ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 251

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

58° anno
31 luglio 2015


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

505a sessione plenaria del CESE dei giorni 18 e 19 febbraio 2015

2015/C 251/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di mappatura delle strategie macroregionali in Europa (parere d’iniziativa)

1

2015/C 251/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo delle banche cooperative e delle casse di risparmio nella coesione territoriale — proposte per un quadro di regolamentazione finanziaria adattato (parere d’iniziativa)

7

2015/C 251/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Liberare l’UE dall’amianto

13

2015/C 251/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I progressi compiuti nell’attuazione della strategia Europa 2020 e i modi di conseguirne gli obiettivi entro il 2020 (parere esplorativo richiesto dalla presidenza lettone dell’UE)

19


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

505a sessione plenaria del CESE dei giorni 18 e 19 febbraio 2015

2015/C 251/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo relativa alla strategia e al piano d’azione dell’UE per la gestione dei rischi doganali: affrontare i rischi, rafforzare la sicurezza della catena di approvvigionamento e agevolare gli scambiCOM(2014) 527 final

25

2015/C 251/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle prescrizioni in materia di limiti di emissione e di omologazione per i motori a combustione interna destinati alle macchine mobili non stradaliCOM(2014) 581 final — 2014/0268 (COD)

31

2015/C 251/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’operato delle autorità europee di vigilanza (AEV) e del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF)COM(2014) 509 final e alla Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla finalità e l’organizzazione del Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS)COM(2014) 508 final

33

2015/C 251/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde Sfruttare al meglio il know-how tradizionale dell'Europa: una possibile estensione della protezione delle indicazioni geografiche dell'Unione europea ai prodotti non agricoli[COM(2014) 469 final]

39

2015/C 251/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Analisi annuale della crescita 2015COM(2014) 902 final

44


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

505a sessione plenaria del CESE dei giorni 18 e 19 febbraio 2015

31.7.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 251/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di mappatura delle strategie macroregionali in Europa»

(parere d’iniziativa)

(2015/C 251/01)

Relatore:

Etele BARÁTH

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 febbraio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema

«Proposta di mappatura delle strategie macroregionali in Europa».

La sezione specializzata unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 febbraio 2015.

Alla sua 505a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 febbraio 2015 (seduta del 18 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 166 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

Introduzione

Le risposte fornite finora dall’Europa alla crisi generale che ha fatto seguito alla crisi finanziaria sono state insufficienti. Numerose analisi sottolineano che le decisioni sono state eccessivamente incentrate sul settore finanziario e che il carattere estremamente gerarchico del meccanismo decisionale dell’UE impedisce di adottare le misure necessarie per allentare le tensioni sociali. Si osserva una considerevole disparità tra gli obiettivi e i piani di azione della strategia Europa 2020, intesi a sostenere lo sviluppo a lungo termine dell’UE, e le risorse disponibili. Il rafforzamento della coerenza tra le differenti misure di politica economica ha assunto un’importanza capitale.

Anche se alcuni paesi dell’Europa centrorientale hanno recuperato il loro ritardo, si è accentuato lo scarto fra altri Stati membri in materia sia di produzione economica che di reddito e di tenore di vita. Alcune specificità regionali non hanno fatto altro che rafforzare questo fenomeno, e in certe regioni si sono già manifestate tensioni insostenibili.

Sia la trasformazione della politica sociale necessaria per uscire dalla crisi che gli obiettivi e i programmi rinnovati della politica di coesione evidenziano la necessità di mettere l’accento sulla dimensione territoriale delle politiche europee.

Ciò è stato riconosciuto dalla nuova Commissione europea quando ha varato il programma Un nuovo inizio per la crescita economica, l’occupazione e il miglioramento delle condizioni di vita. Il programma della Commissione europea per il periodo 2015-2017, che prevede un aumento significativo delle risorse per gli investimenti e lo sviluppo e la riduzione degli ostacoli giuridici e organizzativi, rappresenta una nuova opportunità e responsabilità anche per le strategie macroregionali. Il fatto che le dieci priorità definite nel programma di lavoro rafforzano direttamente o indirettamente l’interconnessione reciproca e lo sviluppo congiunto delle macroregioni europee rappresenta uno strumento per la ridefinizione del ruolo delle politica macroregionale, nonché della collocazione e della fattibilità delle strategie.

Una pratica di governance di nuovo tipo, imperniata sullo sviluppo, fortemente decentrata, caratterizzata da un più sistematico coinvolgimento degli interlocutori economici e sociali, e che tenga conto delle strategie macroregionali, potrebbe fornire un importante contributo al rilancio della crescita e all’aumento dell’efficacia e dell’efficienza degli investimenti (1).

Attraverso una governance rinnovata, le strategie macroregionali possono essere un eccellente strumento per accelerare il processo di sviluppo, rafforzare la coesione territoriale e favorire l’attuazione della strategia Europa 2020, salvaguardando al tempo stesso il patrimonio ambientale, che riveste un’importanza non minore. I tre «no» non costituiscono più un ostacolo: il quadro finanziario pluriennale 2014-2020 offre delle possibilità di bilancio, il quadro strategico comune stabilisce le regole e nella pratica si è sviluppato un piccolo meccanismo di gestione.

Con il presente parere di iniziativa il CESE intende attuare quanto deciso nella plenaria dell’autunno 2013, analizzare l’impatto delle strategie macroregionali in Europa, in particolare dal punto di vista della società civile, e avanzare proposte per l’integrazione della strategia macroregionale nella politica europea di sviluppo.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo, avendo esaminato la situazione delle strategie macroregionali nonché i pareri e le proposte in materia (2), è giunto alla conclusione che i risultati ottenuti dimostrano chiaramente la necessità di sviluppare le strategie macroregionali a livello europeo. Le macroregioni non devono dividere ma unire.

1.2.

Il CESE raccomanda al Consiglio europeo di prendere posizione in favore di un’integrazione della politica macroregionale nella struttura di governance dell’Unione e di chiedere l’elaborazione di orientamenti validi per l’intero territorio dell’UE in vista della preparazione di una strategia di sviluppo macroregionale finalizzata allo sviluppo economico e sociale.

1.3.

Il CESE ritiene che le strategie macroregionali rivestano un ruolo sempre più importante per il futuro dell’UE. I programmi macroregionali già in vigore:

hanno contribuito, sul piano politico, a far emergere un livello europeo intermedio, attualmente inesistente, in grado di ravvicinare punti di vista federalisti e nazionali diametralmente opposti,

come strumento di governance fondato sulla cooperazione orizzontale, hanno apportato una soluzione al problema dell’eccessiva concentrazione gerarchica e burocratica,

hanno contribuito a coinvolgere sistematicamente la sfera civile, e in particolare le parti economiche e sociali, nell’intero processo di elaborazione e di attuazione delle strategie.

1.4.

Le strategie macroregionali possono contribuire a migliorare la competitività economica, ad aumentare il prodotto interno lordo — cosa alquanto auspicabile — e, al di là di ciò, ad accrescere il valore aggiunto europeo. Grazie al monitoraggio basato su una banca dati appropriata, all’applicazione del principio di partenariato e alla valutazione comparativa fondata sulle esperienze, esse si sono dimostrate una politica efficace. Pertanto:

1.4.1.

si potrebbe evidenziare meglio, nel quadro del semestre europeo, l’attuazione degli obiettivi di Europa 2020 a livello territoriale;

1.4.2.

nel quadro della valutazione intermedia degli obiettivi e dei risultati generali e settoriali della strategia Europa 2020 è possibile integrare, in un’ottica di efficacia, gli elementi ambientali e urbanistici di sviluppo delle cooperazioni macroregionali previsti nei vari «accordi di partenariato»;

1.4.3.

sulla base degli 11 obiettivi strategici della politica di coesione previsti per il periodo 2014-2020, il rafforzamento del contesto macroregionale delle misure previste dai programmi operativi ne garantirebbe il valore aggiunto, l’efficacia e l’efficienza a livello europeo;

1.4.4.

il contesto macroregionale dei programmi di cooperazione territoriale previsti nel quadro del programma urbano e relativi alla rete dei centri urbani dell’UE potrà favorire l’integrazione socioculturale e la realizzazione delle condizioni necessarie per il soddisfacimento delle esigenze sociali;

1.4.5.

verrà creato un nuovo strumento macroregionale per la tutela dell’ambiente e lo sfruttamento sostenibile delle risorse.

1.5.

Il CESE raccomanda di rafforzare la struttura di governance a livello europeo, coinvolgendo la società civile e le amministrazioni territoriali e urbane in tutte le fasi del processo decisionale, a fianco del gruppo di coordinamento ad alto livello composto da rappresentanti dei 28 Stati membri e responsabile della gestione macroregionale.

2.   Discussione

2.1.

L’esperienza mostra, e le analisi della Commissione lo confermano, che le strategie macroregionali creano un valore aggiunto europeo per quanto riguarda:

il rafforzamento dell’identità europea e regionale,

la pianificazione e l’attuazione delle strategie europee,

l’utilizzazione coordinata delle risorse.

2.2.

Le strategie macroregionali offrono nuovi strumenti, che rispondono a un’esigenza fortemente sentita, dato che:

le risposte date alla crisi non sono complesse, e occorre quindi trovare un equilibrio tra i differenti aspetti territoriali e sociali,

le elezioni del Parlamento europeo hanno mostrato che le relazioni tra l’UE e la società civile continuano a essere problematiche,

si impone una riforma del sistema istituzionale dell’UE (ad esempio per quanto riguarda democratizzazione e decentramento, rafforzamento delle strutture orizzontali, efficacia ed efficienza nell’attuazione delle politiche e partenariato socioeconomico).

2.3.

Le strategie macroregionali sono attuali in quanto:

le elezioni hanno dato luogo alla formazione di una nuova Commissione, che ha definito nuove priorità e i cui obiettivi di fondo, in particolare la creazione di posti di lavoro, il rafforzamento della crescita e l’efficacia degli investimenti previsti dalle imprese, dipendono in larga misura dalle capacità di adeguamento regionale,

è in preparazione la revisione intermedia della strategia Europa 2020, e nel 2015 dovrebbero essere adottati gli orientamenti riveduti, che dovrebbero prevedere, tra l’altro, il rafforzamento dell’approccio macroregionale,

si constata che le strategie macroregionali già adottate e in corso di attuazione (regione danubiana, regione del Baltico) hanno messo in luce nuove risorse dal punto di vista sia della governance che del valore aggiunto europeo, ad esempio nel campo della salvaguardia dell’ambiente (mari) e della prevenzione delle catastrofi (protezione dalle inondazioni), nonché in alcuni settori e campi di cooperazione economica, come il turismo e i settori sensibili all’innovazione,

le iniziative della Commissione (Adriatico, Alpi) si estendono nello spazio e rendono ancor più necessario, per gli Stati membri e le regioni, pianificare i collegamenti macroregionali (con particolare attenzione per il coinvolgimento dei paesi terzi nella cooperazione),

le possibilità di cooperazione macroregionale (regione mediterranea, costa atlantica) dimostrate dalla sfera socioeconomica sono indice di un’evoluzione significativa anche nell’ambito politico, che ha contribuito in misura rilevante al coordinamento delle strategie marittime e di quelle per la terraferma,

le cooperazioni macroregionali di carattere storico si rafforzano lungo le grandi infrastrutture transfrontaliere e lineari, in particolare grazie allo sviluppo degli assi macroregionali del meccanismo per collegare l’Europa,

negli accordi di partenariato relativi al periodo di programmazione 2014-2020 è divenuto obbligatorio dimostrare la presenza di un elemento di cooperazione macroregionale.

2.4.

Le strategie macroregionali, orientate per loro natura sullo sviluppo, sono in grado di contribuire in misura significativa al rafforzamento e all’attuazione della politica di sviluppo dell’Unione, più in particolare quando si tratta di iniziative che scaturiscono dalla base. I principali settori (funzioni) che si possono prendere in considerazione sono i seguenti:

attività economica delle piccole e medie imprese,

ricerca, istruzione, insegnamento delle lingue, cooperazione culturale e sanitaria,

cooperazione in materia di energia, difesa dell’ambiente, logistica e servizi pubblici (risorse idriche, acque reflue, rifiuti),

pianificazione comune degli organismi pubblici, delle istituzioni regionali e degli enti locali,

cooperazione in materia di sicurezza e di immigrazione,

misure pratiche per il rafforzamento della concorrenza sul mercato (cooperazione concreta sul mercato del lavoro, per sostenere le PMI o generare fondi per lo sviluppo),

cooperazione nel settore statistico.

Si tratta per la maggior parte di settori nei quali le iniziative di integrazione avviate prevalentemente dal basso sono giustificate, in quanto il ruolo regolatore diretto delle istituzioni europee è marginale.

2.5.

I partecipanti alle strategie macroregionali devono cooperare come soggetti investiti di una responsabilità orizzontale dai loro governi.

2.6.

L’approccio macroregionale riflette, sia nell’ottica che negli strumenti di governance, le direzioni di rinnovamento dell’Unione europea:

la sua governance politica e la sua gestione strategica consentono di coordinare la partecipazione di soggetti di livelli diversi in maniera tale da non necessitare la creazione di nuove istituzioni di grande portata,

tale approccio è in grado di integrare le politiche e i programmi dei differenti livelli (le politiche e i programmi europei, nazionali e di cooperazione territoriale, quelli dei paesi associati o candidati all’adesione, gli strumenti settoriali, finanziari ecc.),

esso coordina gli strumenti politici, strategici e finanziari allo scopo di garantire un’attuazione efficace ed efficiente,

favorisce la soppressione delle frontiere regionali tra le organizzazioni territoriali di gestione e i differenti settori,

infine, garantisce una comprensione chiara del concetto di titolarità nel corso dell’intero processo di definizione e di attuazione della strategia.

2.7.

Per essere efficace, una governance macroregionale deve disporre dei seguenti elementi:

una capacità di pianificazione strategica,

una banca dati affidabile, riferita specificamente al territorio in questione, e capacità di analisi,

un adeguato organismo esecutivo,

un sistema di controllo a vasto raggio, applicato sia alla pianificazione che all’attuazione,

adeguati mezzi di comunicazione,

la necessaria capacità di adattamento,

la necessaria trasparenza delle attività, ai fini del loro controllo.

2.8.

Secondo la definizione delle strategie macroregionali, una macroregione è caratterizzata da quanto segue:

si estende su una zona con caratteristiche geografiche, economiche e culturali comuni,

è confrontata alle stesse sfide e opportunità,

i differenti soggetti che vi sono presenti attuano una cooperazione rafforzata, coordinando le loro risorse per promuovere la coesione territoriale.

2.9.

Nell’attuale pratica europea, due tipi di macroregione corrispondono a tale definizione. Entrambi si caratterizzano per la possibilità di accogliere partecipanti di paesi terzi:

le macroregioni di tipo lineare, essenzialmente legate alle grandi infrastrutture, come quella della regione danubiana o le regioni site lungo i corridoi,

le macroregioni che coprono una vasta area, come la macroregione del Baltico, quella adriatica, quella alpina, quella mediterranea e quella atlantica.

2.10.

Con la creazione dell’Unione, le frontiere storiche dell’Europa sono divenute virtuali dal punto di vista funzionale. La prospettiva macroregionale rende possibile una rielaborazione funzionale della mappa d’Europa. Basandosi sui sistemi macroregionali, i meccanismi di cooperazione aperta rafforzata o in via di rafforzamento riflettono già la condotta politica del XXI secolo, che favorirà, in un’Europa democratica, una cooperazione che si rinnova in favore dell’economia e di una società inclusiva, salvaguardando al tempo stesso l’ambiente.

3.   Osservazioni generali e proposte per ampliare il ruolo delle strategie macroregionali

3.1.

Se si riducono le disparità regionali e se si ha cura di favorire uno sviluppo armonioso, che tenga conto sia delle esigenze sociali che delle condizioni ambientali, è possibile trovare un equilibrio tra, da un lato, le nuove linee di forza delle strategia Europa 2020 e della governance economica e finanziaria e, dall’altro, la concezione «non solo PIL».

3.2.

Le strategie macroregionali contribuiscono a migliorare la coesione territoriale rafforzando i meccanismi di solidarietà. Inoltre, tenendo conto delle particolarità territoriali, è possibile coordinare meglio gli strumenti di sviluppo.

3.3.

Le proposte relative allo sviluppo macroregionale coordinato e i vantaggi economici derivanti dalla cooperazione macroregionale rafforzata contribuiranno ad attirare maggiori investimenti sia nel settore dell’innovazione che in quello — importante — delle capacità di produzione e di approvvigionamento.

3.4.

Le reti e i legami istituzionali ed economici all’interno delle macroregioni possono attenuare considerevolmente gli effetti della crisi legata alla globalizzazione, valorizzando le risorse e contribuendo a ridurre le disparità tra regioni caratterizzate da livelli di sviluppo differenti. Le regioni metropolitane e le altre regioni urbane sviluppate e caratterizzate da una dinamica di sviluppo possono svolgere un ruolo di primo piano nel quadro di questo processo.

3.5.

Le regioni metropolitane, policentriche e organizzate in reti, racchiudono un importante potenziale economico e di innovazione e sono motori della creazione di posti di lavoro, ma comportano anche rischi non trascurabili per l’ambiente. Le strategie macroregionali possono compensare i rischi di cambiamento climatico derivanti dall’addensamento urbano su vasta scala, e pianificarne l’eliminazione.

3.6.

Le strategie macroregionali possono inoltre promuovere lo sviluppo proporzionato dei centri urbani di piccole e medie dimensioni, nonché contribuire a consolidare i legami tra essi e, in tal modo, rafforzare i valori locali e regionali.

3.7.

La politica macroregionale può contribuire alla riduzione dei divari territoriali ed economici adattando i programmi prioritari della strategia Europa 2020 ai differenti contesti regionali.

3.8.

La strategia macroregionale può essere uno strumento adeguato per costituire la massa critica necessaria per combinare i punti di forza economici, sociali e ambientali mettendoli al servizio dello sviluppo. Ciò può rivestire particolare importanza nel quadro dei programmi transnazionali transfrontalieri.

3.9.

Per la loro portata le strategie macroregionali sono in grado di contribuire a uno sviluppo più equo e a costo ragionevole dei servizi di interesse generale, e di promuovere l’accesso all’informazione e alla conoscenza nonché le condizioni della mobilità.

Bruxelles, 18 febbraio 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulla governance delle strategie macroregionali, COM(2014) 284 final.

(2)  Macro-regional areas and strategies, and related horizontal matters. [Pareri del CESE recenti e in preparazione sul tema delle aree e delle strategie macroregionali e delle relative questioni orizzontali — punti chiave].


31.7.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 251/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il ruolo delle banche cooperative e delle casse di risparmio nella coesione territoriale — proposte per un quadro di regolamentazione finanziaria adattato»

(parere d’iniziativa)

(2015/C 251/02)

Relatore:

M. Carlos TRIAS PINTÓ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

«Il ruolo delle banche cooperative e delle casse di risparmio nella coesione territoriale — proposte per un quadro di regolamentazione finanziaria adattato».

La sezione specializzata unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 febbraio 2015.

Alla sua 505a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 febbraio 2015 (seduta del 18 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 153 voti favorevoli, 2 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE ritiene che, nella transizione verso nuovi modelli di attività bancaria (new banking business model) e non bancaria di natura finanziaria, sia indispensabile preservare la «biodiversità» del sistema finanziario, senza che questo implichi arbitrarietà nell’applicazione delle norme (1).

1.2.

Le banche in cui prevale il valore per l’azionista (shareholder’s value o SHV) devono essere complementari, in modo efficiente, alle banche in cui prevale il valore per le parti interessate (stakeholder’s value o STV) attraverso le attività all’ingrosso, al dettaglio e d’investimento. Soltanto in questo modo sarà possibile pervenire a un ecosistema finanziario stabile ed efficace, che contribuisca appieno allo sviluppo dell’economia reale.

1.3.

Il CESE appoggia risolutamente gli sforzi compiuti dalla Commissione europea nel prendere in considerazione nella nuova regolamentazione finanziaria la specificità delle banche cooperative e delle casse di risparmio evitando le conseguenze indesiderate derivanti dall’uniformità nell’applicazione delle norme prudenziali e il possibile eccesso di oneri amministrativi.

1.4.

Ciononostante, il problema principale continua a riguardare l’adeguata applicazione del principio di proporzionalità nella nuova regolamentazione bancaria (specialmente in rapporto alla direttiva sui requisiti patrimoniali — CRD IV, e al regolamento sui requisiti patrimoniali — RRC), che il Comitato di Basilea ha invece proposto di applicare in modo proporzionale, conformemente ai Trattati dell’Unione europea. Questo implica che bisognerebbe applicare i requisiti più stringenti alle banche che operano a livello globale, requisiti rigorosi alle banche paneuropee (che hanno carattere sistemico in Europa) e requisiti più flessibili alle banche nazionali e locali (garantendo un livello adeguato di protezione per il consumatore).

1.5.

Non si tratta qui di concedere gratuitamente privilegi a determinati comparti del settore finanziario. Il CESE ha sempre puntato sulla parità di condizioni e, di conseguenza, sollecita l’utilizzo di parametri oggettivi che giustifichino una regolamentazione specifica per ogni modello di attività. Fondamentalmente, questi parametri sono i risultati economici e finanziari, il contributo all’economia reale, la gestione del rischio e la governance. Il CESE propone alle autorità finanziarie di incentivare gli attori che meglio soddisfino tali condizioni.

1.6.

Se da un lato il CESE intende valorizzare il modello bancario rappresentato dalle banche cooperative e dalle casse di risparmio, dall’altro afferma con forza il suo totale rifiuto di determinati comportamenti del settore finanziario, seguiti anche da alcuni attori di questo settore, e chiede un rafforzamento delle norme deontologiche e dei codici di buona governance per l’insieme del settore finanziario quale conditio sine qua non per recuperare la fiducia perduta.

1.7.

Il CESE sottolinea gli effetti drammatici che il persistere della stagnazione e il rincaro del credito alle PMI e alle famiglie possono avere per il futuro dell’Unione europea. Il Comitato fa proprie inoltre le critiche recentemente rivolte dal Parlamento europeo alla posizione del Comitato di Basilea che ha messo in discussione gli strumenti specifici europei tesi a finanziare le PMI.

1.8.

Se l’Europa vuole affrontare con successo le sfide future ed essere un agente del cambiamento (invece di subirlo in modo passivo), dovrà adottare con urgenza una serie di misure nel settore finanziario che portino all’attuazione effettiva della strategia Europa 2020, degli Atti per il mercato unico I e II, dello Small Business Act, del programma COSME, dell’iniziativa per l’imprenditoria sociale ecc. Il rafforzamento del ruolo delle casse di risparmio e delle banche cooperative nel sistema finanziario europeo sarà determinante per la realizzazione di questi obiettivi.

2.   Le banche cooperative e le casse di risparmio nel contesto finanziario europeo

2.1.

Le casse di risparmio e le banche cooperative hanno storicamente svolto un ruolo chiave nello sviluppo dell’economia, in particolare nel sostenere l’agricoltura, la piccola industria e il commercio. Attualmente esse rappresentano circa il 40 % del settore finanziario dell’Unione europea (in Francia raggiungono il 70 % e in Germania il 60 %), con significative differenze nella loro configurazione da un paese all’altro. Nel caso delle casse di risparmio la concentrazione settoriale in paesi come la Spagna e la Finlandia contrasta con la forte frammentazione della Germania o dell’Austria.

2.2.

In generale l’effetto della ristrutturazione bancaria è un panorama di istituzioni finanziarie più circoscritto, più sano ma anche meno inclusivo, nella misura in cui negli ultimi anni è stato tagliato il flusso di finanziamenti alle PMI e alle famiglie, accompagnando questo taglio con la graduale diminuzione della rete territoriale di agenzie e con la forte riduzione di posti di lavoro. Questo fenomeno può essere intensificato se la banca locale viene espulsa dal mercato.

2.3.

Le banche cooperative e le casse di risparmio, quali modelli di attività bancaria al dettaglio, presentano elementi distintivi molto significativi: il loro legame con il tessuto produttivo locale, il loro radicamento territoriale, la capillarità delle loro reti commerciali, la prossimità alla clientela, il finanziamento di settori specifici, la contiguità agli interessi locali e agli attori sociali, nonché la solidarietà.

2.4.

La configurazione strutturale delle casse di risparmio e delle banche cooperative spinge generalmente questi istituti di credito a possedere strutture patrimoniali sane con un’assunzione di rischi ragionevole, e indirizza i loro processi di investimento e capitalizzazione in linea con le politiche di sviluppo territoriale endogeno.

2.5.

Dal punto di vista concettuale, è opportuno fissare le caratteristiche che differenziano le banche cooperative dalle casse di risparmio:

le banche cooperative sono enti di diritto privato che soddisfano due condizioni: sono società cooperative e, al tempo stesso, sono istituti di credito la cui finalità principale consiste nella prestazione di servizi finanziari ai loro soci/proprietari e clienti. I principi cooperativi su cui è basata la loro governance sono quello di un processo decisionale democratico e quello di partecipazione (una persona, un voto); inoltre, una parte significativa dei loro utili è destinata a fondi di riserva e a fondi sociali con dotazione obbligatoria,

le casse di risparmio sono enti di diritto privato collegati a fondazioni che perseguono essenzialmente due obiettivi: l’attività finanziaria e la finalità sociale. La singolarità del modello consiste nell’assenza di proprietari espliciti, anche se esistono altre configurazioni, come le società di diritto pubblico o le società per azioni. Quando fanno capo a fondazioni, i membri degli organi direttivi sono nominati da un’assemblea generale in cui sono rappresentati gli enti locali e regionali e anche — a seconda dei paesi — i clienti, i soci fondatori e i dipendenti. Gli utili sono accantonati a riserva o destinati a opere sociali.

2.6.

I dati relativi alle banche cooperative sono molto significativi in tempo di crisi: nessuna banca cooperativa è stata oggetto di una procedura concorsuale nell’UE. Esse detengono circa il 20 % della quota di mercato in termini di depositi; in paesi come l’Italia, la Francia, la Germania e i Paesi Bassi finanziano tra il 25 % e il 45 % dei prestiti alle PMI e la loro quota di depositi è aumentata in modo costante nel corso degli ultimi anni, fatto che costituisce un importante segnale di fiducia verso questo tipo di organismi.

2.7.

Dal canto loro, le casse di risparmio hanno mantenuto una forte partecipazione al sistema finanziario dell’UE. Ad esempio, in Germania la loro quota di mercato è del 43 % in termini di depositi e del 39 % sotto il profilo dei prestiti; in Spagna le loro quote di mercato sono rispettivamente del 41 % e 42 %.

2.8.

Anche il Fondo monetario internazionale (2) pone l’accento sul ruolo essenziale delle banche cooperative. Questi istituti, che dipendono in misura minore dalle aspettative degli azionisti, soddisfano in modo affidabile e sicuro le necessità di credito delle PMI e di molti nuclei familiari.

2.9.

Ciononostante, si possono osservare delle eccezioni: alcune casse di risparmio e banche cooperative hanno tralasciato gli obiettivi loro propri, entrando con forza nel mercato delle attività speculative e puntando su espansioni eccessive in altri territori, circostanze che ne hanno minato il prestigio e che sono state il motivo alla base dell’introduzione in alcuni paesi di misure di regolamentazione che per alcuni aspetti hanno snaturato questo modello di banca.

2.10.

In sintesi, il rafforzamento del capitale, il raggiungimento di una dimensione adeguata, il mantenimento del radicamento territoriale e la salvaguardia degli alti livelli di tutela del consumatore devono andare di pari passo con il mantenimento delle caratteristiche di fondo di un modello d’impresa specifico. Il CESE chiede alle istituzioni dell’Unione europea di riconoscere e sostenere questo processo.

3.   Sfide per lo sviluppo dell’attività bancaria al dettaglio

3.1.

Le banche cooperative e le casse di risparmio possiedono le caratteristiche tipiche di un modello di attività bancaria al dettaglio: prossimità alla clientela, radicamento territoriale, cooperazione, finalità sociale ecc. Lo sviluppo delle loro potenzialità è tuttavia condizionato da differenti fattori (3):

la crescente concorrenza ha comportato un taglio progressivo dei margini di intermediazione finanziaria,

la distribuzione multicanale richiede ingenti investimenti nella tecnologia,

dimensioni insufficienti comportano, in taluni casi, la necessità di stringere alleanze strategiche tra istituti o di realizzare fusioni,

i fenomeni di concentrazione non sono privi di rischi e possono implicare diseconomie di scala,

è difficile conciliare la banca di prossimità con la diversificazione geografica sui mercati internazionali.

3.2.

Ciononostante, le banche cooperative e le casse di risparmio continuano a svolgere un ruolo molto importante nel raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 attraverso la loro funzione finanziaria, sociale e territoriale, e la loro attività è integrata dalle forme di finanziamento non bancario (finanziamento collettivo — crowdfunding, capitale di rischio, investitori informali — business angels ecc.) sorte a causa della forte contrazione del credito bancario (credit crunch) e delle ingenti garanzie richieste.

3.3.

Il CESE ritiene che le autorità economiche e finanziarie debbano rafforzare le misure per rendere più facile l’accesso ai fondi da parte delle PMI e per stimolare i finanziamenti a lungo termine, promuovendo la varietà delle forme d’impresa (4) e la ripartizione dei rischi nel settore dei servizi finanziari.

4.   Funzione sociale al servizio delle economie locali

4.1.

Nelle banche cooperative e nelle casse di risparmio la funzione finanziaria e quella sociale sono strettamente intrecciate nel loro sostegno all’obiettivo della coesione territoriale. L’impegno sociale e l’interesse per la comunità sono le caratteristiche più visibili per i cittadini (5).

4.2.

L’avanzo realizzato viene distribuito a vantaggio della cultura, dell’assistenza sociale e sanitaria, dell’istruzione e della ricerca, del patrimonio storico e artistico, della sostenibilità ambientale ecc., e nel caso delle casse di risparmio il dividendo sociale rappresenta svariati miliardi di euro l’anno.

4.3.

Di fronte alla necessità di creare valore per le economie locali, l’approccio del «valore per le parti interessate» (stakeholder’s value) sta acquisendo sempre più importanza. In concreto, la banca sociale facilita l’inclusione finanziaria e la coesione territoriale, promuovendo l’imprenditoria e la realizzazione di progetti di microfinanza e di investimenti socialmente responsabili.

4.4.

La banche cooperative e le casse di risparmio svolgono un ruolo importante quali intermediari degli strumenti e dei programmi dell’UE. Il CESE punta a facilitare la funzione di intermediazione degli strumenti finanziari della Banca europea per gli investimenti (BEI) e del Fondo europeo per gli investimenti (FEI) a favore delle banche cooperative più piccole attraverso la semplificazione dei requisiti amministrativi, un aspetto che è fondamentale per la realizzazione del piano Juncker. È inoltre indispensabile rafforzarne il ruolo nell’attuazione dell’iniziativa per l’imprenditoria sociale.

5.   Effetti della ristrutturazione sul settore dell’attività bancaria a finalità sociale

5.1.

Negli ultimi tempi, le casse di risparmio in Europa sono state sottoposte a un intenso processo di ristrutturazione che ha comportato in alcuni paesi la trasformazione della loro natura di fondazioni.

5.2.

Successivamente, a causa della crisi finanziaria mondiale, sono stati realizzati processi di salvataggio e risanamento, di fusione e acquisizione, di nazionalizzazione e persino di trasformazione dell’assetto proprietario («bancarización») per le casse di risparmio spagnole.

5.3.

I problemi di governance societaria, i maggiori requisiti imposti dalla nuova regolamentazione finanziaria e la necessità di adeguare le dimensioni del settore a un mercato in calo hanno determinato alcuni fenomeni di concentrazione bancaria. Di fronte alle difficoltà d’internazionalizzazione che questi istituti incontrano nel loro sforzo di ingrandirsi, il CESE sottolinea che l’assunzione di rischi è di solito maggiore nei gruppi multinazionali.

5.4.

All’altro estremo, sulla base della relazione del gruppo Liikanen elaborata nel 2012 e per far fronte ai problemi che le banche «troppo grandi per fallire» implicano per le tasche del contribuente, la Commissione ha pubblicato un regolamento sulle misure strutturali volte ad accrescere la resilienza degli istituti di credito dell’UE, un documento in merito al quale il Comitato ha già elaborato un parere (6) che à stato approvato a larga maggioranza.

5.5.

In alcuni articoli di questa proposta di regolamento sono previste eccezioni per i requisiti patrimoniali e i diritti di voto nel caso delle banche cooperative e delle casse di risparmio, in quanto esse possiedono una struttura economica e un assetto proprietario molto specifici.

5.6.

Secondo il CESE, talune norme relative alla separazione tra banca di credito ordinario e banca d’investimento potrebbero snaturare il sistema di funzionamento delle banche locali di dimensioni minori e la loro presenza quotidiana sul territorio a sostegno dell’economia reale e, quindi, potrebbero risultare sproporzionate.

5.7.

Questi cambiamenti non sono senza conseguenze per il cittadino europeo: si traducono in una riduzione della capacità esistente (uffici e personale), con un impatto sui finanziamenti a privati e PMI.

5.8.

In definitiva, secondo il CESE, se non si prevede una certa flessibilità in merito al rispetto dei nuovi requisiti regolamentari, si corre il rischio che le banche cooperative e le casse di risparmio subiscano una trasformazione del loro assetto proprietario («bancarización»), con un loro conseguente snaturamento che provocherebbe la perdita per la società di un grande patrimonio sociale costruito lungo i secoli.

6.   Opzioni strategiche di fronte alle sfide del futuro

6.1.

Le banche cooperative e le casse di risparmio hanno contribuito a fornire stabilità, solvibilità e concorrenza al sistema bancario europeo. Tuttavia, le nuove esigenze di mercato impongono di affrontare le seguenti sfide:

consolidare il modello di banca al dettaglio di prossimità,

approfondire la cooperazione imprenditoriale,

migliorare i sistemi interni di gestione dei rischi,

adattarsi alle nuove misure regolamentari e a quelle in materia di vigilanza e resilienza,

puntellare la professionalità dei quadri direttivi,

rafforzare l’efficienza gestionale,

proteggere il livello di capitale per evitare l’insolvenza,

promuovere la trasparenza e la buona governance societaria.

6.2.

Il capitale relazionale rappresenta un bene immateriale d’importanza fondamentale nell’attività bancaria, e per questo motivo gli istituti finanziari dell’economia sociale devono servirsi delle loro reti di contatto e di appoggio interno. Dal canto loro, le autorità finanziarie devono riconoscere il valore di questi fondi di solidarietà tra banche cooperative al momento di applicare le norme prudenziali.

6.3.

Bisogna inoltre vigilare sui livelli di morosità, sulle situazioni d’incertezza derivanti dai rischi geopolitici e dalle innovazioni tecnologiche (l’Agenda digitale) che prefigurano un nuovo ecosistema per il sistema finanziario in cui andrebbero osservate le future interazioni tra quattro soggetti: la banca tradizionale, i nuovi operatori digitali, l’autorità di regolamentazione e i consumatori.

6.4.

Le banche cooperative e le casse di risparmio devono coniugare il loro punto forte rappresentato dal modello di prossimità (a partire dalla conoscenza diretta delle persone e dall’impegno nei confronti dei progetti della comunità locale) all’utilizzo delle TIC, per sostenere nuove iniziative tese a rilanciare l’economia produttiva.

6.5.

La loro governance societaria va migliorata attraverso la creazione di strutture appropriate per la formazione, la gestione e il controllo dell’attività. In concreto, bisognerà stabilire codici di condotta rigorosi per garantire la professionalità e l’etica nella rappresentanza di interessi differenti negli organi di governance.

6.6.

Il CESE propone di creare un nuovo modello di vigilanza interna per le casse di risparmio e le banche cooperative che tenga conto dei dipendenti, dei rappresentanti delle PMI e di altri gruppi d’interesse.

6.7.

Quale nuova sfida e in risposta alle nuove richieste dei cittadini, bisognerà affrontare la concorrenza non bancaria per poter crescere parallelamente alle piattaforme di finanziamento collettivo (crowdfunding) e agli esempi concreti di consumo collaborativo, oltre che per stringere alleanze con tali piattaforme.

7.   Migliorare la resilienza e la vigilanza delle banche europee

7.1.

Il CESE chiede che i sistemi di regolamentazione e vigilanza finanziaria siano completati, e che gli istituti finanziari vengano dotati della capacità sufficiente per resistere a crisi future.

7.2.

In tale contesto la Commissione europea ha pubblicato un regolamento delegato (7) che disciplina, sulla base di progetti di norme tecniche dell’Autorità bancaria europea, alcuni aspetti connessi ai requisiti in materia di fondi propri, visto che gli strumenti di capitale delle banche cooperative e delle casse di risparmio sono differenti. Assumono una particolare importanza le questioni connesse alla limitazione del rimborso degli strumenti di capitale di livello 1 nel caso delle banche cooperative.

7.3.

Un altro pilastro fondamentale per il completamento dell’unione bancaria è rappresentato dal «meccanismo di vigilanza unico» e dalla gestione del fondo destinato a sostenere i costi di eventuali salvataggi bancari. Il CESE ritiene che questo strumento rafforzerà la risposta delle banche di fronte a crisi future (8).

7.4.

Secondo il CESE, di fronte alla crescente mutualizzazione dei rischi, al momento di determinare il contributo di ogni istituto al futuro Fondo di risoluzione unico, è necessario tener conto del modello di rischio da esso adottato; il Comitato richiama l’attenzione della Commissione sulla necessità di applicare adeguatamente gli indicatori fissati dalla direttiva sul risanamento e la risoluzione degli istituti di credito (9). Il CESE si congratula poi del fatto che si sia presa in considerazione l’appartenenza a un sistema istituzionale di tutela (10).

7.5.

In questo nuovo panorama finanziario, il CESE esige che si dia un vero stimolo alla responsabilità sociale delle imprese, al comportamento etico e alla trasparenza nel mondo finanziario, e reclama uno sforzo educativo da parte degli organi di vigilanza teso a migliorare la cultura finanziaria (11), in particolare per quel che riguarda le forme assunte dall’economia sociale che sono ancora poco conosciute. Al riguardo, è indispensabile assegnare un ruolo di primo piano e una visibilità maggiore alle reti che rappresentano le banche cooperative e le casse di risparmio e altri organismi: l’Associazione europea delle banche cooperative (EACB), la Federazione europea delle banche etiche e alternative (FEBEA) e il Raggruppamento europeo delle casse di risparmio (ESBG).

7.6.

Secondo il CESE, progettare nuovi strumenti finanziari che migliorino l’attuale governance è un fatto molto positivo, però nella loro regolamentazione si deve tener conto della diversità degli attori finanziari coinvolti e dar loro stabilità, oltre a limitare gli oneri per gli istituti finanziari con risorse minori. Si tratta, in definitiva, di legiferare meglio.

8.   Potenziare il modello di banca socialmente responsabile

8.1.

Il recupero del tessuto produttivo, il rafforzamento dell’economia locale e il trattamento dei problemi sociali dovrebbero avere la priorità per l’UE. Per questo motivo il CESE chiede che le istituzioni — riunite in forum di dialogo permanente — potenzino i modelli bancari che permettono il radicamento del sistema finanziario nell’economia reale, apportando stabilità e ricchezza al territorio.

8.2.

La tendenza — derivante dai processi di ristrutturazione — a creare banche sempre più grandi è fonte di preoccupazione per il rischio sistemico che implica. Di conseguenza, il CESE lancia un appello per un ritorno all’attività tradizionale (back to basics) nel quadro di una maggiore differenziazione tra gli istituti che si specializzano come banche di credito ordinario e quelli che associano lo svolgimento dell’attività tradizionale a quella d’investimento. L’esperienza ha dimostrato che la diversità, la dispersione e la ripartizione dei rischi sono fattori positivi per il sistema finanziario europeo.

8.3.

La vitalità e lo sviluppo delle banche cooperative e delle casse di risparmio poggiano sulla gestione democratica e sulla libertà di scegliere in modo responsabile la destinazione degli avanzi d’esercizio. Il potenziamento dell’intermediazione finanziaria al servizio dell’economia reale ne garantisce la continuità nel futuro, in sintonia con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite all’orizzonte del 2015 e la dichiarazione delle Nazioni Unite del 2012 sulle cooperative.

8.4.

Per questo motivo è opportuno riservare un trattamento speciale alle casse di risparmio e alle banche cooperative al momento di applicare le norme prudenziali, tenuto conto del fatto che questi istituti costituiscono il modello di banca chiesto dai cittadini europei, basato su una gestione responsabile e solidale (12) fondata sui principi e valori dell’economia sociale.

Bruxelles, 18 febbraio 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 45.

(2)  Redesigning the Contours of the Future Financial System («Ridefinire il quadro del futuro sistema finanziario»), IMF staff position note, 16 agosto 2010 (SPN/10/10).

(3)  Banco de España: Cooperative and savings banks in Europe: Nature, challenges and perspectives («Banche cooperative e casse di risparmio in Europa: natura, sfide e prospettive»), aprile 2011; Associazione europea delle banche cooperative (EACB): EACB answer to the Green Paper on territorial cohesion turning territorial diversity into strength («Risposta dell’EACB al Libro verde sulla coesione territoriale: fare della diversità territoriale un punto di forza»), febbraio 2009; WSBI-ESBG: 200 years of savings banks: a strong and lasting business model for responsible, regional retail banking («I 200 anni di esistenza delle casse di risparmio: un modello saldo e durevole per un’attività bancaria regionale responsabile»), settembre 2011; CESE: L’economia sociale nell’Unione europea, 2014.

(4)  GU C 318 del 23.12.2009, pag. 22.

(5)  Castelló, E.: El liderazgo social de las cajas de ahorros («La leadership sociale delle casse di risparmio») FUNCAS, Madrid 2005.

(6)  GU C 451 del 16.12.2014, pag. 45.

(7)  Regolamento delegato (UE) n. 241/2014 della Commissione del 7 gennaio 2014.

(8)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 58.

(9)  Cfr. la direttiva 2014/59/UE.

(10)  Cfr. il regolamento delegato (UE) 2015/63 della Commissione.

(11)  GU C 318 del 29.10.2011, pag. 24.

(12)  GU C 100 del 30.4.2009, pag. 84.


31.7.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 251/13


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Liberare l’UE dall’amianto»

(2015/C 251/03)

Relatore:

Aurel Laurenţiu PLOSCEANU

Correlatore:

Enrico GIBELLIERI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 8 luglio 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

«Liberare l’UE dall’amianto».

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 28 gennaio 2015.

Alla sua 505a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 febbraio 2015 (seduta del 18 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 162 voti favorevoli, 5 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La rimozione completa di tutto l’amianto utilizzato e di tutti i prodotti contenenti amianto deve rappresentare un obiettivo prioritario per l’Unione europea. L’elaborazione dei piani d’azione spetta agli Stati membri, ma l’Unione europea dovrebbe svolgere un ruolo di coordinamento. A questo proposito il Comitato economico e sociale europeo (CESE) invita l’UE a collaborare con le parti sociali e altri soggetti interessati a livello europeo, nazionale e regionale per elaborare e condividere piani d’azione destinati alla gestione e rimozione dell’amianto. Tali piani dovrebbero includere i seguenti aspetti: istruzione e informazione, formazione dei dipendenti pubblici, formazione nazionale e internazionale, programmi di finanziamento della rimozione dell’amianto, attività di sensibilizzazione alla rimozione dell’amianto e dei prodotti contenenti amianto (anche da edifici, strutture pubbliche e siti di ex stabilimenti di produzione dell’amianto), pulizia di immobili e costruzione di impianti per la distruzione dell’amianto e del materiale di risulta contenente amianto, monitoraggio dell’efficacia dei requisiti legislativi vigenti, valutazione dell’esposizione del personale a rischio e protezione della salute.

1.2.

Diversi Stati membri hanno istituito registri degli edifici nei quali è presente amianto. Sarebbe quindi opportuno raccomandare agli Stati membri che non l’avessero ancora fatto di istituire tali registri, che consentirebbero di fornire ai lavoratori e ai datori di lavoro informazioni pertinenti sui rischi correlati all’amianto prima dell’avvio di lavori di ristrutturazione, integrando così i requisiti previsti attualmente in materia di tutela della salute e di sicurezza dalla legislazione dell’UE. La registrazione potrebbe iniziare dal livello locale, con le infrastrutture e gli edifici pubblici.

Finora solo la Polonia ha adottato un piano d’azione sostenuto finanziariamente per la rimozione di tutti i materiali ancora esistenti che contengono amianto (1).

1.3.

L’obiettivo è eliminare completamente l’amianto entro la fine del 2032. Prendendo spunto da questo esempio, l’UE dovrebbe incoraggiare gli Stati membri a varare piani d’azione e tabelle di marcia specifici a vari livelli: locale, regionale e nazionale. In questo senso anche la piena attuazione della normativa nazionale ed europea in materia di amianto riveste grande importanza. Un ruolo altrettanto importante per il conseguimento di questo obiettivo può essere svolto, a livello europeo, dal Comitato degli alti responsabili dell’ispettorato del lavoro (CARIP) e, a livello nazionale, dagli ispettorati del lavoro.

1.4.

L’esempio polacco insegna anche che è indispensabile disporre di sufficienti risorse finanziarie pubbliche per la rimozione dell’amianto. Il CESE considera inoltre la rimozione organizzata e strutturata dell’amianto come una forma di promozione dello sviluppo regionale e di miglioramento delle infrastrutture di queste regioni. La Commissione europea dovrebbe valutare la possibilità di aprire in modo esplicito i propri fondi strutturali ai piani di rimozione dell’amianto.

1.5.

Si sollecita la Commissione a realizzare uno studio sugli approcci e sui sistemi nazionali di registrazione dell’amianto esistenti e su come vengono finanziati.

1.6.

La realizzazione di discariche per i rifiuti dell’amianto è una soluzione solo provvisoria del problema, che così viene lasciato alle future generazioni, essendo la fibra di amianto pressoché indistruttibile nel tempo. Il CESE invita pertanto la Commissione a promuovere sistemi per la distruzione dei prodotti contenenti amianto (dispositivi come le torce al plasma, la pirogassificazione ecc.), facendo riferimento alle migliori tecniche disponibili (BAT — Best Available Techniques). Andrebbero sostenute azioni di ricerca e innovazione per attuare tecnologie sostenibili per il trattamento e l’inertizzazione dei rifiuti contenenti amianto, in vista del riciclaggio sicuro, del riutilizzo e della riduzione dello smaltimento in discarica di questi rifiuti. La Commissione dovrebbe prevedere misure efficaci per impedire la pratica pericolosa di conferire i rifiuti dell’amianto nelle discariche previste per i rifiuti edili generici.

1.7.

I finanziamenti dell’UE e gli incentivi degli Stati membri destinati al miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici dovrebbero essere collegati alla rimozione sicura dell’amianto da tali edifici. Nonostante che l’UE abbia messo a punto una politica ambiziosa in materia di efficienza energetica e che, in base alle previsioni, la direttiva riveduta sull’efficienza energetica dovrebbe definire una strategia a lungo termine in ogni Stato membro per la ristrutturazione degli edifici, a tale politica non vengono affiancate strategie di rimozione dell’amianto. È invece vivamente raccomandato di garantire tale affiancamento, nel quadro di una politica coerente dell’UE in grado di integrare gli ambiti d’intervento pertinenti.

Qualsiasi tipo di piano d’azione per la rimozione dell’amianto deve tenere conto delle qualifiche di tutte le parti interessate coinvolte in questo intervento/azione, vale a dire: lavoratori e imprese, coordinatori della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro nonché ispettori del lavoro, consulenti, formatori, datori di lavoro e altri soggetti. Una certificazione delle capacità delle imprese di partecipare a questi piani d’azione è quindi assolutamente necessaria e raccomandata.

1.8.

La rimozione sicura dipende fortemente dal livello di formazione di due categorie di lavoratori: quelli che operano in aziende specializzate e quelli che esercitano una professione o un’attività che li espone accidentalmente all’amianto.

Il CESE invita la Commissione a fornire, di concerto con le autorità nazionali, il necessario sostegno per la realizzazione di azioni e iniziative volte ad assicurare la protezione dell’intera forza lavoro dell’UE, visto che le piccole e medie imprese, che impiegano la maggior parte dei lavoratori europei, sono particolarmente esposte per quanto concerne l’attuazione della legislazione in materia di salute e di sicurezza. A tal fine risulta quindi indispensabile un’efficace azione di formazione.

1.9.

Il CESE invita la Commissione a elaborare, in collaborazione con le parti sociali e altri soggetti pertinenti, programmi e attività di sensibilizzazione incentrati sui rischi derivanti dall’amianto e sulla necessità di una formazione appropriata per tutti i lavoratori che possono entrare in contatto con materiali contenenti amianto, in conformità dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2009/148/CE, nonché a migliorare l’informazione riguardo alla normativa vigente in materia di amianto e a fornire orientamenti pratici su come rispettarla, rivolti anche ai cittadini dell’UE.

1.10.

La legislazione dell’UE dovrebbe anche rispecchiare e adottare i risultati della ricerca medico-scientifica più recenti. Studi condotti ultimamente hanno inoltre dimostrato che il mesotelioma e il cancro del polmone possono insorgere anche a seguito di una bassissima esposizione e dopo un periodo di latenza molto lungo. Il CESE esorta pertanto la Commissione a modificare la raccomandazione 2003/670/CE alla luce dei progressi realizzati dalla ricerca medica e a includervi il cancro della laringe e quello dell’ovaio quali malattie legate all’amianto.

1.11.

Gli Stati membri dovrebbero garantire che tutti i casi di asbestosi, mesotelioma e malattie amianto correlate siano registrati tramite la raccolta sistematica di dati sulle malattie professionali e non professionali legate all’amianto; inoltre dovrebbero classificare e registrare ufficialmente le placche pleuriche come una malattia legata all’amianto e fornire, con l’assistenza di osservatori ad hoc, una mappatura attendibile della presenza di amianto. Il personale medico necessita di una formazione appropriata per poter adempiere al proprio dovere di formulare una diagnosi corretta.

1.12.

Inoltre, le istituzioni dell’UE dovrebbero (contribuire a) diffondere le migliori pratiche in fatto di orientamenti e prassi nazionali concernenti le procedure di riconoscimento delle malattie legate all’amianto.

1.12.1.

In particolare, occorre favorire il ruolo attivo delle vittime in tali procedure di riconoscimento; per poter accedere alle informazioni di cui hanno bisogno e far sentire la propria voce, le vittime dell’amianto devono poter ricevere sostegno giuridico, finanziario e personale. Le associazioni delle vittime dell’amianto devono essere organizzate. In questo modo è possibile alleviare l’onere a carico delle vittime nell’ambito di tali procedure di riconoscimento, che va sempre sommato alla sofferenza personale provocata dalla malattia.

Il CESE pertanto:

chiede agli enti assicurativi e di risarcimento di adottare un approccio comune per il riconoscimento e il risarcimento delle malattie professionali legate all’amianto,

chiede che le procedure di riconoscimento siano semplificate e facilitate,

riconosce che, a causa di periodi di latenza particolarmente lunghi, spesso le vittime dell’amianto non sono in grado di dimostrare il nesso di causalità tra la malattia e l’esposizione professionale all’amianto,

raccomanda alla Commissione di sostenere l’organizzazione di convegni volti a fornire consulenza professionale alle associazioni di vittime dell’amianto e a prestare assistenza ai loro membri.

1.12.2.

Per concludere, il CESE invita la Commissione a collaborare con l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), i paesi terzi e altri organismi internazionali per promuovere in tutto il mondo livelli elevati di salute e di sicurezza sul lavoro, ad esempio identificando i problemi legati all’amianto e incoraggiando soluzioni strumentali alla protezione della salute, nonché per migliorare l’informazione e il sostegno alle vittime di malattie correlate all’amianto.

1.12.3.

Trattandosi di un tema di grande importanza, il CESE/CCMI presenterà questo parere a una conferenza organizzata in collaborazione con il Parlamento europeo, il Comitato delle regioni e la Commissione europea.

2.   Introduzione

2.1.

Nonostante il divieto vigente in tutta Europa (2) (direttiva del 1999 da attuarsi entro il 2005), l’amianto continua a mietere vittime nel nostro continente. Sebbene tutti i tipi di amianto siano pericolosi e le conseguenze pregiudizievoli di tale sostanza siano documentate e regolamentate, e benché il suo utilizzo sia vietato, l’amianto è ancora presente in un gran numero di navi, treni, macchinari, bunker, tunnel, gallerie, tubazioni delle reti idriche pubbliche e private, e soprattutto in tanti edifici, siano essi pubblici o privati.

2.2.

Secondo l’OMS, i casi di malattie legate all’amianto registrati ogni anno nella sola Unione europea sono compresi tra i 20  000 e i 30  000, e si stima che nell’UE più di 3 00  000 cittadini moriranno di mesotelioma entro il 2030 (3). Inoltre si calcola che nel mondo vi siano ogni anno 1 12  000 decessi causati da malattie amianto correlate (4).

2.3.

Il divieto vigente in tutta Europa (5) (direttiva del 1999 da attuarsi entro il 2005) e gli attuali sistemi di vigilanza non sono sufficienti a impedire che l’amianto venga importato nei mercati europei. Il problema riguarda un ampio numero di prodotti, che comprendono materiali da costruzione, elettrodomestici, rivestimenti per i freni delle automobili, thermos ecc. In base al nuovo approccio in materia di vigilanza del mercato europeo (6), l’UE potrebbe avviare azioni contro i prodotti contenenti amianto.

2.4.

A livello dell’UE esiste un ampio corpus legislativo sull’amianto, che regolamenta il divieto, i valori limite e la protezione dei lavoratori. Oltre al divieto dell’uso e della commercializzazione dell’amianto, sono stati fissati dei valori limite, è stata adottata una direttiva specifica che disciplina le condizioni di lavoro (7), e sono state rese obbligatorie la certificazione delle imprese, l’informazione e la formazione dei lavoratori. Le disposizioni dell’UE, tuttavia, sono spesso molto generiche e vengono conseguentemente attuate in maniera divergente. Inoltre mancano, ad esempio, ancora disposizioni specifiche riguardo ai livelli di formazione per le diverse funzioni o alla registrazione delle fonti di amianto.

2.5.

A questo punto va ricordato che una relazione d’iniziativa adottata dal Parlamento europeo nel marzo 2013 (8) descrive dettagliatamente i diversi problemi e ambiti di intervento collegati alla questione dell’amianto ed elenca 62 richieste specifiche rivolte ai responsabili politici europei e nazionali.

2.6.

Oggi dobbiamo prendere atto che il livello di produzione annua di amianto nel mondo resta elevato, sebbene molti Stati ne abbiano vietato l’uso. Il commercio e l’utilizzo di amianto si sono semplicemente spostati dai paesi industrializzati a quelli emergenti. Il commercio fiorente dell’amianto a livello mondiale è accompagnato dall’attività efficace di una lobby internazionale dell’amianto, che per la sua propaganda si avvale anche della ricerca compiacente di alcuni scienziati. A questo proposito va osservato inoltre che a livello europeo proseguono gli investimenti finanziari nelle industrie mondiali dell’amianto; l’Europa continua da parte sua a esportare l’amianto, inviando le proprie navi da demolire in altre parti del mondo. Si noti peraltro che le navi in transito che trasportano amianto continuano ad attraccare e ad utilizzare infrastrutture portuali o depositi temporanei all’interno dell’UE.

2.7.

È essenziale garantire un contesto di parità a livello mondiale per quanto riguarda l’amianto e, a tale proposito, l’UE dovrebbe svolgere un ruolo decisivo nel vietare a livello internazionale qualsiasi utilizzo dell’amianto. A questo proposito l’Europa può offrire ad altre regioni del mondo le proprie conoscenze relative agli effetti dell’amianto sulla salute, alla sua sostituzione con altri materiali e alla sua rimozione sicura. Quello che serve è un più forte impegno dell’UE in seno alle istituzioni internazionali per sperimentare strumenti che consentano di assegnare un marchio di tossicità al mercato dell’amianto e per attribuire la massima priorità all’inclusione dell’amianto crisotilo nell’allegato III della convenzione di Rotterdam (9).

3.   Sviluppi specifici

3.1.

Secondo uno studio pubblicato nel 2011 (10), una parte consistente dell’ambiente edificato nell’UE ha più di 50 anni. Oltre il 40 % degli edifici residenziali è stato costruito prima degli Anni 60 dello scorso secolo. Il settore dell’edilizia ha avuto una forte espansione tra il 1961 e il 1990, periodo durante il quale il patrimonio edilizio, in quasi tutti gli Stati membri, è più che raddoppiato e si è fatto ampio uso dell’amianto.

3.2.

Sempre secondo lo stesso studio, gli edifici consumano circa il 40 % del fabbisogno energetico finale complessivo in Europa, e rappresentano il settore che registra il livello di consumi più elevato, seguito dai trasporti con il 33 %. Allo stesso tempo l’UE si è impegnata a ridurre dell’80-95 % le emissioni di gas a effetto serra entro il 2050, nel quadro della sua tabella di marcia verso un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050 (11).

3.3.

Ciò significa che la ristrutturazione dell’ambiente edificato presenta un duplice vantaggio: da un lato offre notevoli potenzialità di miglioramento del rendimento energetico degli edifici, contribuendo quindi al raggiungimento degli obiettivi della tabella di marcia per il 2050, e dall’altro, rappresenta un’opportunità unica di rimuovere l’amianto.

3.4.

È tuttavia necessario adottare un approccio coordinato e garantire una stretta collaborazione in materia di politiche e regimi di finanziamento a livello sia UE che nazionale. Infine occorrono strumenti finanziari innovativi per incentivare gli investimenti privati.

3.5.

A questo proposito, ci si attende che l’UE svolga un ruolo di sostegno e di coordinamento. Inoltre occorre migliorare il coordinamento in alcuni ambiti specifici come la formazione dei lavoratori, la registrazione e il riconoscimento delle malattie legate all’amianto.

4.   Sviluppi a livello nazionale

4.1.

Nonostante i divieti vigenti, all’interno degli edifici si trovano ancora milioni di tonnellate di amianto e non tutti gli Stati membri hanno ancora istituito un registro dei siti contenenti amianto né dei quantitativi da rimuovere. Manca quindi un punto di partenza adeguato per il corretto smaltimento di tutte le fonti di amianto ancora presenti in Europa.

4.2.

Attualmente la Polonia è l’unico paese dell’UE ad aver adottato un programma nazionale per la rimozione di tutto l’amianto esistente, il cui costo è stimato a circa 10 miliardi di euro fino al 2030, con un calendario chiaramente definito e un apposito finanziamento tramite risorse miste pubbliche (Stato, programmi dell’UE) e private (proprietari, associazioni territoriali ecc.). Questo tipo d’iniziativa va esteso a tutti gli altri Stati membri (12).

4.3.

In Francia si è appurato che 3 milioni di alloggi popolari su un patrimonio di 15 milioni presentano problemi connessi con l’amianto e i costi stimati per i necessari interventi di bonifica ammontano a 15 miliardi di euro. Il costo stimato per unità abitativa oscilla tra i 15  000 e i 20  000 EUR. Gli sviluppi degli interventi di bonifica riguardanti la storica torre di Montparnasse a Parigi meritano di essere seguiti con attenzione.

4.4.

Nel Regno Unito è in corso una campagna per la rimozione dell’amianto da tutte le scuole. Tra i motivi della campagna figura l’aumento dell’incidenza del mesotelioma tra gli insegnanti (13).

4.5.

In Lituania, nel 2012, è stato avviato un programma di sostituzione dei tetti contenenti amianto, attuato dal ministero dell’Agricoltura. Al programma hanno aderito gli abitanti di piccoli centri e il contributo massimo previsto per progetto è di 6  000 LTL (1  740 EUR). L’UE e il bilancio statale finanziano fino al 50 % dei costi complessivi ammissibili per i progetti.

5.   Attività di formazione

5.1.

Uno dei problemi principali riguarda le conoscenze (e la mancanza di conoscenze) sull’amianto. Molti lavoratori svolgono attività che li espongono all’amianto: si tratta in particolare di coloro che operano nei settori della manutenzione e della bonifica, anche se vi sono molte altre categorie potenzialmente interessate (copritetti, elettricisti, istallatori di impianti di riscaldamento, addetti al riciclaggio, coordinatori della salute e sicurezza sul lavoro, ispettori del lavoro ecc.). La legislazione esistente prevede già l’obbligo per i datori di lavoro di fornire una formazione adeguata a tutto il personale esposto o potenzialmente esposto a polveri di amianto o a materiali contenenti amianto. Con il divieto dell’uso di diversi tipi di materiali, si stanno tuttavia progressivamente perdendo le conoscenze relative ai pericoli che essi comportano, nonché alle loro caratteristiche e al loro aspetto. Sebbene molti Stati membri abbiano predisposto corsi di formazione destinati agli addetti ai lavori di demolizione, costruzione e manutenzione e ad altre figure professionali coinvolte nella rimozione dei materiali contenenti amianto, mancano ancora norme adeguate applicabili in tutta Europa.

5.2.

L’integrità fisica è un diritto umano fondamentale, sancito, tra l’altro, nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. E le politiche dell’UE devono essere concepite in maniera da proteggere questo diritto: si tratta soprattutto delle politiche in materia di sanità pubblica e di salute e sicurezza sul lavoro, ma anche di altri settori che si occupano delle possibilità di esposizione all’amianto e delle modalità di trattamento di tale materiale.

5.3.

Un altro aspetto importante sono le conoscenze adeguate di ingegneri civili, architetti e dipendenti delle imprese che non sono specializzate nella rimozione dell’amianto. Il CESE invita la Commissione a istituire, congiuntamente agli Stati membri, un gruppo di lavoro incaricato di definire qualifiche minime specifiche all’amianto, nonché formulare qualifiche specifiche all’amianto per la formazione di tali professionisti/lavoratori.

5.4.

Le parti sociali del settore dell’edilizia a livello europeo (FIEC, Federazione internazionale europea della costruzione, e FELEDL, Federazione europea dei lavoratori edili e del legno) hanno affrontato il problema creando dei moduli d’informazione sull’amianto (14) per la seconda categoria di lavoratori. Un altro progetto finanziato dall’UE (progetto ABClean — Leonardo da Vinci), fuori dall’ambito del dialogo sociale, sta mettendo a punto materiali destinati ai corsi di formazione dei formatori (15).

6.   Conclusioni della miniaudizione

6.1.

Fin troppe persone in Europa soffrono a causa di diverse patologie legate all’amianto. La maggior parte di queste malattie (ma certo non tutte) sono di origine professionale. Le casalinghe che pulivano gli abiti da lavoro dei mariti erano esposte alle fibre di amianto così come lo erano i loro figli. Una campagna condotta nel Regno Unito ha rilevato che circa l’80 % di tutte le scuole è ancora contaminato dall’amianto. Questa situazione può facilmente tradursi in un’altra generazione di vittime dell’amianto, soprattutto alla luce delle ultime ricerche scientifiche concernenti i livelli di esposizione/periodi di latenza e l’insorgenza delle malattie. Infatti anche dosi minime di esposizione, combinate a un lungo periodo di latenza, possono provocare diverse malattie amianto correlate. L’esposizione all’amianto rappresenta quindi una minaccia per l’insieme della popolazione in diversi Stati membri.

6.2.

Inoltre, a causa del periodo di latenza particolarmente prolungato e delle conoscenze parzialmente insufficienti del personale medico, spesso le vittime non ricevono né informazioni né assistenza in maniera tempestiva e adeguata da parte degli addetti ai servizi sanitari.

6.3.

Lo smaltimento sicuro è un aspetto importante di qualunque piano di rimozione: se ignorato, dà luogo a esposizioni impreviste all’amianto. In Svizzera, ad esempio, il tasso di esposizione più elevato è stato registrato nel settore del riciclaggio.

6.4.

Una condizione preliminare per proteggere i cittadini e i lavoratori è l’esistenza di efficienti sistemi di vigilanza del mercato, necessari per impedire l’importazione nei mercati europei di nuovi materiali contenenti amianto.

6.5.

Per quanto riguarda gli effetti letali di tutte le forme di amianto, l’UE si sta muovendo su solide basi comuni. Conformemente alla direttiva 1999/77/CE, «non è ancora stato individuato un livello massimo di esposizione sotto il quale l’amianto crisotilo non presenta rischi cancerogeni» e «un metodo efficace per proteggere la salute umana è di vietare l’uso di fibre di amianto crisotilo e dei prodotti che le contengono».

6.6.

Una malattia amianto correlata può provocare, come spesso succede, una lenta agonia prima della morte. In una relazione di Eurogip (16) e nella relazione dedicata a un progetto congiunto FELEDL, CES (Confederazione europea dei sindacati) e IBAS (International Ban Asbestos Secretariat) è stato fatto il punto della situazione in materia di riconoscimento e risarcimento per le malattie amianto correlate, secondo la normativa vigente negli Stati membri dell’Europa centrale e orientale (17). Sebbene le principali malattie legate all’amianto siano in linea di principio riconosciute nella maggior parte degli Stati membri, troppo spesso le vittime devono continuare a lottare invano per veder riconosciuto il loro stato.

Dalle relazioni sopramenzionate emerge altresì che le disposizioni e le procedure nazionali in materia di riconoscimento e risarcimento differiscono significativamente da un paese all’altro. Spesso il sostegno e l’orientamento di cui hanno bisogno le vittime non esiste.

Bruxelles, 18 febbraio 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Ministero polacco dell’economia, Programma per l’eliminazione dell’amianto in Polonia 2009-2032 — allegato alla risoluzione n. 39/2010 del Consiglio dei ministri del 15 marzo 2010.

(2)  Direttiva 1999/77/CE.

(3)  http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs343/en/

(4)  http://www.efbww.org/pdfs/Presentation%20Mr%20Takala.pdf

(5)  Direttiva 1999/77/CE.

(6)  http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2013:0075:FIN:IT:PDF — COM(2013) 75 final, cfr. in particolare l’articolo12.

(7)  Direttiva 83/477/CEE del 19 settembre 1983, modificata dalla direttiva 91/382/CEE del 25 giugno 1991 e dalla direttiva 98/24/CE del 7 aprile 1998.

(8)  Risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013 intitolata Minacce per la salute sul luogo di lavoro legate all’amianto e prospettive di eliminazione di tutto l’amianto esistente [2012/2065(INI)].

(9)  La convenzione, entrata in vigore il 24 febbraio 2004, persegue i seguenti obiettivi: promuovere la condivisione delle responsabilità e la collaborazione tra le parti nel commercio internazionale di talune sostanze chimiche pericolose al fine di tutelare la salute umana e l’ambiente da potenziali danni; contribuire all’uso ecocompatibile di tali sostanze chimiche pericolose, favorendo lo scambio di informazioni sulle loro caratteristiche, definendo una procedura per l’adozione di decisioni a livello nazionale sulle loro importazioni ed esportazioni e comunicando tali decisioni alle parti. http://www.pic.int/TheConvention/Overview/TextoftheConvention/tabid/1048/language/en-US/Default.aspx

(10)  BPIE (Buildings Performance Institute Europe), Europe’s buildings under the microscope (Edifici d’Europa al microscopio), ottobre 2011.

(11)  Direttiva 2010/31/CE del 17 maggio 2010.

(12)  Allegato alla risoluzione n. 39/2010 del Consiglio dei ministri del 15 marzo 2010.

(13)  http://www.asbestosexposureschools.co.uk/pdfnewslinks/INCREASING%20MESOTHELIOMA%20DEATHS%20AMONGST%20SCHOOL%20STAFF%20AND%20FORMER%20PUPILS%20%2017%20JAN%2015.pdf

(14)  http://www.efbww.org/default.asp?Issue=Asbestos&Language=EN e http://www.fiec.eu/en/library-619/other-publications.aspx

(15)  http://www.abcleanonline.eu/Project.aspx

(16)  http://www.eurogip.fr/en/publications-d-eurogip/130-asbestos-related-occupational-diseases-in-europe-recognition-statistics-specific-systems

(17)  http://www.efbww.org/default.asp?Issue=Asbestos diseases&Language = EN


31.7.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 251/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «I progressi compiuti nell’attuazione della strategia Europa 2020 e i modi di conseguirne gli obiettivi entro il 2020»

(parere esplorativo richiesto dalla presidenza lettone dell’UE)

(2015/C 251/04)

Relatore generale:

BARÁTH

Con lettera del 25 settembre 2014, il ministro degli Affari esteri f.f., nonché ministro dell’Interno, della Repubblica di Lettonia, Rihards Kozlovskis, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

«I progressi compiuti nell’attuazione della strategia Europa 2020 e i modi di conseguirne gli obiettivi entro il 2020».

L’Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 14 ottobre 2014, ha incaricato il comitato direttivo Europa 2020 di preparare i lavori in materia.

Vista l’urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 505a sessione plenaria del 18 e 19 febbraio 2015 (seduta del 19 febbraio), ha nominato Etele BARÁTH relatore generale e ha adottato il seguente parere con 184 voti favorevoli, 5 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) concorda con la presidenza lettone dell’Unione europea nel riconoscere l’importanza fondamentale del riesame della strategia Europa 2020 per il rafforzamento della competitività dell’UE. Il CESE sostiene la connessione diretta tra tale rafforzamento e l’iniziativa faro «Agenda digitale europea» (1), anche riguardo alle enormi implicazioni che ne derivano per l’industria, il mercato del lavoro e la società in generale e che sono state sottovalutate dalla Commissione europea e dal Consiglio. La situazione esige una visione complessiva a medio e lungo termine e un maggior senso di titolarità.

1.2.

Le misure proposte nel presente parere del CESE dovrebbero contribuire a far sì che, entro alcuni anni, la strategia Europa 2020 (e successivamente la strategia Europa 2030) sia messa al centro delle strategie economiche, sociali e territoriali europee di lungo termine, tenendo conto della gamma di situazioni diverse esistenti negli Stati membri.

1.3.

La crisi finanziaria ha avuto un forte impatto sulla realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020, imponendo vincoli e restrizioni in termini di efficacia, adeguatezza e legittimità degli scopi e dei modelli di governance indicati dalla strategia stessa. In generale, l’UE è ora assai più lontana dagli obiettivi della strategia Europa 2020 di quanto non fosse nel 2010. La strategia ha dunque subito le conseguenze della crisi.

1.4.

Informazioni dettagliate sulla situazione attuale sono fornite nell’indagine pubblicata dalla Commissione in merito al riesame intermedio della strategia Europa 2020 nonché nel relativo parere del CESE (2), che contiene una serie di spunti interessanti di cui tener conto ai fini dei cambiamenti da proporre per orientare al futuro la strategia riveduta. Il CESE ha sottolineato in diverse occasioni che l’Europa non ha bisogno di una strategia completamente nuova, bensì di una strategia molto più efficace.

1.5.

La nuova Commissione europea, insediatasi nell’autunno del 2014, ha pubblicato il suo programma di lavoro intitolato Un nuovo inizio per l’Europa  (3).

Il CESE è d’accordo sui tre pilastri di tale programma:

a.

fornire uno stimolo aggiuntivo alla ripresa dell’economia europea e all’occupazione;

b.

rilanciare la competitività a lungo termine in settori strategici;

c.

rafforzare il capitale umano e le infrastrutture fisiche in Europa, puntando sulle interconnessioni europee.

1.6.

Il nuovo programma di lavoro della Commissione riguarda l’attuazione concreta dei dieci orientamenti politici che costituiscono le priorità del suo presidente, Jean-Claude Juncker. Ciò è tanto più importante se si considera che diverse di queste priorità sostengono direttamente l’attuazione della strategia Europa 2020:

a.

un piano d’investimenti per l’Europa (4), la creazione di un nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) con capacità di assunzione di rischio;

b.

un pacchetto di misure ambiziose per realizzare un mercato unico del digitale; e

c.

primi passi verso la creazione di un’Unione europea dell’energia.

1.6.1.

Dev’esservi una visione globale, accompagnata da una strategia per metterla in pratica e da una diffusa attività d’informazione al riguardo. Il CESE è dell’avviso che la strategia Europa 2020 e il piano d’investimenti dovrebbero essere legati assai più strettamente tra loro.

1.6.2.

Il CESE, in un parere attualmente in corso di preparazione (5), esamina in che misura il suddetto piano d’investimenti dovrebbe porre rimedio ai principali difetti della strategia Europa 2020, e i nuovi strumenti finanziari dovrebbero accrescere la possibilità di attuarne gli obiettivi.

1.6.3.

Il CESE è favorevole a migliorare il pacchetto sul mercato unico del digitale (6), compiendo così un passo decisivo verso l’attuazione della pertinente iniziativa faro della strategia Europa 2020. Garantire il futuro digitale dell’Unione europea significa porre uno dei pilastri principali su cui si regge la competitività dell’economia europea e da cui dipende lo sviluppo sostenibile di una società europea rispettosa dell’ambiente. Il CESE chiede di adottare misure volte a far sì che la forte espansione del settore delle applicazioni digitali utilizzate dai cittadini europei abbia ricadute positive anche sul mondo del lavoro.

Il CESE conferma di essere favorevole a che vengano stanziati fondi per coprire l’insufficiente finanziamento inteso a potenziare le reti a banda larga e le reti digitali deciso dal Consiglio nel quadro finanziario pluriennale 2014-2020 (7).

1.6.4.

Il CESE ribadisce la sua posizione a favore della promozione di una politica energetica europea comune, nonché dell’affermazione di principi come quelli dell’adeguamento e della riduzione delle differenze nei prezzi dell’energia, del miglioramento delle condizioni del mercato interno dell’energia, della riduzione della dipendenza energetica da paesi terzi e della promozione delle energie rinnovabili.

2.   Analisi degli effetti principali dei passi da compiere per migliorare l’attuazione della strategia Europa 2020

2.1.

L’analisi annuale della crescita (8) pubblicata alla fine del 2014 tiene espressamente conto del nuovo piano di sviluppo, che è essenziale per il futuro dell’Unione europea. Gli obiettivi principali del semestre europeo, dei programmi nazionali di riforma e della strategia Europa 2020 dovrebbero finalmente essere allineati in una prospettiva a lungo termine:

2.1.1.

un rilancio coordinato degli investimenti, basato sul suddetto piano d’investimenti per l’Europa:

a.

l’obiettivo è mobilitare almeno 315 miliardi di euro di finanziamenti aggiuntivi a livello dell’UE per finanziare investimenti nelle infrastrutture, dal cui sviluppo si attendono benefici economici e sociali considerevoli;

b.

assicurarsi che la finanza raggiunga l’economia reale;

c.

creare le condizioni per un contesto più favorevole agli investimenti; e

d.

rafforzare un sistema finanziario innovativo;

2.1.2.

un rinnovato impegno a favore delle riforme strutturali;

2.1.3.

perseguire una politica di bilancio responsabile;

2.1.4.

sfruttare appieno la flessibilità delle regole esistenti; e,

2.1.5.

misura essenziale, razionalizzare il sistema di governance per renderlo più efficace e accrescere il comune senso di titolarità e responsabilità degli Stati membri e dell’UE.

3.

L’adeguamento dei programmi operativi elaborati sulla base degli accordi di partenariato tra la Commissione europea e gli Stati membri è ormai quasi completato. Dato che il programma di lavoro «Un nuovo inizio per l’Europa» avrà inevitabilmente un impatto — in termini sia di strumenti che di obiettivi — sui vari programmi nazionali, occorre rafforzare il coordinamento finora realizzato a livello europeo.

3.1.

La pertinenza, l’efficienza e l’efficacia del modo in cui i fondi strutturali e di coesione vengono impiegati hanno notevoli ripercussioni sui quadri di attuazione dei nuovi strumenti finanziari e giuridici. Il CESE propone di effettuare una rassegna degli investimenti in programmi di sviluppo infrastrutturale ed economico sostenuti da tali fondi, allineandola al Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS) (9).

3.2.

Realizzare gli scopi del piano d’investimenti e del Fondo europeo per gli investimenti strategici, potenziare l’effetto leva dei fondi dell’UE per il periodo 2014-2020 e raddoppiare il valore di strumenti finanziari innovativi sono di cruciale importanza per conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020.

3.3.

Il CESE, il CdR e alcuni membri del Parlamento europeo hanno prospettato una serie di opzioni che consentirebbero di accordare determinate concessioni per un periodo transitorio al fine di incrementare le risorse per rilanciare gli investimenti nell’UE. Occorrerebbe studiare le soluzioni praticabili per escludere dal calcolo del disavanzo, senza cambiare le regole, il contributo (cofinanziamento) degli Stati membri ai fondi strutturali utilizzati per investimenti sociali a lungo termine (specialmente nell’istruzione), in linea con l’approccio della Commissione europea. Il CESE sostiene il dibattito in corso nella Commissione in merito all’applicazione della cosiddetta regola d’oro in rapporto alla finanza pubblica («golden rule») nel contesto della regolamentazione dell’Unione economica e monetaria in materia di bilanci pubblici, che prevede di escludere dal computo dei deficit pubblici netti gli investimenti pubblici orientati al futuro (10).

3.4.

Sul piano finanziario, è importante adottare un approccio globale ai diversi tipi di spesa, quali il sistema di cofinanziamento della rete transeuropea (11) e il Meccanismo per collegare l’Europa (12), e agli investimenti nazionali cofinanziati dal FEIS. Un punto, questo, che la Commissione dovrà chiarire.

3.5.

Tra gli obiettivi della strategia Europa 2020, è importante che, oltre che sul rafforzamento della competitività a lungo termine, l’uso dei fondi strutturali si concentri maggiormente sull’attuazione di programmi riguardanti l’ambiente o gli aspetti umani, promuovendo così anche lo sviluppo sostenibile di fattori che vadano «al di là del PIL» (13). Grazie alle possibilità di finanziamento aggiuntive, si dovrebbe porre ulteriormente l’accento su un sistema di sviluppo «orientato alla produzione» e sul sostegno di settori di particolare valore per la società, la famiglia e la persona, come l’istruzione e l’assistenza sanitaria.

4.

Il CESE è fermamente convinto che una strategia Europa 2020 riveduta e migliorata potrebbe svolgere un ruolo cruciale nella realizzazione di una nuova governance economica europea orientata a una maggiore competitività e allo sviluppo.

4.1.

Considerato che le priorità cambiano, per garantire la buona riuscita dell’attuazione della strategia Europa 2020 sarebbe utile disporre di uno «sportello unico» che fosse in grado di assicurare un coordinamento e una razionalizzazione efficaci dei compiti e delle procedure — e ciò riguarda anche le agenzie dell’UE.

4.2.

È quindi opportuno valutare la possibilità di istituire uno sportello unico che gestisca e sorvegli la cooperazione tra le agenzie e il coordinamento tra l’economia reale e i livelli europeo e nazionale o regionale, oppure di convertire un organismo esistente per destinarlo a tale funzione. Un approccio, questo, che potrebbe evitare le sovrapposizioni e produrre migliori sinergie.

5.   Azioni per rafforzare la governance economica europea

5.1.

Dato che, sul piano della governance della strategia Europa 2020, i legami tra gli obiettivi a breve e a lungo termine sono molto tenui, è necessario quantomeno adottare le seguenti misure minime:

5.1.1.

l’analisi annuale della crescita dovrebbe contenere un riferimento ai progressi compiuti nell’attuazione della strategia Europa 2020;

a.

il semestre europeo dovrebbe puntare molto di più di adesso a migliorare la competitività e la situazione del debito pubblico e di quello estero, con particolare riguardo ai profili attuativi;

b.

le spese finanziate dal Fondo di coesione dell’UE dovrebbero essere basate sui programmi nazionali di riforma, in linea con il semestre europeo;

c.

occorrerebbe approfondire l’integrazione di bilancio e intensificare la lotta contro la frode fiscale; e

d.

occorrerebbe condurre un monitoraggio basato su indicatori e parametri di riferimento chiari, compresi quelli «al di là del PIL».

5.1.2.

La grande diversità delle situazioni degli Stati membri impone che, nelle raccomandazioni specifiche per paese, vi siano una certa flessibilità nelle valutazioni, obiettivi chiari e strumenti mirati; ad esempio:

a.

riforme strutturali del settore pubblico, affinché questo continui a essere una garanzia fondamentale di qualità della vita;

b.

miglioramento del clima imprenditoriale, in modo da attrarre capitali;

c.

promozione degli investimenti nelle infrastrutture;

d.

miglioramento dell’accesso al credito per le PMI;

e.

creazione delle condizioni necessarie ad agevolare la transizione energetica;

f.

rafforzamento dei settori dell’istruzione;

g.

un tasso di attività più elevato e una minore disoccupazione, da monitorare a livello dell’UE (14);

h.

riduzione dei divari sociali tra gli Stati membri e all’interno di essi, prestando particolare attenzione alla situazione delle minoranze;

i.

lotta alla povertà e impulso alla crescita del PIL; e

j.

rafforzamento della coesione sociale e riduzione delle diseguaglianze grazie alla solidarietà, al dialogo sociale e alla contrattazione collettiva.

6.   Modulare e affinare il concetto di «crescita»:

a.

facendo sì che l’attuazione vada di pari passo con una «competitività sostenibile»;

b.

adottando politiche a sostegno di una nuova protezione sociale e ambientale; e (15)

c.

introducendo, a livello UE, un nuovo indicatore delle tendenze del mercato del lavoro riguardo alla creazione di nuova, vera occupazione.

7.   Un’agenda digitale europea

7.1.

Il CESE concorda con la posizione della Commissione: le tecnologie digitali introducono nuovi modi di produrre beni e servizi e stanno rimodellando il nostro modo di vivere, lavorare e apprendere (16). Il contributo del CESE all’attuazione dell’iniziativa faro «Agenda digitale europea» (17) e dei principali punti cardine di un ambizioso mercato unico del digitale è costituito da proposte volte a:

 

Sul piano economico:

a.

progettare attivamente il futuro digitale dell’UE;

b.

generalizzare la digitalizzazione e ridurre le carenze in campo digitale al livello dell’UE e dei singoli Stati membri;

c.

digitalizzare l’economia e sviluppare la ricerca e l’innovazione;

 

Sul piano sociale:

d.

ampliare massicciamente l’istruzione in campo digitale affinché gli europei diventino creatori e produttori di contenuti digitali;

e.

soddisfare il fabbisogno di manodopera qualificata nel settore delle TIC;

f.

creare le condizioni per un’economia e una società digitali dinamiche, rafforzando il contesto normativo in materia di telecomunicazioni;

g.

riesaminare il quadro regolamentare e legislativo generale, nell’ottica di creare condizioni stabili per le imprese e in particolare per le start-up;

h.

riconoscere il settore digitale come un servizio di interesse economico generale;

 

Sul piano dell’ambiente digitale:

i.

promuovere l’inclusione digitale e l’accesso universale ed equo alla tecnologia Internet a banda larga;

j.

semplificare le norme in materia di acquisti online e digitali in modo tale da rafforzare la fiducia dei consumatori garantendo loro una maggiore sicurezza;

k.

migliorare il commercio elettronico transfrontaliero;

 

Sul piano della sicurezza:

l.

impiegare le tecnologie digitali per proteggere l’ambiente umano e naturale;

m.

accelerare il processo legislativo sulla base di un approccio etico e di una migliore protezione dei consumatori;

n.

aggiornare le norme sui diritti d’autore;

o.

accrescere la cibersicurezza per tutelare i diritti e le libertà dei cittadini (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (18)); e

p.

proteggere i minori e gli altri utenti vulnerabili dalla criminalità informatica.

7.2.

Lo sviluppo delle tecnologie digitali e il forte aumento dei loro campi di applicazione hanno ripercussioni su quasi tutti i settori economici, in un cambiamento strutturale di notevole portata che interessa i cittadini non solo in quanto consumatori ma anche e soprattutto in relazione ai loro posti di lavoro. Oltre che a una maggiore autonomia e una maggiore flessibilità, le tecnologie digitali sul posto di lavoro spingono a una razionalizzazione che comporta costi considerevoli per le persone interessate, fino alla perdita del posto di lavoro. In una situazione come questa, il CESE considera una grave lacuna il fatto che tali questioni siano praticamente assenti da quasi tutte le iniziative dell’Agenda digitale per l’Europa, esorta a un adeguato ripensamento e intende pronunciarsi esso stesso in tal senso nel quadro di un parere d’iniziativa (19).

8.   Verso una nuova governance economica orientata allo sviluppo

8.1.

Verso una governance orientata allo sviluppo — le tappe da seguire:

a.

rafforzare la governance al livello sia dell’UE che dei singoli Stati membri;

b.

ribadire la necessità di attuare la strategia Europa 2020, rendendola più compatibile con le politiche dell’UE all’interno delle strategie europee;

c.

integrare la parte della governance europea riguardante il coordinamento economico rafforzando i relativi quadri istituzionale e finanziario in un’ottica di sviluppo;

d.

potenziare il coordinamento strategico a lungo termine nel quadro della strategia Europa 2020, anche nelle fasi di calibrazione e attuazione degli obiettivi;

e.

effettuare un’ampia valutazione territoriale della strategia Europa 2020 rinnovata;

Grafico Suggerimenti per una governance a lungo termine in materia di sviluppo. Per vedere il grafico, seguire il seguente link:

http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.europe-2020-opinions.34752

f.

irrobustire la catena del valore mediante politiche orizzontali e settoriali;

g.

migliorare la cooperazione territoriale;

h.

rinsaldare la governance attraverso la partecipazione della società civile organizzata;

i.

riconoscere il potenziale del CESE ai fini del coordinamento della cooperazione multilivello tra l’economia reale, le organizzazioni della società civile e i partner istituzionali.

9.

Condizione preliminare per realizzare una «buona» governance orientata allo sviluppo è che essa disponga:

a.

di una stabile capacità di pianificazione strategica;

b.

di una capacità esecutiva che assicuri un coordinamento e una cooperazione migliori;

c.

di un sistema completo di monitoraggio sia della pianificazione che dell’esecuzione;

d.

di una banca dati affidabile, specifica per gli obiettivi pertinenti e dotata della necessaria capacità di analisi;

e.

di risorse adeguate nel campo della comunicazione;

f.

dell’adattabilità necessaria; e

g.

di meccanismi che garantiscano la trasparenza del suo operato, in modo che i responsabili debbano renderne conto.

Bruxelles, 19 febbraio 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Per l’«Agenda digitale europea» si veda il sito web della Commissione europea all’indirizzo http://ec.europa.eu/digital-agenda/

(2)  Parere del CESE sul tema Bilancio della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, GU C 12 del 15.1.2015, pag. 105.

(3)  Per il programma di lavoro Un nuovo inizio per l’Europa si veda il sito web della Commissione europea all’indirizzo http://ec.europa.eu/priorities/docs/pg_it.pdf

(4)  Per il «piano d’investimenti» si veda il sito web della Commissione europea all’indirizzo http://ec.europa.eu/priorities/jobs-growth-investment/plan/index_en.htm

(5)  Parere del CESE sul tema Un piano di investimenti per l’Europa, ECO/374 (non ancora pubblicato sulla GU).

(6)  Per il «pacchetto sul mercato unico del digitale» si veda il sito web della Commissione europea all’indirizzo http://ec.europa.eu/priorities/digital-single-market

(7)  Nel corso dei negoziati sul quadro finanziario pluriennale, la voce relativa alla banda larga del meccanismo per collegare l’Europa è stata ridotta da 8,2 miliardi di euro ad appena 1 miliardo di euro.

(8)  Per l’«analisi annuale della crescita 2015» si veda il sito web della Commissione europea http://ec.europa.eu/europe2020/making-it-happen/annual-growth-surveys/index_it.htm

(9)  Per il «Fondo europeo per gli investimenti strategici» si veda il sito web della Commissione europea all’indirizzo http://ec.europa.eu/priorities/jobs-growth-investment/plan/index_en.htm

(10)  Parere del CESE sul tema L’impatto degli investimenti sociali sull’occupazione e sui bilanci pubblici, GU C 226 del 16.7.2014, pag. 21.

(11)  Per la «rete transeuropea» si veda il sito web della Commissione europea all’indirizzo http://ec.europa.eu/transport/infrastructure/tentec/tentec-portal/site/index_en.htm

(12)  Per il «Meccanismo per collegare l’Europa» si veda il sito web della Commissione europea all’indirizzo http://ec.europa.eu/digital-agenda/en/connecting-europe-facility

(13)  Parere del CESE sul tema Non solo PIL — Il coinvolgimento della società civile nella selezione di indicatori complementari, GU C 181 del 21.6.2012, pag. 14.

(14)  Parere del CESE sul tema Verso una ripresa fonte di occupazione, GU C 11 del 15.1.2013, pag. 65.

(15)  Cfr. gli articoli 191 e 192 del TFUE.

(16)  Parere del CESE sul tema L’impatto dei servizi alle imprese nell’industria, GU C 12 del 15.1.2015, pag. 23.

(17)  Parere del CESE sul tema Il mercato digitale come motore di crescita, GU C 229 del 31.7.2012, pag. 1.

(18)  http://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

(19)  Parere del CESE sul tema Gli effetti della digitalizzazione sul settore dei servizi e sull’occupazione, CCMI/136 (non ancora pubblicato sulla GU).


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

505a sessione plenaria del CESE dei giorni 18 e 19 febbraio 2015

31.7.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 251/25


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo relativa alla strategia e al piano d’azione dell’UE per la gestione dei rischi doganali: affrontare i rischi, rafforzare la sicurezza della catena di approvvigionamento e agevolare gli scambi»

COM(2014) 527 final

(2015/C 251/05)

Relatore:

Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER

Correlatore:

Jan SIMONS

La Commissione europea, in data 1o ottobre 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo relativa alla strategia e al piano d’azione dell’UE per la gestione dei rischi doganali: affrontare i rischi, rafforzare la sicurezza della catena di approvvigionamento e agevolare gli scambi»

COM(2014) 527 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 febbraio 2015.

Alla sua 505a sessione plenaria dei giorni 18 e 19 febbraio 2015 (seduta del 18 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 141 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione relativa alla strategia e al piano d’azione per la gestione dei rischi doganali. Ai fini di una corretta attuazione della strategia, le autorità doganali dovrebbero cooperare non solo tra di loro ma anche con altre autorità di governo (ad esempio i servizi sanitari e di consumo e i servizi di sicurezza mediante la cooperazione nel campo della giustizia).

Per il CESE è importante garantire l’effettiva applicazione delle norme doganali dell’UE e il corretto funzionamento dei meccanismi di cooperazione previsti dal diritto dell’Unione.

1.2.

Per una gestione integrata dei rischi da parte delle autorità doganali, è necessario altresì armonizzare altre politiche, rendendone compatibile l’attuazione. Gli Stati membri dispongono già di dati ufficiali su tali materie, per cui occorre procedere alla condivisione e allo scambio di informazioni su di essi, specie attraverso l’interoperabilità dei dati ufficiali relativi ai rischi gravi.

1.3.

Per adottare la sua propria legislazione e per finalizzare la sua situazione, l’UE dovrebbe basarsi sulle norme contenute nella Raccolta relativa alla gestione dei rischi e su altre norme dell’Organizzazione mondiale delle dogane (OMD) affinché le disposizioni dell’UE in ambito doganale siano in linea con la maggior parte di quelle che attualmente disciplinano questa materia.

1.4.

Conformemente all’obiettivo 3 del piano d’azione è opportuno determinare chiaramente chi esegue i controlli, quando e dove, il che risulterebbe in linea con la mappa dei rischi e con la loro classificazione, mappa di cui il CESE auspica l’adozione da parte della Commissione come misura attuativa. A tal fine, il CESE ritiene che questa azione dovrebbe essere, per la sua importanza, la misura prioritaria da mettere in pratica.

1.5.

Dato che è fondamentale garantire l’applicazione uniforme delle norme doganali dell’UE, anche l’obiettivo 5 del piano d’azione è di grande importanza, poiché concerne l’intera strategia di promozione della cooperazione tra tutti i tipi di osservanza delle norme e di controllo da parte delle autorità nazionali e lo scambio di informazioni tra le amministrazioni nazionali e dell’UE.

1.6.

Il CESE desidera sottolineare che al momento di definire la strategia occorre prendere in considerazione le diverse caratteristiche delle pratiche doganali attuate nei vari Stati membri, quali le dimensioni dei rispettivi flussi commerciali, i volumi e le procedure; questi elementi devono tuttavia essere compatibili con i principi e la legislazione dell’Unione e tenerne conto.

1.7.

Il CESE condivide l’importanza attribuita nella comunicazione alla cooperazione tra la Commissione e gli Stati membri, ma desidera anche sottolineare l’importanza e il ruolo che possono avere gli altri soggetti sociali coinvolti nella strategia.

1.8.

Come suggerisce la Commissione nella sua comunicazione senza però affrontare direttamente l’argomento, il CESE chiede di dare una maggiore visibilità ai progetti pilota sul campo, il che favorirebbe un maggiore ruolo dei soggetti coinvolti e quindi un maggiore investimento privato per sostenere la strategia di comunicazione mediante la promozione dell’innovazione.

2.   Introduzione

2.1.

La gestione dei rischi è un principio fondamentale dei moderni metodi di controllo alle dogane. Le amministrazioni doganali mettono in pratica meccanismi di analisi e di riesame, al fine di assicurare l’efficacia delle procedure di controllo in tutto il territorio doganale. Le procedure devono essere costantemente riesaminate e, se necessario, adattate per rispondere alle nuove esigenze.

2.2.

In base alla gestione dei rischi, le amministrazioni doganali mirano a raggiungere un giusto equilibrio tra la lotta alla frode e la necessità di colpire il meno possibile la circolazione legale delle merci e delle persone e di mantenere i costi al livello più basso possibile.

2.3.

Stante l’impossibilità materiale di monitorare a volte una parte significativa delle merci, il programma SAFE costituisce la base del sistema dei cosiddetti «operatori economici autorizzati» (Authorised Economic Operators, AEO), che consente di accreditare, attraverso un controllo ex ante, le imprese come partner affidabili in materia doganale. A tal fine, le autorità devono comprendere perfettamente l’attività dell’operatore, avere un quadro chiaro dei suoi processi professionali, del contesto imprenditoriale in cui opera e avere accesso permanente ai suoi registri contabili. Nell’Unione, il Regolamento (CE) n. 648/2005 (1) prevede, all’articolo 5 bis, lo status di «operatore economico autorizzato» e i criteri per la sua concessione. Gli operatori economici sono del parere che conseguire questo status sia indispensabile per svolgere correttamente la propria attività sul mercato.

2.4.

Nell’Unione europea, la «Unione doganale» è prevista dal TFUE in quanto competenza esclusiva, alla pari delle procedure e dei dazi d’esportazione e importazione. Tale politica rappresenta un diritto sovranazionale, a livello di diritto primario, sotto il titolo «Libera circolazione delle merci», di cui agli artt. da 28 a 37. Oggi però le dogane sono sempre più chiamate a svolgere anche altri compiti. Di fatto esistono tre pilastri: la fiscalità, la sicurezza e la vigilanza sulle norme non tariffarie. Per tale motivo, una parte è disciplinata dall’articolo 87 del TFUE in materia di cooperazione di polizia, che non rientra tra le competenze esclusive dell’UE.

2.5.

In una comunicazione del gennaio 2013 (2), la Commissione ha presentato un approccio comune per la gestione integrata del rischio che, nei punti d’ingresso e di uscita dell’Unione doganale, consenta di raggiungere i seguenti obiettivi:

una migliore allocazione delle risorse umane e finanziarie, concentrandole, ove necessario,

un’applicazione totale e uniforme delle normative doganali unionali,

un sistema integrato di cooperazione autorità-operatori-vettori,

lo snellimento delle pratiche e la riduzione dei tempi e dei costi delle transazioni.

2.6.

Il CESE ha espresso (3) parere favorevole su questa comunicazione del 2013, giudicando essenziale un approccio comune alla gestione dei rischi doganali e alla sicurezza della catena di approvvigionamento per garantire un’applicazione uniforme e non discriminatoria della legislazione dell’UE da parte di tutte le autorità interessate in tutta l’Unione doganale.

2.7.

Nella sua riunione del 18 giugno 2013, il Consiglio ha adottato conclusioni concernenti il rafforzamento della sicurezza della catena di approvvigionamento e la gestione dei rischi doganali, invitando la Commissione a presentare una strategia coerente. L’UE condivide gli obiettivi strategici comuni di proteggere la sicurezza e l’integrità della catena di approvvigionamento, di garantire la sicurezza dei cittadini e gli interessi finanziari dell’UE e dei suoi Stati membri e infine di facilitare e accelerare il commercio legale per promuovere la competitività.

2.8.

L’attuale rifusione del Codice doganale, adottata con il Regolamento n. 952/2013 (4), non solo prevede la gestione dei rischi come funzione specifica delle dogane, ma comprende alla base del sistema, vale a dire il regolamento della tariffa doganale comune, anche un ruolo di «sorveglianza». L’inclusione della gestione del rischio nel Codice doganale rafforza la cooperazione e lo scambio di informazioni tra autorità nazionali, dogane e autorità non doganali, e la Commissione e a volte conferisce a quest’ultima competenze di esecuzione a tal fine.

3.   La comunicazione della Commissione

3.1.

La Commissione ha presentato una nuova strategia volta a migliorare la gestione dei rischi nell’ambito doganale dell’UE, nonché un piano d’azione dettagliato, che gestirà in modo più efficace il volume crescente di scambi commerciali in una catena di approvvigionamento internazionale sempre più complessa.

3.1.1.

Il piano d’azione delinea una serie di azioni per ciascuno degli obiettivi fissati. Si tratta di misure volte a porre rimedio alle lacune riscontrate in materia, al fine di aumentare progressivamente le capacità doganali dell’Unione europea e consolidare una cooperazione più sistematica con altri organismi, operatori economici e partner commerciali internazionali; tali misure comprendono, in alcuni casi, il sostegno e lo sviluppo di norme e standard internazionali.

3.1.2.

La Commissione cerca la complementarietà e la coerenza con altre iniziative dell’Unione, sia in materia doganale sia in altri settori, ad esempio le iniziative in materia di sicurezza dei trasporti, o di tutela dei diritti di proprietà intellettuale.

3.2.

Le dogane usano la gestione dei rischi per svolgere controlli efficaci ed efficienti, evitare indebite perturbazioni del commercio legale e garantire la corretta utilizzazione delle risorse, organizzando queste ultime e dando priorità ai settori che presentano rischi maggiori e più gravi.

3.3.

La strategia fa riferimento alla gestione dei rischi e al controllo delle merci in entrata, in uscita o in transito attraverso l’Unione, tenendo conto nel contempo delle loro specificità, del livello di rischio e dei costi. Ciò richiede la capacità di individuare, valutare e analizzare l’intera gamma di minacce e rischi connessi con i prodotti e i loro movimenti.

3.3.1.

I principi che regolano la gestione, da parte dell’Unione, dei rischi doganali della catena di approvvigionamento sono, secondo la comunicazione, i seguenti:

valutazione in anticipo, controllando se necessario,

cooperazione tra i diversi organismi,

impostazione coordinata e a vari livelli, e

utilizzazione efficiente delle risorse.

3.3.2.

Per migliorare l’efficacia e l’efficienza del quadro di gestione dei rischi a livello dell’Unione, la Commissione e gli Stati membri devono collaborare per promuovere una gestione dei rischi doganali a molteplici livelli dell’UE, ai fini dell’adozione delle seguenti necessarie misure:

migliorare la qualità dei dati e le relative modalità di classificazione,

assicurare la disponibilità dei dati sulla catena di approvvigionamento e condividere le informazioni relative ai rischi tra le autorità doganali,

attuare, se necessario, misure di controllo e di attenuazione dei rischi,

rafforzare le capacità,

promuovere la cooperazione tra i vari organismi e la condivisione delle informazioni tra autorità doganali e altre autorità a livello degli Stati membri e dell’Unione,

intensificare la cooperazione con gli operatori, e

sfruttare il potenziale della cooperazione doganale internazionale.

3.3.3.

La comunicazione indica i mezzi con cui conseguire gli obiettivi della strategia, caso per caso, affinché la cooperazione tra la Commissione e gli Stati membri possa condurre all’adozione delle misure necessarie.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il CESE esprime parere favorevole sulla comunicazione della Commissione, giudicando essenziale un approccio maggiormente comune alla gestione dei rischi doganali e alla sicurezza della catena di approvvigionamento per garantire la certezza giuridica e un’applicazione uniforme della legislazione doganale dell’UE in modo da agevolare la libera circolazione delle merci.

4.1.1.

Si propone di rafforzare ed applicare taluni strumenti doganali, pienamente operativi, tra le autorità nazionali e la Commissione con gli operatori economici, introducendo una funzione, la gestione del rischio, che si aggiunge a quelle già esistenti relative all’applicazione dei dazi, alle misure commerciali e agli obiettivi statistici.

4.2.

Il piano d’azione della Commissione prevede obiettivi e mezzi per conseguirli, che consentiranno di potenziare le capacità doganali dell’Unione e faranno in modo che le autorità del settore cooperino in modo più sistematico con altri organismi, siano operatori economici o anche partner commerciali internazionali.

4.2.1.

La strategia di complementarità con altre autorità competenti coinvolte nella catena di approvvigionamento dovrebbe essere esplicitamente menzionata. Un’adeguata elaborazione della strategia richiede una cooperazione più intensa e più efficace tra le autorità doganali a livello internazionale, nonché tra le autorità doganali e altre autorità pubbliche, ad esempio nel settore della sanità e del consumo.

4.2.2.

I cosiddetti «dati ufficiali», già esistenti a livello nazionale riguardo ai vari controlli alle frontiere, sono gestiti con sistemi informatici (controlli di sanità esterni nel campo della salute umana, animale e vegetale, prodotti farmaceutici e cosmetici ecc.). Tuttavia, considerato che questi dati attualmente non sono centralizzati né condivisi, verrà migliorato il funzionamento del sistema e agevolato il compito delle autorità doganali, in quanto sarà possibile registrare i dati relativi al rischio identificato nelle merci in tutta la catena di approvvigionamento.

4.2.3.

In considerazione della dimensione transnazionale dei rischi e dunque delle relative soluzioni, è sempre più evidente che bisogna mettere in comune i «dati ufficiali» che già vengono elaborati a livello nazionale. Il CESE pertanto propone che i criteri fissati dall’Unione si basino sugli standard internazionali comuni e li completino perché abbiano effetto nell’UE. Insiste dunque sulla necessità di procedere all’interoperabilità dei dati al fine di attuare e portare a termine in modo efficace le azioni previste dalla strategia, considerando che è proprio la dimensione transnazionale a rafforzare la necessità di mettere in comune i «dati ufficiali» già esistenti a livello nazionale.

4.2.4.

In linea di principio, per potenziare la cooperazione amministrativa nell’utilizzo di un sistema di individuazione dei rischi, il CESE è favorevole a basare il sistema in uso tra l’altro sui seguenti elementi:

le misure, i criteri e le norme sui rischi e relativi emendamenti per individuare con esattezza i prodotti che presentano rischi dovrebbero essere contemplati dal sistema comune doganale di gestione dei rischi (CRMS) istituito dal regolamento (UE) n. 952/2013, tenendo conto dei sistemi di allerta precoce e della normativa in materia di protezione dei dati,

sono incoraggiati i collegamenti con tutti gli altri sistemi pertinenti, come quelli previsti dal regolamento n. 515/97 del Consiglio (5),

occorre seguire i principi fondamentali del sistema di informazione del mercato interno (IMI), sapendo che il sistema contiene strumenti già valutati, e adattarli al settore delle dogane,

servono misure, criteri e norme per definire i livelli di rischio legato a prodotti, materiali, itinerari, origine o altri fattori che identifichino il rischio stesso, utilizzando la TARIC per evidenziare, nei limiti del possibile, i rischi più gravi.

Il CESE inoltre ribadisce la necessità che le amministrazioni procedano allo scambio d’informazioni.

4.2.5.

Per quanto riguarda la complementarietà della cooperazione prevista dalla strategia, bisognerà anche tener conto delle pertinenti azioni politiche in materia di sicurezza dei prodotti, sicurezza degli animali, sicurezza degli alimenti e dei mangimi e protezione ambientale, così come delle iniziative nel settore dei diritti di proprietà intellettuale (DPI). Il CESE giudica molto importante lo scambio di informazioni relative a gravi problemi per la salute pubblica e l’ambiente, nonché per la sicurezza e la protezione dei cittadini.

4.3.

Per quanto concerne la Raccolta relativa alla gestione dei rischi doganali e altre norme dell’Organizzazione mondiale delle dogane (OMD), i criteri da stabilire a livello dell’Unione dovrebbero poggiare su detti standard comuni e completarli perché abbiano effetto nell’UE.

4.4.

È positivo che i programmi concernenti l’operatore economico autorizzato (OEA) associno questa figura alla gestione dei rischi, dato l’approfondito processo di valutazione cui l’operatore stesso e il suo ambiente si sottopongono durante la procedura di rilascio del certificato, il che risponde alla necessaria semplificazione delle procedure doganali che tale certificato comporta.

4.5.

Nell’attuare le misure di controllo e di attenuazione dei rischi eventualmente necessarie, dovrebbe essere presa in considerazione la metodologia proposta nella Raccolta elaborata dall’Organizzazione mondiale delle dogane.

4.6.

Per quanto concerne la mappa di classificazione dei rischi, che la Commissione dovrebbe adottare ai sensi degli articoli 50, paragrafo 1, e 284 del Codice sulla base di un opportuno processo trasparente di consultazione preliminare degli esperti nazionali e dopo aver sentito il parere degli operatori economici, il terzo obiettivo del piano d’azione dovrebbe essere ulteriormente specificato in modo da chiarire esattamente chi debba effettuare la valutazione in anticipo, eventualmente necessaria, in quale preciso momento vada effettuata e quale ne sia l’oggetto. In realtà, dovrebbe essere la prima azione da completare; in questo modo vi sarebbe maggiore chiarezza nell’attuazione degli altri piani d’azione e nella valutazione dei rischi e si avrebbe, al tempo stesso, una maggiore certezza giuridica.

4.7.

Anche il quinto obiettivo del piano d’azione è molto importante dato che l’asse fondamentale della strategia è quello di promuovere la cooperazione e lo scambio di informazioni tra le autorità nazionali e dell’Unione, un aspetto che è sempre stato giudicato rilevante dal CESE. Per esigenze di brevità, il CESE ricorda le sue raccomandazioni in materia, formulate ai punti 1.9 e 1.10 e al punto 4 «La gestione dei rischi della catena di approvvigionamento» del suo parere del 2013 su una cooperazione più strutturata e sistematica tra le dogane e le altre autorità operanti nel mercato interno nonché sull’applicazione coerente e coordinata delle misure del piano d’azione.

4.8.

Il CESE ribadisce che la strategia all’esame relativa alla gestione dei rischi non deve impedire agli Stati membri di applicare la legislazione doganale, affinché possano continuare a tener conto del volume dei flussi commerciali pertinenti salvaguardando al tempo stesso la coerenza del diritto dell’UE.

4.9.

In tale contesto, il CESE ritiene possibile mantenere un elevato livello di protezione e contemporaneamente far sì che gli Stati membri intensifichino le misure volte a facilitare il commercio riducendo gli oneri amministrativi grazie alla promozione delle pratiche non cartacee, nonché semplificando le procedure e ricorrendo alla figura dell’operatore autorizzato.

4.10.

È importante promuovere un’intensa cooperazione con altri ministeri e organi esecutivi nazionali competenti in questo settore, tra l’altro per ridurre al minimo gli oneri (compresi quelli amministrativi) che gravano sugli operatori commerciali. A questo riguardo il CESE raccomanda di prendere in considerazione i principi di base dell’IMI. Qualora si optasse per l’armonizzazione, per la cooperazione doganale o per una combinazione di entrambi gli approcci, le proposte dovrebbero basarsi sulle «migliori pratiche» e non su un livello medio europeo.

4.11.

Il Comitato chiede che nel formulare e attuare la strategia si tenga conto delle future modifiche al Regolamento (CE) n. 515/97 relativo alla mutua assistenza in materia doganale [doc. COM(2013) 796], data la forte affinità tra i casi disciplinati da entrambi i documenti.

4.12.

Il CESE insiste sulla necessità di dare maggiore visibilità ai progetti pilota promuovendone la messa in pratica al fine di incoraggiare i soggetti interessati a svolgere un ruolo più importante. Questo potrebbe agevolare investimenti privati i quali, dal canto loro, permetterebbero di fare passi avanti nella strategia illustrata nella comunicazione, favorendo l’innovazione.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Tra le attività che la Commissione definisce di sostegno e sviluppo di norme e standard internazionali, alle quali si fa riferimento al paragrafo 3.1.1, si dovrebbe prevedere la promozione di uno standard per un sigillo doganale che consenta di effettuare controlli mediante sistemi automatizzati, al fine di integrarlo nel quadro normativo dell’Organizzazione mondiale delle dogane per garantire e facilitare il commercio mondiale (SAFE).

5.2.

La strategia non fa riferimento al rischio di frode nelle informazioni o al fatto che si possa «approfittare» della buona reputazione (il cosiddetto identity tag). La gestione dei rischi deve consentire alle autorità doganali di individuare eventuali frodi nell’ambito delle informazioni e il cattivo uso della buona reputazione, al fine di impedire l’importazione di prodotti falsi e pericolosi.

5.2.1.

Anche se la Commissione già vi fa cenno all’obiettivo 6, il Comitato chiede di dare in modo più chiaro il via all’elaborazione di progetti pilota destinati ad introdurre innovazioni nei sistemi di controllo — ovviamente con un certo numero di condizioni — e, in caso venissero conseguiti risultati positivi, di autorizzarne anche l’ulteriore applicazione.

5.3.

Secondo la Commissione europea, la nuova strategia aiuterà a gestire più efficacemente il volume crescente di scambi commerciali in un catena di approvvigionamento internazionale sempre più complessa (punto 3.1), il che dovrebbe presupporre una gestione più efficiente, favorendo così il miglioramento della stessa catena di approvvigionamento.

5.4.

Il CESE si rammarica che nella strategia all’esame si preveda solo la cooperazione tra Stati membri e Commissione, trascurando le raccomandazioni formulate in alcuni precedenti pareri circa la necessità di considerare anche la cooperazione con gli operatori economici.

Bruxelles, 18 febbraio 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Regolamento (CE) n. 648/2005, del 13 aprile 2005, del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 117 del 4.5.2005, pag. 13) e altre normative, quali il Regolamento (CE) n. 2454/1993.

(2)  COM(2012) 793 definitivo.

(3)  GU C 327 del 12.11.2013, pag. 15.

(4)  Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU L 269 del 10.10.2013, pag. 1).

(5)  GU L 82 del 22.3.1997, pag. 1.


31.7.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 251/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle prescrizioni in materia di limiti di emissione e di omologazione per i motori a combustione interna destinati alle macchine mobili non stradali»

COM(2014) 581 final — 2014/0268 (COD)

(2015/C 251/06)

Relatore unico:

Brendan BURNS

Il Consiglio, in data 19 febbraio 2015, e il Parlamento europeo, in data 12 novembre 2014, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle prescrizioni in materia di limiti di emissione e di omologazione per i motori a combustione interna destinati alle macchine mobili non stradali»

COM(2014) 581 final — 2014/0268 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 febbraio 2015.

Alla sua 505a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 febbraio 2015 (seduta del 18 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1.

Dal momento che l’introduzione di apparecchiature di controllo e lo sviluppo di procedure di prova per le «prestazioni in termini di emissioni dei motori in servizio» sono concetti nuovi per le macchine mobili non stradali (NRMM), il CESE raccomanda di condurre programmi pilota approfonditi per tutti i tipi di motore e di macchine al fine di verificare se sia possibile installare la strumentazione necessaria. Questi studi dovranno anche prendere in considerazione l’eventualità di collaudare sul banco di prova il motore impiegato per la macchina, qualora risulti troppo difficile effettuare le misurazioni direttamente sulla macchina.

1.2.

Di fronte alle forti preoccupazioni che le nanoparticelle prodotte dai processi di combustione suscitano per la salute dei cittadini e al livello elevato di protezione raggiungibile con l’attuazione della Fase V proposta per i motori delle macchine mobili non stradali e visto il consenso espresso da molti diretti interessati, compresi i costruttori di motori e di macchine, nei confronti della proposta della Commissione, il CESE raccomanda una rapida adozione del nuovo regolamento. Grazie all’intensa collaborazione, in fase di elaborazione, tra tutti i diretti interessati (ivi comprese l’industria e le ONG), la proposta della Commissione tiene conto delle diverse tecnologie disponibili per il controllo delle emissioni a seconda delle dimensioni del motore e del ciclo di combustione.

2.   Principio di base

2.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che la riduzione delle emissioni nocive di monossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi e particolato dei motori destinati a trattori agricoli e forestali sia un passo indispensabile per contribuire al raggiungimento dei livelli di qualità dell’aria previsti dall’UE.

2.2.

Il CESE è inoltre del parere che le norme proposte a tutela della salute umana e dell’ambiente debbano essere fondate su proposte solide sotto il profilo tecnico, economico e pratico.

3.   Contesto

3.1.

La definizione di macchine mobili non stradali comprende una vasta gamma di macchine e motori a combustione di tipo diverso. I motori sono installati sia su apparecchi portatili che su macchine a motore e su rotaia e vengono utilizzati nell’edilizia, nell’agricoltura, nell’attività mineraria, nel settore ferroviario, nella navigazione interna e in molti altri comparti industriali. I vigenti limiti di emissione per i motori in questione sono stabiliti nella direttiva 97/68/CE. Le nuove fasi per le emissioni sono state introdotte l’ultima volta nel 2004, in occasione della modifica della direttiva. La conclusione della Commissione europea è che esse non corrispondono più allo stato attuale della tecnologia e che quindi le macchine mobili non stradali possono essere allineate ai limiti di emissione applicati ai veicoli stradali (ad esempio gli autobus e gli autocarri/camion).

3.2.

Tuttavia, l’adattamento della tecnologia dei trasporti su strada ai motori installati su macchine mobili non stradali e alle macchine stesse richiede una notevole attività di sviluppo e considerevoli risorse. Per questo motivo la proposta della Commissione introduce limiti euro VI per i casi in cui la tecnologia sia già matura, mentre negli altri casi suggerisce di adottare i limiti stabiliti dall’EPA (Agenzia per la protezione dell’ambiente degli Stati Uniti), già in uso nella legislazione americana, che ha compiuto notevoli progressi in questo settore.

3.3.

A differenza dei regolamenti sulle emissioni su strada, in cui vi è una distinzione tra la regolamentazione per i veicoli più piccoli e quelli più grandi, con una normativa distinta per i motocicli, i veicoli leggeri e quelli pesanti, la proposta di regolamento relativa alle macchine mobili non stradali è di carattere generale e comprende una vasta gamma di macchinari e attrezzature con potenza motore da meno di 8 kW a 3  500 kW circa, includendo così tutte le cilindrate che vanno da una frazione di litro a più di 100 litri per cilindro.

3.4.

I motori installati su macchine mobili non stradali funzionano in circostanze diverse rispetto ai motori installati sui veicoli stradali. La maggior parte delle macchine mobili non stradali non funziona come un autocarro, in cui intercorre un certo periodo di tempo tra la posizione di arresto e il momento in cui viene raggiunta la potenza massima. Le macchine mobili non stradali funzionano per lo più passando immediatamente dall’avviamento alla fase in cui viene richiesta la massima potenza, seguita da un breve periodo di fermo, per poi raggiungere di nuovo la massima potenza e la posizione di arresto. E il ciclo si ripete. Sono queste le normali condizioni di lavoro della maggior parte delle macchine mobili non stradali, che differiscono da quelle dei veicoli stradali, in cui i giri e la potenza dei motori sono mantenuti a livelli pressoché costanti.

3.5.

In fase di adeguamento dei motori installati su macchine mobili non stradali, sarà necessario tenere conto dei seguenti aspetti:

progettare modifiche che consentano di resistere alle opportune condizioni non stradali, compresa l’esposizione prolungata ad ambienti più aggressivi, ad un carico da urti e vibrazioni di maggior intensità rispetto ai veicoli stradali utilizzati su fondi stradali privi di forti irregolarità e dislivelli,

riconfigurare nel modo più opportuno la forma e le dimensioni fisiche perché si adattino allo spazio dimensionale della categoria delle macchine non stradali e rispondano al requisito di ridurre al minimo le dimensioni complessive dei sistemi di post-trattamento,

ampia gamma di cicli di lavoro/carico in cui i sistemi di post-trattamento devono funzionare in maniera efficace, compreso un rapido carico transitorio,

garantire un adeguato equilibrio termico e chimico nel sistema di scarico per un efficace funzionamento del sistema di post-trattamento, compresa la rigenerazione dei sistemi di filtro antiparticolato in una vasta gamma di condizioni,

riottimizzare il motore e il sistema di post-trattamento per garantire una risposta transitoria accettabile e ridurre al minimo il consumo di carburante e reagente.

4.   Problemi

4.1.

Tra le raccomandazioni della Commissione figura tra l’altro che «le prestazioni in termini di emissioni dei motori in servizio» saranno monitorate e «sono proposti programmi pilota al fine di sviluppare adeguate procedure di prova». È importante verificare se sia possibile installare dei sistemi di misura portatili delle emissioni (PEMS) sulle diverse macchine che i costruttori di motori sceglieranno perché rappresentative della destinazione d’uso dei loro prodotti. La legislazione non prende in considerazione l’installazione in permanenza su tutte le macchine.

4.2.

L’introduzione della Fase V secondo il calendario stabilito nella proposta della Commissione sarà possibile solo se la legislazione sarà adottata in tempo utile. Qualora il processo decisionale dovesse accumulare un ritardo significativo, mancherà il tempo per portare a termine lo sviluppo del prodotto ed effettuare tutte le procedure di omologazione.

Bruxelles, 18 febbraio 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


31.7.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 251/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’operato delle autorità europee di vigilanza (AEV) e del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF)»

COM(2014) 509 final

e alla «Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla finalità e l’organizzazione del Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS)»

COM(2014) 508 final

(2015/C 251/07)

Relatore:

CEDRONE

La Commissione europea, in data 8 agosto 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’operato delle autorità europee di vigilanza (AEV) e del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF)»

COM(2014) 509 final

e alla

«Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla finalità e l’organizzazione del Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS)»

COM(2014) 508 final.

La sezione specializzata unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 febbraio 2015.

Alla sua 505a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 febbraio 2015 (seduta del 18 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 166 voti favorevoli, 5 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato ha accolto con favore le indicazioni provenienti dalla Commissione (1) e condivide la necessità di intervenire con azioni correttive volte a migliorare il funzionamento del Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF). Ritiene, altresì, che occorra valorizzare un approccio sistemico di medio-lungo periodo, accelerando la costruzione di soluzioni strutturali che possano razionalizzare al meglio l’operato delle autorità europee di vigilanza (AEV). Il Comitato ritiene di primaria importanza che il nuovo assetto di vigilanza e di regolamentazione sia in grado di assicurare la stabilità del sistema finanziario e la crescita — a valere su norme anticicliche — e di ostacolare un asimmetrico sviluppo del sistema bancario ombra.

1.2.

Il Comitato ritiene che occorra rendere maggiormente efficace l’azione del Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS) e delle AEV; a tal fine, ritiene necessari una rivisitazione della funzione normativa delle AEV e l’applicazione concreta dell’analisi costi-benefici delle strutture, della governance e dei processi decisionali adottati dal CERS e dalle AEV, un affinamento degli strumenti operativi a loro disposizione ed una razionalizzazione della architettura complessiva del SEVIF.

1.3.

Il Comitato ritiene che tali correttivi debbano essere prioritariamente finalizzati a minimizzare l’impatto pro-ciclico della normativa di vigilanza ed i conflitti tra interessi dell’UE e interessi nazionali, ad ottimizzare il rapporto costo-benefici dell’architettura di vigilanza, a proteggere i consumatori da eventuali pratiche scorrette degli intermediari. Il Comitato ritiene che, allo stato attuale, restino comunque aperti due interrogativi:

a)

se il nuovo meccanismo di sorveglianza possa risolversi in un eccesso regolamentare tale da impattare negativamente sulla fluidità operativa e sui costi di gestioni delle banche;

b)

se, inoltre, riuscirà ad evitare, o quanto meno a ridurre, i rischi di una nuova crisi ed a rendere più efficace, più sicuro e trasparente il sistema finanziario salvaguardando i clienti/consumatori.

1.4.

Con riferimento al CERS e alla sua governance, il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione di confermare alla presidenza il presidente della BCE, prevedendo una nuova figura di direttore esecutivo con compiti operativi e di collegamento tra presidente e consiglio generale, tenendo conto anche dei potenziali conflitti di interesse. Rispetto alla necessità di una ricomposizione quanti-qualitativa degli organi del CERS, il Comitato, pur ritenendola opportuna, considera necessaria una riflessione volta a salvaguardare la rappresentatività degli Stati membri nel consiglio generale e a valorizzare l’indipendenza dei membri del comitato scientifico.

1.5.

Con riferimento alle funzioni ed ai processi adottati dal CERS, il Comitato ritiene imprescindibile implementare forme di coordinamento tra il CERS, la BCE ed il SSM, valorizzando le specificità del Comitato per il rischio sistemico, sia nella sua capacità di rappresentare anche i Paesi che non adottano l’euro, sia rispetto alla sua competenza estesa al sistema finanziario nel suo complesso. Il Comitato è favorevole ad un maggior coinvolgimento del CERS nell’iter legislativo nelle materie di pertinenza e ad un maggior coordinamento con le AEV.

1.6.

Con riguardo alle AEV, il Comitato ritiene utile apportare correttivi volti ad assicurare l’assunzione di provvedimenti ispirati all’interesse dell’UE; in tale ottica, il Comitato considera necessario dotare le AEV di una governance che consenta un efficace utilizzo della consultazione inter pares e della binding mediation, al fine di assicurare la convergenza dei sistemi e l’affermazione di una cultura di vigilanza comune.

1.7.

Rispetto alla funzione normativa delle AEV, il Comitato ritiene che questa debba essere accompagnata da processi più trasparenti — anche rispetto alle consultazioni pubbliche promosse dalle autorità — volti ad un maggior coinvolgimento delle rappresentanze dei consumatori e dei lavoratori del settore; ritiene, altresì, necessario un maggior coinvolgimento delle AEV nel processo di definizione della normativa primaria. Il maggior coordinamento tra le AEV, e tra queste e il CERS, deve avvenire valorizzando ulteriormente il ruolo del Comitato congiunto.

1.8.

Il Comitato ritiene che occorra procedere ad una razionalizzazione dei costi di struttura ed organizzativi delle AEV; tale razionalizzazione deve essere accompagnata da un processo di accountability trasparente e votata ad una razionalizzazione logistica e funzionale.

1.9.

Il Comitato ritiene utile, al fine di migliorare la capacità previsionale dei rischi economico-finanziari, che il SEVIF costruisca una efficace interazione con le altre istituzioni nazionali ed internazionali per una condivisa gestione dei rischi sistemici.

1.10.   Sintesi delle proposte del Comitato

1.10.1.

Mercato Unico: promozione di azioni volte ad agevolare il coordinamento del SEVIF con il nuovo assetto del SSM e del meccanismo unico di risoluzione, per favorire lo sviluppo di un sistema di vigilanza europeo efficiente ed efficace.

1.10.2.

Semplificazione, trasparenza ed efficacia: razionalizzazione delle funzioni normative delle istituzioni del SEVIF volta a favorire la semplificazione dell’impianto normativo ed una maggiore trasparenza ed efficacia dei processi.

1.10.3.

Governance: promozione di una strategia di medio periodo volta a realizzare un processo di consolidamento organizzativo e funzionale delle autorità di vigilanza che possa realizzare economie di scala e di scopo, valutando l’ipotesi di una sede unica e l’adozione di un modello twin peaks.

1.10.4.

UEM: promozione di meccanismi volti a valorizzare le priorità dei Paesi della zona euro con particolare riferimento al mercato bancario ed al meccanismo di vigilanza unica che prevede specifiche modalità di adesione dei Paesi che non adottano l’euro.

1.10.5.

Il CESE ritiene che, sulla base delle indicazioni riportate nel presente parere:

a)

il comitato scientifico del CERS e appositi Comitati o Gruppi di esperti delle AEV — acquisito il parere degli stakeholder groups — presentino, in tempi rapidi, specifiche proposte di miglioramento;

b)

parallelamente, la Commissione europea valuti la praticabilità di soluzioni più strutturali rispetto alla organizzazione del SEVIF e alle modalità di finanziamento delle Autorità.

2.   Contesto

2.1.

In Europa, la crisi economica e finanziaria ha evidenziato la necessità di ripensare il quadro di vigilanza e di regolamentazione degli intermediari bancari e finanziari; un forte accento è stato posto sulla funzionalità del SEVIF e sulla efficacia delle azioni delle istituzioni che lo compongono.

2.2.

Sulla base delle raccomandazioni contenute nella relazione De Larosière del 2009 (2), la Commissione ha predisposto un intero pacchetto di misure volte a rafforzare l’interdipendenza e il coordinamento tra le Autorità di vigilanza nazionali e a valorizzare l’importanza della vigilanza macroprudenziale.

2.3.

Nel gennaio 2010, il CESE ha prodotto un parere sui regolamenti istitutivi del CERS e delle AEV (3). In tale parere il CESE, nel ribadire l’importanza di un sistema di vigilanza unico sul sistema finanziario dell’Unione europea, ha fornito specifiche indicazioni di modifica ai regolamenti istitutivi del CERS e delle AEV.

2.4.

Con appositi regolamenti, nel 2010, Parlamento europeo e Consiglio hanno istituito il Comitato economico per il rischio sistemico (CERS) e tre Autorità europee di vigilanza (AEV) — l’Autorità bancaria europea (ABE), l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) e l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) — che, insieme al comitato congiunto delle AEV ed al CERS, compongono il Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF).

2.5.

Il SEVIF ha avviato le proprie attività nel gennaio 2011; i regolamenti delle istituzioni del SEVIF (4), hanno previsto l’obbligo per la Commissione di pubblicare una Relazione sull’operato del CERS e delle AEV nel primo triennio di attività iniziata nel gennaio del 2011.

2.6.

Per assolvere il mandato affidatole, la Commissione ha organizzato una audizione pubblica (maggio 2013) ed una consultazione pubblica (aprile-luglio 2013) volte ad un riesame del SEVIF.

2.7.

Sulla base degli esiti provenienti dal coinvolgimento degli stakeholder, delle autovalutazioni fornite dalle AEV (5), della risoluzione del Parlamento europeo del marzo 2014 sul riesame del SEVIF (6) e degli studi dell’FMI (7) e del Parlamento europeo (8), la Commissione ha prodotto due distinte relazioni, aventi ad oggetto, rispettivamente, il CERS e le AEV ed il SEVIF.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il presente parere sulle relazioni della Commissione aventi ad oggetto l’operato del CERS e delle AEV interviene sulla base della valutazione dell’azione svolta dal CERS e dalle AEV e dell’accelerazione indotta al processo di vigilanza unica nell’ultimo anno.

3.2.

Il Comitato si è più volte espresso in favore del SEVIF ed esprime un rinnovato apprezzamento per l’azione svolta dal CERS e dalle AEV nel primo triennio di attività.

3.3.

Margini di miglioramento nel funzionamento del Sistema europeo di vigilanza finanziaria sono stati riscontrati sia a livello di organizzazione e di governance, sia a livello di processi e strumenti operativi; il CESE condivide le aree di potenziale intervento identificate dalla Commissione nelle sue relazioni; altresì, rimarca la necessità di adottare una visione sistemica di medio-lungo periodo e rileva la necessità di rafforzare le proposte riferite alla protezione dei consumatori e dei lavoratori.

3.4.

Il CESE ritiene che il funzionamento del CERS abbia evidenziato la necessità di esplorare una differente composizione quanti-qualitativa dei suoi organi — consiglio generale, comitato direttivo, comitato tecnico consultivo e comitato scientifico — e quella di definire una soluzione per la nomina del secondo presidente del comitato, in vista della scadenza del primo mandato, prevista per dicembre 2015. In un’ottica di processo, sono stati individuati margini di miglioramento sia nelle modalità di coinvolgimento del comitato nell’iter legislativo, sia nei tempi delle procedure decisionali interne.

3.5.

Il CESE ritiene che il funzionamento delle AEV abbia messo in luce l’opportunità di ripensare la funzione normativa e di vigilanza, di potenziare quella di protezione dei consumatori, e di rivedere la composizione degli organi al fine di meglio equilibrare gli interessi dell’Unione con quelli dei singoli paesi. La struttura complessiva della vigilanza si è rivelata oggetto di possibili ripensamenti, sia in relazione ai meccanismi di finanziamento delle diverse Autorità, sia rispetto all’architettura logistica ed al modello stesso di vigilanza. Rilevano al riguardo, il tema della razionalizzazione delle sedi e quello della razionalizzazione organizzativa per funzioni e sfere di competenza.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.   Comitato europeo per il rischio sistemico (CERS)

4.1.1.

Il Comitato ritiene che il CERS possa continuare ad esprimere un ruolo significativo nella prevenzione del rischio sistemico, anche a seguito della introduzione del meccanismo di vigilanza unico (SSM), per almeno tre ordini di ragioni: a) l’adozione di una vigilanza comune necessita di un più forte coordinamento anche tra mercati finanziari diversi da quello bancario; b) la vigilanza sui grandi gruppi bancari di rilevanza sistemica valorizza il ruolo del CERS anche in un’ottica di interazione con la BCE; c) la partecipazione al CERS di rappresentanti dei paesi delle zona euro e di paesi che non adottano l’euro consente al Comitato di svolgere una funzione stabilizzatrice anche a valere su variabili esogene all’Unione monetaria. In tale scenario, si ritiene che modifiche della governance e dei processi interni possano migliorare il funzionamento del CERS e la sua interazione con le AEV e la BCE.

4.1.2.

Il Comitato è favorevole ad una diversa composizione quanti-qualitativa degli organi del CERS; tuttavia, ritiene utile valutare l’impatto che la soluzione di ridurre il numero dei membri del consiglio generale può avere sulla rappresentatività dei singoli Stati membri. Una riduzione eventuale dei membri del consiglio dovrebbe essere accompagnata dalla istituzione di comitati e gruppi di lavoro tematici. Il Comitato ritiene, altresì, necessario salvaguardare una equilibrata rappresentanza dei diversi stakeholder anche valorizzando il ruolo del comitato scientifico; in tale ottica, l’ipotesi emersa di accorpare tale comitato con il comitato tecnico consultivo non sembra opportuna.

4.1.3.

Il Comitato ritiene che una maggiore incisività dell’azione del CERS possa essere valorizzata dall’ipotesi avanzata dalla Commissione di confermare alla presidenza del CERS il presidente della BCE, prevedendo una nuova figura di direttore esecutivo con compiti operativi e di collegamento tra presidente e consiglio generale.

4.1.4.

Il Comitato considera necessario rafforzare il coinvolgimento del CERS nell’iter legislativo prevedendo espliciti meccanismi di consultazione del CERS prima dell’adozione di proposte legislative nelle materie di pertinenza. Al riguardo, il Comitato è favorevole all’ipotesi di formale partecipazione di un rappresentante del CERS al Consiglio Ecofin e al Comitato economico e finanziario (CEF), secondo modalità e termini da definire.

4.1.5.

L’efficacia dell’azione del CERS deve trarre vantaggio da un processo decisionale più snello e veloce; il Comitato ritiene utile invitare il CERS ad affidare al comitato scientifico una autovalutazione del proprio processo interno, al fine di proporre un modello alternativo e più funzionale alle dinamiche del sistema finanziario. Il Comitato ritiene, altresì, necessario che il CERS adotti processi volti a potenziare il follow-up delle segnalazioni e raccomandazioni.

4.1.6.

L’operato del CERS deve poggiarsi su una più intensa interazione con gli altri organi europei, in particolare, con le diverse AEV; il Comitato considera necessario richiedere al CERS di addivenire, in tempi rapidi, ad una proposta che identifichi modalità di comunicazione e di scambio dati tra le diverse istituzioni del SEVIF. Il Comitato esplicita, altresì, la necessità di implementare forme di coordinamento tra il CERS e le costituende Autorità di vigilanza macroprudenziale nazionali, anche al fine di evitare duplicazioni di rappresentanza in seno al CERS. Il Comitato considera necessario stabilire le basi per una proficua interazione tra CERS e BCE, in ragione delle nuove competenze in materia di vigilanza macroprudenziale attribuite alla Banca centrale europea.

4.2.   Autorità europee di vigilanza (AEV) e Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF)

4.2.1.

Il Comitato ritiene che un migliore funzionamento delle AEV debba necessariamente passare per alcune modifiche dell’attuale assetto istituzionale ed operativo. In particolare, si considerano necessarie azioni volte a rendere più efficiente la funzione normativa, quella di protezione dei consumatori, la governance ed i processi; correttivi vanno immaginati anche per i meccanismi di finanziamento delle Autorità e per il loro assetto organizzativo.

4.2.2.

La funzione normativa deve essere accompagnata da processi più trasparenti che assicurino tempistiche più adeguate delle fasi di consultazione pubblica e analisi di impatto che combinino l’approccio statistico-contabile con quello qualitativo; al riguardo, il Comitato ritiene che le AEV debbano stabilire meccanismi effettivi di interazione con le rappresentanze dei consumatori e dei lavoratori del settore. Il Comitato considera necessario un maggior coinvolgimento delle AEV nel processo di definizione della normativa di primo livello; il Comitato ritiene indispensabile che sia previsto un meccanismo trasparente di consultazione delle AEV prima dell’adozione di proposte legislative nelle materie di pertinenza, che possa agevolare Parlamento e Commissione nella valutazione d’impatto dei provvedimenti e nella assunzione di orientamenti circa il timing per una accurata ed effettiva implementazione degli stessi. Il Comitato è, peraltro, favorevole all’ipotesi di prevedere una partecipazione formale dei Presidenti delle AEV al Consiglio Ecofin.

4.2.3.

Il Comitato condivide l’invito rivolto dalla Commissione alle AEV tendente a potenziare, nell’ambito della governance attuale, funzioni e meccanismi utili ad assicurare l’assunzione di provvedimenti tempestivi e ispirati all’interesse dell’UE nel suo complesso. In primis, occorre valorizzare il meccanismo della risoluzione delle controversie tra autorità nazionali, ponendo chiarezza sul suo attuale funzionamento e valutando eventuali azioni correttive.

4.2.4.

In un’ottica di medio periodo, il Comitato ritiene utile valutare correttivi strutturali all’attuale governance delle AEV ispirati ad un potenziamento delle rappresentanze indipendenti nei vari livelli decisionali.

4.2.5.

L’attività di ogni singola Autorità deve poter contare su un maggior grado di coordinamento con le azioni delle altre AEV; il Comitato ritiene utile che le AEV istituiscano un comitato o un gruppo di esperti che attui, in tempi rapidi, una autovalutazione volta a valorizzare il meccanismo delle valutazioni inter pares, a rafforzare il ruolo del comitato congiunto, e ad elaborare espliciti processi di coordinamento e scambio dati. Il Comitato ritiene utile far obbligo alle AEV di razionalizzare, in tempi rapidi, la propria attività formulando raccomandazioni per un eventuale riordino delle competenze da attribuire alle singole autorità ed al comitato congiunto.

4.2.6.

Il coordinamento tra le AEV deve poter contare su un equipollente sistema di funzioni e poteri; il Comitato ritiene utile dotare tutte le AEV della possibilità di effettuare stress test sulla base del modello EBA. Il coordinamento tra le AEV dovrà tener in dovuto conto il differente grado di integrazione ed armonizzazione a livello UE dei diversi settori vigilati.

4.2.7.

Il Comitato sostiene con favore l’accento posto dalla Commissione sulla necessità di una più stretta collaborazione delle AEV in materia di protezione dei consumatori, con particolare attenzione alla natura dei prodotti offerti ed alla loro compatibilità con il profilo della clientela; al contempo andrebbero potenziate le azioni in favore della financial education. Ritiene, peraltro, necessario estendere in modo esplicito i compiti delle AEV anche alla protezione dei lavoratori del settore, in particolar modo rispetto all’impatto generato dai modelli di vendita e dalle strutture remunerative utilizzate dagli intermediari finanziari. Si suggerisce, al riguardo, di prevedere l’adozione, da parte delle Autorità, di un codice etico riferito alla propria attività e la pubblicazione annuale di una relazione congiunta delle AEV in materia di tutela dei consumatori e dei lavoratori. Il Comitato ritiene che, in tali ambiti, il comitato congiunto debba assumere un ruolo primario, volto a uniformare gli standard di tutela dei consumatori e dei lavoratori del settore trasversalmente ai vari settori di competenza delle diverse autorità.

4.2.8.

I compiti attribuiti alle AEV e i più moderni orientamenti dei mercati finanziari rendono necessario rafforzare:

a)

le competenze delle AEV — e di un loro coordinamento — nei settori della finanza inclusiva, in particolar modo del microcredito e dell’impact investing, anche attraverso un maggior coinvolgimento di esperti e rappresentanti di settore nel comitato scientifico del CERS e negli stakeholder groups delle AEV;

b)

il ruolo del comitato congiunto, e l’adozione di procedure rapide ed efficaci da parte dello stesso, oltre che il potenziamento del personale delle AEV negli organi preparatori.

4.2.9.

In merito alle modalità di finanziamento delle AEV, il Comitato ritiene che il passaggio ad un modello di finanziamento basato su risorse private debba essere valutato sulla base di una approfondita analisi dei relativi vantaggi e delle eventuali criticità. Il Comitato propone che l’opzione di aumentare la quota dei bilanci delle AEV coperta da commissioni e tributi possa essere considerata come transitoria, e riferita ad un periodo quinquennale, parametrando alle sole risorse addizionali eventualmente assegnate alle AEV i maggiori oneri imputabili; il Comitato invita la Commissione ad effettuare, nel periodo transitorio dei cinque anni, un’analisi di impatto anche al fine di valutare meccanismi di finanziamento alternativi tendenti a limitare il rischio di duplicazione dei costi da vigilanza, a realizzare una razionalizzazione delle risorse pubbliche impegnate e ad evitare una traslazione degli oneri sui consumatori finali.

4.2.10.

La sostenibilità delle AEV può trarre beneficio da una razionalizzazione dei costi derivante da una riorganizzazione logistica. Il Comitato vede con favore l’ipotesi proposta dalla Commissione di una sede unica per le AEV, anche alla luce di una maggiore efficienza del dialogo e del coordinamento tra le autorità.

4.2.11.

Il Comitato ritiene che la razionalizzazione logistico-operativa sia strettamente collegata al modello di vigilanza sottostante; in tale ottica, invita la Commissione ad una valutazione di medio periodo sull’opportunità di ripensare l’architettura di vigilanza europea ottimizzandola in relazione alle tre variabili funzioni, mercati, intermediari, eventualmente valutando l’adozione di un assetto binario (twin peaks).

4.2.12.

Il CESE ritiene, infine, che sia necessario rafforzare il sistema democratico di controllo e di monitoraggio delle attività svolte dal CERS e dalle AEV.

Bruxelles, 18 febbraio 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2014) 508 final e COM(2014) 509 final, 8 settembre 2014.

(2)  Relazione del gruppo ad alto livello sulla vigilanza finanziaria del 25 febbraio 2009: http://ec.europa.eu/internal_market/finances/docs/de_larosiere_report_en.pdf

(3)  GU C 339 del 14.12.2010, pag. 34-40.

(4)  Regolamenti dell’UE: 1092/2010, 1093/2010, 1094/2010, 1095/2010 del 24 novembre 2010, GU L 331 del 15.12.2010, pag. 12.

(5)  Comitato congiunto (JC 2012 100), Self Assesment Report of the European Supervisory Authorities, 21 dicembre 2012 (documento riservato).

(6)  Risoluzione del Parlamento europeo dell’11 marzo 2014 recante raccomandazioni alla Commissione concernenti il riesame del SEVIF.

(7)  FMI, Financial Sector Assessment Program at EU Level, marzo 2013.

(8)  PE 507.490 (sul CERS) e PE 507.446 (sulle AEV), ottobre 2013.


31.7.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 251/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde «Sfruttare al meglio il know-how tradizionale dell'Europa: una possibile estensione della protezione delle indicazioni geografiche dell'Unione europea ai prodotti non agricoli»

[COM(2014) 469 final]

(2015/C 251/08)

Relatrice:

WALKER SHAW

La Commissione europea, in data 1o ottobre 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde — Sfruttare al meglio il know-how tradizionale dell'Europa: una possibile estensione della protezione delle indicazioni geografiche dell'Unione europea ai prodotti non agricoli

COM(2014) 469 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 febbraio 2015.

Alla sua 505a sessione plenaria, dei giorni 18 e 19 febbraio 2015 (seduta del 18 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli, 3 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva l'estensione della protezione delle indicazioni geografiche (IG) ai prodotti non agricoli attraverso una regolamentazione unitaria a livello dell’UE, che ritiene fornirà una tutela preziosa e necessaria alle imprese che hanno dimostrato di stimolare la crescita economica, promuovere l'innovazione e offrire posti di lavoro altamente qualificati e meglio retribuiti.

1.2

Il CESE raccomanda di sostenere sia il sistema volontario delle IG che l'obbligo di indicare l'origine sui prodotti di consumo di cui al pacchetto «sicurezza dei prodotti», tenendo conto dei risultati degli studi effettuati, per consentire maggiore tracciabilità, trasparenza e informazione ai consumatori e garantire il riconoscimento di provenienza ai produttori in tutta l'UE.

1.3

Per quanto possibile, tale sistema dovrebbe ricalcare il quadro esistente in materia di prodotti agroalimentari, al fine di mantenere regimi uniformi di registrazione, protezione, controllo e applicazione della normativa, e di evitare confusione per le amministrazioni e i consumatori. Questo sistema dovrebbe inoltre garantire, nel quadro dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS), lo stesso livello di protezione e di salvaguardia di cui godono i prodotti agroalimentari.

1.4

In genere, le imprese tutelate dall'indicazione geografica e le altre imprese ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale investono massicciamente nella formazione di competenze di livello elevato e dovrebbero essere aiutate a proteggere i loro prodotti e il loro know-how, in modo da poter destinare gli investimenti all'acquisizione positiva di competenze e allo sviluppo del capitale umano piuttosto che ad azioni legali difensive.

1.5

Il CESE ritiene che occorra definire una procedura formale di registrazione. Quest'ultima dovrebbe essere valida per un periodo di tempo illimitato onde evitare oneri burocratici e costi, ma dovrebbe essere soggetta a un costante processo di controllo e applicazione al fine di garantire che i prodotti continuino a rispondere ai criteri legati al prestigio e all'immagine derivanti dall'indicazione geografica. Dovrebbe inoltre essere prevista una procedura di radiazione dal registro, ove giustificata.

1.6

Il processo di registrazione dovrebbe essere trasparente e indipendente, finanziato e gestito di preferenza dal settore pubblico, e a titolo gratuito. Qualora si decida di introdurre una tassa, il suo importo dovrebbe essere mantenuto a un livello molto basso per evitare l'ingenerarsi di un effetto deterrente alla registrazione o il rischio che i costi siano scaricati sui consumatori. La registrazione dovrebbe essere completata entro un lasso di tempo ben preciso per evitare lungaggini burocratiche e incertezza per le imprese e i consumatori: un termine di 18 mesi appare ragionevole. Il CESE raccomanda di tenere conto, nella definizione delle modalità di applicazione del sistema, delle proposte delle PMI volte ad evitare costi aggiuntivi.

1.7

La tutela della provenienza e i collegamenti che ne derivano con il patrimonio, la tradizione, la qualità, le specifiche del prodotto, la lavorazione artigianale e il know-how sono importanti. Tra il prodotto e il luogo di origine deve esservi un forte legame. Il CESE è dell'avviso che l'approccio combinato adottato per i prodotti agricoli, ossia quello della denominazione di origine protetta (DOP) e quello più flessibile dell'indicazione geografica protetta (IGP), dovrebbe consentire di coprire tutti i prodotti che necessitano di tutela.

1.8

Il CESE ritiene che il rapporto tra il sistema delle IG per i prodotti non agricoli e il diritto in materia di marchi dovrebbe essere definito in modo analogo a quello attualmente vigente per i prodotti agricoli, in modo da garantire uniformità ed evitare confusione.

2.   Contesto e introduzione

2.1

Il Libro verde Sfruttare al meglio il know-how tradizionale dell'Europa: una possibile estensione della protezione delle indicazioni geografiche dell'Unione europea ai prodotti non agricoli fa seguito allo studio pubblicato dalla Commissione nel marzo 2013 (1), il quale reputa che gli strumenti giuridici esistenti a disposizione dei produttori a livello nazionale ed europeo siano insufficienti. Il 22 aprile 2013 la Commissione ha organizzato un'audizione pubblica per discutere dei risultati dello studio e offrire una piattaforma per un ampio dibattito sulla necessità di una protezione più efficace delle IG per i prodotti non agricoli a livello dell'UE. Alla luce dell'esito dello studio e dei risultati dell'audizione pubblica, la Commissione ha deciso di proseguire il suo lavoro di analisi pubblicando, a fini consultivi, il libro verde in esame.

2.2

Nel settembre 2013 l'Ufficio europeo dei brevetti e l'Ufficio per l'armonizzazione nel mercato interno hanno prodotto, in collaborazione con la Commissione europea, uno studio congiunto dal titolo Intellectual property rights intensive industries: contribution to economic performance and employment in the European Union («Settori a forte intensità di diritti di proprietà intellettuale: contributo ai risultati economici e all'occupazione nell'UE») (2).

Lo studio mette in evidenza il valore economico dei settori ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale (compresi quelli con un elevato numero di prodotti a indicazione geografica) in termini di produzione, occupazione, retribuzioni e commercio, e il loro contributo nel realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020 in materia di occupazione e crescita. Lo studio dimostra che i settori ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale generano oltre il 26 % dell'occupazione nell'UE e il 39 % dell'attività economica dell'Unione. Essi inoltre erogano generalmente retribuzioni più elevate, con differenze di oltre il 40 %.

2.3

Al vertice UE del marzo 2014, il Presidente Barroso ha presentato la comunicazione dal titolo Per una rinascita industriale europea  (3), nella quale la Commissione ha ribadito l'importanza dei settori ad alta intensità di diritti di proprietà intellettuale e con un elevato numero di prodotti a indicazione geografica ai fini della crescita economica sostenibile dell'UE, e ha sottolineato la necessità che l'Unione sostenga tali settori. Sempre in quella comunicazione, la Commissione ha messo in evidenza il fatto che, nel corso della crisi, molte imprese del settore hanno registrato una crescita più forte e prestazioni migliori rispetto a quelle di altri comparti.

2.4

Attualmente, soltanto i prodotti agricoli e alimentari (vini e liquori) godono di una protezione unitaria riconosciuta esclusivamente a livello dell'UE. I prodotti non agricoli a indicazione geografica sono protetti soltanto a livello nazionale/regionale, attraverso diversi quadri giuridici nazionali. Tali quadri non sono stati armonizzati tra tutti gli Stati membri e presentano considerevoli differenze nelle definizioni, nelle procedure, nei livelli di protezione e di applicazione, il che non è utile né alle imprese né ai consumatori. I prodotti non agricoli, tuttavia, sono tutelati da leggi in materia di concorrenza sleale o di inganno dei consumatori, ma anche in questo caso con campi di applicazione e approcci differenti.

2.5

Molte imprese che fabbricano prodotti non agricoli che richiedono elevati livelli di competenze artigianali tradizionali e know-how su base geografica operano in un contesto internazionale e incontrano sempre maggiori difficoltà a tutelare la qualità, l'autenticità e l'integrità dei loro prodotti rispetto all'etichettatura ingannevole, alle frodi, alla contraffazione e all'abuso del marchio. In assenza di una protezione unitaria, le imprese e i consumatori devono fare affidamento su approcci e livelli di tutela la cui diversità su scala dell’UE è fonte di confusione. Questa mancanza di uniformità si rivela costosa e inefficace per molte imprese e le obbliga a spendere ingenti somme di denaro per difendersi caso per caso, il che costituisce un onere sia in termini finanziari che di risorse umane. Le imprese hanno chiesto alla Commissione di estendere la protezione dell'indicazione geografica ai prodotti non agricoli.

2.6

Gli strumenti nazionali esistenti a tutela dell'indicazione geografica, insieme con la normativa in materia di concorrenza sleale e di inganno dei consumatori vigente in tutti gli Stati membri dell'UE, offrono un certo livello di protezione per i prodotti non agricoli, ma nella pratica queste disposizioni sono limitate, e molte imprese lamentano di non riuscire a garantire una protezione efficace contro l'uso improprio dell'indicazione geografica dei prodotti non agricoli.

3.   Osservazioni generali

3.1

L'estensione della protezione delle indicazioni geografiche all'interno dell'UE ai prodotti non agricoli andrebbe a vantaggio sia dei produttori che dei consumatori. Non si tratta di una misura protezionistica. Essa garantirebbe piuttosto condizioni di equa concorrenza ai produttori, per contribuire a tutelare la qualità e l'integrità dei loro prodotti, del loro artigianato o delle loro lavorazioni tradizionali (che richiedono spesso elevate competenze), e, al tempo stesso, fornirebbe ai consumatori informazioni affidabili sul luogo di origine e/o metodo di produzione e una garanzia dell'autenticità e della qualità del prodotto.

3.2

Il CESE ritiene che l'estensione del sistema delle indicazioni geografiche ai prodotti non agricoli apporterebbe evidenti benefici economici all'UE. Si tratta di un'opportunità per promuovere e proteggere i prodotti tradizionali, il know-how e le competenze di alto livello (che spesso vengono apprese nelle scuole e negli istituti professionali specialistici) che hanno dimostrato di creare posti di lavoro di qualità e stabili. Questo sistema, fornendo garanzie sulla provenienza e la qualità dei prodotti, consentirà di aumentare la loro attrattiva e contribuirà a rafforzare la loro immagine e a incrementare le vendite. Un riconoscimento maggiormente universale del prestigio di questi prodotti potrebbe anche contribuire a promuovere il turismo e ad aumentare altri introiti indotti, apportando ulteriori vantaggi economici. Offrirebbe inoltre una protezione più uniforme ed efficace a livello dell'UE contro le perdite causate dalle contraffazioni e dalle imitazioni.

3.3

Esistono numerosi prodotti non agricoli con indicazione geografica largamente riconosciuta e di ottima reputazione in tutta l'UE che sono costantemente oggetto di uso improprio e imitazione. Sebbene alcune delle imprese che fabbricano tali prodotti abbiano resistito alla congiuntura meglio di altre, i casi di abuso del marchio e di contraffazione e imitazione sono aumentati sotto la pressione della crisi. Imprese prive di scrupoli hanno cercato di realizzare guadagni in poco tempo sfruttando il nome e la reputazione di qualità dei prodotti a indicazione geografica, ma senza alcun legame con l'origine, la provenienza, la qualità, la lavorazione artigianale o il know-how associati al prodotto in questione. Ciò si traduce in una perdita di introiti e di quota di mercato da parte degli operatori legittimi, come anche in un danno potenziale all'immagine e in spese legali supplementari. I produttori di articoli quali il cristallo di Boemia, gli abiti su misura dell'associazione Savile Row Bespoke, il marmo di Carrara, i tessuti Harris Tweed, il merletto di Pago, gli orologi a cucù della Foresta nera, la ceramica artistica e tradizionale di Vietri sul Mare, le ceramiche di Stoke on Trent, la pietra e le sculture di Brazza, la maiolica di Deruta e i vetri di Murano si trovano di fronte alla sfida costante di proteggersi attraverso l'avvio di campagne d'informazione, la registrazione dei marchi e il ricorso alle vie legali. L'estensione delle indicazioni geografiche a tali prodotti potrebbe contribuire a evitare questa continua e costosa azione legale difensiva.

3.4

Una protezione legislativa armonizzata al pari di quella riconosciuta al settore agroalimentare e compatibile con il quadro giuridico vigente a livello europeo e a livello internazionale contribuirà a preservare il patrimonio culturale e artistico tradizionale espresso in numerosi prodotti ammissibili al sistema di tutela e a ridurre gli usi impropri. Diminuendo i costi di tutela per via legale dell'immagine dei loro prodotti, le PMI saranno in grado di investire maggiormente nell'innovazione, nello sviluppo dei prodotti e nell'ampliamento della loro quota di mercato e potranno evitare di aumentare i loro prezzi di vendita al consumatore.

3.5

Molti acquirenti di prodotti a indicazione geografica sono consumatori attenti che compiono scelte informate sulla base di una lavorazione artigianale di qualità e dell'autenticità dei prodotti. Essi hanno il diritto di aspettarsi un determinato grado di protezione dell'integrità dei prodotti per i quali spesso pagano un prezzo superiore. La protezione dell'indicazione geografica non riduce la scelta o la concorrenza, in quanto può essere garantita a qualsiasi impresa che soddisfi le specifiche di prodotto e i criteri di provenienza, qualità, specificità, artigianato e know-how che definiscono il prestigio del prodotto in questione.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE ritiene che per armonizzare i prodotti non agricoli a indicazione geografica sia necessaria una regolamentazione unitaria a livello dell’UE. Le soluzioni esistenti attualmente sono troppo frammentate, contraddittorie, costose e inefficaci per consentire a numerose imprese valide di sopravvivere, dal momento che non dispongono delle risorse necessarie per far fronte alla diversità delle strutture e delle disposizioni legislative vigenti a livello regionale o nazionale nei diversi paesi dell'UE. Una maggiore coerenza aiuterà le imprese a sopravvivere e a crescere, e contribuirà a garantire che i loro prodotti siano meno esposti ad abusi.

4.2

Nel quadro della definizione del sistema da applicare ai prodotti non agricoli, il CESE incoraggia la Commissione a semplificare il processo di estensione del sistema delle indicazioni geografiche, mantenendolo vicino al quadro legislativo armonizzato applicato attualmente, ove opportuno, ai prodotti agroalimentari, seguendo le buone prassi e traendo i dovuti insegnamenti dalle esperienze fatte in materia di protezione delle indicazioni geografiche in tale settore. Pur riconoscendo che alcune specificità settoriali possono richiedere un trattamento differente, come è avvenuto nel caso di vini e liquori, la continuità dell'applicazione e un approccio inclusivo ai prodotti da tutelare in tutti i settori dovrebbero costituire la regola generale. I prodotti non agricoli dovrebbero beneficiare delle stesse garanzie e tutele offerte dalle indicazioni geografiche nel settore agricolo in relazione all'accordo TRIPS. Il CESE invita, tuttavia, la Commissione a valutare le possibilità di migliorare tali protezioni alla luce dell'esperienza finora acquisita nell'applicazione del summenzionato accordo, in particolare per quanto concerne sistemi chiari, coerenti e strutturati di notifica e registrazione, e la coerenza di trattamento.

4.3

Pur comprendendo che il sistema delle indicazioni geografiche ha natura volontaria, distinta dalle attuali proposte di apposizione obbligatoria del marchio di origine sui beni di consumo prodotti o importati nell'UE come previsto dal pacchetto «sicurezza dei prodotti», il CESE raccomanda di adottare entrambe le proposte, per consentire maggiore tracciabilità, trasparenza e informazione ai consumatori e garantire il riconoscimento di provenienza ai produttori in tutta l'UE.

4.4

Il CESE prevede che l'armonizzazione della tutela delle indicazioni geografiche di prodotti non agricoli offrirà benefici anche sul piano delle relazioni commerciali dell'UE con i paesi terzi, in quanto semplificherà le procedure e creerà chiarezza in merito ai prodotti che godono di protezione automatica. Tale armonizzazione consentirà un approccio più mirato nel quadro di negoziati commerciali e contribuirà a tutelare i prodotti dell’UE di qualità, che spesso hanno un alto valore aggiunto per l'esportazione. Questo rafforzamento della tutela avrà anche un effetto dissuasivo su coloro che sono intenzionati a contraffare i prodotti protetti o a sfruttarne il prestigio in maniera impropria.

4.5

La fabbricazione di molti prodotti a indicazione geografica richiede abilità estremamente elevate. Le imprese hanno effettuato ingenti investimenti nell'acquisizione delle competenze e del know-how nel corso di più generazioni. Molte di esse dispongono di programmi di apprendistato e di formazione continua ben consolidati e collaudati volti a preparare personale altamente qualificato con competenze assai ricercate sul mercato del lavoro. Il CESE ritiene che occorra sostenere tali imprese nel loro impegno teso a sviluppare questo prezioso capitale umano, aiutandole a tutelare i loro prodotti e il loro know-how e consentendo loro di orientare gli investimenti verso l'acquisizione positiva di competenze piuttosto che verso azioni legali difensive. Le imprese con prodotti a indicazione geografica offrono preziose opportunità di lavoro e di apprendimento a coloro che possono coltivare il proprio talento attraverso una formazione artigianale. Il CESE riconosce inoltre l'interdipendenza esistente, in determinati paesi e regioni, tra i produttori di prodotti protetti da un'indicazione geografica e numerosi istituti professionali specialistici, ad esempio l'istituto di formazione professionale per tagliatori di pietra di Brazza. Alcune di queste imprese sono situate in zone remote e ad alto tasso di disoccupazione, il che rende ancora più importante il loro ruolo nel mercato del lavoro.

4.6

Nella determinazione del legame con un dato luogo, l'obiettivo principale deve essere quello di garantire la tutela della provenienza e dei collegamenti che ne derivano con il patrimonio, la tradizione, la qualità, le specifiche del prodotto, la lavorazione artigianale e il know-how. Tra il prodotto e il luogo di origine deve esservi un forte legame. Il CESE è dell'avviso che i due tipi di approccio basato su tale collegamento, adottati per i prodotti agricoli, ossia quello della denominazione di origine protetta (DOP) e quello più flessibile dell'indicazione geografica protetta (IGP), dovrebbero consentire di includere tutti i prodotti che necessitano di tutela. Tutti i simboli ammessi nell'ambito di questo sistema dovrebbero garantire il collegamento e il riconoscimento inequivocabili, essere conformi ai criteri dell'indicazione geografica ed essere uniformi in tutto il territorio europeo per evitare confusione per i consumatori e per contribuire a stabilire il riconoscimento.

4.7

Pur prendendo atto del fatto che qualità e origine non sono necessariamente sinonimi, il CESE riconosce che i prodotti a indicazione geografica godono di una reputazione fondata su un valore per i clienti, e che le caratteristiche qualitative fanno spesso parte del DNA di tali prodotti e possono essere importanti per definire e tutelare la lavorazione artigianale di qualità e il know-how, e per monitorare e far rispettare gli standard tra le imprese. Numerosi produttori o associazioni che tutelano i prodotti a indicazione geografica dispongono già di parametri di riferimento definiti e controllano attivamente essi stessi il rispetto di tali standard tra le imprese partecipanti al fine di proteggere l'integrità dei loro prodotti. Tuttavia, il CESE riconosce che tali programmi di sorveglianza volontari e codici di condotta non funzionano in tutti gli Stati membri e devono essere accompagnati da meccanismi formali di controllo e applicazione a livello sia nazionale che UE. Il CESE rileva che, in seguito alla crisi e alle politiche di austerità, molti organismi preposti al controllo e all'applicazione hanno subito tagli, e sottolinea che occorre prendere in considerazione delle misure volte a garantire un controllo e un'applicazione efficaci.

4.8

Come nel caso dei prodotti agricoli, il CESE ritiene che occorra definire una procedura formale di registrazione. Quest'ultima dovrebbe essere valida per un periodo di tempo illimitato onde evitare oneri burocratici e costi, ma dovrebbe essere soggetta a un costante processo di controllo e applicazione al fine di garantire che i prodotti continuino a rispondere ai criteri legati al prestigio e all'immagine derivanti dall'indicazione geografica. La procedura di registrazione dovrebbe comprendere anche delle disposizioni per la radiazione dal registro quando un prodotto non è più conforme agli standard o non viene più fabbricato. Dovrebbe inoltre essere prevista una procedura di opposizione, compreso il diritto di ricorso per evitare azioni legali vessatorie di opposizione.

4.9

Una soluzione ragionevole consisterebbe in un sistema a due fasi basato sul coinvolgimento delle autorità nazionali, combinato alla tutela legislativa e all'attività di vigilanza a livello dell'UE. Il processo di registrazione dovrebbe essere trasparente e indipendente, e dovrebbe essere finanziato e gestito di preferenza dal settore pubblico. Il CESE constata che attualmente la registrazione dei prodotti agroalimentari non è soggetta ad alcuna tassa: lo stesso principio dovrebbe quindi valere per i prodotti non agricoli. Qualora si decida di introdurre una tassa, il suo importo dovrebbe essere mantenuto a un livello molto basso per evitare l'ingenerarsi di un effetto deterrente alla registrazione o il rischio che i costi siano scaricati sui consumatori. La registrazione dovrebbe essere completata entro un lasso di tempo ben preciso per evitare lungaggini burocratiche e incertezza per le imprese e i consumatori: un termine di 18 mesi appare ragionevole.

4.10

Il CESE ritiene che il rapporto tra un sistema di indicazioni geografiche per i prodotti non agricoli e il diritto in materia di marchi dovrebbe essere definito in modo analogo a quello attualmente vigente per il settore dei prodotti agricoli, allo scopo di garantire uniformità ed evitare confusione, traendo insegnamenti dall'esperienza acquisita nell'applicazione del sistema in tale settore al fine di perfezionare il processo e ridurre al minimo il rischio di controversie. Il CESE fa notare infine che la richiesta di una denominazione di origine protetta in una determinata regione deve essere aperta a tutte le imprese che vi operano.

Bruxelles, 18 febbraio 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  http://ec.europa.eu/internal_market/indprop/docs/geo-indications/130322_geo-indications-non-agri-study_en.pdf

(2)  http://ec.europa.eu/internal_market/intellectual-property/docs/joint-report-epo-ohim-final-version_en.pdf

(3)  COM(2014) 14 final


31.7.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 251/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti — Analisi annuale della crescita 2015»

COM(2014) 902 final

(2015/C 251/09)

Relatore generale:

Gonçalo LOBO XAVIER

La Commissione, in data 19 dicembre 2014, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

«Analisi annuale della crescita 2015»

COM(2014) 902 final.

Il 9 dicembre 2014, l’ufficio del Comitato ha incaricato il Comitato direttivo di Europa 2020 di preparare i lavori del Comitato relativi a tale argomento.

Vista l’urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 505a sessione plenaria del 18 e 19 febbraio 2015 (seduta del 19 febbraio), ha nominato Gonçalo LOBO XAVIER relatore generale e ha adottato il seguente parere con 174 voti favorevoli, 8 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il CESE accoglie con favore l’Analisi annuale della crescita 2015 (1) della Commissione il cui obiettivo di fondo è quello di promuovere livelli di crescita adeguati per sostenere la ripresa dell’Europa. I tre pilastri raccomandati, vale a dire il rilancio degli investimenti, le riforme strutturali e la responsabilità e il risanamento di bilancio, sembrano essere una buona risposta ai bisogni dell’Europa e il CESE appoggia l’idea di accompagnare il piano di attuazione con un semestre europeo più efficace. Tuttavia, il Comitato fa osservare che nel processo si rilevano ancora dei punti deboli: basti considerare, per esempio, che l’analisi annuale della crescita non comprende gli aspetti sociali e ambientali, e in particolare rileva che essa dovrebbe fare della lotta alla disoccupazione di massa e della gestione della crisi sociale una priorità politica esplicita. L’analisi annuale della crescita è il presupposto per un semestre europeo efficace ed è per questo che il CESE ritiene che vi dovrebbe essere un impegno più deciso relativamente alle scadenze temporali imposte, al fine di avere un maggiore coinvolgimento e migliori risultati.

1.2.

Secondo il Comitato la fiducia necessaria per investire dipende anche dalla chiarezza e dalla semplicità del calendario proposto, nonché dal coinvolgimento delle parti interessate più importanti. Le parti sociali e altre organizzazioni della società civile in generale devono essere coinvolte nel processo per ragioni di credibilità. Il CESE ritiene fondamentale che la Commissione dialoghi con il Parlamento europeo e le parti sociali oltre che con altre organizzazioni della società civile a livello europeo, prima della presentazione dell’analisi annuale della crescita. Il CESE riconosce gli sforzi compiuti dalla Commissione per incoraggiare una maggiore partecipazione della società civile, anche in cooperazione con i parlamenti nazionali, ma avverte che deve essere attuato un nuovo «calendario della società civile» (2) per conseguire l’efficienza e un autentico coinvolgimento, con risultati efficaci. Tutti le parti e tutte le istituzioni devono impegnarsi a fondo per passare dalle buone intenzioni ai fatti e il CESE chiede che le parti sociali abbiano un ruolo proattivo.

1.3.

Il CESE ritiene che non sia possibile attuare un piano per la crescita che sostenga misure di creazione di posti di lavoro senza investimenti. È pertanto cruciale che l’Europa crei condizioni adeguate per investimenti basati su partenariati che coinvolgano sia il settore privato che quello pubblico. L’efficacia della combinazione delle politiche proposte invierebbe il segnale giusto per stimolare la fiducia, elemento essenziale per gli investimenti. Il CESE considera un grave difetto il fatto che nel suo piano di investimenti, di per sé lodevole, la Commissione punti principalmente sugli investimenti privati, ignorando in larga misura la necessità di investimenti pubblici. Il Comitato dà il suo appoggio alla discussione incorso nella Commissione europea in merito all’applicazione della «regola d’oro» (golden rule) finanziaria, vale a dire in merito all’esclusione degli investimenti pubblici orientati al futuro, dal calcolo dei disavanzi pubblici netti nell’ambito delle regole di bilancio dell’UE (3).

IL CESE fa inoltre rilevare che, indipendentemente da chi promuova un investimento, il segreto del successo è una definizione chiara del tipo di investimento e la sua sostenibilità futura. In tale contesto un aumento degli investimenti a lungo termine nel campo dei sistemi d’istruzione e formazione beneficerà realmente il mercato del lavoro e permetterà agli europei di comprendere la dimensione sociale della sfida.

Un approccio corretto è essenziale per combattere la disoccupazione giovanile, che è una triste realtà in Europa, e gli Stati membri devono coordinare le loro politiche nazionali per evitare l’esclusione e a promuovere l’integrazione dei gruppi svantaggiati della società nel mercato del lavoro.

1.4.

Il CESE è fermamente convinto del ruolo fondamentale che nello sviluppo dell’Europa spetta all’industria. Vi è un ampio ventaglio di esempi positivi d’innovazione nei settori industriali e questo contesto va migliorato per favorire la creazione di posti di lavoro e valorizzare risorse umane altamente qualificate. Il Piano d’investimenti deve riconoscere il valore aggiunto dei «campioni industriali europei» e promuovere esempi d’innovazione e buone pratiche.

1.5.

Il CESE chiede che si presti attenzione, in questo processo, alla promozione degli investimenti sociali. Il CESE ritiene che gli investimenti sociali possano svolgere un ruolo cruciale nella promozione del benessere sociale e nell’eliminazione della povertà e dell’esclusione; per tale ragione ha già chiesto che ad essi venga fatto esplicito riferimento nelle analisi annuali della crescita e nelle raccomandazioni specifiche per paese (4), e insiste perché si favoriscano misure tali da permettere agli attori pertinenti della società civile di liberare appieno il potenziale delle imprese dell’economia sociale e di rafforzare il ruolo delle comunità locali (5).

1.6.

Il CESE accoglie con favore gli sforzi compiuti per stimolare il potenziale dell’Europa attraverso il mercato digitale. Il mercato digitale può realmente rilanciare la crescita dell’economia e dell’occupazione se si adottano alcune misure chiave. Le imprese potranno sfruttare a pieno le potenzialità del digitale solo quando vi siano norme comuni europee di protezione dei dati di elevata qualità e quando sia tornata la fiducia dei consumatori. Il CESE esorta la Commissione ad accelerare l’attuazione del mercato interno per trarre il massimo vantaggio da questo programma.

1.7.

Il CESE ritiene che sia necessario da parte di tutti gli Stati membri osservare il criterio della responsabilità fiscale, che dovrebbe essere direttamente collegata con lo stimolo all’occupazione e con la rendicontabilità sociale. Il rispetto degli impegni a favore di una governance equilibrata e responsabile è essenziale per promuovere la crescita. Il CESE sostiene un risanamento di bilancio favorevole alla crescita e chiede, ove possibile, agli Stati membri di ridurre la pressione fiscale sui cittadini imposta da politiche di austerità e di adottare altre misure per rilanciare gli investimenti privati, senza trascurare gli investimenti pubblici intelligenti.

1.8.

Il sistema di governance volto a conseguire la responsabilità di bilancio con una sorveglianza di bilancio più consapevole e integrata costituisce un approccio interessante che potrebbe consentire un’adeguata incorporazione delle raccomandazioni dell’UE nella preparazione dei bilanci nazionali. Il CESE accoglie con favore la semplificazione del semestre, che aveva già raccomandato nel parere sull’Analisi annuale della crescita 2014 (6) e auspica che tali modifiche siano efficaci.

1.9.

Il Comitato invoca una maggiore uniformità nella presentazione della situazione di bilancio di ciascuno Stato membro. Ciò faciliterà le comparazioni e potrebbe rivelarsi più efficiente nel raggiungimento di soluzioni a livello europeo. Potrebbe essere interessante rivedere il calcolo del debito interno al fine di ottenere informazioni più realistiche ed equilibrate.

2.   Introduzione

2.1.

Il CESE apprezza l’Analisi annuale della crescita quale orientamento per aggiornare le politiche europee con l’obiettivo di rilanciare l’economia e la crescita sostenibile per tutti.

Il «semestre europeo» ha dimostrato di funzionare come parametro di riferimento per introdurre o rafforzare le politiche di bilancio o le riforme strutturali necessarie alla crescita ed ha ottenuto risultati tangibili; tuttavia si potrebbe criticare la lentezza delle procedure e la mancanza di decisioni nette in rapporto alla definizione dei percorsi che è meglio seguire per uscire dalla grave crisi che ha sconvolto l’Europa e che ancora si fa sentire, con maggiore o minore intensità, in tutti gli Stati membri.

2.2.

La validità dell’iniziativa non può quindi essere messa in discussione, soprattutto nella consapevolezza dei vincoli con cui ogni Stato membro deve fare i conti in rapporto alle politiche di crescita, in ragione delle proprie circostanze specifiche e della velocità con cui ha attuato misure e riforme che hanno avuto un impatto e hanno conseguito risultati.

2.3.

Nell’Analisi annuale della crescita per il 2015 la Commissione raccomanda chiaramente una politica economica basata su tre pilastri integrati principali, ossia la crescita degli investimenti, l’accelerazione delle riforme strutturali e un risanamento di bilancio responsabile e propizio alla crescita.

A parere della Commissione, il modo in cui questi tre pilastri della politica economica saranno integrati tra loro sarà decisivo per il successo della politica e per il conseguimento di risultati che consentano di ridurre la disoccupazione, in particolare tra i giovani. Ciò esigerà riforme strutturali del mercato del lavoro, un’ulteriore riforma delle pensioni, la modernizzazione dei sistemi di protezione sociale, l’introduzione di una maggiore flessibilità nei mercati di beni e servizi, un miglioramento del contesto per gli investimenti e per l’attività imprenditoriale, un miglioramento della qualità degli investimenti nel campo della ricerca, dell’innovazione, dell’istruzione e della formazione, e l’intensificazione degli sforzi per una maggiore efficienza della pubblica amministrazione.

2.4.

È interessante notare che la Commissione rivolge anche un appello per la partecipazione della società civile a tutto il processo di crescita e cambiamento, con particolare attenzione al coinvolgimento delle parti sociali (7). Essa invita inoltre gli Stati membri a dialogare più attivamente con i parlamenti nazionali e a stabilire un canale di comunicazione con l’opinione pubblica perché contribuisca a valutare le politiche da attuare.

È opportuno mettere in evidenza questo sforzo di migliorare la partecipazione dei cittadini in un momento in cui desta preoccupazione il loro sentimento di distanza dal progetto europeo.

3.   Un approccio integrato

3.1.   Promuovere gli investimenti

3.1.1.

Per il CESE è chiaro che la ripresa degli investimenti, insieme con la fiducia degli investitori (istituzionali e privati), rappresenta un fattore fondamentale per la crescita. Accoglie quindi con favore il «Piano di investimenti per l’Europa» (8), che affronta la questione della necessità di incoraggiare investimenti strutturali cruciali che creino le condizioni di crescita e sostenibilità indispensabili alla competitività. Il CESE considera un grave difetto il fatto che nel suo piano di investimenti, di per sé lodevole, la Commissione punti principalmente sugli investimenti privati, ignorando in larga misura la necessità di investimenti pubblici. Il Comitato dà il suo appoggio alla discussione incorso nella Commissione europea in merito all’applicazione della «regola d’oro» (golden rule) finanziaria, vale a dire in merito all’esclusione degli investimenti pubblici orientati al futuro, dal calcolo dei disavanzi pubblici netti nell’ambito delle regole di bilancio dell’UE (9).

3.1.2.

Un’analisi della situazione attuale mostra che l’Europa ha perso competitività rispetto alle altre economie globali proprio a causa del calo degli investimenti in settori critici quali l’ammodernamento degli impianti, l’accesso alle tecnologie e il miglioramento dell’istruzione, solo per citare alcuni esempi. Il CESE si compiace pertanto di questo piano volto a incoraggiare gli investimenti, ma si contano numerose variabili che non sono chiare e che possono mettere in discussione la validità del piano. Dal punto di vista concettuale questo piano sembra solido, ma il CESE nutre dubbi quanto alle modalità con cui esso potrebbe essere attuato pienamente e su larga scala.

3.1.3.

Le riserve che il CESE si vede obbligato a formulare rispetto alle raccomandazioni dell’Analisi annuale della crescita riguardano in larga misura i vincoli con cui alcuni Stati membri devono fare i conti in rapporto ai livelli di investimento richiesti. Si rileva tuttora una grande disparità di accesso ai finanziamenti, specie nel caso delle PMI, una situazione che può compromettere la validità dell’iniziativa, anche qualora esista la volontà politica dei governi nazionali. In questa fase non è chiaro in che modo tale disuguaglianza sarà affrontata e ridotta al fine di promuovere investimenti inclusivi in Europa, nonostante le raccomandazioni più che benvenute della Commissione sull’accesso delle PMI ai finanziamenti, raccomandazioni che implicano un nuovo approccio in materia d’insolvenza e di fallimento delle imprese e il miglioramento del quadro normativo volto a favorire gli investimenti a lungo termine nelle PMI.

3.1.4.

Il CESE ritiene inoltre che i programmi d’investimento esistenti e disponibili siano fondamentali per realizzare gli obiettivi di crescita, e concorda sulla necessità di incoraggiare gli Stati membri, compresi i cittadini, le imprese, gli organismi ufficiali, a partecipare attivamente ai programmi loro destinati e che sono concepiti per soddisfare i requisiti di inclusione e promozione dell’eccellenza, come, ad esempio, il programma Orizzonte 2020 (10) (per l’innovazione e la ricerca), il Meccanismo per collegare l’Europa (11) (per gli investimenti infrastrutturali) e il programma COSME (12) (per il finanziamento delle PMI). IL CESE chiede anche, tuttavia, di rendere le strutture di monitoraggio dei programmi più inclusive e semplici in modo da stimolare l’eccellenza e un accesso più equo per tutte le istituzioni e gli Stati membri, senza nulla perdere del rigore e dell’eccellenza richieste dai programmi.

3.1.5.

Il CESE crede veramente nell’efficacia degli investimenti sociali e del loro impatto diretto sul benessere della popolazione. I poteri pubblici non possono ignorare la forza delle imprese dell’economia sociale, non solo perché esse hanno uno stretto legame con la società civile, ma anche perché vi sono esempi positivi che potrebbero essere replicati in situazioni analoghe. L’Europa deve promuovere in tutta l’Unione europea le buone pratiche emerse nei singoli Stati membri (13).

3.2.   Riforme strutturali

3.2.1.

Il mercato unico dei beni e servizi è sempre stato al centro della costruzione europea. Molti risultati sono già stati raggiunti, a prezzo di grandi sforzi, ma vi sono dei settori cruciali per la crescita che non sono stati ancora ristrutturati. Il CESE accoglie quindi favorevolmente gli sforzi compiuti dagli Stati membri per eliminare gli ostacoli che si frappongono alla formazione di un mercato unico efficace, efficiente ed equo. Inoltre il CESE non nutre dubbi sui benefici per i consumatori europei derivanti da un mercato unico di beni e servizi efficiente, che avrebbe l’effetto di rafforzare la capacità dell’Europa di attirare investimenti, con conseguenze dirette sulla creazione di posti di lavoro e sul benessere sociale. Il CESE ritiene tuttavia che sia importante raddoppiare l’impegno e adottare misure concrete per raggiungere questo obiettivo.

3.2.2.

La posizione di leadership che si raggiungerebbe creando un mercato unico digitale è quindi essenziale ed è chiaramente un obiettivo che il CESE condivide appieno. Il Comitato non nutre dubbi sui benefici di un mercato unico digitale efficiente, e ritiene che i meccanismi di finanziamento degli investimenti in infrastrutture e conoscenze debbano tendere a questo obiettivo; non può tuttavia evitare di segnalare — ancora una volta — le differenze che esistono tra i vari Stati membri e che possono ostacolare un’integrazione efficace.

3.2.3.

Analogamente l’Europa, mentre incoraggia l’eccellenza e l’efficienza del mercato unico digitale (14), deve anche esigere dai suoi concorrenti il rispetto delle regole e norme europee, altrimenti sorgerebbe un problema di equità nei confronti dello stesso mercato interno. Il CESE non parla di protezionismo o di altri provvedimenti in questo senso, ma chiede semplicemente chiarezza in tutto il processo, nonché la corretta applicazione delle misure e dei requisiti necessari a svolgere un ruolo guida in vari settori dell’economia e della società.

3.2.4.

Il Comitato ritiene che i piani per la crescita e la creazione di posti di lavoro debbano essere in linea con le riforme nazionali che favoriscono la partecipazione di una forza lavoro di qualità elevata, fanno aumentare la produttività e prendono il meglio dei sistemi di formazione e d’istruzione.

3.3.   La ricerca di una politica di bilancio responsabile

3.3.1.

Malgrado i miglioramenti registrati nella gestione del loro debito sovrano interno da parte degli Stati membri (il numero dei paesi con un disavanzo eccessivo è sceso da 24 nel 2011 a 11 nel 2014 (15)), fatto che costituisce uno sviluppo positivo, rimane ancora molto da fare a questo proposito, soprattutto in una prospettiva di medio-lungo termine.

3.3.2.

I processi di aggiustamento degli Stati membri sono stati portati avanti a scapito del benessere sociale dei cittadini, con ripercussioni per tutti, sia per i singoli che per le imprese. Il CESE considera pertanto che l’Analisi annuale della crescita dovrebbe fare della lotta alla disoccupazione di massa e della gestione della crisi sociale una priorità politica esplicita.

3.3.3.

Il CESE appoggia un approccio che combini la responsabilità di bilancio con politiche economiche per la crescita, ma avverte che è necessario applicare le politiche adeguate alla situazione reale di ogni Stato membro. Si è comprovato che l’applicazione di misure generiche a situazioni differenti ha dato risultati fallimentari. Il Comitato si augura che la Commissione non voglia ripetere gli errori commessi nel recente passato.

3.3.4.

Il Comitato esorta la Commissione a intensificare la lotta contro la frode e l’evasione fiscali; Si dovrebbero promuovere e condividere le buone pratiche della lotta contro la frode e l’evasione fiscali ai fini di un aumento dell’efficienza e di una maggiore giustizia.

4.   Migliorare il sistema di governance rendendolo più efficiente

4.1.

Il CESE è stato particolarmente attivo nel processo di valutazione e riesame dell’attuazione della strategia Europa 2020 (16). È per questo che il Comitato ritiene responsabilmente che l’allineamento temporale del riesame della strategia al semestre europeo e al Consiglio europeo rappresenti una misura essenziale per raggiungere gli obiettivi fissati e aumentare l’efficienza delle misure proposte, oltre che per riesaminare gli obiettivi stessi.

4.2.

Questo allineamento, come è stato ampiamente segnalato dal comitato direttivo Europa 2020 del CESE, è essenziale per valutare sia l’efficacia delle misure in atto che gli obiettivi fissati, oltre che per correggere le misure in corso di attuazione rendendole più efficaci alla luce della situazione reale dell’Europa in generale e degli Stati membri in particolare.

4.3.

Il CESE accoglie con favore la razionalizzazione del semestre europeo, in particolare la proposta di presentare un’unica e completa valutazione economica per Stato membro e l’anticipazione della sua pubblicazione a marzo. Il Comitato ritiene importante che le raccomandazioni specifiche per paese (CSR) siano presentate prima.

4.4.

Il CESE concorda con la Commissione sul fatto che l’orientamento dei PNR debba essere aggiornato e ritiene essenziale che le parti sociali come pure altre organizzazioni della società civile, siano coinvolte sin dall’inizio nella loro formulazione. Ciò rafforzerà la titolarità del semestre europeo e ne migliorerà l’attuazione, accrescendo in ultima analisi la sua legittimità democratica.

4.5.

Il CESE sottolinea che la revisione intermedia della strategia Europa 2020 dovrebbe essere pubblicata tempestivamente, in modo da dare alle parti interessate il tempo sufficiente per preparare le loro posizioni.

4.6.

Il Comitato ritiene che l’innovazione sociale e la politica degli investimenti sociali debbano essere integrate in modo esplicito nella revisione della strategia Europa 2020 e sostenute da un’apposita iniziativa faro; Il CESE chiede che si introduca la misurazione dell’impatto sociale in considerazione del progresso delle politiche sociali, includendo gli indicatori sociali nelle relazioni nazionali sullo stato di attuazione.

4.7.

L’Europa deve essere ferma nella sua azione, mostrando solidarietà e rispetto per la sovranità degli Stati membri, capacità di risposta e, soprattutto, una leadership intelligente nella ricerca di soluzioni che siano inclusive ed equilibrate, costruendo un consenso in grado di mobilitare i cittadini attorno a un progetto veramente europeo e positivo per tutti.

4.8.

Il CESE è consapevole delle sfide future ed è pertanto preoccupato per la mancanza di idee nell’Analisi annuale della crescita in merito alle questioni ambientali. È legittimo attendersi che il Piano d’investimenti tenga conto di tali preoccupazioni, ma una sezione specifica sulle sfide, sulle opportunità e sulla politica in materia di ambiente rafforzerà anche la leadership dell’Europa in questo settore. Inoltre ciò avrà un impatto anche sulla fiducia nel futuro dell’industria dell’UE, nonché sul benessere delle persone e sulla sostenibilità.

Bruxelles, 19 febbraio 2015.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Per l’«Analisi annuale della crescita 2015», cfr. il sito Internet della Commissione europea http://ec.europa.eu/europe2020/making-it-happen/annual-growth-surveys/index_it.htm

(2)  Cfr. l’allegato.

(3)  Parere del CESE sul tema «L’impatto degli investimenti sociali sull’occupazione e sui bilanci pubblici», GU C 226 del 16.7.2014, pagg 21-27

(4)  Parere CESE in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020», GU C 271 del 19.9.2013, pagg. 91-96 e parere del CESE sul tema «L’impatto degli investimenti sociali sull’occupazione e sui bilanci pubblici», GU C 226 del 16.7.2014, pagg 21-27.

(5)  Cf. la «Dichiarazione di Milano: il CESE chiede di promuovere l’innovazione nei sistemi di welfare dell’UE per raccogliere le nuove sfide» — Comitato economico e sociale europeo.

(6)  Parere del CESE in merito all’«Analisi annuale della crescita 2014», GU C 214 dell’8.7.2014, pagg. 46-54.

(7)  Cfr. le raccomandazioni formulate nel parere del CESE sull’«Analisi annuale della crescita 2014», e la relazione del CESE sulla «Revisione intermedia della strategia Europa 2020» al seguente indirizzo: http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.europe-2020-meetings.34402

(8)  Per il «Piano di investimenti per l’Europa», cfr. il sito Internet della Commissione europea http://ec.europa.eu/priorities/jobs-growth-investment/plan/index_en.htm

(9)  Parere del CESE sul tema «L’impatto degli investimenti sociali sull’occupazione e sui bilanci pubblici», GU C 226 del 16.7.2014, pagg 21-27.

(10)  Per Orizzonte 2020 cfr. il sito Internet della Commissione europea http://ec.europa.eu/programmes/horizon2020

(11)  Per il «Meccanismo per collegare l’Europa», cfr. il sito Internet della Commissione europea http://ec.europa.eu/digital-agenda/en/connecting-europe-facility

(12)  Per il programma «COSME», cfr. il sito Internet della Commissione europea http://ec.europa.eu/enterprise/initiatives/cosme/index_en.htm

(13)  Parere del CESE sul tema «Investimenti a impatto sociale», OJ C 458, 19.12.2014, pagg. 14–18.

(14)  Parere del CESE sul tema «Progressi nell’attuazione della strategia Europa 2020 e i modi di conseguirne gli obiettivi entro il 2020».

(15)  Per il «disavanzo eccessivo» cfr. l’Analisi annuale della crescita 2015 nel sito Internet della Commissione europea http://ec.europa.eu/europe2020/making-it-happen/annual-growth-surveys/index_it.htm Paragrafo 4: Perseguire la responsabilità di bilancio.

(16)  Cfr. Relazione del CESE sulla revisione intermedia della strategia Europa 2020 al seguente indirizzo: http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.europe-2020-meetings.34402


ALLEGATO

Calendario del semestre europeo — per visualizzare il calendario, seguire questo link:

http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.europe-2020-opinions.34757