CESE esprime il suo sostegno allo sviluppo di standard comuni (9), evitando però di creare duplicazioni rispetto alle norme già esistenti, in particolare quelle della NATO. In un contesto come quello europeo in cui sono stati individuati 178 sistemi d’arma diversi, una delle priorità della ricerca potrebbe essere quella di definire standard e interfacce europei comuni al fine di collegare quanto più possibile tra loro gli standard e le interfacce esistenti e preparare i sistemi futuri. Attraverso il rispetto di questi standard, gli Stati membri potrebbero arrivare a sviluppare sistemi compatibili a livello europeo.

8.6.

La questione degli standard riveste particolare importanza per i sottosistemi. I prodotti di più recente sviluppo fisseranno sicuramente uno standard a livello europeo, tuttavia sarebbe opportuno che anche i sottosistemi esistenti che potrebbero essere integrati in tali prodotti fossero basati a loro volta su standard comuni. Il CESE ritiene che in tal modo si potenzierebbe l’interoperabilità, riducendo di conseguenza la frammentazione dei sistemi d’arma.

Bruxelles, 7 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Studio del Parlamento europeo The Future of EU defence research («Il futuro della ricerca dell’UE in materia di difesa»), 2016. http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2016/535003/EXPO_STU(2016)535003_EN.pdf.

(2)  COM(2016) 950 final

https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2016/IT/COM-2016-950-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF.

(3)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 62.

(4)  Defending Europe. The case for greater EU cooperation on security and defence («Difendere l’Europa. Argomentazioni a favore di una maggiore cooperazione a livello dell’UE in materia di sicurezza e difesa») https://ec.europa.eu/commission/sites/beta-political/files/defending-europe-factsheet_en.pdf.

(5)  Uno di questi esempi sarebbe il Northrop Grumman X-47B sviluppato per la marina statunitense. Nonostante l’iniziale successo e i voli di collaudo, il programma è stato ritenuto dalla marina statunitense eccessivamente costoso e non sufficientemente invisibile ai radar ed è stato infine scartato. Il suo costo totale è stato di 813 milioni di USD.

(6)  Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, Banca dati sulla spesa militare 2005-2015 https://www.sipri.org/databases/milex.

(7)  COM(2016) 950 final

https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/1/2016/IT/COM-2016-950-F1-IT-MAIN-PART-1.PDF.

(8)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 62.

(9)  GU C 288 del 31.8.2017, pag. 62.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla

«Comunicazione della Commissione del 28 aprile 2017 — Comunicazione della Commissione sull’accesso alla giustizia in materia ambientale»

[C(2017) 2616 final]

(2018/C 129/10)

Relatore:

Cillian LOHAN

Correlatore:

Brian CURTIS

Consultazione

Commissione europea, 31.5.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Assemblea plenaria

25.4.2017

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

21.11.2017

Adozione in sessione plenaria

7.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

171/5/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione interpretativa della Commissione europea oggetto del presente parere, in quanto essa fornisce una preziosa panoramica — aggiornata alla data della sua pubblicazione — della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (in prosieguo «la Corte») sull’accesso alla giustizia nazionale in materia di ambiente. Se verrà opportunamente divulgata, la comunicazione è destinata a recare ulteriori benefici, in termini di maggiore certezza e chiarezza, ai responsabili delle decisioni nell’ambito degli organi giurisdizionali e delle strutture amministrative nazionali, nonché alle imprese e ai cittadini.

1.2.

Il CESE riconosce che un accesso coerente alla giustizia su tutto il territorio dell’UE costituisce un fattore essenziale a sostegno del mercato unico e di un’applicazione coerente dei diritti previsti dal diritto dell’UE sul suo territorio, oltre a fornire ai mercati e agli investitori la chiarezza e la certezza del diritto necessarie.

1.3.

Il CESE invoca una legislazione europea esaustiva e vincolante, necessaria per garantire un’esecuzione coerente e completa dell’accesso alla giustizia in tutta l’UE, come accompagnamento al positivo passo avanti segnato dalla comunicazione in materia di accesso alla giustizia. Il documento di lavoro dei servizi della Commissione (1) giunge alla conclusione che l’approccio ideale consiste nell’adottare un atto giuridico vincolante dell’UE. Il CESE, inoltre, prende atto dell’analisi e delle raccomandazioni in materia contenute nella relazione Darpö (2), commissionata dalla Commissione. Gli Stati membri devono sostenere questi obiettivi e non pregiudicarne il conseguimento.

1.4.

Affinché la comunicazione in esame abbia un effetto concreto, essa deve essere affiancata da interventi di formazione professionale e istruzione a livello di Stati membri, che raggiungano tutti i destinatari previsti, e in particolare gli organi di ricorso giudiziari, quelli amministrativi e i cittadini.

1.5.

L’assegnazione di risorse e finanziamenti in quantità sufficiente a sostenere in modo efficace tali piani deve costituire una priorità sia per la Commissione che per gli Stati membri.

1.6.

La comunicazione non tenta di scavalcare le giurisdizioni nazionali ed enuncia le decisioni e i chiarimenti della Corte che costituiscono un requisito fondamentale obbligatorio. Questo punto, insieme alla disposizione che esclude eventuali deroghe o ripensamenti, dovrebbe trovare riscontro nelle future versioni della comunicazione.

1.7.

La comunicazione interpretativa dovrà essere continuamente aggiornata. Affinché essa resti valida e accurata, sarà essenziale aggiornarne puntualmente il contenuto — e informarne i destinatari — al fine di tener conto di eventuali sviluppi nella giurisprudenza della Corte. Si dovrebbe esplorare la possibilità di uno strumento dinamico e aggiornato per la società civile, le pubbliche amministrazioni e gli organi giurisdizionali.

1.8.

Ci si dovrebbe in primo luogo avvalere dei riscontri forniti dalle comunità di esperti, nonché affrontare, in ordine di priorità, le carenze e le omissioni presenti nella comunicazione per gli Stati membri, considerando tra l’altro come affrontare gli ambiti in cui la giurisprudenza della Corte si presenta lacunosa.

1.9.

Andrebbe sviluppata e mantenuta in essere una valutazione di riferimento indipendente, obiettiva, completa e aggiornata, che tenga conto degli sviluppi positivi e dei problemi relativi all’accesso alla giustizia a livello degli Stati membri, nonché di tutti gli elementi dell’articolo 9 della convenzione di Århus.

1.10.

Di fronte all’importanza dei rinvii pregiudiziali per garantire la coerenza del diritto dell’UE in materia (3), la Commissione dovrebbe esplorare a fondo l’utilizzo e il rispetto di questa disposizione in tutti gli Stati membri e riferire al riguardo, nonché indagare e perseguire qualunque impedimento frapposto alla sua applicazione.

1.11.

In un contesto globale di pratiche vessatorie e persecuzioni a danno degli attivisti ambientali, l’UE dovrebbe assumere un ruolo guida nel facilitare l’accesso alla giustizia.

1.12.

Il CESE pone in evidenza i limiti della comunicazione interpretativa, che non ha tenuto conto delle conclusioni del comitato di controllo dell’osservanza della convenzione di Århus (in prosieguo «comitato di controllo»). Quest’importante e utile compendio, che può servire ad affiancare la comunicazione della Commissione e assistere i responsabili politici e i cittadini nell’accesso alla giustizia, andrebbe senz’altro menzionato.

1.13.

Il CESE sostiene la convenzione di Århus e la sua piena applicazione da parte e all’interno dell’UE. È pertanto essenziale che le conclusioni in materia di conformità raggiunte dal comitato di controllo nominato dalle parti contraenti siano pienamente appoggiate dalle parti stesse.

1.14.

Il CESE riconosce la delicatezza delle questioni associate alle recenti conclusioni del comitato di controllo quanto alla non conformità delle istituzioni dell’UE in materia di accesso alla giustizia e sollecita, da parte dell’Unione, un impegno urgente e costruttivo al riguardo nel periodo che precede la prossima riunione delle parti. In particolare, sarà importante attribuire priorità, insieme con le ONG del settore ambientale e la società civile, a un approccio ampio e ambizioso ai modi e agli ambiti in cui l’UE può migliorare l’attuazione della convenzione di Århus e l’accesso alla giustizia in seno e da parte delle istituzioni dell’UE. Si dovrebbe inoltre considerare un approccio parallelo e complementare all’accesso alla giustizia in seno e da parte di tali istituzioni, associato ad orientamenti ed attività di divulgazione.

2.   Osservazioni generali

2.1.

Il documento pubblicato dalla Commissione europea è una comunicazione interpretativa. Esso fornisce una panoramica della giurisprudenza della Corte in materia di accesso alla giustizia a livello nazionale nelle cause concernenti l’ambiente. In concreto, il documento assume la forma di una dettagliata analisi giuridica che chiarisce alcuni dei requisiti e delle norme sostanziali e procedurali riguardanti tali cause. Esso affronta temi quali i rimedi effettivi, i costi, la speditezza, i termini, la portata del riesame, la legittimazione ad agire e l’efficienza delle procedure.

2.2.

La comunicazione punta a fornire «chiarezza e una fonte di riferimento» per il pubblico costituito dalle amministrazioni nazionali, dagli organi giurisdizionali nazionali, dalle persone fisiche, dalle ONG che esercitano un ruolo di sostegno dell’interesse pubblico e dagli «operatori economici che hanno un interesse comune all’applicazione prevedibile del diritto» (paragrafo A9). Il paragrafo 8 enuncia il contesto di questo obiettivo, in termini di problemi riscontrati dal pubblico di cui sopra, che comprende, tra l’altro, le imprese, le PMI, le persone fisiche, le ONG e il pubblico che si trova di fronte a problemi di applicazione dell’accesso alla giustizia negli Stati membri.

2.3.

La comunicazione sancisce inoltre l’importanza dell’ambiente in quanto «sistema che sostiene la nostra vita» e aggiunge che «la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente sono valori comuni europei» (paragrafo 1).

2.4.

Essa definisce «il quadro generale dell’Unione sull’accesso alla giustizia in materia ambientale negli Stati membri», facendo riferimento ai Trattati europei e al principio consolidato dell’effettività della tutela giurisdizionale, nonché all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e alla convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale («convenzione di Århus»). L’UE e i suoi 28 Stati membri figurano tra le 47 parti contraenti della convenzione, insieme con altri paesi d’Europa e dell’Asia centrale.

2.5.

Nel 2003 l’UE ha adottato due proposte legislative, una sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale  (4) e l’altra relativa alla partecipazione del pubblico  (5), che prevedevano l’accesso alla giustizia in un campo di applicazione limitato e riguardante alcune direttive specifiche in vigore. Nel 2006 ha adottato un altro regolamento relativo all’applicazione delle disposizioni della convenzione di Århus alle istituzioni e agli organi comunitari («regolamento Århus» (6)). Nel 2003 la Commissione aveva presentato una proposta legislativa di direttiva concernente l’accesso alla giustizia (7), ma le divergenze di opinioni tra gli Stati membri e la mancanza di una volontà politica a favore della sua adozione l’hanno poi indotta, nel 2014, a ritirare tale proposta (8). La mancanza di una direttiva sull’accesso alla giustizia continua a porre dei problemi, e deve quindi essere affrontata. Il CESE invoca una legislazione dell’UE globale e vincolante in materia di accesso alla giustizia.

2.6.

L’UE e gli Stati membri sono tutti firmatari della convenzione di Århus, che hanno già provveduto a ratificare. Nella sua prima sessione nel 2002, la riunione delle parti (MoP) della convenzione ha stabilito un meccanismo di controllo di conformità, che comprende il comitato di controllo dell’osservanza della convenzione. Il comitato di controllo esamina le comunicazioni sul mancato rispetto ad opera di una delle parti e formula conclusioni e raccomandazioni al riguardo, che sono presentate alla MoP. Queste, fino alla MoP-6 del 2017, sono sempre state, senza eccezioni, sottoscritte in toto dalle parti.

2.7.

La comunicazione riconosce che all’interno di taluni Stati membri permangono gravi ostacoli. Alcuni paesi impediscono quasi del tutto l’accesso, altri limitano il campo d’applicazione; in alcuni paesi i costi significativi costituiscono un problema, mentre in altri non sono previsti rimedi effettivi. Occorre elaborare una relazione di riferimento aggiornata e indipendente che faccia chiarezza su questioni specifiche dei singoli Stati membri e che metta tra l’altro in luce le buone pratiche in essere.

2.8.

La Commissione evidenzia le decisioni e i chiarimenti della Corte che sono requisiti fondamentali obbligatori. Questo punto, associato alla disposizione che esclude eventuali deroghe o ripensamenti, dovrebbe trovare chiaro riscontro nelle future versioni della comunicazione.

2.9.

La pubblicazione della comunicazione della Commissione interviene proprio mentre è in corso un’accesa controversia quanto al pieno rispetto da parte dell’UE degli obblighi che le derivano dall’articolo 9 della convenzione di Århus; ciò fa seguito a una notifica, trasmessa al comitato di controllo indipendente, che denunciava l’inadempienza dell’UE: il comitato di controllo ha constatato tale violazione dell’accesso pubblico alla giustizia ambientale (9) e ha formulato alcune raccomandazioni al riguardo.

2.10.

Nel luglio 2017 il Consiglio dell’UE ha deciso all’unanimità di accogliere tali conclusioni, sia pure con alcune modifiche (una posizione, questa, promossa dalla Commissione), e ha anche ribadito il suo sostegno alla convenzione di Århus (10). Le modifiche proposte alla decisione della MoP sulle conclusioni del comitato di controllo prevedono tra l’altro che l’UE si limiti a «prendere atto» anziché «accogliere» tali conclusioni. Il CESE mette in luce la contraddizione insita nel fatto che l’UE, pur ribadendo il suo sostegno alla convenzione, cerca di non accogliere le conclusioni del comitato di controllo. Tale approccio, se adottato da altre parti contraenti della convenzione, potrebbe compromettere seriamente il meccanismo indipendente di controllo dell’osservanza e, di conseguenza, la forza e l’efficacia della convenzione stessa.

2.11.

Nella MoP svoltasi nel Montenegro nel settembre 2017, si è convenuto di rinviare la decisione sulle conclusioni del comitato di controllo quanto all’inadempienza dell’UE; a ciò si è giunti al termine di dichiarazioni vigorose che scaturivano da punti di vista alternativi e discussioni in seno alla stessa MoP. Quest’ultima ha sempre agito in presenza di un consenso; venendo però a mancare, in questo caso, tale consenso, a seguito di una riunione di coordinamento degli Stati membri dell’UE si è convenuto di rimandare la decisione alla prossima MoP, prevista per il 2021.

2.12.

Il CESE riconosce la delicatezza delle questioni associate alle recenti conclusioni del comitato di controllo quanto alla non conformità delle istituzioni dell’UE in materia di accesso alla giustizia. Il CESE sollecita, da parte dell’Unione, un impegno urgente, tempestivo e costruttivo prima della prossima MoP. Sarà importante, in particolare, che l’UE si impegni e attribuisca priorità, insieme con le ONG del settore ambientale e la società civile, a un approccio ampio e ambizioso ai modi e agli ambiti in cui l’UE può migliorare l’attuazione della convenzione di Århus e l’accesso alla giustizia in seno e da parte delle istituzioni dell’UE. Si dovrebbe inoltre considerare un approccio parallelo e complementare all’applicazione dell’accesso alla giustizia in seno e da parte delle istituzioni dell’UE, associato ad orientamenti ed attività di divulgazione.

2.13.

La nota interpretativa della Commissione scaturisce da un lungo processo nel corso del quale l’UE non è riuscita ad adottare misure specifiche in materia di accesso alla giustizia. Tale processo ha comportato, nello specifico:

il ritiro della proposta di direttiva sull’accesso alla giustizia;

la mancata modifica di ogni singola direttiva pertinente al fine di introdurvi disposizioni sull’accesso alla giustizia (a titolo di esempio, direttive ambientali fondamentali come «Habitat» e «Uccelli» non sono state modificate in modo tale da contenere chiare e complete disposizioni in materia di accesso alla giustizia);

i tentativi falliti di modificare alcune direttive specifiche per inserirvi disposizioni sull’accesso alla giustizia (11).

2.14.

Sono necessarie misure di armonizzazione delle modalità con cui gli organi giurisdizionali nazionali trattano le cause ambientali: le disposizioni giuridiche dell’UE, infatti, non appaiono sufficientemente specifiche, con la conseguenza che la Corte ha ricevuto un gran numero di domande di pronuncia pregiudiziale. La comunicazione della Commissione è intesa a chiarire le regole e le norme derivanti dalla giurisprudenza della Corte in materia e, così facendo, ad accrescere la certezza del diritto per le parti interessate.

2.15.

A questa analisi giuridica, la Commissione ha anche aggiunto il proprio punto di vista.

2.16.

La comunicazione e il relativo esercizio di chiarimento sono in linea con il riesame dell’attuazione in materia ambientale (EIR) e puntano a rafforzarlo. In un recente parere (12), il CESE ha espresso il suo sostegno al processo EIR e ha chiesto interventi decisivi per attuare appieno l’acquis in materia ambientale, sfruttandone tutte le potenzialità.

2.17.

La mancanza di una direttiva sull’accesso alla giustizia lascia un vuoto proprio alla sommità della gerarchia normativa che, se colmato, aiuterebbe invece a chiarire molte delle questioni che hanno prodotto confusione e incoerenze tra gli Stati membri, con relativi problemi per le imprese e i cittadini.

2.18.

Alcuni Stati membri hanno ratificato la convenzione di Århus senza specificare le modalità di applicazione dell’accesso alla giustizia in casi specifici, o sono stati poco chiari o lacunosi nell’attuazione della convenzione.

3.   La posizione del CESE

3.1.

Il CESE sostiene la convenzione di Århus e la sua piena applicazione da parte e all’interno dell’UE. Affinché tale convenzione resti valida ed integra, è essenziale che le conclusioni del comitato di controllo siano pienamente accolte dalle parti.

3.2.

Il CESE osserva che la convenzione di Århus appartiene al corpus del diritto internazionale in materia di diritti umani ed è del tutto compatibile con i principi fondamentali dell’UE, sanciti sia dai Trattati europei che dalla Carta europea dei diritti umani. Il CESE sottolinea la necessità per l’UE di ergersi a difesa dei diritti umani e di svolgere, in questo campo, un ruolo di guida a livello mondiale.

3.3.

Il CESE esorta gli Stati membri ad accelerare l’efficace attuazione della convenzione di Århus e, in particolare, a garantire che l’accesso alla giustizia nell’ambito dei ricorsi amministrativi e dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali sia in linea con le disposizioni della convenzione e con i requisiti essenziali stabiliti per tali ricorsi all’articolo 9, paragrafo 4, della convenzione stessa. Il CESE riconosce inoltre la fondamentale interdipendenza tra i tre pilastri della convenzione e la necessità di attuarli in modo complementare affinché abbiano un effetto concreto.

3.4.

Il CESE accoglie con favore il documento pubblicato dalla Commissione e lo considera una comunicazione molto utile e importante. Il CESE riconosce che un accesso coerente alla giustizia in tutta l’UE costituisce un fattore essenziale per poter disporre di condizioni di mercato omogenee, che sono fondamentali per il successo del mercato unico e anche necessarie per riuscire ad applicare i diritti fondamentali previsti dal diritto dell’UE in modo coerente su tutto il territorio dell’Unione. La comunicazione in esame fornisce un contributo in tal senso.

3.5.

Il CESE accoglie con favore la dichiarazione della Commissione secondo cui «in caso di mancato rispetto delle disposizioni giuridiche vigenti nel quadro dell’acquis dell’Unione, la Commissione continuerà ad avvalersi delle procedure di infrazione per garantirne l’osservanza» (paragrafo A13). La Commissione svolge, in questi casi, una funzione necessaria e ben precisa, definita dai Trattati. L’assolvimento efficace di tale funzione è essenziale per garantire l’adempimento coerente degli impegni assunti dagli Stati membri, impedire un’ingiusta penalizzazione degli Stati membri adempienti e assicurare l’omogeneità dei diritti e delle condizioni di mercato.

3.6.

Il CESE è del parere che l’efficace applicazione del diritto ambientale fornisca chiarezza e certezza del diritto ai mercati e agli investitori, agevolando nel contempo lo sviluppo sostenibile. Il CESE accoglie con favore l’obiettivo di questi orientamenti forniti dalla Commissione, che è quello di fornire una maggiore certezza e chiarezza riguardo al diritto ambientale, nonostante la loro portata limitata.

3.7.

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione abbia commissionato delle analisi relative all’accesso alla giustizia in materia ambientale, ad esempio la relazione Darpö (13). Quest’ultima relazione, associata ad altre analisi indipendenti, fornisce importanti valutazioni sull’attuazione della convenzione di cui gli Stati membri dovrebbero essere consapevoli.

3.8.

Il CESE riconosce che la definizione di «autorità pubblica» di cui all’articolo 2 della convenzione comprende le «istituzioni di qualsiasi organizzazione regionale di integrazione economica di cui all’articolo 17 che sia parte della presente convenzione». Tramite questa definizione e lo stesso articolo 17, il CESE riconosce l’applicazione della convenzione alle parti contraenti, tra cui l’UE, la quale ha essa stessa firmato e ratificato la convenzione (14). Il CESE osserva che lo strumento di ratifica della convenzione da parte dell’UE non esonera le istituzioni dell’Unione dai loro obblighi in materia di accesso alla giustizia.

4.   Tappe successive

4.1.

Si rendono adesso necessari ulteriori comunicazioni o orientamenti che includano le conclusioni e le raccomandazioni del comitato di controllo, al fine di accrescere maggiormente la chiarezza e facilitare ancora l’attuazione e l’applicazione della convenzione. Una direttiva sull’accesso alla giustizia può essere di grande aiuto nel fornire chiarezza e coerenza.

4.2.

Un approccio più coerente all’attuazione della convenzione offrirebbe alle imprese condizioni più omogenee in tutti gli Stati membri e ne favorirebbe lo sviluppo. L’incertezza produce attualmente ritardi e costi aggiuntivi, oltre ad ostacolare lo sviluppo sostenibile.

4.3.

Vi è urgente necessità di una consultazione a livello dell’UE per sviluppare e mantenere aggiornata una valutazione di riferimento indipendente dell’accesso alla giustizia in ciascuno Stato membro. Tale valutazione dovrà considerare sia il livello di consapevolezza in seno alla società civile sia quanto avviene dinanzi agli organi giurisdizionali e nei ricorsi amministrativi. Prima di tutto, però, tale valutazione dovrà stabilire quali casi sono accolti e quali respinti, o quali, invece, incontrano ostacoli per questioni legate all’accesso alla giustizia. Il CESE può contribuire, tramite la sua rete di organizzazioni della società civile, a raggiungere un pubblico più vasto, ed è anche disposto a svolgere una funzione di follow-up comunicando i risultati di tale valutazione, che dovrà essere di per sé indipendente e oggettiva.

4.4.

La valutazione di riferimento dovrà superare i limiti dell’EIR, che presenta un campo di applicazione ristretto e non prevede la partecipazione del pubblico, nonché quelli del Quadro di valutazione UE della giustizia; essa dovrebbe affrontare tutti gli aspetti di cui all’articolo 9 della convenzione — e in particolare tutte le caratteristiche delle procedure di ricorso specificate al paragrafo 4 dell’articolo e i meccanismi di assistenza di cui al paragrafo 5 — nonché essere sottoposta a un completo aggiornamento con cadenza almeno biennale.

4.5.

La Commissione riconosce, al pari del CESE, il ruolo essenziale dei cittadini e delle ONG nel mettere in luce le responsabilità ai sensi della convenzione di Århus. L’istruzione e la formazione a livello degli Stati membri è cruciale, sia per i cittadini che per il sistema giudiziario. La Commissione:

deve mettere a punto piani specifici per mantenere aggiornata e divulgare in modo efficace la comunicazione, tenendo conto con tempestività di eventuali sviluppi pertinenti nella giurisprudenza della Corte, e deve, in questo, collaborare con la società civile;

dovrà accordare la priorità alla dotazione di risorse e di finanziamenti per i piani di cui sopra;

potrebbe considerare la possibilità di uno strumento dinamico e aggiornato per la società civile, le pubbliche amministrazioni e gli organi giurisdizionali che garantisca attualità e precisione, per tener conto di eventuali sviluppi pertinenti nella giurisprudenza della Corte;

dovrebbe pubblicare relazioni sui suddetti piani ogni sei mesi;

dovrebbe individuare le carenze e le omissioni presenti nella comunicazione per gli Stati membri per poi affrontarle in ordine di priorità, considerando tra l’altro gli ambiti nei quali la giurisprudenza della Corte si presenta ancora lacunosa e avvalendosi dei riscontri forniti dalle comunità di esperti.

4.6.

I costi proibitivi, in determinate giurisdizioni, possono costituire un grave impedimento alla giustizia, nel senso che il rischio di doverli sostenere può dissuadere dall’agire o resistere in giudizio. In un contesto globale di pratiche vessatorie e di persecuzioni nei confronti degli attivisti ambientali, l’UE dovrebbe assumere un ruolo guida nel facilitare l’accesso alla giustizia e dar prova di un particolare spirito d’iniziativa affrontando i casi in cui si riscontrano tali pratiche, compresi quelli in cui le considerazioni legate ai costi costituiscono un impedimento.

4.7.

Si rende necessario un meccanismo per cui le conclusioni del comitato di controllo possono essere utilizzate per integrare la comunicazione destinata agli Stati membri ed accrescere ulteriormente la chiarezza riguardo agli obblighi.

4.8.

La comunicazione interpretativa dovrà essere verificata e aggiornata ad intervalli regolari, con periodiche modifiche e attività di informazioni destinate al pubblico. Occorre mettere a disposizione risorse e finanziamenti in quantità sufficiente a sostenere una pianificazione efficace a livello sia degli Stati membri che della Commissione.

4.9.

Di fronte all’importanza dei rinvii pregiudiziali (15) per garantire l’applicazione coerente del diritto dell’UE in materia, la Commissione dovrebbe esplorare a fondo l’utilizzo e il rispetto di questa disposizione in tutti gli Stati membri e riferire al riguardo, nonché indagare e perseguire qualunque impedimento frapposto alla sua applicazione.

Bruxelles, 7 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  https://ec.europa.eu/transparency/regdoc/rep/10102/2017/EN/SWD-2017-255-F1-EN-MAIN-PART-1.PDF.

(2)  http://ec.europa.eu/environment/aarhus/pdf/synthesis%20report%20on%20access%20to%20justice.pdf.

(3)  Cfr. l’articolo 267 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

(4)  Direttiva 2003/4/CE.

(5)  Direttiva 2003/35/CE.

(6)  Regolamento (CE) n. 1367/2006.

(7)  http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:52003PC0624.

(8)  Cfr. il ritiro di proposte della Commissione che non hanno un carattere di attualità, GU C 153 del 21.5.2014, pag. 3.

(9)  https://www.unece.org/fileadmin/DAM/env/pp/compliance/C2008-32/Findings/C32_EU_Findings_as_adopted_advance_unedited_version.pdf.

(10)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-11150-2017-INIT/it/pdf

(11)  Direttiva sui limiti nazionali di emissione.

(12)  Riesame dell’attuazione delle politiche ambientali dell’UE, GU C 345 del 13.10.2017 , pag. 114.

(13)  http://ec.europa.eu/environment/aarhus/pdf/synthesis%20report%20on%20access%20to%20justice.pdf

(14)  https://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=IND&mtdsg_no=XXVII-13&chapter=27&clang=_en#EndDec.

(15)  Cfr. l’articolo 267 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2006/1/CE, relativa all’utilizzazione di veicoli noleggiati senza conducente per il trasporto di merci su strada»

[COM(2017) 282 final - 2017/0113 (COD)]

(2018/C 129/11)

Relatore:

Brian CURTIS

Consultazione

Parlamento europeo, 15.6.2017

Consiglio dell’Unione europea, 12.6.2017

Base giuridica

Articolo 91, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

22.11.2017

Adozione in sessione plenaria

6.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

121/0/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Conclusioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore questo ulteriore passo in avanti nell’eliminazione di alcuni degli ostacoli residui a un mercato unico efficace ed equo nel settore dell’autotrasporto europeo. In questo caso la direttiva di modifica è intesa a facilitare l’uso ottimale dei parchi veicoli in tutta Europa, in particolare durante i picchi stagionali, e attua un livello minimo di liberalizzazione. Eliminare le restrizioni all’uso di autoveicoli da trasporto merci per conto proprio è un passo nella giusta direzione.

1.2.

Il Comitato rimane del parere che l’elaborazione di misure legislative in materia di trasporti sarebbe inquadrata meglio in un regolamento piuttosto che in una direttiva, dato che quest’ultima consente maggiori differenze di interpretazione e un maggiore rigore nell’applicazione tra gli Stati membri. Tuttavia si riconosce che questa breve direttiva realizza i propri obiettivi e che, in questo caso, la sua conversione in un regolamento sarebbe stata sproporzionata.

Raccomandazioni

1.3.

Per prevenire la crescita delle società di comodo, il CESE chiede che vengano concordate ed applicate efficacemente da tutti gli Stati membri le misure proposte per rafforzare il regolamento (CE) n. 1071/2009 e il regolamento (CE) n. 1072/2009 ai fini dell’eliminazione delle società di comodo fraudolente. I risultati devono essere attentamente monitorati e devono far parte della relazione sull’efficacia della direttiva di modifica in esame.

1.4.

Qualora l’analisi effettuata durante il periodo di riesame ne dimostri la necessità, occorrerebbe applicare ulteriori misure per dissuadere gli operatori dall’approfittare delle differenze nelle tasse di immatricolazione dei veicoli che intercorrono tra gli Stati membri, ad esempio fissando un massimale relativo alla parte del parco veicoli di proprietà di un operatore che può essere trasferita temporaneamente a un affiliato in un altro Stato membro.

1.5.

Il Comitato constata che, malgrado l’impiego di metodi di tracciatura sempre più efficaci, il cabotaggio illegale rimane un serio problema nel settore del trasporto di merci su strada. Sussiste il rischio che la sua individuazione possa essere resa ancora più difficile dall’attuazione delle misure contenute nella direttiva in esame. Si potrebbero pertanto introdurre ulteriori requisiti per garantire che vi sia un nesso tracciabile tra una impresa e un veicolo.

2.   Introduzione

2.1.

La direttiva di modifica in esame è presentata nel quadro del pacchetto L’Europa in movimento, una serie di iniziative a vasto raggio volte a: accrescere la sicurezza dei trasporti; promuovere la tariffazione stradale intelligente; ridurre le emissioni di CO2, l’inquinamento atmosferico e la congestione del traffico; snellire gli oneri burocratici per le imprese; contrastare il lavoro nero e garantire condizioni e periodi di riposo confacenti ai lavoratori.

2.2.

Essa affronta alcune delle questioni ancora pendenti nella liberalizzazione dell’uso di veicoli noleggiati per il trasporto di merci nel mercato unico. Rimangono norme e regolamentazioni divergenti tra gli Stati membri, che sono state affrontate per la prima volta nel 1984 (1) mentre la successiva armonizzazione è avvenuta tramite una direttiva del 2006 (2). Tuttavia, anche dopo la trasposizione della direttiva in esame, in numerosi Stati membri resterà in vigore una serie di limitazioni.

2.3.

Il problema principale affrontato dalla presente modifica è l’interesse degli operatori a spostare il parco veicoli da una parte all’altra dell’UE in risposta alla domanda locale, cosa attualmente soggetta a restrizioni in base al diritto nazionale e all’applicazione di normative e requisiti operativi (soft law).

2.4.

Da un lato, gli operatori ritengono che l’attuale situazione limiti l’uso efficiente delle flotte europee di veicoli da trasporto. Dall’altro, i sindacati del settore trasporti temono che la proposta indebolisca ulteriormente l’essenziale legame tra l’operatore e i suoi mezzi, e riduca le capacità degli Stati membri di esercitare controlli e applicare le normative in relazione alla reale natura degli operatori registrati sul loro territorio. Gli stessi Stati membri non hanno un approccio uniforme alla questione, e una piccola minoranza di essi sostiene che andrebbe mantenuta la situazione attuale.

2.5.

Inoltre, i governi di alcuni Stati membri temono una perdita di entrate qualora i veicoli siano immatricolati in un paese, ma basati operativamente in un altro. La tassazione di un automezzo pesante, ad esempio, varia da circa 500 EUR in Lettonia a quasi 5 000 EUR in Irlanda (3).

2.6.

In precedenti pareri sui trasporti (4), il CESE ha asserito che, per ridurre le differenze nell’interpretazione e nel rigore dell’applicazione tra gli Stati membri, avrebbe dovuto schierarsi in favore del passaggio da una direttiva a un regolamento. Il CESE ritiene che questo principio rimanga valido, ma riconosce che in questo caso una rifusione completa della direttiva, sarebbe sproporzionata. Il Comitato osserva inoltre che, sebbene la forma giuridica della direttiva conceda agli Stati membri maggiore flessibilità nel recepimento e nell’applicazione, essa è anche più soggetta a provocare persistenti anomalie e differenze di interpretazione tra gli Stati membri.

3.   Sintesi del documento della Commissione

3.1.

Al termine di un ampio processo di riesame, consultazione ed analisi da parte della Commissione, la proposta in esame apporta modifiche alla direttiva del 2006, la quale consentiva agli Stati membri di limitare l’impiego di veicoli noleggiati per il trasporto di merci aventi un peso lordo superiore a sei tonnellate per le attività in conto proprio, e permetteva di limitare l’uso di un veicolo noleggiato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilita l’impresa che lo prende a noleggio.

3.2.

Le modifiche proposte, destinate ad approfondire e a rafforzare il mercato interno, eliminano la possibilità di limitare l’impiego di tutti i veicoli noleggiati per le attività in conto proprio. Sarà inoltre ammesso l’uso di un veicolo noleggiato in un altro Stato membro per un periodo di almeno quattro mesi, in modo da consentire alle imprese di far fronte a picchi di domanda temporanei o stagionali e/o di sostituire veicoli difettosi o guasti. Gli Stati membri con regimi più liberali (come il Belgio, la Repubblica ceca, l’Estonia e la Svezia) dovrebbero essere in grado di poterli mantenere in vigore.

3.3.

Si è optato per un periodo di quattro mesi per evitare possibili distorsioni nelle entrate, date le considerevoli differenze nella tassazione dei veicoli stradali tra gli Stati membri.

3.4.

La proposta dovrebbe assicurare agli operatori del settore dei trasporti di tutta l’UE la parità di accesso al mercato dei veicoli a noleggio, e fornire un quadro regolamentare uniforme, che garantisca agli operatori dei trasporti maggiore efficienza. Ulteriori vantaggi potrebbero consistere nell’aumento della sicurezza e nella riduzione dell’inquinamento, dato che i veicoli noleggiati sono in genere più nuovi.

3.5.

La Commissione redigerà entro cinque anni una relazione sull’attuazione di queste modifiche, che potrebbe servire da base per l’adozione di ulteriori misure.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il Comitato accoglie con favore le intenzioni alla base di questa direttiva di modifica, che rappresenta un ulteriore passo in avanti nell’eliminazione di alcuni degli ostacoli residui a un mercato unico efficace ed equo nel settore dell’autotrasporto europeo. In questo caso la direttiva di modifica è intesa a facilitare l’uso ottimale dei parchi veicoli in tutta Europa, in particolare durante i picchi stagionali, e attua un livello minimo di liberalizzazione. Eliminare le restrizioni all’uso di autoveicoli da trasporto merci per conto proprio è un passo nella giusta direzione.

4.2.

Il Comitato rimane del parere che l’elaborazione di misure legislative in materia di trasporti sarebbe inquadrata meglio in un regolamento piuttosto che in una direttiva, dato che quest’ultima consente maggiori differenze di interpretazione e un maggiore rigore nell’applicazione tra gli Stati membri. Tuttavia si riconosce che questa breve direttiva realizza i propri obiettivi e che, in questo caso, la sua conversione in un regolamento sarebbe stata sproporzionata.

4.3.

Il Comitato desidera esprimere alcune riserve riguardo a talune possibili conseguenze; che rientrano in due categorie, la prima comprende l’aumento delle società di comodo, la seconda riguarda la possibilità per gli operatori di effettuare illegalmente il cabotaggio senza rischiare di essere scoperti. Tali questioni sono illustrate qui di seguito.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

I veicoli commerciali di tutti i tipi sono beni costosi, e sempre più spesso vengono forniti agli operatori del trasporto da società di leasing. Per massimizzare l’efficienza delle operazioni di trasporto, la disponibilità di veicoli deve corrispondere alla domanda. Quest’ultima varia non solo stagionalmente, ma anche geograficamente, in funzione, per esempio, delle esigenze della produzione agricola o del turismo. Tuttavia, ai fini del rispetto delle norme di esercizio, dei requisiti di sicurezza e delle condizioni di lavoro dei conducenti, è importante che gli operatori dispongano, nel paese in cui operano, di mezzi e infrastrutture di supporto diretto.

5.2.

Le società di comodo sono soggetti stabiliti in un paese dell’UE dove non esercitano attività economiche (o lo fanno in misura minore) al fine di sfruttare il regime più favorevole per ridurre le tasse, i salari ecc. Esse hanno infrastrutture di supporto locali minime, se non inesistenti, creano situazioni di concorrenza sleale e possono anche sfruttare i loro lavoratori.

5.3.

La sfida derivante dalle società di comodo è stata riconosciuta in altre parti del pacchetto sulla mobilità, e sono state presentate misure (5) per affrontare questo problema. Il CESE riconosce che la questione delle società di comodo non rientra direttamente tra le responsabilità della direttiva di modifica in oggetto, ma teme che questa possa favorire la loro crescita e il loro funzionamento. Esso chiede pertanto che vengano concordate ed applicate efficacemente da tutti gli Stati membri le misure proposte per rafforzare il regolamento (CE) n. 1071/2009 e il regolamento (CE) n. 1072/2009 ai fini dell’eliminazione delle società di comodo fraudolente. I risultati devono essere attentamente monitorati e devono far parte della relazione sull’efficacia della direttiva di modifica in esame.

5.4.

Le misure non affronterebbero tuttavia la questione degli operatori che sfruttano i differenti livelli di tasse di immatricolazione in alcuni Stati membri. Non è escluso che gli operatori possano spostare a rotazione i veicoli tra differenti paesi per aggirare il limite di quattro mesi per l’uso in un altro paese.

5.5.

Questa preoccupazione appare giustificata in linea teorica, anche se le disposizioni necessarie per rimediare sarebbero complesse sul piano logistico. Il periodo di riesame chiarirà se tale possibile lacuna sarà effettivamente sfruttata. Se così fosse, il CESE suggerisce di integrare il limite di quattro mesi con ulteriori misure, ad esempio un massimale sulla parte della flotta di proprietà di un operatore che può essere trasferita a un operatore affiliato in un altro Stato membro.

5.6.

Il Comitato teme inoltre che possa venire facilitato il cabotaggio illegale. Il cabotaggio è il trasporto di merci per conto terzi, effettuato in uno Stato membro da un veicolo appartenente ad un trasportatore non residente, registrato in un altro Stato membro. (Un operatore di veicolo da trasporto merci con una licenza internazionale ordinaria dispone di un’autorizzazione comunitaria ad effettuare fino a tre operazioni di cabotaggio in sette giorni nello Stato membro ospite. Tali operazioni devono essere effettuate in seguito a un trasporto di merci da uno Stato membro allo Stato membro ospite.) In un mercato interno perfettamente concorrenziale le disposizioni restrittive sarebbero ovviamente superflue, ma tale obiettivo rimane allo stato di aspirazione. Sopprimendo le restrizioni sui veicoli noleggiati si renderebbe molto più facile per un trasportatore effettuare servizi di cabotaggio in modo permanente (cabotaggio illegale) noleggiando veicoli registrati nello Stato membro dove intende condurre questo tipo di attività.

5.7.

Il Comitato raccomanda di impedire questa forma di abuso valutando una serie di requisiti che consolidino e garantiscano un legame tracciabile tra la società e il veicolo. Tra tali requisiti dovrebbero figurare i seguenti:

dichiarazione obbligatoria della targa di tutti i veicoli utilizzati da un trasportatore nei registri elettronici nazionali,

accesso in tempo reale, da parte degli ispettorati della circolazione, ai registri elettronici nazionali nel corso dei controlli su strada e in azienda,

inclusione delle infrazioni alla direttiva sui veicoli noleggiati nel cosiddetto elenco relativo alla classificazione delle infrazioni che comportano la perdita dell’onorabilità.

Bruxelles, 6 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Direttiva 84/647/CEE.

(2)  Direttiva 90/398/CEE. Direttiva 2006/1/CE

(3)  Valutazione ex post della direttiva 2006/1/CE, relazione finale, gennaio 2016.

(4)  GU C 34 del 2.2.2017, pag. 176.

(5)  COM(2017) 281 che modifica i regolamenti (CE) n. 1071/2009 e (CE) n. 1072/2009 per adeguarli all’evoluzione del settore.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche dei trasporti ferroviari»

[COM(2017) 353 final - 2017/0146 (COD)]

(2018/C 129/12)

Relatore unico:

Raymond HENCKS

Consultazione

Commissione europea, 4.8.2017

Base giuridica

Articoli 91 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione

Adozione in sezione

22.11.2017

Adozione in sessione plenaria

6.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

158/0/1

1.   Sintesi e conclusioni

1.1.

La Commissione utilizza la rilevazione statistica dei trasporti ferroviari per valutare gli effetti delle azioni condotte dall’UE in questo settore e predisporre, se del caso, nuovi interventi.

1.2.

Tali statistiche, esistenti dal 1980, all’inizio erano parziali e poco dettagliate (1). Nel 2003 un nuovo atto giuridico, più precisamente il regolamento CE n. 91/2003 (atto originario), ha introdotto delle modifiche e delle aggiunte di contenuto. Da allora gli Stati membri devono raccogliere e trasmettere statistiche annuali, trimestrali o quinquennali relative alle prestazioni del trasporto di merci e di passeggeri, sulla base di indicatori specifici.

1.3.

Nel frattempo, l’atto originario è stato modificato e completato dai regolamenti (CE) n. 1192/2003, (CE) 219/2009 e (UE) 2016/2032, al punto che un gran numero di disposizioni si trovano disseminate in parte nell’atto originario e in parte nei successivi atti modificativi.

1.4.

La Commissione si è limitata ad effettuare una semplice «codificazione», integrando il contenuto dei vari regolamenti precedenti in un insieme armonizzato e coerente e senza alterarne il contenuto, fatta eccezione per la soppressione del paragrafo 5 dell’articolo 4 del regolamento (CE) n. 91/2003, che conferisce alla Commissione il diritto di modificare a suo piacimento gli allegati al suddetto regolamento per quanto riguarda elementi non essenziali.

1.5.

In linea con l’obiettivo di adeguatezza della regolamentazione (REFIT), il CESE non può che condividere l’iniziativa della Commissione, ma si chiede se le statistiche in questione non possano essere gestite meglio e integrare gli altri dati raccolti da Eurostat in materia.

Bruxelles, 6 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Direttiva 80/1177/CEE.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/76


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Un partenariato rinnovato con i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico»

[JOIN(2016) 52 final]

(2018/C 129/13)

Relatrice:

Brenda KING

Consultazione

Commissione europea, 27.1.2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Relazioni esterne (REX)

Adozione in sezione

7.11.2017

Adozione in sessione plenaria

7.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

165/1/2

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’accordo di partenariato di Cotonou tra l’Unione europea (UE) e i paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) scadrà nel 2020. Esso ha costituito la base della cooperazione e del dialogo in materia di politica, economia, commercio e aiuti allo sviluppo.

1.2.

L’UE e gli Stati ACP hanno avviato separatamente discussioni volte a individuare il quadro e la base possibili delle future relazioni. Tra le priorità che saranno probabilmente incluse, figurano la riduzione della povertà, le relazioni commerciali, la gestione dei flussi migratori e la lotta contro il riscaldamento globale. Le discussioni tra l’UE e gli Stati ACP saranno formalmente avviate entro agosto 2018.

1.3.

Il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e la Commissione europea hanno avviato nel 2015 un processo di consultazione pubblica per predisporre il quadro post-Cotonou, e nel novembre 2016 hanno pubblicato una comunicazione congiunta a sostegno di un accordo quadro che definisca valori e interessi comuni, con tre partenariati distinti con ciascuna delle tre regioni.

1.4.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la comunicazione congiunta, nonché l’opzione preferita dalla Commissione, di un accordo quadro con specifiche priorità regionali, che dovrebbero essere giuridicamente vincolanti. A giudizio del CESE, serve un nuovo accordo aggiornato che tenga conto delle nuove realtà, tra cui la preoccupazione dell’opinione pubblica europea circa l’aumento del rischio di attacchi terroristici, la percezione di flussi migratori incontrollati, il rischio di afflusso di rifugiati climatici a causa del drammatico aumento della popolazione africana, la crescente influenza di altre potenze regionali, e le azioni imprevedibili dell’attuale presidente degli Stati Uniti.

1.5.

Il CESE chiede inoltre che la società civile sia integrata meglio nel prossimo quadro, e dotata di un ruolo più incisivo, che vada al di là della consultazione. Ciò è importante per garantire il principio della coerenza delle politiche per lo sviluppo (CPS).

1.6.

Il CESE accoglie con favore il proposito di basarsi sull’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile (OSS), includendo caratteristiche specifiche dei fondi europei di sviluppo. Ciò integra il nuovo consenso europeo in materia di sviluppo, che ha come principale obiettivo l’eliminazione della povertà ma include anche la dimensione economica, sociale e ambientale dello sviluppo sostenibile. Il Comitato si rammarica tuttavia del fatto che l’Agenda 2030 non sia collocata al centro del futuro accordo, rinsaldando principi fondamentali quali l’universalità, la governance, le interconnessioni e l’indivisibilità degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

1.7.

Il CESE ritiene che qualsiasi futuro partenariato debba basarsi su un dialogo politico, piuttosto che su un rapporto donatore-beneficiario. Il CESE rileva che la comunicazione è correttamente allineata alla strategia globale dell’UE, ma raccomanda che qualsiasi futura cooperazione ACP-UE sia allineata anche alle strategie e agli obiettivi dei partner ACP.

1.8.

Il CESE raccomanda anche che venga rafforzata la dimensione politica e che sia previsto un forte meccanismo di monitoraggio, comprendente la società civile. Andrebbe mantenuto e rafforzato l’acquis dell’UE sul coinvolgimento della società civile, compreso il settore privato (organizzazioni della società civile), in tutte le fasi del futuro partenariato, con l’inclusione di dette organizzazioni, in un quadro istituzionalizzato, nel dialogo politico.

1.9.

Da un’inchiesta effettuata dal CESE presso i soggetti economici e sociali dei paesi ACP risulta che l’82 % degli interpellati è favorevole alla partecipazione dei soggetti non statali alle riunioni parlamentari, e il 78 % sostiene la loro partecipazione alle riunioni intergovernative, dove essi dovrebbero anche poter presentare relazioni e raccomandazioni.

1.10.

Il CESE constata con rammarico che la comunicazione congiunta non prende in considerazione, né a livello di accordo quadro, né nelle tre regioni, l’importanza delle organizzazioni della società civile. Il Comitato raccomanda di inserire nel futuro partenariato un meccanismo formale per il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nei processi di elaborazione, attuazione, monitoraggio e revisione, nonché nella prossima fase di negoziati. Il CESE è pronto a svolgere un ruolo centrale in tale processo.

1.11.

Il CESE constata l’assenza di qualsiasi riferimento al Fondo europeo di sviluppo (FES) e, a suo avviso, tale situazione cambierà con l’esito del quadro finanziario pluriennale (QFP) e la decisione sull’iscrizione in bilancio del FES. Il CESE ribadisce la raccomandazione espressa nel parere REX/455 «che tutte le forme di sostegno allo sviluppo che l’UE fornisce ai paesi terzi rientrino nel medesimo quadro giuridico e siano soggette allo stesso controllo democratico da parte del Parlamento europeo», mantenendo «però inalterati gli aspetti positivi del Fondo europeo di sviluppo». Il CESE ritiene inoltre che il Fondo per la pace in Africa e i nuovi progetti in materia di migrazione debbano essere finanziati al di fuori del Fondo europeo di sviluppo.

1.12.

Il CESE constata con soddisfazione che lo sviluppo umano è messo in rilievo come priorità specifica del futuro partenariato, e ritiene che debba essere una priorità per tutte e tre le regioni e che vada connesso agli obiettivi di sviluppo sostenibile.

1.13.

Il CESE apprezza l’affermazione contenuta nella comunicazione circa la piena protezione, la promozione e la realizzazione dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione delle donne e delle ragazze, oltre che sul riconoscimento del contributo fondamentale delle donne e delle ragazze alla pace e al consolidamento dello Stato, alla crescita economica, allo sviluppo tecnologico, alla riduzione della povertà, alla salute, al benessere, alla cultura e allo sviluppo umano. Constata tuttavia con rammarico che la comunicazione non spiega in dettaglio come sarà facilitata tale evoluzione.

1.14.

Il CESE si compiace del fatto che il commercio e gli accordi di partenariato economico (APE) saranno pienamente integrati nel nuovo partenariato. Ritiene che gli accordi commerciali, compresi gli accordi di partenariato economico, debbano utilizzare l’Agenda 2030 dell’ONU e l’accordo di Parigi (sul clima) come quadro di riferimento.

1.15.

Il CESE raccomanda che i negoziati relativi all’accordo di partenariato economico ACP-UE siano condotti in modo trasparente e coinvolgano la società civile. Gli accordi di partenariato economico dovrebbero contenere un capitolo sullo sviluppo sostenibile, con un attivo coinvolgimento della società civile nei processi di attuazione, monitoraggio e revisione.

1.16.

Il CESE osserva con soddisfazione che il clima è una delle priorità principali, ma nutre preoccupazione per il fatto che le priorità in materia di clima e di ambiente differiscono nelle tre regioni. Constata inoltre con inquietudine che l’attenzione si concentra sulle azioni richieste ai paesi ACP, mentre non viene menzionata la responsabilità dell’UE per la sua impronta ambientale o il suo impatto sulle risorse naturali e gli ecosistemi in questi paesi in via di sviluppo.

2.   Contesto

2.1.

Tra l’UE e 79 paesi ACP vige un accordo a vasto raggio e giuridicamente vincolante di cooperazione internazionale, che ha unito oltre metà degli Stati del mondo. Denominato accordo di partenariato di Cotonou (o accordo di Cotonou), esso è stato firmato nel Benin nel 2000, ed è volto a rafforzare la cooperazione di lunga data tra l’UE e i paesi ACP in campo politico, di scambi commerciali e di sviluppo. L’accordo ha portato alla creazione di una serie di istituzioni, chiamate ad agevolare la cooperazione ACP-UE a livello di governi, funzionari pubblici, membri dei parlamenti, enti locali e organizzazioni della società civile, compreso il settore privato. Esso si fonda su una relazione storica tra l’UE e le sue ex colonie, che da allora si è sviluppata attraverso l’adozione di una serie di accordi: dagli accordi di associazione della prima e della seconda convenzione di Yaoundé tra la Comunità economica europea e le ex colonie francesi in Africa (1963-1975), alle successive convenzioni di Lomé tra l’UE e i paesi ACP (1975-2000), fino all’ultimo accordo di partenariato firmato a Cotonou (2000).

2.2.

Le convenzioni di Lomé conferiscono ai paesi ACP uno status giuridico che consente loro di creare un modello di sviluppo e di richiedere un accesso privilegiato al mercato comune. Questo quadro ha dato un peso maggiore a paesi dei Caraibi e del Pacifico che avevano poche probabilità di beneficiare di questo tipo di modello di sviluppo in accordi bilaterali. Sebbene il tasso di povertà sia diminuito, la quota dei paesi ACP nel mercato interno è diminuita dal 6,7 % del 1976 al 3 % del 1998.

2.3.

Inteso a rafforzare il partenariato, l’accordo di Cotonou si articola in tre pilastri: politico, commerciale e dello sviluppo sostenibile. L’obiettivo iniziale di tale accordo di portata generale era promuovere lo sviluppo nei paesi ACP, incoraggiando nel contempo la diversificazione delle loro economie grazie alla creazione di un contesto per l’imprenditorialità e gli investimenti.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Poiché l’accordo di Cotonou giungerà a scadenza nel 2020, il 22 novembre 2016 la Commissione europea e l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza hanno pubblicato una comunicazione congiunta, nella quale vengono presentate tre opzioni basate sui risultati della consultazione pubblica lanciata il 6 ottobre 2015. La prima opzione prevede il rinnovo dell’accordo di partenariato di Cotonou con i paesi ACP. Essa comporterebbe il vantaggio di mantenere il formato ACP, ma non condurrebbe a un accordo comprendente le specifiche priorità individuate dalle parti, e non terrebbe conto di rilevanti cambiamenti intervenuti dal 2000, quali l’ampliamento dell’UE, le priorità divergenti nei paesi ACP e la crescente importanza di organizzazioni regionali quali l’Unione africana.

3.2.

La seconda opzione consiste in una completa regionalizzazione delle relazioni tra l’UE e i paesi ACP. Tale approccio, pur rispecchiando le differenze che intercorrono tra le tre regioni, ignorerebbe la volontà espressa dai paesi ACP di rimanere uniti, nonché l’auspicio comune di utilizzare il formato UE-ACP per influire sulle istituzioni internazionali.

3.3.

L’opzione privilegiata è la terza, che sembra aver suscitato consenso su tutti i versanti. La revisione comporta qui la conclusione di un accordo quadro comune con tre pilastri regionali: «la terza opzione costituisce un accordo con i paesi partner, comprendente tre distinti partenariati regionali, con l’Africa, con i Caraibi e con il Pacifico, con la possibilità di uno stretto coinvolgimento di altri paesi in quanto parti di un quadro comune. Tale quadro definirebbe valori comuni, principi, dettagli essenziali e interessi, il che implica la cooperazione tra i soggetti coinvolti, attraverso il ricorso al consolidato acquis degli ACP. Esso fornirebbe inoltre specifici meccanismi di cooperazione sulla scena mondiale. I tre partner regionali utilizzerebbero e integrerebbero quelli già esistenti, come ad esempio la strategia comune UE-ACP, e predisporrebbero priorità e azioni concentrate su dettagli specifici nel programma di partenariato in ognuna delle tre regioni». Questo assetto istituzionale proposto dalla Commissione, composto da tre diversi partenariati regionali — con l’Africa, i Caraibi e il Pacifico — nel quadro di un assetto complessivo, mantiene l’acquis e i vantaggi del formato UE-ACP, consentendo al tempo stesso iniziative di sviluppo differenziate in funzione della regione. Inoltre, in base a questa opzione privilegiata, in futuro si potrà consentire la partecipazione di altri paesi non ACP, come gli altri paesi meno sviluppati (PMS), o quelli dell’Africa settentrionale.

3.4.

Il CESE accoglie con favore l’intenzione della Commissione europea di rendere il partenariato giuridicamente vincolante, pur mantenendolo flessibile e reattivo affinché possa adattarsi a un contesto in evoluzione. Il CESE raccomanda che l’accordo post-Cotonou definisca chiaramente il concetto di «giuridicamente vincolante» e comprenda procedure di consultazione e di sanzione in caso di violazione dei diritti umani, dei principi democratici e, in particolare, dello Stato di diritto. Il CESE osserva che i paesi ACP sostengono il carattere vincolante del futuro accordo (1), e ritiene che ciò garantirebbe prevedibilità, trasparenza e responsabilità reciproca.

3.5.

Esiste l’opportunità, offerta dalla recente adozione di quadri internazionali (quali l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, il programma d’azione di Addis Abeba, il quadro di Sendai e l’Agenda urbana delle Nazioni Unite), di includere tali quadri in un nuovo accordo, avviando le parti di tale accordo verso la sostenibilità, nell’interesse delle persone, della prosperità e del pianeta. Il futuro partenariato dovrebbe basarsi su tali quadri e impegni internazionali, attuandoli in modo integrato, inclusivo e sostenibile.

3.6.

Il futuro accordo dovrebbe dare priorità allo sviluppo umano, alla luce del duplice impatto della crescita demografica esponenziale e dei cambiamenti climatici, cui fanno fronte i paesi ACP. Ne deriveranno delle sfide nei campi dell’alimentazione, della sicurezza alimentare, della tutela ambientale e della realizzazione della prosperità per tutti.

3.7.

Un elemento di base del futuro partenariato dovrebbe essere la coerenza delle politiche per lo sviluppo (CPS), in modo da garantire che tutte le politiche interne ed esterne dell’UE rafforzino lo sviluppo sostenibile nell’UE e nel mondo.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   Coinvolgimento della società civile nel futuro partenariato ACP-UE

4.1.1.

Il CESE si compiace che l’articolo 6 dell’accordo di Cotonou sostenga il coinvolgimento dei soggetti non statali, riconoscendoli quali soggetti essenziali del partenariato. Si rammarica tuttavia che la cooperazione sia rimasta fortemente orientata in funzione dei governi, sebbene si riconosca che il dialogo politico è importante per promuovere la partecipazione della società civile al processo di sviluppo. Vi sono alcune eccezioni, vale a dire, l’Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE, l’Assemblea parlamentare Cariforum-UE, il comitato consultivo Cariforum-UE e il comitato Cariforum-UE per il commercio e lo sviluppo. Tali organi potranno essere ulteriormente rafforzati in futuro.

4.1.2.

Il CESE sottolinea nuovamente il ruolo cruciale svolto dai soggetti non governativi nelle relazioni ACP-UE, attraverso il processo di sviluppo sostenibile e nel monitoraggio degli accordi di partenariato economico (APE). L’Agenda 2030 delle Nazioni Unite riconosce il ruolo della società civile, in quanto stabilisce che «la portata e l’ambizione della nuova agenda richiedono, per garantirne l’attuazione, un partenariato globale rinnovato … che faciliterà un intenso impegno globale a sostegno della realizzazione di tutti gli obiettivi e traguardi, riunendo insieme governi, il settore privato, la società civile, il sistema delle Nazioni Unite e altri soggetti, e mobilitando tutte le risorse disponibili».

4.1.3.

Il CESE constata con delusione che alcuni paesi ACP, e negli ultimi tempi l’UE, stanno introducendo legislazioni restrittive per limitare l’attività dei soggetti non statali, il che, in qualche caso, ha ripercussioni negative sulla partecipazione attiva delle organizzazioni della società civile. L’indice di sostenibilità delle organizzazioni della società civile del 2016 (2) evidenzia che in molti paesi dell’Africa subsahariana queste organizzazioni, e in particolare quelle concentrate sulla sensibilizzazione e sui diritti umani, si trovano a fronteggiare crescenti restrizioni o minacce di restrizione della loro attività.

4.1.4.

Il CESE raccomanda che il nuovo quadro normativo concordato rafforzi la legittimità delle organizzazioni della società civile in particolare, e dei soggetti non statali in generale, quali indispensabili parti in causa nei processi decisionali, grazie all’inclusione delle organizzazioni della società civile, sia dei paesi ACP che dell’UE, nei principi giuridicamente vincolanti dell’accordo. In tale contesto dovrebbe figurare un quadro strutturato tra le organizzazioni della società civile e tutte le istituzioni comuni ACP-UE. Il CESE chiede pertanto un maggiore impegno sul piano tecnico e finanziario per incoraggiare e sostenere la partecipazione attiva delle organizzazioni della società civile.

4.2.   Commercio e sviluppo sostenibile

4.2.1.

In base alla quarta convenzione di Lomé, i paesi ACP hanno beneficiato di preferenze non reciproche concesse unilateralmente dall’UE affinché potessero esportare la loro produzione nel mercato comune, e di un sistema per compensare la perdita di proventi da esportazione in caso di fluttuazioni dei tassi di cambio o di calamità naturali. Questo meccanismo è stato giudicato contrario al principio della nazione più favorita dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e quindi, per conformare il nuovo accordo di Cotonou alle regole dell’Organizzazione, sono stati concepiti degli accordi di partenariato economico (APE), onde porre rimedio e consentire ai paesi ACP di integrarsi nell’economia mondiale.

4.2.2.

L’Europa ha quindi negoziato accordi di partenariato economico con le sei regioni che comprendono i 79 paesi ACP, per creare partenariati congiunti in termini di scambi commerciali e sviluppo, sostenuti da aiuti allo sviluppo. Dal 2000 al 2008 l’accesso al mercato europeo è stato conseguito mediante la preferenza nazionale non reciproca, comprendente un sistema di deroghe alle regole dell’OMC. A partire dal 2008 sono stati firmati accordi di libero scambio (ALS) nel quadro degli accordi di partenariato economico, ma l’apposizione delle firme richieste e la successiva attuazione sono risultate una continua sfida. Sebbene a tutt’oggi siano stati istituiti sei accordi di partenariato economico, la ratifica della maggior parte di essi è stata ostacolata. Nel 2007 l’Europa ha firmato con 15 Stati dei Caraibi il primo di questi accordi, entrato in vigore in via provvisoria nel dicembre 2008. In Africa il risultato è stato più eterogeneo. Sedici Stati dell’Africa occidentale, due organizzazioni regionali (ECOWAS e UEMOA), e la Comunità dell’Africa orientale hanno raggiunto un accordo nel 2014, ma esso è ancora alla firma. I paesi della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe hanno firmato l’accordo di partenariato economico nel 2016. Infine l’accordo di partenariato economico interinale tra l’Europa e gli Stati del Pacifico è stato firmato da Papua Nuova Guinea e dalle Figi nel 2009, poiché questi due paesi rappresentano la maggior parte degli scambi commerciali tra l’Europa e i paesi del Pacifico.

4.2.3.

L’accordo di Cotonou include quindi una dimensione importante in termini di scambi commerciali. Infatti nel 2012 l’UE è stata il secondo partner commerciale dei paesi ACP, dopo gli Stati Uniti, superando il Venezuela, la Cina, il Brasile, il Canada e l’India. Essa rappresenta il 12,1 % del commercio dei paesi ACP, una quota inferiore a quella degli Stati Uniti (35,7 %), ma maggiore di quella cinese (6,9 %) (3).

4.2.4.

Secondo il Centro per il commercio internazionale, tra il 2003 e il 2012 la quota di mercato dei paesi ACP nell’economia mondiale è passata dall’1,4 % all’1,7 %, mentre nello stesso periodo la quota di mercato dell’UE-28 nel mercato ACP è passata dal 10,9 % all’11,5 %. Tuttavia dal 2010 i paesi ACP hanno risentito delle conseguenze della crisi economica del 2008, e il valore totale della loro bilancia commerciale è sceso. Nel 2015 le loro esportazioni ammontavano a 320,7 miliardi di dollari USA (rispetto ai 495,1 miliardi del 2011) e le importazioni raggiungevano i 439,6 miliardi di dollari (contro i 500,2 miliardi del 2014).

4.2.5.

Il CESE raccomanda che nella revisione dell’accordo di Cotonou si cerchi di riconciliare i paesi ACP con l’espansione del commercio, dato che tra gli ACP figura ancora l’80 % dei paesi meno sviluppati. Il CESE nota inoltre che l’agricoltura rappresenta il 90 % delle esportazioni dei paesi ACP, e dà lavoro alla maggior parte della popolazione attiva. In media il 20 % della ricchezza nazionale deriva da redditi agricoli, con estreme variazioni tra un paese ACP e l’altro. Ad esempio, metà del PIL del Ciad proviene dalla produzione agricola, contro una media dell’1 % nei Caraibi (4).

4.2.6.

Commercio e integrazione regionale: l’accordo di partenariato economico è inteso a promuovere l’integrazione regionale e si fonda sull’idea che una maggiore integrazione regionale favorisca la capacità di scambio commerciale che, a sua volta, promuove la crescita, l’occupazione e lo sviluppo economico. Per agevolare gli scambi intra-ACP e gli investimenti in infrastrutture, compresa l’energia pulita, bisogna aiutare gli ACP ad orientarsi verso la produzione e l’esportazione di prodotti intermedi e di prodotti finiti, muovendosi verso l’alto nella catena del valore globale. Ciò richiederà anche un efficiente settore marittimo. Il CESE raccomanda pertanto che i trasporti marittimi siano inclusi nell’agenda dell’UE per le politiche commerciali e di sviluppo.

4.2.7.

Commercio e sviluppo sostenibile: il futuro partenariato dovrebbe collocare il commercio e gli accordi di partenariato economico nel quadro dell’Agenda 2030 e dell’accordo di Parigi. Gli accordi di partenariato economico dovrebbero contenere un capitolo, dotato di forza esecutiva, sullo sviluppo sostenibile, con un quadro formale e strutturato per l’inclusione delle organizzazioni della società civile. I futuri negoziati ACP-UE dovrebbero svolgersi in modo trasparente, coinvolgendo le organizzazioni della società civile nel monitoraggio dei negoziati, oltre che nell’attuazione e nel monitoraggio dell’accordo.

4.3.   Cooperazione allo sviluppo

4.3.1.

Gli strumenti e i metodi di cooperazione sono intesi a rendere operativi i principi dell’accordo di Cotonou, concentrandosi sui risultati, sul partenariato e sulla titolarità. La programmazione e l’attuazione del Fondo europeo di sviluppo (FES) sono pertanto concepite come una responsabilità congiunta.

4.3.2.

Il FES è finanziato direttamente con i contributi volontari degli Stati membri dell’UE al di fuori del bilancio UE ma, per garantire la coerenza, è negoziato in parallelo con altri strumenti di finanziamento dell’azione esterna dell’UE. È gestito dalla Commissione europea e dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). Quest’ultima gestisce il Fondo investimenti e fornisce alle imprese private dei paesi ACP prestiti, garanzie e fondi provenienti dal FES e dalle sue risorse proprie, per progetti a breve e a lungo termine nel settore pubblico e in quello privato.

4.3.3.

Le dotazioni complessive del FES sono aumentate, ma è probabile che diminuiscano in seguito alla Brexit, mentre il suo carattere intergovernativo e la sua struttura di governance sono rimasti inalterati, il che gli ha consentito di diventare il maggiore elemento della cooperazione allo sviluppo dell’UE, a parte il quadro finanziario pluriennale (QFP). L’unicità del FES, dal punto di vista della sua storia e del suo status giuridico, come anche la sua base intergovernativa, fanno sì che il Parlamento europeo non abbia poteri di codecisione al suo riguardo. La commissione Sviluppo del Parlamento europeo tiene però discussioni di strategia generale ed è una parte interessata importante dell’accordo di Cotonou. Inoltre, l’Assemblea parlamentare paritetica ha la facoltà di esercitare il controllo parlamentare in merito alle dotazioni assegnate al FES nei programmi indicativi nazionali (PIN) e in quelli regionali (RIP).

4.3.4.

Il FES e l’iscrizione in bilancio: il Parlamento europeo, attraverso la specifica procedura di discarico, concede il discarico alla Commissione europea per la gestione e l’attuazione del FES. L’iscrizione in bilancio, ossia l’inclusione del FES nel bilancio dell’UE, rimane una fonte di attrito tra il Parlamento europeo e il Consiglio, sebbene la Commissione abbia proposto, in più occasioni, di integrare il FES nel bilancio UE.

4.3.5.

Il CESE ritiene che tutte le forme di sostegno allo sviluppo che l’UE fornisce ai paesi terzi debbano rientrare nel medesimo quadro giuridico e debbano essere soggette allo stesso controllo democratico da parte del Parlamento europeo. Il Comitato chiede pertanto che il FES sia integrato nel bilancio UE, ma che al tempo stesso ne siano mantenuti gli aspetti positivi (per esempio, la reciprocità e la mutua assunzione di responsabilità). Ne risulterebbe una maggiore coerenza della politica di sviluppo dell’UE.

Bruxelles, 7 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Sipopo Declaration: the future of the ACP group in a changing world. 7th Summit of the ACP heads of state and government: challenges and opportunities (Dichiarazione di Sipopo: il futuro del gruppo ACP in un mondo che cambia. 7o Vertice dei capi di Stato e di governo ACP: sfide e opportunità), 13 e 14 dicembre 2012.

(2)  https://www.usaid.gov/africa-civil-society.

(3)  https://www.robert-schuman.eu/en/european-issues/0440-post-cotonou-the-modernisation-of-the-acp-partnership.

(4)  Comunicato stampa della segreteria ACP: The new ACP policy highlights the transformation of the products from the agricultural sector, 15 giugno 2017.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/82


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Iniziativa per lo sviluppo sostenibile dell'economia blu nel Mediterraneo occidentale»

[COM(2017) 183]

(2018/C 129/14)

Relatore:

Dimitris DIMITRIADIS

Consultazione

Commissione, 31.5.2017

Base giuridica

Articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea

Sezione competente

REX

Adozione in sezione

7.11.2017

Adozione in sessione plenaria

6.12.2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

159/1/1

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'evoluzione socialmente e ambientalmente sostenibile dei bacini marittimi e delle zone costiere, per contrastare le disparità esistenti e garantire la conservazione della diversità culturale e della biodiversità, riveste enorme importanza. Inoltre, questo è uno dei settori maggiormente prescelti per approntare programmi per una cooperazione transnazionale, all'interno e all'esterno dell'UE. In tale ottica, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) fornisce pieno supporto all'iniziativa specifica per lo sviluppo sostenibile dell'economia blu nel Mediterraneo occidentale e sollecita le istituzioni europee a concludere il ciclo di consultazioni e a istituire la task force pertinente.

1.2

Il CESE ritiene che il successo di tale iniziativa presupponga una buona comunicazione e un ambiente idoneo per la collaborazione tra gli Stati interessati dal progetto e, in secondo luogo, le istituzioni europee. L'Unione per il Mediterraneo (UpM) è esortata a svolgere un ruolo importante nel collegare in modo efficiente tutte le parti coinvolte.

1.3

Il CESE riconosce la necessità di estendere l'iniziativa nei tre modi seguenti:

1.3.1

proponendo un ulteriore ampliamento tematico, per includere, oltre ai settori di intervento già previsti nell'iniziativa — (1) uno spazio marittimo più sicuro e protetto, (2) un'economia blu intelligente e resiliente e l'attenzione focalizzata sullo sviluppo delle competenze, sulla ricerca e sull'innovazione, (3) una migliore governance del mare — anche la biodiversità e la conservazione, nonché la comunicazione interculturale, e raccomandando una strategia più concreta per sostenere le attività produttive su piccola scala e su scala molto ridotta;

1.3.2

in aggiunta, il CESE è dell'opinione che sarà di grande importanza includere l'evoluzione progressiva e la collaborazione transnazionale tra i sistemi di formazione accademici e professionali come area di intervento orizzontale, per incrementare così l'efficienza di altri settori dell'economia blu; in tal senso, si dovrebbe adottare un approccio strategico macroregionale;

1.3.3

la sicurezza (dei trasporti) in mare, le questioni legate alla protezione, la crescita economica sostenibile e la conservazione culturale e ambientale non saranno affrontate in modo efficiente nel lungo termine se si trascura il fatto che il Mediterraneo costituisce un'unità storica, economica e ambientale (1). Pertanto, se, da un lato, l'intensificarsi delle tensioni geopolitiche e l'inasprirsi dei conflitti nella parte orientale del bacino marittimo hanno indotto ad avviare l'iniziativa nel Mediterraneo occidentale, quest'ultima deve essere considerata come un progetto pilota che può fornire esperienze utili e migliori prassi e può essere estesa sulla base di un approccio olistico in tutto il Mediterraneo (cfr. anche punti 3.3, 3.4 e 3.5).

1.4

Il CESE prevede che il successo di questa iniziativa richiederà un alto livello di coordinamento transnazionale e trasversale. Le politiche e i programmi per il Mediterraneo attuati negli ultimi venti anni hanno prodotto risultati poco soddisfacenti e hanno lasciato inutilizzati importi considerevoli dei fondi messi a disposizione, per via di atteggiamenti divergenti e di una mancanza di coordinamento efficiente tra le istituzioni comunitarie e le amministrazioni pubbliche nei paesi del Mediterraneo non appartenenti all'UE, e a causa del fatto che, in taluni casi, la burocrazia, celata dietro il pretesto della trasparenza, ha provocato barriere eccessive per l'utilizzo dei fondi esistenti. Ciò comporta la necessità di un sottoprogetto di assistenza tecnica che includa i seguenti aspetti:

1.4.1

un'analisi comparativa approfondita che determini con esattezza i settori di sovrapposizione nella marea esistente di iniziative con priorità simili (se non identiche) (cfr. punti 3.9 e 3.10), al fine di risparmiare risorse e potenziare i risultati finali. Il CESE sottolinea il rischio che l'attuazione dell'iniziativa venga rinviata o addirittura cancellata, se non vi è una chiara definizione degli obiettivi di medio e lungo termine e/o se non è presente una definizione specifica delle competenze degli organi e delle istituzioni partecipanti;

1.4.2

un piano generale operativo, che definirà le competenze della task force per l'economia blu, gli strumenti organizzativi/amministrativi specifici, i ruoli distinti delle istituzioni regionali, nazionali e internazionali coinvolte, oltre a una programmazione ben determinata (cfr. anche punti 4.5 e 4.6). Tenuto conto che le istituzioni nell'ambito della ricerca svolgeranno un ruolo significativo, l'autore/gli autori di tale piano direttore dovrebbero considerare anche l'eterogeneità regionale in riferimento all'esistenza di un settore di ricerca e sviluppo (R&S) competente e che vanta una considerevole esperienza, nonché esempi esistenti di collaborazione nel campo R&S di successo sulle due sponde del Mediterraneo;

1.4.3

la pianificazione e l'attuazione di una strategia di comunicazione sufficientemente ampia, che pubblicizzi il contenuto dell'iniziativa per l'economia blu e le opportunità e prospettive risultanti, al fine di (i) individuare tutte le istituzioni e tutti i soggetti interessati che possono essere inclusi e/o coinvolti, soprattutto a livello regionale e locale, e (ii) far circolare tra questi ultimi le informazioni pertinenti.

1.5

In considerazione delle raccomandazioni generali di cui sopra, vengono riportate qui di seguito conclusioni dettagliate e proposte pertinenti.

1.5.1

Il CESE concorda con l'opinione secondo cui nella lotta contro il terrorismo e la criminalità, sussiste la necessità di una collaborazione in rete più efficiente tra le autorità delle frontiere marittime e terrestri sulle due sponde, nonché uno scambio sistematico e un'analisi dei dati, in stretta cooperazione con Frontex e con altre istituzioni globali transazionali come l'Organizzazione marittima internazionale (IMO).

1.5.2

Tuttavia, dato il collegamento in rete delle autorità di frontiera terrestre e marittima, il CESE intende dedicare particolare attenzione alle norme di buona governance e all'esigenza di considerare attentamente i diritti umani, sia individuali che collettivi (cfr. anche il punto 4.1).

1.5.3

Affinché la pianificazione spaziale e la gestione delle zone costiere possano essere efficienti, dovrebbe essere adottato l'approccio della «quadrupla elica», a livello transnazionale e, in particolare, a livello regionale/locale. In tal senso, è necessario un maggiore coinvolgimento delle autorità locali (comuni e regioni), nonché delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, nell'ambito del rispettivo campo di attività. A tal fine, la Commissione dovrebbe invitare i soggetti interessati del settore privato e pubblico locale a partecipare alle consultazioni sulla Comunicazione e sui settori di intervento specifici: protezione e sicurezza dei trasporti, pesca, turismo ed energia, coesione sociale e sostenibilità ambientale (cfr. anche i punti 4.2.1 e 4.3).

1.5.4

La «crescita blu» (2) è una delle principali strategie a lungo termine per conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva: pesca e acquacoltura, (eco)turismo costiero, logistica marittima (di crescente importanza per il Mediterraneo per via degli attuali sviluppi geopolitici ed economici), biotecnologie marine, energia degli oceani ed estrazione mineraria nei fondali marini offrono nuove e molteplici opportunità imprenditoriali.

1.5.5

Le piccole imprese e le microimprese, le unità artigianali e le aziende a gestione familiare con strutture organizzative, attività e piani operativi tradizionali costituiscono la colonna portante delle economie locali sulle due sponde del bacino mediterraneo. In tal senso, i programmi cooperativi e di collaborazione in rete per i piccoli produttori e i microproduttori possono altresì migliorare la resilienza e la competitività a livello di costi, preservando al contempo la differenziazione indispensabile dei beni e dei servizi che forniscono. Pertanto, il CESE ritiene che, oltre all'imprenditorialità innovativa e tecnologicamente avanzata, è almeno altrettanto importante promuovere anche programmi specifici e adattati per le attività economiche tradizionali, tenendo conto delle peculiarità locali (cfr. punti 3.6, 3.7, 4.2.2, 4.2.3 e 4.2.4).

1.5.6

La povertà e la disoccupazione giovanile possono acutizzarsi nei prossimi anni, in particolare nei paesi del Mediterraneo meridionale, per questo motivo garantire un migliore equilibrio tra domanda e offerta nel mercato del lavoro può essere importante, ma non sarà sicuramente sufficiente per affrontare i problemi di disoccupazione, coesione sociale e sostenibilità. In tal senso, le azioni di sviluppo riassunte al punto 1.5.5, sono essenziali per la creazione di nuove offerte di lavoro sostenibili e per il miglioramento del livello di vita in settori specifici. Queste azioni di sviluppo devono essere programmate attentamente, in cooperazione con le istituzioni e gli enti locali. Inoltre, queste politiche localizzate rappresentano il modo più efficiente per invertire i fattori che spingono alla migrazione; pertanto dovrebbero essere intese come principale strumento per far fronte ai crescenti flussi migratori e ai conseguenti problemi socioeconomici sulle due sponde, e per affrontare le questioni legate alla protezione e alla sicurezza e la lotta contro la criminalità e il terrorismo (punto 1.5.1).

1.5.7

Per quanto concerne la pesca, il CESE ritiene: (i) che la flessibilità del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP) dovrebbe essere incrementata al fine di eliminare le barriere tra i livelli della pubblica amministrazione, e (ii) che il ruolo della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM) dovrebbe essere rafforzato al fine di effettuare un'inversione di tendenza della situazione tuttora sfavorevole delle popolazioni di molte specie ittiche, in coordinamento e in stretta collaborazione con i paesi del Mediterraneo non appartenenti all'UE (cfr. anche punti 4.3.4 e 4.3.5).

2.   Contesto della Comunicazione

2.1

Nel novembre 2015 la Conferenza ministeriale sull'economia blu (3) dell'UpM ha adottato una dichiarazione per l'ulteriore sviluppo dell'economia blu (4) rafforzando gli investimenti nella tecnologia, nell'innovazione, nelle conoscenze e nelle competenze pertinenti, nonché nella governance marittima.

2.2

Nell'ottobre 2016 i ministri degli Esteri nell'ambito del «dialogo 5+5», Algeria, Libia, Mauritania, Marocco e Tunisia, più Francia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna, hanno caldeggiato la prosecuzione dei lavori su un'iniziativa per lo sviluppo sostenibile dell'economia blu, nel quadro dell'Unione per il Mediterraneo (5).

2.3

La Comunicazione in oggetto (6) e il quadro d'azione che la accompagna [SWD(2017) 130] (7) fanno seguito a tale richiesta. Entrambi i documenti stabiliscono di sfruttare le opportunità e affrontare le sfide in una regione che necessita di un coordinamento multilaterale e di una collaborazione internazionale che si deve estendere oltre le frontiere dell'Unione europea (UE).

2.4

Inoltre, l'iniziativa della Commissione europea su cui si verte la Comunicazione in oggetto poggia sulla lunga esperienza maturata con il bacino marittimo e le strategie macroregionali: si consideri ad esempio la strategia per l'Atlantico, la strategia dell'UE per la regione del Mar Baltico e la strategia dell'UE per la regione adriatica e ionica (8). Tale iniziativa beneficia altresì del dialogo regionale che si svolge sull'economia blu nell'ambito dell'UpM (summenzionata), della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (9), della Convenzione di Barcellona per la protezione dell'ambiente marino e delle regioni costiere del Mediterraneo (10), nonché nel quadro dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile (11) e nel contesto degli sforzi effettuati per attuare la strategia mediterranea per lo sviluppo sostenibile (12).

2.5

Inoltre, la comunicazione in oggetto è in linea con l'evoluzione della discussione scientifica e sociopolitica mondiale. L'economia blu rappresenta già una delle principali questioni contemporanee, anzitutto per l'importanza delle risorse marine e oceaniche e il rispettivo potenziale di crescita economica legata ai mari e agli oceani, e in secondo luogo perché la sostenibilità dei mari e degli oceani costituisce il parametro fondamentale della salvaguardia dell'ambiente globale (13).

2.6

La Commissione riconosce la necessità di una maggiore sicurezza e protezione, di una crescita economia sostenibile e di posti di lavoro, nonché l'esigenza della conservazione degli ecosistemi e della biodiversità nel Mediterraneo occidentale. In altri termini, essa intende contribuire alla promozione dello sviluppo economico socialmente e ambientalmente sostenibile nel bacino marittimo, nelle regioni costiere settentrionali e meridionali, nei porti e nelle città che costituiscono un sistema integrato per la mobilità delle persone e delle merci, andando ben al di là delle discontinuità amministrative e politiche esistenti. A tal fine, vengono evidenziati tre settori di sfide:

2.6.1

sicurezza e protezione delle attività marittime: secondo la Comunicazione, il Mediterraneo occidentale presenta zone di congestione del traffico che saranno esposte a rischi maggiori (in termini di incidenti nel settore dei trasporti) a causa degli sviluppi economici e geopolitici futuri, quali il raddoppio del Canale di Suez. D'altro canto, le questioni relative alla sicurezza sono già considerevoli (la migrazione illegale ne è un indizio) mentre si prevede che le attuali tendenze socioeconomiche e demografiche, unitamente agli effetti del cambiamento climatico, intensificheranno la concorrenza per le risorse e l'instabilità geopolitica;

2.6.2

alti tassi di disoccupazione giovanile rispetto all'invecchiamento della forza lavoro nel settore marittimo: la Comunicazione riconosce un noto paradosso occupazionale, ovverosia una forza lavoro inutilizzata, da un lato, e posti di lavoro vacanti non occupati, dall'altro lato, un'incongruenza concentrata soprattutto nei settori e negli ambiti legati all'economia blu. La Commissione ritiene che la situazione attuale sia principalmente (se non esclusivamente) dovuta a uno squilibrio, pertanto focalizza l'attenzione sulla mancanza di dialogo e collaborazione tra l'industria e il sistema dell'istruzione;

2.6.3

interessi divergenti e contrastanti in mare: in base ai dati presentati nella Comunicazione, il Mediterraneo occidentale vanta la maggiore biodiversità dell'intero bacino. Al contempo, in esso si concentra circa la metà del PIL mediterraneo proveniente dalle principali attività marittime (turismo, acquacoltura, pesca e trasporti) il che determina una crescente urbanizzazione delle zone costiere, un eccessivo sfruttamento degli stock ittici, inquinamento marino e problematiche più ampie legate alla conservazione. In considerazione del carattere transnazionale degli interessi in questione e delle gravi disparità socioeconomiche, tali fattori giustificano pienamente l'opinione della Commissione secondo cui in questa regione «si concentrano pressioni economiche, demografiche e ambientali».

2.7

Nel complesso, la Commissione riconosce che il quadro esistente dei piani di cooperazione sulle due sponde del bacino marittimo non si è ancora dimostrato sufficientemente efficiente. In tal senso, l'iniziativa affronta una necessità esistente. Ciononostante, il successo della gestione di questa sfida dipende da numerose variazioni e rettifiche specifiche e generali. Si proverà a illustrare molte di queste nei paragrafi di seguito riportati.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE sostiene gli sforzi della Commissione volti a consolidare e sviluppare una catena di consumo e produzione sostenibile, ad esempio mediante l'utilizzo di fonti di energia pulita per la desalinizzazione dell'acqua di mare, la promozione dell'efficienza energetica e, più in generale, dell'energia pulita e la promozione e il rafforzamento del trasporto marittimo ecocompatibile. Tale aspetto è di particolare importanza tenuto conto dell'enorme potenziale per le attività imprenditoriali nel settore in questione.

3.2

Il concetto di economia blu si riferisce all'evoluzione socialmente e ambientalmente sostenibile dei bacini marittimi e delle zone costiere, con il fine di affrontare le disparità esistenti e garantire la conservazione della diversità culturale e della biodiversità, che sono particolarmente decisive alla luce della storia e in considerazione del futuro del Mediterraneo. In tal senso, i settori d'intervento scelti nella Comunicazione — (1) sicurezza e protezione marittima, (2) un'economia intelligente e resiliente, (3) una migliore governance del mare — seppure importanti, potrebbero essere inefficacemente limitati in relazione alle esigenze del bacino. Il CESE propone un ulteriore ampliamento dell'iniziativa nei settori della biodiversità e della conservazione, della comunicazione interculturale, nonché una strategia più concreta per fornire supporto alle attività produttive su piccola scala e su scala molto ridotta, ad esempio nell'ambito della pesca ecc.

3.3

La sicurezza dei trasporti marittimi, ma soprattutto le questioni legate alla protezione, seppure molto importanti, non possono essere limitate al Mediterraneo occidentale. Al contrario, la storia geopolitica e l'attuale deterioramento, unitamente alla deflagrante crisi dei rifugiati nella parte orientale del bacino marittimo, denotano la necessità di un approccio olistico per il Mediterraneo finalizzato ad affrontare tali sfide.

3.4

Ciò vale anche per gli altri ambiti d'interesse definiti: crescita economica sostenibile, questioni legate alla conservazione culturale e ambientale ecc. Il Mediterraneo non dovrebbe essere diviso in area orientale e area occidentale. Anche se ciò avviene per ragioni di carattere amministrativo e per strategie a breve termine, la pianificazione strategica nel lungo termine deve riguardare il bacino nel suo insieme.

3.5

Il CESE comprende pienamente che, tenuto conto dell'acutizzarsi delle tensioni geopolitiche e dell'inasprimento dei conflitti nel Mediterraneo orientale, avviare l'iniziativa per il Mediterraneo occidentale potrebbe costituire un approccio più semplice, più realistico e più veloce da attuare. Tuttavia, se a tale orientamento non fa seguito un'iniziativa analoga per il Mediterraneo orientale, vi sarà un rischio considerevole che gli obiettivi stabiliti non vengano conseguiti. Gli stessi problemi, seppure con una tensione maggiore per via delle condizioni geopolitiche, devono essere affrontati nel Mediterraneo orientale, per il quale dovrebbero essere pianificate e applicate regole e politiche affini.

3.6

Sebbene la mancanza di «dialogo» tra l'industria, da un lato, e il mondo accademico e il settore della ricerca e dello sviluppo, dall'altro lato, possa costituire un importante punto da considerare quando viene affrontato il problema della disoccupazione (soprattutto nel lungo termine e in periodi di crescita economica), focalizzarsi unicamente su questo aspetto significherebbe adottare un approccio unilaterale ed inefficace. Al contrario, gli squilibri economici esistenti (in un contesto in cui la carenza di nuovi posti di lavoro vacanti e l'elevata disoccupazione costituiscono elementi fondamentali) e l'ampliamento delle disparità socioeconomiche nel bacino marittimo del Mediterraneo occidentale dovrebbero essere affrontati alla luce della persistente crisi sistemica nella parte settentrionale della regione e della mancanza generale di volontà di effettuare investimenti produttivi.

3.7

Nei casi in cui l'attività economica interagisca fortemente con le questioni legate alla conservazione laddove sussistono esternalità (macro)economiche (provocate dalla domanda o dall'offerta) e laddove l'insieme delle libere scelte individuali determina problemi di sostenibilità di carattere socioeconomico e ambientale, vi è la necessità di un intervento politico efficace che, in tempi di maggiore internazionalizzazione, deve essere adeguato a livello transnazionale. Nei casi di eccessivo sfruttamento degli stock ittici, inquinamento marino, eccessiva urbanizzazione e agglomerati crescenti in modo inefficiente, persistenti crisi economiche/finanziarie e disparità sociali e transregionali in aumento all'interno e al di fuori dell'UE, la teoria secondo cui si devono «liberare le forze di mercato» non è sufficiente.

3.8

In tal senso, le insufficienze individuate nel quadro decisionale esistente in questo settore, che sono principalmente dovute alla mancanza di collaborazione tra i diversi paesi (la Comunicazione fa riferimento a questo aspetto quando affronta il terzo gruppo di sfide e carenze in merito agli interessi divergenti e contrastanti) costituiscono un fattore estremamente importante nella gestione delle controversie socioeconomiche ed ambientali nella regione. Gli accordi bilaterali esistenti e futuri tra i paesi vicini dell'UE e i paesi del Mediterraneo meridionale dovrebbero essere efficacemente rispettati. L'assenza di una voce unita e quindi forte dell'UE in merito alle questioni di politica estera potrebbe non contribuire in questo senso ma, dall'altro lato, i paesi sulla sponda meridionale del bacino dovrebbero aspettarsi che l'UE sia il loro partner principale (se non l'unico partner), con interessi decisi e autentici nella promozione delle prospettive comuni per lo sviluppo sostenibile e la prosperità nella regione.

3.9

A prescindere dalla mancanza esistente di cooperazione transnazionale, un'ulteriore esigenza di coordinamento politico scaturisce dalla marea caotica di iniziative e piattaforme con priorità simili (se non identiche). La Comunicazione in oggetto fa riferimento, ad esempio, alla strategia per la crescita blu e la politica marittima dell'UE (14), alla strategia dell'UE per una maggiore crescita e occupazione nel turismo costiero e marittimo (15), all'iniziativa BLUEMED (16) e all'iniziativa della FAO a favore della crescita blu (17). Inoltre, vi sono altre attività che interessano le due sponde del bacino, quali il piano d'azione «Produzione e consumo sostenibili» e il piano d'azione sui trasporti regionali per la regione mediterranea (18).

3.10

Alla luce dell'ampia gamma d'iniziative esistenti di orientamento simile, il CESE raccomanda un'analisi comparativa approfondita per individuare con esattezza le aree di sovrapposizione e rendere possibile l'utilizzo di iniziative in modo tale da risparmiare risorse e potenziare i risultati finali. Le migliori prassi applicate nelle altre strategie (anche nel Baltico) e iniziative macroregionali (come Smart Islands) (19) dovrebbero essere oggetto di un esame e di un'analisi più esaurienti.

3.11

I requisiti non realistici che limitano l'efficacia dei programmi europei nel Mediterraneo, da un lato, e la burocrazia risultante dal timore di impiegare i fondi dell'UE in modo errato, dall'altro lato, nonché la corruzione e l'inefficienza in parti della pubblica amministrazione o in specifici casi che la coinvolgono, sulle due sponde del bacino, hanno provocato gravi carenze in merito all'assorbimento dei fondi europei esistenti per il Mediterraneo.

3.12

D'altro canto, finora l'UpM non è riuscita a svolgere il ruolo che dovrebbe, malgrado i vari progetti che sono stati annunciati. Pertanto il suo intervento nella regione deve essere ulteriormente rafforzato. Le iniziative per l'economia blu potrebbero essere di grande importanza per la prosperità generale, ma devono essere correlate efficacemente con le strutture e i quadri esistenti.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Uno spazio marittimo più sicuro e protetto

4.1.1

La Comunicazione focalizza l'attenzione su due settori d'intervento specifici: (1) la cooperazione tra le guardie costiere e (2) lo scambio di dati e la collaborazione amministrativa per migliorare la capacità di reagire e lottare contro l'inquinamento marino causato da incidenti.

4.1.2

Il CESE ritiene essenziale il rafforzamento della creazione di reti e, quindi, la cooperazione tra le guardie delle frontiere terrestri e marittime e le autorità di controllo sulle due sponde, con l'assistenza di Frontex. Lo scambio e l'analisi in maniera sistematica delle informazioni da parte di un centro di analisi dei dati sovranazionale sono altresì necessari, al fine di avere successo nella lotta contro la criminalità e il terrorismo. Ciononostante, le regole della buona governance e i diritti umani, individuali e collettivi, devono essere debitamente tenuti in considerazione, soprattutto alla luce dell'esperienza negativa di determinati regimi.

4.1.3

Il CESE ritiene che questi due approcci chiaramente definiti costituiscano un modo efficiente per gestire la questione relativa a uno spazio marittimo più sicuro e protetto. Tuttavia, l'analisi degli obiettivi quantitativi sottostanti deve essere migliorata ai fini della sorveglianza e della valutazione continua di questa priorità e si dovrebbero compiere sforzi volti a coordinare e collaborare con le istituzioni globali transnazionali come l'Organizzazione marittima internazionale (IMO) (20).

4.2   Un'economia blu intelligente e resiliente

4.2.1

Il CESE si rammarica del fatto che le parti sociali e le organizzazioni della società civile siano, nella migliore delle ipotesi, sottorappresentate (se non completamente assenti) nella Comunicazione, sebbene tali istituzioni possano essere estremamente utili nella pianificazione, nonché nell'attuazione di politiche e programmi specifici, in considerazione della loro esperienza nel gestire situazioni critiche e della loro capacità comprovata a intervenire direttamente e a risolvere problemi socioeconomici.

4.2.2

La povertà e la disoccupazione giovanile potrebbero acutizzarsi nei prossimi anni per via del cambiamento climatico che inciderà in modo particolare sulle condizioni nei paesi del Mediterraneo meridionale. La Commissione, in collaborazione con le autorità locali e le parti sociali, dovrebbe intraprendere azioni di sviluppo a livello locale, ad esempio promozione delle PMI, sostegno alle attività artigianali, azioni speciali per fornire supporto al settore primario e incentivare i prodotti locali agricoli e della pesca nei mercati europei ecc., unitamente a misure di miglioramento appropriate nell'ambito dell'istruzione locale e della formazione professionale al fine di migliorare gli standard di vita degli abitanti residenti e di prevenire la migrazione. L'economia blu può offrire un reddito adeguato a migliaia di famiglie mediante approcci alla pesca moderni, su piccola scala e di alta qualità, grazie alla conservazione e all'offerta di prodotti della pesca.

4.2.3

Le aziende a gestione familiare, le piccole imprese e le microimprese con strutture organizzative, piani operativi e attività tradizionali rappresentano la colonna portante delle economie locali sulle due sponde del bacino mediterraneo, soprattutto negli ambiti e nei settori che costituiscono l'economia blu. Per questo motivo, il CESE ritiene che, oltre a incentivare iniziative volte a sostenere l'imprenditorialità innovativa e tecnologicamente avanzata, è almeno altrettanto importante promuovere anche programmi per le attività economiche tradizionali.

4.2.4

In tal senso, il CESE afferma che deve essere potenziato il secondo gruppo di azioni nell'ambito di questa priorità, vale a dire la gestione dei cluster marittimi. I programmi cooperativi e di collaborazione in rete per i piccoli produttori e i microproduttori possono migliorare la resilienza e la competitività a livello di costi, preservando al contempo la differenziazione indispensabile dei beni e dei servizi che forniscono. I cluster, d'altro canto, possono essere efficaci in settori specifici nei quali è indispensabile la concentrazione di capitale, come il settore delle energie rinnovabili e del trasporto di merci. Tuttavia, il CESE ritiene che l'idea dei cluster, la creazione d'incubatori e la promozione di piani commerciali mediante servizi di business angel siano piuttosto premature anche per le economie, più avanzate, dell'UE, cosa che denota la necessità di pianificare servizi di supporto chiaramente definiti, soprattutto per piccoli produttori, artigiani e commercianti sulla sponda meridionale del bacino.

4.2.5

Inoltre, in linea con la quarta priorità strategica del summenzionato rapporto del WWF sul rilancio dell'economia del Mediterraneo, di recente pubblicazione, è possibile e necessario riorientare i finanziamenti pubblici e privati per schiudere il potenziale del patrimonio naturale della zona. Così facendo si può generare reddito, tenendo conto nel contempo della sostenibilità sociale e ambientale, attraverso meccanismi di finanziamento basati sulla finanza del carbonio, quali il pagamento di un servizio ecosistemico (21). Ad esempio, le praterie di alghe del Mediterraneo sono tra i più efficaci sistemi di sequestro del carbonio, il che significa che gli investimenti pubblici e privati in questa direzione possono combinare il rafforzamento della crescita economica locale con il contributo alla strategia globale in materia di clima.

4.3   Una migliore governance del mare

4.3.1

Al fine di garantire una buona riuscita del primo gruppo di azioni, vale a dire pianificazione spaziale e gestione delle zone costiere, dovrebbe essere adottato l'approccio della «quadrupla elica» (22). È richiesto un maggiore coinvolgimento delle autorità locali (comuni e regioni), del mondo accademico e del settore della ricerca e dello sviluppo, delle parti sociali, nonché delle organizzazioni della società civile, nell'ambito delle rispettive sfere di attività, in considerazione di una migliore conoscenza delle condizioni socioeconomiche ed ambientali locali, ma anche a causa della flessibilità amministrativa.

4.3.2

In tal senso, gli interessi economici e sociali organizzati possono e dovrebbero svolgere un ruolo decisivo nello sviluppo socioeconomico del Mediterraneo. La Commissione, in collaborazione con l'UpM, dovrebbe invitare i soggetti interessati del settore privato a partecipare alle consultazioni sulla Comunicazione, garantendo il loro contribuito essenziale alla pianificazione e, quindi, un coinvolgimento più efficiente nell'attuazione dei programmi e delle attività pertinenti. Per quanto concerne la pesca, dovrebbero essere adottate misure finalizzate a rafforzare i piani di gestione congiunti assicurando una partecipazione efficace dei soggetti interessati al processo decisionale.

4.3.3

Si dovrebbe porre l'accento sulla mancanza di collaborazione tra paesi europei e non europei nel Mediterraneo occidentale, soprattutto in merito alle questioni concernenti la sicurezza e l'immigrazione che incidono sullo sviluppo economico.

4.3.4

La pesca costituisce un fattore chiave nell'attività economica del Mediterraneo e rappresenta la seconda fonte più importante di ricchezza, dopo il turismo. Il CESE concorda sulla necessità di pianificare azioni specifiche in tale settore, del tipo definito nel quarto gruppo di azioni che rientrano in questa priorità. I programmi dovrebbero mirare a ridurre lo sfruttamento eccessivo dei campi di pesca e a mettere a punto servizi di supporto e fondi finalizzati a garantire la sopravvivenza delle attività di pesca su piccola scala e lo sviluppo parallelo delle comunità costiere. La flessibilità del FEAMP (23) deve essere potenziata al fine di eliminare le barriere esistenti tra i livelli di amministrazione pubblica, nel momento in cui vengono definite iniziative efficaci.

4.3.5

Il CESE ritiene che il ruolo della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM) dovrebbe essere rafforzato, al fine di garantire l'adozione di misure necessarie, coerenti e compatibili volte a effettuare un'inversione di tendenza della situazione sfavorevole degli stock ittici, in coordinamento e in stretta collaborazione con i paesi del Mediterraneo non membri dell'UE.

4.4

Il CESE ha sottolineato a più riprese che le politiche e i programmi per il Mediterraneo attuati nel corso degli ultimi venti anni hanno prodotto risultati poco soddisfacenti e hanno lasciato inutilizzati importi considerevoli dei fondi messi a disposizione, per via di atteggiamenti divergenti e di una carenza di coordinamento efficiente tra le istituzioni comunitarie responsabili e i governi locali e le pubbliche amministrazioni nei paesi del Mediterraneo non appartenenti all'UE. A tal merito sono urgentemente necessari un forte supporto e assistenza tecnica per migliorare il livello di reazione da parte delle istituzioni non appartenenti all'UE ai requisiti richiesti per i finanziamenti europei, così come è necessaria una maggiore adattabilità da parte della Commissione.

4.5

L'attuazione efficace delle azioni stabilite nella Comunicazione è compromessa in modo particolare dall'eccessiva burocrazia, come risulta evidente nel capitolo «Governance e attuazione», ma anche dal coinvolgimento di istituzioni completamente diverse con strutture e posizioni divergenti, quali le riunioni ministeriali, la Commissione, l'UpM ecc. È essenziale un piano operativo con strumenti amministrativi/organizzativi specifici e ruoli distinti.

4.6

Il CESE ritiene che dovrebbe essere immediatamente istituita la task force per l'economia blu, unitamente a un'azione chiaramente definita e a un piano di competenza, legati ai gruppi di lavoro dell'UpM. La task force dovrebbe disporre della flessibilità necessaria per reagire rapidamente alle emergenze (calamità naturali e ambientali, ecc.) ma dovrebbe anche adempiere alle responsabilità e ai compiti specifici. Il CESE è cauto in merito alla valutazione dell'efficacia della task force, che dipenderà dalla sua composizione e dal coinvolgimento diretto delle istituzioni europee e dei governi nazionali non appartenenti all'UE. Pertanto, il CESE è dell'opinione che la task force dovrebbe essere concepita con scrupolosità fin dall'inizio, con un organigramma ben definito e un sistema efficiente di processi e procedure, nonché con un piano operativo specifico architettato in modo competente.

Bruxelles, 6 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Gli autori del recente rapporto del WWF Reviving the Economy of the Mediterranean Sea — Actions for a sustainable future (Rilanciare l'economia del Mediterraneo — Azioni per un futuro sostenibile) sostengono in primo luogo l'esigenza di un approccio a vasto raggio, e in secondo luogo che «il Mediterraneo fornisce un importante contributo al PIL regionale, e che le sue risorse naturali rappresentano una grande risorsa per l'economia blu, a livello non solo regionale, ma globale».

(Cfr. il rapporto http://www.wwf.gr/images/pdfs/Reviving_Mediterranean_Sea_Economy_Full%20rep_Lowres.pdf, pag. 7).

(2)  https://ec.europa.eu/maritimeaffairs/policy/blue_growth_it

(3)  Per il programma della Conferenza ministeriale sull'economia blu dell'UpM tenutasi il 17 novembre 2015 cfr. http://ufmsecretariat.org/wp-content/uploads/2015/10/Agenda_UfM_Ministerial-on-Blue-Economy_MARE-D1.pdf.

(4)  Cfr. http://ufmsecretariat.org/wp-content/uploads/2015/11/2015-11-17-declaration-on-blue-economy_en.pdf.

(5)  Per una breve sintesi delle decisioni adottate in occasione della riunione dei ministri degli Esteri del 28 ottobre 2016 cfr. http://ufmsecretariat.org/foreign-affairs-ministers-of-the-55-dialogue-discuss-pressing-regional-challenges-and-highlight-the-positive-contribution-of-ufm-activities-to-the-enhancement-of-regional-cooperation/. Per la storia del dialogo 5+5 dal 2003 cfr. http://westmediterraneanforum.org/wp-content/uploads/2013/09/131017_chronology5+51.pdf.

(6)  https://ec.europa.eu/maritimeaffairs/sites/maritimeaffairs/files/com-2017-183_en.pdf.

(7)  https://ec.europa.eu/maritimeaffairs/sites/maritimeaffairs/files/swd-2017-130_en.pdf.

(8)  Per le tre strategie regionali dell'UE si vedano i seguenti siti web: http://www.atlanticstrategy.eu/ per la strategia per l'Atlantico, https://www.balticsea-region-strategy.eu/ per la strategia dell'UE per la regione del Mar Baltico (EUSBSR) e http://www.adriatic-ionian.eu/ per la strategia dell'UE per la regione adriatica e ionica (EUSAIR).

(9)  http://www.fao.org/gfcm/en/.

(10)  La Convenzione per la protezione del Mar Mediterraneo contro l'inquinamento (Convenzione di Barcellona) è stata adottata il 16 febbraio 1976 in occasione della conferenza dei plenipotenziari degli Stati costieri della regione mediterranea sulla protezione del Mar Mediterraneo, tenutasi a Barcellona. La Convenzione originale è stata modificata da alcuni emendamenti adottati il 10 giugno 1995 (UNEP(OCA)/MED IG.6/7). È entrata in vigore il 9 luglio 2004.

(11)  https://www.un.org/pga/wp-content/uploads/sites/3/2015/08/120815_outcome-document-of-Summit-for-adoption-of-the-post-2015-development-agenda.pdf.

(12)  https://planbleu.org/sites/default/files/upload/files/smdd_uk.pdf.

(13)  Cfr. il rapporto elaborato dal WWF con il sostegno del Boston Consulting Group Reviving the Economy of the Mediterranean Sea — Actions for a sustainable future, 2017 (http://www.wwf.gr/images/pdfs/Reviving_Mediterranean_Sea_Economy_Full%20rep_Lowres.pdf).

(14)  Cfr. ad esempio l'ultimo rapporto sulla strategia per la crescita blu — SWD(2017) 128 final — al link https://ec.europa.eu/maritimeaffairs/sites/maritimeaffairs/files/swd-2017-128_en.pdf.

(15)  COM/2014/086 final.

(16)  https://ec.europa.eu/maritimeaffairs/content/bluemed-initiative-blue-growth-and-jobs-mediterranean_it.

(17)  Per maggiori dettagli sull'iniziativa a favore della crescita blu dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura cfr. http://www.fao.org/3/a-mk541e/mk541e02.pdf.

(18)  Cfr. http://www.unep.org/ourplanet/june-2017/unep-publications/regional-action-plan-sustainable-consumption-and-production e https://ec.europa.eu/transport/sites/transport/files/themes/international/european_neighbourhood_policy/mediterranean_partnership/docs/rtap2014_2020_en.pdf rispettivamente.

(19)  http://www.smartislandsinitiative.eu/en/index.php.

(20)  http://www.imo.org/en/Pages/Default.aspx.

(21)  Il pagamento di un servizio ecosistemico ha luogo quando il beneficiario o l'utente di un tale servizio effettuano un pagamento diretto o indiretto al fornitore di esso. Nel caso del bacino mediterraneo, il pagamento di un servizio ecosistemico può anche essere previsto come giustificazione ambientale del trasferimento di fondi dalla costa nord a quella meridionale.

(22)  Cfr. http://cor.europa.eu/en/documentation/studies/Documents/quadruple-helix.pdf.

(23)  Cfr. https://ec.europa.eu/fisheries/cfp/emff_it per ulteriori informazioni.


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/90


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un piano d’azione per la natura, i cittadini e l’economia»

[COM(2017) 198 final]

(2018/C 129/15)

Relatore:

Lutz RIBBE

Consultazione

Commissione europea, 31 maggio 2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

 

 

Decisione dell’Assemblea plenaria

25 aprile 2017

 

 

Sezione competente

Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente

Adozione in sezione

21 novembre 2017

Adozione in sessione plenaria

6 dicembre 2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

157/5/6

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni del Comitato

1.1.

In linea di massima, il CESE accoglie con favore i risultati del controllo dell’adeguatezza delle direttive sulla tutela della natura, da cui risulta che queste sono adeguate allo scopo in quanto pilastri di una più ampia politica in materia di biodiversità, ma che la loro applicazione deve essere notevolmente migliorata.

1.2.

Anche se, considerata singolarmente, ciascuna delle 15 misure presentate nel nuovo piano d’azione è senz’altro valida, la loro presentazione congiunta crea confusione nella misura in cui non è ancora chiaro quale rapporto abbia tale piano d’azione con l’attuale strategia sulla biodiversità, tanto più che molte sono le sovrapposizioni di contenuti, ma soltanto marginali le novità. Secondo il Comitato, sarebbe stato più utile effettuare una valutazione e, se del caso, un’integrazione di tale strategia.

1.3.

Ai fini di una politica efficace in materia di biodiversità, il problema davvero decisivo è che ad oggi, per i proprietari e gli utilizzatori dei terreni, le misure volte a promuovere o preservare la biodiversità rappresentano perlopiù non una fonte di introiti bensì un fattore di costo. Bisogna invece che le misure di tutela della biodiversità — sia all’interno che al di fuori dei siti Natura 2000 — siano economicamente redditizie per coloro ai quali spetta attuarle; esse non possono e non devono andare a loro discapito. Nessuno dei programmi finora varati dall’UE e dagli Stati membri è riuscito a risolvere realmente questo dilemma fondamentale; e anche il piano d’azione in esame, nel quale molto si parla di «situazioni vantaggiose per tutti», non offre purtroppo alcun elemento utile in tal senso.

1.4.

La mancanza di finanziamenti non è solo un problema capitale per il conseguimento degli obiettivi concordati in materia di biodiversità, ma è altresì un chiaro sintomo delle carenze della politica europea. Vengono infatti adottate normative che generano dei costi, ma non si trova un accordo su chi debba sostenerli e/o sui modi in cui debbano essere coperti.

1.5.

Il CESE rinnova il suo invito alla Commissione a presentare una stima aggiornata dei costi della rete Natura 2000. A giudizio del CESE, infatti, tale ammontare, più volte indicato nell’ordine dei 6,1 miliardi di euro, non rappresenta in modo adeguato il fabbisogno di risorse finanziarie della rete, che è più probabilmente pari al doppio o al triplo di questo importo.

1.6.

Il CESE ritiene pertanto indispensabile che sia presentata una strategia a lungo termine per la copertura del fabbisogno finanziario della politica in materia di biodiversità (1). Il dibattito sulle prospettive finanziarie per il dopo 2021 dovrebbe fornire il quadro pertinente, sennonché né il piano d’azione né l’approccio finora annunciati, da ultimo nel documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE  (2), fanno presagire un miglioramento decisivo di tale situazione.

1.7.

Il CESE accoglie con grande favore il fatto che, nel quadro del piano d’azione, la Commissione intenda sviluppare ulteriormente la strategia per le infrastrutture verdi. Anche riguardo a questo progetto promettente e innovativo, tuttavia, il Comitato fa presente che un progetto senza finanziamenti non potrà apportare alcun cambiamento.

2.   Contesto di riferimento

2.1.

Già nel 1998 l’UE aveva adottato una prima strategia sulla biodiversità (3) al fine di arrestare la perdita di specie animali e vegetali selvatiche e dei loro habitat. La strategia per lo sviluppo sostenibile adottata nel 2001 (la cosiddetta «strategia di Göteborg») aveva poi enunciato degli obiettivi ben precisi in materia di biodiversità, ossia arginare la perdita di diversità biologica nell’UE entro il 2010 e provvedere al ripristino degli habitat e degli ecosistemi naturali.

2.2.

A queste erano seguite altre misure, quali il «piano d’azione a favore della biodiversità» del 2001 (4) e, nel maggio 2006, un ulteriore piano d’azione sulla biodiversità (5) il cui contenuto differiva ben poco dal primo.

2.3.

Riconoscendo che l’obiettivo così deciso e promesso non era raggiungibile, l’UE ha adottato — sulla base della comunicazione della Commissione intitolata Soluzioni per una visione e un obiettivo dell’UE in materia di biodiversità dopo il 2010  (6) — una nuova «strategia sulla biodiversità», questa volta all’orizzonte 2020 (7), che in sostanza non faceva altro che riproporre le stesse raccomandazioni e gli stessi strumenti dei precedenti piani d’azione e spostare al 2020 l’obiettivo inizialmente fissato per il 2010.

2.4.

La revisione intermedia di quest’ultima strategia — articolata in 6 obiettivi chiaramente definiti e in un totale di 20 misure — ha evidenziato risultati assai deludenti ed è giunta alla conclusione che occorrerà moltiplicare di molto gli sforzi per proteggere l’ambiente naturale se si vuole raggiungere il nuovo obiettivo che ci si è proposti, ossia arrestare definitivamente entro il 2020 la perdita di biodiversità e provvedere a ripristinare gli habitat naturali andati perduti.

2.5.

In merito a tutti questi documenti il CESE ha espresso in sostanza sempre la stessa posizione critica, osservando che:

nell’UE «quel che manca per la conservazione della biodiversità non sono leggi, direttive, programmi, progetti pilota, dichiarazioni politiche o istruzioni per l’uso: c’è invece bisogno di passare all’attuazione e di varare azioni concertate a tutti i livelli d’intervento politico»;

«finora i decisori politici non hanno trovato la forza, o la volontà, di realizzare misure riconosciute da anni come indispensabili, nonostante la comunicazione sottolinei per l’ennesima volta che sia la società che l’economia possono trarre vantaggio da una politica convincente in materia di biodiversità» (8);

di conseguenza, la politica dell’UE in materia di biodiversità costituisce un classico esempio di politica di promesse non mantenute a livello europeo e nazionale, e questo nonostante tale politica abbia individuato e/o definito del tutto correttamente sia i problemi sia gli strumenti necessari. Il CESE, dunque, non ha ritenuto necessario alcun cambiamento delle basi giuridiche vigenti in materia.

2.6.

Tuttavia, nel quadro del suo programma REFIT, la Commissione Juncker ha avviato un controllo dell’adeguatezza (fitness check) delle direttive sulla tutela della natura. L’esito di tale riesame ha confermato l’opinione del CESE, e lo stesso Consiglio Ambiente ha constatato che «le direttive sulla tutela della natura, quali pietra miliare della più ampia politica dell’UE in materia di biodiversità, sono adeguate allo scopo, ma che il conseguimento dei loro obiettivi e la realizzazione del loro pieno potenziale sono possibili solo migliorando in modo sostanziale la loro attuazione» (9).

2.7.

In risposta ai risultati del suddetto controllo di adeguatezza, la Commissione ha presentato un «piano d’azione per la natura, i cittadini e l’economia» (10), che costituisce l’oggetto del presente parere.

3.   Osservazioni generali in merito al piano d’azione

3.1.

Il piano d’azione ripropone innanzitutto una descrizione dello stato di conservazione ancora drammaticamente precario delle specie e degli habitat, che invece dovrebbero essere da tempo protetti in virtù delle direttive già adottate nel 1979 e nel 1992. Secondo il piano d’azione, «i principali fattori alla base delle carenze nell’attuazione comprendono: risorse limitate, applicazione carente, integrazione insufficiente degli obiettivi legati alla natura in altre aree di intervento, conoscenza e accesso inadeguati ai dati, scarsa comunicazione e modesto coinvolgimento dei portatori d’interesse. Inoltre, coloro che attuano le direttive, in particolare a livello regionale e locale, non conoscono talvolta a sufficienza gli obblighi o la flessibilità e le opportunità che esse offrono, con la conseguente eventuale comparsa di tensioni tra tutela della natura e attività economica».

3.2.

Il piano d’azione ha l’obiettivo di «migliorare l’attuazione delle direttive, la loro coerenza con gli obiettivi socioeconomici e il dialogo con le autorità a livello nazionale, regionale e locale, i portatori d’interesse e i cittadini».

3.3.

Data la forte dimensione territoriale delle direttive e il ruolo chiave delle autorità regionali e locali nella loro attuazione, il Comitato europeo delle regioni è stato strettamente coinvolto nella preparazione di tale piano d’azione e anche in futuro svolgerà un ruolo cruciale nel quadro della cooperazione con tali autorità e della loro sensibilizzazione.

3.4.

Il piano d’azione fissa un calendario rigoroso, e la Commissione intende riferire sui risultati ottenuti già nel 2019, dunque ancor prima della fine del suo attuale mandato. Secondo il CESE, si tratta di un proposito molto ambizioso, anche soltanto per il fatto che, per l’attuazione del piano d’azione, presso la Commissione non sono state create capacità aggiuntive in termini di risorse umane.

3.5.

Il piano d’azione copre 4 settori prioritari e prevede una serie di azioni concrete (15 in tutto):

la priorità A è migliorare gli orientamenti e le conoscenze e assicurare una maggiore coerenza rispetto ai più ampi obiettivi socioeconomici;

la priorità B, favorire la titolarità politica e rafforzare la conformità;

la priorità C, rafforzare gli investimenti nella rete Natura 2000 e migliorare le sinergie con gli strumenti di finanziamento dell’UE;

la priorità D, migliorare la comunicazione e la sensibilizzazione, coinvolgendo cittadini, portatori d’interesse e comunità.

4.   Osservazioni specifiche in merito al piano d’azione

4.1.

Innanzitutto il CESE condivide le conclusioni del controllo di adeguatezza, e ritiene che esse confermino la posizione da esso espressa fino ad oggi. A suo avviso, inoltre, è degno di nota che a tale controllo abbia partecipato un numero elevato di portatori d’interesse. Ciò, infatti, indica che la politica dell’UE in materia di biodiversità è un tema che suscita un intenso dibattito e l’interesse di ampie fasce della popolazione, le quali si sentono anche, almeno in parte, direttamente coinvolte.

4.2.

Per quanto ognuna delle 15 azioni specifiche del piano d’azione possa, di per sé sola, contribuire a una migliore attuazione della normativa vigente in materia di tutela della natura, il CESE manifesta una certa irritazione per il fatto che la Commissione abbia presentato un nuovo piano. Secondo il CESE, infatti, sarebbe più utile condurre una valutazione dell’attuale strategia per la biodiversità, con i suoi 6 obiettivi e le sue 20 azioni concrete, effettuare un’analisi precisa dei punti deboli e pubblicarla, per poi, su tale base, integrare le misure aggiuntive eventualmente necessarie nella strategia esistente. Presentando adesso un nuovo piano d’azione, invece, si crea confusione, in quanto rimane del tutto oscuro quale rapporto esso abbia con l’attuale strategia sulla biodiversità, tanto più che alcune delle misure in esso previste (ad esempio riguardo ai settori prioritari B e C) figurano da anni nei programmi dell’UE in materia di biodiversità e nell’agenda politica e attendono soltanto di essere attuate.

4.3.

Il CESE ha già espresso il monito che moltiplicare i programmi e le strategie serve solo a generare confusione e autorizza a ritenere che, con il varo di programmi, piani o strategie sempre nuovi, si voglia solo gettare fumo negli occhi, facendo mostra di una sorta di «attivismo» ma apportando in realtà ben pochi miglioramenti.

4.4.

Già nel sottotitolo del suo comunicato stampa sul nuovo piano d’azione, la Commissione europea afferma che il piano è inteso ad aiutare le regioni «a tutelare la biodiversità e a sfruttare i benefici economici derivanti dalla protezione della natura». Il Comitato apprezza il fatto che nel piano d’azione si parli non «solo» di natura e biodiversità, ma anche delle interazioni tra l’uomo, la natura e le attività economiche. È evidente, quindi, che la politica in materia di biodiversità sia qualcosa di più complesso dell’obbligo etico-morale di proteggere le specie e gli habitat naturali. E anche questo è in linea con le osservazioni formulate dal CESE negli ultimi anni.

4.5.

In molte regioni d’Europa sono da tempo stati sviluppati dei progetti che mostrano come i cittadini possano trarre beneficio dal capitale naturale. Ad esempio, è evidente la relazione tra turismo e paesaggi diversificati ed eterogenei, con elevata biodiversità. Inoltre, si fa sempre più strada la convinzione che i servizi ecosistemici — che non sono prestati soltanto nei siti Natura 2000 — contribuiscano all’interesse pubblico generale.

4.6.

Il problema decisivo, tuttavia, è che ad oggi, per i proprietari e gli utilizzatori dei terreni, le misure volte a promuovere o preservare la biodiversità rappresentano perlopiù non una fonte di introiti bensì un fattore di costo. Un tempo la «diversità naturale» era considerata quasi un sottoprodotto delle coltivazioni estensive, dando perciò luogo — anche a causa delle difficili condizioni economiche generali in cui versavano agricoltori e silvicoltori — a un classico «conflitto fra destinazioni d’uso dei terreni».

4.7.

Bisogna invece che le misure di tutela della biodiversità — sia all’interno che al di fuori dei siti Natura 2000 — siano economicamente redditizie per coloro ai quali spetta attuarle; esse non possono e non devono andare a loro discapito. I programmi finora varati dall’UE e dagli Stati membri non sono riusciti a risolvere questo dilemma fondamentale; e anche il piano d’azione in esame, nel quale molto si parla di «situazioni vantaggiose per tutti», offre purtroppo degli elementi assai poco utili in tal senso.

4.8.

Al riguardo neanche le misure finora inattuate nelle strategie sulla biodiversità e nuovamente contemplate nel piano d’azione apporteranno alcun cambiamento: nessuna valida campagna di sensibilizzazione e nessun meccanismo ben congegnato di partecipazione del pubblico, nessun miglioramento degli orientamenti e neppure la proclamazione del 21 maggio come «Giornata europea di Natura 2000» — tutte misure riproposte nel piano d’azione — avranno alcuna efficacia se non si creeranno i giusti presupposti economici e le idonee condizioni finanziarie. In materia, infatti, il CESE reputa indispensabile compiere ulteriori progressi: in particolare occorre che, nel quadro della nuova programmazione finanziaria di medio termine a partire dal 2021, alla rete Natura 2000 sia assegnata una dotazione finanziaria specifica adeguata, e alle autorità incaricate dell’attuazione, a livello sia di Unione europea che di singoli Stati membri, siano garantite risorse umane sufficienti.

5.   Il problema della mancanza di risorse finanziarie

5.1.

Già all’inizio della creazione della rete Natura 2000 si era ad esempio promesso di garantire ai proprietari e/o utilizzatori di terreni quantomeno un’adeguata compensazione finanziaria nei casi in cui essi subissero un pregiudizio economico dalle misure e dai vincoli riguardanti i siti Natura 2000. Nella sua Valutazione 2010 dell’attuazione del piano d’azione UE sulla biodiversità  (11), la Commissione giunge alla conclusione che «garantire un finanziamento sufficiente» è una delle «quattro grandi misure di sostegno». Essa, tuttavia, rileva anche che «in Europa è soddisfatto solo il 20 % dei bisogni complessivi di finanziamento per la gestione delle zone protette, tra cui la rete Natura 2000. Nel 2004 si stimò che la gestione di Natura 2000 richiedesse un investimento annuo di 6,1 miliardi di euro per l’UE-25». Ciò significa che mancano ancora almeno 5 miliardi di euro all’anno.

5.2.

Stime più aggiornate dei costi di gestione dei siti Natura 2000 indicano un fabbisogno finanziario nettamente più elevato. In Germania, gli enti regionali (Länder) calcolano il fabbisogno finanziario annuale della rete Natura 2000 terrestre tedesca in 1,417 miliardi di euro, che equivalgono a una media di 175 EUR per ettaro. Se si applica questo costo per ettaro alla rete Natura 2000 terrestre dell’intera Unione europea, il fabbisogno finanziario annuo per l’UE-28 risulta addirittura pari a circa 21 miliardi di euro, ai quali vanno aggiunti i costi dei siti Natura 2000 marini. Il CESE, quindi, esorta la Commissione a presentare con urgenza un calcolo aggiornato ed affidabile dei costi dell’intera rete Natura 2000.

5.3.

La mancanza di finanziamenti per la gestione della rete Natura 2000 non è solo un problema capitale per il conseguimento degli obiettivi concordati in materia di biodiversità, ma è altresì un chiaro sintomo delle carenze della politica europea. Vengono infatti adottate normative che generano dei costi, ma non si trova un accordo su chi debba sostenerli e/o sui modi in cui debbano essere coperti. La mancanza di coerenza tra il diritto dell’Unione e il bilancio dell’UE è la causa principale dei problemi della tutela della biodiversità in Europa.

5.4.

Inoltre, il nuovo piano d’azione si basa sul presupposto che il bilancio attuale dell’UE rimanga invariato. Si tratta di una scelta comprensibile in quanto ci troviamo ancora a metà del periodo finanziario in corso (2014-2020), ma che in pratica non consente di risolvere i problemi della tutela della biodiversità per mezzo del piano d’azione.

5.5.

L’unica misura finanziaria annunciata nel nuovo piano d’azione è un aumento del 10 %, in seno al bilancio del programma LIFE, dei fondi destinati ai progetti «a sostegno della conservazione della natura e della biodiversità». Ciò, tuttavia, avrà luogo in maniera neutra per il bilancio, ossia mantenendo inalterata la dotazione finanziaria globale di tale programma e dunque a scapito di altre misure da esso previste. Nel bilancio del programma LIFE, negli anni 2014-2017 i fondi resi disponibili per la priorità «Natura e biodiversità» sono stati di circa 610 milioni di EUR. Il 10 % in più, quindi, significa 15 milioni di EUR all’anno.

5.6.

Pertanto, è giusto che la Commissione, nell’ambito della priorità C del piano d’azione («Rafforzare gli investimenti …»), parli anche di «promuovere le sinergie con i finanziamenti della politica agricola comune», preveda di «accrescere la consapevolezza delle opportunità di finanziamento della politica di coesione» e di «migliorare le sinergie con la politica comune della pesca», e annunci l’elaborazione di «orientamenti a sostegno della realizzazione di infrastrutture verdi». Solo che tutte quelle summenzionate non sono misure o proposte nuove, bensì propositi che da tempo figurano nell’agenda politica e dei quali da tempo si invoca la realizzazione. Essi sono già contemplati nei vecchi programmi e nelle vecchie iniziative per la biodiversità, senza per questo che negli ultimi anni siano state tradotte in qualcosa di concreto e positivo.

5.7.

Sarebbe dunque necessario che la Commissione presentasse una strategia di lungo termine per coprire il fabbisogno finanziario in questione (12). E il dibattito che adesso si apre in merito alle prossime prospettive finanziarie è, a giudizio del CESE, il quadro entro cui devono inserirsi le riflessioni pertinenti in questo senso. L’esperienza dimostra che i progetti di cooperazione tra le regioni, le associazioni ambientaliste e gli agricoltori e i silvicoltori possono risultare estremamente efficaci ai fini dell’attuazione delle misure di Natura 2000, allorché queste sono concepite in maniera tale da essere sufficientemente attraenti sul piano economico. Sennonché né il piano d’azione né l’approccio finora annunciati, da ultimo nel documento di riflessione sul futuro delle finanze dell’UE  (13), fanno presagire un miglioramento decisivo della situazione.

5.8.

Il CESE accoglie con grande favore il fatto che, nel quadro del piano d’azione, la Commissione intenda sviluppare ulteriormente la strategia per le infrastrutture verdi. Anche riguardo a questo progetto promettente e innovativo, tuttavia, il Comitato fa presente che un progetto senza finanziamenti non potrà apportare alcun cambiamento. In proposito, il CESE rimanda anche alle conclusioni del Consiglio Ambiente del 19 giugno 2017, in cui si invita la Commissione a sviluppare ulteriormente la proposta di una Rete transeuropea di infrastrutture verdi (TEN-G).

5.9.

Il Comitato ricorda pertanto il proprio recente parere sulla valutazione intermedia del programma LIFE (14), nel quale ha proposto di trasformare tale programma «in uno strumento fondamentale di finanziamento della rete Natura 2000», osservando che «l’approccio, scelto in passato, di organizzare il finanziamento della rete Natura 2000 principalmente attraverso i fondi europei per lo sviluppo regionale e il secondo pilastro della politica agricola comune (PAC), è da considerarsi insufficiente. A questo proposito, il CESE rimanda al suo parere sull’argomento (15) e chiede un potenziamento, con destinazione specifica, della dotazione del programma LIFE. Al riguardo, bisogna garantire la coerenza tra tutte le misure di sostegno, evitando quindi finanziamenti opposti o duplici rispetto ad altri fondi dell’UE».

5.10.

Il piano d’azione prevede una migliore comunicazione nei confronti dei cittadini, dei portatori d’interesse, delle comunità e delle autorità locali e regionali, nonché una migliore sensibilizzazione e partecipazione di tutti questi soggetti; e in quest’ottica è prevista l’istituzione di una «piattaforma» insieme con il Comitato delle regioni. Il CESE ne prende atto con soddisfazione, profondamente convinto com’è che un più forte coinvolgimento della società civile nell’attuazione non possa che essere un fatto positivo.

5.11.

Il CESE si compiace altresì del fatto che il piano d’azione è stato elaborato e sarà attuato dalla Commissione in stretta collaborazione con il CdR, e offre a sua volta il proprio sostegno, ritenendo che, senza l’accettazione del piano da parte della società civile e il coinvolgimento di questa nella sua attuazione, anche gli enti locali e regionali potranno ottenere soltanto scarsi risultati.

Bruxelles, 6 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. i pareri del CESE sui temi La politica dell’UE in materia di biodiversità (GU C 487 del 28.12. 2016, pag. 14) e Valutazione intermedia del programma LIFE (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 7).

(2)  COM(2017) 358 final del 28 giugno 2017.

(3)  COM(1998) 42 final.

(4)  COM(2001) 162 final.

(5)  COM(2006) 216 final.

(6)  COM(2010) 4 final.

(7)  COM(2011) 244 final.

(8)  Parere del CESE in merito alla comunicazione della Commissione La nostra assicurazione sulla vita, il nostro capitale naturale: strategia dell’UE sulla biodiversità fino al 2020 (GU C 24 del 28.1.2012, pag. 111).

(9)  Conclusioni del Consiglio Ambiente del 19 giugno 2017.

(10)  COM(2017) 198 final del 27 aprile 2017.

(11)  COM(2010) 548 final, pag. 13.

(12)  Cfr. i pareri del CESE sul tema La politica dell’UE in materia di biodiversità (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 14) e sulla Valutazione intermedia del programma LIFE (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 7).

(13)  COM(2017) 358 final del 28 giugno 2017.

(14)  Cfr. il parere del CESE sulla Valutazione intermedia del programma LIFE (GU C 173 del 31.5.2017, pag. 7).

(15)  Cfr. il parere del CESE sul tema La politica dell’UE in materia di biodiversità (GU C 487 del 28.12.2016, pag. 14).


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/96


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE, Euratom) n. 1141/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2014, relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee»

[COM(2017) 481 final – 2017/0219 (COD)]

(2018/C 129/16)

Relatore:

Graham WATSON

Correlatori:

Anne DEMELENNE

Stéphane BUFFETAUT

Consultazione

Consiglio, 11 otttobre 2017

Base giuridica

Articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Decisione dell’Ufficio di presidenza

Gruppo di redazione, 17 ottobre 2017

Adozione in sessione plenaria

07 dicembre 2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

141/0/5

1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si unisce alla Commissione europea nel sottolineare che la democrazia è uno dei valori fondamentali dell’UE e che i partiti politici e le fondazioni politiche svolgono un ruolo essenziale in una democrazia rappresentativa, come riconosciuto dall’articolo 10 del TUE e dall’articolo 12, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

2.

Il Comitato riconosce che il regolamento (UE, Euratom) n. 1141/2014 relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee ha contribuito a rendere entrambi questi tipi di enti maggiormente visibili, riconoscibili, efficaci, trasparenti e responsabili; ma concorda anche con la Commissione nel ritenere che occorra ancora adoperarsi per accrescere la partecipazione dei cittadini, rendere le elezioni più inclusive e rafforzare la dimensione europea del dibattito politico, sottolineare le affiliazioni tra i partiti nazionali ed europei e promuovere la responsabilità politica.

3.

Il Comitato è d’accordo con la Commissione che, nonostante i progressi compiuti grazie al suddetto regolamento, le norme vigenti presentano lacune cui è necessario porre rimedio, e ricorda che anche il Parlamento europeo [(2017/2733 (RSP)] ha chiesto di apportare miglioramenti e adeguamenti a tali norme.

4.

Il Comitato appoggia le proposte della Commissione volte a modificare il regolamento in esame per quanto attiene ai promotori della registrazione di un partito politico europeo, alla proporzionalità del finanziamento europeo, alla soglia di accesso a tale finanziamento, al rispetto dei requisiti per la registrazione e al recupero dei fondi spesi indebitamente.

5.

Il Comitato apprezza l’intenzione della Commissione di far sì che i programmi elettorali dei partiti politici a livello europeo siano resi più facilmente disponibili per i cittadini, ma nutre alcuni dubbi riguardo al paragrafo 3 bis che essa propone di aggiungere all’articolo 18 del regolamento. Questo nuovo paragrafo dispone che un partito politico europeo corredi la domanda di finanziamento degli elementi comprovanti che i suoi partiti membri hanno pubblicato continuativamente sui loro siti web, nei 12 mesi precedenti la presentazione della domanda, il programma politico e il logo del partito politico europeo nonché informazioni, inerenti a ciascuno dei suoi partiti membri, sulla rappresentanza di genere tra i suoi candidati alle ultime elezioni del Parlamento europeo e tra i suoi eurodeputati.

6.

Ora, il Comitato si chiede in particolare: riguardo al primo requisito, in che modo ne sarà controllato il rispetto e come potrà applicarsi ai nuovi partiti emergenti negli Stati membri e ai partiti politici europei che adottino tardivamente i propri programmi politici; riguardo al secondo requisito, perché esso concerna esclusivamente il genere e non anche, invece, altri criteri, ad esempio razziali, etnici o linguistici.

7.

Il Comitato raccomanda pertanto alla Commissione di ridurre il periodo durante il quale il programma deve essere pubblicato sui siti web dei partiti membri da dodici a tre mesi e di non limitare le informazioni da fornire sulle persone presenti nelle liste elettorali alla proporzione di donne e uomini bensì di estendere tali informazioni alla diversità etnica e linguistica dei candidati.

8.

Inoltre, il CESE richiama ancora una volta l’attenzione sull’aggravarsi della disparità di trattamento tra, da un alto, i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee e, dall’altro, le associazioni e fondazioni europee con finalità più generali (ad esempio economiche, sociali, umanitarie, culturali, ambientaliste o sportive).

9.

Infine, il Comitato deplora una volta di più la decisione, assunta dalla Commissione diversi anni fa, di ritirare la proposta di uno statuto per un’«associazione europea»; denuncia nuovamente gli ostacoli che ancora si frappongono alla registrazione delle società dotate di statuti europei; e ribadisce la sua esortazione alla Commissione affinché presenti, già nel prossimo futuro, un regolamento europeo equivalente sullo statuto e il finanziamento delle associazioni europee non affiliate a partiti politici.

Bruxelles, 7 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


11.4.2018   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 129/98


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1303/2013 per quanto riguarda le modifiche alle risorse per la coesione economica, sociale e territoriale e alle risorse per l’obiettivo Investimenti in favore della crescita e dell’occupazione e per l’obiettivo Cooperazione territoriale europea»

[COM(2017) 565 final – 2017/0247 (COD)]

(2018/C 129/17)

Consultazione

Consiglio dell’Unione europea, 19 ottobre 2017

Parlamento europeo, 23 ottobre 2017

Base giuridica

Articoli 177 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

Sezione competente

Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale

Adozione in sessione plenaria

06 dicembre 2017

Sessione plenaria n.

530

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

160/0/2

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato decide all’unanimità di rinunciare alla discussione generale e di passare direttamente alla votazione (articolo 50, paragrafo 4, e articolo 56, paragrafo 3, del Regolamento interno).

Bruxelles, 6 dicembre 2017

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS