ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 13

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

59° anno
15 gennaio 2016


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

RISOLUZIONI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

510a sessione plenaria del CESE del 16 e 17 settembre 2015

2016/C 013/01

Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema L’attuale crisi dei rifugiati

1

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

510a sessione plenaria del CESE del 16 e 17 settembre 2015

2016/C 013/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Esperienze dello Small Business Act negli USA e nell’UE: migliori pratiche per azioni innovative in materia di PMI (parere d’iniziativa)

2

2016/C 013/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L’impresa familiare in Europa come fattore di rilancio della crescita e fonte di migliori posti di lavoro (parere d’iniziativa)

8

2016/C 013/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso la sanità digitale: informazioni elettroniche per l’utilizzo sicuro dei medicinali (parere d’iniziativa)

14

2016/C 013/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Aiuti di Stato alle imprese: sono efficaci ed efficienti? (parere d’iniziativa)

19

2016/C 013/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Economia del bene comune: un modello economico sostenibile orientato alla coesione sociale (parere d’iniziativa)

26

2016/C 013/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Un’UEM democratica e sociale grazie al metodo comunitario (parere d’iniziativa)

33

2016/C 013/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Principi per sistemi previdenziali efficaci e affidabili (parere d’iniziativa)

40

2016/C 013/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Convalida delle competenze e delle qualifiche acquisite attraverso l’apprendimento non formale e informale: il contributo concreto della società civile organizzata (parere d’iniziativa)

49

2016/C 013/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Migliorare l’efficacia dei sistemi nazionali di formazione duale (parere d’iniziativa)

57

2016/C 013/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lotta alla corruzione nell’UE: rispondere alle preoccupazioni delle imprese e della società civile (parere d’iniziativa)

63

2016/C 013/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L’industria europea offshore: prospettive di sviluppo intelligente, sostenibile e a lungo termine, e relazioni con i settori marittimi dell’Unione europea (parere d’iniziativa)

73

2016/C 013/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Imprese del settore creativo e culturale: una risorsa europea nell’ambito della concorrenza mondiale (parere di iniziativa)

83

2016/C 013/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Programmi di sviluppo rurale: semplice palliativo o primi segnali di ripresa? (parere di iniziativa)

89

2016/C 013/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L’importanza del commercio agricolo per lo sviluppo futuro dell’agricoltura e dell’economia agricola nell’UE nel contesto della sicurezza alimentare mondiale (parere d’iniziativa)

97

2016/C 013/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Innovazione sociale, reti e comunicazione digitale (parere d’iniziativa)

104

2016/C 013/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Dumping sociale nel settore dell’aviazione civile europea (parere d’iniziativa)

110

2016/C 013/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ciberattivismo e le organizzazioni della società civile (parere d’iniziativa)

116

2016/C 013/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Revisione dell’accordo di associazione tra l’UE e il Messico (parere d’iniziativa)

121

2016/C 013/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L’agricoltura, le zone rurali e lo sviluppo sostenibile nei paesi del partenariato orientale (parere d’iniziativa)

128

2016/C 013/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Per una convenzione dell’OIL contro le violenze di genere sul lavoro (parere d’iniziativa)

138

2016/C 013/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Atti delegati (supplemento di parere)

145

2016/C 013/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Costruire un ecosistema finanziario per le imprese sociali (parere esplorativo)

152

2016/C 013/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto della digitalizzazione sull'industria dei servizi e sull’occupazione in relazione alle trasformazioni industriali (parere esplorativo)

161

2016/C 013/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Una politica integrata dell’UE per l’aviazione (parere esplorativo)

169

2016/C 013/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il mercato interno del trasporto internazionale di merci su strada: dumping sociale e cabotaggio (parere esplorativo)

176

2016/C 013/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito a Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona e a Possibile evoluzione e adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea

183


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

510a sessione plenaria del CESE del 16 e 17 settembre 2015

2016/C 013/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Legiferare meglio per ottenere risultati migliori — Agenda dell’UE[COM(2015) 215 final]

192

2016/C 013/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro dell’Unione per la raccolta, la gestione e l’uso di dati nel settore della pesca e un sostegno alla consulenza scientifica relativa alla politica comune della pesca (rifusione)[COM(2015) 294 final — 2015/0133 (COD)]

201

2016/C 013/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1829/2003 per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare l’uso di alimenti e mangimi geneticamente modificati sul loro territorio (programma evolutivo) [COM(2015) 177 final — 2015/0093 (COD)]

203


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

RISOLUZIONI

Comitato economico e sociale europeo

510a sessione plenaria del CESE del 16 e 17 settembre 2015

15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/1


Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’attuale crisi dei rifugiati»

(2016/C 013/01)

Il CESE invoca un’azione europea immediata, responsabile e collettiva per fronteggiare l’arrivo massiccio di rifugiati.

L’attuale inaccettabile situazione dei richiedenti asilo rende necessaria una solida strategia a livello dell’UE in cooperazione con gli Stati membri, le parti sociali e le altre parti interessate per dare una risposta immediata ai molteplici problemi che i rifugiati si trovano ad affrontare.

La crisi umanitaria in corso che colpisce tanti rifugiati e che vede ogni giorno uomini, donne e bambini rischiare la loro vita per raggiungere l’Europa costituisce un grande motivo di preoccupazione per il nostro Comitato. La portata dell’attuale crisi dei rifugiati è senza precedenti ed incide in misura sproporzionata su alcuni Stati membri. Questa difficile situazione esige che i paesi europei dimostrino solidarietà: solidarietà nei confronti delle persone in fuga da guerre, persecuzioni, conflitti e povertà e solidarietà reciproca. Garantire a queste persone un ingresso sicuro e accoglienza è responsabilità di tutti gli Stati membri e fa parte dei nostri valori europei fondamentali.

Il CESE esprime la propria solidarietà e deplora profondamente la perdita di vite umane e le difficilissime condizioni dei rifugiati nel loro cammino verso la sicurezza. Invita le organizzazioni della società civile, in particolare quelle rappresentate in seno al CESE, a fare tutto il possibile per contribuire ad accogliere e integrare i rifugiati. Il CESE elogia l’impegno di coloro che lavorano nelle amministrazioni pubbliche locali, delle organizzazioni non governative e dei volontari che operano nel quadro di iniziative spontanee in tutta l’UE fornendo assistenza alle persone in stato di bisogno.

Oggi l’Unione europea deve agire come una vera Unione e adottare una normativa unificata in materia di asilo, il cui primo atto deve essere una revisione del regolamento di Dublino. È giunto il momento per i governi e i politici di seguire l’esempio dei cittadini, delle associazioni e di molti comuni che si stanno mobilitando molto di più e più rapidamente dei nostri governi e delle istituzioni dell’UE. Il CESE si rammarica che il Consiglio non sia stato ancora in grado di adottare la decisione necessaria di fronte a questa pressante crisi umanitaria. Pertanto il CESE esorta il Consiglio europeo a tenere un vertice straordinario prima della fine del mese per giungere ad un accordo su misure e azioni concrete, compreso un equo regime di quote.

Il CESE esprime la sua grande inquietudine per l’attuale erosione dell’accordo di Schengen e della libera circolazione, realizzazioni fondamentali dell’UE a beneficio dei suoi cittadini.

È essenziale definire misure immediate anche per affrontare le cause profonde degli attuali flussi di rifugiati. L’UE deve lavorare su tali questioni con i paesi di origine e di transito e il CESE accoglie con favore l’approccio basato sui diritti umani previsto dalla Commissione per tale cooperazione. Il CESE sottolinea, infine, la necessità di coinvolgere la società civile nel dialogo con i paesi terzi.


PARERI

Comitato economico e sociale europeo

510a sessione plenaria del CESE del 16 e 17 settembre 2015

15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/2


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Esperienze dello Small Business Act negli USA e nell’UE: migliori pratiche per azioni innovative in materia di PMI»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/02)

Relatore:

Ullrich SCHRÖDER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Esperienze dello Small Business Act negli USA e nell’UE: migliori pratiche per azioni innovative in materia di PMI (parere d’iniziativa).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 207 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Nell’Unione europea vi sono circa 21 milioni di PMI, che occupano quasi 90 milioni di persone e generano oltre 3 600 miliardi di euro di valore aggiunto. Espresso in altro modo, il 99 % delle imprese europee è di piccole o medie dimensioni, 2 dipendenti di imprese su 3 lavorano in una PMI e il 58 % del valore aggiunto è generato da tali imprese. Da qui la necessità di uno Small Business Act veramente efficace.

Il CESE desidera formulare le raccomandazioni che seguono in merito ad alcuni importanti capitoli della revisione dello Small Business Act (SBA) dell’UE, sulla scorta delle esperienze della Small Business Administration degli Stati Uniti d’America (l’agenzia federale competente in materia di PMI, che ha lo stesso acronimo della normativa europea ma si basa su un approccio completamente diverso).

1.1.    Il riesame dello SBA è un passo necessario.

La Commissione europea aveva espresso l’intenzione di pubblicare un riesame nel primo semestre del 2015, ma ha poi rimandato tale passo. Dato che è possibile apportare miglioramenti in una serie di ambiti importanti (cfr. più avanti), la comunità delle PMI si aspetta che, dopo le audizioni, si proceda al riesame; riesame che, data la vitale importanza di queste imprese, dovrebbe essere pubblicato quanto prima.

1.2.    Status giuridico ed attuazione

Lo SBA deve essere migliorato conferendogli un carattere maggiormente vincolante e un approccio più ambizioso, come chiesto anche dal CESE nel 2008 e nel 2011, ma non messo in pratica dalla Commissione europea.

Quest’ultima dovrebbe, ove opportuno, introdurre ulteriori meccanismi giuridici, ad esempio per quanto riguarda gli appalti, il «pensare anzitutto in piccolo» (think small first), le valutazioni d’impatto e i «test PMI». Tutto ciò dovrebbe essere attuato a livello sia dell’UE che dei singoli Stati membri, e comporterà un ruolo più incisivo per il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. I principi del «pensare anzitutto in piccolo» e dell’«una sola volta» (only once) devono essere inclusi nell’accordo interistituzionale «Legiferare meglio» delle istituzioni dell’UE.

1.3.    Status politico

Nell’Unione europea, lo SBA ha uno status politico inferiore rispetto a quello della Small Business Administration negli Stati Uniti. Per rafforzare tale status nell’Unione europea, il CESE raccomanda:

di istituire a livello dell'UE, come già suggerito nel proprio parere del 2011, un consiglio Competitività specifico per le PMI e lo SBA che si riunisca una volta all’anno (1),

che, in seno al Consiglio, il gruppo ad alto livello «Competitività e crescita» esamini i progressi compiuti in fatto di azioni nazionali per l’attuazione di priorità dello SBA, rifletta sulle misure aggiuntive da adottare a livello dell'UE e trasmetta i risultati di questo suo esame-riflessione al Consiglio Competitività annuale per le PMI e lo SBA,

di potenziare la Rete europea dei rappresentanti delle PMI, innalzando il livello dei suoi partecipanti a quello dei direttori generali dei ministeri dell’Economia, in modo da assicurare un coordinamento migliore e più forte tra l’UE e gli Stati membri.

1.4.    Governance ed efficienza

1.4.1.

Bisogna che l’UE presenti una relazione annuale sull’attuazione dello SBA che comprenda anche un rapporto, basato su dati, sulla gestione, da parte della Commissione, dello SBA stesso e del funzionamento dei singoli programmi.

1.4.2.

La Corte dei conti europea dovrebbe essere incoraggiata a pubblicare relazioni periodiche sul funzionamento dei programmi e delle misure rilevanti in materia di PMI, come fa, negli Stati Uniti, un’autorità indipendente, esterna alla Small Business Administration, come il Servizio di valutazione dei programmi governativi federali (US Government Accountability Office — GAO). Un ufficio indipendente all’interno della Commissione europea dovrebbe occuparsi della governance interna, sul modello dell’Ispettorato generale (Office of the Inspector General) istituito all’interno della Small Business Administration degli Stati Uniti.

1.4.3.

Lo SBA non riuscirà nel suo scopo se non sarà stato creato un partenariato di governance multipartecipativa (con le parti sociali e gli altri soggetti pubblici e privati interessati). Pertanto, bisogna che il gruppo consultivo sullo SBA (cfr. il punto 4.3.4), che avrebbe dovuto essere creato nel 2011 ma non è mai stato istituito, sia reso operativo e venga consultato nella fase che precede l’assunzione delle decisioni.

1.4.4.

Il sistema dei piani nazionali e locali di attuazione dello SBA (cfr. il punto 4.3.3) deve essere migliorato e completato mediante il ricorso sistematico ai quadri di valutazione.

Utilizzo di obiettivi

Si consiglia di fare più ampio ricorso a obiettivi indicativi — al fine di incrementare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici — nonché ad obiettivi vincolanti relativi ai programmi di R&S (a livello sia europeo che nazionale). Adoperando questo meccanismo, i livelli dovrebbero essere aumentati nel corso degli anni.

Convegno annuale dei rappresentanti delle piccole imprese

Negli Stati Uniti e nell’UE esiste un patrimonio di know-how ed esperienze considerevole riguardo alle politiche e ai programmi a favore delle PMI, ma in materia non vengono organizzate discussioni strutturali e sistematiche che coinvolgano le parti interessate. A tal fine potrebbe essere utile un convegno annuale, tenuto alternativamente negli Stati Uniti e nell’UE, sulla base dei migliori esempi esistenti. Al convegno dovrebbero partecipare i soggetti interessati di entrambe le sponde dell’Atlantico: esponenti della politica e della pubblica amministrazione, la Rete dei rappresentanti delle PMI e le organizzazioni delle piccole imprese. E, dato che queste ultime organizzazioni dispongono di mezzi assai limitati, i costi della loro partecipazione dovrebbero essere compensati. In tale sede, a margine delle discussioni di carattere generale, ogni anno si potrebbe affrontare un tema specifico: finanziamento, innovazione, commercio (compreso il TTIP), imprenditorialità femminile ecc.

2.   Introduzione e scopo del parere

2.1.

Lo Scopo di questo parere è fare un raffronto tra l’impostazione generale e le azioni per le PMI adottate dalla Small Business Administration degli Stati Uniti e quelle adottate dallo Small Business Act dell’UE.

Negli Stati Uniti e nell’UE il contesto politico e imprenditoriale è molto diverso, e in entrambe queste regioni del mondo esistono molte misure a favore delle PMI a livello nazionale e locale, in aggiunta a quelle dello SBA (2).

2.2.

Pertanto, le conclusioni del presente parere (cfr. la sezione 1) non vertono sul confronto tra i singoli programmi adottati nelle due regioni, bensì sui miglioramenti che si potrebbero apportare allo status giuridico e politico, alla governance e all’uso degli obiettivi dello Small Business Act dell’UE.

3.   La Small Business Administration negli Stati Uniti

3.1.

La Small Business Administration degli Stati Uniti è un’agenzia federale indipendente che fornisce sostegno alle piccole imprese. È stata istituita dal presidente Eisenhower nel 1953, dopo l’adozione dello Small Business Act, con il compito di consigliare ed assistere le piccole imprese e di proteggerne gli interessi. Nel 2013 il suo bilancio era pari a circa 1 miliardo di dollari statunitensi (USD), senza contare le attività non rivolte specificamente alle imprese. Alcune delle misure da essa adottate sono giuridicamente vincolanti. La Small Business Administration ha uffici in ogni Stato degli Stati Uniti e 1 000 centri locali, e il presidente Obama ha elevato il suo direttore generale al rango di membro del proprio Gabinetto.

3.2.

Secondo la complessa definizione adottata dalla Small Business Administration, per essere tale una piccola impresa deve essere sostanzialmente autonoma in termini di proprietà, gestione e organizzazione ed avere scopo di lucro. A seconda del settore, del prodotto o del servizio, le dimensioni standard si basano sul numero dei dipendenti o sul volume delle vendite. Se si considera il numero dei dipendenti, il numero massimo varia da circa un centinaio a 1 500.

3.3.

Panoramica delle attività e dei programmi della Small Business Administration statunitense (3)

3.3.1.

Finanziamento: prestiti e capitale di rischio

3.3.1.1.

La Small Business Administration offre garanzie alle piccole imprese che non possono ottenere credito altrove. In genere tali prestiti sono erogati da partner dell’agenzia federale (banche e altri istituti finanziari) e garantiti da quest’ultima.

Il programma di microcredito della Small Business Administration si rivolge alle imprese nuove o comunque in fase iniziale che operano su mercati poco serviti, mentre con i prestiti «lampo» (express loans) si mira a rispondere alle richieste entro 36 ore. Il programma di prestiti in caso di catastrofe (Disaster Loan Programme) eroga prestiti alle piccole imprese che subiscono gli effetti di catastrofi generali entro 45 giorni,

3.3.1.2.

e la Società per gli investimenti delle piccole imprese (Small Business Investment Company — SBIC) migliora l’accesso di queste ultime ai capitali di rischio.

3.3.2.

Programmi per l’aggiudicazione di appalti alle piccole imprese

3.3.2.1.

Diversi programmi di appalti consentono alle piccole imprese (di proprietà di persone svantaggiate o in settori sottoutilizzati) di competere solo con aziende simili per l’aggiudicazione di importanti appalti pubblici.

Vengono stabiliti obiettivi annuali complessivi riguardo agli appalti dell’amministrazione federale da aggiudicare alle piccole imprese, con sotto-obiettivi differenziati per singoli ministeri e singole agenzie. Attualmente l’obiettivo complessivo è aggiudicare loro almeno il 23 % del valore totale degli appalti federali. Nell’UE tale quota è più elevata (29 %), ma include anche gli appalti aggiudicati dagli enti regionali e locali, senza contare che l’obiettivo fissato negli Stati Uniti in futuro potrebbe essere innalzato.

3.3.3.

Programmi di R&S: una strategia per incrementare la partecipazione delle PMI ponendo obiettivi più ambiziosi

3.3.3.1.

Il programma per la partecipazione delle piccole imprese all’innovazione e alla ricerca (Small Business Innovation Research — SBIR) mira ad incrementare la partecipazione delle piccole imprese ad alta tecnologia alle attività di R&S dell’amministrazione federale nei ministeri federali con un bilancio per la R&S pari ad almeno 100 milioni di USD. Una quota del bilancio della R&S deve essere utilizzata per coinvolgere le piccole imprese: tale percentuale, che nel 1983 era dello 0,2 %, è cresciuta costantemente fino ad arrivare al 2,7 % nel 2013 (con un nuovo obiettivo del 3,2 % entro il 2017).

3.3.3.2.

Il programma per i trasferimenti di tecnologia alle piccole imprese (Small Business Technology Transfer — STTR) eroga finanziamenti per la ricerca federale alle piccole imprese, le quali però, per ottenerli, devono cooperare con istituti di ricerca senza scopo di lucro: lo 0,35 % nel 2013, passato allo 0,45 % nel 2016.

3.3.4.

Programmi per lo sviluppo dell’imprenditorialità

Tali programmi offrono formazioni per piccole imprese in un migliaio di centri. L’associazione SCORE raggruppa 50 organizzazioni indipendenti senza fine di lucro ed impegna 13 000 volontari.

3.3.5.

Ufficio del commercio internazionale

Questo ufficio offre assistenza in materia di esportazione. Tra le altre cose, esso concede prestiti «lampo» (entro 36 ore) e sovvenzioni per la partecipazione a fiere campionarie all’estero, oltre a fornire documentazione e materiale audiovisivo.

3.3.6.

Uffici speciali

L’Ispettorato generale ha il compito di migliorare la gestione e l’efficacia della Small Business Administration, di lottare contro le frodi nei programmi per le PMI e di riesaminare la legislazione vigente o proposta. È un ufficio indipendente all’interno di tale agenzia, diretto da un Ispettore generale.

L’Office of Avocacy funge da portavoce indipendente delle piccole imprese in seno al governo federale, e ha il compito di promuovere politiche di sostegno per tali imprese intervenendo sui processi di regolamentazione da parte delle agenzie federali e studiando l’impatto della normativa federale.

4.   Gli sviluppi nell’UE: dalla Carta per le piccole imprese allo Small Business Act  (4)

4.1.    Carta europea per le piccole imprese (2000)

La Carta, adottata nel 2000 dai leader dell’UE, sanciva l’impegno volontario — privo di cogenza giuridica — degli Stati membri a migliorare il contesto imprenditoriale per le piccole imprese in ciascuno di essi e a livello dell’UE. La Carta riguarda specificamente le piccole imprese con meno di 50 dipendenti.

4.2.    Lo Small Business Act dell’UE (SBA) (2008)

4.2.1.

La Commissione ha studiato l’impostazione della Small Business Administration degli Stati Uniti, e nel 2008 ha pubblicato la comunicazione Pensare anzitutto in piccolo (Think Small First) — Uno Small Business Act per l’Europa (5), che si rivolge ad una gamma di imprese più ampia (le PMI con meno di 250 dipendenti).

Tuttavia, finora sono state elaborate solo poche nuove proposte legislative.

La maggior parte dello SBA concerne un nuovo quadro strategico, che integra le politiche già esistenti a favore delle imprese e si basa sulla Carta europea per le piccole imprese,

4.2.2.

introducendo dieci principi che dovrebbero guidare la formulazione e l’attuazione delle politiche in materia di PMI sia a livello dell'UE che degli Stati membri e riguardano tra l’altro il contesto imprenditoriale, l’imprenditorialità, il «pensare anzitutto in piccolo», gli appalti, la puntualità dei pagamenti, il miglioramento del mercato unico, le competenze e l’innovazione.

4.2.3.

Nel 2008 il CESE (6) ha proposto di adottare uno SBA più ambizioso, facendo espresso riferimento all’attività della Small Business Administration statunitense.

4.2.4.

Le principali raccomandazioni formulate in tale parere includono:

l’adozione di uno strumento giuridico vincolante che garantisca l’applicazione del principio «pensare anzitutto in piccolo»,

l’istituzione di un «comitato dello SBA», di cui facciano parte rappresentanti degli Stati membri e delegati delle associazioni imprenditoriali rappresentative europee,

la nomina di un «rappresentante nazionale delle PMI» in ciascuno Stato membro.

Purtroppo, le prime due raccomandazioni non sono state seguite dalla Commissione europea.

4.3.    Riesame dello Small Business Act dell’UE (2011)

4.3.1.

Nel 2011 la Commissione ha pubblicato la comunicazione dal titolo Riesame dello «Small Business Act» per l’Europa (7), nella quale conclude che sono certo stati compiuti dei progressi, ma che è necessario fare di più.

4.3.2.

Per quanto concerne gli sviluppi negli Stati membri, la Commissione dà un giudizio meno positivo quanto ai progressi compiuti:

sul fronte della riduzione degli oneri amministrativi e dell’integrazione dei test PMI nel processo decisionale nazionale,

nel promuovere il Codice europeo di buone pratiche,

in fatto di semplificazione delle procedure fallimentari.

4.3.3.

Tale comunicazione propone che, nel riesaminare lo SBA, si adottino misure per rispondere alla crisi economica in tutta una serie di aree d’intervento: regolamentazione, finanziamento, accesso al mercato, imprenditorialità (compresa quella femminile), creazione di posti di lavoro e crescita inclusiva (è prevista anche un’iniziativa specifica per le imprese sociali).

4.3.4.

I miglioramenti della strategia comportano un rafforzamento della governance:

la Commissione continuerà a elaborare relazioni annuali generali sui singoli Stati membri in linea con la strategia UE 2020, indicandovi anche i progressi compiuti riguardo allo SBA,

bisogna che il gruppo consultivo sullo SBA, che avrebbe dovuto essere creato nel 2011 ma non è mai stato istituito, sia reso operativo e venga consultato nella fase che precede l’assunzione delle decisioni,

è stata introdotta la Rete dei rappresentanti delle PMI, comprendente i rappresentanti della Commissione europea e delle PMI nazionali, che dovrebbe stabilire un legame diretto fra la Commissione, le amministrazioni nazionali e le organizzazioni imprenditoriali nazionali,

sono stati varati piani nazionali di attuazione dello SBA, sostenuti da un forte meccanismo di monitoraggio e in coordinamento con gli Stati membri e le organizzazioni imprenditoriali. (tuttavia, il CESE deplora che tutto ciò non sia stato messo in pratica nel modo più efficiente possibile).

4.3.5.

Nel 2001 il CESE (8) ha riconosciuto che le PMI hanno beneficiato di una maggiore attenzione.

Tra le principali conclusioni formulate in tale parere, merita ricordare qui le seguenti:

il Comitato reputa che lo SBA dovrebbe assumere una forma maggiormente vincolante,

lo SBA non riuscirà nel suo scopo se non sarà stato creato un partenariato di governance multipartecipativa (con le parti sociali e gli altri soggetti pubblici e privati interessati),

si è trascurato il ruolo essenziale delle organizzazioni intermediarie dei settori pubblico e privato che offrono servizi personalizzati,

il CESE chiede al Consiglio di prevedere ogni anno un consiglio Competitività specifico per le PMI, le microimprese e lo SBA.

Il CESE si rammarica che queste raccomandazioni non siano state seguite dalla Commissione europea.

4.4.    Consultazione pubblica sullo SBA (2014)

4.4.1.

Nel settembre 2014 la Commissione ha avviato una consultazione sulle modalità della revisione dello SBA, denominata Una forte politica a sostegno delle PMI e degli imprenditori 2015-2020.

4.4.2.

La Commissione è giunta alla conclusione che in molti Stati membri lo SBA non sia stato attuato pienamente.

Gli ambiti prioritari di intervento proposti sono:

la riduzione degli oneri amministrativi,

l’accesso ai finanziamenti e ai mercati,

il potenziale in termini di imprenditorialità e innovazione,

l’impulso all’ulteriore sviluppo delle competenze (nuovo).

4.4.3.

Nell’aprile 2015, la Commissione ha pubblicato una relazione sui risultati della consultazione. La presentazione di una proposta di SBA riveduto è stata inizialmente prevista per il primo semestre del 2015, ma è stata ora prorogata al 2016. Le organizzazioni imprenditoriali europee hanno espresso la loro delusione per tale rinvio e hanno sollecitato la Commissione ad adottare provvedimenti già nel 2015.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 51.

(2)  Un più completo raffronto di tali misure sarebbe troppo complesso per il presente parere.

(3)  Quella che segue è una panoramica generale delle attività più interessanti. Per maggiori dettagli, si rinvia al sito www.sba.gov o alla relazione del Congresso degli Stati Uniti del 2013 Small Business Administration, A Primer on programs, disponibile online sul sito www.crs.gov. Una panoramica dei programmi della Small Business Administration figura nella relazione della GAO n. 819 del 2012, intitolata Entrepreneurial Assistance e consultabile sul sito www.gao.gov.

(4)  Quella che segue è una sintesi dei principali sviluppi dello Small Business Act. Per una panoramica più dettagliata, si rinvia al documento informativo disponibile sul sito del CESE.

(5)  COM(2008) 394 final.

(6)  GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30.

(7)  COM(2011) 78 final.

(8)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 51.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’impresa familiare in Europa come fattore di rilancio della crescita e fonte di migliori posti di lavoro»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/03)

Relatore:

Jan KLIMEK

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 gennaio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

L’impresa familiare in Europa come fattore di rilancio della crescita e fonte di migliori posti di lavoro

(parere d’iniziativa).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 17 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Le imprese familiari costituiscono l’ossatura di molte economie in tutto il mondo, e la dinamica del loro sviluppo è davvero impressionante. Oltre ad essere una fonte di crescita economica e di occupazione, tali imprese sono particolarmente attente alla dimensione regionale e locale. Le ragioni per le quali vengono create sono molteplici, ma il fattore che le accomuna è la naturale presenza di un sistema di valori, la volontà di dimostrare dedizione e sacrificio e un senso di responsabilità verso coloro che hanno fondato l’impresa e coloro che ne assumono la direzione. Le imprese familiari riescono a resistere meglio ai periodi difficili di recessione e stagnazione, e la loro longevità è dovuta principalmente al senso di responsabilità personale per l’immagine dell’azienda.

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), riconoscendo il valore specifico delle imprese familiari ed in linea con lo Small Business Act, il quale dispone che «l’UE e gli Stati membri devono dar vita a un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale» (1), invita la Commissione europea a realizzare una strategia attiva per promuovere tra gli Stati membri le migliori prassi in materia di imprese familiari.

1.3.

Il passo successivo potrebbe essere quello di iniziare a lavorare a un regolamento o a un quadro normativo in materia di imprese familiari che contenga una definizione delle stesse e precisi gli ambiti d’intervento della Commissione, nonché delle istituzioni giuridiche, economiche e politiche competenti in materia.

1.4.

Per quando riguarda le misure specifiche, il CESE invoca:

l’inserimento della categoria delle imprese familiari nelle statistiche europee (Eurostat) e la raccolta efficace, da parte degli uffici statistici nazionali, di informazioni su tali imprese,

una migliore regolamentazione in materia di trasferimento delle imprese familiari da una generazione a quella successiva, in particolare sotto il profilo fiscale, per ridurre l’esposizione di tali imprese a problemi di liquidità,

la promozione di un contesto favorevole alle organizzazioni di tipo familiare, contraddistinte dal fatto di offrire un’occupazione a lungo termine,

la promozione dell’innovazione tra le imprese familiari, non da ultimo mediante appalti pubblici innovativi,

lo sviluppo dell’istruzione e la promozione della ricerca nel settore dell’imprenditoria familiare,

il sostegno alle aziende agricole familiari e la rivitalizzazione dell’imprenditoria basata sulle cooperative, con particolare riguardo alla tipologia che riunisce le aziende familiari,

l’introduzione di deduzioni fiscali sugli utili reinvestiti, nonché la creazione di opportunità per le imprese familiari di aumentare il capitale senza attribuire diritti di voto,

una cooperazione attiva, a livello dell'UE, con le organizzazioni che rappresentano le imprese familiari, per esempio nell’ambito di un gruppo permanente di esperti.

2.   Introduzione

2.1.

Le imprese familiari costituiscono oltre il 60 % di tutte le imprese europee di piccole e grandi dimensioni ed occupano tra il 40 e il 50 % del totale dei loro dipendenti (2). Nella grande maggioranza delle economie, le aziende sono per lo più micro-, piccole e medie imprese, categoria nella quale rientra quindi anche la maggior parte delle imprese familiari.

2.2.

I principali punti di forza delle imprese familiari risiedono nel loro orientamento a lungo termine, nei valori specifici che formano la loro particolare cultura organizzativa e nel loro coinvolgimento nelle comunità locali. La loro particolare cultura si fonda sui valori promossi dai familiari che gravitano attorno all’impresa, quali un alto livello di fiducia nell’azienda e l’elevata qualità dei servizi o prodotti offerti.

2.3.

Grazie alla loro prospettiva a lungo termine, le imprese familiari sono in grado di creare legami duraturi con i loro stakeholder (dipendenti, clienti, fornitori e comunità locali).

2.4.

Le imprese familiari sono caratterizzate dall’intento di trasmettere l’attività alla generazione successiva, nonché dall’attenzione e dalla responsabilità nei confronti dei lavoratori. Un aspetto, questo, che responsabilizza ulteriormente le imprese di questo tipo, nelle quali le relazioni sono basate sulla fiducia.

2.5.

Per realizzare i loro obiettivi, le imprese familiari investono quanti più utili possibile nella creazione di un’azienda stabile, indipendente e innovativa, basata su capitali propri, mirando soprattutto a ridurre al minimo i rischi in modo che l’attività possa essere tramandata da una generazione all’altra. Mirando a realizzare obiettivi a lungo termine (che abbracciano più generazioni), le imprese familiari si sviluppano in modo molto più equilibrato.

3.   Definizione di impresa familiare

3.1.

È generalmente riconosciuto che le imprese familiari sono caratterizzate da tre compagini: la famiglia, l’impresa e l’assetto proprietario (3). L’incidenza della famiglia sulle altre due compagini determina il carattere familiare dell’impresa. Ciò significa che le imprese a conduzione familiare sono più complesse delle altre e necessitano quindi di un trattamento appropriato.

3.2.

In diversi Stati membri esistono o sono in preparazione disposizioni giuridiche riguardanti le imprese familiari:

in Spagna e in Finlandia le imprese familiari sono definite a livello ministeriale (rispettivamente dai ministeri dell’Economia e del Commercio),

anche in Italia (codice civile) e in Romania esiste una definizione normativa di impresa familiare,

l’Ungheria ha adottato una definizione di impresa agricola a conduzione familiare,

in Danimarca, una legge nazionale disciplina l’assunzione di giovani nelle aziende familiari (Arbejdsmiljølovgivningens anvendelse for elever i erhvervspraktik, VEJ n. 60106, del 1o febbraio 1998),

in Austria, la legge federale sancisce la possibilità, per gli esercizi pubblici a conduzione familiare, di stabilire orari d’apertura flessibili (Ladenöffnungszeitenverordnung) e le imprese familiari sono definite dalla normativa dei singoli Länder (Stati federati) in materia di agricoltura,

in Lituania, la Corte suprema ha emesso un parere nel quale afferma che un’azienda costituita con il coniuge è da considerarsi impresa familiare,

in Bulgaria e in Slovacchia si tiene conto della comproprietà familiare nel caso di lavoro autonomo,

a Malta si sta elaborando la prima legge organica al mondo dedicata specificamente alle imprese familiari (Family Business Act).

3.3.

Ad avviso del Comitato, sarebbe utile avviare una procedura legislativa volta a inserire la categoria delle imprese familiari nei registri delle attività economiche di tutti gli Stati membri.

3.4.

La relazione del gruppo di esperti della Commissione sulle imprese familiari raccomanda l’adozione della seguente definizione, secondo cui un’impresa è da considerarsi «familiare» se:

la maggioranza dei diritti di voto è nelle mani delle persone fisiche che hanno fondato l’impresa o ne hanno acquisito il capitale sociale oppure del coniuge, dei genitori, dei figli o degli eredi diretti dei figli, di queste persone,

tale maggioranza può essere diretta o indiretta,

almeno un rappresentante della famiglia o della parentela è coinvolto nella gestione o nell’amministrazione dell’impresa,

nel caso di società quotate, le persone che hanno fondato l’impresa o ne hanno acquisito il capitale sociale, oppure un loro familiare o discendente, detengono, sulla base della loro partecipazione al capitale sociale, il 25 % dei diritti di voto.

3.5.

La suddetta definizione, tuttavia, è troppo ampia, e sarebbe opportuno circoscriverla in modo tale da accentuare il carattere familiare dell’impresa e in particolare le finalità plurigenerazionali della sua attività.

3.6.

L’adozione di una tale definizione da parte dei paesi europei consentirebbe di raccogliere dati quantitativi, che renderebbero possibile compilare statistiche sulle imprese di questo tipo sulla base dei dati aggregati; dati che, a loro volta, renderebbero più agevole l’analisi delle imprese familiari nei nuovi Stati membri, dove queste aziende svolgono un ruolo fondamentale. Un compito, questo, che potrebbe essere svolto dall’Ufficio statistico dell’Unione europea, Eurostat.

3.7.

A livello nazionale si si stanno compiendo tentativi per quantificare le imprese familiari. In Irlanda, ad esempio, l’Ufficio centrale di statistica ha pubblicato un documento dal titolo Family Business in Ireland — Services Sector 2005 [«L’impresa familiare in Irlanda — settore dei servizi 2005»], mentre la Federazione europea delle imprese familiari, in cooperazione con la società di consulenza KPMG, pubblica il Barometro delle imprese familiari e in Polonia l’Agenzia per lo sviluppo delle imprese ha condotto nel 2008 un approfondito studio qualitativo e quantitativo.

3.8.

L’implicazione di Eurostat consentirebbe di raggiungere due importanti obiettivi: uniformare la definizione di impresa familiare e raccogliere dati statistici sulle aziende che corrispondono a tale definizione.

4.   Sfide per le imprese familiari

4.1.

Le sfide che le imprese familiari devono affrontare possono essere divise in due categorie: quelle che riguardano tutte le aziende e quelle specifiche per le imprese di questo tipo. La prima categoria include tutti i fattori che incidono sull’economia di un paese, quali la domanda nazionale, la demografia e la situazione socioeconomica. Il presente parere si concentra sulla seconda categoria, ossia sulle sfide specifiche che le imprese familiari devono affrontare per svilupparsi e crescere.

4.2.

La proprietà di un’azienda familiare non è costituita da attività liquide, bensì da qualcosa che è stato costruito e sviluppato dalla famiglia nel corso di generazioni, compresi valori, tradizioni e know-how (4). Pertanto, il trasferimento della proprietà dell’azienda da una generazione a quella successiva è la più grande sfida che un’impresa di questo tipo si trova ad affrontare.

4.2.1.

Si può quindi affermare che, per le imprese familiari, sia particolarmente importante pianificare attentamente la successione aziendale in quanto l’intento dei loro titolari è trasmettere l’impresa in buona salute alla generazione successiva.

4.2.2.

Ogni anno circa 450 000 imprese, con un totale di quasi 2 milioni di dipendenti, si trovano ad affrontare questa sfida. All’incirca 150 000 imprese chiudono ogni anno a causa di una successione aziendale fallimentare, provocando la perdita di 600 000 posti di lavoro (5).

4.2.3.

Occorrerebbe esaminare le ragioni principali che determinano il fallimento della pianificazione della successione aziendale, e sostenere l’adozione di misure che agevolino la trasmissione dell’impresa, costituite, ad esempio, da un diritto successorio o da incentivi fiscali che agevolino tale trasmissione.

4.2.4.

La portata e l’entità delle diverse strategie esistenti in Europa in materia di imposte di successione e patrimoniali dimostrano come la regolamentazione vigente in questo campo necessiti ancora di notevoli miglioramenti (6).

4.2.5.

Un primo esempio di possibile soluzione in materia di trasferimenti aziendali giunge dai Paesi Bassi, dove il ministero dell’Economia ha introdotto un «pacchetto Successioni» (Overdrachtspakket), che viene inviato all’imprenditore al compimento del 55o anno di età per rammentargli l’importanza di pianificare il trasferimento dell’azienda e mettere a sua disposizione una serie di strumenti utili a questo scopo. In Belgio, l’Istituto per le imprese familiari ha introdotto una Carta delle successioni disponibile in tre lingue: nederlandese (Scorecard Opvolging), francese (Scorecard Transmission) e inglese (Succession Scorecard). In Slovenia, la Camera per l’artigianato e le piccole imprese (Obrtno-podjetniška zbornica Slovenije) organizza seminari e corsi di formazione su tutte le questioni connesse alla successione d’impresa. E anche la Finlandia dispone di un programma in materia di successioni (ViestinVaihto-ohjelma). In Austria, esiste una legge (Gesamte Rechtsvorschrift für Gewerbeordnung, 1994) sulla continuazione delle attività aziendali (Fortbetrieb) da parte di un familiare in caso di decesso del titolare dell’impresa. Disposizioni analoghe esistono in Francia (successions et libéralités) e in Lussemburgo. In Polonia, l’agenzia nazionale per lo sviluppo delle imprese ha predisposto, in cooperazione con l’Istituto per le imprese familiari, un pacchetto in materia di successioni, in base al quale, tra le altre cose, le imprese familiari ricevono gratuitamente una guida alla successione, strumenti di assistenza gratuiti e la possibilità di frequentare gratuitamente workshop di attuazione pratica.

4.3.

Le imprese familiari puntano a creare posti di lavoro a lungo termine, contribuendo così alla creazione di un contesto favorevole al formarsi e organizzarsi delle famiglie. Per questa ragione, esse sono, ad esempio, in grado di offrire posti di lavoro particolarmente interessanti per le madri che devono occuparsi dei figli. Occorre sostenere questo contesto favorevole, che potrebbe dare a queste aziende un vantaggio competitivo.

4.4.

In un’impresa familiare il coniuge o il partner del titolare svolge sovente un ruolo importante, anche quando, per ragioni diverse, non sia inquadrato formalmente nell’impresa. Ciò può comportare problemi giuridici e finanziari, per esempio in caso di separazione. Conferire a queste persone, così come ad altri membri della famiglia coinvolti in modo informale nelle attività dell’azienda, uno status più formale contribuirebbe ad evitare difficoltà nel caso in cui sorgano problemi familiari.

4.5.

Per quanto concerne l’innovazione, le imprese familiari dovrebbero concentrarsi non solo sui mercati e prodotti tradizionali, ma anche su soluzioni nuove e innovative.

4.5.1.

L’innovazione nelle imprese familiari può essere sostenuta mediante un sistema di appalti pubblici innovativi, in cui il prezzo non sia il solo criterio di selezione delle offerte. Le imprese familiari sono caratterizzate dal fatto di competere sulla base dell’alto livello qualitativo dei servizi o prodotti offerti e dell’assistenza alla clientela, garantito tra l’altro dal marchio di famiglia (spesso rappresentato dal nome del titolare o della famiglia stessa). Pertanto, esse generalmente non partecipano alle gare per l’aggiudicazione di appalti pubblici in cui l’unico criterio di selezione è il prezzo. Si suggerisce quindi di promuovere, come criterio di valutazione dell’offerta, quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa (most economically advantageous tender — MEAT) (7), e di diffondere informazioni in tal senso tra le imprese familiari.

4.6.

La globalizzazione sta costringendo le imprese ad aprirsi a nuovi mercati, nuove tecnologie e nuove competenze — tutti elementi, questi, di cui le imprese familiari devono tener conto nelle loro strategie di sviluppo. E ciò può comportare la necessità di aprirsi a nuovo personale, anche per quanto concerne le posizioni dirigenziali.

4.7.

A livello nazionale, bisognerebbe riconoscere il contributo reso dalle imprese familiari all’economia e stabilire condizioni ad esse favorevoli nel diritto tributario e dell’economia (eventualmente adottando una legge ad hoc per tali imprese), nonché adottare misure di sostegno alla formazione per le imprese di questo tipo — formazione, questa, che dovrebbe tener conto delle loro specificità, ad esempio in materia di successione, controllo da parte della famiglia ecc.

4.8.

Esempi di offerta formativa rivolta in modo specifico ai rappresentanti delle imprese familiari sono presenti a Cipro (Scuola d’impresa familiare gestita dall’International Institute of Management di Cipro), in Francia (Master 2 professionnel: Gouvernance des entreprises familiales et patrimoniales — M2 GEFP, organizzato dall’Università di Bordeaux) e in Finlandia (Omistajuus ja hallitustyöskentely — valmennusohjelma jatkajille [«assetto proprietario e gestione d’impresa — programma di formazione per i successori aziendali»]) (8). Anche le organizzazioni si sostegno alle imprese familiari organizzano corsi per imprenditori di aziende familiari: è il caso, ad esempio, della Family Business Network (FBN) Academy, gestita dalla filiale svedese di FBN International, e dei programmi di formazione offerti in Spagna dall’Instituto de la Empresa Familiar.

4.9.

Riconoscere il ruolo svolto dalle imprese familiari nelle economie degli Stati membri e sostenerle potrebbe favorire il recupero della tradizione artigianale familiare. Una quota significativa di piccole imprese è costituito da artigiani associati che desiderano garantire la prosecuzione del loro mestiere, ed è quindi legittimo sostenere questo tipo di attività.

4.10.

Le piccole imprese familiari sono esposte a rischi che possono determinarne l’uscita dal mercato. Occorre quindi fornire a tali imprese un’appropriata assistenza giuridica e fiscale al fine di favorirne l’ulteriore sviluppo. Le grandi aziende di famiglia potranno a loro volta beneficiare del sostegno e delle misure istituzionali a favore dei fornitori e delle economie locali.

4.11.

Una tipologia specifica di impresa familiare è rappresentata dalle aziende agricole a conduzione familiare, le quali, oltre alle sfide tipiche delle imprese familiari, devono affrontare anche problemi specifici che interessano le zone rurali.

4.11.1.

Tra questi problemi, desta particolare preoccupazione il fenomeno del land grabbing (accaparramento dei terreni), che altera in modo irreversibile il tessuto economico delle zone rurali e comporta un’industrializzazione dell’agricoltura, indesiderabile sul piano sociale. Nel suo parere sul tema, adottato nel gennaio 2015 (9), il CESE ha esortato ad adottare le misure necessarie per preservare in tutta l’UE un modello agricolo basato sulle aziende agricole familiari.

4.11.2.

Le aziende agricole familiari spesso si costituiscono in cooperative per realizzare economie di scala ed essere più competitive sul mercato (10). L’imprenditoria di tipo cooperativo presenta caratteristiche simili all’imprenditoria familiare, come ad esempio il fatto di puntare ad attività a lungo termine anziché al profitto immediato. Tuttavia, negli ultimi tempi le cooperative hanno perso vigore e alcune sono persino fallite, ragion per cui occorre adoperarsi per rivitalizzare questa forma di impresa.

4.12.

Con riferimento all’accumulazione di capitale a lungo termine rivolta a sviluppare l’impresa familiare, si parla di «capitale paziente» (11). In caso di trasferimento, la famiglia cede il capitale insieme alla sua dimensione socioculturale, cosicché l’acquirente investe nell’azienda o la rileva insieme al suo bagaglio di conoscenze plurigenerazionali, alla sua cultura familiare e al suo impegno nei confronti della comunità (locale).

4.12.1.

Nell’ottica del «capitale paziente», è opportuno considerare il ricorso alle deduzioni fiscali sugli utili reinvestiti, prevedendo la deducibilità di tali utili per le imprese familiari (e non solo) che preferiscono incrementare il capitale proprio anziché ricorrere all’indebitamento.

4.12.2.

La possibilità di dedurre gli interessi sul debito dagli utili imponibili rappresenta infatti per le imprese un ulteriore incentivo al ricorso all’indebitamento, il cui costo risulta effettivamente ridotto, mentre tali deduzioni non si applicano al capitale proprio.

4.12.3.

Se è vero che la materia fiscale è notoriamente di competenza dei singoli Stati membri, ciò non toglie, però, che l’Unione europea dovrebbe promuovere le buone pratiche in materia di imprese familiari.

4.13.

Si dovrebbe considerare la possibilità di iniettare capitale nelle imprese familiari mediante la creazione di fondi d’investimento pubblici, la cui caratteristica peculiare sarebbe il fatto di consentire l’aumento del capitale delle imprese familiari senza attribuire diritti di voto ai finanziatori, sulla falsariga dell’Aksjeloven [«legge sulle quote di capitale sociale»] norvegese o della Ley de Sociedades de Responsabilidad Limitada [«legge sulle società a responsabilità limitata»] spagnola.

4.14.

Le attività delle imprese familiari potrebbero inoltre essere sostenute dagli organismi nazionali o locali pertinenti (organismi pubblici come i ministeri, associazioni datoriali, camere dell’artigianato ecc.) e da organizzazioni sovranazionali di categoria, tra le quali spiccano per importanza la Rete europea di imprese familiari (European Family Business), FBN International e Les Hénokiens.

4.14.1.

Le suddette organizzazioni svolgono un importante ruolo di promozione del settore delle imprese familiari, oltre a rappresentare una piattaforma per lo scambio di conoscenze ed esperienze tra i titolari di tali imprese e a pubblicare relazioni per migliorare la conoscenza di questa tipologia di impresa. Inoltre, le organizzazioni di sostegno alle imprese familiari possono esercitare pressioni nei confronti dei decisori (lobbying) per ottenere soluzioni concrete.

Bruxelles, 17 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale eu ropeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2008) 394 final.

(2)  Relazione finale del gruppo di esperti Overview of family-business-relevant issues: research, networks, policy measures and existing studies, Commissione europea, novembre 2009.

(3)  R. Tagiuri e J.A. Davis, Bivalent Attributes of the Family Firm, Harvard Business School, 1982.

(4)  Piano d’azione imprenditorialità 2020 — Rilanciare lo spirito imprenditoriale in Europa [COM(2012) 795 final].

(5)  Business Dynamics: Start-ups, Business Transfers and Bankruptcy (2011).

(6)  COM(2012) 795 final.

(7)  SEC(2007) 280 — Guide on dealing with innovative solutions in public procurement, 10 elements of good practice [«Guida alle soluzioni innovative nel campo degli appalti pubblici — 10 elementi di buona pratica»].

(8)  I. Mandl, Overview of Family Business Relevant Issues [«Le questioni rilevanti per le imprese familiari: una panoramica»], KMU Forschung Austria, 2008.

(9)  Parere del CESE sul tema L’accaparramento di terreni: un campanello d’allarme per l’Europa e una minaccia per l’agricoltura familiare, GU C 242 del 23.7.2015, pag. 15.

(10)  Family farming in Europe: Challenges and prospects, In-depth analysis [«L’agricoltura familiare in Europa: sfide e prospettive — un’analisi approfondita»]. Parlamento europeo, 2014.

(11)  Per «capitale paziente» si intende il capitale proprio dell’azienda impiegato dal titolare dell’impresa familiare per bilanciare, da un lato, la remunerazione attuale degli investimenti e, dall’altro, una ben precisa strategia commerciale a lungo termine che mira a garantire la continuità della tradizione e del patrimonio familiari. Fonte: F.M. De Visscher, C.E. Aronoff e J.L. Ward, Financing Transitions. Managing Capital and Liquidity in the Family Business [«Finanziare la transizione. Gestione del capitale e della liquidità nelle imprese familiari»], Palgrave Macmillan, 2011.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Verso la sanità digitale: informazioni elettroniche per l’utilizzo sicuro dei medicinali»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/04)

Relatrice:

Renate HEINISCH

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 gennaio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del suo Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Verso la sanità digitale: informazioni elettroniche per l’utilizzo sicuro dei medicinali

(parere d’iniziativa).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 212 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene gli sforzi della Commissione europea volti ad attribuire elevata priorità alle soluzioni di sanità elettronica nel quadro dell’agenda digitale.

1.2.

Il CESE osserva che i pazienti, gli operatori sanitari e coloro che cercano informazioni hanno ripetutamente segnalato la necessità di informazioni complete, accurate e aggiornate sui medicinali, come anche di un mercato unico digitale.

1.3.

Il CESE ritiene che tali informazioni, approvate dalle autorità competenti, debbano essere accessibili facilmente e senza discriminazioni, in modo da essere consultabili anche dalle persone ipovedenti, non udenti o con altre disabilità fisiche. Le informazioni devono essere adeguate alle esigenze dei singoli cittadini, dei pazienti e degli operatori sanitari allo scopo di offrire il livello di conoscenza necessario per l’impiego più efficace e sicuro dei medicinali.

1.4.

Il CESE ritiene che la diffusione elettronica delle informazioni sui prodotti approvati dalle agenzie del farmaco consenta di migliorarne ulteriormente l’accessibilità. Una banca dati elettronica contenente i testi, approvati dalle autorità sanitarie, del foglietto illustrativo e del riassunto delle caratteristiche del prodotto (RCP) consente di disporre di informazioni mirate e aggiornate sui medicinali.

1.5.

Il CESE propone che le informazioni siano messe a disposizione nella maniera più adeguata per le persone ipovedenti, ad esempio con caratteri ingranditi o come registrazioni audio. Inoltre, le dimostrazioni del corretto impiego di dispositivi (ad esempio inalatori contro l’asma) potrebbero essere fornite in formato video o con filmati in lingua dei segni per le persone non udenti. Anche la messa a disposizione di versioni in «linguaggio semplificato» può ridurre gli ostacoli alla comunicazione. Queste soluzioni consentono alle persone con disturbi dell’apprendimento di fruire delle informazioni in maniera adeguata e compensano le limitazioni dovute a eventuali carenze di istruzione.

1.6.

Il CESE rileva inoltre che la raccolta in un unico portale creerà una fonte affidabile e per molti aspetti facilmente accessibile di informazioni approvate dalle autorità competenti e rispondenti ai criteri di fruibilità senza barriere. Tale sistema consentirà ai pazienti e agli operatori sanitari di confrontare qualsiasi informazione disponibile altrove con le informazioni di base approvate.

1.7.

Per garantire la fruibilità universale, la fase di sviluppo dovrebbe avvenire anche in collaborazione con utilizzatori e progettisti di siti web con esperienza nel settore dell’accessibilità senza barriere. Si dovrebbe mettere a punto una soluzione a formato aperto che consenta agli utenti di scegliere essi stessi, in base alle loro esigenze e possibilità, il terminale (PC, tablet, smartphone ecc.) da utilizzare per consultare le informazioni.

1.8.

Il CESE ritiene che la banca dati/il portale di informazioni approvate dalle autorità competenti dovrebbero essere sviluppati in stretta collaborazione con tutte le parti interessate, ossia il settore farmaceutico come anche le associazioni di pazienti, i rappresentanti delle persone con disabilità e gli operatori sanitari, e dovrebbero essere gestiti e finanziati dal settore farmaceutico al fine di rispondere al meglio alle esigenze.

1.9.

Il CESE ritiene che sia importante trovare soluzioni incentrate sull’utente, per consentire di accedere alle informazioni anche alle persone con bassi livelli di scolarizzazione e a quelle che utilizzano Internet di rado.

1.10.

Sebbene l’accesso elettronico alle informazioni sia da considerare importante, va sottolineato che i medici (in particolare quelli di base) e gli altri operatori sanitari, quali i farmacisti e gli infermieri, rappresentano il primo punto di contatto da cui i pazienti possono ottenere consigli sulle loro patologie e sul relativo trattamento.

1.11.

Il CESE chiede alla Commissione europea di sostenere la proposta sul progetto riguardante le informazioni in formato elettronico nel quadro dell’iniziativa in materia di medicinali innovativi 2 (IMI2). Gli Stati membri sono invitati a partecipare all’iniziativa volta a coordinare le banche dati esistenti.

2.   Introduzione

2.1.

Nel 2012 la Commissione europea ha pubblicato il piano d’azione «Sanità elettronica» 2012-2020 — Una sanità innovativa per il ventunesimo secolo (1) che elenca gli ostacoli al pieno utilizzo delle soluzioni digitali nei sistemi sanitari europei.

2.2.

La Commissione europea ha spiegato che l’obiettivo è migliorare le prestazioni sanitarie a beneficio dei pazienti, offrire a questi ultimi un maggiore controllo delle proprie cure mediche e ridurre i costi. Mentre la telemedicina suscita l’entusiasmo dei pazienti, dei cittadini e degli operatori sanitari che già la usano, e milioni di cittadini europei hanno scaricato applicazioni per smartphone che consentono di seguire l’andamento del proprio stato di salute e di benessere, il settore della sanità deve ancora sfruttare appieno il cospicuo potenziale offerto dalla svolta digitale per migliorare i propri servizi e realizzare risparmi di efficienza. Il CESE ricorda a tale proposito che occorre tenere conto anche degli aspetti legati alla protezione della privacy e dei dati personali.

2.3.

La sanità elettronica (e-health), comprendente la telemedicina e la sanità mobile (m-health), è definita dall’OMS come il trasferimento di risorse sanitarie e l’assistenza sanitaria attraverso il supporto di strumenti informatici. Essa si articola in tre ambiti principali:

la fornitura di informazioni sulla salute agli operatori sanitari e ai consumatori attraverso Internet e altri mezzi di telecomunicazione,

l’impiego dei sistemi informatici e del commercio elettronico (e-commerce) per migliorare i servizi sanitari pubblici, ad esempio, attraverso l’istruzione e la formazione degli operatori sanitari,

l’utilizzo dell’e-commerce e dell’e-business nella gestione dei sistemi sanitari.

2.4.

La sanità mobile, sulla quale la Commissione europea ha pubblicato un libro verde (2), è il segmento della sanità elettronica che riguarda l’esercizio della medicina e della sanità pubblica attraverso dispositivi mobili. Essa comprende, in particolare, l’utilizzo di strumenti di comunicazione mobile per servizi in materia di salute e benessere e a fini informativi, nonché di applicazioni mobili per la salute.

2.5.

Sono sempre di più le persone di qualsiasi fascia di età che utilizzano un numero in continua crescita di informazioni e di applicazioni di sanità elettronica.

2.6.

Tuttavia, la qualità di queste fonti di informazione varia notevolmente e i motori di ricerca solitamente non fanno distinzione tra le fonti affidabili, ufficialmente riconosciute, e quelle che lo sono di meno.

2.7.

Per gli operatori sanitari esiste tutta una serie di sistemi certificati di informazione. Gli operatori sanitari, in particolare i medici di base e i farmacisti, svolgono un ruolo fondamentale all’interno dei sistemi sanitari, ed è indispensabile disporre di informazioni di elevata qualità se vogliamo che i professionisti del settore siano adeguatamente informati e in grado di rispondere ai bisogni della popolazione europea in materia di assistenza sanitaria.

2.8.

Il CESE ritiene che anche i pazienti debbano poter accedere agevolmente a informazioni affidabili, che consentano loro di organizzare meglio le proprie cure sanitarie e di partecipare alla gestione della propria salute, il che si traduce anche in una migliore aderenza alle terapie. Le questioni del fabbisogno in materia di formazione e dell’inclusione di tutte le categorie (in particolare gli anziani e le persone con disabilità) sono già state trattate in precedenti pareri del Comitato (3).

2.9.

L’aumento del carico di lavoro del personale sanitario e le diverse possibilità di coinvolgimento dei pazienti/cittadini nelle organizzazioni sanitarie, ad esempio le autorità regolatorie nazionali, i comitati dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) e i comitati etici, richiedono conoscenze approfondite.

2.10.

Una possibilità di formazione viene offerta ai pazienti dall’Accademia europea dei pazienti sull’innovazione terapeutica (Eupati). Si tratta di un consorzio finanziato dall’Iniziativa tecnologica congiunta sui medicinali innovativi (IMI), un partenariato pubblico-privato tra la Commissione europea e la Federazione europea delle industrie e delle associazioni farmaceutiche (EFPIA).

2.11.

Tale consorzio, che raggruppa 29 organizzazioni ed è coordinato dal Forum europeo dei pazienti, comprende, oltre ai membri dell’EFPIA, una combinazione unica e paneuropea di associazioni di pazienti, mondo accademico e organizzazioni no profit che operano in qualità di esperti per coinvolgere attivamente i pazienti e il pubblico. L’Eupati informa il pubblico dei non addetti ai lavori e le categorie di pazienti difficili da raggiungere, aumentando il loro grado di conoscenza in materia di sviluppo di nuovi trattamenti. Tramite il consorzio è possibile anche organizzare corsi per approfondire le conoscenze necessarie a comprendere le informazioni relative ai medicinali o elaborare un programma di formazione in materia.

2.12.

Alcuni Stati membri dell’UE dispongono già di informazioni elettroniche sui prodotti farmaceutici. La banca dati più estesa è quella del portale FASS (4), gestito dall’associazione farmaceutica svedese LIF; altri esempi degni di menzione esistono, ad esempio, in Germania, nel Regno Unito, in Finlandia e in Danimarca. Queste banche dati non sono, in genere, accessibili alle persone ipovedenti o non comprendono l’intera gamma di medicinali.

2.13.

Inoltre, alcune di queste banche dati non sono aggiornate in maniera costante.

2.14.

Va segnalato anche che le agenzie del farmaco hanno autorizzato l’inserimento di codici (codici QR) sui foglietti illustrativi che rimandano alla documentazione pubblicata sul sito web della casa farmaceutica. Anche in questo caso, spesso non è garantito che le informazioni siano consultabili senza barriere.

2.15.

Queste iniziative dimostrano che continua a essere necessario un approccio armonizzato al fine di consentire a tutte le categorie della società di accedere alle informazioni mediante queste nuove tecnologie.

3.   Osservazioni generali

3.1.    Infrastrutture

3.1.1.

Il CESE ritiene che sia compito delle case farmaceutiche fornire informazioni precise e aggiornate sui loro prodotti. Qualsiasi soluzione tecnologica dovrebbe essere realizzata in stretta collaborazione con i produttori del settore, al fine di poter utilizzare le soluzioni tecniche già esistenti, e dovrebbe essere soggetta al controllo da parte delle agenzie del farmaco.

3.1.2.

Il CESE sottolinea che il modo in cui le informazioni approvate dalle autorità competenti vengono presentate e le possibilità di accesso devono essere coordinati con le parti interessate (autorità regolatorie, associazioni di pazienti e operatori sanitari).

3.1.3.

Nel quadro dell’Iniziativa sui medicinali innovativi si potrebbe creare e finanziare un consorzio incaricato di coordinare lo sviluppo della banca dati/del portale.

3.1.4.

Nella creazione del portale proposto occorre tenere conto delle banche dati esistenti (come quella dell’EMA).

3.2.    Altre necessità in materia di ricerca

3.2.1.   Ricerca e sviluppo in ambito tecnico

Oltre ai modelli di banche dati nazionali già esistenti, è stato sviluppato, a fini dimostrativi, anche un prototipo di banca dati di facile consultazione e ad accessibilità pressoché universale, che consente anche la gestione di file audio e video. Dovrebbe essere messa a punto una soluzione tecnica liberamente accessibile che utilizzi con la massima efficacia le fonti disponibili.

Tale soluzione tecnica dovrebbe anche tenere conto del fatto che i cittadini/pazienti non vogliono dover utilizzare troppe applicazioni di scansione sul loro smartphone. La banca dati/il portale dovrebbero quindi essere accessibili, ad esempio, con le normali tecnologie di lettura mediante scanner.

Per facilitare l’accettazione, si dovrebbe puntare su soluzioni a formato aperto. Le informazioni dovranno poter essere scaricate e visualizzate su qualsiasi dispositivo (PC, tablet, smartphone ecc.).

Le soluzioni tecniche dovrebbero essere confrontate tra loro, coinvolgendo anche diversi ambiti dei servizi sanitari [ad esempio, le iniziative in atto negli Stati membri volte a comunicare con i pazienti attraverso la connessione televisiva o gli sportelli bancari automatici, o le iniziative proposte dalla Commissione europea (5)].

In Italia, i farmacisti sono tenuti per legge a stampare le versioni aggiornate del foglietto illustrativo che le case farmaceutiche hanno inserito in una banca dati. Un’altra possibilità integrativa per coinvolgere le persone che non utilizzano Internet è quella della stampa in farmacia da parte del farmacista o del paziente (su terminali simili a quelli degli sportelli bancari automatici).

3.2.2.   Prova e presentazione del contenuto

I vari sistemi devono essere valutati circa la loro accettazione da parte del pubblico, e le soluzioni tecniche sviluppate devono essere sottoposte a prove sugli utenti per verificare la loro funzionalità.

La ricerca deve tenere conto anche delle questioni strutturali relative al necessario controllo della soluzione tecnica, al fine di facilitare l’accettazione.

Come le autorità regolatorie controllano i contenuti?

I contenuti devono essere presentati in modo da consentire l’adeguamento alle esigenze individuali dei pazienti/cittadini e devono contenere tutte le informazioni richieste in base alla documentazione di autorizzazione all’immissione in commercio o dalla legge.

Al fine di garantire a tutti i soggetti interessati un rapido riscontro, si potrebbe integrare una possibilità di valutazione delle informazioni (soprattutto della loro comprensibilità) da parte degli utenti. A tal fine potrebbero essere utilizzate componenti di social media per la presentazione, la distribuzione e lo scambio.

3.2.3.   Istruzione e formazione

L’utilizzo di Internet varia notevolmente da una categoria sociale all’altra. Molti utenti utilizzano le reti sociali, ma non le piattaforme informative. Una piccola fetta della società (circa il 10 %, secondo l’Ufficio statistico federale tedesco) non utilizza Internet in alcun modo. Dovrebbero essere avviate delle ricerche sulle seguenti questioni:

come si può incoraggiare l’apprendimento attivo per utilizzare le fonti di informazione esistenti sui temi della salute (in particolare le informazioni digitali)?

la capacità di «imparare a imparare» (apprendimento lungo tutto l’arco della vita) è una delle otto competenze fondamentali evidenziate nella raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 (6) che invita gli Stati membri ad attuare misure a livello nazionale. Nell’agenda europea per l’apprendimento degli adulti sono proposte misure da parte degli Stati membri per l’apprendimento attivo degli adulti. Nei criteri del programma per la valutazione internazionale delle competenze degli adulti (PIAAC) potrebbe essere inserita l’alfabetizzazione informatica in materia di salute,

quale ruolo possono svolgere le diverse strutture di insegnamento (università, centri di istruzione per adulti ecc.) e le strutture sanitarie nel rafforzare l’acquisizione delle molteplici competenze necessarie, quali la capacità di lavorare con le nuove tecnologie, di impegnarsi in attività di interesse collettivo, di prestare assistenza a titolo volontario o di trasmettere conoscenze sociali e tecniche?

gli operatori sanitari devono ricevere un’adeguata formazione durante il loro percorso di studio. I centri di istruzione per adulti potrebbero sviluppare corsi attrattivi, specificamente concepiti per gli utilizzatori del sistema. Per meglio raggiungere i destinatari, tali centri potrebbero agire insieme con gli operatori sanitari (in particolare i medici), le farmacie locali e le strutture sociosanitarie locali. Tale cooperazione è particolarmente importante nelle zone rurali, in cui gli abitanti sono isolati. L’apprendimento intergenerazionale potrebbe favorire, in particolare, la condivisione delle conoscenze sui contenuti e delle competenze tecniche.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2012) 736 final.

(2)  COM(2014) 219 final, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52014DC0219&from=IT

(3)  Parere del CESE sul tema Società digitale: accesso, istruzione, formazione, occupazione, strumenti per l’uguaglianza, (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 25).

(4)  http://www.fass.se/LIF/startpage?userType=2

(5)  http://www.mobilehealthglobal.com/in-the-news/interviews/46/interview-with-peteris-zilgalvis

(6)  GU L 394 del 30.12.2006, pag. 10.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Aiuti di Stato alle imprese: sono efficaci ed efficienti?»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/05)

Relatore:

Edgardo Maria IOZIA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 febbraio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Aiuti di Stato alle imprese: sono efficaci ed efficienti?

(parere di iniziativa)

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 198 voti favorevoli, 3 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che la valutazione d’impatto degli aiuti di Stato sia uno strumento chiave per verificare la corrispondenza dei risultati agli obiettivi proposti per allocare le risorse in modo maggiormente efficace ed efficiente e per migliorarne la trasparenza e la validazione dei processi di gestione.

1.2.

Molti Stati membri hanno già sviluppato sistemi di valutazione complessi e articolati; un processo che si muove in sinergia con un crescente interesse del mondo accademico che ha permesso di migliorare le tecniche di valutazione e di aumentare la precisione degli strumenti di misurazione a disposizione delle autorità eroganti.

1.3.

La Commissione europea ha istituito un Forum di alto livello con gli Stati membri circa gli aiuti di Stato alle imprese, il quale si rivolge anche alla valutazione.

1.4.

Nel dicembre scorso la commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager, nel suo discorso al Forum di alto livello, ha detto: «Ci sono due elementi chiave nel programma SAM, che sono particolarmente importanti: la trasparenza, che consente ai cittadini di sapere dove vanno i loro soldi, e la valutazione, che dice se sono stati spesi bene». Il CESE è molto d’accordo con questo messaggio.

1.5.

Il CESE accoglie con favore il dibattito sulla valutazione d’impatto delle politiche di sostegno alle imprese ed esorta la Commissione a proseguire con vigore il percorso intrapreso già da alcuni anni.

1.6.

Va rilevato però che, ad eccezione delle valutazioni previste dai regolamenti europei, numerosi regimi di aiuto sfuggono oggi a valutazioni d’impatto. In molti casi la normativa prevede che ci si limiti a certificare la corrispondenza formale dei singoli interventi alle previsioni di legge — non consentendo, pertanto, una verifica capillare e nel lungo periodo dell’efficacia ed efficienza di tutti gli investimenti erogati a sostegno delle imprese. Il CESE auspica una generalizzazione delle valutazioni d’impatto e possibilmente una riduzione della soglia di 150 milioni di EUR che il regolamento generale di esenzione per categoria individua oggi quale soglia rilevante di budget medio annuo dei regimi di aiuto per essere sottoposti all’obbligo di presentazione di un piano di valutazione ex ante, che altrimenti escluderebbe molti Stati membri, in particolare quando gli aiuti in questione sono ingenti anche in relazione alla dimensione dello Stato.

1.7.

Il CESE sottolinea come il complesso della normativa degli aiuti di Stato stia spostando progressivamente il ruolo della Commissione, pervasa in precedenza da una cultura prevalentemente amministrativa, ad una nuova forma di cooperazione con gli Stati membri per ottimizzare i risultati degli aiuti di Stato, che si sofferma sulla loro efficienza ed efficacia. Un importante passo in avanti compiuto con l’adozione della «modernizzazione.

1.8.

Gli Stati membri dovranno dotarsi di appropriati strumenti di valutazione, svolti da organismi indipendenti. Il CESE ritiene necessaria la partecipazione alla definizione del modello valutativo dei partner sociali senza sacrificare le notevoli competenze acquisite dal personale della pubblica amministrazione (PA), che dovrà avere un ruolo nella definizione dei processi valutativi e nella partecipazione alla stesura del report finale, diffondendo così la cultura della valutazione all’interno dei propri organismi, migliorando progressivamente le istruttorie. La Commissione europea dovrà collaborare all’armonizzazione dei criteri valutativi tra gli Stati membri. La comparabilità dei criteri di valutazione consentirà un esame complessivo dell’efficacia e dell’efficienza degli aiuti di Stato.

1.9.

Particolare attenzione si dovrà prestare alle realtà regionali interessate al sistema degli aiuti di Stato a livello regionale. La scelta apprezzabile della Commissione di esentare dalla notificazione preventiva oltre l’80 % del complesso degli aiuti di Stato (1), da una parte consente l’immediata erogazione dei finanziamenti, dall’altra aumenta notevolmente le responsabilità e i costi delle amministrazioni locali, e quindi la spesa pubblica, e richiederà una forte attenzione degli Stati membri per fornire le risorse adeguate per avviare specifici corsi di formazione e scambiare buone pratiche tra le amministrazioni locali. La cultura del partenariato va sviluppata a tutti i livelli.

1.10.

Il CESE ritiene che il nuovo sistema che conferisce agli Stati membri la responsabilità della valutazione ex ante, comporti l’incremento complessivo dei costi per la pubblica amministrazione e per le imprese, che richiede un’attenta programmazione capace di eliminare gli adempimenti non necessari e di semplificare le procedure. Segnala altresì che il periodo di sei mesi per le procedure di autorizzazione dei piani di valutazione di regimi molto complessi potrebbe essere troppo stretto e la costruzione di un modello controfattuale per piccoli Stati potrebbe presentare grandi difficoltà.

1.11.

Il CESE raccomanda la rapida adozione della comunicazione sulla nozione di aiuto di Stato, per aiutare in particolare le amministrazioni locali alle quali l’esenzione massiccia dall’obbligo di notifica preventiva ha trasferito il doppio onere di individuare che cosa è aiuto di Stato e di attuarlo in modo compatibile con il mercato. Ad esempio nel caso dei finanziamenti pubblici per la cultura e la conservazione del patrimonio, la persistente incertezza giuridica su quali di essi configurino aiuti di Stato induce le amministrazioni a considerare ogni intervento come soggetto alla disciplina degli aiuti di Stato e a tutti gli oneri amministrativi e procedurali che ne conseguono. La medesima incertezza giuridica caratterizza il finanziamento pubblico di tutte le infrastrutture, in particolare a partire dalla giurisprudenza relativa al caso dell’aeroporto di Lipsia. Occorre una chiara e netta definizione tra gli interventi di sostegno pubblico alle imprese che non configurano aiuti di Stato e quelli che sono aiuti di Stato ai sensi della definizione dell’articolo 107 paragrafo 1 TFUE.

1.12.

Pur apprezzando gli sforzi compiuti, il CESE ritiene indispensabile che la cultura valutativa si estenda a tutti i livelli di governo, Stati e regioni — oltre, dunque, i confini dei casi su menzionati — e a tal fine sollecita nuovi impegni della Commissione e degli Stati membri.

1.13.

Dall’analisi svolta risulta una carenza di dati sui costi di gestione da parte delle amministrazioni pubbliche della gestione degli aiuti di Stato alle imprese. Una seria valutazione dell’efficienza degli stessi non può prescindere da un’attenta considerazione di quanto viene speso dalla PA, oltre alla misura stessa degli aiuti, in rapporto ai risultati ottenuti. La trasparenza del sistema esige la pubblicizzazione di questi dati. Dai dati disponibili il complesso dei costi amministrativi ammonterebbe a circa il 5 % cui vanno aggiunti i costi di «compliance», valutati per un altro 5 %, cui vanno aggiunti gli ulteriori costi di valutazione che stime della Commissione misurano in poco meno dell’1 %. Un ammontare di risorse, probabilmente calcolate per difetto che appare oggettivamente eccessivo.

1.14.

Il CESE invita la Commissione a non creare oneri imprevisti ed ulteriori a carico delle imprese e a garantire che l’intero sistema di valutazione divenga più efficiente ed efficace.

1.15.

È molto importante che la valutazione tenga conto anche dell’efficienza dei costi amministrativi e di quelli derivanti dai modelli di valutazione.

1.16.

Comparabilità dei diversi modelli, flessibilità in relazione alla dimensione, alla tipologia e agli indicatori, semplificando la valutazione ex ante e armonizzando i criteri di quella ex post.

1.17.

Il CESE sollecita una visione integrata delle azioni della Commissione nelle diverse fattispecie che interessano la politica economica: fondi strutturali, aiuti di Stato, accordi di partenariato commerciale, al fine di garantire un programma unitario di politica economica europea, basata sullo sviluppo e la crescita.

1.18.

Il CESE raccomanda di utilizzare criteri analoghi a quelli contenuti nel regolamento delegato (UE) n. 240/2014 della Commissione, del 7 gennaio 2014, recante un codice europeo di condotta sul partenariato nell’ambito dei fondi strutturali e d’investimenti europei (2), che prescrivono l’obbligo di consultazione di tutti i soggetti potenzialmente interessati, per formulare un apposito regolamento dedicato alla valutazione dell’efficacia e dell’efficienza degli aiuti di Stato.

1.19.

La trasparenza delle valutazioni effettuate dovrà essere garantita con la massima pubblicità possibile, come già in vigore in alcuni Stati membri per quello che riguarda le imprese e l’ammontare degli aiuti concessi.

1.20.

Il CESE raccomanda che i piani di valutazione prevedano:

conseguimento dell’obiettivo di policy;

impatto su concorrenza e scambi;

efficacia/efficienza dello strumento;

verifica dei presupposti ex ante, per proseguire il regime o per regimi simili a livello micro (specifica dell’aiuto);

effetto di incentivazione.

1.21.

Il CESE chiede di essere coinvolto nel processo di valutazione dell’efficacia e dell’efficienza complessiva del sistema degli aiuti di Stato al termine del periodo 2014/2020.

2.   Introduzione

2.1.

Gli aiuti alle imprese, se non inseriti in un contesto normativo chiaro, se non indirizzati verso attività produttive ed imprese che investono in particolare in innovazione, ricerca, sviluppo, che determinano benefici economici e sociali, se non limitati e controllati, possono determinare una distorsione della concorrenza ed una frammentazione del mercato interno, contraddicendo la lettera e lo spirito dei trattati.

2.2.

La negativa congiuntura economica, d’altro canto, che sta durando da molti anni, con profonde crisi nazionali, che si riverberano inevitabilmente su imprese, lavoratori e cittadini, richiede un approccio di relativa flessibilità, come attuato dai maggiori concorrenti dell’Unione sui mercati internazionali, che non dispongono di una medesima disciplina in materia di aiuti di Stato. La competitività delle imprese europee deve essere un parametro importante di riferimento. La disoccupazione costituisce in Europa una vera e propria emergenza. Gli investimenti dal picco del 2007 sono calati del 15 % e 25 milioni di cittadini restano disoccupati, tra loro 5 milioni di giovani. Le donne sono la maggioranza (3).

2.3.

Un’interessante ricerca del Parlamento europeo (4) ha evidenziato le notevoli differenze tra i regimi vigenti nell’UE e negli USA. «La politica sulla competizione dell’UE ha regole strette, mentre la legislazione degli Stati Uniti non ha nessuna previsione in materia». Nei negoziati in corso tra UE e USA, su richiesta dell’allora commissario Joaquín Almunia, è stata inserita una proposta dell’UE di ordinamento degli aiuti di Stato, in corso di negoziazione nell’ambito del Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) (5).

2.4.

La proposta appare debole e sostanzialmente ininfluente (6). L’Europa continuerà ad avere la legislazione più restrittiva del mondo. Se da una parte favorisce la realizzazione del mercato interno, dall’altra penalizza le nostre imprese. Un’impresa europea che produce negli USA può beneficiare di aiuti di Stato inammissibili nell’UE, agevolata dall’adozione del trattato. Il CESE pone alla Commissione un serio ammonimento a non favorire con il trattato di libero scambio le imprese d’oltreoceano.

2.5.

L’esperienza finora fatta ha dimostrato la necessità di una profonda revisione del regime europeo degli aiuti di Stato.

2.6.

La crisi economica e finanziaria degli ultimi anni ha imposto, a tutti i livelli di governo, una robusta revisione dei criteri di spesa in ordine alle politiche di investimenti pubblici e di sostegno alle imprese. In particolare, in un quadro di scarsità e limitatezza delle risorse a disposizione, è emersa come prioritaria la necessità di una più corretta razionalizzazione degli interventi (con erogazione di aiuti solo quando vi sia un valore aggiunto adeguato) che vada a vantaggio della qualità degli stessi e ne consenta — contestualmente — un adeguato monitoraggio in termini di efficacia ed efficienza.

2.7.

A giudizio del CESE appare opportuno capire quali siano stati gli effetti delle politiche adottate in materia di aiuto alle imprese, se gli strumenti di sostegno individuati siano da ritenersi congrui, se i costi amministrativi e di gestione siano infine proporzionati ai risultati ottenuti. Tutto questo nella consapevolezza di non poter né identificare, né migliorare ciò che non si può misurare. Le misure finora adottate avviano questo percorso.

2.8.

La valutazione può sembrare una questione tecnica, che interessa solo un piccolo gruppo di ricercatori accademici, mentre viene esercitata da una più ampia comunità di professionisti, appartenenti a società di consulenza specializzate nella revisione contabile o nelle valutazioni di progetti e programmi. Tuttavia, avendo acquisito una posizione centrale nel programma della Commissione sulla legislazione intelligente, la valutazione è diventata un tema essenziale delle politiche normative, e ha sollevato importanti questioni istituzionali e di governance al di là del campo dei programmi di spesa (7).

2.9.

Dal 2008 la direzione generale (DG) Politica regionale e urbana ha sviluppato programmi di valutazione controfattuale che si affiancano alle valutazioni esistenti (ex ante ed ex post) condotte nel quadro della programmazione dei fondi strutturali.

2.10.

Dal maggio 2012, inoltre, la DG Concorrenza, nell’ambito della riforma sulla «Modernizzazione degli aiuti di Stato» (State Aid Modernization, SAM), ha previsto la valutazione d’impatto, condotta con tecniche controfattuali, per alcuni regimi di aiuto (8). In particolare, il nuovo «Regolamento generale di esenzione» prevede la valutazione obbligatoria per grandi regimi di aiuto (con dotazione annuale superiore a 150 milioni di EUR) in settori specifici come la politica per lo sviluppo regionale, gli aiuti per le piccole e medie imprese, gli aiuti per la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione, gli aiuti all’ambiente e all’energia e gli aiuti alle infrastrutture a banda larga. Alcuni piani nazionali sono già stati presentati (quattro), e altri specifici nel campo della ricerca dello sviluppo e dell’innovazione e della banda larga sono in esame (una decina).

2.11.

La Corte dei conti europea è intervenuta recentemente sui sistemi di valutazione dei risultati adottati da EuropeAid, giudicandoli inadeguati (9). È in atto un processo di revisione dei sistemi valutativi in tutte le attività della Commissione.

2.12.

Una sempre più stretta correlazione tra le metodologie valutative dei risultati dell’utilizzo dei fondi strutturali e degli aiuti di Stato s’impone, come una profonda revisione di tutte le politiche di spesa dell’Unione.

2.13.

L’approccio controfattuale alla valutazione degli effetti delle politiche pubbliche si propone di verificare la capacità di una policy di modificare nella direzione desiderata i comportamenti o le condizioni di una determinata popolazione di destinatari, cioè di definire in quale misura l’intervento — piuttosto che altri fattori — abbia contribuito al raggiungimento di un certo risultato. È quello che si suole definire effetto di incentivazione.

2.14.

L’obiettivo dell’esercizio valutativo è volto a identificare l’impatto causale della policy adottata, cogliendo solo l’effetto diretto della stessa, ossia eliminando le possibili distorsioni dovute alle condizioni macroeconomiche generali o all’eterogeneità delle imprese.

2.15.

L’impatto causale si misura come la differenza tra le variabili-risultato osservabili dopo l’attuazione della politica (situazione fattuale) e ciò che sarebbe accaduto se quella stessa politica non fosse stata adottata (situazione controfattuale).

2.16.

Tale analisi risponde a domande mirate a provare l’entità e il segno degli effetti netti di un intervento: se l’intervento produce effetti positivi o negativi, e di quale entità; se i cambiamenti osservati sono davvero attribuibili alla policy implementata; se i risultati variano tra i diversi beneficiari (grandi o piccole aziende), tra regioni, o nel tempo; se il costo di gestione ed amministrativo è stato proporzionato e sostenibile.

2.17.

Sebbene nella letteratura economica la materia abbia vissuto un notevole sviluppo, specialmente nelle ultime decadi, soltanto in pochi casi le amministrazioni pubbliche degli Stati europei hanno fatto un uso costante e generalizzato delle valutazioni d’impatto per monitorare e migliorare le loro politiche di sostegno alle imprese.

2.18.

Tra i casi maggiormente interessanti vanno sottolineati gli sforzi del Regno Unito (che dal 2001 valuta regolarmente i programmi di aiuto regionali con tecniche di valutazione quasi-sperimentali), dell’Olanda (che nel 2012 ha costituito l’Impact Evaluation Expert Working Group), così come della Finlandia (Finnish Innovation Agency, TEKES) e della Slovenia (che dal 2001 ha approvato il «Monitoring of State Aid Act»).

2.19.

Con il presente parere il CESE intende fornire un contributo alla riflessione della Commissione europea e degli Stati membri sull’adeguatezza in termini di efficacia ed efficienza delle misure di aiuto alle imprese e sulla necessità di estendere le valutazioni d’impatto.

3.   Perché valutare: lezioni dalla letteratura

3.1.

In base ad evidenze empiriche provenienti da valutazioni controfattuali, il parere intende mostrare l’importanza della pratica valutativa, da considerare non più come un esercizio accademico ma come un habitus istituzionale essenziale nel ciclo di policy: attuare, monitorare, valutare, ridisegnare.

3.2.

A tal fine sono presi in esame alcuni studi condotti in diversi Stati europei e messe in rilievo le relative fundamental lessons: le implicazioni di policy in termini d’impatto sulla crescita degli investimenti, sulla produttività, sull’occupazione, sull’innovazione, sul costo dell’intervento. Indicatori, questi ultimi, che servono a comprendere gli effetti sulla crescita e a marcare la necessità di avere interventi mirati e di buona qualità.

3.3.

Benché la letteratura tenda a porre l’accento sull’esistenza di una correlazione positiva tra sostegno pubblico alle imprese e crescita degli output (investimenti, occupazione, nuovi prodotti), è opportuno segnalare che non sempre l’effetto incentivante dell’aiuto può esser dato per scontato. Esistono, infatti, diversi altri fattori che influenzano il successo di una policy, come il trend economico generale, il funzionamento dei mercati, la fiscalità generale.

3.4.

Bondonio e Martini (2012), in uno studio che analizza l’impatto della Legge 488 in Italia, evidenziano come in media le imprese che hanno ricevuto un aiuto diretto hanno ridotto gli investimenti privati. In questo caso l’intervento diretto dello Stato a sostegno delle imprese sembra aver portato ad una contrazione della spesa privata in investimenti, riducendo la necessità di risorse private. Gli aiuti di Stato devono aggiungersi all’investimento e non sostituirlo.

3.5.

Anche nel caso dell’impatto degli aiuti sulla produttività, la letteratura mette in luce alcune criticità. In uno studio di valutazione condotto sulle imprese britanniche che hanno beneficiato di aiuti all’interno del programma «Regional Selective Assistance (RSA)», Criscuolo (2012) spiega come la crescita della produttività si sia rilevata statisticamente non significativa (10).

3.6.

Queste conclusioni sembrano essere in linea con altre evidenze empiriche che dimostrano come gli aiuti diretti spesso incidono positivamente sui volumi di produzione senza però avere effetti sulla produttività. In altri termini, le imprese che beneficiano dell’aiuto diventano più grandi senza diventare più efficienti. Ciò aumenterebbe il rischio di mantenere sul mercato imprese scarsamente competitive.

3.7.

I modelli statistico-econometrici in grado di identificare l’impatto delle agevolazioni con approccio controfattuale, permettono inoltre di evidenziare gli effetti netti occupazionali di specifici provvedimenti di aiuto, consentendo altresì di misurare il costo per unità occupazionale «creata».

3.8.

Molto spesso esiste una differenza tra il numero di nuove unità occupazionali attribuibili direttamente all’intervento e alle statistiche riportate nei monitoraggi ex post. Trzciński (2011), in uno studio sulle misure di aiuto alle piccole e medie imprese in Polonia, dimostra come dei 25 000 nuovi posti di lavoro «creati» dall’intervento solo 10 550 siano quelli effettivamente da attribuire alla policy attuata (11). Alla stessa conclusione arrivano anche Bondonio e Martini (2012): degli 89 000 nuovi posti riportati nel monitoraggio ex post della Legge 488, solo 12 500 sono quelli effettivamente creati, con un costo per ogni unità occupazionale di 232 000 EUR (12). Va tenuto conto dell’impatto degli aiuti di Stato in termini di posti di lavoro esistenti, e dunque di salvaguardia dell’economia locale, regionale o nazionale.

3.9.

Gli interventi a sostegno delle imprese producono effetti diversi in base all’entità dei contributi erogati, alle dimensioni dell’impresa, alla zona geografica nella quale è collocata, e alla tipologia dell’aiuto garantito. È opportuno che l’evidenza empirica prodotta dalle analisi valutative sia messa al servizio del decisore pubblico per orientare le sue scelte, per capire quale tipo d’intervento sia più corretto ed in quale contesto. Quanto sopra descritto fa emergere con chiarezza l’importanza di concepire misure di aiuto mirate, ai fini di una maggiore efficacia ed efficienza della policy.

4.   Osservazioni

4.1.

È necessario che la Commissione europea continui la sua opera di sensibilizzazione sui principi ed i metodi più diffusi nel campo della valutazione d’impatto. In particolare, il CESE ritiene opportuno che siano organizzati, nei diversi Stati membri e congiuntamente con Università, istituti di ricerca, parti sociali e altri soggetti interessati, seminari sulle tecniche di valutazione e sulle metodologie disponibili. Alla luce di queste esperienze, la Commissione potrà comprendere con maggiore facilità gli ostacoli incontrati nell’applicazione della normativa ed intervenire puntualmente a riguardo.

4.2.

Nonostante gli sforzi della Commissione siano da ritenere apprezzabili, è importante che più schemi di aiuto siano soggetti a valutazione, specie quando l’ammontare degli aiuti è elevato. È inoltre fondamentale promuovere un dibattitto metodologico che sia volto ad affiancare ai metodi di valutazione controfattuale nuovi strumenti di misurazione che permettano di considerare anche gli effetti di altre forme di sostegno alle imprese (supporti finanziari, aiuti indiretti, politiche industriali tout court considerate).

4.3.

Il CESE insiste sulla necessità di sviluppare un’appropriata metodologia pluralista per quello che riguarda i criteri e i parametri di valutazione. La Commissione afferma (13): «si garantisce che il sostegno pubblico stimoli l’innovazione, le tecnologie verdi, lo sviluppo del capitale umano, eviti danni ambientali e, in ultima analisi, favorisca la crescita, l’occupazione e la competitività europea». Tutti elementi concorrenti alla valutazione dell’impatto degli aiuti di Stato, al di là della mera valutazione del costo. Il Parlamento europeo sollecita la sua inclusione nella definizione delle metodologie di valutazione, come pure del diritto europeo in materia di aiuti di Stato, in quanto esso condiziona fortemente le scelte di politica economica degli Stati membri. Il CESE sottolinea altresì l’interesse per la ricerca ad avere un libero accesso ai dati di valutazione, al fine di migliorarne la metodologia.

4.4.

Sarebbe auspicabile che la Commissione, congiuntamente ai servizi statistici nazionali ed europei, avviasse una riflessione sull’opportunità di costituire, all’interno di un quadro metodologico unico, database affidabili sugli aiuti alle imprese. Tale azione da un lato garantirebbe una maggiore trasparenza dei processi decisionali, dall’altro favorirebbe l’attività di ricerca e misurazione sia delle amministrazioni pubbliche che dei ricercatori interessati.

4.5.

Le Università e i centri di ricerca potrebbero giocare un ruolo decisivo nella sensibilizzazione verso la cultura valutativa e nella diffusione di nuovi e più avanzati strumenti di misurazione delle politiche pubbliche. Inoltre la Commissione europea potrebbe servirsi di istituti di ricerca indipendenti per condurre studi di casi che abbiano la finalità di valutare l’efficacia degli aiuti in ambiti specifici quali aiuti alla ricerca, sviluppo e innovazione, aiuti alle piccole e medie imprese, aiuti destinati al settore energetico, aiuti alle infrastrutture.

4.6.

Dal momento che le valutazioni previste dai nuovi regolamenti comunitari non tengono in debita considerazione gli effetti delle politiche a sostegno delle imprese sull’economia europea nel suo complesso, è opportuno che alla fine dell’attuale periodo di programmazione (2014-2020) la Commissione avvii sul tema uno studio pilota. Il lavoro dovrebbe indagare le principali determinanti della spesa in aiuti, individuare la relazione tra aiuti alle imprese e potenziale economico dell’autorità erogante, cogliere la connessione esistente tra la politica di coesione e la politica di concorrenza.

4.7.

Il presente parere costituisce una prima tappa dei lavori del CESE nel campo della misurazione d’impatto degli interventi pubblici a sostegno delle imprese, nonché una risposta e un supporto all’attività che la Commissione svolge sul tema. Il CESE ritiene tuttavia indispensabile ampliare ed approfondire il dibattito: esso continuerà a seguire con attenzione il lavoro della Commissione in materia e a promuovere la cultura valutativa dell’efficacia e dell’efficienza, ove possibile.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Intervento della commissaria responsabile della concorrenza Margrethe Vestager al forum di alto livello degli Stati membri, 18.12.2014.

(2)  GU L 74 del 14.3.2014, pag. 1.

(3)  http://ec.europa.eu/eurostat/tgm/refreshTableAction.do?tab=table&plugin=1&pcode=teilm020&language=en

(4)  http://www.europarl.europa.eu/RegData/bibliotheque/briefing/2014/140779/LDM_BRI%282014%29140779_REV1_EN.pdf

(5)  http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2015/january/tradoc_153019.6%20Competition%20SoE%20Subsidies%20merged.pdf

(6)  http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2015/january/tradoc_153031.pdf

(7)  http://www.lexxion.de/pdf/ejrr/ejrr_2015_01-005.pdf

(8)  Regolamento (UE) n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato (GU L 187 del 26.6.2014, pag. 1).

(9)  http://www.eca.europa.eu/Lists/ECADocuments/INSR14_18/INSR14_18_IT.pdf

(10)  Criscuolo, C., Martin, R., Overman H. e Van Reenen, J. (2012), The causal effects of an industrial policy [Gli effetti causali di una politica industriale] CEPR Discussion Papers 8818.

(11)  Trzciński, R. (2011), Towards Innovative Economy — Effects of Grants to Enterprises in Poland, [Verso l’economia innovativa — Effetti delle sovvenzioni alle imprese in Polonia] a cura di. Jacek Pokorski.

(12)  Martini, A., Bondonio D. (2012), Counterfactual impact evaluation of cohesion policy: impact and cost effectiveness of investment subsidies in Italy [Valutazione controfattuale dell’impatto della politica di coesione: l’impatto e l’efficacia rispetto ai costi delle sovvenzioni agli investimenti in Italia] Relazione per la DG Regio, Commissione europea.

(13)  COM(2012) 209 final.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/26


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Economia del bene comune: un modello economico sostenibile orientato alla coesione sociale»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/06)

Relatore:

Carlos TRIAS PINTÓ

Correlatore:

Stefano PALMIERI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 febbraio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

L'economia del bene comune: un modello economico sostenibile orientato alla coesione sociale.

(parere d’iniziativa)

La sezione specializzata «Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale», incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 17 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 144 voti favorevoli, 13 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

A giudizio del CESE, il modello dell'economia del bene comune (EBC) (1) è concepito per essere incluso nel quadro giuridico sia europeo che nazionale al fine di progredire verso il mercato unico europeo attraverso un'economia più etica, basata sui valori e sulle conquiste europee in materia di politiche di responsabilità sociale, nonché creando sinergie che li rafforzino.

1.2

L'economia del bene comune è un approccio olistico i cui concetti sono vicini ai valori fondamentali dell'economia solidale, dell'economia circolare, dell'economia della condivisione, dell'economia orientata alla funzionalità, dell'economia basata sulle risorse e dell'economia blu.

1.3

L'economia del bene comune è sostenuta dalle organizzazioni della società civile, dalle imprese e dal mondo accademico, ed è considerata un modello realizzabile in grado di rafforzare i valori europei e la coesione sociale e di promuovere un sistema economico responsabile. Difatti, l'EBC è sostenuta da più di un centinaio di gruppi locali, quasi 2 000 imprese (2) e organizzazioni sociali.

1.4

In sintonia con il quadro della strategia Europa 2020, essa propone la transizione verso un «mercato etico europeo» che incentiverà l'innovazione sociale, incrementerà il tasso di occupazione e sarà benefico per l'ambiente. Il «mercato etico europeo» si potrà realizzare attraverso l'attuazione di diverse strategie:

1.4.1

la misurazione di indicatori del benessere e dello sviluppo sociale al di là del PIL (3), come il prodotto del bene comune e il bilancio del bene comune;

1.4.2

l'elaborazione di politiche mirate a riconoscere le imprese con il maggiore contributo al bene comune, quali gli appalti pubblici etici e la promozione del commercio interno etico;

1.4.3

la promozione del commercio estero etico come «marchio Europa». In tal modo, l'Europa getterà le basi per essere riconosciuta in quanto mercato etico e le imprese europee saranno all'avanguardia del mercato etico globale e contribuiranno a rafforzare i diritti umani, le norme sul lavoro e la protezione dell'ambiente in tutto il mondo;

1.4.4

l'incoraggiamento a tutti i tipi di imprenditori sociali che avviano organizzazioni volte a contribuire al bene comune;

1.4.5

la promozione del consumo etico e la sensibilizzazione dei consumatori europei;

1.4.6

l'incremento della diversità dell'ecosistema finanziario con la promozione di reti di banche e mercati azionari etici in tutta l'UE.

1.5

Il CESE chiede alla Commissione europea, nel quadro della strategia rinnovata in materia di responsabilità sociale delle imprese (RSI), di fare un passo avanti qualitativo al fine di premiare (in termini di appalti pubblici, accesso ai mercati esterni, agevolazioni fiscali ecc.) quelle imprese che possano dimostrare un comportamento ispirato da un'etica più rigorosa.

2.   Introduzione

2.1

L'economia, e di conseguenza la politica economica, svolgono un ruolo centrale nella società odierna e costituiscono la base del successo o del fallimento delle altre politiche fondamentali per il benessere dei cittadini, le politiche in materia di istruzione, sanità, servizi sociali, cultura, ambiente, tecnologia e innovazione. Tutte queste politiche dipendono in larga misura dalla situazione economica che attraversano i diversi territori.

2.2

La crisi, che continua ad avere un impatto negativo sulle economie degli Stati membri e sulla qualità di vita dei cittadini europei, ha messo in luce la scarsa resilienza del sistema economico e sociale dell'UE.

2.3

D'altro canto, secondo un'indagine mondiale svolta nel 2014 dalla Confederazione sindacale internazionale (CSI) (4), non vi è neanche un solo paese in cui la maggior parte della popolazione consideri equo il sistema economico. A tale riguardo, quattro persone su cinque (78 %) sono convinte che il sistema economico favorisca i ricchi. Inoltre, l'88 % dei tedeschi e il 90 % degli austriaci desidera un «nuovo ordine economico» [indagine della Fondazione Bertelsmann (5)] e, senza dubbio, questo dato è confermato nei paesi che hanno subito le conseguenze più severe della crisi economica, come la Grecia, il Portogallo, l'Irlanda, la Spagna o l'Italia.

2.4

Tenendo conto dei progressi fatti dalla Commissione in materia di innovazione sociale, del parere del CESE SC/39 «Bilancio della strategia Europa 2020», della relazione sulla revisione intermedia della strategia Europa 2020 e dell'iniziativa del comitato direttivo Europa 2020 Parliamo di felicità — al di là del PIL, è evidente che se si vuole sostenere efficacemente la competitività economica e la coesione sociale, è necessario un cambiamento di paradigma che renda gli obiettivi economici, ambientali e sociali realmente interdipendenti, e permetta di conseguire un miglior equilibrio tra gli aspetti qualitativi e quantitativi dello sviluppo attraverso un approccio olistico.

2.5

Il modello dell'economia del bene comune si presenta come un complemento adeguato che è sostenuto dalla società europea. Gli obiettivi e i valori dell'EBC vanno al di là delle proposte convenzionali della responsabilità sociale, e la sua visione olistica le conferisce la capacità di mettere assieme i più diversi attori della società.

2.6

In soli quattro anni, l'EBC è diventata un movimento sociale sostenuto da più di un centinaio di gruppi locali, quasi 2 000 imprese e organizzazioni sociali e un numero crescente di università in paesi quali Austria, Germania, Svizzera, Italia e Spagna. Inoltre, la regione dell'Alto Adige, in Italia, e alcune amministrazioni locali in diversi paesi europei hanno adottato il modello dell'EBC per metterlo in atto sul loro territorio.

3.   L'economia del bene comune: obiettivo, valori, strategia e indicatori

3.1

L'obiettivo di una società deve essere il bene comune di tutti i suoi membri, conformemente al mandato iscritto nelle costituzioni dei diversi paesi.

3.2

In linea con gli orientamenti di cui all'articolo 3, paragrafi 1, 2 e 3, del Trattato sull'Unione europea (6), la proposta centrale del modello dell'EBC è che l'economia deve essere al servizio delle persone , ossia del bene comune. Per conseguire tale obiettivo, si deve partire dal presupposto che il denaro e il capitale sono importanti strumenti di scambio e d'investimento, ma non costituiscono in alcun caso il fine da perseguire.

3.3

Il modello economico che persegue il bene comune si fonda su valori che tutti riconoscono come universali: la dignità umana, la solidarietà, la sostenibilità ambientale, la giustizia sociale, la trasparenza e la partecipazione democratica.

3.4

Il riconoscimento del bene comune come obiettivo centrale dell'economia richiede una metodologia specifica per misurare il successo economico in funzione dell'obiettivo, e non più soltanto dei mezzi: con il Prodotto del Bene Comune, il bilancio del Bene Comune e la valutazione del merito di credito dal punto di vista del Bene Comune che completano, rispettivamente il PIL, il Bilancio e il reddito finanziario.

3.5

L'EBC rappresenta un modello olistico volto a integrare l'economia nel contesto sociale, culturale ed ambientale della società europea. A sua volta, come si può vedere nella tabella che segue, il modello EBC riflette i valori fondamentali di varie proposte economiche:

VALORI DELL'EBC/MODELLI

Dignità umana

Solidarietà/ Cooperazione

Sostenibilità ambientale

Giustizia sociale

Democrazia

Economia sociale

X

X

X

X

X

Economia circolare

 

 

X

 

 

Economia collaborativa

 

X

 

 

X

Economia orientata alla funzionalità

 

X

X

 

 

Economia basata sulle risorse

 

 

X

X

 

Economia blu

 

 

X

 

 

Fonte: elaborazione propria.

3.6

L'EBC si configura come un modello economico in grado di contribuire al successo della strategia Europa 2020, in particolare:

incrementando il tasso di occupazione e migliorando la qualità dei posti di lavoro esistenti (valori di «dignità umana» e «giustizia sociale»),

promuovendo l'innovazione sociale nella società civile, nell'imprenditoria e nella politica (valori di «partecipazione» e «democrazia»),

riducendo le emissioni di CO2, promuovendo le energie rinnovabili, migliorando l'efficienza energetica e riducendo il consumo di energia (valore di «sostenibilità ambientale»),

riducendo la quota di popolazione a rischio di povertà o in situazione di esclusione sociale (valori di «solidarietà» e «giustizia sociale»).

3.6.1

L'EBC è un processo di «innovazione sociale» e imprenditorialità positiva utile per promuovere e sostenere nuove idee che, oltre a rispondere ai bisogni sociali, creino nuovi rapporti sociali e rafforzino la creazione di valore economico. In questo contesto, «innovazione» significa essere in grado di creare e attuare idee che dimostrino la capacità di produrre valore; «sociale» si riferisce a temi come la qualità della vita, la solidarietà, la felicità e il benessere.

3.7

L'EBC costituisce uno strumento per costruire un sistema sociale ed economico resiliente in grado di dare alla società civile europea «protezione e sviluppo», di contribuire a trovare soluzioni e, ove possibile, di prevenire le crisi, nonché di contribuisce ai cambiamenti economici e sociali. L'EBC è la via da seguire per dare centralità alla resilienza nei processi volti a sostenere la transizione dall'emergenza al risanamento e allo sviluppo.

3.7.1

La resilienza è un fattore che incide sulla capacità della società civile di reagire a profondi stravolgimenti e far fronte a tensioni e crisi impreviste. Gli strumenti per preparare la società civile a prevenire e affrontare le crisi esistono ma richiedono una gestione più efficace e una cooperazione rafforzata a tutti i livelli rappresentativi degli interessi istituzionali, economici e sociali.

3.8

Aumentare la capacità delle parti economiche e sociali di assorbire, gestire e prevenire gli effetti delle crisi e dei cambiamenti strutturali è un elemento chiave per la società civile quando si tratta di sostenere il conseguimento di un tenore di vita che sia adeguato alle esigenze delle persone. In tal modo si sostiene inoltre la competitività economica dell'UE in termini di coesione sociale e sostenibilità, con l'obiettivo di non limitare le opportunità per le generazioni future.

3.9

Per l'attuazione pratica di tali idee, il modello dell'EBC si basa sulla partecipazione diretta delle persone sia nel settore imprenditoriale che in quello politico. Strumenti quali l'esame/bilancio del bene comune e, in particolare, l'indice comunale del bene comune si fondano sulla partecipazione attiva di tutti i gruppi interessati.

4.   Transizione verso la costruzione di un mercato etico europeo

4.1

A causa degli effetti negativi percepiti durante la recente crisi economica e finanziaria, i cittadini europei manifestano una minore tolleranza rispetto a questioni come le perdite di retribuzione, i tagli alle prestazioni e ai servizi sociali, il degrado ambientale, l'incertezza economica e occupazionale o il progressivo indebolimento dei loro diritti sociali, anche in quanto consumatori e utenti.

4.2

Parallelamente, le politiche di responsabilità sociale delle imprese, a carattere volontario e di portata insufficiente, che non presentano sufficienti informazioni pertinenti, necessitano di un nuovo impulso dato che nelle grandi imprese si accentuano le disparità salariali, la presenza delle donne alle leve del comando è minoritaria e perde importanza l'impegno a favore dello sviluppo della carriera dei lavoratori giovani.

4.3

Da parte loro, gli imprenditori e le PMI sono minacciati dalla concorrenza sleale e dalle pratiche non etiche, che rendono difficile la sopravvivenza di molti di essi. In generale, i cittadini chiedono un'economia basata sui valori che, in teoria, hanno le loro radici nelle costituzioni.

4.4

Il clima di disimpegno sociale si esprime attraverso una perdita di fiducia da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni e dei loro rappresentanti. Per riconquistare questa necessaria fiducia e rafforzare la coesione sociale e territoriale, l'Unione europea deve ripensare le sue politiche e definire una nuova strategia conforme alle richieste e ai valori dei cittadini.

4.5

In tal senso, il parere del CESE sull'Analisi annuale della crescita 2014 chiede che il quadro di valutazione degli indicatori sociali sia integrato in modo proattivo nel semestre europeo con lo stesso peso degli indicatori macroeconomici e di bilancio. Il semestre europeo, inoltre, deve continuare a includere tra i suoi obiettivi, metodi e strumenti l'ecologizzazione dei processi industriali esistenti in ciascuna filiera e l'ecologizzazione dell'insieme dell'economia, nell'interesse di un superamento della crisi sulla base di un modello di sviluppo più sostenibile.

4.6

Questo è il motivo per cui il modello dell'EBC propone di passare a un «mercato etico europeo» nel quale le politiche economiche e commerciali siano in linea con la cultura e i valori che i cittadini identificano come universali. Attraverso tale strategia, l'economia e le imprese europee potranno recuperare la loro immagine e il loro «marchio» internazionale come organizzazioni esemplari in termini di tutela e promozione dei diritti umani, qualità e significato del lavoro e tutela dell'ambiente.

4.7

Saranno pertanto riconosciute le organizzazioni che commercializzano prodotti e servizi secondo criteri etici e contribuendo al bene comune, e sarà gradualmente ridotto, in modo che non risulti più redditizio, il commercio di prodotti e servizi che non garantiscono i livelli minimi etici lungo tutta la catena del valore.

4.8

In sintesi, il modello dell'EBC coincide con le proposte delle tradizionali attività di RSI per quanto riguarda i valori, ma si spinge oltre in quanto agli obiettivi e alla metodologia. La RSI in Europa si basa essenzialmente sul principio «restituire alla società una parte degli utili che da essa si ottengono» prima di concentrarsi sull'obiettivo di «fare tutto il possibile per creare valore condiviso per i loro proprietari/azionisti e gli altri loro soggetti interessati e la società in generale» (7). Nei fatti, purtroppo, numerose imprese hanno ridotto la RSI a semplici attività di beneficenza o di comunicazione del marchio.

5.   Le strategie da elaborare per la realizzazione di un mercato etico europeo

5.1

Per realizzare un mercato etico europeo vengono proposte varie strategie. La tabella di marcia partirà dalla misurazione del contributo delle imprese al bene comune e dalla convergenza verso un regime europeo per la comunicazione di informazioni di carattere non finanziario. Successivamente, la società civile europea sarà informata dei risultati delle imprese attraverso lo sviluppo dell'etichettatura etica. L'elaborazione delle politiche riconoscerà le imprese con il maggiore contributo al bene comune attraverso appalti pubblici etici e politiche tese a costruire un mercato etico sia interno che internazionale. Infine, anche le politiche in materia di imprenditorialità, consumo e settore bancario saranno allineate con i principi del bene comune. Tutto ciò verrà realizzato evitando gli eccessivi oneri amministrativi e impiegando meccanismi di mercato.

5.2

Misurazione del contributo delle imprese al bene comune attraverso la compilazione di un bilancio del bene comune. Il bilancio del bene comune misura la parte non finanziaria del successo di un'impresa: il suo successo etico e il suo contributo al bene comune. Nella sua versione attuale, tale bilancio misura i valori costituzionali più importanti: la dignità, la solidarietà, la sostenibilità, la giustizia e la partecipazione democratica, ossia i risultati ottenuti sul piano etico rispetto a tutti i gruppi di contatto.

5.3

Per andare oltre la RSI tradizionale, il movimento EBC propone che il bilancio risponda a otto «metacriteri»: 1. universale, 2. misurabile in punti neutrali, 3. comparabile tra imprese, 4. comprensibile a tutte le parti interessate, 5. pubblico, 6, sottoposto a verifica esterna (audit), 7. obbligatorio, 8. dotato di conseguenze giuridiche: migliore il risultato, minori le tasse, i dazi, gli interessi ecc., secondo il motto: «il successo attraverso l'etica».

5.4

In seno al movimento per un'economia del bene comune, oltre 200 PMI hanno applicato il bilancio fino alla fase finale: la valutazione inter pares o la verifica esterna. La transizione verso un bilancio obbligatorio potrà essere graduale. L'UE ha compiuto il primo passo con la direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario. Il secondo passo potrebbe consistere nell'includere nella direttiva solo le norme che soddisfino tutti i metacriteri elencati sopra e nell'attribuire vantaggi giuridici a seconda dei risultati ottenuti. Successivamente, le restanti norme potrebbero essere fuse in una sola, che costituirà la parte non finanziaria del bilancio obbligatorio delle imprese. Questo bilancio «universale» (finanziario e non finanziario) diventerebbe il biglietto di accesso al mercato comune etico del futuro.

5.5

Etichettatura etica. L'EBC prevede la comunicazione di informazioni sul comportamento etico in tutti i prodotti venduti sul mercato comune europeo attraverso un'etichettatura etica comune che informi circa il contributo dell'impresa al bene comune. L'etichettatura potrebbe evidenziare, ad esempio con cinque colori diversi, l'esito del bilancio del bene comune. Attraverso il codice QR, il consumatore potrebbe accedere al bilancio particolareggiato.

5.6

Appalti pubblici etici. Sarà data priorità, nell'ambito degli appalti pubblici, alle organizzazioni che dimostrano un maggior contributo al bene comune nei loro bilanci del bene comune. Gli appalti pubblici in Europa possono fungere da motore per lo sviluppo del «mercato etico europeo», attraverso l'integrazione nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (8) di criteri relativi al contributo al bene comune e alla qualità dell'impronta sociale ed ecologica e mediante lo sviluppo di disposizioni sociali corrispondenti.

5.7

Commercio interno etico. Sarà favorito il libero commercio interno delle organizzazioni che dimostrano un maggiore contributo al bene comune nei loro bilanci per il bene comune. In primo luogo, si agevolerà la libera commercializzazione e circolazione dei prodotti e dei servizi delle imprese europee che possano dimostrare di rispettare le norme etiche minime stabilite nell'ambito del «mercato etico europeo». In secondo luogo, si agevolerà l'importazione di prodotti, la realizzazione di investimenti e la prestazione di servizi da parte di imprese di paesi terzi che dimostrino di rispettare le suddette norme etiche minime. In tal modo, le politiche doganali e fiscali relative al commercio interno e alle importazioni saranno gestite in funzione del comportamento etico dimostrato dalle imprese.

5.8

Commercio internazionale etico. Il comportamento etico e il contributo al bene comune devono costituire il segno distintivo dell'economia europea; in altre parole, il «marchio Europa». Le imprese europee, in quanto ambasciatori della società, della cultura e dei valori europei, devono garantire questo comportamento etico e dimostrarlo attraverso il bilancio. In modo coerente, politiche che promuovono il commercio estero dell'Unione europea (programmi di aiuti al commercio estero, norme etiche per le regole in materia di scambi ecc.) devono sostenere in primo luogo le imprese che dimostrano il maggiore contributo al bene comune.

5.9

Imprenditori per il bene comune. La promozione dell'imprenditorialità è la chiave per garantire la sostenibilità economica dell'Unione europea. Inoltre, l'innovazione sociale, per definizione, dovrebbe essere orientata a offrire prodotti e servizi che contribuiscano al bene comune della società. Le politiche per la promozione dell'imprenditorialità nel «mercato etico europeo» incoraggeranno pertanto la creazione di imprese e la formazione degli imprenditori secondo i valori della dignità umana, della solidarietà, della sostenibilità ambientale, della giustizia sociale e della partecipazione democratica. In tutte le città (del bene comune) possono essere insediati poli del bene comune nei quali nascano imprese che realizzano il bilancio fin dall'inizio oppure che si formano direttamente come «imprese del bene comune», costituendo così una nuova forma giuridica per le imprese europee.

5.10

Consumatori e promozione del consumo etico. Il successo del «mercato etico europeo» dipenderà dalla domanda da parte dei consumatori europei di beni e i servizi che contribuiscano al bene comune. Sarà necessario elaborare e favorire strategie e programmi per promuovere il consumo etico. Tali programmi forniranno informazioni sulle caratteristiche del «mercato etico europeo» attraverso programmi educativi, programmi di sensibilizzazione e piani di comunicazione. Affiancando al bilancio del bene comune l'etichettatura si disporrebbe degli strumenti perfetti per raggiungere tale obiettivo.

5.11

Banche etiche ed estensione degli accordi di Basilea, inclusi criteri di qualità etica nella regolamentazione bancaria. Dopo la crisi finanziaria del 2008 e gli episodi negativi in campo bancario e finanziario, i cittadini europei hanno perso la fiducia non solo nel sistema bancario, ma anche nei regolatori nazionali ed europei. Tale situazione comporta un elevato rischio per la stabilità economica della zona euro.

5.11.1

Per questo motivo, è necessario migliorare gli standard etici del settore finanziario e, nel contempo, incrementare la diversità dell'ecosistema finanziario promuovendo una rete di banche etiche in tutta l'UE (cooperative, casse di risparmio, nuove banche etiche) che si impegnino a tenere conto del bene comune. Ciò significa: a) effettuare solo servizi di base (risparmi, pagamenti e crediti), b) non pagare dividendi, o pagare dividendi limitati, c) realizzare un audit del bene comune per ciascuna richiesta di credito. Tale «valutazione dell'affidabilità creditizia etica» costituirebbe un'estensione degli accordi di Basilea a criteri etici, in quanto misura il valore aggiunto etico apportato da un determinato investimento.

5.11.2

Un primo prototipo di questo esame del bene comune è attualmente in fase di sviluppo nell'ambito del progetto «banca del bene comune» in Austria. Le condizioni di credito potranno essere mirate in funzione dei risultati della valutazione. In tal modo, il mercato finanziario diventa lo strumento di uno sviluppo sostenibile sul piano sociale e ambientale.

5.12

Borsa del bene comune (regionale). Tutte le banche etiche e orientate al bene comune potranno formare congiuntamente una borsa regionale del bene comune che recepisca le domande di credito che soddisfano il criterio dell'etica, ma non quello della solvibilità finanziaria. In queste borse, a differenza di quelle convenzionali, non potranno essere negoziate azioni di società, né si potrà ottenere una rendita finanziaria. Non sarebbe questo, quindi, il motivo per investire in un'impresa. Il vantaggio per gli investitori finanziari si concretizza in altri motivi quali il significato, l'utilità e i valori (triple skyline). In tal modo, i cittadini e le imprese europee avrebbero la possibilità di effettuare investimenti etici in linea con i valori sanciti dalle costituzioni degli Stati membri e dai Trattati dell'UE.

Bruxelles, 17 settembre 2015

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Cfr. il sito web dell'economia per il bene comune.

(2)  Alcune delle quali attive in mercati particolarmente competitivi.

(3)  Al fine di tenere conto sia del PIL che di altri indicatori complementari.

(4)  Indagine mondiale della CSI, 2014.

(5)  Fondazione Bertelsmann, «Bürger wollen kein Wachstum um jeden Preis» (I cittadini non vogliono la crescita a ogni costo).

(6)  GU C 83 del 30.03.2010.

(7)  COM(2011) 681 final.

(8)  GU L 94 del 28.3.2014, pag. 65.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Un’UEM democratica e sociale grazie al metodo comunitario»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/07)

Relatrice:

Gabriele BISCHOFF

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 febbraio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Un’UEM democratica e sociale grazie al metodo comunitario.

(parere d’iniziativa)

La sezione specializzata unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 17 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 161 voti favorevoli, 6 voti contrari e 10 astensioni.

«L’Unione europea deve essere una comunità di cittadini, non di banche. Il suo sistema di funzionamento è la democrazia, il suo futuro la giustizia sociale (1)».

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Un’autentica stabilizzazione dell’Unione economica e monetaria (UEM) è possibile soltanto a condizione di rimediare alle carenze nell’architettura dell’UE e di intraprendere, a tal fine, profonde riforme; e per far ciò è necessaria una modifica dei Trattati nel quadro di una Convenzione. Dato che ciò sarà poco realistico prima del 2018, fino ad allora dobbiamo adottare altre misure per conferire all’UEM un carattere più democratico e sociale nel quadro dei Trattati esistenti e fare in modo che le regole che essa si è imposta vengano anche rispettate.

1.2.

Più si continua con l’attuale politica di risparmio, che tende innanzitutto a ridurre le spese, senza un efficace piano di investimenti per generare reddito attraverso la crescita e garantire la coesione sociale e la solidarietà, più diventa evidente che l’aumento delle disuguaglianze sociali mette a rischio l’integrazione economica e la prosperità dell’Europa.

1.3.

Mantenere la situazione attuale non può, pertanto, essere un’opzione. Piuttosto, bisogna rafforzare la coesione sociale, politica ed economica ed evitare in tal modo la disgregazione dell’area dell’euro. Il CESE concorda nel ritenere che le divergenze nelle economie dei paesi dell’UEM debbano essere considerate con maggiore attenzione e che in tali paesi debbano essere condotte riforme strutturali equilibrate, basate sui requisiti dell’Unione monetaria e in sintonia con le esigenze nazionali, al fine di garantire la necessaria convergenza. Inoltre, il CESE reputa indispensabile una gestione della domanda a breve termine.

1.4.

Il CESE auspica una maggiore «parlamentarizzazione» della zona euro, con una «grande commissione» del PE che riunisca tutti i deputati dei paesi che fanno parte dell’eurozona o che intendono entrarvi (26 Stati membri), unitamente a un maggiore coordinamento dei parlamentari della zona euro in merito alle questioni dell’UEM (COSAC +). Tutto ciò può essere intrapreso già adesso, in tempi relativamente brevi.

1.5.

Il CESE fa notare che alcuni degli obiettivi di politica economica della governance economica degli ultimi anni devono essere messi meglio in sintonia con gli obiettivi di politica sociale dell’UE di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del TFUE, e che occorre porre rimedio a possibili conflitti tra gli obiettivi sociali e quelli economici. In base alla clausola sociale orizzontale, tutte le misure adottate nel semestre europeo sono soggette a una valutazione d’impatto sociale. E i risultati di detta valutazione dovrebbero essere resi pubblici e discussi a livello nazionale e dell’UE. Nell’ambito delle sue competenze, il CESE può assicurare il suo sostegno a questo esercizio.

1.6.

Superare le differenze nei modi di funzionamento dei mercati del lavoro, nei sistemi con cui vengono fissati i salari e nei regimi di protezione sociale contribuisce in misura rilevante a rendere l’UEM democratica e sociale.

1.7.

Il CESE è dell’avviso che un dialogo macroeconomico in seno alla zona euro (MED-EURO) possa recare un contributo decisivo al consolidamento dell’UEM sul piano democratico e sociale, che i risultati e le conclusioni di tale dialogo vadano presi in considerazione sia al momento di elaborare l’analisi annuale della crescita sia ai fini del quadro di valutazione (scoreboard) e delle raccomandazioni specifiche per paese.

2.   Sfide e criteri per un’UEM democratica e sociale

2.1.

Il CESE ha già adottato diversi pareri contenenti proposte specifiche sui modi di migliorare la configurazione dell’UEM. Tuttavia, mentre in alcuni di essi si delineano scenari futuri, nel presente parere vengono formulate proposte sui modi di sviluppare ulteriormente, il più rapidamente possibile e nel quadro del metodo comunitario, la configurazione democratica e sociale dell’UEM, così da migliorarne la resilienza democratica e metterla in grado di adempiere gli obblighi sociali imposti dai Trattati. Prima del 2018, infatti, è poco probabile che si proceda effettivamente a modifiche generali dei Trattati. Nel contempo, però, vi è ancora la preoccupazione che gli strumenti intergovernativi, e in particolare il Patto di bilancio, compromettano il metodo comunitario e favoriscano una divisione dell’Europa (2). Inoltre, più si continua con la politica di risparmio, che tende innanzitutto a ridurre le spese, senza che essa sia quantomeno integrata da un piano di investimenti e da altre misure che generino crescita e garantiscano coesione sociale e solidarietà, più diventa evidente che l’aumento delle disuguaglianze sociali mette a rischio l’integrazione economica e la prosperità dell’Europa.

2.2.

La crisi nella zona euro ha messo a nudo i vizi strutturali dell’Unione monetaria. Poiché fin dall’inizio si è trascurato di coordinare le diverse politiche economiche nazionali, su molti aspetti i percorsi dei singoli membri di tale Unione hanno finito per allontanarsi tra loro (3).

2.3.

Durante la crisi, il metodo intergovernativo è apparso l’unica possibilità di giungere rapidamente alla realizzazione di strumenti cruciali dell’UEM, come ad esempio il Patto di bilancio, in quanto alcuni Stati membri non sarebbero stati d’accordo con una modifica del trattato. È vero che, durante la crisi, alcuni strumenti sono stati migliorati; ma, d’altro canto, vi è ampio consenso sul fatto che fino ad ora sia mancato un contributo parlamentare adeguato alla configurazione dell’UEM e al controllo della sua attuazione. È giunto il momento di cambiare rotta, muovendosi in direzione di una politica d’integrazione coerente. Il gruppo dei ministri degli Esteri (4) ha pertanto raccomandato, già nel 2012, di assicurare, in tutte le misure adottate, la piena legittimità e responsabilità democratiche, e di rafforzare pertanto la cooperazione tra il PE e i parlamenti nazionali (5). La Commissione europea, nel suo documento di riflessione, propone un approfondimento dell’UEM basato sul quadro istituzionale e giuridico stabilito dai Trattati. Così facendo, infatti, l’Eurogruppo potrebbe intraprendere misure specifiche, purché aperte a tutti gli Stati membri.

2.4.

Nella prassi politica europea vengono adottate sempre più soluzioni intergovernative — quali ad esempio il Patto di bilancio — e ciò fa crescere il rischio di creare un «regime internazionale accessorio». La relazione dell’allora presidente del Consiglio Van Rompuy, presentata nel dicembre 2012, ha posto l’accento sull’importanza di una lettura comune per l’attuazione di riforme più profonde, nonché sulla necessità di un alto grado di coesione sociale, di una forte partecipazione del PE e dei parlamenti nazionali e di un dialogo rinnovato con le parti sociali. Ed anche l’appropriazione (ownership) del progetto europeo da parte degli Stati membri dovrebbe essere migliorata. L’allora presidente del Consiglio europeo (6) ha così introdotto la dimensione sociale e il ruolo specifico delle parti sociali in un dibattito che, fino a quel momento, era orientato soprattutto verso questioni di politica economica e di bilancio nonché sulla mancanza di legittimità democratica.

2.5.

Dopo le elezioni europee del 2014, con una presidenza della Commissione uscita rafforzata dal voto democratico, sono state avanzate nuove proposte di discussione:

a)

la nota analitica «Verso una migliore governance economica nella zona euro: preparativi per le prossime fasi», presentata il 12 febbraio 2015 dai quattro Presidenti (7);

b)

la relazione «Completare l’Unione economica e monetaria in Europa», presentata il 22 giugno 2015 dai cinque Presidenti (8).

2.6.

Il CESE prende atto di tali proposte, che valuterà in funzione della misura in cui la loro concezione contribuisca all’ulteriore progresso della governance economica verso un’Unione sociale, democratica, solidale e politica che garantisca un’adeguata partecipazione dei cittadini dell’UE e delle parti sociali.

2.7.

Il CESE è dell’avviso che l’UEM abbia bisogno di un effettivo rafforzamento della cooperazione intraunionale, come descritto per sommi capi anche nel Piano (blueprint) presentato dalla Commissione. Ampliando la domanda anziché strangolarla, tale cooperazione rafforzata consentirebbe di ravvicinare le prestazioni economiche dei diversi paesi nel quadro di un economia di crescita e prosperità. E ciò significa anche armonizzare verso l’alto gli standard di protezione sociale e i diritti dei lavoratori.

2.8.

La coesistenza del metodo comunitario, di iniziative intergovernative (quali, ad esempio, il «Patto di bilancio») e di nuove «forme intermedie» in virtù delle quali la Commissione o la Corte di giustizia europea svolgono funzioni di vigilanza riguardo all’applicazione degli accordi fra Stati, ha nuovamente ingenerato confusione per quanto concerne i soggetti implicati, la loro legittimità e le loro responsabilità. In una situazione di questo tipo, la trasparenza e il pieno controllo democratico non possono essere garantiti, e ciò ha dato adito a numerose critiche. La crisi ha infatti reso prioritaria la ricerca di soluzioni rapide, pur se con l’obiettivo dichiarato di ricondurre poi i singoli accordi internazionali nell’alveo del metodo comunitario. Questa situazione perdurerà almeno fino al 2018, stando a quanto affermato dai cinque Presidenti, secondo il cui calendario la questione della piena democratizzazione dell’UEM viene dunque rinviata, mentre l’Unione politica non riceve sufficiente attenzione nella loro relazione. Nel frattempo, il dialogo avviato tra il Parlamento europeo, il Consiglio e l’Eurogruppo nell’ambito del semestre europeo e la cooperazione tra i parlamenti nazionali e la Commissione e tra parlamentari nazionali ed eurodeputati (COSAC) dovrebbero rafforzare la fiducia e favorire un’azione comune. A tale proposito, il CESE fa osservare che un dialogo rafforzato non può sostituire la politica d’integrazione. Il metodo comunitario deve ora essere ulteriormente potenziato e costituire la base di un’UEM che funzioni davvero anziché far coesistere più regimi internazionali diversi.

3.   Una migliore governance dell’UEM grazie a una maggiore partecipazione, trasparenza e responsabilità

3.1.

Un maggiore coinvolgimento delle parti sociali può contribuire a una migliore governance dell’UEM, mentre il dialogo strutturato con la società civile aiuta a migliorare la resilienza democratica. Il CESE è pronto a svolgere un ruolo specifico in tal senso, mettendo a disposizione la sua esperienza e le sue risorse, come fa già, per esempio, con riguardo alla strategia Europa 2020 (9).

3.2.

La questione dell’«implicazione», in particolare delle parti sociali, sollevata dal presidente Van Rompuy, rischia di rivelarsi molto più difficile, tanto più che le parti sociali — a differenza dei governi — sono finora state implicate solo in misura del tutto insufficiente nella definizione degli obiettivi e/o degli strumenti della governance economica. E come si può indurle a collaborare ad una politica sui dettagli della quale esse hanno ben poca voce in capitolo? In quanto parti sociali e attori economici, esse esercitano peraltro un’influenza decisiva sul livello e sulla stabilità dei prezzi, e al riguardo l’UEM rappresenta il quadro globale di riferimento per i diversi sistemi da esse adottati per determinare i salari e definire la politica occupazionale e sociale.

3.3.

Nel 2013 la Commissione ha presentato una comunicazione sulla dimensione sociale dell’UEM (10) e ha cercato di affrontare le preoccupazioni degli attori della società civile. Sviluppi economici «problematici» dovrebbero essere individuati e contrastati fin dai loro inizi, dato che il persistere delle diseguaglianze sociali può compromettere la stabilità finanziaria ed economica dell’UEM. Nei dibattiti seguiti alla pubblicazione del documento, sono emerse essenzialmente due scuole di pensiero. Una parte dal presupposto che la dimensione sociale dell’UEM potrebbe essere un «pilastro» aggiuntivo applicato su base volontaria — diversamente delle procedure vincolanti di politica economica e di bilancio. L’altra, cui appartiene anche il CESE, osserva invece che alcuni degli obiettivi di politica economica sono in contrasto con quelli di politica sociale dell’UE di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del TFUE, e che tali conflitti di obiettivi devono essere denunciati pubblicamente ed eliminati.

3.4.

La Commissione intende coinvolgere le parti sociali in maniera più incisiva e condurre uno scambio di vedute sull’evoluzione dei salari e la contrattazione collettiva; e ha già adottato diverse misure in tal senso. Inoltre, essa desidera scambiare opinioni con le parti sociali nel quadro del semestre europeo e invoca un maggiore coinvolgimento delle parti sociali negli Stati membri. Il CESE stesso ha presentato molte proposte concrete per associare meglio le parti sociali alla governance economica (cfr. il parere SOC/507) (11). Quantomeno la nuova ripartizione delle deleghe all’interno della Commissione, e in particolare le ampie competenze attribuite al suo vicepresidente Dombrovskis, può essere considerata come un indizio della volontà di prestare una maggiore attenzione alla partecipazione delle parti sociali.

4.   Proposte e valutazione

4.1.    La relazione dei Presidenti

4.1.1.

Il CESE parte dal presupposto che la relazione presentata il 22 giugno 2015 dai cinque Presidenti (12), intitolata «Completare l’Unione economica e monetaria in Europa» (13), sarà il filo conduttore per il futuro, ulteriore sviluppo delle strutture per la governance economica dell’Europa. È infatti del parere che, per affrontare i persistenti squilibri nonché instaurare un clima di fiducia, sia necessaria una governance economica più efficace e democratica, in particolare nella zona euro (14). L’analisi contenuta nella relazione, invece, parte da presupposti in parte errati, il che, malgrado alcuni aspetti condivisibili, porta a conclusioni problematiche: senza le necessarie correzioni di rotta, si prosegue con la politica improntata al risparmio e dunque con l’ulteriore riduzione dei salari e della protezione sociale. Certo, vi si riconosce che ad oggi non esistono ancora le condizioni minime per garantire la capacità dell’UEM di sopravvivere a lungo termine; e tuttavia vi si raccomanda di rafforzare, e anzi istituzionalizzare stabilmente, la politica di lotta alla crisi condotta finora — il che, ad avviso del CESE, costituisce una contraddizione.

4.1.2.

L’attuale situazione economica della zona euro, catastrofica anche se paragonata a quella degli Stati Uniti o del Giappone, non viene imputata alla politica che ci si ostina a perseguire per combattere la crisi, bensì alla mancanza di competitività di singoli Stati membri dovuta alla disparità dei livelli salariali e dei deficit nazionali. Il CESE deplora il fatto che le sfide a breve termine di politica macroeconomica, quali l’inflazione e la deflazione ma anche la mancanza di una politica anticiclica a partire dal 2010 e l’eccessiva debolezza della domanda, vengano ignorate, e si prosegua con una politica di aggiustamento ampiamente asimmetrica. Il problema di fondo diventato evidente durante la crisi, vale a dire il fatto che, a differenza degli Stati Uniti, del Giappone e del Regno Unito, all’intera zona euro manchi un «creditore di ultima istanza», viene purtroppo totalmente eluso dai cinque Presidenti.

4.1.3.

Si trascura completamente di considerare i differenti approcci adottati dalle banche centrali, che negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno indotto una ripresa relativamente rapida, mentre nel resto d’Europa hanno anzitutto aggravato la situazione. Invece di una politica di stabilizzazione anticiclica, bisognerebbe potenziare gli strumenti di governance economica esistenti, anche attraverso consigli competitività nazionali che concentrino la loro attenzione sulla riduzione dell’indebitamento (deleveraging) e su un’evoluzione dei salari orientata alla produttività. Il CESE deplora che non sia stata colta l’occasione per valutare i fondamenti dei meccanismi normativi esistenti in termini di sostenibilità a lungo termine, integrandoli in una prospettiva più fortemente paneuropea.

4.1.4.

E si rammarica che i Presidenti imputino l’andamento dell’economia, chiaramente peggiore di quello atteso, unicamente al fatto che i nuovi meccanismi di governance economica, come pure i programmi di aggiustamento dei paesi colpiti dalla crisi, siano stati attuati in misura insufficientemente e configurati in maniera inadeguata. L’eccessiva enfasi sulle riforme strutturali e sulla competitività dei prezzi degli Stati membri per il completamento dell’Unione monetaria (capitolo 1) non tiene conto del fatto che le riforme strutturali e i meccanismi di formazione salariale sono oggetto di negoziati permanenti e di una ricerca di soluzioni a livello locale basati su principi democratici. In tal modo, però, i cinque Presidenti si pongono come soggetti che, dall’esterno, vogliono far aderire più strettamente gli Stati membri a parametri di riferimento definiti in modo arbitrario, senza rafforzare la legittimità democratica e senza ristabilire un senso di «appropriazione» (ownership).

4.1.5.

Il CESE teme pertanto che l’assenza, nella relazione, della prospettiva di un’Unione di bilancio a pieno titolo delegittimi ulteriormente la zona euro negli Stati membri, in particolare perché una «dose maggiore della stessa medicina» non contribuirà a migliorare la prosperità economica di tutti i loro cittadini e perché continua a prevalere un’ottica nazionale. Il CESE giudica le misure proposte per l’integrazione dei mercati del lavoro e dei sistemi di previdenza sociale assolutamente insufficienti, tra l’altro perché — in contrasto con la retorica dei Presidenti, che proclamano di voler conseguire per la zona euro un «rating sociale di tripla A» — ad esse viene di fatto attribuita un’importanza secondaria. Il CESE ritiene che lo sviluppo di un’Unione sociale sia un elemento fondamentale di un’UEM democratica e sociale, e non una sua semplice appendice.

4.2.    L’analisi e le proposte del Centro Bruegel  (15)

4.2.1.

Il Centro di riflessione europeo «Bruegel» constata che l’UEM è stata caratterizzata, fin dal suo inizio, da differenze significative nelle condizioni economiche, sociali e politiche dei suoi Stati membri, alle quali vanno imputati gli insuccessi delle politiche attuate in ciascuno di essi e l’inadeguatezza della governance economica europea. Esso propone una riforma di quest’ultima negli ambiti dell’Unione bancaria e della vigilanza macroprudenziale del settore finanziario, misure atte a evitare forti divergenze nel costo unitario del lavoro e una governance della politica di bilancio che possa garantire bilanci sostenibili nei singoli Stati membri e metta a disposizione risorse in caso di crisi bancaria e del debito sovrano. Nei suoi ultimi pareri in materia (16), il CESE ha presentato delle proposte del tutto simili a queste.

4.2.2.

I flussi di capitali provenienti da paesi con un surplus («paesi eccedentari») hanno contribuito a un surriscaldamento nei paesi con un disavanzo («paesi deficitari»), con conseguenti aumenti dei salari nominali. Gli squilibri finanziari hanno finora ricevuto troppo poca attenzione, e ciò è in contrasto con l’intento di una maggiore integrazione dei mercati finanziari.

4.2.3.

La politica di bilancio prociclica del 2011-2013 e l’assenza di una politica di bilancio anticiclica nel 2014 hanno aggravato ulteriormente, e al tempo stesso inutilmente, le difficoltà sociali (17). La politica dovrebbe pertanto, oltre ad attuare le riforme strutturali necessarie, aprire anche delle prospettive per le persone, ad esempio creando condizioni quadro favorevoli agli investimenti privati al fine di offrire nuovamente opportunità di lavoro a lungo termine. Inoltre, la politica dovrebbe adottare misure per rafforzare la competitività, in modo da generare reddito e benessere e garantire così la stabilità sociale a beneficio di tutti. Il CESE, dunque, è nettamente favorevole alla conclusione secondo cui è necessario e urgente incrementare la domanda aggregata e far risalire l’inflazione. Inoltre, la Banca centrale europea deve essere esonerata dai compiti di politica di bilancio e adeguamento del costo unitario del lavoro, che esulano dal suo mandato ma che essa esercita di fatto per supplire all’inerzia politica delle altre istituzioni.

4.2.4.

A giudizio del CESE, occorre impegnarsi di più per affrontare le questioni fondamentali relative alla legittimità democratica. Il CESE è decisamente a favore di una piena «parlamentarizzazione» dell’area dell’euro («grande commissione» del PE, con tutti i deputati dei paesi che sono membri dell’UEM o intendono aderirvi). E anche l’implicazione dei parlamentari dell’eurozona nelle questioni relative all’UEM in sede COSAC dovrebbe essere migliorata (18).

4.2.5.

La COSAC stessa ha sottolineato, nel 2014, che molti parlamenti non sono ancora sufficientemente coinvolti, ed ha espresso preoccupazione per una tale distorsione del legame tra l’UE ed i suoi cittadini. Essa ha invitato la Commissione e il Consiglio a elaborare, insieme con i parlamentari, proposte concrete per rimediare a questa situazione (19). Le forme di partecipazione previste all’articolo 13 del Patto di bilancio sono senz’altro dei passi nella direzione giusta, ma non ancora sufficienti a garantire un’autentica parlamentarizzazione.

4.3.    Una maggiore responsabilizzazione di tutti gli attori economici

4.3.1.

Superare le differenze nei modi di funzionamento dei mercati del lavoro, nei sistemi con cui vengono fissati i salari e nei regimi di protezione sociale contribuisce in misura rilevante a rendere l’UEM democratica e sociale. Un sistema federale come quello degli Stati Uniti, con un mercato del lavoro unico e istituzioni e sistemi sociali uniformi, in Europa non sembra realizzabile nel breve termine. Occorrerebbe inoltre rafforzare simmetricamente la procedura per gli squilibri macroeconomici (PSM) ed associarvi le parti sociali.

4.3.2.

Il CESE fa notare che alcuni degli obiettivi di politica economica della governance economica degli ultimi anni devono essere messi meglio in sintonia con gli obiettivi di politica sociale dell’UE di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del TFUE, e che occorre porre rimedio a possibili conflitti tra gli obiettivi sociali e quelli economici. In base alla clausola sociale orizzontale, tutte le misure adottate nel semestre europeo sono soggette a una valutazione d’impatto sociale. I risultati di detta valutazione dovrebbero essere resi pubblici e discussi a livello nazionale e dell’UE. Nell’ambito delle sue competenze, il CESE può assicurare il suo sostegno a questo esercizio.

4.3.3.

Nella relazione dei cinque Presidenti si parla di un’Unione finanziaria, politica e di bilancio, ma non si persegue l’obiettivo di una Unione sociale. Si propone di rafforzare un modello europeo «unico nel suo genere», ma non si fa più riferimento al modello sociale europeo, anch’esso «unico». È vero che si persegue l’obiettivo della «tripla A sociale», ma il modo in cui si dovrebbe raggiungerlo nell’ambito di un’UEM approfondita resta più che mai vago. Le questioni sociali vengono tutt’al più affrontate in maniera marginale oppure nel contesto di una più intensa permeabilità dei mercati del lavoro negli Stati membri. Gli elementi chiave in questo caso sono uno zoccolo minimo di protezione sociale, regimi efficaci di previdenza sociale negli Stati membri nonché nuove iniziative di «flessicurezza» nel diritto del lavoro, senza però che tutto ciò venga ulteriormente precisato.

4.3.4.

Ai governi degli Stati membri incombe una grande responsabilità per l’ulteriore sviluppo di un’UEM democratica e sociale. E lo stesso vale per le parti sociali, sia nazionali che europee, per le quali l’UEM rappresenta il quadro globale cui devono conformarsi i diversi sistemi da loro adottati per fissare i salari e definire la politica occupazionale e sociale. In quanto attori economici e sociali, questi soggetti svolgono un ruolo decisivo ai fini del rispetto dell’obiettivo comune di stabilità dell’UEM.

4.3.5.

Il CESE ribadisce che un’Unione monetaria in cui l’andamento dei prezzi e dei salari differisca da uno Stato membro all’altro determina necessariamente degli squilibri tra le regioni della stessa area monetaria — una situazione, questa, in cui degli shock esterni possono provocare una crisi sociale e politica e acuire ulteriormente le divergenze (20). Il CESE reputa quindi ineludibile un dibattito serio su un’architettura dell’UEM basata su fondamenta salde, che implichi un consenso sugli obiettivi economici e sociali e una governance concordata (21); e ne conclude che, all’interno dell’eurozona, sia necessario rafforzare e approfondire il dialogo macroeconomico (MED).

4.3.6.

Nell’UE il dialogo macroeconomico è stato avviato dal Consiglio europeo di Colonia del giugno 1999 al fine di pervenire a un mix sostenibile di politiche macroeconomiche orientate alla crescita e alla stabilità, ossia a un’interazione priva di attriti tra la dinamica salariale e la politica monetaria e di bilancio. I suoi obiettivi sono ancora attuali: promuovere la crescita e l’occupazione mantenendo nel contempo la stabilità dei prezzi, sfruttare appieno il potenziale produttivo e incrementare la crescita potenziale (22). Il CESE deplora che, nel corso degli anni, tale sede di dialogo sia stata via via indebolita e che, dall’inizio della crisi, non venga più utilizzata per democratizzare gli strumenti della governance economica e rafforzare il senso di appropriazione nello spazio monetario comune dell’UEM.

4.3.7.

Il CESE è dell’avviso che un dialogo macroeconomico dell’area dell’euro (MED-EURO) possa recare un contributo decisivo al consolidamento dell’UEM sul piano democratico e sociale, purché però il novero dei partecipanti al dialogo sia adeguato alle esigenze di quest’ultimo. Per mantenere la capacità di dialogo nell’ambito del MED-EURO, è infatti imperativo limitare il numero dei partecipanti: oltre ai rappresentanti delle parti sociali, della Banca centrale europea, dell’Eurogruppo e della Commissione (nel pieno rispetto della loro autonomia e indipendenza), dovrebbe prendervi parte, su un piano di parità, la presidenza della commissione Problemi economici e monetari del Parlamento europeo.

4.3.8.

Ad avviso del CESE, il MED-EURO dovrebbe riunirsi almeno due volte all’anno e diventare parte integrante della governance economica dell’UEM. I risultati e le conclusioni di tale dialogo andranno quindi presi in considerazione sia nell’elaborare l’analisi annuale della crescita sia ai fini del quadro di valutazione (scoreboard) e delle raccomandazioni specifiche per paese. Nel contesto generale delle politiche monetarie, di bilancio e salariali, nell’UEM si può instaurare un clima di fiducia e ottenere una maggiore convergenza senza perciò pregiudicare l’autonomia della contrattazione collettiva. E ciò, a sua volta, per analogia con il Patto di stabilità e crescita, potrebbe condurre a un grado più alto di (auto-)implicazione, vincolante e trasparente, di tutti gli operatori economici, ed avere l’effetto di un «Patto di stabilità e occupazione». Al riguardo, il CESE sottolinea l’importanza di un’interazione armoniosa tra la politica monetaria e di bilancio e la dinamica salariale al fine di incrementare la crescita e l’occupazione e rafforzare così la fiducia nell’Unione monetaria.

4.3.9.

In tal modo si privilegia un approccio diverso dalla proposta dei cinque Presidenti — analoga a quella del centro Bruegel — di creare autorità nazionali in materia di concorrenza che prendano parte al processo di formazione dei salari a livello nazionale e che, sempre secondo alla proposta dei cinque Presidenti, siano altresì coordinate a livello europeo. Prima di presentare la relazione sarebbe stato opportuno effettuare una consultazione preventiva delle parti sociali, perché, così come è stata formulata, la proposta dei Presidenti ha ben poche possibilità di successo.

4.3.10.

La prospettiva è chiara: in assenza di profonde riforme, sia istituzionali che politiche, l’UEM è destinata a rimanere sempre fragile. Il Comitato è estremamente preoccupato per la stabilità dell’UE, poiché le riforme necessarie — con o senza modifiche dei Trattati — sono adottate sempre e soltanto all’ultimo momento e in presenza di fortissime pressioni. Si tratta di tornare a rafforzare la coesione sociale, politica ed economica nell’UE e di perseguire un’integrazione economica e monetaria coerente, in modo da gettare le basi di un’UEM ben funzionante. Soltanto se i parlamentari, gli altri esponenti politici e le parti sociali daranno prova di coraggio e, a livello sia nazionale che europeo, dialogheranno con la società civile e si sforzeranno di trovare le soluzioni migliori, si riuscirà a far sì che l’UEM funzioni come dovrebbe.

Bruxelles, 17 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  (Heribert PRANTL, alla presentazione del suo libro Europa — Traum oder Alptraum (L’Europa: sogno o incubo) a Ludwigsburg (Germania) il 14 luglio 2013).

(2)  E. Brok (PPE/DE), R. Gualtieri (S&D/IT) e G. Verhofstadt (ALDE/BE), The EP, the Fiscal compact and the EU institutions: a critical engagement (Il Parlamento europeo, il Patto di bilancio e le istituzioni dell’UE: un impegno cruciale).

(3)  Commissione europea, Employment and Social Developments in Europe 2014 (Occupazione e sviluppi sociali in Europa), del 15 gennaio 2015, http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=738&langId=en&pubId=7736

(4)  Relazione finale, del 17 settembre 2012, del gruppo sul futuro dell’Europa, composto dai ministri degli Affari esteri di Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo e Spagna.

(5)  Ibidem, pag. 2 e seguenti.

(6)  In stretta collaborazione con i Presidenti Barroso, Juncker e Draghi.

(7)  «Verso una migliore governance economica nella zona euro: preparativi per le prossime fasi», nota analitica elaborata da Jean-Claude Juncker in stretta cooperazione con Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem e Mario Draghi, riunione informale del Consiglio europeo del 12 febbraio 2015.

(8)  Relazione dei cinque Presidenti, «Completare l’Unione economica e monetaria in Europa», http://ec.europa.eu/priorities/economic-monetary-union/docs/5-presidents-report_de.pdf

(9)  Parere del CESE sul tema «Bilancio della strategia Europa 2020 (GU C 12 del 15.1.2015, pag. 105).

(10)  COM(2013) 690 final: «Potenziare la dimensione sociale dell’Unione economica e monetaria».

(11)  Parere del CESE sul tema «Struttura e organizzazione del dialogo sociale nel quadro di un’autentica unione economica e monetaria (UEM)» (GU C 458 del 19.12.2014, pag. 1).

(12)  Ossia i Presidenti della Commissione europea, del Consiglio europeo, del Parlamento europeo, dell’Eurogruppo e della Banca centrale europea.

(13)  Cfr. la nota 8. In prosieguo si farà riferimento solo ai temi della relazione pertinenti ai fini del presente parere.

(14)  Parere del CESE sul tema «Completare l’UEM: il pilastro politico» (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 8).

(15)  A. Sapir e G. Wolff, Euro-area governance: what to reform and how to do it (La governance della zona euro: che cosa riformare e come farlo), del 27 febbraio 2015 (http://www.bruegel.org/publications/publication-detail/publication/870-euro-area-governance-what-to-reform-and-how-to-do-it/).

(16)  Pareri del CESE sul completamento dell’UEM: «Proposte del Comitato economico e sociale europeo per la prossima legislatura europea» (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10) e «Completare l’UEM: il pilastro politico» (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 8).

(17)  Z. Darvas e O. Tschekassin, «Poor and under pressure: the social impact of Europe’s fiscal consolidation» (Poveri e sotto pressione: l’impatto sociale del consolidamento di bilancio in Europa), Bruegel Policy Contribution 2015/04, marzo 2015.

(18)  Cfr. la nota 14..

(19)  Contributo della XLIX COSAC, Dublino, giugno 2014.

(20)  Parere del CESE sul tema «Conseguenze sociali della nuova legislazione sulla governance economica» (GU C 143 del 22.5.2012, pag. 23).

(21)  Cfr. la nota 14.

(22)  Risoluzione del Consiglio europeo sul Patto europeo per l’occupazione, Consiglio europeo di Colonia, 3 e 4 giugno 1999.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Principi per sistemi previdenziali efficaci e affidabili»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/08)

Relatore:

Bernd SCHLÜTER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 gennaio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del suo Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Principi per sistemi previdenziali efficaci e affidabili

(parere d’iniziativa).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o settembre 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 17 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 46 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE reputa che l’UE debba definire priorità strategiche più precise nel campo della politica sociale, traendo anche le necessarie conseguenze dalla crisi, dalla politica condotta per gestire quest’ultima e dal calo di fiducia tra i cittadini.

1.2.

Il Comitato esorta, pertanto, la Commissione a elaborare, in un programma di lavoro concreto, dei principi generali in materia di politica sociale, per i quali il CESE formula delle proposte al punto 4. La definizione di questi principi potrebbe avvenire nel quadro di un’iniziativa faro, di regole in materia di governance o di un libro bianco. A tal fine, occorre migliorare la raccolta di dati comparabili, sia a livello dell’UE che degli Stati membri. Dei meri indicatori di input, volti a misurare la spesa destinata da ciascuno Stato membro a una determinata prestazione sociale, non bastano, infatti, per valutare la qualità di un sistema previdenziale.

1.3.

Nell’elaborare dei principi di politica sociale improntati a una convergenza verso l’alto degli standard sociali occorre tener conto delle competenze degli Stati membri e delle parti sociali, nonché delle diversità politiche e culturali di tali sistemi, cercando nella misura del possibile di raggiungere un consenso tra gli Stati membri.

1.4.

I principi così definiti dovrebbero fungere da base concettuale, tra l’altro, per le raccomandazioni da formulare in futuro agli Stati membri nel quadro di un semestre europeo più efficace (1), e dovrebbero essere applicati anche attraverso i fondi strutturali, il metodo di coordinamento aperto e la valutazione di impatto sociale conformemente all’articolo 9 del TFUE. Le misure adottate dovrebbero puntare tra l’altro a definire un cosiddetto « minimum social protection floor» , vale a dire una base minima di protezione sociale, che sia vincolante e si fondi sulle basi giuridiche esistenti.

1.5.

I principi di politica sociale dovrebbero, inoltre, costituire la base delle iniziative intraprese dalle istituzioni dell’UE, in particolare nel campo della governance economica, del controllo di bilancio e della gestione delle crisi.

1.6.

Le parti sociali, in quanto attori fondamentali nei sistemi previdenziali paritetici, ma anche in altri sistemi nati dal negoziato tra queste, devono partecipare all’elaborazione dei principi fondanti della politica sociale. Oltre alle parti sociali, devono essere coinvolti, nell’ambito delle proprie competenze, anche gli attori della società civile e i rappresentanti dei prestatori di servizi sociali, delle imprese sociali, delle autorità comunali, delle amministrazioni sociali nazionali, delle assicurazioni sociali, dei beneficiari e dei consumatori.

1.7.

Nel presente parere, il CESE avanza proposte concrete per la definizione dei principi di politica sociale su cui dovrebbero fondarsi i sistemi previdenziali, onde migliorare l’efficacia e l’affidabilità delle prestazioni offerte dai sistemi di protezione sociale, ma anche da quelli di sicurezza sociale e da quelli sanitari. In tal modo, il Comitato mira soprattutto a garantire, da un punto di vista giuridico e finanziario, la fornitura di servizi sociali moderni di interesse generale in tutti gli Stati membri.

1.8.

Il CESE riconosce la diversità dei sistemi previdenziali e prende in esame, tra l’altro, gli obiettivi, le tipologie e il contenuto delle prestazioni sociali, il rapporto tra la solidarietà e la responsabilità individuale, le garanzie giuridiche offerte, il finanziamento e la qualità dei sistemi previdenziali. Affronta inoltre la questione dello statuto dei beneficiari e dei servizi sociali. Il Comitato reputa necessario garantire determinate prestazioni sociali fondamentali sulla base di regole comuni a livello dell’UE.

2.   Introduzione: contesto e situazione attuale

2.1.

La politica sociale europea si fonda, in particolare, sui diritti umani, sugli insegnamenti tratti dai conflitti mondiali (2), sul principio, sancito dal trattato, dell’economia sociale di mercato, sugli obiettivi della strategia Europa 2020, sulle necessità di economie efficienti, sul compito di combattere la povertà, sui capitoli del trattato relativi alle politiche nel settore sociale, dell’occupazione e della sanità, sull’obiettivo della coesione sociale e sulle norme comuni in materia di concorrenza di cui all’articolo 3 del TUE. Conformemente all’articolo 151 del TFUE, la politica sociale mira, tra l’altro, a promuovere l’occupazione, a migliorare le condizioni di vita, a garantire una protezione sociale adeguata e a combattere l’emarginazione. Il modello sociale europeo è l’espressione di una comunità unica di valori e di culture (3), che coniuga la democrazia e lo Stato di diritto con la responsabilità e la solidarietà sociali. Il CESE intende rafforzare tale modello, assicurandone al contempo la sostenibilità.

2.2.

Il CESE è persuaso che la politica sociale dovrebbe costituire un pilastro della politica europea, sia a pieno titolo che in quanto strumento per promuovere in modo sostenibile la crescita e l’occupazione  (4). A tal proposito, il Comitato plaude ai progressi già conseguiti in materia di politica occupazionale, in alcuni ambiti del coordinamento e nella protezione del lavoro. Il CESE ribadisce che i sistemi previdenziali efficaci rappresentano un investimento (5), e sottolinea i costi sociali, materiali e immateriali legati a una politica sociale lacunosa. Il CESE parte dal presupposto che un’economia efficiente e innovativa non possa prescindere da prestazioni sociali affidabili, efficienti ed efficaci, e viceversa. Sistemi previdenziali moderni, infatti, possono migliorare la resilienza alle crisi economiche, promuovono l’occupazione e offrono un grande potenziale occupazionale anche nelle regioni svantaggiate (6). Nel contesto attuale di una società moderna fondata sulla tecnologia e l’informazione e in considerazione dell’andamento demografico (7) e dell’immigrazione, una riduzione delle spese destinate, tra l’altro, all’inclusione attiva, alla responsabilizzazione dei disoccupati e a migliorare le prospettive per giovani e bambini, non rappresenta certo un vantaggio competitivo sul lungo periodo. Un’evoluzione dei sistemi sulla base di principi comuni può contribuire a promuovere le pari opportunità e a garantire una concorrenza leale nell’UE.

2.3.

I sistemi previdenziali e sanitari, insieme ad altri sistemi comparabili, servono, tra l’altro, ad assicurare la necessaria perequazione sociale, a combattere la povertà, a provvedere ai mezzi di sostentamento e a garantire l’armonia sociale. Quasi tutti i cittadini dell’Unione, infatti, si trovano, in determinate fasi della vita, a dover dipendere dall’aiuto prestato dai servizi sociali. I sistemi previdenziali assicurano tra l’altro il pagamento di pensioni di anzianità adeguate e un’assistenza qualificata, per esempio, alle persone che necessitano di cure e di aiuto.

2.4.

I datori di lavoro e i lavoratori hanno interesse, tra l’altro, a che siano promosse la conciliazione tra la vita professionale e quella familiare, la salute e la responsabilizzazione. In tale contesto, la prestazione di servizi sociali professionali aiuta le persone a comunicare e a gestire la vita di tutti i giorni, migliora le loro competenze e le sostiene nell’affrontare, per esempio, i problemi di dipendenza e i momenti di crisi e nell’assolvere i compiti assistenziali ed educativi all’interno della famiglia.

2.5.

Il CESE constata, tuttavia, che l’efficacia, l’affidabilità e l’efficienza dei sistemi previdenziali variano significativamente  (8). Per quanto molti Stati membri abbiano sviluppato sistemi ben funzionanti, la definizione di un approccio comune in materia di politica sociale sarebbe utile a tutti gli Stati membri. Non dappertutto, infatti, è assicurato un minimo vitale, con prestazioni sociali o con un cosiddetto minimum income (reddito minimo), né sono garantite prestazioni sociali professionali e un’integrazione efficace nel mondo del lavoro e nella società. In particolare, l’assistenza sanitaria spesso non è accessibile a tutti i cittadini, per esempio se questi non possono permettersi di pagare, ufficialmente o ufficiosamente, i contributi richiesti. Non in tutte le regioni e in tutti gli Stati membri, inoltre, sono disponibili servizi professionali, per esempio per le cure ambulatoriali e per l’assistenza alle persone con disabilità o con difficoltà di apprendimento o deficit di sviluppo. Il CESE rileva che in alcuni casi i finanziamenti solidali e le garanzie giuridiche andrebbero migliorati.

2.6.

Un recente studio della Fondazione Bertelsmann (9) ha rilevato l’esistenza di notevoli disparità nell’efficacia dei diversi sistemi previdenziali, nonché un allarmante aumento della povertà e della concentrazione di ricchezza all’interno dell’Unione europea e di tutti i suoi Stati membri, e ha invitato l’UE a rafforzare il suo impegno a favore della politica sociale. Lo studio mostra inoltre che vi possono essere sistemi sociali efficaci anche in paesi dove il PIL è relativamente basso e che l’esistenza di sistemi sociali carenti è possibile anche in paesi in cui il PIL è relativamente elevato. L’aumento della povertà pregiudica l’armonia sociale e la crescita economica (10). Alla crescente disparità tra gli Stati membri e alle preoccupanti tendenze politiche in atto occorre rispondere anche con proposte di politica sociale.

2.7.

Bisognerebbe migliorare le basi su cui si fondano le raccomandazioni agli Stati membri e la politica adottata per far fronte alle crisi. Invece di richiedere misure umanitarie a posteriori, l’UE dovrebbe seguire principi di politica sociale coerenti. Il salvataggio delle banche esposte in attività di rischio con i soldi del contribuente, già di per sé discutibile, dovrebbe quantomeno essere proporzionato agli investimenti effettuati nel funzionamento dei sistemi previdenziali. Le norme che disciplinano il mercato interno, come quelle in materia di aiuti di Stato e di appalti, inoltre, hanno già ora un impatto considerevole sui sistemi previdenziali e sui servizi sociali, senza che siano state, però, valutate esplicitamente secondo criteri di politica sociale.

2.8.

In base al nuovo obiettivo di un’economia sociale di mercato perseguito dal trattato (11), la politica del mercato interno dev’essere integrata da elementi di politica sociale (12). Accogliendo le richieste avanzate attualmente (13), il CESE esorta la Commissione e il Consiglio europeo a far seguire proposte concrete agli annunci di politica sociale e ad assicurare che queste siano anche realizzate (14).

2.9.

La nuova fase della politica sociale europea può fondarsi, tra l’altro, sui lavori preparatori seguenti: la richiesta del Consiglio, già nel 1992, di introdurre un reddito minimo garantito (15) e l’adozione, nel 2000, da parte di tale istituzione di un’agenda sociale; l’obbligo per gli Stati membri, ai sensi dell’articolo 12 della Carta sociale europea, di garantire un sistema di protezione sociale; gli obiettivi di coesione sociale e di tutela dei servizi di interesse generale sanciti nei Trattati UE (16); le norme fondamentali in materia di sistemi previdenziali pubblicate dall’OIL (17); il Libro bianco sulla politica sociale europea, adottato nel 1994 e tuttora in vigore; il diritto a un minimo vitale  (18), riconosciuto a livello dell’UE; e i criteri fondamentali definiti nella Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

2.10.

Nel suo parere SOC/482 il CESE chiede, in accordo con il Parlamento europeo (19), il Comitato delle regioni (20) e diverse associazioni (21), un reddito minimo adeguato. Il CESE ha inoltre promosso attivamente il dibattito su temi quali i servizi sociali, le imprese sociali e gli investimenti sociali, l’occupazione, l’articolo 9 del TFUE, la garanzia per i giovani, la governance economica e i servizi di interesse generale. Il presente parere fa riferimento a numerosi altri documenti del Comitato e di altre istituzioni dell’UE che non possono essere citati in maniera esaustiva.

3.   Osservazioni generali: obiettivi e contenuto del parere

3.1.

Nel presente parere, il CESE concentra la sua attenzione su uno degli elementi di un’agenda sociale a sua giudizio necessaria, vale a dire il miglioramento dell’efficacia e dell’affidabilità delle prestazioni erogate sia dai sistemi di protezione sociale, che da quelli sanitari e di sicurezza sociale. Per «prestazioni sociali» sono da intendersi quelle prestazioni finanziate del tutto o in parte dalle imposte o dai sistemi previdenziali e rientranti, in maniera controllata, nella responsabilità dei poteri pubblici in materia di politica sociale, in virtù del diritto sociale o di accordi paritetici. A tale riguardo la natura del soggetto che eroga la prestazione non è il fattore determinante. Ai sensi del presente parere, tali prestazioni possono essere erogate da amministrazioni pubbliche e comunali, da assicurazioni sociali, da imprese sociali indipendenti, da organizzazioni di solidarietà e da imprese aventi forme giuridiche diverse. Detti soggetti sono chiamati nel presente documento «servizi sociali», se a erogare le prestazioni sociali è il soggetto stesso. Il concetto di «prestazione sociale», inoltre, comprende qualsiasi tipo di prestazione, tra cui i servizi e le prestazioni in denaro nel settore sociosanitario. Per «assicurazione sociale» si intendono, invece, le assicurazioni sociali e/o le mutue paritetiche e/o previste per legge che svolgono una funzione nei sistemi di sicurezza sociale disciplinati dal diritto sociale o da accordi paritetici.

3.2.

In considerazione della varietà dei sistemi sociali, delle prestazioni, dei termini e dei concetti interessati, nel dibattito sulla politica sociale e nelle traduzioni occorre prestare la massima attenzione. I sistemi dei diversi Stati membri, infatti, riflettono la politica sociale, la cultura e la storia nazionali e dovrebbero essere ulteriormente sviluppati alla luce di un modello sociale europeo, trovando il giusto equilibrio tra la diversità dei sistemi e la necessità di principi comuni (22).

3.3.

L’UE dovrebbe creare uno spazio comune per discutere della politica sociale, elaborare norme al passo con i tempi e lanciare essa stessa delle iniziative, promuovendo uno sviluppo convergente dei sistemi di sicurezza sociale. I principi fondamentali di politica sociale possono rappresentare una base concettuale per le raccomandazioni della Commissione, soprattutto nel quadro del semestre europeo, della strategia Europa 2020, del metodo di coordinamento aperto e per le valutazioni di impatto sociale conformemente all’articolo 9 del TFUE (23), ma anche per la definizione di una base minima di protezione sociale (minimum social protection floor) vincolante e per l’azione e la governance (24) delle istituzioni europee, in particolare nella gestione delle crisi, nei controlli di bilancio e nella governance economica.

3.4.

I sistemi previdenziali dovrebbero essere valutati in base alla loro sostenibilità nel tempo. Pur nel rispetto dell’indipendenza su cui si fondano, i servizi sociali dovrebbero essere vincolati al conseguimento di obiettivi per il bene comune definiti secondo i principi democratici.

3.5.

Dell’erogazione ai cittadini di una determinata prestazione sociale decidono solitamente le amministrazioni sociali pubbliche, le assicurazioni sociali o anche soggetti terzi in quanto prestatori del servizio, come nel caso del medico che prescrive un certo trattamento. Dalla decisione di erogare una prestazione deve essere distinta la questione della prestazione del servizio e del relativo finanziamento. Per esempio, esistono prestazioni meramente in denaro erogate al beneficiario, accompagnate o meno dall’obbligo di avvalersi di determinati servizi qualificati. Alcuni servizi sociali sono prestati direttamente dagli enti locali, da altre amministrazioni sociali oppure dalle assicurazioni sociali. Se tali prestazioni sono erogate da servizi sociali autonomi, però, il rapporto giuridico e il finanziamento possono essere disciplinati in modo molto diverso, per esempio mediante l’aggiudicazione di appalti, accordi sulla prestazione del servizio e sul rimborso tra i servizi sociali e i soggetti che sostengono i costi delle prestazioni, rimborsi dei costi a posteriori, sistemi basati su buoni oppure aiuti diretti non specifici dei servizi sociali, in particolare per la consulenza e per la prevenzione. Nel caso sia stato concluso un apposito accordo, oppure il sistema sia basato sui buoni, invece, l’ente pubblico che sostiene i costi della prestazione finanzia il servizio sociale direttamente sulla base del numero di casi. A ogni buon conto dovrebbe essere valutato, per ciascun sistema, se questo offre al beneficiario una garanzia giuridica adeguata e possibilità di scelta e di partecipazione sufficienti.

3.6.

Soprattutto nei sistemi di assicurazione sociale, le parti sociali svolgono un ruolo centrale e dovrebbero, pertanto, essere coinvolte in via prioritaria nella definizione dei principi di politica sociale. Le amministrazioni sociali nazionali e comunali, le assicurazioni sociali e i servizi sociali autonomi svolgono una funzione di primo piano, non da ultimo nell’erogazione delle prestazioni sociali. I loro rappresentanti, quindi, dovrebbero essere anch’essi opportunamente coinvolti nell’ambito della propria sfera di competenza.

3.7.

Dato che occorre trovare un ragionevole equilibrio tra le competenze degli Stati membri, i valori comuni europei e l’esigenza di una concorrenza leale all’interno dell’UE, i principi esposti di seguito devono fornire un impulso concettuale affinché l’UE muova altri passi nel campo della politica sociale.

4.   Principi relativi ai sistemi previdenziali

4.1.

Principio della protezione minima: occorre garantire alcune prestazioni sociali sussidiarie fondamentali, tra cui l’erogazione di un minimo vitale/reddito minimo per le persone senza un reddito sufficiente, per esempio attraverso i sussidi di disoccupazione, le pensioni di anzianità e altre prestazioni sociali. A tal fine, occorre sviluppare indicatori comuni per le prestazioni sociali fondamentali (25). La garanzia dei mezzi finanziari di sussistenza dovrebbe coprire almeno i costi reali per l’alimentazione, l’alloggio, gli indumenti, l’acqua, l’energia e le cure sanitarie di base.

4.2.

Principio della necessità: occorre sviluppare e offrire servizi sociosanitari moderni e professionali che rispondano a specifiche problematiche, per esempio per le famiglie, le persone disabili, i malati, i disoccupati, le famiglie monoparentali, i bambini, le persone che prestano assistenza a familiari, i rifugiati, i giovani con deficit di sviluppo (26), i genitori con difficoltà educative, le persone che necessitano di assistenza e altri servizi a domicilio (27), le persone in situazione di indebitamento eccessivo (28), che soffrono di dipendenze, in condizione di senza dimora o con problemi psicologici. Servizi sociali efficienti comprendono tra l’altro consulenza, assistenza, orientamento, accompagnamento, aiuto, responsabilizzazione ed educazione, cure mediche e terapie (29). Poiché le cause della disoccupazione sono molteplici e poiché occorre evitare che le persone colpite da questo problema scivolino nella spirale della povertà, è opportuno adottare politiche attive e giuridicamente garantite per il mercato del lavoro volte a sostenere un rapido reinserimento lavorativo e garantire un sussidio dignitoso a ogni persona in cerca di lavoro, in particolare i giovani in attesa del primo impiego o le donne che desiderano riprendere il lavoro dopo una lunga interruzione della carriera.

4.3.

Principio della chiarezza: occorre sviluppare obiettivi di politica sociale chiari da perseguire con le prestazioni sociali, per esempio le pari opportunità e la giustizia intergenerazionale, l’inclusione attiva, il superamento di condizioni svantaggiate, la conciliazione tra vita privata e vita professionale, l’assicurazione contro i rischi della vita, la prevenzione, l’intervento in caso di crisi, l’integrazione nel mercato del lavoro e nella società, le pensioni di anzianità e la responsabilizzazione. Al contempo il diritto sociale deve anche definire chiaramente le diverse tipologie di prestazione: in denaro e/o in natura, ambulatoriali, ospedaliere ecc. In tale contesto occorre, infine, trovare il giusto equilibrio tra il diritto del beneficiario di prendere decisioni autonome e l’obiettivo dell’efficacia delle prestazioni sociali.

4.4.

Principio dell’accessibilità: occorre garantire che le prestazioni sociali, in particolare quelle dei servizi sociali, siano accessibili sul piano geografico, temporale e finanziario. L’accessibilità è favorita dal finanziamento solidale e sostenibile, dalla trasparenza in merito ai servizi offerti e da una garanzia giuridica specifica collegata alla possibilità di presentare ricorsi e reclami. L’obbligo di pagamento di un ticket, qualora esista, deve essere socialmente equilibrato e non costituire un ostacolo all’accesso. Per determinate prestazioni, per esempio per problemi psicologici o di dipendenza, una verifica burocratica dell’effettiva necessità di assistenza può essere controproducente. È opportuno in particolare offrire attivamente ai beneficiari servizi di consulenza e di prevenzione.

4.5.

Principio di proporzionalità: le prestazioni erogate dovrebbero essere adeguate e necessarie in termini di natura e di portata. Le decisioni discrezionali e le leggi in materia sociale dovrebbero tener conto di tale principio, così come dovrebbe essere ragionevole il rapporto tra il dispendio di risorse e il risultato atteso da una prestazione sociale. L’obbligo per il cittadino di avvalersi di una prestazione sociale, ovvero di tenere una determinata altra condotta, come pure il rapporto tra diritti e doveri, infine, dovrebbero anch’essi rispondere al principio di proporzionalità.

4.6.

Principio di solidarietà: le prestazioni sociali dovrebbero essere finanziate essenzialmente attraverso sistemi previdenziali solidali e sistemi fiscali giusti e anch’essi solidali. Il finanziamento solidale dovrebbe comprendere, nella misura del possibile, tutte le categorie della popolazione e tutti gli strati sociali, in modo da migliorare l’affidabilità, l’accettazione e la sostenibilità del finanziamento stesso. Il lavoro non dichiarato (30) e l’elusione fiscale, invece, danneggiano i sistemi sociali. Alla luce degli sviluppi demografici ed economici, l’inclusione di tutte le categorie di reddito, compreso ad esempio il reddito da capitale, può apparire appropriata. Un migliore coordinamento dei regimi fiscali e di quelli finanziari nell’UE, inoltre, potrebbe migliorare la base di finanziamento. Gli investimenti privati, le donazioni, l’impegno civile e religioso e i contributi da parte di fondazioni rappresentano fonti apprezzabili di finanziamento al regime obbligatorio, ma non possono costituire una garanzia in termini di diritti alle prestazioni e di messa a disposizione di infrastrutture.

4.7.

Principio della responsabilità individuale: i disoccupati e le persone che faticano a integrarsi nel mercato del lavoro devono essere aiutate mediante servizi sociali e sistemi di incentivi volti a consentire loro di sostentarsi, del tutto o in parte, con i propri mezzi. Il cittadino dovrebbe poter beneficiare di una copertura integrativa nel quadro di accordi paritetici complementari al sistema pubblico, negoziati e gestiti senza scopo di lucro. Un sostegno professionale nello sviluppo delle qualifiche lavorative e delle competenze personali, come quelle comunicative, sociali e di gestione della vita quotidiana, è spesso imprescindibile per acquisire le capacità necessarie per assumersi la propria responsabilità individuale e sociale. Per quanto riguarda la salvaguardia della salute del singolo, i sistemi di sicurezza sociale potrebbero promuovere uno stile di vita sano attraverso offerte di prevenzione, misure di incentivo e grazie a una migliore protezione dei consumatori.

4.8.

Principio della partecipazione: le prestazioni, da sole o in combinazione con altre, dovrebbero contribuire alla partecipazione sociale dei cittadini. Per partecipazione sociale si intende anche la partecipazione professionale, culturale e politica, così come la partecipazione al benessere sociale.

4.9.

Principio della struttura: i rapporti giuridici e finanziari tra i beneficiari, i servizi sociali (siano essi pubblici o indipendenti, a seconda del sistema), l’amministrazione sociale pubblica o le assicurazioni sociali dovrebbero essere strutturati in maniera adeguata. Qualora i sistemi previdenziali pubblici prevedano, per esempio nella normativa sociale o per ragioni di finanziamento, il ricorso a servizi sociali autonomi, le prestazioni offerte da questi ultimi dovrebbero rispettare i principi delineati nel presente parere, in particolare in termini di finanziamento e di accessibilità. Il finanziamento, sotto forma solidale, e la disciplina nel diritto sociale di questi servizi dovrebbero essere tali da consentire di offrire all’intera popolazione prestazioni di elevata qualità.

4.10.

Principio dell’autonomia decisionale dei beneficiari: i beneficiari non sono da considerarsi oggetti, bensì soggetti che contribuiscono agli aiuti e cittadini aventi diritto a prestazioni. Essi dovrebbero poter scegliere, nel quadro di un bilancio adeguato, tra diverse prestazioni, per esempio tra cure ambulatoriali e ospedaliere oppure altre forme di prestazioni, come l’assistenza a domicilio. Il tipo di assistenza dipende dalla situazione del singolo individuo, dalle esigenze specifiche in materia di assistenza professionale, valutate da esperti appositamente preparati, dalle sue preferenze e dalla situazione locale. Qualora i sistemi previdenziali pubblici prevedano, per esempio nella normativa previdenziale o per ragioni di finanziamento, il ricorso a servizi sociali indipendenti, i beneficiari dovrebbero poter scegliere tra diversi servizi.

4.11.

Principio della certezza del diritto: l’erogazione delle prestazioni deve essere garantita per legge, eventualmente dalla normativa sociale o da altri strumenti giuridici simili basati sui principi democratici, di cui gli Stati membri si sono dotati. Tali normative dovrebbero comprendere le seguenti disposizioni in materia di diritto sociale: diritti giuridicamente riconosciuti, clausole discrezionali, obblighi di partecipazione a carico dei beneficiari, descrizione delle condizioni per l’erogazione delle prestazioni, delle possibilità di reclamo e di ricorso, del controllo pubblico, se necessario, dei soggetti privati che erogano prestazioni pubbliche, delle regole sulla qualità e delle garanzie di accessibilità, degli obblighi in materia di infrastrutture, del tipo di finanziamento ecc. Lo statuto giuridico e i diritti dei beneficiari dovrebbero essere garantiti perlomeno per i servizi sociosanitari fondamentali. In alcuni ambiti di prestazioni, le decisioni discrezionali consentono di meglio tener conto delle circostanze concrete. Il benessere delle persone vulnerabili richiede una tutela giuridica particolare (31). I servizi sociali indipendenti devono poter contare su uno statuto giuridico tutelato e su un accesso non discriminatorio alle prestazioni, a meno che non si tratti di sistemi monopolistici. In alcuni Stati membri il principio dello Stato sociale, sancito dalla costituzione, rafforza la posizione della politica sociale e assicura che alcune prestazioni fondamentali siano erogate anche in periodi di crisi.

4.12.

Principio dell’orientamento al bene comune: quelle forme di impresa e di organizzazione che sono particolarmente orientate al bene comune e alla partecipazione  (32), come le organizzazioni senza scopo di lucro, le imprese sociali, i servizi pubblici, le associazioni, determinati tipi di fondazioni e cooperative, le organizzazioni di utenti e altri attori della società civile, dovrebbero poter operare contando su condizioni finanziarie e giuridiche adeguate. Il finanziamento, attraverso il gettito fiscale o i contributi previdenziali, delle organizzazioni a scopo di lucro che operano in questo settore deve essere valutato approfonditamente nella discussione sulla politica sociale e richiede controlli adeguati e quantomeno la definizione di un quadro per la redistribuzione dei profitti.

4.13.

Principio della trasparenza: l’utilizzo di fondi pubblici da parte dei servizi sociali e dell’amministrazione pubblica dovrebbe avvenire nel rispetto della trasparenza. I cittadini dovrebbero poter conoscere le basi giuridiche dei sistemi previdenziali, le ragioni delle decisioni prese in merito alle prestazioni e all’aggiudicazione degli appalti e altre informazioni pertinenti.

4.14.

Principio della rete: la realtà vissuta quotidianamente dai cittadini, il cambiamento dei percorsi di vita, le nuove forme familiari, l’invecchiamento e l’immigrazione richiedono servizi integrati e collegati in rete  (33). A tal fine, occorre evitare segregazioni, esclusioni e discriminazioni.

4.15.

Principio della parità: la normativa dovrebbe stabilire i diritti e doveri applicabili a beneficiari, amministrazioni sociali e servizi sociali. Qualora siano comminati sanzioni o indennizzi in caso di violazione delle disposizioni normative, questi dovrebbero essere applicabili non solo ai beneficiari, ma anche alle amministrazioni sociali pubbliche.

4.16.

Principio della qualità: l’erogazione di prestazioni sociali dovrebbe essere accompagnata da misure volte ad assicurarne la qualità. L’analisi delle necessità e la pianificazione e l’esecuzione delle misure dovrebbero fondarsi sulle conoscenze di politica sociale e sulle competenze degli esperti. I servizi alla persona dovrebbero essere migliorati mediante misure di formazione e professionalizzazione, nonché retribuzioni e condizioni di lavoro adeguate, definite nel rispetto della libertà contrattuale. Il quadro per la qualità dei servizi di interesse generale in Europa (SIG) (34) può fungere da modello per la formulazione, a livello dell’UE, di raccomandazioni in materia di servizi sociali. È opportuno, infine, incoraggiare il reclutamento e la formazione di volontari se questo costituisce una soluzione complementare utile.

4.17.

Principio del coordinamento: la gestione dei casi in cui le prestazioni erogate dai sistemi di sicurezza e di protezione sociale interessano più di uno Stato membro dovrebbe essere migliorata. In tale contesto occorre tenere conto della capacità finanziaria dei soggetti che sostengono i costi e dei contribuenti, nonché dei principi di solidarietà sociale e di proporzionalità. È importante evitare di scaricare un onere sproporzionato su quei sistemi nazionali che sono particolarmente efficaci.

Bruxelles, 17 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Per esempio, verificando e valutando con maggiore coerenza il seguito dato alle raccomandazione e riallacciandosi ai fondi strutturali (GU C 170 del 5.6.2014, pag. 23).

(2)  Come affermato da Winston Churchill nel discorso tenuto nel 1946 a Zurigo, «dobbiamo creare una sorta di Stati Uniti d’Europa».

(3)  Carta dei diritti fondamentali dell’UE; Carta sociale europea.

(4)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 102.

(5)  Cfr. COM(2013) 83, del 20.2.2013; GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21.

(6)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 23; GU C 271 del 19.9.2013, pag. 91; GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21.

(7)  GU C 161 del 6.6.2013, pag. 27.

(8)  Documenti del semestre europeo; Caritas Europa, Die Zukunft des Wohlfahrtsstaates (Il futuro dello Stato sociale), 2012; documenti della Social Protection Platform.

(9)  Relazione dell’osservatorio Social Inclusion Monitor Europe (SIM) intitolata Social Justice in the EU — A Cross-national Comparison (Giustizia sociale nell’UE: un confronto transnazionale), 2014.

(10)  Cfr. OCSE, In It Together (Sulla stessa barca), 2015: nella maggior parte dei paesi il divario tra i ricchi e i poveri è ai massimi livelli degli ultimi trent’anni. Attualmente nei paesi OCSE il 10 % più ricco della popolazione guadagna 9,6 volte quello che guadagna il 10 % più povero, mentre negli anni Ottanta questo rapporto si fermava al 7,1.

(11)  Articolo 3, paragrafo 3, del TUE.

(12)  Ad esempio, Friends of Europe, Social Union (Unione sociale), del 23 marzo 2015.

(13)  Cfr. il pacchetto d’investimenti sociali dell’UE; Università cattolica di Lovanio, Social Protection at the Top of the international Agenda (La protezione sociale in cima all’agenda internazionale), 2014; CESE, Per un’Europa 2020 più efficace: le proposte della società civile per una maggiore inclusione sociale e competitività in Europa, del 4.12.2014; CESE, Un piano d’azione per l’Europa, aprile 2014.

(14)  Cfr. ad esempio: COM(2014) 902 final, 28 novembre 2014; lettera di incarico alla commissaria Thyssen, dell’1 novembre 2014; priorità del presidente Juncker, del 12 settembre 2014; presidenza lussemburghese del Consiglio e incontro dei ministri per gli Affari sociali del 16 e del 17 luglio 2015; rafforzamento della dimensione sociale; relazioni del comitato per la protezione sociale.

(15)  Raccomandazione del Consiglio del 24 giugno 1992 (GU L 245 del 26.8.1992, pag. 46).

(16)  In particolare gli articoli 2 e 3, paragrafo 3, del TUE nonché l’articolo 2, paragrafo 3, e gli articoli 14, 56, 107, 162 e seguenti, 168, 174 e 175, paragrafo 3, del TFUE e il protocollo n. 26 del TFUE.

(17)  Raccomandazioni OIL del 2012; OIL, Rapporto mondiale sulla protezione sociale 2014-2015.

(18)  Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, articolo 1, in combinato disposto con l’articolo 34, paragrafo 3.

(19)  Risoluzione del 20.10.2010 (2010/2039(INI)] (GU C 70 E dell’8.3.2012, pag. 8); risoluzione del 15.11.11 (2010/2039(INI)] (GU C 153 E del 31.5.2013, pag. 57).

(20)  http://toad.cor.europa.eu/corwipdetail.aspx?folderpath=ECOS-V%2f012&id=20923

(21)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 23.

(22)  In tale esercizio occorre, comunque, rispettare l’articolo 153, paragrafo 4, del TFUE, che riconosce agli Stati membri la facoltà di definire i principi fondamentali dei loro sistemi di sicurezza sociale.

(23)  Cfr. la conferenza dell’Istituto sindacale europeo sul tema La crisi del debito sovrano, l’UE e la riforma dello Stato assistenziale, del 3.2.2015.

(24)  Nel luglio 2015 la presidenza del Consiglio ha avanzato proposte ai ministri per gli Affari sociali sulla dimensione sociale della governance.

(25)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 23.

(26)  AGJ, Die europäische Dimension der Kinder- und Jugendwohlfahrt (La dimensione europea del benessere infantile e giovanile), 2015.

(27)  GU C 12 del 15.1.2015, pag. 16; GU C 21 del 21.1.2011, pag. 39.

(28)  GU C 311 del 12.9.2014, pag. 38.

(29)  Cfr. Dahme/Wohlfahrt, 2015.

(30)  GU C 458 del 19.12.2014, pag. 43.

(31)  Bambini e giovani, gestanti, persone bisognose di aiuto e persone giuridicamente incapaci ecc.

(32)  CESE: Iniziativa per l’imprenditoria sociale.

(33)  Kocher/Welti, 2010.

(34)  Cfr. la comunicazione Una disciplina di qualità per i servizi di interesse generale in Europa [COM(2011) 900 final].


ALLEGATO

I seguenti punti del testo del parere della sezione specializzata, respinti in seguito all’adozione di emendamenti da parte dell’Assemblea, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli al loro mantenimento pari ad almeno un quarto dei voti espressi:

Punto 1.3

Nell’elaborare dei principi di politica sociale che promuovano la convergenza dei sistemi previdenziali occorre tener conto delle competenze degli Stati membri e delle diversità politiche e culturali di tali sistemi, cercando nella misura del possibile di raggiungere un consenso tra gli Stati membri.

Esito della votazione dell’emendamento 1:

Voti a favore:

105

Voti contrari:

51

Astensioni:

15

Punto 4.2

Principio della necessità: occorre sviluppare e offrire servizi sociosanitari moderni e professionali che rispondano a specifiche problematiche, per esempio per le famiglie, le persone disabili, i malati, i disoccupati, le famiglie monoparentali, i bambini, le persone che prestano assistenza a familiari, i rifugiati, i giovani con deficit di sviluppo (1), i genitori con difficoltà educative, le persone che necessitano di assistenza e altri servizi a domicilio (2), le persone in situazione di indebitamento eccessivo (3), che soffrono di dipendenze, in condizione di senza dimora o con problemi psicologici. Servizi sociali efficienti comprendono tra l’altro consulenza, assistenza, orientamento, accompagnamento, aiuto, responsabilizzazione ed educazione, cure mediche e terapie (4). Poiché le cause della disoccupazione sono molteplici e poiché occorre evitare che le persone colpite da questo problema scivolino nella spirale della povertà, è opportuno adottare politiche attive e giuridicamente garantite per il mercato del lavoro volte a sostenere un rapido reinserimento lavorativo e fornire prestazioni in denaro in funzione, in particolare, del tenore di vita avuto fino al momento della disoccupazione o dei contributi versati.

Esito della votazione dell’emendamento 3:

Voti a favore:

119

Voti contrari:

53

Astensioni:

9

Punto 4.4

Principio dell’accessibilità: occorre garantire che le prestazioni sociali, in particolare quelle dei servizi sociali, siano accessibili sul piano geografico, temporale e finanziario. L’accessibilità è favorita dal finanziamento solidale e sostenibile, dalla trasparenza in merito ai servizi offerti e da una garanzia giuridica specifica collegata alla possibilità di presentare ricorsi e reclami. L’obbligo di pagamento di un ticket può rappresentare un utile strumento di governance. Tali contributi devono essere socialmente equilibrati e non costituire un ostacolo all’accesso. Per determinate prestazioni, per esempio per problemi psicologici o di dipendenza, una verifica burocratica dell’effettiva necessità di assistenza può essere controproducente. È opportuno in particolare offrire attivamente ai beneficiari servizi di consulenza e di prevenzione.

Esito della votazione dell’emendamento 4:

Voti a favore:

114

Voti contrari:

59

Astensioni:

13

Punto 4.7

Principio della responsabilità individuale: i disoccupati e le persone che faticano a integrarsi nel mercato del lavoro devono essere aiutate mediante servizi sociali e sistemi di incentivi volti a consentire loro di sostentarsi, del tutto o in parte, con i propri mezzi. Ai cittadini, inoltre, dovrebbero essere offerti incentivi e opportunità per sottoscrivere una previdenza integrativa, a condizioni accettabili e a basso rischio. Un sostegno professionale nello sviluppo delle qualifiche lavorative e delle competenze personali, come quelle comunicative, sociali e di gestione della vita quotidiana, è spesso imprescindibile per acquisire le capacità necessarie per assumersi la propria responsabilità individuale e sociale. Anche la salvaguardia della propria salute rientra in parte nella responsabilità individuale del singolo. I sistemi di sicurezza sociale potrebbero promuovere uno stile di vita sano attraverso offerte di prevenzione, misure di incentivo e grazie a una migliore protezione dei consumatori.

Esito della votazione dell’emendamento 5:

Voti a favore:

117

Voti contrari:

62

Astensioni:

11


(1)  AGJ, Die europäische Dimension der Kinder- und Jugendwohlfahrt (La dimensione europea del benessere infantile e giovanile), 2015.

(2)  GU C 12 del 15.1.2015, pag. 16; GU C 21 del 21.1.2011, pag. 39.

(3)  GU C 311 del 12.9.2014, pag. 38.

(4)  Cfr. Dahme/Wohlfahrt, 2015.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/49


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Convalida delle competenze e delle qualifiche acquisite attraverso l’apprendimento non formale e informale: il contributo concreto della società civile organizzata»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/09)

Relatore:

Pavel TRANTINA

Correlatrice:

Marie ZVOLSKÁ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 gennaio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Convalida delle competenze e delle qualifiche acquisite attraverso l’apprendimento non formale e informale: il contributo concreto della società civile organizzata.

(parere d’iniziativa)

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 giugno 2015.

Nella sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 212 voti favorevoli e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE è convinto che si debba porre l’accento sull’individuazione, la registrazione, la valutazione — e quindi la valorizzazione — dei risultati acquisiti mediante l’apprendimento non formale, secondo modalità il più possibile comparabili e comprensibili per tutte le parti interessate, in particolare per i datori di lavoro e gli istituti di istruzione.

1.2.

Gli Stati membri dovrebbero garantire ai cittadini, indipendentemente dall’età e dal livello di qualifica, l’opportunità di ottenere la convalida dei risultati dell’apprendimento non formale e informale. Ciò può richiedere un’ulteriore collaborazione tra i fornitori di istruzione non formale, le autorità pubbliche e altre parti interessate, anche su questioni come il finanziamento e il riconoscimento.

1.3.

Il CESE invita a sostenere tutte le parti interessate, in particolare le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile, affinché siano consapevoli dei vantaggi offerti dalla convalida in questione e partecipino attivamente alla creazione dei quadri nazionali delle qualifiche e alla definizione delle qualifiche professionali.

1.4.

È necessario fornire ai cittadini informazioni pertinenti sui vantaggi, le possibilità e i meccanismi di convalida delle competenze. Il CESE raccomanda agli Stati membri di sviluppare le strutture che forniscono tali servizi di orientamento e consulenza, coinvolgendo in particolare i servizi di collocamento, ma anche i centri di informazione per i giovani, gli istituti di istruzione, i datori di lavoro, i sindacati, i centri di orientamento professionale, le organizzazioni giovanili, le organizzazioni di donne, le organizzazioni di assistenza ai migranti e alle persone con disabilità, nonché gli organismi pubblici.

1.5.

Un prerequisito fondamentale è la presenza di un quadro legislativo di qualità a livello nazionale, che garantisca l’equivalenza dei certificati acquisiti mediante l’istruzione formale e l’apprendimento non formale o informale. Questo comporta esigenze considerevoli in termini di qualità dei processi di convalida, che vanno sostenuti anche finanziariamente, ad esempio mediante il Fondo sociale europeo.

1.6.

Il CESE invita gli istituti di istruzione, in particolare le scuole secondarie e superiori di formazione professionale, a promuovere maggiormente la convalida delle competenze e delle conoscenze acquisite in modo non formale. A tale proposito esiste nell’UE tutta una serie di esempi di buone pratiche da diffondere.

1.7.

Il CESE ritiene che la contrattazione collettiva e il dialogo sociale tra sindacati e datori di lavoro possano svolgere un ruolo importante nel processo di convalida dell’istruzione non formale e dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. È con tali strumenti che occorre lavorare per il riconoscimento dell’apprendimento non formale quale importante contributo al dibattito sull’occupabilità e sugli strumenti atti a promuoverla.

1.8.

In un contesto di elevata disoccupazione giovanile, è opportuno promuovere le opportunità di interazione tra le agenzie per l’impiego pubbliche e private, le organizzazioni di volontariato (in particolare quelle giovanili) e i datori di lavoro. Ciò può servire ad accrescere la visibilità e a sensibilizzare i cittadini riguardo all’importanza e al valore dell’istruzione non formale e dell’apprendimento informale nelle organizzazioni di volontariato, e può anche rafforzare la fiducia reciproca.

1.9.

È necessario promuovere lo sviluppo e l’utilizzo di strumenti di autovalutazione che aiutino le persone a individuare e descrivere i risultati dell’apprendimento derivante dall’esperienza nelle organizzazioni della società civile. Il CESE ha già sostenuto la creazione del Passaporto europeo delle competenze, e poi dello strumento «Europass Experience». Si rammarica quindi del fatto che la Commissione europea abbia sospeso i preparativi per Europass Experience, e la invita ad agire per portare a buon fine tale iniziativa.

2.   Introduzione: l’apprendimento non formale e informale

2.1.

Nonostante la situazione economica e sociale sfavorevole che interessa attualmente un certo numero di paesi dell’UE, in cui neppure un’istruzione formale costituisce una garanzia per accedere al mercato del lavoro, il CESE ritiene che l’Unione europea non possa non riconoscere i tesori nascosti contenuti nelle esperienze e nelle competenze acquisite in ambito non formale o informale.

2.2.

Tale riconoscimento può offrire un’opportunità in particolare a taluni gruppi svantaggiati (le donne, i migranti, i giovani e i lavoratori anziani). Tuttavia, esso non dovrebbe suscitare false aspettative riguardo alle possibilità di trarne rapidamente vantaggio sul mercato del lavoro. A tal fine è necessario che la politica economica e sociale sia maggiormente rivolta agli investimenti, alla creazione di posti di lavoro di qualità nonché alla lotta contro la povertà e il rischio di esclusione sociale. Tali politiche devono altresì orientare e sostenere il rafforzamento dei sistemi di istruzione, formazione e riqualificazione.

2.3.

Il CESE si basa sull’importante documento rappresentato dalla raccomandazione del Consiglio, del 20 dicembre 2012, sulla convalida dell’apprendimento non formale e informale (1), in cui si afferma che la convalida dei risultati di apprendimento (conoscenze, abilità e competenze) acquisiti mediante l’apprendimento non formale e informale può svolgere un ruolo importante nel migliorare l’occupabilità e la mobilità, nonché nell’accrescere la motivazione per l’apprendimento permanente, in particolare nel caso di persone socialmente ed economicamente svantaggiate o meno qualificate. La convalida di tutte le conoscenze, abilità e competenze utili può fornire un contributo ancora più valido al miglioramento del funzionamento del mercato del lavoro, alla promozione della mobilità e al rafforzamento della competitività e della crescita economica.

2.4.

Secondo il Consiglio, le organizzazioni dei datori di lavoro, i singoli datori di lavoro, i sindacati, le camere di commercio, industria e artigianato, gli enti nazionali coinvolti nel processo di convalida delle qualifiche professionali e nella valutazione e certificazione dei risultati di apprendimento, i servizi per l’impiego, le organizzazioni giovanili, gli operatori socioeducativi, gli istituti di istruzione e formazione e altre organizzazioni della società civile sono tutti parti interessate fondamentali cui spetta un ruolo importante nel favorire le opportunità di apprendimento non formale e informale e ogni relativo processo di convalida.

2.5.

Ai sensi della raccomandazione del Consiglio del 2012, gli Stati membri dovrebbero «istituire, entro il 2018 — in conformità alle circostanze e specificità nazionali e nel modo da essi ritenuto appropriato — modalità per la convalida dell’apprendimento non formale e informale che consentano alle persone di:

ottenere una convalida delle conoscenze, abilità e competenze acquisite mediante l’apprendimento non formale e informale, anche, se del caso, mediante risorse educative aperte,

ottenere una qualifica completa o, se del caso, una qualifica parziale, sulla base della convalida di esperienze di apprendimento non formale e informale […]».

2.6.

In base alla raccomandazione del Consiglio, si dovrebbero includere, se del caso, i seguenti elementi nelle modalità per la convalida dell’apprendimento non formale e informale, consentendo nel contempo a ogni persona di trarne vantaggio, separatamente o in combinazione, secondo le sue esigenze:

«—

l’INDIVIDUAZIONE dei risultati di apprendimento acquisiti dalla persona mediante l’apprendimento non formale e informale,

la DOCUMENTAZIONE dei risultati di apprendimento acquisiti dalla persona mediante l’apprendimento non formale e informale,

la VALUTAZIONE dei risultati di apprendimento acquisiti dalla persona mediante l’apprendimento non formale e informale,

la CERTIFICAZIONE della valutazione dei risultati di apprendimento acquisiti dalla persona mediante l’apprendimento non formale e informale sotto forma di qualifica o di crediti che contribuiscono all’ottenimento di una qualifica o, se del caso, in un’altra forma.»

Le linee guida europee per la convalida dell’apprendimento non formale e informale del 2009 (2) (e la versione aggiornata del 2015) sono rivolte agli individui e ai soggetti responsabili dell’avvio, sviluppo, attuazione e svolgimento del processo di convalida. I vari soggetti operano a livelli diversi (europeo, nazionale, settoriale e locale) e in contesti diversi (pubblico, privato e del volontariato, nel campo dell’istruzione e della formazione, nei servizi del mercato del lavoro). Lo scopo delle linee guida è precisare le condizioni per l’esecuzione delle verifiche e richiamare l’attenzione sulle possibilità offerte alle parti interessate nelle diverse fasi del processo.

2.7.

Il CESE ha già evidenziato in più occasioni il contributo apportato dall’istruzione non formale e l’importanza del suo riconoscimento. Tuttavia, il presente parere esprime per la prima volta questo concetto in modo completo. Esso si prefigge infatti di raccogliere i punti di vista dei rappresentanti dei datori di lavoro, dei lavoratori e di altre componenti della società civile in merito alle procedure concrete per la convalida, nonché di presentare proposte di soluzioni pratiche dal loro punto di vista.

3.   Competenze e conoscenze acquisite mediante l’apprendimento non formale e informale

3.1.

Il declino di una produzione specializzata e fondata sui mestieri, lo sviluppo tecnologico e — inversamente — lo sviluppo del settore dei servizi fanno sì che i datori di lavoro del XXI secolo attribuiscano ora maggiore importanza alla «personalità» dei lavoratori o alle competenze «trasversali» o «trasferibili». Aumenta l’importanza dell’apprendimento permanente e del riconoscimento delle competenze e conoscenze acquisite al di fuori dell’istruzione scolastica.

3.2.

Nel 2012 l’Università di Bath e la GHK Consulting, su richiesta del Forum europeo della gioventù, hanno realizzato uno studio riguardante l’impatto dell’apprendimento non formale nelle organizzazioni giovanili sull’occupabilità dei giovani (3). Le organizzazioni giovanili sono importanti fornitori di istruzione non formale. Questo tipo di istruzione nelle organizzazioni giovanili non ha come obiettivo principale quello di promuovere l’occupabilità: tuttavia, l’analisi condotta dimostra che le capacità acquisite in tale ambito possono contribuire all’occupabilità.

3.3.

Lo studio giunge alla conclusione generale per cui vi è una corrispondenza evidente tra le competenze richieste dai datori di lavoro e quelle sviluppate dal settore dell’apprendimento non formale. Cinque delle sei competenze «non tecniche» maggiormente richieste figurano tra le competenze sviluppate in maggiore misura dalle organizzazioni giovanili — l’unica eccezione è l’alfabetizzazione matematica. Tra le competenze «non tecniche» o trasversali più frequentemente richieste dai datori di lavoro figurano: le competenze comunicative, le capacità di organizzazione/pianificazione, la capacità di prendere decisioni, la capacità di lavorare in squadra, l’affidabilità/autonomia e l’alfabetizzazione matematica. Tali competenze non tecniche sono considerate fondamentali per svolgere un lavoro con successo. In questo contesto si verifica anche lo sviluppo di determinati tratti della personalità, come per esempio la motivazione personale, lo spirito di iniziativa e l’operosità, che sono caratteristiche personali connesse all’affidabilità/autonomia e all’imprenditorialità.

3.4.

Tutti i cittadini apprendono in modo non formale e informale nell’ambito del processo di apprendimento permanente. Per esempio, molte donne (e uomini) sviluppano delle abilità nella gestione delle questioni familiari che possono essere trasferite sul luogo di lavoro, in particolare nel campo dei servizi sociali. Qualora debbano cambiare lavoro a causa di un licenziamento o per motivi familiari, esse possono impiegare tali conoscenze anche per passare a un nuovo posto di lavoro oppure, nel caso delle donne migranti, per ottenere un primo impiego. Il CESE ha già invitato (4) gli Stati membri ad «accelerare il processo di riconoscimento delle qualifiche e delle esperienze acquisite in paesi terzi per permettere alle donne di trovare occupazioni che corrispondano alle loro competenze e aspirazioni» e a «considerare che il lavoro in taluni settori (pulizie, custodia dei bambini, assistenza agli anziani, ristorazione e settore alberghiero, agricoltura ecc.) può offrire opportunità alle donne immigrate meno qualificate, a condizione però di riscattare questi settori dal lavoro nero, professionalizzarli e valorizzarli, formare le donne a questi mestieri e consentire loro di progredire professionalmente». Dal canto loro, le parti sociali sono state invitate a «facilitare, nei contratti collettivi, il riconoscimento delle qualifiche delle donne migranti».

3.5.

Per un efficace riconoscimento dell’apprendimento non formale e informale, è importante spostare l’accento sui risultati dell’apprendimento. Questo sviluppo è peraltro espressamente e sistematicamente sostenuto, fin dal 2004, dall’agenda della politica dell’UE per l’istruzione, la formazione e l’occupazione. Un recente studio del Cedefop (basato su ricerche condotte tra il 2013 e il 2015) dimostra che in Europa viene accordata un’importanza sempre maggiore ai risultati dell’apprendimento ai fini dello sviluppo di quadri nazionali delle qualifiche, della definizione e descrizione delle competenze professionali, nonché dell’utilizzo di tali risultati nei programmi di studio, nelle procedure di valutazione e come punti di riferimento per la convalida. Ciò dovrebbe aumentare la trasparenza, la pertinenza e la qualità dell’istruzione, e permettere una maggiore apertura nei confronti dell’apprendimento non formale e informale. Sul piano pratico, è importante che per gli allievi/studenti vengano stabiliti obiettivi chiari, che producono un effetto di motivazione, consentono percorsi di apprendimento flessibili e determinano l’orientamento in funzione della valutazione dei risultati. Al tempo stesso, al fine di garantire un’elevata qualità dell’istruzione, occorre anche migliorare i metodi e i processi di insegnamento/apprendimento in quanto tali.

3.6.

Da tutto ciò deriva la necessità di porre l’accento sulla valutazione e la determinazione dei risultati dell’apprendimento non formale, in un modo comprensibile per tutte le parti interessate e in particolare per i datori di lavoro e gli istituti di istruzione. Questi risultati possono poi essere riconosciuti, se l’interessato ne fa richiesta e sussistono le condizioni adeguate, come qualifiche professionali vere e proprie, equivalenti a programmi di istruzione formale.

4.   Convalida delle competenze e delle qualifiche: il punto di vista pratico

4.1.    Orientamento, consulenza e informazioni

4.1.1.

Nel contesto dei processi di convalida gli Stati membri dovrebbero far sì che i singoli e le organizzazioni dispongano di informazioni e orientamenti sui benefici e sulle opportunità della convalida, nonché sulle procedure pertinenti, come pure che la convalida dell’apprendimento non formale e informale sia accompagnata da orientamento e consulenza appropriati e sia facilmente accessibile.

4.1.2.

I sistemi di convalida dell’apprendimento non formale e informale dovrebbero basarsi su principi adeguati, tenendo nel contempo in considerazione le esigenze e peculiarità nazionali, regionali e/o locali nonché di settore.

4.1.3.

Occorre garantire ai cittadini l’opportunità di partecipare, indipendentemente dall’età e dal livello di qualifica. Ciò può richiedere un’ulteriore collaborazione tra il settore non profit, le autorità pubbliche e altre parti interessate, anche su questioni come il finanziamento e il riconoscimento.

4.1.4.

I cittadini dovrebbero essere informati in merito agli ulteriori vantaggi prodotti da una partecipazione costante alle attività svolte da organizzazioni di volontariato. Anche periodi brevi di attività in quest’ambito possono avere effetti significativi in termini di sviluppo delle competenze e aumento dell’occupabilità.

4.1.5.

È necessario rivolgersi in modo coordinato ai cittadini e fornire loro informazioni pertinenti sui vantaggi, le possibilità e i meccanismi di verifica delle competenze. Il CESE raccomanda agli Stati membri di sviluppare le strutture che forniscono tali servizi di orientamento e consulenza, coinvolgendo in particolare i servizi di collocamento, ma anche i centri di informazione per i giovani, gli istituti di istruzione, i datori di lavoro, i sindacati, i centri di orientamento professionale, le organizzazioni di volontariato, le organizzazioni giovanili e gli organismi pubblici.

4.1.6.

La consulenza nel processo di riconoscimento delle competenze è essenziale e vantaggiosa, in particolare per i giovani, a tutti i livelli — dall’individuazione alla certificazione. Essa dovrebbe:

aiutare le persone a individuare le proprie necessità e determinarne la motivazione a impegnarsi in tale processo,

creare un ambiente sicuro e adatto a costruire un rapporto di fiducia con il consulente, ossia un contesto non troppo istituzionalizzato, in modo che i giovani si sentano a proprio agio,

integrare adeguatamente le informazioni sulla verifica in quanto metodo riconosciuto orientato sul partecipante ai corsi di formazione, utilizzando le strutture di informazione e consultazione esistenti, cioè mostrare che la verifica costituisce un possibile percorso, evitando al contempo di suscitare aspettative non realistiche.

4.2.    Coordinamento delle parti interessate

4.2.1.

Secondo il Consiglio, «gli Stati membri dovrebbero promuovere il coordinamento e il coinvolgimento di tutte le parti interessate nello sviluppo e nell’attuazione degli elementi e principi del riconoscimento. Per favorire la partecipazione a tale processo:

i datori di lavoro, le organizzazioni giovanili e quelle della società civile dovrebbero promuovere e facilitare l’individuazione e la documentazione dei risultati di apprendimento acquisiti sul posto di lavoro o nel volontariato, utilizzando strumenti UE appropriati come quelli sviluppati nel quadro di Europass e di Youthpass,

gli istituti di istruzione e formazione dovrebbero facilitare l’accesso all’istruzione e alla formazione formali sulla base dei risultati di apprendimento acquisiti in contesti non formali e informali e, se del caso e se possibile, accordare esenzioni e/o crediti per i risultati di apprendimento pertinenti acquisiti in tali contesti.»

4.2.2.

Il CESE reputa quindi importante sostenere tutte le parti interessate, in particolare le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile, affinché siano consapevoli dei vantaggi offerti dal riconoscimento in questione e partecipino attivamente alla creazione dei quadri nazionali delle qualifiche e alla definizione delle qualifiche professionali. Lavorare a cambiamenti «effettivi» nel quadro della delimitazione delle parti interessate può rivelarsi molto complesso, in particolare in quegli Stati membri che non ritengono prioritario questo settore, o nei casi in cui l’accesso della società alla convalida dell’apprendimento non formale o informale non è concretamente sostenuto a livello nazionale. Sarebbe utile fornire una piattaforma e/o altri strumenti per sostenere coloro che hanno già compiuto progressi in questo campo (ad esempio, mediante progetti pilota) nei loro sforzi a livello nazionale.

4.3.    Riconoscimento, quadri nazionali e sistemi delle qualifiche

4.3.1.

Gli Stati membri dovrebbero prevedere la possibilità per i singoli di ottenere una qualifica completa o, se del caso, parziale, sulla base di esperienze convalidate di apprendimento non formale e informale. Essi dovrebbero anche assicurare che le procedure di riconoscimento siano collegate ai quadri nazionali delle qualifiche e in linea con il quadro europeo delle qualifiche, nonché far sì che siano garantite le sinergie tra i regimi di convalida e i sistemi di crediti applicabili nei sistemi formali di istruzione e formazione professionale, quali, ad esempio, l’ECTS e l’ECVET.

4.3.2.

Nella progettazione del sistema nazionale delle qualifiche si dovrebbero coinvolgere il più possibile (motivandole in tal senso) le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile. L’esperienza di alcuni Stati membri mostra che, per l’attuazione delle procedure di riconoscimento a livello dei singoli settori, occorre istituire commissioni e unità per le competenze settoriali, dotate di personale adeguato; nei settori individuati è allora possibile procedere all’elaborazione delle norme nazionali per le diverse professioni e qualifiche professionali.

4.4.    Garantire la qualità della convalida

4.4.1.

Gli Stati membri dovrebbero far sì che vengano adottate misure trasparenti di garanzia della qualità, in linea con i quadri esistenti in materia, poiché tali misure incoraggiano il ricorso a strumenti e metodologie di valutazione affidabili, validi e credibili. Si tratta innanzitutto di adottare una legislazione adeguata, ossia un quadro normativo per la certificazione e le garanzie legate al rilascio di questa, conformemente ai quadri nazionali delle qualifiche che derivano dal quadro europeo delle qualifiche.

4.4.2.

Per il CESE, ciò implica la necessità di garantire l’equivalenza dei certificati ottenuti mediante l’istruzione formale e non formale o l’apprendimento informale. Ciò pone esigenze considerevoli in termini di qualità dei processi di riconoscimento, che vanno sostenuti anche finanziariamente, ad esempio mediante il Fondo sociale europeo.

4.5.    Riconoscimento da parte degli istituti di istruzione

4.5.1.

Un ruolo chiave nel riconoscimento viene svolto dagli istituti di istruzione. Il Consiglio raccomanda che «gli istituti di istruzione e formazione facilitino l’accesso all’istruzione e alla formazione formali sulla base dei risultati di apprendimento acquisiti in contesti non formali e informali e, se del caso e se possibile, accordino esenzioni e/o crediti per i risultati di apprendimento pertinenti acquisiti in tali contesti.»

4.5.2.

Il CESE invita gli ambienti universitari a sostenere maggiormente il riconoscimento delle capacità e delle competenze acquisite in modo non formale. In tal senso, un esempio da seguire potrebbe essere quello dell’Irlanda. La sua strategia nazionale per l’istruzione superiore fino al 2030 sostiene la missione civile dell’istruzione superiore e l’«impegno con la società in senso più ampio» come «una delle tre funzioni centrali, tra loro interconnesse, dell’istruzione superiore». Tale impegno «comprende la cooperazione con le imprese e l’industria, con la società civile, con le politiche pubbliche, con la vita artistica, culturale e sportiva e con altri fornitori di istruzione della comunità e della regione, e prevede un’enfasi sempre maggiore sull’impegno internazionale» (5).

4.5.3.

Tuttavia, non sono soltanto gli ambienti universitari che possono riconoscere i risultati dell’apprendimento non formale e informale. A Malta, ad esempio, il certificato e il profilo dell’istruzione secondaria, presentato nel settembre 2010, riconoscono tutte le forme di apprendimento che hanno avuto luogo nei cinque anni della scuola secondaria. L’istruzione, che sia formale o informale, permette di ottenere dei crediti che incoraggiano gli studenti a proseguire e approfondire la loro formazione.

4.6.    La convalida in relazione al mercato del lavoro

4.6.1.

La raccomandazione del Consiglio sottolinea l’importanza di attuare il riconoscimento sul luogo di lavoro, e quindi raccomanda «agli Stati membri di promuovere la partecipazione di tutte le parti interessate, quali i datori di lavoro, i sindacati, le camere di commercio, industria e artigianato, gli enti nazionali coinvolti nel processo di riconoscimento delle qualifiche professionali. Inoltre, invita i datori di lavoro a rendere più semplice e a promuovere l’individuazione e la documentazione dei risultati di apprendimento acquisiti sul posto di lavoro.»

4.6.2.

La convalida dell’apprendimento non formale e informale può far parte dei contratti collettivi (come avviene nei Paesi Bassi), il che costituisce un esempio eccellente delle possibilità offerte ai lavoratori di accedere a tale convalida e contribuisce a una gestione efficace delle risorse umane nelle imprese. I datori di lavoro dovrebbero essere attivamente coinvolti nella valutazione delle conoscenze, delle capacità e delle competenze, sia sul posto di lavoro che nella progettazione dei sistemi di istruzione e di formazione, il che aumenterà il valore della convalida e contribuirà a creare una maggiore fiducia nei confronti di tali procedure.

4.6.3.

La contrattazione collettiva e il dialogo sociale tra sindacati e datori di lavoro possono svolgere un ruolo importante nel processo di convalida dell’istruzione non formale e dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Un esempio concreto a livello paneuropeo è costituito dalla Federazione europea metalmeccanici (FEM), la quale si adopera per il riconoscimento dell’apprendimento non formale quale importante contributo al dibattito sull’occupabilità e sugli strumenti atti a promuoverla.

4.6.4.

In alcuni paesi gli attivisti sindacali assumono sempre più un nuovo ruolo, ossia quello di fornire un servizio di consulenza durante l’orario di lavoro e di svolgere un’attività di negoziato con i datori di lavoro in merito al libero accesso ad opportunità di formazione sul posto di lavoro. In Austria, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia e Regno Unito i rappresentanti sindacali fungono da «ambasciatori della formazione», in quanto incoraggiano i lavoratori a proseguire il loro apprendimento e a colmare le lacune nelle loro competenze, offrendo anche una consulenza alle imprese riguardo alle loro esigenze in termini di formazione (6).

4.6.5.

Considerato che i datori di lavoro che assumono giovani con poca o nessuna esperienza professionale apprezzano fortemente la partecipazione a organizzazioni giovanili, sarebbe opportuno incoraggiare questo tipo di attività come una delle misure volte ad aiutare i giovani nel passaggio dalla scuola al mondo del lavoro (7).

4.6.6.

Inoltre, occorre fornire migliori servizi di orientamento e accompagnamento a tutti coloro che sono interessati a una procedura di convalida, in modo che essi, al momento di candidarsi a un posto di lavoro, siano in grado di presentare efficacemente le abilità e le competenze acquisite in modo non formale e informale, e di comprendere meglio come tali abilità possano essere sfruttate nell’ambiente di lavoro e contribuire allo svolgimento delle mansioni specifiche connesse a tale occupazione. Si tratta di un processo al quale possono contribuire i servizi di consulenza professionale, i consulenti nelle scuole e nelle università, il settore giovanile e gli uffici per l’impiego, come anche i datori di lavoro e le organizzazioni internazionali. A questo proposito, si potrebbero aiutare i giovani anche fornendo loro informazioni sulle migliori strategie da adottare.

4.7.    Il riconoscimento nel volontariato

4.7.1.

Nella sua raccomandazione, il Consiglio reputa «importante la partecipazione attiva del settore del volontariato al processo di convalida: le organizzazioni giovanili e quelle della società civile dovrebbero promuovere e facilitare l’identificazione e la documentazione dei risultati di apprendimento acquisiti sul posto di lavoro o nel volontariato, utilizzando gli strumenti appropriati di convalida che facilitano la trasparenza, quali quelli sviluppati nel quadro Europass e Youthpass.»

4.7.2.

I cittadini dovrebbero essere più consapevoli del valore che i datori di lavoro attribuiscono alle abilità e alle competenze acquisite in modo non formale o informale, ad esempio attraverso il volontariato. Ciò vale in particolare per le persone con un livello di istruzione più basso, che sono spesso meno consapevoli del valore di questo tipo di attività per i datori di lavoro e sono meno formate sulle modalità di presentare tali competenze.

4.7.3.

In un contesto di elevata disoccupazione giovanile è opportuno promuovere le opportunità di interazione tra le agenzie per l’impiego pubbliche e private, le organizzazioni di volontariato (in particolare quelle che si rivolgono ai giovani) e i datori di lavoro. Ciò può servire ad accrescere la visibilità e a sensibilizzare i cittadini riguardo all’importanza e al valore dell’istruzione non formale ottenuta nelle organizzazioni di volontariato, e può anche rafforzare la fiducia reciproca.

4.7.4.

Occorre incoraggiare lo sviluppo di piani di formazione e di valutazione nelle organizzazioni di volontariato, dato che la loro esistenza è legata ad un livello dichiarato «superiore» di sviluppo delle competenze. In tale contesto si deve anche tener conto del fatto che le attività svolte dalle organizzazioni di volontariato variano considerevolmente e così anche i parametri in base ai quali esse valutano le competenze sviluppate per mezzo di tali attività. A tale riguardo, nel campo del volontariato occorre promuovere una maggiore coerenza nella terminologia e nei metodi di valutazione. Il ravvicinamento dei parametri potrebbe, ad esempio, contribuire a far sì che un maggior numero di volontari siano consapevoli delle competenze da loro sviluppate prestando servizi di volontariato socialmente utili.

4.8.    Strumenti per il riconoscimento

4.8.1.

La raccomandazione del Consiglio si concentra sugli strumenti comuni europei per il riconoscimento al fine di garantire la trasparenza, quali il quadro Europass e lo Youthpass. «Gli Stati membri dovrebbero garantire delle sinergie tra i regimi di convalida e i sistemi di crediti applicabili nei sistemi formali di istruzione e formazione professionale, quali l’ECTS e l’ECVET.»

4.8.2.

Anche le conoscenze e le abilità acquisite tramite la partecipazione a organizzazioni della società civile hanno un valore sul mercato del lavoro, ma spesso non sono documentate o sufficientemente messe in risalto. Per questo occorre promuovere lo sviluppo e l’utilizzo di strumenti di autovalutazione che aiutino le persone a individuare e descrivere i risultati dell’apprendimento derivante dall’esperienza nelle organizzazioni della società civile. Ad esempio, l’introduzione di un portafoglio personale delle competenze può offrire alle persone un valore aggiunto per la formazione successiva e le aspirazioni nella vita professionale.

4.8.3.

I certificati e i portafogli sono un elemento importante del riconoscimento delle competenze e delle qualifiche acquisite in maniera non formale. I fornitori di istruzione non formale dovrebbero impegnarsi a rilasciare certificati/documenti in cui siano descritti in dettaglio la natura e i risultati della partecipazione a tali attività formative, e far comprendere ai cittadini il valore di tale partecipazione. L’importanza di tali documenti risiede principalmente nel loro valore educativo (informare meglio i cittadini sulle competenze e capacità che hanno acquisito nell’ambito di organizzazioni della società civile e sulle modalità con cui tali competenze possono essere utilizzate nella ricerca di un lavoro o di una formazione ulteriore), piuttosto che in quello di attestato.

4.8.4.

Il CESE ha già sostenuto la creazione di un passaporto europeo delle competenze, e poi dello strumento «Europass Experience», e si rammarica quindi del fatto che la Commissione europea abbia sospeso l’attuazione di quest’ultimo.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2012:398:0001:0005:IT:PDF

(2)  http://www.cedefop.europa.eu/en/publications-and-resources/publications/4054

(3)  http://issuu.com/yomag/docs/reportnfe_print

(4)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Integrazione delle donne migranti nel mercato del lavoro, (GU C 242 del 23.7.2015, pag. 9).

(5)  Higher Education Authority [Autorità irlandese per l’istruzione superiore, NdT], National Strategy for Higher Education to 2030 (www.hea.ie).

(6)  Learning while working — Success stories on workplace learning in Europe (Apprendere al lavoro — Esempi positivi di apprendimento sul posto di lavoro in Europa), Cedefop 2011, pag. 59.

(7)  http://issuu.com/yomag/docs/reportnfe_print


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Migliorare l’efficacia dei sistemi nazionali di formazione duale»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/10)

Relatrice:

Dorthe ANDERSEN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 febbraio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

«Migliorare l’efficacia dei sistemi nazionali di formazione duale»

(parere d’iniziativa).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o settembre 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 206 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

I giovani europei sono stati duramente colpiti dalla crisi in vari Stati membri, con costi umani, sociali ed economici enormi; tuttavia, l’aumento della disoccupazione giovanile non costituisce una novità e indica alcuni problemi strutturali che rendono difficile il passaggio dalla scuola al lavoro.

1.2.

I sistemi di istruzione e formazione professionale (IFP) che funzionano bene e sono basati sulla formazione duale contribuiscono a migliorare l’occupazione giovanile e possono aiutare i giovani, anche quelli provenienti da ambienti svantaggiati, a passare più agevolmente dalla scuola al mondo del lavoro.

1.3.

Il CESE sottolinea che non esiste un modello ottimale per la formazione duale; lo scopo consiste nel promuovere una formazione duale di qualità che funzioni.

1.4.    Livello europeo:

1.4.1.

Il CESE ritiene che sia necessario uno strumento europeo di valutazione della qualità che documenti i progressi, ma anche gli effetti, delle riforme in atto negli Stati membri, allo scopo di migliorare l’efficacia dell’IFP e dei sistemi di formazione duale.

1.4.2.

Il CESE raccomanda che la Commissione sviluppi, assieme ai partner pertinenti, strumenti atti a monitorare e a raccogliere dati, a valutare ciò che funziona negli Stati membri, nonché a individuare i fattori fondamentali dei sistemi di formazione duale che funzionano bene. Lo scopo consiste nel misurare e valutare ciò che funziona, per assicurare la qualità nei sistemi di formazione e mettere in evidenza la correlazione esistente tra formazione duale e occupazione.

1.4.3.

Anche in futuro le competenze e le qualifiche professionali di qualità e adeguate al mercato del lavoro rappresenteranno un segmento basilare dei mercati del lavoro e della competitività europea. Il CESE propone pertanto che l’UE fissi un obiettivo per l’istruzione e la formazione professionale e per la formazione duale che possa servire da percorso verso un miglioramento delle opportunità di lavoro per i giovani. Questo potrebbe rientrare nel quadro di una strategia Europa 2020 rinnovata e il CESE invita pertanto la Commissione a esaminare le opzioni del caso.

1.4.4.

Il CESE ritiene che un obiettivo in materia di IFP a livello europeo e la raccolta di dati pertinenti possano contribuire a tenere gli Stati membri sulla buona strada, per migliorare i livelli d’istruzione e assicurare che i giovani traggano esperienze positive dal sistema di istruzione e terminino gli studi con le competenze richieste sul mercato del lavoro.

1.5.    Gli Stati membri e le parti sociali:

1.5.1.

Il CESE raccomanda agli Stati membri che non dispongono di sistemi di formazione duale ben funzionanti di valutare i costi connessi allo sviluppo di tali sistemi tenendo conto delle compensazioni e dei benefici che ne potrebbero derivare per la competitività delle imprese e le opportunità di lavoro per i giovani.

1.5.2.

Il CESE sottolinea l’importanza dei partenariati tra le scuole, i centri di formazione, le organizzazioni sindacali e il mondo delle imprese. Le parti sociali svolgono un ruolo decisivo in tutte le fasi dei sistemi di formazione duale che funzionano bene (progettazione, attuazione, monitoraggio, valutazione ecc.). Il rafforzamento del dialogo sociale e un suo utilizzo migliore a tutti i livelli possono costituire uno strumento efficace per migliorare la qualità della formazione duale e per aumentarne la capacità di richiamo.

1.5.3.

Il CESE chiede agli Stati membri di introdurre o di rivedere in modo sistematico lo sviluppo professionale degli insegnanti, dei precettori e dei formatori nel campo dell’IFP, in particolare dei formatori all’interno delle imprese, in quanto sono essenziali per migliorare l’efficacia dei sistemi di IFP.

1.5.4.

Il CESE sottolinea l’importanza dei datori di lavoro e ritiene che essi, comprese le PMI, parteciperanno in misura maggiore ai programmi di apprendistato quando tali programmi riusciranno a soddisfare veramente le loro necessità e quando esisteranno buoni legami con gli istituti d’istruzione. Nei prossimi anni bisognerebbe porre al centro dell’attenzione la creazione di sistemi di formazione duale che consentano una partecipazione efficiente — sul piano dei costi — dei datori di lavoro e diano agli stessi una maggiore titolarità.

1.5.5.

Il CESE raccomanda che le parti sociali europee proseguano i lavori in questo campo nel quadro del loro particolare programma di lavoro.

2.   Introduzione — La situazione attuale in Europa

2.1.

La crisi economica in Europa ha colpito duramente i giovani. 4,5 milioni di giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni sono disoccupati (1), anche se in certi Stati membri dell’UE un alto tasso di disoccupazione giovanile non rappresenta una novità e la situazione si è semplicemente aggravata con la crisi. Il tasso di disoccupazione giovanile nell’UE è di oltre due volte superiore a quello della popolazione adulta: 20,9 % contro 9,8 %. Circa 7 milioni di giovani europei non sono né occupati, né impegnati in corsi di studio o formazione (NEET) (2). Dato che le prospettive economiche nel breve periodo sono piuttosto fiacche, la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli estremi in alcuni Stati membri, con costi enormi sul piano umano, sociale ed economico.

2.2.

La disoccupazione dei giovani era più alta rispetto a quella degli adulti anche prima della crisi. Questa tendenza lascia intendere un problema strutturale nella capacità di stabilire legami più stretti tra i sistemi di istruzione e formazione e i mercati del lavoro. Un’altra prova in questo senso consiste nel fatto che i datori di lavoro di molti paesi in cui esiste un un’elevata disoccupazione giovanile incontrano difficoltà nel selezionare lavoratori con le competenze adeguate.

2.3.

La situazione richiede un nuovo approccio che migliori le basi dell’occupazione e della crescita, allo scopo di sviluppare non solo competenze e qualifiche professionali di qualità e adeguate al mercato del lavoro, ma anche mercati del lavoro ben funzionanti.

2.4.

Esistono tuttavia notevoli differenze tra gli Stati membri dell’UE per quanto riguarda l’esperienza di ciascun paese nel favorire l’ingresso dei giovani sul mercato del lavoro.

2.5.

In molti paesi le persone con una formazione professionale costituiscono la maggior parte dei lavoratori del settore privato, ma esse svolgono un ruolo significativo anche in alcuni ambiti del settore pubblico. Attualmente circa la metà degli studenti delle scuole secondarie superiori di tutta l’Europa segue un programma di IFP, e circa un quarto di essi segue corsi di apprendimento in ambito scolastico e in un quadro lavorativo in modo combinato (3). La sfida principale consiste tuttavia nel rendere l’istruzione e la formazione professionale più interessanti migliorandone la qualità e la rilevanza.

2.6.

In una serie di pareri (4), il CESE ha sottolineato l’importanza di creare le giuste condizioni per i giovani, allo scopo di facilitare il passaggio dall’istruzione al lavoro aumentando le opportunità per partecipare a forme differenti di formazione duale, nel quadro di un’istruzione e formazione professionale (IFP) di qualità.

2.7.

Il CESE ritiene importante mantenere lo slancio e garantire che i singoli Stati membri, assieme alle parti sociali, adeguino i loro sistemi di istruzione e formazione professionale inglobando elementi dell’apprendimento duale.

3.   Comprendere le definizioni — I sistemi di formazione duale in Europa

3.1.

Il presente parere è incentrato sui sistemi di formazione duale nel quadro dell’IFP. Il termine «formazione duale» è generico e fa riferimento a modelli nazionali differenti. Secondo il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (Cedefop), per sistema duale si intende un sistema di apprendimento che combina periodi di istruzione a scuola con periodi di formazione professionale, in un centro apposito e sul luogo di lavoro. Il dualismo si riferisce ai modi di apprendimento (scuole/prestatori di servizi in materia di IFP e società di formazione che condividono la responsabilità di fornire una formazione teorica e pratica) e ai soggetti coinvolti (pubblico e privato).

3.2.

Tutti gli Stati membri dispongono di sistemi che comprendono elementi basati sul lavoro, ma questi variano in termini di qualità, risultati ed estensione (5). Per esempio, quanto tempo si trascorre in un luogo di lavoro? L’apprendista e il datore di lavoro sono legati da un contratto? L’apprendista è pagato? Qual è il ruolo delle parti sociali?

3.3.

Non esiste un modello unico o il modello ottimale, e lo sviluppo di un sistema duale dipende da molteplici contesti economici e sociali.

3.4.

Attualmente, esistono tre modalità generali in materia di istruzione e formazione professionale:

i tirocini combinano e alternano la formazione in azienda con l’istruzione a scuola e si concludono con un riconoscimento nazionale della qualifica professionale. Di solito, il datore di lavoro e il tirocinante sono legati da un contratto, che prevede una remunerazione per il lavoro eseguito (come avviene in Austria, Danimarca e Germania),

l’IFP a scuola è abbinata alla formazione sul posto di lavoro. In questo sistema la formazione sul posto di lavoro — quale elemento, obbligatorio o facoltativo, dei programmi di IFP — è di durata inferiore (si tratta, ad esempio, di stage) e il processo si conclude con una qualifica riconosciuta ufficialmente,

programmi scolastici.

3.5.

Gli elementi chiave consistono nello stretto legame con il luogo di lavoro e nelle sinergie che vanno sviluppate tra studente, base teorica, apprendimento concreto e sviluppo sul posto di lavoro.

4.   Il contesto strategico europeo

4.1.

Il Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013 (6) ha approvato una nuova strategia per combattere la disoccupazione giovanile, compreso l’obiettivo di promuovere «apprendistati di alta qualità e l’apprendimento basato sul lavoro». A 22 Stati membri sono state rivolte raccomandazioni specifiche per paese allo scopo di adeguare i loro sistemi di istruzione e formazione professionale, attraverso il particolare rilievo dato agli aspetti della formazione che sono basati sul lavoro e ad apprendistati di qualità per i giovani.

4.2.

A livello dell’UE sono state adottate svariate misure. Per esempio, è stata approvata la Garanzia per i giovani, sono state stanziate risorse del Fondo sociale europeo (FSE) per lo sviluppo degli apprendistati a livello nazionale (compreso il sistema di formazione duale) ed è stata creata l’Alleanza europea per l’apprendistato.

4.3.

Nel Quadro di azioni sull’occupazione giovanile del giugno 2013 (7), anche le parti sociali europee hanno sottolineato il valore dei modelli di apprendimento basato sul lavoro, come i sistemi di apprendimento duale.

4.4.

La presidenza lettone ha appoggiato cinque obiettivi nel quadro del riesame del comunicato di Bruges. Il primo di questi obiettivi sarà promuovere l’apprendimento basato sul lavoro, con particolare attenzione alla formazione sotto forma di tirocinio (8).

5.   L’apprendimento duale quale metodo per costruire ponti verso la vita lavorativa

5.1.

Studi del Cedefop e della Commissione europea lasciano ad esempio intendere una correlazione positiva tra i sistemi IFP basati sull’istruzione duale e l’occupazione dei giovani (9).

5.2.

I fatti e i dati parlano chiaro. I paesi con sistemi di formazione professionale pertinenti, che esercitano un forte richiamo e sono basati sui principi della formazione duale ottengono risultati migliori al momento di favorire l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro. Alcuni paesi come l’Austria possono anche essere d’esempio nell’offerta di possibilità di formazione per giovani svantaggiati, come gli aiuti a favore dell’occupazione o le reti di sicurezza per gli apprendisti.

5.3.

Un sistema di formazione duale che funziona bene fornisce ai giovani un’esperienza lavorativa iniziale e, di conseguenza, fa aumentare l’interesse delle imprese e dei futuri datori di lavoro nei loro confronti. In Germania più di 2/3 degli apprendisti rimangono presso lo stesso datore di lavoro al termine del loro apprendistato (10). In Danimarca, i dati (11) mostrano che i diplomati provenienti da istituti di istruzione e formazione professionale sono tra i primi a trovare un nuovo lavoro, se sono licenziati, e molti di loro avviano una propria impresa.

5.4.

Tuttavia molti giovani e i loro genitori non considerano l’IFP e gli apprendistati una forma di istruzione interessante come quelle di stampo accademico, oppure li percepiscono soltanto come la preparazione al lavoro manuale tradizionale. Quel che si dimentica è la «conoscenza competitiva» che può essere acquisita mediante la formazione duale; in questo modo, i giovani non hanno un’unica opportunità di carriera, ma acquisiscono una conoscenza competitiva che può essere sviluppata ulteriormente.

5.5.

L’obiettivo, da centrare a livello europeo, relativo alla percentuale di studenti che seguono corsi di IFP e di formazione duale dovrebbe essere considerato nel quadro della nuova strategia Europa 2020. Questo potrebbe richiamare maggiormente l’attenzione su una componente di grande rilevanza della formazione duale e degli apprendistati, ossia la componente dell’occupabilità e dell’inclusività.

5.6.

L’obiettivo da fissare deve essere ambizioso, in quanto è provata l’esistenza di una correlazione positiva con l’occupazione, e tale obiettivo deve tener conto delle future esigenze del mercato del lavoro in termini di lavoratori con qualifiche di medio livello.

5.7.

Per migliorare l’immagine e la capacità di richiamo, è necessario che le scuole, i centri di formazione e le imprese, le parti sociali e i responsabili politici uniscano le forze. Le scuole specializzate nell’IFP e i centri di formazione devono essere più adattabili alle mutevoli esigenze del mercato del lavoro e all’andamento dell’economia. Le gare in materia di competenze e i modelli di ruolo potrebbero essere incoraggiati per mettere in luce competenze o scuole e per stimolare i giovani e le donne. Per aumentare il richiamo di questi programmi, si potrebbe consentire l’accesso all’istruzione superiore, per evitare che gli apprendistati siano percepiti come un vicolo cieco dagli studenti e dai loro genitori, oppure si potrebbero rafforzare i programmi dell’UE che prevedono la mobilità dei partecipanti, come Erasmus +.

5.8.

I servizi di orientamento professionale e di consulenza di buona qualità e in una fase precoce sono essenziali per migliorare la comprensione e l’immagine dei sistemi di formazione duale.

5.9.

Gli insegnanti contribuiscono inoltre a rendere più interessanti i sistemi di formazione duale e hanno un’influenza diretta sulla percezione che i giovani hanno dell’istruzione e formazione professionale. È inoltre necessario che il mestiere di insegnante nel quadro dell’IFP sia percepito come una proposta interessante. Per raggiungere questo obiettivo, uno dei metodi possibili consiste nel garantire che le competenze didattiche e professionali degli insegnanti nel quadro dell’IFP siano costantemente aggiornate attraverso una migliore cooperazione tra le scuole e le imprese, in modo che gli insegnanti rimangano al passo con le necessità delle imprese, con le pratiche di lavoro correnti, le nuove tecnologie ecc.

5.10.

In un sistema duale, la presenza di un membro del personale qualificato e motivato che agisca come docente o formatore all’interno dell’impresa dovrebbe essere un requisito basilare di garanzia della qualità. Bisogna prestare maggiore attenzione alla responsabilità che incombe sui formatori all’interno dell’impresa. Descrizioni più chiare e dettagliate delle competenze da acquisire possono migliorare l’apprendimento basato sul lavoro dal punto di vista qualitativo.

6.   Monitoraggio e valutazione continui, basati su dati concreti, dei sistemi e delle politiche in materia di istruzione e formazione

6.1.

Sono già stati condotti alcuni studi che hanno mostrato, ad esempio, che il sistema duale tedesco, quello svizzero e quello austriaco funzionano bene, in quanto forniscono ai giovani una formazione adeguata e un buon punto di accesso alla vita lavorativa. Tuttavia non esiste un modello ottimale; l’obiettivo consiste nell’individuare le strutture e le pratiche che portano al successo.

6.2.

Informazioni più trasparenti sulle cause, i contenuti e i risultati potrebbero aiutare a individuare gli elementi fondamentali che caratterizzano i sistemi di formazione duale che funzionano bene. Anche se la maggior parte degli Stati membri e il Cedefop raccolgono dati sull’occupabilità dei diplomati provenienti da istituti di istruzione e formazione professionale, questi dati potrebbero essere utilizzati in misura maggiore per migliorare i sistemi, compresi quelli di formazione duale.

6.3.

La parte di «apprendimento sul posto di lavoro» potrebbe ad esempio essere impiegata come variabile del criterio di riferimento che l’UE applica in rapporto all’occupabilità. Un criterio di riferimento europeo per la formazione duale potrebbe mettere in evidenza la correlazione tra i sistemi di formazione duale e l’occupazione dei giovani. I dati per questo parametro di riferimento potrebbero essere raccolti annualmente attraverso l’indagine sulla forza lavoro.

6.4.

In collaborazione con il Cedefop, Eurostat (Eurobarometro) potrebbe condurre uno studio più sistematico non solo sui giovani che completano corsi di istruzione e la formazione professionale e dispongono delle competenze richieste, ma anche sul modo in cui la formazione duale all’interno dell’impresa ha permesso loro di acquisire tali competenze.

6.5.

Potrebbe essere utile raccogliere dati comparabili su cui poter valutare l’efficacia a livello nazionale in rapporto all’attuazione e ai risultati dei differenti sistemi di formazione duale esistenti in Europa. Il Cedefop, Eurostat e la Commissione già raccolgono questi dati nell’ambito del quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione (ET 2020) e del processo di Copenaghen, ma l’UE ha bisogno di uno strumento coerente che rispecchi sia i progressi che gli effetti delle riforme in corso in molti Stati membri, tese a migliorare l’efficienza e la qualità dei sistemi nazionali di IFP.

Il CESE propone che questo strumento di valutazione della qualità fornisca una risposta almeno alle seguenti domande strategiche:

Come e perché la formazione duale porta a un aumento dell’occupazione?

La formazione duale genera meno contrasti nel mercato del lavoro, come periodi di disoccupazione più brevi, e consegue un miglior adeguamento delle competenze alle esigenze reali?

La formazione duale come può portare a una maggiore mobilità, sia all’interno dei settori che tra di loro?

6.6.

Una serie temporale di parametri relativamente semplici potrebbe essere utilizzata come punto di partenza per analisi di tipo più qualitativo e, al tempo stesso, potrebbe essere impiegata per monitorare gli sviluppi in ogni paese per quanto riguarda il processo di adeguamento dei sistemi IFP ai principi della formazione duale e i relativi benefici. Una piattaforma di dati di questo tipo potrebbe inoltre fornire un apporto ai lavori dell’Alleanza europea per l’apprendistato e a quelli del Quadro di riferimento per la garanzia della qualità dell’istruzione e della formazione professionale (EQAVET).

7.   Aumentare l’efficacia dei sistemi nazionali di formazione duale e coinvolgere le imprese

7.1.

Esistono molte sfide che non sono ancora affrontate nel modo dovuto, ad esempio in termini di qualità della formazione e della rilevanza per le imprese.

7.2.

Gli apprendistati svolgono un ruolo importante nel soddisfare il fabbisogno di competenze delle imprese e, al tempo stesso, aiutano i giovani a entrare nel mercato del lavoro. L’apprendistato offre ai datori di lavoro una serie di vantaggi, tra cui un miglior adeguamento delle competenze per effetto della formazione all’interno dell’impresa, oltre a nuove conoscenze e prospettive. Un apprendistato vero e proprio comporta una serie di diritti e doveri per tutti i soggetti coinvolti.

7.3.

Le imprese devono considerarlo un investimento in risorse umane qualificate future e assumersi la responsabilità di formare realmente un giovane. Tuttavia, se le imprese — comprese le PMI — devono considerare gli apprendistati un investimento, occorre prevedere disposizioni affinché abbiano una maggiore titolarità dei programmi, compresa la concezione dei piani di studio.

7.4.

Alcuni datori di lavoro temono che il costo della formazione di un apprendista sia superiore ai vantaggi, ma questa mentalità deve essere contestata. Un’analisi costi-benefici condotta in Svizzera mostra che il contributo produttivo di un apprendista supera i costi di formazione (compresa la paga per il tirocinante) di oltre 6 000 EUR per singolo apprendistato (12) e BusinessEurope sta attualmente realizzando uno studio sui costi e sui benefici degli apprendistati.

7.5.

In alcuni paesi sono stati creati fondi di ripartizione degli oneri: ad esempio, in Danimarca le imprese versano una certa somma al fondo per compensare le ore trascorse a scuola o i costi di trasporto (Arbejdsgivernes uddannelsesbidrag) oppure, in Austria, le imprese ricevono un bonus per gli apprendisti formati che hanno ricevuto una buona valutazione. In Austria esiste un modello per la ripartizione degli oneri (Vorarlberg) secondo cui le imprese versano lo 0,2 % dei salari degli apprendisti a un fondo di formazione. Dopo 18 mesi, la formazione viene valutata e le imprese che forniscono buoni apprendistati ricevono un compenso sotto forma di bonus.

7.6.

Tuttavia, i risultati in termini di rapporto costi-benefici possono essere diversi in settori differenti e nel quadro di sistemi distinti di IFP. È pertanto necessario che i sistemi di formazione nazionali siano periodicamente sottoposti a valutazione e, ove opportuno, adattati per garantire che contribuiscano alla competitività delle imprese europee. Strumenti di valutazione più comparabili e di qualità superiore potrebbero inoltre aiutare gli Stati membri in questo compito.

7.7.

Hanno pari importanza la garanzia di una buona qualità e la valutazione degli apprendistati e di altre forme di formazione duale, comprese le condizioni di lavoro, e anche in questo caso le parti sociali possono svolgere un ruolo importante. Soprattutto, le parti sociali devono essere coinvolte nell’elaborazione delle disposizioni nazionali in materia di formazione duale e, attraverso le consuetudini appropriate in materia di contrattazione collettiva, possono contribuire a garantire la qualità degli apprendistati e di altri sistemi di apprendimento basati sul lavoro. Anche i sindacati e i rappresentanti sindacali potrebbero partecipare in misura maggiore alle iniziative per la formazione e il benessere dei giovani all’interno delle imprese.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Eurostat marzo 2015, Fatti e cifre sulla disoccupazione giovanile.

(2)  Eurostat [tesem150], 2014.

(3)  Commissione europea, Relazione sull’istruzione e la formazione, novembre 2014.

(4)  Ad esempio:

Parere del CESE sul tema Rafforzare l’attrattiva dell’istruzione e della formazione professionale post-secondaria (GU C 68 del 6.3.2012, pag. 1).

Parere del CESE sul tema Quadro di qualità per i tirocini (GU C 214 dell’8.7.2014, pag. 36).

Parere del CESE sul tema Occupabilità dei giovani — Adeguamento della formazione alle esigenze dell’industria in tempi di austerità (GU C 311 del 12.9.2014, pag. 7).

Parere del CESE sul tema Misure a favore dell’occupazione giovanile — Migliori pratiche (GU C 424 del 26.11.2014, pag. 1).

(5)  Studio del Parlamento europeo, Istruzione duale: un ponte su acque agitate, giugno 2014.

(6)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-104-2013-EXT-1/it/pdf

(7)  http://www.etuc.org/sites/www.etuc.org/files/201306_Framework_of_Actions_Youth_Employment_1.pdf

(8)  Conclusioni della presidenza, Riga, del 22 giugno 2015.

(9)  Ad esempio: Cedefop, Risultati dell’IFP sul mercato del lavoro in Europa — edizione 2013; Commissione europea, Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione — edizione 2014; OCSE, Riesame strategico dell’IFP — Imparare per lavorare — edizione 2010.

(10)  Germany Trade & Invest, DIHK, ministero federale dell’istruzione e della ricerca, IAB, Ufficio federale di statistica, 2013.

(11)  http://www.da.dk/bilag/AMR09%2CArbejdsmarkedsrapport%202009.pdf

(12)  EENEE Policy Brief n. 3/2012 del novembre 2012, Apprenticeship Training Can Be Profitable for Firms and Apprentices Alike di Stefan C. Wolter, Università di Berna.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/63


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Lotta alla corruzione nell’UE: rispondere alle preoccupazioni delle imprese e della società civile»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/11)

Relatore:

Filip HAMRO-DROTZ

Correlatore:

Pierre GENDRE

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 ottobre 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Lotta alla corruzione nell’UE: rispondere alle preoccupazioni delle imprese e della società civile.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 (seduta del 16 settembre 2015), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 184 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Raccomandazioni

1.1.

L’UE dovrebbe elaborare senza indugio una strategia quinquennale di lotta alla corruzione coerente e a vasto raggio, corredata da un piano d’azione e avallata dai presidenti di Commissione, Parlamento e Consiglio europeo. Le presidenze e le istituzioni dell’UE dovrebbero fissarsi obiettivi chiari di lotta alla corruzione nei rispettivi programmi e nel quadro della cooperazione interistituzionale. Tali organi dovrebbero inoltre dotarsi di un’agenda proiettata verso il futuro e concentrarsi sugli aspetti trasversali della lotta alla corruzione nell’UE e nell’ambito delle sue relazioni esterne, sul rafforzamento del sostegno agli Stati membri e della cooperazione transnazionale, su una maggiore integrità delle istituzioni e sulla protezione degli interessi finanziari dell’UE. Promuovere la trasparenza e prevenire la corruzione dovrebbero essere obiettivi centrali di tutte le politiche dell’UE. La strategia dovrebbe tener conto delle raccomandazioni formulate nel presente parere.

1.1.1.

La priorità assoluta dovrebbe essere quella di sostenere gli Stati membri nei loro sforzi volti ad applicare e a far valere gli strumenti nazionali, europei e internazionali.

1.1.2.

I progressi della strategia dovrebbero essere oggetto di un riesame nell’ambito del semestre europeo, alla luce delle relazioni e delle verifiche periodiche della Commissione sulla lotta alla corruzione. La diffusione della corruzione andrebbe considerata dall’UE anche al momento di monitorare il rispetto dello Stato di diritto negli Stati membri, e dovrebbe essere considerata in modo specifico nel quadro della condizionalità dei programmi di sostegno economico concordati con gli Stati membri e i paesi terzi.

1.2.

Una cooperazione transnazionale anticorruzione rafforzata e inclusiva dovrebbe costituire il principio di base della strategia.

1.2.1.

La Commissione europea e gli Stati membri dell’UE dovrebbero rafforzare la cooperazione transnazionale contro la corruzione nel contesto della strategia di sicurezza interna rinnovata 2015-2020, COM(2015)185, migliorare il coordinamento tra gli organismi competenti (OLAF, Eurojust, Europol, Mediatore e Corte dei conti) e garantire una gestione efficace della rete europea per la lotta alla corruzione (EACN). Dovrebbero intensificare lo scambio di buone pratiche e accrescere il coordinamento e la cooperazione tra procure nazionali nei procedimenti penali transfrontalieri, ad esempio ai fini del recupero e del rimpatrio dei proventi di reato.

1.2.2.

Il Consiglio europeo ha un importante ruolo guida e può incoraggiare la lotta alla corruzione:

lanciando programmi per promuovere negli Stati membri la sensibilizzazione e l’educazione in merito ai valori dell’integrità nella società e nell’economia; alla natura e alla portata della corruzione in politica, nella giustizia e nella pubblica amministrazione; al ruolo della corruzione nella repressione della libertà dei mezzi di informazione, nella diffusione della criminalità organizzata e nell’erosione della competitività. È infine opportuno avviare una discussione concreta sul futuro della governance democratica in Europa,

promuovendo e introducendo misure rafforzate atte a prevenire la corruzione; avviando inoltre in tale contesto azioni volte a fare il punto sull’applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione e a promuoverla all’interno dell’UE (in linea con l’articolo 63 di tale convenzione e con la risoluzione 3/1),

intensificando gli sforzi per ravvicinare le normative penali nazionali, quando siano divenute un ostacolo alle indagini e al perseguimento efficaci dei casi di corruzione. Particolare attenzione dovrebbe essere prestata all’armonizzazione delle definizioni di corruzione e di conflitti di interesse. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto preferibilmente tramite la legislazione dell’UE o quadri di riferimento come il «metodo aperto di coordinamento», con l’intento di individuare indirizzi giuridici generali come orientamento per gli Stati membri,

adottando senza indugio il regolamento istitutivo della procura europea e il nuovo regolamento Eurojust.

1.2.3.

Il vertice sociale trilaterale dovrebbe valutare, in base agli articoli 152-155 del TFUE, in che modo il dialogo sociale a livello orizzontale e settoriale possa contribuire a prevenire e contrastare la corruzione.

1.2.4.

Maggiori dovrebbero essere la consultazione e il coinvolgimento della società civile — ai sensi dell’articolo 11 del TFUE — nonché del Comitato economico e sociale europeo e del Comitato europeo delle regioni per quanto concerne l’impegno nelle iniziative anticorruzione dell’UE.

1.2.5.

Le istituzioni dell’UE e i pertinenti organismi dovrebbero, in cooperazione con gli Stati membri, intensificare le azioni di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su come i cittadini possono partecipare alla lotta anticorruzione, e in particolare sui diritti e sulle possibilità di ricorso che la legislazione dell’UE offre. Servirebbe una campagna di informazione, diretta ai mezzi di comunicazione di massa, ad esempio per illustrare i canali attraverso cui i cittadini possono denunciare i casi sospetti di corruzione e di uso improprio di fondi dell’UE. A ciò dovrebbe aggiungersi una maggiore trasparenza circa l’impiego di tali fondi.

1.3.

In linea con gli strumenti e gli orientamenti internazionali, settoriali e dell’UE, quest’ultima, oltre a varare misure legislative, dovrebbe avviare e sostenere misure alternative volte a promuovere l’adozione e l’applicazione di codici e norme di conformità, anticorruzione e anticoncussione nelle singole imprese. Il concetto di coinvolgimento trasparente e inclusivo di tutte le parti interessate, compresi i dipendenti, dev’essere parte integrante dell’attuazione di un codice etico (che comprenda apposite disposizioni in merito alle denunce di irregolarità) da parte della singola impresa. L’adozione di un sistema di gestione anticorruzione dovrebbe essere un requisito per la partecipazione di imprese di qualsiasi parte del mondo a progetti che ricevono finanziamenti dell’UE.

1.3.1.

L’UE dovrebbe anche approfittare della revisione della propria strategia sulla responsabilità sociale delle imprese per valutare, con l’assistenza delle imprese, delle parti sociali e delle associazioni commerciali, come diffondere ampiamente le buone pratiche in materia di gestione e di etica societaria.

1.3.2.

Il CESE accoglie con favore la recente direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario, che prevede che le imprese di grandi dimensioni dell’UE riferiscano sui loro standard etici e di conformità. La direttiva dovrebbe incoraggiare le imprese a garantire il rispetto delle norme anticorruzione, ivi compresi adeguati meccanismi di allerta, in tutta la loro catena di approvvigionamento e l’adozione di misure proporzionate da parte delle piccole e medie imprese.

1.3.2.1.

Ciò riguarda in particolare l’approvvigionamento di risorse naturali, che è spesso fonte di vulnerabilità alla corruzione. L’UE può rifarsi alle migliori pratiche nel settore forestale e agli approcci normativi adottati dagli Stati Uniti riguardo ai cosiddetti minerali dei conflitti. In questo contesto, la Commissione europea dovrebbe garantire un approccio coerente nella revisione della sua strategia relativa alle materie prime. Essa dovrebbe inoltre collaborare con i rappresentanti delle imprese a livello europeo per sviluppare un approccio coerente e uniforme all’eliminazione della corruzione nella catena di approvvigionamento.

1.4.

La Commissione europea dovrebbe rivedere nuovamente le direttive sugli appalti pubblici, specificamente per valutare come migliorare la trasparenza e la solidità delle procedure. Essa dovrebbe verificare in maniera proattiva come gli Stati membri attuano, anche a livello regionale e locale, le vigenti disposizioni sulla prevenzione dei conflitti d’interessi e sul favoritismo, e fornire ove necessario indicazioni più approfondite. Le regole sugli appalti pubblici dovrebbero applicarsi a tutte le imprese, indipendentemente dalla loro origine.

1.4.1.

La Commissione europea dovrebbe garantire canali adeguati per denunciare casi di corruzione nelle procedure degli appalti pubblici a livello nazionale e locale, e consentire migliori possibilità di ricorso, anche da parte di soggetti diversi dai diretti interessati. L’UE e gli Stati membri dovrebbero promuovere un elevato livello di trasparenza in tali procedure. Si valuta in senso positivo il fatto che gli appalti elettronici diverranno la norma; bisognerebbe fare opera di sensibilizzazione riguardo al fatto che le informazioni relative alla procedura di gara e agli appalti aggiudicati sono disponibili sulla piattaforma elettronica dell’UE Tenders Electronic Daily (TED) in formati facilmente accessibili e analizzabili.

1.4.2.

Le società che presentano offerte per gli appalti pubblici dovrebbero fornire informazioni sulle loro proprietà, compreso il beneficiario effettivo della società. Le grandi imprese che concorrono ad un appalto dovrebbero disporre di un solido programma di lotta contro la corruzione e la concussione, conforme agli strumenti e agli orientamenti internazionali, europei e settoriali. La divulgazione di informazioni dovrebbe avvenire nel rispetto del segreto commerciale (cfr. il parere CESE INT/145) e non dovrebbe essere ostacolata da differenze nella legislazione nazionale sulla protezione dei dati.

1.4.3.

L’UE dovrebbe incoraggiare il ricorso a sanzioni e, in ultima istanza, l’esclusione dalle gare d’appalto per un periodo di tempo proporzionato, nonché misure equivalenti per i dipendenti pubblici, come sanzione e deterrente contro la corruzione. La Commissione europea, la Banca europea per gli investimenti e gli Stati membri dell’UE dovrebbero istituire un sistema europeo di esclusione incrociata su scala UE per integrare i sistemi di esclusione a livello europeo e nazionale e garantire il divieto di partecipare alle gare d’appalto indette nell’UE per le persone colpevoli di corruzione, come previsto dalle nuove direttive sugli appalti pubblici nell’UE (2014/24 e 2014/25). I dipendenti pubblici dovrebbero essere soggetti a conseguenze equivalenti. In particolare si dovrebbe considerare l’esclusione di un’impresa quando questa sia stata condannata per illeciti o non abbia attuato misure preventive anticorruzione. Il sistema dovrebbe tenere conto delle imprese che realizzano riforme e altri interventi per prevenire la corruzione (autodisciplina). Si dovrebbe promuovere il ricorso ai «patti d’integrità», ossia all’assunzione di impegni da parte delle autorità pubbliche e delle imprese a favore di standard più elevati di trasparenza e integrità negli appalti pubblici. Occorre maggiore vigilanza sulla condotta etica e sulla conformità alle regole delle imprese e amministrazioni pubbliche, a livello nazionale, regionale e locale.

1.5.

L’UE dovrebbe migliorare la trasparenza dei flussi finanziari sul proprio territorio. Le recenti misure della IV direttiva antiriciclaggio volte ad accrescere la trasparenza sulla titolarità delle imprese rappresentano un passo in avanti, ma serve un’informazione pubblica sui proprietari beneficiari dei trust e di altri veicoli societari. La trasparenza dei flussi finanziari internazionali potrebbe migliorare anzitutto grazie a una maggiore rendicontazione delle imprese, basata su linee guida settoriali internazionali e su una pertinente normativa UE che imponga alle multinazionali di notificare i principali dati finanziari nei paesi in cui operano.

1.5.1.

Dovrebbe migliorare la conformità delle banche alla disciplina UE applicabile. In tale contesto la Commissione europea e l’Autorità bancaria europea dovrebbero svolgere un ruolo più attivo nel garantire che le carenze nell’attuazione delle disposizioni in uno Stato membro non indeboliscano il sistema complessivo. La Commissione dovrebbe poi utilizzare le proprie competenze per armonizzare le sanzioni penali in questo settore, garantendo che siano adeguatamente dissuasive nell’intera giurisdizione dell’UE. Gli Stati membri dovrebbero inoltre essere incoraggiati a prevedere il reato di arricchimento illecito intenzionale da parte di un dipendente pubblico, sulla base dell’articolo 20 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione.

1.6.

Spesso la denuncia di casi di corruzione dipende dalla disponibilità di un informatore a farsi avanti, a condizione che ciò avvenga in buona fede e sulla base di fondamenti ragionevoli. La Commissione dovrebbe ricercare modalità alternative per promuovere la protezione degli informatori, e studiare la fattibilità di uno strumento dell’UE, possibilmente un regolamento o una direttiva, tenendo conto degli orientamenti internazionali e settoriali e delle pertinenti risoluzioni del Parlamento europeo. Il rispetto della riservatezza e dei segreti commerciali non dovrebbe impedire l’esposizione della corruzione (direttiva 2013/36 — CRD IV). Occorre inoltre introdurre un meccanismo volto a proteggere le parti interessate dalla denuncia non corretta di irregolarità.

1.7.

Come dimostrano l’esperienza e la ricerca, la distribuzione e l’utilizzo del denaro dei contribuenti dell’UE attraverso i fondi strutturali e di investimento (compreso il FEIS) comportano rischi di abusi. Spesso la frode è collegata alla corruzione, ma le indagini sono ostacolate da carenze nella cooperazione tra l’UE e le autorità nazionali. L’UE dovrebbe assumere un ruolo maggiore nella sorveglianza e nella revisione contabile dell’uso dei finanziamenti, in base al principio della non tolleranza della corruzione e della frode. Ai sensi del trattato di Lisbona, la Procura europea dovrebbe essere costituita come organo europeo indipendente ed efficiente, dotato di risorse adeguate per investigare e perseguire non solo i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, ma anche reati transnazionali gravi come la corruzione. Si dovrebbero inoltre rafforzare le capacità di Eurojust, dato che talvolta sono coinvolti Stati terzi nei quali la Procura europea non ha giurisdizione.

1.8.

L’UE dovrebbe partecipare maggiormente agli sforzi globali contro la corruzione e introdurre efficaci disposizioni anticorruzione negli accordi con paesi terzi. I programmi di finanziamento dovrebbero comprendere severe disposizioni sulla condizionalità (preadesione, vicinato, fondi di cooperazione allo sviluppo e di aiuto esterno ecc.) per quanto riguarda la lotta alla corruzione e la sua prevenzione (anche al fine di proteggere i fondi stessi). Servono solidi meccanismi per monitorare l’attuazione e l’efficacia delle misure.

1.8.1.

Occorrerebbe inoltre adottare misure volte a proteggere adeguatamente, sia nel mercato interno che in campo internazionale le imprese dell’UE rispettose di una serie di norme etiche dai concorrenti di paesi terzi che ignorano tali disposizioni. Uno degli elementi di tale protezione consisterebbe nel fatto che «le condizioni contrattuali dovrebbero essere formulate in modo tale da ripartire equamente i rischi associati al contratto» (considerando 65 del regolamento n. 1316/2013, che istituisce il meccanismo per collegare l’Europa — MCE). Tale principio dovrebbe figurare nel testo di tutti gli strumenti dell’UE riguardanti i finanziamenti da parte dell’Unione.

1.8.2.

L’UE dovrebbe inoltre intensificare gli sforzi per impedire al suo sistema finanziario di diventare un rifugio sicuro per il denaro sporco. Eventi come quelli verificatisi in questi anni in Africa, Medio Oriente e Ucraina hanno dimostrato l’inadeguatezza degli approcci bilaterali per il recupero e il rimpatrio di beni rubati. La Commissione europea dovrebbe svolgere un ruolo più attivo nel fornire assistenza e coordinare la restituzione dei beni a questi paesi.

1.9.

Anche le istituzioni dell’UE devono fare in modo di dare un esempio di trasparenza, integrità e buona gestione, così da stabilire standard di riferimento per gli Stati membri. Soltanto in questo modo potranno avere l’autorità e la credibilità necessarie per avviare, orientare e attuare le misure di cui sopra. A tal fine, le istituzioni dovrebbero puntare alla massima responsabilità e trasparenza del processo decisionale, compresa la creazione di una «impronta legislativa» per le politiche e gli atti giuridici dell’UE, ovverosia un registro pubblico e aggiornato delle interazioni tra le istituzioni dell’UE, gli Stati membri e i lobbisti, come pure l’adozione di disposizioni sulla registrazione obbligatoria dei lobbisti nell’UE.

1.9.1.

L’UE dovrebbe anche essere coerente e proattiva nel monitorare e prevenire conflitti di interesse, che possono influenzare il processo decisionale. Occorrerebbe costituire dei comitati etici indipendenti con il potere di emanare raccomandazioni vincolanti e sanzioni. In base alle conclusioni delle relazioni della Commissione europea e dell’OLAF sulla lotta alla corruzione, si dovrebbero inserire ulteriori riforme nel piano d’azione quinquennale di cui alla raccomandazione 1.

1.10.

Il CESE dovrebbe agire con determinazione per contribuire alla lotta anticorruzione nell’UE, e in particolare:

sensibilizzare la società civile nel quadro del seguito dato al parere,

impegnarsi nel dialogo tra i settori pubblico e privato in materia di corruzione, come auspicato dalla Commissione europea,

affrontare la lotta alla corruzione e alla frode anche in futuri pareri e considerare la possibilità di elaborarne degli altri, anche sulla corruzione a danno di singoli settori,

introdurre la tematica nella cooperazione con i consigli economici e sociali nazionali e nei contatti con le parti in causa, nonché nelle attività esterne,

valutare una revisione del codice di buona condotta amministrativa del CESE e del codice di comportamento per i suoi membri, introducendovi regole interne sugli informatori,

promuovere, nell’ambito degli sforzi anticorruzione, una cooperazione regolare con le istituzioni dell’UE (Consiglio europeo, Commissione, Parlamento europeo), con le pertinenti agenzie e con il Comitato delle regioni,

costituire un gruppo di monitoraggio anticorruzione.

2.   Descrizione della corruzione

2.1.

La corruzione è comunemente definita come «abuso di potere ai fini di un profitto privato», traendo ispirazione dalla definizione formulata nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, che costituisce il punto di partenza del presente parere.

2.2.

La corruzione è diffusa in tutto il mondo. Il suo costo per i contribuenti dell’UE è stimato in circa 120 miliardi di euro all’anno (escluse le frodi a danno dei fondi pubblici dell’UE), ossia quasi l’equivalente del bilancio annuale complessivo dell’UE, vale a dire l’1 % del PIL dell’Unione. Il tasso di corruzione varia sensibilmente da uno Stato membro all’altro. In molti di essi la corruzione permea tutti gli strati della vita pubblica e privata. Nell’introduzione alla relazione 2014 sulla lotta alla corruzione, la Commissione osserva che «la corruzione danneggia gravemente l’economia e la società nel suo complesso. Gli Stati membri dell’UE non sono immuni da questa realtà. […] la corruzione […] si ripercuote sulla buona governance, sulla sana gestione del denaro pubblico e sulla competitività dei mercati. In casi estremi, mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nei processi democratici».

2.3.

La corruzione ha molte facce. Inoltre, può essere classificata come corruzione nel settore pubblico, corruzione nel settore privato e corruzione politica, a seconda dell’ambito in cui si manifesta. Gli illeciti di corruzione coinvolgono sempre almeno due soggetti consenzienti.

2.3.1.

Esempi tipici di corruzione consistono nel versare o nel sollecitare tangenti, nonché nell’offrire, dare, accettare o richiedere un vantaggio in cambio di un atto legale, illegale o contrario all’etica, che può consistere in doni, prestiti, onorari, pagamenti incentivanti (sotto banco), ricompense (bustarelle) e altri vantaggi, quali la riduzione dell’imposizione fiscale, visti, servizi, sponsorizzazioni e donazioni. La corruzione è in molti casi legata ad altre pratiche illegali, come la fissazione dei prezzi, la manipolazione delle gare d’appalto, il riciclaggio di denaro, l’arricchimento illecito, il ricatto e le frodi. Essa è presente anche in transazioni meno tangibili quali il favoritismo e il nepotismo nella nomina di funzionari pubblici, il traffico d’influenza e lo scambio di favori, il clientelismo, nonché pratiche illegittime di immunità, amnistia e privatizzazione, il versamento di tangenti alle autorità giudiziarie o di polizia, il finanziamento di partiti politici e i brogli elettorali. Anche una gestione non regolamentata o inadeguata dei conflitti d’interessi può dare luogo a episodi di corruzione, ad esempio l’assegnazione a ex funzionari pubblici di posti remunerativi in imprese senza un debito periodo di attesa (porte girevoli).

2.3.2.

Tutte queste attività illegali e contrarie all’etica sono facilitate da una serie di fattori, tra cui impedimenti giuridici (quali l’immunità annessa alle cariche elettive e i termini di prescrizione), l’assenza di norme internazionali, di codici di condotta, di indicazioni etiche e di adeguati meccanismi di allerta, la scarsa trasparenza dei processi decisionali pubblici e i modi in cui questi vengono influenzati, ad esempio la mancata dichiarazione dei redditi e delle attività — anche retribuite — complementari da parte di funzionari o di detentori di cariche elettive, o contatti non dichiarati con persone che desiderano influenzare le decisioni.

2.3.3.

La corruzione è spesso connessa con l’economia informale e con la criminalità organizzata. Nella sua valutazione della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata e dalle forme gravi di criminalità (SOCTA, 2013), Europol individua circa 3 600 tra reti e gruppi di criminalità organizzata che attualmente operano all’interno delle frontiere dell’UE, infiltrandosi sempre più in tutti gli aspetti dell’economia.

2.4.

La corruzione è percepita come un grave e crescente problema in tutta l’UE e a livello internazionale. Essa non si ferma alle frontiere tra gli Stati.

2.5.

Adottando nel giugno 2011 un ampio pacchetto anticorruzione, la Commissione europea ha compiuto un passo importante per affrontare e contrastare il problema. Essa ha istituito un meccanismo di relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione. Nel febbraio 2014 è stata pubblicata la prima relazione dell’UE sulla lotta contro la corruzione [COM(2014) 38 final]. Le successive relazioni dovranno essere pubblicate ogni due anni. La prima relazione è intesa ad avviare un vasto dibattito tra i soggetti interessati, compresa la società civile, per sostenere gli sforzi anticorruzione e individuare come le istituzioni europee possano contribuire a far fronte al problema della corruzione. Il concetto della «partecipazione della società» si ispira all’articolo 13 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione.

2.5.1.

La relazione affronta i problemi di corruzione specifici di singoli Stati membri e sottolinea in generale che gli Stati membri dovrebbero intensificare gli sforzi anticorruzione, dato che non recepiscono, attuano e applicano in modo sufficiente le disposizioni del diritto internazionale e i pertinenti strumenti dell’UE.

2.5.2.

Insieme alla relazione sono stati pubblicati due sondaggi dell’Eurobarometro sulla percezione del fenomeno: a) lo speciale Eurobarometro sulla corruzione e b) un sondaggio Flash sulle imprese.

2.5.2.1.

Le principali visuali contenute nelle relazioni sono le seguenti (tutte le percentuali si riferiscono al numero di cittadini/imprese dell’UE che hanno risposto all’indagine):

per i tre quarti dei cittadini dell’UE la corruzione è un fenomeno diffuso nel loro paese. In dieci Stati membri la percentuale è superiore al 90 %,

oltre la metà degli europei è del parere che il livello di corruzione sia aumentato negli ultimi tre anni,

tre quarti degli europei ritengono che la corruzione e il ricorso a conoscenze siano spesso il modo più facile per accedere a determinati servizi pubblici (per esempio medici e sanitari) nel proprio paese,

oltre due terzi degli europei pensano che la corruzione sia presente nelle istituzioni dell’UE, e oltre il 50 % crede che le istituzioni non stiano aiutando a ridurre la corruzione in Europa,

circa la metà delle imprese ritiene che la corruzione sia un problema per l’attività imprenditoriale. Le imprese statali e il settore pubblico, comprese le amministrazioni fiscali e doganali, appaiono particolarmente vulnerabili,

oltre metà delle imprese osserva che la corruzione negli appalti pubblici è un fenomeno diffuso dovuto a conflitti di interessi, pratiche non trasparenti, favoritismi. Gli appalti pubblici per i progetti e i contratti in materia di sviluppo urbano, infrastrutture, edilizia e assistenza sanitaria sono considerati particolarmente vulnerabili alla corruzione a tutti i livelli.

2.6.

Per quanto riguarda la corruzione transnazionale, una relazione dell’OCSE del dicembre 2014 mostra che il fenomeno rimane a un livello intollerabile e descrive, per il periodo 2009-2014, oltre 400 casi di corruzione di pubblici ufficiali stranieri. Le tangenti ammontavano mediamente all’11 % del valore complessivo delle transazioni e in molti casi erano connesse ad appalti pubblici. Due terzi dei casi riguardavano quattro settori: industria estrattiva, edilizia, trasporti e magazzinaggio, e informazione e comunicazione.

2.7.

Quanto agli sforzi per tutelare gli interessi finanziari dell’UE (risorse dei contribuenti gestite dall’UE), nel 2013 sono stati denunciati 16 000 casi di irregolarità (circa 2 miliardi di euro) nell’uso dei fondi europei, 1 600 dei quali, per un importo di 350 milioni di EUR, implicavano la frode. Dal 2009, il numero di irregolarità segnalate è aumentato del 22 % e il loro valore del 48 %. Tali irregolarità consistono principalmente nella falsificazione di documenti (spesso legata, con ogni probabilità, alla corruzione). Nella relazione annuale 2013 la Corte dei conti europea segnalava usi impropri o errori nel 5 % circa dei finanziamenti stanziati, in particolare per la politica regionale, l’energia e i trasporti, l’agricoltura, l’ambiente, la pesca e la sanità.

3.   Strumenti internazionali contro la corruzione e le tangenti

3.1.

Oltre alla propria legislazione nazionale antitangenti e anticorruzione, gli Stati membri sono parti contraenti di varie convenzioni e trattati internazionali, e si conformano alle pertinenti disposizioni dell’UE. Le suddette convenzioni hanno procedure di monitoraggio proprie, comprendenti in genere una qualche forma di valutazione inter pares.

3.2.

I principali strumenti e meccanismi internazionali di lotta alla corruzione sono:

la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione,

la Convenzione dell’OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali,

la Convenzione penale sulla corruzione (1999) e la Convenzione civile sulla corruzione del Consiglio d’Europa.

3.3.

I più importanti strumenti giuridici dell’UE contro la corruzione sono:

l’articolo 83, paragrafo 1, del TFUE, che stipula per l’UE il compito di combattere i reati gravi (menzionando tra gli altri la corruzione) con una dimensione europea o transfrontaliera,

l’articolo 325, paragrafo 4, del TFUE, che fornisce una base giuridica per tutte le misure necessarie alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’UE,

la Convenzione del 1997 relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari e Stati membri dell’UE,

la decisione quadro 2003/568/GAI sulla lotta contro la corruzione nel settore privato.

3.4.

La Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione è la convenzione internazionale di più vasta portata. È stata ratificata da tutti gli Stati membri dell’UE, e anche la stessa UE figura tra i firmatari.

3.5.

L’UE ha adottato direttive, comunicazioni e decisioni quadro volte principalmente a stabilire norme minime e ad affrontare questioni che riguardano la lotta alla corruzione e alla frode: frode ed evasione fiscali, riciclaggio di denaro, responsabilità sociale delle imprese, comunicazione delle operazioni non finanziarie, governo societario, appalti pubblici e audit. Il CESE ha elaborato pareri su tali iniziative dell’UE con cadenza regolare.

3.6.

L’UE ha introdotto altresì disposizioni anticorruzione e antifrode nei suoi programmi di finanziamento, sia interni che esterni (comprese le politiche di coesione, regionali, agricole, di allargamento, di vicinato e di sviluppo).

3.7.

Come primo provvedimento per tutelare le imprese dell’UE rispettose della legge che operano sui mercati dei paesi terzi, nel testo di tutti gli strumenti dell’UE relativi ai finanziamenti dell’Unione si potrebbero inserire i principi contenuti nel considerando 65 del regolamento n. 1316/2013 che istituisce l’MCE e nel punto 3.24 (Condizioni contrattuali) delle Politiche e delle norme della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) in materia di appalti; in entrambi i documenti si chiede infatti di «ripartire equamente i rischi associati al contratto».

3.8.

Dal 2011 la Commissione applica, sulla base dell’articolo 325 del TFUE, un’esaustiva strategia antifrode CAFS [COM(2011) 376] volta a migliorare l’intero ciclo antifrode — prevenzione, individuazione e condizioni d’indagine delle frodi — nonché a realizzare in modo adeguato il rimpatrio e la deterrenza, con sanzioni dissuasive. I servizi della Commissione hanno sviluppato strategie settoriali antifrode. Anche la proposta di direttiva COM(2012) 363 final relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale è uno strumento pertinente.

4.   Autoregolamentazione e codici di condotta etici sulla corruzione e le tangenti

4.1.

L’autoregolamentazione svolge un ruolo importante nella lotta alla corruzione e alle tangenti. Le imprese includono, sempre più di frequente, nella loro gestione e nella loro politica generale la responsabilità delle imprese, la conformità e la prevenzione della corruzione. I codici etici di condotta delle singole imprese si basano principalmente su orientamenti internazionali o settoriali e dovrebbero inoltre dare attuazione agli standard dell’UE correlati (comunicazione delle informazioni non finanziarie, responsabilità sociale delle imprese ecc.). L’obiettivo principale di un codice di impresa è promuovere una condotta etica in tutte le attività dell’impresa, impegnare tutte le parti in causa e garantire un’attuazione trasparente e inclusiva, affrontando tale questione anche nel contesto del dialogo sociale.

4.2.

I meccanismi e gli orientamenti internazionali fondamentali che recano i principi in base ai quali le imprese possono evitare la corruzione e le tangenti e promuovere un comportamento etico e la trasparenza sono:

le regole in materia di lotta alla corruzione, gli orientamenti in materia di denunce di irregolarità, i manuali e altri documenti della Camera di commercio internazionale,

il patto globale delle Nazioni Unite; i 10 principi anticorruzione e i relativi orientamenti in materia di notifica,

le linee guida dell’OCSE destinate alle imprese multinazionali: raccomandazione 7 sulla lotta alla corruzione, all’istigazione alla corruzione e alla concussione,

ISO 37001 sui sistemi di gestione anticorruzione (in corso di elaborazione, ISO PC/278);

orientamenti anticorruzione del gruppo della Banca mondiale,

Global Reporting Initiative (GRI, GR4),

i principi aziendali di lotta alla corruzione di Transparency International ecc.

Gli orientamenti per settore a livello dell’UE — ad esempio quelli della Federazione europea delle costruzioni (www.fiec.org, comprensivi di orientamenti e di dichiarazioni comuni), e quelli dell’Iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive (www.eiti.org) — svolgono un ruolo essenziale per i rispettivi settori. Altrettanto vale per gli orientamenti nazionali, come il codice della sostenibilità tedesco e gli orientamenti danesi per l’industria, ritenuti particolarmente importanti per guidare il comportamento delle imprese.

4.3.

Il Parlamento europeo e la Commissione hanno entrambi adottato i loro orientamenti etici interni per integrare gli obblighi a carico dei pubblici funzionari derivanti dallo statuto dei funzionari dell’UE, compresi un codice di condotta per i commissari europei e uno per i membri del PE, con istruzioni su come procedere in caso di regali e donazioni, altri interessi finanziari e conflitti d’interessi. Il CESE ha adottato codici analoghi.

5.   Osservazioni sulle preoccupazioni delle imprese e della società civile

5.1.

La situazione della corruzione e della frode a danno dei bilanci pubblici nell’UE è inaccettabile. La società civile e le imprese ne risentono fortemente. La corruzione accresce i costi per i consumatori e crea un contesto di incertezza per le imprese che si attengono a norme etiche. Il CESE rileva con rammarico la diffusione della corruzione e della frode negli Stati membri dell’UE, cui si accompagna un impegno politico insufficiente da parte di governi ed enti locali per una lotta efficace alla corruzione, con un’insufficiente applicazione ed esecuzione degli strumenti internazionali, europei e nazionali disponibili.

5.1.1.

I cittadini e i soggetti sociali ed economici, indipendentemente da dove si trovano in Europa, hanno il diritto di vivere in una società trasparente e governata in modo corretto, in conformità ai principi dello Stato di diritto. La crisi finanziaria e dell’euro ha reso i cittadini più critici nei confronti della corruzione dilagante e ha via via eroso completamente la loro fiducia nella governance democratica a livello dell’UE, diffondendo quindi l’euroscetticismo. La società civile si aspetta che l’UE e gli Stati membri intensifichino gli sforzi nella lotta contro la corruzione e la frode. I soggetti decisionali devono convincere che stanno operando nel pubblico interesse.

5.2.

Per questo, il CESE s’impegna negli sforzi volti ad affrontare il problema e risponde all’auspicio espresso dalla Commissione europea di un coinvolgimento della società civile nella lotta alla corruzione; il principale obiettivo del presente parere è infatti contribuire alla prossima relazione sulla lotta alla corruzione che la Commissione presenterà nel 2016, nonché partecipare alle campagne di sensibilizzazione, alla diffusione delle informazioni e alla promozione della trasparenza.

5.3.

La corruzione non è soltanto una questione di integrità e di etica, ma anche una questione economica, poiché danneggia l’economia lecita — condizioni eque per il commercio, gli investimenti e la concorrenza — compromettendo così la crescita e la competitività. Dai dati della Banca mondiale e del Forum economico mondiale risulta che la competitività economica è strettamente collegata alla capacità di un governo di controllare la corruzione. La ricerca ha mostrato che il controllo della corruzione nell’UE è strettamente collegato alla facilità di fare affari, e che la corruzione si riflette negativamente sugli investimenti privati.

5.3.1.

La corruzione fa lievitare i costi per attività perché, in un contesto corrotto, le imprese che operano correttamente rischiano di perdere contratti. La corruzione ostacola l’efficienza del mercato interno e potrebbe quindi avere un impatto negativo sugli sforzi volti a conseguire gli obiettivi della strategia per la crescita 2020 e a migliorare la competitività globale dell’Europa, il che riduce le possibilità di migliorare l’occupazione e la prosperità nell’UE e di accrescere la competitività delle imprese europee operanti all’esterno.

5.3.2.

Le imprese con buoni risultati nella lotta alla corruzione attirano gli investitori. Quando si scopre che un’impresa si è resa responsabile di corruzione e di concussione, l’immagine del mondo aziendale è in gioco. Essa non solo danneggia la propria reputazione, ma getta anche una luce negativa sull’attività aziendale nel suo complesso. Gli oneri amministrativi e finanziari soprattutto per le imprese, in particolare le PMI, vanno però considerati anche per quanto riguarda le disposizioni in materia di conformità alla legislazione anticorruzione e gli obblighi di segnalazione.

5.4.

I mezzi di informazione riferiscono regolarmente di casi di corruzione ai livelli più elevati in molti Stati membri e altrove nel mondo. La corruzione politica, ad esempio legata alle nomine, all’offerta di tangenti o al finanziamento di partiti e di campagne elettorali, o alla manipolazione di competizioni sportive, è percepita dai cittadini come un gravissimo danno per la società, specie quando vi sono coinvolte autorità giudiziarie o di polizia. Bisogna metter fine a questo fenomeno, nonché alla pratica dei pagamenti in nero diffusa in numerosi Stati membri, che incide sulla vita quotidiana dei cittadini. Questi fenomeni che si producono nella società sembrano basati su un mutamento nella percezione della legalità. Occorre provvedere: i cittadini hanno diritto allo Stato di diritto, a una buona governance e a servizi pubblici efficienti ed esenti da corruzione. Serve un cambio di atteggiamento; la cultura della corruzione, dove esiste, andrebbe sostituita da una cultura della trasparenza. La questione andrebbe affrontata attraverso la legislazione e nel quadro dell’educazione e dell’istruzione.

5.5.

Il CESE sostiene le misure e le raccomandazioni anticorruzione della Commissione europea, gli sforzi antifrode dell’UE e le azioni del Parlamento europeo, in particolare il piano d’azione — per il periodo 2014-2019 — di contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione e al riciclaggio di denaro. Inoltre, appaiono indispensabili le raccomandazioni contenute nella relazioni del gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa (GRECO), dell’ONU, dell’OCSE e della Camera di commercio internazionale, che dovrebbero essere tenute presenti nel rafforzamento delle politiche e delle attività di lotta alla corruzione dell’UE e dei suoi Stati membri.

5.6.

La natura strettamente interconnessa delle economie degli Stati membri e il volume e la velocità crescenti dei flussi di denaro transfrontalieri accrescono il rischio di una diffusione della corruzione nell’UE. La corruzione è divenuta un fenomeno transnazionale, e non può più essere considerata una mera questione di diritto penale nazionale. La si potrebbe paragonare a una malattia infettiva da cui nessuno può essere considerato automaticamente immune, e che richiede cure attive. L’approccio frammentario di oggi dev’essere sostituito da un approccio più coerente per conseguire progressi significativi. La relazione della Commissione dovrebbe affrontare adeguatamente questa dimensione: le misure anticorruzione devono essere concepite e attuate nel contesto di un’economia europea e globalizzata sempre più integrata.

5.6.1.

La lotta alla corruzione deve avere quindi una priorità più elevata nell’agenda dell’UE; quest’ultima dovrebbe assumere un ruolo di maggior spicco nella promozione della trasparenza e nella salvaguardia dell’integrità del mercato interno, delle relazioni esterne e delle istituzioni e della spesa dell’UE. Tutte le pertinenti politiche dell’UE, siano esse interne o esterne, dovrebbero dare un rilievo maggiore alla lotta anticorruzione e antifrode. È quanto si attendono il mondo delle imprese e la società civile, e il presente parere richiama l’attenzione sull’esigenza di una guida e di un coordinamento efficaci da parte dell’UE. L’UE ha il potenziale per utilizzare il proprio peso politico al fine di promuovere uno spazio paneuropeo basato sull’integrità e su standard elevati di lotta alla corruzione.

5.7.

C’è bisogno di un vero e proprio impegno esplicito, un patto anticorruzione europeo per realizzare una strategia credibile e a vasto raggio. Tale strategia dovrà essere gestita «dall’alto», e richiederà il coinvolgimento di tutte le pertinenti parti in causa a livello dell’UE, nazionale e locale.

5.8.

Gli Stati membri sono in prima linea nella lotta contro la corruzione e la frode. Ad essi compete infatti l’attuazione di forti misure anticorruzione (anzitutto una solida legislazione e un’autorità anticorruzione efficiente, per affrontare la corruzione nella governance politica e giudiziaria e la criminalità organizzata), nonché un coinvolgimento proattivo nella cooperazione transnazionale e nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica alla lotta anticorruzione e antifrode.

5.8.1.

Sarebbe importante, in particolare per creare consapevolezza e fornire orientamento su come evitare la corruzione, la frode e le tangenti, coinvolgere la società civile, comprese le imprese, le loro associazioni e le parti sociali, negli sforzi nazionali contro la corruzione. Il comportamento delle singole imprese ed autorità in questo contesto è fondamentale. Anche le antenne nazionali, come i punti di contatto nazionali dell’OCSE e i centri di tutela (advocacy) e di consulenza giuridica di Transparency International svolgerebbero un ruolo rilevante negli sforzi anticorruzione nazionali. I mezzi di informazione dovrebbero riconoscere il proprio ruolo e la propria responsabilità enorme nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica al tema della corruzione e alle attività anticorruzione condotte negli Stati membri.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico sociale europeo

Henri MALOSSE


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’industria europea offshore: prospettive di sviluppo intelligente, sostenibile e a lungo termine, e relazioni con i settori marittimi dell’Unione europea»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/12)

Relatore:

Marian KRZAKLEWSKI

Correlatore:

José Custodio LEIRIÃO

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 gennaio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

L’industria europea offshore: prospettive di sviluppo intelligente, sostenibile e a lungo termine, e relazioni con i settori marittimi dell’UE

(parere d’iniziativa).

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2015, sulla base del progetto predisposto dal relatore KRZAKLEWSKI e dal correlatore LEIRIÃO.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 132 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’industria offshore comprende la produzione di energia elettrica e l’estrazione di gas, petrolio e minerali dal mare. Il CESE ritiene che i mercati legati a questi settori si stiano sviluppando in modo particolarmente dinamico e offrano opportunità di crescita a lungo termine, sostenibile e intelligente.

1.2.

Il CESE è convinto che, al fine di garantire lo sviluppo sostenibile dell’industria offshore, sia necessario un quadro strategico con una visione europea coerente, in grado di assicurare a questa industria tecnologie avanzate e soluzioni innovative. Le tecnologie, infatti, sono al centro di un quadro strategico di questo tipo.

1.3.

Il Comitato è del parere che attualmente non esista una strategia europea complessiva per l’industria offshore nel suo insieme e i suoi singoli comparti. È vero che la Commissione e il Consiglio stanno progressivamente ampliando lo spettro delle normative che disciplinano questo settore, e in particolare il comparto dell’estrazione offshore di petrolio e di gas; tuttavia, nelle misure in questione non è possibile scorgere alcun progetto coerente e globale.

1.4.

Il CESE è dell’avviso che l’assenza di un quadro strategico per l’industria offshore derivi anche dalla mancanza di una cooperazione sufficiente tra l’industria offshore, le istituzioni dell’UE, gli Stati membri e le organizzazioni della società civile. Ritiene pertanto che l’elaborazione e l’attuazione di una visione strategica per l’industria offshore consentirebbero di raggiungere un livello efficace di cooperazione, a beneficio delle parti interessate, compresi gli altri settori (ad esempio quello del turismo) che beneficiano delle risorse offshore.

1.5.

Richiamando le sue precedenti proposte, il CESE rileva con preoccupazione che sia alle due riunioni del gruppo di studio che all’audizione pubblica svoltasi ad Aberdeen, intese a preparare questo parere d’iniziativa sull’industria offshore europea, non era presente alcun rappresentante della Commissione europea.

1.6.

Nel quadro di un’analisi globale dei rapporti tra l’industria offshore e l’industria marittima europea, il CESE osserva che la prima genera forze trainanti notevoli — nonché, in molti casi, «verdi» — per la seconda, e in particolare per i comparti della costruzione, della riparazione e delle attrezzature navali. Anzi, si può sostenere che, grazie alla domanda da parte dell’industria offshore, la cantieristica navale è riuscita ad evitare la perdita di massa critica che, fino a poco tempo fa, la minacciava.

1.7.

Il Comitato reputa che, alla luce del costante processo di attuazione della direttiva sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, la Commissione europea, in cooperazione con gli Stati membri, dovrebbe organizzare un sistema di verifica e indicare i modi di accrescere la capacità finanziaria degli operatori economici del settore di far fronte ai costi delle misure correttive adottate in risposta ad incidenti.

1.7.1.

Occorrerebbe predisporre e attuare un programma per la «cultura della sicurezza», e adottare misure per promuovere e sostenere l’accreditamento degli istituti di formazione, da parte di imprese dell’industria offshore, a fornire una formazione più ampia nel campo della sicurezza, che includa anche gli aspetti di protezione ambientale. Il CESE osserva che, nell’industria offshore, il conseguimento di un livello di sicurezza elevato dipende anche dal fatto di garantire buone condizioni di lavoro in mare.

1.8.

Il CESE propone che la Commissione e gli Stati membri interessati, in cooperazione con l’OIL e le parti sociali, adottino provvedimenti per valutare la possibilità di estendere la convenzione sul lavoro marittimo (CLM) ai lavoratori delle industrie offshore del petrolio e del gas (offshore oil and gas — OOG) e dell’energia eolica (offshore wind energy — OWE), nell’UE e nel resto del SEE.

1.9.

Il Comitato reputa che la Commissione e le parti sociali settoriali europee che rappresentano l’industria offshore dovrebbero rifarsi al buon esempio offerto dalla direttiva del 2009 recante attuazione dell’accordo concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo.

1.10.

In previsione della carenza di lavoratori qualificati e di competenze nell’industria offshore, nell’UE e nel resto del SEE, il CESE ritiene che questo problema dovrebbe essere affrontato garantendo buone condizioni di lavoro (grazie all’attuazione delle disposizioni della CLM), applicando politiche di adeguamento delle competenze e della formazione e incoraggiando i giovani a lavorare in mare.

1.11.

In relazione all’industria offshore, la Commissione e gli Stati membri dovrebbero promuovere la cooperazione e il partenariato pubblico-privato (PPP), ossia, tra le altre cose, associazioni temporanee di imprese (joint ventures), garanzie, accordi di condivisione della produzione e concessioni. Il coordinamento dovrebbe riguardare il quadro giuridico, gli studi geologici, la pianificazione territoriale e la protezione dell’ambiente in relazione alla questione dell’uso sostenibile delle risorse energetiche.

1.12.

Il CESE ritiene che uno degli aspetti di una regolamentazione paneuropea del comparto estrattivo offshore dovrebbe essere la partecipazione della Commissione a un ampio programma di ricerche geologiche che si avvalga delle TIC. Scopo del programma dovrebbe essere quello di rendere disponibili dati che consentano, oggi e in futuro, un uso più sostenibile delle risorse marine.

1.13.

Il CESE reputa che, di fronte alla concorrenza mondiale ed europea e ai requisiti posti dalla normativa, le sfide principali per l’industria offshore siano:

l’estrazione in acque profonde e, nel comparto offshore dell’energia eolica, il passaggio verso la localizzazione degli impianti a una maggiore distanza dalla costa e in acque aperte più profonde,

le procedure per la perforazione orizzontale e la fratturazione idraulica per l’attività estrattiva offshore, nel rispetto dei requisiti ambientali,

la gestione delle infrastrutture degli impianti offshore vetusti o senescenti,

la ricerca, la rilevazione e lo sfruttamento delle risorse nelle zone artiche,

la risposta all’impulso ambientale della convenzione Marpol, della convenzione per la gestione delle acque di zavorra e del regolamento relativo al riciclaggio delle navi.

1.14.

Il CESE incoraggia il collegamento in rete dei comparti dell’industria offshore, delle regioni costiere e delle imprese nella catena di approvvigionamento con i centri di ricerca e le università nel quadro del programma Orizzonte 2020, nonché i progetti nel campo della «specializzazione intelligente». Nel quadro di tale cooperazione, occorrerebbe prestare maggiore attenzione agli aspetti dell’innovazione e della protezione dell’ambiente, nonché sfruttare le opportunità offerte dal Fondo europeo per gli investimenti strategici.

1.14.1.

Il CESE invita la Commissione a considerare la possibilità di apportare delle modifiche ai fondi strutturali o al piano Juncker per sostenere gli investimenti nell’innovazione nell’industria offshore.

1.15.

Il Comitato ritiene che sia necessario aggiornare (riesaminare) la strategia Europa 2020 per soddisfare i requisiti dell’UE riguardanti le attività marittime, i progetti, le risorse, una forza lavoro qualificata, il finanziamento e la promozione dello sviluppo sostenibile, tenendo conto del gran numero, e della grande diversità, dei profili professionali e delle competenze necessari nel campo delle attività offshore.

1.16.

Il CESE invita la Commissione europea a promuovere un dibattito sul potenziale di una strategia specifica per il Mare del Nord, che tenga conto delle sfide da affrontare per garantire la sostenibilità e la competitività dell’industria offshore in Europa.

2.   Contesto

2.1.

L’industria offshore comprende principalmente la produzione di energia elettrica e l’estrazione di gas, petrolio e minerali dal mare. Se poi si tiene conto della catena di approvvigionamento e dei servizi a tale industria, quest’ultima risulta connessa con tutta una serie di settori di attività legate al mare: la cantieristica navale (costruzione, riparazione, manutenzione e conversione di navi), la produzione di attrezzature e forniture navali, nonché il settore degli impianti industriali offshore.

2.2.

L’industria europea collegata ai comparti offshore dispone sia delle competenze specialistiche moderne che del potenziale umano necessari per fruire efficacemente dei vantaggi derivanti dal fatto di operare su mercati connessi con tutti i suddetti comparti.

2.3.

Nel quadro di un’analisi della situazione dell’industria europea offshore e di una valutazione delle sue opportunità di sviluppo a lungo termine e sostenibile, il presente parere:

fa il punto della situazione dell’industria petrolifera e gasiera offshore nel contesto mondiale, evidenziandone le sfide e i fattori trainanti,

delinea le caratteristiche generali del comparto dell’energia eolica offshore nell’UE,

descrive le relazioni tra l’industria marittima e l’industria offshore in Europa,

analizza il fabbisogno di innovazione e sviluppo sostenibile nel contesto delle sfide attuali e dei potenziali ambiti di sviluppo dell’industria offshore europea,

formula proposte per garantire che, nelle questioni occupazionali dell’industria offshore, vi sia una dimensione sociale e di sviluppo sostenibile,

esamina il quadro normativo dell'UE dell’industria offshore europea,

avanza l’idea di promuovere una strategia dell’UE per il Mare del Nord che tenga conto delle sfide poste alla sostenibilità e dalla competitività dell’industria offshore.

3.   L’industria estrattiva petrolifera e gasiera offshore: la situazione attuale

3.1.

Nel 2012 i prodotti petroliferi ed il gas rappresentavano il 26 % del mix energetico europeo, nel quale la quota più rilevante, il 29 %, era costituita dall’energia nucleare, mentre le rinnovabili, compresa l’energia idroelettrica, rappresentavano il 22 %.

3.1.1.

L’UE è il primo importatore di energia al mondo; importa il 53 % della sua energia, con un costo annuo pari a 400 miliardi di euro. L’88 % del petrolio e il 66 % del gas sono importati, principalmente dalla Russia.

3.2.

In Europa il problema principale per il settore petrolifero e gasiero offshore è se l’industria OOG europea tradizionale crescerà, in un contesto di diversificazione e di fronte alle sfide poste dallo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili, e sarà in grado di gestire in modo efficiente questi cambiamenti.

3.3.

L’industria petrolifera e gasiera offshore in Europa è caratterizzata da:

alti costi operativi,

forti rischi ambientali e un grado di regolamentazione elevato,

necessità di operare a maggiori profondità,

rischi di natura fiscale — prezzi bassi che comportano alti rischi di investimento,

potenziali problemi con i prodotti a basso prezzo provenienti dagli Stati Uniti.

3.4.

L’industria offshore europea del petrolio e del gas si trova già oggi ad affrontare molteplici sfide, tra cui:

la necessità di indagini sismiche al fine di aggiornare le mappe dei depositi geologici,

la mancanza di armonizzazione e condivisione dei dati, che rallenta il ritmo dello sviluppo,

la pressione esercitata dai paesi produttori per la scoperta di nuovi giacimenti,

problemi con le gare di appalto per l’estrazione, nelle quali concorrono imprese nazionali e internazionali,

la gestione del ciclo di vita del settore nelle diverse fasi che vi si susseguono: prospezione, scoperta, FEED (1), produzione, decomposizione.

3.4.1.

Per tale industria, inoltre, si profilano nuove sfide, quali:

il progressivo assottigliarsi delle risorse attualmente sfruttate;

il calo dei prezzi del petrolio e la concorrenza di nuove materie prime correlate a basso costo,

le questioni legate all’imprenditorialità e al sostegno pubblico alle nuove imprese,

la necessità di stimolare la crescita attraverso l’innovazione e l’internazionalizzazione del settore,

la questione della crescita guidata dall’«economia verde».

3.5.

L’industria offshore europea del petrolio e del gas merita di essere sostenuta, in quanto:

presenta le caratteristiche di un’industria sostenibile, che tiene conto del contesto normativo dell’UE,

fornisce, direttamente o indirettamente, quasi 600 000 posti di lavoro (includendo anche la Norvegia),

è una delle principali forze trainanti dell’industria marittima dell’UE,

contribuisce a una trasformazione sociale positiva nelle regioni,

reca un contributo significativo alle entrate di bilancio degli Stati membri,

svolge un ruolo guida riguardo all’innovazione e al progresso tecnologico nell’ingegneria,

è contraddistinta da notevoli e crescenti esportazioni dalle imprese nella catena di approvvigionamento, che compensano la possibile perdita di entrate provenienti dalla produzione di combustibili.

3.6.

Nell’audizione svoltasi ad Aberdeen (2) sono stati presentati i risultati di un’analisi dei punti di forza e di debolezza, delle opportunità e dei rischi («analisi SWOT») dell’industria OOG. Tali risultati, integrati dalle proposte avanzate nel corso del dibattito in quella sede, figurano nell’allegato al presente parere.

4.   Il mercato dell’energia marina nell’UE

4.1.

Nei mari dell’UE sono oggi in esercizio circa 2 500 turbine, situate in 11 paesi, per una capacità totale di oltre 8 GW. La quota dell’UE nella produzione mondiale è quasi del 90 %. Una volta ultimati i 12 progetti attualmente in corso, la capacità installata aumenterà a 10,9 GW. Oggi nell’UE il 7 % dell’energia elettrica è generato da centrali eoliche, e 1/7 di questa quota proviene da impianti eolici offshore.

4.2.

In questo settore, le attuali tendenze nel campo dello sviluppo e dell’innovazione riguardano le turbine, le fondazioni e gli impianti a maggiore profondità e a maggiore distanza dalla costa.

4.3.

Ai fini dello sviluppo dell’energia eolica offshore, la pianificazione finanziaria assume ormai un rilievo sempre maggiore. Nel 2014 le imprese del settore hanno acceso prestiti a garanzia limitata (non recourse) per un totale di 3,14 miliardi di euro (3), che è il massimo importo mai percepito nella storia del settore. I partenariati finanziari sono la chiave del successo.

4.4.

Per i prossimi anni, le prospettive sono di un ulteriore aumento della capacità installata. Quanto al futuro più lontano, secondo le stime dell’Associazione europea per l’energia eolica (EWEA — European Wind Energy Association), è già stata autorizzata la costruzione di nuovi impianti per una capacità totale di 26,4 GW, mentre nei piani a lungo termine è previsto un incremento pari a 98 GW.

4.5.

Secondo i dati dell’EWEA, alla fine del 2011 in Europa il settore dell’energia eolica in Europa dava lavoro a 192 000 persone, delle quali circa 30-40 000 nel comparto dell’energia eolica offshore.

4.6.

Nell’UE la capacità installata di energia oceanica è pari a circa 1,5 GW (ovvero sei volte inferiore a quella dell’energia eolica offshore; ma si prevede che raggiunga i 3,6 GW entro il 2020), comprendendo quella degli impianti per la produzione di energia dal moto ondoso, dalle maree, dalle correnti e dal gradiente salino (energia osmotica), nonché per la conversione di energia talassotermica in energia elettrica.

5.   Le relazioni economiche tra i settori marittimi e l’industria offshore in Europa

5.1.

Nel 2014 l’importo globale degli appalti per natanti e galleggianti era pari a 370 miliardi di dollari statunitensi (USD), di cui 170 miliardi di USD per unità offshore. Si stima che, tra il 2014 e il 2025, la domanda globale di natanti e galleggianti offshore di vario tipo ammonterà a 1 230 - 1 970 unità. La domanda di piattaforme sommergibili aumenterà del 180 %, mentre quella di navi piattaforma, navi di servizio per parchi eolici o unità galleggianti offshore aumenterà del 50-60 %.

5.2.

Si prevede che le commesse per natanti e galleggianti di ogni tipo aumenteranno del 3,7 % entro il 2025; una proiezione che, se confrontata con le stime assai più elevate riguardanti le unità offshore, mostra quanto potente sia già e sarà in futuro la forza di traino dell’industria offshore per il settore delle costruzioni navali. Nel 2014 in Europa le unità offshore rappresentavano il 30 % dell’intera produzione di tale comparto della cantieristica.

5.3.

Analogamente, l’industria offshore è strettamente legata all’industria europea delle attrezzature marittime, leader mondiale nella produzione di moduli di perforazione, motori, argani, gru e componenti elettronici.

5.4.

L’energia offshore è una forza trainante «verde» per i settori marittimi. A livello mondiale, il suo potenziale per il periodo 2012-2022 è stimato in oltre 19 miliardi di euro (circa 2 miliardi di euro all’anno). Tali stime si basano sul numero di navi e attrezzature necessarie per la realizzazione e il funzionamento dei parchi eolici già previsti.

5.5.

Un nuovo tipo di domanda di prodotti e servizi dei settori marittimi europei sta emergendo anche in relazione al progressivo spostarsi delle attività verso acque più profonde; ciò in particolare nei comparti petrolifero e gasiero offshore, ma anche nel comparto della produzione di energia dal mare.

5.6.

Lo scioglimento dei ghiacci artici apre nuove opportunità di estrazione di materie prime e di apertura di vie navigabili (benché in questo caso a trainare il settore non sia uno sviluppo particolarmente «verde»). Tale tendenza si lega, tra le altre cose, alla previsione di domanda di costruzione di navi rompighiaccio e navi antighiaccio, sia da trasporto che di servizio.

5.7.

Anche il settore — relativamente nuovo — dell’energia oceanica è destinato a costituire una forza trainante sempre più significativa per i settori marittimi europei, e specialmente per i settori rappresentati dall’associazione SEA Europe.

5.8.

La gamma dei prodotti della cantieristica navale per il comparto petrolifero-gasiero offshore è legata al ciclo di vita di quest’ultimo, in quanto:

l’esplorazione e l’individuazione di giacimenti crea una domanda di navi appoggio,

per la perforazione sono necessarie piattaforme e unità di trivellazione,

lo sviluppo dei giacimenti crea una domanda di speciali navi da costruzione,

durante lo sfruttamento del giacimento sono necessarie piattaforme galleggianti o unità di estrazione e stoccaggio, e

dopo lo smantellamento dell’impianto vengono utilizzate navi per l’installazione di turbine eoliche o altre attrezzature offshore.

5.9.

Per garantire anche in futuro l’approvvigionamento di petrolio e gas, l’attività di trivellazione offshore dovrà aumentare in modo significativo, e ciò comporta una forte domanda di moduli per piattaforme tecnicamente avanzati, nonché di riparazione e conversione di diversi tipi di impianti e di torri di perforazione offshore. Tutti servizi, questi, che sono una fonte importante di reddito per i comparti della costruzione e riparazione navale nell’UE.

5.10.

Prospettive interessanti sono poi aperte da un nuovo segmento specializzato della cantieristica navale: navi non solo per il trasporto di gas naturale liquefatto (GNL) galleggiante, ma anche per la fornitura di vari servizi per l’industria offshore del petrolio e del gas, compresa la sostituzione dei terminali terrestri per il GNL con terminali mobili. Ciò riguarda le versioni FPSO GNL (strutture galleggianti di produzione, stoccaggio e scarico del GNL) e FSRU (unità galleggianti di stoccaggio e di rigassificazione).

5.11.

Anche i porti europei possono trarre vantaggio dalla forza trainante dell’industria offshore. Ad essere interessate sono le attività portuali di movimentazione di merci varie e di componenti per l’industria eolica offshore: segmenti di torri, generatori, pale di rotori e altre attrezzature richieste dall’industria offshore.

6.   La necessità di innovazione e sviluppo sostenibile nel contesto delle sfide attuali e dei potenziali ambiti di sviluppo delle industrie europee offshore

6.1.

Da un decennio a questa parte gli investimenti dell’UE nell’innovazione sono costantemente più limitati di quelli dei suoi maggiori concorrenti (e in particolare degli Stati Uniti). Ciò ha un impatto su tutti i settori industriali, compreso quello dell’estrazione offshore di idrocarburi.

6.2.

Una delle sfide principali per le imprese del settore petrolifero e del gas consiste nel garantire uno sfruttamento sicuro del loro capitale fisso senescente. In tutto il mondo in media il 30 % delle piattaforme è in esercizio da più di 20 anni, e molte di esse hanno ormai superato la durata di vita originariamente prevista.

6.3.

Nel settore petrolifero e gasiero offshore, gli ambiti principali in cui è necessario intervenire per fronteggiare la senescenza dei capitali fissi sono:

il monitoraggio, e la comprensione della questione, dell’integrità dei materiali,

la comprensione della corrosione sotto isolamento,

i problemi relativi all’ispezione, alla riparazione e alla manutenzione nel contesto della gestione della senescenza,

il recupero e la valorizzazione delle apparecchiature usate.

6.4.

La crescita del settore dipende da tecnologie innovative a supporto dell’attività estrattiva, che consentano di «spremere» il più possibile dagli impianti senescenti e di prolungare la vita di alcuni giacimenti di produzione.

6.4.1.

Le nuove tecnologie svolgono un ruolo fondamentale anche nella prospezione e produzione in acque profonde, che necessitano di investimenti per miliardi di euro. Lo sviluppo di nuove tecnologie ha lo scopo di ridurre i costi e i rischi operativi e consentire lo sfruttamento di pozzi in condizioni di temperature e pressioni più elevate.

6.5.

Ad avviso del CESE, la Commissione dovrebbe valutare la possibilità di introdurre adeguamenti ai fondi strutturali e/o al piano Juncker per sostenere gli investimenti nell’innovazione nell’industria offshore, principalmente nei seguenti ambiti:

gestione della senescenza delle infrastrutture e garanzia della continuità della produzione,

nuove tecnologie per «spremere» produzione da vecchi giacimenti di petrolio e di gas,

fronteggiare la crescente complessità dei pozzi di produzione.

Nuove aree di sviluppo

6.6.

Lo sviluppo del gas di scisto nel rispetto dei requisiti ambientali sta diventando una prospettiva sempre più attraente anche per il comparto petrolifero e gasiero offshore. E ciò è dovuto ai significativi miglioramenti della tecnologia per la fratturazione idraulica delle rocce sottomarine. Ma anche il sequestro del CO2 in mare può essere un altro fattore di crescita «verde» per l’industria offshore nella corsa allo sviluppo di un’economia a basse emissioni di carbonio.

6.7.

Altre nuove aree di sviluppo sono la costruzione di piattaforme industriali multifunzione in esito a progetti pilota (7o programma quadro) e la realizzazione di attrezzature e impianti completi per produrre energia a partire dalle onde e dalle maree degli oceani.

6.8.

Per i responsabili politici dell’UE, la sfida consiste nello sfruttare il potenziale del programma Orizzonte 2020 per massimizzare la ricerca scientifica e l’innovazione (4) nell’ambito dell’industria offshore europea.

7.   Il quadro normativo dell’UE riguardante l’industria offshore europea

7.1.

L’industria offshore europea opera all’interno di un quadro normativo sempre più fitto. Tra i principali dispositivi che la riguardano, occorre menzionare almeno:

le direttive sulle emissioni (direttiva IED), sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento (direttiva IPPC) e sulla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione (direttiva LCP),

la direttiva sulla limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati da impianti di combustione medi (direttiva MCP), che riguarda la produzione di petrolio e di gas,

il sistema di scambio di quote di emissione (ETS UE),

la direttiva sulla sicurezza marittima.

7.2.

La direttiva sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi è entrata in vigore nel 2013 e deve essere recepita negli ordinamenti giuridici nazionali entro il luglio 2015; le imprese del settore dovranno adeguarsi alle nuove disposizioni entro il luglio 2016.

7.2.1.

Se si vuole produrre un impatto a livello globale ed essere in grado di monitorare gli incidenti di rilievo in Europa e al di fuori di essa, è indispensabile che la Commissione, gli Stati membri e le imprese specializzate cooperino tra loro nei seguenti ambiti:

pubblicazione di una guida ai fattori che possono incidere sul rischio,

creazione di una «cultura della sicurezza» in questo campo,

accreditamento degli istituti di formazione, da parte delle società minerarie, a fornire una formazione più ampia,

elaborazione di un codice di buone prassi,

promozione di partenariati tra gli investitori e gli Stati membri,

cooperazione tra gli Stati membri e gli investitori in aree strategiche sensibili e in progetti relativi all’industria offshore che promuovano PPP per lo sviluppo sostenibile e l’impatto di tale industria su altri settori economici, come ad esempio il turismo e la pesca,

cooperazione nel campo della protezione delle infrastrutture offshore di rilievo cruciale dal terrorismo e dalla pirateria marittima.

7.3.

Attualmente, poi, i rappresentanti del settore considerano gli sviluppi del documento di riferimento (BREF) sulla ricerca e la produzione di idrocarburi nell’UE mediante la fratturazione idraulica ad elevato volume una questione di regolamentazione particolarmente delicata.

7.4.

Sempre a proposito dell’impatto del quadro normativo sullo sviluppo di tutti i settori dell’industria offshore, è necessario che questa si conformi anche alla direttiva che ha di recente (luglio 2014) istituito un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo.

7.5.

Inoltre, la comunicazione COM(2008) 699 sulla politica delle materie prime, che delinea un percorso verso una maggiore cooperazione internazionale tra gli istituti nazionali di studi geologici al fine di accrescere la base di conoscenze dell’UE, dovrebbe avere un impatto indiretto sull’industria estrattiva offshore.

7.6.

Vi sono poi questioni normative e politiche non meno importanti che hanno un impatto sull’intera industria offshore europea:

l’impatto della convenzione sul lavoro marittimo,

l’impatto della convenzione Marpol (che pone limiti alle emissioni di SO2 e NO2) e la convenzione per la gestione delle acque di zavorra.

8.   Ma in che modo si possono superare le difficoltà incontrate per garantire, nelle questioni occupazionali relative all’industria offshore, una dimensione sociale, di sviluppo sostenibile?

8.1.

La grande diversità delle industrie offshore europee e il notevole impatto della globalizzazione su questo settore dell’economia, nonché i problemi di dumping sociale e disparità di condizioni che ancora vi si riscontrano, hanno condotto a una situazione complessa per quanto attiene alle questioni del lavoro. A ciò si aggiungono problemi in materia di dialogo sociale, rapporti collettivi di lavoro e norme di protezione sociale.

8.1.1.

Tutti problemi, questi, che si potrebbero affrontare in modo globale sulla base della convenzione sul lavoro marittimo (CLM) del 2006, che è di recente entrata in vigore, e del relativo regolamento UE di esecuzione.

8.1.2.

Purtroppo, le opportunità per fare ampia applicazione di tale convenzione nel settore dell’industria offshore sono ancora limitate. Ciò è dovuto sia alla mancanza, nella stessa CLM, di disposizioni precise riguardo ai lavoratori dell’industria offshore, sia all’atteggiamento dei governi, degli operatori del settore e dei proprietari. E tale situazione è ulteriormente aggravata dai problemi esistenti nell’UE riguardo ai registri dei natanti e delle strutture industriali galleggianti.

8.2.

Il CESE reputa che la Commissione e le parti sociali settoriali europee che rappresentano l’industria offshore dovrebbero rifarsi al valido modello offerto dalla direttiva del 2009 recante attuazione dell’accordo concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo.

8.2.1.

Modello di riferimento potrebbe essere il contratto collettivo per l’industria offshore concluso dalla Federazione internazionale dei lavoratori del settore dei trasporti (ITF), la cui attuazione è tuttora ostacolata dalla mancanza di volontà politica da parte delle autorità nazionali, dalla situazione dei registri navali, dallo stato insoddisfacente in cui versa il dialogo sociale e dall’elevata percentuale di persone impiegate sulla base di contratti di lavoro «spazzatura» e come lavoratori autonomi fittizi.

9.   Una strategia europea per la regione del Mare del Nord

9.1.

L’industria petrolifera e del gas si evolve ormai da 50 anni, e si prevede che continuerà a farlo per un altro mezzo secolo. Oggi essa si trova di fronte a cambiamenti di grande portata nel settore dell’energia:

un aumento della percentuale di energia generata a partire da fonti rinnovabili,

un aumento della percentuale di energia generata localmente e da un insieme eterogeneo di fonti locali,

la sfida, per l’attuale sistema di trasmissione dell’energia elettrica, di riuscire a garantire l’equilibrio tra la domanda e l’offerta,

gli obiettivi dell’UE di riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030.

Si pone quindi la questione se il tradizionale comparto petrolifero e gasiero sia all’altezza delle grandi sfide poste dalla diversificazione della produzione energetica, orientata verso fonti rinnovabili, e dalla necessità di gestire tale cambiamento.

9.2.

La commissione per il Mare del Nord ha il compito di lavorare insieme alla Camera dei Lord per coinvolgere il governo britannico nella promozione di un approccio integrato alla pianificazione dello spazio marittimo nel bacino di tale mare e nello sviluppo di un documento e di una strategia di comunicazione che rendano evidenti per i cittadini i benefici di una rete di distribuzione energetica del Mare del Nord.

9.3.

Il CESE invita la Commissione europea a promuovere un dibattito sul potenziale di una strategia specifica per il Mare del Nord che tenga conto delle sfide da affrontare per garantire la sostenibilità e la competitività dell’industria offshore in Europa, con particolare riferimento ai seguenti aspetti:

prodotto e progettazione,

questioni sociali,

produzione,

normativa,

finanziamento.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  FEED = Front-End Engineering Design (progettazione ingegneristica preliminare dettagliata).

(2)  L. Smyth, Camera di commercio di Aberdeen e della regione dei Grampian.

(3)  The European offshore wind industry — key trends and statistics 2014 [«Il settore eolico europeo offshore: tendenze fondamentali e statistiche 2014»].

(4)  Parere del CESE in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — «L’innovazione nell’economia blu: realizzare il potenziale di crescita e di occupazione dei nostri mari e dei nostri oceani»[(COM(2014) 254 final (GU C 12 del 15.1.2015, pag. 93)].


ALLEGATO

Risultati dell’analisi SWOT relativa all’industria petrolifera e gasiera offshore

Punti di forza

Punti di debolezza

Esperienza operativa in condizioni difficili e in acque profonde

Competenze specialistiche riconosciute in tutto il mondo

Personale altamente qualificato ed esperto

Organizzazione del comparto in cluster

Elevati costi di produzione

Efficienza produttiva inferiore alle attese

Incertezza del regime fiscale

Senescenza delle infrastrutture

Scarsa cooperazione

Opportunità

Rischi

Scoperta di nuovi giacimenti con costi di sfruttamento e sviluppo inferiori

Esportazione di prodotti, attrezzature e conoscenze su nuovi mercati

Cooperazione nei campi della «concezione comune» e della standardizzazione, dell’utilizzo delle infrastrutture e dello scambio di conoscenze

«Intesa» su un adeguamento del livello dei salari, all’insegna del motto «scendiamo sulla terra!»

Ricorso al programma di reindustrializzazione dell’UE

Calo dei prezzi mondiali del petrolio

Riduzione dei posti di lavoro nel settore in risposta al forte calo dei prezzi del petrolio tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015

Pensionamento, nei prossimi 10 anni, di un gran numero di lavoratori qualificati

«Crollo» dei prezzi a causa dell’aumento dell’estrazione di idrocarburi da sabbie e scisti bituminosi negli Stati Uniti

Rallentamento della crescita economica in Asia

Approccio dell’OPEC nei confronti delle limitazioni della produzione


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/83


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Imprese del settore creativo e culturale: una risorsa europea nell’ambito della concorrenza mondiale»

(parere di iniziativa)

(2016/C 013/13)

Relatrice:

Emmanuelle BUTAUD-STUBBS

Correlatore:

Nicola KONSTANTINOU

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 gennaio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Imprese del settore creativo e culturale: una risorsa europea nell’ambito della concorrenza mondiale.

(parere di iniziativa)

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 215 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Tenuto conto dell’incidenza delle imprese del settore creativo e culturale sul PIL dell’Unione europea, il CESE chiede alla Commissione europea di elaborare una strategia pluriennale di sviluppo di tali imprese.

1.2.

In particolare, il CESE ritiene che questo settore, che contribuisce alla proiezione internazionale dell’Unione europea, debba anch’esso formare oggetto delle riflessioni avviate dalla Commissione europea in vista di una comunicazione — prevista per l’autunno 2015 — su una nuova strategia in materia di politica commerciale.

1.3.

Alla luce dell’evoluzione del mercato del lavoro in alcuni Stati membri, è necessario tenere maggiormente conto delle esigenze dei lavoratori atipici in materia di condizioni di lavoro, salute e sicurezza. Il CESE è favorevole a un’intensificazione dei negoziati collettivi in particolare nel settore dei media e della cultura, nel quadro delle tradizioni nazionali.

1.4.

Numerosi altri temi meritano un’attenzione particolare: l’adattamento degli strumenti e delle politiche di formazione e istruzione alle nuove esigenze del mercato, il rafforzamento della mobilità dei professionisti del settore, nonché lo sviluppo del finanziamento collettivo (piattaforme di crowdfunding).

1.5.

La promozione dei valori dell’UE (rispetto della dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza di diritto, tutela delle minoranze ecc.) meriterebbe di essere affidata anche a dei «creativi», maggiormente in grado di attirare i giovani con l’ausilio di applicazioni, video, giochi, fumetti ecc.

1.6.

Per le imprese di questo settore, che non sempre riescono a «catturare valore», la questione della valutazione finanziaria dei loro attivi immateriali (portafoglio clienti, notorietà e reputazione, marchi, know-how), che sono sostenibili e fonti di profitti futuri, riveste un’importanza essenziale.

2.   Introduzione

2.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene da oltre 11 anni lo sviluppo delle imprese del settore creativo e culturale (ICC). Ben prima che la Commissione europea elaborasse, nel 2012, una comunicazione dal titolo «Valorizzare i settori culturali e creativi per favorire la crescita e l’occupazione nell’UE» (1), tra il 2004 e il 2014 il Comitato ha adottato tutta una serie di pareri pertinenti (2).

2.2.

Le imprese del settore creativo e culturale occupano una posizione strategica in seno alla società europea, in virtù della quale sono in grado di promuovere una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva («Europa 2020»), in quanto è stato dimostrato (3) che una delle caratteristiche delle ICC risiede nella loro maggiore capacità di innovazione rispetto alle imprese di altri settori economici.

2.3.

Merita inoltre sottolineare il ruolo particolare che le ICC svolgono, in seno alla società europea, nella promozione del pluralismo e della diversità culturale nonché dell’identità europea (4).

2.4.

Nel gennaio 2015 l’ufficio di presidenza del CESE ha deciso di approvare l’elaborazione di un nuovo parere d’iniziativa sulle ICC, dato che esse rappresentano una risorsa preziosa dell’Europa nell’ambito della concorrenza globale. Infatti, paesi come gli Stati Uniti, il Canada e la Corea del Sud mettono a punto delle strategie di persuasione (soft power) efficaci al fine di diffondere la loro cultura e i loro stili di vita e sostenere lo sviluppo economico delle loro imprese che progettano, producono e distribuiscono beni e servizi con contenuti culturali.

2.5.

Ma quali sono i fattori cruciali alla base del rinnovato interesse del CESE per lo sviluppo delle imprese di questo settore?

2.5.1.

In primo luogo, il rilievo assunto da queste imprese nell’economia europea è sempre più significativo. Tenendo conto delle diverse definizioni esistenti e alla luce delle ultime statistiche disponibili, si può ben dire che le imprese del settore creativo e culturale costituiscano uno dei settori più dinamici dell’economia europea. Lo studio della società di consulenza TERA, che copre il periodo 2008-2011 (5), segnala che il contributo di questo tipo di industrie al PIL europeo è compreso tra il 4,4 % (solo per le industrie creative pure o core industries) e il 6,8 % (se ad esse si aggiungono quelle da loro fortemente dipendenti, ossia le non-core industries). Il loro contributo all’occupazione è rappresentato rispettivamente da 8,3 milioni di persone, pari al 3,8 % del totale della popolazione attiva dell’UE, per le industrie creative pure (core industries), e 14 milioni di posti di lavoro se vi si aggiungono tutte le industrie fortemente dipendenti (non-core industries), ossia il 6,5 % del totale della popolazione attiva dell’UE. Si tratta quindi del terzo datore di lavoro dell’UE, dopo i settori dell’edilizia e delle bevande.

2.5.2.

Per via degli elevati debiti pubblici, gli Stati e gli enti territoriali substatali hanno dovuto ridurre l’importo delle sovvenzioni concesse alle associazioni culturali e musicali, ai teatri, ai cinema d’essai ed alle orchestre. I grandi media radiotelevisivi pubblici sono in difficoltà in diversi Stati membri, proprio come la stampa scritta, il cui modello economico è in crisi a causa della rivoluzione digitale.

2.5.3.

I negoziati per la conclusione di un partenariato transatlantico sono stati avviati nel giugno 2013 e hanno già visto svolgersi quasi 9 tornate negoziali. L’eccezione culturale è stata riconosciuta fin dall’inizio, e il CESE appoggia la posizione del Parlamento europeo che, nella risoluzione del 23 maggio 2013 sui negoziati UE-Stati Uniti in materia di commercio e investimenti (6), chiede che «l’esclusione dei servizi culturali e audiovisivi, compresi quelli forniti online, sia dichiarata esplicitamente nel mandato negoziale».

2.5.4.

Il programma Europa creativa, in merito al quale il Comitato ha già avuto modo di pronunciarsi (7), è entrato in vigore da poco e ha una dotazione di bilancio di 1,46 miliardi di euro per il periodo 2014-2020.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1.    Interrogativi quanto allo sviluppo economico del settore

3.1.1.

La crisi ha reso più fragile tutta una serie di settori rappresentativi della cultura e della creatività europee:

i concerti e le orchestre di musica classica e folcloristica,

i festival di arte lirica e di teatro,

il settore europeo del fumetto è danneggiato dalla pirateria,

le attività di produzione audiovisiva destinate alle reti televisive pubbliche hanno talvolta dovuto pagare lo scotto di sostanziali riduzioni di bilancio.

3.1.2.

Le statistiche di Eurostat relative al periodo 2009-2013 confermano che, in un comparto come quello dell’editoria, in Francia il numero di posti di lavoro è diminuito, passando da 146 000 dipendenti nel 2009 a 112 000 nel 2013, o, per fare un altro esempio, che, nel segmento della programmazione e delle riprese, in Polonia il numero degli addetti è sceso da 25 000 nel 2009 a 19 600 nel 2013.

3.1.3.

Per contro, secondo una relazione della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di Dublino (Arts, Entertainement and Recreation: working conditions and job quality [Arte, intrattenimento e svago: condizioni di lavoro e qualità dell’occupazione]) (8), nell’UE i settori artistico, ricreativo e dell’intrattenimento hanno fatto registrare un leggero aumento (+ 2 %) tra il 2010 e il 2012. In alcuni Stati membri, la percentuale di occupati in questi settori è molto superiore alla media europea (1,6 % della popolazione attiva): nel Regno Unito e in Estonia è pari al 2,6 %, in Svezia (con il 14 % delle imprese e l’8 % del PIL) al 2,5 % e in Lettonia al 2,3 %.

3.2.    Il programma Europa creativa 2014-2020: un sistema che suscita perplessità quanto al finanziamento e ai punti di contatto locali

3.2.1.

Nelle industrie creative, la necessità del ricorso al finanziamento si spiega con la difficoltà, per le imprese del settore, di elaborare modelli di reddito che consentano loro di «catturare valore». Orientare le PMI nella concezione di modelli imprenditoriali e di reddito in grado di creare e al tempo stesso catturare valore significherebbe renderle meno dipendenti dalle sovvenzioni pubbliche.

3.2.2.

Il CESE aveva già manifestato perplessità circa il nuovo dispositivo finanziario ideato per agevolare l’accesso delle PMI e degli altri operatori ai finanziamenti. E aveva sottolineato la mancanza di competenze specifiche, nel settore culturale, del Fondo europeo per gli investimenti (FEI) (9), al quale è stato affidato il compito di attivare la garanzia settoriale da 121 milioni di EUR.

3.2.3.

Secondo le regole del programma Europa creativa, tale garanzia deve avere un effetto leva del 5,7 %, il che, tradotto in cifre, corrisponde a circa 700 milioni di EUR disponibili per una procedura di appalto che consenta di selezionare i prestatori di servizi incaricati di rafforzare le capacità amministrative per conto dello strumento di garanzia.

3.2.4.

Inoltre, sarebbe opportuno anche diversificare le modalità di finanziamento. Il crowdfunding, anche nella sua dimensione transfrontaliera, consente un accesso più facile al finanziamento di progetti e riduce il rischio per gli investitori (La Tribune, 11 febbraio 2014).

3.2.5.

Più in generale, si pone con forza la questione della valutazione finanziaria degli attivi immateriali. La Commissione europea riconosce sì l’importanza di questi attivi, ma non suggerisce alcun metodo comune per la loro valutazione finanziaria.

3.2.6.

Un numero insufficiente di punti di contatto locali: in ogni Stato membro si contano da 1 a 4 sportelli Europa creativa, situati nella capitale o in altre grandi città. Tale rete non è probabilmente sufficiente a garantire una promozione dei programmi in tutte le regioni particolarmente incentrate sulle imprese del settore creativo e culturale.

3.3.    Adeguare le norme sulla proprietà intellettuale alla rivoluzione digitale

3.3.1.

Attualmente il dibattito sulla riforma della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (10) sul diritto d’autore è basato anche su una comunicazione del 19 maggio 2010 [«Un’agenda digitale europea», COM(2010) 245 final], affrontando una serie di questioni difficili da risolvere:

occorre creare un titolo europeo unico del diritto d’autore?

come adattare il diritto d’autore, che oggi si presenta in forme molto diverse e complesse nei singoli Stati membri, a nuove forme di espressione culturale?

è auspicabile armonizzare in tutta l’UE la durata della tutela del diritto d’autore?

il legislatore ha anticipato la rivoluzione della stampante 3D?

3.3.2.

Un altro argomento delicato è quello della remunerazione degli autori e degli artisti/interpreti in relazione agli introiti derivanti dalla diffusione online delle loro opere ed esecuzioni.

3.3.3.

Il CESE insiste sulla necessità di un regime equilibrato, che garantisca una remunerazione giusta ed equa a tutti gli aventi diritto e in particolare ai creatori di contenuti, agli artisti interpreti o esecutori e ai produttori.

3.3.4.

Reputa altresì importante aiutare le PMI e le microimprese del settore creativo e culturale a tutelare i loro diritti di proprietà intellettuale (11), in particolare nei settori della moda e del design.

3.3.5.

Il CESE esorta inoltre la Commissione europea a dar prova di coerenza sottoponendo a revisione anche la direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sul commercio elettronico (12) al fine di responsabilizzare tutti i soggetti interessati (attori/aventi diritto, servizi di hosting, motori di ricerca, fornitori di soluzioni di pagamento ecc.) riguardo alla lotta contro la pirateria.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.    Introdurre quanto prima dei meccanismi territoriali di incentivazione

4.1.1.

Il CESE sottolinea che è proprio a livello locale che si possono creare — oppure no — delle forme di cooperazione. Occorre insistere sul ruolo cruciale che svolgono i cluster culturali, i distretti creativi, i luoghi di incontro accessibili e gratuiti messi a disposizione dalle città e dalle regioni, come dimostrato da numerose testimonianze (Vallonia, Rodano-Alpi) nel corso dell’audizione del 15 giugno 2015. Nella loro relazione sulla resilienza delle ICC (13), gli esperti della rete europea hanno osservato che «le politiche pubbliche volte a promuovere la cultura e la creatività sembrano avere un impatto maggiore a livello infranazionale».

4.1.2.

Il programma annuale per l’attuazione dell’iniziativa Europa creativa prevede di destinare 4,9 milioni di EUR agli sportelli Europa creativa, che attualmente sono troppo pochi e si trovano solo nelle capitali o in altre grandi città, il che non garantisce necessariamente la migliore ubicazione rispetto agli attori interessati.

4.2.    Dare le risposte necessarie alla situazione, talora precaria, dei lavoratori atipici nelle ICC non del settore lusso

4.2.1.

Secondo una relazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), del maggio 2014, sul tema delle relazioni industriali nel settore dei media e delle imprese culturali (14), vi sono:

2,3 milioni di dipendenti nei segmenti dell’editoria, della produzione di video e della televisione,

1,2 milioni di occupati nei comparti della stampa e della pubblicazione di media,

1 milione di artisti, la metà dei quali avrebbe uno status di «autoimprenditore».

4.2.2.

Nella maggior parte di queste professioni, e in particolare nel settore dei media e della cultura, negli ultimi decenni si assiste al diffondersi di impieghi cosiddetti atipici, con il moltiplicarsi dei contratti a tempo parziale e a tempo determinato, del lavoro interinale e del lavoro autonomo o parasubordinato.

4.2.3.

Il CESE sostiene i punti di consenso adottati dall’OIL nel maggio 2014 (15), ribadendo che i principi e i diritti fondamentali nel lavoro devono applicarsi a tutti i lavoratori del settore dei media e della cultura, indipendentemente dalla natura del loro rapporto di lavoro. Constata che determinati lavoratori del settore dei media e della cultura non beneficiano di un’adeguata protezione sociale (disoccupazione, pensione, sicurezza sociale ecc.) e che talvolta un maggiore ricorso al subappalto e l’esistenza di regimi molto diversi tra i lavoratori atipici delle ICC possono far crescere i rischi in materia di sicurezza e salute.

4.2.4.

Il CESE si pronuncia a favore di un’attività di contrattazione collettiva più intensa nei diversi comparti di questo settore, finalizzata a migliorare le condizioni di lavoro.

4.2.5.

Il CESE chiede alla Commissione europea di presentare un ambizioso «pacchetto» legislativo sulla mobilità, che permetta di affrontare adeguatamente i problemi di mobilità all’interno dell’UE dei professionisti delle ICC e di facilitare il rilascio dei visti nel quadro degli scambi con i paesi terzi.

4.3.    Anticipare i cambiamenti negli strumenti di istruzione e formazione nel settore delle ICC

4.3.1.

Già in passato il CESE ha richiamato l’attenzione sulla necessità di promuovere una maggiore conoscenza delle imprese del settore creativo nei percorsi dell’istruzione di base e della formazione professionale, secondo quanto indicato nella Carta internazionale dell’artigianato artistico (16).

4.3.2.

Occorre sottolineare il ruolo fondamentale del servizio pubblico radiotelevisivo come primo vettore di educazione alla cultura e di diffusione di programmi di alto contenuto letterario, storico od artistico.

4.3.3.

Il CESE ritiene poi che, in un periodo in cui i modelli economici si evolvono rapidamente soprattutto a causa dei cambiamenti di abitudini dei consumatori, i corsi di formazione ai mestieri del settore creativo e culturale dovrebbero prevedere anche l’insegnamento di nozioni di economia, gestione e strategia. I dirigenti e gli imprenditori delle ICC devono inoltre avere la possibilità di accedere a questi corsi nel quadro della formazione professionale permanente.

4.3.4.

In tutta una serie di pareri il CESE ha insistito sull’importanza che riveste la formazione per trasmettere know-how sviluppati dal mondo dell’artigianato e ormai poco diffusi. Ma quello che emerge con sempre maggiore evidenza in diversi Stati membri è il crescente divario tra il contenuto dei programmi scolastici e le esigenze del mercato, il che ha indotto alcuni soggetti della società civile ad impegnarsi nel campo della formazione creando istituti di insegnamento privati o istituendo, nel quadro di un partenariato pubblico-privato, delle formazioni brevi (4 settimane) di carattere molto pratico, incentrate su un mestiere che permetta ai giovani, diplomati o meno, di essere operativi nel più breve tempo possibile.

4.3.5.

Il Consiglio europeo delle competenze per i settori dell’audiovisivo e degli spettacoli dal vivo ha iniziato i lavori nel novembre 2014. Il CESE segue con interesse le attività di tale organo, che dovrebbero permettere di anticipare meglio i fabbisogni di formazione iniziale e continua.

4.3.6.

Il CESE ritiene importante che, in questo contesto, le parti sociali e il Consiglio europeo delle competenze siano strettamente associati alle attività di ESCO (17) (classificazione europea multilingue di abilità, competenze, qualifiche e occupazioni).

4.3.7.

Il CESE auspica una maggiore sinergia tra il polo «alleanze della conoscenza» del programma Erasmus+ e il programma «Europa creativa».

4.4.    Non abbassare la guardia di fronte alle strategie dei nostri concorrenti globali

4.4.1.

Il CESE chiede che, data l’incidenza delle ICC sull’economia europea, siano presi in considerazione tutti gli aspetti che interessano questo settore: occupazione, competenze, formazione, proprietà intellettuale ecc. La dimensione esterna del settore deve essere parte integrante dei negoziati bilaterali e multilaterali in corso, dal momento che i beni e servizi ad elevato contenuto creativo e culturale rappresentano una quota crescente delle esportazioni dell’UE. Secondo l’ECCIA, i prodotti di lusso rappresentavano nel 2013 circa il 17 % delle esportazioni totali dell’UE.

4.4.2.

Tener conto delle specificità di questo settore in termini di contenuti significa prestare una maggiore attenzione ai diritti di proprietà intellettuale e alla regolamentazione del commercio elettronico.

4.5.    Elaborare una narrazione attraente intorno ai valori dell’Unione europea

4.5.1.

I valori dell’UE meritano di essere promossi e diffusi sulle reti sociali utilizzando formati attraenti.

4.5.2.

Un invito a presentare progetti rivolto a videomaker, grafici, disegnatori, musicisti ecc. permetterebbe di elaborare contenuti vivaci e immaginosi, in grado di diffondersi in maniera «virale» presso i giovani.

4.6.    Incentivare la fertilizzazione incrociata

4.6.1.

L’obiettivo di creare e sviluppare sinergie tra differenti imprese del settore creativo e culturale rientra nel quadro concettuale elaborato dalla Commissione europea per il programma Europa creativa (18).

4.6.2.

Vengono già realizzati occasionalmente esperimenti molto incoraggianti che coinvolgono, ad esempio, gastronomia, digitale e turismo, oppure arte e lusso, o ancora cultura e turismo.

4.6.3.

In molti casi, queste esperienze di fertilizzazione incrociata tra ICC di comparti diversi e tra ICC e altri settori di attività non sono riproducibili su scala industriale, poiché si basano su una comprensione delle caratteristiche specifiche di ciascun settore.

4.6.4.

Inoltre, le pratiche di fertilizzazione incrociata che si sviluppano nel settore delle ICC consentono, grazie ai progressi della tecnologia (stampa 3D, stampa digitale), di stimolare lo sviluppo di profili professionali incentrati sulla creazione e l’innovazione, vettori di posti di lavoro futuri.

4.7.    La valorizzazione economica del patrimonio architettonico

4.7.1.

L’UE vanta la più alta densità culturale al mondo: sul suo territorio si trovano infatti 363 dei 981 siti naturali e culturali considerati patrimonio dell’umanità dall’Unesco. È dimostrato che i flussi di turisti indiani, cinesi, giapponesi e statunitensi diretti in Europa sono attirati principalmente dalla ricchezza di questo nostro patrimonio (19). Qualsiasi miglioramento della politica in materia di visti va quindi incoraggiato, fatte salve le superiori esigenze di sicurezza definite dagli Stati membri e dai paesi terzi interessati.

4.7.2.

Tuttavia, il fatto che vari paesi dell’UE provvisti di un vasto patrimonio architettonico come la Grecia (17), la Francia (39), l’Italia (47) o la Spagna (44) abbiano anche un elevato debito pubblico comporta delle difficoltà per la conservazione e la manutenzione di questi monumenti storici. Nella misura in cui questa ricchezza culturale e architettonica dell’Europa costituisce una straordinaria risorsa per poter continuare a sviluppare il turismo culturale, chiediamo alla Commissione europea di fare un bilancio dello stato attuale di manutenzione dei siti catalogati dall’Unesco nell’Unione europea.

4.8.    Istituire un forum europeo con una pluralità di soggetti

4.8.1.

Il CESE ha già formulato questa richiesta (20), appoggiata anche dal Comitato delle regioni, il quale chiede l’istituzione di un Forum europeo della creatività (21) dove «esponenti del settore pubblico, privato e non profit analizzino i modi in cui l’Europa potrebbe applicare soluzioni creative ai problemi che la affliggono a livello locale e generale».

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2012) 537 e i relativi documenti di lavoro sulle industrie della moda e dei prodotti di alta gamma SWD(2012) 286 e SWD(2012) 284; (GU C 198 del 10.7.2013, pag. 39).

(2)  Tra i pareri orizzontali e tematici del CESE, basti ricordare qui: GU C 110 del 9.5.2006, pag. 34; GU C 108 del 30.4.2004, pag. 68; GU C 51 del 17.2.2011, pag. 43; GU C 181 del 21. 6.2012, pag. 35; GU C 198 del 10.7.2013, pag. 14; GU C 110 del 9.5.2006, pag. 1; GU C 44 dell’11.2.2011, pag. 75; GU C 451 del 16.12.2014, pag. 64; GU C 191 del 29.6.2012, pag. 18; GU C 230 del 14.7.2015, pag. 47.

(3)  Cfr. lo studio del British Council Mapping the creative industries: a toolkit («Mappare le imprese del settore creativo: uno strumentario»), http://creativeconomy.britishcouncil.org/media/uploads/resources/mapping_the_creative_industries_a_toolkit_2-2.pdf

(4)  GU C 51 del 17.2.2011, pag. 43.

(5)  TERA Consultants, The Economic Contribution of the creative industries to EU GDP and employment [Il contributo economico delle industrie creative al PIL e all’occupazione dell’UE], 2014.

(6)  P7_TA (2013)0227, punto 11.

(7)  GU C 198 del 10.7.2013, pag. 39.

(8)  http://www.eurofound.europa.eu/sites/default/files/ef_publication/field_ef_document/ef1384en14.pdf

(9)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 35.

(10)  GU L 167 del 22.6.2001, pag. 10.

(11)  Cfr. il parere del CESE «Verso un rinnovato consenso sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale: piano d’azione dell’Unione europea», GU C 230 del 14.7.2015, pag. 72.

(12)  GU L 178 del 17.7.2000, pag. 1.

(13)  http://www.eenc.info/fr/eencdocs-fr/rapports/la-resilience-de-lemploi-dans-les-secteurs-culturels-et-creatifs-sccs-pendant-la-crise/

(14)  Les relations d’emploi dans les industries des médias et de la culture («I rapporti di lavoro nelle imprese del settore dei media e della cultura») (maggio 2014) http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---ed_dialogue/---sector/documents/publication/wcms_240701.pdf

(15)  Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), GDFMCS/2014/7, Forum di dialogo mondiale sui rapporti di lavoro nel settore dei media e della cultura, Ginevra, 14-15 maggio 2014, punti di consenso.

(16)  Cfr. la nota 4.

(17)  La classificazione ESCO è stata lanciata dalla Commissione europea nel 2010 nel quadro della strategia Europa 2020.

(18)  Regolamento (UE) n. 1295/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013, che istituisce il programma Europa creativa (2014-2020) (GU L 347 del 20.12.2013, pag. 221).

(19)  GU C 44 dell’11.2.2011, pag. 75.

(20)  GU C 198 del 10.7.2013, pag. 39.

(21)  GU C 218 del 30.7.2013, pag. 7.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/89


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Programmi di sviluppo rurale: semplice palliativo o primi segnali di ripresa?»

(parere di iniziativa)

(2016/C 013/14)

Relatore:

Tom JONES

Correlatrice:

Joana AGUDO I BATALLER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 22 gennaio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del suo Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Programmi di sviluppo rurale: semplice palliativo o primi segnali di ripresa?

(parere d’iniziativa).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 17 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 192 voti favorevoli, 3 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l’impegno mostrato costantemente dall’UE, dagli Stati membri e dalle regioni nell’affrontare alcune delle sfide che concernono le zone rurali attraverso un ampio programma di sviluppo rurale (PSR). Riconosce gli sforzi condotti dalla Commissione e dalle pubbliche amministrazioni nell’elaborazione e nell’adozione del nuovo programma. Tuttavia, considerando la crisi reale che colpisce molte zone rurali svantaggiate, esprime disappunto per i ritardi nella presentazione, nell’approvazione e nell’avvio del programma in diversi paesi e regioni. Pertanto, raccomanda alla Commissione di commissionare, di concerto con le autorità statali e regionali, una verifica indipendente del processo al fine di evitare ulteriori ritardi in futuro.

1.2.

Il successo del PSR dipende dall’efficacia del principio di partenariato. È essenziale che vi sia una titolarità condivisa del programma tra operatori pubblici, privati, interlocutori sociali e ONG del settore, conformemente agli obblighi e agli altri impegni previsti dal trattato. Il CESE fa osservare che vi sono stati miglioramenti per quanto riguarda l’impegno nel corso dei programmi precedenti, ma il partenariato non è tuttora uniforme in tutta l’UE.

1.3.

Il ruolo dei comitati di sorveglianza deve essere trasparente. I loro membri dovrebbero controllare gli obiettivi in modo scrupoloso e avere accesso agli orientamenti finanziari. La loro composizione dovrebbe essere inclusiva e permettere di tenere conto, se del caso, di gruppi di interesse.

1.4.

Conformemente al regolamento (UE) n. 1303/2013 e in particolare l’articolo 5 concernente il partenariato e la governance, il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe monitorarne l’applicazione in sede di elaborazione degli accordi di associazione e di attuazione dei programmi, anche attraverso la partecipazione ai comitati di monitoraggio.

1.5.

Il CESE accoglie favorevolmente la possibilità di ampliare i programmi sulla base di esigenze e priorità locali, così come approva il crescente ricorso al modello di sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) per un coinvolgimento inclusivo delle comunità. È altresì opportuno diffondere le migliori pratiche di efficienza lavorativa nell’uso del modello.

1.6.

I vincoli di bilancio implicano che il ruolo di tali programmi sia complementare rispetto al resto del bilancio della PAC e non ne costituisca un doppione. Si raccomanda di utilizzare al massimo le fonti di cofinanziamento governative, private e di volontariato, e di definire una procedura semplificata per i richiedenti. Le autorità di gestione dovrebbero facilitare l’accesso ai fondi della politica di coesione e ad altri fondi di investimento europei laddove i progetti soddisfino criteri più ampi.

1.7.

Come è già stato fatto notare dal CESE (1), quindici Stati membri hanno trasferito fondi dai pagamenti diretti ai PSR, mentre in altri cinque Stati membri si è proceduto a trasferimenti dal secondo al primo pilastro. Ambedue le opzioni sono legittime, nella misura in cui esse sono ammesse dal colegislatore, ma non hanno lo stesso valore perché i PSR servono l’obiettivo di uno sviluppo territoriale più equilibrato in seno a ciascuna regione dell’UE. Si raccomanda di eseguire uno studio sulla coerenza e sull’efficacia di questa flessibilità, che includa anche il suo impatto sulla concorrenza nel mercato unico.

1.8.

La definizione delle priorità di spesa varierà notevolmente nei diversi Stati membri e regioni. Nel presente parere si sottolinea l’importanza dello sviluppo sostenibile per l’attività economica, l’ambiente e la giustizia sociale, mettendo in particolare l’accento sulla valorizzazione delle risorse terrestri. Il CESE raccomanda alla Commissione di avviare un esame intermedio dei progressi compiuti nel conseguimento degli obiettivi stabiliti per le priorità summenzionate, pur onorando gli impegni assunti. Le autorità competenti dovrebbero avere la facoltà di effettuare adeguamenti per consentire ai nuovi progetti di conseguire un buon esito del programma e di trarre insegnamenti per qualsiasi successiva politica quadro in materia rurale.

1.9.

È forte la preoccupazione che i PSR non saranno in grado di conseguire una migliore coesione territoriale. Le zone più remote ed economicamente emarginate, all’interno e tra Stati membri e regioni, non dispongono della capacità strutturale necessaria per trarre beneficio dai fondi e dal sostegno disponibili. Risultano necessarie ulteriori risorse mirate a più lungo termine, tra cui il tutoraggio transfrontaliero, il gemellaggio, lo sviluppo di capacità per le strutture di consulenza e forme innovative di prestiti ed investimenti concernenti imprese private e imprese sociali.

1.10.

Il modello Leader, già consolidato, è rispettato e le reti di sviluppo rurale finanziate dalla CE sono incoraggiate a diffondere ulteriormente le migliori pratiche.

1.11.

È chiaro il forte accento posto da tutti i programmi sul mantenimento dei posti di lavoro e sulla creazione di nuove opportunità occupazionali nelle zone rurali così come risultano rilevanti gli investimenti, lo scambio di conoscenze, la formazione, il tutoraggio e legami più stretti con gli istituti di ricerca. Rivestono una certa importanza anche le misure per incentivare i giovani a cercare un futuro nelle zone rurali insieme ad interventi per facilitare l’integrazione delle persone con esigenze specifiche o che soffrono di handicap fisici o mentali. Gli incentivi finanziari a sostegno del rinnovo generazionale sono cruciali. Le scuole e gli istituti di istruzione superiore delle zone rurali devono inoltre essere più consoni alle esigenze tradizionali e innovative di queste aree in termini di competenze.

1.12.

Va altresì affrontato il problema della pianificazione delle successioni, integrando le opportunità offerte dai PSR per la sperimentazione di modelli imprenditoriali con le norme nazionali o regionali sui trasferimenti di attivi. La mobilità della manodopera è incoraggiata purché sia sostenuta da una formazione di qualità e dal rispetto dei diritti in materia di lavoro.

1.13.

Il contributo delle donne al successo del programma dovrebbe essere visto come un obiettivo specifico e godere di un apposito sostegno. Il loro ruolo è essenziale per garantire la sopravvivenza delle zone rurali, non solo perché contribuiscono a diversificare e a trasformare i prodotti agricoli ma anche perché prendono parte allo sviluppo territoriale locale attraverso l’offerta di attività artigianali o agrituristiche o anche in quanto fattore essenziale d’innovazione.

1.14.

Il CESE accoglie favorevolmente le misure volte a migliorare l’ambiente, i suoi ecosistemi e i paesaggi culturali. Il sostegno ai prodotti locali, accuratamente etichettati, alle attività di agriturismo e ai programmi di energie rinnovabili di piccole dimensioni e su scala comunitaria dovrebbe apportare benefici sostenibili all’economia e alla collettività. La ripresa delle zone rurali può avvenire solo se sostenuta da imprese agricole, forestali e rurali efficienti e redditizie. Ulteriori sforzi saranno necessari per migliorare la comprensione tra gli agricoltori e i proprietari di foreste che producono alimenti o materie prime rinnovabili e beni ambientali e ricreativi, e i consumatori di nazionalità europea sempre più diversa.

1.15.

L’impatto del cambiamento climatico sull’agricoltura e la silvicoltura e viceversa è una priorità che va affrontata nell’ambito di detti programmi. Il CESE approva i progetti concernenti la cattura del carbonio, il miglioramento della qualità delle acque e del suolo, la riduzione delle emissioni, l’arricchimento degli ecosistemi e lo sviluppo dell’economia circolare. I miglioramenti devono essere a lungo termine e vanno misurati scientificamente nell’ambito di vari regimi agroambientali e di altro tipo, compresa la produzione integrata.

1.16.

La lotta contro l’ingiustizia sociale dipende da risorse e da politiche governative e dell’UE di più ampio respiro, inclusa una migliore offerta di Internet, di servizi di trasporto e di istruzione.

1.17.

Il rinnovamento dei villaggi sul piano economico e della collettività è essenziale e i PSR dovrebbero essere valutati anche per la loro capacità di includere tutti i cittadini delle aree rurali. La partecipazione della società civile e l’imprenditorialità sono di vitale importanza per la sostenibilità delle zone rurali.

2.   Introduzione

2.1.

L’Europa rurale è la linfa vitale per tutti i cittadini europei, non solo per coloro che vivono e lavorano nelle campagne. Le zone rurali offrono prodotti alimentari sicuri, legname, minerali e risorse idriche. Forniscono inoltre vari tipi di habitat, energie rinnovabili, aree ricreative, paesaggi storici, prodotti artigianali e soprattutto una popolazione che vanta numerose competenze e presenta un certo grado di diversità culturale. Circa 115 milioni (23 %) di cittadini dell’UE vivono, dal punto di vista statistico, in zone rurali.

2.2.

Tuttavia, tra queste ultime vi sono notevoli variazioni in termini di prosperità economica e coesione sociale. Alcune sono ricche e dinamiche, altre sono fragili, scarsamente popolate e frammentate. Molte di queste zone sono ricche di beni ma povere in termini monetari, caratterizzate da insediamenti sparsi qua e là con un accesso limitato ai servizi pubblici. Questo vale in particolare per le regioni periferiche, le aree montane e le isole. L’attrazione esercitata dai centri urbani, dove si concentrano le moderne attività economiche e sociali, è inesorabile. Ciò rende difficile per i governi, in particolare quando mettono in pratica soluzioni urbane inadeguate, assicurare comunità rurali sostenibili. La mobilità e la libera circolazione delle persone sono principi essenziali per l’Unione europea. Esse presentano tuttavia conseguenze indesiderate per le regioni rurali più povere in quanto troppe persone, soprattutto giovani, abbandonano le loro terre senza più tornarvi, alla ricerca di migliori prospettive di vita.

2.3.

L’Europa ha bisogno di una visione atta a ristabilire la fiducia nel benessere nelle zone rurali, basata su una crescita verde in grado di promuovere l’economia circolare, su una maggiore comprensione delle esigenze delle comunità ivi residenti e su servizi di sostegno più intelligenti. Nel presente parere si tenterà di capire perché esistano differenze nei tassi di successo e di stabilire quali siano le prospettive di reali miglioramenti durante il nuovo programma di finanziamento. Ci si chiederà inoltre se per i tre pilastri dello sviluppo sostenibile (economico, ambientale e della giustizia sociale) siano stati tratti gli opportuni insegnamenti. Esiste un vero senso di titolarità e di partnership tra tutte le parti interessate?

3.   Osservazioni generali

3.1.

Gli Stati membri e le regioni hanno adottato numerose misure volte a riequilibrare le opportunità economiche tra zone rurali e zone urbane e a stabilizzare la coesione sociale e, attraverso il primo pilastro [regolamento (UE) n. 1307/2013] e il secondo pilastro [regolamento (UE) n. 1305/2013] della PAC, come pure a titolo dei fondi strutturali/di coesione, l’UE ha portato avanti sforzi costanti per invertire la tendenza al declino, seppur con risultati limitati e variabili. L’attuale sostegno dell’UE a favore dello sviluppo rurale, finanziato dal Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) istituito dal regolamento (UE) n. 1306/2013 è stimato, prima del trasferimento tra i pilastri, a 95,6 miliardi di EUR, pari al 23 % del bilancio della PAC.

3.2.

I programmi 2014-2020 si basano su anni di esperienza per quanto concerne quello che funziona e quello che non funziona. La Commissione sostiene la Rete europea per lo sviluppo rurale (RESR) e il partenariato europeo per l’innovazione dal titolo «Produttività e sostenibilità dell’agricoltura» (PEI-Agri) al fine di promuovere le buone prassi e le soluzioni innovative, e il CESE raccomanda di intensificare questo lavoro a tutti i livelli. È possibile trarre insegnamenti dalle buone pratiche di altri finanziatori.

3.3.

I bilanci previsti, pur essendo inferiori ad altri bilanci dell’UE, possono rivelarsi intelligenti e essere ampliati grazie a fonti di cofinanziamento governative e di altro genere. I programmi devono essere complementari alle risorse del primo pilastro e collegati ad altre fonti di finanziamento, se del caso nell’ambito di un’infrastruttura burocratica senza intralci, in modo da permettere di dare agli eventuali richiedenti una risposta rapida e un sostegno tutoriale da parte di agenzie di consulenza e di autorità locali responsabili della pianificazione.

3.4.

Le componenti dei programmi sono sufficientemente flessibili e locali per basarsi sulle esigenze reali delle comunità. Il modello Leader e i gruppi di azione locale comportano, laddove funzionino in maniera efficiente e concreta, una titolarità condivisa e risultati positivi. L’assistenza tecnica per tutte le parti interessate, abbinata al tutoraggio e alla formazione, risulta fondamentale in tutti i progetti e le iniziative.

3.5.

Tuttavia, le zone più svantaggiate fanno difficoltà a produrre veri e propri miglioramenti attraverso programmi a breve termine, a causa della mancanza di risorse per le imprese, di infrastrutture carenti, di una leadership comunitaria povera di esperienza e delle minori possibilità di accesso ad altri investimenti. Per migliorare la coesione territoriale, si dovrebbe prestare maggiore attenzione a questi settori, come nel quadro del precedente obiettivo 1 dei programmi a titolo dei fondi strutturali e di coesione.

3.6.

La Commissione ha elaborato nuovi regolamenti finanziari per il periodo 2014-2020 e si auspica che essi risultino comprensibili per le autorità di gestione e per i comitati di monitoraggio e che vengano correttamente applicati, senza aumentare l’onere burocratico per i richiedenti. A tale proposito la Corte dei conti europea, nelle sue relazioni (2) concernenti il periodo di programmazione 2007-2013 e il quadro giuridico 2014-2020, ha formulato proposte per assicurare una maggiore convenienza.

3.7.

La preparazione e l’approvazione dei nuovi programmi hanno subito gravi ritardi, nonostante le promesse di semplificazione. Si tratta di una circostanza del tutto deplorevole, visto lo stato allarmante di molte delle zone rurali più povere e il desiderio che tali programmi possano contribuire ad affrontare urgentemente la disoccupazione giovanile, il basso reddito, i servizi pubblici carenti e l’impatto dei cambiamenti climatici. Nel maggio 2015 circa il 57 % (3) dei programmi regionali e nazionali dovevano ancora essere approvati, ma si auspica che il processo possa essere completato entro la fine dell’anno.

4.   La consultazione e la partecipazione delle parti interessate

4.1.

Il CESE sottolinea l’importanza di attuare il regolamento (UE) n. 1303/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo, il Fondo di coesione, il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e il Fondo per gli affari marittimi e la pesca. Il Comitato sottolinea la particolare importanza dell’articolo 5 in materia di partenariato e governance multilivello che prevede il coinvolgimento di altre autorità pubbliche, interlocutori economici e sociali, e organi che rappresentano la società civile. La Commissione dovrebbe pertanto monitorare l’applicazione del regolamento in sede di elaborazione degli accordi di partenariato e di attuazione dei programmi, anche attraverso la partecipazione ai comitati di sorveglianza dei programmi.

4.2.

Il presente parere esamina il livello di impegno nel corso della preparazione dei programmi di sviluppo rurale, nonostante le sue conclusioni subiscano i limiti dettati dalla carenza e dalla ridotta gamma geografica dei programmi approvati. Tre audizioni (4) si sono tenute e un questionario è stato distribuito in modo più ampio. Le prime risposte indicano che l’impegno da parte dei governi e delle organizzazioni non governative varia sul piano territoriale ma è più ampio e più maturo rispetto ai programmi precedenti. Tuttavia, occorre compiere maggiori sforzi per diffondere le buone pratiche in materia di impegno, tra cui un maggior uso delle tecnologie di comunicazione per un dialogo costante. Il dialogo varia notevolmente all’interno di Stati membri e regioni. Gli accordi di partenariato possono avere un valore puramente simbolico, lo sviluppo locale di tipo partecipativo (CLLD) è adottato solo in alcuni settori, e la consultazione realmente inclusiva prende fine non appena il processo è iniziato e non quando sta per finire (5). Vi sono esempi di buone prassi disponibili e si possono spesso riscontrare laddove un impegno analogo ha portato a risultati migliori con altre iniziative politiche (6).

4.3.

I governi non possono, da soli, realizzare i cambiamenti necessari per rafforzare le zone rurali. Essi possono fornire il quadro legislativo e di pianificazione, garantire la responsabilità democratica, migliorare i servizi pubblici e catalizzare i finanziamenti. Tuttavia, sono soprattutto le imprese private, i lavoratori qualificati e le imprese sociali e locali ad operare per la popolazione e l’ambiente. Per essere disposti a investire tempo e risorse, le persone devono poter contare su una visione comune per un futuro migliore delle zone rurali senza che vi siano lunghe procedure di richiesta a fare da ostacolo.

4.4.

Per ottenere risultati concreti, i partner economici e sociali hanno bisogno di risorse per garantire un impegno costante con i loro membri e i governi. Dato che i progetti variano e si evolvono, occorre che vi sia un maggior senso di titolarità condivisa delle politiche e della loro attuazione. I comitati di monitoraggio devono avere un’ampia e varia composizione, i membri devono essere informati e in grado di effettuare analisi efficaci. Il CESE si è impegnato ad agevolare lo sviluppo di modelli di partenariato più adeguati con gli interlocutori civili e sociali (7).

5.   Semplici palliativi o ripresa a lungo termine?

5.1.

Le nostre audizioni (8) svoltesi a Bruxelles e nel Galles settentrionale hanno confermato che i programmi includevano obiettivi volti all’ottenimento di risultati. Questi ultimi dovrebbero essere soggetti ad una valutazione periodica da parte della Commissione, dei comitati di monitoraggio e delle parti interessate per verificare i progressi realmente compiuti e la convenienza. Il CESE raccomanda anche di elaborare uno studio per stabilire se il trasferimento di fondi tra pilastri si sia rivelato efficace oppure abbia contribuito a causare più ampie distorsioni sul piano geografico e della concorrenza.

5.2.

Vengono individuati tre aspetti da esaminare: in materia di sviluppo sostenibile: imprenditorialità e occupazione, ambiente e inclusione sociale.

Imprenditorialità e occupazione

5.3.

Sebbene il bilancio della PAC sia in diminuzione, i requisiti aggiuntivi in materia di conformità definiti dalla Commissione per i pagamenti del primo pilastro sono in aumento. È dunque indispensabile che il PSR promuova investimenti per un settore agricolo e forestale competitivo, anche attraverso prodotti di maggiore valore aggiunto nonché una migliore commercializzazione, catene di approvvigionamento più corte, il branding e lo scambio di conoscenze. Le università e gli istituti di istruzione superiore hanno un ruolo importante da svolgere all’interno delle proprie regioni e nel sostenere le regioni più svantaggiate attraverso iniziative di gemellaggio e di tutoraggio. Essi dovrebbero collaborare con gli attuali servizi di consulenza rurale e forestale e utilizzare i fondi dell'UE per la ricerca per rispondere a specifiche esigenze locali. Il PSR dovrebbe costituire un ponte tra i richiedenti da un lato, e il Fondo europeo per gli investimenti e Orizzonte 2020 dall’altro, per fare in modo che i progressi scientifici vengano applicati alle aziende agricole e alle zone rurali. Le scuole, pur non essendo direttamente finanziate dal PSR, hanno un ruolo preciso da svolgere, soprattutto nelle zone rurali, nel soddisfare le esigenze imprenditoriali delle generazioni future. Le giornate «porte aperte» nelle aziende agricole, le esperienze di lavoro e i tirocini a titolo di altri meccanismi di finanziamento sono di vitale importanza in quanto fonte di ispirazione per una forza lavoro adeguatamente formata (9). La formazione, tanto formale quanto informale, deve essere professionale, orientata alle imprese e, ove possibile, basata a livello locale (10).

5.4.

Il settore agricolo e quello forestale operano in un contesto economico dinamico, caratterizzato dalla globalizzazione, da rapidi progressi tecnologici e da esigenze sociali sempre maggiori. Le innovazioni sono la chiave essenziale per mantenere l’efficienza e la competitività degli agricoltori e dei proprietari di foreste. I recenti PEI-Agri sono uno strumento prezioso che deve essere attuato rapidamente e ampiamente. Per mobilitare e favorire l’innovazione è necessario snellire le condizioni di finanziamento.

5.5.

Nelle zone rurali, la garanzia per i giovani e i regimi analoghi devono essere collegati alle iniziative PSR in modo che vi siano possibili margini di avanzamento e di progetti ambiziosi. Il sostegno agli investimenti e alla formazione per i giovani agricoltori e i nuovi operatori che entrano nel mercato si rivela un elemento essenziale. I progetti volti a sostenere i giovani e a mantenerli nelle zone rurali devono rappresentare una priorità assoluta. I giovani dovrebbero essere incoraggiati ad assumere la titolarità delle misure elaborate a loro favore. Le aree rurali hanno bisogno di un migliore quadro di pianificazione della successione (11) che sia giuridicamente equo, che si riveli accessibile e che stimoli trasferimenti intergenerazionali sostenibili nel mettere insieme il fattore gioventù con il fattore esperienza.

5.6.

Il ruolo delle donne nell’agricoltura viene pienamente riconosciuto. Il loro contributo alla definizione e alla realizzazione di progetti rurali è inestimabile e, come avviene ad esempio in Finlandia, un sostegno mirato in materia di consulenza comporta la liberazione del potenziale imprenditoriale (12).

5.7.

Le iniziative nel settore dell’agriturismo, la produzione di artigianato nonché le azioni ricreative, nel campo della salute e del benessere meritano di essere sostenute così come il lavoro di promozione di festival, ad esempio il Royal Welsh e la settimana verde a Berlino. Rinnovare l’impegno di città e paesi in una Europa pluralista e in costante evoluzione è indispensabile per le imprese e i consumatori delle zone rurali, al pari di un migliore accesso ai servizi Internet a banda larga. La creazione di catene di valore regionali costituisce un’importante opportunità per il settore dell’artigianato, dell’agricoltura, del turismo e del commercio, e per le aree rurali (13). Il CESE sostiene il proposto Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) e il suo impegno a favorire progetti nelle zone rurali.

Ambiente

5.8.

L’impatto del cambiamento climatico sull’agricoltura e la silvicoltura è stato analizzato in un parere (14). Una delle soluzioni per aumentare la produzione utilizzando meno risorse e migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici è incoraggiare l’intensificazione sostenibile dell’agricoltura e del settore forestale. Promuovendo un moderno utilizzo dei terreni è possibile sviluppare le attività di attenuazione dei cambiamenti climatici, lottare contro questi stessi fenomeni e potenziare la biodiversità, in particolare mediante regimi agroambientali (15). Il riciclaggio e l’economia circolare dovrebbero essere favoriti (16); le energie rinnovabili (17) sono, dal canto loro, un bene rurale molto prezioso che, se investito correttamente, darà un contributo economico, sociale e ambientale sempre crescente. Eventuali miglioramenti tecnologici nel campo dello stoccaggio, della logistica e delle infrastrutture possono davvero promuovere la titolarità comunitaria e i relativi investimenti.

5.9.

Il CESE sottolinea l’importanza di misure climatiche agroambientali complementari alla ecologizzazione del primo pilastro. Aiuti mirati in funzione di criteri specifici come i terreni esposti al rischio di erosione, il raggruppamento dei terreni, le zone di captazione d’acqua, nonché il sostegno alle specie che richiedono particolari pratiche di gestione, sono utili. Tuttavia, i requisiti di conformità non devono diventare oneri supplementari. È necessaria una base scientifica accurata per misurare i progressi compiuti, pur comprendendo che ci vuole più tempo per produrre reali miglioramenti (18).

5.10.

Il paesaggio dell’Europa rurale è prevalentemente il risultato delle attività umane ed è stato modellato da generazioni che hanno lavorato per la produzione alimentare e di legname e per trovare un posto dove vivere La sua diversità è apprezzata dai cittadini europei. I PSR hanno un ruolo da svolgere nel garantire la sostenibilità di tali paesaggi culturali attraverso il trasferimento di competenze e di attività agricole finanziate in modo trasparente e tali da contribuire alla creazione di un mosaico così prezioso.

Inclusione sociale

5.11.

In un contesto rurale è difficile definire e combattere l’ingiustizia. Come sottolineato in precedenza, le zone rurali si caratterizzano da insediamenti sparsi, una bassa densità demografica, squilibri a livello di età, servizi pubblici di trasporto, sanitari e sociali inadeguati. La popolazione dispone di un reddito basso, vive isolata in abitazioni di scarsa qualità e dotate di servizi tecnologici modesti. Un problema specifico presente in talune zone concerne il maltrattamento e lo sfruttamento dei lavoratori (19), in particolare i migranti per la cui integrazione è richiesto un maggiore sforzo e ai quali va garantito l’accesso ad un’adeguata formazione professionale.

5.12.

L’articolo 39 del TFUE stabilisce che uno degli obiettivi più importanti della politica agricola comune è la garanzia di un tenore di vita adeguato per le comunità agricole attraverso un aumento della produttività, la promozione del progresso tecnico e la garanzia di uno sviluppo sostenibile della produzione agricola come pure un impiego ottimale dei fattori di produzione. Il TFUE stabilisce che nell’elaborare la PAC bisogna tener conto delle caratteristiche particolari dell’attività agricola, derivanti dalla struttura sociale dell’agricoltura e dalle disparità strutturali e naturali fra le diverse regioni agricole.

5.13.

I programmi di sviluppo rurale contribuiscono alla creazione e al consolidamento di posti di lavoro diretti e indiretti sia nel settore agricolo che in quello agroalimentare e inoltre permettono, in misura minore, di diversificare le zone rurali sul piano economico. Tuttavia, i programmi di sviluppo regionale possono realisticamente dare solo un contributo limitato alla soluzione dei problemi e delle carenze strutturali dei servizi pubblici nelle zone rurali.

5.14.

Sono richieste ulteriori risorse e politiche governative che tengano conto delle zone rurali o, meglio ancora, che siano concepite specificamente per far fronte alle questioni rurali; tra queste figurano i sistemi di trasporto comunitari, l’efficienza energetica nelle abitazioni e le opportunità di riconversione professionale per incoraggiare l’innovazione. Tuttavia, i programmi di sviluppo rurale devono essere valutati in base al loro contributo alla giustizia sociale utilizzando gli indicatori forniti dalla legislazione dell’UE e altri indicatori che è opportuno includere per una valutazione più efficace, ad esempio quelli volti a promuovere le imprese sociali e i progetti di agricoltura sociale che affrontano la disabilità, creano posti di lavoro e utilizzano edifici rurali e terreni abbandonati. Occorre intensificare notevolmente gli sforzi per sostenere e incoraggiare l’inclusione dei disabili che vivono nelle zone rurali, affinché essi possano svolgere un ruolo più incisivo nella loro comunità.

5.15.

I villaggi sono centri vitali per la solidarietà comunitaria. Il rinnovamento dei villaggi, attraverso la promozione delle piccole imprese e di quelle sociali e un sostegno da parte di attività filantropiche e di volontariato, dovrebbe essere una priorità essenziale per potenziare le comunità (20), come avviene in Finlandia e come dimostra l’esempio del PSR gallese (21).

Bruxelles, 17 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Relazione informativa sulle modalità di attuazione della PAC, EESC-2015-01409-00-00.

(2)  Relazioni speciali n. 22/2014, 23/2014, 4/2015, 5/2015.

(3)  Commissione europea — comunicato stampa del 26 maggio 2015, Adozione di altri 24 programmi di sviluppo rurale per rafforzare il settore agricolo dell’UE e il nostro spazio naturale.

(4)  Il 13 aprile 2015 a Bruxelles, Il 21 maggio 2015 a Bangor (Galles del Nord) e Il 9 giugno 2015 a Helsinki.

(5)  Parere sul tema Valutazione delle consultazioni delle parti interessate organizzata dalla Commissione europea (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 57).

(6)  Il Galles vanta una tradizione consolidata nei suoi processi di consultazione che deriva da un impegno sancito a livello costituzionale nella sua legge per la devolution governativa, che promuove lo sviluppo sostenibile e opera in partenariato con il settore del volontariato.

(7)  Trattato di Lisbona (articolo 11) e dichiarazione di Riga sulla piattaforma sociale del marzo 2015.

(8)  Cfr. la nota 4.

(9)  L’Accademia agraria gallese è un buon esempio di formazione per i futuri leader.

(10)  Parere sul tema Sviluppo e formazione professionale nelle aree rurali — NAT/650 (non ancora pubblicato nella GU).

(11)  Malcolm Thomas Review, Galles.

(12)  Parere sul tema Il ruolo della donna quale volano per un modello di sviluppo e di innovazione nell’agricoltura e nelle zone rurali (GU C 299 del 4.10.2012, pag. 29).

(13)  Parere sul tema Agricoltura e artigianato (GU C 143 del 22.5.2012, pag. 35).

(14)  Parere sul tema Impatto della politica sul clima e sull’energia dell’UE sullo sviluppo dei settori agricoli e forestali (GU C 291 del 4.9.2015, pag. 1).

(15)  Glastir (Galles), Stewardship (Inghilterra), Glas (Irlanda), Kulep (Baviera).

(16)  Pareri sul tema Economia verde (GU C 230 del 14.7.2015, pag. 99) e sul tema Promuovere la creatività, lo spirito imprenditoriale e la mobilità nei settori dell’istruzione e della formazione (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 20).

(17)  Studio del CESE sul ruolo della società civile nell’attuazione della direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili, Relazione EESC-2014-04780.

(18)  Cfr. i dati provenienti dall’Università di Bangor — audizioni del 21.5.2015.

(19)  Parere sul tema I lavoratori agricoli transfrontalieri (GU C 120 del 16.5.2008, pag. 19).

(20)  Consiglio gallese per il volontariato (WCVA) — Fondo di inclusione attiva e villaggio SOS — Grande lotteria — Galles, WCVA.

(21)  PSR del Galles (MO7).


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/97


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’importanza del commercio agricolo per lo sviluppo futuro dell’agricoltura e dell’economia agricola nell’UE nel contesto della sicurezza alimentare mondiale»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/15)

Relatore:

Volker PETERSEN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 febbraio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

L’importanza del commercio agricolo per lo sviluppo futuro dell’agricoltura e delle attività agricole nell’UE nel contesto della sicurezza alimentare mondiale

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 luglio 2015.

Alla 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 179 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La parte della politica agricola comune riguardante il mercato e i prezzi è stata ampiamente liberalizzata. Il mercato agricolo dell’UE è aperto ed è inserito nel funzionamento del mercato globale, guidato dalla domanda e dall’offerta. In seguito all’apertura del mercato, il commercio agricolo dell’UE con i paesi terzi si è sviluppato in maniera molto dinamica negli ultimi 10 anni.

1.2.

In considerazione di tale sviluppo il CESE rileva che il commercio agricolo è di fondamentale importanza economica per l’economia agroalimentare e le aree rurali. Il CESE è preoccupato nel constatare che nel dibattito a livello della società il commercio agricolo viene guardato talvolta con occhio critico, a differenza di quanto accade per altri settori come per esempio il settore automobilistico o la chimica.

1.3.

In un mondo dove ci sono fame e un’alimentazione insufficiente per quantità o qualità, il commercio agricolo ha indubbiamente una particolare responsabilità, cosa di cui il CESE si rende perfettamente conto. In un contesto di crescita demografica globale, di aumento dei redditi in molti paesi e di povertà in altri, occorre da un lato soddisfare la domanda solvibile e, dall’altro, offrire aiuto e sostegno lì dove fame e scarsità non possono essere vinte con le risorse locali.

1.4.

Il CESE si compiace del fatto che l’orientamento della politica agricola e di sviluppo dell’UE sia divenuto più coerente. A suo giudizio ciò costituisce la condizione preliminare per assumere in maniera sostenibile l’orientamento e i compiti nel quadro del commercio agricolo e del lavoro in favore dello sviluppo.

1.5.

Il Comitato auspica che l’economia agricola e alimentare dell’UE venga appoggiata in maniera sostenibile, affinché possa partecipare con successo agli scambi agricoli mondiali in espansione. Il commercio agricolo rappresenta un importante contributo alla salvaguardia delle strutture economiche nelle zone rurali dell’UE. Al tempo stesso, esso garantisce 40 milioni di posti di lavoro qualificati nei vari segmenti della catena di creazione di valore alimentare, che risentono delle crisi meno di altri settori.

1.6.

Gli accordi bilaterali di libero scambio dell’UE possono apportare un significativo contributo all’eliminazione delle barriere non tariffarie al commercio; nondimeno rimarranno da entrambi i lati norme non negoziabili. Occorre quindi adottare nel quadro dell’armonizzazione disposizioni per agevolare gli scambi.

1.7.

Le PMI contribuiscono in misura sostanziale al commercio di prodotti agricoli dell’UE. Nel contesto internazionale, per quanto riguarda l’apertura dei mercati nei paesi terzi, esse dipendono in particolare da un’assistenza amministrativa sostenibile, che dev’essere fornita dai servizi competenti dell’UE.

1.8.

Il CESE accoglie con favore l’ulteriore rafforzamento degli accordi di partenariato con i paesi in via di sviluppo, sulla cui base gli effetti positivi di un commercio aperto ed equo possono esplicarsi a favore di questi paesi. Scopo di tali accordi dovrebbe essere sostenere una certa autosufficienza di questi paesi in termini di prodotti agricoli; il ruolo del commercio agricolo può consistere nell’integrare la produzione locale.

2.   Contesto

2.1.

Il commercio dei prodotti dell’agricoltura e dei prodotti alimentari trasformati ha storicamente avuto sempre una grande importanza. Nel XX secolo segnato da due guerre mondiali, il commercio agricolo è stato a lungo assoggettato a normative fortemente dirigistiche. Nell’Accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT), concluso dopo la seconda guerra mondiale, il commercio agricolo aveva un posto a parte, che lo escluse dalla liberalizzazione degli scambi. Solo nel ciclo di negoziati Uruguay Round, concluso nel 1993, il commercio agricolo fu inserito in misura maggiore nel regime GATT. All’epoca l’UE si impegnò a ridurre il sostegno interno, le tariffe doganali e le sovvenzioni all’esportazione. Conseguentemente, dopo l’eliminazione delle barriere tariffarie alle importazioni e delle sovvenzioni all’esportazione, il commercio agricolo dell’UE è nel frattempo, salvo poche eccezioni, ampiamente liberalizzato; tuttavia il commercio agricolo internazionale continua ad essere regolamentato in maniera abbastanza rigida, soprattutto, tra l’altro, attraverso norme non tariffarie.

2.2.

Il Comitato ha preso posizione in varie occasioni su questioni commerciali generali (1), sottolineando l’importanza del commercio per una continua crescita e quindi per un efficace sviluppo dell’economia sociale di mercato. In tali prese di posizioni, il CESE si è sempre pronunciato in favore di un commercio aperto ed equo, l’unico in grado di garantire che la crescente globalizzazione e internazionalizzazione dei mercati possa offrire ai paesi del mondo vantaggi e opportunità corrispondenti al loro potenziale economico.

2.3.

Nei suoi precedenti pareri in materia di questioni commerciali, il Comitato ha sempre tenuto in considerazione anche gli interessi dei paesi in via di sviluppo, e ha dedicato particolare attenzione a tali paesi. Il CESE si è impegnato affinché il commercio e la politica commerciale contribuissero in un mondo globalizzato alla crescita e allo sviluppo in paesi caratterizzati da livelli differenti di sviluppo.

2.4.

La discussione in merito al ruolo del commercio agricolo è caratterizzata da particolari tensioni. Negli ultimi anni la domanda solvibile di prodotti agricoli e alimentari a livello mondiale, per esempio nei paesi emergenti caratterizzati da una crescita della popolazione e del reddito, ha avuto uno sviluppo positivo. Il commercio agricolo non ha potuto però garantire la fine di ogni fenomeno di scarsità di derrate alimentari. A causa della mancanza di potere d’acquisto in particolare quasi 800 milioni di persone soffrono la fame nel mondo.

2.5.

Con il presente parere, il CESE intende esplorare le opportunità offerte all’agricoltura e all’economia agricola dell’UE da un mercato agricolo mondiale in crescita. In tale contesto non va trascurata la responsabilità che anche l’UE deve assumersi nei confronti dei paesi in via di sviluppo.

3.   Il commercio agricolo dell’UE nel contesto economico generale

Importanza del commercio agricolo per gli scambi commerciali dell’UE con paesi terzi

3.1.

Nel 2014 le esportazioni agricole dell’UE sono ammontate a 125 miliardi di euro, corrispondenti al 7 % delle esportazioni complessive dell’Unione. La dinamica delle esportazioni agricole, sia in termini di crescita sull’anno precedente (2,2 %) che di variazione annua nel periodo compreso tra il 2005 e il 2014 (8 %), è nettamente migliore rispetto alle esportazioni totali che sono addirittura calate del 2 % nel 2014 rispetto al 2013, mentre hanno fatto segnare un aumento annuo del 5,5 % tra il 2005 e il 2014.

La situazione è simile per le importazioni di prodotti agricoli che ammontavano a 104 miliardi di euro nel 2014, equivalenti al 6,2 % delle importazioni complessive dell’UE (cfr. le tabelle da A-1 ad A-3 nell’allegato).

3.2.

Le esportazioni agricole sono un pilastro stabile del commercio dell’UE con i paesi terzi. Nella comparazione tra settori, esse occupano il quarto posto dopo i macchinari, i prodotti chimici e i farmaceutici. Grazie alle misure di liberalizzazione del commercio attuate, l’UE, da importatrice netta è divenuta un’esportatrice netta, conseguendo dal 2010 in poi un saldo positivo negli scambi di prodotti agricoli, che nel 2014 si è attestato intorno ai 21 miliardi.

Struttura del commercio agricolo — Importanza per la creazione di valore, l’occupazione e le aree rurali

3.3.

Ai fini del presente parere di iniziativa riveste particolare importanza il fatto che nel 2014 la quota dei prodotti agricoli negli scambi complessivi dell’UE con i paesi terzi è, con il 7 %, significativamente superiore alla quota dell’intero settore agricolo e alimentare sul prodotto interno lordo UE, che è pari al 3,5 %.

3.4.

Tale netta differenza tra l’importanza economica generale del settore e la rilevanza del commercio agricolo per il commercio con l’estero ne mette in evidenza la crescente importanza negli ultimi anni. È sempre più forte il ruolo delle esportazioni nel generare la crescita dell’economia agricola e alimentare.

3.5.

Importanza economica generale della catena di creazione di valore del settore alimentare:

non è assolutamente vero che, come spesso comunemente si ritiene, il commercio agricolo dell’UE sia importante solo per il settore agricolo, sebbene oggigiorno oltre un quarto dei proventi dei produttori agricoli derivi dalle esportazioni. Il commercio agricolo rappresenta pertanto già oggi, e ancor più in futuro, un importante supporto per il mantenimento della base economica nelle aree rurali dell’UE, che devono far fronte a problemi derivanti dall’urbanizzazione e dai mutamenti demografici;

le esportazioni agricole consistono per due terzi di prodotti finiti, che sono stati realizzati a partire da materie prime attraverso processi di lavorazione e creazione di valore aggiunto. Tali esportazioni costituiscono il risultato della combinazione di una catena di creazione di valore articolata su più livelli, efficiente e molto competitiva sul piano internazionale. Tale catena si estende dalle industrie dei fattori di produzione per l’agricoltura, passando per i produttori agricoli, fino alla industria alimentare e alle imprese commerciali. Nell’UE circa 40 milioni di persone lavorano nelle imprese che fanno parte di tale catena di creazione di valore. Questi sono relativamente stabili rispetto al ciclo economico e meno esposti alle crisi rispetto ai posti di lavoro in altri settori.

Commercio agricolo nel mercato interno dell’UE

3.6.

Il presente parere è incentrato sul commercio agricolo tra l’UE e i paesi terzi, ma esaminerà brevemente anche gli scambi intracomunitari, che rimangono molto più importanti per gli Stati membri rispetto a quelli con paesi terzi. Nel 2014 quasi il 73 % delle esportazioni agricole di tutti gli Stati membri si è diretto verso altri Stati dell’UE. Il mercato comune ha condotto anche ad un’intensificazione degli scambi e, di conseguenza, a una maggiore prosperità dell’UE. Ciò che vale per il commercio all’interno dell’UE va esteso, in un contesto internazionale liberalizzato, anche al commercio con paesi terzi.

Posizione dell’UE nel commercio mondiale di prodotti agricoli

3.7.

L’Unione europea è dal 2013 al primo posto nel commercio agricolo mondiale e negli ultimi decenni ha contribuito in modo significativo al suo andamento positivo. Dal 2000 le esportazioni agricole dell’UE nei paesi terzi sono aumentate di circa l’8 % all’anno. Parallelamente a quest’evoluzione positiva delle esportazioni agricole dell’UE, altri paesi sono riusciti comunque a far registrare un maggiore dinamismo nell’incremento delle loro esportazioni. La quota dell’UE nel commercio mondiale di prodotti agricoli è scesa da quasi il 13 % nel 2000 al 10,3 % nel 2012 (cfr. la tabella A 4 dell’allegato).

4.   Condizioni generali per lo sviluppo del commercio agricolo dell’UE — Dimensione esterna della politica agricola comune

4.1.

L’UE è stata in passato oggetto di critiche internazionali a causa delle sue esportazioni agricole, ad esempio nei cicli di negoziati nel quadro dell’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (GATT)/dell’Organizzazione mondiale del commercio. Tale immagine è radicalmente cambiata a partire dall’inizio del millennio.

4.2.

I prezzi dell’organizzazione di mercato dell’UE sono stati considerevolmente ridotti attraverso varie riforme della politica agricola comune. Nell’UE i prezzi di mercato sono determinati dagli sviluppi della domanda e dell’offerta globali e seguono pertanto tendenzialmente i prezzi del mercato mondiale. L’organizzazione comune di mercato offre ormai all’agricoltura nell’UE solo una rete di protezione, che si attiverebbe in caso di un crollo dei prezzi internazionali. I rimborsi all’esportazione, che nel 1992 ammontavano ancora a 3 miliardi di euro, sono ormai insignificanti.

4.3.

Nella sua qualità di primo esportatore agricolo mondiale, davanti agli Stati Uniti, al Brasile, alla Cina e al Canada, nonché di primo importatore agricolo mondiale, davanti a Stati Uniti, Cina, Giappone e Russia, l’UE ha una doppia e crescente responsabilità per la situazione alimentare e la sicurezza alimentare nel mondo. In considerazione di questa responsabilità, la dimensione esterna della politica agricola comune dev’essere nettamente rafforzata e figurare ai primi posti dell’elenco delle priorità di tale politica.

4.4.

Il CESE constata che sono stati già compiuti grandi progressi per quanto riguarda la coerenza tra la politica agricola comune e la politica per lo sviluppo. Le esportazioni agricole non beneficiano di sovvenzioni e non provocano distorsioni del mercato; sul versante delle importazioni, l’UE rappresenta ormai uno dei mercati più aperti, in particolare ai paesi in via di sviluppo. Nel periodo 2011-2013 le importazioni dai 48 paesi meno sviluppati sono ammontate mediamente a quasi il 3 % dell’import agricolo complessivo dell’UE, cifra che è quattro volte tanto il valore delle importazioni agricole da questi paesi totalizzate insieme da Canada, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda.

5.   Commercio agricolo e sicurezza alimentare

Effetti del commercio sulla sicurezza alimentare e sullo sviluppo

5.1.

In un mondo in cui la fame è un problema ancora irrisolto per oltre 800 milioni di persone in molti paesi, in particolare in Africa e in Asia, il miglioramento dell’alimentazione in termini quantitativi e qualitativi deve costituire una delle missioni prioritarie della politica agricola e commerciale.

5.2.

In ragione di tali sfide, il commercio agricolo, a causa della sua particolare responsabilità per la sicurezza alimentare, costituisce spesso oggetto di accese discussioni nella società civile. A ciò contribuisce il fatto che il commercio agricolo può avere effetti molto diversi. Può aiutare a superare i fenomeni di scarsità, ma anche condurre ad indesiderabili dipendenze.

5.3.

Il Comitato ne prende spunto per esaminare più da vicino i risultati del commercio agricolo, ma anche che cosa ci si aspetta da esso. Le sfide sono la globalizzazione, la liberalizzazione dei mercati agricoli dell’UE, la crescita del commercio agricolo mondiale, l’aumento della popolazione mondiale, il cambiamento delle abitudini alimentari e della distribuzione della domanda a seguito della crescita economica.

Sicurezza e autosufficienza alimentare

5.4.

Quando si parla di garanzia della sicurezza alimentare, continua ad essere auspicabile che, in particolare, i paesi estremamente poveri mantengano un determinato livello di autosufficienza in termini di prodotti agricoli. Tuttavia, l’obiettivo della piena autosufficienza alimentare di un dato paese o di una data regione non dovrebbe costituire l’unico fattore determinante. Anche in un paese con un grado di autosufficienza superiore al 100 %, non è garantito che l’approvvigionamento della popolazione locale sia sufficiente e il suo accesso al cibo adeguato. Si può così osservare che, anche in paesi con eccedenze agricole, molte persone vivono in condizioni di scarsità alimentare o di denutrizione.

5.5.

La denutrizione va considerata, compresa e risolta più come un problema di povertà che di approvvigionamento. La garanzia della sicurezza alimentare deve piuttosto accompagnarsi con la creazione di reddito ed è meno determinata dal dato livello di autosufficienza e/o dalla situazione commerciale. Nei paesi estremamente poveri gran parte della popolazione vive ancora in condizioni di sussistenza e raramente dispone di altre entrate. Pertanto elementi centrali di particolare rilevanza nel quadro del miglioramento della sicurezza alimentare sono, oltre alla creazione di reddito e alla sua adeguata distribuzione, i criteri della disponibilità, dell’abbordabilità, dell’accessibilità e della stabilità di accesso ai prodotti alimentari.

5.6.

Il commercio agricolo può contribuire alla crescita dei redditi sia sul versante delle esportazioni (creazione di reddito e di lavoro) che su quello delle importazioni (acquisto di prodotti alimentari meno cari sui mercati internazionali ed esportazione di altri prodotti). Tale strategia presuppone tuttavia un accesso ai mercati internazionali dei prodotti agricoli e industriali.

6.   Problemi e sfide

Il commercio agricolo contribuisce a limitare le oscillazioni nelle quantità e nei prezzi

6.1.

A differenza delle produzioni industriali, la produzione agricola è soggetta all’influsso di fenomeni naturali. La produzione e l’offerta dipendono da variabili difficili da prevedere o da controllare, come il clima o l’insorgere di malattie delle piante o degli animali. Il cambiamento climatico globale rafforzerà l’imprevedibilità dei fattori naturali. Ciò interesserà in maniera molto più drammatica altre parti del mondo e altri paesi rispetto all’UE.

6.2.

Per l’UE ciò significa che, in seguito all’ampia apertura dei suoi mercati agricoli, essa in generale risentirà in misura nettamente più forte delle oscillazioni delle quantità e dei prezzi sui mercati agricoli mondiali. Al tempo stesso, in considerazione delle sue condizioni di produzione comparativamente favorevoli e stabili, cresce la responsabilità dell’UE nei confronti della sicurezza alimentare mondiale.

6.3.

Il commercio agricolo costituisce non già la causa, ma una parte della soluzione del problema derivante da questa maggiore volatilità. Il commercio agricolo mondiale consente la compensazione delle oscillazioni quantitative e contribuisce così al contenimento delle oscillazioni di prezzo. L’esperienza ha dimostrato che gli interventi isolati sul mercato da parte di singoli paesi, come per esempio i divieti di esportazione, i dazi alle esportazioni o le limitazioni delle importazioni, non fanno altro che aggravare i problemi per tutti, piuttosto che attenuarli.

Influssi geopolitici

6.4.

Talvolta gli sviluppi politici generali, come il divieto di importazione applicato dalla Russia dall’agosto 2014, provocano effetti di disturbo sul commercio agricolo, come si è sperimentato nell’UE nel 2014/2015. Tali effetti geopolitici possono produrre nell’economia agricola e alimentare considerevoli perturbazioni del mercato, perdite e altri svantaggi economici. In tal modo il commercio agricolo cade in balia del clima politico. In tali situazioni i produttori agricoli e le imprese hanno bisogno di sostegno politico per compensare gli svantaggi nelle relazioni commerciali interessate.

Ulteriore orientamento e sostegno per la regolazione del mercato agricolo dell’UE

6.5.

Il CESE ritiene che, in considerazione del fortissimo aumento dell’importanza del commercio agricolo a livello globale e per l’Unione europea, occorra rafforzare nettamente la dimensione esterna della politica agricola comune. Tale rafforzamento può essere conseguito in vari modi.

6.5.1.

Le regolamentazioni del commercio agricolo globale che ancora sono in vigore hanno la loro origine principalmente nelle differenti prassi seguite per garantire la protezione dei consumatori e della salute nei vari paesi. Le istituzioni dell’UE, e in particolare la Commissione, sono invitate a chiedere una rapida apertura del mercato da parte dei paesi che frappongono tali ostacoli tecnici e regolamentari al commercio, e, se necessario ad avviare negoziati in materia.

6.5.2.

Il Comitato ritiene prioritario che in tali questioni la Commissione assuma in maniera chiara ed evidente la responsabilità per l’intera UE. Solo in tal modo si possono affermare in maniera efficiente ed energica le posizioni dell’UE nei confronti dei partner commerciali. Al tempo stesso l’esistenza di differenti accordi con paesi terzi risulta dannosa per un’equa concorrenza tra gli Stati membri stessi. Solo qualora vi fossero limitazioni specifiche regionali o per paese da parte degli Stati membri, questi ultimi dovrebbero, in casi motivati, poter adottare regolamentazioni specifiche.

6.5.3.

Il CESE auspica che, in mercati agricoli sempre più aperti con una concorrenza globale, l’UE compia tutto quanto è opportuno per rafforzare la competitività internazionale dell’agricoltura, dell’economia agricola e del settore alimentare dell’UE e per sviluppare ulteriormente il commercio agricolo. L’obiettivo annunciato dalla nuova Commissione, di ridurre la burocrazia, costituisce un passo nella buona direzione. Al tempo stesso occorre aver cura di rendere più efficaci le strutture amministrative.

6.5.4.

Per le importazioni verso l’UE, la base per i relativi certificati deve essere costituita dalle norme della stessa UE. Per quanto riguarda le condizioni di produzione e altre questioni regolamentari, occorre fissare dei requisiti minimi per le importazioni che tengano adeguatamente conto della situazione dell’UE e non danneggino le imprese locali sotto il profilo concorrenziale.

6.5.5.

Il CESE rileva che il successo del commercio agricolo dell’UE su mercati ampiamente liberalizzati è opera in grande misura delle PMI. Il CESE invita la Commissione ad intensificare il sostegno amministrativo nel quadro dell’apertura dei mercati agricoli internazionali, come fanno già alcuni paesi terzi. Ad esempio, le PMI nella loro pianificazione devono potersi basare su informazioni di mercato affidabili.

6.6.

Mercati globali esigono una trasparenza globale. Ciò include informazioni e proiezioni sull’evoluzione dei volumi, dei prezzi, dei tassi di cambio, delle condizioni meteorologiche, delle malattie ecc. Il CESE accoglie con favore il fatto che l’UE è attivamente coinvolta nella realizzazione del sistema informativo sui mercati agricoli nel quadro della FAO. Occorre tuttavia che gli sforzi siano rivolti a fare in modo che le informazioni che vengono elaborate nel contesto di AMIS vengano messe a disposizione, in particolare, degli operatori nel mercato, in maniera che questi possano trarne un vantaggio diretto.

6.7.

Gli accordi di libero scambio dell’UE rivestono particolare importanza. Se risulta impossibile concludere con un successo i negoziati multilaterali nel quadro dell’OMC, si dovranno cercare risultati positivi a livello bilaterale, al fine di aprire nuovi mercati. L’accordo, tuttavia, dovrà essere equilibrato in considerazione dei diversi settori interessati. Non sarebbe accettabile che il commercio agricolo dell’UE subisse unilateralmente un pregiudizio a favore di altri settori dell’economia.

6.8.

Il CESE richiama l’attenzione sulla particolare importanza degli accordi di partenariato con i paesi in via di sviluppo. Attraverso un ulteriore sviluppo di accordi preferenziali, in tali paesi si possono dispiegare attraverso un migliore accesso ai mercati dell’UE gli effetti positivi di relazioni commerciali basate su un commercio aperto ed equo.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 43 del 15.2.2012, pag. 73; GU C 351 del 15.11.2012, pag. 77; GU C 255 del 22.9.2010, pag.1; GU C 100 del 30.4.2009, pag. 44.


ALLEGATO

http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/agricultural-trade-statistics_en.docx


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/104


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Innovazione sociale, reti e comunicazione digitale»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/16)

Relatore:

Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Innovazione sociale, reti e comunicazione digitale.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 204 voti favorevoli, 1 voto contrario e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’innovazione sociale e le reti collaborative devono essere utilizzate appieno, per promuovere e rafforzare la partecipazione civica e, in generale, della società civile, alla definizione e alla gestione delle politiche dell’UE, attraverso progetti distribuiti, collettivi e dal basso, volti a consolidare una democrazia più diretta.

1.2.

Dal canto suo, l’accesso universale alle nuove tecnologie in generale, e a Internet a banda larga in particolare, deve essere in ogni caso un obiettivo prioritario dell’UE, in quanto considerato un servizio di interesse generale che dovrà combattere il divario digitale e le sue ripercussioni in termini di esclusione sociale.

1.3.

Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione, con l’appoggio dell’innovazione sociale e l’uso delle reti collaborative, dovrebbero svolgere un ruolo importante nella creazione di posti di lavoro qualificati e di qualità, grazie al sostegno a progetti volti alla creazione di imprese innovatrici e a iniziative dirette a ridurre gli attuali tassi di disoccupazione.

1.4.

Il CESE ritiene fondamentale rafforzare la formazione digitale. Una buona formazione, che includa nel sistema di istruzione un apprendistato adeguato e garantisca ai giovani la preparazione necessaria per affrontare le sfide del futuro. Una formazione permanente per i lavoratori, che li qualifichi nell’uso delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel mercato del lavoro. Una formazione che renda possibile l’apprendimento permanente ed eviti l’esclusione di settori più fragili.

1.5.

Il CESE condivide gli obiettivi della strategia Europa 2020 e della strategia per la parità tra uomini e donne. Sostiene le iniziative faro Unione dell’innovazione, e Agenda digitale, e le misure necessarie a realizzare una sinergia tra tali iniziative che consenta di avanzare sul terreno dell’innovazione sociale. Considera quindi importante che tali obiettivi siano integrati nei piani nazionali di riforma e che ne sia previsto il loro monitoraggio nel quadro del semestre europeo. Si ritiene anche fondamentale che, oltre alle parti sociali, anche la società civile a livello europeo, nazionale e regionale partecipi all’attuazione, al monitoraggio e alla valutazione delle azioni finanziate dall’Unione europea per conseguire tali obiettivi.

1.6.

Il CESE rivolge un appello affinché l’innovazione sociale in collegamento con le nuove tecnologie, sulla base delle reti sociali e del lavoro collaborativo, consenta di sviluppare soluzioni tecniche intese a contribuire a una maggiore integrazione dei disabili, aiutandoli a raggiungere un massimo di autonomia e di partecipazione e permettendo loro di far fronte alle sfide che è necessario superare per neutralizzare qualsiasi barriera che si traduca per loro in una discriminazione.

1.7.

Il CESE invita le istituzioni a incoraggiare la costruzione di capacità e l’uso dei contesti digitali essenziali, e a sostenere la creazione di spazi nei quali si stabiliscano connessioni innovative orizzontali per il loro sviluppo sostenibile, in modo che si possa mettere in pratica la formula «innovazione sociale + lavoro collaborativo + comunicazione digitale» e facilitare e promuovere l’accesso in tempo reale in maniera rapida e sicura.

1.8.

Si invita quindi l’Unione europea a finanziare, nel quadro del suo programma per l’occupazione e l’innovazione sociale (EaSI), l’elaborazione e l’esecuzione di progetti che nascano da iniziative della società civile e che si sviluppino attraverso le reti sociali e il lavoro collaborativo, a condizione che i loro obiettivi siano improntati all’interesse generale e che tengano in considerazione il potenziale di occupabilità e integrazione.

1.9.

In sostanza la Commissione europea deve intraprendere una politica chiara e concreta in materia di innovazione sociale e di accesso dei cittadini alle nuove tecnologie, da cui derivino iniziative in grado di fornire vantaggi condivisi alla popolazione. Ciò dovrebbe essere in linea con il pacchetto di investimenti sociali della Commissione europea (1). Essa deve inoltre accrescere gli investimenti nel talento umano e favorire l’apertura di mercati basati sulla conoscenza onde promuovere la cooperazione tra imprese e cittadini.

1.10.

In definitiva, assegnare un pacchetto di investimenti che consenta di potenziare l’innovazione sociale sulla base dello sviluppo tecnologico, la promozione della ricerca collaborativa, sviluppata in modo condiviso e multidisciplinare, l’incentivazione dell’accesso a nuove conoscenze e il rafforzamento istituzionale attraverso la democrazia diretta che questi nuovi strumenti di partecipazione in rete e di comunicazione digitale rendono possibile.

2.   Introduzione

2.1.

Il presente parere ha l’obiettivo di valutare le condizioni necessarie affinché l’innovazione sociale benefici pienamente delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, allo scopo di servire al bene comune. Il parere chiede l’attuazione di misure rivolte alla facilitazione digitale e di piattaforme per la promozione di relazioni in rete e di sviluppo di interazioni sinergiche. Tra gli approcci necessari a tal fine figurano uno studio delle strutture reticolari e il loro adeguamento ai fondamenti della cultura organizzativa.

2.2.

La formula «innovazione sociale + lavoro collaborativo + comunicazione digitale» solleva l’esigenza di trovare i processi e gli strumenti adeguati in relazione a questi elementi per uno sviluppo efficiente dei risultati attesi.

2.3.

Si considerano essenziali: l’istruzione (apprendimento collaborativo), la formazione (piattaforme Mooc o Moodle), la sanità elettronica (dispositivi per vigilare sulla salute), la creazione di posti di lavoro (assunzioni online), l’imprenditorialità sociale, la logistica e i trasporti, la sicurezza alimentare e dei prodotti, l’amministrazione elettronica e i servizi pubblici (voto elettronico), la democrazia economica (crowdfunding, monete alternative) e la partecipazione sociale.

2.4.

Nel contesto attuale l’importanza dell’innovazione sociale acquista particolare rilievo in campi come, tra gli altri, la ricerca e lo sviluppo, l’efficienza e la sostenibilità, la coesione e l’integrazione sociale, la corresponsabilità e la partecipazione cittadina, l’etica imprenditoriale e la responsabilità sociale delle imprese, o la democrazia diretta e l’amministrazione elettronica.

2.5.

Il CESE (2) ribadisce ancora una volta l’importanza di ampliare l’ambito di applicazione del servizio universale di telecomunicazioni elettroniche, includendovi l’accesso ad Internet a banda larga, per rimediare all’esclusione non solo geografica ma anche sociale e realizzare due obiettivi: ridurre il divario digitale e rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale. Inoltre, l’UE deve definire le condizioni quadro per un mercato unico dei macrodati (big data) e del cloud computing, in modo che siano utili all’innovazione sociale.

3.   Promuovere l’innovazione sociale nell’attuale contesto digitale

3.1.

Le reti collaborative e la comunicazione digitale svolgono un ruolo importante nell’ambito dell’innovazione sociale. Il concetto d’innovazione sociale sta appena emergendo, ma la definizione più frequentemente utilizzata è quella della relazione dell’Ufficio dei consiglieri per le politiche europee (BEPA):

«Un’innovazione è sociale tanto nelle finalità quanto nei mezzi. Tale definizione è integrata dalla seguente: le innovazioni sociali vengono concretamente definite come nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che rispondono contemporaneamente ad esigenze sociali (in maniera più efficace rispetto alle alternative) e creano nuove relazioni sociali o collaborazioni. In altri termini le innovazioni, oltre a essere utili per la società, accrescono la capacità di azione della società stessa» (3). In sostanza l’innovazione sociale è considerata dalla prospettiva della risposta a esigenze sociali complesse e non soddisfatte, nel quadro delle politiche di inclusione e di coesione sociale.

3.2.

Le principali componenti del processo di innovazione sociale sono: l’individuazione delle necessità sociali nuove e non soddisfatte o poco conosciute; lo sviluppo di nuove soluzioni in risposta alle suddette necessità sociali; la valutazione dell’efficacia delle nuove soluzioni per fare fronte alle necessità sociali; la diffusione delle innovazioni sociali efficaci. Per di più, le iniziative di innovazione sociale sono strettamente legate all’approccio di una serie di misure di investimento sociale, nel cui quadro si investe nell’individuo, tenendo conto dell’aspettativa di vita, e la prevenzione è essenziale.

3.3.

È importante studiare il collegamento tra i processi di collaborazione che offrono le tecnologie dell’informazione e l’innovazione cosiddetta sociale e discutere i vantaggi annunciati per i cittadini e la società. Le principali componenti possono essere riassunte come segue:

a)

si tratta di processi collaborativi di partecipazione aperta dei cittadini interessati;

b)

il loro obiettivo è migliorare e trasformare la società;

c)

essi comportano la creazione condivisa di soluzioni e l’elaborazione di proposte a vocazione trasversale;

d)

rappresentano soluzioni non sperimentate in precedenza;

e)

innescano processi di apprendimento, generano impegni e sfociano in trasformazioni che hanno un impatto a livello locale e si articolano intorno a quattro assi:

partecipazione degli agenti locali guidata dal principio di sussidiarietà,

coinvolgimento e impegno della cittadinanza,

ruolo particolare della società civile e dell’economia sociale,

processo dal basso verso l’alto, costruito a partire dalla base.

3.4.

La novità dell’innovazione sociale rispetto ad altri tipi di soluzione si basa pertanto sul tipo di relazione che si forma tra i soggetti coinvolti nella sua elaborazione, vale a dire nella sua progettazione, nei processi o nelle fasi di sviluppo; l’innovazione deve tener conto del posto che occorre riservare alle parti sociali che sono rappresentative e sono in condizioni di creare situazioni di diritto contrattuale.

3.5.

Come il CESE ha già segnalato, la misurazione del progresso sociale deve essere caratterizzato da un maggior equilibrio tra gli indicatori economici e quelli sociali (4). Utilizzare la logica della misurazione del progresso sociale con un equilibrio tra le misure qualitative e quantitative presuppone una visione a medio e lungo termine, nel contesto di un regime equilibrato e trasparente di governabilità, con chiari indicatori tecnici e socioeconomici di azione.

3.6.

Per poter esplorare nuove soluzioni ai problemi, alle sfide e agli impegni della società attuale occorre valorizzare la creatività e il talento di tutti, in maniera orizzontale e trasversale e in modo globale. Ciò equivale a dire che il risultato complessivo deve essere superiore alla somma delle parti e in più deve essere caratterizzato dalla massima efficienza rispetto ai costi. Questa premessa, senza alcun dubbio, è soddisfatta ottimamente dall’intelligenza collettiva e dalla creazione congiunta in reti di collaborazione.

3.7.

L’innovazione sociale nasce per rispondere alle necessità insoddisfatte della società o a complesse sfide sociali; riguarda settori e strumenti, tra cui:

a)

settori:

miglioramento della democrazia, e in particolare della democrazia partecipativa;

inclusione sociale;

economia sociale;

consumo collaborativo;

dati aperti, open source, open hardware;

tecnologia indossabile;

piattaforme di sensibilizzazione civica;

innovazione sociale digitale basata sull’effetto di rete;

b)

strumenti:

reintegrare gruppi esclusi;

promuovere comportamenti e stili di vita sostenibili grazie alla sensibilizzazione su come le scelte dei consumatori in materia di energia, ambiente e salute si ripercuotono sulla sostenibilità;

sondare le opinioni dei cittadini per una migliore processo decisionale (a livello personale o istituzionale);

aumentare la fiducia nelle statistiche generate collettivamente;

usare la consapevolezza collettiva delle situazioni ambientali e sociali per favorire migliori politiche o creare nuovi modelli per l’economia, la società e la democrazia;

sviluppare approcci di collaborazione alternativi nella risoluzione di problemi, per migliorare i servizi pubblici, gli ambienti urbani, la democrazia, e Internet, su basi dati aperte;

collegare i cittadini, svolgere insieme delle attività, tenendo conto delle esigenze di riservatezza e di inclusione;

creare una consapevolezza collettiva delle sfide ambientali;

eliminare gli ostacoli collettivi all’inclusione;

sperimentare nuove forme collettive di creatività e di collaborazione;

affidare ai cittadini la valutazione della responsabilità sociale delle imprese;

valutare l’impatto delle piattaforme di consapevolezza collettiva.

3.8.

Oggi, il fatto di poter condividere le conoscenze potrebbe contribuire all’emergere di innovazioni capaci di completare le politiche sociali. In questo campo la tecnologia digitale può svolgere un ruolo centrale per aiutare gli innovatori sociali che hanno l’obiettivo di dare una risposta alle esigenze delle persone.

3.9.

Occorre quindi eliminare gli ostacoli all’innovazione e alla sperimentazione sociale in maniera che si creino un contesto e una cultura favorevoli all’innovazione, riconoscendo e sostenendo i ruoli specifici dei vari soggetti (fondazioni, cooperative, associazioni, mutue, enti di assicurazione, piccole e medie imprese e altre imprese dell’economia sociale ecc.) in quanto interlocutori e prestatori di servizi (5).

4.   Reti di lavoro collaborativo

4.1.

Una rete di collaborazione è formata da un insieme di persone che apportano un contributo sotto forma di lavoro intellettuale a un progetto con un obiettivo che è comune al gruppo. Funzionano come un unico cervello («cervello globale»), un’entità unica composta da milioni di cellule generatrici di idee, che si confronta a sfide di grande portata come il linguaggio o la comunicazione. L’affermarsi di Internet, insieme ad altri fattori, ha favorito la diversità di progetti comuni e reti di collaborazione, sebbene sia necessario dare a questa opportunità tecnologica un senso teleologico che si traduca in un beneficio per tutti.

4.2.

L’innovazione sociale può trarre vantaggio dall’uso dei nuovi strumenti e delle reti digitali attraverso una migliore realizzazione del suo compito, come i servizi per anziani in aree periferiche e altro.

4.3.

Eventi, decisioni, azioni e persone si collocano in un contesto condiviso, un nuovo spazio digitale dove si sincronizzano in tempo reale generando intelligenza collettiva.

4.4.

L’intelligenza collettiva è un tipo di processo emergente nel quale il coordinamento di numerose capacità intelligenti dà luogo a una soluzione che non si potrebbe ottenere a livello individuale o separatamente. L’intelligenza multipla rappresenta quindi un’azione sinergica di numerosi talenti coordinati. Il punto essenziale è come sviluppare un’intelligenza collettiva affinché il collettivo divenga creativo e si possano così generare processi di innovazione e di cambiamento sociale, mediante piattaforme intese a potenziare tali sviluppi collaborativi.

4.5.

La velocità con cui queste reti di collaborazione realizzano gli obiettivi stabiliti è molto superiore alla velocità che può essere raggiunta da qualsiasi gruppo organizzato di carattere finito, indipendentemente dalla sua struttura e del suo funzionamento. Ciò è dovuto alla ricerca di talenti al di là dei confini della propria organizzazione, approccio dal quale deriva un’innovazione aperta, democratica, distribuita e guidata da comunità.

4.6.

Due condizioni di base fanno sì che le persone condividano le loro conoscenze: la simmetria delle aspettative e la simmetria delle conoscenze. Favorire le aspettative comuni e integrare le conoscenze differenti aiuta a tessere reti di collaborazione.

4.7.

Ciò nonostante vi sono tre tipologie di minacce da affrontare e tenere in considerazione in qualsiasi tipo di rete di collaborazione e di lavoro collaborativo: «free riding» ovvero opportunismo (le relazioni si fondano sull’equità — «fairness»- del contributo), la pratica interessata del crowdfunding  (6) e, infine, la cospirazione. Quest’ultimo problema evidenzia il ruolo della fiducia in questo ambito della collaborazione.

4.8.

Le reti si costituiscono grazie alla fiducia la quale, a sua volta, rappresenta un’aspettativa relativa alla capacità di impegno e di risposta della competenza esterna con la quale si collabora. Una fiducia piena e duratura genera una reputazione stabile, che salvaguarda la rete dalla cospirazione. Non vi è fiducia senza la sicurezza delle reti che dipende da una legge equa per tutti e dal controllo. La sicurezza deriva dal rispetto dell’etica negli obiettivi annunciati e nel funzionamento della rete, nelle condizioni di creazione e cessazione della rete che devono essere previste e dichiarate pubblicamente, nonché dal rispetto dei diritti fondamentali, tra cui il diritto all’oblio.

4.9.

In conclusione, la sequenza dei seguenti processi: sviluppo di strutture di lavoro orizzontali, interazione in rete e formazione di piattaforme, conduce alla creatività e all’innovazione sociale, attraverso un modello eterogeneo che si caratterizza per la sua apertura, orizzontalità e distribuzione, e in riferimento al quale non si deve dimenticare il ruolo essenziale dei connettori, che permettono di articolare e diffondere in maniera capillare le idee e i progetti, nonché promuovere questi nuovi modi di organizzarsi diretti al fare.

4.10.

La piattaforma in rete si configura come un formato in cui si possono potenziare i processi di intelligenza collettiva che promuovono un modello rispettoso delle identità individuali. La svolta decisiva appare con l’uso di Internet, non solo mediante la democratizzazione del modello comunicativo, ma anche grazie ai connettori che incoraggiano, ispirati dalla cultura digitale, un modello alternativo di organizzazione.

5.   La comunicazione digitale come strumento per l’innovazione sociale attraverso le reti collaborative

5.1.

La comunicazione digitale permette di visualizzare la corresponsabilità civica, l’intelligenza collettiva e il lavoro collaborativo in rete dispiegando un contesto favorevole per lo sviluppo di modelli di economia collaborativa basati sul bene comune.

5.2.

Il CESE ha già fatto osservare (7) che le reti sociali possono promuovere la cittadinanza digitale responsabile e devono garantire ai cittadini l’esercizio effettivo dei diritti pertinenti nel contesto digitale, come la libertà di espressione e di informazione, la protezione dei dati personali, la riservatezza, le esigenze di trasparenza e servizi di Internet di una qualità adeguata.

5.3.

Ciò nonostante gli aspetti negativi delle reti sociali vanno presi in considerazione e occorre prevenire i loro rischi, rendendo a loro volta visibili le potenziali opportunità e sinergie che esse presentano allo scopo di promuoverne in un mercato unico digitale un uso responsabile e intelligente.

5.4.

L’UE deve convertirsi da semplice utente digitale in progettista e produttrice di contenuti, promuovendo a tal fine i propri talenti, dato che tra le sue priorità figura quella di informare, formare ed educare, come pure l’accessibilità alla società digitale.

5.5.

Per quanto riguarda i consumatori, è importante che possano ricevere un orientamento adeguato, specialmente in merito a temi come l’anonimizzazione e la pseudonimizzazione dei dati, l’analisi dei rischi che riguardano i dati personali e gli strumenti e le iniziative volti ad accrescere la loro consapevolezza. Infatti tali strumenti digitali possono aiutare a controllare e a proteggere meglio i dati personali.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Fonte: http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1044

(2)  Parere del CESE sul tema L’accesso a banda larga per tutti: riflessioni sull’evoluzione del perimetro del servizio universale nel settore delle comunicazioni elettroniche (GU C 175 del 28.7.2009, pag. 8).

(3)  Fonte: http://ec.europa.eu/archives/bepa/pdf/publications_pdf/social_innovation.pdf

(4)  Parere del CESE sul tema La misurazione dell’impatto sociale (GU C 170 del 5.6.2014, pag. 18).

(5)  Parere del CESE in merito al Programma dell’Unione europea per il cambiamento e l’innovazione sociale (GU C 143 del 22.5.2012, pag. 88).

(6)  Parere del CESE in merito a Sfruttare il potenziale del crowdfunding nell’Unione europea (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 69).

(7)  Parere del CESE sul tema Utilizzo responsabile delle reti sociali e prevenzione dei disturbi a queste associati (GU C 351 del 15.11.2012, pag. 31).


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/110


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Dumping sociale nel settore dell’aviazione civile europea»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/17)

Relatrice:

Anne DEMELENNE

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 dicembre 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Dumping sociale nel settore dell’aviazione civile europea.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 200 voti favorevoli, 3 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1.

Il CESE approva l’intenzione del Presidente della Commissione europea, che ha dichiarato nel suo discorso di apertura al Parlamento europeo a Strasburgo il 15 luglio 2014: «Dobbiamo lottare contro il dumping sociale e lo faremo». La commissaria europea responsabile dei trasporti, Violeta Bulc, ha rilasciato dichiarazioni dello stesso tenore, durante l’audizione dei commissari designati nell’ottobre 2014: «Sono fermamente contraria al dumping sociale. […] la rifusione delle norme deve riguardare anche la legislazione sociale». Il dumping sociale crea concorrenza sleale. È tuttavia difficile da definire dal momento che le sue cause sono complesse e gli attori sono molteplici. Nel settore dell’aviazione civile occorre considerare in particolare il ruolo dei decisori politici ai vari livelli, delle compagnie aeree, dei lavoratori e dei passeggeri, nonché l’ambiente politico, giuridico, economico e sociale, sia all’interno che all’esterno dell’Unione europea. La CGUE ha riconosciuto alla lotta contro il dumping sociale lo status di obiettivo legittimo, permettendo agli Stati membri di giustificare alcuni ostacoli alla libera circolazione (1). Il CESE, preoccupato per i recenti sviluppi nel settore dell’aviazione civile, esorta vivamente la Commissione a seguire da vicino gli sviluppi della situazione e ad adottare, se necessario, misure appropriate. Durante l’elaborazione del «pacchetto aereo» annunciato nel quadro del programma di lavoro della Commissione per il 2015, si dovrà tener conto di tutti gli elementi menzionati nel presente documento. Inoltre, il CESE ritiene necessario che la DG MOVE e la DG EMPL lavorino in stretta collaborazione.

1.2.

Sulla base dei risultati dei lavori condotti sui nuovi modelli d’impresa, l’Agenzia europea per la sicurezza aerea (AESA) deve esaminare gli sviluppi in atto al fine di garantire una sicurezza ottimale dei passeggeri e del personale a prescindere dal modello d’impresa, concentrandosi in particolare su questi nuovi modelli per stabilizzare il settore. Particolare attenzione deve essere rivolta al controllo, da parte delle amministrazioni interessate, del crescente ricorso ai falsi lavoratori autonomi e alle agenzie di lavoro interinale.

1.3.

Il CESE si aspetta che le normative esistenti siano attuate correttamente e che venga altresì tenuto conto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE). Si tratta principalmente:

a)

della sicurezza sociale e del diritto del lavoro:

convenzione di Roma I (1980) e regolamento (CE) n. 593/2008 (2);

regolamenti (UE) n. 465/2012 (3) e (UE) n. 83/2014 (4), che definiscono il concetto di «base di servizio»;

b)

della relazione con la condizione di lavoratore autonomo:

direttiva 2014/67/UE (per la prima volta, la nozione di rapporto di subordinazione viene inclusa nella direttiva per permettere di verificare la condizione di lavoratore autonomo) (5).

sentenza della causa C-413/13 FNV Kunsten informatie en Media contro Staat der Nederlanden del 4 dicembre 2013: «Il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che la disposizione di un contratto collettivo di lavoro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, contenente tariffe minime per i prestatori autonomi di servizi, affiliati a una delle organizzazioni di lavoratori parti del contratto, che svolgono per un datore di lavoro, in forza di un contratto d’opera, la stessa attività dei lavoratori subordinati di tale datore di lavoro, esula dall’ambito di applicazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE solo qualora tali prestatori siano “falsi autonomi”, ossia prestatori che si trovano in una situazione paragonabile a quella di detti lavoratori. Spetta al giudice del rinvio procedere a una tale valutazione».

1.4.

Il CESE prende atto della posizione adottata dalle parti sociali del gruppo di lavoro dell’equipaggio aereo (cfr. punto 5.1) e sottolinea che le seguenti lacune dovrebbero essere affrontate al fine di evitare conseguenze sociali negative indesiderate in questo settore. A tal fine, sarebbe opportuno adottare le seguenti misure:

rivedere le norme comuni sul funzionamento dei servizi aerei, per garantire in particolare un’applicazione corretta della legislazione sociale nazionale e dei contratti collettivi del settore (regolamento CE n. 1008/2008); nello stesso regolamento, definire meglio la nozione di «principale sede di attività commerciale», affinché la licenza di esercizio sia concessa da uno Stato se il volume di attività di trasporto aereo effettuata sul suo territorio è sostanziale;

impedire la concorrenza sleale da parte di paesi non membri dell’Unione europea sui vettori aerei europei tramite sovvenzioni, aiuti di Stato e pratiche tariffarie sleali (regolamento CE n. 868/2004);

nel quadro del coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, definire meglio le basi multiple di servizio nel settore dell’aviazione civile (comprese le basi temporanee) e abbreviare il periodo transitorio fissato a 10 anni (regolamento UE n. 83/2014);

estendere il «permesso unico» all’equipaggio di cabina per garantire la parità di trattamento di tutti i lavoratori del settore (direttiva 2011/98/UE).

1.5.

Inoltre, il CESE propone che, nel quadro di un lavoro coordinato dalla DG MOVE e dalla DG EMPL, la Commissione esamini attentamente l’applicazione della direttiva relativa al lavoro tramite agenzia interinale nel settore dell’aviazione. Il CESE ritiene che la promozione dell’occupazione diretta resti la forma normale di occupazione nel settore dell’aviazione e che debba essere possibile limitare i suddetti contratti temporanei, che potrebbero mettere a rischio i livelli di sicurezza (2008/104/CE). Inoltre, è necessario adottare una definizione comune di «lavoratore subordinato» e «lavoratore autonomo» a livello dell’Unione europea.

1.6.

Il CESE sostiene una possibile iniziativa delle parti sociali dell’UE nel settore dell’aviazione intesa a negoziare un accordo sulle condizioni di lavoro e i diritti sociali dei lavoratori del settore. È possibile, d’altronde, che su alcuni strumenti legislativi le parti sociali abbiano posizioni comuni che potrebbero presentare alla Commissione. Infine, la Commissione dovrebbe consultare le parti sociali su qualsiasi strumento legislativo e/o iniziativa dell’UE che abbia effetti sociali (6).

1.7.

Tenuto conto del fatto che la proposta di regolamento sui servizi di assistenza a terra è stata ritirata dal programma di lavoro della Commissione e che non esistono norme sociali a livello dell’UE in questo settore, è necessario affrontare la questione del trasferimento del personale in caso di gara d’appalto e/o di perdita parziale di attività. Per ovviare a questo problema, la Commissione sta consultando le parti sociali in merito all’opportunità di presentare, entro la fine del 2015, una proposta consolidata sulla revisione della direttiva 2001/23/CE del Consiglio del 12 marzo 2001 (mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese).

1.8.

Il CESE avvierà un lavoro interno distinto per approfondire le questioni sociali sollevate nel presente parere.

1.9.

Il CESE raccomanda che la Commissione eserciti un costante monitoraggio delle condizioni di lavoro nel settore dell’aviazione civile su base permanente.

2.   Introduzione

2.1.

Visto il contributo che apporta all’economia europea in termini di posti di lavoro e di crescita, l’aviazione è un settore strategico per l’Unione europea. Secondo le stime, il settore rappresenta 2,6 milioni di posti di lavoro diretti e indiretti e contribuisce al PIL europeo fino a un miliardo di euro al giorno, promuovendo il commercio e il turismo (7).

2.2.

La liberalizzazione del trasporto aereo all’inizio degli anni Novanta ha indubbiamente portato vantaggi ai viaggiatori in termini di democratizzazione, tariffe aeree più basse e diversificazione dell’offerta. Ma quali sono gli effetti sull’occupazione, le retribuzioni e le condizioni di lavoro nel settore? I dati di Eurostat indicano che, nonostante un incremento medio annuo di circa il 5 % nel periodo tra il 1998 e il 2010, l’occupazione diretta e indiretta nelle compagnie aeree è in una fase di stagnazione (8). Insieme ad altri sviluppi, ciò ha dato luogo a un forte aumento della produttività. Inoltre, i posti di lavoro offerti dalle compagnie aeree per l’equipaggio di cabina e i piloti sono stati esternalizzati e/o sostituiti da forme di occupazione più flessibili (in un recente studio delle parti sociali europee nel settore dell’aviazione civile, solo il 52,6 % degli intervistati che lavorano per le linee aeree a basso costo ha dichiarato di avere un contratto di lavoro diretto). Sebbene non esistano dati completi disponibili sulle retribuzioni, l’esempio del Regno Unito mostra tuttavia un evidente calo delle retribuzioni per l’equipaggio di cabina (9). In sintesi, posti di lavoro che alcuni anni fa erano prestigiosi e di alta qualità stanno scomparendo e vengono esternalizzati o sostituiti con una manodopera più produttiva e meno costosa.

2.3.

Poiché le linee aree devono affrontare una concorrenza spietata, i margini di profitto sono più bassi che in altri settori (in base ai dati forniti dalla IATA, negli ultimi 40 anni la plusvalenza netta dell’industria aeronautica a livello mondiale è stata mediamente pari allo 0,1 % dei ricavi) (10) e i datori di lavoro cercano modi di ridurre i costi per rimanere competitivi. Mentre alcuni costi (come quelli per il carburante o il possesso degli aeromobili) sono, in una certa misura, fissi, alcune compagnie ritengono che i costi del lavoro possano essere spinti costantemente verso il basso. Alcune di esse hanno anche scoperto che ricorrere alla libertà di stabilimento nell’UE è uno dei modi per ottenere un’ulteriore riduzione dei costi e attuare il dumping sociale.

2.4.

Di fronte a una concorrenza sempre più intensa da parte delle compagnie a basso costo, diverse compagnie tradizionali hanno sviluppato una versione low cost del marchio principale per i voli a corto raggio, oppure hanno creato una manodopera a basso costo nel quadro dei propri servizi di linea. Alcune compagnie a basso costo puntano ora agli aeroporti principali e a passeggeri di classe più alta (business), mettendosi così più direttamente in concorrenza con le compagnie tradizionali. Ciò si traduce in una perdita di posti di lavoro dignitosi (reddito equo, sicurezza sul luogo di lavoro, protezione sociale, libertà di espressione, di organizzazione e di partecipazione nonché parità) (11) nelle compagnie tradizionali (12). Tuttavia, le prassi sociali delle compagnie a basso costo non generano automaticamente dumping sociale.

2.5.

Lo sviluppo della concorrenza a livello mondiale e dell’UE desta preoccupazione circa la sostenibilità e la competitività del settore europeo dell’aviazione, sia in termini economici che sociali. Al fine di garantire una concorrenza leale, occorre stabilire condizioni di maggiore parità. Le compagnie aeree devono concorrere fra loro sulla base di prodotti innovativi, della qualità e del prezzo, non sfruttando le lacune legislative e/o ricorrendo alla manodopera a basso costo. Occorre adottare disposizioni per garantire la competitività e lo sviluppo sostenibile dell’industria europea, nonché la conservazione di posti di lavoro di qualità in Europa.

2.6.

Il dumping sociale, laddove esiste, ostacola la concorrenza leale. Inoltre, esso non può in alcun caso ripercuotersi negativamente sulla sicurezza, che deve rimanere la priorità numero uno. Un’autentica politica estera comune dell’UE in materia di aviazione dovrebbe sostituire l’approccio bilaterale non coordinato dei singoli paesi, affrontando, tra l’altro, i seguenti temi: gli investimenti esteri nelle compagnie aeree europee, la proprietà e il controllo, gli aiuti di Stato, l’accesso al mercato e la concorrenza leale.

2.7.

La sicurezza è fondamentale per il settore dell’aviazione. Come sottolinea il Libro bianco, «in Europa gli standard di sicurezza dell’aviazione sono elevati ma non sono i migliori del mondo. Nostro obiettivo è fare dell’Europa la regione più sicura per l’aviazione» (13). Nonostante la mancanza di dati statistici, l’AESA ha già indicato che la frammentazione e l’esternalizzazione dei posti di lavoro connessi con la sicurezza, compresi quelli dell’equipaggio di cabina e dei responsabili della manutenzione, potrebbero avere effetti negativi sulla sicurezza stessa. I «nuovi» modelli d’impresa ottimizzano i processi di bilancio, operativi e sociali. È indispensabile che l’AESA studi tutti questi modelli e adotti tutte le misure necessarie per evitare che la sicurezza sia compromessa. Il CESE sostiene il lavoro del nuovo gruppo di lavoro dell’AESA, specialmente costituito per occuparsi di tali questioni. Non si deve correre alcun rischio quando è in gioco la sicurezza dei cittadini (14).

3.   Deterioramento delle condizioni di lavoro in alcuni sottosettori dell’aviazione

3.1.

Il dumping sociale nell’industria aeronautica può essere suddiviso in due ambiti distinti: mercato interno e politica estera in materia di trasporto aereo.

3.2.

Nel mercato interno i principali motori di dumping sociale sono alcune compagnie aeree con più basi: manodopera assunta nel paese X, che lavora nel paese Y, ma con un contratto di lavoro a norma delle leggi del paese Z. Ciò ha l’effetto di sradicare il lavoratore dal suo «paese d’origine» (vale a dire il paese di nazionalità e/o residenza). La sfida principale consiste nel riconciliare la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione di servizi con gli obiettivi di un’occupazione di qualità e del progresso sociale. Le modifiche introdotte con il regolamento Roma I (15) e con il coordinamento della sicurezza sociale (16) attenueranno alcuni problemi incontrati dai lavoratori mobili, ma rimangono alcuni aspetti da migliorare.

3.3.

La politica estera dell’UE in materia di trasporto aereo non protegge adeguatamente gli interessi delle linee aeree europee e dei loro lavoratori in un contesto globale in rapida trasformazione. Mentre vi è una serie di requisiti che le compagnie aeree dell’UE sono tenute a rispettare per garantire una concorrenza leale (in materia di trasparenza, aiuti di Stato, fissazione dei prezzi, ecc.), i requisiti cui devono conformarsi le compagnie aeree dei paesi terzi per operare verso/da aeroporti dell’UE sono impossibili da far valere o non esistono del tutto. Tali compagnie aeree competono quindi testa a testa con i vettori UE sulle stesse rotte beneficiando di vantaggi indebiti.

3.4.

Vi è inoltre la questione distinta dell’utilizzo di membri dell’equipaggio originari di paesi terzi a bordo di aeromobili immatricolati nell’UE. Tradizionalmente, membri stranieri dell’equipaggio di cabina venivano impiegati a bordo degli aerei europei per ragioni linguistiche e/o culturali. Recentemente, alcune compagnie hanno iniziato a impiegare cittadini stranieri per i voli verso/da e persino all’interno dell’UE, a condizioni lavorative e costi inferiori. Tuttavia, queste compagnie aeree sono tenute ad applicare le norme nazionali dello Stato membro che rilascia il certificato di operatore aereo (COA).

4.   I nuovi modelli d’impresa e il mercato del lavoro nel settore dell’aviazione

4.1.

Gli studi svolti dalle parti sociali (17) mostrano che il degrado delle condizioni di lavoro è onnipresente nel settore dell’aviazione in Europa e va oltre i cambiamenti del mercato dettati dalla concorrenza, sia nelle compagnie aeree tradizionali che in quelle a basso costo.

4.2.

Non esiste un modello uniforme per le compagnie aeree a basso costo, le cui strategie variano dal bassissimo costo (solo viaggio) al basso costo di tipo «convenzionale» con servizi aggiuntivi limitati ed effettivamente erogati, fino alle linee aeree ibride che combinano elementi dei voli a basso costo e di quelli tradizionali. Di conseguenza, non esiste neanche un modello occupazionale uniforme: alcune compagnie offrono impieghi di buona qualità con contratti a tempo indeterminato, mentre altre si affidano principalmente all’esternalizzazione, al lavoro di agenzia e, in alcuni casi, persino al lavoro autonomo fittizio. Lo stesso vale per la rappresentanza sindacale: alcune compagnie cercano intenzionalmente di aggirare i sindacati, mentre altre ne riconoscono il ruolo e firmano contratti collettivi. L’evoluzione delle compagnie a basso costo ha avuto anche un impatto significativo sui servizi di assistenza a terra, soprattutto in termini di trattamento dei bagagli (politica più restrittiva in materia di bagaglio a mano), soste più brevi e tagli alla formazione.

4.3.

I datori di lavoro e i sindacati del settore riconoscono ora che le strategie aziendali e le politiche associate in materia di risorse umane e relazioni industriali di alcune compagnie a basso costo stanno portando a una «lenta discesa verso il minimo comun denominatore» (18). La distinzione fra compagnie a basso costo e tradizionali sta lentamente scomparendo, dal momento che alcune compagnie a basso costo hanno aderito alle alleanze globali o sono state inserite in gruppi di compagnie tradizionali; allo stesso tempo, alcune linee aeree hanno deciso di istituire proprie entità interne a basso costo. Alcuni dei vettori tradizionali hanno anche creato una manodopera a basso costo nel quadro dei propri servizi di linea. La presenza di queste nuove strutture organizzative non significa che i servizi offerti dalle compagnie tradizionali e da quelle a basso costo siano identici.

4.4.

Tuttavia, vi sono differenze sostanziali tra gli Stati membri in materia, tra l’altro, di condizioni di lavoro, parità di trattamento, salute e sicurezza sul luogo di lavoro, nonché protezione sociale (che è coordinata soltanto a livello dell’UE), il che crea un’asimmetria tra la regolamentazione economica (mercato unico) e l’armonizzazione e la coesione sociale. Alcuni Stati membri hanno tuttavia adottato «soluzioni nazionali» per garantire che il personale mobile basato sul loro territorio sia in ordine con le norme nazionali in materia sociale e del lavoro, nonché con i contratti collettivi. Sarebbe opportuno studiare questo aspetto a livello europeo.

4.5.

Il nucleo centrale della normativa in materia di occupazione nel settore dell’aviazione ha avuto origine nell’epoca precedente la liberalizzazione e non è quindi più adatto allo scopo. Le norme sulla sicurezza sociale per quanto riguarda gli equipaggi sono migliorate, ma vi è ancora un rischio di lacune. Il concetto di «base di servizio» è problematico in quanto è definito dall’operatore, e i membri dell’equipaggio che sono lavoratori autonomi non vengono sottoposti a un controllo adeguato. Un ulteriore fattore che complica la situazione è la mancanza di un testo unico europeo con una definizione positiva di lavoratore subordinato e lavoratore autonomo nella legislazione dell’UE: le definizioni variano tra le sentenze della CGUE e le direttive, come ad esempio sui criteri di «subordinazione». È necessario elaborare norme specifiche per i lavoratori molto mobili.

4.6.

Uno dei tre principali vettori del Golfo è stato contestato pubblicamente per pratiche che violano la legislazione dell’UE, come il licenziamento per gravidanza, l’obbligo di ottenere il permesso per sposarsi, ecc. Tuttavia, quella compagnia effettua ancora voli verso l’UE e, recentemente, anche con una maggiore frequenza in alcuni aeroporti. A causa degli stretti legami tra le compagnie aeree del Golfo, gli aeroporti e le rispettive autorità per l’aviazione civile, si teme anche che a tali compagnie possano essere concessi vantaggi indebiti. Le relazioni bilaterali tra Stati membri e paesi terzi vanno sostituite con una politica estera dell’UE coordinata e autentica in materia di aviazione.

5.   Il ruolo delle parti sociali

5.1.

Il CESE appoggia il ruolo fondamentale svolto delle parti sociali europee nel settore dell’aviazione civile in termini di consulenza alle istituzioni dell’UE, nonché di discussione e formulazione di proposte autonome. Il 5 giugno 2014 le parti sociali del gruppo di lavoro sull’equipaggio di volo (ACWG) hanno approvato una dichiarazione comune contro le bandiere di comodo con sede nell’UE nel settore dell’aviazione, denunciando i recenti sviluppi che minacciano gravemente il modello sociale europeo, l’occupazione e la concorrenza leale sul mercato del trasporto aereo, e hanno proposto modifiche legislative concrete (19).

5.2.

Per quanto riguarda l’agenda futura del dialogo sociale, il 13 febbraio 2015 le parti sociali dell’ACWG (AEA, ECA, ETF) hanno adottato la seguente dichiarazione comune: «Le parti sociali […] sono pronte ad avviare discussioni su un quadro per il settore dell’aviazione che mira ad una parità di condizioni a livello globale. Si dovrebbero prevedere azioni comuni per arrestare la tendenza al deterioramento delle condizioni di lavoro e alle bandiere di comodo. Le parti sociali convengono di continuare il loro lavoro in questo campo. Esse adotteranno le misure necessarie per impegnarsi attivamente con le diverse istituzioni dell’UE e con le autorità nazionali per definire con urgenza una strategia globale nel settore europeo dell’aviazione con obiettivi, priorità e scadenze chiari».

5.3.

Vi è inoltre la necessità di una migliore consultazione delle parti sociali da parte della Commissione europea. La decisione 98/500/CE della Commissione che istituisce comitati di dialogo stabilisce che ciascun comitato di dialogo sociale settoriale, nel settore di attività per il quale è stato creato, debba essere consultato sugli sviluppi a livello europeo che abbiano implicazioni sociali. Tale obbligo è spesso trascurato. È inoltre necessario affrontare le implicazioni sociali delle norme in materia di sicurezza elaborate dall’Agenzia europea per la sicurezza aerea.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Corte di giustizia, sentenza del 18 dicembre 2007, causa C-341/05, Laval, pag. I.11767, punto 103.

(2)  GU L 177 del 4.7.2008, pag. 6.

(3)  GU L 149 dell’8.6.2012, pag. 4.

(4)  GU L 28 del 31.1.2014, pag. 17.

(5)  GU L 159 del 28.5.2014, pag. 11.

(6)  GU L 225 del 12.8.1998, pag. 27.

(7)  Relazione ATAG Powering global economic growth, employment, trade links, tourism and support for sustainable development through air transport («Promuovere la crescita economica mondiale, l’occupazione, i legami commerciali, il turismo e il sostegno allo sviluppo sostenibile attraverso il trasporto aereo»), 2014.

(8)  Relazione finale Study on the effects of the implementation of the EU aviation common market on employment and working conditions in the Air Transport Sector over the period 1997/2010 («Studio sugli effetti dell’attuazione del mercato comune dell’aviazione nell’UE sull’occupazione e le condizioni di lavoro nel settore del trasporto aereo nel periodo 1997-2010»), Steer Davies Gleave, Londra, 2012, pag. 74.

(9)  Relazione finale Study on the effects of the implementation of the EU aviation common market on employment and working conditions in the Air Transport Sector over the period 1997/2010 («Studio sugli effetti dell’attuazione del mercato comune dell’aviazione nell’UE sull’occupazione e le condizioni di lavoro nel settore del trasporto aereo nel periodo 1997-2010»), Steer Davies Gleave, Londra, 2012, pag. vii.

(10)  Relazione IATA Vision 2050, Singapore, 12 febbraio 2011, pag. 2.

(11)  Tema mondiale del lavoro dignitoso, Organizzazione internazionale del lavoro.

(12)  Cfr. gli studi condotti dalle parti sociali europee: -2012: Prof. Peter Turnbull (università di Cardiff) e dott. Geraint Harvey (università di Swansea), The development of the low cost model in the European civil aviation industry («Lo sviluppo del modello low cost nel settore dell’aviazione civile europea»), studio commissionato dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti. - 2014: Prof. Peter Turnbull (università di Cardiff) e dott. Geraint Harvey (università di Birmingham), Evolution of the Labour Market in the Airline Industry due to the Development of the Low Fares Airlines («Lo sviluppo del mercato del lavoro nel settore dell’aviazione in seguito allo sviluppo delle linee aeree a basso costo»), studio commissionato dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti. - 2015: Università di Gent, équipe diretta dal prof. Yves Jorens, Atypical Employment in Aviation («I lavori atipici nel settore dell’aviazione»), studio commissionato dall’Associazione europea dei piloti (ECA), dall’Associazione delle compagnie aeree europee (AEA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF).

(13)  Libro bianco, Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti — Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile, COM(2011) 144 definitivo, pag. 22.

(14)  Relazione Nuovi modelli d’impresa, RAG (Rulemaking Advisory Group — gruppo consultivo sulla normativa) dell’AESA, del 17 aprile 2015, pag. 1, punto 2; pag. 5, punto 9.3; pag. 6, punto 9.5.1; pag. 7, punti 9.5.2 e 9.6.

(15)  GU L 177 del 4.7.2008, pag. 6.

(16)  GU L 284 del 30.10.2009, pag. 1.

(17)  Tema mondiale del lavoro dignitoso, Organizzazione internazionale del lavoro.

(18)  Relazione sulla Petizione di Scandinavian Airlines (SAS) alle autorità di regolamentazione statunitensi in merito alla domanda presentata da Norwegian Air International (NAI) di autorizzazione come vettore aereo straniero (Foreign Air Carrier) negli Stati Uniti (Airline Business, aprile 2014).

(19)  Dichiarazione comune contro le bandiere di comodo con sede nell’UE nel settore dell’aviazione, gruppo di lavoro sull’equipaggio di volo (ACWG) del comitato di dialogo sociale settoriale, del 5 giugno 2014.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/116


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ciberattivismo e le organizzazioni della società civile»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/18)

Relatore:

Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 febbraio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

«Il ciberattivismo e le organizzazioni della società civile».

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 205 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Nell’attuale società digitale il ciberattivismo costituisce uno strumento valido per conferire autonomia e responsabilità ai cittadini, nella misura in cui agevola e promuove una pratica sociale attiva e la partecipazione attraverso le nuove tecnologie, contribuendo al tempo stesso a ridurre l’esclusione e il divario digitali. Un approccio concettuale al ciberattivismo è quello che lo definisce come un tipo di attivismo che stimola la rivendicazione militante di cause politiche, ambientali, sociali, civiche, culturali ecc., senza che siano previamente necessarie ideologie definite, gerarchie o programmi, e che utilizza per il suo sviluppo strumenti tecnologici che promuovono la diffusione e la partecipazione in maniera virale. Esso deve essere distinto da quelle iniziative che non sono conformi ai principi e ai valori democratici e solidali e le cui intenzioni si discostano dall’interesse sociale e dal bene pubblico.

1.2.

Per lo sviluppo del ciberattivismo quale strumento, è necessario che sia la Commissione europea sia gli Stati membri inseriscano nei loro programmi di lavoro iniziative e misure volte a promuovere strutture che favoriscano un’adeguata espansione della società in rete, facilitando l’accesso libero e universale, garantendo la trasparenza e la confidenzialità, nonché tutelando i diritti alla riservatezza e alla sicurezza dei dati personali, con una particolare attenzione per i gruppi più svantaggiati.

1.3.

Il CESE ritiene indispensabile diffondere tra la popolazione le conoscenze e le competenze necessarie per servirsi in modo intelligente e sicuro del ciberattivismo; per questo motivo, esorta le istituzioni europee a incoraggiare le attività di sensibilizzazione, formazione e istruzione in materia, prestando particolare attenzione alla divulgazione delle buone pratiche e all’eliminazione delle forme illecite di attivismo in rete. Al riguardo, bisognerà mettere a disposizione le risorse ritenute necessarie per la valutazione e lo sviluppo dell’esercizio del ciberattivismo.

1.4.

Inoltre, in rapporto alla governance istituzionale, il ciberattivismo promuove ambiti di codecisione e ripartizione dei poteri attraverso l’interazione di molteplici attori (governi, organizzazioni della società civile, attori sociali, cittadini, imprese) in modo multidirezionale, con modalità sia proattive che reattive.

1.5.

Di conseguenza, il sostegno al ciberattivismo implica una configurazione distribuita in rete che comprende sia le relazioni orizzontali tra cittadini che le relazioni verticali tra governo e cittadinanza. L’interazione orizzontale permette di promuovere la solidarietà in linea sia attraverso un cibervolontariato attivo e impegnato, che mediante azioni e iniziative di cooperazione e collaborazione. A sua volta l’interazione verticale, dall’alto verso il basso, progredisce nel settore dell’e-government, apportando trasparenza e rendendo più facile per i cittadini l’accesso e la comunicazione nelle questioni connesse alla pubblica amministrazione, mentre, dal basso verso l’alto, tale interazione rafforza la rappresentanza civica all’interno delle istituzioni, in un contesto aperto di e-democracy che permette di rendere concreta la partecipazione con metodi come le consultazioni popolari o le iniziative legislative.

1.6.

Infine, il CESE fa presente la necessità di creare e applicare metodologie di valutazione specifiche e indicatori per misurare l’impatto sociale ed economico del ciberattivismo, nonché di elaborare studi e relazioni per conseguire una maggiore coerenza nella sua azione per quanto concerne i fattori di rappresentatività effettiva e leadership, continuità, nascita di nuove strutture e tendenze sociali ecc.

2.   Introduzione

2.1.

L’impatto delle nuove tecnologie sulla società odierna è rispecchiato nello spazio virtuale denominato «ecosistema digitale», in cui si sviluppano nuovi modi di vita che tendono a sostituire i modelli tradizionali di espressione e relazione all’interno della collettività.

2.2.

In questa rivoluzione tecnologica bisogna prendere specialmente in considerazione, oltre agli aspetti economici, culturali o innovativi, le sfide e le opportunità che si presentano nel campo dell’informazione, della comunicazione e della partecipazione, in un nuovo contesto di governance in cui la corresponsabilità in rete può in larga misura determinare importanti modifiche nelle strutture e nelle forme di organizzazione della società nel futuro.

2.3.

L’impatto delle reti sociali online e di Internet, quando sono inclusivi, ha aperto nuovi orizzonti al ruolo che i cittadini possono svolgere nella costruzione sociale, ampliando il loro potere di agire e concedendo loro un ruolo di primo piano nella concezione del loro divenire condiviso.

2.4.

Questa tendenza collettiva si accentua col tempo a livello mondiale, e questo contribuisce a rafforzare le iniziative già avviate e a consolidare ulteriormente la capacità di collegarsi e interagire fornendo feedback su azioni in settori decisionali e di potere sempre più distribuiti, con un alto grado di immediatezza e diffusione. Di conseguenza, le azioni portate avanti ne alimentano altre in un processo positivo di rafforzamento che produce progressi sempre maggiori.

2.5.

A tale riguardo, è importante non considerare i movimenti civici digitali come una semplice aggregazione di utenti di Internet sotto la denominazione abituale di «moltitudine», ma come uno «smart mob», cioè un gruppo che agisce in modo intelligente ed efficiente grazie alla crescita esponenziale di collegamenti in rete. Questa rete di connessioni permette alle persone di collegarsi per accedere alle informazioni e interagire con altre persone, rendendo così possibile la nascita di un autentico coordinamento sociale che progetti una società consapevole, partecipativa e responsabile.

2.6.

Di conseguenza, nello scenario descritto, il valore aggiunto più prezioso consiste nella partecipazione attiva di una cittadinanza che non vuole rinunciare alla sua sovranità nei temi che la riguardano e che non solo è preparata ad assumersi questa responsabilità, ma la mette anche in mostra, come evidenziato da alcuni dei dati (Ciberactivismo: Las nuevas revoluciones de las multitudes conectadas, Tascón, Mario y Quintana, Yolanda. La Catarata, 2012 — «Ciberattivismo: le nuove rivoluzioni delle moltitudini connesse») relativi alla produzione giornaliera in rete: 1,6 milioni di commenti nei blog o 140 milioni di tweet.

2.7.

E lo stesso vale per l’esame documentale del ciberattivismo, tra le cui pagine figurano manifestazioni e movimenti sociali di grande respiro e diffusione, come Occupy Wall Street, il Parco Gezi, la primavera araba o «los indignados» in Spagna, oltre a campagne per motivi filantropici o di solidarietà promosse da organizzazioni riconosciute della società civile, anche con la raccolta di fondi mediante meccanismi di «crowdfunding» o semplicemente in aggiunta a piattaforme finanziate in modo trasparente.

3.   Netactivismo o attivismo digitale

3.1.

Tra le varie proposte concettuali esistenti in merito al ciberattivismo, è possibile adottare un approccio sincretico definendolo come una strategia o attività che intende influire sull’agenda pubblica attraverso mezzi elettronici e impiegando nuove tecnologie come canale di comunicazione, oltre che per la trasmissione delle informazioni nel quadro della partecipazione civica.

3.2.

Inoltre, dal punto di vista dei supporti utilizzati nella pratica ciberattivista, si può considerarla come il complesso di tecnologie dell’informazione e della comunicazione operanti nei media e nelle reti sociali che rendono possibile una comunicazione elettronica rapida e efficace tra i cittadini in rapporto a un impegno comune per affrontare attivamente necessità, problemi o questioni che li interessano per motivi ideologici o di valori, basati sull’etica e sulla solidarietà.

3.3.

L’utilizzo normale e non distruttivo di Internet per una causa o una finalità si distingue chiaramente da altri tipi di attività (Denning, 2001), come la disobbedienza civile elettronica (hackattivismo), non solo per i mezzi impiegati ma anche per le finalità perseguite, se sono contrarie alla legge. Nel caso dell’attivismo digitale o ciberattivismo propriamente detto, le azioni devono essere rivolte, in generale, al bene comune oppure, in particolare, devono essere dirette a far fronte a difficoltà o circostanze avverse, che alcuni gruppi della popolazione possono subire in modo ripetuto o all’improvviso, e a superarle.

3.4.

Le attività più comuni del ciberattivismo sono: la ricerca di informazioni su pagine web, la costruzione di siti Internet che offrono informazioni e documentazione, l’edizione di pubblicazioni elettroniche, la costituzione di comunità virtuali, l’invio massiccio di lettere mediante la posta elettronica, la creazione di spazi e forum di dibattito in rete, la pianificazione, la convocazione e il coordinamento di attività, la creazione di alleanze strategiche e di legami di cooperazione, la promozione di movimenti associativi, la proposta di sostenere e/o aderire a iniziative collettive già avviate.

3.5.

Potrebbero inoltre rientrare nel ciberattivismo le azioni di appello politico globale su Internet (o «web squared»), ossia le azioni collettive in cui persone che rimangono geograficamente disperse sul territorio (globale o locale) si uniscono, comunicando tra loro attraverso dispositivi mobili, e confluiscono in un luogo fisico specifico.

3.6.

In conclusione, l’attivismo online o ciberattivismo risulta uno strumento molto efficace e potente, che consente al tempo stesso il trasferimento di informazioni e conoscenze su questioni importanti di cui i cittadini possono non essere a conoscenza e a cui, quindi, non è possibile dare una risposta adeguata mediante la mobilitazione sociale. Occorre tuttavia ancora comprovarne la validità quale alternativa ai canali di rivendicazione tradizionali.

4.   Il ciberattivismo nel quadro delle politiche dell’Unione

4.1.

Nell’UE, l’approccio al ciberattivismo prende in considerazione, da un lato, le politiche di promozione della società digitale e, dall’altro, le politiche sociali e di partecipazione, oltre a tener conto dell’accento posto sull’applicazione dei principi di buona governance nelle amministrazioni pubbliche.

4.2.

L’articolo 11o della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce che ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di opinione e la libertà di ricevere o comunicare informazioni o idee senza l’ingerenza di autorità pubbliche e senza limiti di frontiera, e implica il rispetto della libertà dei mezzi di comunicazione e del loro pluralismo.

4.3.

Inoltre l’articolo 12o della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che è dedicato alla libertà di riunione e associazione, stabilisce che ogni persona ha diritto alla libertà di riunione pacifica e alla libertà di associazione a tutti i livelli, segnatamente in campo politico, sindacale e civico.

4.4.

Bisogna prendere in considerazione anche l’articolo 8o della suddetta Carta, che fa riferimento al diritto di ogni persona alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano, e al fatto che tali dati vanno trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e con il consenso della persona interessata, oppure in base ad altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha inoltre il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e ottenerne la rettifica. Non meno importante è considerare il principio delle pari opportunità come diritto fondamentale in riferimento all’esclusione digitale, soprattutto per quanto riguarda i gruppi vulnerabili.

4.5.

D’altro canto, l’agenda digitale per l’Europa affronta, tra l’altro, i seguenti aspetti: che gli Stati membri hanno l’obbligo di proteggere:

la libertà di accesso a servizi e contenuti digitali. È un elemento cruciale per l’esercizio della cittadinanza in un contesto di vera democrazia elettronica;

il coinvolgimento dei cittadini. L’Europa potrà raccogliere i frutti di questa rivoluzione digitale soltanto se tutti i cittadini dell’UE sono mobilitati e possono partecipare appieno alla nuova società digitale;

la garanzia di un accesso universale ad alta velocità, condizione necessaria e sufficiente per un ciberattivismo efficace e potente;

problemi di trasparenza nella gestione di strutture, strumenti e risorse digitali che impediscano una partecipazione aperta o snaturino gli obiettivi e le procedure del ciberattivismo e il suo sviluppo;

la promozione di competenze digitali per una società digitale inclusiva. Il potenziale dell’Europa risiede nelle qualifiche della sua popolazione, nella sua forza lavoro e nelle sue organizzazioni. Senza un’infrastruttura capillare, le TIC potranno essere utilizzate solo in misura limitata e, senza qualifiche, il loro utilizzo potrà apportare un valore economico e sociale limitato. È inoltre necessario ridurre il divario digitale che produce squilibri e disuguaglianze;

la protezione efficace dei diritti digitali. Senza la necessaria fiducia, i cittadini si astengono dal partecipare attivamente, dall’interagire o dall’esprimere liberamente le loro opinioni;

lo sviluppo della cosiddetta quinta libertà, ossia la libera circolazione dei contenuti e della conoscenza.

4.6.

Con cittadinanza attiva s’intende la partecipazione dei cittadini, di gruppi di cittadini e delle organizzazioni della società civile, in particolare delle parti sociali, all’elaborazione delle politiche (dialogo verticale tra la società civile e le amministrazioni pubbliche), nonché il loro collegamento in rete e la loro cooperazione (dialogo orizzontale).

5.   Il volontariato nel quadro del ciberattivismo

5.1.

È evidente che in una società digitale come quella attuale, le opportunità di cambiamento sociale offerte da Internet e dalle reti sociali sono immense. Senza limitazioni spazio-temporali, in modo semplice e con facilità di accesso, i cittadini possono contribuire a generare cambiamenti significativi nei rispettivi contesti, anche al di fuori del loro ambito quotidiano, aiutando migliaia di persone in modo disinteressato.

5.2.

Ben lungi dal cadere nel cosiddetto «slacktivismo» o attivismo pigro, le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione consentono ai cittadini di placare le loro inquietudini, di partecipare alla gestione delle loro questioni e alla difesa dei loro diritti e interessi, di collaborare attivamente e con impegno alle iniziative che contribuiscono a esprimere le idee, i principi e i valori; tutto questo favorisce la realizzazione personale ed evita l’alienazione sociale, oltre a diventare un fattore di coesione e integrazione della comunità.

5.3.

Il volontariato virtuale o volontariato online consiste nel realizzare, mediante le nuove tecnologie, attività gratuite sotto forma di interventi che non richiedono la presenza fisica, come azioni di sostegno a campagne per la divulgazione e l’elaborazione d’informazioni, servizi di assistenza e qualsiasi altro compito che possa essere svolto via Internet in modo altruistico e con impegno per una finalità o una causa precisa.

5.4.

Il volontariato digitale, quando è limitato al sostegno, alla divulgazione e alla comunicazione di campagne, rientra nel ciberattivismo e, in questo caso, si esprime mediante la partecipazione ad azioni di protesta e denuncia per via elettronica (raccolta di firme, contributi personali, azioni di diffusione esponenziale dell’informazione ecc.).

5.5.

Nell’intento di ampliare le azioni da sviluppare, varie piattaforme e siti web responsabilizzano milioni di persone sensibilizzandole e motivandole a reagire a questioni urgenti e importanti, indipendentemente dal livello territoriale al quale si riferiscono e dalla loro natura (economica, sociale, ambientale, politica ecc.).

5.6.

Questo modello di mobilitazione attraverso Internet consente di aggregare migliaia di volontà e sforzi individuali che, nonostante il loro anonimato o l’assenza di importanza, diventano significativi nella misura in cui possono trasformarsi rapidamente in una potente forza collettiva in grado di influenzare gli opportuni settori decisionali e di potere.

In definitiva, questa modalità di volontariato a distanza accresce le capacità delle organizzazioni competenti e fornisce uno spazio affinché il maggior numero possibile di persone partecipi, aumentando il potere di inclusione delle organizzazioni stesse.

6.   Proposte di azione

6.1.

Sebbene il potenziale e i benefici del ciberattivismo siano dimostrati, a volte le strategie impiegate nei media sociali riuniscono sì le persone, ma non creano una comunità, e questo impedisce in certa misura la sostenibilità dei cambiamenti sociali perseguiti. In quest’ottica, attraverso la valutazione oggettiva associata a criteri qualitativi e a principi, nonché i benefici sociali dell’iniziativa, si deve contribuire a definire una metodologia in materia.

6.2.

Si ritiene opportuno agevolare lo sviluppo proattivo del ciberattivismo e il volontariato digitale nella misura in cui il contesto delle reti sociali e i portali Internet offrono maggiore accessibilità, immediatezza e massa critica per la partecipazione sociale e la corresponsabilità civica, con un considerevole risparmio in termini di costi di gestione, coordinamento ed esecuzione delle attività. Essi inoltre favoriscono le condizioni per l’inclusione: accessibilità, responsabilità, possibilità di conseguire l’obiettivo perseguito.

6.3.

Di conseguenza, il Comitato economico e sociale europeo esorta la Commissione europea e gli Stati membri, nell’ambito delle rispettive competenze, ad adottare le misure necessarie per favorire l’attuazione e lo sviluppo di meccanismi per un attivismo e una partecipazione cibernetici efficaci, per promuovere e rafforzare sia l’impegno sociale sia il volontariato.

6.4.

Bisogna inoltre stimolare l’introduzione di parametri e criteri di valutazione pertinenti che li avvalorino e li legittimino, che rendano trasparenti e valorizzino i processi di sensibilizzazione e mobilitazione e permettano di stabilire i benefici sociali generati.

6.5.

È altresì necessario garantire la protezione effettiva e l’esercizio dei diritti riconosciuti in questo campo ai cittadini europei, come si è detto specialmente in rapporto all’obiettivo di agevolare l’accesso alle informazioni e la libertà d’informazione, oltre a quello di garantire il flusso di scambi, la loro integrità, confidenzialità e continuità attraverso le reti, senza ridurre in alcun modo la speditezza nella trasmissione delle comunicazioni. Tale garanzie dovranno essere accordate in modo proporzionale in base a ciò che sia necessario fare nel caso dei gruppi svantaggiati.

6.6.

D’altro canto, a causa della loro importanza nel quadro del ciberattivismo occorre menzionare, in tale contesto, la giustizia attiva in rete e i valori della fiducia e della reputazione, dirigendo l’analisi verso un aumento delle garanzie nel ciberspazio

6.7.

Le istituzioni interessate devono fare in modo di mettere a disposizione dei cittadini infrastrutture e strumenti tecnologici che consentano loro di sviluppare in via permanente e con normalità le loro attività digitali, adattando inoltre le strutture sociali alle nuove tecnologie e promuovendo le azioni di formazione e istruzione necessarie per mettere i cittadini in condizione di utilizzare tali strumenti, oltre che per ridurre l’attuale divario digitale, nell’interesse di una maggiore coesione territoriale, sociale ed economica

6.8.

Infine, bisogna studiare e approvare programmi di sensibilizzazione che facciano prendere coscienza ai cittadini dell’importanza della partecipazione sociale e del volontariato attraverso le nuove tecnologie, sostenendo gli enti e le iniziative che operano in questi settori mediante la cooperazione in un contesto di buona governance istituzionale.

Bruxelles, 16 settembre 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/121


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Revisione dell’accordo di associazione tra l’UE e il Messico»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/19)

Relatore:

José Isaias RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO

Correlatore:

Juan MORENO PRECIADO

Il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della sessione plenaria del 10 luglio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

Revisione dell’Accordo di associazione tra l’UE e il Messico

(parere d’iniziativa)

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2015.

Alla sua.510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015. (seduta del.17 settembre 2015), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 92. voti favorevoli, nessun voto contrario e 4. astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che il rilancio delle relazioni con il Messico dovrebbe essere considerato dal punto di vista delle relazioni tra l’Unione europea e l’intera regione dell’America latina e dei Caraibi e che, insieme agli aspetti puramente economici e commerciali, debbano essere valorizzati altri legami che le due parti condividono sul piano storico e culturale e che permettono di controbilanciare la crescente influenza della dimensione panamericana e del Pacifico su questo continente. Il Messico e l’UE hanno, nel quadro della globalizzazione, legami culturali, lingue veicolari e, sostanzialmente, una serie di valori che creano collegamenti speciali tra le rispettive società che è opportuno sviluppare e approfondire e che, ovviamente, dovrebbero portare ad una coincidenza di approcci nei forum internazionali.

1.2.

Invece di partire da zero, negoziando un accordo totalmente nuovo, il CESE ritiene più efficace portare avanti una revisione profonda e un’estensione dell’ambito di applicazione dell’Accordo già esistente basandosi sull’esperienza di 15 anni di funzionamento.

1.3.

Per il CESE è necessario istituire quanto prima un comitato consultivo misto (CCM) composto da nove o dodici rappresentanti del CESE e da un numero uguale di rappresentanti della società civile organizzata messicana. Il CCM deve essere riconosciuto dagli organi esecutivi dell’Accordo al quale presenterà le proposte della società civile. Il comitato consultivo misto svolgerà funzioni consultive sul contenuto generale dell’Accordo, fermo restando che per le tematiche specifiche relative al commercio e allo sviluppo sostenibile dovranno essere definiti altri meccanismi di partecipazione. Chiede inoltre che il futuro Accordo comprenda anche un comitato avente tali caratteristiche.

1.4.

Il nuovo accordo dovrebbe includere un paragrafo in cui si chiede alle parti di ratificare e di attuare le convenzioni e le risoluzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) per quanto riguarda i principi e i diritti sociali fondamentali che contemplano gli obiettivi del «lavoro dignitoso» dell’OIL e, in particolare, la convenzione OIL n. 98 concernente l’applicazione dei principi relativi al diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva.

1.5.

Inoltre, in materia di commercio e di investimenti, è necessario migliorare alcuni aspetti dell’attuale Accordo su questioni connesse agli ostacoli non tariffari, agli Accordi di protezione e promozione reciproca degli investimenti, alla tutela della proprietà intellettuale e a un’intensificazione della cooperazione in materia fiscale che si proponga di mettere fine alla frode e all’evasione fiscale.

1.6.

Le priorità in materia di cooperazione dovrebbero essere riconsiderate, favorendo gli elementi inclusi nel Partenariato strategico, di modo che siano interconnesse tra loro e portino a quella sinergia positiva finora dimostratasi insufficiente per la mancanza di un adeguato collegamento tra i singoli progetti.

1.7.

In concreto, il CESE desidera mettere in evidenza tre settori che considera prioritari ai fini di detta cooperazione rafforzata: miglioramento della governance, ricerca scientifica e tecnica e cooperazione nel campo dello sviluppo sostenibile, dei cambiamenti climatici e della tutela dell’ambiente.

2.

Le relazioni tra l’Unione europea e il Messico nel contesto globale delle relazioni con l’America latina

2.1.

Da oltre un decennio, i legami tra l’Europa, l’America latina e i Caraibi mostrano segni di stanchezza. La sfida degli attuali leader su entrambe le sponde dell’Atlantico consiste nel ravvivare detti legami conferendo ad essi un rinnovato dinamismo.

2.2.

È chiaro che l’America latina subisce l’influenza dell’evoluzione dell’intero continente americano, nonché della crescente interdipendenza economica con i paesi del Pacifico, e più in particolare con la Cina. Tuttavia, le relazioni tra l’Europa e l’America latina si basano su legami culturali, lingue veicolari, valori che da un lato creano profondi interessi comuni fra le rispettive società e dall’altro fanno sì che entrambe le regioni abbiano il privilegio di disporre di radici culturali e storiche comuni nel contesto complesso della globalizzazione, radici che vanno ben al di là di obiettivi e valori puramente commerciali. L’aspetto economico deve pertanto essere visto come uno dei tanti elementi delle relazioni nel loro complesso, ma non come il loro nucleo centrale o il loro filo conduttore, diversamente da quanto può accadere con altre regioni del mondo.

2.3.

Allo stesso tempo, è evidente che le relazioni tra l’UE e il Messico, pur essendo quest’ultimo un partner strategico, hanno progredito ad un ritmo più lento rispetto a quelle con altre parti del mondo e si avverte un certo affaticamento che rende più che mai indispensabile fornire nuovi elementi di dibattito e di riflessione tali da imprimere un nuovo slancio ai rapporti tra le due parti.

3.   Contesto

3.1.

Per l’Unione europea il Messico è importante per i seguenti aspetti: innanzi tutto, la sua numerosa popolazione (più di 120 milioni di abitanti), il suo peso sul PIL mondiale pari al 2 % e il suo PIL pro capite vicino ai 9 000 EUR, lo rendono un partner commerciale di grande rilevanza sul piano internazionale. In secondo luogo il paese è parte del trattato NAFTA, ed è perciò importante in termini economici e diplomatici per quanto concerne gli accordi transatlantici globali con l’America settentrionale e il processo di Heiligendamm; infine, gli intensi vincoli culturali tra le due parti fanno sì che l’Unione europea possa contribuire agli sforzi che il governo messicano mette in atto per consolidare le strutture sociali e per conseguire una società più equa e una convivenza più pacifica.

3.2.

Nel 1997, l’Unione europea e il Messico hanno firmato un Accordo di associazione economica, coordinamento politico e cooperazione, entrato in vigore nel 2000. Tale accordo poggia su tre pilastri principali: il dialogo politico, il commercio e la cooperazione.

3.3.

Nell’ottobre del 2008 il Consiglio europeo ha approvato l’istituzione di un Partenariato strategico tra il Messico e l’Unione europea e successivamente, nel maggio del 2010, è stato adottato il piano esecutivo congiunto del Partenariato stesso, che prevede quattordici fra azioni e iniziative concrete a livello multilaterale, quattro sul piano regionale e altre quattordici in materia di relazioni bilaterali. Per lo sviluppo del Partenariato, è stata creata un’ampia gamma di meccanismi di dialogo istituzionalizzato tra il Messico e l’Unione europea, come ad esempio un vertice biennale che comprende il Forum di dialogo con la società civile, una Commissione mista annuale, la Commissione parlamentare mista e fino a nove dialoghi settoriali su questioni che vanno dai diritti umani e dai cambiamenti climatici fino agli aspetti culturali.

3.4.

La cooperazione tra il Messico e l’UE si articola nell’ambito di quattro modalità complementari: innanzi tutto la cooperazione bilaterale, la cui programmazione per il periodo 2007-2013 fissava come argomenti prioritari la coesione sociale, l’economia sostenibile e la competitività, l’istruzione e la cultura. In secondo luogo la cooperazione settoriale in ambiti quali la democrazia e i diritti umani, gli attori non statali, l’ambiente e la sicurezza nucleare, la salute, l’immigrazione e l’asilo. In terzo luogo, la partecipazione attiva del Messico ai programmi regionali per l’America latina e i Caraibi. Infine, la partecipazione diretta del Messico ad altri programmi dell’UE, come ad esempio il Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico.

3.5.

A più riprese negli ultimi anni, sia il Messico sia l’UE hanno espresso la necessità di intensificare e di ampliare le relazioni reciproche; in particolare in ambito commerciale, si è insistito sull’esigenza di dare ulteriore rilievo all’Accordo di libero scambio in vigore dal 1997 e di rafforzare la cooperazione, sia a livello multilaterale sia nell’ambito delle relazioni dell’UE con i paesi dell’America latina e dei Caraibi nel loro complesso.

4.   Valutazione della situazione attuale

4.1.

All’inizio del mandato del presidente Peña Nieto (dicembre 2012), i partiti principali hanno firmato un «patto per il Messico» e il governo ha avviato una serie di riforme per modernizzare l’economia e lo Stato e stimolare in tal modo il dinamismo dell’economia messicana. Tuttavia, se il Messico non riesce a vincere la battaglia contro la violenza e per il pieno rispetto dei diritti umani, la vitalità economica del paese è in pericolo. La lotta contro le reti criminali al fine di ridurre la violenza acuitasi negli anni precedenti non ha ancora raggiunto i risultati sperati; gli omicidi indiscriminati, infatti, le scomparse, i sequestri ecc. continuano ad essere eventi all’ordine del giorno. Bisogna sottolineare che, in questo senso, una serie di misure sono state attuate sul piano federale (Programma nazionale per i diritti umani; coordinamento tra gli enti locali, i governi degli stati federati e il governo centrale; ristrutturazione delle polizie degli stati federati e degli organi giudiziari) per mettere fine alla mancanza di coordinamento tra le diverse forze dell’ordine e per evitare i casi di complicità o di coinvolgimento di agenti di polizia nei delitti.

4.2.

Da un punto di vista puramente commerciale, l’Accordo del 1997 può essere considerato, in una certa misura, positivo per entrambe le parti. Nel periodo 2003-2013, l’interscambio è triplicato e il Messico ha aumentato la quota sulle esportazioni dell’UE portandola dall’1 % all’1,7 %, mentre l’UE ha mantenuto un’eccedenza commerciale quasi costante nel corso degli anni, compresa tra 7 e 10 miliardi di euro. Questo fa del Messico il diciassettesimo partner commerciale dell’UE per ordine d’importanza, con l’1 % delle importazioni totali dell’Unione europea e, come già sottolineato, l’1,7 % delle nostre esportazioni totali, cifre che, tuttavia, sono al di sotto del 2 % che è il peso del Messico rispetto al PIL globale, pur essendo l’Unione europea il terzo partner commerciale del Messico dopo gli Stati Uniti e la Cina.

4.3.

Sono stati inoltre realizzati notevoli investimenti diretti sia dall’Unione europea in Messico (11 138 milioni di EUR nel solo periodo 2008-2012) sia dal Messico nell’Unione europea (in particolare in settori quali il cemento, le telecomunicazioni e l’alimentazione). In generale, il Messico ha sottoscritto, con tutti i paesi dell’Unione europea, trattati bilaterali in materia di protezione degli investimenti; addirittura vi è un accordo bilaterale tra il Messico e la Banca europea per gli investimenti volto a finanziare attività in tale paese, il che ha consentito, a partire dal 2000, la concessione di linee di credito per un importo di 495 milioni di EUR. Tuttavia, non si registrano progressi adeguati nella lotta contro la frode fiscale.

4.4.

Queste cifre relative agli investimenti sono però condizionate dalla tradizionale politica messicana volta a mettere restrizioni all’accesso degli investitori esteri a settori strategici come l’energia o i servizi postali (come previsto dalla costituzione messicana) o ancora i servizi di telecomunicazioni e di trasporto di passeggeri via terra. Gran parte di queste regole è in corso di progressiva eliminazione con il piano di sviluppo del Messico 2013-2018, che sta producendo progressi significativi, che il Comitato spera continuino nel futuro e che dovranno tener conto dell’opinione della società messicana nel suo complesso.

4.5.

Per quanto concerne il sostegno alla società civile messicana ed il suo rafforzamento, è stata sviluppata un’ampia gamma di progetti comuni tra i quali figurano la creazione di un Laboratorio per la coesione sociale, diverse iniziative finanziate a titolo dello Strumento europeo per la democrazia e i diritti umani in ambiti riguardanti l’uguaglianza e la protezione dei minori e quindici progetti relativi ai cosiddetti «attori non statali». Sono state infine avviate iniziative legate alla salute della popolazione, all’emigrazione e all’asilo.

4.6.

Per rafforzare la competitività e la protezione dell’ambiente sono state elaborate iniziative nel quadro del progetto in materia di competitività e d’innovazione (Procei), intese a favorire le PMI messicane nonché una serie di iniziative settoriali in materia di agricoltura, cambiamento climatico e sicurezza nucleare. Allo stesso tempo, i ricercatori messicani, i centri di ricerca e le università del paese hanno accesso al programma Orizzonte 2020 dell’Unione europea.

4.7.

Sono stati elaborati progetti interessanti nel settore culturale, nell’ambito del «Fondo culturale UE-Messico» (fasi I e II), ai quali ha partecipato Conaculta come principale interlocutore messicano.

4.8.

Un aspetto che ha dato puntualmente luogo a differenze di interpretazione è stata l’applicazione dei principi di «coerenza e condizionalità», che l’Unione europea promuove nei suoi accordi esterni con altri paesi e regioni. In particolare, gli aspetti concernenti la condizionalità sono stati interpretati da alcuni interlocutori messicani come una «ingerenza negli affari interni del paese», soprattutto per quanto riguarda il rafforzamento della democrazia e dei diritti umani e il trattamento delle comunità indigene. Il CESE ritiene che questi aspetti non potranno essere assenti dalla futura revisione dell’accordo.

4.9.

Nel piano esecutivo congiunto dell’anno 2010 destinato a sviluppare il cosiddetto Partenariato strategico UE-Messico, si dichiara che: «Il Messico e l’UE si impegnano a rafforzare i settori di dialogo politico nella regione, incoraggiando il dialogo bi-regionale, in particolare con il gruppo di Rio e nei vertici UE-America latina e Caraibi (UE- ALC) nonché promuovendo la cooperazione triangolare attraverso il progetto d’integrazione e di sviluppo della Mesoamerica. Il Messico e l’UE esamineranno inoltre le possibilità di avviare una cooperazione triangolare con altre regioni del mondo, ad esempio l’Africa.»

4.10.

Trattandosi di un paese con un PIL sufficientemente elevato, vi sono serie possibilità che il Messico smetta di ricevere gli aiuti per la cooperazione bilaterale che la Commissione europea concede ai paesi in ritardo di sviluppo.

4.11.

Analizzando i verbali di numerose riunioni organizzate a livello istituzionale sia dalla Commissione e dal Parlamento europeo sia dallo stesso CESE con i suoi omologhi messicani, non emergono risultati concreti tali da poter giungere alla conclusione che il Partenariato strategico stia producendo passi avanti tangibili, in linea con la sua importanza politica. Il linguaggio diplomatico tipico di questi verbali rispecchia il fatto che né le possibili piccole differenze esistenti vengono affrontate in maniera approfondita né vengono forniti orientamenti precisi per sviluppare ulteriormente il Partenariato stesso.

4.12.

La negoziazione del Partenariato transatlantico su commercio e investimenti tra l’Unione europea e gli Stati Uniti (Transatlantic Trade and Investment Partnership-TTIP), avrà inevitabili ripercussioni sulle relazioni commerciali dell’America del Nord, sia con l’UE sia con tutta la regione.

4.13.

Pertanto, come già dichiarato nel 2012 dall’allora commissario responsabile del commercio, Karel de Gucht (1), nonostante il Messico e l’UE siano stati, nel 1997, pionieri nel firmare un accordo di libero scambio, gli accordi stipulati successivamente con molti altri paesi americani e del resto del mondo hanno creato regimi migliori e più approfonditi rispetto a detto accordo, ragion per cui quest’ultimo corre il rischio di diventare obsoleto e di impedire al Messico di continuare ad essere un partner privilegiato dell’UE sul piano politico, commerciale e strategico. Dopo tale dichiarazione, i progressi concreti registrati non sono stati sufficienti per perfezionare gli accordi in vigore, anche sotto il profilo puramente economico e commerciale.

5.   La partecipazione della società civile

5.1.

Per il CESE è necessario che le autorità di entrambe le parti accettino, nel quadro dei negoziati per modernizzare l’accordo, l’istituzione nell’ambito dell’accordo stesso di un comitato consultivo misto, formato in modo paritetico da rappresentanti del CESE e della società civile messicana; il comitato dovrebbe poter funzionare come elemento in grado di infondere dinamismo a tale processo.

5.2.

Le aspettative suscitate dalla «clausola democratica» hanno risvegliato l’interesse di numerose organizzazioni, tanto messicane quanto europee, a partecipare al monitoraggio dell’attuazione dell’Accordo globale. Il consiglio congiunto, composto del governo messicano e dalla Commissione europea, ha deciso di convocare un Forum di dialogo delle autorità e della società civile del Messico e dell’Unione europea per dare corso a tali richieste.

5.3.

Il primo forum si è tenuto a Bruxelles nel novembre 2002 con la partecipazione di più di 200 organizzazioni imprenditoriali, sindacati, ONG e diverse associazioni. Anche il comitato vi era rappresentato. Da allora, si sono svolti cinque forum, organizzati in modo alternato tra il Messico e l’Europa. In ognuno di questi forum sono state formulate richieste agli organi dell’Accordo globale, i quali ne hanno preso atto senza però darvi corso, tranne che per alcuni singoli temi specifici.

Tra le richieste più frequentemente avanzate dai forum figura la necessità di istituzionalizzare il dialogo fra le autorità e la società civile di entrambe le parti, proponendo tra le altre cose di tenere regolarmente il Forum due volte l’anno, di creare un Osservatorio sociale e di istituire un comitato consultivo misto.

5.4.

Il Forum si è tenuto con una certa regolarità ma non a scadenza periodica come richiesto. Ad esempio il sesto forum, che avrebbe dovuto svolgersi in Messico nel settembre 2014, non ha ancora avuto luogo.

5.5.

L’Osservatorio sociale, la cui creazione è stata, in linea di principio, accettata dalle autorità, non è ancora in funzione; inoltre i suoi obiettivi e la sua composizione non sono definiti. Numerose organizzazioni della società civile messicana lo giudicano uno strumento per la valutazione, da parte dei cittadini, dell’accordo globale e lo limitano all’ambito strettamente messicano, vale a dire senza la partecipazione europea.

5.6.

In Messico non esiste un Consiglio economico e sociale nazionale (vi sono però CES in alcuni degli stati federati), che potrebbe essere l’interlocutore naturale del CESE. Su richiesta di vari settori sociali, qualche anno fa è stato elaborato un progetto di legge per la creazione di un CES, ma l’iniziativa non è andata avanti. Diverse organizzazioni ed enti, nonché alcuni dei CES degli stati federati, hanno nuovamente chiesto che, nel corso delle riforme politiche attualmente in atto, tale progetto venga riesaminato

5.7.

Il CESE ha già sostenuto, in alcuni dei suoi precedenti pareri e nei contatti con le autorità, proposte analoghe al fine di rafforzare la partecipazione della società civile nell’Accordo. Nel parere La relazioni fra l’UE e il Messico del 2006 (2) il CESE ha chiesto di istituzionalizzare il dialogo con la società civile organizzata e ha fatto riferimento all’articolo 49 dell’Accordo, il quale prevede la possibilità di «istituire qualsiasi altro comitato o organo» per la creazione di un comitato consultivo misto.

5.8.

Per quanto riguarda l’eventuale creazione di un Consiglio economico e sociale in Messico, il CESE ha sottolineato che la creazione di un’istituzione sua omologa in Messico potrebbe risultare positiva per il monitoraggio delle relazioni UE-Messico da entrambe le parti, ma ha affermato di voler rispettare le decisioni che la società civile e le autorità messicane prenderanno in proposito.

6.   Prospettive ed eventuali orientamenti futuri

6.1.

La «dichiarazione di Bruxelles» del vertice UE-CELAC, del 10 e 11 giugno 2015, ha evidenziato i notevoli progressi che sono stati compiuti verso la modernizzazione dell’accordo UE-Messico e, dunque, verso l’avvio di negoziati «nel più breve tempo possibile». Il CESE spera nella firma di un nuovo accordo sulla base di una revisione e di un’estensione dell’accordo già esistente, analizzando i punti di forza e di debolezza riscontrati dall’UE e dal Messico nel cammino già intrapreso e basandosi sull’esperienza degli accordi di associazione firmati negli ultimi anni tra l’UE e vari paesi del mondo. L’accordo deve altresì servire da stimolo per le relazioni tra l’Unione europea, l’America latina e i Caraibi nel loro complesso.

6.2.

Il CESE è consapevole del fatto che il governo del Messico e le istituzioni dell’UE non hanno la stessa visione del ruolo che la società civile dovrebbe svolgere in tale processo. Tuttavia, il fatto di non canalizzare il punto di vista della società civile in modo organizzato potrebbe far nascere formule alternative di impronta populista.

6.3.

L’accordo riveduto dovrebbe includere un paragrafo in cui si chiede alle parti di ratificare e di attuare le convenzioni e le risoluzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) per quanto riguarda i diritti sociali fondamentali che contemplano gli obiettivi del «lavoro dignitoso» dell’OIL.

6.4.

Il Messico non ha ancora ratificato la convenzione OIL n. 98 (3) concernente l’applicazione dei principi relativi al diritto di organizzazione e di negoziazione collettiva. La ratifica di questa importante convenzione e il necessario adeguamento della legislazione in questo settore, impedirebbe la prassi diffusa dei cosiddetti «contratti di protezione», che ostacolano il dialogo tra i lavoratori e i datori di lavoro, e obbligherebbe tutte le imprese, messicane o straniere, a rispettare le norme internazionali del lavoro.

6.5.

Oltre a questi aspetti collegati a questioni lavorative, commerciali e di investimento, è necessario prendere in considerazione i temi connessi alle barriere non tariffarie, il sistema di protezione degli investimenti e la tutela dei diritti di proprietà intellettuale, oltre ad una maggiore cooperazione in materia fiscale per lottare contro la frode e l’evasione fiscale.

6.5.1.

Sarebbe utile un accordo globale con l’UE in materia di investimenti, che sostituisca e rafforzi gli accordi bilaterali firmati in precedenza dal Messico con diversi paesi dell’Unione, in un contesto di compatibilità con le disposizioni esistenti negli Stati membri dell’UE.

6.5.2.

Il Messico ha portato avanti un importante sforzo legislativo per migliorare la protezione della proprietà intellettuale, ma l’attuazione di queste misure legislative non è stata consolidata in modo efficace; è opportuno definire formule destinate a rafforzare la loro attuazione concreta, in particolare sulla questione della tutela contro la contraffazione dei marchi commerciali.

6.5.3.

Per quanto riguarda le barriere non tariffarie, il Messico non permette, nel caso di proprietari stranieri, un registro delle loro indicazioni geografiche, riconosciute a livello comunitario, come invece esiste, ad esempio, nell’accordo dell’Unione europea con la Colombia e il Perù. Questo rende assai difficile incrementare gli scambi commerciali di molti prodotti europei.

6.6.

Il Messico ha inoltre messo in luce la necessità di trovare un modo per migliorare l’accesso dei prodotti agricoli messicani ai mercati dell’UE, il che contribuirebbe a ridurre il divario commerciale attualmente esistente.

6.7.

La partecipazione della società civile organizzata del Messico e dell’UE dovrebbe avere una particolare rilevanza ai fini di un adeguato sviluppo degli elementi della cooperazione inclusi negli accordi tra le due parti. Le priorità in materia di cooperazione dovrebbero essere riconsiderate, insieme alle disponibilità finanziarie, di modo che siano interconnesse tra loro e portino a quella sinergia positiva finora dimostratasi insufficiente per la mancanza di un adeguato collegamento tra i singoli progetti.

6.8.

In concreto, il CESE desidera sottolineare tre settori che giudica prioritari ai fini di detta partecipazione: miglioramento della governance, ricerca scientifica e tecnica e cooperazione in materia di sviluppo sostenibile e ambiente.

6.8.1.

La questione della governance deve indubbiamente costituire l’elemento centrale della politica di cooperazione. È necessario che Il Messico integri, gradualmente, le diverse «buone pratiche» esistenti in questo settore adattandole alla realtà nazionale al fine di rendere sistematiche le azioni della società civile, consentendo a quest’ultima di consolidarsi e di organizzarsi in modo efficiente, affinché faccia da complemento al potere politico tradizionale in Messico e contribuisca ad un più ampio rispetto dei diritti dell’uomo nel paese.

6.8.2.

Nel campo della ricerca scientifica e tecnica si dovrebbe incoraggiare la partecipazione delle università e dei ricercatori messicani ai programmi di R & S dell’Unione europea, come Orizzonte 2020, attribuendo un’attenzione particolare ai settori prioritari nel quadro del Partenariato strategico, ad esempio l’adattamento ai cambiamenti climatici e la loro attenuazione, per pervenire a posizioni comuni in materia. A questo proposito si potrebbe prevedere di ripristinare il Fondo di cooperazione internazionale tra l’UE e il Messico in campo scientifico e tecnologico (Foncicyt), che è stato in vigore fino al 2011.

6.8.3.

Nel campo dello sviluppo sostenibile e della tutela ambientale, oltre a progetti specifici in materia di adattamento ai cambiamenti climatici, possono essere definiti altri progetti concreti in settori quali la diminuzione delle emissioni inquinanti nell’atmosfera, la riduzione al minimo degli scarichi in acqua, l’inquinamento delle acque sotterranee e il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti di ogni tipo.

6.8.4.

Il CESE ritiene che, a livello sia di governo messicano sia di istituzioni UE, di organi parlamentari e di rappresentanti della società civile, esistano elementi sufficienti per mettere in pratica molte di queste iniziative senza dover attendere la firma di un nuovo accordo; giudica pertanto le conclusioni del vertice tra l’Unione europea, l’America latina e i Caraibi e del vertice tra l’Unione europea e il Messico del giugno del 2015 nonché quelle della XIX riunione della commissione parlamentare mista Unione europea-Messico (7-9 luglio 2015) una opportunità per sviluppare queste iniziative su un piano regionale, nell’ambito del quale il Messico deve essere uno degli elementi portanti del sistema.

Bruxelles, 17 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Karel de Gucht, commissario responsabile del commercio, Open for business: The European Union’s relations with México in a changing world, discorso pronunciato dinanzi a EU Chambers/ProMEXICO, Città del Messico, 12 dicembre 2012.

(2)  GU C 88 dell’11.4.2006, pag. 85.

(3)  Nell’aprile 2015 il Messico ha ratificato la convenzione n. 138 dell’OIL concernente l’età minima per l’assunzione all’impiego.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/128


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L’agricoltura, le zone rurali e lo sviluppo sostenibile nei paesi del partenariato orientale»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/20)

Relatrice:

Dilyana SLAVOVA

Alla sua 504a sessione plenaria, del 21 e 22 gennaio 2015, il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, conformemente all’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

L’agricoltura, le zone rurali e lo sviluppo sostenibile nei paesi del partenariato orientale.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 217 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’Unione europea dovrebbe costruire partenariati solidi con i propri vicini. Dobbiamo intensificare la cooperazione con i paesi del nostro vicinato per rafforzare ulteriormente le nostre relazioni economiche e politiche (1). Ciò che avviene nei paesi dell’Europa orientale e nel Caucaso meridionale è importante per l’Unione europea. Con l’allargamento dell’UE, questi paesi sono diventati nostri vicini, e la loro sicurezza, stabilità e prosperità si riflettono sempre più sulla sicurezza, stabilità e prosperità dell’Unione. Per le relazioni esterne dell’UE è estremamente importante una più stretta cooperazione con i paesi partner dell’Europa orientale — Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina — come pure la cooperazione tra questi paesi.

1.2.

L’UE si impegna per la crescita e la stabilità nel partenariato orientale e riconosce l’importanza dell’agricoltura, come pure dei settori a monte e a valle di essa, per la preservazione e lo sviluppo socioeconomico delle zone rurali.

1.3.

Per i sei paesi del partenariato orientale rimane assolutamente prioritario lo sviluppo economico attraverso i flussi di capitali, beni, persone e competenze. Tali flussi possono essere garantiti soltanto in un ambiente sicuro, che è un presupposto dello sviluppo sostenibile, superando il problema, fin troppo diffuso, della corruzione.

1.4.

Il CESE incoraggia il processo di diversificazione delle zone rurali nei paesi partner orientali, che potrebbe offrire un’ulteriore fonte di reddito attraverso attività alternative e opportunità di maggiore occupazione.

1.5.

Il CESE sostiene la Commissione europea e i suoi sforzi di avviare un dialogo stabile in materia di agricoltura e sviluppo rurale con tutti i paesi partner. Il Comitato è pronto, inoltre, ad assistere nell’attuazione delle politiche e delle relative riforme tutti i paesi partner che si impegnino a fare dell’agricoltura e dello sviluppo rurale un settore cruciale nella loro cooperazione con l’UE. Gli investimenti dell’UE dovrebbero essere diretti prevalentemente verso i paesi che danno la priorità all’agricoltura e allo sviluppo rurale.

1.6.

Il CESE invita l’UE ad assistere i paesi del partenariato orientale nella preparazione, insieme a tutti i soggetti interessati pertinenti, delle strategie agricole e di sviluppo rurale a lungo termine, e nella creazione delle necessarie capacità istituzionali a livello nazionale e locale.

1.7.

Il CESE auspica che l’utilizzo delle risorse assegnate dall’UE ai paesi del partenariato orientale sia controllato in modo rigoroso mediante un sistema efficace di monitoraggio.

1.8.

Il CESE chiede un ammodernamento strategico del settore agricolo nei paesi del partenariato orientale, che accresca in modo sostenibile la produzione nazionale di derrate alimentari sicure. Ritiene che l’UE dovrebbe continuare a fornire il suo prezioso aiuto ai paesi del partenariato orientale nel miglioramento degli standard sanitari e fitosanitari dei loro prodotti e nell’elaborazione dei loro programmi di sviluppo rurale. È auspicabile che la zona di libero scambio globale e approfondito sia istituita correttamente e risulti efficiente anche sotto questo profilo.

1.9.

Il CESE riconosce grande importanza al ruolo del programma europeo di vicinato per l’agricoltura e lo sviluppo rurale (Enpard), avviato per sostenere il settore, e si augura che tale programma, insieme con i programmi in corso o in programmazione in altri paesi, condurrà a un progresso sostenibile nell’agricoltura e a un miglioramento delle condizioni di vita nelle zone rurali nell’intera regione del partenariato orientale.

1.10.

Il CESE è pronto a condividere l’esperienza e le competenze dell’UE nel contesto di un solido partenariato per lo sviluppo rurale e per lo sviluppo sostenibile del potenziale agricolo delle regioni in questione nel quadro dei programmi Enpard. Ciò servirà non soltanto a promuovere la creazione di posti di lavoro, ma anche a migliorare la qualità della vita di quanti abitano nelle zone rurali. Per di più il sostegno all’agricoltura e allo sviluppo rurale costituisce anche un elemento essenziale dell’impegno dell’UE per la crescita inclusiva nella regione.

1.11.

Il CESE esorta a tenere conto dell’esperienza maturata dall’UE con la riforma dell’agricoltura e delle zone rurali nei paesi in fase di preadesione, e della varietà di esperienze e di sforzi compiuti nei paesi partner. E invita a dedicare particolare attenzione alla partecipazione della società civile e al coinvolgimento delle parti in causa nel settore.

1.12.

Con il presente parere il CESE esprime chiaramente l’auspicio che la società civile disponga di una rappresentanza molto più ampia nella piattaforma 2 «Integrazione economica e convergenza con le politiche dell'UE», nel gruppo di esperti sull’agricoltura e lo sviluppo rurale, in quello sull’ambiente e i cambiamenti climatici per quanto riguarda la promozione delle tecnologie verdi, dell’ecoinnovazione e della biodiversità, nel gruppo di esperti in materia commerciale sulle questioni sanitarie e fitosanitarie e in quello sulle PMI, cui il Comitato contribuisce utilmente grazie alle sue conoscenze e competenze specifiche.

1.13.

Nei paesi del partenariato orientale il sostegno all’agricoltura potrebbe divenire una pietra angolare delle riforme economiche, sulla quale eventualmente costruire relazioni economiche e commerciali più forti con l’UE. Ciò offrirebbe inoltre una protezione sicura dalle perturbazioni nel commercio con altri partner.

2.   Contesto

2.1.

Il partenariato orientale comprende sei paesi, in due aree geografiche distinte: da un lato il Caucaso meridionale, comprendente la Georgia, l’Armenia e l’Azerbaigian, al confine tra Europa orientale e Asia sudoccidentale, tra il Mar Nero e il Mar Caspio, e dall’altro la Moldova, l’Ucraina e la Bielorussia. La situazione dei paesi del partenariato orientale è relativamente dinamica. Due dei paesi interessati, la Bielorussia e l’Armenia (2), sono già membri dell’Unione economica eurasiatica. In Ucraina prosegue la crisi, con un continuo deterioramento delle istituzioni statali e dello Stato di diritto, che sembra stia provocando imponenti fenomeni di accaparramento delle terre (3). Gli scontri alle frontiere tra Armenia e Azerbaigian proseguono, e influiscono sullo sviluppo della regione.

2.2.

Il Comitato ha elaborato pareri su questioni riguardanti il partenariato orientale (4), ma non ha mai preso in considerazione i problemi delle zone rurali, dell’agricoltura e dello sviluppo sostenibile in questi paesi. Il presente parere, pertanto, si concentra sulle possibilità di uno sviluppo migliore di tali zone e sulla realizzazione della sostenibilità nei paesi del partenariato orientale.

2.3.

L’Unione europea riconosce l’importanza dell’agricoltura, delle zone rurali e dello sviluppo sostenibile nei paesi del partenariato orientale; il programma Enpard è stato lanciato per sostenere tale settore.

2.4.

Le piattaforme costituiscono lo strumento principale del percorso multilaterale del partenariato orientale. La piattaforma 2 si occupa dell’integrazione economica tra paesi partner e UE, nonché della convergenza con le politiche dell’UE, e contribuisce in tal modo agli obiettivi del partenariato orientale. La piattaforma 2, con i suoi gruppi di esperti e le sue aree di lavoro, è intesa a contribuire allo sviluppo intelligente, sostenibile e inclusivo di un’economia di mercato nei paesi partner.

2.5.

Il gruppo di esperti sull’agricoltura e lo sviluppo rurale (ARD) è stato costituito alla fine del 2012, in considerazione dell’importanza dell’agricoltura e delle zone rurali per un ulteriore sviluppo sostenibile e inclusivo nei paesi del partenariato orientale. Esso è collegato al programma Enpard.

2.6.

Il gruppo di esperti sull’ambiente e i cambiamenti climatici concentra la propria attività nel settore della cooperazione relativa all’applicazione degli accordi di associazione e al graduale ravvicinamento all’acquis dell’UE in materia di ambiente e di cambiamenti climatici. In tale contesto rientrano la promozione dell’allineamento alle norme dell’UE, lo scambio di informazioni e di buone pratiche, la costruzione di capacità amministrative e il sostegno allo sviluppo della società civile. Tra gli argomenti che formano oggetto di discussione e di attività figurano la riduzione e il riciclaggio dei rifiuti, l’inquinamento atmosferico, la biodiversità e la gestione delle risorse idriche. Il gruppo di esperti sta inoltre cercando di sviluppare un dialogo regionale sulle politiche in materia di cambiamenti climatici, nell’ottica di rafforzare la visibilità e le capacità negoziali dei paesi partner e di cooperare con gli Stati membri dell’UE nel contesto dei negoziati globali in materia di clima.

2.7.

Nel 2014 il partenariato orientale ha compiuto progressi importanti. I nuovi accordi di associazione firmati con la Georgia, la Moldova e l’Ucraina vengono già applicati in via provvisoria. Per la Georgia e la Moldova, l’applicazione provvisoria comprende già la zona di libero scambio globale e approfondito, mentre per l’Ucraina l’applicazione provvisoria di tale parte dell’accordo è stata rinviata fino alla fine del 2015. Gli accordi di associazione/zone di libero scambio globale e approfondito comprendono ambiziosi programmi di riforma politica, economica e sociale, che avvicinano i paesi partner all’UE.

3.   Osservazioni generali

3.1.

I settori dell’agricoltura e dello sviluppo rurale dei paesi del partenariato orientale differiscono per natura, struttura e dimensioni relative, da collocare nel quadro delle rispettive tradizioni, culture e modalità di organizzazione. I limiti naturali sono definiti dal clima, dalle risorse naturali e dalla collocazione geografica.

3.2.

In tutti i paesi del partenariato orientale l’agricoltura costituisce un settore fondamentale del tessuto economico. Essa dà lavoro a una gran parte della popolazione e, dopo decenni di difficoltà, dispone ancora di un ampio potenziale di sviluppo. Bisogna compiere tutti gli sforzi possibili per far sì che lo sviluppo di un settore agricolo più produttivo apporti benefici agli agricoltori e alle zone rurali.

3.3.

In vari paesi del partenariato orientale la numerosa popolazione rurale dipende in una certa misura, per la propria sussistenza, da terreni agricoli di piccole dimensioni e frammentati e dall’uso di pascoli comunali o demaniali. Le risorse a disposizione di questi piccoli coltivatori sono molto limitate e hanno uno scarso potenziale di crescita. In molti casi l’agricoltura su piccola scala costituisce praticamente l’intera produzione nazionale di derrate agricole. Spesso la produzione di tali piccole aziende serve innanzi tutto a scopi di sussistenza o di semisussistenza. La vendita di eventuali eccedenze è resa più difficoltosa dagli scarsi collegamenti con i mercati organizzati e dal carattere vetusto e degradato delle infrastrutture rurali. Le principali questioni da risolvere, specie nel Caucaso meridionale, sono la mancanza di cooperazione, formazione e istruzione nel settore, e la mancanza di un sistema fiscale appropriato.

3.4.

Le dinamiche dei mercati agricoli e la volatilità dei prezzi alimentari hanno mostrato la necessità, per i paesi del partenariato orientale, di definire delle politiche agricole e di sviluppo rurale, includendovi anche misure destinate ai piccoli produttori agricoli. Da un lato tali politiche dovranno ammodernare l’agricoltura ed accrescere la produzione su una base di sostenibilità; dall’altro esse dovranno sviluppare le zone rurali e le infrastrutture e accrescere le opportunità di reddito, migliorando la qualità della vita e dando alle famiglie delle prospettive migliori.

3.5.

Nella maggior parte dei paesi sono in corso programmi di sviluppo regionale, tra cui programmi pilota, concernenti le possibilità di reddito e di occupazione che possono essere offerte da attività alternative nelle zone rurali. Tali programmi sono intesi a incoraggiare lo sviluppo e la diversificazione economica delle zone rurali e a ridurre le disparità regionali (5).

3.6.

In tutti i paesi del partenariato orientale le popolazioni rurali sono state a lungo tenute in scarsa considerazione e spesso ignorate nelle politiche e nei processi di programmazione. Una delle conseguenze di questa assenza di politiche è stato il graduale spopolamento delle zone rurali, man mano che le persone economicamente attive si trasferivano nelle città o all’estero. Queste tendenze demografiche negative, combinate col fabbisogno di una popolazione lavorativa dinamica che sostenga l’agroindustria, rendono necessario un miglioramento qualitativo delle infrastrutture e della sanità, nonché un rafforzamento degli interventi e dell’impegno istituzionale.

3.7.

Il settore agricolo nel Caucaso meridionale non sfrutta pienamente il proprio potenziale, e attualmente è caratterizzato da un basso livello di produttività e di competitività. Tra le questioni che ostacolano lo sviluppo del settore agricolo figurano il degrado del capitale naturale (terreni, risorse idriche, foreste ecc.), la montuosità, la diminuzione dei raccolti e della produzione zootecnica, i danni alla biodiversità e la volatilità dell’equilibrio ecologico. La povertà rurale, la mancanza di opportunità occupazionali e il modesto tenore di vita nelle zone rurali sono alcuni dei fattori che contribuiscono alla vulnerabilità di tali zone nel Caucaso meridionale.

3.8.

Nei paesi del partenariato orientale le norme, le leggi, i regolamenti e l’informazione comparativa sono ancora lacunosi. C’è bisogno di norme comuni, che devono essere conformi a quelle internazionali e dell’UE, nonché di misure di conformità — meccanismi di monitoraggio e controllo per le normative in vigore. A causa dell’insufficiente sviluppo dei sistemi per la sicurezza alimentare e la salute animale, specie nei paesi del Caucaso meridionale, è necessario compiere degli sforzi per conformarsi agli standard in materia sanitaria e fitosanitaria, e in particolare agli standard veterinari-sanitari per gli animali e i prodotti di origine animale.

3.9.

Il CESE ritiene che occorra compiere ogni sforzo per garantire che lo sviluppo di un settore agricolo più produttivo apporti benefici ai consumatori, ai produttori agricoli e in generale alle zone rurali, che spesso figurano tra le regioni più povere in ognuno dei paesi in questione. In quest’ottica, negli ultimi anni l’UE ha avviato un vasto pacchetto di programmi, in collaborazione con i suoi partner orientali. Questi programmi vanno dall’assistenza tecnica specifica a programmi settoriali di grandi dimensioni e al sostegno di riforme approfondite nei settori dell’agricoltura, dello sviluppo rurale e della sicurezza alimentare. In ogni caso il CESE ritiene che si debba monitorare attentamente l’efficacia delle riforme agricole nei paesi partner orientali.

3.10.

Il CESE invita la Commissione e il Parlamento europeo a impegnarsi in un dialogo rinnovato e approfondito sulle politiche di pianificazione strategica e sulle riforme nei settori dell’agricoltura, della silvicoltura e dello sviluppo sostenibile a livello dei singoli paesi, rispettando le regole stabilite e aumentando la competitività delle strutture agricole e la trasparenza dei mercati agricoli interni.

3.11.

Il CESE ritiene che, per sostenere il processo di sviluppo agricolo nei paesi del partenariato orientale, occorra, in via prioritaria, costituire e rafforzare organizzazioni agricole locali attraverso progetti di sviluppo miranti a migliorare il livello di rappresentanza dei produttori agricoli e il loro coinvolgimento nel processo decisionale.

3.12.

L’attività dell’UE nei paesi del partenariato orientale dovrebbe incentrarsi tra l’altro sull’imprenditorialità. Va infatti ricordato che la promozione dell’imprenditorialità nelle zone rurali riveste grande importanza, e potrebbe essere realizzata creando un contesto adeguato per l’attività economica: accesso a capitali di avviamento, credito bancario e opportuni incentivi fiscali.

3.13.

Il CESE considera essenziale mettere in evidenza e accrescere il ruolo delle donne e dei giovani nell’agricoltura e nella società rurale attraverso una più ampia inclusione nella formazione professionale e misure speciali contenute nei piani di sviluppo rurale.

3.14.

Il CESE si augura che il gruppo di esperti su ambiente e cambiamenti climatici avrà successo nell’attuare i seguenti tre progetti nel quadro della piattaforma 2 «Integrazione economica e convergenza con le politiche UE»: sistema comune di informazioni ambientali (SEIS) (6), progetto VERDE (7) e pacchetto Clima East (8).

3.15.

Il CESE invita la Commissione europea e il Parlamento europeo a proseguire gli sforzi rivolti a migliorare la governance ambientale e i sistemi di raccolta e di gestione dei dati nella regione del partenariato orientale, ad assistere i paesi del partenariato negli sforzi di attenuazione dei cambiamenti climatici e di adattamento ad essi, a concentrarsi sulle misure politiche verdi e a dimostrare modelli sostenibili di consumo e di produzione.

3.16.

Il CESE riconosce l’importanza del programma di sviluppo sostenibile «Ecologizzazione delle economie nel partenariato orientale» (EaP GREEN), che viene attuato dall’OCSE in cooperazione con la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UN/ECE), con il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e con l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO), per assistere i paesi del partenariato orientale nella transizione verso l’economia verde.

4.   Osservazioni specifiche sui singoli paesi

4.1.    Armenia

4.1.1.

L’agricoltura rappresenta un importante settore economico in Armenia, paese in cui circa un terzo della popolazione vive in zone rurali montuose scarsamente popolate, e un’agricoltura di sussistenza o semisussistenza a basso apporto di fattori di produzione costituisce una importante fonte di reddito. Praticamente l’intera produzione agricola lorda (circa il 97 %) viene realizzata in piccole aziende.

4.1.2.

L’Armenia ha anche attuato uno dei più vasti programmi di riforma agraria; entro la metà del 1994 la maggior parte dei terreni agricoli è stata privatizzata, e le terre sono state di conseguenza suddivise in oltre 1 200 000 appezzamenti.

4.1.3.

L’Armenia dispone di una quantità limitata di terreni agricoli, e la superficie arabile ammonta a solo il 16,8 % di quella totale. I fertili terreni vulcanici consentono la coltivazione di frumento e orzo nonché il pascolo. Tra le colture irrigue figurano albicocchi, peschi, pruni, meli, ciliegi, noci, cotogni, fichi, melograni, altri alberi da frutto e viti, da cui si ricava un’acquavite di vino di fama internazionale.

4.1.4.

I negoziati relativi all’accordo di associazione, comprendente una zona di libero scambio globale e approfondito, si sono conclusi nel luglio 2013. Tuttavia, avendo l’Armenia aderito all’Unione doganale, come annunciato nel settembre 2013, l’accordo di associazione, che era incompatibile con l’appartenenza a tale Unione, non è stato firmato. L’UE prosegue la cooperazione con l’Armenia in tutti i settori compatibili con la suddetta scelta.

4.2.    Azerbaigian

4.2.1.

L’economia dell’Azerbaigian si basa sulla produzione di petrolio e gas, ma l’agricoltura costituisce una delle attività economiche più importanti tra quelle non legate al petrolio. Quasi la metà degli azeri risiede in zone rurali e ha nell’agricoltura la propria fonte di reddito.

4.2.2.

Il modello agricolo più diffuso è l’agricoltura mista, con modelli colturali omogenei. Prevalgono le colture commerciali, la vite, il cotone, il tabacco, gli agrumi e l’orticoltura. Altre importanti attività del settore agricolo sono la zootecnia e le produzioni casearia, vinicola e di distillati.

4.2.3.

L’UE e l’Azerbaigian hanno iniziato nel 2010 a negoziare un accordo di associazione, escludendo però la zona di libero scambio globale e approfondito, a causa della richiesta azera di adesione all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), ancora senza esito. Il governo azero ha presentato alla segreteria dell’OMC una richiesta ufficiale di adesione nel 1997 e i negoziati sono ancora in corso.

4.3.    Bielorussia

4.3.1.

Il settore agricolo bielorusso dà lavoro a circa un decimo della forza lavoro nazionale ed è dominato da grandi aziende collettive o statali. Nella maggior parte del paese le aziende combinano l’attività agricola all’allevamento. Tra le principali colture figurano le patate, le barbabietole da zucchero, l’orzo, il grano, la segale e il mais. Gran parte dei cereali prodotti viene utilizzata per l’alimentazione animale. L’allevamento si specializza principalmente in bovini, pollame e suini. Circa due quinti della superficie della Bielorussia sono coperti da foreste, utilizzate per la produzione di legname e prodotti della carta.

4.3.2.

La ratifica dell’accordo di partenariato e cooperazione tra l’UE e la Bielorussia, negoziato nel 1995, è bloccata dal 1997 a causa della situazione politica del paese.

4.3.3.

La Bielorussia ha chiesto di aderire all’OMC nel 1993 e il processo di adesione è ancora in corso.

4.4.    Georgia

4.4.1.

L’agricoltura è essenziale per la popolazione della Georgia, cui fornisce un’importante rete di sicurezza nelle zone rurali, dove risiede quasi la metà dei georgiani. La superficie rurale è molto frammentata, e il 95 % delle aziende ha dimensioni piuttosto ridotte, in genere 1,2 ettari, con due vacche, per famiglia. La frammentazione è stata ulteriormente aumentata dalla privatizzazione delle terre avvenuta negli anni ‘90, che ha comportato la nascita di una nuova classe agraria composta da circa mezzo milione di agricoltori appartenenti alla categoria dei lavoratori autonomi.

4.4.2.

I prodotti di maggior valore del settore agricolo sono il latte e la carne. Per l’alimentazione del bestiame, gli allevatori ricorrono in misura minima a mangimi di qualità, preferendo affidarsi al pascolo e, in inverno, al fieno, disponibili gratuitamente o a costo minimo. Ne conseguono una resa modesta nel settore lattiero e l’estrema difficoltà di produrre carne in maniera competitiva. Anche la produzione vinicola rappresenta una parte molto importante del settore agricolo. La maggior parte dell’attività agricola è concentrata nelle fertili pianure fluviali alluvionali e le produzioni principali sono agrumi, uva e noci.

4.4.3.

Le relazioni tra UE e Georgia sono state determinate dall’accordo di partenariato e cooperazione, poi sostituito dall’accordo di associazione, che prevede una zona di libero scambio globale e approfondito, firmato il 27 giugno 2014 e applicato provvisoriamente dal 1o settembre 2014. La creazione della zona di libero scambio ha implicato concessioni ambiziose in materia di commercio di prodotti agricoli. L’importazione di prodotti agricoli dell’UE in Georgia è del tutto liberalizzata.

4.5.    Moldova

4.5.1.

L’agricoltura è estremamente importante per la Moldova, paese in cui le aree coltivate ammontano a circa il 75 % della superficie totale e sono utilizzate prevalentemente per coltivazioni temporanee, mentre circa un decimo dei terreni è utilizzato per colture permanenti. La società moldova è prevalentemente rurale: il settore agricolo dà lavoro al 26,4 % della popolazione attiva e genera il 14,6 % del prodotto interno lordo del paese.

4.5.2.

La riforma agraria ha modificato la struttura dell’utilizzazione dei terreni agricoli. Dopo la privatizzazione avvenuta negli anni ‘90, una gran parte delle terre rimane distribuita in piccoli appezzamenti individuali. Il processo di privatizzazione ha fatto sì che le dimensioni medie delle proprietà agricole siano ora di 1,4 ettari, ulteriormente suddivisi in appezzamenti separati sulla base del tipo di terreno (arabile, frutteto, vigneto), ripartiti tra circa un milione di titolari. Una superficie pari a 660 000 ettari di terreni agricoli (26,2 % del totale) è gestita nel quadro di una forma di proprietà pubblica, e altri 1 840 000 ettari sono in regime di proprietà e/o utilizzazione privata (73,8 %).

4.5.3.

Le coltivazioni contribuiscono per oltre due terzi al valore complessivo prodotto dal settore agricolo, mentre il contributo dell’allevamento e dei servizi ammonta rispettivamente al 30 % e al 2,4 %. I prodotti di maggior valore del settore agricolo sono l’uva e il latte.

4.5.4.

Dal 1998 le relazioni tra UE e Repubblica di Moldova sono state indirizzate dall’accordo di partenariato e cooperazione, oggi sostituito dall’accordo di associazione firmato il 27 giugno 2014 e comprendente una zona di libero scambio globale e approfondito, in vigore in forma provvisoria dal 1o settembre 2014.

4.6.    Ucraina

4.6.1.

La produzione agricola ucraina, grazie in parte alla fertilità del suolo e al clima favorevole, è fortemente sviluppata. L’Ucraina è uno dei principali produttori europei di grano e patate, nonché uno dei principali produttori mondiali di barbabietole da zucchero e olio di girasole. L’allevamento è meno sviluppato dell’agricoltura, ma la sua produzione complessiva rimane sensibilmente superiore a quella della maggior parte degli altri paesi europei.

4.6.2.

Un nuovo accordo di associazione, comprendente una zona di libero scambio globale e approfondito, è stato negoziato nel periodo 2007-2011 e siglato nel 2012. I capitoli politici dell’accordo di associazione sono stati infine sottoscritti il 21 marzo 2014, mentre le altre parti dell’accordo, compresa quella relativa alla zona di libero scambio globale e approfondito, sono state firmate il 27 giugno 2014. A partire dal 23 aprile 2014 l’UE ha concesso unilateralmente all’Ucraina un regime di preferenze commerciali autonome per offrire sostegno al paese nell’attuale situazione.

4.6.3.

Il progetto finanziato dall’UE per il miglioramento del sistema di controllo della sicurezza alimentare in Ucraina è stato lanciato nel luglio 2014 con l’obiettivo di migliorare la qualità sanitaria dei prodotti alimentari ucraini ed accrescere la fiducia dei consumatori ucraini nella produzione nazionale. L’UE sta inoltre fornendo assistenza al servizio nazionale veterinario e fitosanitario dell’Ucraina nel migliorare il sistema rivolto a garantire prodotti alimentari sicuri «dalla fattoria alla tavola». Con un bilancio di quasi 3,8 milioni di EUR per 33 mesi, il programma per il miglioramento del sistema di controllo della sicurezza alimentare in Ucraina rientra nel settore prioritario della Sicurezza alimentare.

5.   Il ruolo del programma Enpard

5.1.

Il programma Enpard è stato istituito mediante due comunicazioni congiunte della Commissione europea e del Servizio europeo per l’azione esterna, rispettivamente del marzo e del maggio 2011, nel quadro dell’impegno dell’UE per la crescita inclusiva e la stabilità nel proprio vicinato, e riconosce la potenziale importanza dell’agricoltura ai fini della sicurezza alimentare, della produzione sostenibile e dell’occupazione rurale.

5.2.

L’UE offre a tutti i paesi partner un dialogo in merito a Enpard ed è pronta a fornire assistenza nell’attuazione delle politiche del programma e delle relative riforme a tutti coloro che sono impegnati nel rendere l’agricoltura e lo sviluppo rurale un elemento essenziale nella loro cooperazione con l’UE. In tale quadro viene fornita assistenza nella preparazione di strategie agricole e di sviluppo rurale a lungo termine insieme con tutti i soggetti interessati pertinenti, nonché nella costruzione delle necessarie capacità istituzionali a livello nazionale e locale.

5.3.

Il programma Enpard sta già ottenendo risultati in Georgia: la legge sulle cooperative agricole, la rete di 54 «centri di informazione e consultazione in materia di strategia agricola» e altro ancora. L’11 marzo 2014 l’UE ha sottoscritto quattro sovvenzioni, per un totale di 15 milioni di EUR, a sostegno dei piccoli agricoltori nel quadro dell’iniziativa Enpard in Georgia. Il progetto contribuirà, mediante assistenza tecnica, alla fondazione di oltre 160 cooperative, e sarà destinato a tutte le regioni della Georgia. L’obiettivo di tali cooperative sarà consentire ai piccoli produttori agricoli di organizzarsi in maniera collettiva e di realizzare economie di scala, accrescere la propria efficienza e migliorare i propri collegamenti con i mercati. Le risorse complessive del programma per la Georgia ammontano a 52 milioni di EUR per cinque anni (marzo 2013-marzo 2018).

5.4.

L’assistenza dell’UE all’Armenia ha raggiunto 157 milioni di EUR per il periodo 2011-2013 (contro 98,4 milioni di EUR nel periodo 2007-2010). Nel dicembre 2013 l’UE ha adottato un nuovo finanziamento di 41 milioni di EUR, destinato a sostenere la società civile, lo sviluppo regionale e l’agricoltura in Armenia, nel quadro della politica europea di vicinato. Di tale importo complessivo, 25 milioni di EUR sono stati destinati ad attuare l’iniziativa Enpard in Armenia. Detto finanziamento verrà utilizzato in particolare per migliorare le prestazioni delle istituzioni competenti per il settore agricolo, sostenere lo sviluppo di associazioni dei coltivatori agricoli, potenziare le statistiche in materia agricola e migliorare l’accesso dei cittadini armeni a prodotti alimentari a prezzi più ragionevoli. Il finanziamento mira inoltre a migliorare le condizioni nelle zone rurali, creando posti di lavoro, sviluppando partenariati pubblico-privati e contribuendo alla formazione della forza lavoro.

5.5.

Per quanto riguarda la Moldova, il programma di stimolo economico nelle zone rurali, in corso dal 2010, ha dimostrato di essere un utile strumento per la creazione di posti di lavoro nelle varie province del paese. Un settore indicato come essenziale nella cooperazione allo sviluppo UE-Moldova per il periodo 2014-2017 è quello dell’agricoltura e dello sviluppo rurale, e per l’assistenza al settore sono disponibili tra 100 e 120 milioni di EUR. In questo contesto, un ampio programma Enpard Moldova, con una dotazione di 64 milioni di EUR, è stato adottato nell’estate del 2014 e applicato a partire dall’inizio del 2015. Grazie al sostegno di bilancio e all’assistenza tecnica, il programma promuoverà una strategia a lungo termine di sviluppo del settore, predisposta dal governo. Tale sostegno finanziario contribuisce ad aumentare la competitività del settore agricolo e avrà l’effetto di approfondire le discussioni sullo sviluppo di nuove politiche.

6.   Il ruolo del CESE

6.1.

Il CESE, consapevole del ruolo fondamentale della società civile nei paesi del partenariato orientale, è pronto a svolgere un ruolo attivo e a condividere la propria esperienza al fine di costruire un settore agricolo più efficiente, in particolare nei seguenti modi:

contribuendo alla mappatura delle organizzazioni della società civile nel settore dell’agricoltura e dello sviluppo sostenibile e migliorando la situazione attraverso un dialogo aperto ed inclusivo con un ampio ventaglio di parti in causa,

condividendo la propria esperienza, anche quella acquisita dai nuovi Stati membri che hanno aderito all’UE, nella definizione di criteri e processi specifici per la creazione di organizzazioni realmente rappresentative della società civile nel settore dell’agricoltura e dell’ambiente e per la loro inclusione nel processo decisionale dei paesi del partenariato orientale,

scambiando buone pratiche in ambiti come l’agricoltura, le reti di sviluppo rurale, lo sviluppo sostenibile, l’imprenditorialità e la responsabilità sociale delle imprese,

partecipando più attivamente ai lavori della piattaforma 2 «Integrazione economica e convergenza con le politiche dell'UE», specie nel quadro del gruppo di esperti sull’agricoltura e lo sviluppo rurale, nonché ai lavori del gruppo di esperti sull’ambiente e i cambiamenti climatici per quanto riguarda la promozione delle tecnologie verdi, l’ecoinnovazione e la biodiversità.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Documento di consultazione congiunto «Verso una nuova politica europea di vicinato», 4 marzo 2015.

(2)  Il 29 maggio 2014 i presidenti del Kazakhstan, della Bielorussia e della Russia hanno firmato il trattato istitutivo dell’Unione economica eurasiatica, alla quale ha poi aderito anche l’Armenia con un trattato firmato il 9 ottobre 2014 ed entrato in vigore il 2 gennaio 2015.

(3)  http://www.bundestag.de/presse/hib/2015_01/-/357564

(4)  GU C 12 del 15.1.2015, pag. 48, GU C 161 del 6.6.2013, pag. 40, GU C 299 del 4.10.2012, pag. 34, GU C 248 del 25.8.2011, pag. 37, GU C 277 del 17.11.2009, pag. 30.

(5)  Nel 2014 la Georgia ha avviato il suo secondo programma di sviluppo regionale, per fornire un sostegno maggiore allo sviluppo socioeconomico di tutte e nove le sue regioni, nonché alle condizioni di vita della popolazione. In Armenia nel 2014 è proseguita l’attuazione del programma di sostegno dello sviluppo regionale. La Moldova sta beneficiando di un nuovo progetto, inteso a migliorare la pianificazione regionale e nuove riserve di progetti per le regioni di sviluppo del nord, del sud e del centro. In Azerbaigian è stato avviato un nuovo programma di sviluppo regionale.

(6)  Questo progetto mira a promuovere la tutela dell’ambiente nella regione del partenariato orientale, estendendo a tale regione i principi del sistema comune di informazioni ambientali.

(7)  L’obiettivo generale di questo progetto è sostenere i paesi partner nei loro sforzi per passare ad un’economia più verde, dissociando la crescita economica dal degrado ambientale e dall’impoverimento delle risorse.

(8)  Il pacchetto Clima East persegue la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento ad essi nella regione del vicinato orientale; il suo obiettivo è il progressivo allineamento con l’acquis dell’UE nel settore dell’ambiente e dei cambiamenti climatici.


ALLEGATO I (1)

Assistenza dell’UE ai paesi del partenariato orientale (2014-2020)

Paese

Stanziamenti 2014-2017

(in milioni di EUR)

Settore chiave

Stanziamento indicativo

(in %)

Armenia

140-170

Sviluppo del settore privato

35

Riforma della pubblica amministrazione

25

Riforma della giustizia

20

Azerbaigian

77-94

Sviluppo regionale e rurale

40

Riforma della giustizia

20

Istruzione e sviluppo delle competenze

20

Bielorussia

71-89

Inclusione sociale

30

Ambiente

25

Sviluppo economico locale/regionale

25

Georgia

335-410

Riforma della pubblica amministrazione

25

Agricoltura e sviluppo rurale

30

Riforma della giustizia

25

Moldova

335-410

Riforma della pubblica amministrazione

30

Agricoltura e sviluppo rurale

30

Riforma della polizia e gestione delle frontiere

20

 

Stanziamenti 2014

 

 

Ucraina

355

Misura speciale: contratto di potenziamento istituzionale

 


(1)  Informazioni tratte dalla pagina web del Servizio europeo per l’azione esterna: http://eeas.europa.eu/enp/documents/financing-the-enp/index_en.htm


ALLEGATO II

https://www.zm.gov.lv/public/ck/files/Joint_statement_16_04_2015.pdf


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/138


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Per una convenzione dell’OIL contro le violenze di genere sul lavoro»

(parere d’iniziativa)

(2016/C 013/21)

Relatrice:

Béatrice OUIN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 febbraio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Per una convenzione dell’OIL contro le violenze di genere sul lavoro.

(parere d’iniziativa)

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 209 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

L’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), con la sua struttura tripartita, svolge un ruolo fondamentale sulla scena internazionale per migliorare la situazione dei lavoratori e il funzionamento delle imprese. L’Unione europea non è membro dell’OIL, mentre vi aderiscono gli Stati membri dell’UE e le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro europei. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) auspica che gli Stati membri dell’UE e le organizzazioni europee si adoperino per diffondere a livello mondiale i valori e l’acquis europei, tenendo conto del contesto globale.

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo ritiene che:

le violenze sessuali e di genere sul lavoro costituiscano un ostacolo al lavoro dignitoso (che rispetta la dignità, garantisce la sicurezza, la responsabilizzazione e l’autonomia dei lavoratori),

le violenze di genere sul lavoro rappresentino una violazione grave dei diritti umani, una lesione alla dignità e all’integrità fisica e psicologica,

esse siano nocive per l’economia e il progresso sociale, poiché minano le basi del rapporto di lavoro e riducono la produttività,

siano sintomatiche di uno squilibrio nei rapporti di forza tra donne e uomini e contribuiscano a perpetuare le disuguaglianze sul lavoro,

sia necessaria, per combattere tali violenze, la partecipazione della società civile, in particolare delle parti sociali, ma anche degli operatori sanitari, della polizia e del sistema giudiziario per accogliere le vittime, nonché dei media e degli insegnanti per prevenire le violenze stesse,

sia nell’interesse della società combattere le violenze di genere, ovunque esse si verifichino, e bandirle dai luoghi di lavoro.

1.3.

Nel novembre 2015 il consiglio di amministrazione dell’OIL dovrà decidere se iscrivere all’ordine del giorno della Conferenza internazionale del lavoro (l’organo decisionale dell’OIL) l’elaborazione di una norma internazionale sulle violenze di genere sul lavoro. Il CESE sostiene tale proposta e invita gli Stati e le parti sociali europee a fare altrettanto.

1.4.

Il CESE auspica che gli Stati membri dell’Unione europea, che con la direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (1) si sono già dotati di strumenti per combattere le disuguaglianze tra uomini e donne nonché le molestie sessuali sul luogo di lavoro, esprimano una posizione unitaria in sede di OIL.

1.5.

Dal canto loro, le parti sociali europee hanno firmato nel 2007 un accordo quadro sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro che dovrebbe condurle a intervenire insieme nel corso del dibattito su questo progetto di norma internazionale del lavoro (2).

2.   Introduzione: il problema delle violenze di genere sul lavoro

2.1.

Nell’era della globalizzazione la definizione di norme internazionali per combattere e prevenire le violenze di genere è necessaria sia nell’interesse dei lavoratori che delle imprese e degli Stati. Tali violenze minacciano la salute fisica e psicologica, costituiscono una violazione dei diritti e un’offesa alla dignità delle persone, pregiudicano la produttività delle vittime e rappresentano un costo per lo Stato e la società. Combatterle e prevenirle è una necessità per tutti. La violenza di genere è uno dei principali ostacoli allo sviluppo.

2.2.

L’OIL e le violenze di genere sul lavoro

2.2.1.

Le violenze di genere e sessuali rispecchiano, e allo stesso tempo rafforzano, le disuguaglianze tra donne e uomini e hanno un impatto negativo sul luogo di lavoro. La lotta contro queste violenze è prevista da diverse convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL):

Convenzione n. 29 sul lavoro forzato, 1930,

Convenzione n. 97 sui lavoratori migranti (riveduta), 1949,

Convenzione n. 100 sulla parità di retribuzione, 1951,

Convenzione n. 111 sulla discriminazione nell’ambito del lavoro e dell’occupazione, 1958,

Convenzione n. 189 sulle lavoratrici e i lavoratori domestici, 2011.

La raccomandazione n. 200 sull’HIV/AIDS e il mondo del lavoro (2010) stabilisce che occorre adottare misure per prevenire e reprimere i fenomeni di violenza e molestie sul lavoro. Più recentemente, la raccomandazione n. 204 sulla transizione dall’economia informale all’economia formale (adottata dalla Conferenza internazionale del lavoro nel corso della sua 104a sessione, tenutasi il 12 giugno 2015 a Ginevra) prevede che gli Stati membri si assicurino che un quadro di politiche integrate sia incluso nelle strategie o nei piani nazionali di sviluppo. Questo quadro di politiche integrate dovrebbe concentrarsi […] sulla promozione dell’uguaglianza e sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione e di violenza, compresa la violenza di genere, sul luogo di lavoro (3).

Attualmente, tuttavia, nessuna norma affronta la questione specifica delle violenze di genere sul lavoro.

2.2.2.

La commissione di esperti dell’OIL ha cercato di colmare questa lacuna giuridica: «[…] le molestie sessuali riducono l’uguaglianza sul lavoro mettendo a rischio l’integrità, la dignità e il benessere dei lavoratori. Le molestie sessuali sono nocive per le imprese, poiché minano le basi del rapporto di lavoro e riducono la produttività. Il comitato ha già espresso il punto di vista secondo cui la molestia sessuale è una forma di discriminazione sessuale e dovrebbe essere trattata nel quadro degli obblighi derivanti dalla convenzione [n. 111]. Pertanto, conformemente alla convenzione che vieta la discriminazione fondata sul sesso e impone l’adozione di una politica di promozione della parità di opportunità e di trattamento, occorre intervenire per eliminare le molestie sessuali» (4).

2.2.3.

Nel 2008 il comitato di esperti dell’OIL ha osservato che «un’altra lacuna importante sul piano dell’attuazione riguarda le molestie sessuali, che costituiscono una forma di discriminazione sessuale grave e una violazione dei diritti della persona sul luogo di lavoro. È per questo motivo che il comitato rammenta la propria osservazione generale del 2002, nella quale sottolineava l’importanza che riveste l’adozione di misure efficaci per prevenire e vietare entrambe le forme che possono essere assunte dalle molestie sessuali sul lavoro: quella che si può assimilare al ricatto (“do ut des”, ossia obbligo di contropartita) e quella che dà luogo a un ambiente di lavoro ostile» (5).

2.2.4.

In occasione della 320a e 323a sessione del consiglio di amministrazione dell’OIL (13-27 marzo 2014 e 12-27 marzo 2015), alcuni governi (Germania, Canada, Cuba, Francia, India, Italia, Messico, Paesi Bassi, Sri Lanka, Uruguay e Stati Uniti) hanno espresso il loro sostegno all’elaborazione di una norma internazionale sulla «violenza nei confronti delle donne e degli uomini nel mondo del lavoro», al fine di dotare i governi, i sindacati e i datori di lavoro di strumenti per combattere le violenze di genere e le molestie sessuali e di sottolineare con forza che tale violenza costituisce una violazione dei diritti dei lavoratori. Tale richiesta è sostenuta anche dal gruppo Lavoratori dell’OIL e dalla Confederazione internazionale dei sindacati.

2.3.

E in Europa:

2.3.1.

le parti sociali europee hanno firmato nel 2007 un accordo quadro sulle molestie e le violenze sul luogo di lavoro che dovrebbe condurle ad auspicare una regolamentazione analoga a livello internazionale (6).

2.3.2.

In diverse occasioni, nei suoi pareri sulla parità tra uomini e donne o, ancora, in un parere sulla violenza domestica (7), il CESE si è espresso sulle violenze di genere e sessuali perpetrate nei confronti di troppe donne, ovunque nel mondo. Inoltre, il problema si va facendo sempre più grave: la crisi economica, i programmi di adeguamento strutturale e le misure di austerità hanno contribuito ad accrescere la violenza sul lavoro.

2.3.3.

Il CESE auspica che gli Stati membri dell’Unione europea, che con la direttiva 2002/73/CE (8) si sono già dotati di strumenti per contrastare le molestie sessuali sul luogo di lavoro, esprimano una posizione unitaria in sede di OIL per sostenere l’elaborazione di una norma internazionale che consenta di combattere le violenze di genere sul lavoro.

2.4.

Quadro della situazione

2.4.1.

Le violenze di genere sul lavoro rappresentano una violazione grave dei diritti umani, una lesione alla dignità e all’integrità fisica e psicologica. Nel mondo, il 35 % delle donne è vittima di violenza diretta sul lavoro, mentre tra il 40 e il 50 % delle lavoratrici è costretto a subire approcci sessuali e contatti fisici indesiderati o altre forme di molestie sessuali. Nell’UE il 45 % delle donne sostiene di aver subito almeno una volta una violenza di genere. Tra il 40 e il 45 % afferma di aver subito molestie sessuali sul lavoro. Si stima che in Europa, ogni giorno, sette donne muoiano a causa delle conseguenze prodotte da violenze di genere (9).

2.4.2.

Queste violenze sono il sintomo di una disparità nei rapporti di forza tra donne e uomini e contribuiscono a perpetuare tali disuguaglianze. Espressione di una volontà di dominio, tali violenze sono molto presenti nelle società in cui i diritti umani sono violati, ma sussistono anche nelle società democratiche. Esse non possono essere confuse con la seduzione, che presuppone il rispetto dell’altro. Le violenze sessuali e di genere non sono una questione privata: combatterle è necessario per garantire l’ordine pubblico e la sicurezza collettiva.

2.4.3.

Battute sessiste, insulti, canzonature o beffe umilianti, gesti fuori luogo, immagini pornografiche esposte in locali commerciali o pubblicate su Internet (che è uno strumento di lavoro per molti lavoratori), molestie psicologiche e sessuali, stupri e altre aggressioni sessuali, violenze coniugali: quale donna potrebbe affermare di non essere mai stata oggetto di almeno una di queste manifestazioni di sessismo (10)?

2.4.4.

Quale che sia il luogo dove esse vengono perpetrate, le violenze di genere possono avere un impatto sul luogo di lavoro. Uno studio europeo dimostra le conseguenze delle violenze domestiche sul lavoro e l’inserimento professionale delle vittime (11), e tale situazione è confermata da studi internazionali (12). I risultati di quattro sondaggi nazionali (Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito) mostrano che la violenza domestica si ripercuote sulla partecipazione, la produttività e la sicurezza dei lavoratori. Una donna vittima di violenza coniugale può essere molestata dal coniuge o partner sul lavoro, il che comporta problemi di sicurezza per lei e per i suoi colleghi. La vittima potrebbe doversi assentare dal lavoro per diversi giorni a causa delle lesioni subite oppure, se continua a lavorare, il suo rendimento professionale potrebbe risentirne. In Australia, nei servizi pubblici, le vittime di violenza domestica hanno diritto a un congedo. Nel settore privato, secondo i contratti collettivi che coprono circa 2 milioni di lavoratori, il congedo è di 20 giorni.

2.4.5.

Se le violenze vengono commesse sul lavoro da colleghi, superiori gerarchici, clienti o utenti, le donne non si sentono sicure. Esse possono aver bisogno di giorni di ferie per curare le lesioni fisiche o psicologiche, cercare un’assistenza sanitaria o presenziare a processi civili o penali. Inoltre le violenze di genere sono altrettanto dannose per i datori di lavoro (calo della produttività, assenteismo, procedimenti giudiziari, cattiva pubblicità).

2.4.6.

Questi atti di violenza possono verificarsi lungo il percorso per recarsi al lavoro. Per strada o nei trasporti pubblici è frequente che le donne siano molestate, aggredite, picchiate, e talvolta assassinate. Questo tipo di molestie, rivolto in particolare alle giovani donne, produce effetti duraturi: le vittime, rese insicure, sono mantenute in un sentimento di vulnerabilità che può dar luogo ad un’idea d’inferiorità. Subire, per una parte di esse, finisce per sembrare normale.

2.4.7.

Con l’aumento del numero di donne che lavorano, e considerato che le donne sono più numerose degli uomini nel lavoro informale, precario e domestico, aumenta anche il numero di donne vittime di violenze. Le donne sole con figli sono particolarmente vulnerabili. Tali circostanze possono essere utilizzate per esercitare ricatti legati al posto di lavoro.

2.4.8.

I gruppi più a rischio sono i giovani e i bambini — maschi e femmine — che lavorano, le persone vittime di lavoro forzato, i migranti economici, le lavoratrici domestiche, le persone che operano nei servizi sanitari e quelle che lavorano nell’industria del sesso. Lavorare da soli e accogliere il pubblico rappresentano fattori di rischio supplementari.

2.4.9.

I fattori di rischio legati all’ambiente di lavoro dipendono dal ruolo delle donne nell’organizzazione del lavoro e dalla cultura professionale più o meno rispettosa delle donne. Una migliore rappresentanza delle donne nei posti decisionali costituirebbe una buona prevenzione delle violenze nei loro confronti.

2.4.10.

Le violenze di genere hanno ripercussioni negative sulla produttività dei lavoratori. Le differenze tra l’esposizione delle donne e degli uomini al rischio di forme specifiche di violenza sul luogo di lavoro sono accentuate dalla segregazione di genere. Alcune donne sono più esposte di altre: quelle che sono in minoranza in universi tipicamente maschili o lavorano con un pubblico in difficoltà (assistenti sociali, personale penitenziario, sportelli dei servizi pubblici, pronto soccorso degli ospedali ecc.).

2.4.11.

L’esposizione al rischio di violenze è più elevata anche negli ambienti in cui i rapporti sociali sono inesistenti e nei quali l’assenza di contrattazione collettiva non consente di risolvere il problema. I sindacati possono aiutare le vittime a sapere a chi rivolgersi in caso di violazione dei loro diritti. Esistono anche altre soluzioni: ad esempio, la legislazione belga prevede la designazione di una persona, che gode della fiducia della gerarchia e dei lavoratori, disponibile per fornire consulenza e offrire assistenza.

2.5.

Definire e prevenire le violenze

2.5.1.

Lottare contro tali violenze richiede di tenere conto delle loro specificità, al fine di prevenirle. Capirne i meccanismi e denunciarne gli effetti è necessario per ridurre tali fenomeni, e per fare dei passi avanti verso la parità tra uomini e donne. La formazione dei dirigenti sulle disuguaglianze legate al genere costituisce una valida prevenzione.

2.5.2.

È necessario istituire un quadro giuridico vincolante che preveda una definizione precisa del campo di applicazione nonché una definizione del reato, e che precisi che le vittime sono in un rapporto di subordinazione.

2.5.3.

Le violenze di genere sul lavoro, che siano commesse sul luogo di lavoro stesso o lungo il tragitto per recarvisi, possono assumere svariate forme, tra cui:

le violenze fisiche,

le violenze sessuali, in particolare lo stupro e le aggressioni sessuali,

gli insulti, la maleducazione, la mancanza di rispetto, le manifestazioni di disprezzo,

gli atti di intimidazione,

i maltrattamenti psicologici,

le molestie sessuali,

le minacce di violenza,

gli atti di stalking.

2.5.4.

Esse sono caratterizzate dal fatto di imporre, senza il consenso della persona che li subisce, frasi o comportamenti in funzione del sesso o dell’orientamento sessuale, che hanno come obiettivo o effetto quello di creare una situazione intimidatoria, umiliante, degradante o offensiva. Piccole aggressioni quotidiane, che prese una per una sembrano innocenti, inducono le vittime a non sentirsi in sicurezza. Tali violenze, aggressioni e umiliazioni creano un clima di lavoro malsano.

2.5.5.

L’accordo quadro europeo delle parti sociali stabilisce che «varie forme di molestie e violenza possono verificarsi sul luogo di lavoro. Le molestie e la violenza possono:

assumere una forma fisica, psicologica e/o sessuale,

costituire episodi isolati o comportamenti più sistematici,

verificarsi tra colleghi, tra dirigenti e subordinati o provenire da terzi, quali clienti, pazienti, alunni ecc.,

passare da mancanze di rispetto più contenute ad atti più gravi, ad esempio reati che richiedono l’intervento delle autorità pubbliche».

Le disposizioni di detto accordo insistono sulla riservatezza:

«è nell’interesse di tutte le parti agire con la discrezione necessaria per salvaguardare la dignità e la vita privata di ciascuno,

nessuna informazione deve essere comunicata alle parti che non sono coinvolte nel caso».

L’accordo prevede infine una procedura di trattamento delle denunce e delle misure di prevenzione alle quali potrebbe ispirarsi il dibattito in seno all’OIL.

2.5.6.

Molti lavoratori dipendenti utilizzano Internet sul lavoro. Le violenze di genere possono essere diffuse mediante immagini degradanti tra cui i messaggi postati sui social media. Un clima di intimidazione, ostilità o umiliazione può ritrovarsi nelle relazioni online come in quelle «reali». La nuova norma non può ignorare il ruolo di Internet nei rapporti di lavoro e la necessità di combattere le violenze di genere anche in tale ambito.

3.   Perché è necessaria una norma dell’OIL contro le violenze di genere sul lavoro?

3.1.

I luoghi di lavoro costituiscono contesti unici per combattere la violenza. Una norma internazionale del lavoro potrebbe fornire degli orientamenti per l’elaborazione di politiche delle risorse umane adeguate per contrastare le violenze di genere nell’impresa, nonché orientare il dialogo sociale e i contratti collettivi di lavoro.

3.2.

Né l’attuale quadro internazionale né le leggi nazionali garantiscono una protezione adeguata contro le violenze di genere sul luogo di lavoro. Nella maggior parte dei paesi gli strumenti di lotta contro le violenze di genere sono essenzialmente incentrati sulla criminalizzazione degli autori, solitamente attraverso l’inserimento dell’abuso sessuale nel codice penale. Tali risposte, pur rivestendo un’importanza fondamentale, non sono sempre adeguate alle relazioni sul luogo di lavoro. Come indicato dal comitato di esperti dell’OIL: «In generale, risulta inadeguato trattare le molestie sessuali nell’ambito di un procedimento penale [poiché tale procedimento], pur permettendo di conoscere i casi più gravi, non consente di affrontare adeguatamente l’intera gamma dei comportamenti che vanno considerati come molestie sessuali in ambito professionale, laddove l’onere della prova è più vincolante e l’accesso a mezzi di ricorso è più limitato» (13). Prevenire le molestie sessuali significa convincere i datori di lavoro e i dipendenti che sul luogo di lavoro non vi è spazio per comportamenti sessisti. L’accordo quadro europeo prevede che «le imprese devono redigere una dichiarazione precisa la quale attesti che le molestie e la violenza non sono tollerate al loro interno».

4.   Perché la società civile dovrebbe sostenere una norma dell’OIL sulle violenze di genere?

4.1.

Le violenze di genere sono una questione di sicurezza e salute sul lavoro, sono causa di depressioni nervose, difficoltà psicologiche e infortuni sul lavoro. Occorre esaminare l’organizzazione del lavoro tenendo conto delle relazioni sociali di genere, e vanno condotte indagini di genere per far luce su tali rischi.

4.2.

Le parti sociali sono nella posizione più adatta per ascoltare le vittime e costituire con loro dei fascicoli di denuncia. I servizi sociali o delle risorse umane delle imprese, i sindacati, i medici del lavoro e i consulenti specializzati sono gli attori principali della protezione delle vittime. Nominare una persona di fiducia specializzata per ascoltare le vittime e istruire le pratiche è una soluzione raccomandata dall’accordo quadro europeo delle parti sociali. Le associazioni di donne, le organizzazioni per la difesa dei diritti, di sostegno ai migranti e altre ancora sono indispensabili per aiutare le vittime e completare l’azione delle parti sociali. Le parti sociali devono esse stesse tenere comportamenti esemplari e vietare al proprio interno gli atteggiamenti sessisti e umilianti.

4.3.

Una norma dell’OIL sulle violenze di genere sarebbe vantaggiosa per la società, il dialogo sociale, l’ambiente di lavoro e i rapporti di lavoro poiché:

garantirebbe una concertazione delle parti sociali per stabilire norme e creare un quadro per trattare i diversi casi,

consentirebbe di elaborare una definizione comune di quali atti costituiscano violenze di genere sul lavoro,

preciserebbe ai datori di lavoro e alle organizzazioni sindacali quali sono le loro responsabilità nel prevenire, combattere e porre rimedio alle violenze di genere sul lavoro,

aiuterebbe i datori di lavoro ad elaborare politiche di risorse umane comprendenti dei processi, in particolare in materia di formazione, per prevenire le violenze di genere e far fronte alle loro conseguenze nel mondo del lavoro, comprese le conseguenze della violenza domestica sul luogo di lavoro,

assisterebbe i datori di lavoro nel definire delle procedure per presentare denunce e reclami,

fornirebbe ai datori di lavoro un orientamento per l’ascolto delle vittime, l’esame e il trattamento delle denunce per violenze di genere sul lavoro,

definirebbe meglio l’ambito di responsabilità dei datori di lavoro (diretta e indiretta) in caso di violenze di genere sul lavoro,

creerebbe sul luogo di lavoro una cultura in cui le violenze di genere non sono tollerate,

migliorerebbe la sicurezza dei lavoratori e ridurrebbe le perdite economiche per i datori di lavoro legate alle violenze di genere (assenteismo, calo della produttività, procedimenti giudiziari, pubblicità negativa…).

5.   Perché i governi dovrebbero sostenere una norma dell’OIL sulle violenze di genere?

5.1.

La norma proposta contribuirebbe a:

conseguire gli obiettivi di lavoro dignitoso,

ridurre la vulnerabilità delle persone rispetto alle violenze di genere e a rafforzare la loro indipendenza economica e la loro produttività sul lavoro,

realizzare delle economie: la violenza domestica e sul luogo di lavoro costa milioni in cure sanitarie, procedimenti giudiziari, perdite salariali e indennità di malattia,

migliorare la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, nonché i rapporti di lavoro,

rendere più coerenti i quadri giuridici volti a eliminare le violenze di genere e a promuovere i diritti umani,

ridurre i costi che la violenza di genere comporta.

6.   Proposte di contenuto per una norma dell’OIL

una definizione ampia delle violenze di genere sul lavoro, che comprenda le diverse forme di violenza sul luogo di lavoro,

l’adozione di una definizione di «luogo di lavoro», che comprenda il tragitto per recarvisi,

disposizioni volte a prevenire le violenze di genere sul lavoro e misure intese a proteggere e sostenere le vittime delle violenze di questo tipo,

una descrizione dei gruppi più colpiti dalle violenze di genere: gli omosessuali e i transgender, le donne migranti, i lavoratori e le lavoratrici affetti da HIV/AIDS e quelli con disabilità, le persone costrette al lavoro forzato e al lavoro minorile,

la garanzia di vari diritti in materia di occupazione e sicurezza sociale per i denuncianti, in particolare il diritto di ridurre o di riorganizzare l’orario di lavoro,

orientamenti per l’elaborazione di regolamenti interni o codici di condotta per le imprese e le organizzazioni in cui venga specificato che comportamenti inappropriati o umilianti nei confronti delle donne e degli altri gruppi più colpiti saranno oggetto di sanzioni professionali,

orientamenti per l’elaborazione di indagini mirate, che consentano di realizzare statistiche armonizzate,

guide per organizzare formazioni intese ad aumentare la comprensione dei meccanismi di dominio e di segregazione degli uomini e delle donne sul lavoro e sviluppare una cultura di non violenza,

l’incoraggiamento alla medicina del lavoro a impegnarsi nello studio di tutti i casi di violenza di genere, poiché quest’ultima presenta rischi per la salute fisica e psicologica delle lavoratrici,

l’inclusione delle disposizioni della direttiva 2000/78/CE che stabilisce la creazione di un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (14),

un’attenzione particolare al ruolo dei media per sensibilizzare, informare e formare, tre azioni, queste, che risultano fondamentali per porre fine alla spirale delle violenze,

la considerazione dei nuovi rischi legati all’uso di Internet e delle nuove tecnologie.

Bruxelles, 16 luglio 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Direttiva 2002/73/CEE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, relativa all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (GU L 269 del 5.10.2002, pag. 15).

(2)  http://www.etuc.org/framework-agreement-harassment-and-violence-work

(3)  http://www.ilo.org/ilc/ILCSessions/104/texts-adopted/WCMS_377776/lang--fr/index.htm

(4)  Relazione del comitato di esperti sull’applicazione delle convenzioni e raccomandazioni, relazione III (1A), Conferenza internazionale del lavoro, 91a sessione, 2003, pagg. 497-498).

(5)  Relazione del comitato di esperti sull’applicazione delle convenzioni e raccomandazioni, relazione III (1A), Conferenza internazionale del lavoro, 98a sessione, 2009, pag. 35).

(6)  http://www.etuc.org/framework-agreement-harassment-and-violence-work

(7)  Parere sul tema «Eliminare alla radice la violenza domestica contro le donne» (GU C 351, del 15.11.2012, pag. 21).

(8)  Cfr. la nota 1.

(9)  Barometro 2011 (piani d’azione nazionali di lotta alla violenza contro le donne nell’UE), European Women’s Lobby, agosto 2011 (http://www.womenlobby.org/spip.php?article2481&lang=en).

(10)  Una recente relazione (aprile 2015) del Consiglio superiore francese per la parità tra donne e uomini afferma che TUTTE le donne hanno subito approcci sessuali indesiderati in strada e nei trasporti pubblici. La maggioranza delle vittime sono minorenni. http://www.haut-conseil-egalite.gouv.fr/IMG/pdf/hcefh_avis_harcelement_transports-20150410.pdf

(11)  Quand les violences domestiques s’invitent sur le lieu de travail ou dans le processus d’insertion professionnelle (Quando le violenze domestiche hanno un impatto sul luogo di lavoro o sul processo di inserimento professionale), Coface 2011 http://www.coface-eu.org/en/upload/08_EUProjects/Domestic%20violence-etude-coface-daphne-fr.pdf

(12)  https://www.arts.unsw.edu.au/media/FASSFile/National_Domestic_Violence_and_the_Workplace_Survey_2011_Full_Report.pdf https://www.arts.unsw.edu.au/research/gendered-violence-research-network/gendered-violence-work/

(13)  Relazione del comitato di esperti sull’applicazione delle convenzioni e raccomandazioni, relazione III (1A), Conferenza internazionale del lavoro, 98a sessione, 2009, pag. 32.

(14)  Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303 del 2.12.2000, pag. 16).


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/145


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Atti delegati»

(supplemento di parere)

(2016/C 013/22)

Relatore:

Jorge PEGADO LIZ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 19 febbraio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema:

Atti delegati

(supplemento di parere)

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 luglio 2015.

Nella sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Mentre stava già elaborando un supplemento di parere d’iniziativa sulla procedura di delega, il CESE ha appreso che la Commissione aveva pubblicato una proposta di nuovo accordo interistituzionale vincolante «Legiferare meglio», basato sull’articolo 295 del TFUE, nell’ambito di un pacchetto generale di miglioramento normativo comprendente anche due allegati specifici sul regime degli atti delegati.

1.2.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, che rappresenta il passo nella giusta direzione, quella da esso auspicata.

1.3.

Il CESE giudica positivamente la maggior parte degli orientamenti proposti.

1.4.

Il CESE si compiace soprattutto degli sforzi profusi dalla Commissione per conseguire un giusto equilibrio tra i valori fondamentali quali il rispetto dello «Stato di diritto», la partecipazione democratica, la trasparenza, la prossimità ai cittadini e il diritto a un’informazione esauriente sulle procedure legislative, da un lato, e l’esigenza di semplificazione normativa, di una regolamentazione più flessibile, più consona agli interessi in gioco e di più agevole aggiornamento e revisione, dall’altro.

1.5.

Il CESE accoglie con favore soprattutto il fatto che la Commissione si impegni, «prima dell’adozione di un atto delegato, a valersi di tutte le competenze necessarie, anche attraverso la consultazione degli esperti degli Stati membri e mediante consultazioni pubbliche» e che proponga di impiegare lo stesso metodo consultivo per l’adozione degli atti di esecuzione. Teme però che tutte queste consultazioni prolunghino in modo eccessivo e inutile l’elaborazione degli atti.

1.6.

Tuttavia, il CESE non condivide interamente l’impostazione «caso per caso» data alla distinzione tra le misure da adottare mediante atti delegati e quelle da adottare mediante atti di esecuzione, dal momento che i criteri impiegati sono ambigui e lasciano un margine di interpretazione discrezionale troppo ampio.

1.7.

Il CESE è in disaccordo con la proposta della Commissione in particolare per quanto concerne:

a)

l’assenza di informazioni preliminari sugli esperti degli Stati membri e le loro competenze tecniche,

b)

l’assenza di un termine appropriato per la consultazione di esperti, di parti interessate, del PE e del Consiglio, salvo nei casi di urgenza,

c)

il fatto che la consultazione degli esperti del PE e delle parti interessate e la trasmissione del calendario delle riunioni agli stessi siano facoltative,

d)

la sporadicità e l’incoerenza delle informazioni relative all’adozione degli atti delegati, informazioni che invece andrebbero rese disponibili in modo sistematico e automatico attraverso un sito Internet aggiornato in tempo reale,

e)

il fatto che, in linea di principio, la delega abbia una durata indeterminata: il CESE è infatti dell’avviso che la regola debba invece essere quella di un termine preciso, eventualmente rinnovabile per un identico periodo di tempo, salvi casi eccezionali debitamente giustificati.

1.8.

Il CESE desidererebbe che gli orientamenti prevedessero espressamente che le deleghe siano determinate in tutti i loro elementi, vale a dire abbiano:

a)

obiettivi ben definiti,

b)

un contenuto preciso,

c)

una portata chiara,

d)

un termine rigoroso, ossia una durata determinata.

1.9.

Il CESE reputa che il proprio parere dovrebbe essere richiesto, al pari di quanto avviene nella procedura legislativa ordinaria, anche in merito alle valutazioni d’impatto e alla revisione degli atti delegati.

1.10.

Infine, il CESE ritiene che la formulazione degli articoli 290 e 291 del TFUE possa e — nell’ipotesi di una revisione dei Trattati — debba essere migliorata. L’applicazione di tali articoli dovrebbe poi essere meglio disciplinata, onde evitare che la scelta dello strumento giuridico da adottare finisca per dipendere da una decisione politica piuttosto che tecnica.

2.   Perché un supplemento di parere sugli «atti delegati»

2.1.

Nel 2012 il CESE aveva autorizzato l’elaborazione di una relazione informativa (1) sulla procedura in oggetto, al fine di analizzare l’uso fatto di quest’ultima e trarne conclusioni riguardo al funzionamento del sistema di controllo inteso a prevenire o correggere gli sviamenti di potere che potessero pregiudicare le regole democratiche dell’Unione europea in quanto «comunità di diritto».

2.2.

A seguito di tale relazione, nonché di due consultazioni ricevute dalla Commissione in merito a tre proposte di regolamento che adattavano all’articolo 290 del TFUE una serie di atti giuridici che prevedevano il ricorso alla procedura di regolamentazione con controllo (2), il CESE aveva poi adottato due pareri (3), nei quali, dopo aver ribadito le osservazioni e le conclusioni formulate nella relazione, tra le quali i «dubbi circa la semplicità della procedura, l’effettiva percezione da parte dei cittadini europei della posta in gioco, l’uso “corretto” della procedura e l’efficacia dei meccanismi di controllo», raccomandava un uso prudente di tale strumento, tenendo conto del fatto che «taluni elementi della procedura di delega restano ancora oscuri».

2.3.

Dopo le elezioni del PE del 2014 e la nomina dei nuovi commissari europei, tra i quali un primo vicepresidente responsabile «della Qualità della legislazione, delle relazioni interistituzionali, dello Stato di diritto e della Carta dei diritti fondamentali», è sembrato opportuno riaprire questo dossier, per informarsi sulle intenzioni dei nuovi attori istituzionali e, soprattutto, prendere posizione riguardo alle eventuali innovazioni destinate a garantire meglio i principi di trasparenza, certezza del diritto, controllo democratico ed equilibrio istituzionale. Si tratta inoltre di cogliere questa occasione anche per rilanciare il dibattito tra le istituzioni europee, la società civile, gli esperti e il mondo accademico, con l’obiettivo di proporre nuove raccomandazioni alle istituzioni dell’UE.

3.   La situazione attuale

3.1.

Sono trascorsi due anni da quando il CESE ha adottato la relazione informativa e i due pareri summenzionati, e nel frattempo le proposte della Commissione «Omnibus I» e «Omnibus III» non hanno avuto seguito. Nella sua relazione intermedia trasmessa al Coreper il 20 giugno 2014, l’allora presidenza greca del Consiglio ha criticato il carattere «automatico» di tali proposte, in quanto impedivano al legislatore di esercitare il suo potere discrezionale caso per caso. Successivamente, il Consiglio ha esercitato il suo diritto di veto due volte, contro le modalità d’accesso al servizio pubblico regolamentato offerto dal sistema globale di navigazione satellitare istituito dal programma Galileo (4) e il formato di trasmissione dei dati concernenti le spese per ricerca e sviluppo (5).

3.2.

Il programma di lavoro dell’attuale Commissione europea prevedeva di potenziare gli strumenti che le avrebbero permesso di legiferare meglio, e di «individuare un’ulteriore serie di azioni nell’ambito del suo programma sull’adeguatezza della regolamentazione».

3.3.

La proposta di un nuovo accordo interistituzionale, la cui conclusione era inizialmente prevista per il 28 aprile 2015 ma è stata poi rimandata al 19 maggio, comprende, da un lato, l’accordo interistituzionale «Legiferare meglio» (6) vero e proprio e, dall’altro lato, due allegati dedicati alla questione centrale del regime giuridico degli atti delegati: Convenzione d’intesa tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sugli atti delegati (allegato 1) e Formule standard (allegato 2).

3.4.

Alla vigilia della pubblicazione del pacchetto, permanevano ancora delle divergenze riguardo alla pertinenza della base giuridica scelta, ossia l’articolo 295 del TFUE. Sembrava invece certo che le «valutazioni d’impatto» sarebbero state rafforzate, al pari della consultazione delle parti interessate (stakeholders), e che la consultazione degli esperti degli Stati membri prima dell’adozione di un atto delegato sarebbe diventata obbligatoria. L’intenzione era anche quella di limitare gli atti delegati a taluni «settori cruciali» (key areas), benché quest’ultima nozione resti ancora piuttosto vaga. A quanto pare, il vicepresidente Timmermans avrebbe dovuto «convalidare» egli stesso tutte le proposte di atti delegati.

3.5.

Secondo più fonti, il PE sarebbe stato ancora sommerso da proposte di atti delegati, senza disporre né di mezzi né di un metodo tali da consentirgli di esercitare su di esse un controllo efficace; era pertanto allo studio una ristrutturazione dei suoi servizi, accompagnata da linee guida interne, nonché l’assegnazione di risorse umane supplementari.

3.6.

Al Consiglio, la questione delle deleghe di competenze e del loro controllo sembrava preoccupare alcuni Stati membri e continuava ad essere considerata una priorità. Esistevano tuttavia divergenze quanto alla necessità di una delimitazione più precisa degli ambiti di applicazione degli articoli 290 e 291 del TFUE. La posizione del Consiglio andava nel senso di una riformulazione dell’«Intesa comune» (Common Understanding), con un rafforzamento del ruolo degli esperti nazionali, i quali avrebbero dovuto essere sistematicamente consultati nel corso della preparazione degli atti delegati (consultazione ex ante). La relazione annuale del 2015 della presidenza del Consiglio sulle valutazioni d’impatto ha inoltre ribadito la necessità che gli esperti nazionali possano essere consultati con sufficiente anticipo.

3.7.

Alcune parti hanno lamentato la mancanza di trasparenza della procedura di delega. L’individuazione degli interlocutori pertinenti in seno alla Commissione europea e ai comitati di esperti del Consiglio, nonché tra i deputati competenti del PE o i responsabili interessati in seno alle agenzie esecutive dell’UE sembrerebbe essere estremamente difficile, quando non addirittura impossibile nel caso degli esperti che siedono nei comitati del Consiglio, mentre i temi trattati nel quadro della procedura di delega hanno un impatto diretto sulla società civile organizzata, l’industria e il commercio, i consumatori e i cittadini in genere. Queste parti interessate sottolineavano altresì l’apparente mancanza di conoscenze e di formazione da parte di queste persone riguardo alla procedura stessa di delega e alle sue implicazioni, spesso considerate come una formalità procedurale «neutra».

3.8.

Da parte sua, la Corte di giustizia dell’UE si è pronunciata sulla nozione di «elementi essenziali» in una sentenza emessa il 5 settembre 2012 dalla Grande Sezione (7), in una causa che opponeva il PE al Consiglio, statuendo che «l’adozione delle norme essenziali nella materia considerata è riservata alla competenza del legislatore dell’Unione», per cui tali norme essenziali devono essere «stabilite nella normativa di base e non possono costituire oggetto di una delega» (8).

3.8.1.

Quanto statuito in tale sentenza in materia di comitatologia è applicabile alla procedura di delega nella misura in cui l’articolo 290 del TFUE si riferisce alla nozione di «elementi non essenziali». La sentenza precisa inoltre che il tema dei diritti fondamentali è di competenza esclusiva del legislatore. Ed indica che la delimitazione tra il potere legislativo e quello esecutivo deve basarsi «su elementi oggettivi che possano essere sottoposti a sindacato giurisdizionale».

3.9.

Più di recente, la Corte si è pronunciata sulla distinzione tra atti di esecuzione e atti delegati, in una sentenza emessa il 18 marzo 2014 dalla Grande Sezione nella causa «Biocidi» (Commissione/PE e Consiglio) (9). Essa ha considerato che, nel caso dell’atto delegato in questione, la Commissione adottasse «norme che si inseriscono nel quadro normativo quale definito dall’atto legislativo di base», mentre, con il conferimento di un potere di esecuzione, la Commissione è chiamata a «precisare il contenuto di un atto legislativo, per garantire la sua attuazione a condizioni uniformi in tutti gli Stati membri».

3.9.1.

Nella stessa sentenza, inoltre, si precisa che l’atto delegato può modificare e completare l’atto di base, mentre l’atto di esecuzione può solo precisarlo (10). Rincresce che la Corte non abbia accolto l’invito, rivoltole nelle sue conclusioni dall’avvocato generale CRUZ VILLALÓN, ad approfondire ulteriormente il ragionamento sul rapporto tra atti delegati ed esercizio del potere politico (11).

3.10.

Infine, il 21 febbraio 2014 (12) la Corte è stata adita dalla Commissione con un ricorso per annullamento relativo al regolamento (CE) n. 1289/2013, che adotta l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all’atto dell’attraversamento delle frontiere esterne e l’elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo.

3.11.

Oggetto del ricorso proposto dalla Commissione era l’annullamento di tale regolamento, che prevede il ricorso agli atti delegati nel quadro del meccanismo di reciprocità da esso introdotto. Il 7 maggio 2015 l’avvocato generale MENGOZZI ha presentato le sue conclusioni.

3.12.

Analizzando la portata del potere discrezionale riconosciuto al legislatore dalla sentenza «Biocidi», Mengozzi rammenta che quest’ultimo gode di un pieno potere di valutazione politica, non soggetto a controllo giurisdizionale, per quanto concerne la scelta di conferire o meno una delega legislativa, e che tale scelta politica non può in alcun caso formare oggetto di delega. E precisa poi che il ricorso alla delega non è un obbligo, bensì uno strumento volto a semplificare e accelerare l’attività normativa riguardo agli aspetti «non essenziali» della legislazione di base.

3.13.

Mengozzi ritiene che, per «modifica» di un atto normativo (13), debba intendersi qualsiasi cambiamento apportato al suo testo, che si tratti di sopprimere, aggiungere o sostituire un qualunque elemento di esso, osserva che «la funzione legislativa delegata si caratterizza per l’esercizio, da parte del potere delegato, di un certo margine di discrezionalità, che non contraddistingue, invece, necessariamente la funzione esecutiva» (14), e mette in rilievo le difficoltà di interpretazione della nozione di «modifica» e le sue ripercussioni sull’equilibrio istituzionale.

Quanto all’oggetto del contendere, l’avvocato generale, dopo un’attenta analisi del regolamento in questione, conclude per il rigetto delle domande di annullamento avanzate dalla Commissione. La Corte si pronuncerà il 16 luglio 2015.

4.   La proposta di un nuovo accordo interistituzionale e l’audizione pubblica del 26 maggio 2015 al CESE

4.1.

Quella degli atti delegati è una delle questioni più importanti affrontate dal pacchetto «Legiferare meglio» e ripresa nel testo stesso dell’agenda dell’UE pubblicata dalla Commissione (punto 3.3) (15), dei nuovi orientamenti della Commissione per legiferare meglio (16), della toolbox  (17) e del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT — Regulatory Fitness and Performance Programme)  (18), nonché, naturalmente, nonché in quello della proposta di (nuovo) accordo interistituzionale (AII).

4.2.

Il CESE aveva già avuto modo di deplorare:

a.

il fatto che non venisse precisata l’esatta natura giuridica degli atti delegati, l’ambiguità del concetto di «misura non essenziale», interpretato dalla Corte in modo diverso a seconda degli ambiti interessati, e l’amplissimo margine di manovra della Commissione riguardo alla portata e alla durata delle deleghe,

b.

la mancanza di trasparenza e l’incertezza giuridica della — nonché l’insufficiente controllo politico sulla — consultazione preventiva, basata su un atto giuridicamente non vincolante, del 4 aprile 2011, intitolato «Intesa comune sulle modalità pratiche del ricorso agli atti delegati»,

c.

il fatto che le modalità di attuazione dell’articolo 290 del TFUE fossero state indicate soltanto in una comunicazione della Commissione al PE ed al Consiglio, del 9 dicembre 2009, ossia in un atto anch’esso giuridicamente non vincolante.

4.3.

Il CESE aveva inoltre già espresso riserve e seri dubbi riguardo ai seguenti aspetti:

a.

le deleghe a tempo indeterminato,

b.

l’estrema brevità dei termini per il controllo del PE e del Consiglio,

c.

l’effettiva partecipazione del PE,

d.

la mancanza di razionalità delle procedure,

e.

la carenza di informazioni, malgrado l’annuncio della Commissione, per quanto concerne sia la delega sia la pertinenza delle misure adottate, in tutte le fasi della procedura,

f.

l’assenza di una piena accessibilità alle informazioni per i cittadini e la società civile,

g.

l’effettiva applicazione dell’articolo 10 del TUE, secondo il quale le decisioni sono prese nella maniera il più possibile vicina ai cittadini.

4.4.

Infatti, la sua maggiore preoccupazione riguardava il conseguimento di un giusto equilibrio tra i principi dello «Stato di diritto», la partecipazione democratica, la trasparenza, la prossimità ai cittadini e il diritto all’informazione sulle procedure legislative, da un lato, e l’esigenza di semplificazione normativa, di una regolamentazione più flessibile, più consona agli interessi in gioco e di più agevole revisione, dall’altro.

4.5.

Il CESE ha sempre ritenuto che le deleghe di competenza siano necessarie all’attività legislativa dell’UE, ma anche che siano differenti nei singoli Stati membri, considerate le specificità e le lacune alle quali occorre ovviare in mancanza di una vera e propria Costituzione europea.

4.6.

E ha altresì affermato che i fondamenti di tali valori essenziali per l’elaborazione del diritto si trovano in particolare:

a.

negli articoli 4 e 5 del TUE e negli articoli 2, 3 e 4 del TFUE, riguardanti l’attribuzione e la condivisione delle competenze dell’UE e i principi di sussidiarietà e di proporzionalità,

b.

nell’articolo 10 del TUE, che sancisce il diritto dei cittadini di partecipare alla vita democratica e dispone che le decisioni siano prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini stessi,

c.

nell’articolo 11 del TUE, al quale il CESE ha dedicato alcuni pareri e una «tabella di marcia» per il dialogo civile, la trasparenza e le «consultazioni delle parti interessate»,

d.

nell’articolo 15, paragrafo 1, del TFUE, relativo ai principi di buona governance, di partecipazione della società civile e di apertura,

e.

nell’articolo 298 del TFUE, che obbliga le istituzioni europee a basarsi «su un’amministrazione europea aperta, efficace ed indipendente».

4.7.

L’audizione pubblica del CESE, già prevista ben prima della pubblicazione del pacchetto «Legiferare meglio», si è svolta il 26 maggio, in presenza di rappresentanti della Commissione, del Consiglio, del PE, del Mediatore europeo e del Garante europeo della protezione dei dati, nonché con l’intervento di un oratore del Collegio d’Europa, davanti a un pubblico composto da rappresentanti permanenti degli Stati membri e da esponenti del mondo accademico e della società civile (BEUC, EMI, EIM, IGT, GIZ ecc.).

5.   Valutazione critica della proposta della Commissione

5.1.

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione abbia accolto la maggior parte dei principi sopra citati.

5.1.1.

Anzitutto, approva il fatto che la proposta in esame abbia come base giuridica l’articolo 295 del TFUE, da esso sempre indicata come quella idonea. E accoglie con favore i riferimenti, contenuti nella proposta, al «metodo comunitario» e ai principi di trasparenza, legittimità democratica, sussidiarietà, proporzionalità e certezza del diritto. Si rallegra inoltre che la Commissione affermi che, nella redazione dei testi legislativi, la guideranno la semplicità, la chiarezza e la coerenza.

5.1.2.

Un altro elemento positivo è il richiamo, sempre nella proposta, al «ruolo» e alla «responsabilità» dei parlamenti nazionali previsti nel protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Tuttavia, il CESE sottolinea che i parlamenti nazionali devono disporre di tempo sufficiente per pronunciarsi.

5.1.3.

Il CESE approva poi «il ricorso alla consultazione delle parti interessate, alla valutazione ex post della legislazione vigente e alle valutazioni d’impatto delle nuove iniziative».

5.1.4.

Infine, esso condivide gli obiettivi «di semplificazione della legislazione dell’Unione e di riduzione degli oneri regolamentari […] senza pregiudizio per il conseguimento degli obiettivi politici dell’Unione previsti nei trattati e per la salvaguardia dell’integrità del mercato unico».

5.2.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la Commissione si impegni a consultare gli esperti degli Stati membri prima dell’adozione degli atti delegati, nonché, ove necessario, a rivolgersi a gruppi di esperti, consultare parti interessate ed effettuare consultazioni pubbliche in una fase precoce dell’elaborazione dei progetti di atti di esecuzione.

5.3.

Per quanto riguarda, più in particolare, la Convenzione d’intesa tra il PE, il Consiglio e la Commissione sugli atti delegati (allegato 1), il CESE concorda con quest’ultima segnatamente sui seguenti punti:

a.

la definizione di «atto di portata generale» come quello che «si applica a situazioni determinate oggettivamente e […] produce effetti giuridici in relazione a specifiche categorie di persone oppure in generale» e l’affermazione che «un atto legislativo può conferire alla Commissione solo il potere di adottare atti non legislativi di portata generale mediante atti delegati»,

b.

il fatto che «gli atti legislativi» possano «essere modificati solo mediante atti legislativi o atti delegati», e che ciò valga «anche per le modifiche degli allegati degli atti legislativi»,

c.

il fatto che «gli elementi essenziali dell’atto legislativo» debbano «essere determinati dal legislatore» e non possano «essere oggetto di un atto delegato o di un atto di esecuzione»,

d.

lo sforzo della Commissione di proporre un nuovo approccio nei confronti della consultazione degli esperti degli Stati membri e del PE, nonché di quelli delle parti interessate.

5.4.

Per contro, il CESE non condivide interamente l’impostazione «caso per caso» data alla distinzione tra le misure da adottare mediante atti delegati e quelle da adottare mediante atti di esecuzione, dal momento che i relativi criteri rimangono poco chiari e lasciano un margine di interpretazione troppo ampio. Il CESE auspica uno sforzo di concettualizzazione, e desidererebbe che la Convenzione d’intesa stabilisse regole chiare in virtù delle quali:

a.

il ricorso agli atti delegati debba essere l’eccezione e non la regola,

b.

in caso di dubbio se gli elementi in questione siano «essenziali» oppure rientrino in una «zona grigia», la Commissione debba astenersi dal proporre atti delegati e disciplinarli invece nell’atto legislativo di base,

c.

in caso di dubbio sulla natura della misura da adottare, la Commissione debba adottare di preferenza degli atti di esecuzione piuttosto che degli atti delegati.

5.5.

Il CESE è anche in disaccordo con la proposta della Commissione in merito ai seguenti aspetti:

a.

l’assenza di informazioni preliminari sugli esperti incaricati dagli Stati membri e sulle loro competenze tecniche,

b.

l’assenza di un termine minimo per fornire i documenti agli esperti e alle parti interessate e trasmetterli al PE ed al Consiglio, salvo nei casi di urgenza,

c.

il fatto che il ricorso agli esperti del PE, la consultazione delle parti interessate e la trasmissione del calendario delle riunioni degli esperti alle commissioni del PE siano facoltativi,

d.

la sporadicità e l’incoerenza delle informazioni relative agli atti delegati previsti: esse, infatti, dovrebbero essere rese disponibili in modo sistematico, permanente ed automatico (grazie a un sito Internet aggiornato in tempo reale dove ciascuno possa avere immediatamente accesso allo stato di avanzamento e al contenuto degli atti delegati),

e.

il principio della durata indeterminata della delega: il CESE è infatti dell’avviso che la regola debba essere quella di un termine tassativo, eventualmente rinnovabile tacitamente per identici periodi di tempo, salvo in casi eccezionali debitamente giustificati.

5.6.

Infine, il CESE teme che l’uso sconsiderato dei mezzi di consultazione, di studi ex ante ed ex post e delle riunioni con esperti prolunghi in modo eccessivo e inutile l’elaborazione degli atti.

5.7.

Il CESE condivide l’opinione, espressa in occasione dell’audizione pubblica del 26 maggio 2015, secondo cui la formulazione degli articoli 290 e 291 potrebbe e — nell’ipotesi di una futura revisione dei Trattati — dovrebbe essere migliorata, rendendola più chiara e meno ambigua. L’applicazione di tali articoli dovrebbe essere disciplinata meglio nel sistema legislativo dell’UE, onde evitare che la scelta dello strumento da adottare finisca per dipendere da una decisione politica piuttosto che tecnica.

5.8.

Inoltre, il CESE desidererebbe che degli orientamenti indicassero espressamente quantomeno che le deleghe previste negli atti legislativi devono essere rigorosamente determinate in tutti i loro elementi, ossia avere:

a.

obiettivi ben definiti,

b.

un contenuto preciso,

c.

una portata chiara,

d.

una durata precisa e determinata.

5.9.

Il CESE reputa inoltre che il proprio parere dovrebbe essere richiesto non solo per gli atti legislativi ma anche nell’ambito della procedura di delega, nonché in merito alle valutazioni d’impatto degli atti delegati e all’eventuale modifica di questi ultimi, tenuto conto delle loro ripercussioni in termini economici e sociali.

5.10.

Alla luce delle conclusioni dell’audizione pubblica, il CESE ritiene che le istituzioni debbano garantire ai cittadini l’accesso a ciascuna fase dei lavori preparatori e dotarsi delle risorse necessarie per gestire tutto questo processo.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  CESE 248/2013.

(2)  COM(2013) 451 final, 452 final e 751 final.

(3)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 104, e GU C 177 dell’11.6.2014, pag. 48.

(4)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-17336-2013-INIT/it/pdf

(5)  http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-15147-2014-INIT/it/pdf

(6)  COM(2015) 216 final.

(7)  Causa C-355/10, Parlamento europeo/Consiglio, del 5 settembre 2012, punti 26-28, 39, 65-68.

(8)  Ibidem, punto 64.

(9)  Sentenza nella causa C-427/12, Commissione/Parlamento europeo e Consiglio, del 18 marzo 2014 (causa «Biocidi»).

(10)  Causa C-427/12, punto 40.

(11)  Causa C-427/12, paragrafo 75 e seguenti delle conclusioni.

(12)  GU C 135 del 5.5.2014, pag. 24. Ricorso proposto il 21 febbraio 2014 — Commissione europea/Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea (causa C-88/14).

(13)  Paragrafo 38 delle conclusioni.

(14)  Paragrafo 45 delle conclusioni.

(15)  COM(2015) 215 final.

(16)  SWD(2015) 111 final.

(17)  http://ec.europa.eu/smart-regulation/guidelines/docs/br_toolbox_en.pdf

(18)  SWD(2015) 110 final.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/152


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Costruire un ecosistema finanziario per le imprese sociali»

(parere esplorativo)

(2016/C 013/23)

Relatrici:

Arianna RODERT e Marie ZVOLSKÁ

Con lettera del 28 aprile 2015, il ministro del Lavoro, dell’occupazione e dell’economia sociale e solidale del Lussemburgo Nicolas SCHMIT ha invitato il Comitato economico e sociale europeo (CESE), a nome della futura presidenza lussemburghese dell’UE, e conformemente al disposto dell’articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, a elaborare un parere esplorativo sul tema:

Costruire un ecosistema finanziario per le imprese sociali

(parere esplorativo).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 settembre 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 204 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la decisione della presidenza lussemburghese dell’UE di fare dell’economia sociale una delle sue priorità, e in particolare la sua attenzione per la creazione di un ecosistema finanziario su misura.

1.2.

Il CESE chiede alla Commissione europea di non perdere lo slancio e di continuare a sostenere l’agenda dell’economia sociale e a garantire un quadro politico costante e favorevole per lo sviluppo dell’economia sociale. A tal fine occorre rinnovare l’agenda dell’iniziativa per l’imprenditoria sociale (SBI), compreso il necessario ecosistema finanziario su misura.

1.3.

Il CESE sottolinea che occorre considerare l’accesso ai finanziamenti come una componente dell’intero ecosistema, necessaria per lo sviluppo e la crescita delle imprese dell’economia sociale (IES).

1.4.

L’ecosistema finanziario ideale per le IES comprende caratteristiche quali un approccio multipartecipativo, soluzioni fondate su capitale ibrido e paziente con regimi di garanzia, spesso forniti da istituzioni finanziarie sociali che condividono i valori dell’economia sociale.

1.5.

La Commissione dovrebbe favorire l’emergere di nuovi strumenti, garantire che la regolamentazione finanziaria consenta lo sviluppo, promuovere la ricerca sul valore aggiunto per la società degli investimenti nelle IES e chiedere agli Stati membri di procedere a valutazioni inter pares su questo tema.

1.6.

Il CESE accoglie con favore il fatto che l’attuale piano di investimenti per l’Europa consideri prioritari gli investimenti nell’economia sociale (1), e sollecita la Commissione a utilizzare pienamente questa disposizione.

1.7.

La Commissione dovrebbe valutare se e come gli investimenti a impatto sociale possano costituire un elemento dell’ecosistema finanziario per le IES e se le politiche alla base di tali investimenti sostengano effettivamente lo sviluppo di tali imprese.

1.8.

L’UE deve altresì riconoscere le IES introducendo un fattore di sostegno nel regolamento sui requisiti patrimoniali (CRR) (2), che produrrebbe notevoli vantaggi in termini di credito bancario all’economia sociale, senza incidere in alcun modo sulle finanze pubbliche.

1.9.

Il sostegno finanziario fornito a livello dell’Unione va integrato da un’azione, da parte della Commissione europea, di orientamento, formazione e sviluppo di capacità rivolta ai governi e ai principali soggetti interessati.

1.10.

Gli Stati membri dovrebbero fungere da co-investitori per sostenere la creazione di fondi etici, fondi d’innovazione sociale e fondi di capitale di rischio sociale e agevolare i sistemi pubblici di garanzia. Inoltre, gli Stati membri dovrebbero considerare la possibilità di riesaminare le opportunità di riduzioni dell’imposta sul reddito (per privati e imprese) nonché di altri incentivi fiscali per i risparmiatori e gli investitori al fine di attirare gli investimenti nelle IES.

1.11.

Le stesse IES devono adottare iniziative per lo sviluppo di strumenti quali l’autocapitalizzazione, il crowdfunding e la partecipazione a partenariati di credito sociale, dotandosi di risorse proprie e lanciando i partenariati.

1.12.

Tuttavia, per sfruttare pienamente il potenziale delle IES, tutti gli Stati membri devono elaborare e attuare piani d’azione nazionali per l’economia sociale basati su un approccio di ampio respiro fondato sul coinvolgimento dei soggetti interessati, compresi i rappresentanti della società civile.

2.   Introduzione e contesto

2.1.

Il CESE accoglie con favore il fatto che il Lussemburgo consideri l’economia sociale prioritaria durante il suo semestre di presidenza dell’UE, riconoscendo il contributo dell’economia sociale all’occupazione, alla giustizia sociale e allo sviluppo sostenibile.

2.2.

Il CESE si rallegra della richiesta ricevuta dalla presidenza lussemburghese di elaborare il presente parere esplorativo, che ha il fine di esaminare l’idea di un ecosistema finanziario dal punto di vista delle imprese sociali e individuare le caratteristiche principali e le condizioni necessarie per il completamento di un quadro europeo adeguato ed efficace per il finanziamento e gli investimenti nell’economia sociale.

2.3.

Il CESE rileva inoltre che la presidenza lussemburghese sottolinea il fatto che l’accesso limitato ai finanziamenti (in particolare ai finanziamenti su misura) è un ostacolo alla crescita e allo sviluppo dell’economia sociale, come già affermato in precedenti pareri del CESE (3), nell’iniziativa per l’imprenditoria sociale della Commissione europea (4), e nel lavoro dall’OCSE (5).

2.4.

A seguito della crisi, sta emergendo in Europa un nuovo paesaggio sociale, e la nostra società è di fronte a nuove e complesse sfide. Vi è un’urgente necessità di innovazioni sociali che mobilitino tutti i settori della società. L’economia sociale rappresenta un settore di vitale importanza che dà lavoro a oltre 14 milioni di persone (6) e ha un ruolo chiave da svolgere nell’individuazione di soluzioni, ad esempio per la creazione di posti di lavoro e l’inclusione sociale (7), contribuendo a una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Il settore, tuttavia, è ancora poco sviluppato in molti Stati membri; per sfruttare appieno il suo potenziale, occorre sviluppare un ecosistema in cui l’accesso a finanziamenti su misura abbia un ruolo centrale.

2.5.

Alla luce del costante impegno del CESE nei confronti dell’agenda per l’economia sociale, il presente parere è inteso a dare visibilità alle particolari prospettive delle IES, che per definizione si avvalgono della realizzazione di profitti quale strumento per compiere la loro missione primaria, quella sociale.

2.6.

Per inquadrare il presente parere, il Comitato desidera quindi ricordare la definizione contenuta nella strategia di Roma  (8), secondo la quale l’economia sociale consiste di una pluralità di modelli organizzativi definiti da contesti diversi a livello nazionale e di welfare, ma con valori caratteristiche e obiettivi comuni. Quello delle IES è un insieme di organizzazioni le cui azioni si basano sull’importanza prioritaria delle persone rispetto al capitale; un mondo che include forme organizzative come le cooperative, le mutue, le fondazioni e le associazioni, insieme a forme più recenti di imprese sociali. Occorre altresì precisare che le IES sono imprese che appartengono a persone e/o create da persone e non dal sistema finanziario.

2.7.

Si osservi inoltre che il presente parere, seppur collegato all’argomento, non si addentra nei particolari dell’«investimento a impatto sociale», né riguarda il regolamento EuSEF, temi già affrontati dal CESE in precedenti pareri (9).

3.   L’accesso ai finanziamenti, una sfida per l’economia sociale

3.1.

Come sottolineato dall’OCSE (10), vi è attualmente un’incompatibilità nel quadro di finanziamento esistente che non corrisponde alla realtà delle IES e alle loro esigenze, il che evidenzia la necessità di un adeguamento culturale del quadro finanziario, giuridico e politico per poter concepire strumenti adeguati. Affinché la finanza sociale possa diventare sostenibile, è essenziale adottare un approccio integrato, diverso da quello dei finanziamenti tradizionali.

3.2.

Una questione chiave è costituita dal fatto che i modelli aziendali delle IES non sono sufficientemente conosciuti e compresi. Non riconoscere pienamente le specificità di tali modelli (quali una distribuzione degli utili limitata o assente, l’attenzione orientata all’utenza o a determinate esigenze, il processo decisionale collettivo, la governance democratica o la comproprietà) ha ostacolato l’accesso delle IES ai normali canali e strumenti finanziari generalmente disponibili alle PMI.

3.3.

Più di altri modelli aziendali, le IES devono far fronte al problema che la logica del mercato finanziario non è concepita per sostenere il loro sviluppo. I mercati finanziari non sono in grado di catturare e ricompensare il valore aggiunto sociale delle IES né la loro missione di interesse generale. Le IES di oggi sono spesso retribuite solo per il costo del servizio fornito, ma non per il valore sociale che generano. Per le IES, il rendimento sugli investimenti è rappresentato essenzialmente dall’impatto in termini sociali e da una limitata remunerazione economica. Il fatto che la missione sociale prevalga sulla massimizzazione del profitto può generare la falsa impressione che le IES comportino maggiori rischi e siano meno affidabili di altre imprese. In realtà la ricerca, i fatti e i dati dimostrano il contrario (11). Gli investimenti nelle IES non costituiscono in effetti un costo ma un investimento nel futuro, che concorre ad aumentare i tassi di occupazione e a rafforzare la competitività e il contributo economico globale di uno Stato membro sul lungo termine.

3.4.

Sono stati fatti diversi tentativi di promuove strumenti d’investimento sociale in base all’architettura di quelli tradizionali. Tuttavia, poiché la logica del capitale privato va spesso di pari passo con caratteristiche quali strategie di uscita a breve termine, la partecipazione all’assetto proprietario e una logica d’investimento ad elevato rendimento, questi strumenti non funzionano per le IES, dal momento che tali caratteristiche sono spesso in diretto conflitto con i modelli aziendali e le attività delle IES.

3.5.

Problemi quali le difficoltà di disinvestimento (quando si lavora con persone bisognose di aiuto) e le opportunità limitate o inesistenti nel mercato secondario creano ulteriori complicazioni per gli investitori tradizionali. Sebbene detti strumenti riescano a raggiungere alcune imprese sociali (spesso aziende che puntano a massimizzare i profitti perseguendo una missione sociale), le IES hanno ancora la necessità di accedere a strumenti finanziari appositamente concepiti.

4.   Un ecosistema finanziario favorevole e sostenibile

4.1.

Il presente parere ha il fine di esaminare le caratteristiche e le condizioni necessarie per migliorare l’accesso delle IES ai finanziamenti, e non tanto di procedere a un riesame complessivo della gamma di strumenti di finanziamento disponibili. Il potenziale reale delle IES può essere realizzato solo se l’accesso ai finanziamenti è inserito in un ecosistema su misura e pienamente integrato assieme a componenti quali quadri giuridici, lo sviluppo delle imprese e le varie forme di sostegno, il che dimostra che gli investimenti sociali sono investimenti sia finanziari che non finanziari.

4.2.

Pur riconoscendo che migliorare il finanziamento per le IES è fondamentale per lo sviluppo e la sostenibilità, è importante fare una distinzione tra il finanziamento delle strutture e quello delle attività delle IES. È importante finanziare entrambi questi aspetti, ma i metodi e gli strumenti possono essere diversi. È certo che lo sviluppo di finanziamenti sociali adeguati alle IES deve avvenire nel contesto della promozione di iniziative e azioni sociali ed essere considerato come un mezzo per realizzare il potenziale del settore piuttosto che come un fine in sé.

4.3.

Occorre riconoscere che di solito le IES hanno un flusso di entrate diversificato  (12) nel quale i proventi derivanti dalla vendita di beni e servizi sono spesso integrati da finanziamenti pubblici. Le IES si basano in genere su una combinazione di flussi di finanziamento che vanno dai fondi destinati a un progetto o un programma specifici basati su un obiettivo strategico, agli appalti pubblici o alla raccolta di fondi per espansioni o nuovi investimenti.

4.4.

In alcuni Stati membri, le IES dipendono da continui finanziamenti mediante fondi pubblici e agiscono in stretta cooperazione con le autorità pubbliche nel perseguimento di una politica comune o di un obiettivo di interesse generale. I fondi pubblici, inoltre, sono particolarmente importanti nel processo di innovazione (spesso connesso a lavori preventivi) e nelle prime fasi di sviluppo delle IES. Il CESE sottolinea, pertanto, che questa forma di cooperazione e sostegno finanziario in ambito pubblico non deve essere compromessa dal ricorso a fonti esterne di finanziamento e che è particolarmente importante quando si tratta di sostenere la nascita e lo sviluppo di un settore dell’economia sociale in taluni Stati membri.

4.5.    L’impiego di una serie di fonti di finanziamento

4.5.1.

Il finanziamento pubblico resta una fonte di finanziamento fondamentale in molti Stati membri e per molte IES. Il legame tra la finalità sociale di una IES e le finalità della politica pubblica sulla base di un sistema di obiettivi comuni e di fiducia è al centro di iniziative di finanziamento pubblico. In questo contesto il CESE desidera sottolineare il suo attaccamento e il suo sostegno al mantenimento del pacchetto di investimenti sociali della Commissione europea (13), teso a promuovere l’innovazione nel campo della politica sociale con un forte ruolo per le IES. In molti Stati membri la principale fonte di reddito per le IES è costituita dagli appalti pubblici. Fornire un servizio di interesse generale è spesso un’attività essenziale affinché le IES possano realizzare la loro finalità sociale. Tale reddito contribuisce in modo significativo alla sostenibilità finanziaria. In caso di appalti pubblici, un criterio deve essere quello del rispetto delle norme in materia sociale e in particolare l’applicazione dei contratti collettivi.

4.5.2.

Gli strumenti del finanziamento privato vanno da quelli tradizionali come le banche commerciali, i business angels e il capitale di rischio a quelli come le donazioni, fondi filantropici e gli investitori a impatto sociale. Sebbene molti di questi strumenti possano essere adatti alle SIE, risulta evidente che sono preferibili finanziamenti sociali offerti da finanziatori sociali specializzati.

4.5.3.

Va prestata attenzione anche all’interesse dei privati a investire nelle iniziative per le IES, specialmente a livello comunitario. Le piattaforme di crowdfunding, le donazioni e i fondi filantropici costituiscono un’importante risorsa per il finanziamento delle IES.

4.5.4.

Lo stesso settore dell’economia sociale genera fondi sotto forma di utili non distribuiti spesso incoraggiati dal sistema di sgravi fiscali. L’accumulo degli utili non distribuiti ai soci (riserve indivisibili) è la soluzione maggiormente utilizzata dalle cooperative per finanziare la propria crescita. Un altro strumento è rappresentato dalla possibilità per i soci della cooperativa di partecipare al finanziamento della stessa mediante la concessione volontaria di prestiti (prestiti sociali), che in alcuni Stati membri sono regolamentati da un’apposita legislazione (14).

4.5.5.

Gli istituti finanziari specializzati, le banche sociali, etiche e cooperative e i fondi filantropici mettono a disposizione strumenti concepiti specificamente per le IES. Per esempio, i fondi mutualistici (15) sono stati istituiti in Italia specificamente per la promozione e lo sviluppo delle cooperative. I fondi vengono costituiti utilizzando il 3 % degli utili annuali preimposte delle cooperative. Altri esempi sono costituiti dal fondo di sviluppo CoopEst e dal Consorzio CGM Finance, che sono sistemi di finanziamento interno riservato esclusivamente ai soci che eroga prestiti temporanei, consentendo di superare le difficoltà di accesso al sistema bancario ordinario grazie alla capacità contrattuale di gruppo.

4.5.6.

Occorre riflettere anche sulla creazione di un mercato o di una piattaforma per questi strumenti e valutare degli incentivi per attrarre capitale. Se il capitale pubblico può essere motivato dalle politiche, quello privato può essere attratto mediante incentivi fiscali, l’elemento di condivisione del rischio e il coinvolgimento nel settore dell’economia sociale. In ogni caso, è opportuno che qualsiasi incentivo a favore dei finanziatori privati sia bilanciato dai rendimenti economici e sociali attesi e dalle modalità d’impiego degli utili prodotti. Ciò dovrebbe garantire che l’interesse pubblico, l’interesse generale e l’efficienza della spesa (se pubblica) rimangano al centro dell’iniziativa.

4.6.    Principi fondamentali da considerare ai fini della creazione di un ecosistema finanziario favorevole

4.6.1.

La creazione di un ecosistema finanziario per le IES dipende dall’adozione di un approccio multipartecipativo che faccia convergere risorse e strumenti. Un sistema multipartecipativo di questo tipo, o un sistema di finanziamento sociale e solidale, mette assieme risorse monetarie e non monetarie. Si basa sulla fiducia e sul sostegno finanziario di più soggetti (IES, risparmiatori, fonti pubbliche, fondi pensione, istituti finanziari ecc.) che creano relazioni (intermediazione finanziaria, rapporti di socializzazione e di sostegno) e condividono obiettivi e regole comuni. Il buon esito di tale impostazione è evidente per esempio in Québec, e dovrebbe essere ulteriormente valutato in relazione al contesto europeo (16).

4.6.2.

È fondamentale che il sostegno finanziario sia concepito nell’ottica di un approccio basato sul ciclo di vita. I contributi o i progetti pilota finanziati spesso si arenano nella seconda fase poiché mancano strumenti appropriati che consentano alle IES di ampliarsi e divenire sostenibili. Occorre progettare strumenti specifici e quadri politici favorevoli per ciascuna fase dello sviluppo (pre-avviamento, avviamento/fase pilota, consolidamento e crescita) che soddisfino le esigenze specifiche di ogni fase.

4.6.3.

L’investimento classico di capitali di rischio punta a un rapido rendimento, solitamente legato all’esercizio d’influenza in virtù dell’acquisizione di proprietà. Questo approccio è particolarmente difficile da utilizzare nel contesto dell’economia sociale, ed è in conflitto con i modelli aziendali e le attività delle IES. Ne consegue che fornire sistemi di garanzia e meccanismi di coinvestimento per la condivisione della responsabilità e del rischio è essenziale in tale contesto. Si può considerare la possibilità attingere alle buone pratiche dei sistemi di garanzia già esistenti (spesso rappresentati da fondi pubblici) nella messa a punto di sistemi volti ad attenuare il «rischio» iniziale del finanziamento.

4.6.4.

I finanziatori dell’economia sociale sono spesso la soluzione ideale per fornire sostegno, sia finanziario che non finanziario, per esempio attraverso programmi di preparazione agli investimenti, orientamenti generali e sostegno alla creazione di imprese. Questa forma di sostegno è essenziale per ridurre il rischio di fallimento. A tal proposito, vanno presi in considerazione tanto il «coaching finanziario» quanto l’«educazione finanziaria».

4.6.5.

È essenziale che al centro della finanza sociale vi sia la misurazione dell’impatto sociale  (17) per dimostrare l’impatto sociale creato parallelamente al rendimento finanziario. Si tratta dell’unico modo per cogliere il valore creato dall’attività delle IES e l’intera portata dell’utile sul capitale investito (Return On Investment, ROI) sia finanziario che sociale.

4.7.    Un ecosistema basato sul capitale misto

4.7.1.

Una particolare attenzione andrebbe riservata alle forme ibride di finanziamento considerate più adatte alle imprese dell’economia sociale, poiché combinano elementi di valutazione di tipo solidale e incentivi di tipo finanziario. Nel capitale ibrido, accanto a risorse proprie dell’impresa e a strumenti di condivisione del debito o del rischio, è presente una componente di sovvenzioni (contributi pubblici, fondi filantropici e donazioni). Tra gli strumenti finanziari utilizzabili per fornire capitale di questo tipo figurano sovvenzioni non a fondo perduto e finanziamenti a fondo perduto, sovvenzioni convertibili e accordi di condivisione dei ricavi. In molti casi, il capitale ibrido presuppone una stretta interazione fra capitale pubblico e capitale privato, e un obiettivo strategico comune, ma anche il bilanciamento degli interessi dei soggetti interessati attraverso la codipendenza.

4.7.2.

Altre soluzioni di finanziamento adatte alle IES sono forme di capitale paziente. In Francia e nella provincia canadese del Québec (18), per esempio, i fondi di garanzia e d’investimento sociale/solidale riuniscono capitale proveniente da diverse fonti e soggetti quali persone fisiche, fondi pubblici e fondi pensionistici che forniscono strumenti di debito e di equity basati sul principio di rendimenti inferiori rispetto al normale capitale di rischio e a più lungo termine (oltre i sette anni). Quest’ultimo è particolarmente importante, poiché le IES attivate spesso si basano sulla continuità del servizio.

5.   Raccomandazioni politiche

5.1.

Le seguenti raccomandazioni sono raggruppate in base alle responsabilità dei decisori politici ai diversi livelli, in considerazione delle differenze esistenti in Europa e della vasta gamma di esigenze nel settore dell’economia sociale.

5.2.    Istituzioni europee

5.2.1.

Le istituzioni dell’UE dovrebbero svolgere una funzione di catalizzazione, facilitazione e mobilitazione di tutti i soggetti coinvolti nell’ecosistema finanziario delle IES, continuando ad adoperarsi per sostenere lo sviluppo dell’economia sociale in Europa mediante la garanzia di un quadro politico favorevole allo sviluppo dell’economia sociale in generale, rinnovando l’agenda dell’SBI.

5.2.2.

La Commissione dovrebbe assegnare ulteriori finanziamenti alle IES attraverso degli intermediari per sostenere lo sviluppo, la sperimentazione e l’innovazione di nuovi strumenti e garantire che la regolamentazione finanziaria agevoli e non ostacoli detto sviluppo.

5.2.3.

La Commissione dovrebbe considerare inoltre la sperimentazione di un regime normativo alleggerito per incentivare l’afflusso dei capitali verso il settore dell’economia sociale.

5.2.4.

La Commissione dovrebbe valutare in che modo il crowdfunding o gli strumenti dell’economia collaborativa possono sostenere le IES. La Commissione potrebbe prendere in considerazione la possibilità di organizzare uno «spazio espositivo» del crowdfunding e delle iniziative partecipative dirette alle IES. Esistono esempi di queste iniziative al livello degli Stati membri, e potrebbe essere collegate alla piattaforma d’innovazione sociale e ai programmi di Orizzonte 2020.

5.2.5.

La Commissione dovrebbe promuovere la ricerca sul valore aggiunto per la società apportato dagli investimenti nelle IES. Si potrebbe ad esempio valutare in che modo viene creato e catturato il valore sociale ed economico, e misurare l’efficacia dei diversi strumenti finanziari.

5.2.6.

Il CESE accoglie con favore il fatto che l’attuale piano di investimenti per l’Europa consideri prioritari gli investimenti nell’economia sociale, e sollecita la Commissione a utilizzare pienamente questa disposizione. Occorrerebbe prendere in considerazione in particolare gli investimenti a elevata intensità di capitali, come ad esempio nel settore della sanità e dell’assistenza sociale. È importante per tutti gli investimenti includere un criterio di interesse generale nella procedura di valutazione e di selezione degli investimenti, affinché rispecchi meglio il valore aggiunto sociale.

5.2.7.

L’Unione dei mercati dei capitali (UMC) sottolinea la nascita di investimenti nella governance ambientale, sociale e aziendale e la possibilità che i finanziamenti pubblici e privati operino congiuntamente per migliorare l’offerta di investimenti. È importante che la Commissione assicuri, nell’ambito della sua funzione di regolamentazione, un legame tra la promozione dello sviluppo delle IES e le proposte dell’UMC.

5.2.8.

I fondi europei svolgono un ruolo particolare nel sostegno delle IES. I fondi strutturali e d’investimento europei potrebbero servire a facilitare l’azione degli Stati membri, fornendo garanzie o leve finanziarie per stimolare la nascita di fondi di benessere sociale in tutta Europa. La Commissione europea dovrebbe utilizzare i fondi stanziati nel quadro del programma per l’occupazione e l’innovazione sociale e quelli erogati nel quadro del programma per la competitività delle imprese e le PMI (COSME) per rafforzare la capacità di investimento degli intermediari finanziari e la propensione delle IES a investire. La Commissione dovrebbe garantire una partecipazione equilibrata al programma Orizzonte 2020, consentendo alle IES di partecipare ai progetti integrativi. La Commissione dovrebbe monitorare attentamente e riferire in merito all’utilizzo di questi fondi per le IES da un punto di vista sia politico che tecnico.

5.2.9.

La Commissione europea, la Banca europea per gli investimenti e il Fondo europeo per gli investimenti (FEI) devono assicurarsi che anche le IES possano avere accesso ai meccanismi finanziari a livello di UE (incluso il piano d’azione per il finanziamento delle PMI), integrando sistematicamente le imprese sociali nella politica in materia di PMI e nei relativi meccanismi di finanziamento e semplificando le procedure. A tal fine è fondamentale menzionare esplicitamente l’espressione «impresa dell’economia sociale» per garantire che siano prese in considerazione diverse imprese e accrescere la visibilità.

5.2.10.

La Commissione europea deve valutare se e come gli investimenti a impatto sociale possano essere un elemento dell’ecosistema finanziario per le IES, e a quali condizioni. In questo caso le esperienze e gli studi in merito all’acceleratore degli investimenti sociali del FEI, nonché il recente avvio dei regimi di garanzia della Commissione (19) forniranno indicazioni interessanti. Inoltre, le recenti relazioni dell’OCSE (20) e della rete EMES (21) costituiscono un’importante fonte di informazioni sull’effettivo sostegno offerto allo sviluppo delle IES dallo strumento delle obbligazioni a impatto sociale e dalle politiche sottese.

5.2.11.

Le norme finanziarie internazionali di Basilea III rappresentano una minaccia nei confronti dell’ecosistema finanziario per l’economia sociale. È essenziale quindi che le regolamentazioni preservino la «biodiversità» del sistema finanziario, anziché applicare norme arbitrarie. Un aspetto significativo da affrontare è il trattamento dei prestiti all’economia sociale in base alle norme prudenziali vigenti (Basilea III, CRD IV/CRR). Attualmente, i prestiti alle imprese sociali non danno diritto a sgravi di bilancio, anche se il settore non è considerato rischioso, e non vengono neppure incoraggiati. Al contrario, mediante il fattore di sostegno per le PMI previsto dal regolamento CRR, l’UE ha riconosciuto l’alleggerimento dei requisiti patrimoniali per le banche che concedono prestiti alle PMI e alle famiglie. L’UE deve altresì riconoscere le IES introducendo un fattore di sostegno a esse dedicato, per esempio modificando l’attuale articolo 501, paragrafo 1, del CRR, che produrrebbe notevoli vantaggi in termini di credito bancario all’economia sociale, senza incidere in alcun modo sulle finanze pubbliche.

5.2.12.

Poiché l’innovazione finanziaria per l’economia sociale avviene principalmente a livello locale, regionale e nazionale, la Commissione europea è nella posizione ideale per raccogliere e condividere strumenti e soluzioni innovativi per avvalorare le decisioni politiche. Al riguardo, sarebbero utili una sintesi e un monitoraggio, al livello dell’UE, delle nuove iniziative e dei nuovi strumenti finanziari condivisi.

5.2.13.

Il sostegno finanziario fornito a livello dell’Unione va integrato da un’azione, da parte della Commissione europea, di orientamento, formazione e sviluppo di capacità rivolta ai governi e ai principali soggetti interessati. Il CESE chiede pertanto di elaborare un manuale che illustri come creare l’ecosistema finanziario e come progettare e attuare strumenti finanziari per l’economia sociale. Analogamente, le buone pratiche di orientamento generale al livello degli Stati membri, quali programmi di preparazione agli investimenti, dovrebbero essere condivise e utilizzate come base.

5.2.14.

Il CESE accoglie con favore l’interesse della Commissione europea per l’istituzione di un gruppo di lavoro sul credito sociale in collaborazione con il gruppo di esperti della Commissione sull’imprenditoria sociale (GECES) che potrebbe fungere da base di risorse per la definizione delle politiche e monitorare le situazioni e le azioni degli Stati membri.

5.2.15.

Si dovrebbe considerare la possibilità di realizzare valutazioni inter pares sulle attività e le strutture di finanziamento delle IES per incoraggiare la condivisione degli strumenti e delle migliori pratiche tra gli Stati membri.

5.2.16.

È opportuno che la Commissione europea riesamini i benefici e le sfide degli incentivi fiscali offerti dagli Stati membri. Si tratta di un aspetto pertinente per le IES in generale, ma anche come incentivo per attrarre capitali provenienti dai risparmiatori privati e dai finanziatori sociali, e dovrebbe essere valutato alla luce del fatto che le IES oggi sono svantaggiate rispetto ad altre imprese per quanto riguarda l’accesso ai finanziamenti (pubblici o privati).

5.3.

Stati membri ed enti locali e regionali

5.3.1.

Gli Stati membri, a livello nazionale, regionale e locale, svolgono un ruolo centrale in quanto fonte di politiche di mobilitazione e di sostegno allo sviluppo e alla crescita dell’economia sociale. Sono pochi gli Stati membri dotati di un sistema di sostegno adeguato, e il CESE invita gli Stati membri a mettere a punto e attuare sistemi nazionali di sostegno per l’economia sociale, in linea con l’iniziativa per l’imprenditoria sociale. L’accento andrebbe posto in particolare sull’accesso al sostegno finanziario su misura, sia a livello nazionale che a livello locale/regionale. Tali iniziative potrebbero essere presentate nel contesto del GECES.

5.3.2.

Gli Stati membri potrebbero fungere da co-investitori per sostenere la creazione di fondi etici, fondi di innovazione sociale e fondi di capitale di rischio sociale. A tal fine è essenziale predisporre sistemi pubblici di garanzia o, mediante le politiche, incoraggiare l’investimento di capitale dai fondi pensione, dal credito cooperativo ecc.

5.3.3.

Gli Stati membri dovrebbero valutare la possibilità di ottenere finanziamenti attraverso i fondi di garanzia statali, per consentire all’economia sociale di accedere al credito tradizionale.

5.3.4.

Gli Stati membri possono considerare la possibilità di capitalizzare i fondi di investimento sociale riesaminando le opportunità di riduzioni dell’imposta sul reddito (per privati e imprese) nonché di altri incentivi fiscali per i risparmiatori e gli investitori al fine di attirare gli investimenti nelle IES. Tuttavia il motivo alla base di questi incentivi fiscali dovrebbe essere la creazione di valore sociale da parte delle IES.

5.3.5.

Il CESE invita gli Stati membri a elaborare normative adeguate per l’economia sociale in materia di microcredito, come già chiesto dalla Commissione europea (22).

5.3.6.

Gli intermediari finanziari svolgono un ruolo cruciale nello sviluppo dell’economia sociale. Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare la nascita di intermediari dell’economia sociale, siano essi cooperative o banche etiche, oppure istituti di credito commerciali con un’apposita filiale rivolta all’economia sociale, per fornire fondi e strumenti di finanziamento sociale garantendo un contesto normativo favorevole.

5.3.7.

Gli enti locali e regionali hanno un ruolo fondamentale che consiste nel mettere a disposizione le infrastrutture locali e nell’attuare le iniziative. Inoltre, essi devono essere incoraggiati a prendere l’iniziativa ai fini della cooperazione tra i vari soggetti interessati per sostenere lo sviluppo locale/regionale. In questo contesto il FESR fornisce un sostegno fondamentale.

5.4.

Altri soggetti interessati

5.4.1.

Le stesse IES devono adottare iniziative per lo sviluppo di strumenti, quali l’autocapitalizzazione, il crowdfunding e la partecipazione a partenariati di credito sociale, dotandosi di risorse proprie e lanciando i partenariati.

5.4.2.

È altresì importante che le IES prendano in considerazione una maggiore cooperazione con i partner esterni, quali le banche commerciali private e vari intermediari. Queste soluzioni possono non essere adatte a tutte le situazioni, ma potrebbero risultare preziose in alcune fasi dello sviluppo. È fondamentale suscitare l’interesse per le IES e migliorare la conoscenza delle stesse nella comunità finanziaria, purché ciò avvenga nelle condizioni adatte.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Considerando 17 e articolo 9, paragrafo 2.

(2)  http://ec.europa.eu/finance/bank/regcapital/legislation-in-force/index_en.htm

(3)  GU C 24 del 28.1.2012, pag. 1; GU C 229 del 31.7.2012, pag. 44; GU C 229 del 31.7.2012, pag. 55; GU C 458 del 19.12.2014, pag. 14.

(4)  COM(2011) 682 final.

(5)  http://browse.oecdbookshop.org/oecd/pdfs/product/8409011e.pdf

(6)  http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=738&langId=it&pubId=7523

(7)  http://www.oecd.org/cfe/leed/130228_Job%20Creation%20throught%20the%20Social%20Economy%20and%20Social Entrepreneurship_RC_FINALBIS.pdf

(8)  http://socialeconomyrome.it/files/Rome%20strategy_ITA.pdf

(9)  GU C 458 del 19.12.2014, pag. 14.

(10)  Cfr. la nota 5.

(11)  http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---ed_emp/---emp_ent/documents/publication/wcms_108416.pdf

(12)  Studio della Commissione europea: http://ec.europa.eu/social/main.jsp?langId=en&catId=89&newsId=2149

Policy Brief dell’OCSE: http://www.oecd.org/cfe/leed/Social%20entrepreneurship%20policy%20brief%20EN_FINAL.pdf

(13)  http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1044&langId=it

(14)  Cfr. per esempio la legge italiana 127/71.

(15)  Legge italiana 59/92.

(16)  http://www.reliess.org/centredoc/upload/FinanceQc_va.pdf

(17)  GU C 170 del 5.6.2014, pag. 18.

(18)  http://capfinance.ca

(19)  http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1084&langId=it

(20)  http://www.oecd.org/cfe/leed/SIBsExpertSeminar-SummaryReport-FINAL.pdf

(21)  http://5emesconf.exordo.com/files/papers/101/final_draft/Godina-Maier-Barbetta_-_Paradoxes_and_Potentials_of_Social_Impact_Bonds_-_16_06_2015.pdf

(22)  COM(2007) 708 final.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/161


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'impatto della digitalizzazione sull'industria dei servizi e sull’occupazione in relazione alle trasformazioni industriali»

(parere esplorativo)

(2016/C 013/24)

Relatore:

Wolfgang GREIF

Correlatore:

Hannes LEO

Con lettera del 29 giugno 2015, e conformemente al disposto dell’articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il ministro del Lavoro, dell’occupazione, della solidarietà sociale e dell’economia Nicolas Schmit, a nome della futura presidenza lussemburghese, ha invitato il Comitato economico e sociale europeo a formulare un parere esplorativo sul tema

L’impatto della digitalizzazione sull’industria dei servizi e sull’occupazione in relazione alle trasformazioni industriali

(parere esplorativo)

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 139 voti favorevoli, un voto contrario e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La digitalizzazione trasforma tutti i segmenti della società e dell’economia e quindi logicamente si ripercuote sul lavoro e sull’occupazione. La tecnologia digitale ha il potenziale per portare la ricchezza fino a livelli mai raggiunti prima e può migliorare nettamente la qualità del lavoro e dell’occupazione in Europa. Queste opportunità, però, comportano dei rischi intrinseci, come risulta evidente in tutti i settori dell’economia, compresa l’industria privata dei servizi (1).

1.2.

Da un lato, i servizi e i modelli aziendali innovativi che la digitalizzazione rende possibili consentono incrementi della produttività dei servizi un tempo inimmaginabili e ampliano la scelta dei consumatori (2). Dall’altro, però, essi hanno notevoli ripercussioni sul mercato del lavoro e sull’organizzazione del lavoro, quali ad esempio un aumento delle disparità retributive e una riduzione dell’accesso ai sistemi di sicurezza sociale — effetti che, se non vengono contrastati in maniera appropriata, possono risultare deleteri per determinate categorie di lavoratori.

1.3.

Gli effetti della digitalizzazione dei servizi sull’occupazione giustificano quindi un’attenzione nei confronti del fenomeno e la sua gestione di tipo politico. Un’elaborazione delle politiche proattiva a livello nazionale e unionale può e deve garantire il pieno sfruttamento dell’evidente potenziale della digitalizzazione evitando nel contempo i relativi inconvenienti. Grazie all’Agenda digitale europea e all’iniziativa per il mercato unico digitale l’Unione europea esercita un ruolo attivo nel settore della politica digitale. Tuttavia, le ricadute della digitalizzazione sull’occupazione non sono per lo più ancora riconosciute e vengono quindi tenute in scarsa considerazione nelle politiche pertinenti.

1.4.

La digitalizzazione costituisce sicuramente uno dei più dinamici sviluppi della nostra epoca, nella quale le opportunità e i rischi sono strettamente interconnessi. I futuri sviluppi saranno probabilmente complessi; imprese di nuova creazione, piccole imprese e operazioni flessibili emergeranno accanto alle imprese e alle industrie tradizionali. A tutt’oggi gli effetti occupazionali di questi sviluppi non sono pienamente compresi e non possono essere previsti con precisione. Cresce pertanto il timore di una diminuzione dei tassi di occupazione, mentre persistono squilibri tra domanda e offerta di competenze sui mercati del lavoro dell’UE. In questa situazione è essenziale che vi sia una collaborazione costruttiva e una maggiore consapevolezza tra i principali soggetti, ossia i governi e le parti sociali. A causa dell’ampia varietà di strutture socioeconomiche e dei diversi livelli di sviluppo economico nell’UE, per gestire gli effetti della digitalizzazione sul mercato del lavoro e sull’occupazione potrebbero servire analisi e approcci ad hoc.

1.5.

Il CESE mette in rilievo le sfide evidenti, derivanti dalla digitalizzazione, per l’occupazione nell’industria dei servizi e formula le seguenti raccomandazioni per una gestione politica di tali sfide.

1.5.1.

Al fine di dotare la manodopera dell’UE delle competenze necessarie nell’era digitale, occorre promuovere gli investimenti pubblici e privati nell’istruzione professionale e valutare la necessità di adottare misure a livello europeo per generalizzare nell’UE le esperienze positive degli Stati membri in materia di congedo di studio/formazione.

1.5.2.

Un ampio dialogo è necessario per verificare in modo più accurato se e in quale misura risulti opportuna una maggiore protezione della vita privata dei lavoratori in un’epoca in cui si può comunicare ovunque grazie alla tecnologia digitale mobile e per definire le disposizioni eventualmente idonee a livello nazionale ed europeo per limitare la totale disponibilità e/o raggiungibilità delle persone. Bisognerà anche studiare misure intelligenti per dare al numero crescente di lavoratori autonomi gli strumenti per fare altrettanto.

1.5.3.

Per poter fare previsioni più precise circa lo sviluppo del mercato del lavoro e la polarizzazione del lavoro, dell’occupazione e dei redditi, occorrono statistiche e ricerche di migliore qualità sull’industria dei servizi (a livello mondiale ed europeo). Il programma Orizzonte 2020 dovrebbe pertanto destinare adeguati finanziamenti alla ricerca sull’occupazione nell’industria dei servizi. A ciò si aggiunge l’urgente necessità di statistiche dettagliate e aggiornate regolarmente che descrivano la proliferazione e la crescita di forme di occupazione atipiche, compresi dati su pratiche come l’esternalizzazione aperta o crowdsourcing.

1.5.4.

Per contrastare l’aumento delle disuguaglianze di reddito in parte prodotte dalla digitalizzazione, andrebbe promossa a tutti i livelli la contrattazione collettiva, soprattutto nei settori e nelle imprese interessati dalla digitalizzazione. Questo permette di garantire che le nuove forme di organizzazione digitalizzata del lavoro comportino un miglioramento, e non un deterioramento, della qualità dell’occupazione.

1.5.5.

Per tutelare le norme consolidate in materia di privacy sul luogo di lavoro, sono necessarie disposizioni efficaci sulla protezione dei dati dei lavoratori dipendenti. La legislazione europea in materia di protezione dei dati dovrebbe fissare standard minimi elevati e non impedire agli Stati membri di disciplinare ulteriormente tale materia. Il regolamento UE sulla protezione dei dati, attualmente in fase di negoziato, dovrebbe pertanto, contenere una «clausola di apertura» che consenta agli Stati membri di andare oltre gli standard minimi dell’UE.

1.5.6.

L’UE e gli Stati membri, dovrebbero, di concerto con le parti sociali, testare strategie per adeguare l’ambito di applicazione delle norme sociali e del lavoro affinché rispecchino le condizioni di un mondo del lavoro digitalizzato.

1.5.7.

Il nuovo ciclo industriale 4.0 e la digitalizzazione si ripercuotono sull’intera società. Si invoca un dialogo costruttivo tra le parti sociali, gli Stati membri e l’UE per esaminare le conseguenze sul mercato del lavoro e gli adeguamenti possibili e necessari da apportare al diritto sociale e del lavoro. Negli ultimi tempi i governi e le parti sociali hanno adottato iniziative molto promettenti, tra l’altro in Germania, nei Paesi Bassi e in Austria. In ognuna di tali iniziative vengono prese in considerazione le particolari caratteristiche dei cambiamenti a livello nazionale e le opportunità create. Le migliori pratiche andrebbero diffuse.

1.5.8.

L’UE, i governi nazionali e le parti sociali dovrebbero intavolare discussioni con l’obiettivo di mettere a punto azioni politiche e una legislazione che garantiscano livelli adeguati di protezione sociale obbligatoria per tutti i lavoratori, compresi quelli impegnati in forme di occupazione atipiche.

1.5.9.

Il contesto macroeconomico varia sensibilmente da uno Stato membro all’altro. Per incrementare l’occupazione nonostante il calo della domanda di manodopera, occorre mettere in evidenza i possibili problemi nell’ambito di un confronto con tutti i diretti interessati e, in funzione delle esigenze dei singoli Stati membri, sviluppare le strategie risolutive corrispondenti (ad esempio nel campo degli investimenti pubblici, delle innovazioni capaci di creare posti di lavoro, nonché della ripartizione del lavoro e della riduzione del relativo orario).

1.5.10.

Le riforme dei sistemi fiscali hanno bisogno di essere attentamente testate al fine di garantire livelli simili di tassazione di ogni forma di reddito, sia esso generato in settori organizzati secondo strutture tradizionali o nell’ambito della cosiddetta economia collaborativa o sharing economy. Per assicurare anche in futuro la sostenibilità dei sistemi di previdenza sociale e per ridurre l’onere sul fattore lavoro si potrebbe pensare di utilizzare una parte dei dividendi della digitalizzazione per questo obiettivo.

2.   Introduzione: trasformazioni strutturali nei servizi

2.1.

Negli ultimi anni si sono registrati importanti progressi nello sviluppo delle tecnologie digitali. Le nuove ed estremamente potenti capacità delle tecnologie digitali consentono di automatizzare un numero sempre crescente di mansioni e di impieghi (ad esempio le autovetture senza conducente, l’Internet degli oggetti, l’industria 4.0). Inoltre, oggi le tecnologie digitali stanno determinando un drastico calo dei costi di ricerca e di transazione, consentendo così lo sviluppo di modelli aziendali del tutto inediti e altamente modulabili nell’industria dei servizi (ad esempio mercati e piattaforme online, come pure l’economia collaborativa, Uber, Airbnb). Questi sviluppi incentivano oggi la digitalizzazione dei modelli aziendali e dei processi in un’ampia gamma di settori economici. Alcuni di questi sviluppi sono già stati affrontati dal CESE nei suoi precedenti pareri (3).

2.2.

La digitalizzazione comporta importanti processi di trasformazione e ristrutturazione in quasi tutti i settori dell’industria dei servizi (4) che, fino a poco tempo fa, si riteneva opponesse resistenza alla razionalizzazione tecnologica. A lungo i servizi sono stati considerati un’attività di mero supporto di altri settori dell’economia (ad esempio l’agricoltura, le attività estrattive e manifatturiere e l’edilizia), come pure delle famiglie e dei consumatori, e sono stati visti inoltre come utenti per lo più passivi delle nuove tecnologie. Tuttavia, l’avvento di Internet, associato alla liberalizzazione dei servizi di telecomunicazione, ha portato ad un cambiamento sostanziale della funzione dei servizi.

2.3.

L’impatto di questi sviluppi sull’occupazione nei settori interessati è andato lentamente aumentando nel corso degli ultimi decenni, ma sta assumendo oggi un ritmo sempre più sostenuto. Alcuni effetti della digitalizzazione sull’occupazione nell’industria dei servizi sono già visibili, in particolare:

le nuove competenze richieste ai lavoratori dell’industria dei servizi;

gli investimenti finalizzati alla riduzione di personale, poiché la tecnologia diventa meno costosa ed è sempre più in grado di svolgere mansioni riservate in precedenza al lavoro umano. A livello macro, questo fenomeno ha portato ad un calo della domanda di lavoro nei settori tradizionali, e di conseguenza a una riduzione della quota dell’occupazione rispetto al PIL (5);

la domanda di manodopera mediamente o altamente qualificata, già in calo, dovrebbe subire un’ulteriore diminuzione nel prossimo futuro. Secondo diverse stime, circa il 50 % degli attuali posti di lavoro rischia di essere sostituito dalle tecnologie digitali nel prossimo ventennio (6). L’esperienza mostra tuttavia che tali previsioni vanno prese in considerazione con prudenza.

2.4.

La digitalizzazione promette attualmente di portare la produttività a livelli senza precedenti, creando così anche un «dividendo digitale»; l’altra faccia della moneta, però, è che essa ridurrà in modo consistente la domanda di manodopera, soprattutto di quella mediamente qualificata. Quest’ultimo aspetto va di pari passo con l’aumento della disoccupazione, l’«erosione della classe media» e l’ulteriore aumento delle disuguaglianze di reddito (7).

2.5.

Oggigiorno l’economia digitale è dominata da imprese statunitensi, mentre l’Europa ha ampiamente perso terreno nello sviluppo delle tecnologie digitali. Analogamente, l’Europa sembra essere mal preparata ai cambiamenti fondamentali, indotti dalla digitalizzazione, che interessano la nostra economia e la nostra società (vale a dire i già menzionati enormi incrementi di produttività e la minaccia di squilibri che possono portare a un netto aumento della disoccupazione in determinate categorie di lavoratori e a un’ulteriore polarizzazione della società), e ciò suscita preoccupazione.

2.6.

Sebbene sia impossibile prevedere l’esito di un simile cambiamento indotto dalla tecnologia su una scala tanto vasta, è chiaramente necessario esortare l’UE a impegnarsi attivamente nel plasmare questi sviluppi e nel gestirne gli effetti sull’occupazione e sulla società — soprattutto perché oggi l’Unione è ben lontana, in realtà, dal ricoprire un ruolo così attivo (8). Il presente parere cerca di rimediare a questa situazione analizzando l’impatto della digitalizzazione sull’occupazione nei servizi e formulando raccomandazioni strategiche in proposito.

3.   Trasformazioni riguardanti le competenze richieste

3.1.

Come logica conseguenza della digitalizzazione, nell’industria dei servizi le tecnologie digitali vengono introdotte in un numero sempre maggiore di luoghi di lavoro. Per fornire un esempio, quasi il 60 % dei dipendenti del settore bancario dichiara di aver assistito negli ultimi tre anni all’introduzione di nuove tecnologie sul posto di lavoro (9). Per acquisire una buona conoscenza e padronanza di queste tecnologie, ai dipendenti sono richieste competenze specifiche, ossia delle competenze digitali o e-skills. Questo a sua volta richiede il conseguente aggiornamento dei programmi di istruzione e formazione professionale e l’attuazione di misure correlate in materia di formazione.

3.2.

Tuttavia, i dati ufficiali forniti dalla Commissione europea evidenziano importanti strozzature in materia di formazione delle competenze; si stima infatti che il 47 % della forza lavoro dell’UE non disponga di sufficienti competenze digitali, pur esistendo differenze marcate tra i singoli paesi (10). Oltre alle opportunità perdute in termini di creazione di posti di lavoro, questa «mancata corrispondenza tra domanda e offerta di competenze», se non viene risolta, può ostacolare lo sviluppo dell’economia digitale, danneggiando così la competitività dell’UE.

3.3.

Per risolvere questa mancata corrispondenza tra domanda e offerta di competenze mediante i programmi di studio, servono conoscenze attendibili riguardo sia alle competenze richieste sia alle lacune da colmare. L’UE è difatti già attiva in questo campo, in particolare attraverso agenzie come il Cedefop (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale). Consentendo alle parti sociali di assumere un ruolo guida nella raccolta di informazioni in materia di competenze, ad esempio istituendo dei consigli delle competenze settoriali, si adotta una prassi che ha già dato buoni risultati. In questo contesto, è deplorevole che la Commissione stia valutando di indebolire il ruolo delle parti sociali sostituendo i loro consigli delle competenze con «alleanze delle competenze» multipartecipative. Tuttavia, poiché la questione della mancata corrispondenza tra domanda e offerta di competenze permane nonostante le informazioni disponibili, il problema principale sembrerebbe consistere nella mancanza di un’attuazione e di investimenti strategici.

3.4.

Un elemento fondamentale è la promozione degli investimenti pubblici e privati nell’istruzione e nella formazione professionale. In alcuni Stati membri esistono diritti minimi al congedo di studio/formazione retribuito. Bisognerebbe valutare se tali diritti costituiscano, per i lavoratori e i datori di lavoro, uno strumento appropriato per tenere il passo con la domanda di competenze e se sia necessario introdurre misure a livello europeo per diffondere tali esperienze nell’UE.

4.   La polarizzazione dell’organizzazione del lavoro e del reddito

4.1.

Le nuove competenze richieste sono strettamente associate alle trasformazioni dell’organizzazione del lavoro, vale a dire dei compiti che i dipendenti eseguono e del modo in cui li eseguono. In questo ambito, la digitalizzazione porta oggi, nell’industria dei servizi, a una progressiva polarizzazione dell’occupazione in termini di autonomia lavorativa e di salari, il che significa che i posti di lavoro nei servizi hanno maggiori probabilità di essere collocati ai due estremi della scala salariale e dell’autonomia, con sempre meno posti di lavoro in posizione intermedia tra i due poli. Nel contempo si osservano anche nuovi sviluppi che sono il risultato di adattamenti spontanei del mercato del lavoro.

4.2.

Un’industria dei servizi digitalizzata crea una domanda di manodopera in grado di eseguire compiti ad alta intensità di conoscenze, in particolare nei servizi professionali e tecnici che, ad esempio, gestiscono reti informatiche. I compiti svolti da questi professionisti possono, di norma, essere eseguiti a distanza e in qualsiasi momento della giornata utilizzando dispositivi digitali mobili.

4.3.

Questa organizzazione flessibile del lavoro offre, di norma, un grado elevato di autonomia lavorativa e può incrementare la qualità del lavoro, nonché migliorare e favorire la riconciliazione tra la vita lavorativa e quella familiare. Tuttavia, queste forme flessibili di lavoro comportano anche dei rischi se i lavoratori sono — o si sentono — obbligati a essere disponibili a lavorare in qualsiasi momento. Questo «lavoro senza limiti» può essere fonte di stress e di esaurimento psicofisico (burn-out).

4.4.

Si dovrebbe valutare più attentamente, nell’ambito di un ampio dialogo, se e in quale misura la vita privata dei lavoratori richieda un’ulteriore protezione in un’epoca in cui si può comunicare ovunque grazie alla tecnologia mobile digitale, nonché quali misure risultino appropriate a livello eventualmente nazionale e europeo, per porre dei limiti a una disponibilità o raggiungibilità generalizzata. Occorre nel contempo prendere in considerazione misure intelligenti per rafforzare da questo punto di vista la posizione del numero crescente di lavoratori autonomi.

4.5.

In altri settori, la digitalizzazione dei servizi determina una riduzione dell’autonomia lavorativa. Questo avviene, ad esempio, nei centri logistici di commercio elettronico, in cui vengono creati posti di lavoro con mansioni fortemente ripetitive. In queste forme di organizzazione del lavoro i lavoratori, di norma, ricevono istruzioni dettagliate tramite dispositivi digitali, riguardo ad esempio all’articolo da imballare e alla confezione da utilizzare.

4.6.

Data la sua natura standardizzata e relativamente semplice, questo tipo di attività ripetitiva crea opportunità di lavoro accessibili alla manodopera scarsamente qualificata e ai nuovi arrivati sul mercato del lavoro. Tuttavia, spesso questo tipo di lavoro è considerato di bassa qualità, perché i lavoratori avvertono che le loro competenze e capacità non vengono pienamente valorizzate.

4.7.

La digitalizzazione figura senz’altro fra gli sviluppi più dinamici della nostra epoca, in cui opportunità da cogliere e rischi da evitare costituiscono un tutt’uno. È verosimile pensare che gli sviluppi futuri saranno complessi: nuove start-up, piccole aziende e operazioni flessibili si affiancheranno a imprese e industrie di tipo tradizionale. Oggi gli effetti di tali sviluppi sull’occupazione non sono compresi a fondo, né possono essere previsti con precisione. Crescono quindi i timori di un calo dei tassi d’occupazione, mentre nei mercati del lavoro dell’UE permane la scarsa corrispondenza tra domanda e offerta di competenze. Una collaborazione costruttiva e una maggiore sensibilità tra i principali soggetti, quali governi e parti sociali, restano di importanza fondamentale in questa situazione. L’ampia varietà di strutture socioeconomiche e i diversi livelli di sviluppo economico nell’UE potrebbero rendere necessarie analisi e strategie specifiche per gestire gli effetti della digitalizzazione sui mercati del lavoro e sull’occupazione.

4.8.

Per poter disporre di proiezioni più dettagliate in materia di evoluzione del mercato del lavoro e di polarizzazione del lavoro e dell’occupazione, occorrono statistiche e ricerche di migliore qualità sull’economia dei servizi (a livello mondiale ed europeo). Si dovrebbero in questo caso stanziare, a titolo del programma Orizzonte 2020, adeguati finanziamenti per la ricerca sull’occupazione e sull’organizzazione del lavoro nell’industria dei servizi. I risultati di questa ricerca devono trovare un’applicazione concreta in politiche attive per l’occupazione tali da garantire che le opportunità di creare professioni digitali di elevata qualità vengano colte, evitando nel contempo i rischi inerenti. Inoltre, al fine di assicurare che le nuove forme di organizzazione digitalizzata del lavoro comportino un miglioramento, e non un deterioramento, della qualità dell’occupazione, l’introduzione di queste nuove forme dovrebbe formare oggetto di negoziati tra le parti sociali.

4.9.

Parallelamente a queste tendenze verso la polarizzazione dell’organizzazione del lavoro si va affermando anche una polarizzazione dei redditi, come rileva anche il Parlamento europeo (11). In alcuni casi, il fenomeno è agevolato dall’assenza di contratti collettivi o dal fatto che questi vengono elusi. È il caso, ad esempio, di quei fornitori di servizi digitali che insistono sulla particolare natura dei loro modelli aziendali per mettere in discussione la possibilità di applicare i contratti collettivi in vigore anche ai loro dipendenti. Alcune società attive nel commercio elettronico sostengono quindi con forza che i loro dipendenti non possono essere considerati lavoratori del settore della vendita al dettaglio e, pertanto, non hanno diritto ai salari concordati mediante i contratti collettivi di categoria di quel particolare settore.

4.10.

Per contrastare l’aumento delle disuguaglianze di reddito in parte prodotte dalla digitalizzazione, andrebbe promossa a tutti i livelli la contrattazione collettiva, soprattutto nei settori e nelle imprese interessati dalla digitalizzazione.

4.11.

I lavoratori impiegati in forme digitalizzate di organizzazione del lavoro producono grandi quantitativi di dati personali, che contengono informazioni sul luogo in cui loro stessi si trovano, sull’attività che stanno svolgendo, sul momento in cui la svolgono e con chi. Oltre a creare delle opportunità per lavorare in modo altamente efficiente con flussi di informazioni ininterrotti, ciò consente anche una sorveglianza invasiva del lavoratore, che rappresenta un rischio per le norme ormai consolidate in materia di tutela della privacy sul luogo di lavoro.

4.12.

Per tutelare le norme consolidate in materia di privacy sul luogo di lavoro, sono necessarie disposizioni efficaci sulla protezione dei dati dei lavoratori dipendenti. La legislazione europea in materia di protezione dei dati dovrebbe fissare standard minimi elevati e non impedire agli Stati membri di disciplinare ulteriormente tale materia. Il regolamento UE sulla protezione dei dati, attualmente in fase di negoziato, dovrebbe pertanto, contenere una «clausola di apertura» che consenta agli Stati membri di andare oltre gli standard minimi dell’UE.

5.   Trasformazione dell’occupazione e delle istituzioni del mercato del lavoro

5.1.

Le tecnologie digitali consentono lo sviluppo di modelli aziendali estremamente frammentati, poiché le informazioni possono essere condivise a costi molto modesti superando grandi distanze e tra una platea vastissima di utenti. Ciò riduce la necessità di strutture aziendali rigide, funzionalmente e geograficamente integrate, provviste di organici e gerarchie chiaramente definiti e di sedi fisiche ben precise.

5.2.

Questi sviluppi fanno sì che le imprese abbiano maggiori possibilità di ricorrere a manodopera reclutata in modo flessibile, ad esempio con contratti di lavoro autonomo. Soprattutto nei settori dei servizi, come le TIC, i media e i servizi amministrativi e di supporto, negli ultimi tempi si è registrata una crescita significativa del lavoro autonomo (12). Pratiche quale il crowdsourcing — vale a dire la pubblicazione su piattaforme online, da parte delle aziende, di «bandi di gara» per la realizzazione di lavori specifici per i quali possono concorrere i lavoratori freelance — dovrebbero portare ad un ulteriore incremento del lavoro autonomo. Si deve aggiungere che la concorrenza per accaparrarsi opportunità di lavoro su queste piattaforme di crowdsourcing è su scala mondiale, con un conseguente vantaggio competitivo per gli offerenti stabiliti in località o paesi caratterizzati da basso costo della vita, basse aliquote dell’imposta sul reddito e una bassa copertura previdenziale.

5.3.

Alcuni lavoratori apprezzano la flessibilità offerta da queste forme di occupazione. Tuttavia la forte crescita delle forme atipiche di occupazione potrebbe rendere parzialmente inefficaci le istituzioni del mercato del lavoro — come la legislazione sulla tutela dell’occupazione, i regimi professionali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro o le strutture di contrattazione collettiva e di dialogo sociale. Non solo: l’accresciuta concorrenza transfrontaliera tra quanti cercano lavoro, per esempio tramite i portali di crowdsourcing, sottopone queste istituzioni ad una pressione concorrenziale. Compete alle parti sociali nazionali e ai governi elaborare, attraverso un dialogo costruttivo, soluzioni adeguate a far sì che, alla luce del cambiamento digitale, tutte le forme di occupazione beneficino anche in futuro di un mercato del lavoro equo e inclusivo.

5.4.

La questione dell’occupazione nell’ambito dell’economia collaborativa si rivela particolarmente delicata da questo punto di vista. In molti casi, la natura del rapporto di lavoro e lo status giuridico delle parti interessate restano scarsamente definiti. Spesso, ad esempio, non è chiaro se il conducente di un’autovettura privata «reclutabile» tramite una piattaforma online sia un lavoratore autonomo o un lavoratore legato da un rapporto di dipendenza, e, se di lavoratore dipendente si tratta, con chi intercorra tale rapporto di dipendenza — se con il passeggero o con l’operatore della piattaforma online. Questo rende davvero difficile stabilire sotto il profilo giuridico quale sia la legislazione pertinente, in termini sia di diritto del lavoro che di responsabilità di fronte alla legge, nonché di disposizioni previste dai contratti collettivi. Se nessuna categoria consolidata di legislazione o di contratto collettivo fosse applicabile in questi casi, l’economia collaborativa opererebbe effettivamente in condizioni di incertezza giuridica. Una tale situazione può esercitare una pressione concorrenziale sui lavoratori e sulle imprese che operano all’interno di categorie consolidate di legislazione e di contratti collettivi.

5.5.

Attualmente non si dispone di dati attendibili e aggiornati a cui poter fare riferimento per fondare interventi strategici di questo tipo che consentano di giudicare quali misure di politica occupazionale siano opportune per l’economia collaborativa. Per ovviare a questa carenza, vi è urgente necessità di statistiche occupazionali dettagliate e aggiornate regolarmente sulle forme di occupazione nuove o atipiche.

5.6.

L’UE e gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione modifiche delle norme sociali e di diritto del lavoro volte a far sì che tali norme tengano conto delle condizioni di un ambiente di lavoro digitale. Tali iniziative dovrebbero assumere la forma di un dialogo strutturato con le parti sociali al fine di realizzare soluzioni fondate su dati concreti, che prendano in considerazione anche gli interessi degli utenti del servizio. In Germania, Paesi Bassi e Austria esistono già iniziative promettenti in questo campo.

5.7.

Dato che gli sviluppi sopra descritti minacciano anche le prassi consolidate in materia di dialogo sociale e contrattazione collettiva, occorre intavolare un dialogo costruttivo tra le parti sociali per riflettere a possibili e necessari adeguamenti al riguardo. L’Unione europea può avere un ruolo essenziale nell’incoraggiare tale dialogo fornendo finanziamenti per progetti che coinvolgono le parti sociali e incentivando progetti di ricerca in questo campo a titolo del programma Orizzonte 2020.

5.8.

Grazie alla digitalizzazione, i modelli aziendali nei settori dei servizi assorbono sempre meno manodopera. Questo avviene ad esempio nel settore bancario, dove i processi aziendali sono stati parzialmente automatizzati e trasferiti in ambiente digitale, rendendo così parte della forza lavoro in esubero. Secondo le previsioni dei ricercatori Frey e Osborne dell’Università di Oxford, l’automazione dei servizi dovrebbe incidere soprattutto su posti di lavoro e impieghi della fascia a medio reddito, coinvolgendo anche alcune professioni liberali (13). La digitalizzazione avrà importanti conseguenze per l’occupazione anche nell’ambito dell’amministrazione e delle istituzioni pubbliche, come pure in generale in quello dei servizi d’interesse generale, un aspetto di cui finora non si è tenuto sufficientemente conto. Pertanto il CESE adotterà una posizione in merito in un parere di iniziativa specifico.

5.9.

Il gruppo di riflessione Bruegel ritiene che nei prossimi venti anni gli Stati membri dell’UE rischieranno di perdere tra il 40 % e il 60 % dei posti di lavoro a causa dell’automazione determinata dal processo di digitalizzazione (14). Per di più si constata che, a differenza di quanto avvenuto nelle precedenti fasi dello sviluppo industriale, nell’era digitale gli aumenti globali di produttività registrati dall’economia non si traducano più direttamente in un incremento dell’occupazione (15). Non è affatto sicuro, quindi, che un’economia interamente digitalizzata produca una domanda di manodopera sufficiente a compensare le perdite di posti di lavoro previste a seguito dell’automazione dei servizi. D’altro canto, permane in tutta Europa una differenza tra le competenze disponibili e quelle richieste, ed è difficile avanzare previsioni.

5.10.

Occorre monitorare le variazioni — misurate in termini di ore lavorate — della domanda di manodopera in un’economia dei servizi digitalizzata. Al fine di incrementare l’occupazione nonostante il calo della domanda di manodopera, e non compromettere la coesione sociale, è urgente un dialogo tra tutte le parti in causa, per richiamare l’attenzione sui possibili problemi e, in funzione delle esigenze, sviluppare nei singoli Stati membri strategie volte a risolverli (ad esempio nel settore degli investimenti pubblici, dell’innovazione capace di creare posti di lavoro, della creazione di occupazione, della ripartizione del lavoro e della riduzione dell’orario).

6.   Impatto sui sistemi previdenziali nazionali e sui regimi fiscali

6.1.

La forte crescita di forme atipiche di occupazione prodotta dal processo di digitalizzazione fa sì che una quota crescente di lavoratori non contribuisca né possa più beneficiare dei sistemi di sicurezza sociale consolidati, ad esempio i sussidi pubblici di disoccupazione, la copertura sanitaria pubblica e le prestazioni dei regimi pensionistici. In alcuni Stati membri questo argomento è già stato oggetto di dibattito tra le parti sociali e il governo. Combinati al calo dei tassi di occupazione globali, questi sviluppi possono produrre un’erosione delle entrate destinate ai regimi fiscali e previdenziali consolidati, e quindi una minore efficacia complessiva di tali sistemi che si basano su entrate generate principalmente dai prelievi e dai contributi sui salari e da meccanismi di cofinanziamento condiviso tra datori di lavoro e dipendenti, e dipendono quindi da tassi elevati di occupazione di tipo standard.

6.2.

Una simile perdita di efficacia rappresenterebbe una grave minaccia per il tessuto del modello sociale europeo, che poggia su un forte impegno pubblico nel finanziare ed erogare servizi di interesse generale e reti efficaci di sicurezza sociale. Tuttavia, padroneggiare con buoni risultati il processo di digitalizzazione dipende in larga misura da un’efficiente erogazione di servizi di interesse generale, ad esempio moderni sistemi di istruzione e infrastrutture a banda larga.

6.3.

L’UE, i governi nazionali e le parti sociali dovrebbero intavolare discussioni con l’obiettivo di mettere a punto delle misure politiche e una legislazione che garantiscano livelli adeguati di protezione sociale obbligatoria per tutti i lavoratori, compresi i lavoratori autonomi, quelli che prestano la propria opera tramite piattaforme di crowdsourcing e i lavoratori dell’economia collaborativa. Va tenuto conto del fatto che all’interno di tali gruppi potranno esistere opinioni divergenti.

6.4.

Analogamente occorrerà valutare con attenzione delle riforme dei sistemi fiscali volte a garantire livelli simili di tassazione per ogni forma di reddito, sia esso generato in settori organizzati secondo strutture convenzionali o nell’ambito dell’economia collaborativa. L’UE dovrebbe incoraggiare e coordinare tali riforme a livello di Stati membri.

6.5.

Per assicurare la sostenibilità dei sistemi sociali anche in futuro e spostare l’onere fiscale dal lavoro, si potrebbe prendere in considerazione l’opportunità di utilizzare anche una parte dei dividendi digitali a tal fine.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Il presente parere si riferisce ai settori privati dei servizi secondo la definizione fornita dalle classificazioni statistiche standard (ad esempio la Classificazione statistica delle attività economiche NACE riv. 2, F-N; Q-T).

(2)  Cfr. ministero finlandese del Lavoro (2015): servizio Digitalizzazione e rivoluzione dell’economia: http://www.tem.fi/files/43374/TEMjul_41_2015_web_22062015.pdf

(3)  Cfr. ad esempio il parere L’impatto dei servizi alle imprese nell’industria (relatore: VAN IERSEL, correlatore: LEO) — (GU C 12 del 15.1.2015, pag. 23), nel quale vengono delineate le caratteristiche specifiche della cosiddetta «quarta rivoluzione industriale».

(4)  Si tratta della definizione di «industria dei servizi» comunemente utilizzata nelle classificazioni statistiche.

(5)  Cfr., ad esempio, Brynjolffson, E. e McAfee, A. (2014): The Second Machine Age (La seconda età delle macchine), New York, W.W. Norton & Company, capitolo 11.

(6)  Per esempio Bowles, J. The computerisation of European jobs who will win and who will lose from the impact of new technology onto old areas of employment?(L’informatizzazione dei posti di lavoro in Europa: chi vincerà e chi perderà a seguito dell’impatto delle nuove tecnologie sui vecchi settori lavorativi?), 2014, The computerisation of European jobs, Frey, C. M., Osborne, M., The future of employment: How susceptible are jobs to computerisation? (Il futuro dell’occupazione: qual è l’impatto dell’informatizzazione sui posti di lavoro?), 2013, Pajarinen, M., Rouvinen, P., Ekeland, A., Computerization Threatens One-Third of Finnish and Norwegian Employment (L’informatizzazione minaccia un terzo dell’occupazione in Finlandia e in Norvegia), ETLA, 2015.

(7)  Cfr. nota 10.

(8)  Cfr. le raccomandazioni contenute in diversi pareri del CESE (tra cui GU C 311 del 12.9.2014, pag. 15; GU C 12, del 15.1.2015, pag. 23; GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 36; GU C 271 del 19.9.2013, pag. 116; GU C 67 del 6.3.2014, pag. 96).

(9)  Eurofound (Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro) (2014): Working Conditions and Job Quality: Comparing Sectors in Europe (Condizioni lavorative e qualità del lavoro: i settori in Europa a confronto).

(10)  http://ec.europa.eu/priorities/digital-single-market/docs/dsm-factsheet_en.pdf

(11)  Parlamento europeo (2015): Wage and Income Inequality in the European Union (Disparità salariali e di reddito nell’Unione europea).

(12)  UNI Europa (2015): Towards a Fair Future for European Services (Verso un futuro equo per i servizi europei) http://uniglobalunion.org/sites/default/files/public_shared/files/towards_a_fair_future_for_european_services.pdf

(13)  Cfr. Frey e Osborne (2013), citati nella nota 6.

(14)  Bruegel (2014): The computerisation of European jobs.

(15)  Cfr. Bowles (2014), già citato nella nota 6.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/169


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Una politica integrata dell’UE per l’aviazione»

(parere esplorativo)

(2016/C 013/25)

Relatore:

Jacek KRAWCZYK

La Commissione europea, in data 2 marzo 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Una politica integrata dell’UE per l’aviazione

(parere esplorativo).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 17 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 97 voti favorevoli, 3 voti contrari e nessuna astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La competitività del settore aeronautico dell’Unione europea rischia di venire meno se l’intera rete del valore del settore in Europa non sarà in grado di stare al passo con un’economia globalizzata. In quest’ottica, risultano di importanza fondamentale una maggiore intermodalità, una migliore connettività, un migliore utilizzo di hub secondari e aeroporti regionali e l’ottimizzazione delle procedure attuali (1).

1.2.

La Commissione europea («la Commissione») si è interessata alla rete del valore del settore aeronautico nell’UE nell’ambito di numerose iniziative di regolamentazione: ad esempio, ha riveduto gli orientamenti sugli aiuti di Stato per le compagnie aeree e gli aeroporti, ha presentato un pacchetto aeroporti e una normativa per promuovere la realizzazione di un «cielo unico europeo»; tuttavia, serviranno ulteriori interventi per garantire una completa attuazione della legislazione UE nel settore aeronautico da parte degli Stati membri.

1.3.

Il comparto aeronautico dell’UE è a un bivio: senza una strategia convincente e coerente rischia di avere ulteriori difficoltà a garantire una connettività affidabile ai cittadini europei, al commercio e al turismo, perdendo quindi il suo peso economico e il suo potenziale di crescita. Non servono tuttavia nuove normative in tutti i casi. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esorta ancora una volta la Commissione ad adoperarsi maggiormente affinché sul territorio dell’UE siano attuate quelle vigenti.

1.4.

Di fronte al panorama frammentato delle compagnie aeree, alla crescente competitività degli hub di paesi terzi, ai lenti progressi verso la realizzazione del cielo unico europeo e al rischio sempre maggiore di una connettività insufficiente con le regioni più piccole e/o periferiche, la strategia della Commissione per il settore dell’aviazione nell’UE dovrebbe essere guidata da una visione persuasiva della via da seguire per promuovere al meglio la competitività europea senza provocare distorsioni della concorrenza o compromettere le relazioni sociali e industriali.

1.5.

Il CESE ritiene che la Commissione debba individuare i fattori di competitività e basare la propria strategia sui benefici economici che il settore aeronautico apporta all’Europa, nonché sui valori sociali e ambientali che caratterizzano l’Unione europea.

1.6.

Il CESE esorta la Commissione a fare in modo che norme e standard internazionali comparabili siano applicati a tutti i concorrenti, siano essi dell’UE o di paesi terzi. Una delle iniziative da contemplare in quest’ottica è quella di promuovere l’applicazione su scala internazionale dei principi di concorrenza leale e delle convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO). Un tale processo potrebbe sfociare in una revisione delle disposizioni che attualmente disciplinano la partecipazione delle parti interessate ai negoziati internazionali.

1.7.

Il CESE ritiene che la strategia da mettere a punto per il settore aeronautico debba fondarsi su un dialogo sociale costruttivo. A livello dell’UE, le istituzioni europee dovrebbero consultare il Comitato per il dialogo sociale settoriale sull’aviazione civile in merito alle iniziative che intendono varare in questo settore. Esistono numerose disposizioni a livello nazionale che occorre applicare per garantire le condizioni sociali e di lavoro e impedire che il ricorso a bandiere di comodo falsi la concorrenza. Nonostante la competenza dell’Unione europea sia limitata in questo ambito, la Commissione dovrebbe compiere ogni sforzo possibile per assicurare un’ampia adesione delle parti sociali alle sue iniziative, sia a livello europeo che nei singoli Stati membri.

1.8.

Il CESE raccomanda inoltre alla Commissione di consultarlo sugli sviluppi in corso e sull’attuazione della strategia per il settore aeronautico. Il CESE avvierà, a parte, un progetto volto ad attribuire risorse e competenze adeguate.

1.9.

Il CESE invita tutte le parti interessate del settore dell’aviazione ad impegnarsi per l’attuazione di una nuova strategia dell’UE in materia. Solo se verranno superati i particolarismi nella rete del valore del settore aeronautico europeo, quest’ultimo potrà riacquistare slancio e ricominciare a fornire contributi validi, sotto il profilo sia economico che sociale, alla crescita dell’Unione europea. Un fattore indispensabile in quest’ottica sarà una leadership politica forte della Commissione europea.

1.10.

Per raccomandazioni più dettagliate, vedere anche la sezione 3 del presente parere.

2.   Introduzione: gli aspetti economici del settore aeronautico rendono necessaria e ancor più urgente una strategia

2.1.

Il sistema dei trasporti aerei genera benefici non solo per l’industria aeronautica in senso stretto. Oltre ad assicurare connettività e mobilità a persone e imprese, esso favorisce il commercio e il turismo, garantisce investimenti, fornisce manodopera e migliora la produttività e l’innovazione, contribuendo in tal modo al benessere della società.

2.2.

Si calcola che, nel 2012, il settore del trasporto aereo in Europa abbia generato direttamente 2,6 milioni di posti di lavoro, e che la spesa dei turisti che hanno scelto l’aereo per raggiungere la loro destinazione abbia creato altri 4,7 milioni di posti di lavoro e 279 miliardi di USD in termini di PIL.

2.3.

La produzione di hardware e software destinati al settore aeronautico in Europa risponde ai più elevati standard di innovazione a livello mondiale. La stessa considerazione vale oggi per le innovazioni nel campo dell’organizzazione del traffico aereo e delle relative procedure, nonché dello sviluppo e della gestione commerciali.

2.4.

Considerato che il traffico aereo è un facilitatore della crescita economica, si prevede che il progetto SESAR (il complemento tecnologico del SES, acronimo inglese di «cielo unico europeo») produrrà un impatto combinato positivo sul PIL di 419 miliardi di EUR da qui al 2020 e creerà circa 42 000 nuovi posti di lavoro.

2.5.

L’UE ha elaborato un quadro normativo per il mercato europeo dell’aviazione.

2.5.1.

Il cielo unico europeo — Progetto avviato nel 2004 e aggiornato nel giugno 2008 con il regolamento SES II e nel 2013 con SES II+. L’obiettivo principale è riformare la gestione del traffico aereo (Air Traffic Management — ATM) in Europa per far fronte alla crescita costante del traffico e delle operazioni di traffico aereo in condizioni di massima sicurezza, e al tempo stesso di efficienza in termini di costi e di voli e di rispetto per l’ambiente. (Cfr. i pareri del CESE TEN/504 (2) e TEN/354 (3)).

2.5.2.

Il Pacchetto aeroporti – Il 1o dicembre 2011 la Commissione europea ha adottato un pacchetto completo di misure intese a risolvere i problemi relativi alla carenza di capacità presso gli aeroporti europei e a migliorare la qualità dei servizi ai passeggeri. Il Parlamento europeo ha approvato le proposte legislative nel dicembre 2012. (Cfr. il parere del CESE TEN/475 (4)).

2.5.3.

Inclusione dell’aviazione nel sistema di scambio di quote di emissione dell’UE (ETS) nel 2012. La Commissione europea ha introdotto un sistema (ETS) basato sullo scambio di certificati di emissione. A seguito dei risultati insoddisfacenti raggiunti dall’assemblea del 2013 dell’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (International Civil Aviation Organisation — ICAO), l’UE ha adottato una versione modificata dell’ETS da applicarsi temporaneamente ai soli voli intra-UE, fatto salvo l’esito dell’assemblea ICAO del 2016.

2.5.4.

La revisione delle norme sugli aiuti di Stato — Adottata dalla Commissione nel febbraio 2014 al fine di aggiornare e svecchiare i precedenti regolamenti del 1994 e del 2005. Tra i punti salienti delle linee guida attualmente in vigore figura la definizione di nuovi criteri di ammissibilità per gli aiuti di Stato a favore degli aeroporti, nonché per gli aiuti di avviamento alle compagnie aeree che lanciano nuove rotte (cfr. il parere del CESE CCMI/125 (5)).

2.5.5.

Capacità aeroportuale — L’Osservatorio dell’UE sulla capacità aeroportuale è stato istituito per un periodo di cinque anni dalla Commissione nell’ambito del suo «Piano d’azione per migliorare le capacità, l’efficienza e la sicurezza degli aeroporti in Europa» del 2007. Dal 2008 al 2013 ha svolto un ruolo determinante per l’attuazione del piano. L’Osservatorio ha consentito alle parti interessate di fornire riscontri estremamente utili alla Commissione, anche in materia di scambio di buone pratiche e soluzioni ai problemi sul piano politico (cfr. il parere del CESE TEN/552 (6)).

2.5.6.

Tutela dei consumatori — Nel marzo 2013 la Commissione ha annunciato un pacchetto di misure per l’aggiornamento dei diritti dei passeggeri del trasporto aereo incentrato su quattro ambiti principali: fare chiarezza sulle zone grigie; nuovi diritti; effettiva applicazione dei diritti, procedure di reclamo e sanzioni; oneri finanziari sproporzionati.

2.5.7.

Questa è solo una parte delle misure, delle politiche e dei progetti realizzati dall’UE in materia di aviazione. La Commissione ha anche intensificato la cooperazione con le agenzie europee e dell’UE, come l’AESA (Agenzia europea per la sicurezza aerea) ed Eurocontrol, e si è impegnata in un ampio ventaglio di attività legate alla dimensione internazionale dei trasporti aerei dell’UE.

2.6.

Il CESE ritiene che l’UE abbia bisogno di una strategia integrata per l’aviazione:

2.6.1.

Sul piano politico, quindi, la strategia dell’Unione per il settore aeronautico dovrà rafforzare l’efficienza del settore in Europa e aumentare la sua forza negoziale su scala internazionale. Servono volontà politica, visione e coraggio per trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di sovranità e la necessità di un compromesso.

2.6.2.

Sul piano economico, la strategia dovrebbe tradursi in una rete del valore dell’aviazione più efficiente, che promuoverà la prosperità economica e la crescita in tutta Europa.

2.6.3.

Sul piano giuridico, la strategia dovrebbe produrre come risultato un solido quadro normativo a livello macro e una stabilità della pianificazione a livello micro; sul piano procedurale, infine, tutte le parti interessate dovrebbero essere incoraggiate a contribuire all’elaborazione e all’attuazione della strategia stessa.

2.7.

A giudizio del CESE il settore aeronautico dell’UE ha urgente necessità di una tale strategia, poiché la rete del valore in Europa è inefficiente. Il settore dell’aviazione europeo non offre gli stimoli che potrebbe fornire alla crescita economica; molti governi di paesi terzi stanno invece provvedendo ad adeguare i loro sistemi dell’aviazione ai mutamenti geopolitici della crescita e alle esigenze dell’economia globalizzata. Sarà possibile frenare tale evoluzione solo mettendo in atto una solida strategia orientata al mercato e fondata su valori europei.

2.7.1.

Gli hub aeroportuali in Europa e le compagnie aeree europee non contribuiscono alla crescita del traffico aereo nella misura in cui potrebbero se disponessero anch’essi di un contesto normativo favorevole. La scarsa efficienza nel coordinamento dello spazio aereo determina rotte tortuose e genera livelli inutilmente elevati di CO2.

2.7.2.

I numerosi processi di certificazione dagli esiti potenzialmente divergenti sono un ostacolo allo sviluppo dell’innovazione e disincentivano gli investimenti nei prodotti europei o l’uso di questi nuovi prodotti in Europa.

2.7.3.

In mancanza di una strategia condivisa, si perdono delle opportunità di assicurare la crescita delle compagnie aeree europee al di fuori dell’UE, e continuerà inoltre la tendenza di ciascuno Stato membro a perseguire il proprio interesse nazionale, anche se il vantaggio complessivo che si ricaverebbe da mandati a livello dell’UE risultasse maggiore della somma delle sue parti.

2.7.4.

Nel contesto di un’economia globalizzata, e dato che il baricentro geopolitico della crescita del traffico aereo si sposta verso l’Asia, la frammentazione dell’UE continuerà a farle perdere influenza e importanza sul piano internazionale. Le norme europee e i valori condivisi dai suoi cittadini, dalle sue imprese e dagli Stati membri perderanno la loro attrattiva in quanto standard internazionali.

2.7.5.

Il CESE plaude all’iniziativa della Commissione di lanciare una consultazione pubblica sul tema Il pacchetto sull’aviazione volto a rafforzare la competitività del settore aeronautico dell’UE. L’ampio ventaglio di risposte alla consultazione conferirà maggior peso e credibilità alla proposta di comunicazione sul pacchetto aviazione.

3.   La via da seguire: una strategia per l’aviazione intesa a promuovere i fattori di competitività

Il CESE ha individuato sei fattori determinanti per il livello di competitività del settore aeronautico europeo, fattori su cui una strategia dell’UE per l’aviazione deve far leva onde garantire una sua riuscita attuazione.

3.1.    Sicurezza

3.1.1.

Il fattore fondamentale per una strategia sostenibile dell’UE nel settore dell’aviazione è quello della sicurezza. Benché l’aviazione in generale, e in particolare per quanto riguarda l’Europa, sia di gran lunga il modo di trasporto più sicuro, non dobbiamo compiacerci dei risultati ottenuti e «dormire sugli allori».

3.1.2.

È della massima importanza rafforzare ulteriormente il ruolo e le risorse dell’AESA in qualità di agenzia centrale per la gestione della sicurezza, la certificazione dei prodotti aeronautici e la vigilanza sulle organizzazioni del settore a livello nazionale. Andrebbe quindi potenziata la capacità dell’AESA di coordinarsi con tutti i soggetti interessati non solo nel contesto di inconvenienti/disfunzioni nel settore aeronautico, al fine di migliorare gli standard di sicurezza rivedendo ad esempio le norme di sicurezza, insistendo sul ruolo della formazione, evitando l’eccesso di regolamentazione e promuovendo la cosiddetta «cultura dell’equità».

3.1.3.

Dal momento che la professionalità e le competenze dell’AESA sono riconosciute a livello internazionale, l’Agenzia ha ormai assunto il ruolo di quasi omologa della FAA (Federal Aviation Administration, ossia l’Agenzia federale per l’aviazione civile) degli Stati Uniti. L’applicazione delle cosiddette «liste nere» di compagnie aeree non UE e/o di governi terzi non conformi è di fondamentale importanza non solo per la sicurezza dello spazio aereo europeo e dei passeggeri, ma in quanto presupposto indispensabile per il rispetto dei più elevati standard di sicurezza internazionali. La strategia UE per l’aviazione dovrebbe essere elaborata sulla base di questi risultati. La Commissione dovrebbe inoltre riesaminare le norme sul lavoro e prendere in considerazione il rischio potenziale di dumping sociale (cfr. parere del CESE TEN/565 (7)).

3.2.    Sostenibilità

3.2.1.

Un altro fattore determinante per la solidità della strategia dell’UE nel settore dell’aviazione sarà la sua capacità di garantire il carattere sostenibile dell’aviazione europea.

3.2.2.

Le parti sociali, i soggetti interessati e i partner internazionali dei settori sia pubblico che privato devono poter fare assegnamento su una politica credibile e affidabile dell’UE per il settore dell’aviazione, fondata su una strategia solida e coerente. Il concetto di sostenibilità si riferisce pertanto a fattori economici, come pure alla capacità dei singoli concorrenti di ottenere buoni risultati nei rispettivi mercati; tuttavia, anche il successo economico-commerciale sarà di breve durata se la strategia per il settore dell’aviazione non sarà sostenibile anche sotto il profilo ambientale e sociale.

3.2.3.

Raccogliere le sfide della sostenibilità in un contesto globale, riconoscendo nel contempo la necessità di conformarsi a requisiti, disposizioni e strutture specifici dell’UE, è possibile soltanto se si persegue un approccio olistico e se i soggetti interessati dell’Unione coordinano le loro attività con una comprensione condivisa degli obiettivi strategici.

3.2.4.

La creazione del mercato unico europeo dell’aviazione ha dato vita ad una dinamica che sta rapidamente avendo delle ripercussioni in termini di trasformazioni strutturali del mercato, sotto forma ad esempio di: acquisizioni transfrontaliere e operazioni molto simili a fusioni tra compagnie aeree; creazione di holding e investimenti strategici in aeroporti e compagnie aeree da parte di società non UE. A loro volta, queste trasformazioni hanno un’incidenza sul ruolo delle istituzioni dell’Unione europea. Di conseguenza, la Commissione dovrebbe rivedere i modelli di governance ai quali attualmente si attiene ed elaborare proposte per adeguarli alla realtà istituzionale e a quella del mercato.

3.2.5.

Per quanto riguarda la gestione del traffico aereo, è necessario rivedere il rapporto tra il gestore della realizzazione e il responsabile di rete. L’organo di valutazione delle prestazioni dovrebbe essere posto chiaramente sotto la direzione della Commissione.

3.3.    Competitività del settore grazie all’innovazione e alla digitalizzazione

3.3.1.

La digitalizzazione è uno dei principali fattori di promozione dell’innovazione, di cambiamenti nelle aspettative dei passeggeri, di maggiore impiego dei droni, di personalizzazione e innovazione del prodotto. È indispensabile che la Commissione inserisca le ricadute positive della digitalizzazione tra le priorità fondamentali della strategia per il settore dell’aviazione al fine di promuovere e attuare una politica dei trasporti globale e integrata.

3.3.2.

Le compagnie aeree e gli aeroporti hanno elaborato metodi imprenditoriali innovativi per avere accesso a nuove fonti di reddito, per aumentare la loro efficienza operativa e per separare e ricombinare i loro servizi al fine di limitare la massificazione del prodotto che offrono e fornire servizi personalizzati.

3.3.3.

La strategia dell’UE nel settore dell’aviazione dovrebbe prendere come base tali sviluppi, con l’obiettivo di garantire all’Unione europea un ruolo guida nel campo di un’innovazione definita così in senso molto più ampio. Si dovrebbe potenziare ulteriormente l’utilizzo di SESAR come strumento tecnologico al fine di stimolare la competitività e promuovere la crescita.

3.3.4.

Oggi il comparto che presenta le sfide più rilevanti sotto il profilo della necessità di innovazione ma anche dei limiti di quest’ultima, è quello dei droni. La proliferazione di droni per uso militare, commerciale e privato presuppone tutta una serie di requisiti, in particolare — per citarne solo alcuni — in materia di sicurezza in generale e sicurezza del traffico aereo, rispetto della privacy e normative sulla certificazione e il rilascio di licenze per l’utilizzo di questi dispositivi. Se lo sviluppo e l’impiego dei droni vengono promossi in modo adeguato, l’Europa può assumere un ruolo leader in questo nuovo settore (cfr. il parere del CESE TEN/553).

3.3.5.

L’Europa dovrebbe di certo essere promossa come il polo mondiale del carboturbo di origine biologica (bio jet), e il settore della ricerca e sviluppo dovrebbe favorire la produzione su vasta scala di biocarburanti per l’aviazione nell’UE.

3.4.    Dimensione sociale

In conformità con il programma di lavoro della Commissione per il 2015, si deve considerata prioritaria la creazione di posti di lavoro nell’economia dell’UE, incluso il settore dell’aviazione. Tanto i posti di lavoro esistenti quanto quelli di nuova creazione dovrebbero soddisfare i migliori standard europei.

Il successo dell’aviazione europea dipende dalle competenze e qualifiche dei dipendenti del settore. Pertanto, si dovrebbero adottare misure per accrescere l’attrattiva del settore europeo dell’aviazione e impedire che una manodopera qualificata lo abbandoni o si metta alla ricerca di lavoro in altre parti del mondo («fuga di cervelli»).

Le istituzioni europee dovrebbero consultare il Comitato dell'UE per il dialogo sociale settoriale sull’aviazione civile in merito alle iniziative che intendono varare in materia, poiché tale organo è il portavoce al tempo stesso dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti del settore dell’aviazione. Tale consultazione garantirà che le istanze delle parti sociali siano ascoltate e renderà più probabile una loro adesione.

Eventuali accordi conclusi nel campo della politica estera dell’UE in materia di aviazione dovrebbero cercare di assicurare il rispetto dei principi dell’ILO e ricercare mezzi reciprocamente accettabili per garantire la conformità richiesta (cfr. il parere del CESE TEN/500).

3.5.    Eccellenza operativa

3.5.1.

Il successo della strategia dell’UE per il settore dell’aviazione può essere misurato dal grado in cui i singoli soggetti interessati del settore pubblico e privato verranno incoraggiati a fare del loro meglio. Quanto maggiore sarà il divario tra lo status quo e il livello ottimale di eccellenza operativa, tanto minore risulterà la competitività dell’aviazione europea sulla scena internazionale. Il principio vale per la gestione dello spazio aereo, per l’efficienza di aeroporti e compagnie aeree e per la continuità della cooperazione interistituzionale all’interno dell’Europa.

3.5.2.

Gli indicatori essenziali di prestazione rivelano livelli di prestazione non ottimali dovuti alle divergenze tra gli approcci nazionali, che contribuiscono alla frammentazione del mercato unico europeo dell’aviazione. È necessario trovare un compromesso tra i legittimi interessi politici e giuridici nazionali e la capacità dei soggetti interessati di conseguire un livello ottimale di eccellenza operativa.

3.5.3.

«Dobbiamo fare i compiti». Un cielo unico europeo funzionale ed efficiente è un presupposto indispensabile per la competitività sostenibile del settore europeo dell’aviazione. Risolvere la crisi di capacità degli aeroporti deve essere parte integrante di tale impresa.

3.5.4.

La politica europea per il settore dell’aviazione non può essere limitata allo spazio aereo dell’UE: per sua stessa natura, infatti, il settore aeronautico dell’UE interessa l’intera area geografica dell’Europa . I governi e i soggetti interessati di paesi europei non appartenenti all’UE dovrebbero pertanto essere considerati partner naturali dell’UE, ossia interlocutori che — sotto l’egida della Commissione europea — saranno consultati e coinvolti nella politica globale dell’UE per il settore dell’aviazione. Il continuo sviluppo della banca dati di Eurocontrol e l’esperienza sempre più vasta che tale organismo va acquistando nella gestione dei flussi centrali sono un ottimo esempio di come sia possibile stabilire dei collegamenti tra gli strumenti di gestione della navigazione aerea degli Stati membri dell’UE e quelli di altri paesi europei.

3.5.5.

Il principio del sistema di sicurezza unico, che andrebbe applicato in tutta l’UE, dovrebbe altresì essere preso in considerazione in relazione a paesi terzi. Dovrebbe inoltre essere possibile il riconoscimento reciproco delle norme con i paesi che condividono gli stessi orientamenti, il che, ancora una volta, contribuirebbe ad un regime equilibrato di sicurezza globale, nel cui ambito tutti gli sforzi sarebbero diretti a contrastare le minacce reali (8).

3.6.    Connettività

3.6.1.

Il processo di maturazione del settore dell’aviazione ha generato di per sé una specifica rete del valore dell’aviazione, con società tra loro collegate che insieme creano del valore. Il mercato unico dell’aviazione ha stimolato la crescita di compagnie aeree e di alleanze di tali compagnie a livello paneuropeo con un alto grado di efficienza; analogamente, si stanno sviluppando dei vettori aerei di nicchia. Per continuare ad avere successo nel tempo, tutte queste compagnie aeree «di prossima generazione», così come altre compagnie aeree basate su modelli imprenditoriali differenti, dipendono da una rete di fornitori efficienti e orientati al mercato.

3.6.2.

Una tale rete interdipendente di compagnie aeree, aeroporti, società di prestazione di servizi a terra, organismi di gestione del traffico aereo ed altri soggetti non solo crea occupazione nel settore dell’aviazione in sé, ma anche nelle regioni e nelle comunità collegate tra loro da questa industria. Quanto più elevato il livello dei collegamenti, tanto maggiore sarà l’importanza che tali collegamenti rivestono per una determinata regione o comunità per via della sua capacità di attrazione turistica e commerciale, e tanto maggiore risulterà il valore della connettività per l’economia.

3.6.3.

Un settore dell’aviazione efficiente costituisce quindi un fattore di stimolo della crescita economica. Per la sua buona riuscita, la strategia dell’UE per l’aviazione dovrebbe quindi essere volta a migliorare la crescita economica provvedendo a ridurre i costi esterni che incidono sulle attività del settore nell’UE e offrendo opportunità di sviluppo per il settore aeronautico a livello internazionale.

3.7.    L’aviazione internazionale

3.7.1.

L’aviazione è uno dei pochi settori dei servizi in cui la concorrenza non è locale, ma mondiale. Questo significa che i costi di produzione, il sostegno politico disponibile e i finanziamenti concessi alle compagnie aeree di paesi terzi, ma che sono invece negati ai vettori UE, incidono sulla competitività dell’Europa.

3.7.2.

L’Unione europea può vantare punti di forza senza paragoni a livello mondiale. Malgrado la diversità esistente al suo interno, e proprio per questo motivo, l’UE ha messo a punto meccanismi di composizione delle vertenze, regimi per l’approvazione degli aiuti di Stato, un dialogo sociale e delle norme di sicurezza: tutti questi elementi, unitamente a norme di altro tipo, costituiscono un insieme di valori condivisi dagli oltre 500 milioni di cittadini e dalle imprese di una delle aree economiche più potenti, stabili e influenti al mondo. La possibilità di accedere a un simile mercato esercita una fortissima attrattiva sulle società di paesi terzi.

3.7.3.

Prendendo come base di partenza le norme menzionate sopra, la strategia dell’UE per l’aviazione dovrebbe essere intesa a far sì che, tramite negoziati concertati e coordinati, tali standard vengano accettati anche dai paesi non appartenenti all’UE. L’UE ha già concluso un accordo con gli USA nel settore dell’aviazione che funziona correttamente, contenente disposizioni che consentono a entrambe le parti di raggiungere un ulteriore consenso sul rafforzamento e l’applicazione congiunta delle norme di cui sopra e persino sulla loro estensione a paesi terzi. Una politica globale e integrata per il settore dell’aviazione dovrebbe quindi essere orientata a utilizzare gli strumenti esistenti, come ad esempio il comitato misto UE-USA, per cercare di pervenire ad una comprensione, condivisa con altri Stati in tutto il mondo che aderiscono agli stessi principi, secondo cui la sostenibilità del settore dell’aviazione dipende dal rispetto di certi valori fondamentali. L’UE e gli Stati Uniti potrebbero assumere un ruolo guida nella definizione di norme a livello mondiale (compresi SESAR e NextGen).

3.7.4.

In particolare nel settore delle relazioni esterne, non basta assicurare il coinvolgimento di tutti gli Stati membri e dell’insieme dei soggetti interessati del settore privato lungo l’intero processo negoziale: sarebbe invece di fondamentale importanza fare in modo che vengano consultati e coinvolti specialmente i soggetti portatori di interessi specifici in determinati mercati regionali, globali o settoriali, onde garantire una loro costante adesione ai fini dell’elaborazione di una politica globale e integrata per il settore dell’aviazione. Quest’ultimo non potrà che stimolare la crescita economica se la DG MOVE beneficerà del pieno sostegno di altre direzioni generali della Commissione come le DG REGIO, TRADE e COMP.

3.7.5.

In un’economia globalizzata, le disposizioni in materia di proprietà e di controllo dovrebbero certamente essere rivedute ed esaminate con la massima attenzione. Una strategia lungimirante dell’UE per il settore dell’aviazione dovrebbe prendere in considerazione l’idea di codificare i principi di leale concorrenza dell’Unione europea, facendo leva sull’accettazione di tali standard da parte di vettori aerei di paesi terzi quale strumento per garantire condizioni di equa concorrenza nei mercati liberalizzati. Per una migliore comprensione, il CESE raccomanda alla Commissione di esaminare diverse opzioni per l’eventuale modifica degli attuali criteri in materia di proprietà e di controllo, prendendoli in considerazione separatamente. Le proposte in materia dovrebbero basarsi su nuove ricerche e analisi.

Bruxelles, 17 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 17.

(2)  GU C 198 del 10.7.2013, pag. 9.

(3)  GU C 376 del 22.12.2011, pag. 38.

(4)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 173.

(5)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 123.

(6)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 17.

(7)  Parere del CESE TEN/565 — Dumping sociale nel settore dell’aviazione civile europea, Cfr. pagina 110 della presente GU.

(8)  GU C 100 del 30.4.2009, pag. 39.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/176


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il mercato interno del trasporto internazionale di merci su strada: dumping sociale e cabotaggio»

(parere esplorativo)

(2016/C 013/26)

Relatori:

Stefan BACK e Raymond HENCKS

La futura presidenza lussemburghese del Consiglio dell’Unione europea, in data 6 luglio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Il trasporto internazionale di merci su strada: dumping sociale e cabotaggio

(parere esplorativo).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 agosto 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 17 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 170 voti favorevoli, 3 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE riafferma il sostegno all’obiettivo della Commissione Juncker di contrastare il dumping sociale, come affermato nel proprio parere del 2015 sulla Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti, e rinnova l’invito alla Commissione a proporre misure preventive (1).

1.2.

Il CESE prende atto con soddisfazione del sostegno da parte della presidenza lussemburghese del Consiglio alle iniziative della Commissione volte a combattere tutte le forme di dumping sociale, come quelle relative al lavoro sommerso (2).

1.3.

Il CESE si rammarica del fatto che il concetto di dumping sociale, benché ampiamente utilizzato, non sia stato definito. Ai fini del presente parere, il CESE considera come dumping sociale le pratiche che cercano di aggirare o violano le normative sociali o di accesso al mercato (società fittizie) per ottenere vantaggi competitivi. Il presente parere si concentrerà sulle modalità per affrontare questo tipo di azione.

1.4.

Il CESE accoglie con favore l’intenzione della Commissione di:

semplificare le norme comuni sulle condizioni da rispettare per esercitare l’attività di trasportatore su strada, e quelle che disciplinano l’accesso al mercato internazionale del trasporto di merci su strada, e in particolare il cabotaggio, al fine di agevolarne l’attuazione,

rafforzare i criteri di stabilimento delle imprese di trasporto onde prevenire l’utilizzo abusivo di società di comodo,

predisporre un pacchetto sulla mobilità dei lavoratori per facilitare la libera circolazione dei lavoratori e migliorare la capacità degli Stati membri di contrastare il dumping sociale, le frodi e gli abusi in relazione al distacco dei lavoratori e all’accesso alle prestazioni previdenziali.

1.5.

Il CESE ribadisce il proprio sostegno alla proposta della Commissione relativa all’istituzione di una piattaforma europea per il rafforzamento della cooperazione volta a prevenire e scoraggiare il lavoro sommerso, e chiede al Consiglio e al Parlamento europeo di approvare rapidamente tale proposta (3).

1.6.

Il CESE ritiene che sia urgente agire al livello dell’UE per evitare il rischio di frammentazione del mercato interno nel trasporto su strada a seguito dell’adozione di misure nazionali unilaterali finalizzate a contrastare il dumping sociale. Un intervento efficace dell’UE potrebbe creare condizioni favorevoli a un’ulteriore apertura del mercato (4).

1.7.

Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri, che sono i primi responsabili dell’applicazione sia della legislazione sul trasporto su strada che della legislazione sociale, a dare la priorità ai seguenti aspetti:

garanzia di una piena cooperazione tra le autorità di vigilanza sul lavoro e sul trasporto su strada negli Stati membri dell’UE,

consolidamento dei dati dei registri elettronici nazionali per le imprese di trasporti su strada [cfr. il regolamento (CE) n. 1071/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio (5), articolo 16] con i registri relativi agli aspetti sociali e del lavoro dei conducenti professionisti, onde migliorare l’applicazione transfrontaliera e contrastare gli abusi o le frodi,

urgente attuazione dell’interconnessione dei registri nazionali attraverso il registro europeo delle imprese di trasporto su strada (ERRU), che avrebbe dovuto essere in funzione già a dicembre 2012, per migliorare l’applicazione transfrontaliera e la cooperazione tra gli Stati membri; in tal senso, si potrebbe valutare l’utilizzo del sistema di informazione del mercato interno (IMI) (6),

piena applicazione, nel settore del trasporto su strada, dei requisiti minimi obbligatori imposti dal regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio (7) (Roma I), nonché dalla direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (8) relativa al distacco dei lavoratori e dalla direttiva 2014/67/UE concernente l’applicazione della suddetta direttiva. Il CESE sottolinea l’intenzione della Commissione di valutare le direttive 96/71/CE e 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio (9) al fine di determinare se siano necessari orientamenti o altre misure per agevolare un’attuazione efficiente e certa sul piano giuridico di tali direttive nel settore del trasporto su strada.

1.8.

Il CESE sottolinea che un controllo rafforzato della conformità non deve comportare requisiti sproporzionati che ostacolano la normale concorrenza tra le imprese europee di trasporto e il completamento del mercato interno nel settore del trasporto su strada.

1.9.

Inoltre il CESE ricorda che, al momento di proporre una semplificazione delle disposizioni di accesso al mercato, anche in materia di cabotaggio, la Commissione potrebbe considerare la possibilità di allineare le norme sul trasporto di merci su strada con quelle applicabili alla prestazione temporanea di servizi in generale, tenendo conto del carattere specifico del settore dei trasporti. La semplificazione delle regole di accesso al mercato costituirebbe la base di un’attuazione più coerente e di un rafforzamento della cultura della legalità, che limiterebbero le possibilità di dumping sociale. La semplificazione dovrebbe essere accompagnata dall’attuazione vigorosa di misure risolute per evitare il dumping sociale.

1.10.

Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a promuovere lo scambio di informazioni e di migliori pratiche su un’applicazione efficace, così da contrastare gli abusi e il dumping sociale. A tal fine, sarà organizzata una conferenza di alto livello dell’UE per presentare e condividere le migliori pratiche.

1.11.

Il CESE chiede alla Commissione di invitare gli Stati membri a partecipare ai progetti per incoraggiare e stimolare le imprese adempienti tramite sistemi di classificazione del rischio efficaci e operativi.

2.   Situazione attuale del settore e del mercato

2.1.

Il trasporto di merci su strada è il motore dell’economia europea. Esso rappresenta il 73 % del trasporto di merci via terra e quasi il 2 % del PIL dell’UE. La quota di trasporto internazionale ha registrato un modesto aumento tra il 2004 e il 2012, passando dal 30 al 33 %. Il numero delle operazioni di cabotaggio è aumentato del 50 %, benché la quota di mercato sia ancora bassa (il 5 % soltanto). Dal 2005 al 2012 i trasporti di merci a livello nazionale si sono ridotti del 9,1 %, mentre il traffico terzi è stato il segmento del mercato dei trasporti su strada a più alto tasso di crescita, con oltre l’80 % tra il 2004 e il 2012 (10).

2.2.

Solo nel 2013 i trasporti di cabotaggio sono aumentati del 20 %. Per la maggior parte, tali operazioni si svolgono nell’Europa occidentale: l’86 % del cabotaggio complessivo interessa infatti la Germania, la Francia, l’Italia, il Regno Unito, il Belgio e la Svezia (11). Secondo uno studio (12) condotto per la Commissione europea, la maggior parte dei trasporti nazionali è effettuata da autotrasportatori nazionali con sede nello Stato membro interessato.

2.3.

Una relazione della Commissione sulla situazione del mercato, pubblicata nel 2014, sostiene che, nel complesso, sia in atto una convergenza tra i salari, i livelli assoluti dei costi del lavoro e le altre componenti della retribuzione nell’Unione europea (13). Le persistenti divergenze corrisponderebbero al generale divario dei livelli salariali tra l’area dell’UE-12 (UE-13) e quella dell’UE-15 (l’UE-15 comprende gli Stati membri che hanno aderito all’UE prima del 2004, e l’UE-12 o UE-13 quelli che hanno aderito nel 2004 o più tardi).

2.4.

Queste differenze devono essere valutate nel contesto specifico del settore del trasporto di merci su strada, caratterizzato da un’elevata mobilità della forza lavoro e da un’intensa attività transfrontaliera. Benché queste differenze retributive siano inevitabili e accettabili nell’insieme del mercato interno, se sfruttate in modo da aggirare o violare la legge, possono avere un impatto sulle condizioni della concorrenza nel settore e sulla situazione dei conducenti, come illustrato nella seguente sottosezione (14).

2.5.

È un dato di fatto che il settore del trasporto di merci su strada si trova ad affrontare una serie di altre sfide. Oltre alla carenza di conducenti capaci, il settore resta poco attraente per i giovani e le donne: ciò è dovuto soprattutto alle condizioni di lavoro sfavorevoli, a una remunerazione insufficiente, all’assenza di prospettive di carriera e all’insoddisfacente equilibrio tra vita professionale e vita privata (15). Anche se il presente parere è incentrato sulla necessità di affrontare il dumping sociale nel settore, si riconosce che i progressi compiuti nel rispondere alle sfide di cui sopra possono anche dare un contributo positivo per attenuare il dumping sociale.

3.   Normativa dell’UE applicabile al settore del trasporto di merci su strada

3.1.

La seguente legislazione e giurisprudenza dell’UE è particolarmente rilevante ai fini di questo parere.

a.

Accesso alla professione e accesso al mercato:

regolamento (CE) n 1071/2009 che istituisce regole comuni in materia di accesso alla professione di trasportatore su strada,

regolamento (CE) n. 1072/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio (16) recante norme comuni per l’accesso al mercato internazionale del trasporto di merci su strada.

b.

Legislazione sociale specifica per il trasporto su strada:

direttiva 2002/15/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (17) concernente l’organizzazione dell’orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto,

regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (18) che disciplina periodi di guida, interruzioni e riposo nel settore del trasporto su strada.

c.

Altri atti legislativi pertinenti dell’UE (in campo sociale ecc.) applicabili a tutti i settori industriali:

regolamento (CE) n. 593/2008 (Roma I) sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali,

sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) nelle cause Heiko Koelzsch c. Lussemburgo (15 marzo 2011) e Jan Voogsgeerd c. Navimer SA (15 dicembre 2011), che chiariscono l’applicazione del regolamento Roma I alle specifiche circostanze del settore del trasporto su strada,

regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio (19) relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e il relativo regolamento di attuazione (CE) n. 987/2009,

direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi,

direttiva 2014/67/UE concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi.

3.2.

La direttiva sul distacco dei lavoratori e la sua direttiva di applicazione si applicano qualora tutte le condizioni stabilite nella direttiva sul distacco dei lavoratori siano soddisfatte. Pertanto, le direttive si applicano solo nel caso di distacchi temporanei al di fuori del paese in cui il conducente svolge abitualmente la sua attività. Laddove applicabile, la direttiva sul distacco dei lavoratori garantisce il minimo salariale e talune altre disposizioni sociali dello Stato membro in cui il lavoro viene svolto. Altrimenti, la legislazione applicabile è disciplinata dal contratto e dal regolamento Roma I sulla legge applicabile ai contratti [regolamento (CE) n. 593/2008]. Il regolamento Roma I darà la preferenza alle norme di lavoro obbligatorie applicabili nel paese in cui o a partire dal quale il lavoro è abitualmente svolto, a prescindere dalla base di servizio del dipendente o della legge scelta nel contratto di lavoro. Si fa riferimento alle sentenze della Corte di giustizia sopracitate al punto 3.1.

3.3.

In un certo numero di casi, sarà difficile dimostrare che il regolamento Roma I o la direttiva sul distacco dei lavoratori daranno la priorità a disposizioni diverse da quelle della base di servizio o della legge stabilita per contratto. Nel decidere in merito alla legislazione applicabile, gli organismi responsabili dell’applicazione dovranno quindi valutare tutti gli elementi pertinenti, incluso il requisito di un collegamento reale con la base di servizio affinché tale legge possa dirsi applicabile.

3.4.

Il CESE sottolinea che la direttiva 96/71/CE sul distacco dei lavoratori è stata applicata in modi diversi al settore dei trasporti su strada. È pertanto importante valutare l’attuazione della direttiva 2014/67/UE nel contesto del previsto pacchetto sulla mobilità dei lavoratori per garantirne un’attuazione coerente ed efficiente.

3.5.

Come già sottolineato, in particolare le norme in materia di accesso al mercato nel settore del trasporto su strada, incluso il cabotaggio, sono oscure e complesse, e vengono interpretate e attuate in diversi Stati membri. Ciò crea incertezza giuridica per tutti gli interessati e rende difficile verificare la conformità.

3.6.

I suddetti problemi di attuazione, insieme con la volontà di affrontare con urgenza la questione del dumping sociale, hanno portato a una situazione in cui un certo numero di Stati membri ha adottato leggi nazionali per far fronte al problema dei salari e delle norme sociali. Tali misure stanno già creando dei problemi per il corretto funzionamento del mercato interno, ad esempio per quanto riguarda le norme nazionali relative ai salari minimi e ai tempi di guida e di riposo (20).

4.   Il problema e i diretti interessati

4.1.

Il presente parere esplorativo riguarda il dumping sociale e il cabotaggio nel trasporto di merci su strada. Per gli autotrasportatori dell’Europa occidentale, la manodopera è di gran lunga la componente più importante dei loro costi operativi. Invece, per gli operatori stabiliti nell’Europa centro-orientale, il costo che in media incide di più è il carburante. Una diversa struttura dei costi potrebbe anche consentire maggiori investimenti. In questo contesto, alcuni autotrasportatori dell’UE-15 si trovano di fronte a uno svantaggio competitivo e cercano di utilizzare manodopera a basso costo. Si tratta di una pratica, attuata da autotrasportatori sia dell’UE-15 sia dell’UE-13, che a volte passa per regimi che aggirano o violano la legislazione dell’UE o nazionale, per esempio il regolamento (CE) n. 1071/2009, la direttiva 96/71/CE, sistemi di società di comodo ecc. Le lacune della legislazione e la natura mobile delle attività di trasporto potrebbero ostacolare l’identificazione dei regimi illeciti. Come sottolineato al punto 4.6, i costi del lavoro possono essere ridotti anche in modo perfettamente legale. Tuttavia è chiaro che questa pratica genererà spesso tensioni.

4.2.

Le parti negativamente colpite dalle pratiche di dumping sociale sono soprattutto le imprese di trasporto su strada che non ricorrono a tali pratiche e i conducenti professionisti, almeno nell’UE-15. Anche i soggetti che rispettano le norme subiscono danni alla loro immagine e sono esposti agli effetti negativi di tali misure unilaterali, come menzionato al punto 3.6. Per questa ragione la Commissione prevede di presentare nel 2016 delle proposte intese ad affrontare il problema del dumping sociale nel trasporto su strada. Tuttavia, senza un’analisi solida e approfondita del mercato del trasporto di merci su strada, è difficile attendersi una proposta pertinente. A livello nazionale i dati esistono già, e sono disponibili nei registri elettronici nazionali delle imprese di autotrasporto. A livello UE, di norma, i dati avrebbero dovuto essere disponibili tramite il registro europeo delle imprese di autotrasporto (ERRU), che avrebbe dovuto collegare i registri nazionali e facilitare lo scambio di dati sulla rispettabilità delle imprese entro dicembre 2012, come previsto dal regolamento (CE) n. 1071/2009. Tale registro non è ancora stato istituito. Il CESE si rammarica di tale mancata attuazione e ritiene che essa produca effetti negativi sul controllo della conformità.

4.3.

Per quanto riguarda i conducenti professionisti, le pratiche illecite riguardano principalmente:

la retribuzione: anche se la remunerazione in base al paese della sede di servizio del conducente (applicazione del principio del «paese d’origine») è perfettamente normale e accettabile quando le condizioni di legge sono rispettate, si riscontrano tuttavia dei casi, in particolare nel cabotaggio, in cui questo principio viene impiegato abusivamente, in contrasto con la direttiva sul distacco dei lavoratori o il regolamento Roma I,

le condizioni di lavoro: pianificazione inadeguata dei viaggi del conducente, che porta a un eccessivo tempo di guida; la remunerazione unicamente del tempo di guida, escludendo attività effettuate nell’orario di lavoro come le operazioni di carico e scarico,

la previdenza sociale: il mancato pagamento dei contributi di previdenza sociale da parte del datore di lavoro, con un impatto critico sui diritti e sui vantaggi dei conducenti e delle loro famiglie,

le prestazioni sanitarie: imprese che impongono al conducente il costo dell’assicurazione medica e/o dell’assistenza sanitaria ecc.

4.4.

Un certo numero di imprese hanno sviluppato regimi occupazionali complessi e ambigui, approfittando della natura transfrontaliera e assai mobile del settore, ricorrendo ad agenzie, società di selezione del personale o società fittizie (il sistema delle società di comodo) stabilite negli Stati membri con una scarsa tutela e normative insufficienti in materia sociale e del lavoro. A seconda delle circostanze, tali regimi possono essere dubbi o illegali, in particolare nei casi in cui i collegamenti del contratto di lavoro a un paese con bassi salari e bassi standard sociali sono fittizi.

4.5.

I complessi regimi occupazionali del settore del trasporto su strada rendono più difficile individuare tali società e provare la loro responsabilità, per esempio nel caso di richieste di corresponsione di stipendi non pagati o delle prestazioni sociali. Viceversa, queste pratiche ambigue fanno sì che sia molto più difficile per i conducenti non residenti — per non parlare di quelli dei paesi terzi — comprendere, gestire e accedere a diritti e prestazioni.

4.6.

Esempi di pratiche che potrebbero essere illegali:

l’utilizzo di società di comodo, prassi vietata dal 2011 a seguito dell’adozione e dell’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1071/2009, che sancisce che il diritto di stabilire un’attività commerciale in uno Stato membro è concesso e mantenuto solo se l’impresa dispone di una sede «effettiva e stabile»,

l’applicazione dei livelli salariali e delle condizioni del paese della sede di servizio e non delle norme obbligatorie del paese nel quale o dal quale il conducente svolge abitualmente l’attività, quando essa viola la direttiva relativa al distacco dei lavoratori e il regolamento Roma I (con la sentenza della CGUE nella causa Koelzsch), come illustrato nella sezione 3 sopra,

la remunerazione per chilometri percorsi, in violazione del regolamento (CE) n. 561/2006 che vieta questo tipo di pagamento poiché costituisce un rischio per la sicurezza stradale,

il fatto di vivere per mesi nell’autocarro e intorno allo stesso, con un accesso limitato o nullo a servizi igienici, alimenti caldi ecc., in quanto viola la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, il cui articolo 31 stabilisce che «[O]gni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose».

È evidente che vi saranno anche delle situazioni in cui è possibile ridurre i costi in modo perfettamente lecito, per esempio stabilendo una società figlia oppure utilizzando una società indipendente di selezione del personale.

4.7.

Il cabotaggio è definito come il trasporto nazionale di merci realizzato, a titolo temporaneo, da autotrasportatori non residenti in uno Stato membro ospitante. Il concetto di «temporaneo» è definito dal regolamento (CE) n. 1072/2009 come tre trasporti di cabotaggio al massimo in un periodo non superiore a sette giorni a seguito di un trasporto internazionale verso lo Stato ospitante. Le difficoltà di applicazione e controllo della normativa sul cabotaggio sono dovute al fatto che il regolamento sull’accesso al mercato non facilita l’applicazione. Esso impedisce ai soggetti deputati all’applicazione della legge di chiedere ulteriori documenti per verificare la conformità alle norme sul cabotaggio. Inoltre, le norme stesse non sono chiare su molti aspetti e vengono interpretate in modo diverso in diversi Stati membri. Questo vale, ad esempio, per quanto riguarda la definizione di un percorso. Ciò si è tradotto in una scarsa percentuale di controlli, sia su strada che presso le aziende.

4.8.

Il CESE ritiene che una diversa struttura dei costi nell’UE-13 consentirà di attirare le imprese. Questo, di per sé, non rappresenta un problema dal punto di vista del mercato interno. Tuttavia, va osservato che, nella misura in cui imprese che risultano avere sede negli Stati membri dell’UE-13 sono in realtà costituite sotto forma di società fittizie che non esercitano alcuna reale attività nell’UE-13, si potrebbe configurare un caso di dumping sociale. Nel 2013, a fronte delle intenzioni della Commissione di liberalizzare le norme sul cabotaggio, le parti sociali europee del settore stradale, la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) e l’Unione internazionale dei trasporti stradali (IRU) hanno segnalato che il mercato non era ancora pronto per la piena apertura al trasporto nazionale di merci alla concorrenza, proprio in ragione delle disparità sociali e fiscali esistenti nell’UE (21). L’IRU e l’ETF hanno chiesto di non modificare la normativa bensì di migliorarne l’applicazione.

4.9.

Il CESE richiama inoltre l’attenzione sulla necessità di far sì che i conducenti di paesi terzi impiegati da imprese UE siano assunti nel pieno rispetto delle norme applicabili in materia di immigrazione, lavorino in condizioni conformi alle disposizioni di legge obbligatorie e ottengano un attestato di conducente come prescritto dalla legislazione UE.

4.10.

È in tale contesto che bisognerebbe considerare l’attenzione attualmente rivolta dalla Commissione al dumping sociale, come affermato nelle priorità politiche del Presidente Juncker e nel programma di lavoro 2015 e come indicato dal Consiglio anche nel programma della presidenza lussemburghese del Consiglio.

Oltre alla proposta attualmente all’esame relativa a una piattaforma per il contrasto del lavoro sommerso e del dumping sociale, la Commissione ha annunciato due iniziative importanti:

una revisione della legislazione relativa al trasporto su strada per chiarire le norme in materia di stabilimento e cabotaggio e facilitare i controlli,

un pacchetto sulla mobilità dei lavoratori per impedire che la normativa venga aggirata e violata.

Riuscire ad adottare misure efficaci in questi ambiti è essenziale per evitare la frammentazione del mercato interno dei trasporti a causa delle misure di attuazione nazionali e per creare le condizioni per un’ulteriore apertura del mercato in questo settore.

4.11.

Il CESE richiama l’attenzione sulla possibilità di semplificare le norme di accesso al mercato in materia di cabotaggio introducendo una disposizione analoga a quella che si applica per quanto riguarda la fornitura transfrontaliera di servizi in generale, il che significa collegare chiaramente il diritto di fornire servizi di cabotaggio al loro carattere temporaneo. Ciò consentirebbe di evitare la continua e sistematica accumulazione di periodi di cabotaggio di sette giorni, cosa che attualmente sembra possibile, e di chiarire in quali casi via sia l’obbligo di creare uno stabilimento nel paese ospitante. Si eviterebbero inoltre le attuali divergenze sull’interpretazione delle disposizioni, piuttosto dettagliate ma poco chiare, della normativa vigente.

Bruxelles, 17 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 291 del 4.9.2015, pag. 14.

(2)  Programma della presidenza lussemburghese, pag. 12.

(3)  GU C 458 del 19.12.2014, pag. 43.

(4)  In tal senso, il CESE fa riferimento alla valutazione realizzata dalla Commissione nella sua relazione del 2014 sullo stato del mercato del trasporto stradale nell’UE, COM(2014) 222 final.

(5)  GU L 300 del 14.11.2009, pag. 51.

(6)  Regolamento (UE) n. 1024/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 316 del 14.11.2012, pag. 1).

(7)  GU L 177 del 4.7.2008, pag. 6.

(8)  GU L 18 del 21.1.1997, pag. 1.

(9)  GU L 159 del 28.5.2014, pag. 11.

(10)  Employment Conditions in the International Road Haulage Sector (Condizioni occupazionali nel settore del trasporto internazionale di merci su strada), studio per la commissione EMPL del Parlamento europeo, 2015.

(11)  Ibidem.

(12)  Collection and Analysis of Data on the Structure of the Road Haulage Sector in the European Union (Raccolta e analisi di dati sulla struttura del settore del trasporto merci su strada nell’Unione europea), AECOM, 2014.

(13)  Relazione della Commissione sullo stato del mercato del trasporto stradale nell’UE, COM(2014) 222 final.

(14)  Relazione della Commissione sullo stato del mercato del trasporto stradale nell’UE — COM(2014) 222 final, sezione 3.2.

(15)  Cfr. la nota 12.

(16)  GU L 300 del 14.11.2009, pag. 72.

(17)  GU L 80 del 23.3.2002, pag. 35.

(18)  GU L 102 dell’11.4.2006, pag. 1.

(19)  GU L 166 del 30.4.2004, pag. 1.

(20)  Comunicato stampa della Commissione del 19 maggio 2015 e articolo pubblicato nel Financial Times del 19 maggio 2015«Protests from Road haulage industry forces Brussels to act» (Le proteste dell’industria del trasporto di merci su strada obbligano Bruxelles ad agire). Cfr. anche la newsletter della DG MOVE numero 183 del 12.9.2014 e risposte della Commissione alle interrogazioni del Parlamento europeo E — 006597 — 14 e E — 007161 — 14.

(21)  Social Sector Partners Proposal for a Policy Package for the Next Revision of the EU Regulations (EC) No 1071/2009 on Access to Profession and 1072/2009 on Access to the Road Haulage Market [Proposta delle parti sociali relativa a un pacchetto di politiche per la prossima revisione del regolamento (UE) n. 1071/2009 relativo all’accesso alla professione di trasportatore su strada e del regolamento (UE) n. 1072/2009 relativo all’accesso al mercato internazionale del trasporto di merci su strada], 2013.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/183


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito a «Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona» e a «Possibile evoluzione e adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea»

(2016/C 013/27)

Relatore:

Luca JAHIER

Correlatore:

José Isaías RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO

Il Parlamento europeo, in data 19 maggio 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304, paragrafo 1, trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito a:

Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona

e a

Possibile evoluzione e adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 185 voti favorevoli, 4 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Introduzione

1.1.

Il parere è stato elaborato su richiesta del Parlamento europeo, nel contesto delle due relazioni della commissione per gli Affari costituzionali dal titolo: «Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona» (relatori BRESSO e BROK) e «Possibile evoluzione e adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea» (relatore VERHOFSTADT).

1.2.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l’iniziativa del Parlamento europeo, la quale dovrebbe contribuire in maniera significativa a rilanciare il dibattito sul futuro dell’Unione europea. Il CESE ha già adottato vari pareri sull’argomento ed è deciso a contribuire ulteriormente ai lavori del Parlamento europeo.

1.3.

Il CESE è il rappresentante istituzionale della società civile organizzata (1) al livello europeo, e i suoi membri «esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, nell’interesse generale dell’Unione» (2). In quanto organo consultivo delle istituzioni europee, il CESE ha assicurato, sin dalla sua costituzione, la partecipazione effettiva, ampia e coerente delle organizzazioni rappresentative della società civile europea all’elaborazione delle politiche e al processo decisionale dell’UE. Il Comitato concorre pertanto a garantire che le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini (3), contribuendo così all’attuazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, che reggono l’esercizio delle competenze dell’Unione (4).

2.   L’Europa dinanzi a una svolta: un’opportunità da cogliere

2.1.

Dopo quasi sei anni dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Parlamento europeo ha sollevato la questione se l’Unione europea possa superare le sfide che incontra lungo il suo cammino sfruttando tutte le possibilità offerte dalle attuali disposizioni del trattato di Lisbona, e/o se sia necessario rivedere alcuni settori d’intervento e l’attuale assetto istituzionale dell’Unione europea.

2.2.

La crisi che è stata innescata nel 2008 ha rivelato gravi carenze nell’architettura della zona euro e nell’assetto istituzionale dell’UE; questa constatazione ha spinto ad adottare rapidamente misure di adattamento e di innovazione. Tali cambiamenti hanno dimostrato la resilienza delle istituzioni europee e la loro capacità di superare la minaccia di una disgregazione generale della zona euro. Inoltre, il risultato di tutto ciò è stata l’introduzione di meccanismi di solidarietà e di assistenza senza precedenti nella storia dell’UE. Nondimeno, l’Unione ha bisogno di recuperare un livello sufficiente di crescita per migliorare il contesto ambientale per le imprese e mantenere i posti di lavoro, ridurre la disoccupazione, le disuguaglianze sociali e lo sviluppo asimmetrico tra gli Stati membri e le regioni. Ad oggi, le misure di sostegno della crescita sono state insufficienti per il raggiungimento di questi obiettivi.

2.3.

Tuttavia, i problemi economici hanno fatto sì che le soluzioni si siano concentrate su iniziative urgenti di carattere economico e di bilancio volte a far fronte alla profonda crisi economica e finanziaria. Tali misure hanno generato gravi preoccupazioni circa la responsabilità democratica e il loro impatto sociale, preoccupazioni che non sono state sufficientemente prese in considerazione. Il punto fondamentale è che la risposta alla crisi ha messo in luce preoccupazioni sulla trasparenza, la rendicontabilità e la sostenibilità del processo decisionale europeo, in seguito, tra l’altro, al ripetuto ricorso al metodo intergovernativo.

2.4.

Durante la crisi, una grande maggioranza degli Stati membri dell’UE è ricorsa alla firma di trattati intergovernativi, ossia a strumenti giuridici conclusi al di fuori delle procedure previste dai Trattati dell’UE. Si tratta in particolare del trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria e del trattato che istituisce il meccanismo europeo di stabilità. Questi trattati sono stati adottati senza un vero dibattito trasparente o pubblico. Un tale approccio intergovernativo, rappresentato dal Consiglio europeo, può essere spiegato con la dimensione finanziaria della crisi e con l’urgenza di introdurre rapidamente strumenti rilevanti per superare la crisi. Ciò solleva la questione di possibili conflitti tra la natura intergovernativa di tali trattati e lo stesso «principio di legalità» dell’UE.

2.5.

Oggi l’UE si trova a dover affrontare una frammentazione crescente, una crisi economica, sociale e politica che ha creato notevoli divisioni, accompagnate da un aumento delle tensioni civili, elementi che tutti insieme non fanno che accentuare i contrasti. L’Europa di oggi, segnata dal riaffiorare dei pregiudizi, dalla rinascita degli stereotipi nazionali e da divisioni crescenti tra i popoli e i paesi, assiste all’avanzata di movimenti populisti e antieuropeisti. È quindi urgente promuovere ciò che unisce i cittadini europei rispetto a ciò che li divide. Sarà un processo lungo che dovrebbe iniziare subito.

2.6.

È anche un’Europa nella quale la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni europee si è ridotta, e le politiche democratiche tradizionali sono sottoposte a un severo esame. Ciò trova riscontro soprattutto a livello nazionale, come si è visto dai risultati delle recenti tornate elettorali. L’impatto si fa però sentire molto forte a livello europeo, Alle elezioni del Parlamento europeo del 2014, circa un quarto dei seggi è stato vinto da candidati di partiti euroscettici nei confronti del progetto europeo o di alcune politiche dell’UE. Infatti, nonostante le responsabilità nazionali della crisi, i cittadini pensano che la responsabilità dei problemi socioeconomici sia dell’«Europa» e che le istituzioni europee non stiano facendo abbastanza per migliorare la loro vita quotidiana. Tuttavia, vi è ancora una maggioranza significativa degli elettori che è a favore di un’ulteriore integrazione europea.

2.7.

Il rischio dell’uscita del Regno Unito dall’UE attraverso un referendum previsto per il 2017 o prima e la persistente instabilità della Grecia aggiungono gravità alla situazione dell’UE che vive un momento politico decisivo. Si potrebbe affermare che l’Europa ha perso il senso dell’orientamento in relazione all’approfondimento dell’integrazione europea e che sorgono forti interrogativi riguardo alla sua evoluzione e alla sua identità, attuali e future. Mentre in passato l’integrazione europea era guidata da una visione (pace, riconciliazione, prosperità ecc.), oggi abbiamo un’Unione europea che si limita a «reagire» alle minacce e alle difficoltà anziché guidare il processo.

2.8.

Invece, come ha affermato Herman Van Rompuy, ex presidente del Consiglio europeo, oggi l’UE deve adoperarsi per raggiungere il giusto equilibrio tra un’Europa «delle possibilità», capace di aprire nuove prospettive, e un’Europa «delle protezioni», in grado di sostenere i suoi cittadini (5). È proprio questa sinergia, rafforzata da una nuova dimensione partecipativa, l’elemento che incoraggerà i cittadini europei e, di conseguenza, i politici, a riacquistare fiducia nel progetto europeo, nello spirito del preambolo al trattato sull’Unione europea.

2.9.

Alle difficoltà interne con le quali l’UE si trova confrontata, si aggiunge una serie sempre più ampia di cruciali sfide esterne, tra cui un crescente senso di paura e insicurezza in relazione al terrorismo, le pressioni migratorie, la sicurezza energetica e la coesione territoriale, oltre alla crescente instabilità lungo i confini meridionali e orientali dell’UE.

2.10.

In un contesto così difficile è urgente riaprire il dibattito sul buon funzionamento dell’UE e sul ruolo dei Trattati nel quadro di tale processo. È il momento opportuno per esaminare come produrre risultati migliori per i cittadini europei e come adeguare e rafforzare l’assetto istituzionale attuale.

2.11.

Altrettanto importante è la necessità di ricostruire la fiducia concentrandosi maggiormente nel far capire i vantaggi dell’UE ai cittadini e, inoltre, di ascoltare le istanze di questi ultimi e delle organizzazioni rappresentative della società civile. È percezione diffusa che l’UE non sia riuscita né a formulare né ad attuare strategie sostenibili, inclusive ed equilibrate, incentrate sugli investimenti e sulla crescita e sulla riduzione delle ineguaglianze. Inoltre, l’UE non è stata in grado di produrre risultati concreti per i cittadini, cosa per cui gli Stati membri portano una parte di responsabilità. Il risultato finale è una crescente mancanza di fiducia da parte dei cittadini verso l’UE, un sentimento di intrusione indebita da parte delle istituzioni dell’UE negli affari locali e una disinformazione sempre più diffusa. Ricostruire la speranza e la fiducia nei confronti dell’UE è fondamentale. L’UE si trova dinanzi a una svolta e l’accettazione da parte dei suoi cittadini sarà essenziale per avanzare in questo aspetto.

3.   Sfruttare meglio i Trattati europei attualmente in vigore

3.1.

I Trattati europei in vigore offrono sicuramente opportunità ancora inesplorate che potrebbero essere sfruttate per migliorare le politiche e quindi per rafforzare l’UE sia internamente che esternamente. A tal fin, sia che si tratti di esplorare un approfondimento dell’azione strategica o di migliorare l’attuazione delle politiche, esistono ampie possibilità in materia di ambiti di intervento e di strumenti tecnici cui far ricorso. Questa dovrebbe essere la priorità attuale dell’Unione europea e della sua architettura istituzionale.

3.2.

Nonostante la necessità di rivedere alcuni elementi del quadro istituzionale vigente dell’Unione europea attraverso modifiche specifiche del trattato, si deve considerare il fatto che le condizioni per farlo non sussistono al momento attuale. Pertanto, il CESE affronterà la questione delle modifiche e degli adeguamenti dei Trattati soltanto come e quando opportuno.

3.3.

Un elemento cruciale per riconquistare la fiducia dei cittadini nell’UE è la necessità di assicurare l’intellegibilità e la coerenza tra tutte le politiche e le azioni dell’UE, come enunciato nell’articolo 7 del TFUE, migliorando in tal modo l’attuazione dei Trattati esistenti. A tal fine si dovrebbe trovare il giusto equilibrio tra la coesione territoriale e le dimensioni economica e sociale dei Trattati In particolare, ciò renderebbe necessaria la piena applicazione dell’articolo 3 del TUE, in cui si afferma, tra l’altro, che l’UE deve essere basata su un’«economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente» e deve promuovere «la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri».

3.4.

Altri esempi di disposizioni sottoutilizzate esistenti nei Trattati sono le cinque clausole orizzontali del TFUE che riguardano in particolare la promozione della parità tra uomini e donne (articolo 8), il raggiungimento di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale e la lotta contro l’esclusione sociale (articolo 9), la lotta alla discriminazione (articolo 10), la tutela dell’ambiente (articolo 11) e la protezione dei consumatori (articolo 12). In futuro, tali clausole dovrebbero essere utilizzate per promuovere una maggiore interconnessione tra le politiche europee e una maggiore rendicontabilità nei confronti dei cittadini dell’UE.

3.5.

Inoltre, esiste un’ampia gamma di aree di intervento che sono state sfruttate in maniera insufficiente. Il principale strumento di integrazione dei 28 Stati membri è stato il mercato interno  (6). Tale strumento dovrebbe essere completato da un’ulteriore integrazione, per stimolare la crescita, la competitività, l’occupazione e i vantaggi per tutti i cittadini e le regioni dell’UE. Al fine di conseguire tale obiettivo, l’UE deve intraprendere iniziative sostanziali in primo luogo nel campo dei mercati dei prodotti, dell’energia, dei trasporti, dei servizi, dei mercati del lavoro, degli appalti pubblici, della proprietà intellettuale e dell’economia digitale. Inoltre, le riforme nazionali dovrebbero essere più trasparenti in materia fiscale, dovrebbero affrontare la concorrenza fiscale sleale ed essere completate da un’azione politica dell’UE di maggior respiro (7).

3.6.

Le due maggiori aree settoriali che dovrebbero essere oggetto di politiche europee rafforzate sono l’Unione dell’energia e il Mercato unico digitale. Quest’ultimo è oggetto di uno specifico parere del CESE in corso di elaborazione e quindi non verrà esaminato in dettaglio in questa sede.

3.7.

Per liberarsi dalla minaccia esterna dell’insicurezza energetica, l’UE potrebbe applicare le disposizioni vigenti dell’articolo 194 del TFUE e avanzare verso un’Unione dell’energia. Il CESE ha ripetutamente sostenuto l’adozione di «più Europa» nelle politiche energetiche, chiedendo di far diventare la solidarietà il motore dello sviluppo di una politica energetica europea. L’articolo 194 consentirebbe di instaurare un sistema di governance efficace e trasparente per l’Unione dell’energia, sistema che aumenterebbe l’efficienza della politica energetica dell’UE, ridurrebbe i costi, apporterebbe valore ai cittadini e migliorerebbe la visibilità dell’UE nei confronti dei suoi partner internazionali. La promozione delle energie rinnovabili e il sostegno alle imprese nella loro transizione energetica sono parte integrante di questo processo.

3.8.

Inoltre, progressi concreti per stimolare una crescita inclusiva, competitività, occupazione e benefici per tutti i cittadini e le regioni dell’UE potrebbero essere realizzati con la prossima revisione intermedia della strategia Europa 2020. A tal fine le riforme dovrebbero incentrarsi sugli investimenti dell’UE, con l’obiettivo di promuovere la competitività nell’innovazione, l’efficienza nell’uso delle risorse, la reindustrializzazione sostenibile, posti di lavoro più numerosi e dignitosi, la parità nel mercato del lavoro, la coesione sociale e regionale, l’inclusione e un mercato interno efficiente. Il CESE sottolinea che l’UE non ha bisogno di una strategia completamente nuova, bensì di una strategia Europa 2020 molto più efficace (8), e in particolare di una concezione sempre più efficiente, equilibrata e democratica del semestre europeo.

3.9.

Un contributo alla realizzazione di economie di scala e al conseguimento degli obiettivi politici dell’UE potrebbe essere dato dalla riforma del sistema delle risorse proprie dell’UE, semplificando l’attuale sistema dei contributi e dei versamenti per gli Stati membri, presentando un nuovo sistema di risorse proprie e riformando il sistema di correzione. Con la modifica del sistema delle risorse proprie verrebbe attuato per la prima volta correttamente e pienamente l’ex articolo 201 del trattato di Roma, ora articolo 311 del TFUE. Per il CESE è fondamentale che il sistema delle risorse proprie soddisfi una serie di criteri, tra i quali dovrebbero figurare: equità, efficienza, stabilità, trasparenza, semplicità, responsabilità, disciplina di bilancio, attenzione al valore aggiunto europeo, sussidiarietà e sovranità fiscale. Al fine di conseguire questi obiettivi, si propone di cogliere l’occasione della prossima revisione intermedia del bilancio dell’UE, al fine di adottare le pertinenti proposte del gruppo ad alto livello presieduto da Mario Monti. L’obiettivo principale deve essere quello di rafforzare l’autonomia del bilancio UE, perché esso possa avere un effetto leva e presentare una maggiore complementarità rispetto ai bilanci nazionali. Ciò contribuirà direttamente a realizzare economie di scala e a conseguire gli obiettivi politici dell’UE (9).

3.10.

Inoltre, l’UE ha bisogno di riforme per rafforzare il sentimento di cittadinanza comune a livello europeo. Ma tale sentimento non si creerà senza il coinvolgimento dei cittadini nel processo decisionale a livello europeo. Occorre infatti creare, in tutti gli Stati membri dell’UE, il senso di partecipazione al processo congiunto per la causa comune. Una possibilità per raggiungere questo obiettivo consisterebbe nel dare ai cittadini la possibilità di eleggere i membri del Parlamento europeo da liste transnazionali, vale a dire liste composte di candidati di diversi Stati membri, ma presentate da partiti europei, anziché votare soltanto per i partiti nazionali. Tuttavia, ciò potrebbe richiedere una modifica dei Trattati e precisamente dell’articolo 223 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

3.11.

In questo contesto, il CESE ha evidenziato la necessità di attuare efficacemente la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, mediante nuove iniziative mirate (10). Il Comitato sottolinea la necessità di garantire l’uguaglianza per tutti, con particolare attenzione alle categorie vulnerabili, e ricorda che gli obblighi della Carta si applicano a tutte le istituzioni e le agenzie e a tutti gli organi dell’UE. Il CESE rivolge un pressante invito agli Stati membri perché costruiscano una cultura dei diritti fondamentali orientata verso la protezione e promozione di tali diritti a tutti i livelli di governo e in tutti i settori politici e legislativi, oltre a esaminare e individuare l’impatto specifico sui diritti fondamentali durante il processo di recepimento della legislazione. Il CESE incoraggia con forza la Commissione ad agire in modo efficace in quanto custode dei Trattati e a ricorrere alla procedura d’infrazione senza farsi fermare da eventuali considerazioni politiche. Inoltre, il CESE ha invitato tutte le istituzioni, le agenzie, gli altri organi dell’UE e gli Stati membri coinvolti nell’applicazione dei diritti fondamentali a promuoverli con la partecipazione della società civile. Qualsiasi regolamento in materia di governance economica e di funzionamento del mercato interno deve tener conto delle disposizioni della Carta dell’UE, mediante una valutazione specifica (11).

3.12.

In definitiva, nel corso dell’ultimo decennio, l’UE a 28 Stati membri ha dovuto affrontare sfide fondamentali e questioni fonte di divisioni nella società, che nessuno Stato membro può affrontare efficacemente da solo. È solo attraverso politiche coordinate e un’azione comune a livello europeo che possono essere conseguiti risultati positivi. Ciò vale in particolare per le politiche in materia di migrazione e asilo e la politica estera e di sicurezza comune (PESC). In entrambi questi settori, i vigenti Trattati dell’UE offrono un ampio margine di manovra e molte disposizioni non sono state sfruttate per la mancanza di una volontà politica comune e convergente (12). A tal fine, occorrerebbe sfruttare maggiormente gli artt. da 21 a 46 del TUE e gli artt. da 76 a 81 del TFUE.

3.13.

Per compiere dei passi avanti è necessaria una combinazione di ambizione, pragmatismo e innovazione. Il CESE è dell’avviso che oggi abbiamo l’opportunità di far leva sulle sfide dell’UE e di lavorare per avviare una nuova fase nello sviluppo dell’Unione. È un’opportunità per mettere a punto un nuovo patto, tra gli Stati membri e tra l’UE e i suoi cittadini, per un’Europa capace di rafforzare la cooperazione, la competitività e la crescita, l’integrazione e la solidarietà.

3.14.

Un altro strumento sottoutilizzato è certamente quello della «cooperazione rafforzata» (di cui all’articolo 20 del TUE). Tale procedura è stata utilizzata per la prima volta nel settore del divorzio e della separazione legale e successivamente per creare una tutela brevettuale unitaria nell’UE, nonché per la proposta di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie. Si potrebbe utilizzare poi la clausola «passerella» (articolo 48, paragrafo 7 del TUE). Tuttavia, queste revisioni richiederebbero l’unanimità tra i governi degli Stati membri a livello di Consiglio europeo o di Consiglio, la quale può essere difficile da ottenere. In linea di principio, entrambi questi strumenti potrebbero semplificare e accelerare il processo decisionale europeo.

3.15.

Di conseguenza, è della massima importanza basarsi sulle conclusioni del Consiglio europeo, il quale nella riunione del 26 e 27 giugno 2014 ha convenuto sul fatto che: «il concetto di unione sempre più stretta lascia spazio a percorsi di integrazione diversi per paesi diversi, permettendo a quelli che intendono approfondire l’integrazione di andare avanti in tal senso e rispettando nel contempo il desiderio di chi non intende procedere oltre nell’integrazione» (13). Questa dichiarazione è alla base di un’Unione europea differenziata, a cui partecipano tutti i 28 Stati membri, se necessario in proporzioni variabili, facilitando così la cooperazione rafforzata in settori strategici, un’Unione però che rimane aperta alla piena partecipazione di tutti gli Stati membri.

3.16.

Inoltre, il CESE ritiene che alle strategie macroregionali spetterà un ruolo sempre più importante nella futura UE. Il loro rafforzamento e la loro estensione potrebbero contribuire a far emergere un livello europeo intermedio, in grado di creare convergenza nell’UE e a realizzare il coinvolgimento sistematico della società civile organizzata, incluse le parti economiche e sociali.

4.   Rafforzare la zona euro e completare l’UEM

4.1.

In questi ultimi anni, il miglioramento della traballante architettura dell’Unione economica e monetaria (UEM) e il rafforzamento della governance economica sono stati al centro della strategia dell’UE per uscire dalla crisi. L’adozione di misure di urgenza volte a mantenere in vita l’UEM ha dato luogo a una serie di sviluppi, i quali sono però scaturiti da un processo decisionale intergovernativo. Ora è importante garantire che tali soluzioni intergovernative non diventino un quadro giuridico permanente che si aggiunge ai Trattati dell’UE.

4.2.

In questo contesto è indispensabile passare rapidamente dal sistema attuale, basato sulle norme per garantire la disciplina di bilancio, a un processo di maggiore convergenza tra i paesi della zona euro.

4.3.

In primo luogo, poiché l’euro è la valuta dell’UE, gli Stati membri che fanno parte della zona euro devono accelerare e approfondire l’integrazione tramite il completamento dell’UEM, un processo questo che deve rimanere aperto a tutti gli Stati membri dell’UE. Tale obiettivo potrebbe essere realizzato mediante una solida governance e il rafforzamento del quadro istituzionale della zona euro, basandosi sui seguenti elementi:

un pilastro monetario e finanziario, che è ormai ampiamente realizzato e che dovrebbe includere l’attuazione da parte dell’UE di una vera Unione bancaria per creare un mercato dei capitali paneuropeo, proteggendo nel contempo i contribuenti dall’assunzione di rischi eccessivi e dai default non controllati,

un pilastro economico, che sia volto a rafforzare il processo decisionale nella politica economica, e quindi a promuovere la crescita, l’occupazione, la competitività, la convergenza e la solidarietà europea,

un pilastro sociale, inseparabile dal progresso economico e dall’efficienza economica, in modo da garantire la piena attuazione dei Trattati europei, ai sensi dell’articolo 3 del TUE, e da migliorare la coesione sociale e territoriale,

un pilastro politico, che preveda maggiore rendicontabilità e legittimità democratica, al fine di favorire la credibilità e la fiducia.

4.4.

Inoltre, sarebbe opportuno adottare iniziative volte a introdurre un bilancio per la zona euro, misura che contribuirebbe ad assorbire gli shock che potrebbero verificarsi in futuro, a condizione che questo margine di azione che il bilancio potenzialmente lascia sia concepito come un aiuto condizionato allo sforzo di riforma. Come affermato nel parere di iniziativa del CESE sul tema Completare l’UEM (14), un bilancio proprio della zona euro potrebbe essere finanziato attraverso un’imposta sulle transazioni finanziarie estesa a tutta l’area dell’euro, una tassa ambientale sulle emissioni inquinanti (carbon tax), un prelievo temporaneo o mediante l’emissione di obbligazioni comuni. Tuttavia vi è comunque bisogno di un accordo su ognuna di tali opzioni.

4.5.

Sarà possibile progredire nella governance economica dell’UE grazie a una più marcata dimensione sociale dell’UE. Tali progressi dovrebbero basarsi su una più equilibrata applicazione dell’articolo 3 del TUE, il quale stabilisce che l’UE deve trovare un equilibrio tra l’efficienza economica e la coesione sociale e territoriale. Inoltre, gli artt. 151 e 153 del TFUE sono volti a sostenere l’armonizzazione dei sistemi sociali degli Stati membri, un tema questo trattato dal CESE nel 2013 (15).

4.6.

Al tempo stesso, occorre aumentare la legittimità democratica dell’UE al fine di rafforzare il suo quadro politico, e in particolare il ruolo del Parlamento europeo. A tal fine, misure concrete possono essere intraprese già nel quadro del trattato attuale e delle altre norme vigenti; a medio-lungo termine, un’eventuale revisione del trattato dovrebbe riportare le disposizioni istituzionali in linea con i requisiti indispensabili di una vera Unione politica. Il CESE ha già approvato una tabella di marcia molto dettagliata per la realizzazione del pilastro politico dell’UEM, delineando un’ampia gamma di azioni possibili (16).

4.7.

Il CESE prende atto della relazione del 22 giugno 2015 dei cinque presidenti al Consiglio europeo «Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa» e si attende che essa servirà come base per un’azione più decisiva, come sopra indicato (17).

5.   Consolidare la partecipazione civile, la democrazia e la rendicontabilità: la via da seguire

5.1.

Al centro di tutto il dibattito sul futuro dell’UE dovrebbero essere i cittadini, e la democrazia e la rendicontabilità sono concetti fondamentali per la cittadinanza europea. Alla Commissione europea, che è la custode dei Trattati, spetta un ruolo decisivo ai fini dell’attuazione di questi principi. La Commissione, in quanto istituzione che detiene il monopolio dell’iniziativa legislativa, svolge anche il ruolo cruciale di bilanciare le forze e gli interessi differenti che compongono l’Unione europea. Tale esercizio di bilanciamento deve essere eseguito parallelamente a un’applicazione più efficace dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, al fine di perseguire una governance dell’UE più democratica e partecipativa.

5.2.

Il trattato di Lisbona comporta un ruolo più significativo per il Parlamento europeo e un atteggiamento proattivo da parte degli Stati membri grazie alla posizione rafforzata del Consiglio. Tuttavia, in futuro sarà necessario estendere ulteriormente le competenze del Parlamento europeo, per esempio attraverso un maggiore ruolo nella governance economica europea e nel semestre europeo, e realizzare una condivisione delle responsabilità e una cooperazione interistituzionale più equilibrate tra le tre istituzioni, in modo da garantire una maggiore solidità del metodo UE. In tale contesto, una questione di particolare interesse è l’uso estensivo di «triloghi» per l’adozione di atti nella prima e nella seconda lettura della procedura legislativa ordinaria (18). I triloghi sono diventati in larga misura la norma, inficiando così i principi democratici di trasparenza e di rendicontabilità e il necessario equilibrio che occorre mantenere tra le tre istituzioni nel quadro della procedura legislativa ordinaria. Di conseguenza, il CESE auspica che si ritorni allo spirito, se non alla lettera, della procedura legislativa ordinaria, mantenendo il carattere di eccezione dei «triloghi».

5.3.

Inoltre, il metodo UE sarà applicato anche con maggiore efficacia attraverso la sussidiarietà orizzontale. Questo termine, così come quello di sussidiarietà «verticale», non è esplicitamente definito nei Trattati. Esso nondimeno sancisce il riconoscimento del ruolo pubblico degli attori privati, ad esempio, i cittadini e le organizzazioni rappresentative della società civile, e la loro partecipazione alla definizione delle politiche e ai processi decisionali, attraverso il loro specifico ruolo consultivo, nonché il ruolo legislativo autonomo delle parti sociali nell’ambito del dialogo sociale europeo.

5.4.

Il concetto di sussidiarietà orizzontale, talvolta definita anche «sussidiarietà funzionale», è infatti già implicitamente riconosciuto dai Trattati negli artt. 152, 154 e 155 del TFUE sul dialogo sociale e sul ruolo delle parti sociali.

5.5.

Anche l’articolo 11 del TUE sancisce il principio della democrazia partecipativa quale componente chiave complementare alla democrazia rappresentativa come enunciata negli artt. 10 e 12 del TUE (19), la quale costituisce la base fondamentale della democrazia. L’articolo 11, parr. 1 e 2, del TUE (20) apre, come il CESE ha sottolineato in varie occasioni, importanti prospettive per lo sviluppo della democrazia europea, gettando le basi per instaurare a lungo termine un dialogo civile strutturato a livello europeo, accanto al dialogo politico tra le istituzioni dell’UE e gli Stati membri.

5.6.

Inoltre, tale metodo dell’Unione deve essere completato da un rafforzamento della sussidiarietà verticale, con un ruolo potenziato dei parlamenti nazionali nell’elaborazione delle politiche dell’UE e con una maggiore cooperazione tra essi e il Parlamento europeo.

5.7.

Fondamentalmente, tutto quanto esposto sopra potrebbe già essere conseguito nell’ambito dei Trattati esistenti. In particolare per quanto riguarda la partecipazione civile, la democrazia e la rendicontabilità, si potrebbero ottenere ottimi risultati sviluppando ulteriormente le politiche europee e migliorando i processi e l’attuazione. Tuttavia, come già indicato in due pareri del CESE (21)  (22), si sono registrati progressi limitati nell’attuare in maniera effettiva le disposizioni di cui all’articolo 11 e quindi nel dare piena concretezza al concetto di democrazia partecipativa.

5.8.

Lo stesso vale anche in relazione all’iniziativa dei cittadini europei (ICE) di cui all’articolo 11, paragrafo 4. L’ICE dovrebbe essere uno strumento di cardinale importanza per la democrazia partecipativa e la cittadinanza attiva, ma nella sua forma attuale è in larga misura inefficace e le sue modalità di attuazione devono essere profondamente rivedute.

5.9.

Il concetto di «sussidiarietà orizzontale» deve essere rafforzato ed esteso a settori d’intervento più ampi, attraverso il dialogo civile strutturato, per esempio nei campi dell’ambiente e della protezione dei consumatori. Ciò accrescerebbe il ruolo delle organizzazioni rappresentative della società civile nei processi europei, in quanto consentirebbe loro di contribuire pienamente ai settori d’intervento che li riguardano, sostanziando così il principio della democrazia partecipativa. Per conseguire tale obiettivo e in quanto rappresentante istituzionale dell’UE della società civile organizzata, il CESE svolge un ruolo fondamentale nel realizzare il pieno potenziale della democrazia partecipativa e nello sviluppare e rafforzare il dialogo civile, in partenariato con le istituzioni dell’UE.

5.10.

Come rappresentante istituzionale della società civile organizzata al livello europeo, esso ha un triplice ruolo: i) facilitare e sostenere il dialogo tra le organizzazioni rappresentative della società civile e con le istituzioni europee; ii) garantire il coinvolgimento duraturo della società civile organizzata nei processi politici dell’UE; e iii) monitorare l’attuazione dell’articolo 11 del TUE.

5.11.

Pertanto, in quanto organo consultivo delle istituzioni dell’UE (23), il CESE ha l’opportunità di fungere pienamente da: i) catalizzatore e coordinatore del dialogo tra e con le organizzazioni della società civile; da ii) intermediario fondamentale tra la società civile organizzata e gli organi decisionali dell’UE; e iii) da ponte efficace tra i livelli nazionale ed europeo. Qualora si procedesse a una revisione dei trattati, il CESE chiederebbe che tale ruolo fosse riconosciuto in maniera esplicita (24).

5.12.

Il rilancio dell’agenda Legiferare meglio rispecchia la nuova volontà della Commissione di porre un forte accento sulla sua attività di valutazione, coinvolgendo in questo processo le altre istituzioni, le autorità nazionali e la società civile in generale. Il coinvolgimento del CESE, in quanto organo consultivo, nella valutazione delle politiche è fondamentale in quanto si basa sul suo legittimo compito nel quadro dell’architettura istituzionale dell’UE di: i) proteggere l’acquis dell’UE in relazione al soddisfacimento delle esigenze dei cittadini europei, e ii) segnalare gli ostacoli all’attuazione delle politiche e della legislazione dell’UE o le eventuali carenze in materia.

5.13.

In relazione al ruolo assegnato al CESE dall’articolo 13, paragrafo 4, del TUE, sia il protocollo di cooperazione tra il Comitato e la Commissione europea, del 22 febbraio 2012, sia l’accordo di cooperazione del Comitato con il Parlamento europeo, del 5 febbraio 2014, riconoscono il valore aggiunto significativo che il CESE può apportare nel quadro dell’iniziativa «Legiferare meglio», fornendo il contributo della società civile in tutte le fasi del ciclo politico dell’UE (25). Il CESE chiede pertanto che venga chiaramente riconosciuto il suo ruolo istituzionale in un’eventuale futura revisione dell’accordo interistituzionale «Legiferare meglio» (26).

5.14.

Al fine di contribuire efficacemente a tutto ciò, il CESE stesso dovrebbe usare tutto il suo potenziale e rafforzare il suo ruolo, il suo funzionamento e i suoi metodi di lavoro, nonché i suoi legami operativi con le principali organizzazioni e reti europee della società civile. Il CESE sta inoltre accrescendo la pertinenza dei suoi lavori concentrandosi maggiormente su gruppi di politiche UE prioritarie, nel contesto delle funzioni consultive assegnategli dai Trattati.

5.15.

In questo modo, il CESE potrà contribuire in maniera significativa a sviluppare il potenziale offerto dal trattato di Lisbona nei settori di diretto interesse per i cittadini e a individuare eventuali carenze che richiedono modifiche e adeguamenti delle politiche interessate per meglio rispondere alle loro esigenze.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  La società civile organizzata può essere definita come l’insieme di tutte le strutture organizzative, i cui membri perseguono obiettivi e esercitano responsabilità d’interesse generale e agiscono da tramite tra i pubblici poteri e i cittadini.

Cfr. i pareri sui temi «Il ruolo e il contributo della società civile organizzata nella costruzione europea» del 22 settembre 1999 (GU C 329 del 17.11.1999, pag. 30) e «La società civile organizzata ed il sistema di governo europeo (governance) — Contributo del Comitato all’elaborazione del Libro bianco» del 25 aprile 2001 (GU C 193 del 10.7.2001, pag. 117).

(2)  Cfr. l’articolo 300, paragrafo 4, del TFUE.

(3)  Cfr. l’articolo 1 del TUE.

(4)  Cfr. l’articolo 5, paragrafo 1 del TUE.

(5)  Discorso di Herman Van Rompuy Is there a need for a «New Pact for Europe»? (C’è la necessità di un «nuovo patto per l’Europa?»), Bruxelles, 17 giugno 2015.

http://www.newpactforeurope.eu/documents/eventsdocs/speech.vanrompuy.17june2015.pdf

(6)  Titoli da I a IV del TFUE.

(7)  Parere sul tema «Completare l’Unione economica e monetaria — Il ruolo della politica fiscale» del 10 dicembre 2014 (GU C 230 del 14.7.2015, pag. 24).

(8)  Cfr. il parere del 19 febbraio 2015 sul tema «I progressi compiuti nell’attuazione della strategia Europa 2020 e i modi di conseguirne gli obiettivi entro il 2020» del 19 febbraio 2015 (GU C 251del 31.7.2015, pag. 19).

(9)  Cfr. il parere del 29 marzo 2012 in merito alla «Proposta modificata di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea» COM(2011) 739 final — 2011/0183 (CNS) e alla «Proposta modificata di regolamento del Consiglio che stabilisce misure di esecuzione del sistema delle risorse proprie dell’Unione europea» COM(2011) 740 final — 2011/0184 (APP) (GU C 181 del 21.6.2012, pag. 45).

(10)  Cfr. il parere del 21 settembre 2011 in merito alla «Comunicazione della Commissione — Strategia per un’attuazione effettiva della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea» (GU C 376 del 22.12.2011, pag. 74).

(11)  Nel caso di una revisione dei Trattati, il CESE ha già proposto di includere un protocollo sul progresso sociale.

Cfr. il parere del 17 gennaio 2013 in merito alla «Comunicazione della Commissione — L’Atto per il mercato unico II — Insieme per una nuova crescita» (GU C 76 del 14.3.2013, pag. 24).

(12)  Cfr. i pareri dell’11 settembre 2014 sul tema «Le politiche europee di immigrazione» (GU C 458 del 19.12.2014, pag. 7), del 9 luglio 2014 sul tema «Politica d’immigrazione dell’UE e relazioni con i paesi terzi» (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 1), e del 27 ottobre 2011 sul tema «La nuova politica estera e di sicurezza dell’UE e il ruolo della società civile» (GU C 24 del 28.1.2012, pag. 56).

(13)  Punto 27 delle conclusioni.

(14)  Cfr. il parere di iniziativa del 9 luglio 2014 sul tema «Completare l’Unione economica e monetaria — Le proposte del Comitato economico e sociale europeo per la prossima legislatura europea» (GU C 451 del 16.12.2014, pag. 10).

(15)  Cfr. i pareri del 22 maggio 2013 sul tema «Per una dimensione sociale dell’Unione economica e monetaria europea» (GU C 271 del 19.9.2013, pag. 1) e del 17 ottobre 2013 in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Potenziare la dimensione sociale dell’Unione economica e monetaria» (GU C 67 del 6.3.2014, pag. 122).

(16)  Cfr. il parere del 27 maggio 2015 sul tema «Completare l’UEM: il pilastro politico» (ECO/376) (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 8).

(17)  http://ec.europa.eu/priorities/economic-monetary-union/docs/5-presidents-report_it.pdf

(18)  I «triloghi» sono previsti nella Dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione del 13 giugno 2007 sulle Modalità pratiche della procedura di codecisione (articolo 251 del trattato CE) (GU C 145 del 30.6.2007, pag. 5).

(19)  Sul ruolo, rispettivamente, del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali.

(20)  L’articolo 11, paragrafi 1 e 2, stabilisce che:

«Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione.

Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile.»

(21)  Cfr. il parere del 14 novembre 2012 sul tema «Principi, procedure e azioni per l’applicazione dell’articolo 11, paragrafi 1 e 2, del trattato di Lisbona» (GU C 11 del 15.1.2013, pag. 8).

(22)  Cfr. il parere del 2 luglio 2015 sul tema «Valutazione delle consultazioni dei soggetti interessati da parte della Commissione europea» (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 57).

(23)  Il paragrafo 4 dell’articolo 13 del trattato di Lisbona in merito al quadro istituzionale dell’Unione stabilisce che «il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un Comitato economico e sociale e da un Comitato delle regioni, che esercitano funzioni consultive».

(24)  Questa proposta era già stata formulata dal Comitato al Consiglio europeo in un parere del 2006, elaborato durante il periodo di riflessione che ha fatto seguito alla mancata ratifica del trattato costituzionale.

Cfr. il parere del 17 maggio 2006 sul tema «Contributo del CESE al Consiglio europeo del 15 e 16 giugno 2006 — Periodo di riflessione» (GU C 195 del 18.8.2006, pag. 64).

(25)  Il punto 18 del protocollo di cooperazione con la Commissione stabilisce che «il Comitato contribuisce al processo di valutazione dell’attuazione della normativa dell’Unione, in particolare riguardo alle clausole orizzontali, come previsto dagli articoli 8-12 del TFUE».

L’accordo di cooperazione con il Parlamento europeo prevede che il Comitato fornisca a quest’ultimo in maniera sistematica «valutazioni d’impatto sulla legislazione europea», oltre a «informazioni e contenuti pertinenti provenienti dalla società civile sulle modalità di funzionamento effettive della legislazione in vigore e dei programmi di spesa, nonché sulle carenze di cui occorre tenere conto al momento di elaborare e rivedere la legislazione e le politiche dell’UE».

(26)  Parere del 16 settembre 2015 sul tema «Atti delegati» (INT/768) (cfr. la pag. 145 della presente Gazzetta ufficiale).


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

510a sessione plenaria del CESE del 16 e 17 settembre 2015

15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/192


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Legiferare meglio per ottenere risultati migliori — Agenda dell’UE»

[COM(2015) 215 final]

(2016/C 013/28)

Relatore:

Bernd DITTMANN

La Commissione europea, in data 1o giugno 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Legiferare meglio per ottenere risultati migliori — Agenda dell’UE

[COM(2015) 215 final].

Il sottocomitato «Legiferare meglio», istituito conformemente all’articolo 19 del Regolamento interno e incaricato di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il suo progetto di parere in data 2 settembre 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 174 voti favorevoli, 3 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Legiferare meglio, ossia in modo più intelligente, è un compito comune di tutte le istituzioni europee e degli Stati membri, con cui ci si prefigge l’obiettivo prioritario di accrescere la qualità della legislazione europea per il bene dei cittadini, delle imprese, dei consumatori e dei lavoratori. Il miglioramento normativo, tuttavia, non si sostituisce alle decisioni politiche e costituisce un processo in continua evoluzione. In tal senso, è stato già possibile conseguire parecchi risultati, ma vi è ancora potenziale per ulteriori miglioramenti.

1.2.

Il CESE si occupa ampiamente del tema del miglioramento normativo già da molto tempo, come si può vedere dall’elenco dei pareri più importanti adottati in materia (1). Il Comitato, dunque, si è assunto una responsabilità specifica nel sostenere il diritto europeo e il suo miglioramento nonché la loro accettazione nella società civile.

1.3.

Il CESE fa notare che, nell’agenda per legiferare meglio, esso non viene considerato in misura sufficiente, adeguata al ruolo e alla funzione affidatigli dai Trattati europei e dagli accordi di cooperazione con la Commissione europea e il Parlamento europeo (PE). E chiede pertanto che gli organi consultivi dell’UE siano presi in considerazione nell’accordo interistituzionale (AII).

1.4.

Il CESE è favorevole a un ampio coinvolgimento dei soggetti interessati attraverso consultazioni da effettuare lungo l’intero ciclo di vita delle misure delle politiche europee, e al riguardo rinvia al proprio parere sulla valutazione degli orientamenti per le consultazioni di tali soggetti. Desidera sottolineare che, a suo avviso, lo scegliere con cura i gruppi destinatari e il tener conto della rappresentatività delle parti interessate sono aspetti che assumono un rilievo essenziale nel processo per «legiferare meglio» e che potrebbero essere migliorati.

1.5.

Il CESE è dell’avviso che, nella scelta degli esperti chiamati a far parte del comitato per il controllo normativo, della piattaforma REFIT o di ogni altro organo, oppure a partecipare ad audizioni, workshop o altri eventi, si debbano garantire la massima indipendenza, imparzialità e trasparenza possibili.

1.6.

Il CESE chiede che l’AII sia esteso anche all’autoregolamentazione e alla co-regolamentazione, le quali, ai fini della soluzione giuridica delle questioni di competenza delle politiche europee, vanno prese in considerazione alla stessa stregua delle misure eteronome (ossia di «regolamentazione» in senso stretto).

1.7.

Il CESE chiede che si ricorra ai triloghi informali soltanto in specifici casi di emergenza e che la maggioranza degli atti legislativi sia adottata secondo la procedura legislativa normale.

1.8.

Il CESE esorta la Commissione a rivolgere una maggiore attenzione alle carenze nel recepimento e nell’attuazione del diritto dell’UE da parte degli Stati membri, e chiede che si adottino regolamenti anziché direttive.

2.   L’agenda per legiferare meglio — Una valutazione generale

2.1.

Il CESE è convinto che le misure e gli strumenti per legiferare meglio potrebbero contribuire a migliorare la qualità e l’efficacia degli atti normativi europei, a creare norme semplici, comprensibili e coerenti che concorrano all’attuazione degli obiettivi descritti nei Trattati europei, nonché al rafforzamento e al completamento del mercato interno europeo, e costituiscano un valore aggiunto per i cittadini, le imprese, i consumatori e i lavoratori in Europa.

2.2.

L’Europa è uno spazio giuridico comune che deve garantire un quadro giuridico valido, affidabile e attuabile. L’approccio dell’agenda per legiferare meglio, che intende focalizzarsi sia sulle misure ex ante a livello dell’UE sia su un recepimento e un’attuazione coerenti del diritto dell’UE negli Stati membri e prevede misure di miglioramento normativo lungo l’intero ciclo di vita (2) di un atto giuridico, recherà un contributo prezioso per l’integrazione europea ed i cittadini se, anziché limitarsi a introdurre nuovi strumenti e procedure tecnocratiche, tutte le istituzioni europee e gli Stati membri si adoperano altresì per creare una cultura del miglioramento normativo.

2.3.

La Commissione presenta la sua comunicazione e i relativi documenti come un nuovo punto di partenza. Ed effettivamente le sue proposte si possono senza dubbio definire ambiziose. Il Comitato, però, desidera anche far presente che il tema del miglioramento normativo non è affatto nuovo, ma viene discusso, portato avanti e sviluppato già da parecchi anni. I miglioramenti così ottenuti hanno contribuito a far sì che il diritto dell’UE sia essenzialmente di alta qualità, a beneficio dei cittadini, delle imprese, dei consumatori e dei lavoratori in Europa. Il CESE è dell’avviso che il legislatore europeo operi in base a meccanismi e procedure che, se confrontate con quelle degli Stati membri o di paesi terzi, funzionano bene, garantendo una legislazione di qualità elevata (3), ma anche che — come emergerà nel prosieguo di questo parere — vi sia ancora potenziale per un ulteriore miglioramento. Il CESE riconosce peraltro che, grazie all’approccio «legiferare meglio», si è già fatto molto, anche in termini di risultati raggiunti.

2.4.

Di fronte alle critiche crescenti nei confronti di tale approccio, il CESE tiene a sottolineare che, a suo avviso, esso non implica affatto che nell’UE debbano esservi «più» o «meno» atti normativi, e non significa nemmeno deregolamentare determinati settori d’intervento oppure subordinarli ad altre priorità e quindi mettere in forse i valori propugnati dall’UE, ossia tutela sociale, protezione ambientale e diritti fondamentali (4). «Legiferare meglio» è in primo luogo uno strumento con cui garantire che gli obiettivi delle politiche siano realizzati sulla base di dati fattuali e concreti e nel rispetto dei suddetti valori, senza comprimere i diritti ambientali o dei consumatori o gli standard sociali e senza determinare uno spostamento di competenze nell’assetto istituzionale attraverso l’istituzione di nuovi organi. Il miglioramento normativo non può e non deve sostituirsi alle decisioni politiche.

2.5.

Il CESE partecipa attivamente all’elaborazione e attuazione democratiche del diritto dell’UE. Il CESE si occupa ampiamente del tema «legiferare meglio» ormai da anni, e ha adottato una serie di pareri in cui formula raccomandazioni concrete per affinare ulteriormente tale approccio. È disponibile un riepilogo di tali raccomandazioni (5) che può servire da stimolo e da fucina di idee per migliorare ulteriormente l’agenda «legiferare meglio». E ciò attesta come il CESE si sia assunto una responsabilità specifica in termini di sostegno e accettazione degli obiettivi di miglioramento normativo nella società civile. Il Comitato è sempre disposto a recare il suo contributo a favore di un’agenda per legiferare meglio trasparente, democratica e coerente.

2.6.

Il CESE deplora il fatto che la comunicazione della Commissione e l’intero pacchetto di misure per «legiferare meglio» tengano conto solo in misura insufficiente del ruolo, della funzione e della rappresentatività attribuiti al CESE dai Trattati e che, di conseguenza, rimanga inutilizzata la possibilità di avvalersi delle conoscenze e competenze specifiche dei suoi membri e di ottenere dal CESE un contributo all’altezza dei suoi compiti. Una partecipazione del CESE all’agenda per legiferare meglio in esame ha luogo unicamente nell’ambito della piattaforma REFIT (fase ex post), il che non rispecchia in maniera adeguata i compiti e le responsabilità che gli incombono per il rafforzamento della legittimità democratica e dell’efficacia delle istituzioni.

2.7.

Il CESE chiede pertanto di ricevere la giusta considerazione nell’ambito dell’agenda per legiferare meglio; e a questo scopo, nel presente parere, formula delle proposte riguardo ai modi e alle fasi in cui dovrebbe essere coinvolto.

3.   L’accordo interistituzionale — Verso una cultura comune in tema di miglioramento normativo

3.1.

La comunicazione della Commissione prende in esame, tra le altre cose, le misure previste dall’AII. Il CESE ritiene che la proposta di AII costituisca uno degli elementi centrali dell’agenda per legiferare meglio. In tale contesto, occorre appoggiare la Commissione nei suoi sforzi per garantire un’evoluzione costante degli obiettivi di miglioramento normativo coinvolgendo l’intera società civile. Per far ciò, tuttavia, occorre in particolare il sostegno degli organi legislativi dell’UE, ossia il Consiglio ed il PE. La proposta di AII è ambiziosa e può essere realizzata con successo solo con un chiaro impegno da parte di tutte le istituzioni a favore degli obiettivi e dei contenuti di miglioramento normativo e con l’applicazione coerente delle proposte contenute nell’AII alla luce dei Trattati europei. Un fallimento dei negoziati costituirebbe un notevole passo indietro, anche rispetto agli impegni assunti nell’AII del 2003.

3.2.

Malgrado il riconoscimento del ruolo e dell’importanza del CESE da parte del PE (6), in nessun punto dell’AII si fa riferimento al CESE e al CdR o al ruolo e alla funzione loro conferiti dai Trattati. E questo non è accettabile.

3.3.

A condizione che la Commissione lo consulti in tempo utile, il CESE è pronto ad aiutare le istituzioni a elaborare misure di miglioramento normativo, a sviluppare nuove idee, a pronunciarsi in maniera circostanziata, nell’ambito delle sue competenze, sui progetti in programma e a garantirne l’elevata qualità, nonché, eventualmente, a monitorare le iniziative già adottate o, in casi specifici, a fungere da organo di controllo per quelle previste.

3.4.

Il CESE chiede pertanto che l’AII includa un riferimento a entrambi gli organi consultivi dell’UE in relazione alle misure per legiferare meglio che rientrano nelle loro prerogative ai sensi dei Trattati europei e degli accordi di cooperazione conclusi con la Commissione e il PE.

3.5.

Una valutazione dei contenuti sostanziali concreti dell’AII sarà condotta dal CESE in un parere di iniziativa, una volta che l’accordo sarà stato approvato dal Consiglio e del PE.

4.   Valutazione della comunicazione relativa all’agenda per legiferare meglio

4.1.    Cambiare il modo di lavorare a livello europeo

4.1.1.

La Commissione si propone di migliorare la legislazione e raggiungere risultati migliori grazie al suo nuovo assetto interno e all’allineamento delle proprie misure agli orientamenti politici, all’elaborazione di un programma di lavoro coerente a livello UE e a un’interazione rafforzata con le altre istituzioni.

4.1.2.

Il CESE accoglie con favore il fatto che la Commissione abbia avviato, con il Consiglio e il PE, uno scambio strutturato in merito al programma di lavoro annuale e alla programmazione pluriennale, e, in conformità dell’accordo di cooperazione, si consulti con il CESE prima della pubblicazione di tale programma di lavoro. Tale scambio dovrebbe coprire l’intero ciclo di programmazione e garantire così degli effetti sinergici grazie a un dialogo regolare del CESE con il PE, la Commissione e il Consiglio, permettendo di monitorare in modo mirato le misure del programma di lavoro anche dopo la loro adozione e di migliorare la cooperazione generale. Il CESE propone che la pianificazione di nuove iniziative e priorità sia effettuata anche alla luce e in considerazione delle strategie e dei piani di integrazione esistenti (come ad esempio la strategia Europa 2020, il programma di crescita annuale e il semestre europeo/le raccomandazioni specifiche per paese) e che debba includere informazioni dettagliate sui modi in cui le misure previste si integrino nelle attuali strategie e ne rispecchino gli obiettivi. Così facendo, si eviterà che certi ambiti d’intervento e determinati obiettivi vengano privilegiati rispetto alle strategie esistenti o subordinati ad esse.

4.2.    Una consultazione migliore, una maggiore apertura e trasparenza

4.2.1.

La Commissione prevede di coinvolgere le parti interessate lungo l’intero ciclo di vita di una misura politica, grazie all’effettuazione di consultazioni. Le parti interessate saranno consultate in merito alle tabelle di marcia, alle valutazioni d’impatto nella fase iniziale, agli atti normativi approvati dal collegio dei commissari, alle valutazioni ex post e ai controlli sull’adeguatezza della normativa in vigore, nonché ai progetti di atti delegati e atti di esecuzione. Inoltre, si dovrà formulare meglio la motivazione degli atti normativi.

4.2.2.

L’obiettivo da conseguire, ossia una maggiore trasparenza e una più forte implicazione delle parti interessate lungo l’intero ciclo di vita di un atto normativo, incontra in linea di principio il pieno favore del CESE. Il CESE ha sempre evidenziato l’importanza di una consultazione intensa di tutti gli ambienti coinvolti (7): prestare ampiamente ascolto alle parti interessate, infatti, può contribuire alla qualità e all’adeguatezza della legislazione, in quanto consente di trovare un punto di incontro tra il conseguimento degli obiettivi delle politiche, da un lato, e la garanzia della semplificazione amministrativa, dall’altro. Una consultazione migliore acuirà la consapevolezza dei problemi e migliorerà l’applicazione delle norme (8).

4.2.3.

Nel luglio 2015, in un parere sulla valutazione delle consultazioni dei soggetti interessati (9), il CESE ha formulato una serie di proposte volte a migliorare le possibilità di consultazione delle parti interessate, proposte cui si fa pieno riferimento nell’ambito del presente parere. Al riguardo, il CESE riconosce che, nel complesso, gli orientamenti contengono prescrizioni utili al fine di poter svolgere consultazioni qualitativamente adeguate. Tuttavia, come indica chiaramente il parere summenzionato, esistono ancora molti casi (anche recenti) in cui i nuovi orientamenti non vengono applicati con coerenza dai servizi competenti della Commissione. Il CESE chiede pertanto di rendere obbligatoria, in seno alla Commissione, l’applicazione degli orientamenti come standard di qualità per l’audizione delle parti interessate.

4.2.4.

Per ottenere le informazioni necessarie, è di fondamentale importanza individuare correttamente il gruppo destinatario di una data consultazione. Il CESE potrebbe, nell’ambito delle sue competenze e in stretta cooperazione con tutte le organizzazioni interessate e con la Commissione, apportare un aiuto all’individuazione delle organizzazioni rappresentative all’interno dei gruppi destinatari (10). Grazie a meccanismi di consultazione rafforzati con i soggetti interessati, il CESE ritiene possibile garantire la necessaria trasparenza nella scelta degli esperti chiamati a far parte degli organi, a partecipare alle conferenze, a sedere nei gruppi di lavoro ecc. Inoltre, si deve tenere in maggior conto la rappresentatività delle parti interessate e prevedere, nella valutazione dei risultati, una ponderazione qualitativa e quantitativa in funzione del rispondente (persona singola od organizzazione rappresentativa della società civile), per cui ai riscontri forniti da un’organizzazione va attribuito un peso adeguatamente maggiore.

4.2.5.

La qualità delle domande della Commissione (spesso formulate in modo tale da suggerire una data risposta), la loro scelta e i relativi meccanismi di feedback lasciano in molti casi a desiderare (11). Al riguardo, il CESE ha presentato ampie proposte sui modi in cui queste carenze possono essere eliminate (12). Così il Comitato potrebbe influire sulla stesura dei questionari per le consultazioni e sulla scelta dei relativi temi, contribuendo all’enunciazione delle domande o svolgendo regolarmente la funzione di «organo di controllo» con il compito di verificarne la pertinenza. Una verifica e un monitoraggio delle consultazioni e la creazione di un osservatorio apposito da parte del CESE (13) potrebbero contribuire in modo adeguato a migliorare la qualità delle consultazioni.

4.2.6.

È poi importante che le consultazioni siano effettuate entro termini appropriati, che consentano di evitare di prolungare inutilmente il processo normativo; e, d’altro canto, termini di 4, 8 o 12 settimane per consultazioni riguardanti iniziative che presentino parti complesse o molto tecniche possono risultare troppo brevi per raccogliere dei contributi utili. Una pianificazione strutturata e costantemente aggiornata delle consultazioni (nelle tabelle di marcia della Commissione) e la comunicazione dei loro obiettivi, con l’indicazione di termini appropriati, possono aiutare le parti interessate a preparare il loro contributo.

4.2.7.

Al fine di accrescere ulteriormente la trasparenza e la chiarezza per le parti interessate, il CESE propone di far sì che tutte le consultazioni (14) aperte delle istituzioni dell’UE, unitamente a quelle delle agenzie europee e degli organismi a valle (15), nonché tutte le consultazioni riguardanti atti delegati o di esecuzione, siano presentate in modo uniforme e perspicuo sul sito web centrale della Commissione dedicato alle consultazioni e siano meglio pubblicizzate nel quadro di un’ampia strategia di comunicazione a livello europeo.

4.2.8.

Particolare apprezzamento merita la consultazione riguardante gli atti legislativi delegati (articolo 290 del TFUE) e gli atti di esecuzione (articolo 291 del TFUE). La mancanza di trasparenza e la palese incertezza giuridica dell’attuale sistema di consultazione sugli atti amministrativi, nonché l’insufficienza del controllo politico su tale sistema, danno infatti adito a critiche frequenti quanto giustificate (16). Il CESE propone inoltre di introdurre un registro specifico per gli atti delegati, sul modello di quello esistente per i documenti dei comitati («registro comitatologia»). Il ricorso ad atti delegati e di esecuzione deve essere strettamente limitato e motivato in modo specifico; le misure a valle devono seguire in maniera coerente la linea dettata dall’atto legislativo di base; e le decisioni politiche non devono risultare compromesse a livello di atti delegati e di esecuzione.

4.2.9.

Si dovrebbe inoltre fare in modo di evitare una duplicazione di consultazioni o di contenuti per quanto riguarda, da un lato, gli atti delegati e di esecuzione e, dall’altro, gli orientamenti delle agenzie europee.

4.2.10.

In linea di principio, la consultazione delle parti sociali — conformemente alle pratiche di dialogo sociale di cui agli articoli 154 e 155 del TFUE — e la consultazione pubblica di tutte le componenti interessate della società civile di cui all’articolo 11, paragrafo 3, del TUE dovrebbero essere tenute distinte. Questi due esercizi, infatti, hanno ciascuno una funzione specifica e una diversa legittimità.

4.2.11.

È vero che le argomentazioni presenti nello strumentario (toolbox) per legiferare meglio indicano che le consultazioni delle parti sociali non sono soggette agli standard minimi richiesti per le consultazioni in genere e dunque alle prescrizioni valide per le consultazioni pubbliche; il CESE, tuttavia, tiene comunque a segnalare chiaramente che la comunicazione in esame non può in alcun caso essere addotta a pretesto per sottoporre le consultazioni delle parti sociali europee e/o i risultati dei relativi negoziati a un controllo ex ante o ex post tramite consultazioni pubbliche. Il dialogo sociale costituisce una procedura specifica, prevista dal TFUE (17), che deve essere rispettata. Le consultazioni pubbliche, quindi, non possono sostituirsi alle consultazioni delle parti sociali (18). L’attuazione dei risultati degli accordi tra le parti sociali deve essere garantita ai sensi delle disposizioni dell’articolo 155 del TFUE (19).

4.3.    Strumenti migliori per soluzioni migliori

4.3.1.

La Commissione applicherà i nuovi orientamenti integrati per legiferare meglio (20) alle sue future misure. Essa, inoltre, si impegna a verificare la possibilità di ricorrere a strumenti diversi dalla regolamentazione (eteronoma), quali ad esempio la coregolamentazione e l’autoregolamentazione, e accorda una particolare attenzione al principio «Pensare anzitutto in piccolo» (priorità alle PMI), al test PMI e alla possibilità di esonerare le microimprese dall’applicazione di determinate disposizioni europee.

4.3.2.

Il CESE si compiace del fatto che gli orientamenti per legiferare meglio siano stati precisati, riveduti e integrati in una versione consolidata ed elaborati con l’ausilio di un toolbox approfondito. Il CESE è dell’avviso che tali strumenti possano apportare un notevole contributo al miglioramento normativo e possano assicurare un ampio sostegno e un’applicazione coerente da parte del personale della Commissione grazie alla loro presentazione unitaria e omogenea in un documento. Il segretariato generale della Commissione dovrebbe garantirne l’osservanza da parte di tutti i suoi servizi.

4.3.3.

La Commissione ribadisce che gli orientamenti per legiferare meglio «devono continuare ad attribuire priorità alla competitività e allo sviluppo sostenibile dell’UE per quanto riguarda tutte le attività di quest’ultima» (21). In tal senso, l’azione dell’UE deve essere svolta all’insegna di un equilibrio tra gli obiettivi generali dell’Unione e la promozione della competitività. Da parte sua, il CESE chiede di sottoporre ogni proposta legislativa e non legislativa a una verifica efficace e coerente, in linea con gli obiettivi indicati nell’articolo 3 del TUE, e di eseguire periodicamente un «controllo della competitività».

4.3.4.

Il CESE ha costantemente esortato a configurare le procedure con maggiore trasparenza e a tenere sempre conto delle considerazioni economiche e sociali, nonché di tutela dell’ambiente e dei consumatori, in modo completo ed equilibrato (22). Un requisito, questo, il cui rispetto dovrebbe formare sistematicamente oggetto di verifica in ogni valutazione d’impatto. E il CESE, nell’ambito delle proprie competenze, potrebbe contribuire a una valutazione equilibrata di questi strumenti e di queste procedure.

4.3.5.

In linea di principio, la legislazione dovrebbe essere configurata in modo tale da poter essere applicata a tutte le imprese nella stessa maniera. È da apprezzare il rinnovato impegno della Commissione, nello specifico, a favore del principio «Pensare anzitutto in piccolo» e l’attenzione rivolta agli interessi delle PMI (ivi comprese le microimprese).

4.3.6.

È indiscutibile che una regolamentazione legislativa sia necessaria per tutte le imprese, quale che sia la loro dimensione; in molti casi, però, essa crea dei problemi per le piccole imprese, e in particolare le microimprese, per quanto riguarda la costituzione e la gestione aziendale. Il CESE fa notare che le microimprese non dovrebbero essere escluse in via generale dall’ambito di applicazione degli atti legislativi proposti, ma che in essi si dovrebbe optare per un approccio «caso per caso», basato su un’accurata valutazione d’impatto (23). Nel far ciò si devono tener presenti gli interessi delle microimprese e si deve evitare di comprimere i diritti che tutelano i lavoratori e i consumatori.

4.3.7.

Il CESE accoglie con favore la trasformazione del comitato per la valutazione d’impatto in un comitato per il controllo normativo, e chiede di garantire la massima trasparenza, imparzialità e indipendenza possibili degli esperti che vi faranno parte. Il ricorso ad esperti esterni costituisce un passo nella giusta direzione, facendo sì che il nuovo organo offra maggiori garanzie di imparzialità, mentre l’estensione delle competenze del comitato alle valutazioni e ai controlli dell’adeguatezza consentirà di ottenere una maggiore coerenza e sinergia nelle valutazioni d’impatto. L’obiettivo, però, deve rimanere quello di istituire un comitato per la valutazione d’impatto unico e indipendente, che operi per tutti gli organi dell’UE e conduca uno scambio di opinioni con gli organi consultivi già istituiti, vale a dire il CESE e il CdR. Questo organo indipendente dovrebbe avvalersi di esperti esterni, avere un presidente esterno e valutare le proposte della Commissione (24). Quest’ultima dovrebbe segnalare con chiarezza che il suo obiettivo è quello di istituire un comitato esterno e indipendente, e che l’assetto attuale va considerato solo come un ulteriore passo intermedio verso il raggiungimento di tale scopo. In tal modo si potrebbero garantire sia trasparenza che competenza tecnica e si potrebbe evitare che la legislazione dell’UE sia guidata da interessi di parte.

4.3.8.

In studi (25) e pareri (26), il CESE ha evidenziato l’importanza dell’autoregolamentazione e della coregolamentazione, nonché le specificità di questi due metodi, nei quali ha ravvisato un caso di «sussidiarietà orizzontale» (27). E l’AII sul miglioramento normativo del 2003 conteneva un capo appositamente dedicato a questo tema. Secondo il CESE, in taluni casi l’autoregolamentazione e/o la coregolamentazione possono costituire uno strumento di prevenzione efficace o complementare, utile per l’azione legislativa purché debitamente inserito nel contesto di un ampio quadro normativo, il quale deve essere chiaro, ben definito e regolato da principi soprattutto di trasparenza, indipendenza, efficacia e responsabilità (28).

4.3.9.

Si dovrebbe garantire maggiore trasparenza applicando misure per legiferare meglio, soprattutto alla luce del ricorso sempre più massiccio a triloghi (29) informali. Tale obiettivo si potrebbe raggiungere pubblicando le conclusioni di ciascuna riunione del trilogo prima dell’adozione dei testi da parte del Consiglio e del PE. Si deve riconoscere che, ricorrendo ai triloghi, l’iter legislativo viene ad essere nel complesso accelerato; ciò, tuttavia, determina un problema fondamentale dell’attuale prassi legislativa, ossia la crescente tendenza, da parte degli Stati membri in seno al Consiglio, a creare dei cosiddetti «schemi di negoziato» tra diversi atti legislativi, al fine di organizzare maggioranze per singole direttive. Ciò avviene troppo spesso in maniera poco trasparente e con tempi molto ristretti, senza coinvolgere in misura sufficiente gli esperti degli Stati membri, del PE e della Commissione e senza una verifica adeguata degli effetti causati dagli elementi centrali di questi schemi di negoziato. Questa tendenza non è priva di conseguenze sulla qualità e la trasparenza della legislazione.

4.3.10.

Nell’ambito delle procedure per legiferare meglio, quindi, si deve fare in modo di ricorrere ai triloghi informali soltanto in specifici casi di emergenza, mentre la stragrande maggioranza degli atti legislativi deve essere adottata secondo la procedura legislativa normale. Solo in tal modo è possibile assicurare una piena legittimità e una piena partecipazione democratiche.

4.4.    Rafforzare la valutazione ex post, programma REFIT e piattaforma REFIT

4.4.1.

La Commissione propone inoltre di rivolgere una maggiore attenzione alla valutazione degli atti legislativi lungo il loro intero «ciclo di vita», di configurare il programma REFIT in modo più mirato e di integrarlo nel programma di lavoro, nonché di eseguire controlli dell’adeguatezza (fitness checks). L’attuazione degli atti normativi andrebbe migliorata, e si dovrebbe istituire una piattaforma REFIT alla quale partecipi anche il CESE.

4.4.2.

Il CESE saluta con favore la proposta della Commissione di porre l’accento sulle valutazioni e di associare al relativo processo altri organi dell’UE e la società civile. Le valutazioni ex post, in cui gli obiettivi dichiarati vengono confrontati con i risultati accertati, costituiscono importanti strumenti di analisi, specie tenendo conto che, in base al modello del ciclo di vita di un atto normativo, le conclusioni tratte possono confluire direttamente in un’eventuale valutazione d’impatto in vista della revisione di un tale atto. È positivo il fatto che i rappresentanti della società civile organizzata, i rappresentanti delle imprese, dei lavoratori e dei consumatori che di regola sono i destinatari degli atti normativi, siano resi partecipi di questo processo mediante consultazioni pubbliche e mirate. Il CESE, tuttavia, fa notare che le valutazioni dovrebbero essere avviate soltanto dopo che sia trascorso un periodo adeguato dall’attuazione dell’atto in questione, affinché possano essere raccolti e rilevati dati e informazioni pertinenti sull’impatto di quest’ultimo (30).

4.4.3.

È essenziale che il CESE venga associato a questo processo. Al riguardo, gli accordi di cooperazione conclusi con la Commissione e il Parlamento europeo prevedono una partecipazione del CESE che potrebbe produrre effetti sinergici nella cooperazione con il PE. Nel contesto del modello descritto del ciclo di vita di un atto normativo, verrebbe garantita una considerazione tempestiva del contributo fornito dal CESE. Se necessario, il CESE potrebbe effettuare valutazioni proprie, presentarne i risultati nell’ambito della piattaforma REFIT con altri soggetti interessati, con gli Stati membri e con la Commissione e, in tal modo, migliorare la sua cooperazione con le istituzioni e presentare proposte di valutazione per il programma REFIT. Con l’inclusione del programma REFIT in ogni nuovo programma di lavoro annuale della Commissione, si garantirebbe poi un ulteriore contributo del CESE alla programmazione.

4.4.4.

Il CESE si compiace degli sforzi profusi dalla Commissione per migliorare le procedure e gli strumenti del programma REFIT. E al riguardo rimanda ai suoi pareri precedenti (31).

4.4.5.

L’abrogazione di determinati atti normativi obsoleti su impulso della Commissione è ormai una prassi e dovrebbe continuare a essere tale. L’esecuzione di controlli dell’adeguatezza è, in linea di principio, da accogliere con favore (32). La Commissione dovrebbe presentare e pubblicare su un sito Internet tutti i controlli dell’adeguatezza già effettuati, ancora in corso e previsti.

4.4.6.

Il CESE accoglie con grande favore la creazione di una piattaforma REFIT in cui sarà rappresentato anche il CESE. La piattaforma dovrebbe raccogliere e analizzare proposte di semplificazione degli adempimenti amministrativi derivanti dalla normativa dell’UE, nonché dal suo recepimento e dalla sua attuazione negli Stati membri. Il CESE raccomanda di prestare attenzione a garantire una composizione equilibrata del gruppo delle parti interessate, un fattore decisivo per il successo della piattaforma. In seno a questo gruppo, il CESE sarà rappresentato da un(a) esperto/a di alto livello. La Commissione, però, dovrebbe chiarire la relazione che intercorre tra il mandato rappresentativo del CESE e del CdR e la piattaforma REFIT. Si dovrebbe tenere conto dello speciale ruolo istituzionale del CESE e del CdR rispetto ad altri soggetti interessati. In linea di principio, il fatto che gli Stati membri siano rappresentati in questo organo va accolta con favore, considerato che dovrebbe offrire la possibilità di avviare in qualsiasi momento uno scambio con i loro rappresentanti. Il PE dovrebbe essere regolarmente informato in merito ai lavori della piattaforma REFIT e avere la possibilità di partecipare alla riunione annuale di quest’ultima.

4.4.7.

Il CESE è dell’avviso che una delle maggiori carenze dell’agenda europea per legiferare meglio sia costituita dal fatto che gli Stati membri non sono coinvolti in misura sufficiente. Ciò rappresenta un problema non solo per gli Stati membri, ma anche per l’UE, ragion per cui, in ultima analisi, non sorprende che, in assenza di misure e piani di attuazione accurati e basati su dati fattuali per una trasposizione efficace del diritto dell’UE, gli Stati membri recepiscano tale diritto in modo frammentario, tardivo od erroneo o non la recepiscano affatto.

4.4.8.

È deplorevole che la comunicazione della Commissione non faccia alcun riferimento a questo problema e non contenga alcuna proposta sui modi di porvi rimedio. Così, nel 2013 sono state ancora avviate 1 300 procedure d’infrazione contro Stati membri. Fra tali procedure, attualmente sono meno problematiche quelle per recepimento tardivo (alla fine del 2013, ne erano pendenti 390); la maggior parte delle procedure d’infrazione (62 % dei casi), invece, riguarda, come già nel 2012, l’inosservanza degli atti normativi dell’UE in materia di ambiente, tassazione, trasporti, mercato interno e servizi (33).

4.4.9.

Una possibile soluzione sarebbe che la Commissione prestasse una maggiore attenzione ad informare il pubblico su questo problema, dato che, in ultima analisi, sono i governi degli Stati membri che non recepiscono le normative o le recepiscono in modo errato o tardivo, ad averle approvate in seno al Consiglio. Sono loro i responsabili della generale carenza di attuazione dell’acquis dell’UE che viene accertata ogni anno nelle relazioni sull’applicazione del diritto europeo. La Commissione, inoltre, dovrebbe verificare sistematicamente quali misure siano indispensabili per cambiare radicalmente la situazione attuale, e dovrebbe prendere in considerazione le proposte da tempo avanzate dal CESE (34).

4.4.10.

Laddove esista la necessità di una regolamentazione, si dovrebbe verificare caso per caso, in funzione del contenuto e del contesto, se sia più appropriato adottare un regolamenti o una direttiva. Al fine di evitare, ad esempio, misure di attuazione divergenti o eccessive («sovraregolamentazione») (35), si dovrebbe in particolare privilegiare il ricorso ai regolamenti anziché alle direttive (36). Ciò garantirebbe maggiore chiarezza e certezza del diritto.

4.4.11.

Il recepimento della legislazione dell’UE e la relativa attuazione, inoltre, sono indicatori importanti per la sua valutazione successiva, che dovrebbe essere effettuata dai singoli governi. L’impegno della Commissione a redigere «piani di attuazione» per le direttive importanti (37), volti ad agevolarne il recepimento negli Stati membri mediante misure di sostegno della Commissione, costituisce un elemento positivo del nuovo pacchetto per legiferare meglio. Rientra in quest’ambito anche la possibilità per la Commissione di invitare gli Stati membri a presentare documenti esplicativi in cui chiariscano la loro strategia nazionale di recepimento e di effettuare una verifica di conformità in due tappe. Il CESE è dell’avviso che questo vada senz’altro considerato un passo nella giusta direzione. Quanto efficaci siano queste misure, poi, bisognerà verificarlo all’atto pratico.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.int-opinions&itemCode=36193

(2)  In tale ottica, il ciclo di vita comprende l’elaborazione di un’iniziativa legislativa all’interno della Commissione dalla fase di preparazione a quella di messa a punto del progetto, l’accettazione della proposta da parte della Commissione, l’iter legislativo, l’entrata in vigore dell’atto, il recepimento e l’applicazione da parte degli Stati membri, la valutazione da parte della Commissione, la verifica nell’ambito del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT) e, eventualmente, l’aggiornamento, la rielaborazione, la revoca e la ripresentazione di una proposta.

(3)  Secondo una relazione della Corte dei conti europea del 2010, il sistema della Commissione rappresenta, per trasparenza e completezza, la migliore pratica a livello europeo e internazionale.

(4)  COM(2015) 215 final.

(5)  http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.int-opinions&itemCode=36193

(6)  Relazione sul programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT): situazione attuale e prospettive [2014/2150(INI)], relatrice Sylvia Yvonne KAUFMANN), punto 19.

(7)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 48.

(8)  Parere d’iniziativa del CESE sul tema «Valutazione delle consultazioni dei soggetti interessati da parte della Commissione europea» (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 57).

(9)  Cfr. la nota 8.

(10)  Cfr. la nota 8.

(11)  Cfr. la nota 8.

(12)  Cfr. la nota 8.

(13)  Cfr. la nota 8.

(14)  http://ec.europa.eu/yourvoice/consultations/index_it.htm

(15)  In particolare, ad esempio, le autorità di vigilanza EIOPA, ESMA, ABE.

(16)  Parere del CESE sul tema «Atti delegati» (cfr. la pag. 145 della presente Gazzetta ufficiale).

(17)  Articolo 154, paragrafi 2 e 3, del TFUE.

(18)  Così anche la relazione della commissione giuridica del PE sul programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT): situazione attuale e prospettive [2014/2150(INI)], punto 10.

(19)  Esempio negativo, l’accordo nel settore dell’acconciatura.

(20)  SWD(2015) 111

(21)  COM(2015) 215 final, punto 3.1.

(22)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66.

(23)  GU C 327 del 12.11.2013, pag. 33.

(24)  Cfr. la nota 23.

(25)  http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.int-opinions.32948

(26)  GU C 291 del 4.9.2015, pag. 29.

(27)  Cfr. la nota 23.

(28)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66, punto 5.10.

(29)  Nell’ultima legislatura del PE, tale procedura ha riguardato l’80 % della legislazione.

(30)  Cfr. la nota 22.

(31)  Cfr. la nota 22.

(32)  Cfr. la nota 23.

(33)  31a relazione annuale sul controllo dell’applicazione del diritto dell’UE, COM(2014) 612 final.

(34)  Cfr. la nota 22.

(35)  Il CESE sta ultimando un proprio studio specifico in cui tratta diffusamente di questo tema.

(36)  Rispetto alla legislatura 2000-2004, in cui si sono ancora adottate più direttive (191) che regolamenti (155), nell’ultima legislatura già conclusa (2010-2014) il rapporto tra queste due forme di atto legislativo si è nettamente invertito a favore dei regolamenti (383 contro 136 direttive).

(37)  Better Regulation Guidelines (Orientamenti per legiferare meglio), SWD(2015) 111 final, capitolo IV: http://ec.europa.eu/smart-regulation/guidelines/docs/swd_br_guidelines_en.pdf


ALLEGATO

Il seguente punto del parere della sezione, che è stato sostituito dal testo di un emendamento adottato dall’Assemblea, ha ricevuto almeno un quarto dei voti espressi:

Punto 4.3.10

Il CESE, pertanto, dà atto dell’iniziativa di sottoporre gli emendamenti rilevanti, e in particolare quelli del Consiglio e del PE, a una valutazione d’impatto (come previsto già nell’AII del 2003), poiché ciò può migliorare in modo decisivo la qualità della legislazione, e nel contempo deplora che la comunicazione della Commissione non si soffermi in misura sufficiente su questa problematica. Nell’ambito delle procedure per legiferare meglio, quindi, si deve fare in modo di ricorrere ai triloghi informali soltanto in specifici casi di emergenza, mentre la stragrande maggioranza degli atti legislativi deve essere adottata secondo la procedura legislativa normale. Solo in tal modo è possibile assicurare una piena legittimità e una piena partecipazione democratiche.

Esito della votazione: voti favorevoli 59, voti contrari 106, astensioni 19.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/201


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro dell’Unione per la raccolta, la gestione e l’uso di dati nel settore della pesca e un sostegno alla consulenza scientifica relativa alla politica comune della pesca (rifusione)»

[COM(2015) 294 final — 2015/0133 (COD)]

(2016/C 013/29)

Relatore unico:

Brian CURTIS

Il Consiglio, in data 2 luglio 2015, e il Parlamento europeo, in data 6 luglio 2015, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 43, paragrafo 2 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro dell’Unione per la raccolta, la gestione e l’uso di dati nel settore della pesca e un sostegno alla consulenza scientifica relativa alla politica comune della pesca (rifusione)

[COM(2015) 294 final — 2015/0133 (COD)].

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre 2015 (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 141 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE concorda in linea di massima con l’obiettivo della Commissione di potenziare gli aspetti che funzionano bene, mantenendo in tal modo un elevato grado di continuità, ma rispondendo, allo stesso tempo, alle nuove esigenze, e ritiene che le modifiche proposte non vadano al di là di quanto è necessario e appropriato per il conseguimento dell’obiettivo fondamentale che consiste nel migliorare la qualità, l’accesso e la disponibilità dei dati nel settore della pesca.

1.2.

La disponibilità di dati è il settore in cui è importante effettuare il maggior numero possibile di passi avanti. La procedura che consente agli utilizzatori finali di richiedere i dati agli Stati membri («chiamate di dati») è troppo onerosa e richiede ingenti risorse; l’accessibilità dei dati sull’attività di pesca varia da uno Stato membro all’altro a causa delle diverse norme applicabili, in parte basate su limitazioni dell’uso multifunzionale di tali dati; le difficoltà di accesso ai dati del quadro per la raccolta dei dati (DCF) ne limitano l’utilizzo e ciò vuol dire che si perdono molte opportunità di uso potenziale dei dati e che vengono effettuati investimenti inutili per raccogliere gli stessi dati per altri scopi (ad esempio nelle politiche di gestione dello spazio marittimo). Grazie all’impiego dei più recenti sviluppi tecnici, la revisione del DCF rappresenta un’opportunità, da un lato, di rendere più facilmente disponili i dati sulla pesca a una più ampia cerchia di soggetti interessati e, dall’altro, di ridurre l’onere che le richieste di dati comportano per gli Stati membri.

1.3.

Va ancora migliorata la qualità e l’affidabilità dei dati. Un modo per garantire un’elevata qualità dei dati sarà quello di applicare il codice delle statistiche europee e il quadro di riferimento per la garanzia della qualità del sistema statistico europeo.

2.   Contesto

2.1.

Nel 2000 è stato istituito un quadro dell’UE per la raccolta e la gestione dei dati sulla pesca (1), successivamente riformato e divenuto, nel 2008, il quadro per la raccolta dei dati (DCF) (2). Il DCF ha rappresentato un importante progresso nella fissazione di una serie armonizzata di norme dell’Unione per la raccolta di dati biologici, ambientali, tecnici e socioeconomici sui settori della pesca, dell’acquacoltura e della trasformazione.

2.2.

Nel 2013, al momento dell’adozione del regolamento sulla riforma della Politica Comune della Pesca (3) (PCP) il Consiglio e il Parlamento europeo hanno chiesto alla Commissione di «accelerare l’adozione di una proposta volta a modificare il DCF affinché sia data quanto prima concreta attuazione ai principi e agli obiettivi relativi alla raccolta di dati che sono essenziali per sostenere la politica comune della pesca riformata». La proposta all’esame è intesa a conseguire tale obiettivo attraverso il rafforzamento della cooperazione regionale e l’adeguamento alle nuove esigenze in materia di dati.

2.2.1.

Il DCF deve essere allineato alle esigenze del nuovo regolamento sulla PCP: il graduale raggiungimento del rendimento massimo sostenibile (MSY), l’impatto delle attività di pesca sugli ecosistemi (specie protette, habitat dei fondali marini ecc.), gli impatti ambientali e di altro tipo dell’acquacoltura (illustrati mediante informazioni riguardanti la mortalità/le perdite o l’uso di medicinali) e gli effetti dell’obbligo di sbarco.

2.2.2.

La revisione del DCF dovrebbe inoltre garantire che i dati siano raccolti in base a un’analisi costi/benefici o costi/utilizzo della precisione ottenuta mediante modelli scientifici e del corrispondente livello di rischio. Ad esempio, anziché ogni anno, gli studi potrebbero essere effettuati ogni tre anni. L’analisi dovrebbe essere basata su una discussione tra coloro che sono responsabili della gestione della pesca, coloro che raccolgono i dati e coloro che forniscono i pareri scientifici.

2.3.

La proposta della Commissione mira ad allineare il DCF e altre norme UE rilevanti relative alla raccolta di dati sulla pesca, in modo da eliminare le sovrapposizioni e ridurre quindi i costi dell’intero sistema di dati marini. Non si è ritenuto necessario procedere a una valutazione d’impatto specifica, in considerazione del fatto che il DCF ha già formato oggetto della valutazione d’impatto relativa alla PCP, dal momento che era chiara l’intenzione che il DCF ne facesse parte.

3.   Osservazioni

3.1.

Il DCF è eccessivamente complesso, sia per quanto riguarda il quadro giuridico sia dal punto di vista delle modalità di attuazione. Una fonte di complessità e di inefficienza è costituita dalla duplicazione tra i requisiti in materia di dati previsti dal DCF e da altre normative dell’UE, quali il regolamento sul controllo della pesca (4) e i regolamenti specifici in materia di statistiche (5). Un’altra è rappresentata dal fatto di dover trasmettere i medesimi dati grezzi aggregati in modo diverso a vari utilizzatori finali.

3.2.

Il quadro giuridico del DCF è troppo prescrittivo e particolareggiato e si traduce in un sistema poco maneggevole e poco capace di adeguarsi alle nuove esigenze. È pertanto opportuno coinvolgere gli utilizzatori finali nell’elaborazione dei requisiti in materia di dati per assicurare che questi rispondano alle loro necessità.

3.3.

Un ulteriore ambito di interesse è costituito dalla necessità di rafforzare le sinergie con gli obiettivi di altre politiche dell’UE. È soprattutto il caso della Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino (MSFD).

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU L 176 del 15.7.2000, pag. 1.

(2)  GU L 60 del 5.3.2008, pag. 1.

(3)  GU L 354 del 28.12.2013, pag. 22.

(4)  GU L 343 del 22.12.2009, pag. 1.

(5)  GU L 218 del 13.8.2008, pag. 1.

GU L 403 del 30.12.2006, pag. 1.

GU L 87 del 31.3.2009, pag. 1.

GU L 87 del 31.3.2009, pag. 42.

GU L 87 del 31.3.2009, pag. 70.

GU L 97 del 9.4.2008, pag. 13.


15.1.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 13/203


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1829/2003 per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare l’uso di alimenti e mangimi geneticamente modificati sul loro territorio»

(programma evolutivo)

[COM(2015) 177 final — 2015/0093 (COD)]

(2016/C 013/30)

Relatore:

José María ESPUNY MOYANO

Correlatore:

Martin SIECKER

Il Parlamento europeo, in data 30 aprile 2015, e il Consiglio, in data 17 giugno 2015, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 114 e 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1829/2003 per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare l’uso di alimenti e mangimi geneticamente modificati sul loro territorio (programma evolutivo)»

[COM(2015) 177 final — 2015/0093 (COD)].

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2015.

Alla sua 510a sessione plenaria, dei giorni 16 e 17 settembre (seduta del 16 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 6 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore l’intenzione della Commissione europea di affrontare una questione che suscita grande interesse tra i settori produttivi e nell’opinione pubblica in generale e

1.2.

si rallegra che la Commissione adempia al suo mandato di trovare delle soluzioni per correggere un sistema di approvazione delle colture OGM che si è rivelato inadeguato alla prova dei fatti.

1.3.

Secondo il CESE, alla proposta di regolamento fanno difetto una maggiore attenzione ad aspetti fondamentali come la tracciabilità e la coerenza legislativa tra il settore dei prodotti alimentari per consumo umano e quello dei mangimi, nonché una relazione sull’impatto socioeconomico delle proposte.

1.4.

Il CESE nutre inoltre delle riserve sulla reale possibilità di attuare questa normativa nel mercato unico, oltre che su aspetti di natura giuridica; non bisogna poi dimenticare che, oltre a tali questioni giuridiche, esiste un problema di percezione pubblica e di natura politica.

1.5.

Il CESE raccomanda pertanto alla Commissione europea di ritirare la proposta attualmente presentata e di elaborarne una versione migliorata che tenga conto delle carenze segnalate dal presente parere e da altri pareri simili del Parlamento europeo.

2.   Contesto

2.1.

Le colture biotecnologiche (organismi geneticamente modificati — OGM) hanno iniziato a svilupparsi a livello mondiale nel 1996. Da allora, la superficie ad esse destinata non ha cessato di aumentare a un ritmo sostenuto del 3 o 4 % l’anno. Tra il 2013 e il 2014 la superficie con colture biotecnologiche è aumentata di 6,3 milioni di ettari, arrivando a un totale di 181 milioni di ettari coltivati da più di 18 milioni di agricoltori in 28 paesi. Le maggiori estensioni si trovano negli Stati Uniti, in Brasile e in Argentina, ma anche in alcuni paesi in via di sviluppo, come il Burkina Faso, il Sudan o il Bangladesh, esistono superfici coltivate di notevoli dimensioni. Le produzioni agricole principali sono mais, soia e cotone, sebbene si coltivino anche altre piante, come melanzane, pomodori e peperoni.

2.2.

Nell’Unione europea gli OGM sono coltivati in cinque paesi (Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia e Spagna) su una superficie totale di circa 148 000 ettari (di cui 137 000 ettari in Spagna, 8 000 ettari in Portogallo, 2 500 ettari in Repubblica ceca, 800 ettari in Romania e 100 ettari in Slovacchia (dati del 2013) (1).

2.3.

Da più di un decennio prescrizioni normative impongono di informare costantemente, nelle etichette dei prodotti alimentari e dei mangimi, sull’eventuale presenza di OGM. Attualmente, tra l’85 e il 90 % dei mangimi industriali prodotti nell’UE sono etichettati come OGM o contenenti OGM, e questo è dovuto al fatto che le materie prime di origine OGM che sono utilizzate nella preparazione dei mangimi sono quantitativamente importanti; questo vale sia per le materie prime importate che per quelle prodotte nell’UE, che rappresentano mediamente il 20-25 % della composizione totale dei mangimi industriali. Questa proposta, se è accolta, può avere gravi ripercussioni sulla domanda di prodotti alimentari e mangimi nell’UE. L’effetto che questo può avere sull’agricoltura europea e quindi sulla PAC deve essere analizzato in modo approfondito. La legislazione dell’UE volta a garantire la corretta tracciabilità della presenza di OGM nei prodotti alimentari e nei mangimi dovrebbe essere estesa per segnalare anche nelle etichette di tali prodotti l’assenza di OGM quando essi siano realmente prodotti non contenenti OGM.

2.4.

Tuttavia, nella legislazione europea relativa agli alimenti per consumo umano, non è stato compiuto uno sforzo simile in rapporto alla tracciabilità, cosa di cui il CESE si rammarica e su cui vuole richiamare l’attenzione.

3.   Quadro normativo vigente

3.1.

Dall’entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio (2), in seno al Consiglio non è stata mai raggiunta una maggioranza qualificata che fosse favorevole o contraria a un progetto di decisione della Commissione teso ad autorizzare gli OGM o gli alimenti e i mangimi che contengano OGM. In nessuna delle fasi amministrative della procedura è mai stato espresso un parere. Le decisioni di autorizzazione sono state, pertanto, adottate dalla Commissione, conformemente alla legislazione applicabile, ma senza il sostegno degli Stati membri.

3.2.

Il rinvio del dossier alla Commissione per l’adozione di una decisione finale è diventato la norma, mentre dovrebbe essere soltanto un’eccezione.

3.3.

In assenza di una maggioranza qualificata a livello degli Stati membri, la Commissione, in quanto responsabile della gestione dei rischi, deve adottare una decisione (con la quale concede o rifiuta l’autorizzazione) in un arco di tempo ragionevole.

4.   Proposta della Commissione

4.1.

La proposta della Commissione consiste nell’aggiunta di un nuovo articolo 34 bis al regolamento (CE) n. 1829/2003. Secondo questo articolo, gli Stati membri possono adottare misure per limitare o vietare l’uso di OGM a condizione che tali misure:

siano motivate e basate su fattori imperativi conformi al diritto dell’Unione e in nessun caso contrastino con la valutazione del rischio effettuata, e

siano proporzionali e non discriminatorie.

4.2.

Lo Stato membro che intende adottare misure sulla base del nuovo regime deve trasmettere alla Commissione il progetto di tali misure, nonché la corrispondente giustificazione.

4.3.

Le misure adottate non pregiudicano l’uso di alimenti e mangimi contenenti una presenza accidentale o tecnicamente inevitabile.

4.4.

Tali misure non sono applicabili agli OGM destinati alla coltivazione.

4.4.1.

Tuttavia, una procedura simile è già stata recentemente adottata con la direttiva (UE) 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio (3), per mezzo della quale agli Stati membri è concessa una maggiore libertà per decidere se limitare o vietare la coltivazione di OGM nel loro territorio. La proposta della Commissione in esame punta ora a creare una procedura simile per gli alimenti e mangimi geneticamente modificati che sia coerente con la soluzione recentemente approvata per la coltivazione degli OGM.

5.   Considerazioni preliminari

5.1.

La questione degli OGM è oggetto di forti controversie e determina ferventi prese di posizione sia a favore che contro. Per questo motivo il presente parere sarà strettamente limitato ai «vantaggi» e agli «svantaggi» della proposta, senza procedere a una valutazione generale sulla «bontà» o «nocività» degli OGM, già realizzata dal Comitato in precedenti occasioni (4).

6.   A favore della proposta della Commissione — Motivazioni

6.1.    Riequilibrio delle competenze nazionali e di quelle dell’Unione europea

6.1.1.

È risaputo che le limitazioni operative e di bilancio dell’attuale politica agricola comune spingono molti paesi a mettere in discussione le competenze attribuite dai trattati in questo settore, con la conseguenza di un logorio politico delle istituzioni europee.

6.1.2.

D’altro canto, alcuni Stati membri che non sono beneficiari «naturali» della PAC spesso criticano l’ingente bilancio destinato a questa politica comune, come ad altre politiche comuni del terzo pilastro. Questa opposizione di natura politica può contare su un crescente appoggio in certi Stati membri, e questa situazione non può essere ignorata né dal legislatore né dal CESE.

6.1.3.

La proposta della Commissione rappresenterebbe, in pratica, una restituzione di poteri, soddisfacendo così l’aspirazione di alcuni Stati membri (e della relativa opinione pubblica) di riequilibrare le competenze nazionali e quelle dell’Unione, soprattutto in un settore nel quale è ancora permesso l’esercizio di competenze nazionali (per quanto riguarda la coltivazione di OGM).

6.2.

Le garanzie legali e le clausole di salvaguardia contenute nella proposta tese a evitare abusi da parte degli Stati membri

6.2.1.

Poiché gli Stati membri devono giustificare, caso per caso, le misure che intendono adottare, queste non possono essere arbitrarie e, inoltre, devono essere compatibili con i trattati, in particolare ed espressamente, con i principi del mercato interno e con gli obblighi internazionali dell’Unione.

6.2.2.

Queste garanzie, assieme al principio di responsabilità della pubblica amministrazione che è tipico delle amministrazioni nazionali moderne, dovrebbero garantire che le decisioni di esclusione vengano prese in modo eccezionale e proporzionato.

6.3.    Superamento di un’anomalia nella prassi giuridica dell’Unione

6.3.1.

Come afferma la Commissione nel contesto della proposta, il regolamento (CE) n. 1829/2003 non è mai stato pienamente rispettato, a causa sia delle posizioni nazionali non giustificate su un piano scientifico che dell’anomalia giuridica rappresentata dal fatto che le decisioni sono prese direttamente dalla Commissione (procedura di comitato).

6.3.2.

Questa situazione, che costituisce una vera eccezione nel quadro regolamentare europeo, verrebbe limitata qualora la proposta fosse adottata nei termini prospettati dalla Commissione. Pertanto, quegli Stati membri che finora puntavano sulla mancata presa di decisioni, oppure su un’opposizione sistematica alla formazione di una maggioranza sufficiente di paesi, potrebbero non ritenere più necessario opporsi politicamente in seno al Consiglio se, a livello nazionale, dispongono di altri strumenti per opporsi o per togliere efficacia sul loro territorio alle decisioni del Consiglio in questa materia.

6.4.    Esecuzione di un mandato

6.4.1.

Nell’elaborare la proposta che modifica il regolamento (CE) n. 1829/2003, la Commissione esegue puntualmente il mandato ricevuto di presentare una proposta che superi i limiti del quadro normativo in vigore per l’autorizzazione di alimenti e mangimi con OGM. In questo senso, la proposta della Commissione è necessaria e opportuna.

7.   Contro la proposta della Commissione — Motivazioni

7.1.    Opposizione generale di tutti i settori interessati

7.1.1.

La proposta della Commissione ha suscitato un’opposizione generale, ampiamente riportata dai mezzi d’informazione, da parte non solo dei settori che si sono dichiarati favorevoli all’uso di OGM negli alimenti e nei mangimi, ma anche di tutti coloro che si sono solitamente opposti al loro utilizzo. Significativamente, vanno sottolineate le critiche che la commissione Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare del Parlamento europeo ha rivolto pubblicamente alla proposta della Commissione, la cui richiesta di ritiro sarà ufficialmente messa ai voti ad ottobre (5).

7.1.2.

Le forti riserve espresse dai settori interessati, anche da punti di vista differenti e persino in conflitto tra loro, alimenteranno inevitabilmente un difficile dibattito parlamentare, dai risultati incerti, che la prudenza suggerisce di evitare, sottoponendo nuovamente la proposta a una valutazione più ponderata.

7.2.    Rischio dell’assenza di trasparenza nel processo di assunzione delle decisioni a livello nazionale

7.2.1.

La Commissione dispone di un sistema comune di valutazione dei rischi legati agli OGM, secondo quanto previsto dalla direttiva (UE) 2015/412. Tuttavia, la possibilità concessa agli Stati membri di limitare le valutazioni dei rischi e le autorizzazioni UE per motivi nazionali (senza prevedere un sistema obbligatorio e trasparente di informazioni pubbliche sulle ragioni e motivazioni che spingono gli Stati membri a optare per le clausole di esclusione) può essere in seria contraddizione con l’impegno di prendere decisioni in modo trasparente, impegno che costituisce un’esigenza prioritaria secondo gli orientamenti politici della Commissione Juncker che sono stati pubblicati. Sarebbe pertanto prudente introdurre nella regolamentazione l’obbligo di creare questi sistemi nazionali di informazione pubblica e assicurarne la trasparenza e il libero accesso.

7.3.    Rischio della mancanza di prevedibilità

7.3.1.

Se approvata nei termini attuali, la proposta della Commissione potrebbe condurre a una situazione anomala, in quanto decisioni pubbliche prese in applicazione di criteri scientifici e a livello europeo potrebbero avere effetti giuridici ed economici differenti nei vari Stati membri. Questo fatto potrebbe minare la prevedibilità e credibilità delle decisioni dell’UE.

7.3.2.

Manca una valutazione dell’impatto socioeconomico della proposta, con una descrizione dettagliata non solo delle ripercussioni — in termini di costi — sulla filiera alimentare, sulle colture e sull’approvvigionamento di materie prime, ma anche delle eventuali distorsioni di mercato.

7.3.3.

Non sono previsti strumenti per garantire la tracciabilità degli OGM sull’etichetta degli alimenti destinati al consumo umano.

7.4.    Rischio di distorsioni commerciali internazionali

7.4.1.

Benché la proposta della Commissione imponga il rispetto degli obblighi internazionali dell’Unione, la normativa non prevede limiti specifici e definiti alle azioni degli Stati membri («opt-out») che possono essere in contraddizione con tali obblighi, né stabilisce meccanismi che permettano alle istituzioni dell’UE di ribaltare queste decisioni nazionali in caso di inosservanza di tale principio in rapporto agli obblighi internazionali. Va notato che i partner commerciali dell’Unione, in particolare gli Stati Uniti, hanno espresso pubblicamente le loro riserve in merito alla normativa proposta, subordinando persino la conclusione di negoziati commerciali di alto livello (TTIP) al superamento di queste riserve.

7.4.2.

Gli accordi internazionali che potrebbero risentire o essere limitati dall’eventuale applicazione della proposta, giacché questa potrebbe creare distorsioni equivalenti a barriere al commercio internazionale, contemplano gli obblighi generici dell’OMC, oppure alcune disposizioni come il sistema di preferenze generalizzate (SPG) per i paesi in via di sviluppo (PVS) e anche l’iniziativa «Tutto tranne le armi».

7.5.    Dubbi sulla conformità ai principi della libera circolazione

7.5.1.

La proposta della Commissione fa riferimento alla necessità di rispettare i principi del mercato interno, che non dovrebbe subire alterazioni per effetto delle misure nazionali adottate in base a questa proposta, soprattutto quando è prevedibile che — in pratica — territori differenti dell’Unione applicheranno disposizioni diverse in materia di coltivazione, commercializzazione e trasporto intra-UE.

7.5.2.

Tuttavia, la mancata determinazione esaustiva dei motivi che giustificherebbero l’adozione di clausole di esclusione (assenza di un elenco positivo o negativo), nonché la mancata previsione di meccanismi giuridici per la sospensione delle misure nazionali che potrebbero essere considerate abusive, non sufficientemente giustificate o discriminatorie, creano un chiaro rischio di incertezza giuridica.

7.5.3.

Tale incertezza giuridica potrebbe essere risolta solo innanzi la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la conseguenza di sottoporre inutilmente a procedure giuridiche il lavoro amministrativo degli Stati membri e di generare potenziali ritardi e sovraccosti.

7.5.4.

Quest’ultima argomentazione è quella che solleva le maggiori perplessità sull’opportunità e sull’adeguatezza della proposta della Commissione, così come è stata presentata.

Bruxelles, 16 settembre 2015

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  http://ec.europa.eu/food/plant/docs/plant_gmo_report_studies_report_2013_mon_810_en.pdf

(2)  GU L 268 del 18.10.2003, pag. 1.

(3)  GU L 68, del 13.3.2015, pag. 1.

(4)  GU C 68 del 6.3.2012, pag. 56.

(5)  http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2014_2019/documents/envi/pr/1065/1065989/1065989it.pdf